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non solo ha aperto gli occhi, attra- verso le orecchie, agli ascoltatori di Radio radicale su teoria e prassi del carcere, cioè la rieducazione come mera espressione vocale, la puni- zione come unico credo e il tentativo di distruggere l’individuo... Direttore ARTURO DIACONALE Sabato 3 Settembre 2016 Fondato nel 1847 - Anno XXI N. 159 - Euro 0,50 DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1 DCB - Roma / Tariffa ROC Poste Italiane Spa Spedizione in Abb. postale QUOTIDIANO LIBERALE pER LE gARANzIE, LE RIFORME ED I DIRITTI UMANI delle Libertà di ARTURO DIACONALE Crescita zero, l’ottimismo dell’irresponsabilità I dati indicano che nel primo semestre dell’anno le previsioni di crescita del Governo sono state smentite dai fatti ma Renzi e Padoan continuano a vedere prospettive rosee a dispetto della realtà Roma, Amatrice e la “cantonizzazione” R affaele Cantone è sicuramente una persona misurata e consa- pevole del proprio ruolo. Per questo c’è da pensare che non sia affatto contento e soddisfatto di questa fun- zione di Tribunale Supremo di ogni questione di giustizia penale ed am- ministrativa che le diverse vicende di tipo emergenziale gli hanno attri- buito ponendolo sulla testa dei sin- daci italiani. Il caso di Amatrice è significativo. Nella cittadina rasa al suolo dal ter- remoto il capo dell’Anticorruzione è stato chiamato a furor di popolo me- diatico a scavalcare la magistratura ordinaria di Rieti ed a creare le con- dizioni per mettere sulla graticola il sindaco Sergio Pirozzi prima ancora del ritrovamento delle carte riguar- danti l’appalto della scuola disa- strata. Il caso di Roma è ancora più illuminante. La sindaca pentastellata Virginia Raggi ha deciso di sotto- porre ogni proprio atto amministra- tivo all’esame dell’Anticorruzione trasformando Cantone in una sorta di tutore indiscutibile ed infallibile della giunta capitolina. E nel mo- mento in cui ha ricevuto un parere negativo sulla procedura utilizzata per la nomina del proprio capo di Gabinetto, non ha avuto alcuna esi- tazione a liberarsi della propria col- laboratrice aprendo di fatto una crisi di non poco conto in Campidoglio. Nessuno dubita che non sia Can- tone a sollecitare questo incredibile carico di lavoro che lo porta a sca- valcare ogni genere di ordinamento diventando una sorta di Superman... ECONOMIA PEZZANI A PAGINA 4 Stiglitz e l’Euro: la memoria corta POLITICA PILLITTERI A PAGINA 2 Centrodestra e dintorni: consigli non richiesti per Stefano Parisi PRIMO PIANO SOLA A PAGINA 3 La Capitale diventa la “Caporetto” dei Cinque Stelle CULTURA DIONISI A PAGINA 7 Il miracolo di Madre Teresa ESTERI PIPES A PAGINA 5 L'’Islam non si Usa: niente denaro saudita per le moschee americane Lorenzin e le suggestioni dei figli della lupa N oto che a destra la risibile cam- pagna propagandista del mini- stro della Salute Beatrice Lorenzin, centrata sul “Fertility Day” del 22 settembre prossimo, ha innescato una sorta di riflesso condizionato. Evocando antiche suggestioni stile “figli della lupa”, la Lorenzin ha in realtà cercato di prendersi un mi- nimo di visibilità vendendo fumo, al pari del suo capataz Matteo Renzi, sotto forma di sterili, quanto inutili cartoline in favore della fertilità. D’altro canto, al partitino di An- gelino Alfano, sempre più né carne e né pesce sul piano politico, non re- di CLAUDIO ROMITI di DIMITRI BUFFA “C he aspettiamo a fare un par- tito e andare a vincere le ele- zioni? Così poi le facciamo noi le vere riforme liberali?” L’intervento di Marcello Dell’Utri, “galeotto” etichettato con il marchio della condanna definitiva a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, il reato che sul Codice non c’è e che spesso esiste solo nella mente di alcuni Pm d’as- salto, ha concluso così i propri dieci minuti di intervento al Congresso straordinario del Partito radicale transnazionale che si sta svolgendo a Rebibbia, nell’aula magna del car- cere romano. Lo stesso congresso in cui le due anime del partito, nel triste interregno del dopo Pannella, si Continua a pagina 2 Continua a pagina 2 Continua a pagina 2 stano molti altri argomenti per giu- stificare di fronte al popolo degli elettori la propria esistenza in vita. Accantonata qualsiasi velleità... stanno decisamente lacerando spesso con insulti e sicuramente senza esclu- sione di colpi. La nuova vita di Dell’Utri, che a Parma ha fatto il bibliotecario del carcere rimettendo in ordine i libri che prima giacevano negli scatoloni, è tutta all’insegna delle battaglie per una giustizia giusta. E contro quella ingiusta, lui che se ne considera vit- tima. L’uomo parla con una dignità da filosofo, e non solo nel senso di colui che ha “preso con filosofia”, cioè si è rassegnato a subire, una condanna per conto terzi. Non avendo potuto incastrare per mafia Silvio Berlusconi, si sono acconten- tati di condannare lui in via defini- tiva. Con gli stessi labili indizi per i quali il suo ex principale fu invece prosciolto in istruttoria. Dell’Utri Congresso radicale, l’idea di Dell’Utri

Sabato 3 Settembre 2016 Roma, Amatrice Crescita zero, l ... · Italia, di un centrode-stra conciato male e con un Cava-liere che lo sa perfettamente. Il Cavaliere, appunto. La sensa-zione

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Page 1: Sabato 3 Settembre 2016 Roma, Amatrice Crescita zero, l ... · Italia, di un centrode-stra conciato male e con un Cava-liere che lo sa perfettamente. Il Cavaliere, appunto. La sensa-zione

non solo ha aperto gli occhi, attra-verso le orecchie, agli ascoltatori diRadio radicale su teoria e prassi delcarcere, cioè la rieducazione comemera espressione vocale, la puni-zione come unico credo e il tentativodi distruggere l’individuo...

Direttore ARTURO DIACONALE Sabato 3 Settembre 2016Fondato nel 1847 - Anno XXI N. 159 - Euro 0,50

DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1

DCB - Roma / Tariffa ROC Poste Italiane Spa Spedizione in Abb. postale QUOTIDIANO LIBERALE pER LE gARANzIE, LE RIFORME ED I DIRITTI UMANI

delle Libertà

di ARTURO DIACONALE

Crescita zero, l’ottimismo dell’irresponsabilitàI dati indicano che nel primo semestre dell’anno le previsioni di crescita del Governo sono state

smentite dai fatti ma Renzi e Padoan continuano a vedere prospettive rosee a dispetto della realtà

Roma, Amatrice e la “cantonizzazione”

Raffaele Cantone è sicuramenteuna persona misurata e consa-

pevole del proprio ruolo. Per questoc’è da pensare che non sia affattocontento e soddisfatto di questa fun-zione di Tribunale Supremo di ogniquestione di giustizia penale ed am-ministrativa che le diverse vicende ditipo emergenziale gli hanno attri-buito ponendolo sulla testa dei sin-daci italiani.

