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Rivista di Arti Terapie e Neuroscienze On Line
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Anno IV – Numero 9
ArtiTerapie e Neuroscienze On Line
www.rivistaartiterapie.it
Settembre 2013
“Il pittore non disegna con le mani,
ma con gli occhi. Qualsiasi cosa
vede, se la vede chiara può metterla
su carta” (Maurice Grosser).
“Imparare a disegnare è in realtà
imparare a vedere, a vedere nel
modo giusto, che è molto di più che
guardare semplicemente con gli oc-
chi” (Kimon Nicolaides).
“L’artista è il confidente della natu-
ra. I fiori dialogano con lui per
mezzo dell’aggraziato curvarsi dei
loro steli e del loro dischiudersi in
armoniose sfumature di colori. O-
gni fiore ha per lui una parola cor-
diale che la natura gli rivolge” (Au-
gust Rodin).
L’Arteterapia mira a riattivare
l’emisfero destro e a sollecitare la
comunicazione armoniosa tra i due
emisferi consentendo all’individuo
di raggiungere quell’equilibrio che
gli necessita: “camminare con tutte
e due le gambe”, o se si preferisce,
“respirare con entrambi i polmoni”,
o ancora vibrare e accordarci con le
Disegnare con la parte destra del cervello – Frammenti (Parte Prima)
In questo numero...
Copertina Disegnare con la parte destra del cervello.
Frammenti (Parte Prima) di Patrizia Masciari
Pag. 3 LECCE - Progetto Hacca 2O: Bando per il reclutamento di
30 persone con disabilità e sindrome autistica
Pag. 4 Il Presidente di Artedo parla del Sistema per la creazione
d'Impresa Etica nelle nuove professioni di Chiara Spagnolo.
Pag. 12 Dall’inserto SALUTE E PREVENZIONE: L’intervento
psicoterapico con la famiglia nel servizio pubblico secondo un ap-
proccio relazionale sistemico di P. G. Semboloni
Pag. 19 Dall’inserto SALUTE E PREVENZIONE: Il gioco
d’azzardo tra conseguenze individuali, familiari, sociali, illusioni,
classificazioni e interventi terapeutici: L’esperienza di Campofor-
mido di R. De Luca
Rivista Telematica dell’Istituto di Arti Terapie e Scienze Creative – Iscr. N. 1046 Registro Organi della Stampa c/o Tribunale di Lecce – Direttore: Carmelo Tafuro.
Seguici
biofrequenze solari che scorrono
lungo il Sistema Parasimpatico e
Ortosimpatico, le frequenze che
generano la vita (corredo biologico
di cui siamo premuniti).
“Il mio obiettivo è di fornirvi gli
strumenti per liberare quel poten-
ziale creativo che abita in voi e per
accedere, in maniera cosciente, al-
le vostre facoltà inventive, di intu-
izione, di creatività e immagina-
zione che forse finora sono state
represse dalla nostra cultura verba-
le e tecnologica, nonché dal nostro
sistema educativo. Vi insegnerò a
disegnare, ma disegnare è soltanto
uno strumento, non è il fine. Impa-
rando a vedere, a disegnare, svi-
lupperete le facoltà della parte de-
stra del cervello, imparerete a ve-
dere il mondo in maniera diversa.
Disegnando imparerete a conosce-
re profondamente una parte della
vostra mente che vi farà percepire
ogni cosa in modo nuovo. Ciò vi
permetterà di trovare nuove solu-
zioni creative ai problemi sia pri-
vati che professionali, usando
nuovi processi di pensiero più glo-
bali e completi di quelli che avete
usato fino ad ora” (Betty E-
dwards).
“Disegnando noi ci manifestiamo:
così il tesoro segretamente accu-
mulato nel proprio cuore diviene
manifesto attraverso il lavoro crea-
tivo” (Albrecht Durer).
Strategia per accedere alla fun-
zione destra del cervello
Per poter accedere alle funzioni D
(emisfero destro del cervello), vi-
siva e percettiva, è necessario pre-
sentare al nostro cervello un com-
pito che la funzione S, verbale e
analitica, rifiuterà. Questi esercizi
che faremo, in maniera progressiva
e sempre più decisa, mirano a sol-
lecitare le funzioni D e ad impedi-
re che le funzioni S intervengano.
Bisogna sapere, però, che la fun-
zione
funzione S interviene automatica-
mente perché è iper-stimolata dal
nostro sistema educativo, scolasti-
co, tecnologico, mentre le funzioni
D ci appariranno estranee, scono-
sciute, atrofizzate, quindi, a volte
potrà risultare un vero e proprio
conflitto che ci porterà irritabilità,
mal di testa, nausea, voglia di in-
terrompere l’esercizio. Un altro
obiettivo di queste esercizi è quel-
lo di acquisire un profondo metodo
di osservazione (non giudicante)
che ci aiuterà nella formulazione
del protocollo da compilare rigo-
rosamente dopo ogni seduta o la-
boratorio sia individuale che grup-
pale (ERRORE DA NON FARE
ASSOLUTAMENTE: compilando
il protocollo dopo qualche ora, o
addirittura dopo qualche giorno, si
falsa totalmente la veridicità e
l’immediatezza della rivelazione
fornita dall’osservazione del mo-
mento presente). Ecco perché co-
minciamo a documentare ogni e-
sercizio con la firma, la data, il
numero dell’esercizio, i minuti, le
consegne, etc. Queste annotazioni
saranno preziosissime per docu-
mentare cosa il segno grafico vuo-
le rivelare, cosa noi stessi voglia-
mo esprimere e comunicare di noi
stessi, i progressi nel percorso, la
verbalizzazione, l’identificazione,
l’immaginazione, la ricomposizio-
ne. Sperimentiamo la prima fase:
Esercizi arabeschi, ai vasi e profili,
e immagini capovolte. Fermiamoci
ora a raccogliere ciò che abbiamo
sperimentato anche solo se per un
breve attimo siamo entrati nelle
funzioni D. Avete notato che non
vi accorgete del trascorrere del
tempo, quasi come se questo si di-
latasse o si fermasse addirittura.
Eravate consapevoli di essere ben
desti e presenti a voi stessi, ma al
tempo stesso rilassati e fiduciosi,
interessati e assorti nel disegno ma
con la mente lucidissima. Accade
di
di sentirsi esaltati, ma al tempo
stesso calmi, euforici ma nel
pieno controllo delle nostre fa-
coltà: è segno che le funzioni
dell’emisfero D si sono attivate
perfettamente e questo compor-
ta il rilascio di endorfine,
l’abbassamento dei valori del
cortisolo (ormone responsabile
dello stress) e una serie di rea-
zioni chimiche che si sono atti-
vate nel nostro organismo ac-
compagnate da senso profondo
di benessere e rilassamento.
Non è esattamente ancora la fe-
licità: è più una sorta di beatitu-
dine, un’estasi (nel senso etimo-
logico della parola “uscire da se
stessi”). Sentiamolo dalle parole
di un grande artista: “So bene
da me che solamente in lievi at-
timi mi è concesso dimenticare
me stesso… (Il pittore poeta
sente che la sua essenza vera,
immutabile parte dall’invisibile
che gli offre un’immagine
dell’eterno
dell’eterno reale) sento che non so-
no io nel tempo, ma che è il tempo
in me. Posso anche sapere che co-
desto arcano dell’arte non mi è dato
risolverlo in maniera assoluta, tut-
tavia mi vien quasi fatto credere che
sto per mettere le mani sulla divini-
tà”(Carlo Carrà 1918).
E’ vero che trovarsi in questo stato
(funzioni D), è piacevole, altamente
terapeutico perché ci affranca, per
un po’ di tempo, dalle tirannie
dell’emisfero S che ci domina in-
cessantemente, ed è proprio questo
che ci dà un estremo sollievo. Que-
sto prorompente desiderio di mette-
re a tacere l’emisfero S può spiegare
anche certe pratiche millenarie co-
me la meditazione che a volte può
condurre anche all’estasi,
all’alterazione cioè dello stato di
coscienza che può durare per un
certo tempo e che dà un notevole
senso di soddisfazione. Per qualche
minuto abbiamo accordato in noi le
frequenze vitali di cui siamo costi-
tuiti, con le Frequenze dell’intero
Universo Vivente, il nostro cuore in
questi attimi ha emesso frequenze a
0,1 Hertz: siamo in perfetta Coeren-
za con il Creato e il Creatore, questo
è il paradiso, questo è il Regno dei
Cieli, questo è il Giardino Segreto
del Cantico dei Cantici. Ci stiamo
avvicinando sempre di più al pro-
blema ed alla sua soluzione! Cosa
impedisce ad una persona di vedere
gli oggetti abbastanza chiaramente
da poterli disegnare? La risposta, in
parte, è che fin dall’infanzia noi ab-
biamo imparato a considerare gli
oggetti più in termini verbali che vi-
sivi: per esempio, non ci perdiamo
nell’osservazione di una sedia, ma
(dopo una rapida occhiata) la rico-
nosciamo analiticamente e la classi-
fichiamo, senza volerne sapere di
più. Ma per disegnare bisogna guar-
dare le cose a lungo, percepirne i
dettagli, le diversità, la bellezza,
l’unicità e raccogliere con pazienza
più informazioni visive possibili.
ma
Apri una Scuola di
Arti Terapie nella tua
città Vuoi aprire una Scuola
Art.eD.O. nella tua città,
in conformità al Proto-
collo Dscentes per la
Formazione in Arti Terapie
in Italia? Verifica se siamo
già impegnati o se tutti i
moduli formativi sono stati
già assegnati nella tua
provincia. Se sei il primo a
fare richiesta di entrare in
rete con noi, ti comuni-
chiamo che puoi iniziare
anche adesso.
Il Protocollo Discentes
per le Arti Terapie Il Protocollo Discentes è
un modello didattico,
ideato dall’Istituto di Arti
Terapie e Scienze Crea-
tive e coordinato da
Art.eD.O., che prevede
l’acquisizione da parte
degli allievi iscritti di com-
petenze in ambito teorico-
relazionale (conoscenza
della psicologia, psichia-
tria e della neurologia),
coniugate con compe-
tenze pratiche, per inter-
venire in tutti i contesti del-
la relazione d’aiuto, at-
traverso l’utilizzo delle
tecniche di Arti Terapie
(Musicoterapia, Artetera-
pia plastico pittorica,
Danzaterapia, Teatrote-
rapia).
CLICCA QUI
per leggere tutto
All’emisfero S manca questa pa-
zienza, e quindi si ribella e dice:
“E’ una sedia, e basta!...non c’è
altro che mi interessi. Mi annoia
guardarla, quindi, non scocciarmi
con questa storia del vedere”. Lo
stesso accade quando si vuole di-
segnare un volto: l’emisfero S lo
elabora, con un certo fastidio, at-
traverso dei simboli che usa per
gli occhi, per il naso, la bocca, etc.
Ma la stessa cosa succede anche
nelle relazioni con i nostri simili,
per essere felici e appagati attra-
verso l’arte della relazione, biso-
gna guardare a lungo negli occhi,
percepire i dettagli, le similitudini,
le diversità, la bellezza delle luci
di un carattere, come quella delle
ombre e degli spigoli, l’unicità al-
trimenti ci sfugge grossolanamen-
te e con essa l’opportunità di esse-
re felici, rischiamo drammatica-
mente di rimanere rigorosamente
superficiali e morir di freddo. Ec-
co perché il disegno di un adulto
parla di simboli infantili che risal-
gono a quando aveva sei o sette
anni, cioè l’età in cui avrebbe do-
vuto cedere il compito di vedere
all’emisfero D. Come, allora, ri-
solvere questo increscioso dilem-
ma e sbloccare l’artista che abita
in noi? Lo stratagemma più effi-
cace è quello che abbiamo comin-
ciato a sperimentare in queste le-
zioni precedenti: sottoporre al
cervello dei compiti che
l’emisfero S non possa portare a
termine! Sperimentiamo, senza
scoraggiarci per le ribellioni dell’
emisfero S, il tanto piacevole pas-
saggio alle funzioni D, che ci aiu-
teranno a disegnare meglio pro-
prio perché vediamo meglio, ma
che ci aiuteranno anche, cosa che
a noi interessa maggiormente, a
vedere il mondo, noi stessi e il
Creato da una Nuova Prospettiva,
come da un Ponte.
Patrizia Masciari
Il progetto Hacca 2o, proposto e
realizzato dall’Associazione
CUAMJ Onlus in collaborazione
con l’Istituto di Arti Terapie e
Scienze Creative, è finalizzato
alla realizzazione di un “laborato-
rio integrato” per lo svolgimento
di attività natatorie e arte terapeu-
tiche in favore di 30 persone fra
bambini, adolescenti e adulti con
sindrome autistica e/o ritardo
mentale e psicomotorio.
Premesse al progetto
Negli ultimi anni, l’Autismo si
sta rivelando una vera emergenza
sociale, sia per il suo tasso di
incidenza sulle nascite, sia a cau-
sa del suo alto grado di intrusione
sociale, non dimenticando che la
sola Provincia di Lecce consta di
oltre 4.700 persone affette da tale
patologia. Gli utenti saranno se-
guiti nelle attività da docenti e-
sperti nel campo del trattamento
per l’Autismo, dello sport e delle
attività artistico-culturali. Sarà
garantito il rapporto 1:1 (un edu-
catore per soggetto) per gli utenti
che ne abbiano necessità. Le atti-
vità si svolgeranno in due giorna-
te infrasettimanali, da concordare
con gli utenti in base alle necessi-
tà, in orario antimeridiano, dalle
9.00 alle 12.00. Durante la chiu-
sura estiva della Piscina di Car-
miano, si garantiranno attività
culturali e artistiche (danzatera-
pia, arteterapia, musicoterapia e
corsi di formazione per educatori,
genitori e per tutte le persone
motivate al trattamento legato
all’Autismo e al Ritardo Menta-
le). Gli utenti parteciperanno in
maniera del tutto GRATUITA al
progetto per i 12 mesi previsti a
partire dalla data di inizio. Gli
utenti afferenti al progetto go-
dranno inoltre di una Polizza As-
sicurativa per eventuali danni ca-
gionati verso se stessi o verso terzi,
stipulata dall’Associazione
CUAMJ, promotrice del progetto.
Sintesi e finalità del progetto
L’elemento acqua (simbolo chimi-
co H2O), come attivatore emozio-
nale, può essere concepito come
ristabilimento di un interesse fra
noi ed il soggetto, il cui rifiuto al
contatto con il mondo esterno è
"l’effetto di strutturazioni o, se si
vuole, "alterazioni della costituzio-
ne del registro immaginario; il re-
cupero non può essere inteso solo
come riguardante le funzioni psico-
mentali, ma come riorganizzazio-
ne delle capacità di relazione e di
partecipazione alla vita sociale
(soprattutto attraverso
l’educazione, la formazione e
l’apprendimento); l’autistico, per
effetto del "rallentamento" e della
"svincolazione" di funzionalità
normalmente saldate tra loro e che
si sviluppano e si integrano vicen-
devolmente, non ha coscienza di
essere un soggetto "regredito", ma
può attivare "movimenti psichici"
impercettibili a causa della loro
rapidità ed anche bloccati a causa
del ripiegamento narcisistico. Pro-
prio per questo è importante un
precoce inizio della terapia in ac-
qua. L’apparato pulsionale del
bambino, apparentemente malato,
è invece "danneggiato" e non può
promuovere investimenti, ma di-
mostra una certa alternanza di stati
per cui, mentre rifiuta il contatto
con il mondo esterno, si lamenta
d’averlo perso, aprendo così le
porte ad un Io-ausiliario che, come
terapeuta, ha la possibilità di ricre-
are ponti affettivi e la reale possibi-
lità di fare uscire dal "buco nero
dell’isolamento". E’ prioritario un
programma di diffusione del pro-
getto
che coinvolga direttamente tutte
le famiglie con figli diversamente
abili e normodotati:
• attraverso la Scuola, quale luo-
go fisico in cui si recepisce diret-
tamente il focus delle necessità;
• le Istituzioni Sociali e Sanitarie;
enti che offrono terapie, istruttori
di centri sportivi, responsabili di
altre attività ricreative, gestori di
locali o strutture disponibili a
partecipare.
