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Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 1
Sacramento del Matrimonio
Ateneo Pontificio Regina Apostolorum
Facoltà di Teologia
Corso TP1025
Professore: P. Miguel Paz LC.
Dispense ufficiali corso accademico 2016-2017
Avvertenze:
Il testo in lettera piccola, le appendici e le note a piè di pagina non sono da studiare
obbligatoriamente, ma la loro lettura è di grande aiuto, in speciale le appendici. Il professore ne farà
riferimento nel corso.
Nelle citazioni bibliche, però, il testo sottolineato è da imparare a memoria.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 3
Introduzione
Il Fondamento della sacramentalità del matrimonio secondo la
Teologia del Corpo A modo d’introduzione al corso, riporto qui la versione italiana di una mia Comunicazione per
il Convegno Internazionale Sulla Teologia del Corpo (Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma,
9-11 novembre 2011).
Giovanni Paolo II trova il fondamento della natura sacramentale del matrimonio
nell’“immagine e somiglianza” con Dio che l'unione tra l’uomo e la donna ha "da principio", cioè nel
"piano originale" di Dio .
Il parallelismo che troviamo in Genesi 1,27: «Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di
Dio lo creò; maschio e femmina li creò», rivela che “l'unione dei due” rappresenta la più originaria
visibilità dell'amore di Dio (o di Dio che è amore) in questo mondo. Questa idea è riassunta da
Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio n. 11:
Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza (cfr. Gen 1,26s): chiamandolo all'esistenza per
amore, l'ha chiamato nello stesso tempo all'amore.
Dio è amore (1Gv 4,8) e vive in se stesso un mistero di comunione personale d'amore. Creandola a sua
immagine e continuamente conservandola nell'essere, Dio iscrive nell'umanità dell'uomo e della donna
la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell'amore e della comunione (cfr. Gaudium et
Spes, 12). L'amore è, pertanto, la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano.
L'“unità dei due”, nel secondo capitolo della Genesi è espressa come unione in “una sola
carne”. Adamo, dopo aver esaminato gli animali senza trovare in essi un “aiuto simile” a lui (un “aiuto
adeguato” traduce Giovanni Paolo II), riconosce nel corpo di Eva la propria umanità, l'immagine di
Dio: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa»; (Gen 2,23) e da questo
riconoscimento nasce l’unione: «Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua
moglie e i due saranno una sola carne» (Gn 2,24). Il corpo umano sessuato porta "inscritta" (possiamo
anche dire "scolpita" o "incisa") nella sua visibilità la chiamata all'amore e alla comunione più intima.
Questo è ciò che Giovanni Paolo II chiama il "significato sponsale" del corpo umano.
Gesù Cristo, per esprimere la sua concezione del matrimonio nella sua risposta alla domanda
sul divorzio (cf. Mt 19 = Mc 10) si rifà al “principio”: Mosè ha permesso il divorzio, ma “in principio
non era così” (Mt 19,8), e collega Gn 1,27 con Gn 2,24: «Non avete letto che il Creatore da principio li
creò maschio e femmina e disse: Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua
moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque
che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi» (Mt 19:4-6).
S. Paolo, raccogliendo l'insegnamento di Cristo, ha in mente Gn 2,23-24 quando esprime ciò
che Giovanni Paolo II chiamava la “grande analogia” tra l'unione dell'uomo e la donna in “una sola
carne” e l'unione di Cristo e la Chiesa. Nel capitolo 5 della Lettera agli Efesini, sollecitando i mariti
cristiani ad amare le loro mogli, presenta come modello l’amore tra Cristo e la sua Chiesa: «Nessuno
mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la
Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si
unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Grande mistero è questo; lo dico in
riferimento a Cristo e alla Chiesa (Ef 5, 29-32)».
Questa “grande analogia” attraversa tutta la Scrittura. Proviene dalla tradizione profetica e si
collega perfettamente con il fatto che “l'unità dei due” in “una sola carne” sia “immagine e
somiglianza di Dio” dal punto di vista dell'amore e della comunione. E l'amore e la comunione di Dio
con l'umanità, nella Scrittura si chiama “Alleanza”. Alleanza di Dio con il suo popolo, che sarà
perfettamente compiuta nell'unione di Cristo con la sua Chiesa, la "Nuova Alleanza".
Il matrimonio, per S. Paolo, è “mistero” riguardante Cristo e la Chiesa, vale a dire, una
espressione e partecipazione del piano di salvezza di Dio, nascosto da secoli e nella pienezza dei tempi
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 4
rivelato e realizzato in Cristo. Il “mystérion” greco si traduce in latino por “sacramentum”: si tratta di
un sacramento della Nuova Alleanza.
Andiamo più in fondo su questa linea di pensiero a partire dall’espressione “una sola carne”:
qual è il suo significato? L'espressione “una sola carne” nel suo senso fisico, si riferisce a un fatto
biologico comune a tutti gli esseri sessuati: che gli organi maschili e femminili funzionano come un
unico organo per svolgere una funzione che nessuno dei due può fare da solo, la generazione di un
nuovo essere vivente, simile al padre e alla madre e della stessa specie.
Questo fatto biologico, nell'essere umano acquista un significato molto superiore, in quanto
viene integrato nell'unità della persona umana e nella sua relazione con gli altri e con Dio: «Le
caratteristiche sessuali dell'uomo e la facoltà umana di generare sono meravigliosamente superiori a
quanto avviene negli stadi inferiori di forme di vita», insegna il Concilio Vaticano II (Gaudium et
Spes, n. 51). Si tratta di un significato d'amore, un “significato sponsale” che, al tempo stesso, è un
imperativo morale, una “vocazione all'amore”, perché ogni rapporto veramente umano in qualche
modo si riassume nell'amore. Questa “vocazione all'amore” si realizza nel matrimonio o nella castità
consacrata per il regno dei cieli. (Possiamo anche dire che viene realizzata dalla persona che, senza
sposarsi o consacrarsi, vive la castità propria del suo stato di vita e si sforza di compiere il
comandamento di amare Dio e il prossimo).
La differenza-complementarietà tra uomo e donna è il più fondamentale “essere-uno-per-
l'altro” che esista a livello di rapporti umani e rende possibile l'amore che chiamiamo sessuale. Negli
esseri umani, l’atto sessuale si apre alla procreazione in quanto atto d'amore. L'amore dei genitori si
diffonde nell'amore per il figlio che viene procreato. Il matrimonio è l'unico “luogo” esistenziale in cui
l'esercizio fisico della sessualità raggiunge la dignità dell'amore, perché è integrato nel dono reciproco
di tutta la persona. Giovanni Paolo II dice nella Familiaris Consortio n. 11:
Il “luogo” unico, che rende possibile questa donazione secondo l'intera sua verità, è il matrimonio, ossia
il patto di amore coniugale o scelta cosciente e libera, con la quale l'uomo e la donna accolgono
l'intima comunità di vita e d'amore, voluta da Dio stesso (cfr. Gaudium et Spes, 48), che solo in questa
luce manifesta il suo vero significato.
Questo perché negli esseri umani, il fenomeno della differenza-complementarietà tra l'uomo e
la donna che noi chiamiamo sessualità, copre tutti i livelli della persona: biologico-corporale,
psicologico e spirituale. Quest'ultimo inteso non solo come l'intelligenza e la libertà, ma anche nella
sua apertura a Dio. Questa apertura viene ricolmata da Dio stesso con la sua grazia, elevando l'uomo al
livello di partecipazione alla stessa vita divina, al livello soprannaturale. I primi tre livelli sono
collegati dalla natura umana, che è razionale, capace di conoscenza e amore, la natura della persona
umana. Il livello soprannaturale, che dà all’amore la pienezza ultima verso cui tende, è raggiungibile
solo con il dono di Dio, e sebbene coinvolge direttamente e in primo luogo il livello spirituale, proprio
a causa della sostanziale unità della persona umana, raggiunge anche gli altri livelli. È tutta la persona
che rimane unita a Dio per grazia. Ancora una volta citiamo dalla Familiaris Consortio, n.11:
In quanto spirito incarnato, cioè anima che si esprime nel corpo e corpo informato da uno spirito
immortale, l'uomo è chiamato all'amore in questa sua totalità unificata. L'amore abbraccia anche il
corpo umano, e il corpo è reso partecipe dell'amore spirituale.
Il sacramento del matrimonio trova la sua spiegazione proprio nell’incrocio tra due realtà che
coinvolgono l’intera persona umana: la sessualità e la grazia. Il matrimonio assume un significato e
una realtà superiore, soprannaturale, alla luce del “mistero”, cioè della realizzazione del piano eterno
di salvezza in Gesù Cristo.
Come il Concilio Vaticano II insegna: «Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il
mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua
altissima vocazione» (Gaudium et Spes, n. 22). Da dove vengono in ultima analisi, la capacità e
l’esigenza di amore interpersonale a cui è chiamata la sessualità umana? Ogni vera unione d'amore tra
gli esseri umani partecipa dell'amore di Dio, ne è il riflesso “a sua immagine e somiglianza”. Più
specificamente, l'unione di amore tra l'uomo e la donna è il modo più “originario”, in cui l'amore di
Dio per l'umanità si specchia, amore che trova il suo culmine in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo,
l'immagine perfetta del Padre.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 5
Gesù Cristo nei Vangeli è presentato come “lo Sposo”, viene a portare alla sua pienezza
l'Alleanza tra Dio e l'umanità. Con l'amore ricevuto da Dio in Cristo, la persona riacquista la sua
integrità e l’armonia tra tutti i livelli del suo essere, essa stessa diventa “immagine e somiglianza” di
Dio. Allo stesso tempo, è in grado di amare veramente gli altri a “immagine e somiglianza” dell'amore
di Dio. Questo amore è stato riversato nei cuori dei cristiani con lo Spirito Santo che è stato dato loro
(cfr Rm 5,5). E questo perché il matrimonio non è solo l'immagine della comunione Cristo-Chiesa, ma
anche della comunione Padre-Figlio nello Spirito Santo. Queste due analogie si deducono la seconda
dalla prima: la reciproca donazione di Cristo e della sua Chiesa è l'immagine e la realizzazione, nella
storia della salvezza, dell’eterna mutua donazione del Padre e del Figlio. Così dice Giovanni Paolo II,
in Mulieris Dignitatem, n. 7:
Essere persona ad immagine e somiglianza di Dio comporta, quindi, anche un esistere in relazione, in
rapporto all'altro «io». Ciò prelude alla definitiva auto-rivelazione di Dio uno e trino: unità vivente nella
comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
(...)
Dio, che si lascia conoscere dagli uomini per mezzo di Cristo, è unità nella Trinità: è unità nella
comunione.
(...)
Il fatto che l'uomo, creato come uomo e donna, sia immagine di Dio non significa solo che ciascuno di
loro individualmente è simile a Dio, come essere razionale e libero. Significa anche che l'uomo e la
donna, creati come «unità dei due» nella comune umanità, sono chiamati a vivere una comunione
d'amore e in tal modo a rispecchiare nel mondo la comunione d'amore che è in Dio, per la quale le tre
Persone si amano nell'intimo mistero dell'unica vita divina.
Possiamo dire che quando l'unità dell'uomo e di Dio in Gesù Cristo viene affermata e
accettata, allora si afferma anche l'unità tra le varie componenti della persona umana e l'unità delle
persone umane tra di loro in rapporti di vero amore. Se si nega l'incarnazione di Cristo, si nega
l’unione tra l'umanità e la divinità, e si finisce per negare l'unità psicofisica dell'uomo e l'unione tra gli
esseri umani. Non si coglie più il significato umano del biologico, meno ancora il significato
soprannaturale della persona umana. Questa disgregazione di significati è, secondo Giovanni Paolo II,
il grande errore del pensiero moderno, come si vede nella Lettera alle Famiglie, n. 19:
La separazione nell'uomo tra spirito e corpo ha avuto come conseguenza l'affermarsi della tendenza a
trattare il corpo umano non secondo le categorie della sua specifica somiglianza con Dio, ma secondo
quelle della sua somiglianza con tutti gli altri corpi presenti in natura, corpi che l'uomo utilizza quale
materiale per la sua attività finalizzata alla produzione di beni di consumo. Ma tutti possono
immediatamente comprendere come l'applicazione all'uomo di simili criteri nasconda in realtà enormi
pericoli. Quando il corpo umano, considerato indipendentemente dallo spirito e dal pensiero, viene
utilizzato come materiale alla stregua del corpo degli animali, — è ciò che avviene, ad esempio, nelle
manipolazioni sugli embrioni e sui feti — si va incontro inevitabilmente ad una terribile sconfitta etica.
(...)
Per il razionalismo è impensabile che Dio sia il Redentore, tanto meno che sia «lo Sposo , la fonte
originaria ed unica dell'amore sponsale umano. Esso interpreta la creazione e il senso dell'esistenza
umana in maniera radicalmente diversa. Ma se all'uomo vien meno la prospettiva di un Dio che lo ama
e, mediante Cristo, lo chiama a vivere in Lui e con Lui, se alla famiglia non è aperta la possibilità di
partecipare al « grande mistero », che cosa rimane se non la sola dimensione temporale della vita?
Resta la vita temporale come terreno di lotta per l'esistenza, di ricerca affannosa del profitto, di quello
economico prima di tutto.
Il grande sforzo pastorale e culturale della Chiesa nei tempi moderni è la sutura di questo
strappo, di questa frammentazione dell’auto-comprensione dell'essere umano. Il Concilio Vaticano II,
nella costituzione pastorale Gaudium et Spes, l'enciclica Humanae Vitae di Papa Paolo VI, le
Catechesi sull'amore umano nel piano divino di Giovanni Paolo II, insieme con la produzione
monumentale del suo pontificato sul matrimonio e la famiglia, continuata adesso da Benedetto XVI,
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 6
sono le tappe di questa strada controcorrente a una civiltà che, con logica implacabile, si precipita
verso le conclusioni di premesse male impostate e ciecamente mantenute.
Possiamo riassumere così il vangelo del matrimonio, che ora più che mai, la Chiesa deve
proclamare:
L'amore tra uomo e donna, fondato sulla mutua differenza-complementarità sessuale, che li fa
essere “l’uno-per-l'altro” e li apre alla trasmissione della vita umana, raggiunge il suo degno
compimento in pienezza di verità nel matrimonio, che, alla luce del piano di salvezza di Dio, è
l'immagine e la partecipazione - nel mondo visibile e sensibile - dell'amore uno, indissolubile e
fecondo di Dio per l'umanità, realizzato in pienezza nell'amore tra Cristo e la Chiesa, che è l'immagine
e la partecipazione a sua volta dell’amore tra il Padre e il Figlio, lo Spirito Santo, all'interno della
Trinità.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 7
Indice generale
Introduzione
Bibliografia
Chiarimenti Terminologici
Appendice: Struttura del matrimonio
I. Parte storica.
1. Il matrimonio nella Sacra Scrittura.
a. Antico Testamento.
b. Nuovo Testamento.
1) Nei Vangeli
2) In S. Paolo
2. Storia della riflessione sulla sacramentalità del matrimonio.
II. Parte sistematica.
1. Il rito.
a. Parte essenziale: il consenso.
Appendice 1: Definizione ed effetti del matrimonio (latino)
Appendice 2: Condizioni del consenso (latino)
b. Ruolo della consumazione.
c. Materia e forma.
d. Ruolo della benedizione.
e. Ministro e soggetto.
f. Celebrazione.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 8
1) Forma canonica.
2) Forma liturgica.
g. Inseparabilità tra patto coniugale e sacramento.
(g. Versione attualizzata)
h. Casi particolari di patto coniugale.
2. Il vincolo.
a. Definizione teologica.
b. Proprietà del vincolo.
1) Unità.
2) Indissolubilità.
c. I poteri della Chiesa sul matrimonio.
3. La grazia.
4. La comunità coniugale e familiare.
a. La famiglia, come istituzione e come "Chiesa domestica".
b. Il sacramento esteso a tutta la vita dei coniugi.
5. Matrimonio e verginità.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 9
Corrispondenze con il libro di L. Ligier sj.
Questo corso è grandemente debitore all’opera di Louis Ligier Il matrimonio, questioni teologiche e
pastorali (Città Nuova, Roma 1988), il cui contenuto compendia, rielabora e aggiorna.
Corso
LIGIER, Il matrimonio
Introduzione: Chiarimenti terminologici.
I. Parte storica.
1. Il matrimonio nella Sacra Scrittura.
a. Antico Testamento.
b. Nuovo Testamento.
1) Nei Vangeli
2) In S. Paolo
2. Storia della riflessione sulla sacramentalità del
matrimonio.
II. Parte sistematica.
1. Il rito.
a. Parte essenziale: il consenso.
b. Ruolo della consumazione.
c. Materia e forma.
d. Ruolo della benedizione.
e. Ministro e soggetto.
f. Celebrazione.
1) Forma canonica.
2) Forma liturgica.
g. Inseparabilità tra patto coniugale e sacramento.
h. Casi particolari di patto coniugale.
2. Il vincolo.
a. Definizione teologica.
b. Proprietà del vincolo.
1) Unità.
2) Indissolubilità.
c. I poteri della Chiesa sul matrimonio.
3. La grazia.
4. La comunità coniugale e familiare.
a. La famiglia, come istituzione e come "Chiesa
domestica".
b. Il sacramento esteso a tutta la vita dei coniugi.
5. Matrimonio e verginità.
I. Il sacramento nel suo rivelarsi.
1. Preparazione nell'Antica Alleanza.
2. Rivelazione del "mistero matrimoniale".
a. Nel tempo evangelico.
b. Nella dottrina paolina.
3. Presa di coscienza della sacramentalità e sviluppo
dogmatico.
II. Il matrimonio nella sua attuazione sacramentale.
1. Il "patto coniugale", elemento costitutivo del
sacramento.
3. Contributo della "consumazione" alla stabilità e
pienezza del sacramento.
4. (I. Struttura sacramentale del matrimonio).
2. Il dibattito sul contributo della "benedizione
sacerdotale".
4 (II. Ministri e ministero del matrimonio).
5. (III. Lettura teologica della celebrazione del
matrimonio).
6. Inseparabilità tra patto coniugale e sacramento.
7. Casi particolari di matrimonio.
5. (I. Il carisma di consacrazione nel matrimonio).
III. Leggi e proprietà del matrimonio.
1. L'unità del matrimonio.
2. L'indissolubilità del matrimonio.
3. I poteri della Chiesa sul matrimonio.
(II. 5. II. La grazia del sacramento).
IV. Il matrimonio come stato di vita.
1. Due riflessioni previe (la famiglia: "istituzione" e
"chiesa domestica").
2. Il sacramento esteso all'intera vita degli sposi.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 11
Tesario del corso
1. Chiarimenti terminologici.
2. Il matrimonio nell'Antico Testamento.
3. Il matrimonio nei Vangeli.
4. Il matrimonio in S. Paolo
5. Il matrimonio nel contesto culturale e religioso dell'epoca patristica.
6. Incertezze ed esigenze affrontate nei secoli VI-XI.
7. Affermazione della sacramentalità del matrimonio dal secolo XII in poi.
8. Parte essenziale del rito: il consenso.
9. Ruolo della consumazione.
10. Materia e forma.
11. Ruolo della benedizione.
12. Ministro e soggetto.
13. Celebrazione.
14. Inseparabilità tra patto coniugale e sacramento.
15. Casi particolari di patto coniugale.
16. Il vincolo: Definizione teologica.
17. L'unità del matrimonio.
18. L'indissolubilità nelle Sacre Scritture.
19. L'indissolubilità nella dottrina della Chiesa e nella riflessione teologica.
20. I poteri della Chiesa sul matrimonio.
21. La grazia.
22. La famiglia come istituzione e come "chiesa domestica".
23. Il sacramento, esteso a tutta la vita dei coniugi.
24. Matrimonio e verginità.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 13
Bibliografia sul matrimonio
Testo
Base: le dispense del corso.
LIGIER, L., Il matrimonio, questioni teologiche e pastorali, Città Nuova, Roma 1988.
Bibliografia complementare
a. Trattati sul matrimonio.
ADNÈS, P., El matrimonio, Herder, Barcelona 1979.
ALIAGA, E., Compendio de teología del matrimonio, Edicep, Valencia 1991.
FLÓREZ, G., Matrimonio y familia, BAC, Madrid 1995.
GIL HELLÍN, F., El matrimonio y la vida conyugal, Edicep, Valencia 1995. (Ed. Ital: Il matrimonio e
la vita coniugale, L. E. Vaticana, Roma - Città del Vaticano 1996.)
GRANADOS, J., Una sola carne in un solo spirito. Teologia del matrimonio. Cantagalli, Firenze 2014.
(Ed. esp. Ed. palabra, Madrid, 2014)
HUBERT, J. - REINHARDT, K., Il matrimonio, Morcelliana, Brescia 1981.
LARRABE, J. L., El matrimonio cristiano y la familia, BAC, Madrid 1973.
MIRALLES, A., Il matrimonio. Teologia e vita, S. Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1996.
MATTHEEUWS, A., Les “dons” du mariage, Culture et Vérité, Paris 1996.
ID., S’aimer pour se donner. Le sacrament du mariage, Ed. Lessius, Bruxelles 2004.
PADOVESE, L., Uomo e donna a immagine di Dio, Ed. Messagero, Padova 1994.
ROCCHETTA, C., Il sacramento della coppia, EDB, Bologna 1996.
RUPI, G., La famiglia, sacramento dell'amore, S. Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1996.
SÁNCHEZ M., Antropología y teología del matrimonio y la familia, S. de E. Atenas, Madrid 1987.
SCHILLEBEECKX, E., El Matrimonio, realidad terrena y misterio de salvación, Sígueme,
Salamanca 1968.
SCOLA, A., Il mistero nuziale, Lateran University Press, Roma (Vol. 1: Uomo-donna) 1998 (Vol. 2:
Matrimonio e famiglia. Studi sulla persona e la famiglia) 2000.
ID., Uomo-donna. Il «caso serio» dell’amore, Marietti, Milano 2002.
ID., Il mistero nuziale: una prospettiva di teologia sistematica, Lateran University Press, Roma 2003.
b. In trattati generali
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 14
AUER, J. - RATZINGER, J., I sacramenti della Chiesa (Piccola dogmatica cattolica, v. VII),
Citadella, Assisi 19892, (Matrimonio, pp. 157-388).
BOROBIO, D. (ED.), La celebración en la Iglesia (v. II: Sacramentos), Sígueme, Salamanca 19902,
(BOROBIO, D., Matrimonio, pp. 497-592)
NICOLAS, J.-H., Synthèse dogmatique, Ed. Universitaires Fribourg Suisse - Ed. Beauchesne Paris,
1986. (Le sacrement de mariage, pp. 1138-1160)
c. In dizionari
Si possono consultare le voci correspondienti a «matrimonio» e temi correlati in dizionari ed
enciclopedie, ad. es.:
Diccionario Teológico Interdisciplinar, Sígueme, Salamanca 1983. (Orig, It. Marietti, Casale
Monferrato (AL) 19772).
Dictionnaire de Théologie catholique, Leteuzey et Anè, Paris 1909-1972.
Dizionario enciclopedico del pensiero di San Tommaso D'Aquino, (B. MONDIN), ESD, Bologna
1991.
Gran Enciclopedia Rialp, Rialp, Madrid, 1971-1987.
Nuevo Diccionario de Liturgia, Ed. Paulinas, Madrid 1987. (Or. it. Ed. Paoline, Cinisello Balsamo
(MI) 19842).
Nuevo Diccionario de Teología, Cristiandad, Madrid 1982. (Orig. ital. Ed. Paoline, 1977 [19885]).
d. Teologia biblica
AA. VV., Lo Sposo e la sposa (= Parola, Spirito e Vita, n. 13) Dehoniane, Bologna.
AA. VV., La famiglia (= Parola Spirito e Vita, n. 14).
ALONSO SCHÖKEL L., I nomi dell’amore, Piemme.
BASEVI, C., E saranno una sola carne, Ares, Milano 1993.
BLAQUIERE, G., Osez vivre l'amour, Ed. des Béatitudes, 1993.
CROCETTI, G., La famiglia secondo la Bibbia, Àncora, Milano 1983.
DUPONT, J., Mariage et divorce dans l'Evangile, Desclée de Brouwer, Bruges 1959.
FLECKENSTEIN, K. H., Questo mistero è grande. Il matrimonio in Ef 5, 21-23, Città Nuova, Roma
1996.
GRELOT, P., La coppia umana nella Sacra Scrittura, Vita e Pensiero, Milano 1968.
INFANTE, R., Lo sposo e la sposa. Percorsi di analisi simbolica tra Sacra Scrittura e cristianesimo
delle origini, S. Paolo, Cinisello Balsamo MI 2004.
LIBERTI, V., La famiglia nella Bibbia, Ed. Dehoniane, Roma 1989.
MAGGIOLINI, S., Matrimonio e verginità nella Scrittura, Vita e Pensiero, Milano 1978.
MATTIOLI, A., Le realtá sessuali nella Bibbia, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1987.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 15
MIGLIETTA, C., L'Evangelo del matrimonio, Piero Gribaudi, Milano 1994.
Nuevo Diccionario de Teología Bíblica, Ed. Paulinas, Madrid 1990 (Orig. it. Ed. Paoline 19882) (voz
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SICARI, A., Matrimonio e verginità nella rivelazione, Jaca Book, Milano 1978.
e. Parte storica
AA. VV., La coppia nei Padri, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1991.
AA. VV., Amore e matrimonio nel pensiero filosofico e teologico moderno, Vita e Pensiero, Milano
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CARPIN, A., Il sacramento del matrimonio nella teologia medievale, Ed. Studio Domenicano,
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CROUZEL, H., L'eglise primitive face au divorce, Beauchesne, Paris 1970.
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DATTARINO. L., Il matrimonio secondo Agostino, Ares, Milano 1995.
DE COCK, J., L'Eglise et le sacrament de mariage, d'apres les actes du concile de Trento, PUG,
Roma 1966.
DELPINI, F., Indissolubilità matrimoniale e divorzio dal I al XII secolo, Nuove Edizioni Duomo,
Milano 1979.
MAGAZZÙ C., La coppia nei Padri, S. Paolo.
MUNIER, CH., Matrimonio e verginità nella Chiesa antica, SEI, Torino 1990.
f. Temi vari
AA. VV., Amore e stabilità nel matrimonio, PUG, Roma 1976.
AA. VV., Il matrimonio cristiano (= Quaderni di Rivista Liturgica, nuova serie, n. 4), LDC, Torino-
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AA. VV., Cuestiones fundamentales sobre matrimonio y familia, EUNSA, Pamplona 1980.
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BARBERI, P., La celebrazione del matrimonio cristiano, CLV - Ed. Liturgiche, Roma 1982.
BASTAIRE, J., Eros redento, Qiqajon, Magnano (VC) 1991.
BOROBIO, D., Inculturación del matrimonio, San Pablo, Madrid 1993.
CAFFARRA, C., Sessualità, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1994.
CARRERAS, J., Las bodas: sexo, fiesta y derecho, Rialp, Madrid 1994.
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CDF, Sulla pastorale dei divorziati risposati. Documenti, commenti e studi, Libreria Editrice Vaticana,
Città del Vaticano, 1998.
CHRISTIAN, A. E G., Spiritualità in famiglia, S. Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1994.
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COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE1, 16 Tesi cristologiche sul matrimonio (1977).
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- Discorsi ad Officiali e ad Avvocati della Rota Romana
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SACR. CONG. PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti educativi sull'amore umano, nn. 4-6, 21-
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GIOVANNI PAOLO II, lett. ap. Mulieris dignitatem, (nn. 7-11, 23-27) (1988).
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1 La C.T.I. è un organo consultivo della Santa Sede. Le sue dichiarazioni sono approvate dalla Sacra Congregazione per la
Dottrina della Fede. 2 Alcune versioni pubblicate:
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PONT. CONS. DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, (2004)
Capitolo V: La famiglia.
BENEDETTO XVI, Discorsi a Prelati, Uditori, Officiali e ad Avvocati della Rota Romana (Ricerca per
anni in “Discorsi”, mese di gennaio).
FRANCESCO, Discorsi a Prelati, Uditori, Officiali e ad Avvocati della Rota Romana (Ricerca per anni
in “Discorsi”, mese di gennaio).
FRANCESCO, es. ap. Amoris Lætitia (2016).
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 21
Chiarimenti terminologici
Come introduzione al corso potrebbe servire il riassunto della teologia del matrimonio
che si trova nell'esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Familiaris consortio, ai nn. 11-16
la cui lettura raccomando.
Qui solamente toccheremo alcuni chiarimenti terminologici che si devono tenere in
conto sin dall'inizio per evitare equivoci.
1. Il matrimonio: alleanza (o patto) e contratto.
Il Concilio il Vaticano II ha dato peso magisteriale al concetto del matrimonio come
«alleanza» e non come solo «contratto». Così si vede al n. 48 della costituzione pastorale
Gaudium et spes:
L'intima comunità di vita e d’amore coniugale, fondata dal Creatore, e strutturata con
leggi proprie, è stabilita dall’alleanza (foedus) dei coniugi, vale a dire, dal irrevocabile
consenso personale.
Questo modo di parlare è stato accolto dall’attuale Codice di Diritto Canonico (1983)
quando dice:
Il consenso matrimoniale è l'atto della volontà con cui l'uomo e la donna, con patto
(foedere) irrevocabile si danno e si accettano reciprocamente per costituire il
matrimonio (cn. 1057.2).
Ma per mostrare la continuità con la tradizione, il termine «patto» viene equiparato
dallo stesso Codice all'anteriore termine «contratto», quando dice:
Pertanto, tra battezzati, non può sussistere un contratto (contractus) matrimoniale
valido, che non sia per ciò stesso, sacramento (cn. 1055.2).
L'uso del termine latino «foedus», traducibile come «alleanza» o «patto», ci aiuta a
cogliere meglio il fondamento personalista e biblico del matrimonio.
Il termine «alleanza» indica che il matrimonio non è un contratto su cose, bensì un
accordo tra persone rispetto alla loro vita in comune, per stabilire «un'intima comunità di vita
e di amore» come dice il Concilio, o «un consorzio di tutta la vita», come dice il Codice (cn.
1055.1)3[1]. Anzi, si tratta di una «donazione ed accettazione reciproca» delle loro persone.
Nel Codice del 1917 si parlava di dare ed accettare il «diritto sul corpo (ius in corpus),
perpetuo ed esclusivo, in ordine agli atti di per se adatti alla generazione della prole» (cn.
1081). La nuova formulazione è comprensiva dell'anteriore, ma allarga l'orizzonte della
donazione, ed esprime meglio il fatto che «la sessualità, mediante la quale l'uomo e la donna
si danno l’uno all’altra con gli atti propri ed esclusivi degli sposi, non è affatto qualcosa di
puramente biologico, ma riguarda l’intimo nucleo della persona umana in quanto tale»
(Familiaris consortio 11), e pertanto, la donazione mutua in ordine all’esercizio della
sessualità non può essere che una donazione mutua di due persone, che esige la loro fedeltà e
indissolubile unità.
3[1] Si noti che il Codice non parla di «intima comunità di vita e amore», come invece fa il Concilio, ma di «consorzio di tutta
la vita» (espressione che si rifà al diritto romano). Il fatto di non avere voluto introdurre la parola «amore» in un testo legale,
non vuol dire che si neghi questa dimensione del matrimonio, ma soltanto che sfugge al sistema concettuale giuridico.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 22
Dal punto di vista teologico, il termine «alleanza» applicato al matrimonio pone in
rilievo la sua intima connessione col concetto centrale che riassume la storia della salvezza:
l'Alleanza di Dio con il suo Popolo, realizzata definitivamente nel mistero pasquale di Cristo.
Di questa Alleanza nuova ed eterna tra Cristo e la sua Chiesa4[2], il matrimonio ne è simbolo
reale, che rende partecipi i due sposi, come coppia, di questo avvenimento di salvezza (cfr.
Familiaris consortio 13).
2. Matrimonio «in fieri» e «in actu esse».
Sono i due «momenti» o «fasi» dell'alleanza: quello l'iniziale o costitutivo, che dura
quanto dura il rito, e quello permanente, fino a che la morte li separi.
Matrimonio «in fieri» (nel suo farsi) è propriamente l'alleanza nel momento del suo
farsi, il cui elemento essenziale è il consenso o atto della volontà per il quale l'uomo e la
donna si danno ed accettano mutuamente per costituire il matrimonio «in actu esse».
Matrimonio «in actu esse», o «in facto esse» (nel suo atto di essere), è la comunità di
vita costituita dall'alleanza, cioè, il consorzio di tutta la vita, capito come intima comunità di
vita ed amore ordinata per la sua stessa indole naturale al bene dei coniugi ed alla generazione
ed educazione della prole. Questa comunità si presenta come un'istituzione divina i cui fini e
proprietà non dipendono dall'arbitrio degli sposi, ma dalla sua propria natura, voluta dal
Creatore. L'elemento essenziale di questa comunità è il vincolo, vale a dire, la comunione o
relazione stabile tra le persone che formano la comunità, il loro modo proprio di vivere
insieme. La comunione è il principio formale della comunità. Il vincolo, come comunione
coniugale, è proprio ed esclusivo degli sposi, ma la comunità fondata su questo vincolo si
estende oltre gli sposi, perché lo stesso dinamismo del vincolo, che è la vita e l'amore, porta
alla generazione dei figli, i quali estendono la comunità inizialmente formata solo dai coniugi
e la convertono di comunità coniugale in comunità familiare5[3].
Queste distinzioni conviene averle ben in conto quando leggiamo qualcosa sul
matrimonio, per esempio:
L'intima comunità di vita e d’amore coniugale, fondata dal Creatore, e strutturata con
leggi proprie, (m. in actu esse) è stabilita dall’alleanza dei coniugi, vale a dire, dal
irrevocabile consenso personale (m. in fieri). Così, dall'atto umano col quale gli sposi
mutuamente si dànno e si ricevono (m. in fieri), nasce, anche davanti alla società, una
istituzione che ha stabilità per ordinamento divino (m. in actu esse) (Gaudium et Spes
48).
Il matrimonio, (in actu esse) è costituito dal consenso delle parti manifestato
legittimamente tra persone giuridicamente capaci (m. in fieri), e che non può essere
supplito da nessun potere umano.
Il consenso matrimoniale è l'atto della volontà con cui l'uomo e la donna, con patto
irrevocabile si danno e si accettano reciprocamente, (m. in fieri), per costituire il
matrimonio, (in actu esse) (Codice di Diritto Canonico cn. 1057).
C’è chi preferisce dare la denominazione di matrimonio «in actu esse» al vincolo
soltanto, ma dal tenore dei testi, sembra che questo titolo debba applicarsi propriamente alla
comunità coniugale, di cui la comunione (o vincolo) è l'elemento essenziale o formale.
4[2] E, attraverso la Chiesa, di Cristo con tutta l’umanità. 5[3] Per approfondire si legga GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle famiglie, n. 7.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 23
3. Livelli del matrimonio
Il matrimonio, in entrambe le fasi, tra battezzati, è stato elevato da Cristo alla dignità
di sacramento. Il Codice di Diritto Canonico lo esprime così:
Il patto matrimoniale, mediante il quale l'uomo e la donna costituiscono tra di loro il
consorzio di tutta la vita […] tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla
dignità di sacramento.
Pertanto, tra i battezzati non può sussistere un contratto matrimoniale valido, che non
sia per ciò stesso, sacramento (cn. 1055).
Del matrimonio valido nasce tra i coniugi un vincolo che, per sua natura, è perpetuo ed
esclusivo; inoltre, nel matrimonio cristiano i coniugi sono corroborati e come
consacrati da uno speciale sacramento per i compiti e la dignità del loro stato (cn.
1134).
Sull'attribuzione del termine «sacramento» alle fasi del matrimonio, troviamo opinioni
contrastanti; c’è chi, dal punto di vista liturgico, considera che «sacramento» è propriamente il
rito; altri, seguendo San Tommaso6[4], chiamano propriamente «sacramento» il vincolo. Altri
infine, chiamano «sacramento» il matrimonio come comunità.
Noi chiamiamo «sacramento» il matrimonio in tutte le due fasi. Il rito (matrimonio in
fieri), possiamo chiamarlo «sacramentum transiens», e crediamo che con proprietà possa
essergli applicato il termine «sacramento», in quanto segno visibile e rito della Chiesa7[5]. Il
matrimonio «in actu esse», in quanto comunità, potrebbe chiamarsi «sacramentum
permanens», e la sua parte essenziale (la comunione o vincolo) sarebbe la «res et
sacramentum» che non è un mero vincolo statico, bensì una presenza dinamica dello Spirito
Santo che unisce i coniugi ed è per essi la fonte prossima della grazia.
Si noti che negli altri sacramenti il rito è un'attività naturale, ma stilizzata, stereotipata,
che causa solo minimi effetti a livello naturale: uno non può alimentarsi solo con ciò che
riceve nell'eucaristia, o lavarsi adeguatamente con la quantità di acqua impiegata in un
battesimo, etc. E questa attività è precisamente segno di grazia solo in quanto ritualizzata
liturgicamente: non ogni volta che il cristiano mangia pane riceve il sacramento
dell'eucaristia, od ogni volta che si lava riceve il sacramento del battesimo, ecc.
Nel caso del matrimonio, invece, è la stessa entità naturale in tutto il suo spessore
esistenziale e tutte le sue proprietà, ciò che, tra battezzati, è segno di grazia. Ogni volta che un
uomo e una donna battezzati si sposano validamente, ricevono il sacramento del matrimonio.
Proprio per il fatto che il matrimonio avviene tra battezzati, queste proprietà naturali
rimangono elevate a livello soprannaturale. Il livello soprannaturale non si aggiunge al
naturale, ma lo eleva. La ritualizzazione liturgica ha il compito di mettere in rilievo questa
realtà. Come vedremo dai dati biblici, sin dalla creazione il matrimonio è chiamato da Dio ad
essere segno di grazia. Questo si avvera nel matrimonio-sacramento, che si dà unicamente tra
battezzati, ma il matrimonio meramente naturale è di per sé tendenzialmente orientato alla
sacramentalità, così come la stessa natura umana è chiamata alla grazia.
6[4] Cfr. Summa Theol., Suppl., q 42, a 3 ad 2; si noti che il Supplementum è una compilazione fatta da un discepolo di S.
Tommaso, con materiale tratto da scritti previi. In realtà non sappiamo quale sarebbe stato il pensiero più maturo del
Aquinate sul matrimonio. 7[5] Potremmo chiamarlo pure, secondo una terminologia classica, «sacramentum tantum», per distinguerlo dal vincolo o «res
et sacramentum»; ma forse questa terminologia non sarebbe molto opportuna, giacché attualmente con il termine
«sacramentum” generalmente s’intende non soltanto il segno, ma ance il «mysterion». La realtà salvifica di cui è espressione,
e che in modo simbolico-reale attualizza.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 24
La Familiaris consortio, n. 13 spiega così l'essenza dell'elevazione:
Infatti, mediante il battesimo, l'uomo e la donna sono definitivamente inseriti nella
Nuova ed Eterna Alleanza, nell'Alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa. Ed è in
ragione di questo indistruttibile inserimento che l'intima comunità di vita e di amore
coniugale fondata dal Creatore (cfr. Gaudium et Spes, 48), viene elevata ed assunta
nella carità sponsale del Cristo, sostenuta ed arricchita dalla sua forza redentrice.
In virtù della sacramentalità del loro matrimonio, gli sposi sono vincolati l'uno all'altra
nella maniera più profondamente indissolubile. La loro reciproca appartenenza è la
rappresentazione reale, per il tramite del segno sacramentale, del rapporto stesso di
Cristo con la Chiesa.
Anche la Gaudium et Spes, alla fine del n. 48, definisce il matrimonio come
«immagine e partecipazione dell'alleanza di amore tra Cristo e la Chiesa».
Allora la famiglia cristiana che nasce dal matrimonio, come immagine e
partecipazione dell'alleanza d'amore del Cristo e della Chiesa, renderà manifesta a tutti
la viva presenza del Salvatore nel mondo e la genuina natura della Chiesa, sia con
l'amore, la fecondità generosa, l'unità e la fedeltà degli sposi, che con l'amorevole
cooperazione di tutti i suoi membri.
A livello di sacramento, quindi, la comunità di vita e di amore coniugale, con la prole
che ne deriva, si costituisce come comunità dentro la Chiesa, come «chiesa domestica»; il
bene dei coniugi si capisce inoltre come mutua santificazione, e la generazione ed educazione
della prole si capisce come generazione ed educazione alla vita di grazia, perché i genitori
cristiani educano i loro figli nella fede e la carità e li conducono a ricevere i sacramenti della
Chiesa.
Possiamo riassumere così questi due livelli di considerazione del matrimonio:
Il matrimonio, a livello naturale, è l'alleanza per cui l'uomo e la donna costituiscono
tra di loro un'intima comunità di vita e di amore, unica e indissolubile, fondata dal Creatore e
ordinata per la sua stessa indole naturale al bene dei coniugi e alla generazione e educazione
della prole.
Il matrimonio-sacramento è l'alleanza per cui l'uomo e la donna costituiscono tra di
loro un'intima comunità di vita e di amore, unica e indissolubile, fondata dal Creatore e
ordinata per la sua stessa indole naturale al bene dei coniugi e alla generazione e educazione
della prole, che, tra i battezzati, è stata elevata e assunta nella carità sponsale di Cristo per la
sua Chiesa - e pertanto sostenuta e arricchita con la sua forza redentrice - per la santificazione
dei coniugi e dei loro figli, la crescita della Chiesa, e - per mezzo di tutto ciò - per la gloria di
Dio.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 25
Schema: struttura del matrimonio
A LIVELLO NATURALE
A LIVELLO SOPRANNATURALE
in essenza istituzione naturale elevata a sacramento
Fondata dal Creatore "alla sua
immagine e somiglianza" (GS 48; FC
11; MD 7) negli
origini, mezzo di grazia.
Istituito da Cristo, con rigenerazione del
livello naturale e ricupero della sua capacità
di essere mezzo di grazia tra battezzati
(CIC 1055; GS 48).
Nell’atto di
formarsi
Consenso libero tra persone legittime,
inteso come alleanza irrevocabile di
amore, che comporta la mutua
consegna delle persone per formare la
comunità coniugale (GS 48; CIC
1055,1057; FC 11).
elevato a Consenso libero etc., che quando si dà tra
battezzati, è segno e partecipazione
dell'azione salvifica di Cristo: della sua
Incarnazione e della sua Alleanza eterna di
amore con la Chiesa sulla Croce (GS 48;
FC 13); è un'alleanza di ambedue in Cristo
e con Cristo (1Co 7,9;Ef 5,25.32).
produce
produce
Come stato
permanente Intima comunità di vita e amore,
ordinata alla generazione ed educazione
della prole e al bene degli stessi
coniugi. Il suo elemento formale è il
vincolo naturale -interpersonale e
giuridico-, con le sue proprietà di unità
e indissolubilità (CIC 1055,1056; GS
48; FC 11).
elevato a Comunità di vita e amore nella Chiesa,
come "chiesa domestica". Il suo elemento
formale (la "res et sacramentum") è un
vincolo soprannaturale che è una
comunione di due tipicamente cristiana,
perché ripresenta il mistero di Alleanza di
amore tra Cristo e la Chiesa. Questo
vincolo è per gli sposi come una
consacrazione per compiere la loro
missione nella Chiesa (LG 11; GS 48; FC
13, 49)
produce
in riguardo
alla grazia I valori del matrimonio meramente
naturale (quello dei non-battezzati)
fanno riferimento, in forma incoativa
all'amore che unisce Cristo e la sua
Chiesa; per ciò, questo matrimonio è di
per sé finalizzato alla grazia, (CTI,
Doctrina... 3.1, 3.4) in modo che gli
sposi, una volta battezzati, ricevono la
grazia matrimoniale senza necessità di
ulteriore cerimonia. Onestamente
vissuto, può trovarsi tra quei mezzi per
cui Dio estende la salvezza al di fuori
dei confini visibili della Chiesa.
Partecipazione al mistero di unità e fecondo
amore soprannaturali che si verifica tra
Cristo e la Chiesa, e che eleva le
caratteristiche normali di ogni amore
coniugale fino a fare di esse la espressione
e realizzazione di valori propriamente
cristiani (LG 11; FC 13), in modo che gli
sposi possano compiere il suo ministero
proprio dentro la Chiesa, per la loro mutua
santificazione e quella dei loro figli e la
costruzione di tutta la Chiesa (GS 48; FC
38).
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 27
I. Parte storica
1. Il Matrimonio nella Sacra Scrittura
A. Antico Testamento Excursus: Il matrimonio nell’antico Oriente.
La Rivelazione s’inserisce in un mondo culturale in cui il matrimonio era considerato una realtà in qualche modo
sacra. In realtà, il matrimonio è una realtà che si trova, in forme più o meno perfette, in tutte le culture, e la sua
celebrazione è un evento di trascendentale importanza non solo per gli sposi, bensì per le famiglie, i clan, i
paesi... perciò è stato sempre in qualche modo ritualizzata, e quasi sempre sacralizzata. Le idee d’unità fedele e
fecondità normalmente ispirano il simbolismo dei riti matrimoniali. È certo che accanto al matrimonio sono state
tollerati altri tipi d’unioni più o meno irregolari, come il concubinato, ma non gli sono stati equiparati a livello
sociale, legale, o religioso.
In molte culture pagane, tra di loro quelle dell'Antico Oriente, i riti matrimoniali normalmente fanno riferimento
alla fecondità della natura, divinizzata in forma di dei: il matrimonio riprodurrebbe e condividerebbe questa
fecondità divina. D'altra parte, il matrimonio si vedeva come segno di "alleanza" tra famiglie, clan e paesi, che
passavano a formare anche per questo mezzo, essi nel loro insieme, una sola carne, una sola stirpe.
In generale:
Il matrimonio è una realtà sacramentale (in senso largo)
in quanto che riproduce l'Alleanza di amore di Dio con il suo popolo e vi partecipa.
- sia sull’aspetto d’unione: amore esclusivo e indissolubile tra Dio e il popolo;
- sia sull’aspetto di fecondità: così come dall'Alleanza nasce il popolo di Dio, dal matrimonio
nascono le nuove generazioni del popolo di Dio.
Pur sottoposto alla « durezza del cuore », riceve una progressiva redenzione con il successivo
rinnovarsi dell'Alleanza, nella speranza della definitiva redenzione, che avrà luogo nella Nuova
Alleanza promessa da Dio e annunziata dai profeti
1. Il matrimonio nei racconti delle origini
Gesù fa diretto riferimento ai racconti della Genesi per spiegare ai farisei l’indissolubilità del matrimonio nella Nuova
Alleanza (cfr. Mc 10, 1-12; Mt 19,1-11). S. Paolo, nella sua esposizione delle esigenze dell’amore coniugale cristiano, ritorna
anche lui sui testi della Genesi (cfr. Ef 5,21-33). Questi testi sono quindi basilari per capire il posto del matrimonio nel piano
salvifico di Dio8.
a. Genesi 1,26-28: Creazione dell'uomo e della donna nell'unità dei due, ad immagine e somiglianza
di Dio, dotata della benedizione originaria
[26]E Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli
uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».
[27]Dio creò l'uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò;
maschio e femmina li creò.
[28]Dio li benedisse e disse loro:
«Siate fecondi e moltiplicatevi,
8 A questo riguardo sarebbe molto interessante ripassare alcune delle Catechesi che Juan Pablo II sviluppò su questi testi,
raccolte nel volume Uomo e donna lo creò (Città Nuova - LEV, Roma - Città del Vaticano 1985). Specialmente i discorsi dal
5.sep.79 al 21.jul.82, pp. 31-336 del volume citato. Di questi pubblicai in spagnolo un riassunto e un commento sull’estinta
rivista della facoltà di teologia Christus, 1(1991),2, 5-60, reperibile sulla web all’indirizzo:
http://www.upra.org/articulo.phtml?se=2&id=1307.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 28
riempite la terra;
soggiogatela e dominate
sui pesci del mare
e sugli uccelli del cielo
e su ogni essere vivente,
che striscia sulla terra».
- Non solo il singolo, ma anche l'unità dei due si presenta come immagine di Dio: immagine di un Dio
che stringe alleanza con l'uomo; di un Dio che si rivela come mistero di amore e fecondità9.
- La benedizione originaria è una sorta di benedizione nuziale: accompagna l'originaria alleanza tra
Dio e la prima coppia, non come qualcosa d’aggiunto, ma come espressione del modo in cui la coppia
riproduce e partecipa all'amore di Dio per l'umanità, e quindi, realizza il suo essere “immagine e
somiglianza di Dio”. E questo consiste nella discendenza e nel dominio della terra (si noti che Dio in
Gn 1,28 dona alla coppia lo stesso “dominio” che dona all’uomo in generale in Gn 1,24). Non da
intendersi in un senso puramente materiale: concede il potere e il compito di estendere l'immagine di
Dio e il suo governo d’amore su tutta la terra.
Giovanni Paolo II commenta nella Familiaris Consortio al n. 28: «Così il compito fondamentale della famiglia è
il servizio alla vita, il realizzare lungo la storia la benedizione originaria del Creatore, trasmettendo nella
generazione l'immagine divina da uomo a uomo».
Excursus: L'uomo è immagine e somiglianza di Dio:
1) individualmente: per la sua anima, l'uomo è spirito, intelligenza e volontà, capacità di capire e di amare10.
2) L'anima è forma sostanziale del corpo, si esprime nel corpo: il corpo partecipa alla dignità d'immagine di
Dio11.
3) Per il fatto di essere sessuato, l'uomo esprime questa immagine e somiglianza di Dio in coppia12:
a) Come comunità di amore: a somiglianza della comunità di amore Dio con l'umanità e in ultim'analisi, della
comunità di amore che è Dio stesso: la Trinità13.
b) In quanto genitori: giacché il loro amore si diffonde nei figli, che procedono da loro, l'immagine e somiglianza
di Dio. Nel loro donarsi mutuamente donano la vita (atto di amore )= generazione, « patría » (cfr. Ef 3,14-16; LF
9 Questo si vede più chiaramente nel NT: «Dio è amore» (1Gv 4,8.16), e «da lui proviene ogni generazione / famiglia» (Ef
3,15). 10 CCE n. 363: «Spesso, nella Sacra Scrittura, il termine “anima” indica la vita umana, oppure tutta la persona umana. Ma
designa anche tutto ciò che nell'uomo vi è di più intimo e di maggior valore, ciò per cui più particolarmente egli è immagine
di Dio: « anima » significa il principio spirituale nell'uomo». 11 CCE n. 364: «Il corpo dell'uomo partecipa alla dignità di « immagine di Dio »: è corpo umano proprio perché è animato
dall'anima spirituale, ed è la persona umana tutta intera ad essere destinata a diventare, nel Corpo di Cristo, il tempio dello
Spirito. Unità di anima e di corpo, l'uomo sintetizza in sé, per la sua stessa condizione corporale, gli elementi del mondo
materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore. Allora, non
è lecito all'uomo disprezzare la vita corporale; egli anzi è tenuto a considerare buono e degno di onore il proprio corpo,
appunto perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell'ultimo giorno». CCE n. 365: « L'unità dell'anima e del corpo è
così profonda che si deve considerare l'anima come la « forma » del corpo; ciò significa che grazie all'anima spirituale il
corpo composto di materia è un corpo umano e vivente; lo spirito e la materia, nell'uomo, non sono due nature congiunte, ma
la loro unione forma un'unica natura. CCE n. 704: «Quanto all'uomo, Dio l'ha plasmato con le sue proprie mani [cioè il Figlio
e lo Spirito Santo]... e sulla carne plasmata disegnò la sua propria forma, in modo che anche ciò che era visibile portasse la
forma divina». 12 FC 11: «Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza (cfr. Gen 1,26s ): chiamandolo all'esistenza per amore, l'ha
chiamato nello stesso tempo all'amore. Dio è amore (1Gv 4,8) e vive in se stesso un mistero di comunione personale d'amore.
Creandola a sua immagine e continuamente conservandola nell'essere, Dio iscrive nell'umanità dell'uomo e della donna la
vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell'amore e della comunione (cfr. Gaudium et Spes 12). L'amore è,
pertanto, la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano. In quanto spirito incarnato, cioè anima che si esprime nel
corpo e corpo informato da uno spirito immortale, l'uomo è chiamato all'amore in questa sua totalità unificata. L'amore
abbraccia anche il corpo umano e il corpo è reso partecipe dell'amore spirituale. La Rivelazione cristiana conosce due modi
specifici di realizzare la vocazione della persona umana, nella sua interezza, all'amore: il Matrimonio e la Verginità. Sia l'uno
che l'altra nella forma loro propria, sono una concrezione della verità più profonda dell'uomo, del suo "essere ad immagine di
Dio"». 13 Il Vangelo di S. Giovanni pone nelle parole di Cristo il fondamento di queste basiche analogie: Amore Padre - Figlio /
Cristo - Chiesa: Gv 15,9: «Come il Padre ha amato me, così vi ho amato io». Amore Cristo - Chiesa / amore tra i cristiani: Gv
13,34; 15,12: «Come io vi ho amati, così vi dovete amare gli uni gli altri».
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 29
6), come Dio, che è la fonte d’ogni donazione (FC 11). Amore = scelta e donazione + accoglienza e gratitudine >
fecondità14.
b. Genesi 2,15-25: L'unità dei due come mutuo aiuto e pienezza
Il capitolo secondo s'incentra maggiormente sui rapporti interni della coppia.
- In un primo momento, considera l'« adam » - l'essere umano15 - nella sua solitudine originaria: ha il
dovere di lavorare il giardino, di governare (mettere i nomi) agli animali. Questo « adam » ha ricevuto
un « alito di vita » direttamente da Dio16.
- In un secondo momento17, considera l'uomo nell'unità dei due, che si presenta come mutuo aiuto,
letteralmente: « un aiuto faccia a faccia » per formare «una sola carne». Si tratta quindi di una
complementarietà a modo di reciprocità. Non perché non siano già persone, considerati
individualmente, ma in ordine ad un’ulteriore crescita e pienezza del loro essere persone, del loro
essere immagine e somiglianza di Dio.
[18]Poi il Signore Dio disse: «Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile».
[19]Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse
all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri
viventi, quello doveva essere il suo nome.
[20]Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma
l'uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile.
[21]Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e
rinchiuse la carne al suo posto.
[22]Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. [23]Allora
l'uomo disse:
«Questa volta essa
è carne dalla mia carne
e osso dalle mie ossa.
La si chiamerà donna
perché dall'uomo è stata tolta».
[24]Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne.
[25]Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna.
- Questo aiuto non è da intendersi soltanto in riguardo alla procreazione, ma si tratta di una reciprocità
in ogni ambito dell'esistenza. Anzi, di una mutua rappresentanza di Dio, il quale è in ultim'analisi
l'aiuto dell’uomo18.
- Il passo non sembra fare accenno alla procreazione, ma alcuni hanno sottolineato che Dio
letteralmente « edifica » la donna dalla costola dell'uomo. Edificare (banah) è un termine che rimarrà
nell'AT ad indicare la procreazione. In questo senso si potrebbe dire che Dio, per mezzo della donna,
edifica una casa, una famiglia per l'uomo. L'analogia donna / famiglia / casa /città è una costante nella
Sacra Scrittura. Questo ci permette di connettere con il tema del riempire la terra, perché anche qui si
parla di portare a pienezza: la donna porta a pienezza l'uomo; ma anche l'uomo porta a pienezza la
donna, se dobbiamo ammettere la reciprocità del rapporto.
- Dio «conduce» la donna dall’uomo - come il padre della sposa conduceva la figlia dallo sposo nelle
cerimonie nuziali – quasi ad indicare che l’unità dei due è opera di Lui. Gesù ricorderà che il
matrimonio è «ciò che Dio ha unito» (Mc 10,9; Mt 19,6). - Essendo Dio a condurre l’uno all’altro,
14 Per approfondire cfr. FC 11-16 ; MD 6-11; LF 6-12.19. 15 Nel senso originale, l'«adam» non è il solo maschio, malgrado la tradizione posteriore, che attribuirà al primo uomo il
nome di Adamo in corrispondenza a quello di Eva per la prima donna. 16 Quale rapporto intercorre tra questo «alito di vita» e l’«immagine e somiglianza» di Gn 1, si può discutere. In ogni caso, la
vita umana si presenta come qualcosa che procede direttamente da Dio. 17 Tra il primo e il secondo momento si colloca il sonno dell'« adam », probabile simbolo del ritorno allo stato iniziale della
creazione. 18 Cfr. CCE nn. 371-372, 1065.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 30
ognuno riceve l’altro come un dono che viene da Dio, non come qualcosa su cui spadroneggiare, ma
come qualcuno a cui donasi a sua volta.
- C'è un mutuo riconoscimento come vicendevolmente appartenenti l'uno all'altro a causa della
comune umanità creata “ad immagine e somiglianza di Dio”: « carne dalla mia carne... », quindi si
riconoscono persone in comunione. Questo mutuo riconoscimento dell’uguale dignità nella comune
umanità è il presupposto psicologico e morale del loro rapporto sponsale d’amore e donazione, e non
d’appropriazione e dominio.
- Il rapporto sponsale si presenta come un modo specialmente intimo e profondo di realizzare questa
comunione fondata sulla comune umanità «saranno una sola carne». Questa espressione nel linguaggio
biblico può intendersi come «un solo essere». Infatti, l’evidente unione degli organi per realizzare la
funzione di procreazione, non va disgiunta dalla psiche e dallo spirito. Il profeta Malachia parlerà di
«un solo soffio vitale» (Ml 2,15).
- Questo rapporto è immune da ogni possibilità di aggressione, evidenziata dalla nudità originaria,
vissuta senza la difesa del pudore.
Riflessioni posteriori verso un «sensus plenior»:
Con l'aiuto della riflessione alla luce della totalità della Sacra Scrittura e della Tradizione possiamo
aggiungere tre conclusione teologiche legittimamente fondate su questi capitoli19:
- Nella unità originaria dei due c'era una ver'e propria sacramentalità legata alla originaria effusione di
grazia (= lo stato di giustizia originaria) (cfr. Giovanni Paolo II: «il sacramento primordiale connesso
alla gratificazione soprannaturale (elevazione allo stato di grazia) dell'uomo nella creazione stessa»20.
- L'immagine e somiglianza di Dio propria dell'unità dei due non era soltanto immagine e
partecipazione all'Alleanza di Dio con il popolo, ma anche all'unità eterna d'amore in seno alla Trinità:
la famiglia è immagine della Trinità
- Nelle parole di riconoscimento mutuo: « questa volta essa è carne della mia carne... » si avverte la
percezione di quello che Giovanni Paolo II chiamerà « il valore sponsale del corpo umano »,
percezione che supera di molto ciò che chiamiamo « istinto sessuale », e lo integra in una tendenza
globale verso tutti i valori contenuti nella differenziazione sessuale: fisici, affettivi, spirituali21. Una
percezione che avveniva spontanea come effetto dell'integrità dovuta alla elevazione originaria alla
grazia donata alla natura umana.
19 Queste considerazioni, ogni tanto presenti nei Padri e negli scolastici, sono rimaste assopite nella teologia postridentina, ma
sono venute alla ribalta nel secolo scorso e popolarizzate negli ultimi decenni, in modo speciale grazie al magistero di
Giovanni Paolo II. 20 GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò, p. 377. Cfr. Ligier, p. 26. 21 Tale percezione viene descritta dal Papa come « ... quello stupore originario che nel mattino della creazione spinge Adamo
ad esclamare davanti ad Eva: "È carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa" (Gn 2,23). È lo stupore che riecheggia nelle
parole del Cantico dei Cantici: "Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa, tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo"
(Ct 4,9). Quanto sono lontane certe moderne concezioni dalla profonda comprensione della mascolinità e della femminilità
offerta dalla Rivelazione divina! Essa ci porta a scoprire nella sessualità umana una ricchezza della persona, che trova la sua
vera valorizzazione nella famiglia ed esprime la sua vocazione profonda anche nella verginità e nel celibato per il Regno di
Dio» (Lettera alle Famiglie n. 19). Gìa nelle sue Catechesi, il papa aveva fatto notare che «L’applicazione all’uomo di questa
categoria, sostanzialmente naturalistica, che è racchiusa nel concetto e nell’espressione di “istinto sessuale” non è del tutto
appropriata ed adeguata» e spiega che questa categoria viene applicata per analogia in base alla definizione dell’uomo come
«animal rationale», ma alla luce di quanto visto in Gn 2,23-25, si deve affermare che l’attrattiva sessuale che motiva il dono
libero di se, vale a dire, l’amore sponsale proviene dalla scoperta e la coscienza «del significato sponsale del corpo nella
totale struttura della soggettività personale dell’uomo e della donna» (catechesi n. 80, Mercoledì, 28 aprile 1982, Uomo e
donna lo creò, o. c. p. 316). Ciò che il corpo sessuato dovrebbe suggerire alla coscienza sana è appunto la vocazione al
matrimonio, vocazione da realizzare attraverso la conoscenza personale e la libera donazione. In altre parole, più che di
«istinto sessuale» nell’essere umano si dovrebbe parlare di «tendenza all’amore sponsale», che nel matrimonio si realizza
nell’integralità di tutti i suoi livelli, fisico, affettivo, di conoscenza e stima personale, decisione di donazione personale, ma
che trova anche una realizzazione sublime, pur nella rinuncia al livello fisico e agli aspetti del livello affettivo ad esso
connessi, nel celibato o nella verginità per il Regno del Cieli. Effetto del peccato invece sono le versioni ridotte, mutilate, e
persino perverse di questa tendenza che dev’essere considerata propria e degna dell’essere umano, l’unica che considera il
corpo umano «secondo la sua specifica somiglianza con Dio».
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 31
c. Genesi 3: Il matrimonio sotto il peccato e la promessa di redenzione
(NB: si raccomanda di leggere il passo, anche se sul testo non lo riportiamo)
Dio mise come condizione dell'Alleanza il rispetto alla sua qualità di creatore, e quindi, di criterio
ultimo circa il bene e il male; l'uomo è chiamato ad essere « come Dio » ma proprio attraverso la
partecipazione alla sua saggezza e al suo amore che gli sono stati donati a causa dell'Alleanza
originaria.
Non è che l’uomo non sapesse distinguere tra il bene e il male prima del peccato. La proibizione non è della
conoscenza teorica del bene e del male, ma della pretesa di determinarli a partire della propria decisione, senza
riconoscere in se stesso un modo d’essere che gli è stato donato da Dio. Infatti, il libro del Siracide (o
Ecclesiastico) dice: «Il Signore creò l'uomo dalla terra e ad essa lo fa tornare di nuovo. Egli assegnò agli uomini
giorni contati e un tempo fissato, diede loro il dominio di quanto è sulla terra. Secondo la sua natura li rivestì di
forza,e a sua immagine li formò. Egli infuse in ogni essere vivente il timore dell'uomo, perché l'uomo dominasse
sulle bestie e sugli uccelli. Discernimento, lingua, occhi, orecchi e cuore diede loro perché ragionassero. Li
riempì di dottrina e d'intelligenza, e indicò loro anche il bene e il male. Pose lo sguardo nei loro cuori per
mostrar loro la grandezza delle sue opere» (Sir 17, 1-7).