Il caso di Amatrice è significativo.Nella cittadina rasa al suolo dal ter-remoto il capo dell’Anticorruzione èstato chiamato a furor di popolo me-diatico a scavalcare la magistraturaordinaria di Rieti ed a creare le con-dizioni per mettere sulla graticola ilsindaco Sergio Pirozzi prima ancoradel ritrovamento delle carte riguar-danti l’appalto della scuola disa-strata. Il caso di Roma è ancora piùilluminante. La sindaca pentastellataVirginia Raggi ha deciso di sotto-porre ogni proprio atto amministra-tivo all’esame dell’Anticorruzionetrasformando Cantone in una sortadi tutore indiscutibile ed infallibiledella giunta capitolina. E nel mo-mento in cui ha ricevuto un parerenegativo sulla procedura utilizzataper la nomina del proprio capo diGabinetto, non ha avuto alcuna esi-tazione a liberarsi della propria col-laboratrice aprendo di fatto una crisidi non poco conto in Campidoglio.

Nessuno dubita che non sia Can-tone a sollecitare questo incredibilecarico di lavoro che lo porta a sca-valcare ogni genere di ordinamentodiventando una sorta di Superman...

ECONOMIA

PEZZANI A PAGINA 4

Stiglitz e l’Euro:

la memoria corta

POLITICA

PILLITTERI A PAGINA 2

Centrodestra e dintorni:

consigli non richiesti

per Stefano Parisi

PRIMO PIANO

SOLA A PAGINA 3

La Capitale diventa

la “Caporetto”

dei Cinque Stelle

CULTURA

DIONISI A PAGINA 7

Il miracolo

di Madre Teresa

ESTERI

PIPES A PAGINA 5

L'’Islam non si Usa:

niente denaro saudita

per le moschee americane

Lorenzin e le suggestionidei figli della lupa

Noto che a destra la risibile cam-pagna propagandista del mini-

stro della Salute Beatrice Lorenzin,centrata sul “Fertility Day” del 22settembre prossimo, ha innescatouna sorta di riflesso condizionato.Evocando antiche suggestioni stile“figli della lupa”, la Lorenzin ha inrealtà cercato di prendersi un mi-nimo di visibilità vendendo fumo, alpari del suo capataz Matteo Renzi,sotto forma di sterili, quanto inutilicartoline in favore della fertilità.

D’altro canto, al partitino di An-gelino Alfano, sempre più né carne ené pesce sul piano politico, non re-

di CLAUDIO ROMITI

di DIMITRI BUFFA

“Che aspettiamo a fare un par-tito e andare a vincere le ele-

zioni? Così poi le facciamo noi levere riforme liberali?”

L’intervento di Marcello Dell’Utri,“galeotto” etichettato con il marchiodella condanna definitiva a sette annidi reclusione per concorso esterno inassociazione mafiosa, il reato che sulCodice non c’è e che spesso esistesolo nella mente di alcuni Pm d’as-salto, ha concluso così i propri dieciminuti di intervento al Congressostraordinario del Partito radicaletransnazionale che si sta svolgendo aRebibbia, nell’aula magna del car-cere romano. Lo stesso congresso incui le due anime del partito, nel tristeinterregno del dopo Pannella, siContinua a pagina 2 Continua a pagina 2

Continua a pagina 2

stano molti altri argomenti per giu-stificare di fronte al popolo deglielettori la propria esistenza in vita.Accantonata qualsiasi velleità...

stanno decisamente lacerando spessocon insulti e sicuramente senza esclu-sione di colpi.

La nuova vita di Dell’Utri, che aParma ha fatto il bibliotecario delcarcere rimettendo in ordine i libriche prima giacevano negli scatoloni,è tutta all’insegna delle battaglie peruna giustizia giusta. E contro quellaingiusta, lui che se ne considera vit-tima. L’uomo parla con una dignitàda filosofo, e non solo nel senso dicolui che ha “preso con filosofia”,cioè si è rassegnato a subire, unacondanna per conto terzi. Nonavendo potuto incastrare per mafiaSilvio Berlusconi, si sono acconten-tati di condannare lui in via defini-tiva. Con gli stessi labili indizi per iquali il suo ex principale fu inveceprosciolto in istruttoria. Dell’Utri

Congresso radicale, l’idea di Dell’Utri

Page 2: Sabato 3 Settembre 2016 Roma, Amatrice Crescita zero, l ... · Italia, di un centrode-stra conciato male e con un Cava-liere che lo sa perfettamente. Il Cavaliere, appunto. La sensa-zione

Naturalmente si trattava di unprimo incontro. Natural-

mente si trattava di una pre-pun-tata. Naturalmente si trattava diun contatto preparatorio. Natu-ralmente... Il fatto è che la primauscita milanese (cioè nazionale) diStefano Parisi non poteva avereun target più semplice: rincuorarei suoi, annunciare ufficialmente lasua “Leopolda” di metà settem-bre, mettere in fila qualche pro-blematica da sviluppare.

Però se il buongiorno si vededal mattino - e chiediamo scusaper la banalità uscita dalla pennaestiva - lo speech parisiano non haofferto ciò che molti si aspetta-vano: le anticipazioni di novità.Anzi, qualcosa di nuovo l’ha purdetto avvisando che non vuolesbagliare comin-ciando dalla coali-zione, con un segnaleabbastanza chiaroalla Lega e dintorni.Ha anche aggiuntoche vuol essere deter-minato e persino nongraduale, con unchiaro doppio riferi-mento, al prima diMatteo Renzi di oggi.E che si terrà lonta-nissimo da qualsiasiipotesi di “Scelta ci-vica” di infausta me-moria. Meglio cheniente, si capisce. Epoi, forse, dico forse,più di questa allurenon poteva mostraresenza incappare nellereprimende consuete,peraltro tutte interneal suo (attuale) giropolitico. Ma non perpaura, crediamo, ché,al contrario, la novitàpiù vera di Parisi è dinon avere temuto at-tacchi dagli interioracorporis non foss’al-tro perché ha sfidatoun centrosinistra am-brosiano messo almeglio risultando,lui, la vera risorsa, aMilano e dunque inItalia, di un centrode-

stra conciato male e con un Cava-liere che lo sa perfettamente.

Il Cavaliere, appunto. La sensa-zione è che il suo appoggio a Pa-risi coniugato al lungo silenzioestivo non può che risultare bene-fico all’opera di rinnovamento av-viata, tanto più che le avvisaglieper il Governo, col terremoto e isui danni collaterali, non appa-iono tanto brillanti. Tutto ciòpone Berlusconi, insieme alle com-plicazioni collegate al referendume alla legge elettorale, in una posi-zione più centrale se non competi-tiva, persino con un Beppe Grilloche dal disastro della sua giuntaromana non è e non sarà più

quello di prima, anzi. Eppure, se si vuole trovare il

pelo nell’uovo, o se vogliamo unostimolo, è proprio dall’esperi-mento grillino che si possonotrarre delle ispirazioni. Grillo haavuto il coraggio di fare un par-tito nuovo, copiando in questo ilCavaliere del 1994; ha cioè creatosulle macerie di una politica stre-mata dai suoi peccati più graviun’entità in nome dell’antipoliticaesattamente, o quasi, analoga allaForza Italia di quegli anni postterremoti di “Mani pulite”. Cu-riosamente di terremoti stiamoparlando, sia pure al passato e distampo squisitamente politico.

Ma oggi e sempre più nei prossimimesi anche l’antipolitica imperso-nata da Grillo, Casaleggio, Raggi,Di Maio, Di Battista, e chi più neha più ne metta, si trasformerà so-stanzialmente, avrà sempre meno“anti” e sempre più “pro”, nelsenso che persino il grillismo è co-stretto a fare i conti con la realtàe col suo governo, pur dimo-strando con entrambi una forteincompatibilità, a Roma e din-torni.