La fase operativa del progetto si
svolgerà nelle strutture del Centro
Sportivo "Paradise s.a.s", al km
22 della Strada Prov.le Carmia-
no-Copertino e dell'Istituto di Ar-
ti Terapie e Scienze Creative, in
Via Villa Convento 24/A, en-
trambe site in Carmiano (LE). Le
attività in piscina partiranno il
primo mercoledì di Ottobre 2013.
Il progetto terminerà il 31 maggio
2014 con le gare sportive e le re-
lative premiazioni dei partecipan-
ti.
Beneficiari: 30 famiglie con figli
affetti da Autismo e Ritardo
Mentale, provenienti dagli ambiti
della Provincia di Lecce.
Per info ed iscrizioni: inviare il
modulo d'iscrizione GRATUITA
(cliccare per scaricare) a Segrete-
ria IATSC (organo di comunica-
zione ufficiale)
Tel: 0832.601223 - 329.4226797
Fax: 0832.1831426
Email: [email protected]
Contatto con il Presidente
CUAMJ: 334.8648212 -
338.1053170
E-mail: [email protected]
LECCE - Progetto Hacca 2O: Bando per il reclutamento di 30 persone con di-
sabilità e sindrome autistica
Il Presidente di Artedo parla del Sistema per la creazione d'Impresa Etica
nelle nuove professioni".
Si è svolto il 27 Settembre 2103
nell’Auditorium Walter Corsi del-
la sede nazionale di Confartigia-
nato Imprese il Congresso dal tito-
lo “L'IMPRESA ETICA: NORME
TECNICHE E CERTIFICAZIONE
DELLE NUOVE PROFESSIONI AI
SENSI DELLA LEGGE 4/2013”. La manifestazione, organizzata da
ARTEDO e riservata in via esclu-
siva a tutti i propri associati, a va-
rio titolo aderenti al Sistema
d’Impresa Etica del Protocollo Di-
scentes, ha toccato i temi delle
nuove professioni, argomento al
quale Confartigianato Imprese ha
espresso il proprio interesse con la
stesura di un addendum di con-
venzione con la stessa Associa-
zione Artedo per il presidio sui
Tavoli delle Norme Tecniche e la
rappresentanza congiunta di tutte
le nuove categorie Professionali
disciplinate dalla Legge 4/2013.
Dopo la registrazione e l’apertura
dei lavori, la parola è andata
all’ospite, per i saluti rituali e per
la relazione introduttiva. “Da
sempre Confartigianato rappresen-
tiamo le necessità dell’Impresa in
Italia” ha detto Bruno Panieri, Di-
rettore delle Politiche Economiche
dell’illustre Confederazione. ”E,
pur non essendo quello delle Pro-
fessioni il nostro ambito precipuo,
abbiamo accolto favorevolmente
la proposta di Artedo di stabilire
un presidio nazionale congiunto in
tale direzione, perché condividia-
mo il fare etico con cui si presenta
il Protocollo Discentes. Riteniamo
importante, infatti, che la nuova
impresa che nasce con la forma-
zione dei nuovi operatori sia il ri-
sultato di un incontro di bisogni:
da una parte, quelli dei nuovi enti
che, adeguatamente supportati,
contribuiranno a creare nuove op-
portunità e nuove economie;
dall’altra
dall’altra, quelle dei futuri operato-
ri, finalmente riconosciuti e rico-
noscibili; ma, soprattutto, quelli
del territorio, fatto di persone, in
cui entrambi si troveranno ad agi-
re”.
A seguire, Giancarlo Colferai, Pre-
sidente del CEPAS, ente di certifi-
cazione dei corsi di formazione e
delle professioni,accreditato AC-
CREDIA, nonché partner di Con-
fartigianato Imprese, ha illustrato
ai presenti i criteri di certificazione
di parte terza, sottolineandone
l’importanza ai sensi della Legge
4/2013 e del Decreto 13 del 16
gennaio 2013. Concetti ribaditi da
Alberto Simeoni, responsabile
dell’Ufficio UNI di Roma, che si è
soffermato sui sistemi di norma-
zione volontaria e dell’importanza
che essi rivestono in esecuzione
della recente Legge sulla Discipli-
na delle Professioni non organizza-
te in Ordini e Collegi. “La Legge
4/2013” ha detto Stefano Centon-
ze”, Presidente di Artedo, “pone
l’accento sulla tutela dell’utenza.
Professionalizzare, qualificare e
contribuire alla certificazione dei
futuri professionisti è la massima
garanzia pensabile per le fasce de-
boli del Terzo Settore. Arte Tera-
peuti, Counsellor, Naturopati an-
dranno ad operare in contesti deli-
cati come quelli dei servizi alla
persona, laddove il sopraggiunto
professionismo soppianterà
l’improvvisazione e la mancanza
di autoregolamentazione che ha ca-
ratterizzato taluni operatori in un
recente passato. Se consideriamo
che la nuova impresa passerà per il
sociale, è facile prevedere quanti
operatori siano desiderosi di tro-
varvi collocazione: senza una di-
sciplina, sarebbe impossibile per
gli utenti orientarsi nel mare ma-
gnum dell’offerta di servizi. Senza
una
una disciplina, in altre parole, sa-
rebbe impossibile distinguere un
professionista da chi non lo è.”
Centonze, incaricato da Confarti-
gianato Imprese a presidiare sui
Tavoli UNI il gruppo di lavoro per
la stesura della norma sulle Arti
Terapie,ha, inoltre, parlato alla
platea dei soci, composta da circa
trentacinque associazioni in rap-
presentanza delle quasi cinquanta
Scuole di Formazione aderenti al
Sistema d’Impresa Etica del Pro-
tocollo Discentes in Italia, Francia
e Svizzera, dello stato dell’arte per
il proprio settore di specifica
competenza. A seguire, Giuseppe
Mammana, Presidente
dell’Associazione Di.Te., e Vin-
cenzo Leo, Presidente
dell’Associazione Terraroussa,
partners di Artedo per i settori, ri-
spettivamente, del Counselling e
della Naturopatia, hanno fatto il
punto per quanto di propria com-
petenza.
“A nome di Artedo”, ha concluso
Centonze, “sono grato a CON-
FARTIGIANATO IMPRESE per
la sua vicinanza, come al CEPAS
e all’UNI che, intervenendo uffi-
cialmente in questa occasione,
hanno dimostrato l’impegno e la
professionalità che da sempre li
contraddistingue.”
Dopo un breve intervento di saluto
di Eric Gimbert, Presidente della
Federazione Internazionale di Ri-
flessologia con sede in Francia, i
lavori sono proseguiti nel pome-
riggio con l'Assemblea Nazionale
dei Soci Artedo per
l’approvazione del nuovo statuto,
in conformità con quanto disposto
dalla Legge 4/2013.
(Nella prima foto: Giancarlo Col-
ferai, Bruno Panieri, Alberto Si-
meoni e Stefano Centonze).
___________________________
ti in precedenza, e come tale non
iscritti in Albi, il loro status. E
questo vale per tutti. Basti pensa-
re che l’UNI, l’ente nazionale per
la stesura delle norme tecniche
volontarie di settore ha circa 80
proposte di norme per altrettante
professioni da evadere.
Come si sta muovendo Artedo?
Artedo è un’associazione che è
anche registro professionale. Cu-
ra, in primis, gli interessi degli
esperti in Arti Terapie. Con
l’entrata in vigore del Protocollo
Discentes, tuttavia, sposa, in
partnership con altri enti, le istan-
ze anche di altre categorie profes-
sionali, come i Naturopati e i
Counsellor. E, sviluppando siste-
mi per la creazione d’impresa eti-
ca nelle nuove professioni, ne dif-
fonde la cultura della formazione.
Inoltre, essendo partner di Con-
fartigianato Imprese, il mercato
del lavoro e l’occupazione dei
giovani sono temi attuali per Ar-
tedo che cura molto gli intessi
delle imprese di domani.
Come nasce l’idea di Artedo di cre-
are il Sistema d’Impresa Etica del
Protocollo Discentes?
Le premesse sono quelle create
dall’ormai famosa e citata Legge
n
Intervista a Stefano Centonze -
Presidente di ARTEDO
Finalmente, dopo trent’anni
d’attesa, arriva la Legge che rico-
nosce le professioni non organiz-
zate in ordini o collegi. Un tra-
guardo storico, raggiunto nel po-
meriggio del 19 Dicembre 2012,
allorquando il DDL 3270 è stato
definitivamente approvato e, suc-
cessivamente, il 14 Gennaio 2013
per l'esattezza, tramutato in Legge
(Legge n.4/2013 - Disposizioni in
materia di professioni non orga-
nizzate in Ordini e Collegi) per
dar via ad una nuova era del mer-
cato del lavoro e delle nuove pro-
fessioni.
Che cosa cambia adesso nel mondo
delle professioni e, con uno sguardo
alle imprese ed al mercato del lavo-
ro, nel panorama nazionale della
formazione?
Lo abbiamo chiesto a Stefano
Centonze, Presidente di ARTE-
DO, uno degli stakeholders tra i
più attivi in Italia per il settore
delle Arti Terapie, presente sul
Tavolo della normazione UNI in-
sieme a CONFARTIGIANATO
IMPRESE, fondatore del Proto-
collo Discentes, l’innovativo si-
stema per la creazione d’impresa
etica nel settore della formazione
delle nuove professioni.
Presidente, con la Legge 4/2013 è
dunque finalmente arrivato il rico-
noscimento che si attendeva da tanto
tempo in settori come le Arti Tera-
pie, la Naturopatia, il Counselling. È
così?
È anche così. Nel senso che la
Legge 4/2013 non riconosce espli-
citamente le professioni come
l’Arteterapeuta, il Naturopata o il
Counsellor. Le disciplina. Ovvero,
con le “Disposizioni in materia di
professioni non organizzate in or-
dini o collegi” riconosce ai profes-
sionisti di tutti i settori mai norma-
ti
n. 4 del 14 Gennaio 2013. Con
l’approvazione delle cosiddette
Disposizioni in materia di profes-
sioni non organizzate in Ordini e
Collegi, infatti, il Legislatore apre
il mercato del lavoro a tutte quei
professionisti in possesso di com-
petenze non formali, frutto della
pratica e dell’esperienza. In nome
di questa libertà fiorisce una nuo-
va generazione di esperti a cui è
demandato il compito di farsi va-
lere nel mondo del lavoro sulla
base delle proprie capacità di fare,
senza vicoli di conoscenze tecni-
che formali. Artedo raccoglie la
sfida e si colloca al centro di que-
sto universo, proponendo un pro-
prio modello per creare nuova
impresa, denominato, per
l’appunto, Protocollo Discentes,
attraverso l’apertura di scuole per
la formazione dei nuovi profes-
sionisti. Una formazione flessibi-
le, dinamica, vantaggiosa e di fa-
cile accesso, erogata in
partnership con associazioni, coo-
perative ed enti che diventano
Imprese Etiche, a loro volta crea-
trici di imprese etiche.
Che cos’è un’Impresa Etica?
È molto semplice: oggi Artedo,
un’Associazione Nazionale, pro-
pone un’idea suggestiva per sfida-
re il momento di difficoltà
dell’economia italiana. Acquisi-
sce il partenariato di altre associa-
zioni e cooperative, desiderose, da
una parte, di soddisfare i bisogni
delle fasce deboli, formando i
professionisti della relazione
d’aiuto e del sociale, sapendo che
importanza ha ormai acquisito il
Terzo Settore nel nostro Paese
(destinatario di enormi risorse da
parte dell’UE); dall’altra, di svi-
luppare economie etiche, attraver-
so un sistema che ripartisce e
condivide con il territorio la ric-
chezza che è in grado di produr-
re, sia in termini materiali che
mora
riali che morali. Né bisogna stupir-
si se si parla d’impresa in riferi-
mento ad associazioni: è lo stesso
legislatore che, nella Legge
4/2013, richiede agli enti che si
proporranno di rappresentare le i-
stanze dei nuovi professionisti di
possedere la struttura dell’impresa.
In questo senso, gioca a favore di Ar-
tedo la vicinanza di Confartigianato
Imprese?
Esatto. È dal dicembre 2012 che
esiste un protocollo d’intesa tra noi
e Confartigianato Imprese. Ed io
ho l’immenso piacere e l’onore di
rappresentare questa coalizione sui
tavoli per la stesura delle norme
tecniche di settore presso l’UNI,
l’ente preposto dallo Stato alla ri-
levazione dei bisogni delle nuove
professioni, finalizzata
all’elaborazione, in condivisione
con gli stakeholders per ogni cate-
goria, di norma attuative a caratte-
re volontario. Insieme rappresen-
tiamo l’impresa di oggi e, soprat-
tutto, di domani, quella che nasce-
rà dall’iniziative dei nuovi profes-
sionisti.
È così che l’Impresa Etica crea nuo-
va impresa etica?
Naturalmente. I professionisti for-
mati con noi si costituiranno, con il
tempo, in imprese etiche per co-
gliere le opportunità offerta dal
Terzo Settore. Progetteranno inter-
venti, spendendo al meglio le pro-
prie competenze, e formeranno a
loro volta nuove professionalità. E
così all’infinito.
sia in Italia che nel resto del
mondo, anche in assenza di speci-
fiche competenze tecniche nei va-
ri settori d’interesse. Un ente che
vogli avviare la propria impresa
etica nella formazione in Arti Te-
rapie, in Counselling o in Naturo-
patia, ad esempio, può diventare
Scuola di Formazione con noi,
grazie all’adozione del modello
didattico innovativo che non lo
vincola al possesso delle cono-
scenze pregresse, poiché tutto il
now how viene fornito da Artedo
e dai partner tecnici scelti per i
vari settori. Così, noi eroghiamo
una parte della formazione, quella
basata sullo studio dei materiali
documentali a distanza, mentre la
nuova sede eroga il resto della
formazione in presenza, utiliz-
zando docenti e modalità didatti-
che proprie o fornite, direttamente
o indirettamente, da ARTEDO. È
come dire che basta che l’ente
abbia la volontà di creare la pro-
pria impresa. Poi, pensiamo noi a
tutto.
In che senso il Protocollo Discentes
è Impresa Etica?
Per una serie di ragioni. Un si-
stema didattico innovativo come
il Protocollo Discentes, basato su
una modalità mista di apprendi-
mento, tra laboratori in presenza e
studio a distanza, incontra il terri-
torio e le sue necessità su più a-
spetti. Innanzi tutto, la facilità di
accesso permette a realtà struttu-
rate o non ancora organizzate di
plasmarsi sul modello aziendale,
formando i nuovi professionisti
della relazione d’aiuto. Pensiamo
agli arteterapeuti, ai counsellor e
ai naturopati, il cui lavoro rispon-
de ai bisogni di servizi di qualità
da parte del territorio. Al tempo
stesso, abbatte i costi della forma-
zione, rendendola accessibile a
tutti, ma senza togliere nulla ad
una formazione di primissimo or-
na
Parliamo del Protocollo Discentes…
È un Sistema per la Creazione
d’Impresa Etica nel campo della
formazione delle nuove professio-
ni, da poco riconosciute, ed offre
l’opportunità ad associazioni, coo-
perative ed enti di avviare scuole
di formazione in partnership con
ARTEDO, promotore del progetto,
dine. Dunque, incontra i bisogni
delle fasce deboli e sfida il mo-
mento di difficoltà che attraversa
l’economia mondiale, generando
nuove opportunità condivise. In
più, e solo questo basterebbe a
giustificare l’attribuzione etica,
assicura la conformità dei percor-
si formativi alle norme tecniche
UNI per i vari settori,
l’inserimento delle imprese e dei
professionisti formati nei sistemi
di certificazione e l’accesso diret-
to ai registri professionali, secon-
do quanto stabilito dalla Legge
4/2013.