Ma per permissione di Dio, il diavolo, come Spirito del sospetto e della menzogna, esercita il suo
influsso seduttore sul cuore dell'uomo e della donna, ma senza togliere loro la libertà e quindi la
responsabilità22.
Con il peccato, l'uomo pretende di essere «come Dio » ma senza Dio e contro Dio. Il suo essere “come
Dio” gli era stato donato da Dio nel farlo “a sua immagine e somiglianza”, adesso rigetta questo
“essere donato” e cessa dei “essere dono” per Dio e per gli altri. L'uomo e la donna, da “aiuto” mutuo
nel loro “essere dono”, diventano complici nella loro separazione da Dio.
Come conseguenza della comune rottura dell'Alleanza con Dio, il rapporto d’alleanza tra loro si
rompe; provano vergogna: paura di se stessi, dell'altro e di Dio.
Le penalità conseguenza del peccato rispecchiano questo inquinarsi della unità e della benedizione
originarie:
La terra non sarà facile da dominare, e si ribellerà: sorge la «durezza della terra».
La discendenza sarà fonte di dolore.
La mutua unione degenererà in istinto e dominio: sorge la «durezza del cuore».
Ma con le penalità viene la promessa di redenzione: la discendenza della donna schiaccerà la testa del
serpente. Non si perde l’associazione tra matrimonio e salvezza: questa verrà dalla discendenza,
prodotto dell’unità dei due. I progenitori generano i figli “a loro immagine e somiglianza” (Gn 5,3), e
quindi, con il marchio del peccato, ma di questi nascerà chi vincerà definitivamente il peccato,
annunziato come il figlio della “donna”.
d. Conclusione sul matrimonio nei racconti degli origini
Il matrimonio rimarrà come:
- imperativo etico, soggetto a progressiva purificazione, che implica sforzo e sacrificio;
- segno profetico, della restaurazione dell’Alleanza di Dio con l’uomo;
22 Il racconto della caduta (Gen 3) utilizza un linguaggio di immagini, ma espone un avvenimento primordiale, un fatto che è
accaduto all'inizio della storia dell'uomo [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 13]. La Rivelazione ci dà la certezza di
fede che tutta la storia umana è segnata dalla colpa originale liberamente commessa dai nostri progenitori [Cf Concilio di
Trento: Denz.-Schönm., 1513; Pio XII, Lett.enc. Humani generis: Denz.-Schönm., 3897; Paolo VI, discorso dell'11 luglio
1966] (CCE 390).
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 32
- cosa buona e sacra, finalizzata alla grazia (sacramento in potenza).
I successivi rinnovamenti dell'Alleanza, ripeteranno la benedizione originaria:
- La discendenza di Noè dominerà di nuovo la terra, sebbene in condizioni meno pacifiche (Gn 9,1).
- La discendenza di Abramo possiederà la terra promessa e sarà portatrice di benedizione per tutti gli
uomini (Gn 12, 2-3).
- Il discendente di Davide avrà il regno per sempre (2 Sam 7,8; 1Cr 17,8-4).
In parallelo con il tema della discendenza si svolge quello della « casa »: la discendenza è la « casa »
dell'uomo e allo stesso tempo, questa discendenza costruirà la « casa » di Dio, il luogo dove Dio
dimora sulla terra, come si vede in (2Sam 7, 8-16; 1Cr 17,8-14). Questa promessa sarà compiuta da
Cristo (cf. At 13,23) il « nato da donna » (Ga 4,4) che edificherà per sempre la casa di Dio tra gli
uomini: la sua umanità, sacramentalmente prolungata nella Chiesa.
2. Il matrimonio sotto la legge antica
Tra tutte le Alleanze rinnovate, rimane centrale quella tra Dio e il popolo d’Israele sul Sinai. Israele
diventa il “Popolo di Dio”, quello che ha stipulato alleanza con Dio e gli appartiene, donde
l’imperativo basilare sul quale poggia la legge antica: «siete santi perché santo sono io» (Lv 19,2;
20,7). C'è, pertanto, un certo ricupero della qualità d’immagine di Dio, cha ha una diretta ripercussione
sul rapporto uomo-donna: viene proibito l'incesto e altre aberrazioni sessuali (Lv 19,2; 20,7).
Si osserva un’evoluzione verso unità e indissolubilità, ma ancora con le tracce della «durezza del
cuore»: si permettono la poligamia e il ripudio. Ma in molti passi dell’Antico Testamento si
evidenziano le situazioni confittive a cui portava la poligamia (Gn 16; 21,8-14). La proibizione
dell'adulterio (Es 20,17; Lv 20,10), anche se unilaterale (adulterio è soltanto avere rapporti con la
donna altrui, non era punito che il marito avessi rapporti con donne non sposate), è un segno della
preoccupazione per la stabilità del matrimonio, teso ad assicurare all’uomo una discendenza che
erediterebbe la sua parte nella terra promessa.
A questo scopo serviva anche la Legge del levirato (Dt 25,5): l’obbligo del fratello o del parente più
prossimo al defunto per via collaterale di sposarne la vedova per dargli discendenza: rispecchia
l'importanza della benedizione della discendenza, che doveva assicurare il possesso della terra.
La donna è in testa all'elenco di ciò che appartiene al prossimo e non si deve desiderare (Es 20,17), ma
ovviamente, non poteva essere ceduta né venduta, come se fosse una cosa. Non può sostenersi che la
proibizione dell’adulterio fosse espressione di un semplice “diritto di proprietà”.
La proibizione di sposare donne straniere (Dt 7,3-4): rafforza il senso di appartenenza al popolo
dell'Alleanza e previene contro l'introduzione di culti idolatrici. Ma se la donna straniera si converte
sinceramente, viene ammessa (Rt 1,16).
Nel sottofondo della legge antica in materia matrimoniale si trova l'analogia tra l'Alleanza con Dio e
l'alleanza matrimoniale. La benedizione che accompagna l'una e l'altra è la stessa: la discendenza e il
godimento dei frutti della terra e del lavoro. L'Antica Alleanza è capita come un rinnovamento
dell'Alleanza Originaria e della benedizione originaria. La ricompensa dell'uomo fedele all'Alleanza si
riceve attraverso il matrimonio (come si vede nei salmi 126 e 127 vg).
3. Il matrimonio nei profeti
L’insegnamento dei profeti sul matrimonio viene descritto da Giovanni Paolo II nei seguenti termini:
«La comunione d'amore tra Dio e gli uomini, contenuto fondamentale della Rivelazione e
dell'esperienza di fede di Israele, trova una significativa espressione nell'alleanza sponsale, che si
instaura tra l'uomo e la donna. È per questo che la parola centrale della Rivelazione, «Dio ama il suo
popolo», viene pronunciata anche attraverso le parole vive e concrete con cui l'uomo e la donna si
dicono il loro amore coniugale. Il loro vincolo di amore diventa l'immagine e il simbolo dell'Alleanza
che unisce Dio e il suo popolo (cfr. ad es. Os 2,21; Ger 3,6_13; Is 54). E lo stesso peccato, che può
ferire il patto coniugale diventa immagine dell'infedeltà del popolo al suo Dio: l'idolatria è
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 33
prostituzione (cfr. Ez 16,25), l'infedeltà è adulterio, la disobbedienza alla legge è abbandono
dell'amore sponsale del Signore. Ma l'infedeltà di Israele non distrugge la fedeltà eterna del Signore e,
pertanto, l'amore sempre fedele di Dio si pone come esemplare delle relazioni di amore fedele che
devono esistere tra gli sposi» (cfr. Os 3) (FC n. 12).
Interessante a questo riguardo è fare l’analisi del testo di Os 2,18-25, in cui si parla del rinnovamento
dell'Alleanza come il ristabilimento di un’alleanza matrimoniale, con tutte le caratteristiche
dell'alleanza matrimoniale originaria, e con la stessa benedizione, quindi con il superamento della
durezza del cuore e la durezza della terra.
[18]E avverrà in quel giorno - oracolo del Signore - mi chiamerai: Marito mio, e non mi chiamerai più: Mio
padrone. [19]Le toglierò dalla bocca i nomi dei Baal, che non saranno più ricordati. [20]In quel tempo farò per
loro un'alleanza con le bestie della terra e gli uccelli del cielo e con i rettili del suolo; arco e spada e
guerra eliminerò dal paese; e li farò riposare tranquilli. [21]Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella
giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, [22]ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il
Signore. [23]E avverrà in quel giorno - oracolo del Signore - io risponderò al cielo ed esso risponderà alla
terra; [24]la terra risponderà con il grano, il vino nuovo e l'olio e questi risponderanno a Izreèl. [25]Io li
seminerò di nuovo per me nel paese e amerò Non-amata; e a Non-mio-popolo dirò: Popolo mio, ed egli mi dirà:
Mio Dio.
Vediamo in questo lungo paragrafo il modo un cui viene ristabilita la relazione originaria: l'uomo torna ad essere
marito ("ish"), per la donna, e non dominatore ("baal"). La situazione di pace indica il ritorno all'armonia
originale, in cui di nuovo l'uomo sottometterà la terra. Gli sposalizi sono per sempre, e questo è un dato che
apparirà con tutta chiarezza nel Nuovo Testamento. I termini che si usano per descrivere quest’unione sono
quelli di “amore” ("hesed": amore misericordioso), “compassione” ("rahamim": amore affettuoso), “fedeltà”
("emet": fermezza, verità), e la relazione con Dio viene descritta come “conoscere” ("yadá"); il senso di
“esperienza personale ed intima” che questo vocabolo ha nella lingua ebraica, fa sì che venga usato anche per
designare l'unione sessuale tra uomo e donna. La profezia finisce con una promessa di fecondità e di nuova
creazione del Popolo, che ritornerà a godere dei frutti della terra in pace. La Nuova Alleanza tra Dio e Israele,
annunciata dai profeti, si presenta come il ristabilimento di un'alleanza matrimoniale: l'espressione "mio marito”
equivale all'espressione "il mio Dio"; l'unione Popolo-Dio equivale all'unione moglie-marito.
La stessa idea esprime Isaia col mettere un'espressione d’allegria nuziale in bocca a Sion, la città restaurata:
[10]Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti di
salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia, come uno sposo che si cinge il diadema e come una sposa
che si adorna di gioielli. [11]Poiché come la terra produce la vegetazione e come un giardino fa germogliare i
semi, così il Signore Dio farà germogliare la giustizia e la lode davanti a tutti i popoli (Is 61, 10-11).
Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo architetto; come gioisce lo sposo per la sposa, così il
tuo Dio gioirà per te (Is 62,5).
Nella Nuova Alleanza, Dio «scriverà la sua legge sui loro cuori» (Ger 31,33), «strapperà da loro il
cuore di pietra per dar loro un cuore di carne» «infonderà il suo Spirito su di loro» (Ez 36,26-27). Gli
ultimi profeti mostrano un concetto del matrimonio più in consonanza con il progetto originario di
Dio: secondo Malachia, Dio non tollera il ripudio della donna con cui si è fatta alleanza (Ml 2,14-16).
Il ragionamento di Malachia contro il ripudio è molto simile a quello che adopererà Gesù nella su
disputa contro i farisei.
[13]Un'altra cosa fate ancora; voi coprite di lacrime, di pianti e di sospiri l'altare del Signore, perché egli non
guarda all'offerta, né la gradisce con benevolenza dalle vostre mani. [14]E chiedete: Perché? Perché il Signore è
testimone fra te e la donna della tua giovinezza, che ora perfidamente tradisci, mentr'essa è la tua consorte, la
donna legata a te da un patto. [15]Non fece egli un essere solo dotato di carne e soffio vitale? Che cosa cerca
quest'unico essere, se non prole da parte di Dio? Custodite dunque il vostro soffio vitale e nessuno tradisca la
donna della sua giovinezza. [16]Perché io detesto il ripudio, dice il Signore Dio d'Israele, e chi copre d'iniquità la
propria veste, dice il Signore degli eserciti. Custodite la vostra vita dunque e non vogliate agire con perfidia (Ml
2, 13-16).
Malachia dice: «il Signore è testimone fra te e la donna della tua giovinezza», e Gesù presenta il matrimonio
come «ciò che Dio ha unito»; tutti e due sembrano fare riferimento a Gn 2,22, in cui si afferma che Dio condusse
la donna dall’uomo. Malachia fa riferimento a Gn 2,7 come fondamento dell’unione dei due: «fece un essere
solo, dotato di carne e di soffio vitale», e pone l’unità dei due in rapporto con la generazione della prole (v 15);
Gesù si rifà invece a Gn 1,27 «all’inizio Dio li fece maschio e femmina» e conclude con Gn 2,24: «e saranno i
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 34
due una carne sola». Ma la conclusione è la stessa: «Io (Dio) detesto il ripudio» per Malachia e «ciò che Dio ha
unito, l’uomo non lo separi» per Gesù.
Nei profeti, l'analogia matrimonio-Alleanza è più che una semplice metafora; implica una
partecipazione, giacché nella misura in cui si rigenera l'Alleanza con Dio, si rigenera quella
matrimoniale. Infatti, Dio-Sposo si comporta con Israele-Sposa in un modo che contraddice la stessa
legge data da Lui per mezzo di Mosè: Dio non fa lapidare la sposa adultera, la vuole riconquistare, e se
magari la ripudia temporaneamente (nel tempo dell’Esilio), lo fa per muoverla al pentimento: «Per un
breve istante ti ho abbandonata, ma ti riprenderò con immenso amore» (Is 56,7). Dio non rompe la sua
Alleanza con la sposa infedele, anzi, la rinnova e la porta a pienezza.
4. Il matrimonio nella tradizione sapienziale
Il Libro dei Proverbi: previene contro l'adulterio (30,20); esorta alla fedeltà verso la «moglie della tua
giovinezza» (5,19). Finalmente, tesse l'elogio della «donna forte», «aiuto» dell'uomo (31,10-31).
L’Ecclesiastico (Siracide): previene contro la prostituzione e l'adulterio (cp. 9).
I Salmi 126-127 (vg.) cantano l'avverarsi della benedizione originaria per l'uomo fedele all'Alleanza. Il
Salmo 44 (vg.) evoca le nozze del re, con riferimenti alla Genesi: invita la fidanzata ad «abbandonare
la casa paterna» (cfr. Gn 2,24), per ricevere in contraccambio figli da «nominare re per tutta la terra»
(cfr. Gn 1, 28).
Il Cantico dei Cantici, originariamente una raccolta di poemi nuziali, è stato interpretato dalla
tradizione ebrea come un cantico d'amore tra Dio e il popolo, e da quella cristiana, come allegoria
dell'amore tra Cristo e la Chiesa o tra Dio e l'anima. Interpretazione legittima, vista la corrispondenza
tra Alleanza con Dio e alleanza matrimoniale che abbiamo trovato nei profeti. Ma nei nostri giorni
viene anche interpretato come semplice esaltazione della bontà dell'amore umano nel piano originario
di Dio. Secondo K. Barth, sarebbe una sorta di sviluppo dello stupore originario di Adamo davanti ad
Eva espresso dalle parole «questa sì è carne dalla mia carne» (idea ripresa da Giovanni Paolo II nella
Lettera alle famiglie n. 19). Interessante è il passo 8,6-7, in cui l'amore umano, in questo stato
originario, è definito «una fiamma del Signore», mettendo in rilievo il suo carattere di teofania. (Si
ricordi che il fuoco è anche simbolo dello Spirito Santo.)
Un punto degno d’attenzione è l'esclamazione della moglie: “Io sono per il mio diletto e la sua brama è verso di
me” (7,11), che sembra invertire il senso di Gn 3,16 in cui la “brama” o “istinto” della moglie – i due testi usano
la stessa parola ebraica - la portava ad essere dominata dal marito. Qui la moglie si sente corrisposta e non
semplicemente posseduta.
Il Libro di Tobia canta le virtù del giusto e della vita familiare. Contiene il racconto di una cerimonia
di nozze (7,11-13) in cui si parla esplicitamente di un «contratto matrimoniale». La preghiera di Tobia
e Sarra (8,5-8) è un riassunto del senso del matrimonio nell'Antico Testamento nella sua fase più
purificata.
«Benedetto sei tu, Dio dei nostri padri, e benedetto per tutte le generazioni è il tuo nome! Ti benedicano i cieli e
tutte le creature per tutti i secoli! [6]Tu hai creato Adamo e hai creato Eva sua moglie, perché gli fosse di aiuto e
di sostegno. Da loro due nacque tutto il genere umano. Tu hai detto: non è cosa buona che l'uomo resti solo;
facciamogli un aiuto simile a lui. [7]Ora non per lussuria io prendo questa mia parente, ma con rettitudine
d'intenzione. Dègnati di aver misericordia di me e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia». [8]E dissero
insieme: «Amen, amen!» (Tb 8, 5-8).
Giovanni Paolo II fa notare che mentre il Cantico dei cantici parla di un amore «forte come la morte»,
il Libro di Tobia mostra un amore più forte della morte, e la differenza la fa la preghiera, l'invocazione
esplicita di Dio sulla loro unione23.
Si noti che in ambedue i libri ricorrono l'espressioni «fratello» e «sorella» ad indicare l'intimità e
profondità dell'unione tra sposo e sposa, fino al punto che in Tb 11, a conclusione della cerimonia di
nozze, si dice «fin d'adesso tu sei il suo fratello e lei è la tua sorella». Si scorge qui un'eco delle parole
23 Cfr. Uomo e donna lo creò, cps. CVIII a CXVII.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 35
d’Adamo «questo è carne della mia carne...»: l'unione sponsale viene presentata come un
approfondimento nella comunione previa dovuta alla comune umanità, al comune essere immagini di
Dio.
L’uomo e la donna si rivelano reciprocamente complementari, non come se fossero incompleti in sé in quanto
persone, ma in ordine a una ulteriore pienezza, ottenuta attraverso il loro amore e la loro fecondità.
5. Liturgia ebrea del matrimonio
Una breve analisi della liturgia ebraica sul matrimonio ci aiuterà a capire meglio il suo senso
nell'AT24.
a. Gli sponsali
Un patto per cui la donna rimane promessa al marito senza potere consumare il matrimonio.
Accompagnato da una benedizione e dell'imposizione dell'anello.
b. Le nozze
Consiste nel trasferimento della sposa alla casa dello sposo. Si accompagna da sette benedizioni, con
significato di memoriale.
- sono commemorazione della creazione, dell'uomo (maschio) fatto a immagine e somiglianza
di Dio e della donna fatta per essere un edificio perenne;
- sono attualizzazione del gaudio che esisteva all'inizio nel paradiso;
- sono profezia della gioia finale escatologica, per la restaurazione di Sion, prima sterile e
adesso attorniata dai figli.
6. Conclusione sul matrimonio nell'Antica Alleanza
Il matrimonio si presenta nel contesto dell'Alleanza, che è il contesto di un mistero d’amore, con le
caratteristiche d’unità e fecondità.
La donazione personale di Dio all'umanità nella creazione trova la sua immagine e partecipazione
nella coppia umana, che ne propaga gli effetti attraverso la discendenza che domina la terra.
Dopo il peccato si manifesta la fedeltà di Dio all'Alleanza Originaria attraverso la promessa della
discendenza, che si concretizza nella discendenza di Abramo, il popolo d'Israele. Con il popolo di
Israele Dio sigilla l'Antica Alleanza, profezia di quella definitiva. In questo contesto, l'unione
matrimoniale è portatrice della benedizione per chi è fedele all'Alleanza.
Alle ripetute infedeltà del popolo, Dio risponde con castighi ma anche con la promessa di un'Alleanza
Nuova e definitiva, realizzata da un Discendente di Davide che edificherà una casa/famiglia definitiva
per Dio ed estenderà il suo regno sulla terra (cfr. 2Sam 7). In questo nuovo contesto, il matrimonio
sarà liberato dalla «durezza del cuore» e la discendenza di questo matrimonio supererà la «durezza
della terra» (cfr. Os 2,18-25).
24 Di cerimoniale matrimoniale nell'Antico Testamento ne troviamo soltanto degli indizi: Gn 24 e Tb 7-13.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 36
Appendice: Per leggere correttamente i primi capitoli della Genesi
289 Tra tutte le parole della Sacra Scrittura sulla creazione, occupano un posto singolarissimo
i primi tre capitoli della Genesi. Dal punto di vista letterario questi testi possono avere fonti
diverse. Gli autori ispirati li hanno collocati all'inizio della Scrittura in modo che esprimano,
con il loro linguaggio solenne, le verità della creazione, della sua origine e del suo fine in Dio,
del suo ordine e della sua bontà, della vocazione dell'uomo, infine del dramma del peccato e
della speranza della salvezza. Lette alla luce di Cristo, nell'unità della Sacra Scrittura e della
Tradizione vivente della Chiesa, queste parole restano la fonte principale per la catechesi dei
misteri delle « origini »: creazione, caduta, promessa della salvezza.
390 Il racconto della caduta (Gn 3) utilizza un linguaggio di immagini, ma espone un
avvenimento primordiale, un fatto che è accaduto all'inizio della storia dell'uomo (cfr GS
13.1). La Rivelazione ci dà la certezza di fede che tutta la storia umana è segnata dalla colpa
originale liberamente commessa dai nostri progenitori (cf. Ce. di Trento: DS 1513, Pio XII:
DS 3897; Paolo VI, discorso 11 Luglio 1966).
Per approfondire, si vedano le Catechesi di Giovanni Paolo II:
12 Settembre 1979
19 Settembre 1979
26 Settembre 1979
Con speciale attenzione alle note a pie di pagina.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 37
B. Nel Nuovo Testamento
Introduzione: Cristo restaura e promuove il matrimonio nell'ambito del Regno di Dio
Nel Nuovo Testamento viene portato a pienezza da Cristo tutto quello che è stato detto profeticamente
nell'Antico Testamento, e quindi anche ciò che il matrimonio significa in quanto segno profetico
dell’Alleanza definitiva di Dio con l’umanità.
Lo Sposo
Gesù Cristo è lo «Sposo» del Popolo di Dio, titolo attribuito a Dio dai profeti: compie l'Alleanza
nuziale definitiva con il Popolo.
L'Incarnazione del Figlio di Dio si presenta come la nuova e definitiva Alleanza di Dio con
l'umanità25.
Con la sua morte sulla croce sigilla questa nuova e definitiva Alleanza e crea il nuovo Popolo di Dio.
La Discendenza
Gesù Cristo e la Chiesa, inoltre, compiono le profezie sulla «discendenza»: Cristo è nello stesso tempo
la «discendenza» della donna, la «discendenza» di Abramo e il «discendente» di Davide. La Chiesa,
corpo e sposa di Cristo, è la «discendenza», la «casa» dove abita Dio, la «pienezza» di Cristo, che
stende il «dominio» o Regno di Dio su tutta la terra.
Perciò Gesù Cristo rigenera il matrimonio secondo il piano originario di Dio «da principio» (Mt 19,8)
e inoltre, lo promuove nell'ambito del Regno di Dio, concedendo la grazia per superare la «durezza del
cuore», con il dono dello Spirito Santo riversato nei cuori dei credenti.
Nel Nuovo Testamento, il matrimonio, mistero d’amore unitivo e fecondo, è costituito
sacramento della Nuova Alleanza, giacché:
- È riproduzione e partecipazione dell'Alleanza di amore tra Cristo-Sposo con la Chiesa-
Sposa, iniziata nell'Incarnazione e sigillata dal Mistero Pasquale;
- Dà vita alle generazioni del nuovo Popolo di Dio, e così dà pienezza a Cristo nel suo Corpo
Mistico e stende il Regno di Dio sulla Terra.
1. Nei Vangeli
a. Cristo è cosciente di venire al suo popolo come lo Sposo
Così si vede nella replica con cui ha preso la difesa dei suoi discepoli accusati di non praticare il
digiuno come i discepoli dei farisei perché «lo Sposo è con loro» (Mt 9,15).
Giovanni Battista rende una testimonianza simile, quando dichiara d’essere «l'amico dello sposo» (Gv
3,29), che «esulta di gioia alla voce dello sposo».
Il Regno che inaugura viene descritto come un banchetto di nozze (Mt 22,2).
È Lui lo Sposo da attendere con le lampade accese (Mt 25,1ss).
b. L'inizio ufficiale del suo ministero ha luogo in una festa di nozze
«Alle soglie della sua vita pubblica, Gesù compie il suo primo segno - su richiesta di sua Madre -
durante una festa nuziale. La Chiesa attribuisce una grande importanza alla presenza di Gesù alle
25 Cfr CCE n. 1612: « L'alleanza nuziale tra Dio e il suo popolo Israele aveva preparato l'Alleanza Nuova ed eterna nella
quale il Figlio di Dio, incarnandosi e offrendo la propria vita, in certo modo si è unito tutta l'umanità da lui salvata,
preparando così « le nozze dell'Agnello » (Ap 19,7.9).
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 38
nozze di Cana. Vi riconosce la conferma della bontà del matrimonio e l' annuncio che ormai esso sarà
un segno efficace della presenza di Cristo» (CCE n. 1613)
C'è chi ha visto nella conversione dell'acqua in vino il segno dell'elevazione dell'amore umano al livello della
carità soprannaturale.
c. Cristo mostra la sua concezione del matrimonio quando rigetta il ripudio (Mt 5,31-32; 19,3-9; Mc
10,2-12; Lc 16,18).
Mc 10,3-8; Mt 19,4-8: Cristo manifesta la sua intenzione di restaurare il progetto originario di Dio,
così com’era «da principio», e cita esplicitamente la Genesi. Attribuisce la possibilità del ripudio alla
«durezza del cuore» (Mc 19,5; Mt 19,8) causata dal peccato, che Egli viene a curare.
[3]Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «E' lecito ad un uomo ripudiare
la propria moglie per qualsiasi motivo?».
[4]Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse:
[5]Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola?
[6]Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi».
[7]Gli obiettarono: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l'atto di ripudio e mandarla via?».
[8]Rispose loro Gesù: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da
principio non fu così.
Il suo proposito principale non è soltanto di abolire il permesso mosaico al divorzio, ma di ripristinare
il principio sacro e inviolabile: «quello che Dio congiunge, l'uomo non separi» (Mt 19,6). La santità e
l'inviolabilità del matrimonio procedono dall'intervento di Dio. Viene affermato pertanto il principio
trascendente che ne fondamenta l'indissolubilità.
Infatti, vediamo che in Gn 2,22 Dio conduce la donna all'uomo e gliela presenta, e l'uomo la riconosce come
uguale a sé. Sotto il peccato (Gn 3,16) è l’«istinto» (in senso peggiorativo: la concupiscenza) a condurre la donna
all'uomo, il quale la domina come sua inferiore.
Gesù nel suo discorso segue la traccia dei profeti, che per spiegare la nuova Alleanza si rifacevano alla
Genesi, e anche per spiegare il rigetto del ripudio da parte di Dio e il suo comportamento di amore
fedele e misericordioso verso Israele, la “sposa” infedele, non certo previsto dalla legge mosaica.
Si osservi che nell’enunciare il principio sacro che fondamenta l’indissolubilità del matrimonio, Cristo si rifà alla
Genesi, seguendo un ragionamento simile a quello del profeta Malachia (2,14-16): l’unità dei due voluta dal
Creatore. In Malachia Dio crea « un essere solo dotato di carne e soffio vitale» (cfr. Gn 2,7); Cristo dice: «il
Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si
unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola?» (cfr. Gn 1,27 + Gn 2,24). Malachia dice: «Il Signore è
testimone fra te e la donna della tua giovinezza … la donna legata a te da un patto». Gesù afferma: «Ciò che Dio
ha congiunto, l’uomo non lo separi». Tutti e due fanno riferimento implicito a Gn 2,22, in cui Dio «condusse la
donna all’uomo» dopo averla plasmato dalla costola. La conclusione è la stessa: Dio rigetta il ripudio, come
contrario alla sua propria opera.
d. Il matrimonio si colloca nella prospettiva della definitiva venuta del Regno dei Cieli
Dal contesto generale di questi insegnamenti, (ultimi insegnamenti prima della sua Passione e Morte)
si evidenzia l'intento di Gesù, che è quello di inserire il matrimonio nelle istituzioni del «Regno dei
Cieli» che è sul punto di arrivare.
Indica lo stile di vita caratteristico dei membri di questo Regno nei quali è stata restaurata «l'immagine
e somiglianza» di Dio, e quindi superata la «durezza del cuore». Si ricordi che era proprio questo
l’effetto della Nuova Alleanza, secondo l’annuncio dei profeti (cfr. Ez 11,29; 36,26).
«La Rivelazione cristiana conosce due modi specifici di realizzare la vocazione della persona umana, nella sua
interezza, all' amore: il Matrimonio e la Verginità. Sia l' uno che l' altra nella forma loro propria, sono una
concretizzazione della verità più profonda dell'uomo, del suo " essere ad immagine di Dio"» (FC n. 11).
Più che una restaurazione del matrimonio originario, ne è una promozione nell'ambito del Regno dei
Cieli. Limitata tuttavia alla fase storica di questo Regno, non a quella escatologica in cui «non si
prende moglie né marito» (Mt 22,23-30; Mc 12,18-27; Lc 20,27-40).
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 39
Il superamento della «durezza del cuore» sebbene possibile, non toglie lo sforzo e la partecipazione
alla croce di Cristo con un amore «che redime e perdona» (FC 13). Proprio in questa tensione tra
l'arrivo del Regno di Dio già definitivo ma non ancora pieno, il matrimonio realizza la sua funzione di
«dare pienezza» alla terra mediante l'estensione del Regno di Dio su di essa.
e. La morte di Cristo in croce è il culmine della su donazione alla Chiesa
S. Giovanni sottolinea fortemente il fatto che dal costato di Cristo trafitto dalla lancia sgorgò sangue
ed acqua (Gv 19,34), il che fu interpretato dai Padri come il sorgere mistico della Chiesa dal costato di
Cristo così come Eva dal costato di Adamo. Sulla croce si compì la Nuova Alleanza con il Nuovo
Popolo che sarà il Corpo Mistico di Cristo, «una carne sola» con Lui.
S. Paolo affermerà: «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per
mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola» (Ef 5,25-26). Per questo il Catechismo dice: «la grazia
del matrimonio cristiano è un frutto della croce di Cristo, fonte di tutta la vita cristiana» (n. 1615).
2. In S. Paolo
a. Il matrimonio, un dono di Dio
1Cor 7: S. Paolo risponde a domande sul matrimonio e la sua indissolubilità, sulla verginità...
Chi sceglie la verginità «fa meglio», ma chi si sposa «fa bene» (1Cor 7,37-38). «Ognuno ha ricevuto
da Dio il suo proprio dono»:1Cor 7,7 non è semplice rimedio all'incontinenza, è un «charisma», un
elemento positivo per la costruzione della Chiesa.
b. Il matrimonio «nel Signore»
1Cor 7,39: la vedova è libera di risposarsi, ma «nel Signore». L’espressione non ha un significato
liturgico indubbio, ma significa piuttosto il contesto della nuova vita a cui sono stati incorporati i
cristiani per il battesimo. È il matrimonio tra coloro che vivono incorporati all’Alleanza con Cristo,
ognuno dei quali vive “nel Signore”.
c. Il battesimo, alleanza sponsale con Cristo
1Cor 6,13-20: Di fronte all’errore di alcuni, che equiparavano l’uso della prostituzione sacra con il
mangiare carni consacrate agli idoli, S. Paolo risponde che la digestione è rapporto con le cose, la
sessualità, invece, è rapporto tra persone; è espressività e donazione, attraverso il corpo, di tutta la
persona. E la persona è unita sponsalmente a Cristo nel battesimo: diventa «un solo spirito con Lui»;
quindi, per i cristiani, ogni unione uomo-donna, dev'essere «nel Signore». Il corpo è santuario dello
Spirito Santo, il cristiano non si appartiene, appartiene a Cristo, come membro del suo corpo.
S. Paolo si oppone al dualismo comune nel pensiero dell’epoca, e da motivi teologici per spiegare che «l’amore
spirituale abbraccia anche il corpo» (cfr. FC n. 11). L’unità corpo-anima fa sì che il cristiano diventi pienamente
“immagine e somiglianza di Dio” anche nella sua dimensione corporale.
1Cor 7,4: Il padrone del corpo della moglie è il marito e viceversa (sempre, s'intende, «nel Signore». Il
marito e la moglie cristiani sono rappresentanti di Cristo l'uno per l'altro, perché Lui è il solo padrone
del corpo.
Questo spiega ciò che dirà S. Paolo più avanti in Ef 5,21: «siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo»
vale a dire, nell’obbedienza alla sua persona, secondo il suo esempio e la nuova vita e la legge di amore che ci ha
donato.
2Cor 11,2: «geloso sono per voi con gelosia divina, avendovi promessi ad un unico Sposo, per
presentarvi quale vergine casta a Cristo». Di nuovo il battesimo è considerato alleanza sponsale con il
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 40
Signore. La Chiesa realizza il suo carattere di Sposa in ogni cristiano unito a Cristo per l'alleanza
battesimale: tuta la vita cristiana segnata dall’amore sponsale di Cristo e della Chiesa.
Cfr. CCE n. 1617: «Tutta la vita cristiana porta il segno dell'amore sponsale di Cristo e della Chiesa. Già il
Battesimo, che introduce nel Popolo di Dio, è un mistero nuziale: è, per così dire, il lavacro di nozze che precede
il banchetto di nozze, l' Eucaristia. Il Matrimonio cristiano diventa, a sua volta, segno efficace, sacramento
dell'alleanza di Cristo e della Chiesa. Poiché ne significa e ne comunica la grazia, il matrimonio fra battezzati è
un vero sacramento della Nuova Alleanza».
Se il battesimo è alleanza sponsale dell'uomo con Cristo, la verginità è portare avanti quest’alleanza
direttamente, e il matrimonio, portarla avanti mediante un segno: l'unione uomo-donna.
d. Il matrimonio, immagine e partecipazione dell'amore di Cristo per la sua Chiesa (Ef 5,21-33).
[21]Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. [22]Le mogli siano sottomesse ai mariti come al
Signore; [23]il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore
del suo corpo. [24]E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in
tutto. [25]E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, [26]per
renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, [27]al fine di farsi
comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e
immacolata. [28]Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la
propria moglie ama se stesso. [29]Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la
cura, come fa Cristo con la Chiesa, [30]poiché siamo membra del suo corpo. [31]Per questo l'uomo lascerà suo
padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. [32]Questo mistero è grande
(questo è un grande mistero); lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! [33]Quindi anche voi, ciascuno da
parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito.
1) CONSIDERAZIONI GENERALI
1. Secondo Giovanni Paolo II: il testo è incentrato sul corpo; si stabilisce una «grande analogia» tra il
corpo mistico di Cristo, la Chiesa, e il corpo umano, maschile e femminile: il rapporto reciproco tra i
coniugi cristiani va inteso come immagine del rapporto tra Cristo e la Chiesa26.
2. Contesto (v. 21): Apre S. Paolo il suo discorso parenetico sulle virtù familiari con un’esortazione
alla sottomissione reciproca dei cristiani nel timore di Cristo e passa ad applicarla al caso dell'uomo e
della donna nel matrimonio27. “Timore di Cristo” in questo contesto vuole dire obbedienza alla sua
Persona. L’uomo e la donna cristiani appartengono, come abbiamo visto, a Cristo. Nessuno dei due
spadroneggia sull’altro, ma tutti e due obbediscono a Cristo, e in questo consiste la loro sottomissione
reciproca e il fondamento saldo della loro unione. Cristo è modello per l'uomo e la donna nella loro
mutua appartenenza. Questa mutua appartenenza secondo il modello di Cristo, realizza il loro comune
essere umani: essere immagine e somiglianza di Dio, che è stato realizzato pienamente in Cristo.
2) CHE COSA INTENDE S. PAOLO PER «GRANDE MISTERO» (V. 32)
[32]Questo mistero è grande (traduzione più corretta: «grande mistero è questo»)28; lo dico in riferimento a
Cristo e alla Chiesa!
Due premesse.
26 Catechesi 11.08.82; Uomo e donna lo creò, cp. XC. 27 GIOVANNI PAOLO II commenta nella Mulieris dignitatem, n. 24: «L'autore della Lettera agli Efesini non vede alcuna
contraddizione tra un'esortazione così formulata e la costatazione che “le mogli siano sottomesse ai loro mariti come al
Signore; il marito, infatti, è capo della moglie” (5, 22-23). L'autore sa che quest’impostazione, tanto profondamente radicata
nel costume e nella tradizione religiosa del tempo, deve essere intesa e attuata in un modo nuovo: come una “sottomissione
reciproca nel timore di Cristo” (cf. Ef 5, 21); tanto più che il marito è detto «capo» della moglie come Cristo è capo della
Chiesa, e lo è al fine di “dare se stesso per lei” (Ef 5, 25) e dare se stesso per lei è dare perfino la propria vita. Ma, mentre
nella relazione Cristo-Chiesa la sottomissione è solo della Chiesa, nella relazione marito-moglie la “sottomissione2 non è
unilaterale, bensì reciproca! (...) La “novità” di Cristo è un fatto: essa costituisce l'inequivocabile contenuto del messaggio
evangelico ed è frutto della redenzione. Nello stesso tempo, però, la consapevolezza che nel matrimonio c'è la reciproca
“sottomissione dei coniugi nel timore di Cristo”, e non soltanto quella della moglie al marito, deve farsi strada nei cuori, nelle
coscienze, nel comportamento, nei costumi. E' questo un appello che non cessa di urgere, da allora, le generazioni che si
succedono, un appello che gli uomini devono accogliere sempre di nuovo». 28 L'espressione originale è difficile, letteralmente sarebbe: «mistero questo grande è».
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 41
a) Mistero: è l'evento prefissato da Dio sin dall'eternità: ricapitolare ogni cosa in Cristo (Ef 1,9-10),
quindi, edificare la Chiesa, pienezza (pleroma) di Cristo (1,22-23), come Eva lo era di Adamo. Si
osserva un ricupero dei temi della Genesi (vedi anche 2,19-22; 4,15-16: riempite [portate a pienezza]
la terra).
b) L'espressione «grande mistero» si colloca nella parte parenetica, che regola i rapporti tra i cristiani:
marito-moglie, genitori-figli, padrone-servo, la cui norma è la «sottomissione reciproca» nel «timore
di Cristo», come corrisponde a coloro che vivono «in Cristo».
A quale realtà fa riferimento l'espressione «grande mistero»? opinioni:
- Il matrimonio dei cristiani: Così S. Tommaso (CG 4,78), e dopo, la scuola romana. Questa opinione
parte anche dal fatto che nella versione Vulgata «mysterion» viene tradotto «sacramentum». Secondo
Trento, è soltanto «insinuata» la sacramentalità («Paulus Apostolus innuit», cfr. DS 1799). Oggi si
pensa che sarebbe affermata indirettamente.
- L'Alleanza sponsale Cristo-Chiesa. Così si esprime a volte St'Agostino, anche Erasmo, i protestanti...
ma sarebbe superfluo dire dopo: «lo dico di Cristo e la Chiesa».
- Il matrimonio nelle origini: Così pensavano i Santi Padri, S. Agostino in altre occasioni, molti autori
oggi29. Nell'espressione «grande mistero è questo» il pronome «questo» fa riferimento al fatto
enunciato prima: «saranno i due una sola carne» (Gn 2,24). Quindi, l'unione uomo-donna, come voluta
da Dio «da principio» è «grande mistero» di Cristo e la Chiesa: ne è il prototipo, come disegno di Dio
sin dall'inizio: la Chiesa «dà pienezza» a Cristo come Eva ad Adamo, e tra di loro c'è il rapporto
d'alleanza.
Indirettamente, l'espressione si potrebbe applicare, anche all'Alleanza Cristo-Chiesa, «grande mistero»
della nostra redenzione, della quale il matrimonio degli origini è prototipo o «segno profetico».
Indirettamente si riferisce anche al matrimonio cristiano: questo è palese nella stessa lettera dal fatto
che S. Paolo esige agli sposi cristiani il comportamento che intercorre tra Cristo e la Chiesa .
Perciò dice Giovanni Paolo II che l'espressione «grande mistero» esprime la continuità di attuazione
(del piano di Dio) che esiste tra il matrimonio come sacramento primordiale connesso alla
gratificazione soprannaturale dell'uomo nella creazione stessa, e il matrimonio come sacramento della
Nuova Alleanza, a causa della nuova gratificazione portata da Cristo nella redenzione, quando «Cristo
ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per essa per renderla santa» (Ef 5,26)30.
Si compari a questo riguardo Ef 1,4: «In Lui ci ha scelti, prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati al suo
cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi, per opera di Gesù Cristo...» con Ef 5,25-27: «E voi mariti,
amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa, e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo
del lavacro dell'acqua, accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti al sua Chiesa, tutta gloriosa, senza
macchia né ruga né alcunché di simile, ma santa e immacolata...». La scelta di Dio sin dall'inizio si realizza definitivamente
nella donazione di Cristo sulla croce per renderci santi e immacolati al suo cospetto È chiaro il riferimento ai temi della
Genesi: Eva compare davanti a Adamo, al suo cospetto, come un aiuto “faccia a faccia”, senza peccato alcuno, come “carne
della sua carne”... Il matrimonio, come immagine e partecipazione dell'Alleanza è una scelta e una donazione mutua.
L'Alleanza, rapporto d'amore Dio-uomo, è riprodotta-partecipata dall'alleanza uomo-donna. (Amore = comunione = scelta-
donazione + accoglienza-gratitudine fecondità.) Si manifesta nella «sottomissione» = fare la volontà dell'amato; verso
Dio, unilaterale; tra uomo-donna, reciproca (cfr. Ef 5,21: «siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo). Questa
sottomissione, secondo la Lettera agli Ebrei, si manifesta nel corpo, e Cristo la realizza pienamente. Cfr. Eb 10,5-7 (= S 40,7-
9): «Mi hai dato un corpo ... Ecco, io vengo a fare la tua volontà». Qui si vede il corpo come rivelazione del dono e fare la
volontà dell'amato come risposta al dono.
In sunto:
creazione-elevazione: Alleanza Dio-umanità matrimonio - sacramento primordiale
29 Cfr. Ligier, p. 29ss. 30 Cfr. Uomo e donna lo creò, p. 377. Cfr. Ligier, p. 26.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 42
redenzione: Alleanza Cristo-Chiesa matrimonio - sacramento cristiano
Riguardo all'Alleanza Cristo-Chiesa, il matrimonio delle origini n’è il segno profetico; il
matrimonio cristiano n’è il memoriale.
3) IL MATRIMONIO CRISTIANO COME IMMAGINE E PARTECIPAZIONE DEL GRANDE MISTERO DELLA UNIONE TRA
CRISTO E LA CHIESA
Il testo è quindi una prova indiretta del fatto che il matrimonio cristiano è immagine e partecipazione
(sacramento) del «grande mistero» della redenzione, sotto l'aspetto dell'unione e della conseguente
fecondità.
- Unione: partecipano all'alleanza d’amore o scelta-donazione di Cristo e risposta incondizionale della
Chiesa, che formano un solo corpo, il Cristo totale, il pleroma. Viene restaurata e anzi, superata, la
grazia originale, donde il matrimonio cristiano si colloca nel contesto dell'estensione del Regno di
Cristo sulla terra.
«Per mezzo del lavacro dell'acqua, accompagnato dalla parola» (5,26) gli sposi cristiani hanno stretto
previamente alleanza sponsale con Cristo, e l'amore di Dio è stato riversato nei loro cuori per lo Spirito
Santo (cfr. Rm 5,5), È lo stesso legame d’amore tra Cristo e la Chiesa, lo Spirito Santo, ad unirli
adesso tra di loro.
- Fecondità: La donazione di Cristo e la risposta della Chiesa originano la fecondità del popolo
formato dai figli adottivi di Dio in Cristo, secondo il disegno eterno del Padre (cfr. Ef 1,4). Ogni
matrimonio lo realizza nell'«oggi» della Chiesa, perché finalizzato alla crescita ed estensione della
Chiesa, pleroma di Cristo. All'estensione del suo «dominio» su tutte le cose. La Chiesa, edificata come
un tempio, diventa casa di Dio sulla terra. Compie il senso tipologico e profetico della benedizione
originaria: «siete fecondi, moltiplicatevi, riempite la terra, soggiogatela» (Gn 1,28).
Cfr. Ef 2,19-22: «Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati
sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. In Lui ogni costruzione
cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare
dimora di Dio per mezzo dello Spirito Santo».
4) ALCUNI PUNTI MESSI IN RILIEVO DA SANT'AGOSTINO
S. Agostino ha fatto uno sviluppo profetico-allegorico di questa analogia Adamo-Eva / Cristo-
Chiesa31:
-«saranno una carne sola» fa riferimento all'unione umano-divina dell'Incarnazione: Verbo-umanità
(così altri Santi Padri).
-«lascerà l'uomo...» fa riferimento alla «kenosis» del Verbo, che lascia il Padre e si unisce all'umanità.
L'unione Cristo-Chiesa sarà il prolungamento lungo la storia del mistero dell'Incarnazione.
- il sonno di Adamo: figura la morte di Cristo in croce: il momento in cui scaturisce la Chiesa come
Eva, dal costato di Adamo.
-«carne della mia carne...» fa riferimento al fatto che Cristo e la Chiesa formano un solo corpo.
3. Conclusione sul matrimonio nel Nuovo Testamento
1) Il matrimonio è visto nel contesto del mistero d’amore (unità e fecondità) espresso e realizzato
nell'Alleanza. Il mistero d’unità e fecondità che è l'amore di Dio per l'umanità: Dio sceglie di donare la
sua vita divina all'uomo, il che si rivela e attua nel Nuovo Testamento nell'unione Cristo-Chiesa,
realizzata nell'Incarnazione, nel Mistero Pasquale, e nell’invio dello Spirito Santo.
31 Cfr. Ligier, p. 34, 2.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 43
Questa Nuova Alleanza fa di Cristo e la Chiesa una sola carne. Di conseguenza, edifica nuovo popolo
di Dio, i figli di Dio (= la discendenza = il Corpo di Cristo = il pleroma...), i quali “dominano la terra”,
vale a dire, ricapitolano tutte le cose in Cristo, estendono il suo Regno.
Il matrimonio cristiano è immagine e partecipazione di questo mistero. Quindi, uno dei mezzi (l’altro è
la verginità) di partecipazione all'edificazione del Regno dei Cieli.
Come mistero d’unità: è un approfondire nel loro comune essere figli di Dio, persone create a “sua
immagine e somiglianza”, manifestando e partecipando all’altro l'alleanza sponsale mistica che
ognuno ha fatto con Cristo nel battesimo.
Come mistero di fecondità: è la fecondità per il Regno, perché formano con i figli la «Chiesa
domestica».
2) Il matrimonio appartiene, tuttavia, alla fase storica del Regno dei Cieli, i quale è realizzato già
definitivamente, ma non ancora pienamente, nella Chiesa. La sua capacità di significare dipende dal
segno del corpo, soggetto alla transitorietà e alla morte temporale. Verso il passato, il matrimonio è
memoriale attualizzante delle nozze Cristo-Chiesa (per l'Incarnazione, il Mistero Pasquale e l'invio
dello Spirito Santo). Verso il futuro, è profezia delle nozze dell'Agnello (cfr. Ap. 21,2-3).
3) In ultima analisi il matrimonio è partecipazione al mistero della vita intima di Dio, la vita
intratrinitaria32.
L'amore Cristo-Chiesa è riflesso-partecipazione dell’amore Padre-Figlio nell'unità dello Spirito Santo.
(cfr. Gv 15,9 «come il Padre ha amato me, così vi ho amati io, rimanete nel mio amore»). Gli sposi
«nel Signore» rimangono «nell'unità dello Spirito» (Ef 4,3): lo Spirito resta sempre il vincolo d'amore
a tutti i livelli dell'analogia-partecipazione; è Lui a garantire il mistero d’unità e fecondità a tutti i
livelli. È Lui che riempie (dà pienezza a) la terra (Sb 1,7) e la casa dov'è la Chiesa (At 2,2), possiamo
dire: la casa che è la Chiesa.
32 Cfr. GIOVANNI PAOLO II: MD 7; LF 6.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 45
2. Storia della riflessione sulla sacramentalità del matrimonio33
Introduzione
Sul matrimonio possiamo affermare:
- La sua sacramentalità primordiale così com'era negli origini, segno e attuazione
dell'elevazione allo stato di grazia dell'uomo nella stessa creazione.
- La sua sacralità «naturale» (sacramentalità in potenza)
secondo la ragione: è una realtà che coinvolge il mistero dell'apertura all'altro nell'amore
personale e nella trasmissione della vita, e pertanto, tocca da vicino il senso della vita del essere
umano a la sua apertura al mistero trascendente.
secondo la rivelazione: nel matrimonio soltanto naturale rimane questa sacralità come traccia
della sua sacramentalità primordiale e allo stesso tempo, come espressione della sua finalizzazione al
matrimonio sacramento.
Secondo San Tommaso, il matrimonio, anche a livello naturale, è un sacramento in potenza («sacramentum habitualiter» =
Summa Theol., Suppl., q59, a2, ad1). Secondo la Commissione teologica Internazionale, il matrimonio naturale è di per se
finalizzato alla grazia (cfr. Dottrina cattolica sul matrimonio, 3.1; 3.4)
- La sua sacramentalità in senso stretto, vale a dire, quella del matrimonio tra battezzati, come
uno dei sette segni istituiti da Cristo per dare la grazia che sorge dalla redenzione dell'uomo portata a
compimento nel Mistero pasquale.
Qui studieremo la presa de coscienza da parte della Chiesa, della sacramentalità in senso
stretto. Affermiamo che la Chiesa ha avuto sempre coscienza implicita, vissuta, di questa
sacramentalità, e di essa troviamo sufficienti indizi nella pratica e negli scritti. ma la presa di
coscienza esplicita - a livello di riflessione teologica e di affermazione dottrinale - è stata il
risultato di una lunga riflessione, che ha abbracciato tutti i temi sul matrimonio: struttura, proprietà
fini, celebrazione, ecc.
In questo capitolo incentriamo la nostra attenzione sull'argomento globale della
sacramentalità; quando tratteremo in particolare gli altri argomenti, daremo gli opportuni dati storici su
di essi.
La Chiesa, nell'affermare la sacramentalità del matrimonio tra i cristiani, lo considera sia nel
suo momento di celebrazione (matrimonio «in fieri») che nella sua realtà permanente (matrimonio «in
actu esse»). Dobbiamo notare tuttavia che non sembra che la Chiesa avesse sin dall'inizio un rito
specifico per il matrimonio cristiano, a poco a poco sono sorti dei riti liturgici secondo le diverse
tradizioni liturgiche; ma soltanto nel Concilio di Trento la Chiesa cominciò a porre delle condizioni di
validità riguardanti la forma di celebrare il matrimonio (forma canonica). A casa di questa mancanza
di appariscenza liturgica del rito, sia negli autori antichi che in quelli medievali, l'attenzione s'incentra
principalmente sul matrimonio «in actu esse»: il vincolo e lo stato di vita. E quindi, la discussione
sulla sacramentalità verserà principalmente sul matrimonio in questa fase e in modo secondario sul rito
matrimoniale.
Tale mancanza di ritualità specifica è spiegabile dal fatto che nel matrimonio è la realtà umana
naturale come tale ad essere segno del Mistero di Cristo ed a venire innalzata a parteciparvi. Negli altri
sacramenti ci sono anche delle realtà naturali a fondamento del loro valore simbolico, ma queste realtà
vengono prese come segni della grazia proprio nella misura in cui vengono impiegate in un certo rito
religioso, e quindi, nel loro valore simbolico-religioso, e non nel loro uso o valore naturale.
Finalità direttamente naturali, indirettamente soprannaturali.
Il Battesimo, ad. es., non è l'elevazione del bagno a segno di grazia in modo che ogni volta che si fa il bagno uno
riceve la grazia, né l'Eucaristia è l'elevazione del pranzo, in modo che ogni volta che si mangia si riceva il Corpo e il Sangue
33 Cfr. LIGIER, p. 37; cfr. anche: Il matrimonio sacramento... in «Studi giuridici» XXXI, pp. 11-68.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 46
di Cristo, ecc. Nel matrimonio cristiano invece, ogni volta che ci si sposa, si partecipa alla grazia dell'unione di Cristo e la
Chiesa.
Facciamo adesso un percorso storico cercando di'individuare le cause per cui si è protratta
questa affermazione esplicita della sacramentalità del matrimonio, sia a livello teologico che
dottrinale.
1. Il contesto culturale e religioso dell'epoca patristica
a. Alcune incognite nei primi secoli (ss. I-II)
1) Scarsità di dati sulla vita dei coniugi cristiani
Sposarsi “come tutti” (modalità), ma le conseguenze morali sono diverse. Stessa modalità, diversa moralità.
- La Lettera a Diogneto34 (c. V, 6) riferisce che «i cristiani si sposavano come tutti, avevano dei
bambini e non li uccidevano».
- Arnobio dice che le nozze cristiane non presentavano niente che fosse contrario al diritto in
uso.
- Atenagora osserva, nella sua «Supplica» (c. XXXIII) che i cristiani si sposavano con leggi
stabilite da loro; altri però leggono da voi: interpretando cioè il testo nel senso della Lettera a
Diogneto.
2) La liturgia che seguivano e le loro idee sul matrimonio
Sull'esistenza o meno di una liturgia matrimoniale nei primi tre secoli, tra gli studiosi vi sono
pareri diversi. Non si può provare la sacramentalità del matrimonio tra cristiani in quell'epoca a partire
da considerazioni di tipo liturgico, ma la si può difendere a partire dalle idee che i Padri esprimono su
di esso.
Non possiamo rilevare nessun indizio riguardante una liturgia specificamente cristiana del
matrimonio né nei Sinottici né in Giovanni. San Paolo, come abbiamo visto, raccomanda in 1Cor 7,39
di sposarsi nel Signore, ma questa formula non sembra far riferimento a un tipo di cerimonia in
concreto.
Per Sant'Ignazio di Antiochia (s. II) l'espressione significava «secondo il Signore» (katà
Kýrion) e non «secondo la passione» (cfr. Lettera a Policarpo, 5,2). Comanda che sia fatto «a
conoscenza del vescovo» proprio perché sia «secondo il Signore», e con ciò viene ad indicare la
valenza ecclesiale del fatto.
Per Tertulliano (s. III), significava «sposare un cristiano».
Per Clemente Alessandrino (s. III) un matrimonio cristiano si dà: «Quando il vincolo
coniugale si sottomette a Dio e si contrae con cuore sincero nella pienezza della fede, da cristiani che
hanno purificato la loro coscienza, hanno bagnato i loro corpi nell'acqua limpida (battesimo) e
comunicano nella speranza» (Stromata, IV,2). possiamo dire che «nella pienezza della fede» equivale
a l'espressione paolina «nel Signore».
Si osservi che le espressioni usate sono quelle che in Eb 10,22 descrivono la «via nuova e vivente» di «entrare
nel santuario» (cioè, nell'intimità di Dio) inaugurata dal sangue di Gesù. Si tratta quindi dell’appartenenza di tutti
e due gli sposi all’Alleanza sigillata da Cristo. La Chiesa vedrà nel battessimo degli sposi il fondamento della
sacramentalità del loro matrimonio.
b. Gravi problemi (ss. III-IV)
1) La lotta della chiesa contro il paganesimo greco-romano
34 Opera anonima apologetica della fine del II sec.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 47
La Chiesa cercava di purificare le usanze matrimoniali pagane, come i festeggiamenti nuziali
lascivi, il ripudio e il divorzio, il prendere in mogli ragazze ancora impuberi, l'uso di sostanze
anticoncezionali o abortive. In tale contesto, il paradigma paolino dell'unione sponsale Cristo-Chiesa si
considerava un argomento sufficientemente efficace per salvaguardare la santità del matrimonio, senza
entrare in argomenti più profondi.
2) Le ideologie dualistiche: gnosticismo, manicheismo, marcionismo...
Le varie forme di gnosticismo (dal I-II sec. in avanti) avevano in comune l’idea di attribuire la
formazione dell'universo a due divinità: una, inferiore, da cui derivava la materia e l'altra, superiore, da
cui derivavano le anime. Queste anime, disgraziatamente cadute, restavano imprigionate nella materia.
Allora, il Dio supremo, per liberale e farle risalire alla luce, inviava un Salvatore.
In questo contesto, il matrimonio veniva sconsigliato o condannato e in ogni caso, si chiedeva
di evitare le nascite.
3) Svalutazione della verginità
All'estremo opposto, Elvidio e Gioviniano (s. IV) negherebbero il valore della continenza delle
vergini e delle vedove, e affermeranno il valore di una vita coniugale che prescinde dall'ascesi e dal
rispetto alla trasmissione della vita.
c. Reazione della Chiesa (ss. IV-V)
1) Nel campo dottrinale
Si afferma una concezione del matrimonio cristiano e del matrimonio in generale, che prende le distanze dalle
concezione pagane. Sebbene l’antropologia filosofica a cui si rifanno per spiegare i dati rivelati, in alcuni casi
mostra deficienze e concessioni alla mentalità dell’epoca.
È un rischio in ogni processo d'inculturazione quello di pretendere di vedere nella rivelazione una conferma di
quelle idee che sono considerate più ovvie o indiscutibili in un dato contesto culturale.
I Padri reagirono cercando di mostrare la bontà del matrimonio, ma nelle loro spiegazioni si
notano le tracce del ambiente culturale platonico in cui si movevano, che era proclive al dualismo, o
quantomeno, alla più o meno radicale separazione anima-corpo, con svalutazione di quest'ultimo. In
un contesto in cui si considerano l'amore e la grazia come appartenenti all'anima soltanto, e il sesso
come proprio del solo corpo, diventa difficile la comprensione della sacramentalità del matrimonio.
Questa comprensione avverrà con una lenta e progressiva uscita dal dualismo platonico.
Così, un affrettato incontro tra il mito platonico della caduta originaria delle anime e il dogma
cristiano del peccato originale ebbe delle conseguenze poco felici per l'interpretazione patristica dei
primi capitoli della Genesi e quindi, per la comprensione della sessualità umana e del matrimonio
cristiano. Alcuni Padri reagirono prontamente contro questo rischio: St. Ireneo di Lione (s. II)
affermava del corpo umano che «anche ciò che è visibile porta l'immagine di Dio»35. Ma la scuola
alessandrina lasciò ampio spazio alla penetrazione del platonismo.
St. Agostino applica al matrimonio il termine sacramentum, sia per la sua qualità di signum rei
sacrae, giacché è segno dell'unione sponsale tra Cristo e la Chiesa (o tra il Verbo e l'umanità), sia per
la sua qualità di iuramentum o patto davanti a Dio. Questo iuramentum gode di un’indissolubilità che
non hanno i matrimoni pagani, perciò usa la parola sacramentum anche per nominare l'indissolubilità
come uno dei beni del matrimonio, insieme alla fides (esclusività e fedeltà) e alla proles (la
discendenza). Ma non dice esplicitamente che il matrimonio cristiano dia la grazia. È comunque una
istituzione divina, benedetta da Dio prima della caduta originale.
Papa Siricio fa notare che le vergini provengono dal matrimonio, quindi, sono vocazioni che
si complementano.
35 Demonstratio apostolica, 11. Cfr. CCE, 704.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 48
Papa Innocenzo I (s. V), afferma, come St. Agostino, che il matrimonio è una istituzione di
Dio.
In genere, i Padri, nonostante le loro speculazioni antropologiche ancora troppo cariche di
dualismo platonico, quando parlano del matrimonio cristiano insistono sulla sua qualità d'immagine
dell'unione Cristo-Chiesa, lo associano alla benedizione divina e indirettamente alla concessione di
grazia, e gli attribuiscono anche una certa santità36.
2) Nel campo disciplinare
La Chiesa sviluppa la sua propria legislazione matrimoniale, il che viene a mostrare che non considera il
matrimonio tra cristiani una semplice istituzione mondana.
La Chiesa costituisce a poco a poco, come è stato detto, una propria legislazione. Introduce
interdetti per parentela o affinità secondo quelli dell'AT (Lv 18), ripresi a quanto sembra, dal Concilio
di Gerusalemme (At 15,29). Inoltre, si cerca di disciplinare l'uso del «concubinato». Nel diritto
romano, il matrimonio legittimo era tra persone libere e di uguale condizione sociale e il concubinato,
tra persone libere e persone d'inferiore condizione o schiavi. Questo fu permesso da papa Callisto -
malgrado l'opposizione di S. Ippolito - alle matrone cristiane che non potevano sposarsi con uomini
del loro rango. Lo stesso papa, sull'argomento dei matrimoni misti - vale a dire di nozze tra cristiani e
pagani - manifesta una certa liberalità.
Nell’antica Roma c’erano diverse forme d’unioni di coppia: el matrimonio propriamente detto, il concubinato e
il contubernio. Soltanto il primo godeva di piene garanzie legali. I cristiani uniti in qualsiasi di queste forme,
dovevano però regolarsi secondo la concezione cristiana del matrimonio.
3) Inizio delle liturgie matrimoniali
Sebene la riflessione s’incentri sul matrimonio in actu esse, la liturgizzazione progressiva della cerimonia del
matrimonio (matrimonio in fieri) è segno della coscienza ecclesiale sulla sua qualità di cosa sacra e istituzione
della Chiesa.
All'inizio il matrimonio si celebra nelle case, poi nelle chiese o alle porte delle chiese. I riti
pagani vengono man mano trasformati per esprimere il senso cristiano del matrimonio.
La liturgia romana del matrimonio deriva dalla trasformazione cristiana della cerimonia del matrimonium, la
forma d’unione garantita dalle leggi. Questo mostra sia l’importanza data al matrimonio tra cristiani, sia la sua
considerazione come istituzione sacra ed ecclesiale.
Nelle celebrazioni romane del matrimonio pagano, in primo luogo avviene il sacrificio e la
preghiera d’augurio. La sposa aveva il capo coperto con fiori e un velo arancione. Dopo aver
sottoscritto le «tavole nuziali», ossia il contratto, ed emesso il mutuo consenso davanti ai testimoni
(«Ubi tu Caius, ego Caia», ammesso che la formula, molto antica, abbia valore di mutuo consenso),
una donna, la «pronuba», giungeva le mani dei due sposi: era il momento più solenne. Poi, avveniva il
mutuo scambio delle fedi ed eventualmente il rito della cosiddetta confarreatio (condivisione del pane
di farro). La sera, la moglie era accompagnata nella casa del marito e la «pronuba» rivolgeva una
preghiera alla dea per la moglie sul letto nuziale.
Nei matrimoni cristiani, la «pronuba» fu sostituita da un chierico: vescovo, presbitero,
diacono, a cui competeva di unire le mani degli sposi e pronunciare la benedizione. Detta benedizione
significava più che altro l'aiuto di Dio, necessario alla futura madre. Prevalente era del resto il rito
della «velatura», praticato sotto papa Innocenzo I.