Del resto, anche l’anti-partito-crazia sposata e inneggiata dalCavaliere, si è trasformata benpresto in un partito, sia pure damolti definito di plastica. Il punto

dunque è questo. È sempre questo:la politica, un partito per farla almeglio. Ebbene, Stefano Parisi -che rifugge nel suo intimo dall’es-sere un cooptato - ha detto e ri-detto che non soltanto non vuole“fare” un partito ma di volere,semmai, riformattare il centrode-stra. Ebbene, una domanda che cie gli poniamo è se è un gioco diparole o, quanto meno, un esca-motage per schivare le tantissimemine vaganti sul suo percorso.Oppure se ha voglia di oltrepas-sare il male della banalità antipo-litica in nome di una autenticanovità nel consunto panorama ita-lico.

In realtà, mine o non mine, ilproblema di fondo per uno comeParisi è di stabilire punti fermi nelsuo progetto. Innanzitutto chenon si tratta di un esperimento

movimentista ma diun fatto politico, diun progetto desti-nato a porsi comealternativa non aquesto o a quello, maalla mancanza di au-tentica progettualitàpolitica che ha con-taminato la destra ela sinistra. Ha ra-gione a riformularecon forza la sua con-cezione liberale, po-polare, riformatrice.Ma alzi la mano nelPaese quel leader chenon vuole questo. Ladiscriminante fra an-nunci e realizzazionista nella consapevo-lezza di un leader cheparolae volant, factamanent. E per realiz-zare i fatti, in poli-tica, serve un partito.Serve per affrontarecon determinazionele tre priorità: im-migrazione, crisi eu-ropea e terrorismo,sullo sfondo di unacongiuntura eco-nomica sfavorevole,con un Paese ansi-mante sebbene in at-tesa. En attendantParisi. Non Godot,per carità.

2 L’OPINIONE delle Libertà sabato 3 settembre 2016Politica

Parisi: consigli non richiestidi PAOLO PILLITTERI

...sul fronte liberale di un contenimento della spesapubblica e della dilagante tassazione, alla ruota discorta del Nuovo Centrodestra non è rimastoaltro che battere l’antica strada democristiota deitemi legati alla famiglia, con una strizzatina d’oc-chio alle tesi più retrograde del Vaticano.

Si tratta ovviamente della solita ondata dichiacchiere e distintivi la quale, tuttavia, hafatto scattare sull’attenti molti esponenti delladestra de’ noantri che continuano a covare ilmito della pianificazione demografica operatadallo Stato. Ma, come tutte le pianificazionipromosse dalla mano pubblica, anche quellache pretende di sostenere le nascite è destinatamiseramente a fallire. Francamente, da liberale,l’idea che si possa inserire il basilare istinto diriproduzione all’interno di un programma ge-stito e controllato da un ente burocratico mi faabbastanza inorridire. Nell’ambito di poche re-gole certe, credo che il miglior modo per loStato di favorire lo sviluppo complessivo dellasocietà, nascite comprese, sia quello di ridurreall’essenziale la propria presenza. Sono ferma-mente convinto che una vera rivoluzione libe-rale del sistema, con meno Stato e menoimposte, rappresenti la migliore politica possi-bile per incentivare l’azione spontanea legata almiracolo della procreazione. Il resto è solo fuffapropagandistica.

CLAUDIO ROMITI

segue dalla prima

...dotato di poteri eccezionali nel sistema giudi-ziario ed amministrativo del Paese. Ma è chiaroche il ruolo di tutore supremo di ogni Pubblicaamministrazione che viene chiamato a svolgereè destinato a provocare una profonda distor-sione delle istituzioni nazionali. In primo luogoil superpotere di anticipare ogni atto della ma-gistratura ordinaria lo pone oggettivamente oin rotta di collisione con procuratori e giudici o,peggio, in una posizione di anomala suprema-zia nei loro confronti. In secondo luogo, il tu-toraggio senza appello nei confronti dei sindacirende nulla la volontà popolare di cui i respon-sabili degli enti locali sono l’espressione e rendesostanzialmente inutile il sistema delle autono-mie locali. Se queste ultime non sono in gradodi operare senza l’assenso preventivo dell’Anti-corruzione , tanto vale che sia Cantone stesso ela sua struttura a svolgere direttamente la fun-zione amministrativa.

Se la “cantonizzazione” dei sindaci fossefrutto di una precisa strategia volta a cambiare,magare semplificando in meglio l’attività deiComuni, si potrebbe forse discutere sulla vali-dità o meno di una semplificazione così pocodemocratica. Ma il guaio è che la “cantonizza-zione” non nasce da una strategia, ma solo dalcaso. Ed allora bisogna incominciare a preoc-cuparsi, a partire dallo stesso Cantone!

ARTURO DIACONALE

...come unica finalità del carcere. Che ormaiviene perpetrata quasi in automatico.

Ma Dell’Utri ha tentato di far aprire gliocchi anche ai congressisti: ciò che diconoTurco, Bernardini e D’Elia a proposito dellanon partecipazione alle elezioni nel solco del-l’ortodossia pannelliana del transpartito è giu-sto, purché non si resti fuori a vita daiParlamenti italiani ed europei. È giusto non in-seguire Renzi e tantomeno D’Alema, come di-ceva Turco nella propria relazione, ed èsacrosanto ostacolare il tentativo di Emma Bo-nino di ritagliare, ora che Marco è “compre-sente”, il partito a propria immagine esomiglianza. Che poi è quella di una militantedel jet set, una che si è trasformata da radicalein radical chic, sempre pronta ad aggregarsi allafondazione di turno, di Enrico Letta o di Giu-liano Amato, con la prospettiva di guidare ilpartito che fu di Marco Pannella al destino diun cespuglio in salsa laica o laicista che dir sivoglia.

È però sacrosanto anche il grido di dolore,per usare le parole che furono di Carlo Albertoall’epoca della lotta risorgimentale, che vieneda tante parti laiche dell’Italia che reclamanoda decenni un partito liberale di massa, che ri-porti l’Italia ai tempi in cui la Lira, e non l’Euro,faceva aggio sull’oro... È la destra storica di cuiproprio Pannella parlava tanto nelle sue indi-

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CHIUSO IN REDAZIONE ALLE ORE 19,00

Roma, Amatrice e la “cantonizzazione”

Congresso radicale,l’idea di Dell’Utri

Lorenzin e le suggestionidei figli della lupa

menticabili e assai rimpiante trasmissioni do-menicali con Massimo Bordin a Radio radicale.Ecco, dice Dell’Utri tra le righe, non disper-diamo questa voce, non parliamo da soli tra ra-dicali.

DIMITRI BUFFA

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3L’OPINIONE delle Libertàsabato 3 setembre 2016 Primo Piano

La giunta di Virginia Raggi è intilt. In un solo giorno vanno via

sbattendo la porta il capo di Gabi-netto, l’assessore al Bilancio e, aruota, i vertici delle municipalizzateAtac e Ama.

A guardare dall’esterno il bizzarrosvolgersi degli eventi verrebbe dadare credito al motto di spirito,chissà quanto involontario, dellapentastellata senatrice Paola Tavernache si lasciò sfuggire un profetico:“C’è un complotto per farci vincere aRoma”. Per quanto anomala appaiaquesta crisi non si può dire che nonfosse prevedibile. Le sbornie, di tuttii generi, fanno male e solo quandopassano ci si accorge dei danni chehanno provocato. I cittadini diRoma, complice l’insipienza di unaclasse politica marcia nelle fonda-menta, si sono dati all’ubriacaturagrillina. Il motivo è presto detto:quando la realtà diviene insopporta-bile, l’unico luogo in cui è comodotrovare riparo è il mondo dei sogni.La rivoluzione della trasparenzaspacciata dai Cinque Stelle è stata ilpiù ingannevole dei paradisi artifi-ciali nei quali andarsi a rintanare.

