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ROCK E SOLIDARIETÀ: UNA LUNGA STORIA D’AMORE Da John Lennon a Bono, dal concerto per il Bangladesh al Live Aid. Il rock è sempre stato portatore di istanze sociali e iniziative benefiche. Ne abbiamo parlato con Gino Castaldo di Repubblica di Maurizio Ermisino Leggere, ascoltare, navigare 72 I n principio erat Woodstock, o almeno così si pensa. È in quel periodo, alla fine degli anni Sessanta, che la musica rock comincia a essere voce e urlo di istanze, colonna sonora elettrica di cambiamenti po- litici e sociali. «Più che di Woodstock dob- biamo parlare del clima che c’era in quegli anni, quel clima di solidarietà che era parte della rivoluzione che si stava facendo», spiega Gino Castaldo, giornalista di Repubblica, esperto di storia del rock. «Prima ancora e più di Woodstock dobbiamo ricordare gli eventi californiani del ’67 (il Festival di Monterey, ndr) che avevano creato modelli di compor- tamento e vita collettiva completamente an- tagonisti rispetto ai valori del tempo». «Le cose più in linea con l’atteggiamento benefit arrivano dopo» precisa Castaldo. «Il primo evento vero e proprio di questo tipo è del 1971 ed è il concerto per il Bangla Desh, or- ganizzato da George Harrison, il primo ca- pitolo di una linea che è continuata negli anni: era un evento con una motivazione concreta (c’era stato un disastro nel Bangla Desh). È l’archetipo dei concerti benefici». Ma è un altro membro dei Beatles, John Lennon, che molti associano a quella sta- gione di sogni e utopie. La sua “Imagine” è Un'immagine del grande concerto per i 70 anni di Nelson Mandela

ROCK E SOLIDARIETÀ: UNA LUNGA STORIA D’AMORE · 1971 ed è il concerto per il Bangla Desh, or-ganizzato da George Harrison, il primo ca-pitolo di una linea che è continuata negli

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Page 1: ROCK E SOLIDARIETÀ: UNA LUNGA STORIA D’AMORE · 1971 ed è il concerto per il Bangla Desh, or-ganizzato da George Harrison, il primo ca-pitolo di una linea che è continuata negli

RROOCCKK EE SSOOLLIIDDAARRIIEETTÀÀ:: UUNNAA LLUUNNGGAA SSTTOORRIIAA DD’’AAMMOORREEDDaa JJoohhnn LLeennnnoonn aa BBoonnoo,, ddaall ccoonncceerrttoo ppeerr iill BBaannggllaaddeesshh aall LLiivvee AAiidd.. IIll rroocckk èè sseemmpprree ssttaattoo ppoorrttaattoorree ddii iissttaannzzee ssoocciiaallii ee iinniizziiaattiivvee bbeenneeffiicchhee.. NNee aabbbbiiaammoo ppaarrllaattoo ccoonn GGiinnoo CCaassttaallddoo ddii RReeppuubbbblliiccaa

di MMaauurriizziioo EErrmmiissiinnoo

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In principio erat Woodstock, o almenocosì si pensa. È in quel periodo, allafine degli anni Sessanta, che la musica

rock comincia a essere voce e urlo di istanze,colonna sonora elettrica di cambiamenti po-litici e sociali. «Più che di Woodstock dob-biamo parlare del clima che c’era in queglianni, quel clima di solidarietà che era partedella rivoluzione che si stava facendo», spiegaGino Castaldo, giornalista di Repubblica,esperto di storia del rock. «Prima ancora e piùdi Woodstock dobbiamo ricordare gli eventicaliforniani del ’67 (il Festival di Monterey,ndr) che avevano creato modelli di compor-tamento e vita collettiva completamente an-tagonisti rispetto ai valori del tempo». «Lecose più in linea con l’atteggiamento benefitarrivano dopo» precisa Castaldo. «Il primoevento vero e proprio di questo tipo è del1971 ed è il concerto per il Bangla Desh, or-

ganizzato da George Harrison, il primo ca-pitolo di una linea che è continuata negli anni:era un evento con una motivazione concreta(c’era stato un disastro nel Bangla Desh). Èl’archetipo dei concerti benefici».

