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Anno IV Numero 9 ArtiTerapie e Neuroscienze On Line www.rivistaartiterapie.it Settembre 2013 “Il pittore non disegna con le mani, ma con gli occhi. Qualsiasi cosa vede, se la vede chiara può metterla su carta” (Maurice Grosser). “Imparare a disegnare è in realtà imparare a vedere, a vedere nel modo giusto, che è molto di più che guardare semplicemente con gli oc- chi” (Kimon Nicolaides). “L’artista è il confidente della natu- ra. I fiori dialogano con lui per mezzo dell’aggraziato curvarsi dei loro steli e del loro dischiudersi in armoniose sfumature di colori. O- gni fiore ha per lui una parola cor- diale che la natura gli rivolge” (Au- gust Rodin). L’Arteterapia mira a riattivare l’emisfero destro e a sollecitare la comunicazione armoniosa tra i due emisferi consentendo all’individuo di raggiungere quell’equilibrio che gli necessita: “camminare con tutte e due le gambe”, o se si preferisce, “respirare con entrambi i polmoni”, o ancora vibrare e accordarci con le Disegnare con la parte destra del cervello Frammenti (Parte Prima) In questo numero... Copertina Disegnare con la parte destra del cervello. Frammenti (Parte Prima) di Patrizia Masciari Pag. 3 LECCE - Progetto Hacca 2O: Bando per il reclutamento di 30 persone con disabilità e sindrome autistica Pag. 4 Il Presidente di Artedo parla del Sistema per la creazione d'Impresa Etica nelle nuove professioni di Chiara Spagnolo. Pag. 12 Dall’inserto SALUTE E PREVENZIONE: L’intervento psicoterapico con la famiglia nel servizio pubblico secondo un ap- proccio relazionale sistemico di P. G. Semboloni Pag. 19 Dall’inserto SALUTE E PREVENZIONE: Il gioco d’azzardo tra conseguenze individuali, familiari, sociali, illusioni, classificazioni e interventi terapeutici: L’esperienza di Campofor- mido di R. De Luca Rivista Telematica dell’Istituto di Arti Terapie e Scienze Creative Iscr. N. 1046 Registro Organi della Stampa c/o Tribunale di Lecce Direttore: Carmelo Tafuro.

Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

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Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line

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Page 1: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

Anno IV – Numero 9

ArtiTerapie e Neuroscienze On Line

www.rivistaartiterapie.it

Settembre 2013

“Il pittore non disegna con le mani,

ma con gli occhi. Qualsiasi cosa

vede, se la vede chiara può metterla

su carta” (Maurice Grosser).

“Imparare a disegnare è in realtà

imparare a vedere, a vedere nel

modo giusto, che è molto di più che

guardare semplicemente con gli oc-

chi” (Kimon Nicolaides).

“L’artista è il confidente della natu-

ra. I fiori dialogano con lui per

mezzo dell’aggraziato curvarsi dei

loro steli e del loro dischiudersi in

armoniose sfumature di colori. O-

gni fiore ha per lui una parola cor-

diale che la natura gli rivolge” (Au-

gust Rodin).

L’Arteterapia mira a riattivare

l’emisfero destro e a sollecitare la

comunicazione armoniosa tra i due

emisferi consentendo all’individuo

di raggiungere quell’equilibrio che

gli necessita: “camminare con tutte

e due le gambe”, o se si preferisce,

“respirare con entrambi i polmoni”,

o ancora vibrare e accordarci con le

Disegnare con la parte destra del cervello – Frammenti (Parte Prima)

In questo numero...

Copertina Disegnare con la parte destra del cervello.

Frammenti (Parte Prima) di Patrizia Masciari

Pag. 3 LECCE - Progetto Hacca 2O: Bando per il reclutamento di

30 persone con disabilità e sindrome autistica

Pag. 4 Il Presidente di Artedo parla del Sistema per la creazione

d'Impresa Etica nelle nuove professioni di Chiara Spagnolo.

Pag. 12 Dall’inserto SALUTE E PREVENZIONE: L’intervento

psicoterapico con la famiglia nel servizio pubblico secondo un ap-

proccio relazionale sistemico di P. G. Semboloni

Pag. 19 Dall’inserto SALUTE E PREVENZIONE: Il gioco

d’azzardo tra conseguenze individuali, familiari, sociali, illusioni,

classificazioni e interventi terapeutici: L’esperienza di Campofor-

mido di R. De Luca

Rivista Telematica dell’Istituto di Arti Terapie e Scienze Creative – Iscr. N. 1046 Registro Organi della Stampa c/o Tribunale di Lecce – Direttore: Carmelo Tafuro.

Page 2: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

Seguici

biofrequenze solari che scorrono

lungo il Sistema Parasimpatico e

Ortosimpatico, le frequenze che

generano la vita (corredo biologico

di cui siamo premuniti).

“Il mio obiettivo è di fornirvi gli

strumenti per liberare quel poten-

ziale creativo che abita in voi e per

accedere, in maniera cosciente, al-

le vostre facoltà inventive, di intu-

izione, di creatività e immagina-

zione che forse finora sono state

represse dalla nostra cultura verba-

le e tecnologica, nonché dal nostro

sistema educativo. Vi insegnerò a

disegnare, ma disegnare è soltanto

uno strumento, non è il fine. Impa-

rando a vedere, a disegnare, svi-

lupperete le facoltà della parte de-

stra del cervello, imparerete a ve-

dere il mondo in maniera diversa.

Disegnando imparerete a conosce-

re profondamente una parte della

vostra mente che vi farà percepire

ogni cosa in modo nuovo. Ciò vi

permetterà di trovare nuove solu-

zioni creative ai problemi sia pri-

vati che professionali, usando

nuovi processi di pensiero più glo-

bali e completi di quelli che avete

usato fino ad ora” (Betty E-

dwards).

“Disegnando noi ci manifestiamo:

così il tesoro segretamente accu-

mulato nel proprio cuore diviene

manifesto attraverso il lavoro crea-

tivo” (Albrecht Durer).

Strategia per accedere alla fun-

zione destra del cervello

Per poter accedere alle funzioni D

(emisfero destro del cervello), vi-

siva e percettiva, è necessario pre-

sentare al nostro cervello un com-

pito che la funzione S, verbale e

analitica, rifiuterà. Questi esercizi

che faremo, in maniera progressiva

e sempre più decisa, mirano a sol-

lecitare le funzioni D e ad impedi-

re che le funzioni S intervengano.

Bisogna sapere, però, che la fun-

zione

funzione S interviene automatica-

mente perché è iper-stimolata dal

nostro sistema educativo, scolasti-

co, tecnologico, mentre le funzioni

D ci appariranno estranee, scono-

sciute, atrofizzate, quindi, a volte

potrà risultare un vero e proprio

conflitto che ci porterà irritabilità,

mal di testa, nausea, voglia di in-

terrompere l’esercizio. Un altro

obiettivo di queste esercizi è quel-

lo di acquisire un profondo metodo

di osservazione (non giudicante)

che ci aiuterà nella formulazione

del protocollo da compilare rigo-

rosamente dopo ogni seduta o la-

boratorio sia individuale che grup-

pale (ERRORE DA NON FARE

ASSOLUTAMENTE: compilando

il protocollo dopo qualche ora, o

addirittura dopo qualche giorno, si

falsa totalmente la veridicità e

l’immediatezza della rivelazione

fornita dall’osservazione del mo-

mento presente). Ecco perché co-

minciamo a documentare ogni e-

sercizio con la firma, la data, il

numero dell’esercizio, i minuti, le

consegne, etc. Queste annotazioni

saranno preziosissime per docu-

mentare cosa il segno grafico vuo-

le rivelare, cosa noi stessi voglia-

mo esprimere e comunicare di noi

stessi, i progressi nel percorso, la

verbalizzazione, l’identificazione,

l’immaginazione, la ricomposizio-

ne. Sperimentiamo la prima fase:

Esercizi arabeschi, ai vasi e profili,

e immagini capovolte. Fermiamoci

ora a raccogliere ciò che abbiamo

sperimentato anche solo se per un

breve attimo siamo entrati nelle

funzioni D. Avete notato che non

vi accorgete del trascorrere del

tempo, quasi come se questo si di-

latasse o si fermasse addirittura.

Eravate consapevoli di essere ben

desti e presenti a voi stessi, ma al

tempo stesso rilassati e fiduciosi,

interessati e assorti nel disegno ma

con la mente lucidissima. Accade

di

di sentirsi esaltati, ma al tempo

stesso calmi, euforici ma nel

pieno controllo delle nostre fa-

coltà: è segno che le funzioni

dell’emisfero D si sono attivate

perfettamente e questo compor-

ta il rilascio di endorfine,

l’abbassamento dei valori del

cortisolo (ormone responsabile

dello stress) e una serie di rea-

zioni chimiche che si sono atti-

vate nel nostro organismo ac-

compagnate da senso profondo

di benessere e rilassamento.

Non è esattamente ancora la fe-

licità: è più una sorta di beatitu-

dine, un’estasi (nel senso etimo-

logico della parola “uscire da se

stessi”). Sentiamolo dalle parole

di un grande artista: “So bene

da me che solamente in lievi at-

timi mi è concesso dimenticare

me stesso… (Il pittore poeta

sente che la sua essenza vera,

immutabile parte dall’invisibile

che gli offre un’immagine

dell’eterno

Page 3: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

dell’eterno reale) sento che non so-

no io nel tempo, ma che è il tempo

in me. Posso anche sapere che co-

desto arcano dell’arte non mi è dato

risolverlo in maniera assoluta, tut-

tavia mi vien quasi fatto credere che

sto per mettere le mani sulla divini-

tà”(Carlo Carrà 1918).

E’ vero che trovarsi in questo stato

(funzioni D), è piacevole, altamente

terapeutico perché ci affranca, per

un po’ di tempo, dalle tirannie

dell’emisfero S che ci domina in-

cessantemente, ed è proprio questo

che ci dà un estremo sollievo. Que-

sto prorompente desiderio di mette-

re a tacere l’emisfero S può spiegare

anche certe pratiche millenarie co-

me la meditazione che a volte può

condurre anche all’estasi,

all’alterazione cioè dello stato di

coscienza che può durare per un

certo tempo e che dà un notevole

senso di soddisfazione. Per qualche

minuto abbiamo accordato in noi le

frequenze vitali di cui siamo costi-

tuiti, con le Frequenze dell’intero

Universo Vivente, il nostro cuore in

questi attimi ha emesso frequenze a

0,1 Hertz: siamo in perfetta Coeren-

za con il Creato e il Creatore, questo

è il paradiso, questo è il Regno dei

Cieli, questo è il Giardino Segreto

del Cantico dei Cantici. Ci stiamo

avvicinando sempre di più al pro-

blema ed alla sua soluzione! Cosa

impedisce ad una persona di vedere

gli oggetti abbastanza chiaramente

da poterli disegnare? La risposta, in

parte, è che fin dall’infanzia noi ab-

biamo imparato a considerare gli

oggetti più in termini verbali che vi-

sivi: per esempio, non ci perdiamo

nell’osservazione di una sedia, ma

(dopo una rapida occhiata) la rico-

nosciamo analiticamente e la classi-

fichiamo, senza volerne sapere di

più. Ma per disegnare bisogna guar-

dare le cose a lungo, percepirne i

dettagli, le diversità, la bellezza,

l’unicità e raccogliere con pazienza

più informazioni visive possibili.

ma

Apri una Scuola di

Arti Terapie nella tua

città Vuoi aprire una Scuola

Art.eD.O. nella tua città,

in conformità al Proto-

collo Dscentes per la

Formazione in Arti Terapie

in Italia? Verifica se siamo

già impegnati o se tutti i

moduli formativi sono stati

già assegnati nella tua

provincia. Se sei il primo a

fare richiesta di entrare in

rete con noi, ti comuni-

chiamo che puoi iniziare

anche adesso.

Il Protocollo Discentes

per le Arti Terapie Il Protocollo Discentes è

un modello didattico,

ideato dall’Istituto di Arti

Terapie e Scienze Crea-

tive e coordinato da

Art.eD.O., che prevede

l’acquisizione da parte

degli allievi iscritti di com-

petenze in ambito teorico-

relazionale (conoscenza

della psicologia, psichia-

tria e della neurologia),

coniugate con compe-

tenze pratiche, per inter-

venire in tutti i contesti del-

la relazione d’aiuto, at-

traverso l’utilizzo delle

tecniche di Arti Terapie

(Musicoterapia, Artetera-

pia plastico pittorica,

Danzaterapia, Teatrote-

rapia).

CLICCA QUI

per leggere tutto

All’emisfero S manca questa pa-

zienza, e quindi si ribella e dice:

“E’ una sedia, e basta!...non c’è

altro che mi interessi. Mi annoia

guardarla, quindi, non scocciarmi

con questa storia del vedere”. Lo

stesso accade quando si vuole di-

segnare un volto: l’emisfero S lo

elabora, con un certo fastidio, at-

traverso dei simboli che usa per

gli occhi, per il naso, la bocca, etc.

Ma la stessa cosa succede anche

nelle relazioni con i nostri simili,

per essere felici e appagati attra-

verso l’arte della relazione, biso-

gna guardare a lungo negli occhi,

percepire i dettagli, le similitudini,

le diversità, la bellezza delle luci

di un carattere, come quella delle

ombre e degli spigoli, l’unicità al-

trimenti ci sfugge grossolanamen-

te e con essa l’opportunità di esse-

re felici, rischiamo drammatica-

mente di rimanere rigorosamente

superficiali e morir di freddo. Ec-

co perché il disegno di un adulto

parla di simboli infantili che risal-

gono a quando aveva sei o sette

anni, cioè l’età in cui avrebbe do-

vuto cedere il compito di vedere

all’emisfero D. Come, allora, ri-

solvere questo increscioso dilem-

ma e sbloccare l’artista che abita

in noi? Lo stratagemma più effi-

cace è quello che abbiamo comin-

ciato a sperimentare in queste le-

zioni precedenti: sottoporre al

cervello dei compiti che

l’emisfero S non possa portare a

termine! Sperimentiamo, senza

scoraggiarci per le ribellioni dell’

emisfero S, il tanto piacevole pas-

saggio alle funzioni D, che ci aiu-

teranno a disegnare meglio pro-

prio perché vediamo meglio, ma

che ci aiuteranno anche, cosa che

a noi interessa maggiormente, a

vedere il mondo, noi stessi e il

Creato da una Nuova Prospettiva,

come da un Ponte.

Patrizia Masciari

Page 4: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

Il progetto Hacca 2o, proposto e

realizzato dall’Associazione

CUAMJ Onlus in collaborazione

con l’Istituto di Arti Terapie e

Scienze Creative, è finalizzato

alla realizzazione di un “laborato-

rio integrato” per lo svolgimento

di attività natatorie e arte terapeu-

tiche in favore di 30 persone fra

bambini, adolescenti e adulti con

sindrome autistica e/o ritardo

mentale e psicomotorio.

Premesse al progetto

Negli ultimi anni, l’Autismo si

sta rivelando una vera emergenza

sociale, sia per il suo tasso di

incidenza sulle nascite, sia a cau-

sa del suo alto grado di intrusione

sociale, non dimenticando che la

sola Provincia di Lecce consta di

oltre 4.700 persone affette da tale

patologia. Gli utenti saranno se-

guiti nelle attività da docenti e-

sperti nel campo del trattamento

per l’Autismo, dello sport e delle

attività artistico-culturali. Sarà

garantito il rapporto 1:1 (un edu-

catore per soggetto) per gli utenti

che ne abbiano necessità. Le atti-

vità si svolgeranno in due giorna-

te infrasettimanali, da concordare

con gli utenti in base alle necessi-

tà, in orario antimeridiano, dalle

9.00 alle 12.00. Durante la chiu-

sura estiva della Piscina di Car-

miano, si garantiranno attività

culturali e artistiche (danzatera-

pia, arteterapia, musicoterapia e

corsi di formazione per educatori,

genitori e per tutte le persone

motivate al trattamento legato

all’Autismo e al Ritardo Menta-

le). Gli utenti parteciperanno in

maniera del tutto GRATUITA al

progetto per i 12 mesi previsti a

partire dalla data di inizio. Gli

utenti afferenti al progetto go-

dranno inoltre di una Polizza As-

sicurativa per eventuali danni ca-

gionati verso se stessi o verso terzi,

stipulata dall’Associazione

CUAMJ, promotrice del progetto.