Eppure, l’odierna vicenda di Vir-ginia Raggi ci consegna alcune ele-mentari verità. Non esistono uominio donne della provvidenza che, dicolpo, possano cancellare il passatoannegandolo in una promessa di fu-turo migliore. Non esistono giovaniidonei per soli requisiti anagrafici afare cose che richiedono precise com-petenze. Non esistono depositari as-soluti di un’etica pubblica in gradodi stabilire ex cathedra cosa sia benee cosa sia male. Non esiste “Diretto-rio” che possa legittimamente com-missariare, senza spargimento disangue, le istituzioni democratiche.Se la ben orchestrata macchina pro-pagandistica dei Cinque Stelle hafatto credere tutto ciò, ha barato.

Ma ora la verità viene a galla, con

tutte le sue spiacevoli conseguenze.La vicenda Raggi racconta dell’asso-luta carenza di classe dirigente che ilmovimento grillino, premiato nelleurne, patisce. Questo è il vulnus colquale costoro dovranno presto otardi fare i conti. Ma come si sonomossi gli osannati grillini nella vi-cenda romana? Mancando della ne-cessaria preparazione al ruolo digoverno della Capitale, hanno pen-sato bene di prendere la scorciatoiadel reclutamento di competenzeesterne alla politica. Dietro la sceltadei cosiddetti “tecnici” pensavano dinascondere la verità al proprio elet-

torato. Lo hanno fatto appellandosial falso mito, che fa il paio con l’al-tro falso mito della trasparenzanella conduzione della “Res Pu-blica”, della neutralità del “tec-nico”. Mai errore più grossolanoavrebbero potuto commettere LuigiDi Maio e compagni. L’idea di ste-rilizzare il “politico” spostando ilpotere della decisione sul terrenosolo in apparenza neutrale del “tec-nico” è stata un’illusione otticache, come uno specchio convesso,ha deformato la realtà. Essi hannocreduto, o forse sperato, che lascelta di tecnici per definizione

“neutrali” garantisse, in un futuroimmediato, la ricomposizione dellalacerata comunità romana in unasorta di universo pacificato perchésottratto alla violenza divisiva e ni-chilista della lotta politica. Scioc-chezza madornale prontamentesmentita dai fatti: anche il “tec-nico” nel momento in cui avoca asé il potere della decisione si faforza egemone in contrasto contutte le altre sfere d’interesse con-correnti.

Un potentissimo assessore “tec-nico” al Bilancio in tandem con unaltrettanto potentissimo capo di

Gabinetto “tecnico” avrebberosvuotato il mandato “politico” delsindaco di ogni capacità decisio-nale. La Raggi, o chi per essa, per-cepito il pericolo ha cercato distroncarlo allontanando la minac-cia. Ma per un Marcello Minennao una Carla Raineri sacrificati visaranno altri pronti a prenderne ilposto ed a rivendicare la medesimapretesa egemonica nella consape-volezza che l’inidoneità dei grillinia guidare il processo politico rendala conquista della Capitale una par-tita ancora tutta da giocare. Oracome allora: Roma, città aperta.

Roma, la Caporetto dei Cinque Stelle

Non credo che le difficoltà in cui sitrova la sindaca di Roma, Virgi-

nia Raggi, possano essere determi-nate, come la stampa pressochéunanime tende a far credere, dall’in-capacità sua e del suo partito di af-frontare persino le questionipreliminari del suo non facile com-pito.

Non si tratta, almeno, soltanto diincapacità e di inesperienza. C’è unadeterminazione di un po’ tutti quantisi muovono a vario titolo intorno aloro di non apparire secondi nella“caccia all’errore” di un gruppo poli-tico fragile nella sua consistenza, le-gata a facili malumori ed a legamipressoché casuali tra i suoi com-ponenti. Un gruppo che un po’tutte le altre forze politichehanno adottato come lo spau-racchio, il portatore della cata-strofe che essi si sono scelticome alternativa al loro ruoloed alla loro sopravvivenza.

“Caccia all’errore” e “cacciaall’untore”, che sono essenziali,se non determinanti, nella poli-tica del nostro Paese. Detto que-sto si può passare al secondoaspetto della questione: l’auto-lesionismo di un Movimentoche, venuto rapidamente alla ri-balta della vita politica caval-cando il sospetto, la diffidenza,il pregiudizio, il forcaiolismo, ilmito di una giustizia vendica-trice e l’identificazione, invece,del diritto e delle sue garanziecon la sua possibilità della suadeformazione ed elusione, arri-vato a ricoprire ruoli di poteree di responsabilità, è prigionierodi questo suo modo di vivere“in negativo” la politica e l’am-ministrazione alla Cosa pub-blica. Singolare è l’episodio

della Raggi che si è rivolta a questagrottesca “Autorità anticorruzione”per avere un parere sulla nomina delsuo capo di Gabinetto, carica che pre-suppone una fiducia piena ed un ap-prezzamento personalissimo. Un attoche corrisponde perfettamente allamentalità grillina (oltre che alla stra-nezza di questa che è la più assurdatra le “Autorithy” di più o meno re-cente istituzione). Qualcosa come larichiesta di uno sposo che subordinail suo “Sì” all’altare o davanti al sin-daco al parere sulla sposa, sulla

donna che dovrà essere la compagnadella sua vita, alle informazioni che nerichiede al Commissario della Squa-dra del Buon Costume.

Ma non si tratta solo di “grilli-smo”, né delle conseguenze, di queltipo di aggregazione dei portatori dimalumori. L’“antipolitica”, la preva-lenza della retorica, delle scene e deiclamori delle comunicazioni allemasse e della prevalenza della vellica-zione delle emozioni sulla ragione (dicui il cavalcare i malumori e il rove-scio della medaglia e l’esasperazione)

sono fenomeni presenti in varie epo-che della storia, comunque camuffati,e sembrano prevalenti ai nostri giorni.Ed è fenomeno grave e pericolosodella nostra epoca l’affidarsi della ra-gione e della fede in essa professata daminoranze intellettuali o da ampi emeno colti strati della popolazione, apersone e forze politiche ritenute piùadatte a far ricorso alla retorica edalle emozioni e di valersi dei metodiper ottenere ciò.

Quando Marco Pannella volle of-fendermi e demonizzarmi, perché ero

contrario alla cosiddetta transnazio-nalità e transpartiticità che camuffavalo scioglimento del Partito Radicale,mi definì “parassita”. Non sono mairiuscito a perdonargli questa offesaingiusta e gratuita, ma, a sua volta,egli di ciò non se ne curò affatto. Ma“parassita” se non a me e ad altri chehanno avuto storie simili alla mia, ètermine che potrebbe con qualche ra-gione riferirsi invece al fenomeno,come tale, del liberalismo e di quantihanno fede nella ragione di fronte alsistema del ricorso alla retorica ed alla

manipolazione delle emozioni edegli umori, e si rimettono aquanti ne sono capaci. Stolta-mente parassita e falsamenteplaudente è la politica e la ra-gione che deve ispirarla di frontealla retorica di quelli che sannospacciare il vuoto del loro pen-siero. Il ritorno alla ragione, lavittoria di una nuova raziona-lità, di un nuovo illuminismo ela loro rivincita sugli orribili ir-razionalismi, e nelle molte altreideologie liberticide che hannofunestato la nostra epoca, nonpotrà avvenire se non quando lafede nella ragione saprà liberarsidi questo suo complesso di infe-riorità verso la retorica e l’artedella “comunicazione” e del ri-corso al vuoto della demagogiaed alle ovvietà dello sfrutta-mento dei malumori.