Aggiungiamo anche dei dati stati-
stici: attualmente il mercato della
formazione ha un’incidenza del
20% circa sul PIL del nostro Pae-
se. Con la liberalizzazione delle
professioni, prolifereranno tal-
mente tanti di quei corsi che, tra
qualche anno, il Terziario Avan-
zato potrebbe addirittura diventa-
re il settore trainante dell’intera
economia nazionale. Ecco perché
è il momento giusto per fare im-
presa nella formazione, meglio se
impresa etica, seguendo una pro-
posta innovativa come la nostra
che non ha precedenti.
Veniamo per un momento
all’UNI…
Qualcosa dell’UNI l’abbiamo già
accennata. Di fatto, il Legislatore
individua nell’UNI l’ente di rac-
cordo tra tutti i massimi esponenti
nazionali di una data professione
che richiedano di autodisciplinar-
si. Ribadisco: in maniera del tutto
volontaria. Vuol dire che chiun-
que eserciti una delle nuove pro-
fessioni senza aderire ad una
norma tecnica UNI non infrange
alcuna legge, benché l’esistenza
di una norma volontaria sia co-
munque uno spartiacque impor-
tante, poiché i professionisti con-
formi e certificati ai sensi della
stessa dovranno essere inseriti in
re
registri pubblici sul web per favo-
rire favorire la conoscibilità della
formazione di ciascuno da parte
dell’utenza, per combattere abusi
di professione e improvvisazione.
E anche qui si entra in un campo
minato…
Sì, perché il professionista certifi-
cato, titolare di partita IVA, per
poter esercitare è come se dovesse
“uscire allo scoperto”, è come se
dovesse alzare la mano in
un’assemblea e dichiararsi., poiché
i registri, lo abbiamo detto, saran-
no pubblici e le informazioni sugli
aderenti accessibili a tutti. E con il
regime d’imposizione fiscale che
abbiamo in Italia, non siamo in
grado di prevedere in quanti segui-
ranno la strada tracciata dalla Leg-
ge 4/2013 e quanti si avvarranno
della facoltà di non farlo. Il punto
è che bisogna comprendere se gio-
cherà un ruolo fondamentale nella
cultura dei nuovi professionisti la
paura per la stress che comporta
l’iscrizione nei registri o l’abissale
differenza tra certificazione e non,
poiché la mia impressione è che ci
troviamo di fronte ad una volonta-
rietà finta, ad una obbligatorietà
camuffata da volontarietà.
suoi documenti, di essere “pro-
fessionista disciplinato ai sensi
della legge 4/2013”. Dovrà apri-
re una propria partita IVA, avere
la firma digitale ecc.
Quindi, anche se aderire alla
norma non è obbligatorio per il
professionista, di fatto è come se lo
fosse, pur nel rispetto del libero
mercato?
Infatti. Il Legislatore ammette
tutti ma demanda agli organismi
tecnici competenti la stesura del-
le norme volontarie per ogni set-
tore e, successivamente, la certi-
ficazione delle competenze. Chi
vorrà certificarsi ai sensi delle
norme, dunque iscrivendosi ad
associazioni iscritte, a loro volta,
nei registi pubblici del MISE,
impegnandosi a svolgere forma-
zione continua, a rispettare un
codice etico ecc., otterrà il rico-
noscimento di una “Qualifica”,
equiparata al sistema europeo di
qualifica della formazione EQF.
Chi non vorrà certificarsi, pari-
menti, sarà libero di farlo. Le as-
sociazioni alle quali aderiranno i
professionisti come in
quest’ultimo caso, potranno rila-
sciare un “Attestato” di confor-
mità alla norma tecnica. Essi sa-
ranno tenuti a rispettare le rego-
le delle associazioni alle quali
aderiranno ma non le indicazioni
del MISE, poiché non assogget-
tati alle condizioni delle certifi-
cazioni. Il discorso, dunque, va-
le per professionisti ed associa-
zioni. Ognuno potrà scegliere in
totale autonomia da che parte
stare, benché ottenere certifica-
zione e qualifica abbia un valore
diverso, sul piano formale, dal
non averle.
Come pensa che si orienteranno i
professionisti davanti a tutto ciò,
visto che entra in gioco la tutela
dell’utenza?
Come sempre, ci sarà chi vorrà
ade
Ma la rispondenza ai profili tracciati
dalle norme e dalle certificazioni è
indispensabile per esercitare le pro-
fessioni ai sensi di questa Legge?
No. Ogni operatore può decidere
se conformarsi alla norma tecnica
del proprio settore oppure no. Nel
caso si rifiutasse, continuerebbe a
svolgere la professione come ac-
caduto fino a prima dell’entrata in
vigore della Legge. Se volesse far-
lo, avrebbe diritto al riconoscimen-
to dello status di professionista e,
come tale, soggetto alla disciplina
della norma e dell’eventuale certi-
ficazione che, a sua volta, rappre-
senta una ulteriore qualificazione.
Egli potrà così dichiarare, in tutti i
aderirvi e chi no, trattandosi ap-
punto di norme volontarie, ma la
loro esistenza sarà un inequivoca-
bile deterrente per chi opera senza
cognizione di causa, senza essere
in possesso dei requisiti per
l’esercizio delle nuove professio-
ni. E’ proprio questa la tutela per
l’utenza, poiché i professionisti
potranno riunirsi in associazioni
professionali per l’istituzione di
registri pubblici e per farsi certifi-
care da enti terzi super partes. Mi
riferisco, oltre che all’UNI, al
CEPAS e agli altri enti di certifi-
cazione accreditati ad ACCRE-
DIA, e ai registri pubblici delle
associazioni professionali accredi-
tate al Ministero per lo Sviluppo
Economico. Per non parlare dello
Sportello del Consumatore che le
Associazioni Professionali sono
tenute a istituire: il Legislatore ha
pensato a tutto per la tutela
dell’utenza.
Questa libertà non è in nessun modo
una minaccia per utenza e associa-
zioni professionali?
Proprio no. Una norma volontaria
permette a tutti di scegliere se uni-
formarvisi ma la pubblicazione su
siti web del MSE e delle varie as-
sociazioni professionali di opera-
tori certificati ai sensi della stessa
norma aiuterà l’utenza ad indivi-
duare chi sia meritevole di fiducia
e chi no.
Ci saranno ripercussioni in Europa,
dove ancora, a livello centrale, non
esiste un corrispettivo del sistema
legge-norma-certificazione varato in
Italia con la Legge 4/2013?
Noi confidiamo molto che l’UE
segua le buone prassi messe in
campo dal nostro Paese. E accadrà
naturalmente che il nostro sia un
precedente importante per gli altri
Stati. Associazioni professionali,
ad esempio, francesi, potranno ri-
volgersi alle proprie istituzioni per
richiedere una norma sulla base di
q
quella italiana o, viceversa, aggan-
ciarsi alla nostra norma per tutti i
casi di vacatio legis. Il riferimento
alla Francia, peraltro, non è casua-
le: noi di Artedo abbiamo già in-
trapreso questa strada creando una
forte partnership proprio con Parigi
per l’adozione del nostro protocol-
lo didattico in tutti i paesi anglofo-
ni. E non è che il primo passo di
quella che abbiamo denominato
“Scuola Diffusa 2.0”. Oggi partia-
mo dalle Arti Terapie nel mondo:
le altre professioni seguiranno a
ruota.
Che cos’è la Scuola Diffusa 2.0?
È una visione e, nello stesso tem-
po, il futuro della formazione. Ar-
tedo è a più livelli un precursore
dei tempi: abbiamo anticipato di
anni l’uscita delle norme di settore,
dicendo esattamente ciò che oggi
dice la Legge 4/2013. Oggi dicia-
mo pure che la strada
dell’innovazione è la strada del fu-
turo, anche nella formazione dei
settori più tradizionali, sapendo
che si realizzerà. Di fatto con la
Scuola Diffusa 2.0 diventa sistema
a carattere europeo e mondiale
l’idea, in Italia promossa con il
nome di Protocollo Discentes, di
creare un’unica scuola, grande
come l’Europa, dispensatrice dei
medesimi livelli di formazione e
che garantisca la libera circolazio-
ne degli allievi, per lo scambio e la
condivisione delle esperienze, che
sono il valore aggiunto e, talvolta,
quell’arricchimento che manca nei
corsi universitari di stampo classi-
co. E questo vale per le Arti Tera-
pie, per il Counselling, per la Natu-
ropatia e per l’offerta formativa
che, con il tempo, nascerà intorno
al Protocollo Discentes.
A che punto sono i lavori per gli
ambiti d’interesse di Artedo?
La norma per il settore della Natu-
ropatia è già in vigore da giugno
2013. Per le Arti Terapie ed il
Counselling, probabilmente,
la fumata bianca sarà per la
fine dell’anno.
Counselling, probabilmente, la
fumata bianca sarà per la fine
dell’anno. Le Associazioni pro-
fessionali dei settori citati sono
attualmente al lavoro sui tavoli
dell’UNI. E noi tra quelle.
Torniamo al Protocollo Discentes.
Qual è l’offerta disponibile per fa-
re impresa con Artedo?
Oggi, i partner di Artedo posso-
no erogare corsi di formazione
in Arti Terapie (Musicoterapia,
Arte Terapia Plastico-Pittorica,
Teatro Terapia, Danza Movi-
mento Terapia), in Naturopatia e
in Counselling Relazionale E-
spressivo Integrato, aprendo
scuole in esclusiva provinciale
in tutta Italia in conformità con
il Protocollo Discentes.
Per l’estero, siamo già pronti per
l’attivazione di corsi di Arti Te-
rapie in lingua francese, inglese
e spagnola. Mentre, a breve, al-
tre offerte formative saranno di-
sponibili.
Possiamo parlare della nascita di
un franchising, di un circuito
d’affiliazione per nuove Scuole di
Arti Terapie, Naturopatia, e
Counselling?
Per favore, no. Il Protocollo Di-
scentes è un sistema associativo, non un franchising. Cioè, non è
uno
uno strumento commerciale. Il
senso dell’iniziativa è mettere a
disposizione della diffusione del-
la cultura delle Arti Terapie, della
Naturopatia e del Counselling – e
per incentivare il loro riconosci-
mento formale, che passa da una
capillare articolazione delle scuo-
le di formazione e della veicola-
zione di un messaggio di alta pro-
fessionalità - una metodologia di-
dattica, all’interno della quale i
partner che hanno fondato i mo-
delli teorici di riferimento, cia-
scuno per la propria disciplina,
fanno convergere anni di profes-
sionalità, ricerca ed esperienza
applicativa: l’Istituto di Arti Te-
rapie e Scienze Creative per le
Arti Terapie, Di.Te. per il Coun-
selling e Terraroussa per la Natu-
ropatia. Tutte organizzazioni che,
nel proprio modello didattico,
hanno da sempre utilizzato un
impianto teorico di base corposo
(lo studio del materiale documen-
tale) che, con l’avvento di
internet e delle nuove tecnologie,
hanno scelto di svolgere in FAD,
a distanza, sulla nostre piattafor-
me e-learning www.artiterapie-
italia.it, www.counselling-italia.it
e www.naturopatia-italia.it. Tutto
qua.
Dunque, non si tratta solo di trasfe-
rire on line quello che tradizional-
mente si studia in presenza…
Infatti. On line si studieranno so-
lo le materie teoriche, mentre in
presenza sarà necessario svolgere
la formazione laboratoriale che,
nelle nostre discipline, è impre-
scindibile. Il Protocollo Discentes
è un modello integrato di forma-
zione, tra studio a casa e attività
in presenza: noi forniamo la piat-
taforma per lo studio a distanza,
le sedi che aderiranno forniranno
le attività di laboratorio, che con-
fluiranno in un unico calendario
nazionale che sarà disponibile sul
nostro sito, ed un tutor per moni-
tor
monitorare lo studio degli allievi di
quella determinata sede. Ciò,
d’altro canto, creerà un circuito na-
zionale di scuole che aderiranno ad
un calendario unico e che permette-
rà ad ogni allievo di scegliere la se-
de più vicina o quella più interes-
sante dove svolgere la propria for-
mazione in presenza. Insomma, li-
bero mercato, libera circolazione
ma all’interno di un sistema circo-
scritto, monitorato e professionale:
tutti gli allievi che vi aderiranno
dalle varie scuole si incontreranno
on line, scambieranno esperienze,
materiali, conoscenze… Svolge-
ranno, dunque, una formazione
molto ricca e a costi molto contenu-
ti – dettaglio non trascurabile -.
Ma questo studio on line non può
pregiudicare la qualità dei corsi?
Affatto. Anzi, al contrario. Noi cre-
diamo che organizzare in modo in-
telligente lo studio dell’impianto
teorico (dispense, monografie, pre-
sentazioni in power point, videole-
zioni, discussioni e test program-
mati per quattro volte all’anno) a-
gevoli la programmazione
dell’apprendimento graduale
dell’allievo, il quale, al termine del
triennio, avrà competenze che gli
permetteranno di relazionarsi ad
ogni genere di professionalità. Dal-
la scuola, con gli insegnanti, ai con-
testi clinici, con i medici. Ecco per-
ché, e con ciò torno alla sua prece-
dente domanda, il Protocollo Di-
scentes per la formazione in Arti
Terapie in Italia non è affatto un
circuito di affiliazione.
Ma sul web voi parlate di “nessuna
competenza tecnica richiesta per apri-
re una scuola”. Come si formano ve-
re professionalità se le stesse non so-
no un requisito minimo per essere
una Scuola Artedo?
Sì, è vero: noi non richiediamo
competenze pregresse, poiché sia-
mo noi ad essere in possesso degli
strumenti per fornirle. Mi spiego
me
meglio. La competenza tecnica
(in arti terapie, in naturopatia o
in counselling) è sempre e co-
munque un requisito apprezzato,
auspicato ma non fondamentale,
poiché tutti i nostri partner che
diventano nuove scuole Artedo
possono utilizzare il nostro
know how e i nostri docenti. Va-
le a dire che forniamo noi le
competenza specialistiche se le
nostre sedi ne sono sprovviste.
Ecco risolta la questione.
Sul piano organizzativo, inoltre,
noi forniamo tutti i supporti
all’avvio, dal modello
d’iscrizione per gli allievi, al
corso per i Tutor on line, dai do-
centi per le attività in presenza,
come detto, ad una vetrina sul
web, con pagine dedicate ad o-
gni nostra associata. Alle nuove
sedi sarà necessario che indivi-
duino semplicemente uno spazio
fisico per le attività di laborato-
rio.
È l’ideale per una nuova scuola di
formazione: un’associazione di-
venta Impresa Etica e voi fornite
tutto. Ma esiste anche qualche
vantaggio per l’adesione al Proto-
collo Discentes da parte di scuole
di formazione già operanti?
Noi preferiamo pensare a creare
nuove scuole più che fornire
supporto teorico a scuole già at-
tive. Tuttavia, anche questa è
una possibilità. Il Protocollo Di-
scentes organizza, infatti, tutta
la didattica documentale con u-
scite programmate dei testi, ar-
gomenti di discussione e verifi-
che. Tutto contenuto nel piano
di studi generale. Una scuola at-
tiva che adotti il nostro Proto-
collo, può razionalizzare lo stu-
dio teorico on line ed incastrarlo
con le attività di laboratorio, co-
sì soddisfacendo le necessità
degli allievi che spesso vivono
la frustrazione della divergenza
tra momento teorico e momento
esperienziale.
esperienziale. Può, inoltre, seguire
con maggiore semplicità gli allie-
vi più distanti dalla propria sede,
aumentare il monte ore del pro-
prio percorso triennale, monitora-
re lo studio sistematico degli al-
lievi, abbattere i costi, anche per
la tenuta della segreteria (conside-
riamo la mole di lavoro che ci
vuole per organizzare un test in
presenza) e altro ancora.
Si direbbe, una novità assoluta…
Sì, se si considerano i punti nodali
della formazione oggi disponibile
in Italia nelle nuove professioni.