Sintesi e finalità del progetto

L’elemento acqua (simbolo chimi-

co H2O), come attivatore emozio-

nale, può essere concepito come

ristabilimento di un interesse fra

noi ed il soggetto, il cui rifiuto al

contatto con il mondo esterno è

"l’effetto di strutturazioni o, se si

vuole, "alterazioni della costituzio-

ne del registro immaginario; il re-

cupero non può essere inteso solo

come riguardante le funzioni psico-

mentali, ma come riorganizzazio-

ne delle capacità di relazione e di

partecipazione alla vita sociale

(soprattutto attraverso

l’educazione, la formazione e

l’apprendimento); l’autistico, per

effetto del "rallentamento" e della

"svincolazione" di funzionalità

normalmente saldate tra loro e che

si sviluppano e si integrano vicen-

devolmente, non ha coscienza di

essere un soggetto "regredito", ma

può attivare "movimenti psichici"

impercettibili a causa della loro

rapidità ed anche bloccati a causa

del ripiegamento narcisistico. Pro-

prio per questo è importante un

precoce inizio della terapia in ac-

qua. L’apparato pulsionale del

bambino, apparentemente malato,

è invece "danneggiato" e non può

promuovere investimenti, ma di-

mostra una certa alternanza di stati

per cui, mentre rifiuta il contatto

con il mondo esterno, si lamenta

d’averlo perso, aprendo così le

porte ad un Io-ausiliario che, come

terapeuta, ha la possibilità di ricre-

are ponti affettivi e la reale possibi-

lità di fare uscire dal "buco nero

dell’isolamento". E’ prioritario un

programma di diffusione del pro-

getto

che coinvolga direttamente tutte

le famiglie con figli diversamente

abili e normodotati:

• attraverso la Scuola, quale luo-

go fisico in cui si recepisce diret-

tamente il focus delle necessità;

• le Istituzioni Sociali e Sanitarie;

enti che offrono terapie, istruttori

di centri sportivi, responsabili di

altre attività ricreative, gestori di

locali o strutture disponibili a

partecipare.

La fase operativa del progetto si

svolgerà nelle strutture del Centro

Sportivo "Paradise s.a.s", al km

22 della Strada Prov.le Carmia-

no-Copertino e dell'Istituto di Ar-

ti Terapie e Scienze Creative, in

Via Villa Convento 24/A, en-

trambe site in Carmiano (LE). Le

attività in piscina partiranno il

primo mercoledì di Ottobre 2013.

Il progetto terminerà il 31 maggio

2014 con le gare sportive e le re-

lative premiazioni dei partecipan-

ti.

Beneficiari: 30 famiglie con figli

affetti da Autismo e Ritardo

Mentale, provenienti dagli ambiti

della Provincia di Lecce.

Per info ed iscrizioni: inviare il

modulo d'iscrizione GRATUITA

(cliccare per scaricare) a Segrete-

ria IATSC (organo di comunica-

zione ufficiale)

Tel: 0832.601223 - 329.4226797

Fax: 0832.1831426

Email: [email protected]

Contatto con il Presidente

CUAMJ: 334.8648212 -

338.1053170

E-mail: [email protected]

LECCE - Progetto Hacca 2O: Bando per il reclutamento di 30 persone con di-

sabilità e sindrome autistica

Page 5: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

Il Presidente di Artedo parla del Sistema per la creazione d'Impresa Etica

nelle nuove professioni".

Si è svolto il 27 Settembre 2103

nell’Auditorium Walter Corsi del-

la sede nazionale di Confartigia-

nato Imprese il Congresso dal tito-

lo “L'IMPRESA ETICA: NORME

TECNICHE E CERTIFICAZIONE

DELLE NUOVE PROFESSIONI AI

SENSI DELLA LEGGE 4/2013”. La manifestazione, organizzata da

ARTEDO e riservata in via esclu-

siva a tutti i propri associati, a va-

rio titolo aderenti al Sistema

d’Impresa Etica del Protocollo Di-

scentes, ha toccato i temi delle

nuove professioni, argomento al

quale Confartigianato Imprese ha

espresso il proprio interesse con la

stesura di un addendum di con-

venzione con la stessa Associa-

zione Artedo per il presidio sui

Tavoli delle Norme Tecniche e la

rappresentanza congiunta di tutte

le nuove categorie Professionali

disciplinate dalla Legge 4/2013.

Dopo la registrazione e l’apertura

dei lavori, la parola è andata

all’ospite, per i saluti rituali e per

la relazione introduttiva. “Da

sempre Confartigianato rappresen-

tiamo le necessità dell’Impresa in

Italia” ha detto Bruno Panieri, Di-

rettore delle Politiche Economiche

dell’illustre Confederazione. ”E,

pur non essendo quello delle Pro-

fessioni il nostro ambito precipuo,

abbiamo accolto favorevolmente

la proposta di Artedo di stabilire

un presidio nazionale congiunto in

tale direzione, perché condividia-

mo il fare etico con cui si presenta

il Protocollo Discentes. Riteniamo

importante, infatti, che la nuova

impresa che nasce con la forma-

zione dei nuovi operatori sia il ri-

sultato di un incontro di bisogni:

da una parte, quelli dei nuovi enti

che, adeguatamente supportati,

contribuiranno a creare nuove op-

portunità e nuove economie;

dall’altra

dall’altra, quelle dei futuri operato-

ri, finalmente riconosciuti e rico-

noscibili; ma, soprattutto, quelli

del territorio, fatto di persone, in

cui entrambi si troveranno ad agi-

re”.

A seguire, Giancarlo Colferai, Pre-

sidente del CEPAS, ente di certifi-

cazione dei corsi di formazione e

delle professioni,accreditato AC-

CREDIA, nonché partner di Con-

fartigianato Imprese, ha illustrato

ai presenti i criteri di certificazione

di parte terza, sottolineandone

l’importanza ai sensi della Legge

4/2013 e del Decreto 13 del 16

gennaio 2013. Concetti ribaditi da

Alberto Simeoni, responsabile

dell’Ufficio UNI di Roma, che si è

soffermato sui sistemi di norma-

zione volontaria e dell’importanza

che essi rivestono in esecuzione

della recente Legge sulla Discipli-

na delle Professioni non organizza-

te in Ordini e Collegi. “La Legge

4/2013” ha detto Stefano Centon-

ze”, Presidente di Artedo, “pone

l’accento sulla tutela dell’utenza.

Professionalizzare, qualificare e

contribuire alla certificazione dei

futuri professionisti è la massima

garanzia pensabile per le fasce de-

boli del Terzo Settore. Arte Tera-

peuti, Counsellor, Naturopati an-

dranno ad operare in contesti deli-

cati come quelli dei servizi alla

persona, laddove il sopraggiunto

professionismo soppianterà

l’improvvisazione e la mancanza

di autoregolamentazione che ha ca-

ratterizzato taluni operatori in un

recente passato. Se consideriamo

che la nuova impresa passerà per il

sociale, è facile prevedere quanti

operatori siano desiderosi di tro-

varvi collocazione: senza una di-

sciplina, sarebbe impossibile per

gli utenti orientarsi nel mare ma-

gnum dell’offerta di servizi. Senza

una

Page 6: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

una disciplina, in altre parole, sa-

rebbe impossibile distinguere un

professionista da chi non lo è.”

Centonze, incaricato da Confarti-

gianato Imprese a presidiare sui

Tavoli UNI il gruppo di lavoro per

la stesura della norma sulle Arti

Terapie,ha, inoltre, parlato alla

platea dei soci, composta da circa

trentacinque associazioni in rap-

presentanza delle quasi cinquanta

Scuole di Formazione aderenti al

Sistema d’Impresa Etica del Pro-

tocollo Discentes in Italia, Francia

e Svizzera, dello stato dell’arte per

il proprio settore di specifica

competenza. A seguire, Giuseppe

Mammana, Presidente

dell’Associazione Di.Te., e Vin-

cenzo Leo, Presidente

dell’Associazione Terraroussa,

partners di Artedo per i settori, ri-

spettivamente, del Counselling e

della Naturopatia, hanno fatto il

punto per quanto di propria com-

petenza.

“A nome di Artedo”, ha concluso

Centonze, “sono grato a CON-

FARTIGIANATO IMPRESE per

la sua vicinanza, come al CEPAS

e all’UNI che, intervenendo uffi-

cialmente in questa occasione,

hanno dimostrato l’impegno e la

professionalità che da sempre li

contraddistingue.”

Dopo un breve intervento di saluto

di Eric Gimbert, Presidente della

Federazione Internazionale di Ri-

flessologia con sede in Francia, i

lavori sono proseguiti nel pome-

riggio con l'Assemblea Nazionale

dei Soci Artedo per

l’approvazione del nuovo statuto,

in conformità con quanto disposto

dalla Legge 4/2013.

(Nella prima foto: Giancarlo Col-

ferai, Bruno Panieri, Alberto Si-

meoni e Stefano Centonze).

___________________________

ti in precedenza, e come tale non

iscritti in Albi, il loro status. E

questo vale per tutti. Basti pensa-

re che l’UNI, l’ente nazionale per

la stesura delle norme tecniche

volontarie di settore ha circa 80

proposte di norme per altrettante

professioni da evadere.

Come si sta muovendo Artedo?

Artedo è un’associazione che è

anche registro professionale. Cu-

ra, in primis, gli interessi degli

esperti in Arti Terapie. Con

l’entrata in vigore del Protocollo

Discentes, tuttavia, sposa, in

partnership con altri enti, le istan-

ze anche di altre categorie profes-

sionali, come i Naturopati e i

Counsellor. E, sviluppando siste-

mi per la creazione d’impresa eti-

ca nelle nuove professioni, ne dif-

fonde la cultura della formazione.

Inoltre, essendo partner di Con-

fartigianato Imprese, il mercato

del lavoro e l’occupazione dei

giovani sono temi attuali per Ar-

tedo che cura molto gli intessi

delle imprese di domani.

Come nasce l’idea di Artedo di cre-

are il Sistema d’Impresa Etica del

Protocollo Discentes?

Le premesse sono quelle create

dall’ormai famosa e citata Legge

n

Intervista a Stefano Centonze -

Presidente di ARTEDO

Finalmente, dopo trent’anni

d’attesa, arriva la Legge che rico-

nosce le professioni non organiz-

zate in ordini o collegi. Un tra-

guardo storico, raggiunto nel po-

meriggio del 19 Dicembre 2012,

allorquando il DDL 3270 è stato

definitivamente approvato e, suc-

cessivamente, il 14 Gennaio 2013

per l'esattezza, tramutato in Legge

(Legge n.4/2013 - Disposizioni in

materia di professioni non orga-

nizzate in Ordini e Collegi) per

dar via ad una nuova era del mer-

cato del lavoro e delle nuove pro-

fessioni.

Che cosa cambia adesso nel mondo

delle professioni e, con uno sguardo

alle imprese ed al mercato del lavo-

ro, nel panorama nazionale della

formazione?

Lo abbiamo chiesto a Stefano

Centonze, Presidente di ARTE-

DO, uno degli stakeholders tra i

più attivi in Italia per il settore

delle Arti Terapie, presente sul

Tavolo della normazione UNI in-

sieme a CONFARTIGIANATO

IMPRESE, fondatore del Proto-

collo Discentes, l’innovativo si-

stema per la creazione d’impresa

etica nel settore della formazione

delle nuove professioni.

Presidente, con la Legge 4/2013 è

dunque finalmente arrivato il rico-

noscimento che si attendeva da tanto

tempo in settori come le Arti Tera-

pie, la Naturopatia, il Counselling. È

così?

È anche così. Nel senso che la

Legge 4/2013 non riconosce espli-

citamente le professioni come

l’Arteterapeuta, il Naturopata o il

Counsellor. Le disciplina. Ovvero,

con le “Disposizioni in materia di

professioni non organizzate in or-

dini o collegi” riconosce ai profes-

sionisti di tutti i settori mai norma-

ti

Page 7: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

n. 4 del 14 Gennaio 2013. Con

l’approvazione delle cosiddette

Disposizioni in materia di profes-

sioni non organizzate in Ordini e

Collegi, infatti, il Legislatore apre

il mercato del lavoro a tutte quei

professionisti in possesso di com-

petenze non formali, frutto della

pratica e dell’esperienza. In nome

di questa libertà fiorisce una nuo-

va generazione di esperti a cui è

demandato il compito di farsi va-

lere nel mondo del lavoro sulla

base delle proprie capacità di fare,

senza vicoli di conoscenze tecni-

che formali. Artedo raccoglie la

sfida e si colloca al centro di que-

sto universo, proponendo un pro-

prio modello per creare nuova

impresa, denominato, per

l’appunto, Protocollo Discentes,

attraverso l’apertura di scuole per

la formazione dei nuovi profes-

sionisti. Una formazione flessibi-

le, dinamica, vantaggiosa e di fa-

cile accesso, erogata in

partnership con associazioni, coo-

perative ed enti che diventano

Imprese Etiche, a loro volta crea-

trici di imprese etiche.

Che cos’è un’Impresa Etica?

È molto semplice: oggi Artedo,

un’Associazione Nazionale, pro-

pone un’idea suggestiva per sfida-

re il momento di difficoltà

dell’economia italiana. Acquisi-

sce il partenariato di altre associa-

zioni e cooperative, desiderose, da

una parte, di soddisfare i bisogni

delle fasce deboli, formando i

professionisti della relazione

d’aiuto e del sociale, sapendo che

importanza ha ormai acquisito il

Terzo Settore nel nostro Paese

(destinatario di enormi risorse da

parte dell’UE); dall’altra, di svi-

luppare economie etiche, attraver-

so un sistema che ripartisce e

condivide con il territorio la ric-

chezza che è in grado di produr-

re, sia in termini materiali che

mora

riali che morali. Né bisogna stupir-

si se si parla d’impresa in riferi-

mento ad associazioni: è lo stesso

legislatore che, nella Legge

4/2013, richiede agli enti che si

proporranno di rappresentare le i-

stanze dei nuovi professionisti di

possedere la struttura dell’impresa.

In questo senso, gioca a favore di Ar-

tedo la vicinanza di Confartigianato

Imprese?

Esatto. È dal dicembre 2012 che

esiste un protocollo d’intesa tra noi

e Confartigianato Imprese. Ed io

ho l’immenso piacere e l’onore di

rappresentare questa coalizione sui

tavoli per la stesura delle norme

tecniche di settore presso l’UNI,

l’ente preposto dallo Stato alla ri-

levazione dei bisogni delle nuove

professioni, finalizzata

all’elaborazione, in condivisione

con gli stakeholders per ogni cate-

goria, di norma attuative a caratte-

re volontario. Insieme rappresen-

tiamo l’impresa di oggi e, soprat-

tutto, di domani, quella che nasce-

rà dall’iniziative dei nuovi profes-

sionisti.

È così che l’Impresa Etica crea nuo-

va impresa etica?

Naturalmente. I professionisti for-

mati con noi si costituiranno, con il

tempo, in imprese etiche per co-

gliere le opportunità offerta dal

Terzo Settore. Progetteranno inter-

venti, spendendo al meglio le pro-

prie competenze, e formeranno a

loro volta nuove professionalità. E

così all’infinito.

sia in Italia che nel resto del

mondo, anche in assenza di speci-

fiche competenze tecniche nei va-

ri settori d’interesse. Un ente che

vogli avviare la propria impresa

etica nella formazione in Arti Te-

rapie, in Counselling o in Naturo-

patia, ad esempio, può diventare

Scuola di Formazione con noi,

grazie all’adozione del modello

didattico innovativo che non lo

vincola al possesso delle cono-

scenze pregresse, poiché tutto il

now how viene fornito da Artedo

e dai partner tecnici scelti per i

vari settori. Così, noi eroghiamo

una parte della formazione, quella

basata sullo studio dei materiali

documentali a distanza, mentre la

nuova sede eroga il resto della

formazione in presenza, utiliz-

zando docenti e modalità didatti-

che proprie o fornite, direttamente

o indirettamente, da ARTEDO. È

come dire che basta che l’ente

abbia la volontà di creare la pro-

pria impresa. Poi, pensiamo noi a

tutto.

