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ARACNE Estetica dell’immanenza Saggi sulle immagini, le parole e le macchine Federico Luisetti

Saggi sulle immagini, le parole e le macchine · 1 Cfr. H. Bergson, Le due fonti della morale e della religione, a cura di A. Pessina, Laterza, Roma-Bari 1995, p. 195 e ss. 2 Punto

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ARACNE

Estetica dell’immanenza

Saggi sulle immagini,le parole e le macchine

Federico Luisetti

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via Raffaele Garofalo, 133 a/b00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 978-88–548–1942–9

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: agosto 2008

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Indice 7 Introduzione 13 Capitolo I

Intervalli bergsoniani 1. Vita 2. Natura 3. Intuizione 4. Immagini 5. Continuo

37 Capitolo II

Topologia del visibile 37 1. Cristalli di tempo 75 2. Lo spazio letterale 103 3. Illusione 115 Capitolo III

Strumenti meravigliosi 115 1. Jucunda spectacula: le macchinazioni gesuitiche 142 2. La costruzione dell’immanenza: il readymade 176 3. Macchina, occhio, corpo 199 Capitolo IV

Il posto delle parole 199 1. Fine della critica 223 2. La rivoluzione indifferente 231 3. Il taglio nell’immagine

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Introduzione Mai la filosofia era parsa tanto fragile, più preziosa e più appassionante come nel momento in cui uno sbadiglio fa-ceva svanire nella bocca di Bergson l’esistenza di Dio.

M. Blanchot, Thomas l’oscuro

Un’estetica dell’immanenza costruita sulla diffusa e sfug-gente eredità concettuale del bergsonismo e delle sperimenta-zioni artistiche delle avanguardie storiche. È questa l’ipotesi messa alla prova nel tour de force saggistico del presente volu-me, sullo sfondo delle nuove forme della presenza svelate dalle filosofie della vita e dalla decostruzione della tradizione metafi-sica. Un’estetica dell’“anti-arte” del Novecento che, in forme eterogenee e secondo vettori spesso divergenti, ha radicalizzato l’unione di “mistica e meccanica” bergsoniana1, mostrando in-nesti imprevedibili tra la materia e la vita, tra l’umano e il tec-nologico, inventando dimensioni percettive e pratiche del con-cetto che congedano l’arte rappresentativa e formalistica della tradizione borghese.

Più che una genealogia storica, il filo conduttore di questi saggi è uno stile filosofico, l’esercizio di un “pensiero dell’immanenza”2, irriducibile alle modalità critiche dell’estetica post-kantiana e a quelle dialettiche dell’estetica

1 Cfr. H. Bergson, Le due fonti della morale e della religione, a cura di A. Pessina, Laterza, Roma-Bari 1995, p. 195 e ss.

2 Punto di riferimento dell’attuale riflessione sulla nozione di “immanenza” è l’ultimo scritto di Gilles Deleuze: L’immanence: une vie …, in «Philosophie», n. 47, set-tembre 1995, pp. 3-7. Le posizioni deleuziane sono riprese con esiti originali da Giorgio Agamben (L’immanenza assoluta, in La potenza del pensiero, Neri Pozza, Vicenza 2005) e Roberto Esposito (Terza persona. Politiche della vita e filosofia dell’impersonale, Einaudi, Torino 2007, in particolare pp. 173-182).

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Introduzione 8

post-hegeliana. I contorni di questo pensiero si delineano nelle quattro sezioni in cui è suddiviso il volume, dedicate rispetti-vamente all’immagine (Cap. II: Topologia del visibile), alle macchine disfunzionali gesuitiche e delle avanguardie (Cap. III: Strumenti meravigliosi) ed alle dislocazioni dei regimi discorsi-vi della critica filosofia e del linguaggio romanzesco (Cap. IV: Il posto delle parole). Il Capitolo I (Intervalli bergsoniani) è invece un corpo a corpo con alcuni concetti chiave della filosofia bergsoniana – “vita”, “natura”, “intuizione”, “immagine”, “continuo” – e rappresenta una messa a punto del lessico bergsoniano utilizzato poi nei capitoli seguenti.