La prima attestazione di una «messa» di matrimonio si riscontra ai tempi di papa Sisto III
(432-440) nel libro anonimo Predestinatus. Quanto ai primi testi liturgici, essi sono trasmessi dal
Leonianum e dal Gelasianum. Una descrizione dei costumi romani ci è fornita dalla risposta di papa
Nicolò I alle questioni dei Bulgari (s. IX).
36 Cfr. P. ADNÈS, Il matrimonio, c. II; AA.VV., La coppia nei Padri.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 49
In ogni caso, tutti questi cerimoniali non si facevano ovunque, né si consideravano strettamente obbligatori,
tranne il consenso, come dirà lo stesso Niccolò I ai Bulgari.
d. La cerimonia di matrimonio come primo indizio della sua sacramentalità
1) L’ipotesi dello Schillebeeckx37
Il primo indizio esplicito della coscienza ecclesiale sulla sacramentalità del matrimonio (e non
soltanto sulla sua sacralità generica), sarebbe il passaggio dalla benedizione della coppia a quella della
sola sposa, e si sarebbe verificato, per la prima volta, verso la fine del IV sec., stando al Liber
Ordinum mozarabicum.
Il secondo dato-indizio, testimoniato nel Sacramentarium Gregorianum, è che la velazione e
la benedizione della sposa presentano una «somiglianza impressionante» con quelle delle vergini.
Secondo Schillebeeckx, la scoperta del matrimonio come sacramento è avvenuta nella Chiesa
alla luce della verginità per il Regno dei Celi. Ambedue cerimonie - matrimonio e consacrazione delle
vergine - rendono la donna partecipe al mistero della unione sponsale Cristo-Chiesa. La differenza
sarebbe che la consacrazione delle vergini è una esperienza diretta di questo mistero, mentre il
matrimonio cristiano è una partecipazione indiretta attraverso un segno. Questo segno era lo stesso
matrimonio considerato nella sua realtà «mondana».
Di questa differenza non si renderebbe esplicitamente conto la Chiesa se non fino al secolo XI.
Ma in ogni caso, l'antica cerimonia liturgica fa intendere che la Chiesa considerava il matrimonio una
realtà sacra in relazione con il Regno dei Cieli, tale quale la consacrazione delle vergini.
2) Valore dell'ipotesi
Schillebeeckx si appoggia sul liturgista olandese J. P. de Jong, e aggiunge alcuni temi
teologici di san Paolo, come l'importante versetto di Ef 5,32 sul matrimonio come sacramento di
Cristo e della Chiesa, e il significato Paolino della velazione della donna (1Cor 11,3-7). Il rito
indicherebbe che la sposa, con la velazione, si sottomette al marito come la vergine a Cristo.
A. Nocent, R. D'Izarny sono reticenti (se non contrari) alla proposta di Schillebeeckx dicendo
che il rito delle vergini deriva da quello del matrimonio.
La questione in realtà è complessa. Le due liturgie romane, quella della consacrazione delle
vergini e quella del matrimonio, sono ambedue testimoniate nel medesimo sec. IV; e non si può
asserire che l'una derivi dall'altra: l'una e l'altra coesistono insieme. Certo è che ambedue si sono
ugualmente rifatte al celebre flammeum, il velo arancione usato anticamente nelle nozze romane.
2. Incertezze ed esigenze affrontate
a. Incertezze ereditate (ss. VI-IX)
Di fronte alle variazioni e alle imprecisioni della legge civile, la Chiesa sviluppa la sua propria legislazione sul
matrimonio, a riprova che lo considera una istituzione propria e non meramente naturale o civile. Si osserva una
dialettica tra la legge ecclesiastica e la legge civile secondo i tempi e i luoghi, ma una uniformità di fondo sulla
concezione del matrimonio.
1) Sullo stato di libertà e uguaglianza civile degli sposi, necessario affinché ci sia matrimonio.
La prassi del «concubinato» era ancora frequente ai tempi di S. Agostino (lui stesso ebbe una
concubina prima della conversione) e di S. Cesario d’Arles. Nel 398 il I Concilio di Toledo si limitò a
proibire che si avesse contemporaneamente una moglie legittima e una concubina, ma sembra di
ammettere la scelta tra le forme civili di concubinato e matrimonio legittimo.
Può pensarsi che questa permissione si riferiva al concubinato vissuto come matrimonio, con intenzione di
rimanere con la stessa donna tutta la vita, e non in modo provvisorio. Se ammettiamo invece che si riferiva al
concubinato provvisorio, alla luce della tradizione posteriore, possiamo pensare che non intendeva legittimarlo,
37 Cfr. Il matrimonio, realtà terrena e mistero di salvezza, Roma 1968, pp. 348-361.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 50
ma soltanto escluderlo, per ragioni pastorali, dai peccati per i quali si doveva fare penitenza pubblica. Tra i
pagani, infatti, l'unione di un uomo libero con una schiava o una donna di classe inferiore era abitualmente una
situazione transitoria, in attesa di fare soldi o carriera e potere sposare una donna ricca o nobile. Due secoli dopo,
S. Cesareo, vescovo d'Arles (s. VI) proprio con riguardo a quest’unione provvisoria, affermava che «da quando
c'è il cristianesimo non è stato permesso agli uomini, né mai lo sarà, di tenere concubine» e considerava il
concubinato «peggiore dal peccato di fornicazione», ma spiega che «i concubinari non sono stati castigati dai
presbiteri per il fatto che sono troppo numerosi» (Sermo 43; cfr. C. Vogel, Il peccatore e la penitenza nella
Chiesa antica, p. 128). Si ricordi che all’epoca, il vescovo o il presbitero soleva richiamare i peccatori pubblici a
penitenza. Questa mancanza di richiamo alla penitenza pubblica non implica che i concubinari avessero il diritto
di ricevere l’Eucaristia.
2) Sulle diverse forme legali richieste per la legittimità del matrimonio
Per la legittimità del matrimonio erano richieste, oltre alla libertà e all'uguaglianza degli sposi,
altre condizioni o «forme»: Roma praticava l'uso della «dote», pagata dalla moglie o da suo padre. Ma
secondo la tradizione germanica, la dote era richiesta al marito. In molte parti era necessario il
consenso di coloro che avevano autorità sulla donna, e la presenza dei paraninfi. Diverse chiese
richiedevano la benedizione del sacerdote.
Alcune di queste forme avevano molta importanza legale per determinare la legittimità di un matrimonio, ma
non davano ragione della sua sacralità, erano semplici requisiti di legalità; altre invece, come la benedizione, ne
indicavano la presa di coscienza.
3) Sulla tappa decisiva nella celebrazione del matrimonio
Si discuteva sul valore della desponsatio (cioè degli sponsali), che era diverso secondo il
diritto romano, le tradizioni germaniche e franche, la tradizione semitica tramandata con la rivelazione
nella teologia dei Padri.
Si discuteva sull'elemento costitutivo: se era il consenso mutuo, conforme alla prassi giuridica
romana, oppure la consumazione (il primo incontro sessuale) secondo la tradizione germanica.
A questo si aggiungevano, tra i germani, la pratica, poco chiara, del cosiddetto «matrimonio morganatico», in cui
il marito aveva il diritto di rimandare la sposa se durante la consumazione scopriva che non era vergine.
b. Ambiguità pastorali-canoniche (ss. X-XI)
1) Gli interdetti matrimoniali di parentela
Gli interdetti matrimoniali di parentela creavano disagi a causa del loro numero e della loro
formulazione. Dal VI al X secolo essi si erano moltiplicati eccessivamente: partendo dal 4º grado di
parentela, si era giunti a proibire le unioni fino al 7º grado. Il Laterano IV nel sec. XIII, tornò al 4º
grado, con cui i casi di nullità si moltiplicavano.
Questi interdetti erano espressi in termini d’etica più che di diritto canonico, in altre parole
non a pena d’invalidità e di nullità, ma di peccato, penitenza e riconciliazione. Ma, di fatto, se il
matrimonio veniva “rotto” (in pratica, dichiarato nullo) per ubbidire ad un interdetto o una
disposizione ecclesiastica, i separati potevano risposarsi, qualora non vi fosse colpa da parte loro.
In genere, il matrimonio indissolubile era praticamente quello socialmente valido che non
trasgrediva nessuno degli interdetti ecclesiastici.
Il fatto del moltiplicarsi degli interdetti di parentela, unito all’usanza tra i nobili di sposarsi tra loro, o
all’endogamia nei piccoli nuclei rurali, provocava frequenti casi d’invalidità a causa di un legame di parentela
trovato dopo il matrimonio.
2) Difficoltà nel legiferare sulla indissolubilità
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 51
I casi di divorzio conseguenti alla debolezza umana e alla prassi divorzista romana -
largamente accettata dai barbari - furono causa di parecchie difficoltà: il Concilio di Orleans (533),
colpiva con la scomunica gli sposi che, dopo essersi separati, passavano a nuove nozze. Ma altri sinodi
locali, come il Concilio di Agde (506) e il Sinodo di Verberie (753-756) manifestavano una tendenza
permissiva verso il marito che ripudiava la moglie a causa di grave mancanze. La casistica si prendeva
da quanto previsto dalla legislazione civile, in concreto dal Codice di Giustiniano (542).
Non si possono presentare questi casi isolati come testimoni di una presunta tradizione divorzista. La Chiesa, nel
suo insieme, rimase ferma nella proibizione delle nuove nozze dopo la separazione in caso di matrimonio
legittimo. La Chiesa Orientale, dopo la separazione da Roma, cedette al potere temporale e ammise casi di
divorzio propriamente detto con nuove nozze.
La terminologia, d'altronde, non era chiara. «Separazione» poteva avere vari significati: pena
penitenziale temporanea, annullamento, separazione senza divorzio... mancava la distinzione odierna
tra un interdetto di tipo etico-morale (seguito da penitenza e da riconciliazione) e un impedimento che
rende il matrimonio nullo o invalido. Quindi, a volte rimane dubbio ciò che si voleva indicare nei
documenti ecclesiali.
c. Competenza esclusiva della Chiesa sul matrimonio
Durante l'alto medioevo avvenne un tira molla tra i poteri civili e la Chiesa riguardo
all'autorità sul matrimonio. Questo ovviamente, polarizzò le posizioni teologiche: chi si poneva da
parte della Chiesa tendeva ad affermare il carattere sacro del matrimonio, chi stava con il potere civile,
tendeva a sminuirlo. Secondo Le Bras, l'accettazione universale della competenza esclusiva della
Chiesa ebbe inizio nel secolo X e sviluppò nel XI38.
È di grande importanza il Concilio Laterano II (1139), che invalida i matrimoni di sacerdoti,
religiosi e religiose. Seguendo questa linea il Concilio Laterano IV (1215) dichiara illeciti (ma ancora
validi) i matrimoni clandestini; finalmente, nel Concilio Tridentino, sia con il decreto «Tametsi» si
dichiarano invalidi i matrimoni clandestini, sia con il can. 4, che afferma il diritto della Chiesa a
stabilire degli impedimenti.
3. Affermazione della sacramentalità
L'affermarsi del diritto della Chiesa sul matrimonio avvivò l'interesse per la sua natura
sacramentale, ma più determinanti furono le provocazioni ereticali, che si presentarono come un
riflusso del vecchio manicheismo. A queste risposero lo sviluppo della teologia sacramentaria e gli
interventi del magistero39.
a. Provocazioni ereticali
1) La setta del catari.
I catari furono eredi dello gnosticismo antico, con il suo solito dualismo; per questo furono
considerati manichei, anche se non coincidessero esattamente in dottrina con loro. Nata nel sec. X,
probabilmente sviluppatasi a partire dei bogomili, una setta affiancata nei Balcani, si stese in
occidente, soprattutto nel sud de Francia (donde il nome albigesi, della città di Albi). Il dualismo gli
portava all'identificazione della materia con il male, e quindi alla condanna del matrimonio come il
maggior delitto, perché la procreazione imprigionava le anime preesistenti nella materia.
Il Sinodo di Arras (1025) ribatté allora che la condizione matrimoniale è voluta da Dio in vista
della procreazione: gli sposati non saranno dunque privati del premio comune dei fedeli. Il matrimonio
si presenta tuttavia come una «istituzione» della città secolare, benché confermata dal Vangelo e dalla
Tradizione.
38 Il secolo XI fu, infatti, quello della riforma gregoriana (di Papa Gregorio VII, 1073-1085), che portò all’affermazione del
potere del Papa su quello dell’Imperatore, fino al sec. XIV. 39 Cfr. A. CARPIN, Il sacramento del matrimonio nella Chiesa medievale.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 52
Un secolo dopo, il Sinodo di Chartres (1124) ascoltò un'omelia del vescovo Ildeberto di
Lavardin, che parlò esclusivamente del «matrimonio-sacramento», elencandolo in primo luogo, con
precedenza al battesimo e all'eucaristia, giacché nell'AT fu prefigurato per primo nel matrimonio dei
progenitori (il battesimo ebbe la sua prefigurazione nel diluvio; l'Eucaristia nel sacrificio di
Melchisedek).
È interessante questa messa in rilievo del rapporto «profetico» del matrimonio delle origini con riguardo al
matrimonio cristiano, visto che lo sviluppo delle conseguenze teologiche di questo rapporto è continuato fino ai
nostri giorni.
Per cui concludiamo che nel corso del secolo XI la teologia del matrimonio si era arricchita della
nozione di sacramentalità.
(2) La riforma protestante.
P. Ligier tratta qui quest’argomento, ma è cronologicamente più logico spostarlo all'inizio della problematica
riguardante il Concilio di Trento, e allora sarà sviluppato.
b. Problematica teologica della sacramentalità: gl'iniziatori
1) La problematica comincia nel secolo XI.
Pietro Abelardo, seguendo la definizione agostiniana del sacramentum (signum rei sacrae)
dice che il matrimonio è segno di una realtà sacra: l'unione tra Cristo e Chiesa, ma nega che dia
grazia; è solo un rimedio contro la concupiscenza e rimane privo di merito per l'eternità. Ma almeno
suscita la questione sul matrimonio come segno ed efficacia di grazia.
L'abate Lanfranco prende l'altra definizione agostiniana de sacramentum, quale sinonimo di
juramentum, ed afferma che c'è sacramento, quando c'è un giuramento (il patto o consenso) e quando
c'è una benedizione. Così vengono evidenziati i tre elementi sui quali verserà la discussione in torno
alla sacramentalità del matrimonio: la grazia, il patto o consenso, la benedizione. A questi si aggiunse
la consumazione, con le proposte della scuola di Bologna..
Si discuteva sulla causa sacramentii, e se fosse la stessa che la causa matrimonii. Poi del concetto di causa
matrimonii si passa al concetto di matrimonio in fieri, nato proprio in ambiente canonico a quell’epoca.
Che la sacramentalità del matrimonio venisse dalla benedizione pareva discutibile. La consacrazione delle
vergini era accompagnata da una solenne benedizione e non si considerava sacramento. Che la sacramentalità
venisse dal giuramento si collegava bene col valore definitivo dell'impegno nuziale e con l’inviolabilità conferita
da Cristo al vincolo coniugale. Essa concordava con il concetto agostiniano dell'indissolubilità e il rispettivo
concetto di sacramentum nell'elenco dei tre beni del matrimonio. Questa posizione sarà quella della scuola di
Parigi, che farà consistere la causa del sacramento nel solo consenso (contrariamente alla scuola di Bologna, che
richiedeva in più la stabilità ottenuta con la consumazione).
2) Gl'iniziatori
I primi che scrissero un trattato completo sul matrimonio come sacramento, facendo scuola,
furono Ugo di San Vittore (1096?-1141) e Pietro Lombardo (inizio del sec. XII-1160). Ambedue
appartengono alla scuola di Parigi.
Ugo di San Vittore scrive il primo trattato sistematico sul matrimonio, che fa parte del De
sacramentis cristianae fidei, (intendendo con sacramenti, tutti i misteri della fede cristiana, da Dio e la
sua creazione fino alla consumazione dell'universo, passando poi all'Incarnazione e alla Chiesa, fino ai
sacramenti della Chiesa.
Pietro Lombardo nel suo trattato colloca il matrimonio al suo posto normale, tra i sette
sacramenti: esso appartiene infatti al IV Libro delle sue Sentenze, che risale probabilmente agli anni
1157-1158. Il trattato di Ugo di San Vittore entra tra le fonti del Lombardo.
Questi autori, tuttavia, mostrano una concezione incompleta del matrimonio, frutto del platonismo più o
meno presente nei Santi Padri, a cui si ispirano. Così Ugo di S. Vittore afferma che la finalità principale del
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 53
matrimonio è l'amore mutuo spirituale, al quale viene dato il consenso coniugale. Ma a questo fine è stato
sovrapposto quello della procreazione, e aggiunto quello del rimedio alla concupiscenza: per realizzare questi
fini, c'è bisogno di un secondo consenso, dal quale consiglia di astenersi. S. Bonaventura, invece, parlerà di una
doppia unione, delle anime e dei corpi e affermerà che la procreazione è la causa prima e principale del
matrimonio, ma non l'unica. Pietro Lombardo invece, afferma che il matrimonio è stato costituito per la
procreazione e per il rimedio della concupiscenza, e aggiunge che oggi questo ultimo sarebbe l'unico fine che
conta, visto che la terra è abbastanza popolata. Aggiunge anche che la donna è aiuto dell'uomo per la
procreazione e per le necessità materiali e della vecchiaia.
La dottrina di S. Tommaso d'Aquino sul matrimonio all’inizio segue da vicino quella del
Lombardo40. Ma nel Contra Gentes sviluppa una concezione del matrimonio fondata sull'esigenze
dell'amore interpersonale41, e nel libro IV, c. 78 della stessa opera,fa il punto sul significato e la
efficacia della sacramentalità del matrimonio quando afferma:
E come negli altri sacramenti, mediante le cose che esternamente si attuano, viene figurata
qualcosa di spirituale, così in questo sacramento per l'unione dell'uomo e la donna l'unione di
Cristo e la Chiesa viene figurata (e qui cita a riprova Ef 5,32). E siccome i sacramenti
realizzano ciò che figurano (efficiunt quod figurant), è da credersi che ai nubendi, per questo
sacramento venga conferita una grazia per cui appartengano all'unione di Cristo e la Chiesa.
Si vede qui l'idea della grazia sacramentale come appartenenza (o partecipazione) al mistero
rappresentato. Ma è da osservare che neanche in S. Tommaso si vede chiaro se questa grazia sia
positivamente santificante o piuttosto un rimedio «affinché gestiscano le cose carnali e terrene in
modo tale che non si separino da Cristo e dalla Chiesa».
Nel Supplementum q 42 a3 c, la grazia del sacramento del matrimonio si considera genéricamente quella
necessaria «ad illa operandum quae in matrimonio requiruuntur» (per attuare quello que el matrimonio
richiede). Nel Suppl q 42 a 1 ad 4 se considera che la unione tra Cristo e la Chiesa, è significata dal sacramento,
ma non contenuta. No si accenna al concetto di partecipazione. Questo si deve al fatto che il Suppl. è stato
ricostruito a partire dal Commento alle Sentenze (In IV Sent. dd. 26-36), che riflette una fase meno sviluppata
del pensiero di S. Tommaso.
c. I primi interventi magisteriali
1) Nel contesto dei catari
Oltre alle reazioni dei sinodi locali suddetti, ci furono altre a più alto livello magisteriale.
Nel 1132 sotto papa Alessandro III il Concilio Laterano II condanna come eretici coloro che
condannano «i patti di legittime nozze», l'Eucaristia, il battesimo dei bambini, il sacerdozio e gli
Ordini sacri. Viene quindi elencato tra altri sacramenti.
Nel 1184, il Concilio di Verona, sotto papa Lucio III, incluse anche il matrimonio tra i
sacramenti della Chiesa romana, non riconosciuti dagli eretici, accanto all'Eucaristia, al battesimo, alla
penitenza e al «resto dei sacramenti cristiani».
Il matrimonio è elencato di nuovo tra i sacramenti nella professione di fede richiesta da papa
Innocenzo III ai Valdesi nel 1208. Vi si afferma che gli sposi possono salvarsi e che non sono da
vietare seconde o successive nozze.
La setta valdese, che era cominciata come movimento pauperistico, era degenerata verso un purismo estremo, di
sapore manicheo. Ai tempi della riforma protestante accettarono i princìpi del calvinismo.
Il Concilio Laterano IV (1215), sotto lo stesso papa, riafferma che gli sposati possono essere
graditi a Dio ed essere salvi.
2) Nel decreto agli armeni del concilio fiorentino (1439)
40 Cfr. Super Sent. IV, dd. 26-42; Summa Theol. suppl., qq. 41-68. 41 Cfr. Contra Gentes, III, 123-126.137.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 54
Nel Decreto agli Armeni (la cui dottrina si rifà soprattutto a S. Tommaso) si sostiene la
sacramentalità del matrimonio in riferimento a Ef 5,32; si fa del consenso degli sposi la causa
efficiente del sacramento e si riprende la dottrina di Agostino sul triplice bene del matrimonio: prole,
fede, indissolubilità (si noti che qui il termine indivisibilitas appare al posto del termine agostiniano
sacramentum, per non creare confusione con il concetto di sacramento come segno efficace di grazia
ormai stabilito dalla scolastica).
Si noti cha qui ancora si parla di “causa del sacramento” in riferimento al “matrimonio in actu esse”, del quale si
afferma la sacramentalità. Più tardi la “causa matrimonii” sarà considerata “matrimonio in fieri”, e quindi
anch’esso un momento (iniziale) del sacramento. Fin qui, le definizioni si riferiscono al matrimonio “in actu
esse”, il consenso n’è soltanto la causa.
d. Magistero di Trento e di oggi
1) La riforma protestante
La posizione della Riforma protestante non procede da una metafisica «dualistica», ma da una
sacramentaria ridimensionata secondo i principi di Lutero, e da una teologia errata del peccato
originale e delle sue conseguenze, che però assomiglia molto al dualismo, allorché ammette che dopo
il peccato originale niente di buono si può trovare nell'uomo; la sua natura è totalmente corrotta, e
l'uomo non può far altro che seguire le inclinazioni di questa natura.
Osserviamo quindi un’opposizione radicale natura e grazia, la natura non può altro che essere causa di male.
- Secondo Lutero, poiché il matrimonio si basa sulla natura, il suo uso è necessario a tutti. Da
Melantone è ritenuto onorabile, anzi santo.
- Il matrimonio rimane legato al peccato; non c'è differenza tra la fornicazione e l'uso normale
del matrimonio. L'uso della sessualità non avviene se non sotto l'influsso della concupiscenza,
identificata con il peccato originale, che non viene tolto, ma reso non imputabile dal battesimo Anche
il matrimonio rende non imputabili gli atti coniugali.
Agostinismo estremo: il marchio della concupiscenza rimane anche nei rapporti coniugali legittimi. Sarebbe una
fornicazione legalizzata. Non si considerano gli atti coniugali un’espressione d’amore, in cui tutti gli elementi
(sentimento, passione, piacere), servono di per sé a sottolineare l’amore nella coscienza degli sposi.
- Il matrimonio non è sacramento, poiché nella Scrittura non si trova esplicitamente per il
matrimonio né una promessa né un segno di grazia propri. Secondo Calvino, Ef 5,32 ne rivela soltanto
il carattere di mistero, inteso nel senso comune della parola. Bisogna, infatti, leggere la Sacra Scrittura
nel suo insieme per rendersi conto della “grande analogia” tra matrimonio e Alleanza che la percorre,
sulla quale si fondamenta la sacramentalità del matrimonio tra cristiani.
- La castità va contro la natura e poiché l'uso della sessualità è ritenuto necessario gli sposi
possono permettersi relazioni extraconiugali, se lo richiede la loro sessualità. Secondo Lutero anche la
poligamia sarebbe ammissibile, essa può essere giustificata con la Scrittura. Questa opinione non era
condivisa da Calvino, e anche in ambito luterano con il tempo fu tralasciata.
2) Trento trattò sul matrimonio nella sess. XXIV (1563)
Già nella sessione VII (1547), sui sacramenti in generale, il matrimonio viene incluso nel
settenario sacramentale, di cui si afferma solennemente l'istituzione da parte di Cristo e il
conferimento della grazia42.
L'essenziale della dottrina della sessione XXIV risulta dal confronto tra il Prefazio dottrinale e
i canoni che seguono43:
42 Cfr. cn. 1 (DS 1601); cn. 6 (DS 1606).
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 55
- Il Prefazio (DS 1797-1800) parte dall’affermazione del matrimonio come istituzione naturale,
dotata delle caratteristiche di unità ed indissolubilità, poi afferma che Cristo, «istitutore e
perfezionatore» dei sacramenti, con la sua passione ci ha meritato la grazia per «perfezionare l'amore
naturale, confermarne l'indissolubile unità e santificare gli sposi», grazia «accennata» da S. Paolo
(Apostolus innuit) in Ef 5,32. E dalla grazia si passa ad affermare la sacramentalità.
Si noti che dice “perfeziona l’amore naturale”, e non “eleva”. La santificazione non viene ancora esplicitamente
collegata all’elevazione dell’amore, il che causerà un ritardo nello sviluppo della spiritualità matrimoniale. Alla
Passione di Cristo viene attribuita l’origine della grazia, ma non l’elevazione del matrimonio a sacramento.
Comunque, l’effetto di grazia, presentato come perfezione dell’amore, è un passo avanti con riguardo alle
affermazioni tomiste, sia nel CG sia nel Suppl. .Manca però il concetto di partecipazione al mistero dell’unità
Cristo-Chiesa.
Riguardo alla sacramentalità, parla del matrimonio in generale, senza chiarire se in fieri o in actu.
- Il canone 1 (DS 1801) riprende queste due tematiche, ma in senso inverso. Prima afferma la
sacramentalità e poi conclude con la grazia. Dichiara anatema chi non accetta che il matrimonio è uno
dei sette sacramenti.
Gli altri canoni affermano solennemente altre verità sul matrimonio: l'unità, il diritto della
Chiesa a porre degli impedimenti o a dispensarne alcuni, l'indissolubilità, la superiorità dello stato di
verginità consacrata, la competenza della Chiesa nelle cause matrimoniali...
Per quanto riguarda l'istituzione, si dice solo che è istituito da Cristo, ma non si riscontra il
concetto di «elevazione a sacramento». Nonostante ciò, nel Prefazio si afferma che «il matrimonio,
nella legge evangelica è superiore, per la grazia di Cristo agli antichi matrimoni» (DS 1800).
2) L'enciclica Arcanum Divinæ Sapientiæ di Leone XIII (1880)
L'enciclica Arcanum Divinae Sapientiae introduce a livello magisteriale il termine «elevazione
a sacramento»: «secondo la tradizione universale» «Cristo Signore ha innalzato il matrimonio alla
dignità di sacramento» (DS 3142).
Si noti che qui si da riferimento ormai al matrimonio “in fieri”, al “contratto”. - s’intende, tra battezzati-.
Contro le tesi regaliste sulla separazione tra contratto e sacramento afferma che «nel
matrimonio cristiano il contratto non è dissociabile dal sacramento; perciò non può sussistere un vero
e legittimo contratto che non sia al tempo stesso sacramento. Infatti, Cristo Signore elevò il
matrimonio alla dignità di sacramento; ora, il matrimonio è lo stesso contratto, quando sia fatto
secondo il diritto» (DS 3145)44.
Queste idee erano state già manifestate da Pio IX in alcune lettere ufficiali ma non encicliche. In una lettera al re
Vittorio Emanuele, del 1852, affermava essere dogma di fede l'elevazione del matrimonio a sacramento da parte
di Cristo, e dottrina cattolica l'inseparabilità tra contratto e sacramento per i battezzati. Le stesse idee espose in
un'allocuzione al Concistoro dello stesso anno. Leone XIII, però, non parla di “dogma di fede”, ma di verità
sostenuta dalla “tradizione universale”: intende affermare la definitività della dottrina senza farne però una
dichiarazione dogmatica solenne.
43 Cfr. DS 1797-1812. A cui si aggiunge il decreto Tametsi (DS 1813-1816). 44 L'inseparabilità tra contratto e sacramento, come vedremo, è stata messa in discussione in tempi recenti, soprattutto dal
moltiplicarsi dei casi di battezzati non credenti che contraggono matrimonio religioso. Così, il Card. Ratzinger, nella
prefazione al volume Sulla pastorale dei divorziati risposati, edito dalla Sacra Congregazione per la dottrina della Fede
(1999), afferma: «Più ampie ricerche devono essere fatte per vedere se i cristiani non credenti, vale a dire, le persone
battezzate che non credono più o non hanno mai creduto in Dio, possano veramente contrarre il sacramento del matrimonio.
In altri termini, bisogna chiarire se, veramente ogni matrimonio tra due battezzati è ipso facto un matrimonio sacramentale.
(…) La fede appartiene all’essenza del sacramento. Rimane da chiarire se, giuridicamente, l'evidenza della “non-fede” ha
come conseguenza che un sacramento non si realizzi». Posteriormente, già Papa, aggiungerà: «Se realmente si possa trovare
qui un momento di invalidità perché al sacramento mancava una dimensione fondamentale non oso dire. Io personalmente lo
pensavo, ma dalle discussioni che abbiamo avuto ho capito che il problema è molto difficile e deve essere ancora
approfondito. Ma data la situazione di sofferenza di queste persone [i divorziati risposati, ndr.], è da approfondire»
(Benedetto XVI, Incontro con il clero della Diocesi d’Aosta a Introd, 25 luglio 2005) .
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 56
Questo insegnamento è stato ripreso poi dal CIC 1917, cn. 1012 §1; e dal CIC 1983, cn. 1055
§2; la formulazione attuale dice: «Tra i battezzati non può sussistere un contratto matrimoniale valido,
che non sia per ciò stesso sacramento».
Leone XIII Riprende e sviluppa l'insegnamento di Trento, nel senso della spiritualità
coniugale, affermando che rivestiti e fortificati dalla celeste grazia che i meriti di Cristo apportano, i
coniugi ottengono nello stesso matrimonio la santità. Afferma pure che nel matrimonio, conformato
all'esempio del suo connubio con la Chiesa, Cristo ha perfezionato l'amore naturale, e stretta più
fortemente col vincolo della carità divina, l'unione, indivisibile per sua stessa natura, tra i coniugi (cfr.
DS 3142).
Quindi, il modo in cui la grazia perfeziona (Trento), l’amore naturale, è quello dell’elevazione a livello di carità.
Gli elementi umani e sensibili sono integrati ed elevati nella carità, non la viziano, ma la esprimono. E se il
vincolo tra gli sposi è la carità, si apre la strada per l’affermazione della partecipazione reale all’amore tra Cristo
e la Chiesa. Ma ancora permaneva, a quell’epoca, una teologia sacramentaria fondata sulla partecipazione ai
meriti di Cristo, e non sulla partecipazione alle sue azioni, perciò queste conclusioni non furono esplicitate.
Afferma inoltre, la finalità soprannaturale del matrimonio cristiano, che non è soltanto quella
di propagare il genere umano, ma di generare figli alla Chiesa «concittadini dei santi e domestici di
Dio» (Ef 2,19) (cfr. DS 3143).
3) Nel presente secolo
Si sono moltiplicati gli interventi magisteriali sul matrimonio. I più importanti sono stati
segnalati nella bibliografia45. Dal punto di vista della sacramentalità non hanno fatto che riaffermarla. I
concetti basici attuali sono stati esposti nel tema sui “chiarimenti terminologici” e i diversi argomenti
saranno trattati nel resto del corso.
e. Altre chiese
- Le chiese o confessioni che provengono dalla riforma protestante non ammettono la
sacramentalità del matrimonio.
- La Chiese orientali, da noi separate, lo riconoscono come sacramento, tra qualche eccezione
come i Nestoriani.
4. Corollario: l'istituzione del matrimonio
1) Prima di tutto, procede da Dio creatore, che sin dall'inizio proiettava già l'umanità verso la sua
unità e il suo pieno essere in Cristo. Il Matrimonio delle origini era “ad immagine di Dio” nel suo
amore per l’umanità e nel suo amore intratrinitario. In tal senso, la sacramentalità del matrimonio nelle
origini si fondamenta sulla originaria effusione di grazia connessa alla creazione (grazia che andò
persa per causa del peccato originale).
2) Il cosiddetto «matrimonio naturale» possiede una sacralità che non è puramente «naturale»: essa è
già orientata, polarizzata e pertanto qualificata, come «sacramentalità in potenza».
3) Per i cristiani, il matrimonio è propriamente «sacramento», cioè «santo», perché contratto «nel
Signore» e nella Chiesa46. E la sua costituzione o ricostituzione come segno sacro ed efficace di grazia
- vale a dire, la sua istituzione - procede da un atto di Cristo, non puntuale, ma a modo di processo
progressivo. Questo atto incominciò con la sua Incarnazione, si rivelò con la sua presenza alle nozze di
Cana e nel suo insegnamento, e culminò col mistero pasquale, vale a dire con la Passione e
Risurrezione del Salvatore. Tale atto ci rimanda da una parte all’origine creaturale del matrimonio, ma
45 Di particolare importanza: PIO XI, enc. Casti connubii (1930); Concilio Vaticano II: cons. Sacrosantum Concilium, 76-78
(1963); cons. dog. Lumen gentium, 11 (1964); cons. pas. Gauidum et spes, 48-51 (1965); PAOLO VI, enc. Humanae vitae
(1968); GIOVANNI PAOLO II, es. ap. Familiaris consortio (1981); Lettera alle famiglie (1994). Catechismo della Chiesa
Cattolica (1992 / 1997). 46 Nella «Città santa», come direbbe St. Agostino.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 57
lo proietta soprattutto verso il futuro, in altre parole, verso il compimento del Regno di Dio, le nozze
pasquali del Signore con la sua Sposa, nonché verso il suo ritorno escatologico.
La sacramentaria attuale propone di collegare l’effetto di grazia non a una ricezione soltanto passiva dei meriti di
Cristo, ma a una partecipazione reale, per mezzo del segno rituale, al Mistero Pasquale, sotto l’aspetto
dell’unione Cristo – Chiesa, che in esso si realizza. E questo concetto è applicabile alle due fasi del matrimonio,
in fieri e in actu: il rito produce un vincolo permanente che è anch’esso di natura sacramentale, e fonte de grazia
per la vita matrimoniale di tutti i giorni
La Chiesa per questo nel Concilio di Trento definì il fatto dell'istituzione del matrimonio da
parte di Cristo e con Leone XIII lo spiega come «elevazione a sacramento» della realtà naturale-
creaturale che è il matrimonio. Finalmente, con Giovanni Paolo II si è fatta strada l'idea che il
matrimonio degli origini era anch'esso un «sacramento primordiale»47, donde l'espressione
«elevazione del sacramento» è da intendersi come:
- Una restaurazione della dignità che il matrimonio aveva nelle origini (quella di essere
espressione e partecipazione dell'amore di Dio per l'umanità).
- Una promozione del matrimonio nel Regno dei Cieli, e quindi, un aumento di dignità, allorché
il matrimonio viene incluso tra i mezzi di grazia appartenenti all'economia della redenzione,
procedente dalla pienezza di grazia portata da Cristo, che è superiore all'originaria effusione della
grazia.
Si deve notare, però, che il Catechismo della Chiesa Cattolica, quando cita i racconti della Genesi sul
matrimonio, si limita a parlare del matrimonio nell'ordine della creazione, senza far riferimento al suo rapporto
con l'originaria effusione di grazia (nn. 1603-1605).
47 Cfr. Uomo e Donna lo creò, p. 377.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 59
Appendice 1: Problema dell’inculturazione in ambiente platonico
Cfr. ADNÈS, P., El matrimonio, Herder, Barcelona 1979, pp. 65-81.
Nel Timeo di Platone, l'anima («nux» o intelletto) è una sostanza spirituale completa, e in
certo senso divina, capace di contemplare le idee eterne. Preesiste al corpo, è fatta per esistere
indipendentemente dal corpo, e si trova in unione accidentale con esso. Per causa di certe colpe (non
meglio precisate), le anime cadono a terra. Per primo animano corpi maschili, se continuano a peccare
si rincarnarono in corpi femminili, e se ancora peccano, in corpi animali. Sono idee che procedono
dall'orfismo e dal pitagorismo, e trovano riscontro anche nelle filosofie orientali. L'anima è asessuata,
originariamente avvolta da un «corpo spirituale» (come le stelle e gli dei), anch'esso senza sesso, ma
nel cadere in terra si materializza e resta sessuato. Il corpo materiale resta sempre periferico alla
definizione della persona.
Origene (s. III), nel De principiis, spiega a questa luce i racconti della Genesi. Il primo
capitolo narrerebbe la creazione di un mondo di esseri razionali, uguali, perfetti, dotati di corpo
«spirituale». Questi sarebbero immagine di Dio. Non avrebbero sesso; la distinzione «uomo e donna»
va interpretata allegoricamente: l'uomo significa la parte superiore dell'essere intellettuale (il «nux») e
la donna, la parte sensitiva. Il capitolo II racconterebbe la creazione del corpo, in cui lo spirito sarebbe
racchiuso dopo la caduta. Non sa spiegare tuttavia il fatto che la caduta si narri nel capitolo III.
S. Gregorio da Nissa (s. IV), nel De hominis opificio, afferma invece che il primo capitolo
della Genesi, più che un racconto di creazione, sarebbe una descrizione dell'umanità ideale, tale quale
esiste nel pensiero divino, e cioè, senza sesso, destinata a propagarsi in «modo angelico» (non meglio
precisato). La resurrezione sarebbe un ritorno a questo stato originale. Nel secondo capitolo si
narrerebbe la creazione in concreto dell'uomo. Dio, in previsione del peccato, plasma l'uomo in uno
stato che è, per anticipazione, conseguenza del peccato. L'umanità, divina in essenza, si svilupperà
come specie animale. Il sesso è un’umiliazione meritata dal peccato. Nello stato di giustizia originaria,
ci sarebbe stata la divisione sessuale, ma non implicava l'attrattiva sessuale, perché vivevano in pura
contemplazione di Dio. La vita sessuale e il matrimonio, sarebbero apparsi dopo la colpa, rappresentati
nel racconto dalle tuniche di pelli di animali. Il matrimonio in sé non è qualcosa di cattivo, ma una
miseria a conseguenza del peccato. Sarebbe la prima tunica di cui bisogna liberarsi per ritornare allo
stato voluto da Dio.
S. Giovanni Crisostomo (s. IV), grande dottore del matrimonio cristiano, nella sua
antropologia rimane ancora pessimista riguardo al sesso, ma più moderatamente. La differenziazione
sessuale non sarebbe effetto anticipato della colpa, ma questa trarrebbe come conseguenza la
moltiplicazione per unione sessuale. Prima della caduta, la donna sarebbe stata «aiuto» dell'uomo ma
per la vita spirituale. Senza il peccato, la generazione sarebbe stata assicurata da un altro mezzo. Il
matrimonio si presenta come qualcosa di buono per calmare la concupiscenza e come rimedio della
morte.
Comunque sia, si devono riconoscere i meriti del Crisostomo: È stato lui a coniare il concetto
di «chiesa domestica». Difendeva anche il matrimonio contro chi voleva screditarlo in favore della
verginità: «Chi denigra il matrimonio, sminuisce anche la gloria della verginità; chi lo loda, aumenta
l'ammirazione che è dovuta alla verginità (...) Infatti, ciò che sembra bello solo in rapporto a ciò che è
brutto non può essere molto bello; quello che invece è la migliore delle cose considerate buone, è la
cosa più bella in senso assoluto» (De virginitate, 10) (cfr. CCE, 1620). Famosa è la sua descrizione
dell'amore sponsale suggerita a un giovane sposo: «Ti ho presa tra le mie braccia, ti amo, ti preferisco
alla mia stessa vita. Infatti l'esistenza presente è un soffio, e il mio desiderio più vivo è di trascorrerla
con te in modo tale da avere la certezza che non saremo separati in quella futura... Metto l'amore per te
al di sopra di tutto e nulla sarebbe per me più penoso che il non essere sempre in sintonia con te»
(Homilia in ad Efesios, 20,8) (cfr. CCE, 2365).
St. Agostino (s. IV-V), prima del 401 segue a S. Giovanni Crisostomo, dopo cambia idea. In
De Genesis ad litteram (III, c. 2, nn. 3-11.19) ammette che la moltiplicazione della specie umana si
sarebbe avverata comunque per moltiplicazione sessuale prima del peccato originale, ma non sotto
l'influsso della concupiscenza carnale. Attualmente, la concupiscenza domina i rapporti sessuali, in
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 60
modo che l'atto sessuale sfugge al dominio della volontà, il che implica un disordine: una
disubbidienza del corpo verso l'anima, come punizione della disubbidienza dell'anima verso Dio. La
sessualità e l'atto sessuale sono in se stessi cose buone, ma nella condizione presente dell'uomo l'atto
sessuale sempre comporta un certo disordine passionale, giustificato, nel matrimonio, dal desiderio di
procreare, o quantomeno, dalla non opposizione alla procreazione.
St. Agostino sembra includere sotto la concupiscenza anche l'atto sessuale dentro il
matrimonio, come si vede nella sua teoria sulla trasmissione del peccato originale, avverata, secondo
lui, a causa della concupiscenza che necessariamente si scatena in ogni rapporto sessuale (De nuptiis et
concupiscentia, I, 24), ma tiene comunque a dire che l’atto sessuale non è peccato (De bono conigale,
25), e che la concupiscenza connessa all’atto coniugale non si imputa ai battezzati come peccato (De
nuptiis et concupiscentia, ibid.) .
Una lettura poco attenta di St. Agostino provocherebbe una tendenza nella teologia successiva
a vedere sempre un certo disordine, che si esita a chiamare «peccato» (alcuni parlano di peccato
«venialissimo»), associato all'atto sessuale nel matrimonio. Il magistero tuttavia difende la legittimità
dei rapporti coniugali; così il I Concilio di Toledo (398) dichiara «anatema» chi consideri esecrabili i
rapporti sessuali nel matrimonio (cfr. DS 206).
S. Tommaso D'Aquino, nella Summa Theologiae II-II, q153 a2 risolve le apparenti
contraddizioni nella dottrina agostiniana e altre difficoltà teoriche, liberando definitivamente l’atto
sessuale coniugale dal sospetto di essere irreparabilmente danneggiato dal peccato, ma ci vorrà ancora
un lungo sviluppo teologico e antropologico per arrivare a tematizzate in modo adeguato l’atto
sessuale come espressione propria ed esclusiva dell’amore coniugale. Il Concilio Vaticano II
dichiarando gli atti sessuali nel matrimonio espressione dell’amore coniugale (cfr. GS, 49), e
l’enciclica de Paolo VI Humanae Vitae con la proclamazione dell’inseparabilità tra i significati unitivo
e procreativo dell’atto sessuale, pongono le basi magisteriali per questa comprensione.
Ricordiamo che di fronte alla ricaduta del pensiero moderno nel dualismo, la cui origine si
trova nel pensiero cartesiano, Giovanni Paolo II tenne ad affermare che: «È proprio del razionalismo
contrapporre in modo radicale nell'uomo lo spirito al corpo e il corpo allo spirito. L'uomo invece è
persona nell'unità del corpo e dello spirito. Il corpo non può mai essere ridotto a pura materia: è un
corpo "spiritualizzato", così come lo spirito è tanto profondamente unito al corpo da potersi qualificare
uno spirito "corporeizzato". La fonte più ricca per la conoscenza del corpo è il Verbo fatto carne». «La
separazione nell'uomo tra spirito e corpo ha avuto come conseguenza l'affermarsi della tendenza a
trattare il corpo umano non secondo le categorie della sua specifica somiglianza con Dio, ma secondo
quelle della sua somiglianza con tutti gli altri corpi presenti in natura, corpi che l'uomo utilizza quale
materiale per la sua attività finalizzata alla produzione di beni di consumo» (LF, 19).
Nell’esortazione apostolica Familiaris consortio, Giovanni Paolo II aveva affermato che «In
quanto spirito incarnato, cioè anima che si esprime nel corpo e corpo informato da uno spirito
immortale, l'uomo è chiamato all'amore in questa sua totalità unificata. L'amore abbraccia anche il
corpo umano e il corpo è reso partecipe dell'amore spirituale».
Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: «Il corpo dell'uomo partecipa alla dignità di
“immagine di Dio”: è corpo umano proprio perché è animato dall' anima spirituale, ed è la persona
umana tutta intera ad essere destinata a diventare, nel Corpo di Cristo, il tempio dello Spirito» (n. 364).
La dottrina del corpo come partecipe alla qualità d’immagine di Dio è alla base della dottrina sulla
sacramentalità del matrimonio e sulla morale sessuale cristiana.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 61
Appendice 2: Impostazione della dottrina cattolica sul matrimonio nei
documenti recenti del Magistero
Presentiamo qui le idee-chiave sulla sessualità e sulla sacramentalità del matrimonio cristiano
nel contesto del magistero di Giovanni Paolo II48[1].
La sacramentalità del matrimonio poggia sulla capacità significativa del corpo umano
sessuato. Questo richiede una comprensione adeguata della sessualità umana, seguendo quanto
afferma il Concilio Vaticano II: «La sessualità propria dell'uomo e la facoltà umana di generare sono
meravigliosamente superiori a quanto avviene negli stadi inferiori della vita» (GS 51).
1. Il matrimonio, esigenza dell'unione sessuale umana
a) La sessualità, componente fondamentale della personalità
La sessualità è una componente fondamentale della personalità, un suo modo di essere, di
manifestarsi, di comunicare con gli altri, di sentire, di esprimere e di vivere l'amore umano.
(...) «Dal sesso, infatti, la persona umana deriva le caratteristiche che, sul piano biologico,
psicologico e spirituale, la fanno uomo o donna, condizionando così grandemente l'iter del suo
sviluppo verso la maturità e il suo inserimento nella società»49[2]
b) La genitalità, espressione dell'amore coniugale
La genitalità. orientata alla procreazione, è l'espressione massima, sul piano fisico, della
comunione d'amore dei coniugi. Avulsa da questo contesto di reciproco dono - realtà che il
cristiano vive sostenuto e arricchito dalla grazia di Dio - essa perde il suo significato, cede
all'egoismo del singolo ed è un disordine morale50[3].
c) Pienezza della sessualità: la donazione disinteressata di se stesso
La sessualità, orientata, elevata ed integrata dall'amore, acquista vera qualità umana. Nel
quadro dello sviluppo biologico e psichico, essa cresce armonicamente e si realizza in senso
pieno solo con la conquista della maturità affettiva, che si manifesta nell'amore disinteressato
e nella totale donazione di sé51[4].
d) Il corpo, rivelazione dell'uomo
Nella visione cristiana dell'uomo, si riconosce al corpo una particolare funzione. perché esso
contribuisce a rivelare il senso della vita e della vocazione umana. La corporeità è, infatti, il
modo specifico di esistere e di operare proprio dello spirito umano. Questo significato è
anzitutto di natura antropologica: «il corpo rivela l'uomo», «esprime la persona» ed è perciò il
primo messaggio di Dio all'uomo stesso52[5].
48[1] Opera fondamentale per capire questa visione della sessualità sono le Catechesi sull'amore umano nel piano divino di
GIOVANNI PAOLO II, raccolte nel libro Uomo e donna lo creò,(L. E. Vaticana, Roma - Città del Vaticano 19923), o nei
diversi volumi degli Insegnamenti di Giovanni Paolo II, (1979-1984), (L.E.V., Roma - Città del Vaticano). Le idee principali
di queste catechesi sono state riassunte nella es. ap. Familiaris consortio, nn. 11-16; nella lett. ap. Mulieris dignitatem, nn. 7-
11, e nel documento della SACRA CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti educativi
sull'amore umano, nn. 4-6, 21-33; e in diverse parti del Catechismo della Chiesa Cattolica (nn. 369-373, 1601-1666, 2201-
2206, 2331-2337, 2360-2400). 49[2] Cfr. S.C.E.C., Orientamenti... n. 4. Cita S.C.D.F., decl. Persona humana, n. 1. Il Catechismo, al n. 2332: «La sessualità
esercita un'influenza su tutti gli aspetti della persona umana, nell'unità del suo corpo e della sua anima. Essa concerne
particolarmente l'affettività, la capacità di amare e di procreare, e, in un modo più generale, l'attitudine ad intrecciare rapporti
di comunione con altri». 50[3] S.C.E.C., Orientamenti... n. 5. Si noti che il documento usa il termine «genitalità per fare riferimento all'aspetto fisico
della sessualità, dato che al termine «sessualità» è stato dato un significato più largo. Si noti d'altronde, che si tratta della
massima espressione di amore «sul piano fisico», giacché a livello spirituale si possono dare più grandi espressioni di amore,
p. es. col perdonare una offesa. 51[4] S.C.E.C., Orientamenti... n. 6. 52[5] S.C.E.C., Orientamenti... n. 22.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 62
f) II corpo, in quanto sessuato, esprime la vocazione dell'essere umano all'amore e alla
fecondità (significato sponsale del corpo)
II corpo, in quanto sessuato, esprime la vocazione dell'uomo alla reciprocità, cioè all'amore e
al mutuo dono di sé. Il corpo, infine, richiama l'uomo e la donna alla loro costitutiva
vocazione alla fecondità, come a uno dei significati fondamentali del loro essere sessuato53[6].
e) L'uomo, chiamato all'amore nella sua totalità unificata di corpo e spirito
Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza (cfr. Gen 1,26s): chiamandolo
all'esistenza per amore, l'ha chiamato nello stesso tempo all'amore. Dio è amore (1Gv 4,8) e
vive in se stesso un mistero di comunione personale d'amore. Creandola a sua immagine e
continuamente conservandola nell'essere, Dio iscrive nell'umanità dell'uomo e della donna la
vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell'amore e della comunione54[7]. L'amore è,
pertanto, la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano. In quanto spirito incarnato,
cioè anima che si esprime nel corpo e corpo informato da uno spirito immortale, l'uomo è
chiamato all'amore in questa sua totalità unificata. L'amore abbraccia anche il corpo umano e
il corpo è reso partecipe dell'amore spirituale55[8].
f) L'unione sessuale umana e la fecondità che ne deriva esigono la totalità della donazione
personale dell'uomo e la donna
Di conseguenza la sessualità56[9], mediante la quale l'uomo e la donna si donano l'uno all'altra
con gli atti propri ed esclusivi degli sposi, non è affatto qualcosa di puramente biologico, ma
riguarda l'intimo nucleo della persona umana come tale. Essa si realizza in modo veramente
umano, solo se è parte integrale dell'amore con cui l'uomo e la donna si impegnano totalmente
l'uno verso l'altra fino alla morte. La donazione fisica totale sarebbe menzogna se non fosse
segno e frutto della donazione personale totale, nella quale tutta la persona, anche nella sua
dimensione temporale, è presente: se la persona si riservasse qualcosa o la possibilità di
decidere altrimenti per il futuro, già per questo essa non si donerebbe totalmente.
Questa totalità, richiesta dall'amore coniugale, corrisponde anche alle esigenze di una
fecondità responsabile, la quale, volta come è a generare un essere umano, supera per sua
natura l'ordine puramente biologico, ed investe un insieme di valori personali, per la cui
armoniosa crescita è necessario il perdurante e concorde contributo di entrambi i genitori57[10].
g) Il matrimonio, unico «luogo» esistenziale per una donazione totale di amore tra l'uomo e la
donna
Il «luogo» unico, che rende possibile58[11] questa donazione secondo l'intera sua verità, è il
matrimonio, ossia il patto di amore coniugale o scelta cosciente e libera, con la quale l'uomo e
la donna accolgono l'intima comunità di vita e d'amore, voluta da Dio stesso, che solo in
questa luce manifesta il suo vero significato . L' istituzione matrimoniale non è una indebita
ingerenza della società o dell'autorità, ne l'imposizione estrinseca di una forma, ma esigenza
interiore del patto d'amore coniugale che pubblicamente si afferma come unico ed esclusivo
perché sia vissuta così la piena fedeltà al disegno di Dio Creatore59[12]. Questa fedeltà, lungi
53[6] S.C.E.C., Orientamenti... n. 24. 54[7] Cfr. GS 12. 55[8] GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio, n. 11. 56[9] In questo contesto «sessualità» equivale a «genitalità», cfr. par. b). 57[10] Si noti che questo ragionamento per mostrare la necessità del matrimonio come esigenza della sessualità umana prende
la mosse dalla Rivelazione, ma sarebbe anche possibile arrivare alle stesse conclusione partendo da una riflessione filosofica
sui fenomeni, tanto esterni come interni della sessualità umana. La Rivelazione in questo caso costituisce un richiamo e un
aiuto al cuore umano affinché riflettendo su di sé scopra le sue proprie esigenze. Classica a questo riguardo è la riflessione
filosofica di S. TOMMASO D'AQUINO, che parte sia dalle caratteristiche della procreazione umana (cfr. Summa theologiae,
suppl. qq. 41, 49), sia dalle esigenze dell'amore tra l'uomo e la donna (cfr. Cont. Gent. III, 123,124). 58[11] Si noti che si dice «rende possibile», perché dentro il matrimonio gli sposi dovranno realizzare l'unione sessuale con la
rettitudine morale necessaria perché sia vera espressione dell'amore coniugale. 59[12] Cfr. anche S.C.E.C., Orientamenti... n. 95: «I rapporti intimi devono svolgersi soltanto nel quadro del matrimonio
perché solo allora si verifica la connessione inscindibile, voluta da Dio, tra il significato unitivo e il significato procreativo di
tali rapporti, ordinati a mantenere, confermare ed esprimere una definitiva comunione di vita — «una sola carne» —
mediante la realizzazione di un amore umano totale, fedele, esclusivo e fecondo (cfr. Humanae vitae, 9), cioè l'amore
coniugale. Perciò le relazioni sessuali fuori del contesto matrimoniale costituiscono un disordine grave, perché sono
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 63
dal mortificare la libertà della persona, la pone al sicuro da ogni soggettivismo e relativismo,
la fa partecipe della Sapienza creatrice60[13].
h) Il patto coniugale consiste essenzialmente nel consenso, perché in questo momento nasce
l'amore coniugale
L'amor coniugalis, pertanto, non è solo né soprattutto sentimento; è invece essenzialmente un
impegno verso l'altra persona, impegno che si assume con un preciso atto di volontà. Proprio
questo qualifica tale amor rendendolo coniugalis. Una volta dato ed accettato l'impegno per
mezzo del consenso, l'amore diviene coniugale, e mai perde questo carattere. Qui entra in
gioco la fedeltà dell'amore, che ha la sua radice nell'obbligo liberamente assunto.
Sorge qui talora l'equivoco secondo il quale il matrimonio è identificato o comunque confuso
col rito formale ed esterno che lo accompagna. Certamente, la forma giuridica delle nozze
rappresenta una conquista di civiltà, poiché conferisce ad esse rilevanza ed insieme efficacia
dinanzi alla società, che conseguentemente ne assume la tutela. Ma a voi, giuristi, non sfugge
il principio per cui il matrimonio consiste essenzialmente, necessariamente ed unicamente nel
consenso mutuo espresso dai nubendi. Tale consenso altro non è che l'assunzione cosciente e
responsabile di un impegno mediante un atto giuridico col quale, nella donazione reciproca,
gli sposi si promettono amore totale e definitivo61[14].
2. Sacramentalità del matrimonio nell'economia della creazione e della salvezza
a) Il corpo, rivelazione di Dio
(Il corpo è) quasi una specie di «primordiale sacramento, inteso quale segno che trasmette
efficacemente nel mondo visibile il mistero invisibile nascosto in Dio dall'eternità»62[15]. (Nel
corpo) c'è un secondo significato di natura teologale: il corpo contribuisce a rivelare Dio e il
suo amore creatore, in quanto manifesta la creaturalità dell'uomo, la sua dipendenza da un
dono fondamentale, che è dono d'amore. Questo è il corpo: testimone dell'amore come di un
dono fondamentale, quindi testimone dell'amore come sorgente da cui è nato questo stesso
donare63[16].
b) La coppia umana, immagine e somiglianza di Dio
L'uomo e la donna costituiscono due modi di realizzare, da parte della creatura umana, una
determinata partecipazione dell'Essere divino: sono creati ad «immagine e somiglianza di
Dio» e attuano compiutamente tale vocazione non solo come persone singole, ma anche come
coppia, quale comunità di amore. Orientati all'unione e alla fecondità, l'uomo e la donna
espressione riservata a una realtà che ancora non esiste (cfr. Persona humana, 7); sono un linguaggio che non trova riscontro
obiettivo nella vita delle due persone, non ancora costituite in comunità definitiva con il necessario riconoscimento e garanzia
della società civile e, per i coniugi cattolici, anche religiosa». 60[13] Cfr . GS 48. 61[14] GIOVANNI PAOLO II, Discorso ad Officiali e ad Avvocati della Rota Romana (21 gen. 99) (cfr. L'Osservatore
Romano 22 gen. 99, p. 5). Il Papa continua: «Alla luce di questi principi può essere stabilita e compresa l'essenziale
differenza esistente fra una mera unione di fatto - che pur si pretenda originata da amore - e il matrimonio, in cui l'amore si
traduce in impegno non soltanto morale, ma rigorosamente giuridico. Il vincolo, che reciprocamente s'assume, sviluppa di
rimando un'efficacia corroborante nei confronti dell'amore da cui nasce, favorendone il perdurare a vantaggio della comparte,
della prole e della stessa società». E facendo accenno a un problema di attualità prosegue: «È alla luce dei menzionati
principi che si rivela anche quanto sia incongrua la pretesa di attribuire una realtà "coniugale" all'unione fra persone dello
stesso sesso. Vi si oppone, innanzitutto, l'oggettiva impossibilità di far fruttificare il connubio mediante la trasmissione della
vita, secondo il progetto inscritto da Dio nella stessa struttura dell'essere umano. E' di ostacolo, inoltre, l'assenza dei
presupposti per quella complementarità interpersonale che il Creatore ha voluto, tanto sul piano fisico-biologico quanto su
quello eminentemente psicologico, tra il maschio e la femmina. E' soltanto nell'unione fra due persone sessualmente diverse
che può attuarsi il perfezionamento del singolo, in una sintesi di unità e di mutuo completamento psico-fisico. In questa
prospettiva, l'amore non è fine a se stesso, e non si riduce all'incontro corporale fra due esseri, ma è una relazione
interpersonale profonda, che raggiunge il suo coronamento nella donazione reciproca piena e nella cooperazione con Dio
Creatore, sorgente ultima di ogni nuova esistenza umana». 62[15] S.C.E.C., Orientamenti... n. 22. Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Catechesi 20 feb. 80, Insegnamenti... III-1, p. 430. 63[16] S.C.E.C., Orientamenti... n. 23. Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Catechesi 9 ene 80, Insegnamenti... III-1, p. 90.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 64
sposati partecipano dell'amore creatore di Dio, vivendo la comunione con lui attraverso
l'altro64[17].
c) Oscuramento del significato sponsale del corpo, conservando tuttavia la sua potenzialità
sacramentale
La presenza del peccato, che oscura l'innocenza originaria, rende meno facile all'uomo la
percezione di questi messaggi: la loro decifrazione è diventata così un compito etico, oggetto
di un difficile impegno, affidato all'uomo: «L'uomo e la donna dopo il peccato originale
perderanno la grazia dell'innocenza originaria. La scoperta del significato sponsale del corpo
cesserà di essere per loro una semplice realtà della Rivelazione e della grazia. Tuttavia, tale
significato resterà come impegno dato all'uomo dall'ethos del dono iscritto nel profondo del
cuore umano. quasi lontana eco dell'innocenza originaria»65[18].
Di fronte a questa capacità del corpo di essere nello stesso tempo segno e strumento di
vocazione etica, si può scoprire un'analogia tra il corpo stesso e l'economia sacramentale, che
è la via concreta attraverso la quale giunge all'uomo la grazia e la salvezza66[19].
d) Cristo rinnova la vocazione originaria che l'essere umano riceve per mezzo del corpo e della
sessualità
«Solamente nel mistero del Verbo Incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo»67[20] e
l'esistenza umana acquista i l suo pieno significato nella vocazione alla vita divina. Solo
seguendo il Cristo, l'uomo risponde a questa vocazione e diventa così pienamente umano,
crescendo fino a raggiungere «lo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena
maturità di Cristo»68[21]. Alla luce del mistero di Cristo, la sessualità ci appare come una
vocazione a realizzare l'amore che lo Spirito Santo infonde nel cuore dei redenti. Gesù Cristo
ha sublimato tale vocazione col sacramento del matrimonio69[22].
3. Significato efficace del sacramento del matrimonio
Nella Nuova Alleanza, l'amore di Dio per l'umanità di cui era immagine e partecipazione il
matrimonio delle origini, si rivela come amore sponsale tra Cristo e la Chiesa. È questo l'aspetto del
Mistero di Cristo che il Matrimonio rivela e partecipa70[23]. Questa dottrina è stata sviluppata da
Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio, al n. 13.
a) Cristo, culmine dell'unione tra Dio e l'umanità
La comunione tra Dio e gli uomini trova il suo compimento definitivo in Gesù Cristo, lo
Sposo che ama e si dona come Salvatore dell'umanità, unendola a Sé come suo corpo. Egli
rivela la verità originaria del matrimonio, la verità del «principio»71[24] e, liberando l'uomo
dalla durezza del cuore, lo rende capace di realizzarla interamente.
64[17] S.C.E.C., Orientamenti... n. 26. Cita GS 12; 47-52. 65[18] GIOVANNI PAOLO II, Catechesi 20 feb 80, Insegnamenti... III-1, p. 429. 66[19] S.C.E.C., Orientamenti... n. 27. 67[20] GS 22. 68[21] Ef 4,13. 69[22] S.C.E.C., Orientamenti... nn. 29-30. Il documento continua: «Gesù ha indicato, inoltre, con l'esempio e la parola, la
vocazione alla verginità per il regno dei cieli. La verginità e vocazione all'amore: rende il cuore più libero di amare Dio.
Libero dai doveri dell'amore coniugale, il cuore vergine può sentirsi, pertanto, più disponibile all'amore gratuito dei fratelli.
La verginità per il regno dei cieli, di conseguenza, meglio esprime la donazione del Cristo al Padre per i fratelli e prefigura
con maggiore esattezza la realtà della vita eterna, tutta sostanziata di carità. La verginità, certo, implica la rinuncia alla forma
di amore tipica del matrimonio, ma la rinuncia è compiuta allo scopo di assumere più in profondità il dinamismo, insito nella
sessualità, di apertura oblativa agli altri e di potenziarlo e trasfigurarlo mediante la presenza dello Spirito, il quale insegna ad
amare il Padre e i fratelli come il Signore Gesù» (n. 31). Giovanni Paolo II sviluppa questa idea nella es. ap. Redemptionis
donum, sulla vita religiosa quando dice: «Il consiglio evangelico della castità è soltanto un'indicazione di quella particolare
possibilità che per il cuore umano, dell'uomo e della donna, costituisce l'amore sponsale di Cristo stesso, del Signore Gesù»
(n. 11). 70[23] Cfr. a questo riguardo S. TOMMASO D'AQUINO, Summa Contra Gentes, L.4, cp.78, parr. 3-4. 71[24] Cfr. Gen 2,24; Mt 19,5.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 65
PER LA SUA INCARNAZIONE E PER LA SUA MORTE E RISURREZIONE
Questa rivelazione raggiunge la sua pienezza definitiva nel dono d'amore che il Verbo di Dio
fa all'umanità assumendo la natura umana, e nel sacrificio che Gesù Cristo fa di se stesso sulla
Croce per la sua Sposa, la Chiesa. In questo sacrificio si svela interamente quel disegno che
Dio ha impresso nell'umanità dell'uomo e della donna, fin dalla loro creazione72[25]; il
matrimonio dei battezzati diviene così il simbolo reale della nuova ed eterna Alleanza, sancita
nel sangue di Cristo.