In che senso il Protocollo Discentes

è Impresa Etica?

Per una serie di ragioni. Un si-

stema didattico innovativo come

il Protocollo Discentes, basato su

una modalità mista di apprendi-

mento, tra laboratori in presenza e

studio a distanza, incontra il terri-

torio e le sue necessità su più a-

spetti. Innanzi tutto, la facilità di

accesso permette a realtà struttu-

rate o non ancora organizzate di

plasmarsi sul modello aziendale,

formando i nuovi professionisti

della relazione d’aiuto. Pensiamo

agli arteterapeuti, ai counsellor e

ai naturopati, il cui lavoro rispon-

de ai bisogni di servizi di qualità

da parte del territorio. Al tempo

stesso, abbatte i costi della forma-

zione, rendendola accessibile a

tutti, ma senza togliere nulla ad

una formazione di primissimo or-

na

Parliamo del Protocollo Discentes…

È un Sistema per la Creazione

d’Impresa Etica nel campo della

formazione delle nuove professio-

ni, da poco riconosciute, ed offre

l’opportunità ad associazioni, coo-

perative ed enti di avviare scuole

di formazione in partnership con

ARTEDO, promotore del progetto,

Page 8: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

dine. Dunque, incontra i bisogni

delle fasce deboli e sfida il mo-

mento di difficoltà che attraversa

l’economia mondiale, generando

nuove opportunità condivise. In

più, e solo questo basterebbe a

giustificare l’attribuzione etica,

assicura la conformità dei percor-

si formativi alle norme tecniche

UNI per i vari settori,

l’inserimento delle imprese e dei

professionisti formati nei sistemi

di certificazione e l’accesso diret-

to ai registri professionali, secon-

do quanto stabilito dalla Legge

4/2013.

Aggiungiamo anche dei dati stati-

stici: attualmente il mercato della

formazione ha un’incidenza del

20% circa sul PIL del nostro Pae-

se. Con la liberalizzazione delle

professioni, prolifereranno tal-

mente tanti di quei corsi che, tra

qualche anno, il Terziario Avan-

zato potrebbe addirittura diventa-

re il settore trainante dell’intera

economia nazionale. Ecco perché

è il momento giusto per fare im-

presa nella formazione, meglio se

impresa etica, seguendo una pro-

posta innovativa come la nostra

che non ha precedenti.

Veniamo per un momento

all’UNI…

Qualcosa dell’UNI l’abbiamo già

accennata. Di fatto, il Legislatore

individua nell’UNI l’ente di rac-

cordo tra tutti i massimi esponenti

nazionali di una data professione

che richiedano di autodisciplinar-

si. Ribadisco: in maniera del tutto

volontaria. Vuol dire che chiun-

que eserciti una delle nuove pro-

fessioni senza aderire ad una

norma tecnica UNI non infrange

alcuna legge, benché l’esistenza

di una norma volontaria sia co-

munque uno spartiacque impor-

tante, poiché i professionisti con-

formi e certificati ai sensi della

stessa dovranno essere inseriti in

re

registri pubblici sul web per favo-

rire favorire la conoscibilità della

formazione di ciascuno da parte

dell’utenza, per combattere abusi

di professione e improvvisazione.

E anche qui si entra in un campo

minato…

Sì, perché il professionista certifi-

cato, titolare di partita IVA, per

poter esercitare è come se dovesse

“uscire allo scoperto”, è come se

dovesse alzare la mano in

un’assemblea e dichiararsi., poiché

i registri, lo abbiamo detto, saran-

no pubblici e le informazioni sugli

aderenti accessibili a tutti. E con il

regime d’imposizione fiscale che

abbiamo in Italia, non siamo in

grado di prevedere in quanti segui-

ranno la strada tracciata dalla Leg-

ge 4/2013 e quanti si avvarranno

della facoltà di non farlo. Il punto

è che bisogna comprendere se gio-

cherà un ruolo fondamentale nella

cultura dei nuovi professionisti la

paura per la stress che comporta

l’iscrizione nei registri o l’abissale

differenza tra certificazione e non,

poiché la mia impressione è che ci

troviamo di fronte ad una volonta-

rietà finta, ad una obbligatorietà

camuffata da volontarietà.

suoi documenti, di essere “pro-

fessionista disciplinato ai sensi

della legge 4/2013”. Dovrà apri-

re una propria partita IVA, avere

la firma digitale ecc.

Quindi, anche se aderire alla

norma non è obbligatorio per il

professionista, di fatto è come se lo

fosse, pur nel rispetto del libero

mercato?

Infatti. Il Legislatore ammette

tutti ma demanda agli organismi

tecnici competenti la stesura del-

le norme volontarie per ogni set-

tore e, successivamente, la certi-

ficazione delle competenze. Chi

vorrà certificarsi ai sensi delle

norme, dunque iscrivendosi ad

associazioni iscritte, a loro volta,

nei registi pubblici del MISE,

impegnandosi a svolgere forma-

zione continua, a rispettare un

codice etico ecc., otterrà il rico-

noscimento di una “Qualifica”,

equiparata al sistema europeo di

qualifica della formazione EQF.

Chi non vorrà certificarsi, pari-

menti, sarà libero di farlo. Le as-

sociazioni alle quali aderiranno i

professionisti come in

quest’ultimo caso, potranno rila-

sciare un “Attestato” di confor-

mità alla norma tecnica. Essi sa-

ranno tenuti a rispettare le rego-

le delle associazioni alle quali

aderiranno ma non le indicazioni

del MISE, poiché non assogget-

tati alle condizioni delle certifi-

cazioni. Il discorso, dunque, va-

le per professionisti ed associa-

zioni. Ognuno potrà scegliere in

totale autonomia da che parte

stare, benché ottenere certifica-

zione e qualifica abbia un valore

diverso, sul piano formale, dal

non averle.

Come pensa che si orienteranno i

professionisti davanti a tutto ciò,

visto che entra in gioco la tutela

dell’utenza?

Come sempre, ci sarà chi vorrà

ade

Ma la rispondenza ai profili tracciati

dalle norme e dalle certificazioni è

indispensabile per esercitare le pro-

fessioni ai sensi di questa Legge?

No. Ogni operatore può decidere

se conformarsi alla norma tecnica

del proprio settore oppure no. Nel

caso si rifiutasse, continuerebbe a

svolgere la professione come ac-

caduto fino a prima dell’entrata in

vigore della Legge. Se volesse far-

lo, avrebbe diritto al riconoscimen-

to dello status di professionista e,

come tale, soggetto alla disciplina

della norma e dell’eventuale certi-

ficazione che, a sua volta, rappre-

senta una ulteriore qualificazione.

Egli potrà così dichiarare, in tutti i

Page 9: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

aderirvi e chi no, trattandosi ap-

punto di norme volontarie, ma la

loro esistenza sarà un inequivoca-

bile deterrente per chi opera senza

cognizione di causa, senza essere

in possesso dei requisiti per

l’esercizio delle nuove professio-

ni. E’ proprio questa la tutela per

l’utenza, poiché i professionisti

potranno riunirsi in associazioni

professionali per l’istituzione di

registri pubblici e per farsi certifi-

care da enti terzi super partes. Mi

riferisco, oltre che all’UNI, al

CEPAS e agli altri enti di certifi-

cazione accreditati ad ACCRE-

DIA, e ai registri pubblici delle

associazioni professionali accredi-

tate al Ministero per lo Sviluppo

Economico. Per non parlare dello

Sportello del Consumatore che le

Associazioni Professionali sono

tenute a istituire: il Legislatore ha

pensato a tutto per la tutela

dell’utenza.

Questa libertà non è in nessun modo

una minaccia per utenza e associa-

zioni professionali?

Proprio no. Una norma volontaria

permette a tutti di scegliere se uni-

formarvisi ma la pubblicazione su

siti web del MSE e delle varie as-

sociazioni professionali di opera-

tori certificati ai sensi della stessa

norma aiuterà l’utenza ad indivi-

duare chi sia meritevole di fiducia

e chi no.

Ci saranno ripercussioni in Europa,

dove ancora, a livello centrale, non

esiste un corrispettivo del sistema

legge-norma-certificazione varato in

Italia con la Legge 4/2013?

Noi confidiamo molto che l’UE

segua le buone prassi messe in

campo dal nostro Paese. E accadrà

naturalmente che il nostro sia un

precedente importante per gli altri

Stati. Associazioni professionali,

ad esempio, francesi, potranno ri-

volgersi alle proprie istituzioni per

richiedere una norma sulla base di

q

quella italiana o, viceversa, aggan-

ciarsi alla nostra norma per tutti i

casi di vacatio legis. Il riferimento

alla Francia, peraltro, non è casua-

le: noi di Artedo abbiamo già in-

trapreso questa strada creando una

forte partnership proprio con Parigi

per l’adozione del nostro protocol-

lo didattico in tutti i paesi anglofo-

ni. E non è che il primo passo di

quella che abbiamo denominato

“Scuola Diffusa 2.0”. Oggi partia-

mo dalle Arti Terapie nel mondo:

le altre professioni seguiranno a

ruota.

Che cos’è la Scuola Diffusa 2.0?

È una visione e, nello stesso tem-

po, il futuro della formazione. Ar-

tedo è a più livelli un precursore

dei tempi: abbiamo anticipato di

anni l’uscita delle norme di settore,

dicendo esattamente ciò che oggi

dice la Legge 4/2013. Oggi dicia-

mo pure che la strada

dell’innovazione è la strada del fu-

turo, anche nella formazione dei

settori più tradizionali, sapendo

che si realizzerà. Di fatto con la

Scuola Diffusa 2.0 diventa sistema

a carattere europeo e mondiale

l’idea, in Italia promossa con il

nome di Protocollo Discentes, di

creare un’unica scuola, grande

come l’Europa, dispensatrice dei

medesimi livelli di formazione e

che garantisca la libera circolazio-

ne degli allievi, per lo scambio e la

condivisione delle esperienze, che

sono il valore aggiunto e, talvolta,

quell’arricchimento che manca nei

corsi universitari di stampo classi-

co. E questo vale per le Arti Tera-

pie, per il Counselling, per la Natu-

ropatia e per l’offerta formativa

che, con il tempo, nascerà intorno

al Protocollo Discentes.

A che punto sono i lavori per gli

ambiti d’interesse di Artedo?

La norma per il settore della Natu-

ropatia è già in vigore da giugno

2013. Per le Arti Terapie ed il

Counselling, probabilmente,

la fumata bianca sarà per la

fine dell’anno.

Counselling, probabilmente, la

fumata bianca sarà per la fine

dell’anno. Le Associazioni pro-

fessionali dei settori citati sono

attualmente al lavoro sui tavoli

dell’UNI. E noi tra quelle.

Torniamo al Protocollo Discentes.

Qual è l’offerta disponibile per fa-

re impresa con Artedo?

Oggi, i partner di Artedo posso-

no erogare corsi di formazione

in Arti Terapie (Musicoterapia,

Arte Terapia Plastico-Pittorica,

Teatro Terapia, Danza Movi-

mento Terapia), in Naturopatia e

in Counselling Relazionale E-

spressivo Integrato, aprendo

scuole in esclusiva provinciale

in tutta Italia in conformità con

il Protocollo Discentes.

Per l’estero, siamo già pronti per

l’attivazione di corsi di Arti Te-

rapie in lingua francese, inglese

e spagnola. Mentre, a breve, al-

tre offerte formative saranno di-

sponibili.

Possiamo parlare della nascita di

un franchising, di un circuito

d’affiliazione per nuove Scuole di

Arti Terapie, Naturopatia, e

Counselling?

Per favore, no. Il Protocollo Di-

scentes è un sistema associativo, non un franchising. Cioè, non è

uno

Page 10: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

uno strumento commerciale. Il

senso dell’iniziativa è mettere a

disposizione della diffusione del-

la cultura delle Arti Terapie, della

Naturopatia e del Counselling – e

per incentivare il loro riconosci-

mento formale, che passa da una

capillare articolazione delle scuo-

le di formazione e della veicola-

zione di un messaggio di alta pro-

fessionalità - una metodologia di-

dattica, all’interno della quale i

partner che hanno fondato i mo-

delli teorici di riferimento, cia-

scuno per la propria disciplina,

fanno convergere anni di profes-

sionalità, ricerca ed esperienza

applicativa: l’Istituto di Arti Te-

rapie e Scienze Creative per le

Arti Terapie, Di.Te. per il Coun-

selling e Terraroussa per la Natu-

ropatia. Tutte organizzazioni che,

nel proprio modello didattico,

hanno da sempre utilizzato un

impianto teorico di base corposo

(lo studio del materiale documen-

tale) che, con l’avvento di

internet e delle nuove tecnologie,

hanno scelto di svolgere in FAD,

a distanza, sulla nostre piattafor-

me e-learning www.artiterapie-

italia.it, www.counselling-italia.it

e www.naturopatia-italia.it. Tutto

qua.

Dunque, non si tratta solo di trasfe-

rire on line quello che tradizional-

mente si studia in presenza…

Infatti. On line si studieranno so-

lo le materie teoriche, mentre in

presenza sarà necessario svolgere

la formazione laboratoriale che,

nelle nostre discipline, è impre-

scindibile. Il Protocollo Discentes

è un modello integrato di forma-

zione, tra studio a casa e attività

in presenza: noi forniamo la piat-

taforma per lo studio a distanza,

le sedi che aderiranno forniranno

le attività di laboratorio, che con-

fluiranno in un unico calendario

nazionale che sarà disponibile sul

nostro sito, ed un tutor per moni-

tor

monitorare lo studio degli allievi di

quella determinata sede. Ciò,

d’altro canto, creerà un circuito na-

zionale di scuole che aderiranno ad

un calendario unico e che permette-

rà ad ogni allievo di scegliere la se-

de più vicina o quella più interes-

sante dove svolgere la propria for-

mazione in presenza. Insomma, li-

bero mercato, libera circolazione

ma all’interno di un sistema circo-

scritto, monitorato e professionale:

tutti gli allievi che vi aderiranno

dalle varie scuole si incontreranno

on line, scambieranno esperienze,

materiali, conoscenze… Svolge-

ranno, dunque, una formazione

molto ricca e a costi molto contenu-

ti – dettaglio non trascurabile -.

Ma questo studio on line non può

pregiudicare la qualità dei corsi?

Affatto. Anzi, al contrario. Noi cre-

diamo che organizzare in modo in-

telligente lo studio dell’impianto

teorico (dispense, monografie, pre-

sentazioni in power point, videole-

zioni, discussioni e test program-

mati per quattro volte all’anno) a-

gevoli la programmazione

dell’apprendimento graduale

dell’allievo, il quale, al termine del

triennio, avrà competenze che gli

permetteranno di relazionarsi ad

ogni genere di professionalità. Dal-

la scuola, con gli insegnanti, ai con-

testi clinici, con i medici. Ecco per-

ché, e con ciò torno alla sua prece-

dente domanda, il Protocollo Di-

scentes per la formazione in Arti

Terapie in Italia non è affatto un

circuito di affiliazione.

Ma sul web voi parlate di “nessuna

competenza tecnica richiesta per apri-

re una scuola”. Come si formano ve-

re professionalità se le stesse non so-

no un requisito minimo per essere

una Scuola Artedo?

Sì, è vero: noi non richiediamo

competenze pregresse, poiché sia-

mo noi ad essere in possesso degli

strumenti per fornirle. Mi spiego

me

meglio. La competenza tecnica

(in arti terapie, in naturopatia o

in counselling) è sempre e co-

munque un requisito apprezzato,

auspicato ma non fondamentale,

poiché tutti i nostri partner che

diventano nuove scuole Artedo

possono utilizzare il nostro

know how e i nostri docenti. Va-

le a dire che forniamo noi le

competenza specialistiche se le

nostre sedi ne sono sprovviste.

Ecco risolta la questione.

Sul piano organizzativo, inoltre,

noi forniamo tutti i supporti

all’avvio, dal modello

d’iscrizione per gli allievi, al

corso per i Tutor on line, dai do-

centi per le attività in presenza,

come detto, ad una vetrina sul

web, con pagine dedicate ad o-

gni nostra associata. Alle nuove

sedi sarà necessario che indivi-

duino semplicemente uno spazio

fisico per le attività di laborato-

rio.