Sì ancora, se considerano le mo-
dalità di erogazione della stessa
formazione. Modalità innovativa
oggi brevettata da noi, poiché nata
da noi. E forse è il caso di fare un
po’ il punto della situazione.
Lo stato dell’arte dice che
l’offerta formativa in Arti Terapie
(Musicoterapia, Arteterapia Pla-
stico-Pittorica, Danzaterapia e Te-
atroterapia), in Naturopatia, in
Counselling è affidata a un consi-
derevole numero di Scuole priva-
te, in larga parte associazioni, cia-
scuna delle quali con un proprio
modello di riferimento e con una
propria struttura didattica. Prima
dell’entrata in vigore della Legge
4/2013, e per larga parte anche
oggi come in futuro, poiché è del
tutto volontaria la conformità alle
Norme Tecniche UNI per i vari
settori, ad ogni Scuola veniva la-
sciata la facoltà di stabilire auto-
nomamente la durata della forma-
zione, le materie di studio, le
competenze dei docenti, il titolo
rilasciato, se svolgere supervisioni
e tirocinio, le modalità di valuta-
zione della formazione, i requisiti
d’accesso degli allievi, ecc. A
lungo le associazioni di categoria,
come Artedo, si sono battute per approdare al quadro normativo
appena emanato. Senza, tuttavia,
che molte di esse siano in posses-
so
so di una rappresentatività territoria-
le che Artedo, viceversa, possiede
dalla sua origine. Noi questa meto-
dologia l’abbiamo chiamata Scuola
Diffusa 2.0 perché rispetta tutti i
principi richiesti: metodo unico, in-
teresse nazionale, offerta formativa
qualitativamente e quantitativamente
impareggiabile, forte rappresentati-
vità. E tutto coniugando la tradizio-
ne con l’innovazione tecnologia.
Grazie a internet, infatti, oggi un al-
levo può studiare da casa e frequen-
tare tutte le attività di laboratorio or-
ganizzate in tutta Italia da tutte le
sedi territoriali. Noi lo troviamo
straordinario e senza precedenti.
Parliamo un po’ della Scuola Diffusa
2.0?
Sì, certo. Il progetto pilota è stata la
“Scuola Diffusa Arti Terapie 2.0”.
Oggi abbiamo mutuato l’iniziativa
anche nella Naturopatia e nel Coun-
selling. Si tratta della naturale evo-
luzione del nostro sistema didattico.
Il Protocollo Discentes è il Sistema
d’Impresa Etica che permette
l’apertura di Scuole di Formazione
nelle discipline citate. Tutto il cir-
cuito di scuole costituisce la Scuola
Diffusa 2.0., sistema senza prece-
denti, in Italia e non solo, attraverso
il quale Artedo offre agli allievi del
le scuole aderenti la possibilità di
frequentare tutte le attività didattiche
organizzate in tutte le città d’Italia.
Un allievo può, dunque, personaliz-
zare il suo piano di studi, inserendo-
vi non solo le attività curriculari del-
la sede di appartenenza ma anche
quelle di altre sedi, senza costi ag-
giuntivi e senza limiti di ore di for-
mazione.
Gli basterà andare sui nostri siti
(www.artiterapie-italia.it,
www.naturopatia-italia.it,
www.counselling-italia.it) e sceglie-
re i laboratori da aggiungere, di con-
certo con il proprio tutor, nel proprio
piano di studi per accedere alla mas-
sima offerta formativa pensabile.
Su quali criticità agisce la propo-
sta di Artedo, anche grazie alla
Scuola Diffusa?
Sicuramente di migliorare e
consolidare le competenze in
uscita degli allievi, a vantaggio
di una maggior professionaliz-
zazione di arte terapeuti, naturo-
pati e counsellor, di ridurre i co-
sti della formazione e di elevare
la qualità della formazione stes-
sa. Con il risultato,
nell’interesse delle nuove Scuo-
le Artedo, di incrementare il
numero delle domande di iscri-
zione ai corsi in tutto il territorio
nazionale.
È questa la scuola del futuro?
Noi crediamo che il nostro pro-
getto sia all’avanguardia, non
solo perché permette la libera
circolazione degli allievi
all’interno di un sistema di
Scuole che scelgano di adottare
un protocollo comune, snello e
dinamico, livellato verso l’alto,
ovvero fondato su basi teoriche
e scientifiche comuni su cui in-
nestare attività di laboratorio di-
versificate, in ciascuna Scuola
secondo il proprio modello di
riferimento. Ma lo crediamo so-
prattutto perché ciò non va mai
a discapito delle competenze in
uscita. Il nostro protocollo, anzi,
mira a garantire che le stesse
siano consolidate e spendibili,
grazie ad uno studio del materia-
le documentale graduale e co-
stante, al pari del monitoraggio
e delle verifiche sulla crescita
personale e professionale di o-
gni allievo. L’uso della piatta-
forma e-learning, poi, non è al-
tro che il risultato dell’esigenza
di essere al passo con i tempi:
sappiamo che prendono sempre
più piede le nuove tecnologie in
tutti i corsi di studi, Università
comprese, e che il futuro va in questa direzione. Non abbiamo
fa
Sostienici con il tuo 5 per 1.000 Il 5 per 1.000 non è un costo: è una donazione che
fiscale.
Scrivi 93075220751
fatto altro che coniugare corretta-
mente i due momenti.
Per concludere, come funziona
l’adesione al Protocollo Discentes?
Intanto, per diventare Scuola Ar-
tedo occorre essere costituiti in as-
sociazione, cooperativa o impresa.
Come detto, è richiesta la disponi-
bilità di una sede che possa ospita-
re le attività pratiche. Poi, è neces-
sario scaricare il disciplinare per
l’apertura di nuove scuole Artedo
dai nostri siti (www.artiterapie-
italia.it, www.naturopatia-italia.it,
www.counselling-italia.it), secon-
do l’ambito di preferenza. Quindi,
sincerarsi che la provincia richie-
sta sia libera, ovvero che non siano
presenti altre scuole della mede-
sima disciplina (operiamo in e-
sclusiva). Infine, inviare i moduli
di domanda.
Per aderire bastano pochi minuti e
pochi semplici passaggi.
(Intervista di Chiara Spagnolo,
addetto stampa di Artedo)
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Salute & Prevenzione
Inserto mensile sulle Dipendenze Patologiche a cura di DITE Edizioni Scientifiche
Parlare di psicoterapia dopo gli
aspetti diagnostici e farmacologi-
ci, introduce una discontinuità nel-
la coerenza comune ai pur diversi
interventi. Ciò è sempre inevitabi-
le quando si passa da modelli e
strumenti che, per tradizione, fan-
no riferimento ad “un osservatore
oggettivo” e a dei “dati in sé”, al
lavoro clinico della psicoterapia i
cui oggetti di studio presentano
una complessità non riconducibile
all’interno dei modelli sperimenta-
li classici tesi ad isolare l’oggetto
di studio rispetto al contesto e al
soggetto-osservatore (Ceruti, Lo
Verso, 1998). Tale impostazione
sarebbe inconciliabile, infatti, con
il lavoro psicoterapico che si co-
stituisce essenzialmente come una
ricerca-azione in cui l’interazione
tra osservatore e osservato rappre-
senta, oltre che un mezzo di cono-
scenza, una condizione indispen-
sabile per promuovere il cambia-
mento. D’altra parte, i “dati ogget-
tivi” rappresentano sempre un par-
ticolare modo di segmentare la re-
altà secondo una descrizione che
fa riferimento a una specifica teo-
ria o visione del mondo, o
nell’accezione di Bateson “epi-
stemologia”, che orienterà
l’osserva l’osservatore a ritagliare
ne
nel fenomeno osservato determinate
unità di analisi piuttosto che altre.
L’osservatore stabilisce le coordi-
nate di un determinato campo di os-
servazione nel quale risulta, a vari
livelli, inevitabilmente implicato,
ma le idee, le teorie, i modelli risul-
tano a loro volta storicamente e cul-
turalmente determinati. Basta pen-
sare alla psichiatria in Italia negli
ultimi venti anni e a come il rappor-
to teoria-prassi abbia visto alternar-
si momenti molto contraddittori dal
punto di vista epistemologico ai
quali hanno fatto seguito effetti
pragmatici conseguenti anche dal
punto di vista clinico e terapeutico.
Lo stesso si potrebbe dire, anche se
in un’altra direzione, da parte di al-
tri paesi dove si sono sviluppate al-
tre visioni del mondo.
Modelli come quello psicodinamico
e quello relazionale-sistemico met-
tono il focus sul tipo di relazione
con il paziente (individuo, coppia o
famiglia che sia) attraverso la quale
identificare o co-costruire nuovi
scenari dei quali, inevitabilmente, il
terapeuta nella sua ricerca azione è
parte attiva, proponendo a volte
modelli più complessi e problema-
tici rispetto a quelli di tipo medico e
analisi prevalentemente di tipo qua-
litativo rispetto al processo terapeu-
tico. Farò riferimento al modello
sistemico, occupandomene da tem-
po sia come psicoterapeuta che co-
me formatore, e cercando di presen-
tare la mia proposta di utilizzazione
del modello nel servizio
del modello nel servizio pubblico
anche attraverso alcuni esempi
chimici. Vorrei tuttavia spendere
alcune parole riguardo
all’efficacia dei trattamenti psico-
terapici nelle tossicodipendenze e
di quelli familiari sistemici, in
particolare, nonostante la riferita
difficoltà del reperimento di studi
anche dal punto di vista quantita-
tivo. E spesso citato, a questo
proposito, lo studio di Mc Lellan
che, esaminando tre livelli di ser-
vizi terapeutici per soggetti di-
pendenti da oppioidi in manteni-
mento con metadone, confrontava
“servizi minimi” (10 minuti di
counseling), “servizi standard”
(una seduta completa di counse-
ling una volta alla settimana) o
“servizi potenziati” (counseling
standard più psicoterapia, terapia
familiare). Solo il 30% dei pa-
zienti che aveva ricevuto servizi
minimi, oltre il metadone, ottene-
va buoni risultati; gli altri dove-
vano essere trasferiti al trattamen-
to standard. I pazienti che aveva-
no ricevuto servizi potenziati mo-
stravano risultati migliori rispetto
a quelli del trattamento standard,
con una progressione a gradini
del miglioramento associata alla
disponibilità di servizi compren-
denti la psicoterapia. Stanton, pi-
oniere della psicoterapia familiare
nelle dipendenze, ha sottoposto a
metanalisi 15 studi, comprendenti
complessivamente 3500 parteci-
panti
L’intervento psicoterapico
con la famiglia nel servizio
pubblico secondo un approc-
cio relazionale sistemico
panti. Alcune delle principali
conclusioni di questo studio sono
state che:
1) negli studi di confronto tra te-
rapia familiare e la terapia di con-
sulenza individuale o quella su
gruppi di coetanei i risultati erano
superiori per la terapia familiare;
2) la conclusione vale sia per le
terapie con adulti che con adole-
scenti;
3) paragonando le terapie familia-
ri con altri tipi di intervento con
la famiglia, si sono rivelate più
efficaci, rispetto alla psicoeduca-
zione familiare, mentre più incer-
ta è la valutazione rispetto al la-
voro con gruppi di genitori;
4) non risultano conclusivi i pa-
ragoni tra le diverse scuole di te-
rapia familiare;
5) a paragone con altri approcci
psicoterapeutici sono risultati alti
i tassi di ritenzione in terapia fa-
miliare.
Rispetto alla visione olistica
dell’approccio relazionale siste-
mico, è difficile scindere la com-
ponente di comorbilità psichiatri-
ca dal resto della sintomatologia
tossicomanica, in quanto elementi
costitutivi di uno stesso problema
rispetto al quale si potrebbe dire
che la diagnosi psichiatrica rap-
presenta una mappa di quel terri-
torio da non confondere con il
territorio stesso.
L’approccio sistemico relaziona-
le, come abbiamo detto prima, é
un approccio che prende in con-
siderazione non più una causalità
lineare, ma semmai una causalità
circolare secondo la quale la fa-
miglia, paziente compreso, rap-
presenta una totalità, un sistema
che non é dato dalla somma dei
singoli membri, bensì dalla risul-
tante delle interazioni tra i mem-
bri del sistema stesso, in modo
tale che ogni modificazione in
uno degli elementi del sistema,
del
determina una modificazione del
sistema stesso, che vive quindi in
un perenne equilibrio caratterizzato
da momenti di trasformazione,
cambiamento (morfogenesi) e mo-
menti di stabilità (morfostasi).
Si può quindi rappresentare la fa-
miglia attraverso uno schema sem-
plificato che, condensando la visio-
ne diacronica e quella sincronica, ci
serve per descrivere il processo di
evoluzione della famiglia, i suoi
cambiamenti, i suoi blocchi evolu-
tivi e, eventualmente, le emergenze
psicopatologiche: stiamo parlando
di quello che viene definito come
“ciclo vitale della famiglia”. Questa
schematizzazione ci serve per de-
scrivere come una famiglia possa
evolvere dal momento in cui si
forma la coppia, alla nascita dei fi-
gli, alla loro progressiva emancipa-
zione, passando attraverso momenti
critici per il processo di separazione
individuazione come quello
dell’adolescenza e del successivo
distacco dalla famiglia. Durante
questo processo possono verificarsi
degli intoppi, dei problemi
nell’evoluzione della famiglia, nella
sua trasformazione e adattamento
alle perturbazioni che riceve
dall’esterno, dagli altri sistemi con i
quali é in contatto (la scuola, il
gruppo dei pari, il lavoro, ecc.), de-
gli irrigidimenti che bloccano questi
processi di trasformazione coinvol-
gendo tutti i membri del sistema,
genitori, figli, eventuali nonni. A
volte il disagio che deriva da questa
incapacità di adattamento del siste-
ma ai cambiamenti richiesti dai dif-
ferenti stadi del ciclo vitale trove-
rebbe espressione in una sintomato-
logia a carico prevalentemente di
un membro della famiglia, quello
che nel linguaggio sistemico viene
definito come “il paziente designa-
to”. Questo scenario ci aiuta a de-
scrivere l’emergere, in un particola-
re momento della vita, di una sin-
tomatologia
tomatologia senza specificare il
come e il perché di quel tipo di
patologia, se non attraverso un
maggiore livello di complessità
che comprende altri fattori di
comorbilità. Ci sono autori, che si
occupano di tossicodipendenze
dal punto di vista familiare e si-
stemico, che si sono occupati di
definire delle tipologie o dei
“giochi”, quasi per arrivare a un
tipo di diagnostica familiare. In
particolar modo Cancrini ha de-
scritto quattro tipologie che vor-
rebbero riassumere caratteristiche
diverse sul piano psicologico,
familiare, sociale e anche rispetto
al tipo di sostanze e alle modalità
del consumo. Secondo il suo la-
voro, da un punto di vista fami-
liare e relazionale quelle da lui
denominate come “ tossicomanie
di transizione” sarebbero caratte-
rizzate da un contesto familiare
spesso analogo a quello del pa-
ziente designato anoressico: lo
sforzo di non definire le relazioni
é sostenuto da frequenti messaggi
paradossali o incongrui; alti livel-
li di mistificazione sia nelle rela-
zioni interne alla famiglia che in
quelle esterne; massivo ricorso
alla disconferma dei messaggi al-
trui. Entrambi i genitori, forte-
mente coinvolti nella tossicoma-
nia del figlio, si trovano spesso in
uno “stallo” di coppia; ci sono
polarizzazioni tra i fratelli del ti-
po “fratello che ha successo, fra-
tello fallito”. Dal punto di vista
clinico si possono riscontrare stati
maniacali nella fase iniziale della
tossicodipendenza; la sostanza
sembra alleviare sofferenze per-
sonali preesistenti; altre volte,
specialmente negli adulti, stati
depressivi. Viene più ricercato lo
“stordimento” che non “il piace-
re” negli effetti della sostanza. Vi
é una certa difficoltà per il tera-
peuta di costruire dei collegamen-
ti tra l’uso della sostanza e gli e-
venti del ciclo vitale, in quanto
spesso l’inizio avviene durante i
periodi apparentemente meno
ti tra l’uso della sostanza e gli
eventi del ciclo vitale, in quanto
spesso l’inizio avviene durante i
periodi apparentemente meno
problematici e l’interruzione in
quelli “più sofferti”. Alto é il ri-
schio di suicidio in questi casi e
frequenti i passaggi all’alcolismo
dopo la cura della tossicodipen-
denza. C’é l’indicazione, anche
in questo caso, per una terapia
familiare sistemica. Anche Ciril-
lo e collaboratori hanno descritto
delle tipologie di tossico- dipen-
denti che hanno come caratteri-
stica lo sviluppo di tre percorsi
attraverso i quali, a partire dalle
relazioni familiari, si descrive lo
sviluppo della tossicodipendenza.