Il discorso sulle vicissitudinicapitoline della Raggi si è forseallargato un po’ troppo. A Na-poli, si sarebbe detto una volta“perdonate ‘e chiacchiere”. Per-donate le mie “chiacchiere” setali le riterrete.

di MAURO MELLINI Assedio (e autolesionismo) della Raggi

di CRISTOFARO SOLA

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Recentemente sono state riportateda diversi giornali le dichiara-

zioni di Joseph Stiglitz in merito al-l’inadeguatezza dell’Euro comeelemento di base per l’Unione mone-taria e quanto la sua inadeguatezzasia evidente nelle diverse condizionidi sviluppo che avrebbero favoritoalcuni Paesi rispetto ad altri.

Sul tema e sulla questione speci-fica Stiglitz ha perfettamente ragione,ma il problema non è l’Euro inquanto moneta ma il modello socio-culturale di tipo razionale e moneta-rista alla base della decisionedell’Unione monetaria che dovrebbeprima avere una base di condivisionesociale e politica. Le sole economia ela moneta come unità di misura sistaccano dalla società e dall’uomocome persona per diventare qualcosadi astratto e non governabile. Il veroproblema è il fallimento del modelloculturale innalzato a verità sacraleche ha portato una finanza priva difondamenti scientifici ad assumereun ruolo di governo e di misurazionedi realtà complesse e non completa-mente misurabili come sono le so-cietà dell’uomo.

Lo scontro culturale ormai sta ar-rivando ad una sorta di “Armaged-don” tra la finanza sacrale edindipendente dalla società umana equest’ultima che, alla fine, sembracapire che oltre un certo livello si vanel baratro e la Storia prima o poipresenta il conto all’homo sempremeno “sapiens” ma sempre più “stu-pidus”. Lo stesso Lincoln diceva: “Sipuò mentire a molti per un certotempo, ad alcuni per sempre, ma nonsi può mentire per sempre a tutti”.

Stiglitz aveva già criticato la tra-sformazione dell’economia comescienza morale in una scienza esattae razionale da studiarsi con lo stessoabito mentale di chi studia le scienze

positive come la chimica e la fisica.Nelle scienze positive le relazioni dicausa ed effetto nei fatti studiati nondipendono dall’emozionalità del-l’uomo, un grave cade sempre indi-pendentemente dal soggetto che lo facadere. Nelle scienze sociali comel’economia si studiano le relazionitra uomini e non tra cose per cuil’emozionalità dell’uomo non puòessere sbrigativamente negata daimercati che sono tutt’altro che ra-zionali. I mercati non esistono maesistono gli uomini che li governanoe le decisioni di investimento sono suaspettative e non su certezze, così i

mercati sembrano prevedere il futuromentre sono le aspettative del futuroche orientano i mercati. Stiglitz su “IlSole 24 Ore” del 21 agosto del 2010scriveva un pezzo intitolato “Carieconomisti scendete a terra” in cuiaffermava: “La teoria delle aspetta-tive razionali è stata un flop e ritoc-carla non basta; serve un nuovoparadigma perché in palio c’è benpiù della credibilità della professioneo dei policy-maker che ne usano leidee ma la stabilità e la prosperitàdelle nostre economie”. Fu proprio ildisastro del 2008 di Wall Street edella finanza falsamente razionale a

portare la necessità di ripensare quelmodello fallimentare sia economica-mente che socialmente e si costituì laCommissione Sarkozy del presidentefrancese – Stiglitz, Amartya Sen eJean-Paul Fitoussi - per proporre al-ternative alla misurazione del gradodi sviluppo socioeconomico basatosolo sul Prodotto interno lordo. Magli interessi dominanti erano ancoratroppo forti per poter essere affron-tati sul campo e così la commissionedi “Oltre il Pil” è svanita nel nullacome tutte le sue giustificate motiva-zioni. In questo senso Stiglitz ha lamemoria corta se si limita alla critica

della moneta e nondel modello culturaleche l’ha innalzata averità incontroverti-bile.

Il Pil che tutti con-tinuano autistica-mente a richiamare èuna misura soloestremamente par-ziale e manovrabileche non dice nullasulla società perchémisura monetaria-mente solo i beni eservizi prodotti, manon dice nulla sulcome. Si può averecrescita del Pil e di-struzione della so-cietà e dell’ambiente,creazione di povertà,di disuguaglianza ecosì via come ve-diamo ogni singologiorno incapaci difermarci a rifletteresulla nostra man-canza drammatica di

pensiero e di coraggio nel proporresoluzioni diverse ed alternative ad unmodello che ci sta portando cometanti “lemming” ad una corsa dispe-rata verso il baratro.

Stiglitz ha ragione nel sostenerel’inadeguatezza dell’unità europeabasata solo su una misura monetariacome se le società fossero solo un in-sieme di cose da contare, ma la realtàdell’uomo non è così perché, comediceva Einstein: “Non tutto ciò che èmisurabile conta e non tutto ciò checonta è misurabile”. È evidente,però, che il dibattito va portato sulpiano culturale sui fini, mentre sicontinua a ragionare sui mezzi comeil proporre una moneta a due, tre…velocità; ma cosa cambia se non met-tiamo in discussione il modello cul-turale alla base? L’Unione europea èuna sfida alla Storia e la possibilitàche Paesi che si sono mortalmentebattuti per secoli si alleino per il benecomune è un salto verso un futuroforse ancora ricco di speranze, manon possiamo continuare a farci laguerra dei bottoni sapendo che cosìnon andiamo da nessuna parte senon verso il caos.

(*) Ordinario di Programmazione e Controllo - Università Bocconi

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Milanese s.p.a.

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4 L’oPinione delle Libertà Economia

di Fabrizio Pezzani (*) Stiglitz e l’Euro: la memoria cortasabato 3 settembre 2016

Page 5: Sabato 3 Settembre 2016 Roma, Amatrice Crescita zero, l ... · Italia, di un centrode-stra conciato male e con un Cava-liere che lo sa perfettamente. Il Cavaliere, appunto. La sensa-zione

5l’oPinione delle libertàsabato 3 settembre 2016 Esteri

Questo è il primo di due articoli. Il secondoprenderà in esame quello che noi arabi

possiamo fare di diverso oggi. Considerata lasituazione attuale dei rapporti fra il mondoarabo e Israele, ci troviamo di fronte a unmisto di ostilità, pace tesa, cooperazione limi-tata, calma e violenza. Noi arabi abbiamo ge-stito malissimo le nostre relazioni con Israele,ma la cosa peggiore di tutte è l’attuale situa-zione dei palestinesi.

L’errore inizialeIl nostro primo errore è durato secoli ed è

stato commesso ben prima della dichiara-zione d’indipendenza di Israele del maggio1948. Esso è consistito nel non riconoscere gliebrei come nostri pari. Come documentatoda un eminente studioso americano di storiaebraica nel mondo musulmano, Mark R.Cohen, durante quel periodo, “gli ebrei con-dividevano con altri non musulmani la con-dizione di dhimmi [non musulmani chedevono pagare in denaro la protezione e os-servare leggi degradanti per essere tolleratinelle zone controllate dai musulmani] (...)Non venivano costruiti nuovi edifici di cultoe quelli vecchi non potevano essere riparati.Dovevano agire umilmente in presenza deimusulmani. Nelle loro pratiche liturgiche do-vevano rendere onore alla preminenza del-l’Islam. Dovevano anche differenziarsi daimusulmani, indossando un abbigliamento di-stinto e non esponendo pubblicamente i sim-boli religiosi. Altre restrizioni escludevano lapossibilità che essi ricoprissero posizioni diautorità in seno al governo musulmano”. Ilprimo marzo 1944, mentre i nazisti massa-cravano sei milioni di ebrei, e ben prima cheIsraele dichiarasse l’indipendenza, Haj Aminal-Husseini, il Gran Mufti di Gerusalemme,dichiarò a Radio Berlino: “Arabi, alzatevicome un solo uomo e combattete per i vostrisacrosanti diritti. Uccidete gli ebrei ovunque litroviate. Questo fa piacere a Dio, alla reli-gione, alla storia. Questo salva il vostro onore,Dio è con voi”. Se non avessimo fatto questoerrore, avremmo potuto trarre vantaggi indue modi. Gli ebrei probabilmente sarebberorimasti in gran numero nel Medio Orientemusulmano e avrebbero fatto evolvere la ci-viltà mediorientale piuttosto che le civiltà deiluoghi in cui si spostarono, in particolare l’Eu-ropa e in seguito gli Stati Uniti. In secondoluogo, se gli ebrei si fossero sentiti al sicuro eaccettati in Medio Oriente fra gli arabi, forsenon avrebbero sentito il bisogno di creare unoStato indipendente, il che ci avrebbe evitatodi commettere gli errori successivi.