È l’ideale per una nuova scuola di

formazione: un’associazione di-

venta Impresa Etica e voi fornite

tutto. Ma esiste anche qualche

vantaggio per l’adesione al Proto-

collo Discentes da parte di scuole

di formazione già operanti?

Noi preferiamo pensare a creare

nuove scuole più che fornire

supporto teorico a scuole già at-

tive. Tuttavia, anche questa è

una possibilità. Il Protocollo Di-

scentes organizza, infatti, tutta

la didattica documentale con u-

scite programmate dei testi, ar-

gomenti di discussione e verifi-

che. Tutto contenuto nel piano

di studi generale. Una scuola at-

tiva che adotti il nostro Proto-

collo, può razionalizzare lo stu-

dio teorico on line ed incastrarlo

con le attività di laboratorio, co-

sì soddisfacendo le necessità

degli allievi che spesso vivono

la frustrazione della divergenza

tra momento teorico e momento

esperienziale.

Page 11: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

esperienziale. Può, inoltre, seguire

con maggiore semplicità gli allie-

vi più distanti dalla propria sede,

aumentare il monte ore del pro-

prio percorso triennale, monitora-

re lo studio sistematico degli al-

lievi, abbattere i costi, anche per

la tenuta della segreteria (conside-

riamo la mole di lavoro che ci

vuole per organizzare un test in

presenza) e altro ancora.

Si direbbe, una novità assoluta…

Sì, se si considerano i punti nodali

della formazione oggi disponibile

in Italia nelle nuove professioni.

Sì ancora, se considerano le mo-

dalità di erogazione della stessa

formazione. Modalità innovativa

oggi brevettata da noi, poiché nata

da noi. E forse è il caso di fare un

po’ il punto della situazione.

Lo stato dell’arte dice che

l’offerta formativa in Arti Terapie

(Musicoterapia, Arteterapia Pla-

stico-Pittorica, Danzaterapia e Te-

atroterapia), in Naturopatia, in

Counselling è affidata a un consi-

derevole numero di Scuole priva-

te, in larga parte associazioni, cia-

scuna delle quali con un proprio

modello di riferimento e con una

propria struttura didattica. Prima

dell’entrata in vigore della Legge

4/2013, e per larga parte anche

oggi come in futuro, poiché è del

tutto volontaria la conformità alle

Norme Tecniche UNI per i vari

settori, ad ogni Scuola veniva la-

sciata la facoltà di stabilire auto-

nomamente la durata della forma-

zione, le materie di studio, le

competenze dei docenti, il titolo

rilasciato, se svolgere supervisioni

e tirocinio, le modalità di valuta-

zione della formazione, i requisiti

d’accesso degli allievi, ecc. A

lungo le associazioni di categoria,

come Artedo, si sono battute per approdare al quadro normativo

appena emanato. Senza, tuttavia,

che molte di esse siano in posses-

so

so di una rappresentatività territoria-

le che Artedo, viceversa, possiede

dalla sua origine. Noi questa meto-

dologia l’abbiamo chiamata Scuola

Diffusa 2.0 perché rispetta tutti i

principi richiesti: metodo unico, in-

teresse nazionale, offerta formativa

qualitativamente e quantitativamente

impareggiabile, forte rappresentati-

vità. E tutto coniugando la tradizio-

ne con l’innovazione tecnologia.

Grazie a internet, infatti, oggi un al-

levo può studiare da casa e frequen-

tare tutte le attività di laboratorio or-

ganizzate in tutta Italia da tutte le

sedi territoriali. Noi lo troviamo

straordinario e senza precedenti.

Parliamo un po’ della Scuola Diffusa

2.0?

Sì, certo. Il progetto pilota è stata la

“Scuola Diffusa Arti Terapie 2.0”.

Oggi abbiamo mutuato l’iniziativa

anche nella Naturopatia e nel Coun-

selling. Si tratta della naturale evo-

luzione del nostro sistema didattico.

Il Protocollo Discentes è il Sistema

d’Impresa Etica che permette

l’apertura di Scuole di Formazione

nelle discipline citate. Tutto il cir-

cuito di scuole costituisce la Scuola

Diffusa 2.0., sistema senza prece-

denti, in Italia e non solo, attraverso

il quale Artedo offre agli allievi del

le scuole aderenti la possibilità di

frequentare tutte le attività didattiche

organizzate in tutte le città d’Italia.

Un allievo può, dunque, personaliz-

zare il suo piano di studi, inserendo-

vi non solo le attività curriculari del-

la sede di appartenenza ma anche

quelle di altre sedi, senza costi ag-

giuntivi e senza limiti di ore di for-

mazione.

Gli basterà andare sui nostri siti

(www.artiterapie-italia.it,

www.naturopatia-italia.it,

www.counselling-italia.it) e sceglie-

re i laboratori da aggiungere, di con-

certo con il proprio tutor, nel proprio

piano di studi per accedere alla mas-

sima offerta formativa pensabile.

Su quali criticità agisce la propo-

sta di Artedo, anche grazie alla

Scuola Diffusa?

Sicuramente di migliorare e

consolidare le competenze in

uscita degli allievi, a vantaggio

di una maggior professionaliz-

zazione di arte terapeuti, naturo-

pati e counsellor, di ridurre i co-

sti della formazione e di elevare

la qualità della formazione stes-

sa. Con il risultato,

nell’interesse delle nuove Scuo-

le Artedo, di incrementare il

numero delle domande di iscri-

zione ai corsi in tutto il territorio

nazionale.

È questa la scuola del futuro?

Noi crediamo che il nostro pro-

getto sia all’avanguardia, non

solo perché permette la libera

circolazione degli allievi

all’interno di un sistema di

Scuole che scelgano di adottare

un protocollo comune, snello e

dinamico, livellato verso l’alto,

ovvero fondato su basi teoriche

e scientifiche comuni su cui in-

nestare attività di laboratorio di-

versificate, in ciascuna Scuola

secondo il proprio modello di

riferimento. Ma lo crediamo so-

prattutto perché ciò non va mai

a discapito delle competenze in

uscita. Il nostro protocollo, anzi,

mira a garantire che le stesse

siano consolidate e spendibili,

grazie ad uno studio del materia-

le documentale graduale e co-

stante, al pari del monitoraggio

e delle verifiche sulla crescita

personale e professionale di o-

gni allievo. L’uso della piatta-

forma e-learning, poi, non è al-

tro che il risultato dell’esigenza

di essere al passo con i tempi:

sappiamo che prendono sempre

più piede le nuove tecnologie in

tutti i corsi di studi, Università

comprese, e che il futuro va in questa direzione. Non abbiamo

fa

Page 12: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

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fatto altro che coniugare corretta-

mente i due momenti.

Per concludere, come funziona

l’adesione al Protocollo Discentes?

Intanto, per diventare Scuola Ar-

tedo occorre essere costituiti in as-

sociazione, cooperativa o impresa.

Come detto, è richiesta la disponi-

bilità di una sede che possa ospita-

re le attività pratiche. Poi, è neces-

sario scaricare il disciplinare per

l’apertura di nuove scuole Artedo

dai nostri siti (www.artiterapie-

italia.it, www.naturopatia-italia.it,

www.counselling-italia.it), secon-

do l’ambito di preferenza. Quindi,

sincerarsi che la provincia richie-

sta sia libera, ovvero che non siano

presenti altre scuole della mede-

sima disciplina (operiamo in e-

sclusiva). Infine, inviare i moduli

di domanda.

Per aderire bastano pochi minuti e

pochi semplici passaggi.

(Intervista di Chiara Spagnolo,

addetto stampa di Artedo)

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Salute & Prevenzione

Inserto mensile sulle Dipendenze Patologiche a cura di DITE Edizioni Scientifiche

Parlare di psicoterapia dopo gli

aspetti diagnostici e farmacologi-

ci, introduce una discontinuità nel-

la coerenza comune ai pur diversi

interventi. Ciò è sempre inevitabi-

le quando si passa da modelli e

strumenti che, per tradizione, fan-

no riferimento ad “un osservatore

oggettivo” e a dei “dati in sé”, al

lavoro clinico della psicoterapia i

cui oggetti di studio presentano

una complessità non riconducibile

all’interno dei modelli sperimenta-

li classici tesi ad isolare l’oggetto

di studio rispetto al contesto e al

soggetto-osservatore (Ceruti, Lo

Verso, 1998). Tale impostazione

sarebbe inconciliabile, infatti, con

il lavoro psicoterapico che si co-

stituisce essenzialmente come una

ricerca-azione in cui l’interazione

tra osservatore e osservato rappre-

senta, oltre che un mezzo di cono-

scenza, una condizione indispen-

sabile per promuovere il cambia-

mento. D’altra parte, i “dati ogget-

tivi” rappresentano sempre un par-

ticolare modo di segmentare la re-

altà secondo una descrizione che

fa riferimento a una specifica teo-

ria o visione del mondo, o

nell’accezione di Bateson “epi-

stemologia”, che orienterà

l’osserva l’osservatore a ritagliare

ne

nel fenomeno osservato determinate

unità di analisi piuttosto che altre.

L’osservatore stabilisce le coordi-

nate di un determinato campo di os-

servazione nel quale risulta, a vari

livelli, inevitabilmente implicato,

ma le idee, le teorie, i modelli risul-

tano a loro volta storicamente e cul-

turalmente determinati. Basta pen-

sare alla psichiatria in Italia negli

ultimi venti anni e a come il rappor-

to teoria-prassi abbia visto alternar-

si momenti molto contraddittori dal

punto di vista epistemologico ai

quali hanno fatto seguito effetti

pragmatici conseguenti anche dal

punto di vista clinico e terapeutico.

Lo stesso si potrebbe dire, anche se

in un’altra direzione, da parte di al-

tri paesi dove si sono sviluppate al-

tre visioni del mondo.

Modelli come quello psicodinamico

e quello relazionale-sistemico met-

tono il focus sul tipo di relazione

con il paziente (individuo, coppia o

famiglia che sia) attraverso la quale

identificare o co-costruire nuovi

scenari dei quali, inevitabilmente, il

terapeuta nella sua ricerca azione è

parte attiva, proponendo a volte

modelli più complessi e problema-

tici rispetto a quelli di tipo medico e

analisi prevalentemente di tipo qua-

litativo rispetto al processo terapeu-

tico. Farò riferimento al modello

sistemico, occupandomene da tem-

po sia come psicoterapeuta che co-

me formatore, e cercando di presen-

tare la mia proposta di utilizzazione

del modello nel servizio

del modello nel servizio pubblico

anche attraverso alcuni esempi

chimici. Vorrei tuttavia spendere

alcune parole riguardo

all’efficacia dei trattamenti psico-

terapici nelle tossicodipendenze e

di quelli familiari sistemici, in

particolare, nonostante la riferita

difficoltà del reperimento di studi

anche dal punto di vista quantita-

tivo. E spesso citato, a questo

proposito, lo studio di Mc Lellan

che, esaminando tre livelli di ser-

vizi terapeutici per soggetti di-

pendenti da oppioidi in manteni-

mento con metadone, confrontava

“servizi minimi” (10 minuti di

counseling), “servizi standard”

(una seduta completa di counse-

ling una volta alla settimana) o

“servizi potenziati” (counseling

standard più psicoterapia, terapia

familiare). Solo il 30% dei pa-

zienti che aveva ricevuto servizi

minimi, oltre il metadone, ottene-

va buoni risultati; gli altri dove-

vano essere trasferiti al trattamen-

to standard. I pazienti che aveva-

no ricevuto servizi potenziati mo-

stravano risultati migliori rispetto

a quelli del trattamento standard,

con una progressione a gradini

del miglioramento associata alla

disponibilità di servizi compren-

denti la psicoterapia. Stanton, pi-

oniere della psicoterapia familiare

nelle dipendenze, ha sottoposto a

metanalisi 15 studi, comprendenti

complessivamente 3500 parteci-

panti

L’intervento psicoterapico

con la famiglia nel servizio

pubblico secondo un approc-

cio relazionale sistemico

Page 14: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

panti. Alcune delle principali

conclusioni di questo studio sono

state che:

1) negli studi di confronto tra te-

rapia familiare e la terapia di con-

sulenza individuale o quella su

gruppi di coetanei i risultati erano

superiori per la terapia familiare;

2) la conclusione vale sia per le

terapie con adulti che con adole-

scenti;

3) paragonando le terapie familia-

ri con altri tipi di intervento con

la famiglia, si sono rivelate più

efficaci, rispetto alla psicoeduca-

zione familiare, mentre più incer-

ta è la valutazione rispetto al la-

voro con gruppi di genitori;

4) non risultano conclusivi i pa-

ragoni tra le diverse scuole di te-

rapia familiare;

5) a paragone con altri approcci

psicoterapeutici sono risultati alti

i tassi di ritenzione in terapia fa-

miliare.

Rispetto alla visione olistica

dell’approccio relazionale siste-

mico, è difficile scindere la com-

ponente di comorbilità psichiatri-

ca dal resto della sintomatologia

tossicomanica, in quanto elementi

costitutivi di uno stesso problema

rispetto al quale si potrebbe dire

che la diagnosi psichiatrica rap-

presenta una mappa di quel terri-

torio da non confondere con il

territorio stesso.

L’approccio sistemico relaziona-

le, come abbiamo detto prima, é

un approccio che prende in con-

siderazione non più una causalità

lineare, ma semmai una causalità

circolare secondo la quale la fa-

miglia, paziente compreso, rap-

presenta una totalità, un sistema

che non é dato dalla somma dei

singoli membri, bensì dalla risul-

tante delle interazioni tra i mem-

bri del sistema stesso, in modo

tale che ogni modificazione in

uno degli elementi del sistema,

del

determina una modificazione del

sistema stesso, che vive quindi in

un perenne equilibrio caratterizzato

da momenti di trasformazione,

cambiamento (morfogenesi) e mo-

menti di stabilità (morfostasi).

Si può quindi rappresentare la fa-

miglia attraverso uno schema sem-

plificato che, condensando la visio-

ne diacronica e quella sincronica, ci

serve per descrivere il processo di

evoluzione della famiglia, i suoi

cambiamenti, i suoi blocchi evolu-

tivi e, eventualmente, le emergenze

psicopatologiche: stiamo parlando

di quello che viene definito come

“ciclo vitale della famiglia”. Questa

schematizzazione ci serve per de-

scrivere come una famiglia possa

evolvere dal momento in cui si

forma la coppia, alla nascita dei fi-

gli, alla loro progressiva emancipa-

zione, passando attraverso momenti

critici per il processo di separazione

individuazione come quello

dell’adolescenza e del successivo

distacco dalla famiglia. Durante

questo processo possono verificarsi

degli intoppi, dei problemi

nell’evoluzione della famiglia, nella

sua trasformazione e adattamento

alle perturbazioni che riceve

dall’esterno, dagli altri sistemi con i

quali é in contatto (la scuola, il

gruppo dei pari, il lavoro, ecc.), de-

gli irrigidimenti che bloccano questi

processi di trasformazione coinvol-

gendo tutti i membri del sistema,

genitori, figli, eventuali nonni. A

volte il disagio che deriva da questa

incapacità di adattamento del siste-

ma ai cambiamenti richiesti dai dif-

ferenti stadi del ciclo vitale trove-

rebbe espressione in una sintomato-

logia a carico prevalentemente di

un membro della famiglia, quello

che nel linguaggio sistemico viene

definito come “il paziente designa-

to”. Questo scenario ci aiuta a de-

scrivere l’emergere, in un particola-

re momento della vita, di una sin-

tomatologia

tomatologia senza specificare il

come e il perché di quel tipo di

patologia, se non attraverso un

maggiore livello di complessità

che comprende altri fattori di

comorbilità. Ci sono autori, che si

occupano di tossicodipendenze

dal punto di vista familiare e si-

stemico, che si sono occupati di

definire delle tipologie o dei

“giochi”, quasi per arrivare a un

tipo di diagnostica familiare. In

particolar modo Cancrini ha de-

scritto quattro tipologie che vor-

rebbero riassumere caratteristiche

diverse sul piano psicologico,

familiare, sociale e anche rispetto

al tipo di sostanze e alle modalità

del consumo. Secondo il suo la-

voro, da un punto di vista fami-

liare e relazionale quelle da lui

denominate come “ tossicomanie

di transizione” sarebbero caratte-

rizzate da un contesto familiare

spesso analogo a quello del pa-

ziente designato anoressico: lo

sforzo di non definire le relazioni

é sostenuto da frequenti messaggi

paradossali o incongrui; alti livel-

li di mistificazione sia nelle rela-

zioni interne alla famiglia che in

quelle esterne; massivo ricorso

alla disconferma dei messaggi al-

trui. Entrambi i genitori, forte-

mente coinvolti nella tossicoma-

nia del figlio, si trovano spesso in

uno “stallo” di coppia; ci sono

polarizzazioni tra i fratelli del ti-

po “fratello che ha successo, fra-

tello fallito”. Dal punto di vista

clinico si possono riscontrare stati

maniacali nella fase iniziale della

tossicodipendenza; la sostanza

sembra alleviare sofferenze per-

sonali preesistenti; altre volte,

specialmente negli adulti, stati

depressivi. Viene più ricercato lo

“stordimento” che non “il piace-

re” negli effetti della sostanza. Vi

é una certa difficoltà per il tera-

peuta di costruire dei collegamen-

ti tra l’uso della sostanza e gli e-

venti del ciclo vitale, in quanto

spesso l’inizio avviene durante i

periodi apparentemente meno

Page 15: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

ti tra l’uso della sostanza e gli

eventi del ciclo vitale, in quanto

spesso l’inizio avviene durante i

periodi apparentemente meno

problematici e l’interruzione in

quelli “più sofferti”. Alto é il ri-

schio di suicidio in questi casi e

frequenti i passaggi all’alcolismo

dopo la cura della tossicodipen-

denza. C’é l’indicazione, anche

in questo caso, per una terapia

familiare sistemica. Anche Ciril-

lo e collaboratori hanno descritto

delle tipologie di tossico- dipen-

denti che hanno come caratteri-

stica lo sviluppo di tre percorsi

attraverso i quali, a partire dalle

relazioni familiari, si descrive lo

sviluppo della tossicodipendenza.