PER LA MISSIONE DELLO SPIRITO SANTO
Lo Spirito, che il Signore effonde, dona il cuore nuovo e rende l'uomo e la donna capaci di
amarsi, come Cristo ci ha amati. L'amore coniugale raggiunge quella pienezza a cui è
interiormente ordinato, la carità coniugale, che è il modo proprio e specifico con cui gli sposi
partecipano e sono chiamati a vivere la carità stessa di Cristo che si dona sulla Croce.
b) Gli sposi cristiani vengono inseriti in questo mistero a causa del loro battesimo
Accogliendo e meditando fedelmente la Parola di Dio, la Chiesa ha solennemente insegnato ed
insegna che il matrimonio dei battezzati è uno dei sette sacramenti della Nuova Alleanza73[26].
Infatti, mediante il battesimo, l'uomo e la donna sono definitivamente inseriti nella Nuova ed
Eterna Alleanza, nell'Alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa. Ed è in ragione di questo
indistruttibile inserimento che l'intima comunità di vita e di amore coniugale fondata dal
Creatore74[27], viene elevata ed assunta nella carità sponsale del Cristo, sostenuta ed arricchita
dalla sua forza redentrice.
In virtù della sacramentalità del loro matrimonio, gli sposi sono vincolati l'uno all'altra nella
maniera più profondamente indissolubile. La loro reciproca appartenenza è la
rappresentazione reale, per il tramite del segno sacramentale, del rapporto stesso di Cristo con
la Chiesa.
c) Il matrimonio come memoriale dell'unione Cristo-Chiesa realizzata nel Mistero Pasquale
Gli sposi sono pertanto il richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla Croce;
sono l'uno per l'altra e per i figli, testimoni della salvezza, di cui il sacramento li rende
partecipi. Di questo evento di salvezza il matrimonio, come ogni sacramento è memoriale,
attualizzazione e profezia:
- in quanto memoriale, il sacramento dà loro la grazia e il dovere di fare memoria delle
grandi opere di Dio e di darne testimonianza presso i loro figli;
- in quanto attualizzazione, dà loro la grazia e il dovere di mettere in opera nel presente,
l'uno verso l'altra e verso i figli, le esigenze di un amore che perdona e che redime;
- in quanto profezia, dà loro la grazia e il dovere di vivere e di testimoniare la speranza
del futuro incontro con Cristo75[28].
d) Gli sposi partecipano al mistero in coppia
Come ciascuno dei sette sacramenti, anche il matrimonio è un simbolo reale dell'evento della
salvezza, ma a modo proprio. « Gli sposi vi partecipano in quanto sposi, in due, come coppia,
a tal punto che l'effetto primo ed immediato del matrimonio (res et sacramentum) non è la
72[25] Cfr. Ef 5,32s. S. Paolo adopera l'espressione «grande mistero» per esprimere il rapporto tra il matrimonio com'era nel
piano originario di Dio e l'unione Cristo-Chiesa nella nuova e definitiva Alleanza. Un acuto commento di questa espressione
paolina e delle sue conseguenze per la comprensione del matrimonio, lo troviamo nella Lettera alle famiglie di GIOVANNI
PAOLO II, al n. 19. 73[26] Cfr. Conc. Ecum. Trident., Sessio XXIV, can. 1. Cfr. D. MANSI, Sacrorum Conciliorum Nova et Amplissima Collectio,
33, 149s. 74[27] Cfr. GS 48. 75[28] GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai Delegati del «Centre de Liaison des Equipes de Recherche», (3 Nov. 1979); cfr.
Insegnamenti... II-2, p. 1032.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 66
grazia soprannaturale stessa, ma il vincolo coniugale cristiano, una comunione a due
tipicamente cristiana perché rappresenta il mistero dell'Incarnazione del Cristo e il suo mistero
di Alleanza.
e) Contenuto della partecipazione: l'amore coniugale cristiano
E il contenuto della partecipazione alla vita del Cristo è anch'esso specifico: l'amore coniugale
comporta una totalità in cui entrano tutte le componenti della persona _ richiamo del corpo e
dell'istinto, forza del sentimento e dell'affettività, aspirazione dello spirito e della volontà _;
esso mira ad una unità profondamente personale, quella che, al di là dell'unione in una sola
carne, conduce a non fare che un cuor solo e un'anima sola: esso esige l'indissolubilità e la
fedeltà della donazione reciproca definitiva e si apre sulla fecondità76[29]. In una parola, si tratta
di caratteristiche normali di ogni amore coniugale naturale, ma con un significato nuovo che
non solo le purifica e le consolida, ma le eleva al punto di farne l'espressione di valori
propriamente cristiani77[30].
f) In ultim'analisi, il matrimonio è immagine e partecipazione al Mistero Trinitario
Così dice il Catechismo al n. 2205: «La famiglia cristiana è una comunione di persone, segno
e immagine della comunione del Padre e del Figlio nello Spirito Santo. La sua attività procreatrice ed
educativa è il riflesso dell'opera creatrice del Padre». Questa dottrina, frequente nei Padri della Chiesa,
è stata alquanto dimenticata nella scolastica, ed è tornata alla ribalta in questo secolo78[31].
Giovanni Paolo II, nella lettera Mulieris dignitatem (n. 7), sviluppa questa idea commentando
il passo di Gn 1,27: «a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò»:
Penetrando col pensiero l'insieme della descrizione di Genesi 2, 18_25, ed interpretandola alla
luce della verità sull'immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1, 26_27), possiamo
comprendere ancora più pienamente in che cosa consista il carattere personale dell'essere
umano, grazie al quale ambedue - l'uomo e la donna - sono simili a Dio. Ogni singolo uomo,
infatti, è ad immagine di Dio in quanto creatura razionale e libera, capace di conoscerlo e di
amarlo. Leggiamo, inoltre, che l'uomo non può esistere «solo» (cf. Gen 2, 18); può esistere
soltanto come «unità dei due», e dunque in relazione ad un'altra persona umana. Si tratta di
una relazione reciproca: dell'uomo verso la donna e della donna verso l'uomo. Essere persona
ad immagine e somiglianza di Dio comporta, quindi, anche un esistere in relazione, in
rapporto all'altro «io». Ciò prelude alla definitiva autorivelazione di Dio uno e trino: unità
vivente nella comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
All'inizio della Bibbia non sentiamo ancora dire questo direttamente. Tutto l'Antico
Testamento è soprattutto la rivelazione della verità circa l'unicità e l'unità di Dio. In questa
fondamentale verità su Dio il Nuovo Testamento introdurrà la rivelazione dell'imperscrutabile
mistero della vita intima di Dio. Dio, che si lascia conoscere dagli uomini per mezzo di Cristo,
è unità nella Trinità: è unità nella comunione. In tal modo è gettata una nuova luce anche su
quella somiglianza ed immagine di Dio nell'uomo, di cui parla il Libro della Genesi. Il fatto
che l'uomo, creato come uomo e donna, sia immagine di Dio non significa solo che ciascuno
di loro individualmente è simile a Dio, come essere razionale e libero. Significa anche che
l'uomo e la donna, creati come «unità dei due» nella comune umanità, sono chiamati a vivere
una comunione d'amore e in tal modo a rispecchiare nel mondo la comunione d'amore che è in
Dio, per la quale le tre Persone si amano nell'intimo mistero dell'unica vita divina. Il Padre, il
Figlio e lo Spirito Santo, un solo Dio per l'unità della divinità, esistono come persone per le
76[29] Cfr. PAOLO VI, Humanae Vitae, 9. 77[30] GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai Delegati del « Centre de Liaison... ; cfr. Insegnamenti... II-2 p. 1032. 78[31] Una storia abbastanza completa del argomento si trova in P. ADNÈS, Matrimonio e mistero trinitario, in Amore e
stabilità nel matrimonio, PUG, Roma 1976. Un teologo noto in questo campo è stato Hans Urs Von Balthasar: cfr. J.
O'DONNELL, H.U. Von Balthasar sulla teologia del matrimonio, ne La Civiltà Cattolica, 139(1988) III, 484-488. H.U.
VON BALTHASAR, Nuzialità, in Nuovo Patto (Gloria, v. VII), Jaca Book, Milano 1977, 420-423. Nuovi punti fermi, Jaca
Book, Milano 1980, 173-183, 191-203.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 67
imperscrutabili relazioni divine. Solamente in questo modo diventa comprensibile la verità che
Dio in se stesso è amore (cf. 1 Gv 4, 16).
L'immagine e somiglianza di Dio nell'uomo, creato come uomo e donna (per l'analogia che si
può presumere tra il Creatore e la creatura), esprime pertanto anche l'«unità dei due» nella
comune umanità. Questa «unità dei due», che è segno della comunione interpersonale, indica
che nella creazione dell'uomo è stata inscritta anche una certa somiglianza della comunione
divina («communio»). Questa somiglianza è stata inscritta come qualità dell'essere personale
di tutt'e due, dell'uomo e della donna, ed insieme come una chiamata e un compito.
Sull'immagine e somiglianza di Dio, che il genere umano porta in sé fin dal «principio», è
radicato il fondamento di tutto l'«ethos» umano: l'Antico e il Nuovo Testamento
svilupperanno tale «ethos», il cui vertice è il comandamento dell'amore.
Nell'«unità dei due» l'uomo e la donna sono chiamati sin dall'inizio non solo ad esistere «uno
accanto all'altra» oppure «insieme», ma sono anche chiamati ad esistere reciprocamente «l'uno
per l'altro».
Viene così spiegato anche il significato di quell'«aiuto», di cui si parla in Genesi 2, 18_25:
«Gli darò un aiuto simile a lui». Il contesto biblico permette di intenderlo anche nel senso che
la donna deve «aiutare» l'uomo - e a sua volta questi deve aiutare lei - prima di tutto a causa
del loro stesso «essere persona umana»: il che, in un certo senso, permette all'uno e all'altra di
scoprire sempre di nuovo e confermare il senso integrale della propria umanità. È facile
comprendere che - su questo piano fondamentale - si tratta di un «aiuto» da ambedue le parti e
di un «aiuto» reciproco. Umanità significa chiamata alla comunione interpersonale. Il testo di
Genesi 2, 18_25 indica che il matrimonio è la prima e, in un certo senso, la fondamentale
dimensione di questa chiamata. Però non è l'unica. Tutta la storia dell'uomo sulla terra si
realizza nell'ambito di questa chiamata. In base al principio del reciproco essere «per» l'altro,
nella «comunione» interpersonale, si sviluppa in questa storia l'integrazione nell'umanità
stessa, voluta da Dio, di ciò che è «maschile» e di ciò che è «femminile». I testi biblici, a
cominciare dalla Genesi, ci permettono costantemente di ritrovare il terreno in cui si radica la
verità sull'uomo, il terreno solido ed inviolabile in mezzo ai tanti mutamenti dell'esistenza
umana.
Questa verità riguarda anche la storia della salvezza. Al riguardo, è particolarmente
significativo un enunciato del Concilio Vaticano II. Nel capitolo sulla «comunità degli
uomini» della Costituzione pastorale Gaudium et spes leggiamo: «Il Signore Gesù, quando
prega il Padre, perché "tutti siano una cosa sola" (Gv 17, 21_22), mettendoci davanti orizzonti
impervi alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l'unione delle Persone
divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità. Questa similitudine manifesta che
l'uomo, il quale sulla terra è la sola creatura che Dio ha voluto per se stessa, non può ritrovarsi
pienamente se non mediante un dono sincero di sé» (n. 24).
Con queste parole il testo conciliare presenta sinteticamente l'insieme della verità sull'uomo e
sulla donna - verità che si delinea già nei primi capitoli del Libro della Genesi - come la stessa
struttura portante dell'antropologia biblica e cristiana. L'uomo - sia uomo che donna - è l'unico
essere tra le creature del mondo visibile che Dio Creatore «ha voluto per se stesso»: è dunque
una persona. L'essere persona significa: tendere alla realizzazione di sé (il testo conciliare
parla del «ritrovarsi»), che non può compiersi se non «mediante un dono sincero di sé».
Modello di una tale interpretazione della persona è Dio stesso come Trinità, come comunione
di Persone. Dire che l'uomo è creato a immagine e somiglianza di questo Dio vuol dire anche
che l'uomo è chiamato ad esistere «per» gli altri, a diventare un dono.
Ciò riguarda ogni essere umano, sia donna che uomo, i quali lo attuano nella peculiarità
propria dell'una e dell'altro. Nell'ambito della presente meditazione circa la dignità e la
vocazione della donna, questa verità sull'essere umano costituisce l'indispensabile punto di
partenza. Già il Libro della Genesi permette di scorgere, come in un primo abbozzo, questo
carattere sponsale della relazione tra le persone, sul cui terreno si svilupperà a sua volta la
verità sulla maternità, nonché quella sulla verginità, come due dimensioni particolari della
vocazione della donna alla luce della Rivelazione divina. Queste due dimensioni troveranno la
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 68
loro più alta espressione all'avvento della «pienezza del tempo» (cf. Gal 4,4) nella figura della
«donna» di Nazareth: Madre-Vergine.
Finalmente, il Papa fa vedere come questo il Mistero Trinitario non è soltanto figurato, dal
matrimonio, ma anche partecipato, in quanto ricettore di una particolare presenza dello Spirito Santo.
Nella vita intima di Dio, lo Spirito Santo è la personale ipostasi dell'amore. Mediante lo
Spirito, Dono increato, l'amore diventa un dono per le persone create. L'amore, che è da Dio,
si comunica alle creature: «l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello
Spirito Santo, che ci viene dato» (Rm 5, 5). La chiamata all'esistenza della donna accanto
all'uomo (« un aiuto che gli sia simile »: Gen 2, 18) nell'«unità dei due» offre nel mondo
visibile delle creature condizioni particolari affinché «l'amore di Dio venga riversato nei
cuori» degli esseri creati a sua immagine.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 69
II. Parte sistematica
1. Il rito
Adesso c'incentriamo sullo studio del matrimonio nel suo atto costitutivo (matrimonio «in
fieri») vale a dire, il gesto o rito che fa il matrimonio. Questo gesto o rito presenta certi elementi
costitutivi: consenso, consumazione, riconoscimento pubblico, benedizione.
L'elemento essenziale è il consenso degli sposi: «matrimonium facit partium consensus» (CIC,
1057 §1). Questo consenso è una mutua donazione/accoglienza in alleanza (foedus) irrevocabile (ibid.
§2). Perciò si considerano spesso equivalenti i termini «consenso» e «alleanza» o «patto».
Pertanto, il rito del matrimonio è un patto il cui elemento essenziale è il consenso, il quale
va accompagnato da altri elementi di cui è stato difficile determinare l'importanza.
a. Parte essenziale: il consenso.79[1]
1. Identificazione del consenso come elemento costituente essenziale.
Già nel diritto romano l'essenziale del matrimonio era il mutuo consenso degli sposi «nuptias
non concubitus, sed consensus facit80[2]». Tuttavia, non si può dire che questo fosse determinante per
la concezione cristiana del matrimonio, sia perché lo stesso diritto romano richiedeva, oltre al
consenso, altre celebrazioni che lo rendessero ufficiale, sia perché la Chiesa, accanto alla prassi
romana, conosceva la prassi germanica, anzi il diritto semitico ed ebraico, tramandato, almeno in
parte, per mezzo dei Padri.
a. Dati dell'Antico e del Nuovo Testamento
1) Nell'AT vi sono alcuni casi in cui la sola violenza carnale dava inizio al matrimonio, anzi al
fidanzamento: ma questi erano fatti antichissimi, contrassegnati dall'abuso (Gn 34). Esisteva invece
una legislazione per i casi straordinari (Dt 21, 10-15). Vi sono, inoltre, casi storici che, per la loro
esemplarità, furono ritenuti dalla tradizione come significativi del matrimonio ebraico. Primo esempio,
tipicamente patriarcale, è la preparazione del matrimonio tra Isacco e Rebecca (Gn 24, 57-58). Più
tipico ancora, il matrimonio del giovane Tobia con Sara (Tb 7, 13), dove era un documento definito
come contratto.
2) Dai Sinottici e dal Vangelo di Giovanni risulta che l'istituzione del matrimonio non fu simile a
quella del battesimo né, in particolare, a quella dell'Eucaristia. Per questi, Gesù creò un rito; anzi, per
l'Eucaristia chiese espressamente che fosse ripetuto in memoria di lui. Per il matrimonio, invece, non
ha richiesto nulla; cioè ha accettato la celebrazione consuetudinaria come era in uso, per es. nelle
nozze di Cana.
In Mt 19, 1-9 Gesù fa riferimento all’istituzione primitiva del matrimonio: egli la riprende
senza aggiungere nulla di nuovo, neppure qualche segno nuovo. Se Gesù accetta la definizione e la
struttura naturale del matrimonio, valorizzandola in vista del Regno dei Cieli si segue che il segno
sacramentale non sarà altro se non il segno naturale stesso81[3].
3) In san Paolo, dall'espressione «sposarsi nel Signore» (1Cor 7,39) non si può arguire l'esistenza
di qualche rito in uso nella comunità apostolica e derivato da Gesù.
79[1] Cfr. LIGIER, p. 62ss; A. MIRALLES, Il matrimonio, p. 48ss. 80[2] Con questa espressione si distingueva tra matrimonio, risultato di un atto formale, giuridicamente controllabile, e
semplice unione di fatto a carattere provvisorio. Non si richiedeva una formula esplicita per l'espressione del consenso,
benché ce ne fossero («ubi tu Caius, ibi ego Caia»). La volontà di sposarsi («affectio maritalis») si considerava
sufficientemente espressa dalla partecipazione attiva dei nubendi nelle diverse cerimonie. 81[3] Così ragionava Bellarmino contro i protestanti.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 70
Possiamo concludere che Cristo ammetteva quindi l'uso ebraico che, pur avendo come
componente le benedizioni, dava la precedenza alle promesse mutue e al patto mutuo.
b. Dottrina patristica.
In generale, affermano l'importanza del consenso. Esempi:
Tertulliano (s. III): «matrimonium perficitur ex voluntate» (il matrimonio va compiuto con la
volontà).
Sant'Ambrogio (s. IV): «non defloratio virginitatis facit coniugium, sed pactio coniugalis»
(non è la perdita della verginità, ma il patto coniugale a fare il matrimonio).
Sant'Agostino, oltre a distinguere come Sant'Ambrosio tra matrimonio e concubinato, dava
singolare importanza al iuramentum sacrum o patto mutuo in cui vedeva la sacramentalità del
matrimonio cristiano e su di cui ne fondamentava l'indissolubilità assoluta.
San Leone Magno, papa (s. V), in una lettera a Rustico, vescovo di Narbona, distingue tra
moglie legittima e concubina. Attribuisce alla disposizione di Dio (Domino costituente) l'esistenza dei
patti conuigali (nuptiarum foedera), molto prima del diritto romano.
c. Intervento chiarificatore di Papa S. Nicolò I (a. 866)
I Bulgari, evangelizzati dai Bizantini e spinti da essi ad accettare l'uso della benedizione
sacerdotale sotto pena di peccato, chiedevano al Papa di Roma se fosse davvero necessaria. Il Papa fa
notare che la domanda si riferisce al momento iniziale del matrimonio. Prima di rispondere, descrive le
consuetudini in uso a Roma: primo per gli sponsali, poi per le nozze. Tra quest'ultime nomina anche la
benedizione, ma dice che non è peccato se queste solennità non intervengono tutte nel patto coniugale.
Dà queste motivazioni:
- Una grande miseria impedisce a parecchi di sostenere le spese di tante solennità, quindi è
sufficiente il mutuo consenso degli sposi.
- Questa prassi è conforme alle leggi: queste leggi, raccolte nel Digesto dell'imperatore
Giustiniano (a. 533), erano in uso a Bisanzio come a Roma.
- Senza il muto consenso, le altre condizioni (solennità pubbliche e benedizioni del sacerdote)
sarebbero prive di effetto: quindi il consenso è «causa sine qua non».
- Termina richiamandosi all'autorità di S. Giovanni Crisostomo: «Matrimonium non facit coitus
sed voluntas» (Non è l'incontro sessuale a fare il matrimonio, bensì la volontà). Invero, si tratta dello
Pseudo-Crisostomo: ma è l'opera ben nota di un autore ecclesiastico del V secolo.
d. Conferma dalla teologia degli iniziatori
1) Gli argomenti di papa Nicolò I sono utilizzati dagli iniziatori della teologia del matrimonio nel
Medioevo. Il primo è Ildeberto di Lavardin (nella sua Epistola 26), Gauthier de Mortagne, Pietro
Lombardo, e Ugo di San Vittore.
2) Questi argomenti entravano in conflitto con il documento attribuito falsamente al Papa
Evaristo e conservato nelle Decretali pseudoisidoriane, che a proposito della legittimità del
matrimonio richiedevano le condizioni riferite da S. Nicolò I: cioè il consenso dei genitori, la dote, la
benedizione del sacerdote. ecc. Pietro Lombardo non ammette che siano necessarie per la legittimità
del matrimonio, bensì solo per il suo decoro.
Il problema di fondo era questo: siccome l'espressione del consenso non sempre era esplicita,
si consideravano come espressione del consenso questo o quel atto che serviva a distinguere un
matrimonio formalmente pattuito da una unione di fatto. La dote, per esempio, era un segno tipico di
questa formalità, perciò si diceva «nullum sine dote fiat coniugium».
2. Le ragioni in chiave teologica
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 71
Gli argomenti di papa Nicolò I mancavano di impostazione teologica. Questa fu opera invece
dei primi teorici: da Ugo di San Vittore e Pietro Lombardo.
a. Un principio di teologia sacramentaria
Nell'insieme dei riti sacramentali la teologia è solita distinguere tra quelli che appartengono
alla sua sostanza o alla sua necessità e quelli che riguardano il suo decoro o la sua solennità. Così Ugo
di San Vittore, ricorrendo all'esempio del battesimo, ribatte che in questo sacramento vi sono dei riti -
come la consacrazione dell'acqua, gli esorcismi, l'unzione del cresima - che possono mancare senza
che venga meno il sacramento. Similmente, nel matrimonio, possono mancare le solennità, senza che
venga meno il sacramento. Pietro Lombardo poi, distingue tra ciò che è pertinente alla necessità del
sacramento, e ciò che contribuisce al suo decoro. San Tommaso addurrà lo stesso argomento,
distinguendo tra ciò che appartiene all'essenza del sacramento e ciò che appartiene alla sua solennità.
b. Il consenso, causa efficiente del matrimonio
L'argomento precedente era più negativo che positivo: esso si limitava a spiegare perché la
mancanza delle solennità non poteva causa l'assenza del matrimonio.
Ma la vera ragione è che la causa efficiente di un patto tra due persone è appunto il consenso a
questo patto. Ambedue le parti devono avere la libera volontà di fare il patto, e devono manifestarla in
qualche modo.
Ugo di San Vittore dà questa spiegazione, che non la formula nel suo Trattato, ma la rende
esplicita nel suo Commento a 1Cor, in cui mette in rilievo la necessità dell'espressione esterna del
consenso: «La causa efficiente è il consenso materiale espresso con parole "da praesenti"» (cioè per il
presente, e non per il futuro come negli sponsali). «Il consenso che è nell'anima, deve essere
manifestato davanti alla Chiesa: altrimenti non c'è coniugio».
San Tommaso afferma che il matrimonio è l'unione che risulta dal consenso82[4]. Afferma
inoltre che il consenso può essere espresso dalle parole dei genitori, o anche senza parole, con segni di
assenso.
c. Differenza tra sponsali e matrimonio (nozze)
Sin dai secoli XI e XII, canonisti e teologi si erano preoccupati di identificare la differenza in
merito, che era una delle incertezze ereditate dall'epoca patristica. La fedeltà dovuta alla fidanzata
risultava da una promessa rivolta al futuro, de futuro, mentre quella dovuta alla sposa risultava da un
impegno attuale, de praesenti. Una semplice promessa può essere corretta dal ravvedimento; invece, il
consenso matrimoniale è - di per sé - incomputabile: il matrimonio diventa sacramento - dunque
indissolubile - col solo scambio di consenso tra gli sposi83[5].
Questa era la dottrina definitiva della scuola di Parigi, espressa così da Pietro Lombardo: «La
causa efficiente del matrimonio è il consenso, non qualsiasi, ma espresso verbalmente, né di futuro,
ma di presente». Posteriormente la scuola di Bologna, attenta all'effetto della consumazione,
obbligherà ad ammettere che l'effetto del consenso non è del tutto perfetto se non dopo la
consumazione del matrimonio. La teologia iniziale di Parigi, basata su Agostino e la sua teologia del
sacramentum come giuramento dotato dal bene dell'indissolubilità, attribuiva al consenso la pienezza
degli effetti del patto matrimoniale.
d. Il matrimonio di Maria e di Giuseppe
Un argomento classico per il valore del consenso è il caso del matrimonio tra la Vergine
Maria e San Giuseppe, che era vero matrimonio pur non essendo mai stato consumato.
82[4] San Tommaso si riferisce qui al matrimonio in actu esse, e perciò non chiama «matrimonio» al consenso. 83[5] Alcune formule liturgiche del consenso contengono espressioni come «Prometto di esserti fedele... ecc.». Ma è ovvio che
si tratta di un impegno preso sin da quel momento e non da prendersi in qualche momento futuro.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 72
Questo argomento è adoperato da Ugo di S. Vittore nella sua Epistola sulla verginità della
Vergine Maria. Egli afferma che l'amore coniugale è il sacramento dell'unione spirituale tra Dio e
l'anima, mentre che l'unione carnale sarebbe il sacramento dell'unione (per l'incarnazione) tra Cristo e
la Chiesa. Ricordiamo che questo autore ammette un doppio consenso, uno per l'amore spirituale tra
sposo e sposa e un altro per la unione carnale, dal quale consiglia di astenersi. Soltanto il primo
consenso sarebbe causa del matrimonio. In realtà il consenso al matrimonio implica il consenso al
diritto alla consumazione, come vedremo di seguito.
e. Osservazioni liturgiche
Alcuni, ritenendo che la prassi precede sempre la teologia, possono meravigliarsi che ci sia
stato tanto ritardo nell'espressione esplicita della mutua donazione degli sposi. Infatti, il momento di
tale espressione venne man mano introdotto nei rituali grazie allo sviluppo teologico che mise in
rilievo il consenso come elemento essenziale. Prima, il consenso si considerava sufficientemente
espresso dalla stessa presenza dei contraenti e dai gesti che facevano durante la cerimonia. In questo
caso sarebbe la teologia ad aver fatto da guida alla liturgia, sebbene normalmente accada il contrario.
f. Il valore sacramentale del consenso
Si discuteva tra i medievali se il concetto del sacramento si avrebbe applicare al consenso o alla
comunione di vita che risulta dal consenso. La questione, a mio parere, si risolve distinguendo, come abbiamo
venuto facendo, tra matrimonio in fieri: il consenso (come elemento essenziale, accompagnato dai altri atti o
condizioni) e matrimonio in actu esse: il vincolo o comunione della vita. Il primo è sacramento come
sacramentum tantum, il secondo è sacramento come res et sacramentum.
Fu anche oggetto di discussione il modo concreto in cui il consenso significa l'unione tra Cristo e la
Chiesa e realizza la partecipazione degli sposi in essa.
Lo vedremo in seguito quando parleremo della consumazione.
3. L'oggetto del patto coniugale in riferimento ai fini e alla definizione del matrimonio
a. Oggetto del consenso (ossia del patto coniugale)
1) Il concilio di Trento non toccò la questione, sicché essa rimase nell'ambito del diritto
canonico. Il CIC del 1917 la chiarì nel can. 1081 §2, in cui il consenso matrimoniale è così definito:
«un atto con cui le due parti consegnano e accettano il diritto al corpo (ius in corpus), perpetuo ed
esclusivo, in ordine agli atti adatti alla procreazione della prole». L'oggetto del consenso stava nello
ius (diritto) stesso e non nell'esercizio dello ius. L'esercizio del diritto può essere impedito dalle
circostanze, senza che il matrimonio sia invalido.
Questa formula, ius in corpus, era conforme al fine primario del matrimonio, cioè alla
procreazione della prole, a cui il Magistero ha costantemente dato rilievo. Essa rispondeva, inoltre, alla
dottrina di Paolo ai 1Cor 7,4: «Il marito non è padrone del proprio corpo, è la moglie...».
2) Tuttavia, il Concilio Vaticano II perfeziona questa formula: la Gaudium et Spes n. 48 parla
della mutua donazione e accettazione dei sposi, cioè delle loro persone. Questa donazione non mira
soltanto «agli atti adatti alla procreazione», bensì, alla «comunione di tutta la vita» (GS 50)84[6],
«all'intima unione delle persone e delle attività» (GS 48). Il CIC del 1983 definisce il consenso
semplicemente come «L'atto della volontà con cui l'uomo e la donna, con patto irrevocabile, si danno e
si accettano reciprocamente per costituire il matrimonio» (cn. 1057 § 2).
È da notare che la dottrina del Vaticano II e del nuovo Codice è più conforme ai dati delle
formule liturgiche raccolte nel passato, che raramente parlano di «dare il corpo».
b. Consenso e definizione del matrimonio
84[6] Che riprende la classica definizione del diritto romano per il matrimonio in actu esse.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 73
In conclusione, il consenso è in essenza, una mutua donazione e accettazione delle persone
con cui viene costituito il matrimonio (in actu esse). Quindi, l'oggetto del consenso è il matrimonio in
actu esse, che viene dal CIC definito come «il consorzio di tutta la vita, ordinato per sua natura al bene
dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole» (cn. 1055 §1)85[7]. La Gaudium et Spes
lo definisce invece come «intima comunità di vita e amore» (n. 48). Ne risulta un certo divario tra la
definizione teologica e la definizione giuridica del matrimonio, che consiste appunto nell'impiego del
termine «amore». Il Magistero recente ha offerto, però alcuni punti di chiarimento, già visti
nell'excursus introduttorio, ma che conviene ricordare adesso.
Dice Giovanni Paolo II: «L'amor coniugalis, non è solo né soprattutto sentimento; è invece
essenzialmente un impegno verso l'altra persona, impegno che si assume con un preciso atto di
volontà. Proprio questo qualifica tale amor rendendolo coniugalis. Una volta dato ed accettato
l'impegno per mezzo del consenso, l'amore diviene coniugale, e mai perde questo carattere. Qui entra
in gioco la fedeltà dell'amore, che ha la sua radice nell'obbligo liberamente assunto»86[8].
E questa è un'ulteriore ragione in favore del consenso come atto iniziale essenziale del
matrimonio: Il patto coniugale consiste essenzialmente nel consenso, perché in questo momento nasce
oggettivamente l'amore coniugale, sul quale si fondamenta la comunità di vita e amore che è il
matrimonio.
Questo atto di amore conuigale consiste appunto nella decisione irrevocabile di donarsi
reciprocamente in modo tale da stabilire la comunità di vita e amore fondata dal Creatore e dotata da
leggi proprie (GS 48). Questa comunità di vita e amore è l'«ambito» umano dell'esercizio fisico della
sessualità, il «luogo» esistenziale dove l'atto sessuale può acquistare il senso che gli corrisponde in
quanto atto umano. Allo stesso tempo, l'atto sessuale esprime e sigilla questa donazione personale,
come vedremo di seguito.
85[7] Già Ugo di San vittore, come abbiamo visto, mise in rilievo che l'oggetto del consenso era la comunità coniugale, da lui
intesa però come comunità soltanto «spirituale». 86[8] GIOVANNI PAOLO II, Discorso ad Officiali e ad Avvocati della Rota Romana (21 gen. 99) (cfr. L'Osservatore
Romano 22 gen. 99, p. 5). Il Papa continua: «Alla luce di questi principi può essere stabilita e compresa l'essenziale
differenza esistente fra una mera unione di fatto - che pur si pretenda originata da amore - e il matrimonio, in cui l'amore si
traduce in impegno non soltanto morale, ma rigorosamente giuridico. Il vincolo, che reciprocamente s'assume, sviluppa di
rimando un'efficacia corroborante nei confronti dell'amore da cui nasce, favorendone il perdurare a vantaggio della comparte,
della prole e della stessa società».
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 75
b. Ruolo della consumazione87[1]
Da Ugo di San Vittore in poi, fu dottrina comune nella Chiesa: «appena c'è consenso, c'è
anche matrimonio». Però d'altra parte questo autore non dava molta importanza all'unione sessuale, la
consumazione.
La dottrina comune della Chiesa, è invece che la consumazione88[2] rafforza il matrimonio in modo da renderlo del tutto indissolubile e dà anche la pienezza e perfezione al sacramento in quanto tale, cioè dà pienezza al suo significato e di conseguenza alla sua efficacia di grazia.
Queste precisazioni furono raggiunte attraverso discussioni canoniche e teologiche nel corso
dei secoli XII e XIII, grazie alla critiche mosse dalla scuola di Bologna a quella di Parigi, e
all'intervento moderatore dei papi, specialmente di Alessandro III e Innocenzo III.
Distingueremo dunque tre momenti principali: a) la formazione della cosiddetta teoria della
consumazione b) il chiarimento disciplinare in campo canonico; c) il chiarimento teologico.
1. Preparazione e formazione della teoria della consumazione del sacramento con l'incontro
sessuale degli sposi
a. Fondamenti nell'era patristica
La teoria consensuale del matrimonio, che vede nel consenso l'atto costitutivo del sacramento,
pur essendo coerente con il quadro e la prassi del matrimonio fra i Romani, si fondava sulla teologia
dei grandi Dottori latini: Ambrogio e Agostino. Nondimeno, sin da questa epoca, era riconosciuta
l'importanza dell'incontro sessuale. Ci sono due punti di partenza per la riflessione teologica:
1) OPPOSIZIONE TRA MATRIMONIO E VERGINITÀ.
In questo contesto l'incontro sessuale era considerato
- Segno dell'inferiorità del matrimonio con rispetto alla verginità. Il che rendeva difficile vedere
in esso una perfezione del matrimonio.
- Segno della sua necessità, con cui il disordine della concupiscenza, connesso all'atto sessuale
diventa buon uso. Le relazioni sessuali entravano dunque nella definizione delle nozze non solo come
ordinate alla procreazione della prole, bensì come rimedio alla concupiscenza89[3].
2) PROIBIZIONE DELL'ADULTERIO E DEL DIVORZIO: LA CONSUMAZIONE REALIZZA L'«UNA CARO»
87[1] Cfr. Ligier, p. 84. 88[2] Per consumazione s'intende il primo incontro sessuale tra gli sposi dopo il consenso, vale a dire, il primo atto sessuale per sé idoneo alla
procreazione della prole, realizzato in modo umano (cfr. CIC cn. 1061 §1). Si dice «per sé», per significare ciò che riguarda la sua dinamica
propria. Quindi, il matrimonio sarebbe consumato anche nel caso in cui l'atto fosse reso sterile dall'uso di metodi anticoncezionali che non
impediscano questa dinamica. «In modo umano» vuole dire con coscienza libertà da ambedue le parti. L'importanza per la validità della
consumazione di altre condizioni soggettive come l'assenza di timore grave o l'espressione di un certo senso di coniugalità, si discutono a
livello di giurisprudenza (cfr. L. CHIAPPETTA, Il matrimonio nella nuova legislazione canonica e concordataria, pp. 17-22). 89[3] Nell'antichità pagana e nei primi Padri della Chiesa serpeggiava un sospetto riguardo all'atto sessuale dovuto
principalmente all'ebbrezza del piacere ad esso connesso, che si considerava come se fosse un certo disordine. Per i filosofi
pagani, l'esperienza del piacere distraeva dalla riflessione e la contemplazione, per i Padri cristiani, dalla preghiera. Tra i
cristiani, tuttavia, non si negava la legittimità dei rapporti sessuali nel matrimonio, ma non si vedeva il piacere come qualcosa
di positivo. Nei nostri giorni si riconosce all'esperienza del piacere il suo posto giusto nell'insieme dell'esperienza sessuale.
Proprio a causa della sua intensità e della sua capacità di coinvolgimento, il piacere sottolinea nella coscienza vissuta i valori
implicati nell'esperienza sessuale: l'intima donazione / accoglienza mutua e la trasmissione della vita. Ciò non vuol dire che
non sia richiesto uno sforzo morale e di sincerità nell'amore per cogliere ed esprimere questo senso originario del piacere al di
là di ogni tentazione di vivenza puramente egoistica dello stesso. Per più informazione cfr. G. PIANA, Sessualità e amore, in
Nuova Enciclopedia del Matrimonio, Queriniana, Brescia 1988; L. CICCONE, Sessualità e persona. I valori etici, in
«Medicina e Morale» (1989). A. - G. CHRISTIAN, Spiritualità in famiglia, Ed. S. Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1994. pp.
68-95.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 76
I padri sottolineano che proprio dall'unione sessuale, espressa dalle parole di Gn 2,24: «i due
saranno una sola carne», Gesù, in Mt 19,5 fa dipendere la proibizione dell'adulterio e del divorzio. In
questi versetti, veniva espressa, come dice p. Crouzel, la legge cristiana del matrimonio monogamico e
indissolubile. La consumazione in questo contesto si presentava come un contributo positivo
all'indissolubilità del matrimonio90[4].
Su questa scia, Papa S. Leone Magno, nella già citata Lettera al vescovo Rusticus di Narbona
afferma che «il matrimonio fu costituito sin dall'inizio in modo tale che, oltre (praeter) alla
commistione dei sessi, avesse in sé il sacramento di Cristo e della Chiesa (Ef 5, 32)» e continua: «non
c'è dubbio che non sia legata da matrimonio la donna in cui è manifesto non essere stato il nuziale
mistero». Il testo non è del tutto chiaro, ma sembra che con l'espressione «nuziale mistero» vuole far
riferimento alla consumazione, che lascia un'evidenza fisica nella donna previamente vergine.
Un secolo dopo, due lettere di papa Gregorio Magno sull'effetto della consumazione per
l'indissolubilità erano molto chiare. Il Papa, trattando degli sposi, uno dei quali desiderava passare alla
vita religiosa, lasciando l'altro nel mondo, rispondeva che la cosa era impossibile se avessero già
consumato la loro unione coniugale: vi era infatti opposizione da parte della «legge divina» dell'una
carne sola.
b. Apparizione della teoria della consumazione
1) INIZIATORE DELLA TEORIA : INCMARO DI REIMS
Verso l'a. 875, il vescovo Incmaro di Reims dissolse un matrimonio non consumato e permise
uno nuovo. Oltre a diverse motivazioni, tali come sospetto d'incesto e mancanza di certe solennità,
pone come argomento centrale la mancanza di consumazione.
Incmaro citava opportunamente le due lettere di S. Gregorio Magno sull'effetto della
consumazione sul matrimonio e l'impossibilità di separarsi per entrare nella vita religiosa. Aggiunge
anche il testo di S. Leone Magno sopracitato, ed inoltre un passo simile, ma più esplicito nella sua
formulazione, che attribuisce a St. Agostino: «non può trovarsi unita in matrimonio quella donna in
cui è evidente che non ha avuto luogo l'unione dei sessi». Ma questo passo non si trova in St.
Agostino.
Per contro, dieci anni più tardi, papa Nicolò I nella sua lettera ai Bulgari afferma la validità e
indissolubilità del matrimonio solamente pattuito.
2) SVILUPPO DELLA TEORIA
Questa falsa attribuzione a sant'Agostino si riscontra nella prima parte del secolo XII, ripresa
dagli autori di Sentenze teologiche. In Simone il Maestro troviamo questa sentenza ancora più
radicale: «Non c'è coniugio quando non segue l'incontro carnale».
Inoltre, dopo Incmaro, il testo della Lettera di papa Leone Magno al vescovo Rusticus di
Narbona fu modificato per renderlo più esplicito in favore della consumazione. Fu fatta l'aggiunta di
una negazione (non), in alcune citazioni canoniche medievali: «il matrimonio fu costituito sin
dall'inizio in modo tale che, al di fuori (praeter) della commistione dei sessi, non avesse in sé il
sacramento di Cristo e della Chiesa». Come si vede il «non» cambia il significato del «praeter».
2. Ridimensionamento magisteriale della teoria
a. Reazioni in campo teologico
La reazione fu opera soprattutto dei teologi parigini, Ugo di San Vittore e Pietro Lombardo. Il
primo si schierò contro la nuova teoria che dava la prevalenza all'incontro sessuale e contro la
citazione erronea di Agostino.
90[4] È da notare, però che il senso biblico dell'espressione è più largo; «una carne» può anche significare «una persona».
Infatti, la Gaudium et spes al n. 48, presenta l'essere «una caro» come risultato del patto coniugale, mentre che il CIC, cn.
1061 lo presenta come frutto dell'atto della consumazione.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 77
Pietro Lombardo dichiara che il matrimonio è costituito dal consenso con parole de praesenti e
lo riteneva sufficiente per definire il matrimonio sacramentale senza la consumazione. Secondo lui,
non si potrebbe entrare in religione dopo il consenso, anche se non c'è stata la consumazione.
L'incontro sessuale tra gli sposi non aggiungerebbe nulla né alla verità, né alla santità, né alla stabilità
del matrimonio. Esso aggiunge solo qualcosa al suo significato: ormai, infatti, significa l'unione tra
Cristo e la Chiesa non solo per effetto dell'incontro delle volontà, ma altresì per natura.
b. Il decreto di Graziano con il tentativo di concordanza
Graziano, dalla scuola di Bologna, cerca nel suo Decreto (1140) come dice nel titolo, la
«concordanza tra i canoni discordanti». Distingue:
gesto iniziale:
consenso de praesenti
+ consumazione
matrimonio risultante:
matrimonio iniziato
matrimonio perfetto
(o sacramento rato91[5])
contraenti:
sposi
coniugi
e conclude: «il patto coniugale fa sì che la moglie ... si dica che sposi il marito nell'incontro sessuale
(in coitu dicatur nubere viro)».
La consumazione e il patto erano coessenziali. In caso di mancanza della consumazione, si
potevano sciogliere fino a otto casi di «matrimonio iniziato»: dopo il voto di castità, per impotenza,
dopo la cattività, col sopraggiungere della parentela spirituale o l'affinità, per follia, ecc.
c. Reazioni canonistiche
Uguccio di Pisa tornò alla dottrina del consenso come costitutivo del matrimonio-sacramento:
il matrimonio è perfetto già prima di essere consumato, come nel giardino dell'Eden. È indissolubile
col solo consenso. L'importante è che sia espresso con parole (o segni) de praesenti. Infine,
l'attuazione fisica del matrimonio non aggiunge nulla all'essenza del matrimonio; porta solo al suo
significato facendolo divenire simbolo dell'unione tra Cristo e la Chiesa.
d. Messa a punto del Magistero
1) ALESSANDRO III (ORLANDO BANDINELLI)
Inizialmente discepolo di Bologna, si avvicino poi alla scuola di Parigi.
Per stabilire l'identità del matrimonio, da importanza al consenso, così, tra due matrimoni
successivi dello stesso soggetto, se il primo matrimonio era stato espresso con parole de praesenti, lo
riteneva un vero matrimonio, anche se non consumato.
Quando si invece trattava soltanto di valutare l'indissolubilità, seguiva le indicazioni della
scuola bolognese, attenendosi all'indissolubilità del matrimonio seguito da consumazione, mentre
accettava la possibilità di sciogliere quello non consumato.
2) INNOCENZO III
Seguì la dottrina di Uguccio di Pisa. Il matrimonio contratto con parole de praesenti è in sé
indissolubile. Di tutte le condizioni canoniche per sciogliere un matrimonio non consumato, Innocenzo
III ammise quella dell'ingresso di uno dei consorti nella vita religiosa, ma solo per deferenza verso i
suoi predecessori.
Nondimeno, Innocenzo III riconosceva che la consumazione avesse portato qualche contributo
positivo al matrimonio:
91[5] Si noti che nella terminologia canonica attuale si chiama «matrimonio rato» quello soltanto pattuito, se tra battezzati.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 78
- Essa rende il matrimonio indissolubile a tal punto che la professione religiosa non può
scioglierlo.
- La consumazione, quando segue una promessa de futuro, permette di riconoscervi una
motivazione in favore di un vero e irrevocabile matrimonio.
- Gli sposi, infatti, essendo rivolti dalla consumazione verso Cristo e la Chiesa, non soltanto
sono una carne sola tra loro, conforme a Gn 2, 24, bensì anche uno spirito, conforme a 1Cor 6,17
(«chi si unisce al Signore forma con Lui un solo spirito»). La loro unione è dunque del tutto
indissolubile nello spirito e nella carne.
3. Contributo della consumazione al sacramento
Se l'intervento del Magistero ha annullato la pretesa di fare della consumazione, insieme al
consenso, un elemento costitutivo coessenziale del sacramento, non ha negato tuttavia che porti dei
contributi validi. I principali sono:
- rafforza l'indissolubilità
- completa il simbolismo
a. Consumazione e stabilità dell'indissolubilità
La teoria della consumazione, sia nel suo momento più favorevole, sia nella perdita totale
della sua importanza, ha messo in luce questo tema, insegnando che il matrimonio iniziato con il
consenso, poteva essere sciolto dalla Chiesa, ma che non poteva più esserlo una volta che fosse stato
confermato dall'incontro nuziale.
Quanto alle ragioni di tanta stabilità, queste erano compendiate nella tradizione incentrata su
Gn 2, 24 e sui suoi agganci nel NT.
- Dal versetto di Gn 2, 24, ripreso da Gesù in Mt 19, 5, il matrimonio risultava indissolubile,
perché Gesù, contrariamente a Mosè, aveva promulgato di nuovo il principio primitivo, conferendogli
una garanzia inviolabile. Gesù dichiara adulterio il divorzio. Se per «una sola carne» s'intende la
consumazione, allora la consumazione causa l'indissolubilità assoluta.
- Andando oltre, tenendo cioè conto dell'aggancio tra Gn 2, 24 e 1Cor 6, 17, si passa dalla
saldezza dell'unione puramente carnale a quella pneumatica: «Chi si unisce al Signore forma con lui
un solo spirito». Quindi, chi si unisce a sua moglie forma anche con essa un solo spirito, e questo
rafforza l'indissolubilità.
- Unendo Gn 2, 24 con Ef 5, 31-32, risulta che l'unione carnale realizza nella coppia l'unità
escatologica, indissolubile, tra Cristo e il suo pleroma, la Chiesa.
Queste idee sono raccolte da Pio XI nella Casti Connubii (1930).
b. Consumazione e pienezza del significato sacramentale del matrimonio
Che la consumazione aggiunga qualcosa al consenso è una dottrina già espressa dai diversi
autori, sebbene con differenti formule:
- Così, Pietro Lombardo afferma: «il consenso dei coniugi significa l'unione spirituale di Cristo
e della Chiesa che si fa per carità; e l'unione sessuale, quella che si attua per conformità di natura».
- Secondo Caietano, «il matrimonio contratto significa l'unione di Dio e dell'anima per la carità;
invece, il matrimonio consumato, quella di Cristo con la Chiesa».
- Sebbene questa ultima formula viene da Ugo di San Vittore, il quale diceva che l'ufficium (la
consumazione) rappresentava l'unione nella carne di Cristo con la Chiesa.
c. Ulteriori considerazioni sul significato della consumazione:
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 79
Se consideriamo che la consumazione «è parte integrale dell'amore con cui l'uomo e la donna
s'impegnano mutuamente fino alla morte» (Familiaris consortio 11), possiamo proporre una possibile
spiegazione in questi termini:
A livello naturale, il mutuo consenso è segno del mutuo amore coniugale, tale come si trova nei cuori e
nelle intenzioni, e include l'intenzione, ancora non realizzata, d'unirsi sessualmente. Al livello soprannaturale, il
consenso può essere segno dell'amore di carità tra Cristo e la Chiesa, tale come ha esistito sin dall'eternità, come
progetto o piano di Dio.
A livello naturale, la consumazione è il compimento92[6] di quello che stava implicito nel consenso, e
quindi, significa e realizza visibilmente l'amore coniugale, per mezzo del gesto fisico proprio ed esclusivo di
quest'amore. Al livello di significato soprannaturale, è il compimento dell'amore di carità tra Cristo e la Chiesa,
in quanto realizzato concretamente, nella storia, per l'Incarnazione e il mistero Pasquale di Cristo93[7].
Come si vede, la seconda fase aggiunge un secondo significato a livello soprannaturale, sebbene non
totalmente nuovo, perché già stava implicito nella prima fase a modo d'intenzione. Ma sul particolare possono
esserci diverse opinioni.
Che la consumazione, per il fatto che perfeziona il significato del matrimonio lo renda più efficace in
ordine alla grazia, è la dottrina più probabile, visto che i sacramenti realizzano ciò che significano, e quindi, un
coinvolgimento maggiore nel mistero di Cristo e la Chiesa suppone un aumento di grazia.
Questo è più palese se l'atto della consumazione è moralmente corretto, perché è ovvio che l'amore
coniugale, elevato dal sacramento al livello di carità, viene espresso e rafforzato. Ma anche nel caso di un atto
sessuale moralmente incorretto (per l'uso di anticoncezionali, perché realizzato per egoismo e non per amore..),
che comunque renda oggettivamente consumato il matrimonio perché compie le condizioni oggettive
riconosciute dal diritto e dalla giurisprudenza, si potrebbe parlare di una l'efficacia oggettiva di grazia che deriva
dal fatto in sé della consumazione, ma che rimane sospesa per il coniuge colpevole fino a che non riceverà
l'assoluzione.
92[6] Cfr. CCE, n. 1627: «Questo consenso che unisce gli sposi tra di loro, trova il suo compimento nel fatto che i due
diventano una sola carne (cfr. Gn 2,24; Mc 10,8; Ef 5,31)». 93[7] Si potrebbe obiettare che, essendo la consumazione un atto dilettevole, poco ha a che fare con la Passione di Cristo, che
fu dolorosa. Ma si potrebbe rispondere con il Supplementum della Summa Theologiae che «anche se il matrimonio non si
assomiglia alla Passione di Cristo per quanto riguarda la sofferenza, vi si assomiglia per quanto riguarda la carità, essendo
stata questa ad spronarlo a patire per la Chiesa per sposarsi con essa» (q. 42, a. 2, ad 3). Questo che viene affermato del
matrimonio in generale, potrebbe applicarsi a fortiori all'atto proprio ed esclusivo del matrimonio.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 81
c. Materia e forma94[1]
Il consenso o patto coniugale è costitutivo o essenziale al matrimonio nel suo attuarsi e come
realtà creaturale e come sacramento della Legge nuova. Appena formulato l'asserto, la teologia
sacramentaria, paragonando il matrimonio con gli altri sacramenti, si domandò se gli sposi, essendo
autori responsabili di tal patto, non fossero anche i ministri; e se questo patto bilaterale, essendo
espressione del loro intento, non fosse anche costitutivo del segno del sacramento.
1. Il problema
Sin dal IV sec., cioè a partire da sant'Agostino, la riflessione teologica si mostrò attenta a
ritenere nei sacramenti la presenza di due elementi necessari, distinti e complementari, a tal punto che
mancandone uno, non ci sarebbe né sacramento, né grazia. Le parole erano l'elemento qualificante, la
forma, che esprime la dimensione nuova, soprannaturale del sacramento. La realtà concreta materiale,
usata con un significato simbolico, era la materia.
Il problema di fondo, come si può ben capire, è quello di trovare un riferimento al
soprannaturale nell'elemento essenziale del patto matrimoniale.
Nel caso specifico del matrimonio, il Magistero non si è mai pronunciato sui particolari della
struttura sacramentale, cioè, la materia e la forma.
Gli orientali vedono nella benedizione del sacerdote una parte essenziale del rito sacro
necessario alla validità. Attualmente, la Chiesa Cattolica, pur rispettando le disposizioni canoniche
delle chiese orientali ad essa unite, non considera che la benedizione faccia parte dell'essenza del
matrimonio.
2. Tre opinioni obiettabili in area teologica
a. L'opinone ilemorfica
- Vázquez: la materia del matrimonio sono i diritti della vita coniugale, la forma sarebbe proprio
il patto. Ma si può obiettare che è proprio il patto a creare questi diritti. La materia del patto non è il
fine del patto.
- Bellarmino, Suárez: la materia sono le parole del patto in quanto esprimono donazione, la
forma, le stesse parole in quanto esprimono accoglienza. Un dono, infatti, nell'essere accolto viene
confermato come dono. Obiezione: questa struttura si dà a livello puramente creaturale, non c'è niente
che nella forma (l'accoglienza) indichi che la materia (il dono) viene elevata a livello soprannaturale.
La forma deve indicare in qualche modo la novità del segno, fare riferimento a Cristo, determinare il
segno nell'ambito soprannaturale.
b. La benedizione come forma
Questo argomento lo svilupperemo in capitolo a parte. L'obiezione principale: fin dall'antichità
la benedizione non si praticava in tutte le parti né era sempre obbligatoria. In Occidente venne
sottolineata la sua presenza più che altro per combattere i matrimoni clandestini, considerati comunque
validi senza la benedizione.
c. Una opinione recente
Dopo il Vaticano II alcuni teologi basandosi sulla dottrina del Concilio, si richiamano a un
concetto di matrimonio meno giuridico, meno contrattuale, ma più personalistico, che dia maggiore
risalto all'amore degli sposi e tenga anche conto della storia della salvezza.
Alcuni hanno visto proprio nell'amore coniugale degli sposi il «segno sacramentale» del
matrimonio cristiano. Essendo il matrimonio un sacramento durevole richiede anche un segno
94[1] Cfr. Ligier, p. 99.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 82
permanente95[2]. Obiezione: l'amore coniugale che è nell'anima, viene significato dal patto, e in esso
trova il suo inizio. D'altro canto, resta aperta la questione d'identificare nell'amore coniugale
l'elemento per mezzo del quale riceve la sua dimensione soprannaturale.
3. Origine delle difficoltà
Come abbiamo visto nella lezione corrispondente, il consenso è l'atto essenziale del rito,
poiché è il consentimento a dare il senso a tutti gli altri elementi del matrimonio che possono essere
stati nelle diverse epoche e culture. Se non si fondamentano sul consenso libero dei due, non sono
validi, perché non sono atti umani.
Nella struttura del consenso mutuo (il darsi-accettarsi), l'intero presente e futuro della vita
coniugale vengono precontenuti. Ha un carattere di simbolo e allo stesso tempo fa parte della realtà
che simboleggia, ne è l'inizio. Per cui, la materia e la forma sono da cercarsi caso mai nel atto del
consenso. Orbene, nel consenso, come segno esterno, non c'è niente che possa indicarne la dimensione
soprannaturale; niente che possa chiamarsi «forma» in quanto elemento che aggiunga il significato
soprannaturale al rito, e pertanto, la capacità di santificare («sacramenta significando efficiunt»).
Allora, da dove viene al rito la capacità di santificare?
4. Da dove proviene la virtù santificante del matrimonio dei battezzati
Se non proviene dalla struttura esterna del rito del matrimonio, da dove deriva?
Bellarmino rilevava che il Signore stesso non aveva espresso né la materia né la forma di
questo sacramento, perché non aveva istituito un nuovo «symbolum» (segno sacramentale),
accontentandosi di elevare il contratto umano in uso alla dignità di sacramento e attribuendo a questo
contratto un significato nuovo e la promessa di grazia96[3].
Il Magistero ha insegnato e continua ad insegnare che «Cristo ha elevato il contratto
(l'alleanza) matrimoniale tra i battezzati alla dignità di sacramento» (CIC 1055), il che suppone che
Cristo non abbia istituito un rito sacramentale nuovo, ma assunto la prassi in uso, senza precisare né
materia né forma.
Se teniamo conto che Cristo accettò il patto in uso, cioè di tipo creaturale e socio-culturale, e
lo elevò a sacramento, si può ammettere che la virtù santificatrice di tale patto non provenga dalla sua
struttura, bensì di un'altra causa, connessa con la elevazione della creazione alla grazia, collegata
quindi con il Battesimo, radice di questa elevazione. Se semplicemente elevò a sacramento il contratto
o patto naturale tra i battezzati, il fatto di darsi tra battezzati è sufficiente per garantirne il significato e
dimensione soprannaturali.
Così Caetano ammette che il matrimonio dei battezzati è sacramento «ex radice baptismi», e
non in virtù della forma del sacramento. Così altri: Rosmini, Scheeben. M. Leitner dice che il patto
coniugale è nel contempo la materia e la forma del matrimonio: materia, a causa della sua struttura
naturale (diremmo oggi creaturale, socio-culturale); forma, perché è concluso tra due battezzati. Così
anche A. M. Rouget. J. M. Aubert dice che il carattere battesimale sarebbe l'equivalente della forma.
K. Reinhardt dice che l'«essere battezzati» degli sposi ha per la sacramentalità del matrimonio una
funzione analoga a quella che in altri sacramenti ha la parola, espressione della fede.
L'origine di questa posizione attuale sembra antica. Risale fino a Clemente di Alessandria,
quale, basandosi su 1Tm 4,5 e Eb 10,22-23, pone come condizione perché il matrimonio resti
santificato l'essere realizzato da battezzati: «con cuore sincero e nella pienezza della fede» (Stromata,
4,20).
95[2] È da notare che alcuni di questi autori rigettano la distinzione tra «sacramentum tantum» e «res et sacramentum», per
considerarla un passo verso la «cosificazione» del sacramento, donde una certa confusione tra il momento iniziale-causale
dell'amore coniugale e la sua dimensione vincolare-permanente che risulta da questo momento. Torneremo sull'argomento
quando parleremo del matrimonio come sacramento permanente. 96[3] Così rispondeva ai protestanti, che non ammettevano la sacramentalità del matrimonio proprio perché nella Scrittura non
ne trovavano un segno specifico al quale fosse aggiunta una promessa di grazia.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 83
Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio, evita la terminologia di materia e forma, ma
sembra appoggiare questa dottrina quando dice:
Mediante il battesimo, l'uomo e la donna sono definitivamente inseriti nella Nuova ed Eterna
Alleanza, nell'Alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa. Ed è in ragione di questo
indistruttibile inserimento che l'intima comunità di vita e di amore coniugale fondata dal
Creatore (cfr. Gaudium et Spes 48), viene elevata ed assunta nella carità sponsale del Cristo,
sostenuta ed arricchita dalla sua forza redentrice. (n. 13)
5. Conclusione
Il semplice patto matrimoniale originato nella creazione e realizzato secondo i diversi ambienti
socio-culturali, fu elevato a sacramento.
La virtù santificatrice di questo patto non proviene da qualche novità soprannaturale della
sua struttura, bensì dagli effetti del Battesimo (specialmente del carattere), che si stendono a tutta la
vita degli sposi.
- Così viene spiegato, prima di tutto, come per parecchi secoli nelle regioni prive di liturgia
matrimoniale, i matrimoni cristiani non erano destituiti dalla dignità sacramentale.
- Si comprende, inoltre, che nella celebrazione nuziale l'espressione degli impegni matrimoniali
sponsali poteva rimanere in chiave naturale, benché la celebrazione, fatta in ambito sacro, fosse
illuminata dall'opera di salvezza, anzi accompagnata dalla Messa.
- Diventa anche possibile che, per alcuni secoli, la teoria ilemorfica sia rimasta pacificamente
formalistica più che espressiva del mistero cristiano: il Battesimo degli sposi dava ai loro gesti e parole
il valore consacratorio e santificante.
- In definitiva, risulta che la struttura del matrimonio è stata e può essere diversamente
specificata e analizzata. L'importante è che sia il Battesimo di tutti e due i nubendi a fare sì che sia
sacramento97[4].
6. Breve proposta di soluzione:
In ultima analisi, più che parlare di materia e forma nel rito del matrimonio, si dovrebbe parlare di una
dimensione antropologica, che sarebbe il patto nella sua struttura naturale, e una dimensione soprannaturale, che
sarebbe la condizione di battezzati dei nubendi.
97[4] Sebbene nel CCE al n. 1624 si parli di preghiere di benedizione e di epiclesi, queste hanno più senso di espressione che
di «produzione» di questa speciale presenza e azione dello Spirito Santo, che comunque proviene dal caratare battesimale dei
contraenti.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 85
d. Ruolo della benedizione98
L'importanza data al consenso dai teologi medievali, sembra contraddire l'importanza data alla
benedizione nella liturgia cristiana. Per questo si discuteva in diverse forme la questione
dell'importanza della benedizione. Si trattava di sapere se la benedizione è:
a) (nell'antichità) come una tra le altre condizioni di «legittimità» dei matrimoni cristiani;
b) (nel medioevo) anzi, se non sarebbe piuttosto la «forma sacramentale» del coniugio
cristiano, dunque elemento costitutivo di esso;
c) (durante Trento e dopo) o semplicemente, se non entra nella «forma canonica» ordinaria,
necessaria alla validità del matrimonio.
A questo riguardo, conviene distinguere:
- Forma sacramentale: elemento del segno sacramentale dal quale dipende la virtù
santificatrice del sacramento.
- Forma canonica (o forma ecclesiastica): le condizioni fissate dalla Chiesa sul modo di
realizzare il matrimonio dei cattolici affinché sia valido.
- Forma liturgica: le forme concrete di celebrare il rito secondo le diverse tradizioni liturgiche.
Mostreremo come:
a) La Chiesa occidentale non accettò che la benedizione, così come altre condizioni, fosse
considerata come obbligatoria per la «legittimità» del matrimonio.
b) Né fu accettato che la benedizione fosse da sola «forma sacramentale» del sacramento e
dunque elemento essenziale di esso.
c) Né che fosse parte essenziale della forma canonica, necessaria dopo Trento alla validità.
1. Dalle origini alla posizione greca e al Laterano IV: la benedizione tra le condizioni di
legittimità
a. Discussioni sull'origine della benedizione
La benedizione, benché non appare esplicitamente nel NT, esiste in Occidente e in Oriente sin
dal II secolo. Forse è più antica, avente origine probabilmente nella benedizione ebraica o negli auguri
pagani. Ma l'uso di questa benedizione non era né generalizzato né obbligatorio né necessario per la
«legittimità»99 del matrimonio.
b. In Occidente, fino al secolo XII
La benedizione data dal sacerdote entrava di fatto tra la solennità in uso sia a Costantinopoli
che a Roma stessa. In Occidente, sotto l'influsso delle Capitolari di Benedetto Levita delle
pseudoisidoriane, questa benedizione era richiesta - insieme alle altre solennità - per la legittimità
delle nozze cristiane.