L’errore peggioreIl nostro secondo e peggiore errore è stato

quello di non accettare il piano di ripartizionedelle Nazioni Unite del 1947. La Risoluzione181 delle Nazioni Unite pose la base giuridica

per la creazione di due Stati, uno ebraico el’altro arabo, nella Palestina mandataria bri-tannica. Come riportato dalla Bbc, quella ri-soluzione prevedeva: “Uno Stato ebraico sul56,47 per cento del territorio della Palestinamandataria (esclusa Gerusalemme) con unapopolazione di 498.000 ebrei e 325.000arabi; uno Stato arabo sul 43,53 per centodella Palestina mandataria (esclusa Gerusa-lemme), con 807.000 abitanti arabi e 10.000abitanti ebrei. Un regime di amministrazionefiduciaria internazionale a Gerusalemme,dove la popolazione era composta da100.000 ebrei e 105.000 arabi”.

Anche se il territorio assegnato allo Statoebraico era un po’ più vasto di quello asse-gnato allo Stato arabo, gran parte era costi-tuito dalle aree desertiche del Negev edell’Arava, mentre la terra fertile era stata as-segnata agli arabi. Il piano era anche a van-taggio degli arabi per altri due motivi: lo Statoebraico aveva solo una risicata maggioranzadi ebrei, che avrebbe dato agli arabi pressap-poco la stessa influenza che gli ebrei avevanonel dirigere lo Stato ebraico, ma lo Statoarabo era quasi esclusivamente arabo, non of-frendo alcun vantaggio politico agli ebrei pre-senti al suo interno. Ogni Stato propostoconstava di tre parti più o meno sconnesse, ilche comportava una forte interdipendenzageografica fra i due Stati. Se i due Stati fosserostati in rapporti amichevoli, avrebbero lavo-rato in molti modi come una federazioneunica. In quella federazione, gli arabi avreb-bero avuto una forte maggioranza. Ma invecedi accettare quanto proposto da quel piano,quando ancora potevamo farlo, noi arabi de-cidemmo di non accettare uno Stato ebraico.Nel maggio 1948, Azzam Pasha, il segretariogenerale della Lega araba, riferendosi allanuova parte ebraica prevista dal piano di ri-partizione, dichiarò: “Questa sarà una guerradi sterminio, un grande massacro di cui si par-lerà come dei massacri mongoli e crociati”.Noi abbiamo iniziato una guerra volta a sra-dicare il nuovo Stato fin dai suoi primi passi,

ma abbiamo perso, e il risultato delnostro errore è stato uno Statoebraico molto più forte: la maggio-ranza ebraica dello Stato ebraico èaumentata notevolmente grazie alloscambio di popolazione che ebbeluogo, con molti arabi in fuga dallaguerra con Israele e molti ebrei chelasciavano un mondo arabo ostileper unirsi al nuovo Stato. Gli ebreiacquisirono nuovi territori durantela guerra da noi avviata, con conse-guenti linee armistiziali (oggi chia-mate linee verdi o precedenti il1967), che consegnarono a Israeleuna parte del territorio in prece-denza assegnato allo Stato arabo. LoStato ebraico inoltre acquisì una

contiguità territoriale decisamente migliore,mentre le porzioni di territorio assegnate alloStato arabo furono divise in due parti (Gazae la Cisgiordania) separate da quasi 50 chilo-emtri. Forse non si dovrebbero ingaggiareguerre se non si è disposti ad accettare l’ideadi poterle perdere.

Altre guerre e altri erroriDopo la guerra d’indipendenza (il nome

che gli ebrei dettero alla guerra del 1947-1948), Israele era praticamente confinato alterritorio all’interno delle linee verdi. Israelenon aveva alcuna autorità o diritto su Gaza ela Cisgiordania. Avremmo avuto due opzionise avessimo scelto di fare pace con Israele aquel tempo: avremmo potuto annettere Gazaall’Egitto e la Cisgiordania alla Giordania,conferendo ai palestinesi la cittadinanza diuno di questi due paesi arabi relativamenteforti, numericamente e geograficamente piùforti di Israele. Avremmo potuto creare unnuovo Stato a Gaza e in Cisgiordania. Invece,preferimmo continuare le ostilità con Israele.Nella primavera del 1967, formammo unacoalizione per attaccare Israele. Il 20 maggio1967, il ministro della Difesa siriano HafezAssad disse: “È giunto il momento di iniziareuna battaglia di annientamento”. Il 27 mag-gio 1967, il presidente egiziano Abdul Nasserdichiarò: “Il nostro obiettivo di fondo sarà ladistruzione di Israele”. A giugno, ci vollerosolo sei giorni per sconfiggerci e umiliarci difronte al mondo. In quella guerra, perdemmomolti più territori, tra cui Gaza e la Cisgior-dania. Dopo la guerra del 1967 (che gli ebreichiamano guerra dei sei giorni), Israele ci offrìterra in cambio di pace, dandoci in tal modola possibilità di rimediare all’errore dellaguerra dei sei giorni. Rispondemmo con le Ri-soluzioni di Khartoum, dicendo: “Nessunapace, nessun riconoscimento e nessun nego-ziato con Israele”.

Non avendo tratto una lezione dal 1967,formammo l’ennesima coalizione nell’ottobre1973 e cercammo ancora di distruggereIsraele. Ottenemmo qualche vantaggio ma

poi la situazione si ribaltò e perdemmo dinuovo. Dopo questa terza sconfitta umiliante,la nostra coalizione contro Israele si ruppe eanche l’Egitto e la Giordania decisero di farpace con Israele. Tutti noi rimanemmo ostina-tamente contrari all’esistenza stessa di Israele,anche la Siria che, come l’Egitto e la Giordania,aveva perso territori che furono conquistati daIsraele durante la guerra dei sei giorni. Oggi,Israele mantiene ancora il controllo su quei ter-ritori e non c’è alcuna prospettiva reale che essisiano restituiti alla Siria; il premier israeliano direcente ha dichiarato che “Israele non lasceràmai le alture del Golan”.

La tragedia dei palestinesiIl più riprovevole e tragico dei nostri er-

rori è il modo in cui noi arabi abbiamo trat-tato i palestinesi dalla dichiarazioned’indipendenza di Israele. Gli ebrei israelianihanno accolto i profughi ebrei in fuga daipaesi arabi e musulmani, incuranti dei costi edella difficoltà di integrare gente che arrivavada ambienti molto diversi. Israele ha integratocon entusiasmo i profughi provenienti daterre molto lontane come l’Etiopia, l’India, ilMarocco, il Brasile, l’Iran, l’Ucraina e la Rus-sia. Questa è stata una dimostrazione del fortelegame esistente tra gli ebrei. Allo stessotempo, anche noi abbiamo avuto l’opportu-nità di dimostrare il legame che unisce gliarabi, ma invece di accogliere i profughi arabidella guerra del 1947-1948, li abbiamo con-finati nei campi, imponendo gravi restrizionialla loro vita quotidiana. In Libano, come ri-portato da Amnesty International, “i palesti-nesi continuano a subire discriminazioni e adessere sottoposti a emarginazione nel mercatodel lavoro e questo contribuisce a provocareelevati livelli di disoccupazione, bassi salari epessime condizioni di lavoro. Se le autorità li-banesi di recente hanno tolto le restrizioni su50 delle 70 professioni vietate ai palestinesi,questi ultimi continuano a incontrare di fattoostacoli nel trovare un impiego in questi set-tori. La mancanza di adeguate prospettive dioccupazione comporta un alto tasso di ab-bandono scolastico per gli scolari palestinesianche a causa della mancanza di possibilitàdi accesso alla scuola pubblica secondaria. Laconseguente povertà è aggravata dalle restri-zioni poste al loro accesso ai servizi sociali”.