In particolare, il percorso n. i

rappresenterebbe la casistica più

frequentemente trattabile all’ in-

terno di un contesto psicotera-

peutico. In questo sottogruppo -

compatibile dal punto di vista del

“percorso relazionale” con la de-

scrizione fatta da Cancrini di tos-

sicomanie traumatiche tipo A,

tossicomanie di “area nevrotica”

tipo B, e una minoranza dei casi

(i pazienti non psicotici) di tossi-

comanie di tipo C - si riscontre-

rebbe un forte coinvolgimento

della prima generazione, con le

distorsioni più tipiche delle tran-

sazioni affettive. In questi casi la

sintomatologia prevalente sotto-

stante all’uso di eroina sarebbe

rappresentata dalla depressione.

Le forme psicotiche rientrerebbe-

ro invece nel percorso n. 2, per-

corso i cui elementi caratteristici

- già descritti da Selvini Palazzo-

ni - sarebbero dati dallo “stallo di

coppia” e dall”iperinvestimento

strumentale nei confronti dei figli

“. La psicosi comparirebbe in

forma subclinica proprio perché

coperta dall’effetto autoterapeuti-

co della sostanza. Il percorso n.

3, descrivendo strutture familiari

disgregate sul piano transgenerazio-

nale, comprenderebbe le problemati-

che connesse con i comportamenti

antisociali.

Quanto all’utilizzo della psicoterapia

e alle situazioni di comorbilità, vari

autori (Luborski, Clerici) affermano

che ne ricevono maggior vantaggio i

soggetti che mostrano punteggi di

alta severità nella patologia psichia-

trica, mentre il disturbo di personali-

tà antisociale senza sovrapposizione

di depressione non riceverebbe in

genere vantaggi addizionali dalla

psicoterapia associata ad un tratta-

mento farmacologico e, comunque,

questo tipo di diagnosi sarebbe pre-

dittivamente negativa per l’esito in

generale di un trattamento. Questa

osservazione concorda con quella di

Cancrini sulla tipologia da lui defini-

ta come “sociopatica”. In generale,

comunque, in letteratura sembra che

dall’integrazione della psicoterapia

con gli altri trattamenti derivi il “va-

lore aggiunto” circa l’efficacia del

programma terapeutico.

Queste iniziali esperienze avevano

fatto maturare l’esigenza di radicali

trasformazioni dei Servizi da struttu-

re assistenziali e di controllo a strut-

ture specialistiche, con specifiche

finalità terapeutiche.

Tuttavia troppo spesso si é cercato di

identificare la trasformazione del

Servizio con l’introduzione di prassi

psicoterapeutiche al suo interno. Di

fatto spesso nei servizi territoriali e-

siste uno “spazio terapeutico” che

tuttavia vi si colloca come un’oasi,

un nucleo scisso e separato che non

ha ancora acquisito una capacità tra-

sformativa nei confronti, prima di

tutto, del servizio stesso. Il punto di

attacco efficace per avviare un cam-

biamento sta nel modello organizza-

tivo del servizio. D’altra parte nel

contesto pubblico il terapeuta é inse-

rito in una équipe pluriprofessionale

non necessariamente omogenea e,

invece, gerarchicamente organizzata;

ope

opera all’interno di una rete di

Servizi; risponde a un’utenza che

non necessariamente richiede in-

terventi psicoterapeutici; può

doversi fare carico di interventi

coatti o comunque assistenziali o

di controllo.

Mi pare che nel contesto attuale,

ed in particolare in quello dei

Servizi per le Tossicodipendenze

modificato anche dal “catacli-

sma” AIDS, il nodo di fondo nel

Servizio pubblico rimanga lo

stesso, parlando delle due possi-

bilità di utilizzo del modello si-

stemico sia per il trattamento

delle Tossicodipendenze che in

Salute mentale: la Psicoterapia

Familiare Relazionale come tec-

nica, l’approccio relazionale si-

stemico come ottica. Questo se

vogliamo rimanere nell’ambito

di una epistemologia sistemica,

per la quale lavorare con la fa-

miglia rappresenta una condizio-

ne necessaria, ma non sufficien-

te. Rimanendo all’interno della

cornice epistemologica sistemi-

ca, già da diversi anni Fruggeri -

a proposito dei “contesti della

psicoterapia: pubblico e privato”

- definiva una mappa delle con-

cezioni della psicoterapia fami-

liare nel servizio pubblico. Se-

condo questa mappa l’utilizzo

del modello come tecnica porta a

due posizioni altrettanto rigide

anche se contrapposte: la posi-

zione dicotomica, che definisce

il servizio pubblico per differen-

za da quello privato, consideran-

do rigidamente il modello teorico

di riferimento come una tecnica

di intervento, possibilmente da

salvaguardare e, magari, con-

trapporre ad altre tecniche utiliz-

zate nel servizio. In questo caso

gli interventi o sono psicotera-

peutici, e quindi per il cambia-

mento, o sono assistenziali, e di

conseguenza di ostacolo al cam-

bia

Page 16: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

biamento. La ripercussione di que-

sto punto di vista fa sì che gli uten-

ti siano divisi tra quelli motivati e

adeguati alle regole del setting e

quelli non adeguati. Allo stesso

tempo questa “doppia prassi” de-

termina una ulteriore suddivisione

tra quei pochi, qualificati operatori

e pazienti che condivideranno

l’esperienza più gratificante della

psicoterapia e tutti gli altri, opera-

tori e pazienti, più squalificati che

condivideranno l’esperienza più

frustrante dei cosiddetti interventi

“assistenziali” o, parlando di tossi-

codipendenze, si potrebbe aggiun-

gere, delle terapie di mantenimen-

to. La posizione tecnico-

professionale si esprime invece at-

traverso il tentativo di adattare la

tecnica al contesto pubblico, modi-

ficando le regole della tecnica psi-

coterapeutica in modo da renderla

compatibile con le caratteristiche

del contesto, pur non individuando

“il servizio pubblico a partire dalla

sua specificità, ma piuttosto per

differenza con lo studio di un libe-

ro professionista”. Questa posizio-

ne probabilmente il compromesso

più diffuso in quei Servizi dove e-

siste la percezione del problema,

ma mancano le risorse, culturali e

non, oltrechè la forza per sviluppa-

re modelli più avanzati di applica-

zione.

C’é infine la cosiddetta posizione

integrata che utilizza il modello te-

orico come quadro teorico genera-

le di riferimento. In questo caso

viene a cadere la differenziazione a

priori tra intervento assistenziale e

intervento terapeutico e si passa

dal porre l’attenzione alle strategie

operative in termini di contenuto a

osservare gli aspetti di processuali-

tà. In questo modo gli stessi inter-

venti assistenziali diventano stru-

menti terapeutici e, rispetto alle

difficoltà (mancanza di motivazio-

ne o rifiuto dell’intervento, ricerca

di

di alleanze, ecc.), i cosiddetti vincoli

diventano possibilità (Bonizzoni,

Semboloni, 1985; Semboloni, 1986;

Fruggeri, Matteini 1987). Questa

impostazione generale data da Frug-

geri al problema degli interventi psi-

coterapeutici nel contesto pubblico o

privato può trovare una sua applica-

zione anche per quanto riguarda il

problema delle tossicodipendenze.

Del resto, a parte i lavori di Haley,

Kauffman e Stanton che hanno fatto

conoscere tra i primi - anche se in

contesti molto diversi dalla nostra

realtà - la possibilità di un intervento

familiare e delle ipotesi connesse al

ciclo vitale della famiglia (“il distac-

co da casa”, “la pseudoindividuazio-

ne”), numerosi sono stati i contributi

scientifici sull’utilizzazione

dell’approccio sistemico e della te-

rapia familiare nel trattamento dei

tossicodipendenti che hanno fatto

riferimento ad esperienze nel servi-

zio pubblico in Italia: Cancrini, Ca-

vicchioni, Cirillo, Coletti, Marzoc-

chi, Mazza, Rigliano, Semboloni.

Spesso, in questi contributi si affron-

tato il tema del contesto specifico

del servizio pubblico con i suoi vin-

coli e le sue risorse, proponendo vari

tipi di interventi con la famiglia. In

questo senso spesso si può parlare di

terapia familiare “versus approccio

sistemico” in quanto, nell’esperienza

di molti terapeuti del servizio pub-

blico (tra i quali il sottoscritto) ad

esempio non c’è l’abitudine a “di-

chiarare” la terapia come terapia fa-

miliare in quanto tale. Più sempli-

cemente, ed evitando definizioni

come “terapia familiare” che posso-

no determinare anche un rigetto, mi

limito a spiegare che lavorare con

tutta la famiglia aiuta l’équipe a ca-

pire meglio: é quindi questo aspetto

di risorsa, piuttosto che quello di i-

nadeguatezza o di colpevolizzazione

intrinseco all’idea che la famiglia si

debba curare, che viene evidenziato

e che contribuisce a costruire un

conte

contesto di collaborazione più

che di confronto.

D’altra parte, il lavoro psicotera-

peutico con la famiglia può rien-

trare a essere parte importante di

quella rappresentazione di servi-

zio, che alcuni definiscono come

macchina terapeutica, cioé

“un’organizzazione complessa

dove tutti gli operatori condivi-

dono il compito di attribuire un

significato, secondo la filosofia

operativa del servizio e assieme

al paziente, a ciò che viene fatto”

(Marzocchi 1993). Questo può

essere un esempio attraverso il

quale intendere il significato di

quella che é stata definita

all’inizio come una posizione in-

tegrata. Così, il lavoro con le fa-

miglie, anche quando non si

svolge in un ambiente dal setting

definito ed é accompagnato da

altri interventi, svolge il suo

compito in parte autonomamente,

in parte in forma integrata (come

parte del tutto). Il problema é che

occorre riaffermare l’importanza

di un intervento globale a dimen-

sione e in un ambiente psicotera-

pico in cui anche la prescrizione

farmacologica deve spesso basar-

si su un intervento con la fami-

glia, ad esempio quando si impo-

sta una disassuefazione domici-

liare senza ricovero (Coletti

1993) o quando, in relazione ad

una comorbilità psichiatrica im-

portante, devono essere assunti

psicofarmaci in maniera conti-

nuativa.

Si potrebbe dire che emerge un

“setting” nuovo, flessibile, adatto

per la terapia delle tossicomanie:

passare da risposte uniche-

totipotenti-impotenti a risposte

complesse, da collezioni di inter-

venti a connessioni di interventi.

La differenza é dunque tra un

contesto concepito come statico e

invariabile e uno pensato come

co

Page 17: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

costruito attraverso i processi di in-

terazione che danno significato ai

sistemi di rappresentazione dei

soggetti implicati. In questo senso,

il fatto che nei casi di doppia dia-

gnosi spesso ci sia un coinvolgi-

mento di più contesti (ospedale,

SerT, Servizio di Salute Mentale,

Comunità) definisce ancora meglio

un sistema rispetto al quale struttu-

rare l’intervento, che non può esse-

re solo il sistema famiglia, ma piut-

tosto quello che potremmo ridefini-

re “il sistema determinato dal pro-

blema” utilizzando il concetto di

Goolishan in maniera più concreta

e pragmatica e non solo a livello

conversazionale e linguistico. Que-

ste sono dunque le premesse, te-

nendo conto delle quali é possibile

parlare di psicoterapia, interventi

con le famiglie, e servizio pubbli-

co: cercherò ora, attraverso dei casi

clinici, di fare alcuni esempi di

questa specificità di intervento nei

casi con comorbilità.

Marcello: Comorbilità, Nuove

droghe, Terapia disgiunta, Interru-

zione della Terapia Familiare, In-

serimento lavorativo

Quando si parla di nuove droghe ci

si riferisce soprattutto alle cosid-

dette “designer drugs”, sostanze di

sintesi di cui la più conosciuta -

come Ecstasy - é la metilendiossi-

metanfetamina, MDMA. Cono-

sciamo gli effetti collaterali di que-

sta sostanza a livello generale e a

livello neurologico e psichico. Tra

i disturbi cronici che si possono

manifestare, anche a un mese di di-

stanza dall’assunzione, vengono

descritti in letteratura i disturbi del

tono dell’umore, i disturbi di tipo

psicotico, i disturbi di tipo cogniti-

vo, gli attacchi di panico, i flash-

backs. Possono poi comparire ag-

gressività, diminuzione

dell’appetito, insonnia, bruxismo,

craving per il cioccolato. Sul piano

p

psicopatologico spesso é difficile,

senza un lungo follow-up, fare una

diagnosi differenziale tra gli esiti di

una assunzione di queste sostanze e

situazioni già di per sé problemati-

che e di cui la farmacodipendenza

rappresenta solo un aspetto. Inoltre,

osservando e ascoltando in seduta

questi ragazzi mentre pieni di ansia

e aggressività digrignano i denti o

riferiscono di sentirsi “cattivi”, ri-

sulta difficile discriminare quanto di

culturale odi patologico ci sia in un

atteggiamento che si ritrova nei rac-

conti dei giovani scrittori di “gio-

ventù cannibale” come nei giovani

artisti inglesi della collezione Saa-

tchi che espongono vere pecore o

mucche fatte a pezzi, manichini di

uomini evirati o ecatombi di mosche

che chiuse in bacheche di vetro

sciamano su finti organi sanguino-

lenti, ma veri liquidi nutritivi per

rappresentare “la fine del mondo”.

Marcello, di 24 anni, é uno di questi

ragazzi. Dopo essere stato in cura da

vari medici privati arriva al SerT

dove viene prima preso in carico da

un medico e da uno psicologo e poi

inviato al gruppo di Terapia familia-

re, di cui fa parte anche lo psicolo-

go. Marcello si presenta con una

sintomatologia caratterizzata da uso

di cannabis giomaliero e uso di

MDMA e uso sporadico di cocaina.

Per procurarsi le sostanze partecipa

ad un giro di spaccio. Nel passato

sarebbe stato curato per un disturbo

di tipo ansioso depressivo, con neu-

rolettici, antidepressivi e ansiolitici.