Ma Nicolò I (a. 866) riconobbe e proclamò che per la costituzione del matrimonio era
sufficiente il mutuo consenso. E questo risolse la questione a livello dogmatico, sebbene aprirebbe un
grande campo alla polemica, che si prolungò fino al secolo XII.
c. Posizione greco-bizantina
A partire dal sec. VI la benedizione divenne progressivamente regolare nell'uso orientale. Ma
solo nell'anno 894, con la Novella 89 dell'imperatore Leone VI il Saggio, essa fu resa obbligatoria,
forse influito dalla opposizione del patriarca Fozio alla decisione del papa Nicolò I.
98 Cf. Ligier, p. 73. 99 Si ricordi che a quell'epoca spesso non si faceva distinzione tra validità e liceità, e quindi, quando su parla di legittimità,
risulta difficile di sapere se si fa riferimento una cosa o all'altra.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 86
La teologia bizantina del matrimonio non ebbe inizio che fino al sec. XIII. L'ipotesi del
sacerdote quale ministro del sacramento entrò solo nel XVII secolo. Per loro, la benedizione del
sacerdote è, come minimo, una condizione «sine qua non» per la validità del matrimonio; ma, a
differenza del nostro modo di intenderla, essa non è solo una condizione canonica (cioè, una
disposizione giuridica della Chiesa), bensì liturgica, in virtù dell'uso immemorabile del rito più che
delle ragioni dogmatiche.
d. Decreto 51 del Laterano IV (1215)
In Occidente, nei secoli X-XIII, la posizione di papa Nicolò I ebbe l'effetto positivo di
rivolgere l'attenzione dei teologi sul consenso e sulla sua espressione, nonché di facilitare
l'affermazione della sacramentalità delle nozze. E, siccome la teologia riconosceva la validità dei
matrimoni clandestini100, cresceva il loro numero nonché il pericolo della loro diffusione.
Fortunatamente, Innocenzo III avvertì la gravità del pericolo e nei decreti del Laterano IV intervenne
per interdirli, senza però invalidarli. Dichiara inoltre che i figli dei matrimoni clandestini sono
illegittimi. Non si può dire purtroppo che l'applicazione del decreto fosse attuata con diligente
fermezza, anzi sembra probabile il contrario.
2. Melchior Cano (XVI sec.) la benedizione come forma sacramentale del matrimonio
a. La tesi
In questa nuova impostazione, il contributo della benedizione viene chiarito e rafforzato:
chiarito, perché la benedizione sarà esaminata solo in sé e non più confusa con altre condizioni
necessarie; rafforzato, perché la benedizione non sarà più vista come condizione estrinseca di
legittimità, bensì, come elemento essenziale del matrimonio.
- Gli iniziatori di questa teoria erano lo PSEUDO-ILDEBERTO (nel sec. XII) e GUGLIELMO DI
ALVERNIA (nel sec. XIII).
- L'autore di questa sistemazione fu il teologo spagnolo MELCHIOR CANO (1509-1561), nella
sua opera postuma De locis theologicis. La sua argomentazione procede dal Decreto per gli Armeni
del Concilio di Firenze. Infatti, secondo questo concilio, ogni sacramento richiede materia, forma e
ministro; la forma è ritenuta importante: Firenze ne fa in genere l'elemento «perfettivo» di ogni
sacramento. Eppure, non specifica né ministro, né forma per il matrimonio. CANO argomenta: le
parole «Io ti ricevo come mio/a sposo/a...» non indicano di per sé niente di soprannaturale. Quale
dunque sarà la «forma», l'elemento che esplicita il significato soprannaturale del sacramento?
Conclude che queste parole sono solo la materia; la forma si deve cercare altrove.
Per trovare risposta, CANO si richiama in primo luogo a due brani - veramente poco
dimostrativi - di san Tommaso101 (tralasciando altri in cui la benedizione viene definita come uno dei
cosiddetti «sacramentali»). Ma i suoi più validi argomenti provengono da fonti patristiche e canoniche,
tra cui il decreto falsamente attribuito al Papa Evaristo e il più recente Concilio di Colonia (1536). Tira
fuori come conclusione che il ministro è il sacerdote, e la benedizione, un elemento intrinseco del
matrimonio e pertanto costitutivo del sacramento, il quale si comporrebbe di contratto e benedizione
tra loro uniti come materia e forma.
b. Influsso e conseguenze della tesi di Cano
100 Matrimonio clandestino, nel medioevo, era quello celebrato segretamente, con o senza (spesso senza), assistenza di
sacerdote o testimoni. Nei nostri giorni, l'Ordinario del luogo può, per cause gravi, autorizzare un matrimonio segreto, ma
non clandestino, perché a conoscenza di lui, dell'assistente ufficiale al matrimonio e dei testimoni, come viene legiferato dal
CIC, canoni 1130-1133. 101 Così In IV Sent., d1, q1, a3, ad 5um, dove dice che i «verba» (forma) del matrimonio sono l'espressione del consenso «et
iterum benedictiones ab Ecclessia institutæ». E in Contra Gent. IV, 78, 3, afferma che l'unione dell'uomo e la donna con la
finalità di generare ed educare la prole per il culto di Dio è un sacramento della Chiesa, «unde et quædam benedictio
nubentibus per ministros Ecclesiæ adhibetur».
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 87
Sul Concilio di Trento la posizione di Cano sembra non aver avuto un influsso diretto: al
momento della sessione sul matrimonio, egli veniva a mancare e il suo libro era stato appena
pubblicato. Ebbe forse qualche effetto attraverso i documenti del Concilio di Colonia e le
pubblicazioni di cui fu occasione.
Ma nel XVII sec. la tesi fu tenuta in molta considerazione dai teologi di lingua francese e nel
sec. XVIII fu altresì stimata in Germania. Nello stesso sec. XVIII, papa Benedetto XIV, pur senza
seguire il Cano, lo elogiava e lo citava e riteneva la sua tesi «molto probabile».
Nel 1869, nella preparazione del Vaticano I, davanti alla Commissione teologico-dogmatica,
la posizione del Cano fu vittoriosamente difesa - sotto un'angolatura davvero particolare (quella della
separabilità tra contratto e sacramento) - da G. TOSA contro le critiche avanzate.
Infatti, sin dal XVII sec. la tesi del Cano era strumentalizzata dagli avversari della Chiesa per
affermare la piena autorità dello Stato sul matrimonio e per negare alla Chiesa il diritto di creare e far
rispettare i propri impedimenti. La tesi portava necessariamente alla separazione tra contratto e
sacramento. Il contratto sarebbe una realtà integra e perfetta nella sua identità civile; apparteneva
quindi allo Stato decretare che le condizioni che rendevano valido e perfetto il matrimonio, come se
procedessero solo da lui. Alla Chiesa non era riconosciuta nessuna autorità sul contratto, ma soltanto
la facoltà di santificarlo con la benedizione. Contro questa teoria si ebbero gli interventi dei papi Pio
IX e Leone XIII allo scopo di riaffermare l'autorità della Chiesa. Sorsero allora dubbi sull'opportunità
e il valore della tesi di Melchior Cano, soprattutto durante la preparazione del primo Concilio
Vaticano.
3. La «forma canonica» necessaria per la validità (Trento). La «benedizione» richiesta per la
liceità
a. Deliberazioni e discussioni in merito
Nelle deliberazioni del Concilio di Trento, i teologi pensavano, conformemente alla decisione
del Laterano IV, che l'unioni clandestine, pur essendo illecite, erano tuttavia matrimoni validi e veri, in
quanto contratti con il libero consenso delle due parti. Perciò, al termine delle deliberazioni, il primo
capoverso del decreto Tametsi102, dichiarerà che sono giustamente da condannare coloro che
pretendono che tali matrimoni non sono validi e che i genitori hanno il diritto di renderli «irriti».
Tuttavia, la prassi di questi matrimoni incontrava in ogni parte un'opposizione insistente. Era
ovvio che simili unioni potessero essere occasione di gravissimi peccati e di abusi: uno degli sposi
poteva abbandonare l'altro, segretamente sposato, e poi contrarre pubblicamente un secondo
matrimonio vivendo da bigamo in permanente adulterio. Pertanto, non solo i vescovi, ma anche gli
ambasciatori dei re, anzi, i riformatori protestanti reclamavano l'interdetto su tali matrimoni. Per
sciogliere la difficoltà, si presentavano tre vie di uscita.
b. Procedimento di soluzione
1) Prima via: intervenire direttamente sul sacramento, determinandone la materia e la forma,
in modo da ritenere nullo il matrimonio privo della materia e della forma dovuta. Ma i teologi no si
mettevano d'accordo sulla materia e la forma. D'altra parte, i Padri erano unanimi nel negare alla
Chiesa la facoltà di toccare la «sostanza dei sacramenti, proveniente da Cristo» e a quell'epoca, per
«sostanza» s'intendeva la materia e la forma del rito.
2) Seconda via: intervenire sul contratto, ossia sul patto coniugale, imponendo, pena
l'annullamento, condizioni pubbliche alla celebrazione del contratto, affinché, mancando il contratto
venisse meno anche il sacramento. Ma anche qui sorgevano della difficoltà: creando queste condizioni
si faceva uscire il matrimonio dalla sua primitiva condizione di semplice contratto consensuale, e lo si
trasponeva a livello di contratto solenne. Si aggiungeva inoltre - tenuto conto del vincolo fra contratto
102 Sess. XXIV, Decreto sui matrimoni clandestini (11 nov.1563) (DS 1813-1816.
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e sacramento - che toccando il contratto si toccava il sacramento. La discussione derivava dal difficile
problema dell'inseparabilità tra sacramento e contratto.
3) Terza via: tralasciando il sacramento e il contratto, coinvolgere le persone, rendendole
inabili a contrarre matrimonio se non in certe condizioni determinate dalla Chiesa, sicché il
matrimonio fosse invalido o nullo. La «clandestinità» diventava un impedimento dirimente, ossia
invalidante. È a questa conclusione che alla fine giunse il Concilio, malgrado una irriducibile
opposizione.
Per la validità del matrimonio erano necessarie soltanto due condizioni:
a) la presenza del parroco (o del sacerdote debitamente autorizzato);
b) la presenza di due o tre testimoni;
La benedizione del sacerdote non rientra in queste condizioni necessarie per la validità; resta
solo come una richiesta per la liceità.
c. Valutazione
Dunque, l'effetto del decreto si esercita sulle persone, rese inabili a contrarre matrimonio.
Tuttavia, osservano i commentatori, canonisti e teologi, di ieri e di oggi: Il Concilio aggiunge subito,
per consequenzialità, che il contratto stesso è nullo e privo di valore. In realtà, dunque, era il
contratto, e non le persone, ad essere direttamente sottomesso alla nuova forma, a pena di nullità.
Infatti, il diritto canonico, oggi come ieri (CIC 1917, n. 1094; CIC 1983, n. 1108 §1), non
parla più di «persone inabili», ma di matrimoni sottomessi a delle regole. D'altra parte, con il tempo,
venne chiarito il concetto di sostanza del sacramento, che non è necessariamente la materia e la forma,
ma soltanto quello che consta, dalle fonti della rivelazione, che Cristo ha voluto da mantenersi
immutabilmente nel sacramento103. Per il matrimonio, si constata che Cristo ha voluto che fosse un
contratto, ma non ha detto se semplice o solenne. Dunque, questa solennizzazione non si può
considerare parte dell'essenza del contratto, sebbene un condizione sine qua non per la sua validità.
4. Ulteriori sviluppi
a. «Forma ordinaria» e «forma straordinaria»
Posteriormente al Concilio di Trento, viene analizzata la distinzione tra gli elementi essenziali
e quelli accidentali della forma ordinaria del matrimonio canonico. Si crea anche una forma
straordinaria del matrimonio canonico, che ha conosciuto diverse modificazioni. Finalmente vengono
fissate le condizioni per la dispensa della forma canonica. Lo stato della questione si riflette nel CIC
can. 1108-1123, nel can. 1127 per i matrimoni misti, e nel 1129 per il caso di disparità di culto.
b. Confronto tra la disciplina orientale e quella nostra
Nel 1949, riallacciandosi alla disciplina matrimoniale degli Orientali in comunione con Roma,
Pio XII provvide con il can. 85 del «motu propio» Crebe allatæ le condizioni di validità dei matrimoni
da essi contratti. Questo can. 85 richiede, quale elemento necessario per la validità, la presenza del
parroco (o del vescovo, o del sacerdote avente licenza), e dei testimoni (due). Ma a differenza che da
noi, esso richiede in più, perché il matrimonio sia valido, la celebrazione del rito sacro, e in questo rito
sacro, la benedizione del sacerdote. Non è detto che il sacerdote sia «ministro» del sacramento (come
pensano i fratelli separati orientali), né che la benedizione sia elemento costitutivo del sacramento;
essa è da concepirsi come condizione sine qua non di validità.
La differenza tra le discipline cattoliche Occidentale e Orientale si manifesta nelle differenti
redazioni del Codice di Diritto Canonico (CIC - 1983) e il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali
(CCOE - 1990) (si veda tabella in appendice).
103 Cfr. Pio XII, decr. Sacramentum Ordinis (1947) (DS 3875).
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 89
c. Recente derivazione liturgica della benedizione verso la epiclesi
Il fatto che l'edizione riveduta del Ordo celebrandi matrimonium (Editio typica altera 1991)
abbia incluso esplicitamente l'invocazione dello Spirito Santo nella benedizione nuziale, indica
l'intenzione di darle il rango liturgico di epiclesi; e così il Catechismo (n. 1624) parla della «epiclesi
del sacramento» riferendosi alla benedizione, sebbene la disciplina ecclesiale riguardante la
benedizione non è cambiata in niente. Questo può doversi in parte alla rivalorizzazione attuale del
ruolo che lo Spirito Santo svolge in tutta la celebrazione liturgico-sacramentale, e anche in parte a un
avvicinamento ecumenico all'Oriente. Con ciò si apre però un interessante orizzonte di studio
teologico sul ruolo dello Spirito Santo «come comunione di amore tra Cristo e la Chiesa» (cf.
Catechismo, ibid.) nella costituzione, struttura e dinamismo del matrimonio104.
104 Giovanni Paolo II ha dato qualche breve indicazione al riguardo nella Mulieris dignitatem, n. 29 e nella Lettera alle
famiglie, n. 4.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 91
e. Ministro e soggetto105[1]
Affermiamo l'opinione occidentale:
Essendo gli attori responsabili del patto coniugale, i veri ministri sono gli sposi, non il
sacerdote. Si amministrano mutuamente il sacramento. Sono quindi, ministri e soggetti
reciprocamente.
Si richiede che siano liberi da previo matrimonio e senza impedimenti.
1. Gli sposi, ministri del matrimonio
Il primo ad affermarlo fu Duns Scoto: «Ministri sono quelli che si dispensano mutuamente il
sacramento».
I Concili di Firenze e di Trento non precisano nulla sul ministro del matrimonio.
Dopo di Trento, la tesi venne difesa da Bellarmino, Suárez, Sánchez e nel secolo XX è
divenuta dottrina comune.
PIO XII rammentò questa dottrina nella sua enciclica Mystici corporis.
Il Concilio Vaticano II dice che gli sposi sono «cooperatori della grazia» (Apostolicam
Actuositatem 11).
Il Rituale del matrimonio (1969) li considera celebranti.
Il Direttorio Catechistico Generale (1971) parla apertamente di ministri. E così anche diversi
documenti delle conferenze episcopali (p.e. la CEI).
L'idea dei contraenti come ministri stava alla base delle discussioni del Sinodo dei Vescovi
(1980) sui matrimoni di validità dubbiosa per difetto di intenzione da parte dei nubendi. Ciò che
veniva messo in discussione era precisamente l’intenzione dei ministri.
c. Documenti recenti
La Familiaris Consortio applica i termini «ministri» e «ministero» in riferimento alla funzione
educativa e procreativa dei coniugi, ma non al fatto di contrarre il matrimonio. Attribuisce però la
sacramentalità del matrimonio al fatto che i due coniugi siano battezzati (cf. n. 13).
Il CIC (1983) e il CCOE (1990), non adoperano il termino «ministri», ma li chiamano
«celebranti», mentre il parroco (o vescovo, ecc.) è «assistente ufficiale» al matrimonio. Inoltre, si
ammette che il matrimonio-sacramento possa essere celebrato senza la presenza di un ministro
ordinato.
Una interessante svolta nella presentazione della dottrina su questo argomento si è verificata
nel Catechismo della Chiesa Cattolica. La versione iniziale (1992) del n. 1623 diceva:
Nella Chiesa latina, si considera abitualmente che sono gli sposi, come ministri della grazia di
Cristo, a conferirsi mutuamente il sacramento del Matrimonio esprimendo davanti alla Chiesa
il loro consenso. Nelle liturgie orientali, il ministro del sacramento (chiamato « Incoronazione
») è il presbitero o il vescovo che, dopo aver ricevuto il reciproco consenso degli sposi,
incorona successivamente lo sposo e la sposa in segno dell'alleanza matrimoniale.
105[1] Cf. Ligier, p. 107.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 92
La versione corretta secondo l'edizione definitiva latina (1997) dice invece (poniamo in
corsivo le differenze) :
Secondo la tradizione latina sono gli sposi, come ministri della grazia di Cristo, a conferirsi
mutuamente il sacramento del Matrimonio esprimendo davanti alla Chiesa il loro consenso.
Nelle tradizioni delle Chiese orientali, i sacerdoti, vescovi o presbiteri, sono testimoni del
reciproco consenso scambiato tra gli sposi ma anche la loro benedizione è necessaria per la
validità del sacramento (cfr. CCEO cn. 828).
Nell'edizione definitiva, come si vede, si è voluto esporre la dottrina della Chiesa Cattolica, sia
nella sua tradizione latina, sia nella tradizione delle chiese orientali unite a Roma. L'opinione delle
chiese orientali separate, esposta nella prima versione del Catechismo, non è presa in considerazione
qui, il che non vuole dire tuttavia che venga condannata.
d. Riflessione teologica
Come si vede, negli ultimissimi tempi, è prevalsa l'opinione a favore della ministerialità degli
sposi stessi. Dopo il Concilio Vaticano II, tuttavia, tra i teologi, sono stati pochi quelli che, come P.
Adnès, hanno affermato apertamente la dottrina comune. Allo stesso tempo, per motivazioni liturgiche
e canoniche, si era sviluppata una corrente favorevole a sottolineare l'importanza del sacerdote, come
vedremo più avanti. Eppure, alla luce della dottrina del sacerdozio comune dei fedeli, non dovrebbe
sembrare strano che i contraenti possano essere i ministri, soprattutto se si accetta che la loro unione
matrimoniale è sacramento per causa dei loro caratteri battesimali, giacché è precisamente dal
carattere battesimale che procede il sacerdozio comune dei fedeli.
2. Il ruolo del sacerdote
a. Storia della questione
Lungo i secoli, il ruolo del sacerdote venne acquistando più importanza, soprattutto per la
necessità di proibire i matrimoni clandestini. D'altra parte, la formula in uso nel tempo di Trento e
della quale il Concilio parla: «ego coniungo vos in matrimonium in nomine Patris...» aveva tutta
l'apparenza d'una forma sacramentale, come per esempio quella del battesimo. Il decreto Tametsi
richiede la presenza del parroco o di un sacerdote autorizzato, ma anche di due testimoni, per la
validità del matrimonio, ma non dice che il parroco intervenga come ministro.
Il decreto Tametsi non fece, quindi, un dogma della presenza del sacerdote, e di questo ne
sono prova le eccezioni alla forma canonica che man mano sono state approvate e che adesso si
trovano raccolte nel CIC (can. 1112, 1117, 1127).
All'inizio del secolo XX il decreto Ne timere, e poi il Concilio Vaticano II (SC 77), affermano
l'obbligo del sacerdote di chiedere e di ricevere il consenso dei coniugi, e quindi, gli attribuiscono un
ruolo attivo, e non di semplice presenza. Il Concilio Vaticano II chiede inoltre la benedizione ogni
volta che il rito sia celebrato in una Messa, ma non come condizione di validità. La formula «ego
coniungo...» però, è sparita con la riforma liturgica.
b. Altre opinioni attuali
Tra la fine del Vaticano II e la pubblicazione del nuovo CIC è sorta un scuola tendente a
sottolineare di più il ruolo del sacerdote nel matrimonio.
a) Schmaus, in campo teologico, chiede che l'intervento degli sposi e quello del ministro
costituiscano un'azione simbolica unica, giacché, dice, l'azione degli sposi non può essere separata da
quella di tutta la Chiesa. Ma si può rispondere che precisamente per il fatto di essere battezzati, la loro
azione è una azione della Chiesa; e inoltre, c'è la pratica della Chiesa di concedere la dispensa della
presenza del sacerdote.
b) Mörsdoff, May, Corecco, nel campo canonico, sostengono che l'azione del sacerdote è
essenziale alla celebrazione. Altri chiedono di elevare la forma canonica a forma liturgica, ma questo
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 93
non si è fatto nella Chiesa Latina. Come abbiamo visto, il CIC non dice che il matrimonio sia rito
sacro a causa della presenza del sacerdote, ma sì lo dice il CCOE. La forma canonica non esprime la
forma concreta del rito sacro, ma le condizioni che la Chiesa pone per la validità del rito, condizioni
che possono essere dispensate in casi straordinari.
c. Posizione attuale del Magistero nella Chiesa Latina
La Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica, nel suo documento «Orientazioni
educative sull'amore umano» (1983), n. 95, quando parla delle relazioni prematrimoniali dice: «sono
un linguaggio che non trova corrispondenza oggettiva nella vita delle due persone, ancora non
costituite in comunità definitiva, con il necessario riconoscimento e garanzia della società civile e, per
i coniugi cattolici, anche di quella religiosa». Cioè, si afferma la necessita del riconoscimento
ufficiale, ma come condizione, non come causa della costituzione della comunione definitiva. Questo
riconoscimento e garanzia si realizza tramite l'assistente ufficiale al matrimonio, e/o per i due
testimoni.
Il CIC definisce l'assistente al matrimonio come «quel che, stando presente, chiede la
manifestazione del consenso dei coniugi, e la riceve nel nome della Chiesa» (can. 1108, § 2). Si noti
che, con riguardo alla Sacrosantum Concilium 77, il Codice introduce una precisazione: propriamente
parlando il sacerdote non chiede o riceve il consenso, questo lo fanno vicendevolmente gli sposi, ma la
manifestazione esterna del consenso.
d. Giustificazione teologica della presenza dell'assistente ufficiale al matrimonio
Per giustificare che la Chiesa abbia dichiarato questa presenza ufficiale condizione di validità
del sacramento, si possono proporre le seguenti considerazioni:
1) La presenza del sacerdote o assistente autorizzato, o per lo meno di due testimoni, sono un
segno visibile esplicito della presenza della Chiesa e della sua volontà d'impegnarsi con gli sposi (tesi
di DE COCK, in Ligier p. 110). Così anche nel nuovo Catechismo (n. 1630), come vedremo nel
capitolo seguente.
2) Esprimono esplicitamente la dimensione verticale dell'alleanza matrimoniale106[2]. Questa
seconda tesi è più confacente a giustificare la necessità della presenza dell'assistente autorizzato; per
spiegare la presenza dei due testimoni basta quella anteriore. Il matrimonio - come per il resto, gli altri
sacramenti - è un mistero di alleanza con Dio. Questa alleanza ha due dimensioni inseparabili e che si
richiamano a vicenda: verticale, (degli uomini con Dio) e orizzontale (degli uomini fra di loro).
Questo, a livello morale, si rispecchia nel doppio comandamento dell'amore a Dio e dell'amore al
prossimo, che riassumono tutta la Legge e i Profeti (Mt 22, 40).
e. Riflessioni sul simbolismo degli elementi del rito
Il rito del matrimonio nella teologia e nella liturgia Occidentali rispecchia esplicitamente la
dimensione orizzontale: l'alleanza fra l'uomo e la donna. La dimensione verticale si trova implicita per
il fatto che ambedue sono battezzati. Ma si può e si deve esplicitare per la presenza del assistente
ufficiale o quella dei due testimoni.
Nella teologia e nella liturgia Orientali, ciò che si vuole esprimere esplicitamente è la
dimensione verticale, e questo si ottiene con la presenza del sacerdote e il gesto della coronazione, ma
la dimensione orizzontale può e deve esplicitarsi per l'espressione del consenso.
Il fatto che l'assistente ufficiale del matrimonio chieda e riceva il consenso degli sposi nel
nome della Chiesa, rende esplicita la presenza di Cristo, perché come dice la GS n. 48, «come un
tempo Dio ha preso l'iniziativa di un'alleanza di amore e fedeltà con il suo popolo, così ora il Salvatore
degli uomini e sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del
106[2] È questa la tesi che viene proposta dal professore, senz'altro non come alternativa ma come complementare
dell'anteriore.
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matrimonio». La presenza del sacerdote sottolinea il fatto che il matrimonio è «ciò che Dio ha unito»
(Mt 19, 6).
Per concludere, la benedizione nuziale ratificherebbe questa presenza di Cristo, ed
espliciterebbe, se considerata come epiclesi, l'azione speciale dello Spirito Santo implicata in ogni
alleanza matrimoniale tra battezzati: è lo Spirito Santo, Amore intratrinitario, che diventa il loro
vincolo di unione, assumendo ed elevando il loro amore di sposi.
3. Gli sposi come soggetti del matrimonio
Si noti che nell'affermare che i contraenti sono ministri, non si afferma l'autoamministrazione
del matrimonio; cioè, non si dice che ognuno lo amministra a sé stesso, ma che ognuno lo amministra
all'altro, e per questo ognuno è ministro e soggetto rispetto all'altro.
Quanto all’idoneità, si richiedono la debita capacità (CIC cn. 1095) e la carenza
d'impedimenti. Gli impedimenti dirimenti (CIC cn. 1083-1094) rendono invalido il matrimonio.
Alcuni possono essere dispensati previamente dall'autorità competente.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 95
f. Celebrazione
Parliamo brevemente in questa sezione sul modo concreto di celebrare il matrimonio, vale
a dire, fondamentalmente sulla forma liturgica, che, salvo dispensa, deve includere le condizioni
imposte dalla forma canonica (chiamata anche forma ecclesiastica)107[1].
1. Forma canonica
Ha origine, come abbiamo visto, nel decreto Tametsi del Concilio di Trento. La sua finalità è
quella di evitare gli abusi che potrebbero derivare dai matrimoni clandestini. Ha ricevuto delle riforme
lungo i tempi, e qui esporremmo il suo stato attuale secondo il CIC (1983), lib. IV, cp. V108[2].
La forma canonica obbliga, come condizione per la validità del matrimonio come tale (e non
solo della sacramentalità) ogniqualvolta una parte cattolica vuole contrarre matrimonio, sia l’altra
parte cattolica, non cattolica o non battezzata.
Il Codice di Diritto Canonico, al cn. 1117, esentava dell’obbligatorietà della forma canonica i cattolici che si
fossero separati dalla Chiesa Cattolica con un atto formale. Questa eccezione, che era una novità rispetto al
Codice del 1917, è stata però causa di considerevoli difficoltà pastorali, per cui è stata soppressa di recente con il
“motu proprio” Omnium in mente, (2009) di Benedetto XVI, che riassume così le motivazioni: «Tuttavia,
l’esperienza di questi anni ha mostrato, al contrario, che questa nuova legge ha generato non pochi problemi
pastorali. Anzitutto è apparsa difficile la determinazione e la configurazione pratica, nei casi singoli, di questo
atto formale di separazione dalla Chiesa, sia quanto alla sua sostanza teologica sia quanto allo stesso aspetto
canonico. Inoltre sono sorte molte difficoltà tanto nell’azione pastorale quanto nella prassi dei tribunali. Infatti si
osservava che dalla nuova legge sembravano nascere, almeno indirettamente, una certa facilità o, per così dire,
un incentivo all’apostasia in quei luoghi ove i fedeli cattolici sono in numero esiguo, oppure dove vigono leggi
matrimoniali ingiuste, che stabiliscono discriminazioni fra i cittadini per motivi religiosi; inoltre essa rendeva
difficile il ritorno di quei battezzati che desideravano vivamente di contrarre un nuovo matrimonio canonico,
dopo il fallimento del precedente; infine, omettendo altro, moltissimi di questi matrimoni diventavano di fatto
per la Chiesa matrimoni cosiddetti clandestini».
a. Descrizione
1) IN MODO ORDINARIO
Deve farsi davanti all'assistente o testimone ufficiale e a due testimoni. L'assistente al
matrimonio deve chiedere la manifestazione del consenso dei coniugi e riceverla nel nome della
Chiesa.
- Ha potestà ordinaria di assistere: l'ordinario del luogo o il parroco109[3];
- Ha potestà delegata (da uno degli anteriori): il sacerdote o il diacono (can. 1108);
- Può anche avere potestà delegata speciale un laico idoneo, uomo o donna, alle seguente
condizioni:
- gliela deve concedere il Vescovo diocesano;
- in posti dove non ci siano sacerdoti né diaconi;
- previo voto favorevole della Conferenza Episcopale;
107[1] Si ricordino le distinzioni fatte a p. II.1.d -1. 108[2] Esporremo le linee essenziali, per una visione più dettagliata, consultare il testo del codice. 109[3] L'ordinario o il parroco debbono essere quelli del luogo dove uno dei contraenti ha il suo domicilio o quasi-domicilio, o
ha risieduto per un mese; o se si tratta di nomadi, del luogo dove si trovino. Con licenza dell'ordinario o del proprio parroco,
si può celebrare il matrimonio in qualsiasi altro luogo (cn. 1115). Godono d'identica potestà gli ordinari e i parroci personali
su quelli che sottostanno alla propria giurisdizione (cn. 1110).
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- e licenza della Santa Sede (can. 1112);
2) IN MODO STRAORDINARIO
Quando non c'è persona competente secondo il diritto per assistere al matrimonio o non si
trova, coloro che intendono contrarre matrimonio possono farlo validamente e lecitamente con la
presenza di soli due testimoni, nelle seguenti circostanze:
- in pericolo di morte;
- senza pericolo di morte, se si prevede che la situazione descritta si prolungherà durante un
mese (can. 1116);
3) DISPENSA DALLA FORMA CANONICA
Può essere concessa per i matrimoni misti se c'è grave difficoltà per osservare la forma
canonica. La dispensa dev'essere concessa dall'ordinario del luogo della parte cattolica, consultandosi,
se si celebra fuori del suo territorio, con l'ordinario del luogo dove si celebra (can. 1127, §2).
4) CON QUELLI DI RITO ORIENTALE SEPARATO
Contrariamente, nei matrimoni tra parte cattolica e parte separata di rito orientale, è anche richiesto per
la validità l'intervento del ministro sacro (can. 1127, § 1)110[4].
b. Giustificazione teologica della forma canonica
Esponiamo le ragioni che dà il Catechismo (n. 1631)111[5].
1) La presenza del ministro della Chiesa (e anche dei testimoni) esprime visibilmente che il
matrimonio è una realtà ecclesiale (n. 1630). Questa è la ragione basica, le seguenti la spiegano.
2) Il matrimonio sacramentale è un atto liturgico. È quindi conveniente che venga celebrato nella
liturgia pubblica della Chiesa.
3) Il matrimonio introduce in un ordo - ordine112[6] - ecclesiale, crea dei diritti e dei doveri nella
Chiesa, fra gli sposi e verso i figli.
4) Poiché il matrimonio è uno stato di vita nella Chiesa, è necessario che vi sia certezza sul
matrimonio (da qui l'obbligo di avere dei testimoni).
5) Il carattere pubblico del consenso protegge il «sì» una volta dato e aiuta a rimanervi fedele.
2. Forma liturgica
a. Condizioni per la sacralità del rito
La Chiesa Cattolica occidentale considera come atto liturgico ogni matrimonio sacramentale,
compresso quello celebrato con la forma canonica straordinaria o con dispensa di essa. Possiamo dire
che le condizioni necessarie affinché il matrimonio sia rito sacro sono quelle richieste per la validità
della celebrazione.
I cattolici orientali la pensano diversamente, e perciò pur ammettendo la forma canonica
straordinaria, obbligano a ricevere la benedizione del sacerdote al più presto possibile. Per loro il rito è
considerato sacro con la presenza del sacerdote che assiste e benedice (CCOE, cn. 828 §2).
110[4] Si ricordi che i matrimoni tra cattolici di rito orientale possono essere celebrati anche con la forma canonica
straordinaria, ma gli sposi restano obbligati a ricevere la benedizione al più presto possibile. 111[5] Le ragioni 3, 4 e 5, possono applicarsi anche al matrimonio naturale con riguardo alla legge civile, 112[6] Uno «status» o stato di vita nella Chiesa.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 97
b. Il Rituale Latino del matrimonio
Il CIC prescrive che «fuori del caso di necessità, nella celebrazione del matrimonio vanno
osservati i riti prescritti nei libri liturgici approvati dalla Chiesa o introdotti da consuetudini legittime»
(can. 1119). E aggiunge che, rispettando la forma canonica, le diverse Conferenze Episcopali possono
elaborare, con il riconoscimento della Santa Sede, un rito proprio del matrimonio in sintonia con gli
usi dei luoghi e dei popoli (can. 1120), raccogliendo così le indicazioni date dal Concilio Vaticano II
(SC 77)113[7].
I rituali matrimoniali in molti paesi sono adattamenti, senza molte divergenze, dell'Ordo
Celebrandi Matrimonium promulgato dalla Santa Sede nel 1969 (e riveduto nel 1991). Là si stabilisce
che il matrimonio, ordinariamente deve celebrarsi all'interno della Messa, dopo l'omelia e prima
dell'offertorio.
Le ragioni per cui è conveniente celebrare il matrimonio all'interno della Messa vengono
bellamente esposte nel nuovo Catechismo al n. 1621: «È dunque conveniente che gli sposi sugellino il
loro consenso a donarsi l'uno all'altro mediante l'offerta delle loro proprie vite, unendola all'offerta di
Cristo per la sua Chiesa, resa presente nel sacrificio eucaristico, e ricevendo l'Eucaristia, affinché nel
comunicare al medesimo Corpo e al medesimo Sangue di Cristo, essi "formino un solo corpo" in
Cristo (cfr. 1Cor 10, 16)».
Nel rituale si devono mettere in luce i seguenti elementi (OCM n. 6):
- La liturgia della parola, nella quale si pone di rilievo l'importanza del matrimonio cristiano all'interno della storia
della salvezza e il suo ruolo nella santificazione degli sposi e dei figli.
- Il consenso dei coniugi, che vine richiesto e ratificato dal sacerdote o diacono assistente.
- La tradizionale orazione (o benedizione) sulla sposa, mediante la quale il sacerdote invoca la benedizione di Dio
sull'alleanza coniugale. (Attualmente nella benedizione della sposa si include lo sposo e si invoca esplicitamente lo Spirito
Santo). S'imparte dopo il Padre nostro, omettendo l'embolismo.
- Finalmente, la comunione eucaristica degli sposi e degli altri assistenti, per la quale si alimenta la carità e si
rinsalda l'unione con il Signore e con i fratelli.
c. Lettura teologico-liturgica della celebrazione del matrimonio
Nella Familiaris consortio (n. 13) si dice che il sacramento del matrimonio è memoriale
(memoria, attualizzazione, profezia) dell'unione Cristo-Chiesa realizzata nel Mistero pasquale:
Gli sposi sono pertanto il richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla Croce;
sono l'uno per l'altra, e per i figli, testimoni della salvezza, di cui il sacramento li rende
partecipi. Di questo evento di salvezza il matrimonio, come ogni sacramento, è memoria,
attualizzazione e profezia.
Questi tre momenti teologici, riferiti qui al matrimonio «in actu esse» trovano pure riscontro
nel matrimonio «in fieri», cioè, nella celebrazione liturgica, come vedremo subito:
1) TEMPO ANAMNETICO (MEMORIA):
a) Teologicamente: in quanto memoria, il sacramento dà agli sposi la grazia e il dovere di
ricordare le grandi opere di Dio, nonché di renderne testimonianza davanti ai figli.
b) Liturgicamente: il suo momento celebrativo corrisponde alla Liturgia della Parola. L'Antico
Testamento ricorda l'aspetto antropologico e religioso del matrimonio: la creazione della prima coppia,
113[7] Il recente documento della SACRA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI La liturgia
romana e la inculturazione (1994), al numero 57 afferma: «Il rituale del matrimonio è quello che richiede, in numerosi paesi,
un più grande adattamento, al fine di non risultare estraneo ai costumi locali. Perciò, ogni Conferenza Episcopale ha la facoltà
di preparare un rito proprio per il matrimonio, che sia confacente alle usanze del luogo e delle popolazioni; eppure, deve
rimanere ferma la norma secondo cui il ministro ordinato o laico che assiste, a seconda dei casi, deve chiedere e ricevere il
consenso dei contraenti, nonché venga impartita agli sposi la benedizione nuziale. Questo rito proprio dovrà senz'altro,
esprimere chiaramente il senso cristiano del matrimonio così come la grazia del sacramento, e sottolineare i doveri degli
sposi».
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 98
l'istituzione del matrimonio. Il Nuovo Testamento, nel Vangelo, ci presenta la presenza di Cristo nelle
nozze di Cana e il suo discorso sul matrimonio e il divorzio, e negli insegnamenti di San Paolo, ci
spiega il riferimento del matrimonio cristiano al Mistero di Cristo. Fa sorgere così la coscienza di
essere inseriti nel mistero o disegno divino di salvezza.
2) TEMPO DI ATTUALIZZAZIONE
a) Teologicamente: in quanto attualizzazione, il matrimonio dà agli sposi la grazia e il dovere
di mettere in atto nel presente, l'uno verso l'altro e verso i figli, l'esigenze di un amore che perdona e
redime.
b) Liturgicamente consiste nel patto mutuo dei due nubendi, realizzato espressamente da loro
in seguito alla domanda del sacerdote, che riceve il patto nel nome della Chiesa. Questo impegno:
- È personale di ciascuno con Cristo. È un approfondire nella propria alleanza battesimale-
sponsale con Cristo.
- È, allo stesso tempo, mutuo. S'impegnano l'uno con l'altro, in modo che le promesse
battesimali, che finora hanno vissuto individualmente, saranno vissute ora in modo sponsale.
Riproducono nel loro amore l'amore tra Cristo e la Chiesa.
- È anche comune con Cristo. È questa la dimensione verticale dell'alleanza, come l'anteriore era
quella orizzontale. A causa del matrimonio, la coppia diventa «Chiesa domestica», e ad ambedue
Cristo va incontro: «così come un tempo Dio ha preso l'iniziativa di un'alleanza di amore e fedeltà con
il suo popolo, così ora il Salvatore degli uomini e sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi
cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Inoltre, rimane con loro perché, come egli stesso ha
amato la Chiesa e si è dato per essa, così anche i coniugi possano amarsi l'un l'altro fedelmente, per
sempre con mutua dedizione» (GS n. 48).
Nella forma completa della celebrazione del matrimonio, la dimensione verticale viene
esplicitata dalla presenza del sacerdote, ma possiamo anche considerarla implicitamente presente
quando il matrimonio si celebra con il solo consenso degli sposi davanti ai testimoni.
3. TEMPO PROFETICO-EPICLETICO
a) Teologicamente: in quanto profezia, dà loro la grazia e il dovere di vivere e di testimoniare
la speranza del futuro incontro definitivo con Cristo. Il matrimonio diventa così proclamazione del
mistero di Cristo e annunzio della sua realizzazione definitiva nella gloria.
b) Liturgicamente inizia con la Liturgia Eucaristica; i momenti principali sono:
- La benedizione (o epiclesi) che invoca su di essi la presenza dello Spirito Santo, con le grazie
e benedizioni necessarie per compiere la loro missione e poter «partecipare un giorno alla gioia del
banchetto eterno».
- Segue la comunione, fonte di grazie e pegno della gloria futura in cui si realizzerà l'unione
totale e perfetta con Cristo e in Cristo. Comunicando nello stesso Corpo e Sangue di Cristo, formano
«una sola carne» in Cristo (cf. Catechismo n. 1621).
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 99
Appendice: Comparazione tra i canoni orientali e occidentali
CCOE (Codice del Canoni delle Chiese Orientali) CIC (Codice di Diritto Canonico)
776 - §1. Il patto matrimoniale, fondato dal Creatore
e strutturato di sue leggi, mediante il quale l’uomo e
la donna stabiliscono tra loro, con irrevocabile
consenso personale, il consorzio dell’intera vita, per
sua indole naturale è ordinato al bene dei coniugi e
alla generazione ed educazione dei figli.
- §2. Per istituzione di Cristo il matrimonio valido tra
battezzati è, per il fatto stesso, un sacramento con il
quale i coniugi sono uniti da Dio a immagine
dell’unione indefettibile di Cristo con la Chiesa e
sono quasi consacrati e irrobustiti dalla grazia
sacramentale.
1055 - '1. Il patto matrimoniale con cui l'uomo e la
donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita,
per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla
procreazione e educazione della prole, tra i battezzati
è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di
sacramento.
- '2. Pertanto tra i battezzati non può sussistere un
valido contratto matrimoniale, che non sia per ciò
stesso sacramento.
817 - §1. Il consenso matrimoniale è l’atto di volontà
con cui un uomo e una donna, con patto irrevocabile,
si danno e si accettano reciprocamente per costituire il
matrimonio.
- '2. Il consenso matrimoniale non può essere supplito
da nessuna potestà umana.
1057 - '1. L'atto che costituisce il matrimonio è il
consenso delle parti manifestato legittimamente tra
persone giuridicamente abili; esso non può essere
supplito da nessuna potestà umana.
- '2. Il consenso matrimoniale è l'atto della volontà
con cui l'uomo e la donna, con patto irrevocabile,
danno e accettano reciprocamente se stessi per
costituire il matrimonio.
828 - '1. Sono validi soltanto i matrimoni che si
celebrano con rito sacro alla presenza del Gerarca del
luogo o del parroco del luogo o di un sacerdote al
quale, dall’uno o dall’altro, è stata conferita la
facoltà di benedire il matrimonio, e almeno di due
testimoni, secondo tuttavia le prescrizioni dei canoni
che seguono, e salve le eccezioni di cui nei cann. 832
e 834, §2.
- '2. Questo rito si ritiene sacro con l’intervento
stesso del sacerdote che assiste e benedice.
1108 - '1. Sono validi soltanto i matrimoni che si
contraggono alla presenza dell'Ordinario del luogo o
del parroco o del sacerdote oppure diacono delegato
da uno di essi che sono assistenti, nonché alla
presenza di due testimoni, conformemente, tuttavia,
alle norme stabilite nei canoni seguenti, e salve le
eccezioni di cui ai cann. 144, 1112, §1, 1116 e
1127, §§2-3.
- '2. Si intende assistente al matrimonio soltanto
colui che, di persona, chiede la manifestazione del
consenso dei contraenti e la riceve in nome della
Chiesa.
834 - '1 La forma di celebrazione del matrimonio
prescritta dal diritto deve essere osservata se almeno
l’una o l’altra parte dei celebranti il matrimonio è
stata battezzata nella Chiesa cattolica o in essa accolta.
- '2. Se invece la parte cattolica ascritta a una Chiesa
orientale sui iuris celebra il matrimonio con una parte
che appartiene alla Chiesa orientale acattolica, la
forma di celebrazione del matrimonio prescritta dal
diritto dev’essere osservata solo per la liceità; per la
validità invece è richiesta la benedizione del
sacerdote osservando quanto è da osservarsi per il
diritto.
1117. La forma qui sopra stabilita (cc. 1108-1116)
deve essere osservata se almeno una delle parti
contraenti il matrimonio è battezzata nella Chiesa
cattolica o in essa accolta [e non separata dalla
medesima con atto formale]114, salve le disposizioni
del can. 1127, §2.
1127 - '1. Relativamente alla forma da usare nel
matrimonio misto, si osservino le disposizioni del
can. 1108; se tuttavia la parte cattolica contrae
matrimonio con una parte non cattolica di rito
orientale, l'osservanza della forma canonica della
celebrazione è necessaria solo per la liceità; per la
validità, invece, si richiede l'intervento di un
ministro sacro, salvo quant'altro è da osservarsi a
norma del diritto.
114 Frase eliminata per disposizione del "Motu Proprio" Omnium in mentem (26 ottobre 2009).
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 100
Osservazioni
Il codice orientale è principalmente incentrato sul rito. A questo attribuisce la “fondazione” da parte del Creatore
e le leggi e i fini del matrimonio, anziché alla comunità costituita da esso, come invece fa il codice latino.
Attribuisce all’istituzione di Cristo l’esistenza del sacramento in ogni matrimonio valido tra battezzati, evitando
di usare il concetto di “elevazione a sacramento” per spiegare il modo dell'istituzione (CCOE cn. 776). Inoltre,
attribuisce la “consacrazione” degli sposi all’alleanza stessa, anziché metterla in rapporto al vincolo, come
invece fa il codice latino (CIC cn. 1134).
Evita, nel parlare sugli elementi del rito, i concetti di “causa” o “condizione sine qua non”. Così evita
ugualmente di dire che il matrimonio è causato dal consenso, benché presenti questo come componente
essenziale del patto (CCOE cn. 817).
Fa dipendere la validità del matrimonio, oltre che dalla forma canonica, dalla “sacralità” (non usa
“sacramentalità”) del rito, e questa, a sua volta, dalla presenza e azione del sacerdote “che assiste e benedice”
(CCOE cn. 828 '2), benché consideri gli sposi “celebranti” (CCOE cn. 834). Non dice però che la presenza del
ministro sacro sia la causa della sacralità, dice soltanto che fa sì che “si consideri sacro”. Indica esplicitamente
che il ministro sacro deve essere abilitato per benedire (CCOE cn. 828 '1). Non entra, quindi, nella questione del
ministro del sacramento (neanche d’altronde lo fa il CIC) anche se chiama i contraenti “celebranti” (CCOE cn.
834 '1), termine cha non si trova sul CIC (cn. 1117).
Quando tratta sulle eccezioni alla forma canonica dice: «Se il matrimonio è stato celebrato davanti ai soli
testimoni, i coniugi non trascurino il ricevere al più presto possibile la benedizione del sacerdote» (CCOE cn.
832 '3). Questa indicazione non si trova nel canone corrispondente occidentale (CIC cn. 1116). Tuttavia sembra
che il matrimonio si consideri ormai esistente, perché si parla di “coniugi”, cioè, di persone sposate.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica, al n. 1623, in riferimento al cn. 828, afferma:
Secondo la tradizione latina sono gli sposi, come ministri della grazia di Cristo, a conferirsi
mutuamente il sacramento del Matrimonio esprimendo davanti alla Chiesa il loro consenso. Nelle
tradizioni delle Chiese orientali, i sacerdoti, vescovi o presbiteri, sono testimoni del reciproco consenso
scambiato tra gli sposi ma anche la loro benedizione è necessaria per la validità del sacramento (cfr.
CCEO cn. 828).
Rimane l’ambiguità sul ruolo della benedizione, si necessaria come causa o come condizione sine qua non del
matrimonio. Non sembra, però, che, stando al cn. 776 '2, si posa dire che il matrimonio in forma straordinaria
senza benedizione sarebbe valido come matrimonio naturale e non come sacramento. Si tratta soltanto di una
sospensione temporanea dell’intervento della benedizione, come sia che questo si possa intendere.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 101
g. Inseparabilità tra patto coniugale e sacramento
Secondo il CIC «tra i battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale, che
non sia per ciò stesso sacramento» (can. 1055 § 2).
È un corollario di quanto abbiamo visto, ed è stato proposto con saldezza sin dal momento in cui,
nel XII. sec., si affermò che il consenso era l'elemento essenziale del patto matrimoniale, anche se,
per mancanza di consumazione, non fosse ancora perfettamente consolidato.
Lungo i secoli sono sorti dei dubbi circa la separabilità di contratto naturale e sacramento. Il
problema ha conosciuto forme primitive, moderne e recenti, come vedremo.
Presupposti e impostazione del problema
Il problema non poteva aver inizio se non dopo essersi chiariti due punti essenziali:
- La definizione dell'elemento essenziale del matrimonio, identificato con il contratto/patto
coniugale (= consenso) contraddistinto dalla benedizione e dalla consumazione (ss. IX - XIII).
- L'affermazione magisteriale della sacramentalità del matrimonio (sec. XII -XIII).
Il problema era: a quali condizioni il patto coniugale è un sacramento?
Forme primitive del dubbio
1) MATRIMONIO DEI MUTI: una questione medievale oggi risolta, dal momento che la espressione del
consenso non richiede di essere necessariamente verbale.
2) MATRIMONIO CON PROCURATORE: la legislazione canonica non opponeva difficoltà: vi sono decretali
in questo senso di Innocenzo III e di Bonifacio VIII. Ma durante il Concilio di Trento si avanzò il dubbio sulla
loro sacramentalità. La difficoltà si ripresentò dopo il Concilio a proposito dell'interpretazione del decreto
Tametsi; ma poi venne abbandonata. La Chiesa lo ammette a certe condizioni: cfr. CIC, can. 1105.
A) PROBLEMATICA ANTICA SULL’INSEPARABILITÀ CONTRATTO-SACRAMENTO
Discussioni di Trento: prima affermazione della separabilità
Durante e dopo il Concilio, le maggiori obiezioni all'inseparabilità contratto-sacramento furono le
seguenti:
a. La mancanza della dovuta intenzione per il sacramento
L'atto essenziale del sacramento è il consenso delle parti, che richiede l'intenzione di sposarsi.
Nel Concilio di Trento, nelle discussioni a proposito del decreto Tametsi, in base al principio
dell'inseparabilità contratto-sacramento si sosteneva «che la Chiesa non potendo mutare l'essenza del
sacramento, non può neanche mutare quella del matrimonio». A tale argomento si oppose
l'arcivescovo di Granada, Guerrero, che disse: «Se due battezzati hanno intenzione di congiungersi in
matrimonio senza realizzare il sacramento, fra essi ci sarà matrimonio, e non interverrà il sacramento:
come ciò che non è preso da chi non vuole». Dopo Trento questo argomento fu seguito da parecchi
teologi gesuiti, domenicani e anche dalla scuola tomista dei Carmelitani di Salamanca e da altri.
b La benedizione sacerdotale come costitutiva del sacramento
a) Durante lo stesso Concilio di Trento e discussione sul Tametsi, alcuni padri, appoggiandosi sulla Decretale
pseudoisidoriana di Evaristo, pretendevano che fra «le parole» necessarie alla costituzione del sacramento vi
fossero non solo quelle degli sposi, bensì anche le parole del sacerdote. Senza di ciò, il matrimonio sarebbe solo
un contratto valido, non legittimo, e come sacramento del tutto invalido.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 102
b) Poco dopo, intervenne la tesi di MELCHIORE CANO, già studiata. Le parole del sacerdote (= benedizione)
sarebbero la «forma» cioè l'elemento decisivo del sacramento. Senza di esse il matrimonio, pur essendo contratto
valido, non sarebbe sacramento.
Trento non risolve la questione
Il can. 1 di Trento sul matrimonio (DS 1081) condanna chi nega che il matrimonio sia uno dei sette
sacramenti della Nuova Legge, che sia istituito da Cristo e che conferisca la grazia.
Ma nel definire la sacramentalità del matrimonio, ha evitato di applicarla esplicitamente a tutti i
matrimoni tra cristiani, senza possibili eccezioni: non voleva negare spazio ai matrimoni
eventualmente non sacramentali.
Quanto alla necessità della benedizione del sacerdote e delle parole da lui pronunciate, l'informazione dei Padri
conciliari non era adeguata, né le loro prese di posizione abbastanza comuni e ferme; essi credevano autentica la
Decretale pseudoisidoriana di Papa Evaristo, e non conoscevano la tesi di CANO per poterla discutere. Non è
però affatto lecito abusare delle esitazioni di Trento come argomento per la separabilità contratto-sacramento;
ogni concilio lascia le porte aperte a un futuro sviluppo.
Dopo Trento due furono le principali problematiche:
- I matrimoni misti tra cattolici e protestanti, per mancanza d'intenzione sul sacramento nella parte
protestante.
- La tendenza regalista e laicista, che cercava la separazione tra contratto e sacramento al fine di poter
riconoscere allo Stato la competenza esclusiva sul contratto, lasciando alla Chiesa soltanto il potere sulla
santificazione di esso con la benedizione.
Problema con riguardo ai protestanti e ai matrimoni tra cattolici e protestanti
Per ciò che riguarda il problema dei matrimoni misti, esso venne chiarito con l'intervento delle due
Congregazioni pontificie istituite dopo Trento: quella del Concilio e quella del Sant'Uffizio.
Siccome i protestanti non credevano nella sacramentalità del matrimonio, sorse il dubbio sulla
sacramentalità dei loro matrimoni. Soprattutto nel caso di matrimoni con parte cattolica. Ma dalla
giurisprudenza non viene preso in considerazione il problema della mancanza di fede nella
sacramentalità, ma la possibile mancanza di desiderio di contrarre un matrimonio secondo il piano di
Dio.
A proposito dei matrimoni misti, da questa giurisprudenza risultava che non si ammetteva l'invalidità
del matrimonio contratto dal non-cattolico, adducendo come pretesto il fatto dell'opinione della parte
protestante sulla possibilità di divorzio in caso di adulterio, a meno che la suddetta opinione non fosse
stata il motivo prevalente ed esclusivo del matrimonio. Si riteneva, invece, il matrimonio valido nella
maggioranza dei casi, cioè quando tra i motivi del matrimonio tale opinione era soltanto un argomento
tra molti. Orbene, secondo questa giurisprudenza, i matrimoni sono ritenuti validi sia come contratti,
che come sacramenti.
Tesi regaliste e laiciste sulla separabilità
Nei secoli XVII e XVIII tesi regaliste e laiciste insistevano sulla possibilità di separazione tra contratto
e sacramento, facendo uso della tesi de Melchior Cano che considerava il contratto la materia del
sacramento e la benedizione la forma.
Coll'affermarsi delle pretese regaliste e laiciste, e con la conseguente progressiva secolarizzazione del
matrimonio, la Santa Sede si rese conto dell'importanza del nostro corollario e della gravità dell'asserto della
separabilità tra contratto e sacramento.
Pio VI condannò il Sinodo di Pistoia (1786) favorevole alle tesi regaliste, resistette a Giuseppe II ed aiutò il clero
francese contro le leggi rivoluzionarie sul matrimonio civile e sul divorzio.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 103
La risposta di Pio IX: l'inseparabilità è “dottrina della Chiesa Cattolica”: il sacramento non è
qualcosa di aggiunto al contratto.
PIO IX nella lettera al re Vittorio Emanuele (1852) dice:
È dogma di fede essere elevato il Matrimonio da N. S. G. C. alla dignità di Sacramento, ed è
dottrina della Chiesa cattolica che il Sacramento non è una qualità accidentale aggiunta al
contratto, ma è di essenza al Matrimonio stesso, così che l'unione coniugale non è legittima se
non nel Matrimonio-Sacramento, fuori del quale non vi è che un pretto concubinato. Una
legge civile che supponendo divisibile la validità, contraddice alla dottrina della Chiesa,
invade i diritti della medesima... .
Ovviamente, in questo documento, Pio IX si riferisce al matrimonio tra battezzati.
In realtà soltanto si potrebbe dire che Trento aveva definito come dogma di fede il fatto dell'istituzione
del sacramento del matrimonio, ma non il fatto che l'istituzione consistesse nell'elevazione a
sacramento. Pio IX in questa lettera non pretende usare la sua suprema autorità magisteriale, quindi,
unicamente fa un'interpretazione di Trento, non una dichiarazione dogmatica sull'elevazione del
matrimonio a sacramento.
Lo stesso ripete un po' dopo in un'allocuzione, e finalmente nel Syllabus (1864) condanna la seguente
proposta: «Il sacramento del matrimonio non è che una cosa accessoria al contratto e da questo
separabile, e lo stesso sacramento è riposto nella sola benedizione nuziale».
Pio IX non voleva condannare la tesi di Melchior Cano che considerava la benedizione la forma del
sacramento, ma le tesi regaliste e laiciste secondo cui mancando la benedizione il matrimonio tra
battezzati non sarebbe altro che un matrimonio meramente naturale.
Discussioni del C. Vaticano I: nuova difesa della separabilità
Nella commissione teologico-dogmatica preparatoria al Concilio Vaticano I, G. TOSA difese che la
dottrina dell'inseparabilità assoluta non poteva essere definita di fede, neppure come contenuta
implicitamente in un'altra verità esplicitamente rivelata ma ciò contrastava con la dottrina chiaramente
affermata da Pio IX.
L'enciclica Arcanum divinæ sapientiæ di Leone XIII (1880): l'inseparabilità è logica conseguenza
dell'elevazione a sacramento del contratto fatto secondo il diritto.
L'enciclica Arcanum divinae sapientiae afferma: «secondo la tradizione universale, Cristo Signore ha
innalzato il matrimonio alla dignità di sacramento» (DS 3142). Evita applicare il termine “dogma di
fede” al fatto dell'elevazione a sacramento, ma lo considera conforme alla “tradizione universale della
Chiesa” e quindi per lo meno come dottrina definitiva.
Contro le tesi sulla separazione tra contratto e sacramento afferma che «nel matrimonio cristiano il
contratto non è dissociabile dal sacramento; perciò non può sussistere un vero e legittimo contratto che
non sia al tempo stesso sacramento. Infatti, Cristo Signore elevò il matrimonio alla dignità di
sacramento; ora, il matrimonio è lo stesso contratto, quando sia fatto secondo il diritto» (DS 3145)
La dottrina dell'inseparabilità contratto-sacramento viene considerata una logica conseguenza
dell'elevazione a sacramento. Posteriormente troverà espressione giuridica nel CIC del 1917 (can.
1012 ' 2).
Pio XI: il consenso stesso è segno di grazia
PIO XI nella sua enciclica Casti connubii, del 1929 afferma la stessa dottrina, basandosi sul fatto che il
contratto stesso è segno de grazia:
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E poiché Cristo... stabilì che lo stesso valido consenso matrimoniale tra fedeli fosse il segno
della grazia; quindi è che la ragione di sacramento va col coniugio cristiano così strettamente
connessa, che tra battezzati non può darsi matrimonio che non sia con ciò stesso anche
sacramento.
B) PROBLEMATICA ODIERNA DEL DUBBIO: FEDE E INTENZIONE (1969-1981)
Origini della problematica odierna
1) Dal 1930 al 1960 nella pastorale nuziale si rilevano indirizzi soprattutto ottimistici: l'età del
fidanzamento è vista come piena di generosità e di fede, adatta alla preparazione del sacramento, e si tralascia la
pastorale prematrimoniale.
Il fondamento teologico di questo atteggiamento è la dottrina magisteriale del secolo XIX sulle relazioni
tra ragione, fede e grazia. Si insiste nell'accettazione implicita da parte della sola ragione di diversi aspetti della
fede e della morale cristiana. Ottimismo che fino a un certo punto inspirò parte del Concilio Vaticano II.
2) Nel posconcilio questo indirizzo ottimistico perdurò nella teologia dei rapporti tra natura e grazia,
nella pastorale delle conversioni e anche nell'atteggiamento ecclesiale di fronte alle religioni non cristiane. Ma
scomparve sovente nella pastorale dei sacramenti, sopraffatto dalla volontà di serietà e di autenticità, che guidava
la restaurazione liturgica. Da qui sorgono nuovi dubbi sull'inseparabilità contratto-sacramento basati sulla
mancanza della fede e la mancanza d'intenzione.
Due punti storici di riferimento sono:
- La pubblicazione del Nuovo Rito del matrimonio (1969)
- L'esortazione apostolica Familiaris consortio (1981)
Il nuovo Rituale del matrimonio (1969)
Nell'introduzione al nuovo Rito, la premessa VII contiene uno dei punti di discussione: «in modo
particolare ravvivino ed alimentino, i pastori di anime, la fede di chi sta per contrarre il matrimonio;
giacché questo sacramento suppone ed esige la fede».
Si potrebbe interpretare questo esige sia come una espressione di necessità per la validità del
sacramento sia come semplice postulato di convenienza pastorale.
Prese di posizione sulla mancanza di fede e d'intenzione: si riapre il dibattito sulla separabilità
Tra la pubblicazione del nuovo rito e il Sinodo dei vescovi del 1980, parecchi teologi si sono cimentati
con il problema dell'importanza della fede per il matrimonio. Da essi furono distinti e contemplati vari
casi di mancanza di fede:
- i battezzati che hanno apertamente rinnegato la loro fede (apostati di modo esplicito e formale)
- altri che, pur non avendola rinnegata, l'hanno però praticamente abbandonata (i non credenti, o
per meglio dire, gl'indifferenti);
- infine, quelli che si sono presentati come “malamente credenti”, cioè che credono con una fede
sociologica, ispirata ad usanze familiari, per scopi interessati, non religiosi, ecc.
La domanda di fondo era se la mancanza di fede cristiana in generale, o la mancanza in concreto di
fede nel matrimonio come sacramento, suppone necessariamente la mancanza d’intenzione di attuare
(come ministri) o di ricevere (come soggetti) il sacramento, nel cui caso, il sacramento non
esisterebbe.
Secondo J. M. AUBERT la mancanza di fede viene contemplata come un obex (letteralmente:
sbarramento, barriera) al sacramento. A questo riguardo si sottolinea il fatto che tra i latini, gli sposi
sono considerati i ministri del sacramento. MARTELET, nelle sue 16 tesi cristologiche sul matrimonio -
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 105
pubblicate nel 1977 con la garanzia della Commissione Teologica Internazionale, che le fece proprie -
da un lato affermava la fondamentazione della sacramentalità del matrimonio nella condizione di
battezzati, ma dall’altro sottolineava la necessità di una “adesione liberamente data al battesimo” da
parte dei coniugi perché il loro matrimonio raggiungesse la sacramentalità.
«L'atto di alleanza coniugale, spesso chiamato contratto, che raggiunge la realtà di sacramento quando
si tratta di sposi cristiani, non si stabilisce come semplice effetto giuridico del battesimo. Per il fatto che
la promessa coniugale di una cristiana e di un cristiano è un vero sacramento, tocca la loro identità
cristiana, che viene assunta da loro a livello dell'amore che si giurano in Cristo. Mentre il loro patto
coniugale li dona l'una all'altro, li consacra anche a colui che è lo sposo per eccellenza e che insegnerà
loro a diventare anch'essi dei coniugi realizzati. Il mistero personale di Cristo penetra, quindi,
dall'interno la natura di patto umano o di "contratto". Esso diventa sacramento solo se i futuri sposi
accettano di entrare nella vita coniugale passando attraverso Cristo al quale, mediante il battesimo sono
incorporati. La loro libera adesione al mistero del Cristo è talmente essenziale alla natura del
sacramento che la Chiesa vuole assi curarsi, attraverso il ministero del presbitero, circa l'autenticità
cristiana del loro impegno. Quindi, l'alleanza coniugale umana non diventa sacramento in forza di uno
statuto giuridico, efficace per se stesso indipendentemente da ogni adesione liberamente data al
battesimo. Lo diventa invece in virtù del carattere pubblicamente cristiano che comporta nel suo intimo
l'impegno reciproco e che, inoltre, permette di stabilire in quale senso gli sposi stessi sono ministri del
sacramento. (tesi 9) (…) Spetta dunque alla Chiesa verificare se le disposizioni dei futuri sposi
corrispondono realmente al battesimo che essi hanno già ricevuto, come spetta ad essa dissuaderli, se
fosse necessario, dal porre un gesto che sarebbe offensivo nei confronti di colui di cui essa è testimone
(tesi 10»).