Anche il Libano e la Siria non sono riu-sciti a integrare i rifugiati che in precedenzavivevano a pochi chilometri dai loro confini eche condividevano con i siriani e i libanesipressappoco la stessa cultura, la lingua e la re-ligione. La Giordania ha integrato alcuni pro-fughi, ma non tutti. Avremmo potutodimostrare che noi arabi siamo un grande enobile popolo, invece abbiamo dimostrato almondo, e continuiamo a farlo, che il nostroodio verso l’altro e verso gli ebrei supera am-piamente qualsiasi idea di presunta solidarietàaraba. Con nostra somma vergogna, set-

tant’anni dopo che i profughi palestinesihanno lasciato Israele, i loro discendenti sonoancora considerati rifugiati. La cosa peggioredel modo in cui trattiamo i profughi palesti-nesi è data dal fatto che anche in Cisgiorda-nia e a Gaza si fa ancora distinzione tra iprofughi palestinesi e i palestinesi autoctoni.In questi territori, secondo i dati relativi al2010 e diffusi da Palestinian Refugee Resear-chNet della McGill University, il 37 per centodei palestinesi della Cisgiordania e di Gazavive nei campi! A Gaza ci sono otto campiprofughi palestinesi e in Cisgiordania dician-nove. Gli ebrei non tengono gli arabi neicampi, noi sì. Il presidente palestinese Mah-moud Abbas rivendica uno Stato su quei ter-ritori, ma non possiamo aspettarci che vengapreso sul serio quando egli lascia che i profu-ghi palestinesi sotto la sua autorità vivano neicampi senza riuscire nemmeno a integrarsicon gli altri palestinesi. L’assurdità della si-tuazione è paragonabile solo all’insensibilità.

Il punto in cui ci troviamo adessoA causa dei nostri errori, i nostri rapporti

odierni con Israele sono un fallimento. L’unicaforza delle nostre economie è il petrolio, unarisorsa deperibile e il cui valore è in calo, acausa del fracking. Non abbiamo fatto abba-stanza per prepararci al futuro quandoavremo bisogno di inventiva e produttività.Secondo Foreign Policy Magazine, “Sebbenei governi arabi abbiano da tempo ricono-sciuto la necessità di prendere le distanze daun’eccessiva dipendenza dagli idrocarburi,non sono riusciti a farlo. (...) Anche l’econo-mia degli Emirati Arabi Uniti, una delle piùdiversificate del Golfo, è fortemente dipen-dente dalle esportazioni di petrolio”.

Nel 2015, Business Insider ha collocatoIsraele al terzo posto fra i paesi più innovatividel mondo. I paesi di tutto il mondo benefi-ciano della creatività di Israele, comprese na-zioni lontane e avanzate come il Giappone.Eppure, noi snobbiamo Israele, una potenzatecnologica che è proprio lì ai nostri confini.Non riusciamo nemmeno a trarre vantaggiodal genio militare di Israele per farci aiutare acombattere nuovi e devastanti nemici comel’Isis. Ma quel che è peggio è che una delle no-stre popolazioni, i palestinesi, è dispersa – di-visa, disillusa e assolutamente incapace dirilanciare il progetto nazionale che abbiamotrafugato da sotto i loro piedi nel 1948 e cheda allora abbiamo sfigurato rendendolo irri-conoscibile. Dire che dobbiamo cambiare ilnostro approccio nei confronti di Israele è uneufemismo. Ci sono cambiamenti fondamentaliche noi stessi dobbiamo effettuare e dobbiamotrovare il coraggio e la forza morale di farlo.

Gli ebrei non tengono gli arabi nei campi,noi sì.

(*) Gatestone InstituteTraduzione a cura di Angelita La Spada

di FreD Maroun (*)

Gli errori storici commessi dagli arabi nei loro rapporti con Israele

L’Arabia Saudita è forse il Paese che più diogni altro al mondo è diverso dagli Stati

Uniti, soprattutto in fatto di religione. Unanuova e importante proposta di legge pre-sentata dal repubblicano Dave Brat (dellaVirginia, nella foto) intende compiere unpasso avanti nella soluzione di una situazionedi enorme squilibrio.

Prendiamo in esame queste differenze: lalaicità è il principio fondante americano san-cito nel Primo Emendamento della Costitu-zione; al contrario, il Corano e la Sunna sonola Costituzione saudita, un principio consa-crato dal primo articolo della legge fonda-mentale del regno.

Negli Stati Uniti, chiunque può costruireuna struttura religiosa di qualsiasi tipo, co-sicché i sauditi finanziano una moschea dopol’altra. Nel regno, però, sono consentite sola-mente le moschee; non c’è una sola chiesa ouna sinagoga, né un tempio induista, sikh,giainista o Bahá'í. Sono prive di fondamentole voci che circolano da quasi dieci anni ri-guardo al fatto che i sauditi consentiranno lacostruzione di una chiesa, piuttosto esse sem-brano fungere da tattiche dilatorie.

In America si può professare la fede che sidesidera, purché non si infranga la legge. In

Arabia Saudita, i non musulmani che pre-gano in gruppo praticano un’attività illecitache potrebbe costargli cara, rischiando l’ar-resto, come se avessero partecipato a undroga party.

Gli Stati Uniti, ovviamente, non hannocittà sante il cui accesso è riservato solo aimembri di una specifica fede religiosa. Ilregno dell’Arabia Saudita ha due città santein cui i non musulmani non sono autorizzatia entrare: la Mecca e Medina. Gli intrusi in-corrono in ciò che le autorità saudite defini-scono “severe punizioni”.

Solo con qualche rara eccezione (proba-bilmente illegale), il governo americano nonfinanzia istituzioni religiose all’estero (le ec-cezioni tendono a essere fatte a favore delleistituzioni islamiche). Al contrario, si stimache la monarchia saudita abbia speso com-plessivamente 100 miliardi di dollari per dif-fondere la sua versione wahhabita dell’Islam.Chi frequenta scuole e moschee sauditespesso viene incitato alla violenza politicacontro i non musulmani. I sauditi hanno datoprova di un’arroganza sfacciata nella pro-mozione del wahhabismo. Ad esempio, nel2005, un rapporto della Freedom House cheha esaminato alcuni scritti estremisti diffusipubblicamente dalle istituzioni finanziate daisauditi, ha concluso che questi scritti rappre-

sentavano “una grave minaccia per i nonmusulmani e per la stessa comunità musul-mana”. La monarchia ha inoltre fatto mol-teplici e generose donazioni al Council onAmerican-Islamic Relations (Cair), l’orga-nizzazione islamista più aggressiva e attivadegli Stati Uniti. Questa contraddizione, cheogni Paese occidentale conosce a suo modo,richiede una soluzione. Alcuni governi occi-dentali hanno preso delle misure provvisorieper affrontare il problema.