Circa tre anni prima del contatto

con il SerT, dopo alcuni episodi di

abuso alcolico, il paziente avrebbe

cominciato a far uso di sostanze ini-

ziando con l’eroina per due mesi e

passando poi alla cannabis,

all’MDMA e alla cocaina. In seduta

vengono confermati i suoi compor-

tamenti ansioso-aggressivi,

l’ideazione di tipo interpretativo,

l’incapacità a gestire le frustrazioni,

i disturbi di tipo ossessivo. Ma

l’aspetto che colpisce di più é

l’aggressività, particolarmente

manifesta alla presenza dei fa-

miliari, e una facies che colpi-

sce, quando digrignando i denti

dice di sentirsi “cattivo” e profi-

la addirittura minacce nei con-

fronti dei carabinieri. D’altra

parte, la madre più di una volta

lo provoca, facendo aumentare

il

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Page 18: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

il suo stato di agitazione, sino all’

abbandono della seduta.

Le sedute con la famiglia hanno

consentito di ricostruire una storia

caratterizzata dalla “cessione” del

paziente ai nonni materni fino

all’età di otto anni, in quanto la

madre che lavorava come parruc-

chiera non poteva occuparsi di lui.

Era rientrato in famiglia quando la

madre, a causa di un’allergia aveva

dovuto abbandonare il suo lavoro.

In quel periodo si era manifestata

una gelosia per la cuginetta nata da

poco e una sofferenza della madre

per le preferenze della suocera per

l’altra nipotina. Viene evidenziato

un comportamento di tipo ossessi-

vo già a livello della scuola

dell’obbligo e dei primi anni delle

superiori. Emerge dalla storia una

crisi della coppia e un tradimento

che la madre attualizza ancora oggi

rinfacciandolo al marito e metten-

dolo in relazione alla sua latitanza

e scarso interesse nei confronti di

lei. Entrambi i genitori hanno sof-

ferto di una sintomatologia depres-

siva in momenti diversi. La moglie

ha sempre avuto la dominanza del-

la gestione economica, contri-

buendo alla passività del marito,

che ha sempre compensato la si-

tuazione di estrema tensione in

famiglia andandosene appena pos-

sibile a caccia con gli amici. Ma la

storia contiene anche riferimenti

intergenerazionali di cui fanno par-

te genitori, suoceri, fratelli, cogna-

te e nipoti, a testimoniare “le com-

ponenti insoddisfacenti della rela-

zione che ciascuno dei genitori a-

veva avuto con la propria famiglia

di origine” (Mazza 1999) fino all’

identificazione del paziente come

il nipote di serie B, in quanto figlio

di un padre-marito che non si fa

rispettare né dal proprio fratello,

né dalla propria madre, né dal pro-

prio padre. La tensione, durante il

processo terapeutico, viene estre-

mizzata

mizzata più che ridotta dai miglio-

ramenti del figlio. La madre, arriva-

ta a mettere in discussione il rappor-

to con il marito ed un’eventuale se-

parazione (agita rifugiandosi dai

suoi per poche ore), decide di non

partecipare più alle sedute di coppia

che avevamo iniziato a un certo

punto della terapia privilegiando un

tipo di terapia disgiunta, per favorire

l’ulteriore autonomia del figlio.

Marcello continua il suo lavoro te-

rapeutico con lo psicologo con un

approccio di tipo individuale psico-

dinamico.

In questo senso si é dimostrato im-

portante aver potuto mantenere il

rapporto con il Servizio attraverso la

psicoterapia individuale dopo aver

sganciato il paziente dalle sedute

con i genitori. Contemporaneamen-

te, il paziente ha continuato la tera-

pia farmacologica e il progetto tera-

peutico e socioriabilitativo del ser-

vizio ha portato al suo inserimento

lavorativo presso un’ azienda attra-

verso lo strumento della borsa lavo-

ro. Questo progetto complessivo ha

portato a una notevole riduzione del

consumo di sostanze. Si é verificata

una progressiva diminuzione

dell’aggressività e degli aspetti

comportamentali e un miglioramen-

to degli aspetti relazionali, anche se

permangono disturbi di tipo ossessi-

vocompulsivo affiancati da frequenti

vissuti di tipo depressivo. Eviden-

temente é un caso che presenta an-

cora molti problemi, ma 1’ aggancio

con il servizio, la sua rete di opera-

tori, gli strumenti terapeutici e so-

cioriabilitativi messi in campo e i

patteru che li connettono é forte.

Pietro: La confusione e il segreto, la

moltiplicazione degli interventi Ha

il primo contatto con il SerT all’età

di 21 anni per uso di hashish e poi

eroina. Secondogenito, ha un padre

che naviga e che in passato ha avuto

seri problemi con l’alcol che lo han-

no tenuto lontano da casa per un

lungo

lungo periodo. La madre, casa-

linga, soffre di depressione ed ha

da tempo una relazione con un

altro uomo di cui in casa non si

parla; anzi, di fatto di fronte al

figlio che si interroga sui rappor-

ti tra i genitori viene negato que-

sto aspetto della loro vita di rela-

zione.

A seguito della patologia del fi-

glio vengono effettuati dal SerT

trattamenti con naltrexone, me-

tadone e colloqui individuali.

Il decorso:

- 02/06/97: la sorella si trasferi-

sce a Londra, aumenta la tensio-

ne in casa (soprattuttoda parte

del padre);

- 13/06/97: la famiglia denuncia

una sintomatologia psichica di

tipo persecutorio diagnosticata

come “sindrome paranoide”. Le

urine risultano negative. Il figlio

sembra avvicinarsi al padre;

- 18/06/97: durante un incontro

con la famiglia emerge il tema

del segreto come il tema centrale

del delirio del paziente.

La strategia terapeutica:

- Terapia farmacologica con lo

psichiatra del servizio di salute

mentale

- Colloquio con la coppia per la-

vorare sul segreto: da quando il

figlio aveva 17 anni sono separa-

ti in casa. Lavoro su genitorialita

e coniugalità.

- Il padre riprende la navigazio-

ne.

- Colloquio con la madre che ri-

fiuta di affrontare il tema del se-

greto con il figlio.

- Viene esplicitata da entrambi i

coniugi l’impossibilità di un al-

tro tipo di organizzazione fami-

liare che preveda una “separa-

zione sana” anche per motivi e-

conomici e vantaggi secondari di

entrambi, pur all’interno di una

grave sofferenza e di reciproche

umiliazioni. Viene riproposto un

t

Page 19: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

tentativo terapeutico in comunità

che fallisce rapidamente.

Nel frattempo il paziente continua

a essere in trattamento con neuro-

lettici presso il servizio di salute

mentale. Ha assunto la facies e

l’atteggiamento passivo del pa-

ziente psichiatrico “cronicizzato”.

Urine negative per oppiacei.

I genitori non hanno più cercato

di affrontare il tema del segreto. Il

paziente viene inserito con suc-

cesso in un centro diurno per psi-

cotici. Il padre viene seguito indi-

vidualmente da uno psichiatra del

servizio di salute mentale.

La madre viene seguita da una

psicologa dello stesso servizio. Il

paziente viene seguito da un altro

psichiatra del servizio di salute

mentale.

Pur all’interno di una buona col-

laborazione tra i due servizi e una

presa in carico complessiva, si po-

trebbe dire che c’è stata una col-

lusione tra il bisogno della fami-

glia di non affrontare il tema del

segreto con il paziente e la scelta

terapeutica di frammentare

l’intervento sulle singole indivi-

dualità. Tre anni dopo il paziente

si E ripresentato al Sert per un

problema di eroina. Non frequen-

ta più il servizio di salute mentale,

ma va a giocare al calcio con il

gruppo dei pazienti psichiatrici.

Vive ancora con i genitori che

hanno acquistato un’ edicola dove

lavorano tutti e tre e assume il

metadone al SerT. Tra loro non E

cambiato molto nella relazione, la

madre ora svolge attività di vo-

lontariato.

Conclusioni:

La psicoterapia deve potersi inte-

grare con gli altri trattamenti ai

quali eventualmente dare una con-

testualizzazione e un significato

dentro il progetto terapeutico

complessivo . Si deve invece ra-

gionare su quale sia il livello logi-

co

co a cui appartengono tutti gli stru-

menti di intervento all’ interno del

contesto terapeutico. Personalmente

penso che il livello psicoterapeutico

relazionale del progetto sia di un or-

dine gerarchicamente superiore agli

altri strumenti di intervento (farma-

ci, ospedalizzazioni, interventi so-

ciali, ecc.) in quanto dovrebbe defi-

nire la cornice all’interno della qua-

le si sviluppa il processo terapeuti-

co. Di conseguenza, l’utilizzazione

dell’approccio familiare sistemico

non in quanto tecnica terapeutica,

ma come metamodello rappresenta

una funzione di coordinamento del

lavoro dell’ équipe nel suo comples-

so ancor più importante quando le

équipes in gioco sono più di una

rappresentando i due Servizi: Salute

Mentale e Tossicodipendenze.

P. G. Semboloni

Collana I Manuali

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pie e Scienze Creative

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Page 20: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

Il gioco d’azzardo non è una pra-

tica moderna e ricerche archeolo-

giche ed antropologiche ne hanno

testimoniato la presenza in ogni

epoca, cultura e strato sociale.

Le indagini più recenti, condotte

nel nostro paese, evidenziano co-

me oltre 1’80% degli italiani si

dedichi, in modo più o meno co-

stante, alle diverse forme di

scommesse in circolazione e che

le quote di denaro puntate sono

sempre in costante aumento. Si

ipotizza che nei prossimi anni, tra

gioco legale ed illegale, si spende-

ranno complessivamente, in Italia,

quasi 30.000 milioni di Euro. Se

facciamo un confronto con la po-

polazione complessiva, il popolo

italiano è il primo al mondo per

versamento di denaro

nell’azzardo. Il fenomeno è esplo-

so durante la metà degli anni No-

vanta, all’epoca della recessione

economica, mentre vigevano poli-

tiche tese ad una drastica riduzio-

ne del deficit pubblico. Quindi,

negli anni dell’incertezza si è con-

sumato il boom dell’azzardo, sia

legalizzato che proibito. Gioca,

quindi, la stragrande maggioranza

della popolazione, ma è importan-

te sottolineare come i dati dispo-

nibili individuano attorno al 3%

l’incidenza del GAP (gioco

d’azzardo patologico) tra la popo-

lazione generale.

Dalle illusioni alla terapia

Ad una prima e semplicistica let-

tura, il rischio di diventare gioca-

tori patologici appare “solamente”

del 3%. In realtà, se frequentassi-

mo e osservassimo attentamente

le sale gioco noteremmo come i

giocatori già fortemente a rischio

di

giocatori già fortemente a rischio di

dipendenza, superino spesso il 50%

delle presenze per arrivare fino a

punte del 70%. Sappiamo bene, ol-

tretutto, che il problema non può

essere ricondotto al singolo giocato-

re, ma va esteso, quantomeno, al

nucleo familiare d’appartenenza,

fatto che determina una lievitazione

delle persone coinvolte, tale da co-

stituire una vera e propria emergen-

za sociale. Il fenomeno, considerate

le offerte di gioco sempre più ag-

gressive ed elevate (non da ultimo

l’apertura di centinaia di Sale Bingo

su tutto il territorio nazionale), di-

venta ogni giorno più preoccupante

poiché ormai, nel nostro Paese, non

c’è più strato sociale che possa con-

siderarsi indenne dal rischio di

compulsione all’azzardo. Va opera-

ta, comunque, una prima, chiara e

semplice considerazione: è impos-

sibile sapere in anticipo chi tra i

giocatori occasionali e abituali di-

venterà col tempo “patologico”;

questo si saprà sempre e solo dopo,

quando cioè il giocatore sarà già

completamente immerso nella di-

pendenza. Conseguentemente,

l’unico modo per non diventare

giocatori patologici dovrebbe essere

quello di astenersi dal giocare poi-

ché, continuando a farlo, ci si espo-

ne a dei rischi che, in alcuni casi,

possono portare anche a punti di

“non ritorno”. Paradossalmente, per

“vincere al gioco”, basta non gioca-

re, poiché nessun giocatore abituale

ha mai vinto, nel corso della sua e-

sistenza, più denaro di quanto ne

abbia perso.

Tutto ciò va al di là di giudizi mora-

li, demonizzazioni e forme di proi-

bizionismo che, comunque, non in-

taccano le motivazioni profonde del

gioco patologico.

Non tenere conto degli effetti deva-

stanti che, in una società come la

nostra, provoca la continua immis-

sione di giochi d’azzardo, equivale

a pensare ad un bombardamento a

ta

tappeto su una città che colpisce

solo alcune parti della stessa la-

sciandone indenni altre; è evi-

dente che, se i bombardamenti

proseguissero, anche le zone an-

cora integre verrebbero prima o

poi probabilmente colpite e, an-

che nel caso in cui non si bom-

bardasse più, a pagare i danni

riportati sarebbero comunque,

direttamente o indirettamente, tutti i cittadini. E proprio l’entità

sociale del danno che giustifica

l’importanza primaria di amplia-

re e consolidare gli interventi in

materia di prevenzione. Misure

indispensabili, ma a tutt’oggi

del tutto insufficienti in Italia,

quali il ridurre drasticamente

l’offerta di azzardo, eliminarne

la pubblicità, informare il pub-

blico sui pericoli della dipen-

denza, attivare servizi che aiuti-

no a smettere di giocare, potreb-

bero essere alcuni tra i provve-

dimenti maggiormente auspica-

bili. Come è accaduto per il fu-

mo, così anche per il gioco

d’azzardo probabilmente solo

tra qualche anno si comincerà a

parlare di prevenzione e di ri-

schi; ma dato l’enorme ritardo

con cui sarà affrontato il pro-

blema, a quel punto non si potrà

più prescindere dai danni pro-

dotti. Tutte queste considerazio-

ni, dettate dall’esperienza e dai

risultati di approfondite ricer-

che, non sono recepite dalle Isti-

tuzioni che si rifugiano, come i

giocatori e le famiglie, in peri-

colose illusioni. Illusioni che

potremmo così suddividere:

- l’illusione del giocatore, che è

convinto - anche quando tutto

sta precipitando - di controllare

il gioco (dice di poterne uscire

quando vuole, ma continua a

scommettere).

Questo può avvenire sia quando

il giocatore nega di essere un

dipendente (basta frequentare

una sala corse o un casinò per

“paradossalmente” non

Il gioco d’azzardo tra conse-

guenze individuali, familiari,

sociali, illusioni, classificazio-

ni e interventi terapeutici: L’esperienza di Campoformido

Page 21: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

una sala corse o un casinò per “pa-

radossalmente” non trovare alcun

giocatore problematico che am-

metta di essere tale), sia quando il

soggetto, pur in astinenza, rimane

comunque mentalmente legato al

sintomo non elaborando (con tutta

la sua famiglia) la sofferenza che

ne soggiace.

- l’illusione della famiglia che

pensa di poter controllare il gioca-

tore (“ha promesso tante volte che

non giocherà più”) e quindi non

chiede aiuto convinta di poter ge-

stire il problema. Da noi, infatti, le

famiglie chiedono aiuto solo

quando le condizioni economiche

e psicologiche sono ormai gravis-

sime. Prima di allora, la cosiddetta

“cecità familiare” e l’equilibrio

patologico che si è venuto a crea-

re, impediscono di riconoscere i

segnali, seppur inconfondibili, del-

la dipendenza.

- l’illusione dell’istituzione-Stato

che immette, pubblicizza sempre

nuovi giochi d’azzardo convinto

di poterne trarre benefici econo-

mici e, allo stesso tempo, control-

lare i danni mediante campagne

generiche di prevenzione, favo-

rendo - a parole - servizi di auto

aiuto o terapeutici che non potran-

no mai, neppure lontanamente,

scalfire l’origine del problema.

- l’illusione dell’Auto-aiuto, della

terapia e del farmaco: gli interven-

ti di auto-aiuto, di terapia e

l’immissione sul mercato di far-

maci “magici” sono funzionali al

sistema (mantengono lo stato di

fatto!) in quanto, attraverso il “re-

cupero” dei giocatori, vanno ad

intervenire solo su una porzione

molto ridotta di famiglie (solo

quelle che scelgono di entrare in

trattamento) con problemi

d’azzardo (1 a 5000 circa).