In particolare, il percorso n. i
rappresenterebbe la casistica più
frequentemente trattabile all’ in-
terno di un contesto psicotera-
peutico. In questo sottogruppo -
compatibile dal punto di vista del
“percorso relazionale” con la de-
scrizione fatta da Cancrini di tos-
sicomanie traumatiche tipo A,
tossicomanie di “area nevrotica”
tipo B, e una minoranza dei casi
(i pazienti non psicotici) di tossi-
comanie di tipo C - si riscontre-
rebbe un forte coinvolgimento
della prima generazione, con le
distorsioni più tipiche delle tran-
sazioni affettive. In questi casi la
sintomatologia prevalente sotto-
stante all’uso di eroina sarebbe
rappresentata dalla depressione.
Le forme psicotiche rientrerebbe-
ro invece nel percorso n. 2, per-
corso i cui elementi caratteristici
- già descritti da Selvini Palazzo-
ni - sarebbero dati dallo “stallo di
coppia” e dall”iperinvestimento
strumentale nei confronti dei figli
“. La psicosi comparirebbe in
forma subclinica proprio perché
coperta dall’effetto autoterapeuti-
co della sostanza. Il percorso n.
3, descrivendo strutture familiari
disgregate sul piano transgenerazio-
nale, comprenderebbe le problemati-
che connesse con i comportamenti
antisociali.
Quanto all’utilizzo della psicoterapia
e alle situazioni di comorbilità, vari
autori (Luborski, Clerici) affermano
che ne ricevono maggior vantaggio i
soggetti che mostrano punteggi di
alta severità nella patologia psichia-
trica, mentre il disturbo di personali-
tà antisociale senza sovrapposizione
di depressione non riceverebbe in
genere vantaggi addizionali dalla
psicoterapia associata ad un tratta-
mento farmacologico e, comunque,
questo tipo di diagnosi sarebbe pre-
dittivamente negativa per l’esito in
generale di un trattamento. Questa
osservazione concorda con quella di
Cancrini sulla tipologia da lui defini-
ta come “sociopatica”. In generale,
comunque, in letteratura sembra che
dall’integrazione della psicoterapia
con gli altri trattamenti derivi il “va-
lore aggiunto” circa l’efficacia del
programma terapeutico.
Queste iniziali esperienze avevano
fatto maturare l’esigenza di radicali
trasformazioni dei Servizi da struttu-
re assistenziali e di controllo a strut-
ture specialistiche, con specifiche
finalità terapeutiche.
Tuttavia troppo spesso si é cercato di
identificare la trasformazione del
Servizio con l’introduzione di prassi
psicoterapeutiche al suo interno. Di
fatto spesso nei servizi territoriali e-
siste uno “spazio terapeutico” che
tuttavia vi si colloca come un’oasi,
un nucleo scisso e separato che non
ha ancora acquisito una capacità tra-
sformativa nei confronti, prima di
tutto, del servizio stesso. Il punto di
attacco efficace per avviare un cam-
biamento sta nel modello organizza-
tivo del servizio. D’altra parte nel
contesto pubblico il terapeuta é inse-
rito in una équipe pluriprofessionale
non necessariamente omogenea e,
invece, gerarchicamente organizzata;
ope
opera all’interno di una rete di
Servizi; risponde a un’utenza che
non necessariamente richiede in-
terventi psicoterapeutici; può
doversi fare carico di interventi
coatti o comunque assistenziali o
di controllo.
Mi pare che nel contesto attuale,
ed in particolare in quello dei
Servizi per le Tossicodipendenze
modificato anche dal “catacli-
sma” AIDS, il nodo di fondo nel
Servizio pubblico rimanga lo
stesso, parlando delle due possi-
bilità di utilizzo del modello si-
stemico sia per il trattamento
delle Tossicodipendenze che in
Salute mentale: la Psicoterapia
Familiare Relazionale come tec-
nica, l’approccio relazionale si-
stemico come ottica. Questo se
vogliamo rimanere nell’ambito
di una epistemologia sistemica,
per la quale lavorare con la fa-
miglia rappresenta una condizio-
ne necessaria, ma non sufficien-
te. Rimanendo all’interno della
cornice epistemologica sistemi-
ca, già da diversi anni Fruggeri -
a proposito dei “contesti della
psicoterapia: pubblico e privato”
- definiva una mappa delle con-
cezioni della psicoterapia fami-
liare nel servizio pubblico. Se-
condo questa mappa l’utilizzo
del modello come tecnica porta a
due posizioni altrettanto rigide
anche se contrapposte: la posi-
zione dicotomica, che definisce
il servizio pubblico per differen-
za da quello privato, consideran-
do rigidamente il modello teorico
di riferimento come una tecnica
di intervento, possibilmente da
salvaguardare e, magari, con-
trapporre ad altre tecniche utiliz-
zate nel servizio. In questo caso
gli interventi o sono psicotera-
peutici, e quindi per il cambia-
mento, o sono assistenziali, e di
conseguenza di ostacolo al cam-
bia
biamento. La ripercussione di que-
sto punto di vista fa sì che gli uten-
ti siano divisi tra quelli motivati e
adeguati alle regole del setting e
quelli non adeguati. Allo stesso
tempo questa “doppia prassi” de-
termina una ulteriore suddivisione
tra quei pochi, qualificati operatori
e pazienti che condivideranno
l’esperienza più gratificante della
psicoterapia e tutti gli altri, opera-
tori e pazienti, più squalificati che
condivideranno l’esperienza più
frustrante dei cosiddetti interventi
“assistenziali” o, parlando di tossi-
codipendenze, si potrebbe aggiun-
gere, delle terapie di mantenimen-
to. La posizione tecnico-
professionale si esprime invece at-
traverso il tentativo di adattare la
tecnica al contesto pubblico, modi-
ficando le regole della tecnica psi-
coterapeutica in modo da renderla
compatibile con le caratteristiche
del contesto, pur non individuando
“il servizio pubblico a partire dalla
sua specificità, ma piuttosto per
differenza con lo studio di un libe-
ro professionista”. Questa posizio-
ne probabilmente il compromesso
più diffuso in quei Servizi dove e-
siste la percezione del problema,
ma mancano le risorse, culturali e
non, oltrechè la forza per sviluppa-
re modelli più avanzati di applica-
zione.
C’é infine la cosiddetta posizione
integrata che utilizza il modello te-
orico come quadro teorico genera-
le di riferimento. In questo caso
viene a cadere la differenziazione a
priori tra intervento assistenziale e
intervento terapeutico e si passa
dal porre l’attenzione alle strategie
operative in termini di contenuto a
osservare gli aspetti di processuali-
tà. In questo modo gli stessi inter-
venti assistenziali diventano stru-
menti terapeutici e, rispetto alle
difficoltà (mancanza di motivazio-
ne o rifiuto dell’intervento, ricerca
di
di alleanze, ecc.), i cosiddetti vincoli
diventano possibilità (Bonizzoni,
Semboloni, 1985; Semboloni, 1986;
Fruggeri, Matteini 1987). Questa
impostazione generale data da Frug-
geri al problema degli interventi psi-
coterapeutici nel contesto pubblico o
privato può trovare una sua applica-
zione anche per quanto riguarda il
problema delle tossicodipendenze.
Del resto, a parte i lavori di Haley,
Kauffman e Stanton che hanno fatto
conoscere tra i primi - anche se in
contesti molto diversi dalla nostra
realtà - la possibilità di un intervento
familiare e delle ipotesi connesse al
ciclo vitale della famiglia (“il distac-
co da casa”, “la pseudoindividuazio-
ne”), numerosi sono stati i contributi
scientifici sull’utilizzazione
dell’approccio sistemico e della te-
rapia familiare nel trattamento dei
tossicodipendenti che hanno fatto
riferimento ad esperienze nel servi-
zio pubblico in Italia: Cancrini, Ca-
vicchioni, Cirillo, Coletti, Marzoc-
chi, Mazza, Rigliano, Semboloni.
Spesso, in questi contributi si affron-
tato il tema del contesto specifico
del servizio pubblico con i suoi vin-
coli e le sue risorse, proponendo vari
tipi di interventi con la famiglia. In
questo senso spesso si può parlare di
terapia familiare “versus approccio
sistemico” in quanto, nell’esperienza
di molti terapeuti del servizio pub-
blico (tra i quali il sottoscritto) ad
esempio non c’è l’abitudine a “di-
chiarare” la terapia come terapia fa-
miliare in quanto tale. Più sempli-
cemente, ed evitando definizioni
come “terapia familiare” che posso-
no determinare anche un rigetto, mi
limito a spiegare che lavorare con
tutta la famiglia aiuta l’équipe a ca-
pire meglio: é quindi questo aspetto
di risorsa, piuttosto che quello di i-
nadeguatezza o di colpevolizzazione
intrinseco all’idea che la famiglia si
debba curare, che viene evidenziato
e che contribuisce a costruire un
conte
contesto di collaborazione più
che di confronto.
D’altra parte, il lavoro psicotera-
peutico con la famiglia può rien-
trare a essere parte importante di
quella rappresentazione di servi-
zio, che alcuni definiscono come
macchina terapeutica, cioé
“un’organizzazione complessa
dove tutti gli operatori condivi-
dono il compito di attribuire un
significato, secondo la filosofia
operativa del servizio e assieme
al paziente, a ciò che viene fatto”
(Marzocchi 1993). Questo può
essere un esempio attraverso il
quale intendere il significato di
quella che é stata definita
all’inizio come una posizione in-
tegrata. Così, il lavoro con le fa-
miglie, anche quando non si
svolge in un ambiente dal setting
definito ed é accompagnato da
altri interventi, svolge il suo
compito in parte autonomamente,
in parte in forma integrata (come
parte del tutto). Il problema é che
occorre riaffermare l’importanza
di un intervento globale a dimen-
sione e in un ambiente psicotera-
pico in cui anche la prescrizione
farmacologica deve spesso basar-
si su un intervento con la fami-
glia, ad esempio quando si impo-
sta una disassuefazione domici-
liare senza ricovero (Coletti
1993) o quando, in relazione ad
una comorbilità psichiatrica im-
portante, devono essere assunti
psicofarmaci in maniera conti-
nuativa.
Si potrebbe dire che emerge un
“setting” nuovo, flessibile, adatto
per la terapia delle tossicomanie:
passare da risposte uniche-
totipotenti-impotenti a risposte
complesse, da collezioni di inter-
venti a connessioni di interventi.
La differenza é dunque tra un
contesto concepito come statico e
invariabile e uno pensato come
co
costruito attraverso i processi di in-
terazione che danno significato ai
sistemi di rappresentazione dei
soggetti implicati. In questo senso,
il fatto che nei casi di doppia dia-
gnosi spesso ci sia un coinvolgi-
mento di più contesti (ospedale,
SerT, Servizio di Salute Mentale,
Comunità) definisce ancora meglio
un sistema rispetto al quale struttu-
rare l’intervento, che non può esse-
re solo il sistema famiglia, ma piut-
tosto quello che potremmo ridefini-
re “il sistema determinato dal pro-
blema” utilizzando il concetto di
Goolishan in maniera più concreta
e pragmatica e non solo a livello
conversazionale e linguistico. Que-
ste sono dunque le premesse, te-
nendo conto delle quali é possibile
parlare di psicoterapia, interventi
con le famiglie, e servizio pubbli-
co: cercherò ora, attraverso dei casi
clinici, di fare alcuni esempi di
questa specificità di intervento nei
casi con comorbilità.
Marcello: Comorbilità, Nuove
droghe, Terapia disgiunta, Interru-
zione della Terapia Familiare, In-
serimento lavorativo
Quando si parla di nuove droghe ci
si riferisce soprattutto alle cosid-
dette “designer drugs”, sostanze di
sintesi di cui la più conosciuta -
come Ecstasy - é la metilendiossi-
metanfetamina, MDMA. Cono-
sciamo gli effetti collaterali di que-
sta sostanza a livello generale e a
livello neurologico e psichico. Tra
i disturbi cronici che si possono
manifestare, anche a un mese di di-
stanza dall’assunzione, vengono
descritti in letteratura i disturbi del
tono dell’umore, i disturbi di tipo
psicotico, i disturbi di tipo cogniti-
vo, gli attacchi di panico, i flash-
backs. Possono poi comparire ag-
gressività, diminuzione
dell’appetito, insonnia, bruxismo,
craving per il cioccolato. Sul piano
p
psicopatologico spesso é difficile,
senza un lungo follow-up, fare una
diagnosi differenziale tra gli esiti di
una assunzione di queste sostanze e
situazioni già di per sé problemati-
che e di cui la farmacodipendenza
rappresenta solo un aspetto. Inoltre,
osservando e ascoltando in seduta
questi ragazzi mentre pieni di ansia
e aggressività digrignano i denti o
riferiscono di sentirsi “cattivi”, ri-
sulta difficile discriminare quanto di
culturale odi patologico ci sia in un
atteggiamento che si ritrova nei rac-
conti dei giovani scrittori di “gio-
ventù cannibale” come nei giovani
artisti inglesi della collezione Saa-
tchi che espongono vere pecore o
mucche fatte a pezzi, manichini di
uomini evirati o ecatombi di mosche
che chiuse in bacheche di vetro
sciamano su finti organi sanguino-
lenti, ma veri liquidi nutritivi per
rappresentare “la fine del mondo”.
Marcello, di 24 anni, é uno di questi
ragazzi. Dopo essere stato in cura da
vari medici privati arriva al SerT
dove viene prima preso in carico da
un medico e da uno psicologo e poi
inviato al gruppo di Terapia familia-
re, di cui fa parte anche lo psicolo-
go. Marcello si presenta con una
sintomatologia caratterizzata da uso
di cannabis giomaliero e uso di
MDMA e uso sporadico di cocaina.
Per procurarsi le sostanze partecipa
ad un giro di spaccio. Nel passato
sarebbe stato curato per un disturbo
di tipo ansioso depressivo, con neu-
rolettici, antidepressivi e ansiolitici.
Circa tre anni prima del contatto
con il SerT, dopo alcuni episodi di
abuso alcolico, il paziente avrebbe
cominciato a far uso di sostanze ini-
ziando con l’eroina per due mesi e
passando poi alla cannabis,
all’MDMA e alla cocaina. In seduta
vengono confermati i suoi compor-
tamenti ansioso-aggressivi,
l’ideazione di tipo interpretativo,
l’incapacità a gestire le frustrazioni,
i disturbi di tipo ossessivo. Ma
l’aspetto che colpisce di più é
l’aggressività, particolarmente
manifesta alla presenza dei fa-
miliari, e una facies che colpi-
sce, quando digrignando i denti
dice di sentirsi “cattivo” e profi-
la addirittura minacce nei con-
fronti dei carabinieri. D’altra
parte, la madre più di una volta
lo provoca, facendo aumentare
il
Corsi di Formazione
On Line
Discentes.it è una piattaforma
e-learning che eroga la formazione
a distanza con corsi della durata
massima di tre mesi, in svolgimento
più volte nell’anno ed una innovati-
va modalità per studiare da casa uti-
lizzando una connessione ad
Internet.
Mentre leggi, stanno per
iniziare i corsi di:
Progettazione sociale e marketing
dell’impresa non profit;
Musicoterapia; Arteterapia plastico
pittorica; Danzaterapia;
Dramma Teatro Terapia;
Musicoterapia con persone Anzia-
ne; Progettare un corso di forma-
zione a distanza per le disabilità;
Scrittura creativa.