• Nel 2007, il governo australiano re-spinse una richiesta saudita di inviare fondiall’Islamic Society of South Australia per aiu-tare quest’ultima a costruire una nuova mo-schea. “Ovviamente, non vogliamo chenessuna organizzazione islamista penetri inAustralia”, spiegava l’allora ministro degliEsteri, Alexander Downer. Otto anni dopo, idispacci diplomatici pubblicati da WikiLeakshanno confermato il forte interesse del regnoa influenzare la politica islamica in Australia.

• Nel 2008, i sauditi proposero di finan-ziare la costruzione di una moschea e di uncentro culturale islamico a Mosca, spingendotre gruppi ortodossi russi a scrivere una let-tera aperta all’allora Re Abdullah esortan-dolo ad abolire il divieto sulle chiese.

• Nel 2010, il ministro norvegese degliEsteri, Jonas Gahr Støre, rifiutò un finanzia-

mento saudita destinato a una moschea perla mancanza nel regno saudita della libertàreligiosa.

• Lo scorso luglio, scosso dalla serie di at-tentati che in 18 mesi hanno ucciso 236 per-sone sul suolo francese, il premier ManuelValls ha preso in considerazione la possibi-lità di bloccare i finanziamenti esteri destinatialle moschee “per un certo periodo ditempo”, e questo ha scatenato un acceso di-battito.

Queste reazioni sporadiche possono forsesoddisfare gli elettori, ma non hanno sortitopraticamente nessun effetto. Tale questionenecessita di una risposta più sistematica chepassa attraverso la via legislativa.

Il disegno di legge del deputato Brat (H.R.5824), intitolato “Religious Freedom Inter-national Reciprocity Enhancement Act”(“Legge che apporta un miglioramento dellareciprocità internazionale in materia di li-bertà religiosa”), vieta ai “cittadini stranieridi un Paese che limita sul proprio territorio illibero esercizio della religione di erogarequalsiasi tipo di finanziamento agli Stati Unitiper promuovere una religione e per altriscopi”. Ciao, Arabia Saudita!

Per “promozione di una religione” s’in-tende il finanziamento “delle funzioni reli-giose, dell’educazione religiosa, del

proselitismo, della pubblicazione e diffusionedegli scritti religiosi”. Se si procedesse a un fi-nanziamento, in violazione di questo pro-getto di legge, il governo americano potrebbeconfiscare i fondi in questione. La proposta dilegge deve essere affinata. Non menziona gliedifici religiosi, non definisce alcun criterio ri-guardo al sequestro dei beni e non indica chidovrebbe occuparsene. Ma si tratta di unbuon inizio di cui bisogna felicitarsi e vorreiche questo disegno di legge fosse preso inseria considerazione e approvato con ur-genza.

Gli americani non possono accettare leazioni unilaterali aggressive da parte di Riyad(ma anche di Teheran e Doha) che sfrutta lamanna del petrolio per soffocare i principilaicisti alla base delle società occidentali.Dobbiamo proteggerci.

(*) Traduzione a cura di Angelita La Spada

Niente denaro saudita per le moschee americanedi Daniel PiPes (*)

Nel maggio 1948, Azzam Pasha, il segretario generaledella Lega araba, riferendosi alla nuova parte ebraica pre-vista dal piano di ripartizione, dichiarò: “Questa sarà unaguerra di sterminio, un grande massacro di cui si parleràcome dei massacri mongoli e crociati”

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7L’OPINIONE delle Libertàsabato 3 settembre 2016 Cultura

Domani Piazza San Pietro saràgremita in tutti i suoi spazi, Papa

Francesco celebrerà la messa solennedi canonizzazione di Madre Teresa diCalcutta.

Agnes Gonxhe Bojaxhiu, questo ilsuo nome prima che prendesse i votie diventasse Teresa, nacque il 26 ago-sto 1910 a Skopje, città situata alpunto d’incrocio dei Balcani, oraMacedonia ma a quel tempo Alba-nia. Formatasi in seminario in Ir-landa come suora missionaria, MariaTeresa partì subito per l’India, arri-vando a Calcutta il 6 gennaio 1929.“Sono albanese di sangue, indiana dicittadinanza. Per quel che attiene allamia fede, sono una suora cattolica.Secondo la mia vocazione, appar-tengo al mondo. Ma per quanto ri-guarda il mio cuore, appartengointeramente al Cuore di Gesù”,usava dire Madre Teresa.

Il 10 settembre del 1946, du-rante un viaggio in treno da Cal-cutta a Darjeeling per il ritiroannuale, Madre Teresa ricevettel’“ispirazione”, la sua “chiamatanella chiamata”. Fondò una comu-nità religiosa, le Missionarie dellaCarità, dedite al servizio dei più po-veri tra i poveri, di coloro che “nonsono voluti, non amati, non curati”e indossò il sari bianco bordato d’az-zurro, la veste delle sue suore. DaCalcutta le suore in sari bianco bor-dato d’azzurro iniziarono a viaggiareper l’India, sempre per assistere i piùderelitti, e da lì in Venezuela, in Tan-zania e in tanti altri Paesi, inclusi l’exUnione Sovietica, l’Albania e Cuba.

Madre Teresa volle aprire una casadella carità anche a Roma, presso laStazione Termini, dove tutt’ora le suesuore assistono i poveri e i senza-tetto.

Il mondo ben presto cominciò aconoscere le opere di questa esilesuorina dal sorriso dolce e i grandidella Terra vollero esprimerle l’ap-prezzamento; ricevette così nume-rose onorificenze, a cominciare dalPremio indiano Padma Shri nel 1962e il Premio Nobel per la Pace nel1979, che Madre Teresa accettava“per la gloria di Dio e in nome deipoveri”. Malgrado la sua salute peg-

giorasse, Madre Teresa si prodigònella sua missione fino alla fine deisuoi giorni e volle incontrare PapaGiovanni Paolo II, un’ultima volta,poche settimane prima della suamorte, che avvenne a Calcutta il 5settembre del 1997. A quel tempo lesuore di Madre Teresa erano oltre4mila, presenti nelle 610 case di mis-sione sparse in 123 Paesi del mondo.

Le fu dato l’onore dei funerali diStato da parte del governo indiano eil suo corpo fu seppellito nella CasaMadre delle Missionarie della Caritàa Calcutta. La sua tomba divenneben presto luogo di pellegrinaggi e di

preghiera per gente di ogni credo,poveri e ricchi, senza distinzione al-cuna. Meno di due anni dopo la suamorte, Papa Giovanni Paolo II volle

l’apertura della Causa di Canonizza-zione. A 19 anni dalla sua morte l’or-dine fondato da Madre Teresa diCalcutta è sempre attivo in tutto ilmondo, nella linea che Madre Teresaaveva segnato. In India e in tutti iPaesi dove operano, le suore in saribianco bordato d’azzurro sono rife-rimento quotidiano per migliaia didisperati, che trovano nelle Casedella Carità un alloggio, del cibo ecure ai loro malanni.

A Calcutta, dove ha sede la casamadre dell’Ordine e dove all’in-gresso è rimasto un cartello sul qualeè scritto “Gli orari di visita a MadreTeresa sono dalle 9 alle 12 e dalle 15alle 18”, le suore godono di grandepopolarità e rispetto e così è anchenel resto del Paese, malgrado la stra-grande maggioranza degli indianisiano di confessione indù. Le suoredi Madre Teresa hanno 760 missioniaperte in tutta l’India. Il primo mini-stro Narendra Modi, nazionalistaindù, ha dichiarato che tutti gli in-diani sono orgogliosi per la canoniz-zazione di Madre Teresa e sarannocol pensiero in Piazza San Pietro. Ilmiracolo di Madre Teresa si compieancora.

Il miracolo di Madre Teresadi PAOLO DIONISI

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