Poiché la pratica di un “pensiero dell’immanenza” non si confonde con l’edificazione di un sistema filosofico, i saggi at-traverso cui si articola il presente volume vanno letti come un tentativo di plasmare la forma del pensiero sulla natura degli oggetti estetici presi di volta in volta in esame: il cinema ber-gsoniano di Roberto Rossellini, le fotografie museali di Thomas Struth e l’“illusione visiva” (Cap. II), le macchine barocche di Athanasius Kircher, i readymade di Marcel Duchamp e le scul-ture cinetiche di Jean Tinguely (Cap. III), i cultural studies, il romanzo futurista di Bruno Corra e il romanzo Thomas l’oscuro di Maurice Blanchot (Cap. III).

La natura di questi oggetti corrisponde alle caratteristiche at-tribuite da Henri Bergson ai piani di realtà colti dalla “percezio-ne”: una presenza eccentrica, un’immanenza tagliente e para-dossale, dischiusa da un sistema di azioni vitali irriducibili alle prestazioni della soggettività. La percezione, come organo spe-cifico assegnato da Bergson alle pratiche artistiche, non si apre sul reale ma si colloca, fende e allarga ciò che le abitudini sen-soriali e intellettive ritengono l’unica realtà possibile:

Vi sono in effetti, da secoli, uomini la cui funzione è giustamente quella di vedere e farci vedere ciò che noi non vediamo naturalmente.

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Introduzione 9

Sono gli artisti […] L’arte servirà dunque a mostrarci che un’estensione delle facoltà di percepire è possibile3. Molti esponenti delle avanguardie storiche – tra questi i Fu-

turisti e Duchamp – e con essi artisti non appartenenti ai gruppi d’avanguardia e neo-avanguardia – ad esempio Rossellini e Struth – hanno assunto consapevolmente questa concezione del-la percezione e dell’arte, radicalizzandola al di là degli stessi suggerimenti estetici bergsoniani, che talvolta sembrano privi-legiare l’autonomia dell’arte dalla dimensione pratico-vitale e una “percezione di percezione” non più rivolta all’agire4. Attra-verso opere programmaticamente non-artistiche, Duchamp e Rossellini, Struth e Tinguely elaborano invece nuove modalità di azione, approfondendo la struttura degli atti vitali bergsonia-ni. La percezione invocata da Bergson è infatti una “percezione della presenza” e questa a sua volta si pone come un’operazione attualizzabile soltanto per mezzo dell’azione.

L’arte sperimentale e delle avanguardie coglie ed elabora costruttivamente il nucleo più profondo e innovativo del ber-gsonismo. In Bergson l’appello alla percezione è retto infatti da un esercizio topologico, corrispondente alle modalità di contatto tra tendenze immanenti alle dinamiche della vita, tendenze sempre orientate verso sbocchi attivi e informali5. Si tratta di una nuova geometria del vivente a cui corrisponde un’altrettanto imprevedibile pedagogia della percezione e del concetto6. A partire da Bergson, la filosofia diventa una pedagogia dell’esperienza vitale che abbandona l’orizzonte scolastico e si propone come terreno di coltura per ogni pratica

3 H. Bergson, La percezione del mutamento, in Pensiero e movimento, trad. it. di F. Sforza, Bompiani, Milano 2000, pp. 126-127. 4 «Di tanto in tanto, per qualche accidente felice, nascono uomini i cui senbsi e la

cui coscienza sono meno aderenti alla vita. La natura ha dimenticato di attaccare la loro facoltà di percepire a quella di agire […] Non percepiscono semplicemente in vista dell’agire, percepiscono per percepire, per niente, per il piacere» (ivi, pp. 128-129).

5 Il bergsonismo è «una dottrina dinamista che ammette solo tendenze orientate» (V. Jankélévitch, Bergson, trad. it. di G. Sansonetti, Morcelliana, Brescia 1991, p. 219)

6 Oltre che nell’Evoluzione creatrice e nei saggi di Pensiero e movimento, la topo-logia bergsoniana del vivente è elaborata nei testi raccolti in L’energia spirituale, trad. it. di G. Bianco, Cortina, Milano 2008, cfr. in particolare La coscienza e la vita.

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Introduzione 10

dell’immanenza – sia essa artistica, come nel caso delle avan-guardie, o politica, come nel bergsonismo di Sorel e Papini.