Orbene, questi autori non pretendono negare l’inseparabilità tra contratto e sacramento, ma in questo
caso, essendo la mancanza di fede un obice per il sacramento, lo sarebbe anche per il matrimonio
come tale, e allora, come si differenzierebbe questo obex dal classico impedimento dirimente? E se
non si può precisare la differenza, come spiegare che la Chiesa ha potuto per vari secoli ignorare un
impedimento dirimente di tale peso e frequenza?
Secondo Corecco la mancanza di intenzione ministeriale non sarebbe un impedimento così certo,
poiché la condizione ministeriale degli sposi non è dogma di fede ed è contestata dagli Orientali,
mentre il punto comune e indubbio è la loro condizione di soggetti del sacramento.
Come abbiamo visto, la posizione ufficiale della Chiesa riguardo la ministerialità dei contraenti non è
rimasta del tutto chiara fino alla pubblicazione dell'edizione ufficiale latina del Catechismo della
Chiesa Cattolica (a. 1997) (cfr. n. 1623).
Di fronte a questi problemi, alcuni hanno suggerito la possibilità di un matrimonio tra battezzati ma
ormai non-credenti che sia valido come contratto naturale, senza essere per questo sacramento,
contrariamente a quanto espresso dal CIC del 1917 (can. 1012 ' 2).
La risposta della Familiaris consortio (n. 68).
1. Riconosce la casuistica riguardante la fede dei nubendi:
... La fede, infatti, di chi domanda alla Chiesa di sposarsi può esistere in gradi diversi ed è
dovere primario dei pastori di farla riscoprire, di nutrirla e di renderla matura.
2. Ma non c'è bisogno di esigere una fede perfetta, ciò che conta è l'intenzione di sposarsi secondo il
disegno divino, questa basta per considerare che implicitamente si accetta il resto:
Ma essi devono anche comprendere le ragioni che consigliano alla Chiesa di ammettere alla
celebrazione anche chi è imperfettamente disposto. Il sacramento del matrimonio ha questo di
specifico fra tutti gli altri: di essere il sacramento di una realtà che già esiste nell'economia
della creazione, di essere lo stesso patto coniugale istituito dal Creatore “ al principio”. La
decisione dunque dell'uomo e della donna di sposarsi secondo questo progetto divino, la
decisione cioè di impegnare nel loro irrevocabile consenso coniugale tutta la loro vita in un
amore indissolubile ed in una fedeltà incondizionata, implica realmente, anche se non in modo
pienamente consapevole, un atteggiamento di profonda obbedienza alla volontà di Dio, che
non può darsi senza la sua grazia. Essi sono già, pertanto, inseriti in un vero e proprio
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 106
cammino di salvezza, che la celebrazione del sacramento e l'immediata preparazione alla
medesima possono completare e portare a termine, data la rettitudine della loro intenzione.
3. Non intacca la retta intenzione il fatto che ci sia una certa prevalenza dei motivi sociali.
È vero, d'altra parte, che in alcuni territori motivi di carattere più sociale che non
autenticamente religioso spingono i fidanzati a chiedere di sposarsi in chiesa. La cosa non
desta meraviglia. Il matrimonio, infatti, non è un avvenimento che riguarda solo chi si sposa.
Esso è per sua stessa natura un fatto anche sociale, che impegna gli sposi davanti alla società.
E da sempre la sua celebrazione è stata una festa, che unisce famiglie ed amici. Va da sé,
dunque, che motivi sociali entrino, assieme a quelli personali, nella richiesta di sposarsi in
chiesa.
4. La ragione fondamentale della validità sacramentale del loro matrimonio: in forza del loro battesi-
mo sono oggettivamente inseriti nell'alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa, e con la loro retta
intenzione hanno accolto al meno implicitamente ciò che la Chiesa intende fare quando celebra il
matrimonio.
Tuttavia, non si deve dimenticare che questi fidanzati, in forza del loro battesimo, sono
realmente già inseriti nell'Alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa e che, per la loro retta
intenzione, hanno accolto il progetto di Dio sul matrimonio e, quindi, almeno implicitamente,
acconsentono a ciò che la Chiesa intende fare quando celebra il matrimonio. E, dunque, il solo
fatto che in questa richiesta entrino anche motivi di carattere sociale non giustifica un
eventuale rifiuto da parte dei pastori. Del resto, come ha insegnato il Concilio Vaticano II, i
sacramenti con le parole e gli elementi rituali nutrono ed irrobustiscono la fede ( cfr.
Sacrosantum Concilium , 59 ): quella fede verso cui i fidanzati già sono incamminati in forza
della rettitudine della loro intenzione, che la grazia di Cristo non manca certo di favorire e di
sostenere.
5. Pericoli derivanti dal voler stabilire altri criteri.
Voler stabilire ulteriori criteri di ammissione alla celebrazione ecclesiale del matrimonio, che
dovrebbero riguardare il grado di fede dei nubendi, comporta oltre tutto gravi rischi. Quello,
anzitutto, di pronunciare giudizi infondati e discriminatori; il rischio, poi, di sollevare dubbi
sulla validità di matrimoni già celebrati, con grave danno per le comunità cristiane, e di nuove
ingiustificate inquietudini per la coscienza degli sposi; si cadrebbe nel pericolo di contestare o
di mettere in dubbio la sacramentalità di molti matrimoni di fratelli separati dalla piena
comunione con la Chiesa cattolica, contraddicendo così la tradizione ecclesiale.
6. In caso di rifiuto esplicito e formale di ciò che la Chiesa intende fare: non ammetterli alla celebra-
zione del matrimonio.
Quando, al contrario, nonostante ogni tentativo fatto, i nubendi mostrano di rifiutare in modo
esplicito e formale ciò che la Chiesa intende compiere quando si celebra il matrimonio dei
battezzati, il pastore d'anime non può ammetterli alla celebrazione. Anche se a malincuore,
egli ha il dovere di prendere atto della situazione e di far comprendere agli interessati che,
stando così le cose, non è la Chiesa ma sono essi stessi ad impedire quella celebrazione che
pure domandano.
7. Anche se la celebrazione fosse valida a causa della retta intenzione non è necessariamente una
celebrazione fruttuosa se le disposizioni dei nubendi non sono sufficienti (uno dei nubendi o i due non
ricevono la grazia se non quando siano rimossi gli ostacoli).
Ancora una volta appare in tutta la sua urgenza la necessità di una evangelizzazione e
catechesi pre e post-matrimoniale, messe in atto da tutta la comunità cristiana, perché ogni
uomo ed ogni donna che si sposano, celebrino il sacramento del matrimonio non solo
validamente ma anche fruttuosamente.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 107
Possiamo dedurre da quanto esposto che, secondo l'enciclica, la mancanza di fede non implica
necessariamente mancanza d'intenzione, visto che l'intenzione richiesta per la validità del matrimonio
(anche come sacramento) è quella generica di sposarsi secondo il piano di Dio. Ma va anche detto che
la risposta del Papa è a livello pastorale; non intendeva fare un dichiarazione a carattere definitivo.
Il CIC di 1983
Dopo l'enciclica, vediamo che il CIC de 1983 riprende senza modifiche le affermazioni di quello di
1917:
Il patto matrimoniale con cui l'uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la
vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e educazione della prole,
tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento (CIC can. 1055 § 1).
Pertanto, tra battezzati, non si può avere contratto matrimoniale valido che non sia per ciò
stesso sacramento (cfr. CIC can. 1099, cfr. anche CCOE 776, sebbene evita la parola
«contratto»).
Il dubbio di Ratzinger
Dopo la Familiaris consortio, la questione sembrava essersi palcata, ma in tempi più recenti, l’allora
Card. Ratzinger, nella prefazione al volumetto Sulla pastorale dei divorziati risposati, edito dalla
Sacra Congregazione per la dottrina della Fede (Libreria Editrice Vaticana, 1999), ha risollevato il
dubbio:
Più amplie ricerche devono essere fatte per vedere se i cristiani non credenti, vale a dire, le
persone battezzate che non credono più o non hanno mai creduto in Dio, possano veramente
contrarre il sacramento del matrimonio. In altri termini, bisogna chiarire se, veramente ogni
matrimonio tra due battezzati è ipso facto un matrimonio sacramentale (...) La fede appartiene
all'essenza del sacramento. Rimane da chiarire se, giuridicamente, l'evidenza della “non-fede”
ha come conseguenza che un sacramento non si realizzi».
Si trattava però di un’opinione “privata” non facente parte di nessun documento ufficiale, ma di una
prefazione a un volumetto che conteneva il documento Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica sulla
ricezione della comunione eucaristica da parte dei fedeli divorziati risposati insieme ad alcuni studi al
riguardo. Posteriormente, già Papa nel Incontro con il clero della Diocesi d’Aosta a Introd (25 luglio
2005), aggiungerà:
Direi particolarmente dolorosa è la situazione di quanti erano sposati in Chiesa, ma non erano
veramente credenti e lo hanno fatto per tradizione, e poi trovandosi in un nuovo matrimonio
non valido si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal Sacramento. Questa è
realmente una sofferenza grande e quando sono stato Prefetto della Congregazione per la
Dottrina della Fede ho invitato diverse Conferenze episcopali e specialisti a studiare questo
problema: un sacramento celebrato senza fede. Se realmente si possa trovare qui un momento
di invalidità perché al sacramento mancava una dimensione fondamentale non oso dire. Io
personalmente lo pensavo, ma dalle discussioni che abbiamo avuto ho capito che il problema è
molto difficile e deve essere ancora approfondito. Ma data la situazione di sofferenza di queste
persone, è da approfondire. Non oso dare adesso una risposta (…)
Una apportazione attuale: C. Rocchetta, ne Il sacramento della coppia, p. 198ss.
L'Autore distingue tre livelli a cui interviene la fede:
- il livello della ministeralità degli sposi
- il livello di recezione del sacramento
- il livello di attuazione del segno sacramentale
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Ai primi due livelli la mancanza di fede non sarebbe significativa, basterebbe con voler fare ciò che fa
la Chiesa. Il dubbio sorge al terzo livello: l'autore ragiona così:
*Il segno sacramentale del matrimonio riceve il suo senso specifico dal suo inserimento nella storia
della salvezza, dal suo collegamento referenziale alla sponsalità di Dio verso Israele e di Cristo verso
la Chiesa. la mancanza di fede rende oggettivamente impossibile la percezione di questo collegamento
e di ciò che significa (...) Senza la fede si compie un impegno umano valido, - alle condizioni richieste
- ma non si vede come un tale atto possa compiere la pienezza della significazione sacramentale. Si
ripropone qui la problematica del rapporto "contratto-sacramento": le condizione umane sono
sufficienti per attuare un valido consenso matrimoniale, ma solo nella fede quel consenso diviene
fecondo di ciò che significa.
Si potrebbe rispondere però che la mancanza di fede non rende oggettivamente impossibile la
percezione del collegamento del segno matrimoniale con la sponsalità di Cristo e della Chiesa, ma
soltanto soggettivamente, giacché questo collegamento viene oggettivamente testimoniato dalla Sacra
Scrittura e dalla Tradizione della Chiesa.
Il più recenti interventi di Giovanni Paolo II:
a. È estraneo alla tradizione della Chiesa l'esigere la fede dei contraenti battezzati (Discorso alla
Rota Romana, 1 di febbraio 2001)
Pone i termini del problema: si tratta del rapporto tra l'indole naturale del matrimonio e la sua
sacramentalità. Ma non si deve esigere la fede come requisito per sposarsi
... desidero soffermarmi brevemente sul rapporto tra l'indole naturale del matrimonio e la sua
sacramentalità, atteso che, a partire dal Vaticano II, è stato frequente il tentativo di rivitalizzare
l'aspetto soprannaturale del matrimonio anche mediante proposte teologiche, pastorali e
canonistiche estranee alla tradizione, come quella di richiedere la fede quale requisito per
sposarsi.
Per identificare quale sia la realtà che costituisce il sacramento del matrimonio, ci si deve rifare alla
realtà naturale presentata dalla Genesi come ha fatto Gesù e al suo seguito S. Paolo
Quasi all'inizio del mio pontificato, dopo il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia nel quale fu
trattato questo tema, mi sono pronunciato al riguardo nella "Familiaris consortio", scrivendo:
"Il sacramento del matrimonio ha questo di specifico fra tutti gli altri: di essere il sacramento
di una realtà che già esiste nell'economia della creazione, di essere lo stesso patto coniugale
istituito dal Creatore al principio" (n. 68: AAS, 73, pag. 163). Di conseguenza, per identificare
quale sia la realtà che già dal principio è legata all'economia della salvezza e che nella
pienezza dei tempi costituisce uno dei sette sacramenti in senso proprio della Nuova Alleanza,
l'unica via è quella di rifarsi alla realtà naturale che ci è presentata dalla Scrittura nella Genesi
(1, 27; 2, 18-25). E' ciò che ha fatto Gesù parlando dell'indissolubilità del vincolo coniugale
(cfr. Mt 19, 3-12; Mc 10, 1-2), ed e ciò che ha fatto San Paolo illustrando il carattere di
"mistero grande" che ha il matrimonio "in riferimento a Cristo e alla Chiesa" (Ef 5,32).
Il segno sacramentale del matrimonio, anche se significa e conferisce la grazia, non si riferisce ad
un'attività orientata al conseguimento di fini direttamente soprannaturali, in questo si differenzia
degli altri sacramenti
Del resto dei sette sacramenti il matrimonio, pur essendo un "signum significans et conferens
gratiam", è il solo che non si riferisce ad un'attività specificamente orientata al conseguimento
di fini direttamente soprannaturali. Il matrimonio, infatti, ha come fini, non solo prevalenti ma
propri "indole sua naturali", il bonum coniugum e la prolis generatio et educatio (CIC can.
1055).
Il segno sacramentale non può consistere nella risposta di fede e di vita cristiana dei coniugi,
altrimenti sarebbe privo di una consistenza oggettiva
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 109
In una diversa prospettiva, il segno sacramentale consisterebbe nella risposta di fede e di vita
cristiana dei coniugi, per cui esso sarebbe privo di una consistenza oggettiva che consenta di
annoverarlo tra i veri sacramenti cristiani.
L'origine del problema sembra essere l'oscuramento dello stesso senso oggettivo della dimensione
naturale del matrimonio
Perciò, l'oscurarsi della dimensione naturale del matrimonio, con il suo ridursi a mera
esperienza soggettiva, comporta anche l'implicita negazione della sua sacramentalità. Per
contro, è proprio l'adeguata comprensione di questa sacramentalità nella vita cristiana ciò che
spinge verso una rivalutazione della sua dimensione naturale.
Il matrimonio dei cristiani nella sua dimensione naturale è lo stesso che quello delle altre persone
D'altra parte, l'introdurre per il sacramento requisiti intenzionali o di fede che andassero al di
là di quello di sposarsi secondo il piano divino del "principio", - oltre ai gravi rischi che ho
indicato della Familiaris consortio (n. 68, l.c. pag. 164-165): giudizi infondati e discriminatori,
dubbi sulla validità di matrimoni già celebrati, in particolare da parte di battezzati non cattolici
-, porterebbe inevitabilmente a voler separare il matrimonio dei cristiani da quello delle altre
persone. Ciò si opporrebbe profondamente al vero senso del disegno divino, secondo cui è
proprio la realtà creazionale che è un "mistero grande" in riferimento a Cristo e alla Chiesa.
b. L’esclusione della sacramentalità rende nullo il matrimonio soltanto se implica una negazione
della sua validità naturale (Discorso alla Rota Romana, 30 di gennaio 2003) .
Infatti, «L'immagine di Dio si trova anche nella dualità uomo-donna e nella loro comunione
interpersonale. Perciò, la trascendenza è insita nell'essere stesso del matrimonio, già dal
principio, perché lo è nella stessa distinzione naturale tra l'uomo e la donna nell'ordine della
creazione». Pertanto «Non si può, infatti, configurare, accanto al matrimonio naturale, un altro
modello di matrimonio cristiano con specifici requisiti soprannaturali». Quindi, «un
atteggiamento dei nubendi che non tenga conto della dimensione soprannaturale nel
matrimonio, può renderlo nullo solo se ne intacca la validità sul piano naturale nel quale è
posto lo stesso segno sacramentale».
In conclusione
Possiamo concludere che la realtà creazionale sin dall'inizio è destinata da Dio ad essere segno di
grazia. Questo segno è sempre oggettivamente efficace tra battezzati, per la loro oggettiva inclusione
nella Alleanza tra Cristo e la Chiesa a causa precisamente del loro battesimo. Può però restare
soggettivamente infruttuoso a causa della mancanza di fede dei contraenti, la quale sarebbe un obex
per la grazia, ma non per il sacramento. La fede non è necessaria però per attuare il segno
sacramentale, perché questo, di per sé, non fa riferimento a fini direttamente soprannaturali, e perciò
non è strettamente necessario che questi fini soprannaturali siano oggetto dell'intenzione dei nubendi.
Possiamo aggiungere che se i nubendi intendono unirsi in matrimonio secondo le caratteristiche naturali del
matrimonio (unità-fedeltà, indissolubilità, apertura alla fecondità),intendono davvero fare una consegna
reciproca totalizzante delle loro persone, e in questa consegna va implicitamente inclusa, anche se loro non la
riconoscono, la loro condizione di battezzati, che da sola basta, come abbiamo visto, a garantire la sacramentalità
del loro matrimonio.
C) I CATTOLICI UNITI IN MATRIMONIO MERAMENTE CIVILE
Che giudizio merita nella Chiesa la situazione dei cattolici (quindi, non apostati) che contraggono
matrimonio meramente civile, rifiutando, o almeno rimandando quello religioso? Questo è un caso che
si dà con frequenza:
Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio, n. 82 dice:
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 110
La loro situazione non può equipararsi senz'altro a quella dei semplici conviventi senza alcun
vincolo115, in quanto vi si riscontra almeno un impegno a un preciso e probabilmente stabile
stato di vita, anche se spesso non è estranea a questo passo la prospettiva di un eventuale
divorzio. Ricercando il pubblico riconoscimento del vincolo da parte dello Stato, tali coppie
mostrano di essere disposte ad accettare con i vantaggi, anche gli obblighi. Ciò nonostante,
neppure questa situazione è accettabile da parte della Chiesa. L'azione pastorale tenderà a far
comprendere la necessità della coerenza tra la scelta di vita e la fede che si professa, e
cercherà di far quanto è possibile per indurre tali persone a regolare la propria situazione alla
luce dei principi cristiani. Pur trattandole con grande carità, e interessandole alla vita delle
rispettive comunità, i pastori della Chiesa non potranno purtroppo ammeterle ai sacramenti116.
Da una parte, gli viene riconosciuto un certo vincolo, ma non si dice che sia matrimoniale, né
a livello naturale né a livello soprannaturale. In quanto alla loro situazione, non è accettabile per la
Chiesa. Dato che mancano di forma canonica (e non per dispensa, ma per rifiuto), nell'attuale
disciplina della Chiesa sono invalidi, e per questo la Chiesa ammette al matrimonio religioso i cattolici
che hanno ottenuto il divorzio da una unione previa meramente civile117.
D'altra parte, la Chiesa non chiede allo Stato che rifiuti i diritti civili ai cattolici sposati solo
civilmente. Sebbene in principio la Chiesa si oppone alla esistenza nelle leggi statali di matrimoni
meramente civili per i cattolici, accetta la situazione di fatto creata dalla laicizzazione in tanti paesi e si
regola con i diversi Stati, in questo argomento come negli altri, per mezzo di concordati.
D) Proposta sistematica
Senza pretendere di sviluppare per intero un'argomentazione speculativa in difesa dell'inseparabilità per
i battezzati tra contratto matrimoniale valido e sacramento, si propongono le affermazioni su cui potrebbe
fondamentarsi:
1. La sacramentalità primordiale del matrimonio nel piano originario di Dio, per il fatto dell'elevazione alla
grazia della prima coppia.
2. L'elevazione da parte di Cristo del matrimonio tra battezzati a sacramento.
3. L'affermazione del consenso come elemento essenziale del contratto o patto matrimoniale.
4. L'affermazione del patto matrimoniale come donazione e accettazione mutua delle persone dei contraenti (e
non solo dei corpi) per costituire un'intima comunità di vita e amore.
5. L'affermazione che il potere santificatore del matrimonio cristiano proviene dal carattere battesimale dei
contraenti.
6. La dottrina sul carattere battesimale come configurazione permanente con Cristo che coinvolge tutta la
persona, e che, come la sessualità, tocca il nucleo intimo della persona umana in quanto tale (cf. FC n. 13).
115 Sembra così venire tralasciata la qualifica di «pretto concubinato» (Pio IX) per la loro situazione. 116 Per il caso dei battezzati divorziati da un matrimonio religioso e risposati con vincolo meramente civile, un recente
richiamo alla dottrina e prassi della Chiesa è stato fatto nel 1994 dalla SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
nella Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica sulla ricezione della comunione eucaristica da parte dei fedeli divorziati
risposati, aggiungendovi ulteriori chiarimenti teologici. 117 Per assistere ufficialmente al matrimonio in questi casi si richiede licenza dell'ordinario del luogo (non soltanto del
parroco) (cf. CIC 1071 §3). Normalmente la Chiesa esige previamente la soddisfazione di tutti i diritti che le leggi civili o lo
stesso diritto naturale concedono alla parte abbandonata e ai figli.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 111
h. Casi particolari di patto coniugale118[1] Finora abbiamo affermato che un matrimonio tra battezzati è sempre sacramento, e che un matrimonio tra non battezzati è valido a livello naturale, ma non è sacramento. Adesso esaminiamo due casi che sfuggono a questi contesti. 1. Due sposati infedeli ricevono il battesimo Si tratta di due non cristiani che si sposano nell'infedeltà, poi si convertono e ricevono il battesimo. Che cosa diventa il loro connubio dopo il battesimo? Diventa sacramento, o essi sono tenuti a chiedere che venga ad essi conferito anche il sacramento del matrimonio? È per loro una facoltà, un obbligo, anzi una necessità? In sostanza: si può ammettere che il battesimo che hanno ricevuto ha l'effetto sincronico di santificare la loro unione, sicché questa divenga sacramento senza bisogno di una ulteriore cerimonia? a. Le posizioni principali 1) SENTENZA NEGATIVA Il matrimonio naturale non diventa sacramento a causa del battesimo degli sposi. È la più antica e la definiscono: Durando di San Porciano (1317), e in genere, i teologi favorevoli alla separabilità del sacramento e del contratto (Billuart, i Salmanticensi, Vázquez, Diekamp, card. Gasparri). a) L'argomento centrale è che il sacramento propriamente detto è l'atto con cui gli sposi si uniscono: il matrimonio «in fieri», gesto essenzialmente transitorio da cui deriva il dono della grazia. Nel nostro caso, quell'atto, essendo passato, non può essere modificato, non può divenire sacramento al momento del battesimo degli sposi: il battesimo dev'essere anteriore al matrimonio. b) Neppure rinnovando il loro consenso matrimoniale, essi possono ricevere il sacramento, dato che questo atto non può far sì che inizino ad essere sposi; lo erano antecedentemente e lo sono ancora. Si ritorna all'argomento fondamentale: il matrimonio non è il vincolo che unisce gli sposi, il loro stato, bensì l'atto con cui si impegnano l'uno con l'altro. c) Il solo effetto del battesimo ricevuto è il «ratum» del loro matrimonio, ma non la sua sacramentalità. Essendo ormai «ratum», il loro matrimonio diventa indissolubile: diventati cristiani, non hanno più la facoltà di separarsi l'uno dall'altro. 2) SENTENZA POSITIVA CON RINNOVATO CONSENSO Dopo aver ricevuto il battesimo, i due sposi ricevono il sacramento del Matrimonio, purché rinnovino il loro matrimonio esplicitamente o implicitamente. La definiscono: Capreolus, Pietro Paludano, Ledesma, Bellarmino. Altri come Giacomo Platel, richiedono che gli sposi rinnovino il loro matrimonio davanti al parroco e ai testimoni. Altri ammettono una conferma privata, con espressioni equivalenti a quelle del matrimonio, o con un incontro sessuale.
118[1] Cfr. Ligier, p. 144.
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3) SENTENZA POSITIVA COL SOLO BATTESIMO
Per il fatto stesso del loro battesimo, il loro matrimonio diventa sacramento
Proposta da Tommaso Sánchez (s. XVI), e rinnovata dal Perrone. Questa teoria, leggermente modificata dai canonisti, viene sostenuta dal Card. Billot e P. Adnès. Le ragioni basilari sono: a) Per il matrimonio già contratto, il battesimo rappresenta l'unione sponsale tra Cristo e la Chiesa. b) La volontà, cioè l'intenzione di essere battezzati, contiene la conferma del Matrimonio: per il fatto di volere il battesimo, gli sposi mostrano il loro volere di regolare la loro vita comune secondo la volontà di Dio. Questa è la dottrina che ha finito per imporsi. Gli argomenti sono compendiati nella tesi di Leonard F. Gerke. b. Compendio degli argomenti 1) DATI DEL NUOVO TESTAMENTO a) Nella 1Cor 7, 12-16, s. Paolo non ammette altra eccezione all'indissolubilità se non quella in cui uno solo dei consorti si converta e riceva il battesimo, mentre l'altro non accetta la coabitazione pacifica con lui. Nei casi di due pagani ugualmente convertiti e battezzati, s. Paolo non dà importanza al problema della santificazione particolare della loro unione coniugale. b) Nella lettera agli Efesini 5, 15-28 san Paolo parla delle coppie cristiane, in cui le mogli erano sottomesse ai loro mariti come la Chiesa a Cristo ed erano amate dai loro sposi come la Chiesa era amata da Cristo. Orbene, il capitolo secondo permette di credere che fra questi nuovi cristiani molti provenissero dall'infedeltà così si vede in Ef 2, 11-13: «...Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani per nascita, chiamati incirconcisi da quelli che si dicono circoncisi perché tali sono nella carne per mano di uomo, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio in questo mondo. Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo». Ora, in nessuno di questi due passi si rileva - accanto al battesimo - qualche problema particolare circa il matrimonio dei coniugi sposati nell'infedeltà. S. Paolo consigliava in modo assoluto che il coniuge convertito rimanesse con l'infedele finché questi lo avesse permesso; senza aggiungere nulla sulla rivalutazione del contratto, o senza chiedere un nuovo consenso al fedele. Questa argomentazione era già utilizzata dal cardinale de Lugo all'inizio del sec. XVII, ed attualmente da P. Rouget. 2) NEL CORSO DEL PRIMO MILLENNIO Fino al Concilio Lateranense IV la celebrazione liturgica del matrimonio non era generalizzata in modo uguale in tutte le regioni né in tutti gli ambiente sociali. Non era richiesta in tempi di conversione in massa. Papa Innocenzo III nel 1199 dichiara nella lettera ad Uguccione di Ferrara: «benché tra gli infedeli esista matrimonio vero, non è tuttavia rato, tra i fedeli invece (il matrimonio) esiste vero e rato, perché il sacramento della fede, una volta ricevuto, non va mai perduto, ma rende rato il sacramento del coniugio». 3) LA DOTTRINA DELL'INSEPARABILITÀ CONTRATTO-SACRAMENTO Già visto nel capitolo precedente, viene a rinforzare l'argomentazione: una volta battezzati, non esiste tra loro matrimonio che non sia sacramento.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 113
4) RAGIONI TEOLOGICHE a) Dal momento in cui i convertiti hanno ricevuto il battesimo, si sono aggregati a Cristo e alla Chiesa. Essendo sposati, possono vivere questa relazione con Cristo e con la Chiesa nello stato matrimoniale. b) Pur essendo vero che nel matrimonio l'atto sacramentale sia per eccellenza quello patto contratto - cioè il matrimonio in fieri - non si può dimenticare che da sant'Agostino fino allo Scheeben e al cardinale Billot, il matrimonio si estende al vincolo coniugale («res et sacramentum»). c) È da invocare inoltre la dottrina surriferita, enunciata dal Gaetano durante il Concilio Tridentino, che «il matrimonio sia sacramento in radice Baptismi». 5) LA PRASSI DEI DICASTERI ROMANI Questa prassi, suscitata dalle missioni del sec. XVII, segue la linea di Innocenzo III. a) Il Sant'Uffizio, il 20 sett. 1848 risponde alla domanda: «I coniugi che, sposati nell'infedeltà si sono convertiti alla fede, debbono sottoporsi alle cerimonie del matrimonio?» R/ «Faranno bene a ricevere la benedizione della Chiesa, ma non debbono esservi costretti». b) Nel 1972 quando fu preparato l'Ordo initiationis christianae adultorum, si chiese che fossero inserite nel rito del battesimo degli adulti alcune rubriche per segnalare il momento e il modo in cui si dovesse fare il rinnovo dei matrimonio. La questione fu trasmessa alla Commissione pontificia incaricata del nuovo CIC, che la respinse. Lo stesso hanno fatto la S. C. per la Dottrina della Fede e quella di Propaganda Fide. Il rito poi entrò in uso e da anni ormai la questione non è stata più sollevata da alcuno. c) Il CIC solo esige di celebrare il matrimonio agli infedeli poligami che dopo il battesimo decidono di restare con una sposa che non sia la prima sposata (lo stesso quando si battezza una moglie con più mariti) (can. 1148 § 2). 2. Tra parte battezzata e non battezzata, il matrimonio è sacramento? Nel CIC si trova l'impedimento per «disparità del culto», che rende invalido il matrimonio (can. 1086). Questo impedimento è una legge ecclesiale che riguarda solo i cattolici, e la Chiesa concede la dispensa se la parte non battezzata accetta certe condizioni (cann. 1125-1126). Dal punto di vista canonico non c'è grande problema, ma si pone un problema teologico: Il matrimonio così contratto è valido, ma è sacramentale? La parte battezzata ha ricevuto il sacramento come qualsiasi battezzato sposato? Così come tra battezzati c'è identità tre contratto e sacramento, possiamo dire che se nel nostro caso c'è vero contratto, c'è pertanto vero sacramento? a. Argomenti classici fino al 1924-1926 1) A FAVORE DELLA SACRAMENTALITÀ a) Il matrimonio è un sacramento che comporta due soggetti. Quindi, può essere sacramento per il battezzato. La sacramentalità dipenderebbe dalle disposizioni di fede e di grazia di una delle parti, dalla loro mancanza o debolezza nell'altra. b) Secondo il principio dell'identità tra contratto e sacramento, si afferma: o c'è sacramento, o non c'è niente.
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c) Argomento canonico: la Chiesa non può emanare delle leggi sui matrimoni, se non ha autorità su di essi. E si aggiunge - erroneamente - che ha autorità sui matrimoni solo in quanto sacramenti. d) Lo sposo battezzato ha il diritto di godere della grazia sacramentale, di cui ha bisogno in favore di un matrimonio permesso dalla Chiesa. 2) CONTRO LA SACRAMENTALITÀ a) Se il matrimonio fosse sacramentale per l'uno e non per l'altro, risulterebbe che il vincolo sarebbe più indissolubile per l'uno che per l'altro. Orbene, conformemente a san Tommaso (cf. Suppl. q.4, a.4) il matrimonio crea una relazione di uguaglianza, che non può non essere la medesima per i due sposi. b) L'unione di un battezzato con un non credente non può simboleggiare l'unione mistica tra Cristo e la Chiesa, di conseguenza essa non può produrre la grazia. Nella teologia tomista119[2], il principio immediato da cui deriva la grazia è il «sacramentum et res», cioè il primo degli effetti del sacramento, ovvero la santità oggettiva del vincolo, il quale a sua volta dipende dai battesimi di tutti e due120[3]. b. Argomenti tratti dalla prassi della Chiesa 1) A partire dal 1924, la Santa Sede incominciò ad accettare di sciogliere in favore della fede questo tipo di matrimonio tra battezzati e non battezzati, soprattutto quando il battezzato era un non cattolico, un protestante o un orientale separato, ma anche in qualche caso in cui il battezzato era cattolico121[4]. La Chiesa scioglie questi matrimoni, benché si tratti di matrimoni contratti e consumati: il che sarebbe stato impossibile se il matrimonio fosse ritenuto sacramento. 2) A favore di questa interpretazione intervenne un altro fatto, allorché un documento romano, nello sciogliere uno di questi matrimoni, disse che si trattava soltanto di un «vincolo naturale», dunque «non sacramentale». Possiamo dire che la pratica della Chiesa ha risolto la questione, sebbene restino interrogativi da chiarire da parte dei teologi, come per es. in che senso un tale matrimonio è fonte di grazia per il battezzato, o se la parte non-battezzata riceve qualche tipo di grazia per compiere con le esigenze del matrimonio, e in che senso.
NB: si vedano le tavole a colori al riguardo alla fine delle dispense.
119[2] E anche nella dottrina della Familiaris consortio, n. 13. 120[3] E secondo la posizione occidentale, che vede nei contraenti i ministri del sacramento, si potrebbe dire che la parte non
battezzata non può essere ministro del sacramento con riguardo al quella battezzata, allorché per esercitare il sacerdozio
comune dei fedeli ci vuole il battesimo. 121[4] Questo non è esattamente il caso del privilegio paolino di cui si parla nel CIC al cn. 1147, che contempla soltanto il caso
di un matrimonio contratto tra due non-battezzati, uno dei quali riceve il battesimo e l'altro non desidera di convivere
pacificamente con lui. Ad ogni modo, l'esistenza del privilegio paolino è un argomento a favore della tesi, giacché se per il
fatto di essersi battezzato uno dei coniugi, il matrimonio diventasse sacramento (come accade quando tutti e due si
battezzano), il privilegio non si potrebbe applicare.
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2. Il vincolo122[1] Adesso lasciamo la parte corrispondente al matrimonio in fieri, (al matrimonio nel momento del suo costituirsi, ossia, il rito sacramentale), e cominciamo la parte corrispondente al matrimonio in actu esse, (agli aspetti permanenti del matrimonio, o al matrimonio considerato come stato permanente dei coniugi). Quando parleremo di «effetti del matrimonio» ci riferiremo tanto al matrimonio in actu esse (il vincolo e la comunità matrimoniale fondata su di esso), come alla grazia che lo accompagna e che gli sposi ricevono se non pongono impedimenti.
a. Definizione teologica 1. Il vincolo come comunione
Il vincolo matrimoniale sacramentale è un'intima comunione di vita e amore tra l'uomo e la donna tipicamente cristiana, perché rappresenta il mistero dell'Incarnazione di Cristo e suo mistero di Alleanza; dotata delle proprietà di unità, indissolubilità e apertura alla fecondità123[2].
Per il matrimonio, gli sposi partecipano nel mistero della salvezza in quanto sposi, in due, come coppia, a tal punto che l' effetto primo ed immediato del matrimonio (res et sacramentum) non è la grazia soprannaturale stessa, ma il legame coniugale cristiano, una comunione a due tipicamente cristiana perché rappresenta il mistero dell'Incarnazione del Cristo e il suo mistero di Alleanza124[3]. ( cfr. Familiaris consortio n. 13). Tuttavia, proprio per essere res et sacramentum, da la grazia sacramentale (produce, esige, dispone alla grazia, secondo opinioni) a chi non pone ostacoli. Questa comunione può definirsi, secondo opinioni, come un quasi-carattere o come carisma di consacrazione125[4], che pur essendo proprio di ognuno di loro, è nello stesso tempo comune ai due. Comunque sia, il vincolo può considerarsi sempre una consacrazione come vedremo. È in parte una realtà soggettiva, poiché è fonte di grazie, obblighi, diritti e missione che riguardano la persona, ma nello stesso tempo è una realtà oggettiva (e questo è da sottolineare)126[5]: sul vincolo si fondamenta uno stato di vita specifico nella Chiesa: quello di sposati. È, quindi, una realtà costitutiva del Popolo di Dio. La grazia che procede dal vincolo si definisce in relazione ad esso, vale a dire, è una grazia per il ministero e la missione che sorgono da esso. 2. Il vincolo come consacrazione a. Gesù Cristo afferma che il matrimonio è «ciò che Dio ha unito» (Mt 19,6). Ammette dunque una speciale intervento di Dio nell'unione degli sposi.
122[1] Cfr. Ligier, p. 114. 123[2] Proprietà che corrispondono ai tre bona di St. Agostino: fides, sacramentum, proles. Il Codice di Diritto Canonico
codifica soltanto come proprietà del vincolo l'unità e l'indissolubilità (cfr. cn. 1056 §2). La fecondità, in quanto procreazione
ed educazione della prole, si codifica come fine del matrimonio (cfr. cn. 1055 §1); nel mio parere, in quanto apertura,
indirizzo, potenzialità... si può capire anche come proprietà del vincolo. 124[3] Vale a dire, il «grande mistero» di cui parla S. Paolo: cfr. Ef 5,31-32 per ciò che riguarda l'alleanza Cristo-Chiesa, e
1Tim 3,16per l'Incarnazione. In quest'ultimo passo si parla del «grande mistero della pietà» a cui Giovanni Paolo II da
grande rilievo nella ex. ap. Reconciliatio et Paenitentia, n. 20, in cui parla dell'Incarnazione di Cristo come «il grande
mistero», in particolare alla nota 106. Cfr. anche la Lettera alla famiglie, n. 20. 125[4] P. Ligier segue H. Müllen, il quale distingueva nei fedeli due modi di partecipazione all'unzione di Cristo: il carisma di
consacrazione e la grazia di santificazione. Cfr. Una mistica persona, Città Nuova, Roma 1968, pp. 352-438. 126[5] C'è chi preferisce parlare di realtà intersoggettiva, il che è corretto se si lascia chiaramente intendere che il vincolo una
volta costituito, trascende le ulteriori decisioni dei costituenti.
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b. San Paolo, in 1Cor 7,12-16 mostrava rispetto per il matrimonio contratto prima del Battesimo di uno dei coniugi, ma tollerava la dissoluzione di questo matrimonio se la parte non battezzata chiedeva la separazione. Questa dottrina è servita a svolgere nella patristica la dottrina della consacrazione riferita al matrimonio cristiano. Così si vede nel Pseudo-Ambrogio. c. Ma fu merito di Sant'Agostino l'aver dato al nostro tema una rilevanza sistematica. Prima, per aver assegnato al matrimonio un posto notevole nella struttura della Città di Dio, poi, per la sua teoria dei tre beni del matrimonio. 1) La legge dell'indissolubilità assoluta si osserva solo nei matrimoni realizzati nella Città di Dio (la Chiesa), l'ordine santo di cose apportato dalla redenzione di Cristo. Ed è tale che, sebbene la finalità del matrimonio sia la procreazione dei figli, mai è lecito abbandonare la donna sterile, per sposarne una feconda. 2) Il matrimonio cristiano ha tre beni: la fides, proles, sacramentum. Il bene chiamato sacramentum è identificato con l'unione indissolubile. Per Sant'Agostino, l'unione indissolubile è qualcosa di santo, e lo considera tipico del matrimonio cristiano. d. Seguendo Sant'Agostino, Ugo di San Vittore affermerà nel secolo XII, che il matrimonio è comune a tutte le genti, ma la santità del sacramento non si riscontra che nella Città di Dio. Pietro Lombardo trasmette la dottrina agostiniana dei tra beni del matrimonio, e ne pone in rilievo specialmente il terzo, cioè il sacramento, e porta come referenza i passi noti dei capp. 10 e 11 del De nuptiis et concupiscentia. In generale la scuola di Parigi seguiva questa dottrina nella difesa del vincolo indissolubile, sebbene dovette accettare le modifiche introdotte dopo il confronto con la scuola di Bologna, come già abbiamo visto. e. Nel XIII sec., l'intervento di Innocenzo III sul privilegio paolino si fondamenta su 1Cor 7,15, mettendo in risalto la sacralità del vincolo cristiano in contrasto con il vincolo matrimoniale naturale. f. Pio XI, nella Casti connubii, riconosce al matrimonio un effetto di quasi consacrazione. La Gaudium et spes riprende alla lettera le espressioni di questa enciclica127[6], e al n. 48, dice che «per questo motivo [la permanenza di Cristo con gli sposi, ndr.] i coniugi cristiani sono corroborati e quasi consacrati da uno speciale sacramento per i doveri e la dignità del loro stato» (espressione che poi ripete il Codice di Diritto Canonico al cn. 1134). C'è da dire, tuttavia, che i documenti conciliari hanno usato i quasi o i veluti, per una certa fedeltà alla terminologia classica, che fa coincidere «consacrazione» con «separazione dal mondo», il che non si concorda con lo stato matrimoniale. Ma se per «consacrazione» intendiamo «dedicazione ad una missione al servizio di Dio», allora non c'è problema di applicare il termino al matrimonio senza particolari attenuanti128[7]. g. Dal punto di vista speculativo si può dire che il matrimonio, sebbene riceva sua forza di santificazione dal carattere battesimale dei coniugi, tuttavia ha una sua propria autonomia sacramentale di fronte al Battesimo: unisce i due in «una sola carne». Questo vincolo sacro che li unisce non è una semplice estensione o fusione dei loro caratteri battesimali; è una comunione nuova che si crea tra loro e tra tutti e due con Cristo, una nuova configurazione, in coppia, con Lui e con sua missione. 3. Conseguenze del vincolo
127[6] Cfr. Ligier, p. 119. 128[7] Lo stesso Concilio afferma nella Lumen gentium, n. 34: «(...) i laici, dediti (dicati) a Cristo e unti dallo Spirito Santo,
sono in modo mirabile chiamati e istruiti per produrre frutti dello Spirito sempre più abbondanti (...) Così anche i laici, in
quanto adoratori dovunque santamente operanti, consacrano (consecran) a Dio il mondo stesso». Non si potrebbe parlare di
«consecrare il mondo» se «consecrare» significasse soltanto «separare dal mondo».
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a. Il vincolo, in quanto comunione durevole, ha una consistenza ecclesiologica, crea una comunità nella Chiesa: la Chiesa domestica. La relazione Cristo-Chiesa alla quale partecipano gli sposi, ha un significato configurante della Chiesa (e non solo configurante con la Chiesa). Per l'effetto del matrimonio, la relazione Cristo-Chiesa conferisce agli sposi un posto proprio nel Corpo Mistico. Fanno il loro cammino verso Cristo nella Chiesa come coppia, in modo sponsale. Entrano a far parte di un ordo proprio, accanto ai sacerdoti e ai religiosi. La relazione Cristo-Chiesa è il modello che struttura il loro stato di vita, per mezzo del loro proprio dono sacramentale. b. Il vincolo, in quanto consacrazione, li separa per una missione propria: «essere cooperatori dell'amore di Dio creatore e come i suoi interpreti nel dovere di trasmettere la vita umana e di educare» (GS 50b). Ma cooperano anche sul piano della redenzione giacché «... i coniugi cristiani, in virtù del sacramento del matrimonio, col quale significano e partecipano il mistero di unità e fecondo amore che intercorre fra Cristo e la Chiesa (cf. Ef 5,32), si aiutano a vicenda per raggiungere la santità nella vita coniugale e nell'accettazione ed educazione della prole, ed hanno così, nel loro ordine (ordo) e stato (status) di vita, il proprio dono in mezzo al Popolo di Dio (cf. 1Cor 7,7)». La Familiaris consortio (n. 38) ammette per loro un ministero vero e proprio - distinto, sia chiaro, dai ministri ordinati129[8]. Non è, quindi, il ministero indifferenziato di qualsiasi battezzato, bensì un ministero qualificato, per la missione di santificarsi mutuamente attraverso la vita coniugale e la accettazione ed educazione cristiana dei figli. L'attuale CIC nel can. 835, dopo di aver parlato dei vescovi, presbiteri e diaconi, riconosce a tutti i fedeli una parte propria nella funzione di santificare della Chiesa, e aggiunge che in questa funzione partecipano «in modo peculiare alla stessa funzione i genitori, nel condurre la vita coniugale secondo lo spirito cristiano e nell'attendere all'educazione cristiana dei figli». Non colloca la missione dei genitori allo stesso livello che quella del clero, ma piuttosto come un modo speciale del sacerdozio comune dei fedeli. Si deve dire che l'ordo o status degli sposati non appartiene alla gerarchia, bensì alla vita e santità della Chiesa, come afferma la Lumen gentium al n. 44 per i religiosi. 4. Significato teologico: carattere o carisma?
P. Louis Ligier fa notare che dal punto di vista della sacramentaria classica, parlerebbe di un carattere o
quasi-carattere, analogo a quello conferito dai sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell'Ordine. Dal
punto di vista di una sacramentaria più ecclesiologica, si parlerebbe di carisma che dà alla famiglia una struttura
e un posto nella Chiesa.
Questa affermazione tuttavia, è discutibile. Non soltanto il carisma, ma anche e più fondamentalmente il
carattere sacramentale - come configurazione permanente con Cristo e con il suo sacerdozio - ha importanza
ecclesiale. La Lumen Gentium al numero 11 afferma: «La comunità sacerdotale attua il suo carattere sacro e la
sua struttura organica per mezzo dei sacramenti e delle virtù». Al n. 12 aggiunge le «grazie speciali», che il
Catechismo (n. 798) citando questo testo, chiama «carismi», e definisce come «grazie speciali, con le quali [lo
Spirito Santo] rende i fedeli adatti e pronti ad assumersi varie opere o uffici, utili al rinnovamento della Chiesa e
allo sviluppo della sua costruzione»
a. Carattere o quasi-carattere
1) Argomenti a favore
- Se abbiamo detto che il principio intrinseco della santità prodotta dal sacramento in fieri è il Battesimo,
pare normale che l'effetto che si segue immediatamente sia simile al carattere causato dal Battesimo.
- Sant'Agostino aveva visto nel matrimonio un effetto durevole (sacramentum), comparabile con quelli
prodotti dal Battesimo e dal Sacerdozio.
- Secondo la teologia scolastica, questo effetto è, come nel caso del Battesimo e del Sacerdozio, una
disposizione durevole per ricevere la grazia. Suppone inoltre una partecipazione al potere sacerdotale di Cristo,
come il carattere del Battesimo.
129[8] Seguendo in questo san Tommaso in Contra gentes IV, 58.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 118
- Se il vincolo è res et sacramentum del matrimonio (FC, 13), si può dire che si assomiglia in qualche
modo (quasi) alla res et sacramentum del Battesimo, della Confermazione e dell'Ordine (il carattere).
- Il Catechismo della Chiesa Cattolica, nel parlare del vincolo (n. 1639) dice che il consenso è «sigillato
da Dio stesso». Questo potrebbe usarsi come argomento in favore della formula quasi-carattere come definizione
del vincolo: «carattere» infatti, significa «sigillo».
b) Argomenti contro
- Il vincolo del matrimonio non è escatologico, dura fino alla morte di uno dei coniugi.
- Non tutti i teologi medievali vedevano nel vincolo un dono dispositivo alla grazia, né ammettevano che
fosse partecipazione al sacerdozio di Cristo.
- Pio XI nella enciclica Casti connubii non ammette l'esistenza di un carattere del matrimonio, e
nemmeno si trovano documenti del Magistero che definiscano il vincolo come quasi-carattere.
b. Carisma di consacrazione alla vita coniugale
a) Argomenti a favore
- Secondo una possibile interpretazione di Mt 19,11, quando Gesù dice: «Non tutti possono capirlo, ma
solo coloro ai quali è stato concesso», farebbe riferimento a «la condizione dell'uomo rispetto alla donna» (Mt
19,10), e cioè, al matrimonio cristiano e non al celibato per il Regno dei Cieli130[9]. Questo sarebbe una prova a
favore di questo matrimonio-sacramento, che è qualcosa che viene «data» (come un dono, un carisma), da parte
di Dio.
- San Paolo nella 1Cor 7,7 insisterebbe sulla stessa idea nel dire che «ciascuno ha il proprio dono da Dio,
chi in un modo, chi in un altro», (dono = charisma, in greco)131[10]. Nell'antichità, Origene sviluppò questa idea.
- La Lumen gentium (11b), come abbiamo visto, dice degli sposi:
... i coniugi cristiani, in virtù del sacramento del matrimonio, col quale significano e partecipano il
mistero di unità e fecondo amore che intercorre fra Cristo e la Chiesa (cf. Ef 5,32), si aiutano a vicenda
per raggiungere la santità nella vita coniugale e nell'accettazione ed educazione della prole, ed hanno
così, nel loro ordine (ordo) e stato (status) di vita, il proprio dono in mezzo al Popolo di Dio (cf. 1Cor
7,7).
Da questo connubio, infatti procede la famiglia, nella quale nascono i nuovi cittadini della società
umana, i quali per la grazia dello Spirito Santo diventano col battesimo figli di Dio e perpetuano
attraverso il secoli il Popolo di Dio. In questa come (velut) Chiesa domestica, i genitori devono essere
per i loro figli i primi maestri della fede, e secondare la vocazione propria di ognuno, e quella sacra in
modo speciale.
Considera il sacramento del matrimonio come origine del «proprio dono»
(charisma, nel testo paolino) e spiega le conseguenze che ne derivano: lo stato di vita e la funzione degli sposi.
- La Familiaris consortio n. 15, definisce «il dono del sacramento del matrimonio» come «carisma e
dono proprio» degli sposi. Al n. 16, nel parlare sulla verginità riconosce la «superiorità di questo carisma nei
confronti di quello del matrimonio», e quindi, implicitamente ammette, con S. Paolo, che il matrimonio ha anche
il suo carisma.
2) Argomenti contro
- Il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1641) riferisce la citazione della Lumen Gentium 11 e
concretamente l'espressione «proprio dono», alla grazia sacramentale e non al vincolo.
- Per «carismi», il Catechismo non intende semplicemente qualsiasi «dono di Dio», ma piuttosto intende
le «grazie speciali con le quali rende i fedeli adatti e pronti ad assumersi varie opere o uffici, utili al
rinnovamento della Chiesa e allo sviluppo della sua costruzione» (n. 798; cf. LG 12), e li colloca a fianco dei
sacramenti e le virtù, senza identificarli necessariamente con essi.
5. Conclusioni
Fondamentalmente, dobbiamo mantenere che il vincolo è una comunione stabile, non solo in
quanto richiesta dalla natura della sessualità umana, ma anche in quanto ha come garante Dio stesso.
130[9] L'interpretazione più comune, invece, attribuisce queste parole di Cristo al fatto che «non conviene sposarsi», alla luce
di quanto dice a continuazione; «Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono
stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca». 131[10] In questo caso non c'è dubbio che il «dono» si riferisce tanto al matrimonio come al celibato. Nel caso di Mt 19,12,
resta dubbio, nonostante p. Ligier lo presenti con molta sicurezza.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 119
Dio si fa garante dell'amore pattuito dei coniugi e, assumendolo nel suo amore divino, gli dà totale
stabilità, all'integrarlo nella sua Alleanza con l'umanità, realizzata nell'Alleanza di Cristo con la Chiesa
(cfr. GS 48, CCE 1641). Il vincolo è obiettiva rappresentazione e partecipazione dell'unione tra Cristo
e la Chiesa.
Questa comunione è inoltre una consacrazione (cfr. GS 48), non solo dell'amore dei coniugi,
bensì degli stessi coniugi attraverso il loro amore. Un amore non soggettivo, bensì oggettivo, pattuito
ed assunto da Dio nel suo.
La comunità familiare è fondata su questa comunione-consacrazione e penetrata fino in fondo
da ciò che ne costituisce l'essenza (cf. Lettera alle famiglie n. 7): un amore che viene da Dio e che è
unità, indissolubilità, fecondità (cf. Humanae Vitae 9, FC 13).
Pero ciò che riguarda la definizione del vincolo come «quasi-carattere» o come «carisma di
consacrazione», ci troviamo davanti a una questione aperta e affidata al progresso della teologia
ecclesiologica e sacramentaria, che deve definire e chiarificare questi termini. In termini generali,
tuttavia, si può definire il vincolo come una speciale presenza dello Spirito Santo, che unisce
soprannaturalmente ai coniugi, indipendentemente dalla definizione teologica che se ne voglia
dare132[11].
Il vincolo si può dire anche «dono di Dio», ma nello stesso tempo si distingue dalla grazia. Il
vincolo è una permanente offerta di grazia agli sposi: gli sposi possono godere della grazia
sacramentale che deriva dalla obiettiva assunzione del loro amore dall'amore divino, ma uno di loro
può rifiutare di essere conseguente con questa realtà e porre ostacoli al ricevimento della grazia da
parte sua.
Quando gli sposi perdono la grazia, e persino quando perdono il componente affettivo del loro
amore, o quando si tradiscono o si separano... il vincolo rimane lì, come la realtà obiettiva del loro
amore, come testimonianza della fedeltà di Dio, che desidera incominciare sempre di nuovo, malgrado
l'infedeltà verso l'altro e verso di Lui.
132[11] A sostegno di questa considerazione possiamo citare GIOVANNI PAOLO II, nella Mulieris dignitatem, n. 29: «Nella
vita intima di Dio, lo Spirito Santo è la personale ipostasi dell'amore. Mediante lo Spirito, Dono increato, l'amore diventa un
dono per le persone create. L'amore, che è da Dio, si comunica alle creature: "l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori
per mezzo dello Spirito Santo, che ci viene dato" (Rm 5,5). La chiamata all'esistenza della donna accanto all'uomo ("un aiuto
che gli sia simile": Gen 2,18) nell'"unità dei due" offre nel mondo visibile delle creature condizioni particolari affinché
"l'amore di Dio venga riversato nei cuori" degli esseri creati a sua immagine».
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 121
b. Proprietà del vincolo Dice il CIC (can. 1056): «Le proprietà essenziali del matrimonio sono l'unità e l'indissolubilità, che nel matrimonio cristiano ricevono una particolare stabilità a motivo del sacramento». Si riferisce qui al matrimonio in actu esse, al «consorzio di tutta la vita» dell'uomo e della donna uniti col vincolo matrimoniale. Si tratta dunque di esigenze obiettive che sorgono dal loro vincolo - comunione d'amore, come sue proprietà. Già la Gaudium et spes n. 48, ne aveva sviluppato le motivazioni a livello naturale: «Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l'indissolubile unità». E Giovanni Paolo II, nella Familiaris consortio n. 13, ricorda il contributo del sacramento: «In virtù della sacramentalità del loro matrimonio, gli sposi sono vincolati l'uno all'altro nella maniera più profondamente indissolubile».
1) L'unità del matrimonio133[1] Anche se la questione dell'unità del matrimonio è legata a quella più complessa dell'indissolubilità, essa richiede nondimeno di essere studiata, poiché conserva la sua attualità in regioni di antiche culture nei paesi di missione, e presso alcune sette di recente fondazione (per esempio i Mormoni). È anche un punto importante nel dialogo interreligioso, soprattutto con l'Islam. Il Magistero ha fatto notare inoltre che le recenti tecniche di fecondazione artificiale eterologa contraddicono l'unità matrimoniale134[2]. 1. Nell'Antico Testamento Le narrazioni della Genesi (Gn 1,27; 2,21-24) affermano che il Creatore aveva voluto la coppia umana monogamica. Gn 2,21-24 con l'espressione «una sola carne», intende una sola coppia. Per collocarsi nel racconto della creazione, questo versetto esprime il piano di Dio sul matrimonio, e per tanto, gli elementi appartenenti alla sua essenza. Gn 1,27 passa dal singolare «a immagine di Dio lo creò» al plurale «maschio e femmina li creò», indicando così l'unità dei due come immagine di Dio. La poligamia appare dopo il peccato. Lamek (dalla discendenza di Caino, presentato come uomo orgoglioso e vendicativo), è il primo personaggio biblico a prendere contemporaneamente due mogli (Gn 4,19). I patriarchi ed i re praticavano la poligamia, sebbene si distingueva tra lo stato delle mogli legittime (nashim) e delle concubine. Le moglie lecite potevano essere poche, di preferenza una. Ai re si raccomandava di non prendere troppe donne (Dt 17,7). Tra i privati la cosa più comune era la monogamia. Con il passo degli anni si va imponendo la monogamia come l'usanza più normale. L'opposizione al ripudio che osserviamo in Malachia (2,14-16) è una testimonianza della tradizione monogamica del Israele degli ultimi tempi prima del cristianesimo. 2. La novità evangelica Molto più chiara e razionale risulta la posizione del Nuovo Testamento.
133[1] Cfr. Ligier, p. 156. 134[2] Tra alcuni teologia è sorta anche la tendenza a conferire una «rilevanza ecclesiale» alla seconda unione dei fedeli
divorziati risposati, senza negare l'indissolubilità del precedente matrimonio. La Chiesa però non concede a queste unioni, in
quanto tali, alcuna rilevanza per la costruzione della Chiesa. Ciò nondimeno, accoglie le persone che si trovano in questa
situazione per indirizzarle nel cammino della conversione e per aiutarle a compiere i doveri verso i figli risultanti da queste
unioni.
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a. Gesù Cristo, in Mc 10,6-9 e Mt 19,4-6, ci riporta, risalendo al tempo prima di Mosè e della sua accettazione del divorzio, all'istituto originario della Genesi. Anzi, egli lo rafforza in due modi che dobbiamo rilevare: 1) La parola che nella Genesi sembravano essere di Adamo vengono ormai attribuite a Dio stesso: «perciò lascerà l'uomo... e saranno una carne sola». 2) E Cristo aggiunge: «Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio congiunse, l'uomo non lo separi» (Mt 19,6). Secondo Gesù, Dio è l'autore dell'unità del matrimonio stesso, e non della sola attrazione sessuale tra uomo e donna. 3) È ovvio, inoltre, dal contesto della condanna categorica del divorzio, che per Gesù, l'unione è monogamica: se chi ripudia la propria moglie e prende un'altra donna commette adulterio, a maggior ragione lo commette se prende un'altra conservando la precedente. In questo modo si può dire che se Cristo proibisce la poligamia successiva introdotta dal divorzio, a maggiore ragione proibisce la poligamia simultanea. b. Queste affermazioni di Gesù ricevono maggiore rilievo nella riflessione di S. Paolo ai corinzi, in cui l'apostolo afferma l'uguaglianza tra marito e moglie e i mutui doveri: «La moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma lo è la moglie» (1Cor 7,3-5). È ovvio che nella poligamia o nella poliandria tale uguaglianza e reciprocità non sarebbero possibili; sarebbe il marito o la moglie ad imporre la propria legge all'altro. Il «comune accordo» di cui parla S. Paolo sarebbe dunque fuori posto. 3. La Chiesa antica Sin dai primi secoli, i Padri ebbero il merito di affermare il principio che risulta dal predetto insegnamento di Cristo e di san Paolo. Così Teofilo, Clemente Alessandrino, Epifanio di Cipro, ecc. Alcuni come Gregorio Nazianzeno e Basilio attribuivano ad esso un valore escatologico e condannavano le seconde nozze nella vedovanza135[3]. 4. Principali interventi del Magistero Papa Niccolò I, nella sua nota lettera ai Bulgari, condanna la poligamia. Basandosi sui versetti della Genesi e di san Matteo già visti, afferma che il comandamento di Dio all'uomo era di unirsi a sua moglie e non alle sue mogli. Le stesse ragioni riprende papa Innocenzo III nella sua decretale Gaudemus (1201), e aggiunge che a alcuni fu permesso di avere più mogli dalla rivelazione divina, in riferimento ai personaggi dell'AT. Di fronte a alcune tendenze permissive dei primi protestanti, il Concilio di Trento, nella sessione 24, riafferma l'unità nel Decreto sul matrimonio (DS 1798) e condanna nel cannone 2 chi afferma che la poligamia per i cristiani non è proibita dalla legge divina136[4]. 5. Magistero attuale - Nel discorso di fine anno 1930, Pio XI mette in rilievo l'unità come esigenza basica del bene della fides o fedeltà matrimoniale. - Il Concilio Vaticano II e i documenti susseguenti, hanno affermato questa dottrina, come abbiamo visto all'inizio del tema. La Gaudium et spes al n. 48, fa dipendere questa esigenza dall'«intima unione, come mutua donazione di due persone, come pure dal bene dei figli»; e al n. 49, dall'«uguale dignità personale, sia dell'uomo e della donna, che deve essere riconosciuta nel mutuo e pieno amore». - Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio, n. 19 ricorda che «la poligamia è contraria a questa uguale dignità e al mutuo amore, che è unico ed esclusivo». - Questo si riflette nella formula del CIC can. 1056 esposta all'inizio.
135[3] L'argomento oggi non causa problemi. Se si vuole leggere sulla discussione antica, cfr. P. ADNÈS, El matrimonio, pp.
57, 92-94, 213-214. 136[4] Si dice «per i cristiani» per evitare di entrare a giudicare la poligamia dell'Antico Testamento.
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- L'istruzione della SCDF Donum vitae (1987), sulle tecniche di riproduzione, condanna la fecondazione artificiale eterologa, come contraria all'unità matrimoniale. L'unità e fedeltà del matrimonio richiede che gli sposi siano genitori soltanto l'uno attraverso l'altro. Lo stesso si dice nei casi di maternità sostitutiva (quando l'ovulo fecondato è impiantato nell'utero di un'altra donna). - Il Catechismo della Chiesa Cattolica, al n. 1644, fa dipendere l'esigenza di unità dall'amore degli sposi, come consegna totale della persona. Si riferisce all'amore pattuito, all'amore-comunione che è il vincolo del matrimonio, fondamento della comunità che formano i coniugi e suoi figli, come abbiamo già visto. Questo amore esige l'unità e indissolubilità della «comunità di persone che include tutta la loro vita». Cita a riprova di questo il «già non sono due bensì una carne sola» di Mt 19,6. Nel n. 1645 ricorda gli argomenti di GS 49 e FC 19. 6. Conclusione Tanto la Scrittura come la Tradizione e gl'interventi del Magistero escludono la poligamia o poliandria dal matrimonio cristiano. La Chiesa ha considerato questa proibizione della poligamia di diritto divino positivo, come risulta dalla volontà dello stesso Cristo e dal piano originale di Dio nella creazione. La poligamia usuale nell'AT è stata spiegata o come segno di decadenza morale e religiosa - un aspetto in più della «durezza del cuore» tollerata temporaneamente da Dio, come nel caso del ripudio - o come permesso speciale di Dio per popolare più rapidamente la terra. L'opinione della tolleranza temporale, come aspetto della pedagogia divina che portal'uomo alla salvezza per tappe successive, è quella più comune oggi. Per ciò che riguarda il matrimonio naturale poligamo, secondo san Tommaso (Contra Gentes, III, 124) sarebbe almeno contro il diritto naturale secondario, in quanto che non annullerebbe il fine primario del matrimonio, la procreazione ed educazione della prole, ma l'amore interpersonale, che, come consegna totale della persona, è proprio del matrimonio. D'altro canto, andrebbe contro la volontà positiva di Dio manifestata nella creazione. Nei nostri giorni, comunque, il CIC non prende in considerazione la distinzione tra fine primario e fini secondari, e, come abbiamo visto, la Gaudium et spes fa dipendere l'esigenza di unità tanto dall'amore interpersonale come dalla procreazione ed educazione della prole137[5] (n. 48) e dall'uguale dignità umana dei coniugi (n. 49), donde possiamo concludere che la poligamia è semplicemente proibita dal diritto naturale: le nozze successive alla prima, sono invalide. È per questo che la Chiesa, come abbiamo visto, esige la celebrazione del matrimonio al poligamo che si battezza e non vuole restare con la prima moglie.