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il suo stato di agitazione, sino all’
abbandono della seduta.
Le sedute con la famiglia hanno
consentito di ricostruire una storia
caratterizzata dalla “cessione” del
paziente ai nonni materni fino
all’età di otto anni, in quanto la
madre che lavorava come parruc-
chiera non poteva occuparsi di lui.
Era rientrato in famiglia quando la
madre, a causa di un’allergia aveva
dovuto abbandonare il suo lavoro.
In quel periodo si era manifestata
una gelosia per la cuginetta nata da
poco e una sofferenza della madre
per le preferenze della suocera per
l’altra nipotina. Viene evidenziato
un comportamento di tipo ossessi-
vo già a livello della scuola
dell’obbligo e dei primi anni delle
superiori. Emerge dalla storia una
crisi della coppia e un tradimento
che la madre attualizza ancora oggi
rinfacciandolo al marito e metten-
dolo in relazione alla sua latitanza
e scarso interesse nei confronti di
lei. Entrambi i genitori hanno sof-
ferto di una sintomatologia depres-
siva in momenti diversi. La moglie
ha sempre avuto la dominanza del-
la gestione economica, contri-
buendo alla passività del marito,
che ha sempre compensato la si-
tuazione di estrema tensione in
famiglia andandosene appena pos-
sibile a caccia con gli amici. Ma la
storia contiene anche riferimenti
intergenerazionali di cui fanno par-
te genitori, suoceri, fratelli, cogna-
te e nipoti, a testimoniare “le com-
ponenti insoddisfacenti della rela-
zione che ciascuno dei genitori a-
veva avuto con la propria famiglia
di origine” (Mazza 1999) fino all’
identificazione del paziente come
il nipote di serie B, in quanto figlio
di un padre-marito che non si fa
rispettare né dal proprio fratello,
né dalla propria madre, né dal pro-
prio padre. La tensione, durante il
processo terapeutico, viene estre-
mizzata
mizzata più che ridotta dai miglio-
ramenti del figlio. La madre, arriva-
ta a mettere in discussione il rappor-
to con il marito ed un’eventuale se-
parazione (agita rifugiandosi dai
suoi per poche ore), decide di non
partecipare più alle sedute di coppia
che avevamo iniziato a un certo
punto della terapia privilegiando un
tipo di terapia disgiunta, per favorire
l’ulteriore autonomia del figlio.
Marcello continua il suo lavoro te-
rapeutico con lo psicologo con un
approccio di tipo individuale psico-
dinamico.
In questo senso si é dimostrato im-
portante aver potuto mantenere il
rapporto con il Servizio attraverso la
psicoterapia individuale dopo aver
sganciato il paziente dalle sedute
con i genitori. Contemporaneamen-
te, il paziente ha continuato la tera-
pia farmacologica e il progetto tera-
peutico e socioriabilitativo del ser-
vizio ha portato al suo inserimento
lavorativo presso un’ azienda attra-
verso lo strumento della borsa lavo-
ro. Questo progetto complessivo ha
portato a una notevole riduzione del
consumo di sostanze. Si é verificata
una progressiva diminuzione
dell’aggressività e degli aspetti
comportamentali e un miglioramen-
to degli aspetti relazionali, anche se
permangono disturbi di tipo ossessi-
vocompulsivo affiancati da frequenti
vissuti di tipo depressivo. Eviden-
temente é un caso che presenta an-
cora molti problemi, ma 1’ aggancio
con il servizio, la sua rete di opera-
tori, gli strumenti terapeutici e so-
cioriabilitativi messi in campo e i
patteru che li connettono é forte.
Pietro: La confusione e il segreto, la
moltiplicazione degli interventi Ha
il primo contatto con il SerT all’età
di 21 anni per uso di hashish e poi
eroina. Secondogenito, ha un padre
che naviga e che in passato ha avuto
seri problemi con l’alcol che lo han-
no tenuto lontano da casa per un
lungo
lungo periodo. La madre, casa-
linga, soffre di depressione ed ha
da tempo una relazione con un
altro uomo di cui in casa non si
parla; anzi, di fatto di fronte al
figlio che si interroga sui rappor-
ti tra i genitori viene negato que-
sto aspetto della loro vita di rela-
zione.
A seguito della patologia del fi-
glio vengono effettuati dal SerT
trattamenti con naltrexone, me-
tadone e colloqui individuali.
Il decorso:
- 02/06/97: la sorella si trasferi-
sce a Londra, aumenta la tensio-
ne in casa (soprattuttoda parte
del padre);
- 13/06/97: la famiglia denuncia
una sintomatologia psichica di
tipo persecutorio diagnosticata
come “sindrome paranoide”. Le
urine risultano negative. Il figlio
sembra avvicinarsi al padre;
- 18/06/97: durante un incontro
con la famiglia emerge il tema
del segreto come il tema centrale
del delirio del paziente.
La strategia terapeutica:
- Terapia farmacologica con lo
psichiatra del servizio di salute
mentale
- Colloquio con la coppia per la-
vorare sul segreto: da quando il
figlio aveva 17 anni sono separa-
ti in casa. Lavoro su genitorialita
e coniugalità.
- Il padre riprende la navigazio-
ne.
- Colloquio con la madre che ri-
fiuta di affrontare il tema del se-
greto con il figlio.
- Viene esplicitata da entrambi i
coniugi l’impossibilità di un al-
tro tipo di organizzazione fami-
liare che preveda una “separa-
zione sana” anche per motivi e-
conomici e vantaggi secondari di
entrambi, pur all’interno di una
grave sofferenza e di reciproche
umiliazioni. Viene riproposto un
t
tentativo terapeutico in comunità
che fallisce rapidamente.
Nel frattempo il paziente continua
a essere in trattamento con neuro-
lettici presso il servizio di salute
mentale. Ha assunto la facies e
l’atteggiamento passivo del pa-
ziente psichiatrico “cronicizzato”.
Urine negative per oppiacei.
I genitori non hanno più cercato
di affrontare il tema del segreto. Il
paziente viene inserito con suc-
cesso in un centro diurno per psi-
cotici. Il padre viene seguito indi-
vidualmente da uno psichiatra del
servizio di salute mentale.
La madre viene seguita da una
psicologa dello stesso servizio. Il
paziente viene seguito da un altro
psichiatra del servizio di salute
mentale.
Pur all’interno di una buona col-
laborazione tra i due servizi e una
presa in carico complessiva, si po-
trebbe dire che c’è stata una col-
lusione tra il bisogno della fami-
glia di non affrontare il tema del
segreto con il paziente e la scelta
terapeutica di frammentare
l’intervento sulle singole indivi-
dualità. Tre anni dopo il paziente
si E ripresentato al Sert per un
problema di eroina. Non frequen-
ta più il servizio di salute mentale,
ma va a giocare al calcio con il
gruppo dei pazienti psichiatrici.
Vive ancora con i genitori che
hanno acquistato un’ edicola dove
lavorano tutti e tre e assume il
metadone al SerT. Tra loro non E
cambiato molto nella relazione, la
madre ora svolge attività di vo-
lontariato.
Conclusioni:
La psicoterapia deve potersi inte-
grare con gli altri trattamenti ai
quali eventualmente dare una con-
testualizzazione e un significato
dentro il progetto terapeutico
complessivo . Si deve invece ra-
gionare su quale sia il livello logi-
co
co a cui appartengono tutti gli stru-
menti di intervento all’ interno del
contesto terapeutico. Personalmente
penso che il livello psicoterapeutico
relazionale del progetto sia di un or-
dine gerarchicamente superiore agli
altri strumenti di intervento (farma-
ci, ospedalizzazioni, interventi so-
ciali, ecc.) in quanto dovrebbe defi-
nire la cornice all’interno della qua-
le si sviluppa il processo terapeuti-
co. Di conseguenza, l’utilizzazione
dell’approccio familiare sistemico
non in quanto tecnica terapeutica,
ma come metamodello rappresenta
una funzione di coordinamento del
lavoro dell’ équipe nel suo comples-
so ancor più importante quando le
équipes in gioco sono più di una
rappresentando i due Servizi: Salute
Mentale e Tossicodipendenze.
P. G. Semboloni
Collana I Manuali
dell’Istituto di Arti Tera-
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Il gioco d’azzardo non è una pra-
tica moderna e ricerche archeolo-
giche ed antropologiche ne hanno
testimoniato la presenza in ogni
epoca, cultura e strato sociale.
Le indagini più recenti, condotte
nel nostro paese, evidenziano co-
me oltre 1’80% degli italiani si
dedichi, in modo più o meno co-
stante, alle diverse forme di
scommesse in circolazione e che
le quote di denaro puntate sono
sempre in costante aumento. Si
ipotizza che nei prossimi anni, tra
gioco legale ed illegale, si spende-
ranno complessivamente, in Italia,
quasi 30.000 milioni di Euro. Se
facciamo un confronto con la po-
polazione complessiva, il popolo
italiano è il primo al mondo per
versamento di denaro
nell’azzardo. Il fenomeno è esplo-
so durante la metà degli anni No-
vanta, all’epoca della recessione
economica, mentre vigevano poli-
tiche tese ad una drastica riduzio-
ne del deficit pubblico. Quindi,
negli anni dell’incertezza si è con-
sumato il boom dell’azzardo, sia
legalizzato che proibito. Gioca,
quindi, la stragrande maggioranza
della popolazione, ma è importan-
te sottolineare come i dati dispo-
nibili individuano attorno al 3%
l’incidenza del GAP (gioco
d’azzardo patologico) tra la popo-
lazione generale.
Dalle illusioni alla terapia
Ad una prima e semplicistica let-
tura, il rischio di diventare gioca-
tori patologici appare “solamente”
del 3%. In realtà, se frequentassi-
mo e osservassimo attentamente
le sale gioco noteremmo come i
giocatori già fortemente a rischio
di
giocatori già fortemente a rischio di
dipendenza, superino spesso il 50%
delle presenze per arrivare fino a
punte del 70%. Sappiamo bene, ol-
tretutto, che il problema non può
essere ricondotto al singolo giocato-
re, ma va esteso, quantomeno, al
nucleo familiare d’appartenenza,
fatto che determina una lievitazione
delle persone coinvolte, tale da co-
stituire una vera e propria emergen-
za sociale. Il fenomeno, considerate
le offerte di gioco sempre più ag-
gressive ed elevate (non da ultimo
l’apertura di centinaia di Sale Bingo
su tutto il territorio nazionale), di-
venta ogni giorno più preoccupante
poiché ormai, nel nostro Paese, non
c’è più strato sociale che possa con-
siderarsi indenne dal rischio di
compulsione all’azzardo. Va opera-
ta, comunque, una prima, chiara e
semplice considerazione: è impos-
sibile sapere in anticipo chi tra i
giocatori occasionali e abituali di-
venterà col tempo “patologico”;
questo si saprà sempre e solo dopo,
quando cioè il giocatore sarà già
completamente immerso nella di-
pendenza. Conseguentemente,
l’unico modo per non diventare
giocatori patologici dovrebbe essere
quello di astenersi dal giocare poi-
ché, continuando a farlo, ci si espo-
ne a dei rischi che, in alcuni casi,
possono portare anche a punti di
“non ritorno”. Paradossalmente, per
“vincere al gioco”, basta non gioca-
re, poiché nessun giocatore abituale
ha mai vinto, nel corso della sua e-
sistenza, più denaro di quanto ne
abbia perso.
Tutto ciò va al di là di giudizi mora-
li, demonizzazioni e forme di proi-
bizionismo che, comunque, non in-
taccano le motivazioni profonde del
gioco patologico.
Non tenere conto degli effetti deva-
stanti che, in una società come la
nostra, provoca la continua immis-
sione di giochi d’azzardo, equivale
a pensare ad un bombardamento a
ta
tappeto su una città che colpisce
solo alcune parti della stessa la-
sciandone indenni altre; è evi-
dente che, se i bombardamenti
proseguissero, anche le zone an-
cora integre verrebbero prima o
poi probabilmente colpite e, an-
che nel caso in cui non si bom-
bardasse più, a pagare i danni
riportati sarebbero comunque,
direttamente o indirettamente, tutti i cittadini. E proprio l’entità
sociale del danno che giustifica
l’importanza primaria di amplia-
re e consolidare gli interventi in
materia di prevenzione. Misure
indispensabili, ma a tutt’oggi
del tutto insufficienti in Italia,
quali il ridurre drasticamente
l’offerta di azzardo, eliminarne
la pubblicità, informare il pub-
blico sui pericoli della dipen-
denza, attivare servizi che aiuti-
no a smettere di giocare, potreb-
bero essere alcuni tra i provve-
dimenti maggiormente auspica-
bili. Come è accaduto per il fu-
mo, così anche per il gioco
d’azzardo probabilmente solo
tra qualche anno si comincerà a
parlare di prevenzione e di ri-
schi; ma dato l’enorme ritardo
con cui sarà affrontato il pro-
blema, a quel punto non si potrà
più prescindere dai danni pro-
dotti. Tutte queste considerazio-
ni, dettate dall’esperienza e dai
risultati di approfondite ricer-
che, non sono recepite dalle Isti-
tuzioni che si rifugiano, come i
giocatori e le famiglie, in peri-
colose illusioni. Illusioni che
potremmo così suddividere:
- l’illusione del giocatore, che è
convinto - anche quando tutto
sta precipitando - di controllare
il gioco (dice di poterne uscire
quando vuole, ma continua a
scommettere).
Questo può avvenire sia quando
il giocatore nega di essere un
dipendente (basta frequentare
una sala corse o un casinò per
“paradossalmente” non
Il gioco d’azzardo tra conse-
guenze individuali, familiari,
sociali, illusioni, classificazio-
ni e interventi terapeutici: L’esperienza di Campoformido
una sala corse o un casinò per “pa-
radossalmente” non trovare alcun
giocatore problematico che am-
metta di essere tale), sia quando il
soggetto, pur in astinenza, rimane
comunque mentalmente legato al
sintomo non elaborando (con tutta
la sua famiglia) la sofferenza che
ne soggiace.
- l’illusione della famiglia che
pensa di poter controllare il gioca-
tore (“ha promesso tante volte che
non giocherà più”) e quindi non
chiede aiuto convinta di poter ge-
stire il problema. Da noi, infatti, le
famiglie chiedono aiuto solo
quando le condizioni economiche
e psicologiche sono ormai gravis-
sime. Prima di allora, la cosiddetta
“cecità familiare” e l’equilibrio
patologico che si è venuto a crea-
re, impediscono di riconoscere i
segnali, seppur inconfondibili, del-
la dipendenza.
- l’illusione dell’istituzione-Stato
che immette, pubblicizza sempre
nuovi giochi d’azzardo convinto
di poterne trarre benefici econo-
mici e, allo stesso tempo, control-
lare i danni mediante campagne
generiche di prevenzione, favo-
rendo - a parole - servizi di auto
aiuto o terapeutici che non potran-
no mai, neppure lontanamente,
scalfire l’origine del problema.
- l’illusione dell’Auto-aiuto, della
terapia e del farmaco: gli interven-
ti di auto-aiuto, di terapia e
l’immissione sul mercato di far-
maci “magici” sono funzionali al
sistema (mantengono lo stato di
fatto!) in quanto, attraverso il “re-
cupero” dei giocatori, vanno ad
intervenire solo su una porzione
molto ridotta di famiglie (solo
quelle che scelgono di entrare in
trattamento) con problemi
d’azzardo (1 a 5000 circa).