Il fenomeno, nella sua complessi-

tà, va inquadrato anche dal punto

di vista dei danni che provoca. A

livello individuale notiamo che il

gi

giocatore d’azzardo patologico de-

dica la maggior parte del suo tempo

al gioco. Egli gioca quantità cre-

scenti di denaro ed è quindi forte-

mente indebitato; spesso perde il

lavoro, arriva a compiere frodi e

falsificazioni e, frequentemente,

tenta il suicidio. Il continuare a

giocare (prima di “toccare il fon-

do”) lo aiuta a ridurre la tensione

nervosa (l’ansia) e il piacere del

gioco lo porta anche a rilassarsi. A

livello familiare, egli riesce a na-

scondere per lungo tempo i suoi

problemi in relazione al gioco. Tut-

tavia, le sempre più frequenti “as-

senze”da casa, lo allontanano dalle

responsabilità del suo ruolo che

devono venire a questo punto com-

pensate (per quanto possibile) dagli

altri familiari (ad esempio, se il pa-

dre perde il suo ruolo, la madre si

accolla anche la funzione paterna;

o il figlio, alle volte ancora adole-

scente, si sostituisce al padre); il

tutto, correlato alla disastrosa si-

tuazione finanziaria, porta al crollo

della qualità di vita dell’intero nu-

cleo familiare.

Non è infrequente l’avvio prematu-

ro al lavoro dei figli (a fronte d’ ot-

timi percorsi scolastici) con conse-

guenti assunzioni d’eccessive re-

sponsabilità non in linea con le loro

aspettative di vita. A livello socia-

le, notiamo una ridotta o azzerata

(relativamente alla distanza in cui il

giocatore si trova dal fondo, verso

il quale sta precipitando) attività

produttiva, danni dovuti a terzi, a

causa di indebitamenti (anche con

strozzini) e fallimenti finanziari cui

corrisponde, come unico e consi-

stente vantaggio, un notevole in-

troito economico per i gestori delle

case da gioco e per lo Stato.

La persona che ha un grave pro-

blema con il gioco d’azzardo è

l’ultima ad ammettere la propria

patologia; perciò, difficilmente ri-

correrà per prima ad un’adeguata

terapia o chiederà aiuto, perseve-

rando

rando nell’ostinata convinzione

di riuscire a tenere ancora sotto

controllo la situazione. Se, inve-

ce, la richiesta parte proprio da

chi si trova ad avere il problema

(la nostra esperienza indica che

un giocatore su venti chiede aiuto

in prima persona) significa che il

giocatore pensa di aver toccato il

fondo. Non è detto, tuttavia, che

quando i giocatori dicono di aver

toccato il fondo, lo abbiano toc-

cato per davvero. Il giocatore non

tocca il fondo ma l’involucro che

custodisce il fondo. Ciò che appa-

re drammatico agli occhi della

famiglia e della comunità non lo

è per il giocatore che, seduto

sull’involucro, mette in agitazio-

ne tutti quanti (“sono rovinato”...

“mi sparo”.. .etc.). Quasi sempre,

il giorno dopo (quante volte ho

ricevuto telefonate disperate alla

sera e il giorno dopo le stesse

persone mi hanno detto: “nessun

problema, abbiamo messo a posto

tutto quanto”), il giocatore rico-

mincia come prima un teatro in

cui si bara spesso a livello con-

scio ma anche inconscio. Il gioco

d’azzardo patologico è, in realtà,

solo la punta di un iceberg, indice

e copertura di un malessere socia-

le, familiare e individuale pro-

fondamente radicato. Quindi,

presupposto chiave nel processo

di recupero non sarà partire

dall’involucro del fondo e risali-

re, ma sprofondare a partire da

quell’ involucro. La terapia, pro-

prio perché terapia, ha questo

compito. In caso contrario si ri-

schierebbe di costruire un gigante

con i piedi di argilla. Spesso, gio-

catore e familiari abbandonano la

terapia dopo le prime sedute.

Questo perché si cullano

nell’illusione di aver raggiunto,

con la momentanea astinenza, la

soluzione del problema. In realtà,

dietro a questo tempestivo allon-

tanamento dal gruppo, sì nascon-

de

Page 22: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

de un piano, più o meno incon-

scio, di difesa. E infatti meno do-

loroso continuare a convivere con

le “viscere” del problema piutto-

sto che mettere seriamente in di-

scussione gli equilibri relazionali

disfunzionali su cui poggia

l’intero sistema familiare. Il tra-

nello nei confronti della famiglia

funziona. Famiglia che è legata al

giocatore e, in qualche modo, si

regge ormai su equilibri assolu-

tamente instabili ma che comun-

que le consentono di esistere.

Questa illusione consente al gio-

catore di immettersi in un proces-

so di cambiamento convinto di

poter risalire da una situazione

limite. Ciò gli consente di credere

di potercela fare da solo e di evi-

tare, facendo tutto da solo, il con-

fronto con la famiglia, con le sof-

ferenze e con le relazioni familia-

ri. E compito della terapia “ritor-

nare” a perforare l’involucro per-

ché è lì sotto che si concentra il

nucleo di sofferenza, nucleo che

deve essere scandagliato e che

nulla ha a che fare con il sintomo

azzardo (che è solo una conse-

guenza come il tracollo economi-

co). Toccato il fondo, c’è

l’illusione della risalita e la tera-

pia e l’auto aiuto diventano per il

giocatore un altro gioco

d’azzardo. La risalita

dall’involucro alla vita di tutti i

giorni diventa il vero gioco

d’azzardo che spesso si conclude

subito (dopo la telefonata, dopo

una seduta, dopo poche sedute) o

in seguito (dopo mesi di terapia)

con un ritorno al sintomo azzardo.

Se non c’è un percorso di cam-

biamento che vada oltre l’azzardo,

per il giocatore e la sua famiglia,

quasi sempre il giocatore non rie-

sce a perforare l’involucro che

copriva il fondo (effetto elastico..

.va e vieni!). L’onnipotenza di u-

scire da solo (i giocatori possono

essere aiutati da soli giocatori)

porta

porta spesso all’isolamento fami-

liare.

Centrare l’intervento terapeutico

sulla famiglia, escludendo almeno

per alcuni mesi il giocatore, può

essere in alcuni casi l’unico modo

per riavvicinare i membri non gio-

catori a una visione della realtà

fino ad ora inconsciamente negata

e quindi renderli più facilmente

collaborativi. Paradossalmente,

l’intervento riesce molto meglio se

il giocatore arriva ai gruppi il più

tardi possibile, dando così la possi-

bilità alla famiglia di ricostruire un

contesto di intervento e di cambia-

re il gioco familiare. Se infatti il

giocatore arriva dopo alcune sedute

la famiglia è già in fase di cam-

biamento. E quindi è meno dispo-

nibile ai disegni inconsci (e consci)

di fuga dalla terapia che il giocato-

re propone. Infatti il giocatore du-

rante le prime sedute tende ad illu-

dersi di aver risolto qualsiasi pro-

blema col gioco, col risultato di

risucchiare la famiglia in questa

illusione. La conseguenza diventa

l’abbandono della terapia sia del

giocatore che della famiglia.

L’ipotesi sarebbe, quindi, che se è

il giocatore stesso a chiedere aiuto

in prima persona si tratti di un ten-

tativo abilissimo - a livello incon-

scio - di depistaggio; un gestire in

prima persona la drammaticità del

momento col fine di riportare la

famiglia e se stesso fuori dalla te-

rapia. Il giocatore avrà, in tal mo-

do, di nuovo pericolosamente az-

zardato con la propria vita e con

quella di chi gli sta accanto.

Quando un familiare del giocatore

fa la prima telefonata di aiuto si

sente nelle sue parole il senso di

inadeguatezza, di colpa, di vergo-

gna per non essere in grado di ca-

pire e risolvere la situazione. “Il

problema non è mio” è la prima

cosa che dicono, come a rimarcare

l’impossibilità di intervenire da

parte loro. E invece sono proprio

loro

loro ad avere bisogno del primo

intervento. Sono i familiari, ridot-

ti a uno stato “confusionale”, che

devono entrare in terapia e, ac-

compagnati passo a passo, pren-

dere possesso del timone. Tutta-

via, nel proseguimento della tera-

pia, diventa di fondamentale im-

portanza anche la presenza del

membro giocatore.

La nostra esperienza ci insegna

che il giocatore d’azzardo che

frequenta da solo la terapia non

regge la stessa per un lungo peri-

odo. Gli unici casi che hanno

avuto un esito favorevole hanno

riguardato giocatori d’azzardo fi-

gli essi stessi di giocatori quasi

che, paradossalmente, l”azzardo”

di un genitore li abbia in qualche

modo agevolati e accompagnati

nella terapia.

Chi arriva in terapia senza aver

subito tracolli economici (non si è

ancora rovinato economicamen-

te!) affronta fin da subito le que-

stioni riguardanti la propria di-

namica familiare. Questo, spesso,

provoca tensioni emotive fortis-

sime sia al giocatore che ai suoi

familiari e, sopratutto alle prime

sedute, permette un’apertura al

gruppo per una spontanea condi-

visione di esperienze e sensazio-

ni. In questi casi, la frequente

“fuga” dal gruppo, è sostenuta dal

fatto di poter ancora pensare:

“siamo ancora in grado di conte-

nere la situazione dal punto di vi-

sta economico... chi ce lo fa fare

di scoperchiare i problemi che

l’azzardo nasconde”. La famiglia

che arriva in terapia a tracollo e-

conomico avvenuto è invece, pa-

radossalmente, più motivata ad

intraprendere un cammino tera-

peutico che preveda anche regole

molto rigide. Dovendo essa, in

una prima fase, preoccuparsi es-

senzialmente di quelli che sono i

propri bisogni primari (procurarsi

il pane!) può procrastinare quella

c

Page 23: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

che è l’analisi delle relazioni fami-

liari. Quando quest’ultima può fi-

nalmente passare in primo piano,

la famiglia si è già da tempo inte-

grata al gruppo per cui il confronto

e l’apertura agli altri avviene con

minor timore e soggezione.

Perché chi entra in terapia deve a-

stenersi dal continuare a giocare

d’azzardo? Alcuni giocatori so-

stengono di poter controllare il

gioco pur frequentando la terapia;

secondo loro, lo conterrebbero li-

mitandolo, cioè riducendolo sensi-

bilmente rispetto a prima della te-

rapia. Nel corso della terapia pos-

sono avvenire delle ricadute. Soli-

tamente, quando queste avvengo-

no e il giocatore e la famiglia se-

guono già da qualche mese o anno

il programma terapeutico, il prez-

zo da pagare diventa una somma-

toria di sensi di colpa. Questi ulti-

mi portano il giocatore a capire

che “le colonne d’Ercole sono sta-

te superate” e non è più possibile

tornare indietro. Lo sporadico ri-

torno all’azzardo, dopo un lungo

periodo terapeutico, non ha nulla a

che vedere con quello precedente

alla terapia; anzi, diventa spesso

un percorso quasi obbligatorio al

fine di sradicare il vissuto

d’onnipotenza al gioco (tipico del

giocatore estremo) e riacquistare

l’umiltà di riconoscere le proprie

debolezze. I giochi rimangono gli

stessi (roulette, videopocker, lotto

ecc) ma le sensazioni sono assolu-

tamente diverse: anzi il ritorno al

gioco d’azzardo in corso di terapia

paradossalmente mette fine defini-

tivamente all’ azzardo proprio

perché la persona si rende conto

che il viaggio terapeutico non pre-

vede il ritorno ai modelli prece-

denti. Per questo è necessario che

il giocatore entrato in terapia smet-

ta completamente e definitivamen-

te all’ azzardo proprio perché la

persona si rende conto che il viag-

gio terapeutico non prevede il ri-

torno

torno ai modelli precedenti. Per

questo è necessario che il giocatore

entrato in terapia smetta comple-

tamente e definitivamente di gioca-

re. Per essere pronto, se ci sarà la

ricaduta, a “sentire” il “non ritor-

no”.

Il continuare a giocare (anche in

modo che può apparire banale, tipo

la schedina settimanale) tiene il

giocatore incollato al modello pa-

tologico (impulso e dipendenza) e

quando ci sarà la ricaduta in corso

di terapia “il ritorno al passato” sa-

rà cosa fatta.

N GAP: approcci al fenomeno e

descrizione di alcuni tratti di per-

sonalità dei giocatori. Nel 1980 il

gioco d’azzardo patologico fu in-

cluso nel Manuale Diagnostico e

Statistico dei Disturbi Mentali,

DSM III. Questa patologia fu clas-

sificata nella sezione dedicata ai

disturbi del controllo degli impulsi

non classificati altrove. I criteri o-

riginari del gioco d’azzardo pato-

logico furono poi rivisti e modifi-

cati nell’ultima versione del DSM

IV (5), dove oggi questa patologia

è definita in base a dieci criteri che

descrivono sia le caratteristiche del

giocatore sia le conseguenze socia-

li risultanti dal suo comportamen-

to. In sintesi, il DSM IV descrive il

gioco d’azzardo come un compor-

tamento persistente, ricorrente e

maladattivo che compromette le

attività personali, familiari e lavo-

rative. Diverse sono state, e sono

tutt’ oggi, le interpretazioni teori-

che del fenomeno.

Simmel, Freud e Bergler ritengono

che si tratti di una pratica autopu-

nitiva masochista, capace di espia-

re il senso di colpa inconscio gene-

rato dall’altrettanto inconscio desi-

derio di uccidere il padre, uomo

sadico e autoritario, e occupare il

suo posto nella relazione con la

madre. I cognitivisti hanno eviden-

ziato come le false credenze e per-

cezioni errate svolgano un ruolo

chiave

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Page 24: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

nello sviluppo e mantenimento dei

problemi legati al gioco. In parti-

colare, gli errori cognitivi più ri-

correnti nei giocatori incalliti ri-

guardano: l’illusione di controllo

(mancata percezione della casuali-

tà dei risultati al gioco),

l’intrappolamento (chasing; falsa

credenza che la perseveranza al

gioco verrà, prima o poi, premiata

con una vincita), la fallacia di

Montecarlo (sovrastima della pro-

babilità di vincere in seguito ad

una serie di scommesse perse e

sottostima della probabilità di vin-

cere in seguito ad una serie di

scommesse vinte), la “quasi vinci-

ta” (perdita al gioco considerata

dal giocatore come molto vicina

alla vittoria; a livello comporta-

mentale, ha lo stesso effetto condi-

zionante di una vincita), nonché

numerose teorie pseudomatemati-

che. L’approccio comportamentale

considera invece il Gap come un

comportamento disfunzionale ap-

preso e mantenuto da una serie di

rinforzi positivi e/o negativi. Par-

tendo da tali presupposti, gli inter-

venti a livello comportamentale

verteranno necessariamente alla

modificazione ditali comportamen-

ti nella direzione di un loro mag-

gior adattamento. L’approccio bio-

logico, una volta accertata una

componente biochimica alla base

del Gap (disregolazione a carico

dei sistemi neurotrasmettitoriali

dopaminergico-serotoninergico-

noradrenergico, diminuita attività

MAO a livello piastrinico e ipo-

frontalità) e verificate le affinità

biologiche con altre patologie (Di-

sturbi dell’Umore, Disturbi Osses-

sivo Compulsivi, Dipendenze Pa-

tologiche..) si è avvalso di tutto ciò

al fine di predisporre un intervento

farmacologico adeguato. In parti-

colare, è stata dimostrata anche nel

caso del Gap, l’efficacia anti-

ossessiva e anti-compulsiva di al-

cuni antidepressivi serotoninergici

C

Clomipramina e SSRI).

L’approccio sistemico-relazionale

sposta l’attenzione dal singolo

soggetto portatore di sintomi

all’intera situazione problematica

in cui egli si trova immerso.

L’intervento terapeutico si muove-

rà pertanto, con l’intento di fissare

nuove regole, nuovi ruoli, nuove

modalità comunicative, a partire

dalla rottura di quell’equilibrio re-

lazionale disfunzionale in cui il

giocatore si trova intrappolato. A

tal fine, si rende indispensabile

l’attivazione di una rete di suppor-

to del paziente che agisca a più li-

velli, con l’obiettivo di sviluppare

una norma condivisa lungo il per-

corso riabilitativo. Oggi come og-

gi, l’approccio multimodale, ab-

bracciando una prospettiva eziolo-

gica plurifattoriale, è quello più

spesso messo in atto dai Centri

specializzati per la cura del Gap. Il

programma terapeutico si inserisce

organicamente in un iter riabilitati-

vo multidimensionale secondo una

logica olistica e sinergica.