Ma è un altro membro dei Beatles, JohnLennon, che molti associano a quella sta-gione di sogni e utopie. La sua “Imagine” è

Un'immagine del grande concerto per i 70 anni di Nelson Mandela

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un manifesto di questo sentimento, e i suoiatti concreti e originali, sono dei casi chehanno fatto scuola. «Lennon normalmenteagiva in nome della pace, in senso più gene-rico», racconta Castaldo. «La sua era una to-tale confusione tra arte e vita, chenon è mai stata così forte e crea-tiva. Nei suoi primi anni in Ame-rica, cominciò ad intessererapporti con i Black Panthers. Poici fu la battaglia per la liberazionedi John Sinclair e Angela Davis,due prigionieri cosiddetti politici,a cui contribuì anche con deisoldi. Nel 1969, poi, il Bed-in fuun atto clamoroso: era il suo viag-gio di nozze, e, sapendo che sa-rebbe stato braccato dai giornali,decise di trasformarlo in una ma-nifestazione di pace». I due rima-sero a letto per una settimanafacendosi fotografare e rila-sciando dichiarazioni sulla pace.

Si dice che la stagionedelle utopie e dell’impegnocivile sia finita con la mortedi John Lennon, nel 1980.«Distinguerei due aspetti»precisa Castaldo. «Da unlato, un tempo il rock eradentro le cose, e non ha ne-anche senso distinguere trarock impegnato e non. Lacultura rock era una culturaimpregnata di realtà, nonc’era bisogno di decidereche un pezzo parlasse di untema per essere impegnato.Non c’è un pezzo deglianni Sessanta o Settanta,

che non abbia a che vedere con la voglia dicambiare il mondo, o di raccontare questa tra-sformazione. Dal concerto per il Bangladeshin poi comincia un’altra storia, che continuerà

anche dopo la fine di questo ciclodel rock, che finisce con il punk ela disco music alla fine degli anniSettanta, quando tramonta unacerta idea della musica rock. Maemerge, con altri presupposti ealtre caratteristiche, l’atteggia-mento benefico, che in alcunianni è stata una molla impor-tante».

Proprio negli anni Ottanta,quelli in cui il rock sembra averperso il suo ruolo di portatore divalori e istanze, il suo graffio, perdiventare look, edonismo e suonisintetici, l’impegno rinasce. È il1985, e da un’idea di Bob Geldofnasce il “Live Aid”, colossale con-

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WarIs Over If You Want It

(John Lennon)

Il bed-in di John Lennon e Yoko Ono

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certo doppio (a Londra e Philadelphia) eprimo evento mediatico in diretta tv per laraccolta di fondi contro la fame in Africa.«Ho sempre interpretato il successo planeta-rio di Live Aid, e la mobilitazione totale che

c’è stata, esattamente nella chiave di cui par-lavamo», analizza Gino Castaldo. «Proprioperché era tramontata una certa idea del rockcome musica che fa parte integrante dellecose, i musicisti sentirono questo appello inmassa, perché improvvisamente era loro of-ferta di nuovo la possibilità difare qualcosa, qualcosa che nelrock cominciava a non succe-dere più. Io ho interpretato cosìquesta gara che rimbalzò dal-l’Inghilterra all’America: c’eranoveramente tutti, da Sting aDylan non c’è stato qualcuno che non siastato coinvolto in quell’annata di iniziative perla fame in Africa. Era la voglia di tornare asentirsi un po’ utili, data anche dai sensi dicolpa legati dalla fama, che ti porta lontanoda quelle che sono le tue origini. Tutti, conpochissime eccezioni, erano artisti che veni-vano dalla working class». Da quel momento

il binomio rock-impegno sociale è ripartito,attraverso eventi concreti, come il ConspiracyOf Hope Tour, che ha ha visto U2 e Policea fianco di Amnesty International. «Mal’evento chiave di quegli anni è stato un pro-getto non strettamente di beneficenza, la mo-bilitazione per Nelson Mandela» ci spiegaCastaldo. «Fu qualcosa di complesso, checoinvolse i musicisti americani, che fecero ilpezzo “Sun City” contro l’apatheid con Lit-tle Steven, e che culminò con i concerti aWembley per Mandela. Lì successe qualcosadi ancora più forte: ci furono due concerti, ilprimo per chiedere la liberazione di Mandela,il secondo per festeggiare la sua libertà. Inquel momento c’era la percezione che fosse lavittoria del rock, che la mobilitazione dei mu-sicisti avesse dato un contributo decisivo allaliberazione di Mandela».