Il fenomeno, nella sua complessi-
tà, va inquadrato anche dal punto
di vista dei danni che provoca. A
livello individuale notiamo che il
gi
giocatore d’azzardo patologico de-
dica la maggior parte del suo tempo
al gioco. Egli gioca quantità cre-
scenti di denaro ed è quindi forte-
mente indebitato; spesso perde il
lavoro, arriva a compiere frodi e
falsificazioni e, frequentemente,
tenta il suicidio. Il continuare a
giocare (prima di “toccare il fon-
do”) lo aiuta a ridurre la tensione
nervosa (l’ansia) e il piacere del
gioco lo porta anche a rilassarsi. A
livello familiare, egli riesce a na-
scondere per lungo tempo i suoi
problemi in relazione al gioco. Tut-
tavia, le sempre più frequenti “as-
senze”da casa, lo allontanano dalle
responsabilità del suo ruolo che
devono venire a questo punto com-
pensate (per quanto possibile) dagli
altri familiari (ad esempio, se il pa-
dre perde il suo ruolo, la madre si
accolla anche la funzione paterna;
o il figlio, alle volte ancora adole-
scente, si sostituisce al padre); il
tutto, correlato alla disastrosa si-
tuazione finanziaria, porta al crollo
della qualità di vita dell’intero nu-
cleo familiare.
Non è infrequente l’avvio prematu-
ro al lavoro dei figli (a fronte d’ ot-
timi percorsi scolastici) con conse-
guenti assunzioni d’eccessive re-
sponsabilità non in linea con le loro
aspettative di vita. A livello socia-
le, notiamo una ridotta o azzerata
(relativamente alla distanza in cui il
giocatore si trova dal fondo, verso
il quale sta precipitando) attività
produttiva, danni dovuti a terzi, a
causa di indebitamenti (anche con
strozzini) e fallimenti finanziari cui
corrisponde, come unico e consi-
stente vantaggio, un notevole in-
troito economico per i gestori delle
case da gioco e per lo Stato.
La persona che ha un grave pro-
blema con il gioco d’azzardo è
l’ultima ad ammettere la propria
patologia; perciò, difficilmente ri-
correrà per prima ad un’adeguata
terapia o chiederà aiuto, perseve-
rando
rando nell’ostinata convinzione
di riuscire a tenere ancora sotto
controllo la situazione. Se, inve-
ce, la richiesta parte proprio da
chi si trova ad avere il problema
(la nostra esperienza indica che
un giocatore su venti chiede aiuto
in prima persona) significa che il
giocatore pensa di aver toccato il
fondo. Non è detto, tuttavia, che
quando i giocatori dicono di aver
toccato il fondo, lo abbiano toc-
cato per davvero. Il giocatore non
tocca il fondo ma l’involucro che
custodisce il fondo. Ciò che appa-
re drammatico agli occhi della
famiglia e della comunità non lo
è per il giocatore che, seduto
sull’involucro, mette in agitazio-
ne tutti quanti (“sono rovinato”...
“mi sparo”.. .etc.). Quasi sempre,
il giorno dopo (quante volte ho
ricevuto telefonate disperate alla
sera e il giorno dopo le stesse
persone mi hanno detto: “nessun
problema, abbiamo messo a posto
tutto quanto”), il giocatore rico-
mincia come prima un teatro in
cui si bara spesso a livello con-
scio ma anche inconscio. Il gioco
d’azzardo patologico è, in realtà,
solo la punta di un iceberg, indice
e copertura di un malessere socia-
le, familiare e individuale pro-
fondamente radicato. Quindi,
presupposto chiave nel processo
di recupero non sarà partire
dall’involucro del fondo e risali-
re, ma sprofondare a partire da
quell’ involucro. La terapia, pro-
prio perché terapia, ha questo
compito. In caso contrario si ri-
schierebbe di costruire un gigante
con i piedi di argilla. Spesso, gio-
catore e familiari abbandonano la
terapia dopo le prime sedute.
Questo perché si cullano
nell’illusione di aver raggiunto,
con la momentanea astinenza, la
soluzione del problema. In realtà,
dietro a questo tempestivo allon-
tanamento dal gruppo, sì nascon-
de
de un piano, più o meno incon-
scio, di difesa. E infatti meno do-
loroso continuare a convivere con
le “viscere” del problema piutto-
sto che mettere seriamente in di-
scussione gli equilibri relazionali
disfunzionali su cui poggia
l’intero sistema familiare. Il tra-
nello nei confronti della famiglia
funziona. Famiglia che è legata al
giocatore e, in qualche modo, si
regge ormai su equilibri assolu-
tamente instabili ma che comun-
que le consentono di esistere.
Questa illusione consente al gio-
catore di immettersi in un proces-
so di cambiamento convinto di
poter risalire da una situazione
limite. Ciò gli consente di credere
di potercela fare da solo e di evi-
tare, facendo tutto da solo, il con-
fronto con la famiglia, con le sof-
ferenze e con le relazioni familia-
ri. E compito della terapia “ritor-
nare” a perforare l’involucro per-
ché è lì sotto che si concentra il
nucleo di sofferenza, nucleo che
deve essere scandagliato e che
nulla ha a che fare con il sintomo
azzardo (che è solo una conse-
guenza come il tracollo economi-
co). Toccato il fondo, c’è
l’illusione della risalita e la tera-
pia e l’auto aiuto diventano per il
giocatore un altro gioco
d’azzardo. La risalita
dall’involucro alla vita di tutti i
giorni diventa il vero gioco
d’azzardo che spesso si conclude
subito (dopo la telefonata, dopo
una seduta, dopo poche sedute) o
in seguito (dopo mesi di terapia)
con un ritorno al sintomo azzardo.
Se non c’è un percorso di cam-
biamento che vada oltre l’azzardo,
per il giocatore e la sua famiglia,
quasi sempre il giocatore non rie-
sce a perforare l’involucro che
copriva il fondo (effetto elastico..
.va e vieni!). L’onnipotenza di u-
scire da solo (i giocatori possono
essere aiutati da soli giocatori)
porta
porta spesso all’isolamento fami-
liare.
Centrare l’intervento terapeutico
sulla famiglia, escludendo almeno
per alcuni mesi il giocatore, può
essere in alcuni casi l’unico modo
per riavvicinare i membri non gio-
catori a una visione della realtà
fino ad ora inconsciamente negata
e quindi renderli più facilmente
collaborativi. Paradossalmente,
l’intervento riesce molto meglio se
il giocatore arriva ai gruppi il più
tardi possibile, dando così la possi-
bilità alla famiglia di ricostruire un
contesto di intervento e di cambia-
re il gioco familiare. Se infatti il
giocatore arriva dopo alcune sedute
la famiglia è già in fase di cam-
biamento. E quindi è meno dispo-
nibile ai disegni inconsci (e consci)
di fuga dalla terapia che il giocato-
re propone. Infatti il giocatore du-
rante le prime sedute tende ad illu-
dersi di aver risolto qualsiasi pro-
blema col gioco, col risultato di
risucchiare la famiglia in questa
illusione. La conseguenza diventa
l’abbandono della terapia sia del
giocatore che della famiglia.
L’ipotesi sarebbe, quindi, che se è
il giocatore stesso a chiedere aiuto
in prima persona si tratti di un ten-
tativo abilissimo - a livello incon-
scio - di depistaggio; un gestire in
prima persona la drammaticità del
momento col fine di riportare la
famiglia e se stesso fuori dalla te-
rapia. Il giocatore avrà, in tal mo-
do, di nuovo pericolosamente az-
zardato con la propria vita e con
quella di chi gli sta accanto.
Quando un familiare del giocatore
fa la prima telefonata di aiuto si
sente nelle sue parole il senso di
inadeguatezza, di colpa, di vergo-
gna per non essere in grado di ca-
pire e risolvere la situazione. “Il
problema non è mio” è la prima
cosa che dicono, come a rimarcare
l’impossibilità di intervenire da
parte loro. E invece sono proprio
loro
loro ad avere bisogno del primo
intervento. Sono i familiari, ridot-
ti a uno stato “confusionale”, che
devono entrare in terapia e, ac-
compagnati passo a passo, pren-
dere possesso del timone. Tutta-
via, nel proseguimento della tera-
pia, diventa di fondamentale im-
portanza anche la presenza del
membro giocatore.
La nostra esperienza ci insegna
che il giocatore d’azzardo che
frequenta da solo la terapia non
regge la stessa per un lungo peri-
odo. Gli unici casi che hanno
avuto un esito favorevole hanno
riguardato giocatori d’azzardo fi-
gli essi stessi di giocatori quasi
che, paradossalmente, l”azzardo”
di un genitore li abbia in qualche
modo agevolati e accompagnati
nella terapia.
Chi arriva in terapia senza aver
subito tracolli economici (non si è
ancora rovinato economicamen-
te!) affronta fin da subito le que-
stioni riguardanti la propria di-
namica familiare. Questo, spesso,
provoca tensioni emotive fortis-
sime sia al giocatore che ai suoi
familiari e, sopratutto alle prime
sedute, permette un’apertura al
gruppo per una spontanea condi-
visione di esperienze e sensazio-
ni. In questi casi, la frequente
“fuga” dal gruppo, è sostenuta dal
fatto di poter ancora pensare:
“siamo ancora in grado di conte-
nere la situazione dal punto di vi-
sta economico... chi ce lo fa fare
di scoperchiare i problemi che
l’azzardo nasconde”. La famiglia
che arriva in terapia a tracollo e-
conomico avvenuto è invece, pa-
radossalmente, più motivata ad
intraprendere un cammino tera-
peutico che preveda anche regole
molto rigide. Dovendo essa, in
una prima fase, preoccuparsi es-
senzialmente di quelli che sono i
propri bisogni primari (procurarsi
il pane!) può procrastinare quella
c
che è l’analisi delle relazioni fami-
liari. Quando quest’ultima può fi-
nalmente passare in primo piano,
la famiglia si è già da tempo inte-
grata al gruppo per cui il confronto
e l’apertura agli altri avviene con
minor timore e soggezione.
Perché chi entra in terapia deve a-
stenersi dal continuare a giocare
d’azzardo? Alcuni giocatori so-
stengono di poter controllare il
gioco pur frequentando la terapia;
secondo loro, lo conterrebbero li-
mitandolo, cioè riducendolo sensi-
bilmente rispetto a prima della te-
rapia. Nel corso della terapia pos-
sono avvenire delle ricadute. Soli-
tamente, quando queste avvengo-
no e il giocatore e la famiglia se-
guono già da qualche mese o anno
il programma terapeutico, il prez-
zo da pagare diventa una somma-
toria di sensi di colpa. Questi ulti-
mi portano il giocatore a capire
che “le colonne d’Ercole sono sta-
te superate” e non è più possibile
tornare indietro. Lo sporadico ri-
torno all’azzardo, dopo un lungo
periodo terapeutico, non ha nulla a
che vedere con quello precedente
alla terapia; anzi, diventa spesso
un percorso quasi obbligatorio al
fine di sradicare il vissuto
d’onnipotenza al gioco (tipico del
giocatore estremo) e riacquistare
l’umiltà di riconoscere le proprie
debolezze. I giochi rimangono gli
stessi (roulette, videopocker, lotto
ecc) ma le sensazioni sono assolu-
tamente diverse: anzi il ritorno al
gioco d’azzardo in corso di terapia
paradossalmente mette fine defini-
tivamente all’ azzardo proprio
perché la persona si rende conto
che il viaggio terapeutico non pre-
vede il ritorno ai modelli prece-
denti. Per questo è necessario che
il giocatore entrato in terapia smet-
ta completamente e definitivamen-
te all’ azzardo proprio perché la
persona si rende conto che il viag-
gio terapeutico non prevede il ri-
torno
torno ai modelli precedenti. Per
questo è necessario che il giocatore
entrato in terapia smetta comple-
tamente e definitivamente di gioca-
re. Per essere pronto, se ci sarà la
ricaduta, a “sentire” il “non ritor-
no”.
Il continuare a giocare (anche in
modo che può apparire banale, tipo
la schedina settimanale) tiene il
giocatore incollato al modello pa-
tologico (impulso e dipendenza) e
quando ci sarà la ricaduta in corso
di terapia “il ritorno al passato” sa-
rà cosa fatta.
N GAP: approcci al fenomeno e
descrizione di alcuni tratti di per-
sonalità dei giocatori. Nel 1980 il
gioco d’azzardo patologico fu in-
cluso nel Manuale Diagnostico e
Statistico dei Disturbi Mentali,
DSM III. Questa patologia fu clas-
sificata nella sezione dedicata ai
disturbi del controllo degli impulsi
non classificati altrove. I criteri o-
riginari del gioco d’azzardo pato-
logico furono poi rivisti e modifi-
cati nell’ultima versione del DSM
IV (5), dove oggi questa patologia
è definita in base a dieci criteri che
descrivono sia le caratteristiche del
giocatore sia le conseguenze socia-
li risultanti dal suo comportamen-
to. In sintesi, il DSM IV descrive il
gioco d’azzardo come un compor-
tamento persistente, ricorrente e
maladattivo che compromette le
attività personali, familiari e lavo-
rative. Diverse sono state, e sono
tutt’ oggi, le interpretazioni teori-
che del fenomeno.
Simmel, Freud e Bergler ritengono
che si tratti di una pratica autopu-
nitiva masochista, capace di espia-
re il senso di colpa inconscio gene-
rato dall’altrettanto inconscio desi-
derio di uccidere il padre, uomo
sadico e autoritario, e occupare il
suo posto nella relazione con la
madre. I cognitivisti hanno eviden-
ziato come le false credenze e per-
cezioni errate svolgano un ruolo
chiave
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nello sviluppo e mantenimento dei
problemi legati al gioco. In parti-
colare, gli errori cognitivi più ri-
correnti nei giocatori incalliti ri-
guardano: l’illusione di controllo
(mancata percezione della casuali-
tà dei risultati al gioco),
l’intrappolamento (chasing; falsa
credenza che la perseveranza al
gioco verrà, prima o poi, premiata
con una vincita), la fallacia di
Montecarlo (sovrastima della pro-
babilità di vincere in seguito ad
una serie di scommesse perse e
sottostima della probabilità di vin-
cere in seguito ad una serie di
scommesse vinte), la “quasi vinci-
ta” (perdita al gioco considerata
dal giocatore come molto vicina
alla vittoria; a livello comporta-
mentale, ha lo stesso effetto condi-
zionante di una vincita), nonché
numerose teorie pseudomatemati-
che. L’approccio comportamentale
considera invece il Gap come un
comportamento disfunzionale ap-
preso e mantenuto da una serie di
rinforzi positivi e/o negativi. Par-
tendo da tali presupposti, gli inter-
venti a livello comportamentale
verteranno necessariamente alla
modificazione ditali comportamen-
ti nella direzione di un loro mag-
gior adattamento. L’approccio bio-
logico, una volta accertata una
componente biochimica alla base
del Gap (disregolazione a carico
dei sistemi neurotrasmettitoriali
dopaminergico-serotoninergico-
noradrenergico, diminuita attività
MAO a livello piastrinico e ipo-
frontalità) e verificate le affinità
biologiche con altre patologie (Di-
sturbi dell’Umore, Disturbi Osses-
sivo Compulsivi, Dipendenze Pa-
tologiche..) si è avvalso di tutto ciò
al fine di predisporre un intervento
farmacologico adeguato. In parti-
colare, è stata dimostrata anche nel
caso del Gap, l’efficacia anti-
ossessiva e anti-compulsiva di al-
cuni antidepressivi serotoninergici
C
Clomipramina e SSRI).
L’approccio sistemico-relazionale
sposta l’attenzione dal singolo
soggetto portatore di sintomi
all’intera situazione problematica
in cui egli si trova immerso.
L’intervento terapeutico si muove-
rà pertanto, con l’intento di fissare
nuove regole, nuovi ruoli, nuove
modalità comunicative, a partire
dalla rottura di quell’equilibrio re-
lazionale disfunzionale in cui il
giocatore si trova intrappolato. A
tal fine, si rende indispensabile
l’attivazione di una rete di suppor-
to del paziente che agisca a più li-
velli, con l’obiettivo di sviluppare
una norma condivisa lungo il per-
corso riabilitativo. Oggi come og-
gi, l’approccio multimodale, ab-
bracciando una prospettiva eziolo-
gica plurifattoriale, è quello più
spesso messo in atto dai Centri
specializzati per la cura del Gap. Il
programma terapeutico si inserisce
organicamente in un iter riabilitati-
vo multidimensionale secondo una
logica olistica e sinergica.