La psicologia dei tratti di persona-

lità, l’approccio maggiormente dif-

fuso nella letteratura a carattere

sperimentale, individua in alcune

differenze personologiche i fattori

di rischio del gioco d’azzardo pato-

logico. I tratti di personalità e i di-

sturbi spesso implicati sembrano

essere la depressione (McCormick

et al., 1984; Linden et al., 1986;

Steel e Blaszczynski, 1998; Roy et

al., 1988), l’ansia (Steel e Bla-

szczynski, 1998), l’impulsività

(Castellani e Rugle, 1995; Steel e

Blaszczynski, 1998) e la ricerca di

sensazioni (Lejoyeux, 1998).

I sei gruppi di terapia di Campo-

formido

Quando nel 1995 mi sono avvici-

nato per la prima volta ai giocatori

d’azzardo e ai loro familiari, mi

sono trovato di fronte ad un conte-

sto particolarmente complesso,

verso

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verso il quale gli interventi erano

quasi inesistenti. Tenendo conto

di tutti gli approcci teorici de-

scritti precedentemente, ho cerca-

to di mettere a punto una strategia

terapeutica che consentisse ai

giocatori d’azzardo di raggiunge-

re e mantenere l’astinenza dal

gioco nell’immediato e produrre

cambiamenti relazionali profondi

a distanza di anni non solo nel

giocatore, ma anche all’interno di

tutta la famiglia. Grazie al Patro-

cinio della Cittadina di Campo-

formido (Ud), che ha messo a di-

sposizione una sala per gli incon-

tri, gradualmente ho dato il via a

sei gruppi di terapia costituiti da

giocatori d’azzardo e loro fami-

liari (oltre un centinaio di perso-

ne). Nel frattempo ho formato un

g

Page 25: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

gruppo di studio, di ricerca e

d’intervento sul gioco d’azzardo

patologico composto da quattro

psicoterapeuti il sottoscritto, le

dott.sse Marina Ponton, Cristina

Baldin ed Ebe De Monte) e una so-

ciologa (la dott.ssa Marilena Zoc-

colan).

Parallelamente all’attivazione dei

gruppi di terapia si è pure costituita

l’Associazione degli ex giocatori

d’azzardo e delle loro famiglie

(A.GIT.A.) con sede a Campofor-

mido (Ud). L’Associazione ha la

sua sede presso il Municipio di

Campoformido (Ud), poiché

l’Amministrazione Comunale ha

ritenuto che gli scopi statutari siano

d’alto contenuto sociale. Diverse

sono state e sono le iniziative che il

gruppo di studio e di ricerca ed

A.GIT.A., parallelamente all’ atti-

vazione dei gruppi terapeutici, han-

no progressivamente portato avanti

negli anni:

- incontri informativi e culturali sul

gioco d’azzardo aperti alla popola-

zione;

- partecipazione da parte

dell’équipe a seminari e convegni

con finalità scientifiche e di ricerca;

- incontri con i mass-media regio-

nali e nazionali volti ad una sensi-

bilizzazione ed un’ informazione

sul problema;

- ricerca epistemologica e clinica

attuata con 1’ apporto di contributi

forniti da varie discipline quali: la

psicologia, la psicopatologia, la

psichiatria, la psicoterapia, la socio-

logia e la letteratura;

- analisi ed approfondimenti conti-

nui sul lavoro terapeutico con le

persone coinvolte nel problema;

- organizzazione del primo conve-

gno nazionale su “I videopoker e il

gioco d’azzardo” (Campoformido,

6 maggio 2000);

- “lauree d’azzardo” - due edizioni

con presentazione di complessi- ve

sette tesi di laurea sul gioco

d’azzardo (Campoformido, 30 set-

tembre

settembre 2000 e 21 settembre

2002);

- organizzazione del primo, del se-

condo e del terzo convegno nazio-

nale su “Auto-aiuto e terapia per i

giocatori d’azzardo e le loro fami-

glie: esperienze e prospettive in I-

talia” (Campoformido, 16 dicem-

bre 2000; 15 dicembre 2001; 14

dicembre 2002); (19);

- organizzazione del convegno “Il

Bingo: un gioco d’azzardo per le

famiglie italiane” (Campoformido,

15 giugno 2001);

- apertura e aggiornamento conti-

nuo di un sito internet

(www.sosazzardo.it) che, oltre a

fornire un’ ampia informazione sul

problema, consente di chiedere in-

formazioni ed ottenere risposte in

tempo reale.

L’équipe di ricerca e di intervento

psicoterapeutico sui giocatori

d’azzardo patologici e i loro fami-

liari di Campoformido è riuscita,

con il tempo, a strutturare un pro-

gramma terapeutico che tiene con-

to delle specificità concernenti il

gioco d’azzardo. Attualmente, vie-

ne utilizzato un programma tera-

peutico che, monitorando e valu-

tando le eventuali modifiche per

migliorare il modello, consente un

intervento strutturato nel tempo e

con modalità ormai consolidate.

Organizzazione e caratteristiche

dei gruppi di terapia di Campo-

formido

Dopo la prima richiesta d’aiuto,

che può giungere dal giocatore

d’azzardo stesso, ma più frequen-

temente proviene da un suo fami-

liare, sono previsti alcuni colloqui

allo scopo di creare i presupposti

per l’ingresso nel gruppo terapeu-

tico. Nelle sedute con il giocatore

e la sua famiglia, oltre a valutare la

situazione psicologica dei singoli,

sono definite le complesse relazio-

ni che si sono delineate all’interno

della famiglia. Questi colloqui mo-

ti

tivazionali non sono rivolti solo al

giocatore, ma anche ai suoi fami-

liari.

Dopo questa prima fase, la fami-

glia e il giocatore sono inseriti in

un gruppo. I gruppi terapeutici

sono stati organizzati in base ad

alcuni criteri fondamentali: la

composizione, lo spazio, il tempo

e le regole.

Composizione

- giocatori d’azzardo patologici e

loro familiari;

- numero dei giocatori partecipan-

ti al singolo gruppo non superiore

a dieci unità;

- eterogeneità del gruppo rispetto

al livello socio-culturale, al sesso

e all’età.

Spazio

- le sedute avvengono sempre nel-

lo stesso luogo.

Tempo

- le sedute si effettuano una volta

la settimana, alla stessa ora ed

hanno una durata di due ore;

- la durata della terapia è di alcuni

anni e questo viene comunicato

fin dal primo colloquio per evitare

che nascano aspettative di cam-

biamenti immediati.

Alcune regole

• la partecipazione al gruppo tera-

peutico del giocatore e dei fami-

liari dovrà essere costante;

• le eventuali assenze saranno

comunicate prima dell’inizio de-

gli incontri;

• il giocatore s’impegna a non

giocare d’azzardo;

• il giocatore e i suoi familiari de-

vono mantenere il segreto rispetto

al contenuto delle sedute;

• il giocatore e i familiari stabili-

ranno l’ammontare dei debiti e ne

preventiveranno il risarcimento

nei modi e tempi ritenuti possibi-

li;

• il giocatore accetterà il controllo

finanziario da parte dei familiari;

• eventuali momenti di difficoltà

dovuti all’astinenza da gioco po-

tra

Page 26: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

potranno essere affrontati prenden-

do contatto con altri membri del

gruppo.

Il coinvolgimento di tutta la fami-

glia nella terapia di gruppo fa sì che

i familiari si rendano conto che ad

avere bisogno di aiuto non è esclu-

sivamente il giocatore, ma tutti i

componenti del nucleo familiare.

Caratteristiche dei partecipanti

alla terapia di gruppo di Campo-

formido

Ritengo utile fornire alcuni dati

emersi in questi anni d’attività cli-

nica rispetto allo stato civile, al ti-

tolo di studio, provenienza, alle

abitudini di gioco, all’età, al sesso,

alla professione, uso d’alcol, tabac-

co e sostanze psicotrope, alla fre-

quenza, alle percentuali

d’abbandono e ai risultati.

- Stato civile: il 65% dei giocatori è

sposato mentre il 35% non lo è.

- Titolo di Studio: il 3% è in pos-

sesso della licenza elementare, il

48% della licenza media, il 45% di

diploma di scuola superiore e il

4% di laurea.

- Provenienza: il 76% dei giocatori

proviene dalla Regione Autonoma

Friuli-Venezia Giulia, il restante

24% da oltre Regione.

- Abitudini relative al gioco: il 51%

giocava al casinò, il 21% alle corse

ai cavalli, il 15% al lotto, il 13% ai

videopocker; facciamo riferimento

alla classificazione dei giochi che

fece R. Caillois (23) in quattro

campi semantici (fortuna, competi-

zione, simulacro e vertigine); si

tratta, a ben vedere, di giochi di

“Alea” (“Il caso non ha né cuore né

anima”).

- Età dei partecipanti: il 7% ha me-

no di trenta anni, il 14% dai trenta

ai quaranta anni, il 51% dai quaran-

ta ai cinquanta anni, il 22% dai cin-

quanta ai sessanta anni, mentre il

6% ha più di sessanta anni; emerge

quindi un’età media piuttosto ele-

vata e questo fa ritenere che i gio-

catori e le famiglie arrivino al no-

stro Centro con esperienze di gioco

d’azzardo protratte negli anni.

catori e le famiglie arrivino al no-

stro Centro con esperienze di gioco

d’azzardo protratte negli anni.

- Sesso: l’85% dei giocatori in te-

rapia sono maschi e il 15% femmi-

ne; considerato che la percentuale

di donne giocatrici secondo le sta-

tistiche è del 25%, è interessante

osservare come, rispetto a tre anni

fa, la percentuale di soggetti di

sesso femminile che richiedono un

intervento terapeutico per gioco

d’azzardo patologico è aumentata

e, in futuro, sembra destinata ad

avvicinarsi alla percentuale (25%)

della popolazione generale.

- Professione: il 73% è lavoratore

autonomo, il 27% lavoratore di-

pendente. All’interno dei nostri

gruppi non ci sono disoccupati.

- Frequenza: il 71% dei giocatori

partecipa ai gruppi di terapia ac-

compagnato dai familiari, il 5%

partecipa senza presenza dei fami-

liari, mentre il 24% è rappresentato

da familiari che partecipano al

gruppo senza il giocatore

d’azzardo. Rispetto a tre anni fa

notiamo un aumento sensibile (+

19%) di questa ultima categoria.

Ciò significa che le famiglie sen-

tono ugualmente la necessità di

partecipare ai gruppi, in qualche

modo anticipando il lavoro sulle

relazioni all’interno del contesto

familiare.

Uso d’alcol, tabacco e sostanze

psicotrope: il dato che maggior-

mente s’impone è che il 90% dei

giocatori d’azzardo è dipendente

da tabacco; fanno uso d’alcol (al-

meno tre volte la settimana) il 15%

dei partecipanti, mentre l’uso di

una o più sostanze psicotrope ri-

guarda il 3% dei frequentanti i

gruppi di terapia.

- Percentuale d’abbandono: il 30%

dei giocatori abbandonano la tera-

pia e questo di solito avviene in

prima o in seconda seduta. I gioca-

tori d’azzardo che abbandonano i

gruppi di terapia riprendono tutti a

giocare

giocare d’azzardo.

- Risultati terapeutici: la stragran-

de maggioranza dei giocatori che

frequentano il gruppo non gioca-

no più d’azzardo, mentre altri, pur

continuando a frequentare la tera-

pia, continuano a giocare, anche

se in misura inferiore rispetto

all’inizio del trattamento.

E evidente che i dati riportati, pur

rappresentando una tendenza, non

possono essere considerati defini-

tivi; ciò che, invece, ci sentiamo

di poter sostenere è che la terapia

di gruppo per i giocatori

d’azzardo e per le loro famiglie

rappresenta uno degli strumenti

più adeguati per affrontare la di-

pendenza da gioco d’azzardo.

I cambiamenti dei giocatori e

dei familiari e gli scopi princi-

pali della terapia

Il giocatore scopre, partecipando

al gruppo, di non essere il solo ad

avere problemi, poiché riconosce

sofferenze e difficoltà comuni a-

gli altri componenti del gruppo.

All’interno del gruppo la soffe-

renza del giocatore si ridimensio-

na divenendo sofferenza condivi-

sa da tutti e quindi è vissuta dal

giocatore con minori sensi di col-

pa. Inoltre, il confronto con altri

giocatori fa scattare nell’individuo

un comportamento “imitativo”:

gli ex-giocatori d’azzardo, quelli

che non giocano più, possono

“generare” altri non giocatori

d’azzardo. Nello specifico, il

gruppo terapeutico ha la finalità

fondamentale di indurre un cam-

biamento nell’atteggiamento as-

sunto dal giocatore e dalla sua

famiglia nei confronti del pro-

blema del gioco d’azzardo, supe-

rando il bipolarismo giocare-non

giocare.

All’interno di un gruppo di gioca-

tori d’azzardo e familiari il gioco

è al centro delle prime sedute e,

attorno a “questo tema designa-

to”,

Page 27: Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line - Anno IV num. 9

to”, ruotano tempo, spazio, ruoli

ed elaborazioni.

Tenendo conto dei livelli di cam-

biamento proposti da Bateson, bi-

sogna uscire dalla riduttiva logica

di agire solo sul sintomo senza

portare l’individuo e la famiglia a

cambiamenti; di conseguenza, è

necessario intervenire sugli indi-

vidui e sulle loro relazioni agendo

sui significati e sulle dinamiche

della sofferenza nel tentativo di

indurre cambiamenti significativi

all’interno del contesto familiare.

In sintesi gli scopi principali della

terapia di gruppo sono, oltre che

quello di accrescere il supporto al

fine di favorire il processo di re-

cupero (attraverso il miglioramen-

to delle relazioni interpersonali),

anche quello di attenuare i timori

e le paure e favorire la libertà

d’espressione. Tutto ciò può av-

venire solo attraverso una riduzio-

ne degli atteggiamenti difensivi,

sia da parte del giocatore che di

chi gli sta intorno. Infatti, affievo-

lendo le difese, gli individui impa-

rano ad ascoltarsi, creando così

nuove idee. Il risultato è un cam-

biamento non più visto come

qua!cosa di temibile, ma

d’auspicabile.

Raggiungere questi stadi non è poi

così semplice. Emergono, spesso,

resistenze ad esprimere ciò che si

è, ciò che si è stati e ciò che si

pensa degli altri membri del grup-

po. Tutto ciò è principalmente do-

vuto alla difficoltà ad accettare se

stessi e al credere che basti poco

tempo per raggiungere gli obietti-

vi. Il cambiamento non riguarda

solo l’ex-giocatore, ma anche i

suoi familiari. All’interno della

famiglia, la terapia

famiglia, la terapia di gruppo induce

ad una ridefinizione dei ruoli e una

ridistribuzione dei compiti, senza

che si sviluppino comportamenti po-

larmente opposti e distruttivi.

Da quanto sopra esposto, emerge

l’importanza che la conduzione del

gruppo venga affidata ad uno psico-

terapeuta capace di creare un clima

psicologico di sicurezza in cui gra-

datamente si liberino intense emo-

zioni, ottenendo così nei partecipan-

ti un senso di sollievo e di risolu-

zione dei conflitti.

Il termine della terapia di gruppo e

la riconsegna, quindi, alla vita di

tutti i giorni delle famiglie, dopo

anni di psicoterapia, tiene conto di

questi importanti cambiamenti nello

stile di vita delle persone.

R. De Luca

in collaborazione con

La Rassegna Italiana delle Tossicodipendenze

Periodico quadrimestrale by Franco Angeli srl, Milano - Autorizzazione del Tribunale di Foggia n. 8 del 30/04/1991 - Direttore

re-sponsabile: Antonio del Vecchio - Direttore Scientifico: Giuseppe Mammana - Redazione e Direzione c/o DITE Edizioni

Scientifiche: Via G. Rosati, 137- Foggia- Tel/fax 0881/665777.

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