Per un futurista bergsoniano come Umberto Boccioni non esistono più forme pure bensì “forme-forza” e “linee-forza” in-caricate di “dipingere la pura sensazione”7. Le tradizionali nor-me stilistiche e morfologiche sono sostituite da un’“intuizione della vita” ottenuta attraverso atti, gesti laceranti che fanno e-splodere i contorni degli oggetti:

Ora se noi vogliamo uscire dal vecchio concetto artistico e creare nuovi aspetti della realtà, se vogliamo distruggere l’episodio, e creare l’oggetto vissuto nelle sue forze, non analizzato nelle parti che lo compongono – analisi quasi sempre dannosa – noi vedremo che le li-nee, le forme e i colori dati come forze sono la sola espressione dina-mica possibile8. Mentre i Cubisti scompongono analiticamente e ricostrui-

scono intellettualmente la struttura delle apparenze sensibili, il Futurismo di Boccioni, Marinetti e Bragaglia “vive l’oggetto nelle sue forze”, ossia procede attraverso una pedagogia dell’azione vitale deformante, in vista di una geometria del vi-vente ottenuta per mezzo di “opere non-artistiche” (Duchamp).

La natura paradossale dell’anti-arte costruita sulla base della topologia bergsoniana – le macchine disfunzionali di Duchamp e Tinguely, le azioni artistiche di Marinetti, Boccioni e Depero, la Fotodinamica di Bragaglia – non va dunque ricondotta a mo-vimenti di trascendenza o di tensione verso l’assoluto, quanto alle contorsioni dell’immanenza, alla struttura aggrovigliata del-le “molteplicità continue” su cui si fonda l’ontologia bergsonia-na: «Godiamo, così, di poter rendere la vita nella sua unica, lo-gica, espressione e la realtà, nel suo più profondo carattere me-no realistico»9.

7 U. Boccioni, Pittura e scultura futuriste, a cura di Z. Birilli, Abscondita, Milano

2006, p. 147. 8 Ivi, p. 103. 9 G.A. Bragaglia, Fotodinamismo futurista, Einaudi, Torino 1970, p. 10.

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Introduzione 11

L’arte “bergsoniana” a cui sono dedicati i saggi di questo volume si propone come tecnica di localizzazione e luogo di costruzione del reale, zona di contatto, “intervallo”10 – tra spa-zio e tempo, tra percezione e concetto, tra istinto e intelligenza e, in ultimo, tra l’uomo e i movimenti non-umani della materia vivente.

Nell’arte ispirata dalla filosofia bergsoniana gli oggetti este-tici – ad esempio il Grande Vetro duchampiano, vero e proprio manifesto del bergsonismo delle avanguardie (v. Cap. III, 2) – si concepiscono come laboratori della presenza, luoghi di spe-rimentazione e dunque d’innesto della percezione nella struttura della materia. Se i readymade di Duchamp e gli automi disfun-zionali di Tinguely, la gestualità macchinica del Futurismo ita-liano e i piani sequenza di Rossellini sono impregnati di ber-gsonismo, è perché essi abbracciano una topologia estetica or-fana dell’“artisticità”.

In Bergson, una “conversione” filosofica (epistrophé)11 sco-pre il “presente elastico” posto tra il virtuale e l’attuale (Mate-ria e memoria), lo “slancio vitale” nascosto tra istinto e intelli-genza (Evoluzione creatrice), l’“intuizione filosofica” che si a-gita tra la percezione e il concetto (Pensiero e movimento). Allo stesso modo, nell’anti-arte delle avanguardie è in gioco la preci-sione di un collocamento negli interstizi delle traiettorie di svi-luppo della vita, la pratica localizzante e attualizzante di “opere-macchina”, “opere-gesto”, “opere-concetto”, “opere-parenetiche”, mai “opere d’arte”12. Gli “intervalli” bergsoniani si proiettano e moltiplicano così nei “ritardi” e nell’“infra-sottile” di Duchamp, negli “stati intermovimentali” di Braga-glia, nelle “compenetrazioni” di Boccioni.

Dopo aver indagato nel Capitolo II la sfera delle immagini e nel Capitolo III la dimensione del “macchinico” – fondamentale luogo d’intersezione tra l’attività umana e la vita della materia –

10 “Intervallo” è un termine tecnico fondamentale dell’ontologia bergsoniana (v.