137[5] Difatti, è difficile un'autentica procreazione a livello degno d'uomo e una vera educazione senza un vero amore
interpersonale dei genitori.
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2) L'indissolubilità del matrimonio
Il tema dell'indissolubilità ha sollevato più dibattito e merita di ricevere più spazio. Seguiamo
l'argomentazione di P. Ligier, con qualche variante nell'ordine dell'esposizione138[1].
A. L'indissolubilità nelle Sacre Scritture
1. L'indissolubilità nell'Antico Testamento e nell'interpretazione giudaica
a. L'indissolubilità nell'AT
La funzione del matrimonio è quella di assicurare all'uomo e alla donna una propria
discendenza legittima che erediterebbe la terra, donde la quasi consacrazione della donna al suo
marito. Non era tuttavia un semplice diritto di proprietà sulla donna da parte dell'uomo, perché il
marito non poteva venderla o cederla a un altro.
Il matrimonio era dissolubile unilateralmente dal marito, ma doveva trovare nella moglie
"qualcosa d'indecente» in ebraico «'erwat dabar» (Dt 24,1), che letteralmente significa «nudità di
parola», sebbene «dabar» può fare pure riferimento al pensiero o all'azione. Di questa espressione si
davano due interpretazioni, lassa e rigorosa.
b. Nel giudaismo ai tempi di Cristo
Seguivano due tipi d'interpretazione:
- Rigorosa: di rabbi Shammai: intendeva «'erwat dabar» («aschêmon pragma», nel greco dei
LXX) nel senso di una colpa sessuale grave della moglie.
- Lassa: di rabbi Hillel, (e di Aquiba, nei tempi di Cristo): sarebbe qualche impudicizia della
moglie, o qualsiasi altra cosa di spiacevole al marito.
2. L'indissolubilità nel Nuovo Testamento
a. I dati testuali
- più antico: 1Cor 7,10-11 (± anno 55)
- testi brevi: Mc 10,1-12 e Lc 16,18
- con incisi: Mt 5, 31-32 (parektós lógou porneías); 19,1-9 (mé epì porneía)
NB: vedere appendice a colori alla fine delle dispense
In Mc e Mt i testi appaiono in un contesto di confronto tra la legge antica e la legge nuova,
nella prospettiva della Pasqua di Cristo, che inaugurerà il nuovo Regno.
b. Forme di presentare la legge dell'indissolubilità
1) La legge evangelica sull'indissolubilità si presenta con due forme di espressione:
a) Assoluta o categorica, che si riscontra nei quattro testi: è la condanna generica del divorzio.
b) Casistica, che, pur essendo propria del solo Matteo, viene anche attestata nel suo Vangelo due
volte. Si può essere divergenti circa la valutazione di questa forma casistica: nessuno tuttavia pretende
che sia da eliminare.
138[1] Cfr. Ligier, p. 161.
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2) La forma assoluta ha origine in Gesù. La forma casistica sarebbe propria di Matteo o della
tradizione della chiesa alla quale scriveva, ed esprimerebbe una soluzione ai problemi pastorali
primitivi di fronte alla dottrina evangelica. La forma casistica potrebbe avere un valore normativo per
il futuro, in quanto annuncia l'esistenza dei casi particolari che sono oggetto dell'attenzione pastorale
della Chiesa.
c. La legge generale categorica
1) ESPRESSIONI
Uguale in 1Cor, Mc e Lc. Lc ignora il contesto di polemica coi farisei e colloca il logion in un
contesto di affermazione della perennità della Legge (quella Nuova, a giudicare da 16,16).
In Marco, egli riferisce la discussione di Gesù con i Farisei, ma essa risulta meno precisa che
in Matteo. Ma la condanna del divorzio, da lui applicata ugualmente al marito che alla moglie
(contesto del diritto romano), è più assoluta. Non è così in Luca; ma questi ha, tuttavia, il merito di
contemplare più esaurientemente il caso dell'uomo, prima, cioè il marito che ripudia e si risposa; poi,
l'uomo che sposa la ripudiata.
Quanto a Paolo, egli distingue apertamente il problema di due che, sposatisi pagani, uno di
essi si converta, e ne dà la soluzione con la sua sola responsabilità (1Cor 7, 12-16). Invece, riferisce
esplicitamente alla persona di Cristo il precetto di condanna del divorzio (1Cor 7, 10-12). Di per sé,
sembra essere condannata anche la semplice separazione; viene detto infatti: «la moglie non si separi
dal marito». Tuttavia non è certo, poiché è considerato possibile - almeno di fatto - che ella si separi!
In questo caso, l'Apostolo suggerisce due proposte: riconciliarsi col marito o non risposarsi.
Ad ogni modo, la legge di condanna del divorzio vale per le due parti, marito e moglie. Marco,
infatti, presenta successivamente i due casi, e Luca asserisce che l'uomo che sposa una ripudiata
commette adulterio.
2) ORIGINE DELLA LEGGE
Secondo san Paolo, che lo afferma formalmente, l'autore della legge categorica de assoluta, è
Cristo. Gli esegeti di oggi concordano nel ritenere che, come in altre circostanze, Cristo avrebbe
trattato il tema parecchie volte, una volta sotto la spinta dei suoi avversari che lo volevano mettere alla
prova, un'altra volta da sé, senza essere stato provocato. Alcuni attenti alla forma trasmessa da 1Cor 7,
10-12, pretendono che Gesù stesso non avrebbe accettato la semplice separazione, distinta dal ripudio
seguito da nuove nozze.
Ad ogni modo, la legge generale, categorica ed apodittica, quindi assoluta, è la forma più
comune nel NT; è comune a tre recensioni; è la più antica, trasmessa sin dagli anni 55, e attestata dalla
forma più classica dei Sinottici, cioè Lc 16,18.
d. La forma casistica: gli incisi di Mt 5,32 e 19,9
1. MT 5,32: «PAREKTÓS LÓGOU PORNEÍAS»
a) Il marito, autore del ripudio, non va a nuove nozze; non gli è quindi rimproverato nessun
adulterio.
b) Quanto alla ripudiata, si sottintende che si risposa, giacché si dice che il marito la fa essere
adultera, e inoltre si dice che chiunque la risposi, adultèra.
c) Quanto all'inciso e alla portata dell'eccezione che introduce, essi hanno solo un valore
secondario: non intende scusare l'adulterio commesso con le nuove nozze della ripudiata, ma soltanto -
e dobbiamo starci attenti - la colpa che il primo fa commettere alla ripudiata nel caso di nuove nozze.
Egli viene scusato, non per averla ripudiata, ma solo per essere occasione della colpa del nuovo
matrimonio. Ad ogni modo, l'inciso non può significare che le nuove nozze siano lecite alla ripudiata:
la porneía, che essa ha commesso e che l'inciso riferisce, non può generare un diritto.
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2) MT 19,9: «MÉ EPÌ PORNEÍA»
Mette direttamente in questione la colpevolezza del marito, sia per il solo ripudio sia per il
ripudio seguito da nuove nozze. Pone i seguenti problemi da analizzare:
- Si tratterà di verificare la forma stilistica con cui è introdotta l'eccezione: cosa significa il mè
epi... ?
- Sarà anche doveroso precisare l'identità della colpa della moglie, se cioè la cosiddetta porneía
sia il solo concubinato o anche l'adulterio.
- Occorrerà verificare se l'inciso miri a scusare il solo ripudio, o il ripudio quando viene seguito
da nuove nozze.
e. Riassunto dell'interpretazioni attuali degli incisi di Matteo
1) De Bonsirven (cattolico) e Baltensweiler (protestante): la porneía sarebbe il concubinato, unione
illegittima. Oggi molto accettata.
2) Di San Girolamo, ripresa e sostenuta oggi da J. Dupont: porneía sarebbe una mancanza grave della
moglie: impudicizia o adulterio. In questa interpretazione viene permessa la separazione dei coniugi, ma è
proibito il divorzio e le nuove nozze.
3) Protestanti e Orientali: come l'anteriore, ma considerando permesso il divorzio come eccezione per
questi casi.
4) Decamps, in campo cattolico accetta questa interpretazione, ma rilevando che si tratterebbe di una
eccezione introdotta dall'evangelista, limitata a un tempo e a una comunità concreti.
f. L'interpretazione di Mt, 19,9
1) LA FORMA STILISTICA DELL'INCISO, «MÈ EPI»
Il «parektós lógou porneías» di Mt 5, 32, poiché è una semplice ripresa di Dt 24,1, non creava
nessun problema. Invece, il significato mè epi, fu molto discusso. Si cercava di attribuire alla formula
un significato sia inclusivo sia preteritivo.
- significato inclusivo: il mè epi non significherebbe «non per...» o «eccetto per...», ma proprio
il contrario: «nemmeno per...» «neanche per...»: la condanna del divorzio è valida anche nel caso della
porneía!
- senso preteritivo: secondo cui l'ipotesi espressa dall'inciso sarebbe da tralasciare
completamente, ossia da abbandonare: «non si deve tener conto del caso di...».
Queste interpretazioni sono oggi del tutto abbandonate. Sono tutte e due fuori del contesto.
Invero, la domanda dei farisei non si riferiva concretamente all'adulterio, ma a «qualunque causa». Si
tratta dunque di vere eccezioni che debbono essere valutate. Seguiremo quindi la traduzione odierna:
«eccetto il caso di...».
2) SIGNIFICATO DI «PORNEÍA»
Secondo l'interpretazione di Bonsirven/Baltensweiler sarebbe prima di tutto il concubinato,
intendendo le unioni incestuose o illegittime per motivi di consanguineità (in ebraico, zenut) secondo
Lv 18. Era proprio da questo tipo di porneía, che il Concilio di Gerusalemme chiese ai convertiti dal
paganesimo di astenersi (Atti 15,20).
Si dice, inoltre, che porneía in greco non stava a significare normalmente adulterio, bensì
prostituzione: l'adulterio veniva espresso con il termine moicheía. Si vede anche in Mt. 15,19, in cui
Gesù parla di adultèri (moicheîai) e prostituzioni (porneîai).
Difficoltà: secondo il contesto, la domanda che i farisei pongono a Gesù i non si riferisce a Lv
18, bensì a Dt 24,1, cioè al caso di una moglie legittima che è ripudiata. Si obietta inoltre che il
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concetto di porneía negli Atti 15,20 sarebbe più ampio, e che i Padri, che parlavano pure la lingua
greca, avevano interpretato porneía come adulterio.
3) LA PORTATA DELL'INCISO
Se l'inciso introduce una ver'e propria eccezione e se l'adulterio è questa eccezione, viene
scusato il solo ripudio o vengono scusate anche le nuove nozze?
a) Secondo l'interpretazione patristica di Girolamo / Agostino, l'adulterio della moglie permette
al marito la separazione semplice, senza divorzio e senza nuove nozze. L'inciso verte soltanto sul «chi
ripudia la moglie sua» e non sul «e sposa un'altra». La porneía della moglie non scusa l'adulterio del
marito più che quello della ripudiata.
Secondo J. Dupont, se conforme a Mt 5,32 la porneía non costituisce per la ripudiata un diritto
a risposarsi, non può esserlo neanche per l'autore del ripudio, cioè per il marito. Altri invece, come
mons. Descamps, accettano che, grammaticalmente e storicamente (cioè tenuto conto dell'ambiente
semitico), fosse permesso anche il nuovo matrimonio: non si ripudiava - dicono - se con l'intento di
nuove nozze.
Vantaggi: questa soluzione, propria della disciplina cattolica, ha soprattutto il merito di essere
coerente con la legge generale, categorica e assoluta”, espressa nelle altra recensioni. Essa viene,
inoltre, appoggiata dalla prassi antichissima di Corinto, che testimonia la notizia della separazione
senza nuove nozze (1Cor 7,11), nonché dell'uso riferito nel Pastore di Erma.
b) Un gruppo consistente di Orientali (separati), di Protestanti, nonché di cattolici ammettono che
l'inciso possa permettere non il solo ripudio, ma anche nuove nozze. Le ragioni sarebbero:
- di ordine grammaticale: l'inciso può estendere il suo valore a «e sposa un'altra»;
- di ordine culturale: la prassi semitica non intendeva il ripudio se non in vista di nuove nozze;
- di tradizione religiosa: nell'AT, l’adulterio era non solo colpa grave, ma la colpa per
eccellenza, perché simboleggiante l'apostasia religiosa. L'adultera doveva essere lapidata; quindi, il
suo peccato annientava il matrimonio. Il marito non poteva più continuare la coabitazione con
l'adultera, a causa della santità del matrimonio. In tale contesto, l'inciso prendeva senso. Significava un
tentativo di compromesso tra la posizione primaria di Gesù (la legge categorica ed assoluta) e le
richieste di alcune sette giudeo-cristiane che conservavano il suddetto concetto dell'adulterio e
consideravano l'adultera come legalmente «morta», il che dava adito a nuove nozze. Quindi, il ripudio
non sarebbe permesso per «un qualunque motivo», ma soltanto in questo caso estremo.
g. Significato della riposta di Gesù alla domanda dei suoi apostoli
Questi esclamano sorpresi: «Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non
conviene sposarsi». Rispose Gesù: «Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato
concesso» (Mt 19, 10-11). La risposta di Cristo può sorprendere alcuni che non capiscono come mai
l'indissolubilità sia affermata da una legge così categorica ed assoluta, se non può essere osservata
nella condizione naturale dell'umanità, giacché viene richiesto l'intervento della grazia139[2]. A nostro
parere, questa obiezione non è valida nel contesto del brano di Matteo.
- Prima ragione è che la condanna del divorzio non poggia soltanto sull'autorità personale di
Cristo, ma prima di tutto ed essenzialmente sulla volontà del Creatore: «L'uomo non separi ciò che
Dio ha congiunto». Orbene, il ricorso all'autorità del Creatore è comune alla recensione di Matteo e a
quella di Marco, e basta a porre in salvo il valore naturale dell'indissolubilità.
- Se Cristo pretende elevare l'istituzione creaturale a Sacramento, a istituzione del Regno, è
logico che parli della grazia. Possiamo dire che la legge dell'indissolubilità presenta una stabilità che è
nel contempo un'esigenza creaturale e un dono del Signore.
139[2] Questa applicazione all'indissolubilità del matrimonio è un'interpretazione possibile delle parole di Gesù; normalmente
queste parole non vengono riferite al matrimonio indissolubile, ma alla vita di continenza nel celibato o nella verginità per il
Regno dei Cieli.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 129
Dio non può mancare di concedere la sua grazia sanante ai coniugi uniti in matrimonio
soltanto naturale perché possano soddisfare le esigenze della fedeltà e dell'indissolubilità. Giovanni
Paolo II nel suo discorso alla Rota del 2002, così si esprime al riguardo:
A questo disegno divino naturale si sono conformati innumerevoli uomini e donne di tutti i
tempi e luoghi, anche prima della venuta del Salvatore, e vi si conformano dopo la sua venuta
tanti altri, anche senza conoscerlo. La loro libertà si apre al dono di Dio, sia al momento di
sposarsi sia durante tutto l'arco della vita coniugale.
h. Conclusioni sugli incisi di Matteo
1) La Chiesa cattolica ha permesso la semplice separazione senza soluzione del vincolo e senza
nuove nozze in caso di adulterio, e questa è l'interpretazione più comune tradizionalmente data agli
incisi di Matteo.
2) La tesi di Bonsirven / Baltensweiler, è utile da punto di vista apologetico e catechistico, ma
nasconde le difficoltà, che si è manifestata nel corso di una storia millenaria, che cioè esistono
purtroppo casi in cui intervengono degli adultèri nell'arco di un matrimonio. In questi casi, la Chiesa
ha preso in considerazione gli incisi nel senso suddetto.
3) Mons. Descamps come Segretario della Pontificia Commissione Biblica, pretendeva lasciare
l'ultimo giudizio alla Chiesa stessa. Secondo lui, gli incisi, anche permettendo il divorzio e le nuove
nozze, rappresenterebbero una pratica pastorale transitoria in alcune comunità giudeo-cristiane, già
superata quando si è iniziata la redazione greca di S. Matteo. La prassi comune e universale sarebbe
quella testimoniata da san Paolo nella 1Cor.
Ma a questo si può obiettare il fatto che nessun resto rimase di questa tradizione nella Chiesa
primitiva. In alcuni testi primitivi come Il Pastore, scritto dal presbitero Erma, si ammette un ripudio
della donna a scopo penitenziale: il marito si separa dalla moglie affinché questa si veda spinta a
riconsiderare il suo peccato e pentirsene, e in caso di pentimento, riprenderla di nuovo. Questo
significa che non si doveva risposare. Questa pratica è in accordo con il comportamento di Dio, il
marito di Israele, che lo “ripudia” mandandolo in esilio, ma per richiamarlo al pentimento, senza
rompere l’Alleanza. Se, come abbiamo visto, Cristo e S. Paolo raccolgono questa tradizione dei
profeti, questo potrebbe essere il senso del rifiuto permesso da Matteo. (Si veda lo sviluppo di questo
ragionamento nel “Appendice su Mt 19,9”).
4) Comunque sia, non si può tentare di risolvere i problemi della Chiesa d'oggi con le soluzioni ai
problemi della Chiesa apostolica. Tra le altre cose perché il senso esatto dei testi è passibile di diverse
interpretazioni. Per assicurare la continuazione tra l'espressioni della fede e la prassi di allora e di
adesso, non resta che riferirsi al Magistero e notare come esso si è espresso lungo i secoli di fronte alle
varie crisi.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 131
Riflessioni su Mt 19, 9
- Tutto sembra indicare, ed è l'opinione comune degli esegeti, che Matteo introduce l'eccezione come
risposta qualche questione dibattuta nella comunità per la quale scrive.
- In Matteo abbiamo l'eccezione in due testi:
- In Matteo 5, che sembra giustificare solo il fatto del ripudio, ma non parla del passo a nuove nozze
del marito. E se proibisce le nuove nozze alla donna reietta, si suppone che il vincolo rimane.
- In Matteo 19, dove c'è il dubbio che l'eccezione giustifichi non solo il ripudio, ma anche le nuove
nozze. Tuttavia, alla luce di Mt 5, dovremmo propendere a pensare che giustifica solo il ripudio140.
- Inoltre, l'insegnamento di Gesù nel testo di Marco viene indirizzato ai discepoli, ma in Matteo ai
farisei. Matteo redige il suo testo come se volesse dare una risposta a ebrei particolarmente osservanti.
Quello porta a pensare che nella comunità giudeo-cristiana di Mt alcuni considerassero indecente il
non ripudiare la donna in caso di adulterio, come se il marito se ne facesse complice se non la
ripudiava. Donde la redazione dell'inciso: sarebbe giusto ripudiare la donna. Ma sarebbe anche giusto
sposarsi con un'altra?
- Nelle dispense si dice che Mons. Deschamps, esegeta cattolico, pensa che sarebbe questa l'intenzione
di Matteo; nessuno tra gli ebrei ripudiava se non era per sposarsi di nuovo. Tuttavia, aggiunge, non era
questa la dottrina originale di Cristo, che era seguita dalle altre comunità, come mostrano gli altri testi.
Sarebbe una "concessione" di Matteo, quasi una "debolezza"?
- Invece, possiamo apportare ragioni più che sufficienti per provare che l'eccezione di Mt 19 tollera
solo il ripudio, ma non le nuove nozze del marito.
- In primo luogo abbiamo il testo dello stesso Mt nel cp. 5: la donna reietta non può sposarsi di
nuovo… e il marito si? Sarebbe difficile giustificare questa situazione, secondo l'idea paritetica del
matrimonio cristiano, espressa da S. Paolo in 1Cor 7,4. Il senso di Mt 5 sembra essere che in caso di
adulterio, il marito, ripudiando, non espone la donna all'adulterio, semplicemente perché l'ha
commesso già. Non potrebbe essere la stessa cosa in Mt 19?
- In secondo luogo, abbiamo il sottofondo vetero - testamentario degli insegnamenti di Cristo. Cristo
in Mt 5 proclama il Sermone della Montagna, nel quale porta a pienezza il mandato di Dio al suo
Popolo nell'Alleanza del Sinai: “Siete santi come io sono santo" (Mt 6,48 = Lv 19,2). E benché molti
dei precetti di Cristo sembrino assolutamente nuovi, molti di essi si trovano già in nucleo nell'Antico
Testamento, non solo nella Legge, ma anche nei Profeti e negli altri Scritti, alla luce dei quali si vanno
scoprendo già nell’Antico Testamento alcune esigenze di santità più grandi di quelle scritte nella sola
Legge.
- Come sottofondo della discussione di Cristo con i farisei, troviamo la predicazione dei profeti, che
annunciano una nuova Alleanza, e l'esprimono con l'immagine di Dio-marito che perdona la Popolo-
moglie che gli è stata infedele, tornando a realizzare con lei un’Alleanza Nuova simile a quella
descritta nei primi due capitoli della Genesi (cfr. p. es. Osea 2, 18-25), che supera la "durezza di
cuore" degli uomini (Ezechiele 36,26), precisamente quella durezza di cuore che giustificava la
concessione del ripudio.
- Nella predicazione dei profeti, Dio si mostra più santo nella sua alleanza matrimoniale con Israele di
quanto egli stesso esige nella Legge agli uomini. Col risultato che alla luce di questo comportamento,
e applicando il principio-base “siete santi come io sono santo", il Profeta Malachia arriva a mettere
sulle labbra di Dio: "io odio il ripudio" (Ml 2.16). Si osservi che il ragionamento di Ml 2,13-16, è
molto simile a quello usato da Cristo nella sua risposta ai farisei: consiste in rifarsi al matrimonio della
Genesi come modello di perfetta alleanza matrimoniale. L'uomo deve essere fedele al patto con sua
moglie come Dio è stato fedele al patto col suo Popolo.
140 H. Crouzel pensa che il testo primitivo di Mt 19,9 riproducesse Mt 5,32, e che l’aggiunta “e ne sposa un’altra” sia apparsa
verso metà del sec. IV per concordare questo testo con Mc 10,11. Cf. G. PELLAND, La pratica della Chiesa Antica relativa ai
fedeli divorziati risposati, in CDF Sulla pastorale dei divorziati risposati… p. 111, che a sua volta cita H. CROUZEL, Le texte
patristique di Matthieu V, 32 et XIX, 9, in NTS 19 (1972) 98-119.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 132
- Orbene, Dio non ha ripudiato il suo popolo per sempre, nonostante l’adulterio. Ci è stato, certo, un
ripudio di Dio, che fu la distruzione di Gerusalemme e l'esilio in Babilonia, ma fu un ripudio
penitenziale, senza rottura dell'Alleanza, vale a dire, senza rottura del vincolo. Questo si vede chiaro in
Ezechiele 16, 38-41; Isaia 54, 6-10; Geremia 3,6-13.
- Alla luce di questa tradizione profetica circa il comportamento di Dio come modello per i mariti,
raccolta da Cristo, e anche, al seguito di Cristo, da S. Paolo - come si vede nel testo classico di Ef 5,
25-33, nel quale l'esempio dell'amore di Dio per il Popolo è portato a perfezione dall'amore di Cristo
per la sua Chiesa - si capisce il senso dell'inciso di Matteo: Il cristiano, sebbene possa ripudiare in caso
di adulterio, deve farlo nella speranza che la donna si penta e ritorni, vale a dire, a modo di ripudio
penitenziale, senza rottura dell'alleanza. Nel momento in cui la moglie si pente, il cristiano deve
riammetterla come Dio ha fatto col suo popolo.
- Alla luce del sottofondo degli insegnamenti di Gesù, questo sembra essere il senso dell'eccezione di
Mt. 19: il marito può ripudiare la moglie in caso di adulterio, ma non può sposarsi di nuovo, deve
rimanere, come Dio col suo popolo, nell'attesa del suo ritorno; deve mantenere la fedeltà alla sua
alleanza.
- Inoltre, l'espressione di Cristo "farsi eunuchi per il Regno dei Cieli", che troviamo un po' più avanti
(Mt 19, 12) può essere una spiegazione del “non conviene sposarsi” del versetto 10, ma può anche
interpretarsi come una chiamata a rimanere senza donna una volta rimandata l'adultera.
- In conclusione, se Dio permettesse rompere il vincolo tra gli sposi nel caso di adulterio (o in altri
casi) se porrebbe contro il suo stesso modo di operare in tutta la Sacra Scrittura. L'esigenza “siete santi
come io sono santo" tradotta per il matrimonio da S. Paolo in "mariti, amate le vostre mogli come
Cristo ha amato la sua Chiesa" (Ef 5, 25), si realizza soltanto se il marito rimane fedele al vincolo
matrimoniale nonostante l'adulterio della moglie e il possibile ripudio che possa applicarla. Così ha
agito Dio e così deve agire il cristiano.
- Alcuni dei primi scritti cristiani raccolgono questa idea: Erma ne "Il Pastore"; Clemente di
Alessandria, Origine, Lattanzio. E non dicono, come hanno ipotizzato alcuni orientali, che il marito a
un certo momento debba perdere la speranza di recuperare la donna, e tornare a sposarsi. L’idea di
fondo è che deve perseverare nella fedeltà al vincolo, come Dio è stato fedele all’Alleanza con il suo
Popolo, e Cristo con la Chiesa141.
141 Cfr. F. DELPINI, , Indissolubilità matrimoniale e divorzio dal I al XII secolo, Nuove Edizioni Duomo, Milano 1979.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 133
B. L'indissolubilità nella dottrina della Chiesa e nella riflessione teologica
1. L'indissolubilità nel primo millennio
Nel primo millennio, mentre andava affermandosi la sacramentalità del matrimonio cristiano,
fu custodita de asserita, malgrado alcune contraddizioni, la legge dell'indissolubilità di fronte al
divorzio accettato dalla civiltà greco-romana. Questa fu un'epoca decisiva, segnata da due tappe:
- Nei primi quattro secoli, contrassegnati da grandissime figure patristiche sia orientali che
occidentali, si riscontra un accordo comune tra l'Oriente e l'Occidente nel conservare il principio
evangelico.
- A partire dal V secolo l'Oriente si distinse dall'Occidente. Dietro iniziative imperiali, a
Bisanzio prevalse una legislazione civile favorevole ad ammettere cause regolari di divorzio espresse
nel Codice di Giustiniano (sec. VI). In Occidente, invece, malgrado le pressioni dei grandi a favore del
divorzio e le debolezze di alcuni Concili locali, prevalse, pur attraverso gravi difficoltà e grazie
all'intervento di parecchi vescovi e soprattutto i papi Nicolò I e Giovanni VIII, la condanna del
divorzio, esattamente nel periodo (s. IX) in cui a Bisanzio i Nomocanoni, attribuiti al patriarca
scismatico Fozio, accettavano nella legislazione ecclesiastica le iniziative divorziste di Giustiniano.
Casi odierni di divorzio nella Chiesa bizantina :
- In favore del marito: adulterio della moglie; attentato alla vita del marito; aborto intenzionale con
mutilazione fisica; abbandono della casa; frequentazione di luoghi di gozzoviglie.
- In favore della moglie: adulterio del marito; accusa pubblica e non provata di adulterio alla moglie;
attentato al suo onore; ordinazione episcopale del marito.
- Per ambedue gli sposi: apostasia dalla fede; ingresso nella vita religiosa.
- Altri motivi: tradimento; scomparsa del coniuge; impotenza attestata da tre anni di esperienza.
Tuttavia, le nuove nozze non sono concesse agli sposi finche non si siano purificati con un rito
a carattere penitenziale. Quanto a un secondo divorzio con terze nozze, non viene concesso se non agli
sposi al di sotto di quarant'anni, senza figli; e sono deprivati della comunione eucaristica per quattro
anni.
Si veda anche a questo riguardo l’opinione del allora cardinale Ratzinger nel già citato prologo al
volume intitolato Sulla pastorale dei divorziati risposati,
Problema:
Altri obiettano che la tradizione patristica lascerebbe spazio per una prassi più differenziata, che renderebbe
meglio giustizia alle situazioni difficili; la Chiesa cattolica in proposito potrebbe imparare dal principio di
«economia» delle Chiese orientali separate da Roma.
Risposta:
Si afferma che il Magistero attuale si appoggerebbe solo su di un filone della tradizione patristica, ma non su
tutta l’eredità della Chiesa antica. Sebbene i Padri si attenessero chiaramente al principio dottrinale
dell’indissolubilità del matrimonio, alcuni di loro hanno tollerato sul piano pastorale una certa flessibilità in
riferimento a singole situazioni difficili. Su questo fondamento le Chiese orientali separate da Roma avrebbero
sviluppato più tardi accanto al principio della akribìa, della fedeltà alla verità rivelata, quello della oikonomìa,
della condiscendenza benevola in singole situazioni difficili. Senza rinunciare alla dottrina dell’indissolubilità
del matrimonio, essi permetterebbero in determinati casi un secondo e anche un terzo matrimonio, che d’altra
parte è differente dal primo matrimonio sacramentale ed è segnato dal carattere della penitenza. Questa prassi
non sarebbe mai stata condannata esplicitamente dalla Chiesa cattolica. Il Sinodo dei Vescovi del 1980 avrebbe
suggerito di studiare a fondo questa tradizione, per far meglio risplendere la misericordia di Dio.
Lo studio di padre Pelland mostra la direzione, in cui si deve cercare la risposta a queste questioni. Per
l’interpretazione dei singoli testi patristici resta naturalmente competente lo storico. A motivo della difficile
situazione testuale le controversie anche in futuro non si placheranno. Dal punto di vista teologico si deve
affermare:
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 134
a. Esiste un chiaro consenso dei Padri a riguardo dell’indissolubilità del matrimonio. Poiché questa deriva dalla
volontà del Signore, la Chiesa non ha nessun potere in proposito. Proprio per questo il matrimonio cristiano fu
fin dall’inizio diverso dal matrimonio della civiltà romana, anche se nei primi secoli non esisteva ancora nessun
ordinamento canonico proprio. La Chiesa del tempo dei Padri esclude chiaramente divorzio e nuove nozze, e ciò
per fedele obbedienza al Nuovo Testamento.
b. Nella Chiesa del tempo dei Padri i fedeli divorziati risposati non furono mai ammessi ufficialmente alla sacra
comunione dopo un tempo di penitenza. È vero invece che la Chiesa non ha sempre rigorosamente revocato in
singoli Paesi concessioni in materia, anche se esse erano qualificate come non compatibili con la dottrina e la
disciplina. Sembra anche vero che singoli Padri, ad esempio Leone Magno, cercarono soluzioni “pastorali” per
rari casi limite.
c. In seguito si giunse a due sviluppi contrapposti:
— Nella Chiesa imperiale dopo Costantino si cercò, a seguito dell’intreccio sempre più forte di Stato e Chiesa,
una maggiore flessibilità e disponibilità al compromesso in situazioni matrimoniali difficili. Fino alla riforma
gregoriana una simile tendenza si manifestò anche nell’ambito gallico e germanico. Nelle Chiese orientali
separate da Roma questo sviluppo continuò ulteriormente nel secondo millennio e condusse a una prassi sempre
più liberale. Oggi in molte Chiese orientali esiste una serie di motivazioni di divorzio, anzi già una «teologia del
divorzio», che non è in nessun modo conciliabile con le parole di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio. Nel
dialogo ecumenico questo problema deve essere assolutamente affrontato.
— Nell’Occidente fu recuperata grazie alla riforma gregoriana la concezione originaria dei Padri. Questo
sviluppo trovò in qualche modo una sanzione nel concilio di Trento e fu riproposto come dottrina della Chiesa
nel concilio Vaticano II.
La prassi delle Chiese orientali separate da Roma, che è conseguenza di un processo storico complesso,
di una interpretazione sempre più liberale — e che si allontanava sempre più dalla parola del Signore — di
alcuni oscuri passi patristici così come di un non trascurabile influsso della legislazione civile, non può per
motivi dottrinali essere assunta dalla Chiesa cattolica. Al riguardo non è esatta l’affermazione che la Chiesa
cattolica avrebbe semplicemente tollerato la prassi orientale. Certamente Trento non ha pronunciato nessuna
condanna formale. I canonisti medievali nondimeno ne parlavano continuamente come di una prassi abusiva.
Inoltre vi sono testimonianze secondo cui gruppi di fedeli ortodossi, che divenivano cattolici, dovevano firmare
una confessione di fede con un’indicazione espressa dell’impossibilità di un secondo matrimonio.
Vedere a questo riguardo, sullo stesso volume, l'articolo de G. PELLAND, La pratica della Chiesa Antica relativa
ai fedeli divorziati risposati, (CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Sulla pastorale dei divorziati
risposati. Documenti, commenti e studi, Libreria Editrice Vaticana, Roma-Città del Vaticano 1999, pp. 99-131)
(link a versión española en Google Books). Cfr. anche: H. CROUZEL, L'Eglise primitive face au divorce,
Beauchesne, Paris 1970. F. DELPINI, , Indissolubilità matrimoniale e divorzio dal I al XII secolo, Nuove Edizioni
Duomo, Milano 1979. Per l'insieme dell'esposizione storica, cfr. Ligier pp. 172.174.
2. L'insegnamento di Trento e la sua qualifica dottrinale
I novatori della Riforma protestante avanzarono la proposta di puntualizzare i numerosi motivi
di divorzio, allo scopo di farli riconoscere dalla Chiesa romana: l'adulterio, l'abbandono del domicilio
dopo 10 anni, il rifiuto del debito coniugale, il rifiuto della riconciliazione dopo una prima discordia e
una momentanea separazione. Da parte sua, Filippo di Melantone proponeva quali cause, le sevizie, i
maltrattamenti, l'attentato alla vita del consorte e l'incompatibilità di caratteri. Altri aggiungevano
l'apostasia e l'eresia.
Il Concilio di Trento nella sessione 24, sul matrimonio, al can. 7, afferma:
Se qualcuno dirà che la Chiesa sbaglia (errat) quando ha insegnato ed insegna che secondo la
dottrina evangelica ed apostolica (cf. Mt 5,32; 19,9; Mc 10,11-12; Lc 16,18; 1Cor 7,11) non
si può sciogliere il vincolo del matrimonio per l'adulterio di uno dei coniugi, e che l'uno o
l'altro (perfino l'innocente, che non ha dato motivo all'adulterio) non possono, mentre vive
l'altro coniuge, contrarre un altro matrimonio, e che, quindi, commette adulterio colui che,
lasciata l'adultera, ne sposa un'altra, e colei che, scacciato l'adultero, si sposa con un altro, sia
anatema.
Si osservi che nel parlare dell'adulterio come causa del divorzio si usa la forma indiretta: «Se
qualcuno dirà che la Chiesa sbaglia», diversa di quella usata nei canoni 5 e 6, che abbordano altre
cause del divorzio: «Se qualcuno dirà che per motivo di eresia o a causa di una convivenza molesta o
per l'assenza esagerata del coniuge si può sciogliere il vincolo matrimoniale, sia anatema».
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 135
Questo anatema doveva colpire solo i Protestanti, che negavano l'autorità magisteriale della
Chiesa, ma non i Greci, che, senza condannare l'opinione occidentale, seguivano la prassi deviante
appoggiati agli incisi di Matteo. D'altra parte, si afferma che l'insegnamento della Chiesa è «secondo la
dottrina evangelica ed apostolica», vale a dire, che non è priva di fondamento rivelato.
Da parte sua, Pio XI nella Casti Connubii (1930) afferma: «se non si è sbagliata né si sbaglia
la Chiesa quando insegna queste cose, si segue che è completamente certo che il matrimonio è
indissolubile anche in caso di adulterio». Alcuni, come B. Bruns, affermano che si tratta di un dogma
anche nel senso attuale del termine, cioè di una verità di fede rivelata da Dio formalmente o
virtualmente. Altri come P. Fransen, H. Jedin, affermano che si tratta di una verità cattolica,
ufficialmente insegnata dalla Chiesa. Sorretta dall’insegnamento unanime del magistero, sarebbe una
verità da tenersi definitivamente, anche se non esplicitamente definita. Di questa opinione è anche
Giovanni Paolo II nel suo discorso alla Rota del 2000:
Emerge quindi con chiarezza che la non estensione della potestà del Romano Pontefice ai matrimoni
sacramentali rati e consumati è insegnata dal Magistero della Chiesa come dottrina da tenersi
definitivamente, anche se essa non è stata dichiarata in forma solenne mediante un atto definitorio. Tale
dottrina infatti è stata esplicitamente proposta dai Romani Pontefici in termini categorici, in modo
costante e in un arco di tempo sufficientemente lungo. Essa è stata fatta propria e insegnata da tutti i
Vescovi in comunione con la Sede di Pietro nella consapevolezza che deve essere sempre mantenuta e
accettata dai fedeli. In questo senso è stata riproposta dal Catechismo della Chiesa Cattolica. Si tratta
d'altronde di una dottrina confermata dalla prassi plurisecolare della Chiesa, mantenuta con piena
fedeltà e con eroismo, a volte anche di fronte a gravi pressioni dei potenti di questo mondo.
Si noti che la Chiesa Cattolica e gli Orientali coincidono in ammettere indissolubilità
intrinseca del matrimonio in qualsiasi caso (cioè, non è solubile per decisione degli sposi stessi). Ciò
che è in gioco è l'indissolubilità estrinseca, vale a dire, il potere dell'autorità della Chiesa sul
matrimonio sacramento rato e consumato, che la Chiesa Cattolica non si considera con potere di
sciogliere.
3. Conclusioni dottrinali sull'indissolubilità
L'indissolubilità gode di fondamento nel diritto naturale, ma è prima di tutto un'esigenza
del diritto divino positivo, che tale diritto divino, espresso nell'insegnamento di Cristo, non è
riducibile soltanto all'obbligo esterno della legge formulata da Lui, ma è anche proprietà intrinseca
del sacramento dato da Lui, portato a perfezione e pienezza dalla consumazione.
a. Diritto naturale
1) È vero che da questo stesso diritto naturale sorsero obiezioni alla dottrina dell'indissolubilità.
a) Si rilevò infatti che in mancanza di discendenza, il bonum prolis, costitutivo del matrimonio
naturale sta in favore del divorzio, per assicurare alla persona la sperata prole. Ma il bene della prole è
della coppia, non dell’individuo. La sterilità non è stata mai causa di dissoluzione né di nulità.
b) Si avanza inoltre la prassi dell'AT (Dt 24,1ss.), che permetteva il libello di ripudio; si aggiunge
che anche nel NT viene permessa quanto meno la separazione nel caso, per es., in cui uno dei coniugi
è pagano e questi non accetta la coabitazione pacifica. Ma qui entra in gioco il fine superirore della
salvezza delle anime.
c) Oggi, si invoca di più la varietà dei costumi matrimoniali rivelatasi nella storia e nello studio
delle usanze etnologiche; si dice che è divenuto difficile definire ciò che ora può essere ritenuto come
conforme o contrario alla «natura» dell'uomo e quindi del matrimonio. Ma una costatazione di fatto
non è necessariamente di diritto né di valore.
d) I teologi cattolici, sin da S Tommaso142[4], ammettono la possibilità di distinguere tra diritto
naturale primario e secondario (il primo, con rispetto al fine primario, la procreazione ed educazione
della prole, il secondo con rispetto ai fini secondari: il mutuo aiuto, il rimedio della concupiscenza, o
142[4] Ad esempio: Bellarmino, Sánchez, Perrone, Palmieri e Scheeben.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 136
più genericamente, il bene dei coniugi), di modo che l'indissolubilità sarebbe una esigenza per lo meno
del diritto naturale secondario. Ma oggi non si parla più di fini primari e secondari.
2) Esistono tuttavia dati positivi che meritano di essere ritenuti in favore dell'indissolubilità in
quanto proprietà naturale143[5].
a) Le qualità proprie dell'amore nuziale, che è personale, e pertanto insostituibile ed assoluto;
«se la persona si riservasse qualcosa o la possibilità di decidere altrimenti per il futuro, già per questo
essa non si donerebbe totalmente» (FC n. 11).
b) Con la nascita dei figli si rinforza la necessità dell'indissolubilità del matrimonio (cf. GS n.
48), giacché la presenza dei due genitori è l'ambiente normale di vita stabile per la prole.
c) Le culture decadono con l'aumento dei divorzi.
3) Le suddette conclusioni vengono confermate dalla rivelazione divina circa la Creazione e lo
stato naturale delle cose, da cui risulta, soprattutto da Gn 2, 23-24, che la prima coppia umana formata
dal Creatore fosse monogamica, destinata a costituire, marito e moglie, una sola carne, concezione
ripresa da Cristo, quando fu interrogato dai Farisei (Mc 10,2-9; Mt 19,4-5).
Se potrebbe obiettare che la prima coppia era già sotto la grazia dell'elevazione originaria, ma
questa è proprio l'elevazione di una natura non ferita. E persino nello stato di natura decaduta il
matrimonio meramente naturale è finalizzato alla grazia; è un sacramento in potenza, come
ripetutamente abbiamo fatto notare. Finalmente, Dio non può mancare di concedere la sua grazia
sanante ai coniugi uniti in matrimonio soltanto naturale per soddisfare le esigenze dell'indissolubilità
come abbiamo visto che è stato affermato da Giovanni Paolo II nel suo discorso alla Rota del 2002.
b. Diritto divino positivo
Il diritto positivo è una legge stabilita da Cristo secondo la quale, nel matrimonio,
l'indissolubilità deve essere osservata: il permesso mosaico del ripudio fu condannato e abolito da
Cristo. La legge formulata da Gesù fu accolta ed insegnata dagli apostoli, esposta e sviluppata dai
Padri dei primi secoli, malgrado la fragilità umana; conservata dai Vescovi, nonostante le infedeltà
delle legislazioni umana, difesa dai Papi di fronte ai Grandi, formulata dal Concilio di Trento nei
canoni 5 e 7. In questo senso, l'indissolubilità è un obbligo della società cristiana di fronte ai non
cristiani, consapevolmente vissuta nella Chiesa cattolica davanti alle Chiese orientali e alla dissidenza
protestante del Cinquecento. Come minimo, essa è dottrina cattolica certa.
c. Proprietà intrinseca del matrimonio
Dall'insegnamento dei Padri, soprattutto di sant'Agostino, risulta che l'indissolubilità del
vincolo matrimoniale non è soltanto una legge morale che si deve osservare, ma anche una proprietà
intrinseca, propria del matrimonio sacramento.
1) Sant'Agostino ne fece una delle caratteristiche della sua dottrina del matrimonio, unita al suo
concetto di sacramento. Secondo questo dottore, vi sono tre beni propri del matrimonio cristiano, la
prole, la fedeltà e il sacramento. Orbene, la prole, cioè la discendenza, è un bene comune a tutti i
matrimoni, anche non cristiani. Invece il sacramento - che assicura la fedeltà - è il tratto specifico dei
matrimoni contratti, come dice Agostino, «nella città del nostro Dio, dove fin dalla prima unione di
due essere umani le nozze traggono una forma di indissolubilità, in nessun modo si può sciogliere se
non con la morte di uno dei due. Infatti il vincolo delle nozze rimane, anche se per manifesta sterilità
non segue la prole, per cui esso fu stipulato...»144[7]. Considera inoltre l'indissolubilità del matrimonio
cristiano come proprietà derivata dal fatto di essere segno dell'unità tra Cristo e la Chiesa, che è
indissolubile.
2) Nel successivo sviluppo della teologia e nel Magistero, si ripete questo tema agostiniano. Così
Ugo di San Vittore, Pietro Lombardo, S. Tommaso D’Aquino, il Concilio di Firenze (s. XV),
Bellarmino, Perrone, Pio XI nella Casti connubii...
143[5] Le ragioni, in sostanza, sono simili a quelle dell'unità: la qualità umana dell'amore sponsale e la procreazione ed
educazione umane della prole; cfr. capitolo anteriore. 144[7] De bono coniugali, cap, 15, 24, 32.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 137
d. Confermata dalla consumazione del matrimonio
In campo disciplinare, la Chiesa ha ammesso che la consumazione del matrimonio fosse
necessaria alla perfetta indissolubilità. In chiave teologica, il contributo della consumazione venne
spiegato in diverse forme. L'intervento della consumazione attua l'ultimo simbolismo, cioè quello
dell'unione tra Cristo e la Chiesa, unione spirituale e carnale ad un tempo, che non può mai essere
sciolta (Cristo non può essere separato dalla sua Chiesa). Si può anche dire che simboleggia e attua
l'unione Cristo - Chiesa in dimensione fisica, storica, come fatto compiuto, definitivo, non ritrattabile,
quindi indissolubile.
e. Riflessione sull'assolutezza dell'indissolubilità
Tra il Concilio Vaticano II (1962-65) e la pubblicazione del nuovo Codice di Diritto Canonico
del 1983 sorsero opinioni eccessive e contrastanti sull'assolutezza dell'indissolubilità del matrimonio.
Si domandava: se il potere della Chiesa può invalidare l'effetto della sacramentalità e la
consumazione quando operano separatamente (sacramento senza consumazione, matrimonio naturale
consumato), perché non potrebbe invalidare questi effetti quando entrambi i fattori operano
unitamente, cioè anche nei casi di matrimonio rato e consumato? Ma questa argomentazione non fu
ritenuta valida, perché non si tratta di realtà diverse dal mistero, ma ambedue ne sono principi
intriseci, ossia cause costitutive e complementari del mistero, di una realtà una ed unica: essendoci
tutti e due, è completo. Questo argomento trova riscontro nel can. 1141 del nuovo CIC. Giovanni
Paolo II, nel suo discorso alla Rota del 2000, è tornato su questo argomento, come abbiamo visto
sopra, considerandolo una verità cattolica non più in discussione.
Altri, considerando ancora la consumazione in modo puramente esterno ne ampliavano
l'effetto in modo abusivo, misconoscendo che essa potesse essere attuata con inganno, senza
avvertenza e con ingiusta violenza. Orbene, al riguardo intervenne il nuovo CIC, che dichiarò,
opportunamente, come essa debba essere attuata in modo umano (vale a dire, in modo consapevole,
libero e con un certo senso di coniugalità). Così il cn. 1061 §1.
Sorse anche, per essere respinta, la teoria della consumazione continuata del matrimonio.
Secondo questa teoria, il matrimonio non sarebbe pienamente consumato fintantoché non si verifichi
un soddisfacente aggiustamento sessuale, affettivo e psicologico tra gli sposi. Nel frattempo, il
matrimonio non si potrebbe considerare completamente consumato, e pertanto, nemmeno
assolutamente indissolubile. Lasciando da parte la difficoltà teorica di stabilire dei criteri su ciò che si
considera un aggiustamento soddisfacente, e le difficoltà pratiche di raggiungere tale sensazione di
soddisfazione, almeno nei primi anni di matrimonio, la teoria supponeva, in realtà, la negazione del
matrimonio come consegna totale e definitiva, per lasciarlo in balia delle reazioni soggettive degli
sposi.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 139
c. I poteri della Chiesa sul matrimonio145[1]
1. Quali sono poteri della Chiesa in campo matrimoniale?
Accanto al diritto divino che di per sé è immutabile nei suoi elementi primari (mentre che i
secondari ammettono cambiamenti), in campo matrimoniale esiste un diritto umano (ius humanum,
statuta hominum), sia ecclesiastico che civile. Alla società civile compete il diritto di legiferare per il
matrimonio dei non battezzati, nonché per gli effetti civili dei matrimoni sacramentali. Alla Chiesa,
invece, compete in modo proprio ed esclusivo la legislazione sul matrimonio dei battezzati. Questo è
motivo di conflitto con le legislazioni in molti paesi, soprattutto per quanto riguarda il divorzio. Il
diritto umano, ecclesiastico o civile che sia, è suscettibile di evoluzione e adattamento. Il diritto
ecclesiastico è opera sia delle Chiese regionali, sia della Chiesa universale.
a. Stabilire degli impedimenti matrimoniali
Sin dall'AT, nella legislazione mosaica erano previsti alcuni impedimenti matrimoniali: erano
proibite le unioni illegittime per parentela (cfr. Lv 18); poi, dopo l'esilio, in Esdra c'è la condanna delle
unioni miste con donne straniere (cfr. Esd 9). Nel Concilio di Gerusalemme, la Chiesa cristiana
conservò alcune di queste proscrizioni (cfr. At 15,20). Anzi, san Paolo chiedeva alle vedove cristiane
di risposarsi «nel Signore», cioè con un cristiano (1Cor 7,39). Poi, durante l'età patristica, la Chiesa,
sia orientale che occidentale, emanò delle leggi matrimoniali (Conc. di Arlès, Conc. di Elvira, canoni
di Basilio, ecc.). Nel medioevo possiamo ricordare il Conc. Laterano IV, che riduce gli impedimenti di
consanguineità al quarto grado, interdicendo i matrimoni clandestini.
Nel Concilio di Trento fu definito dai Padri il diritto di fissare degli impedimenti (cn. 4), di
chiarire l'effetto della professione religiosa (cn. 6), il diritto della Chiesa a giudicare le cause
matrimoniali (can. 12) (cfr. CIC 1075).
b. Potere sul matrimonio dei battezzati
1) La Chiesa non si riconosce con potere alcuno di sciogliere un matrimonio che sia nel
contempo rato e consumato. E' un diritto divino proclamato nel Vangelo (cfr. Mt 19,16). Questa è stato
l'insegnamento costante della Chiesa (cfr. capitolo precedente). Ripreso nell'antico e nell'attuale CIC
(cn. 1141). ricordato nella Casti Connubii ecc.
2) Quando il matrimonio rato non è stato consumato, può essere sciolto ipso iure in seguito alla
professione religiosa solenne de uno dei coniugi.
3) Nei nostri giorni occorre la dispensa pontificia per la dissoluzione del matrimonio rato e non
consumato tra battezzati, per qualche causa giusta, a richiesta da entrambe le parti o da una di loro,
anche con opposizione dell'altra (CIC 1142).
c. Potere della Chiesa sul matrimonio dei non battezzati
1) IL PRIVILEGIO PAOLINO
Il matrimonio celebrato tra due non battezzati si può sciogliere in favore della fede della parte
che riceve il battesimo. Lo scioglimento avviene ipso facto allorché il battezzato contrae un nuovo
matrimonio, purché la parte non battezzata si separi. Si considera che si separa quando rifiuta la
pacifica coabitazione con il battezzato, senza offesa del Creatore, salvo il caso in cui la parte
battezzata dopo ricevuto il battesimo, le abbia dato motivi per separarsi (cfr. CIC 1143).
Questo privilegio, molto antico, risale a san Paolo, che ne parla nella 1Cor 7,12-16. Il brano si
segnala per due tratti:
145[1] Cfr. Ligier, p. 184.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 140
- Il primo è che Paolo rivendica questo principio come suo: «agli altri io dico, non il Signore...»
(v. 12).
- Non dice, invece, esplicitamente che il coniuge battezzato può andare a nuove nozze. Tuttavia,
la maggioranza degli esegeti lo ammette: il permesso di riposarsi sarebbe contenuto nella frase: «il
fratello o la sorella non sono soggetti a servitù»: come scrive P. Palazzini, la servitù in questa materia
è la soggezione al vincolo coniugale.
Questo brano era molto discusso nella teologia. Si discuteva pure sul momento in cui veniva
sciolto il vincolo. Secondo Graziano viene sciolto nel momento della separazione dei coniugi,
secondo san Tommaso, seguito oggi anche dal nuovo CIC, ciò avveniva nel momento della nuova
unione.
2) POTERE VICARIO DEL PAPA SUL MATRIMONIO DEGLI INFEDELI (GIÀ «PRIVILEGIO PETRINO»)
a) Storia della questione: Problemi sorti in seguito allo sviluppo delle missioni nel sec. XVI e el
nuove conversioni della popolazione poligamica in America, Africa e Asia, i papi credevano di porvi
rimedio adattando solo il noto privilegio paolino alla nuove condizioni, ampliando le facoltà allora
vigenti. A questo scopo furono pubblicate tre Costituzioni apostoliche:
- Altitudo, di Paolo III, 1537: il poligamo convertito era autorizzato a mantenere con sé la
donna preferita, ma solo quando non si ricordava più quale avesse sposata per prima.
- Romani Pontificis, di Pio V, 1571: poteva tenere con sé la preferita, purché anche questa fosse
convertita e battezzata.
- Populis, di Gregorio XIII, 1583: nelle regioni devastate dalle razzie schiaviste, in caso di
scomparsa della prima moglie, si dispensava da qualsiasi interpellazione, permettendo un nuovo
matrimonio anche se, per caso, quella dovesse farsi viva, convertirsi e ricevere il Battesimo.
Il CIC del 1917, non contento di portare, in allegato, come documenti VI, VII, VIII, il testo
delle tre Costituzioni del sedicesimo secolo, le assumeva già brevemente nel suo cn. 1125 e ne
permetteva l'uso in altre regioni, purché le circostanze di applicazione fossero le stesse. L'ultima
edizione del CIC, del 1983, ha fatto di meglio: i suoi canoni 1148-1149 fanno un breve riassunto della
loro dottrina.
Dato che questi poteri sorpassano l'ambito del privilegio paolino si è cercato per essi un altro
nome. Si è parlato di privilegio petrino o di privilegio della fede, o di potere vicario.
b) Esistenza di questo potere: All'inizio si giudicavano queste cause basandosi sul privilegio
paolino, e alcuni negavano il potere della Chiesa in questa materia, basandosi sull’affermazione di san
Paolo che non si può giudicare quelli di fuori (1Cor 5, 12).
Gasparri affermava che l'esistenza di questo potere del Papa si provava dallo stesso modo di
agire dei Papi, e che il motivo non era soltanto il favor fidei, bensì la salus animarum. Di fatto,
almeno sino al 1959, furono rivolte alla Santa Sede, e accolte, delle domande di scioglimento a
proposito di matrimoni tra infedeli. All'inizio, il motivo invocato era ancora il favor fidei. Quindi fu
accettato il bene delle anime. Dopo il Concilio Vaticano II, dopo aver proclamato nel decreto
Dignitatis humanae (nn. 2-10) la libertà religiosa, sembrava strano che la Chiesa potesse senza
difficoltà, coll'uso del privilegio della fede, favorire l'esistenza della sua propria fede a scapito dei
matrimoni degli infedeli che non la condividevano. Tuttavia, sin dal 1973, l'uso del potere vicario del
Papa è ripreso in un documento. Il CIC ne riporta la parte principale.
3) UN CASO SPECIALE DEL POTERE VICARIO: LO SCIOGLIMENTO DEL MATRIMONIO CON DISPARITÀ DI CULTO.
Un caso speciale da sottoporre al supremo potere del Papa è la dissoluzione di un matrimonio
tra parte battezzata e parte non battezzata (matrimonio con disparità di culto). Questo matrimonio,
anche consumato, è considerato soltanto naturale, per cui è possibile che sia dissolto in favore della
fede e della salvezza delle anime dal potere supremo della Chiesa. Si differenza dai casi precedenti per
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 141
il fatto che non si tratta di un matrimonio contratto quando tutti e due erano infedeli, ma quando uno
dei due era ormai battezzato (cattolico o non cattolico che fosse) e si sposa con parte non battezzata
(avendo ottenuto la necessaria dispensa, se la parte battezzata era cattolica). Inoltre, se nei precedenti
casi è sufficiente compiere con la legislazione vigente, in questo caso è necessario elevare un ricorso
all’autorità del Romano Pontefice, il quale, dietro previo esame dalla Congregazione per la Dottrina
della Fede, emetterà sentenza su ciascun caso in particolare.
La Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicò nel 1973 l’Istruzione sullo scioglimento
del matrimonio in favore della fede (Ut notum est) corredata dalle delle Norme di procedura al
riguardo. Queste norme sono state rivedute alla luce del Codice di Diritto Canonico del 1983 e
pubblicate in nuova edizione nel 2001 col titolo Nuove norme circa il "favor fidei" [Inglese, Latino,
Spagnolo].
2. Fondamenti teologici dei poteri della Chiesa
a. Origine primaria ed immediata di tali poteri
È la relazione della Chiesa a Cristo nel disegno di salvezza, la quale viene associata come sua
Sposa nel ministero dei sacramenti, nonché nella sua attività ministeriale e pastorale (cfr. SC 7). Sotto
questo profilo, la Chiesa interviene di per sé sul matrimonio dei battezzati, sia perché questi sono i
suoi figli ed essa ha autorità su di loro, sia perché i sacramenti sono affidati da Cristo alle sue cure.
Ma, una volta tornato al Padre, Cristo ha lasciato nel mondo la Chiesa come segno e
sacramento di salvezza, nonché come «fermento e quasi anima di rinnovamento» (cfr. GS 40b). La
Chiesa ha una missione da compiere di fronte al mondo stesso. Essendo il matrimonio, già una
istituzione sacra del Creatore, e poi elevato da Cristo alla dignità di sacramento, spetta dunque alla
Sposa di Cristo di prestare attenzione all'opera del Creatore e avvicinarla, con tutti gli uomini, alla
salvezza del Salvatore.
Si capisce pertanto come l'autorità della Chiesa sul matrimonio si estenda ai due ambiti sopra
rilevati: sul matrimonio dei battezzati, sui figli, e sul matrimonio degli uomini tutti, creature di Dio,
chiamati alla salvezza di Cristo.
b. Il perché dell'autorità della Chiesa sul sacramento
1) ALCUNI PRINCIPI
a) La Chiesa ha autorità sul matrimonio dei battezzati, perché questi sono suoi figli ed essa
esercita la sua autorevole potestà su di loro. Nel decreto Tametsi del Concilio di Trento, i Padri misero
delle condizioni per la capacità dei contraenti a contrarre validamente un matrimonio (in realtà misero
queste condizioni al contratto stesso, come abbiamo visto). Appartiene infatti alla Chiesa precisare per
ciascuno dei sacramenti le dovute condizioni di accesso, pur senza toccare la struttura essenziale del
rito.
b) Il matrimonio, elevato da Cristo alla dignità di sacramento, venne da lui affidato alla Chiesa in
un modo che, pur avendo una propria singolarità, è comune a tutti i sacramenti.
(1) Come per ogni singolo sacramento, la Chiesa non ha autorità sulla sostanza del sacramento del
matrimonio, poiché essa proviene dalla sua istituzione. Il concetto di sostanza del sacramento, per
multo tempo discusso, è stato chiarito da Pio XII nella Sacramentum ordinis e definito come «quegli
elementi che, a testimonianza delle fonti della rivelazione, lo stesso Cristo Signore stabilì si dovessero
conservare nel segno sacramentale» (DS 3857).
(2) Il Concilio di Trento accettò formalmente che la Chiesa abbia l'autorità, pur tenendo sana e
salva la sostanza del sacramento, di apportare i cambiamenti richiesti dall'utilità e dalla venerazione
dei sacramenti.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 142
(3) La teologia odierna è in grado di usare una opportuna distinzione tra la sostanza del
sacramento istituito da Cristo e la essenza del rito sacramentale usato dalla Chiesa. L'essenza del rito
sacramentale è costituita dalla materia e forma: è opera della Chiesa; e può variare secondo delle
liturgie e con l'intervento al riguardo dell'autorità ecclesiastica. La riforma sacramentale e liturgica di
Paolo VI è intervenuta anche nel rito del Matrimonio.
(4) Nel caso singolare del matrimonio, le facoltà della Chiesa superano quelle comuni a tutti i
sacramenti, a causa della sua ben nota singolarità istituzionale. Infatti, quanto alla sua sostanza, Cristo
si accontentò di assumere il contratto in uso, al quale diede un significato ed una grazia salvifica di
ordine nuovo, riferendolo al suo Mistero pasquale. Di conseguenza, la Chiesa si sente libera di fronte
ai cosiddetti matrimoni consuetudinari (le forme concrete di celebrare il matrimonio secondo le
diverse culture): li può assumere purché siano degni di adattarsi al nuovo significato e alla grazia
propria del matrimonio cristiano.
2) ESTENSIONE DELLA RESPONSABILITÀ DELLA CHIESA E DEI SUOI POTERI
a) Poiché la Chiesa è vincolata dall'istituzione del Creatore e di Cristo, non può che custodire
sane e salve le proprietà essenziali del sacramento, cioè l'unità e l'indissolubilità del matrimonio, che
appartengono alla sostanza del significato conferito da Cristo al matrimonio elevato a sacramento.
Questa responsabilità si verifica in varie dimensioni:
(1) Nell'insegnamento della Chiesa ai battezzati, in particolare a quelli che si preparano al
matrimonio, nonché alla totalità della comunità cristiana.
(2) La Chiesa ha dovere e il diritto di difendere la santità del matrimonio cristiano davanti allo
Stato, di far rispettare da esso le proprie leggi e impedimenti; il che vale anche nei rapporti con le altra
Chiese.
b) Di fronte alla varie usanze dei matrimoni consuetudinari, la Chiesa ha la responsabilità di
studiarle e di valutarle. Alcune possono essere significative e valide, altre possono essersi mescolate e
contaminate con miti profani, con credenze false e usanze impure e corrotte.
c) Nel matrimonio, come negli altri sacramenti, appartiene alla Chiesa determinare la struttura
canonico-liturgica richiesta dal sacramento istituito da Cristo. La determinazione concreta di questa
struttura nel caso del matrimonio aveva bisogno di un tempo più lungo come già abbiamo visto. Il
Concilio di Trento ha fissato la forma canonica e la forma liturgica per la Chiesa Cattolica di rito
latino. Dopo il Concilio Vaticano II si sono introdotte delle riforme liturgiche, come si vede nell'Ordo
del 1969.
d) Dalla suddetta competenza derivano la responsabilità e il diritto di definire, valutare,
modificare e adattare gli impedimenti del matrimonio per il bene dell'istituzione, la pace delle
famiglie, l'unità della Chiesa. E riguardo agli impedimenti, spetta del pari alla Chiesa specificare le
possibili dispense con le rispettive condizioni e motivazioni.
3) CASO DEL MATRIMONIO RATO E NON CONSUMATO
Esaminiamo la questione sia dal punto di vista di potere ordinario della Chiesa sui sacramenti,
sia di suo potere vicario.
a) Se si tratta del potere ordinario
(1) La Chiesa non si riconosce nessun potere sulla sostanza dei sacramenti, orbene,
l'indissolubilità appartiene alla sostanza, poiché Cristo afferma che il matrimonio era fatto
indissolubile dal Creatore (Mt 19, 4-6), e inoltre perché questa indissolubilità viene rinforzata
dall'elevazione a sacramento, giacché partecipa all'indissolubile unità Cristo-Chiesa. Una volta
consumato il sacramento, questa partecipazione si attua completamente, e il matrimonio è
assolutamente indissolubile.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 143
(2) La Chiesa ha tuttavia il potere d'identificare gli elementi costitutivi del sacramento, e di darne
il concetto giusto: così per la forma canonica e liturgica (potrebbe per esempio, dare alla benedizione
sacerdotale una importanza non solo canonica, ma anche liturgica). Anche può dare al patto e alla
consumazione un concetto adatto ai tempi:
(a) Può introdurre criteri per valutare la coscienza e libertà richieste perché il mutuo consenso sia
un vero atto umano.