Negli ultimi anni le modalità di farsi caricodi istanze sono cambiate ancora. Vent’annidopo il Live Aid, nel 2005, Bob Geldof ha ri-lanciato il Live 8, il cui scopo non era quellodi raccogliere fondi tra i privati, ma di fare

pressione sui governi dei paesidel G8 perché cancellassero ildebito dei paesi più poveri.Meno epocale, ma forse piùutile del Live Aid: Geldof ha di-chiarato che nell’85 furono rac-colti 150 milioni di sterline,

mentre la portata del Live 8 è di 50 miliardi disterline. L’attività del rock non sembra più es-sere la raccolta fondi, ma un lavoro di lobby.In questo senso Bono, il leader degli U2, haincontrato più volte personalmente i leaderdei paesi più ricchi perché cancellassero il de-bito, non ha solo mandato messaggi attra-verso canzoni e concerti. «È una partita

L’attività del rocknon sembra piùraccolta fondi,

ma lavoro di lobby

Bono con il presidente Bush

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molto rischiosa» confessa Castaldo. «Bono hapagato un po’ questa scelta. Lui diceva: “i capisono quelli, ed è a loro che devo rivolgermi”.Il ragionamento è impeccabile:“il presidente americano è lui, enon posso non andarci perché èdi destra”. Ma di fatto, al di làdella logica, vedere Bono strin-gere la mano a Bush non è statoun bello spettacolo».

Anche l’Italia ha vissuto la sua stagione diconcerti di beneficenza, con i famosi eventi diPavarotti. E anche da noi non sono mancatele polemiche: secondo Vasco Rossi, infatti, labeneficenza va fatta in silenzio. Chi ha ra-gione? «Penso che sia un argomento scivo-loso, in tutti i sensi» è l’opinione di Castaldo.«È vero che la beneficienza si fa in silenzio,ma è anche vero che alcuni comportamentidiventano esempi, modelli di riferimento: sela beneficenza viene fatta in silenzio, non c’è

il fattore di emulazione. Se sonouna grande rockstar, vi chiedo diseguire la mia strada. Ho semprecriticato le iniziative più piccole,di artisti minori, senza giudicarela buona fede: siccome c’è sem-pre ambiguità su queste opera-zioni, un conto è se si tratta digente di un certo livello, perchéeffettivamente muove le cose, esiamo più sicuri che non ci sia uninteresse di ritorno, un conto èse sono personaggi minori, e lacosa è poco utile».

Difficile dire se per le rockstarl’impegno sia più un affare o sin-cero coinvolgimento nelle cause.«Come si fa a giudicare se qual-

cuno è in buona fede o meno?» chiede Ca-staldo. «Sarebbe un modo di fare processisommari alle intenzioni. Secondo me dob-

biamo attenerci ai fatti e giudi-care i risultati». Le rockstarprobabilmente continueranno aimpegnarsi nel sociale. «La be-neficienza fa parte della culturaanglosassone, della cultura pro-testante, viene sentito quasi

come un obbligo. Nella nostra è meno natu-rale. Io continuo a pensare che realmenteutile è quello che agisce sulle strutture e nonsulla beneficenza. Sarebbe bello ragionare sucome scardinare gli elementi strutturali deiproblemi». Ed è anche vero che oggi man-cano nuovi personaggi in grado di essere deitestimonial d’impatto. «Al Live 8 hanno suo-nato più di cinquecento band da tutto ilmondo. Eppure il mondo si è fermatoquando sono arrivati i Pink Floyd». ■

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Un’immagine del grande concerto di Woodstock, 1969

Sarebbe belloragionare su

come scardinaregli elementi

strutturali dei problemi