La psicologia dei tratti di persona-
lità, l’approccio maggiormente dif-
fuso nella letteratura a carattere
sperimentale, individua in alcune
differenze personologiche i fattori
di rischio del gioco d’azzardo pato-
logico. I tratti di personalità e i di-
sturbi spesso implicati sembrano
essere la depressione (McCormick
et al., 1984; Linden et al., 1986;
Steel e Blaszczynski, 1998; Roy et
al., 1988), l’ansia (Steel e Bla-
szczynski, 1998), l’impulsività
(Castellani e Rugle, 1995; Steel e
Blaszczynski, 1998) e la ricerca di
sensazioni (Lejoyeux, 1998).
I sei gruppi di terapia di Campo-
formido
Quando nel 1995 mi sono avvici-
nato per la prima volta ai giocatori
d’azzardo e ai loro familiari, mi
sono trovato di fronte ad un conte-
sto particolarmente complesso,
verso
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In coda ad ogni articolo trovi
lo spazio per dire la tua.
Seguici sui Social
Network
verso il quale gli interventi erano
quasi inesistenti. Tenendo conto
di tutti gli approcci teorici de-
scritti precedentemente, ho cerca-
to di mettere a punto una strategia
terapeutica che consentisse ai
giocatori d’azzardo di raggiunge-
re e mantenere l’astinenza dal
gioco nell’immediato e produrre
cambiamenti relazionali profondi
a distanza di anni non solo nel
giocatore, ma anche all’interno di
tutta la famiglia. Grazie al Patro-
cinio della Cittadina di Campo-
formido (Ud), che ha messo a di-
sposizione una sala per gli incon-
tri, gradualmente ho dato il via a
sei gruppi di terapia costituiti da
giocatori d’azzardo e loro fami-
liari (oltre un centinaio di perso-
ne). Nel frattempo ho formato un
g
gruppo di studio, di ricerca e
d’intervento sul gioco d’azzardo
patologico composto da quattro
psicoterapeuti il sottoscritto, le
dott.sse Marina Ponton, Cristina
Baldin ed Ebe De Monte) e una so-
ciologa (la dott.ssa Marilena Zoc-
colan).
Parallelamente all’attivazione dei
gruppi di terapia si è pure costituita
l’Associazione degli ex giocatori
d’azzardo e delle loro famiglie
(A.GIT.A.) con sede a Campofor-
mido (Ud). L’Associazione ha la
sua sede presso il Municipio di
Campoformido (Ud), poiché
l’Amministrazione Comunale ha
ritenuto che gli scopi statutari siano
d’alto contenuto sociale. Diverse
sono state e sono le iniziative che il
gruppo di studio e di ricerca ed
A.GIT.A., parallelamente all’ atti-
vazione dei gruppi terapeutici, han-
no progressivamente portato avanti
negli anni:
- incontri informativi e culturali sul
gioco d’azzardo aperti alla popola-
zione;
- partecipazione da parte
dell’équipe a seminari e convegni
con finalità scientifiche e di ricerca;
- incontri con i mass-media regio-
nali e nazionali volti ad una sensi-
bilizzazione ed un’ informazione
sul problema;
- ricerca epistemologica e clinica
attuata con 1’ apporto di contributi
forniti da varie discipline quali: la
psicologia, la psicopatologia, la
psichiatria, la psicoterapia, la socio-
logia e la letteratura;
- analisi ed approfondimenti conti-
nui sul lavoro terapeutico con le
persone coinvolte nel problema;
- organizzazione del primo conve-
gno nazionale su “I videopoker e il
gioco d’azzardo” (Campoformido,
6 maggio 2000);
- “lauree d’azzardo” - due edizioni
con presentazione di complessi- ve
sette tesi di laurea sul gioco
d’azzardo (Campoformido, 30 set-
tembre
settembre 2000 e 21 settembre
2002);
- organizzazione del primo, del se-
condo e del terzo convegno nazio-
nale su “Auto-aiuto e terapia per i
giocatori d’azzardo e le loro fami-
glie: esperienze e prospettive in I-
talia” (Campoformido, 16 dicem-
bre 2000; 15 dicembre 2001; 14
dicembre 2002); (19);
- organizzazione del convegno “Il
Bingo: un gioco d’azzardo per le
famiglie italiane” (Campoformido,
15 giugno 2001);
- apertura e aggiornamento conti-
nuo di un sito internet
(www.sosazzardo.it) che, oltre a
fornire un’ ampia informazione sul
problema, consente di chiedere in-
formazioni ed ottenere risposte in
tempo reale.
L’équipe di ricerca e di intervento
psicoterapeutico sui giocatori
d’azzardo patologici e i loro fami-
liari di Campoformido è riuscita,
con il tempo, a strutturare un pro-
gramma terapeutico che tiene con-
to delle specificità concernenti il
gioco d’azzardo. Attualmente, vie-
ne utilizzato un programma tera-
peutico che, monitorando e valu-
tando le eventuali modifiche per
migliorare il modello, consente un
intervento strutturato nel tempo e
con modalità ormai consolidate.
Organizzazione e caratteristiche
dei gruppi di terapia di Campo-
formido
Dopo la prima richiesta d’aiuto,
che può giungere dal giocatore
d’azzardo stesso, ma più frequen-
temente proviene da un suo fami-
liare, sono previsti alcuni colloqui
allo scopo di creare i presupposti
per l’ingresso nel gruppo terapeu-
tico. Nelle sedute con il giocatore
e la sua famiglia, oltre a valutare la
situazione psicologica dei singoli,
sono definite le complesse relazio-
ni che si sono delineate all’interno
della famiglia. Questi colloqui mo-
ti
tivazionali non sono rivolti solo al
giocatore, ma anche ai suoi fami-
liari.
Dopo questa prima fase, la fami-
glia e il giocatore sono inseriti in
un gruppo. I gruppi terapeutici
sono stati organizzati in base ad
alcuni criteri fondamentali: la
composizione, lo spazio, il tempo
e le regole.
Composizione
- giocatori d’azzardo patologici e
loro familiari;
- numero dei giocatori partecipan-
ti al singolo gruppo non superiore
a dieci unità;
- eterogeneità del gruppo rispetto
al livello socio-culturale, al sesso
e all’età.
Spazio
- le sedute avvengono sempre nel-
lo stesso luogo.
Tempo
- le sedute si effettuano una volta
la settimana, alla stessa ora ed
hanno una durata di due ore;
- la durata della terapia è di alcuni
anni e questo viene comunicato
fin dal primo colloquio per evitare
che nascano aspettative di cam-
biamenti immediati.
Alcune regole
• la partecipazione al gruppo tera-
peutico del giocatore e dei fami-
liari dovrà essere costante;
• le eventuali assenze saranno
comunicate prima dell’inizio de-
gli incontri;
• il giocatore s’impegna a non
giocare d’azzardo;
• il giocatore e i suoi familiari de-
vono mantenere il segreto rispetto
al contenuto delle sedute;
• il giocatore e i familiari stabili-
ranno l’ammontare dei debiti e ne
preventiveranno il risarcimento
nei modi e tempi ritenuti possibi-
li;
• il giocatore accetterà il controllo
finanziario da parte dei familiari;
• eventuali momenti di difficoltà
dovuti all’astinenza da gioco po-
tra
potranno essere affrontati prenden-
do contatto con altri membri del
gruppo.
Il coinvolgimento di tutta la fami-
glia nella terapia di gruppo fa sì che
i familiari si rendano conto che ad
avere bisogno di aiuto non è esclu-
sivamente il giocatore, ma tutti i
componenti del nucleo familiare.
Caratteristiche dei partecipanti
alla terapia di gruppo di Campo-
formido
Ritengo utile fornire alcuni dati
emersi in questi anni d’attività cli-
nica rispetto allo stato civile, al ti-
tolo di studio, provenienza, alle
abitudini di gioco, all’età, al sesso,
alla professione, uso d’alcol, tabac-
co e sostanze psicotrope, alla fre-
quenza, alle percentuali
d’abbandono e ai risultati.
- Stato civile: il 65% dei giocatori è
sposato mentre il 35% non lo è.
- Titolo di Studio: il 3% è in pos-
sesso della licenza elementare, il
48% della licenza media, il 45% di
diploma di scuola superiore e il
4% di laurea.
- Provenienza: il 76% dei giocatori
proviene dalla Regione Autonoma
Friuli-Venezia Giulia, il restante
24% da oltre Regione.
- Abitudini relative al gioco: il 51%
giocava al casinò, il 21% alle corse
ai cavalli, il 15% al lotto, il 13% ai
videopocker; facciamo riferimento
alla classificazione dei giochi che
fece R. Caillois (23) in quattro
campi semantici (fortuna, competi-
zione, simulacro e vertigine); si
tratta, a ben vedere, di giochi di
“Alea” (“Il caso non ha né cuore né
anima”).
- Età dei partecipanti: il 7% ha me-
no di trenta anni, il 14% dai trenta
ai quaranta anni, il 51% dai quaran-
ta ai cinquanta anni, il 22% dai cin-
quanta ai sessanta anni, mentre il
6% ha più di sessanta anni; emerge
quindi un’età media piuttosto ele-
vata e questo fa ritenere che i gio-
catori e le famiglie arrivino al no-
stro Centro con esperienze di gioco
d’azzardo protratte negli anni.
catori e le famiglie arrivino al no-
stro Centro con esperienze di gioco
d’azzardo protratte negli anni.
- Sesso: l’85% dei giocatori in te-
rapia sono maschi e il 15% femmi-
ne; considerato che la percentuale
di donne giocatrici secondo le sta-
tistiche è del 25%, è interessante
osservare come, rispetto a tre anni
fa, la percentuale di soggetti di
sesso femminile che richiedono un
intervento terapeutico per gioco
d’azzardo patologico è aumentata
e, in futuro, sembra destinata ad
avvicinarsi alla percentuale (25%)
della popolazione generale.
- Professione: il 73% è lavoratore
autonomo, il 27% lavoratore di-
pendente. All’interno dei nostri
gruppi non ci sono disoccupati.
- Frequenza: il 71% dei giocatori
partecipa ai gruppi di terapia ac-
compagnato dai familiari, il 5%
partecipa senza presenza dei fami-
liari, mentre il 24% è rappresentato
da familiari che partecipano al
gruppo senza il giocatore
d’azzardo. Rispetto a tre anni fa
notiamo un aumento sensibile (+
19%) di questa ultima categoria.
Ciò significa che le famiglie sen-
tono ugualmente la necessità di
partecipare ai gruppi, in qualche
modo anticipando il lavoro sulle
relazioni all’interno del contesto
familiare.
Uso d’alcol, tabacco e sostanze
psicotrope: il dato che maggior-
mente s’impone è che il 90% dei
giocatori d’azzardo è dipendente
da tabacco; fanno uso d’alcol (al-
meno tre volte la settimana) il 15%
dei partecipanti, mentre l’uso di
una o più sostanze psicotrope ri-
guarda il 3% dei frequentanti i
gruppi di terapia.
- Percentuale d’abbandono: il 30%
dei giocatori abbandonano la tera-
pia e questo di solito avviene in
prima o in seconda seduta. I gioca-
tori d’azzardo che abbandonano i
gruppi di terapia riprendono tutti a
giocare
giocare d’azzardo.
- Risultati terapeutici: la stragran-
de maggioranza dei giocatori che
frequentano il gruppo non gioca-
no più d’azzardo, mentre altri, pur
continuando a frequentare la tera-
pia, continuano a giocare, anche
se in misura inferiore rispetto
all’inizio del trattamento.
E evidente che i dati riportati, pur
rappresentando una tendenza, non
possono essere considerati defini-
tivi; ciò che, invece, ci sentiamo
di poter sostenere è che la terapia
di gruppo per i giocatori
d’azzardo e per le loro famiglie
rappresenta uno degli strumenti
più adeguati per affrontare la di-
pendenza da gioco d’azzardo.
I cambiamenti dei giocatori e
dei familiari e gli scopi princi-
pali della terapia
Il giocatore scopre, partecipando
al gruppo, di non essere il solo ad
avere problemi, poiché riconosce
sofferenze e difficoltà comuni a-
gli altri componenti del gruppo.
All’interno del gruppo la soffe-
renza del giocatore si ridimensio-
na divenendo sofferenza condivi-
sa da tutti e quindi è vissuta dal
giocatore con minori sensi di col-
pa. Inoltre, il confronto con altri
giocatori fa scattare nell’individuo
un comportamento “imitativo”:
gli ex-giocatori d’azzardo, quelli
che non giocano più, possono
“generare” altri non giocatori
d’azzardo. Nello specifico, il
gruppo terapeutico ha la finalità
fondamentale di indurre un cam-
biamento nell’atteggiamento as-
sunto dal giocatore e dalla sua
famiglia nei confronti del pro-
blema del gioco d’azzardo, supe-
rando il bipolarismo giocare-non
giocare.
All’interno di un gruppo di gioca-
tori d’azzardo e familiari il gioco
è al centro delle prime sedute e,
attorno a “questo tema designa-
to”,
to”, ruotano tempo, spazio, ruoli
ed elaborazioni.
Tenendo conto dei livelli di cam-
biamento proposti da Bateson, bi-
sogna uscire dalla riduttiva logica
di agire solo sul sintomo senza
portare l’individuo e la famiglia a
cambiamenti; di conseguenza, è
necessario intervenire sugli indi-
vidui e sulle loro relazioni agendo
sui significati e sulle dinamiche
della sofferenza nel tentativo di
indurre cambiamenti significativi
all’interno del contesto familiare.
In sintesi gli scopi principali della
terapia di gruppo sono, oltre che
quello di accrescere il supporto al
fine di favorire il processo di re-
cupero (attraverso il miglioramen-
to delle relazioni interpersonali),
anche quello di attenuare i timori
e le paure e favorire la libertà
d’espressione. Tutto ciò può av-
venire solo attraverso una riduzio-
ne degli atteggiamenti difensivi,
sia da parte del giocatore che di
chi gli sta intorno. Infatti, affievo-
lendo le difese, gli individui impa-
rano ad ascoltarsi, creando così
nuove idee. Il risultato è un cam-
biamento non più visto come
qua!cosa di temibile, ma
d’auspicabile.
Raggiungere questi stadi non è poi
così semplice. Emergono, spesso,
resistenze ad esprimere ciò che si
è, ciò che si è stati e ciò che si
pensa degli altri membri del grup-
po. Tutto ciò è principalmente do-
vuto alla difficoltà ad accettare se
stessi e al credere che basti poco
tempo per raggiungere gli obietti-
vi. Il cambiamento non riguarda
solo l’ex-giocatore, ma anche i
suoi familiari. All’interno della
famiglia, la terapia
famiglia, la terapia di gruppo induce
ad una ridefinizione dei ruoli e una
ridistribuzione dei compiti, senza
che si sviluppino comportamenti po-
larmente opposti e distruttivi.
Da quanto sopra esposto, emerge
l’importanza che la conduzione del
gruppo venga affidata ad uno psico-
terapeuta capace di creare un clima
psicologico di sicurezza in cui gra-
datamente si liberino intense emo-
zioni, ottenendo così nei partecipan-
ti un senso di sollievo e di risolu-
zione dei conflitti.
Il termine della terapia di gruppo e
la riconsegna, quindi, alla vita di
tutti i giorni delle famiglie, dopo
anni di psicoterapia, tiene conto di
questi importanti cambiamenti nello
stile di vita delle persone.
R. De Luca
in collaborazione con
La Rassegna Italiana delle Tossicodipendenze
Periodico quadrimestrale by Franco Angeli srl, Milano - Autorizzazione del Tribunale di Foggia n. 8 del 30/04/1991 - Direttore
re-sponsabile: Antonio del Vecchio - Direttore Scientifico: Giuseppe Mammana - Redazione e Direzione c/o DITE Edizioni
Scientifiche: Via G. Rosati, 137- Foggia- Tel/fax 0881/665777.
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