(b) Lo stesso per la consumazione. Negli ultimi tempi, la Chiesa ha rifiutato la proposta di
considerare la consumazione non come un atto puntuale, bensì come un periodo di convivenza
armonica, ma ha rifiutato anche il considerare la consumazione come un semplice evento biologico,
introducendo la specificazione «di modo umano» (CIC 1061 §1), cioè realizzata con piena conoscenza
e libertà.
b) Quanto al potere vicario
Si può usare solo a favore dei beni del sacramento e non contro, pertanto, non si può usare
contro l'indissolubilità assoluta del matrimonio sacramento rato e consumato. Quelli che si appoggiano
in Mt 19,6 per considerare la possibilità del divorzio in caso di adulterio, oppongono una ermeneutica
redazionale del testo contro l'ermeneutica teologica, che si vuole attenta alla struttura generale e alla
tradizione.
c. Il perché dell'autorità della Chiesa sul matrimonio degli infedeli
1) ORIGINE DEL PRIVILEGIO PAOLINO
Nel caso dell'infedele sposato, poi convertito e battezzato, senza essere seguito nella fede dal
consorte, la mancanza di fede di questo impedisce che la famiglia diventi una «Chiesa domestica»
conforme al disegno di salvezza. Il privilegio paolino di contrarre nuove nozze si dà non solo in favore
della fede del convertito, ma anche in favore del matrimonio considerato alla luce della fede.
Resta poi il problema di sapere da chi deriva questo privilegio: immediatamente da Dio stesso,
o dall'Apostolo, perché in questo ultimo caso il privilegio sarebbe di origine ecclesiastica, quindi di
diritto umano.
a) La posizione più attuale ammette che il privilegio paolino sia di diritto umano. Militano a suo
favore tre fatti: l'affermazione di Paolo che risale alla Scrittura (1Cor 7,12): «dico io, non il Signore!»;
gli ultimi passi dell'attuale disciplina; la continuità tra la prassi del privilegio paolino e quella del
potere vicario attraverso la disciplina delle tre Costituzioni apostoliche. Così anche il Bellarmino ed
altri professori dell'allora Collegio Romano, sostenuta anche in nostro secolo.
b) L'altra posizione, i cui fautori erano più numerosi: Sánchez, Benedetto XIV, Alfonso de
Ligouri, Perrone, Billot, Wernz, Gasparri, Payen, ritenevano che il privilegio derivasse direttamente
da Cristo, che lo aveva rivelato all'apostolo Paolo, il quale si era solo limitato a trasmetterlo. Essi
argomentavano dicendo che, ad ogni modo, solo Dio può sciogliere il matrimonio; e che il
Sant'Uffizio si era espresso in tal senso con una sentenza del 1866. Possiamo enumerare i ragioni a
favore o contro quest'ultima posizione:
(1) In favore: nella prassi della Chiesa c'è differenza tra i due casi: il privilegio paolino e il
ricorso al potere vicario, in modo che sarebbe chiaro che il primo è di origine divina e secondo no:
(a) Il privilegio paolino si basa sul testo chiaro del NT, mentre l'altro no.
(b) Nel caso paolino, il privilegio è strettamente connesso con la conversione e il battesimo: la
correlazione è stabilità dal favore della fede; mentre nel caso del potere vicario, ci consta che, dopo il
Vaticano II, la prassi sta tralasciando il favore della fede per accontentarsi della salvezza e del bene
delle anime.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 144
(c) Per il privilegio paolino non si richiede nessun ricorso alla Santa Sede: lo scioglimento del
primo matrimonio è pressoché automatico e si compie ipso facto quando si compie il nuovo. Invece,
per il potere vicario si richiede una supplica motivata alla Santa Sede. Tra le due discipline vi è
dunque una chiara differenza: il che è favore della posizione del diritto divino.
(2) CONTRO
(a) Per giustificare l'origine divina del privilegio paolino, si afferma che solo Dio può sciogliere
un matrimonio rato e consumato, sebbene solo sia naturale. C'è dunque sull'argomento qualche
petizione di principio, poiché questo non si è dimostrato.
(b) La sentenza del Sant'Ufficio del 1866 risale a un'epoca in cui la Congregazione della Fede era
contraria ad ammettere il potere vicario; oggi, invece, la Congregazione per la dottrina della fede
riconosce questo potere. La stessa Congregazione è autrice dell'Istituzione e della Norme pubblicate al
riguardo nel 1973.
(c) È vero che il privilegio paolino non richiede un ricorso alla Santa Sede, ma si richiedono le
interpellanze alla parte non convertita e quindi l'intervento del Vescovo (CIC cann. 1144-1147). Il
privilegio paolino fu sottoposto alla disciplina ecclesiastica sin da quando fu riconosciuto da
Innocenzo III.
Conclusione: Si poteva ammettere un differenza di origine tra il privilegio paolino e lo
scioglimento del matrimonio degli infedeli. Oggi, questo contrasto non c'è più. Sin dal 1973, il ricorso
al potere vicario del Papa è entrato pacificamente nella disciplina della Chiesa. Il principio comune
che esiste tra privilegio paolino e potere vicario è che un matrimonio che non sia tra due battezzati, pur
essendo consumato, non è sacramento.
2) IL PROBLEMA DELLO SCIOGLIMENTO DEL MATRIMONIO DEGLI INFEDELI
a) Punti da chiarire sul potere vicario
(1) Come questo potere può estendersi al matrimonio degli infedeli?
(2) Come tale scioglimento non è contrario al rispetto che la Chiesa cattolica dimostra di fronte
all'indissolubilità generale del matrimonio, nonché alle strutture creaturali dell'umana società?
b) Risposte
(1) La ragione più valida alla quale si appella la Chiesa è appunto l'indole sacra di qualsiasi
matrimonio, anche di quello fra gli infedeli. I teologi medievali, parlavano del matrimonio degli
infedeli come sacramento della legge naturale. Dopo che il Concilio di Trento specificò che il
matrimonio tra battezzati era un sacramento della Nuova Legge, si passò a parlare del matrimonio
naturale in termini di sacralità semplicemente. Così Bellarmino, e Leone XIII nella enciclica Arcanum
e Pio XII in un discorso alla Sacra Rota. La Gaudium et spes n. 48 parla della santità del matrimonio e
la famiglia. Il meglio è parlare di «sacramentalità in potenza»146[2] del matrimonio naturale, o di
«finalizzazione alla grazia»147[3].
(2) D'altra parte, la Chiesa è «universale sacramento di salvezza» (Lumen Gentium n. 40) ed è
inviata da Cristo al mondo intero per una missione di evangelizzazione, di santificazione e di guida
pastorale (Ad Gentes n. 5). È «come il fermento e quasi l'anima della società, destinata a rinnovarsi in
Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio» (GS 40b).
Illuminata da questi due principi, cioè dalla sacralità del matrimonio creaturale e della sua
missione nell'intera società, la Chiesa si sente non solo giustificata nell'occuparsi del matrimonio degli
infedeli, bensì anche divinamente sollecitata.
146[2] Summa Theol., Suppl., q.59, a.2, ad 1m. 147[3] C.T.I., Dottrina cattolica sul matrimonio (1977), 3.1, 3.4.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 145
3) NECESSITÀ DI NORME
L'intervento della Chiesa può interpretarsi in forma malevola, sicché essa venga sospettata di
agire per motivi meramente umani. Si deve dire:
a) La Chiesa non si contraddice, perché solo riconosce come assolutamente indissolubile il
matrimonio sacramento rato e consumato.
b) Il motivo invocato dalla Chiesa è chiaro: la salvezza delle anime: si tratta del bene spirituale,
sia degli sposi, sia dei loro figli. Non è semplicemente il privilegio della fede, ma il bene delle
persone.
c) La prassi dell'intervento pontificio fu sottoposta a molte condizioni, tra le quali c'è la conditio
sine qua non di seguire norme procedurali molto precise, per rispetto alla parte non battezzata e alla
prole.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 147
3. La grazia (res tantum)
1. Relazione tra vincolo e grazia
Dopo aver visto che il vincolo matrimoniale cristiano, definito come consacrazione fa sorgere
un stato di vita nella Chiesa, passiamo ora a studiare la grazia che corrisponde a questa consacrazione
affinché gli sposi possano vivere secondo le sue esigenze e così si santifichino. Il vincolo, che è res
rispetto alla celebrazione, perché è significato e prodotto dal consenso e rinforzato dalla
consumazione, è adesso sacramentum rispetto alla grazia, perché significa e produce (o reclama, esige,
dispone... secondo opinioni) la grazia nei soggetti che non pongono ostacoli.
La grazia santificante matrimoniale, dunque, rende gli sposi grati a Dio e capaci di realizzare
santamente la vita coniugale a cui sono stati chiamati dalla sua consacrazione. A differenza del
vincolo, che è comunione di ambedue gli sposi, la grazia santificante si sviluppa separatamente in
dipendenza dalla risposta personale di ciascuno di loro.
Possiamo dire che consacrazione e grazia del matrimonio procedono dalla stessa fonte, la
partecipazione nell'amore di carità sponsale tra Cristo e la Chiesa: la consacrazione per quanto
riguarda l'aspetto oggettivo (o se si preferisce, intersoggettivo) e vincolante di quest'amore, la grazia
per quanto riguarda l'aspetto soggettivo e perfezionante.
2. Teologia della grazia matrimoniale148[1]
Non svilupperemo qui la storia della discussione circa l'esistenza della grazia matrimoniale,
perché è parallela all'affermazione della sacrmentalità del matrimonio, già sviluppata all'inizio del
trattato, e che come abbiamo visto, culminò nel Concilio di Trento con la condanna a chi affermerà
che il matrimonio non è vero e propriamente uno dei sete sacramenti della Legge evangelica, istituita
da Cristo Signore e che non conferisce la grazia (cf. ses. XXIV, cn. 1 , cfr. DS 1801).
Ci concentriamo sulla tematica riguardante l'essenza della grazia matrimoniale, per vedere in
che cosa consiste. Ne studieremo i fondamenti biblici, lo sviluppo magisteriale e la riflessione
teologica.
a. Fondamento biblico
Il fondamento biblico, universalmente ammesso è Ef 5,22-32, che già abbiamo analizzato
nella parte biblica.
Curiosamente, san Tommaso inizialmente non ammetteva ancora che l'unione tra Cristo e la
Chiesa fosse la grazia contenuta, e dunque comunicata, dal matrimonio: il coniugio Cristo/Chiesa era
per lui solo la grazia allo stato di figura, e di annuncio. Ma la sua dottrina nel Contra Gentiles IV, 78 è
più evoluta: ammette che il sacramento conceda una appartenenza al mistero di Cristo e della Chiesa.
Più chiara era nel XIV sec. la posizione di Tommaso da Strasburgo, che scriveva: «non soltanto il
matrimonio è segno di grazia, come tutti gli altri sacramenti, ma è anche segno dell'unione di Cristo e
della Chiesa che sono le realtà più sacre».
Come abbiamo visto, sebbene il grande mistero a cui si riferisce san Paolo sembra essere, con
più probabilità, il matrimonio dei primi padri, bisogna tuttavia concludere, dalla lettura dell'intero
brano che, se gli sposi devono riprodurre nel loro comportamento (amore mutuo e mutua
sottomissione) l'unione tra Cristo e la Chiesa, richiedono la grazia che precisamente deriva dalla
donazione di Cristo alla sua Chiesa. Così argomentava R. Tapper nel sec. XVI contro Calvino. E
aggiungeva che l'espressione «grande mistero» si riferisce al presente, quando l'unione tra Cristo e la
Chiesa non è più una figura annunciata, ma attuata dall'Incarnazione e Redenzione.
b) Insegnamento magisteriale
148[1] Cfr. Ligier, p. 121.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 148
1) Prima di Trento, le affermazioni riguardanti l'essenza della grazia matrimoniale erano
generiche, così nel Concilio di Firenze.
Ma il Concilio di Trento, nella sessione XXIV, fece della grazia il centro della sua attenzione.
Afferma che il matrimonio conferisce la grazia per il perfezionamento dell'amore naturale, la conferma
dell'indissolubilità del vincolo e la santificazione dei coniugi (cfr. DS 1799).
2) Leone XIII, nella sua enciclica Arcanum (1880), fondandosi sull'elevazione del matrimonio a
sacramento e sui meriti della passione di Cristo, definisce la grazia del sacramento come la santità,
perché deriva dal fatto che il matrimonio è conformato al connubio di Cristo e la Chiesa. Nell'enciclica
vengono poi messi in rilievo: l'amore naturale perfezionato e l'unione indivisibile resa più stretta con
il vincolo della carità.
3) L'enciclica Casti connubii di Pio XI afferma sulla grazia: a) ha la sua radice abituale nella
grazia santificante; b) s'accompagna dei doni speciali, disposizioni e germi di grazia che portano
vigore per perfezionare le forze della natura; c) infine, implica il diritto all'aiuto attuale della grazia
ogniqualvolta gli sposi ne abbiano bisogno.
4) Nel Vaticano II sono da segnalare tre documenti:
a) Lumen gentium: oltre al n. 11b (già studiato nel capitolo sul vincolo), al n. 41, nel parlare della
vocazione universale alla santità si sofferma su quella dei coniugi, e afferma che procede dall'amore
di Cristo, che, dando la vita per la Chiesa è il modello di vita degli sposi.
b) Sacrosantum concilium (n. 77): chiede una revisione liturgica e un arricchimento del rito per
rendere più chiaro il dono della grazia nel rito del matrimonio.
c) Gaudium et spes: afferma che «l'amore umano è stato sanato, perfezionato ed elevato» dal
sacramento (n. 49), e che «l'autentico amore coniugale è stato assunto nell'amore divino, ed è
sostenuto e arricchito dalla potenza redentrice del Cristo e dall'azione salvifica della Chiesa» (n. 48b).
5) La Familiaris consortio (n. 13):
a) Partendo dalla rivelazione del significato del matrimonio come segno e partecipazione della
donazione di Dio all'umanità, afferma che questa rivelazione raggiunge la sua pienezza definitiva nel
dono d'amore che il Verbo di Dio fece all'umanità all'incarnarsi e morire sulla croce.
b) Nel sacramento del matrimonio, l'amore coniugale raggiunge la pienezza a cui è ordinato
interiormente: la carità coniugale, che è il modo proprio e specifico con cui gli sposi partecipano e
sono chiamati a vivere la stessa carità di Cristo che si dona sulla croce.
c) Il matrimonio, in quanto attualizazione (del sacrificio di Cristo) dà loro (agli sposi) la grazia e
il dovere di mettere in opera nel presente, l'uno verso l'altro e verso i figli, l'esigenze d'un amore che
perdona e redime.
d) Quando parla della partecipazione alla vita di Cristo, dice che il suo contenuto è specifico: si
tratta delle caratteristiche normali di ogni amore coniugale naturale, ma con un significato nuovo che
non solo le purifica e consolida, ma le eleva fino al punto di farne l'espressione di valori propriamente
cristiani. Questa partecipazione alla vita di Cristo, nella sua dimensione oggettiva o intersoggettiva, è
il vincolo; nella sua dimensione soggettiva, in quanto che santifica ognuno degli uniti dal vincolo, è la
grazia.
e) E nel n. 56 afferma: «La vocazione universale alla santità è rivolta anche ai coniugi e ai
genitori cristiani: viene per essi specificata dal sacramento celebrato e tradotta concretamente nelle
realtà proprie dell'esistenza coniugale e familiare. Nascono da qui la grazia e l'esigenza di una
autentica e profonda spiritualità coniugale e familiare».
f) L'attuale Ordo clelbrandi matrimonium (1991), nella benedizione degli sposi dice «(...) emitte
super eos Spiritus Sancti gratiam, ut, caritate tua in cordibus eorum diffusa, in coniugali fideles
permaneant (infonde su di loro la grazia dello Spirito Santo, e con la tua carità diffusa nel loro cuori,
rimangono fedeli nel patto coniugale)». In questo modo «l'amore di Dio è stato riversato nei nostri
cuori (nei cuori degli sposi) per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (cfr. Rom 5,5)149[2].
149[2] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle famiglie, n. 4.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 149
Possiamo dire che il vincolo consiste nell'assunzione dell'amore degli sposi da parte di Dio, e la grazia,
nella partecipazione che Dio concede del suo amore a ciascuno degli sposi affinché si amino con questo amore.
Sono le due facce della stessa moneta. Il vincolo produce il suo effetto a meno che non si metta ostacolo alla
grazia. Si tratta della stessa partecipazione al «vincolo d'amore» divino che è lo Spirito Santo (cfr. CCE n, 1624),
Sembra opportuno ricordare qui le parole di GIOVANNI PAOLO II nella Mulieris dignitatem, n. 29: «Nella vita
intima di Dio, lo Spirito Santo è la personale ipostasi dell'amore. Mediante lo Spirito, Dono increato, l'amore
diventa un dono per le persone create. L'amore, che è da Dio, si comunica alle creature: "l'amore di Dio è stato
riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci viene dato" (Rm 5,5). La chiamata all'esistenza
della donna accanto all'uomo ("un aiuto che gli sia simile": Gen 2, 18) nell'"unità dei due" offre nel mondo
visibile delle creature condizioni particolari affinché "l'amore di Dio venga riversato nei cuori" degli esseri creati
a sua immagine».
c. Effetti della grazia matrimoniale
Secondo la Gaudium et spes, la grazia matrimoniale, comunicata dal sacramento ha due
indirizzi principali:
1. Il primo effetto sanare e rimediare: nel medioevo si insisteva principalmente su questo effetto.
Così il matrimonio compie la sua finalità come remedium concupiscentiae, che non è da intendersi
come una specie di legittimazione dello sfogo dell'istinto, ma come la possibilità di ottenere
l'integrazione delle forze dell'istinto nel dinamismo del vero amore. Questo effetto sanativo oggi non si
considera principale, ma non è da dimenticarsi, soprattutto per mettere in rilievo come le cosidette
«unioni libere» non si liberano delle forze dell'egoismo.
2. Perfeziona ed eleva l'amore coniugale naturale, dandogli un nuovo significato.
A questo riguardo, riproduciamo il passo della Familiaris consortio (n. 13), che abbiamo
riassunto sopra:
E il contenuto della partecipazione alla vita del Cristo è anch'esso specifico: l'amore coniugale comporta
una totalità in cui entrano tutte le componenti della persona - richiamo del corpo e dell'istinto, forza del
sentimento e dell'affettività, aspirazione dello spirito e della volontà -; esso mira ad un unità
profondamente personale, quella che, al di là dell'unione in una sola carne, conduce a non fare che un
cuor solo e un'anima sola; esso esige l'indissolubilità e la fedeltà della donazione reciproca definitiva e
si apre sulla fecondità (cf. Humanae vitae, 9). In una parola, si tratta di caratteristiche normali di ogni
amore coniugale naturale, ma con un significato nuovo che non solo le purifica e le consolida, ma le
eleva al punto di farne l'espressione di valori propriamente cristiani.
d. Analisi dell'effetto perfettivo della grazia
L'elevazione dell'amore coniugale si attua per mezzo della partecipazione all'amore di Cristo e
la Chiesa. Analizziamo per primo l'elevazione e dopo in che cosa consiste questa partecipazione.
1) L'elevazione: l'amore coniugale, e lo stesso matrimonio, da realtà naturali, di ordine
creaturale e socio-culturale, dall'istituzione di Cristo, sono elevati all'ordine soprannaturale per
muoversi nell'economia della salvezza. E questo per due motivi:
a) Il primo è la tesi del Bellarmino, secondo la quale Cristo non ha istituito un simbolo
sacramentale nuovo, ma ha assunto il contratto comune già esistente.
b) Il secondo, è la cosiddetta tesi comune che, da Innocenzo III fino a Caetano e ai nostri giorni
fa del carattere battesimale l'elemento intrinseco che santifica il matrimonio, e lo eleva a sacramento.
Sebbene questa considerazione da sola non ci dica niente circa l'especificità della grazia matrimoniale.
2) La partecipazione al mistero dell'unione tra Cristo e la Chiesa: l'effetto proprio del
matrimonio si attua quando gli sposi, avendo ricevuto la consacrazione, ricevono con essa (o meglio,
per mezzo di essa) la grazia propria che li rende capaci di realizzare la loro divina vocazione. Così «gli
sposi partecipano il mistero di unità e di fecondo amore che intercorre fra Cristo e la Chiesa» (LG
11b). Questa è la grazia coniugale, che si può chiamare anche grazia della carità coniugale, che
assume in sé l'amore umano con tutte le sue caratteristiche.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 150
Questo non è dottrina nuova. Seguendo a san Tommaso d'Aquino, la possiamo chiamare gratia
unionis coniugalis (Contra Gentiles IV, 78); Alessando di Hales e san Bonaventura, la chiamavano
gratia caritatis, ma volevano distinguerla dalla grazia propria dell'Eucaristia.
Per mezzo della grazia matrimoniale gli sposi elevano al livello soprannaturale tutte le azioni
della loro vita, attraverso le quali esprimono e realizzano loro mutua unione e la procreazione ed
educazione dei figli. Il risultato è la loro mutua santificazione e la santificazione dei figli. Il
matrimonio così inteso è allo stesso tempo realtà terrena e mistero di salvezza.
Arrivati a questo punto, p. Ligier intraprende un minuzioso lavoro di distinzione per arrivare a capire il
modo proprio ed specifico in cui la grazia matrimoniale concede una partecipazione al mistero dell'unione tra
Cristo e la Chiesa, visto che ogni sacramento concede una partecipazione a questo mistero, che è in sostanza il
mistero di Cristo. Si può seguire sul libro a p. 125.
Nella mia opinione, tuttavia, lo specifico della grazia matrimoniale è la partecipazione all'unione Cristo-
Chiesa nella sua dimensione dialogale-interpersonale, che abbraccia così l'aspetto fisico come quello spirituale.
In questo dialogo di amore troviamo un movimento di donazione generosa senza riserve (polo masculino -
cristologico) e un'accoglienza nella disponibilità totale e nella risposta riconoscente e feconda (polo femenino-
eccelsiologico). Questo dialogo d'amore riproduce a sua volta il dialogo intratrinitario tra il Padre e il Figlio, da
cui sorge la fecondità dello Spirito Santo. È proprio questo Spirito Santo a essere comunicato agli sposi (cfr.
CCE, n. 1624), come autore dell'unità e della fecondità anche a livello soprannaturale. Il dialogo matrimoniale
appare come una donazione mutua di amore che sbocca nella donazione ad un terzo che è frutto ed espressione
di questo amore. In questo modo mi sembra che si può interpretare il pensiero della Lumen genntium n. 11 e di
Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio (nn. già visti) e nella Mulieris dignitatem (nn. 7-10 e 25-29).
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 151
4. La vita sacramentale
Studieremo adesso il matrimonio come stato di vita cristiana, come ambito specifico di
santificazione degli sposi.
Non svilupperemo qui dei temi di morale o spiritualità matrimoniale, piuttosto esporremo il
fondamento dogmatico della vita matrimoniale, cioè, le strutture che fondano il dinamismo del
matrimonio. Lasciamo per altri trattati lo sviluppo delle norme di comportamento corrispondenti alla
vita matrimoniale. Ciò che ci accingiamo ad esporre è come un corollario ai temi del vincolo e della
grazia.
Il vincolo sacramentale come comunione dei due tipicamente cristiani (FC, 13) origina una
comunità all'interno della Chiesa che è la «chiesa domestica». Ci disponiamo a vedere come nella
riflessione cristiana, dalla considerazione del vincolo matrimoniale a livello puramente naturale, come
vincolo di diritto naturale, che fondamenta l'istituzione naturale familiare, si passò alla riflessione sul
vincolo soprannaturale che fondamenta la chiesa domestica. Lo vediamo nella sezione «a».
La sacramentalità dell'atto iniziale del matrimonio, si prolunga nel vincolo (res et
sacramentum) il quale è una realtà soprannaturalmente viva - per la presenza dello Spirito Santo -, che
informa e vivifica tutte le azioni degli sposi per mezzo della grazia. Perciò, la sacramentalità si estende
a tutta la vita degli sposi. Lo vedremo nella sezione «b».
a. La Famiglia come istituzione e come «chiesa domestica»150[1]
Seguiamo adesso due linee di ragionamento che si sono sviluppate in questo secolo nel campo
cattolico sul matrimonio, con scopo di difendere sua dignità di fronte agli attacchi del laicismo. Sono
due linee complementare. La prima, di ordine filosofico-giuridica contempla il matrimonio-famiglia
come una istituzione naturale indipendente nelle sue leggi essenziali dalla volontà di coniugi. L'altra,
di tipo teologico (tornando alle fonti bibliche e patristiche, alquanto dimenticate) presenta il
matrimonio-famiglia come una comunità ecclesiale con una sua identità propria, una «chiesa
domestica».
1. La famiglia come «istituzione»
a. Gli iniziatori
La teoria filosofico-giuridica che vede nel matrimonio una istituzione è stata creata da giuristi
e filosofi cristiani, anzi cattolici, all'inizio del nostro secolo. Il primo di loro è stato Maurice Hauriou
(Principi di diritto pubblico, 1910; Teoria dell'istituzione e la fondazione, 1925), poi Georges Renard
(Teoria dell'istituzione: saggio di ontologia giuridica, 1930), infine Paul Henry (Revu de l'Alliance
nationale pour l'accroissement de la population française, février 1931), a proposito della recente
enciclica Casti connubii.
b. Temi
La tesi del «matrimonio-istituzione» nacque in polemica con la tesi liberale del «matrimonio-
contratto» che, portata al suo ultimo estremo conduce all'ammissione del divorzio, giacché libertà
contrattuale, concepita come assoluta, allo stesso modo che ha realizzato il contratto, potrebbe
annullarlo.
La teoria dell'istituzione cercava di non ridurre il matrimonio a un semplice elemento
contrattuale, bensì di considerarlo come atto libero e contrattuale con il quale si entra in una
istituzione, la quale ha suoi propri fini e leggi. L'istituzione non significa altra cosa che la famiglia,
alla quale sil matrimonio è orientato. La famiglia ha i suoi obblighi, il suo regime, i suoi poteri.
Tra contratto e istituzione si rilevano dunque le seguenti differenze:
150[1] Cfr. Ligier, p. 203.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 152
- Un contratto, se è puro contratto, può essere sciolto cosi come lo si è formato, cioè
liberamente, in conformità alle regole e agli impegni stipulati nel contratto stesso; un'istituzione,
invece, ha una sua essenza ed esistenza che trascendono i poteri e le facoltà dei suoi iniziatori.
- Un puro contratto ha effetto solo tra le parte contraenti. L'istituzione invece ha effetti che si
impongono non solo ai contraenti, ma agli altri, ai terzi. La famiglia, una volta istituita, si impone ai
genitori, alla parentela, ai vicini, al Municipio, allo Stato, ecc. Il matrimonio è infatti l'atto di adesione
a una istituzione, la quale è retta da una sua «carta» di diritti e di doveri: si pensi alla Carta dei diritti
della famiglia151[2].
Ad ogni modo, come fu segnalato, i due sposi, liberamente congiunti, non hanno il diritto
intrinseco di svincolarsi dalla loro istituzione familiare, cioè dalla loro vita comune.
c. Argomenti
1) Iniziata dai cattolici, la teoria invocava anche l'autorità della Scrittura. Tali argomenti
mettevano in rilievo la differenza di concetto tra il matrimonio che risulta da Gn 2, 23-24 e le trattative
svolte dal servo di Abramo presso la famiglia di Laban, e dal matrimonio del giovane Tobia con Sara.
I due ultimi casi evidenziano l'aspetto contrattuale, mentre che il matrimonio delle origini mette
esclusivamente in risalto l'unione definitiva che fa di Adamo ed Eva una sola carne: una realtà nuova,
per cui il marito deve abbandonare tutto: padre e madre.
2) Si affidavano, inoltre, al concetto matrimoniale esposto generalmente da Agostino, che rileva i
beni stabili del matrimonio, specialmente il sacramentum, con la sua perennità.
3) Quando san Tommaso e i grandi teologi del matrimonio mettono l'accento sul consenso e il
contratto, vogliono rilevare che nel matrimonio si entra per libera volontà, ma essi mettono
ugualmente in rilievo la stabilità delle leggi del matrimonio.
4) La Casti connubii affermava che ogni matrimonio in particolare, è per sua natura di istituzione
divina, sebbene non comincia ad esistere se non dal libero consenso degli sposi, il quale non può
essere supplito da nessuna autorità umana. Le stese idee si incontrano nel CIC (cn. 1057 §1) e nella
Familiaris consortio (n. 11).
d. Conclusione
È vero che da questa teoria del «matrimonio-istituzione» non si passa immediatamente a
quella del «matrimonio-sacramento permanente», ma il passaggio è solo indiretto per il fatto di aver
affermato che nella sua essenza creaturale, il matrimonio non si reduce meramente all'atto puntuale
con il quale si conclude il patto nuziale. Si comprende così meglio come il matrimonio-sacramento si
estende allo stato di vita coniugale e alla famiglia stessa, giacché la struttura sacramentale dell'atto
iniziale si prolunga nel vincolo matrimoniale, che è perenne e che è significativo ed operativo di
grazia.
2. La famiglia come «chiesa domestica»
Nella prospettiva del matrimonio come struttura permanente, incontriamo una formula che,
sorta in epoca apostolica e nella Chiesa patristica, ha ormai rivestito, dopo il Vaticano II, un valore
teologico e pastorale, ripreso nella Familiaris consortio (nn. 38, 52-53).
a. Origine
151[2] In seguito al Sinodo dei vescovi sulla famiglia (1980), la Santa Sede, nel 1983 pubblicò la Carta dei diritti della
famiglia, i cui punti principali si trovavano già abbozzati nella Familiaris consortio n. 46. È importante nei nostri giorni il
difendere l'istituzione della famiglia come il luogo proprio della generazione ed educazione dell'essere umano, in opposizione
ad un presunto «diritto alla riproduzione» che abbia come unico punto di riferimento l'individuo adulto che desidera
«riprodursi».
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 153
La formula è antichissima e le sue radici si trovano nella fede e nella pietà dell'età apostolica.
San Paolo la utilizzava quanto si riferisce alla chiesa o comunità locale che si radunava nelle case delle
coppie, come quella di Prisca e Aquila (Rm 16,3-5; At 18,2; 1Cor 16,19). La formula significava, poi,
«la chiesa che si raduna nella loro casa». Così anche nelle altre lettere: Col 4,15; Fm 2.
Infatti, nei primi secoli e soprattutto durante il tempo delle persecuzioni, era molto comune
che le famiglie aprisse le loro ampie case alle assemblee locali. Ma fino ad allora, la formula non si
applicava ancora alla famiglia stessa, come ambiente di vita comunitaria e spirituale, bensì solo
all'edificio in quanto ospitava occasionalmente la Chiesa locale.
b. Sviluppo pastorale
Progressivamente la formula passò a prendere un altro significato, derivato tuttavia dal
precedente. L'evento si è verificato ad Antiochia ai tempi di S. Giovanni Crisostomo. Pastore della
città, prima di diventare metropolita di Costantinopoli, era solito invitare i suoi fedeli (maschi), una
volta rientrati a casa, a ritornare sui temi della sua omelia ed a comunicarli alla moglie, ai figli e ai
familiari, per meditarli insieme, per pregare, nonché per cantare inni di azione di grazie. La loro casa
diventava così una «chiesa domestica».
Estendendo inoltre il suo invito, il Crisostomo lo applicava specialmente al padre di famiglia,
invitandolo a condividere suo ministero (diaconia). Si capisce come nella Familiaris consortio
Giovanni Paolo abbia paragonato il ministero dei genitori nella famiglia al ministero sacerdotale. Lo
chiama infatti, insieme ai Vescovi del Sinodo, un «vero e proprio ministero» (nn. 21, 38) e lo definisce
«un compito sacerdotale, che la famiglia cristiana può e deve esercitare in intima comunione con tutta
la Chiesa» (n. 55). E nel giustificare questa sua dottrina, non c'è da meravigliarsi che il Papa faccia
appello a san Tommaso, quale si era procurato il testo della predicazione del Crisostomo.
c) Consacrazione dottrinale
Preparato spiritualmente e dottrinalmente a lungo e portato alla luce da Pio XII nella enciclica
Mystici Corporis, il tema della consacrazione fu promosso dal Vaticano II, sotto la spinta di parecchi
Vescovi.
1) Nella preparazione teologica si distinsero due insigni teologi del futuro Vaticano II: il gesuita
olandese, S. Tromp, che mise in risalto il tema della famiglia, piccola Chiesa, in diverse opere e
soprattutto nel commento all'enciclica Mystici Corporis Cristi. Y. Congar, leggendo questo testo,
approfondì la ricerca e vi aggiunse dei testi di sant'Agostino, laddove questi paragonava il ministero
domestico con quello del vescovo.
2) Accanto alla preparazione teologica, ci fu uno sviluppo spirituale proveniente da laici e
religiosi. Il primo laico ad intervenire fu il dottore D. Gorce, anche il teologo-filosofo russo P.
Evdokimov e scrittore spirituale C. Carretto.
3) L'idea trovò la sua consacrazione dottrinale nella Costituzione dogmatica Lumen gentium (n.
11b), a proposito del sacerdozio comune dei battezzati e della sua relazione con i sacramenti. In un
contesto sacramentale ed ecclesiologico venne rilevato che il primo dono ricevuto dal sacramento fa
degli sposi una «chiesa domestica»: la famiglia diventa una struttura ecclesiologica. Sebbene il
Concilio, cercando di evitare affermazioni taglianti, introduca l'espressione «chiesa domestica» con un
«velut», possiamo dire che ci incontriamo davanti una affermazione sacramentale e teologica di primo
ordine.
Paolo VI utilizzò l'espressione, senza sfumature, nella Evangelii nuntiandi (n. 71) al presentare
la famiglia come luogo di orazione e di evangelizzazione all'interno e al di fuori. Giovanni Paolo II fa
lo stesso, sviluppando il tema nel Familiaris consortio (nn. 21, 38, 51-54, 59, 61, 65, 68), Mulieris
dignitatem (n. 17), Christifideles laici (nn. 47, 62, 68). Il Catechismo della Chiesa Cattolica utilizza
pure l'espressione ma senza sfumature, e la attribuisce così al Concilio, considerando la famiglia
«focolare della fede viva e irradiante» (n. 1656).
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 155
b. Il sacramento esteso all'intera vita degli sposi152[1]
1. Impostazione
Da quanto abbiamo visto, risulta che il sacramento del matrimonio non si esaurisce con l'atto
della sua celebrazione né con la sua consumazione, ma si stende all'intera vita degli sposi e si prolunga
nella famiglia. Cosicché l'esistenza intera dei consorti è edificata sul sacramento ricevuto, che rimane
presente e attivo nelle loro persone, divenute per il suo intervento una realtà nuova ed unica, una carne
sola. Gli sposi sono ministri di questo sacramento e della rispettiva grazia non solo nell'atto della
celebrazione nuziale, ma per l'intera durata della loro vita.
Questa dottrina, che fonda la spiritualità matrimoniale, iniziò con l'enciclica di Pio XI, Casti
connubii, nel 1930. Vi è infatti in essa un passo significativo (al n. 42) in cui il Papa, esortando gli
sposi a cooperare alle grazie del sacramento, paragona il matrimonio al sacramento della Santissima
eucaristia: entrambi, invero, non sono sacramenti soltanto quanto vengono celebrati, perché la loro
azione perdura nel tempo. Cristo resta davvero presente nelle sacre specie:
Si ricordino assiduamente, (dice), che sono santificati e fortificati nei doveri e nella dignità dello stato
loro per mezzo di uno speciale sacramento, la cui efficace virtù, sebbene non imprima carattere, è
tuttavia permanente. Riflettano perciò a queste parole veramente feconde di soda consolazione, del
santo Cardinale Bellarmino, il quale, con altri autorevoli teologi, così pienamente sente e scrive: «Il
sacramento del matrimonio si può riguardare in due modi: il primo mentre si celebra; il secondo mentre
perdura dopo che è stato celebrato. Giacché è un sacramento simile all'eucaristia, la quale è sacramento
non solo mentre si fa, ma anche mentre perdura: perché fin quando vivono i coniugi, la loro unione è
sempre il sacramento di Cristo e della Chiesa».
Orbene, questo confronto tra matrimonio ed eucaristia, anche se appoggiato dalla dottrina del
Bellarmino, non mancò di suscitare qualche scalpore. Sorsero degli interrogativi: Qual è il suo
significato? Quale ne è l'autorità?
Ora, quanto al senso, esso può interpretarsi in due modi:
- Il sacramento può, infatti, perdurare non in se stesso, ma nel suo effetto primario, cioè nel
vincolo durevole che crea tra gli sposi.
- Ma il confronto tra matrimonio ed eucaristia ci spinge oltre: a pensare che il segno
sacramentale sussista non con la forma del primo consenso, ma sotto quella dei gesti dell'affetto, anzi
dei gesti specifici dell'amplesso coniugale, inseriti peraltro nell'insieme della vita matrimoniale. Questi
gesti, infatti, ormai santificati dal Battesimo e dal matrimonio celebrato, restano espressivi ed
operativi di grazia. In tal modo, la grazia, necessaria ai coniugi, non è ad essi elargita in ricordo del
loro passato matrimonio, ma dalla loro presente esistenza sacramentale.
Segue poi la seconda domanda: Quale autorità ha ricevuto dal Papa questa dottrina? Certo,
inserendola nell'enciclica, egli l'ha fatta sua, ma fino a che punto? Come la condanna fatta della
contraccezione nella medesima enciclica, impegnativa del Magistero? O come dottrina probabile,
raccomandata dal Magistero, ma priva d’impegno dogmatico?
1. Riassunto storico
Sant'Agostino parlava del matrimonio più come stato e condizione di vita che come
celebrazione liturgica del patto nuziale. Egli intendeva ancora il sacramentum nel senso ampio
derivato da S. Paolo in Ef 5,32, anche se, trattandosi del matrimonio, aggiungeva un forte accenno al
vincolo matrimoniale, distintivo del matrimonio, contratto «sul monte di Dio e nella città di Dio». La
nostra questione attuale, tuttavia, non si sarebbe potuta formulare se non dopo Ugo di San Vittore e
Pietro Lombardo.
152[1] Cfr. Ligier, p. 209.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 156
Come sappiamo, Pio XI citava il Bellarmino, che fu il primo a rilevare la nostra problematica, infatti
andava al fondo dell'argomento, cioè al segno sacramentale visibile, mentre paragonava il matrimonio con
l'eucaristia, praticamente con la stessa presenza reale, operativa di grazia. Orbene, nell'eucaristia, la presenza
reale di Cristo permane mentre permangono le specie visibile del pane e del vino. C'è alcun tipo di permanenza
visibile del sacramento del matrimonio che sia produttrice di grazia? Per san Tommaso invece, quando tratta del
matrimonio, la grazia è comunicata solo dal segno interno (il vincolo, o res et sacramentum). Bellarmino andava
oltre. Disgraziatamente, fu seguito solo da due suoi confratelli del suo tempo, Tommaso Sánchez e Paolo
Laymann. Nei secoli successivi non si incontra nessun nome fino al sec. XIX. Ottenne allora l'appoggio di due
teologi gesuiti docenti a Roma, Perrone e Domenico Palmieri, e in Germania, Mattias J. Scheeben. Dopo la
Casti connubii, fino al Vaticano II, la maggioranza dei teologi non estendevano la sacramentalità del matrimonio
al di là del patto nuziale. Sarà probabilmente il movimento di spiritualità laicale, sorto verso 1930, rinnovato ed
ampliato dopo la guerra 1939-1945, ad essere all'origine dello sviluppo della nostra dottrina, con l'aiuto dei
teologi e dei sacerdoti aperti all'azione cattolica nel contesto dell'esistenza matrimoniale.
2. Il Vaticano II e la Familiaris consortio
La Gaudium et spes non limita più il dono della grazia all'ambito della sola celebrazione, ma
lo estende all'intera vita degli sposi. Dice che gli sposi restano «come consacrati» dal sacramento, e
che «in forza di tale sacramento» compiono il loro doveri coniugali e familiari, «pieni dello Spirito di
Cristo» e in questo modo, «tendono a raggiungere sempre più la propria perfezione e la mutua
santificazione, ed assieme rendono gloria a Dio» (n. 48b-c). La Familiaris consortio prima di riferire
nuovamente il documento conciliare, lo fece precedere dall'affermazione seguente, priva di qualsiasi
ambiguità: «Il dono di Gesù Cristo non si esaurisce nella celebrazione del sacramento del matrimonio,
ma accompagna i coniugi lungo tutta la loro esistenza». Posteriormente la Familiaris consortio,
citando il testo di Gaudium et spes n. 48, aggiunge che «dal sacramento ricevuto derivano ai coniugi il
dono e l'obbligo di vivere quotidianamente la santificazione ricevuta» (ibid.).
3. Argomentazione teologica
a. Dottrina paolina e patristica
Nell'insegnamento agli Efesini (5, 21-33), ciò che Paolo sostiene rispetto all'unione sponsale
Cristo/Chiesa non consiste nel presentare la celebrazione del matrimonio cristiano, bensì la vita dei
battezzati sposati, marito e moglie: esorta al rispetto e all'amore reciproco. L'Apostolo ha davanti agli
occhi l'istituzione matrimoniale nel suo svolgersi nel tempo. Anzi, anche il testo iniziale (Gn 2, 23-24)
non contempla l'istituzione coniugale nel suo costituirsi puntuale, ma in se stessa, nella sua struttura
esistenziale costitutiva: abbandonano padre e madre per formare un essere unico, una sola carne.
La dottrina patristica, specialmente di sant'Agostino, non costituisce un argomento decisivo da
sola, ma costituisce una retroscena dottrinale positivo. È vero che, nelle omelie e nei commenti
patristici, vi sono passi che trattano della benedizione nuziale e delle sue festività, ma in generale si
occupano della vita degli sposi. Questo è in particolare il caso del Crisostomo.
b. Dottrina di san Tommaso
Secondo alcuni autori (B. Krempel, L. G. Gerke) quanto all'argomento tomistico, il vincolo
matrimoniale, pur non essendo il sacramento stesso, nondimeno è un suo effetto; e costituisce,
secondo il Maestro, «un certo nesso che opera disponendo alla grazia»153[2]. Il vincolo matrimoniale
sembra dunque trattato da lui come sacramentum et res. Il testo risulta difficile da interpretare, ma si
può affermare che san Tommaso parlava del matrimonio come sacramento permanente, sebbene
probabilmente solo nella sua dimensione interna (il vincolo).
Si deve aggiungere a quanto dice p. Ligier, che la sacramentalità della esistenza matrimoniale e dei suoi
atti non è da considerarsi parallela o separata dalla sacramentalità del vincolo. Infatti, nel matrimonio il vincolo è
res et sacramentum, come nell'eucaristia, la presenza reale è anch'essa res et sacramentum. Ma non si può fare
un parallelismo diretto tra le specie visibili consacrate e gli atti della vita degli sposi. Nel matrimonio, l'esistenza
del vincolo dipende dall'esistenza visibile degli sposi, non dall'esistenza dei concreti atti della loro vita
matrimoniale. Ne è la prova che il vincolo scompare se muore uno di loro, ma non scompare se non vivono più
insieme o se i loro atti sono persino contrari all'esigenze del vincolo.
153[2] Cfr. Summa Theol., Suppl. q.42, a,3, ad 2m; che è una ripresa da In IV Sent., dist. 26, q. 2, a. 3, ad 2m).
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 157
Un certo parallelismo tra specie visibili e atti della vita matrimoniale si può stabilire per quanto riguarda
l'attuazione della grazia. Infatti, allo stesso modo che le specie visibili dell'eucaristia sono operative di grazia in
chi si comunica a causa della presenza reale invisibile di Cristo, anche gli atti concreti del matrimonio sono
operativi di grazia per la forza del vincolo invisibile tra i coniugi, che è la loro consacrazione permanente.
Quando la Gaudium et Spes dice che gli sposi sono consacrati da un sacramento speciale, si riferisce
alla parte duratura del sacramento, al vincolo. Questo viene chiamato da Giovanni Paolo II, seguendo a S.
Tommaso, res et sacramentum (cfr. FC 13). Il vincolo, per essere sacramento, non è qualcosa di statico, ma di
attivo, e quindi operativo di grazia. Il vincolo naturale è assunto dalla presenza e dalla forza dello Spirito Santo,
che informa tutta l'esistenza degli sposi con la forma dell'amore tra Cristo e la Chiesa, a meno che non mettano
degli ostacoli. L'idea attribuita a S. Tommaso dall'autore del Supplementum, e cioè che il vincolo sarebbe
soltanto dispositivo alla grazia, non corrisponde al pensiero più sviluppato dell'Aquinate, che nella Summa
considerava il sacramento causa strumentale di grazia.
Il vincolo opera attraverso gli atti concreti, ispirandoli ed effondendo in essi la grazia necessaria per
realizzarli santamente. Questi atti concreti son a loro volta espressivi del vincolo e operativi di grazia, poiché
esprimono l'amore di carità e lo realizzano nel concreto della vita per la santificazione dei coniugi.
c. Sacramentalità della consumazione e delle successive unioni sessuali
Ad ogni modo, possiamo affermare che quando si parla del matrimonio come sacramento
permanente, non si pensa solo al suo elemento interno e spirituale, (il vincolo), ma anche ai suoi
elementi visibili.
Tra questi elementi visibili distaccano gli atti propri e esclusivi degli sposi, quelli dell'unione
sessuale. Si deve ammettere che la prima unione coniugale, che consuma il matrimonio, ha un qualche
effetto sacramentale, in quanto conferisce la sua pienezza al sacramento. Ma la dottrina odierna va
oltre e pretende che i futuri amplessi sessuali e le parole di affetto, ecc. di per sé abbiano valore
sacramentale: sono significativi ed operativi della grazia di unione. Si avanzano pure due principali
obiezioni:
1) La prima è più teorica che pratica. Il sacramento, una volta consumato, cioè portato a
pienezza, non può esserlo di nuovo, poiché ormai è indissolubile e perfetto. Riconoscendo valore
sacramentale ai successivi atti coniugali si negherebbe la perfezione conferita al sacramento dalla
prima consumazione154[3].
Si può rispondere a questa obiezione dicendo che la consumazione non si aggiunge al
consenso in modo aritmetico, ciò che fa è realizzare la dimensione fisica e sensitiva della consegna,
che nel consenso è già intenzionalmente presente. In modo simile, le restanti unioni sessuali non si
aggiungono in modo aritmetico alla prima, ma continuano ad essere espressioni e espansioni di un
vincolo d'amore che ha ricevuto sua definitiva solidità nel primo atto sessuale e la cui forza pervade
tutta la vita degli sposi.
Si può ammettere, pertanto, che i gesti specifici del matrimonio possono continuare ad essere
strumenti di grazia perché appartengono alla struttura normale dell'unione sponsale dei coniugi.
Hanno l'effetto di mantenerli nella fedeltà e l'affetto, e per tanto, aumentano la grazia della carità
coniugale.
Ma questo non accade indipendentemente dal vincolo. Il vincolo è parzialmente «res» in relazione alla
prima unione sessuale, la consumazione, poiché da questa riceve la sua definitiva pienezza. Le restanti unioni
sessuali esprimono la pienezza di questo vincolo, ma non gli aggiungono pienezza; ciò che fanno è trarre da
questa pienezza le grazie di santificazione loro corrispondenti in quanto atti meritori. In altre parole, i
susseguenti atti sessuali non sarebbero costitutivi del vincolo, ma piuttosto, come dice la Sacr. Congr. per
l'Educazione Cattolica, nel suo documento Orientamenti educativi sull'amore umano, sarebbero indirizzati a
mantenere, confermare e manifestare la definitiva comunione di vita (vale a dire, il vincolo) (cfr. n. 95).
2) La seconda è più di ordine pratico: si argomenta che l'unione sessuale e i suoi gesti hanno un
valore ambiguo, in quanto tale unione fu vulnerata dal peccato originale. Rimane quindi il rischio che
154[3] Si ricordi che durante il tempo di preparazione del nuovo codice di diritto canonico venne fuori e fu rigettata la teoria
della consumazione continua.
Sacramento del matrimonio 2016-2017 - 158
anche gli sposi cristiani ricerchino il piacere per il piacere, anzi che abusino del matrimonio, della sua
finalità e delle sue leggi. Vi sono eccessi possibili, collegati con gli amplessi coniugali: non si può
dunque pretendere che siano senza dubbio strumenti di grazia.
Ma si può rispondere che tutto dipende dalle disposizioni dei coniugi, che contano sulla
consacrazione e grazia del sacramento. Se queste unioni rimangono fedeli alle norme e ai fini propri,
di per sé sono occasione o strumento di grazia.
In favore di questa opinione si può invocare quanto dice il Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes,
n. 49: «gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità sono onesti e degni; compiuti in modo veramente
umano favoriscono la mutua donazione che essi significano ed arricchiscono vicendevolmente nella gioia e nella
gratitudine gli sposi stessi» questa donazione reciproca non è altro che il mutuo amore considerato nel suo
elemento basilare, sul quale poggiano gli altri elementi (l'intesa, la stima, l'affetto, l'attrattiva fisica...). E come si
dice un po' prima «Il Signore si è degnato di sanare, perfezionare ed elevare quest'amore con un dono speciale
della grazia e la carità». Difficilmente un'azione che nel piano di Dio è destinata ad essere manifestazione di
carità, potrebbe essere considerata di per sé occasione di peccato. Questo non toglie il necessario sforzo morale
che gli sposi debbono realizzare per attuarla correttamente, come accade d'altronde in qualsiasi ambito
dell'attività umana.
3) Del resto, non si può ridurre la vita degli sposi solo ai loro amplessi sessuali, ma estenderla
alla totalità della loro esistenza di persone che vivono insieme e con i loro figli. In questo contesto sia
il lavoro comune che le conversazioni, la cultura reciproca e la preghiera, possono aver effetto di
grazia. Tutta la vita familiare può e deve essere occasione e mezzo di grazia, in questo modo, l'amore,
elevato da Cristo al livello di carità, potrà pervadere tutta la loro vita, e per assecondarlo, gli sposi
dovranno chiedere nella preghiera grandezza d'animo, e spirito di sacrificio, come ricorda il Concilio
(GS 49).
Giovanni Paolo II ha definito in sostanza la missione del matrimonio e la famiglia come
servizio alla vita e all'amore. Questo non deve restare solo nell'ambito stretto della famiglia, sebbene
debba cominciare da qui, ma deve aprirsi alla società e alla Chiesa. È un servizio di umanizzazione
(Christifidelis laici n. 40) e di evangelizzazione (Familiaris consortio n. 52). In sunto, la famiglia vive
suo ministero come comunità credente e evangelizzatrice (dimensione profetica); comunità in dialogo
con Dio (dimensione sacerdotale) e comunità al servizio dell'uomo (dimensione regale)155[4].
d. Comparazione con l'eucaristia e l'ordine
1. Possiamo dire che, per la consacrazione propria del matrimonio, la presenza di Cristo negli
sposi è vera e reale, soprattutto, di ognuno rispetto all'altro e ai figli, ma non sostanziale. Questa
ultima caratteristica è propria dell'eucaristia, come ha segnalato Paolo VI nell'enciclica Mysterium
fidei.
Un'altra analogia tra matrimonio ed eucaristia si dà sotto l'aspetto di memoriale. Giovanni
Paolo II dice nella Familiaris consortio n. 13 che «gli sposi sono il ricordo permanente, per la Chiesa,
di ciò che è accaduto sulla croce; sono l'uno per altro e per i figli, testimonio della salvezza, di cui il
sacramento li rende partecipi».
Si ricordi inoltre che il Catechismo, al parlare della celebrazione del matrimonio (n. 1621) afferma: «È
dunque conveniente che gli sposi suggellino il loro consenso a donarsi l'uno all'altro con l'offerta delle loro
proprie vite, unendola all'offerta di Cristo per la sua Chiesa, resa presente nel sacrificio eucaristico, e ricevendo
l'eucaristia, affinché, nel comunicare al medesimo Corpo e al medesimo Sangue di Cristo, essi "formino un
corpo solo" in Cristo (cfr. 1 Cor, 10,17)».
È interessante questo brano, poiché il Catechismo parla dell'eucaristia come se fosse una
«consumazione mistica» del matrimonio. Possiamo aggiungere che l'eucaristia è il culmine della vita
matrimoniale, nella linea di pensiero del Vaticano II, che considera la Liturgia «il culmine verso cui tende l'
azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù» (Sacrosantum Concilium, n. 10). E fa
dell'eucaristia «il centro e l'anima» della celebrazione dei sacramenti.
In questo modo, nella vita degli sposi cristiani si compie quanto dice il Concilio sulla partecipazione dei
laici all'ufficio sacerdotale di Cristo «I laici, essendo dedicati a Cristo e consacrati dallo Spirito Santo, sono in
155[4] Sullo sviluppo della spiritualità e la morale coniugali, cfr. Lumen gentium nn. 11, 41; Gaudium et spes nn. 50-52;
Familiaris consortio n. 14 e l'intera terza parte, dal titolo Missione della famiglia cristiana; e l CCE nn. 1643-1666.
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modo mirabile chiamati e istruiti perché lo Spirito produca in essi frutti sempre più copiosi. Tutte infatti le opere,
le preghiere e le iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sollievo spirituale e
corporale, se sono compiute nello Spirito, e persino le molestie della vita se sono sopportate con pazienza,
diventano "sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo" (1 Pt 2,5); e queste cose nella celebrazione
dell'eucaristia sono piissimamente offerte al Padre insieme all' oblazione del Corpo del Signore. Così anche i
laici, operando santamente dappertutto come adoratori, consacrano a Dio il mondo stesso» (Lumen gentium n.
34).
2) L'ordine conferisce un carattere, per cui il sacerdote fa presente Cristo, Maestro, Pastore e
Pontefice, (LG 21) di fronte all'assemblea, la Chiesa. O come dice più chiaramente la esortazione
apostolica Pastores dabo vobis: «Il sacerdote è chiamato ad essere immagine viva di Gesù Cristo,
Sposo della Chiesa (...) In quanto rappresenta Cristo, Capo, Pastore e Sposo della Chiesa, il sacerdote
non è soltanto nella Chiesa, ma davanti alla Chiesa. Pertanto, questa chiamata a rivivere nella sua vita
spirituale l'amore di Cristo Sposo con la Chiesa Sposa» (n. 22).
Allo stesso modo, il vincolo matrimoniale, sebbene non è eterno, come il carattere sacerdotale,
fa sì che lo sposo renda presente Cristo alla sposa, e la sposa renda presente l'agire della Chiesa allo
sposo. Stando presente l'uno all'altro sono segni di Cristo l'uno per altro. Allo stesso tempo, tutti e due
in comunione, sono rispetto a Cristo, una chiesa domestica, una porzione della sua Sposa.
Rispetto ai figli, nella loro missione di educatori, partecipano «alla stessa autorità e allo stesso
amore di Dio Padre e di Cristo Pastore, così come all'amore materno della Chiesa (...) per aiutare i figli
nella loro crescita umana e cristiana» (Familiaris consortio n. 38) e « il loro amore paterno è chiamato
ad essere per i figli segno visibile dello stesso amore di Dio, "dal quale proviene ogni paternità nel
cielo e sulla terra" (Ef 3, 15)» (FC n. 14). Si ricordi che il CIC colloca la missione dei genitori in un
posto di rilievo all'interno della missione dei laici, al trattare della funzione di santificare della Chiesa
(cn. 835 §4).
Possiamo aggiungere che i figli sono pure loro un segno dell'amore di Dio per i loro genitori, come
spiega Giovanni Paolo II in un paragrafo precedente: « Nella sua realtà più profonda, l'amore è essenzialmente
dono e l'amore coniugale, mentre conduce gli sposi alla reciproca «conoscenza» che li fa «una carne sola» (cfr.
Gen 2,24), non si esaurisce all'interno della coppia, poiché li rende capaci della massima donazione possibile, per
la quale diventano cooperatori con Dio per il dono della vita ad una nuova persona umana. Così i coniugi, mentre
si donano tra loro, donano al di là di se stessi la realtà del figlio, riflesso vivente del loro amore, segno
permanente della unità coniugale e sintesi viva ed indissociabile del loro essere padre e madre» (FC, n. 14).
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5. Matrimonio e verginità
Queste sono le due forme di compiere l'esigenze della sessualità umana, intesa nel suo senso
più profondo, come vocazione all'amore. La vocazione all'amore è vocazione a vivere in una
comunione interpersonale indissolubile e feconda, in una Alleanza.
La connessione tra matrimonio e verginità si comprende alla luce del battesimo inteso come
Alleanza sponsale di ogni fedele con Cristo, in quanto partecipazione all'Alleanza sponsale di Cristo
con la sua Chiesa (Ef 5,21-26; 1Cor 6,17; 2Cor 11,2). È in quest'Alleanza che si compie la vocazione
all'amore che costituisce la chiamata rivolta da Dio all'uomo nel darli un corpo sessuato, come
espressione di apertura alla comunione interpersonale fedele e feconda.
L'Alleanza con Cristo completa l'essere umano, gli dà la sua pienezza, la sua santità. Tutti i
cristiani sono chiamati a realizzare quest'Alleanza con frutti concreti di santità e di fecondità per la
Chiesa.
Il matrimonio, come abbiamo visto, trae la sua forza santificatrice dal battesimo. È un modo
speciale di portare a compimento l'Alleanza battesimale, e di fare santa e feconda la Chiesa. Per
realizzare ciò, si serve di un segno specifico: l'alleanza matrimoniale tra l'uomo e la donna.
La verginità prende anche la sua forza dal battesimo, ma non attraverso un segno, ma
direttamente, ed è una forma specialissima e superiore di portare a pienezza l'Alleanza Cristo-Chiesa.
È per questo che non è sacramento, ma allo stesso tempo è superiore oggettivamente allo stato
matrimoniale156[1]. Pur non essendo sacramento, si può dire tuttavia che la verginità in sé stessa, come
stato di vita, è un segno, perché sviluppa il significato del battesimo, come ricorda Catechismo (n.
1619): segno potente della preminenza del vincolo con Cristo, dell'attesa ardente del suo ritorno, un
segno che ricorda anche che il matrimonio è una realtà del mondo presente che passa.
Giovanni Paolo II, nella esortazione apostolica Redemptionis donum (sulla vita consacrata),
scrive:
Il consiglio evangelico sulla castità è soltanto un’indicazione di quella particolare possibilità
che per il cuore umano, sia dell'uomo che della donna, costituisce l'amore sponsale dello
stesso Cristo, di Gesù «Signore». Il farsi «eunuchi per il Regno dei Cieli» infatti, non è
soltanto una libera rinuncia al matrimonio e alla famiglia, bensì una scelta carismatica di
Cristo come Sposo esclusivo (...) Per mezzo del voto di castità le persone consacrate
partecipano all'economia della Redenzione mediante la libera rinuncia alle gioie temporali
della vita matrimoniale e familiare. Inoltre, proprio per il loro farsi «eunuchi per il Regno dei
Cieli» portano in mezzo al mondo che passa l'annuncio della futura risurrezione e della vita
eterna, della vita in unione con Dio stesso mediante la visione beatifica e l'amore che contiene
in sé e pervade infinitamente tutti gli altri amori del cuore umano».
Il documento Orientamenti educativi sull'amore umano, della SACRA CONGREGAZIONE PER
L'EDUCAZIONE CATTOLICA, ai numeri 30-32, si esprime in termini simili:
Alla luce del mistero di Cristo. La sessualità ci appare come una vocazione a realizzare
l'amore che lo Spirito Santo infonde nel cuore dei redenti. Gesù Cristo ha sublimato tale
vocazione col sacramento del matrimonio (30).
Gesù ha indicato, inoltre, con l'esempio e la parola, la vocazione alla verginità per il regno dei
cieli. La verginità e vocazione all'amore: rende il cuore più libero di amare Dio. Libero dai
doveri dell'amore coniugale, il cuore vergine può sentirsi, pertanto, più disponibile all'amore
gratuito dei fratelli. La verginità per il regno dei cieli, di conseguenza, meglio esprime la
156[1] Questa verità è stata definita dal Concilio di Trento al cn. 10 della Ses. XXIV. Pio XII cita questo canone nella sua
enciclica Sacra virginitas, e lo considera dogma di fede. La dottrina è stata ricordata recentemente dal Concilio Vaticano II
(Optatam totius, 10; Perfectae charitatis, 1), dalla Familiaris consortio (n. 16) e dal Catechismo (n. 1620). Per uno sviluppo
attuale dell'argomento cfr. D. MARAFIOTI, Il primato della verginità per il Regno dei cieli, ne «La civiltà Cattolica», 1994,
II (quad. 3452), 143-153.
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donazione del Cristo al Padre per i fratelli e prefigura con maggiore esattezza la realtà della
vita eterna, tutta sostanziata di carità. La verginità, certo, implica la rinuncia alla forma di
amore tipica del matrimonio, ma la rinuncia è compiuta allo scopo di assumere più in
profondità il dinamismo, insito nella sessualità, di apertura oblativa agli altri e di potenziarlo e
trasfigurarlo mediante la presenza dello Spirito, il quale insegna ad amare il Padre e i fratelli
come il Signore Gesù (31).
In sintesi, la sessualità è chiamata ad esprimere valori diversi a cui corrispondono esigenze
morali specifiche. Orientata verso il dialogo interpersonale, contribuisce alla maturazione
integrale dell'uomo, aprendolo al dono di sé nell'amore. Legata, inoltre, nell'ordine della
creazione, alla fecondità e alla trasmissione della vita, è chiamata ad essere fedele anche in
questa sua interna finalità. Amore e fecondità sono comunque significati e valori della
sessualità, che si includono e richiamano a vicenda e non possono quindi essere considerati né
alternativi né opposti (32).
La vita affettiva, propria di ciascun sesso, si esprime di modo caratteristico nei diversi stati di
vita: l'unione dei coniugi, il celibato consacrato scelto per il Regno, la condizione del cristiano
che non ha raggiunto il momento dell'impegno matrimoniale o perché rimane tuttora celibe, o
perché ha scelto di conservarsi tale. In tutti i casi questa vita affettiva deve essere accolta e
integrata nella persona umana (33).
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Testi sull’indissolubilità
1Cor 7 [10] Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito - [11] e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito - e il marito non ripudi la moglie. Mc 10 [2] E avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: "È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?". […] [11] "Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; [12] se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio". Lc 16 [18] Chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio; chi sposa una donna ripudiata dal marito, commette adulterio. Mt 5 [31] Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto di ripudio; [32] ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di “porneía”, la espone all'adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio. Mt 19 [3] Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: "È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?". […] [9] Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di “porneía”, e ne sposa un'altra commette adulterio".