Cap. I). 11 H. Bergson, La percezione del mutamento,cit., p. 129. 12 Nel Capitolo III suggerisco una genealogia barocca per le pratiche macchiniche

delle avanguardie (v. Cap. III. 1)

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Introduzione 12

il Capitolo IV esemplifica la posizione occupata dai linguaggi della critica e della letteratura all’interno di questa costellazione concettuale. L’esaurirsi del presupposto epistemico della “di-stanza critica” segnalato dalle metodologie dei cultural studies, l’indifferenza rivoluzionaria del protagonista del romanzo futu-rista di Bruno Corra e l’“immenso oblio” contenuto nella parola di Thomas l’oscuro di Blanchot sono altrettanti casi di imma-nentizzazione dell’esperienza, esperienze-limite di un “dentro” per il quale siamo ancora in attesa dei concetti adeguati.

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Intervalli bergsoniani 1. Vita

Sullo sfondo della svolta bio-tecnologica del capitalismo a-

vanzato, la definizione e il rapporto del pensiero con la vita so-no nuovamente al centro della sperimentazione artistica e della riflessione filosofica1. Che si tratti di manipolazione genetica, di politica dei corpi o di estetica del post-umano, in gioco è la costruzione della vita, la produzione di un nuovo orizzonte del vivente in grado di sostituire le forme in decomposizione dell’umanità occidentale. Quando la natura, le funzioni e l’estensione della vita vengono investite dalle tecnologie politi-che, lasciar riposare il vivente nell’indeterminatezza di una de-finizione scolastica diventa infatti impossibile. Diventa allora necessaria una nuova “arte di vivere”2 che costringa a ripensare le prerogative assegnate dalla tradizione borghese all’attività ar-tistica e al pensiero concettuale.

A ben vedere, questo movimento verso la vita ripete, secon-do linee di sviluppo imprevedibili, una costellazione che a ca-vallo tra Ottocento e Novecento ha prodotto il vitalismo biolo-gico, la Lebensphilosophie, la transvalutazione nietzschiana dei valori, l’ontologia bergsoniana dello slancio vitale e i manifesti delle avanguardie storiche. In tutti questi casi, è la vita come campo estetico-politico che si affaccia al pensiero tra le maglie

1 Sul rapporto tra biologia e politica, cfr. in particolare R. Esposito: Immunitas.

Protezione e negazione della vita, Einaudi, Torino 2002, Bíos. Biopolitica e filosofia, Einaudi, Torino 2004, Terza persona. Politiche della vita e filosofia dell’impersonale, cit., Termini della politica. Comunità, immunità, biopolitica, Mimesis, Milano 2008.

2 G. Deleuze, Pourparler (1972-1990), trad. it. di S. Verdicchio, Quodlibet, Mace-rata 2000, p. 151.

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Capitolo I 14

delle nuove forme di potere e dei nuovi saperi sul vivente. Al moltiplicarsi dei neovitalismi di stampo biologico e delle filoso-fie della vita – tra Driesch e Husserl, Simmel e Labriola, Dil-they e Scheler – si affiancano le sperimentazioni artistiche delle avanguardie storiche, anch’esse protese, sin dai primi manifesti futuristi, a scagliare le forme di vita della modernità lungo traiettorie ingovernabili: «Crediamo con Bergson che la vie dé-borde l’intelligence, cioè straripa, avviluppa e soffoca la picco-lissima intelligenza. Non si può intuire il prossimo futuro, se non collaborandovi col vivere tutta la vita»3.

Da questa prospettiva, il diritto enunciato da Foucault a ri-trovare «tutto quel che si può essere» vale come una ripetizione del programma futurista, e la creazione dei concetti di bio-storia, bio-politica e bio-potere prolunga il progetto bergsoniano di una “metafisica positiva” del biologico: «Diamo, dunque, al termine biologia il senso molto comprensivo che dovrebbe ave-re, che un giorno forse prenderà, e diciamo, per concludere, che ogni morale, pressione o aspirazione, è di essenza biologica»4.

Le conseguenze politico-antropologiche che le avanguardie storiche associano alla reinvenzione dell’agire a partire dalla tematizzazione delle strutture della vita suggeriscono che per «diventare tutto quel che si può essere» non è sufficiente ag-grapparsi, foucaultianamente, alle “forze che resistono”, riven-dicando i diritti al corpo, alla salute e alla felicità, capovolgendo la vita contro il sistema di potere che ne ha catturato la spontaneità5. Sulla scia di Nietzsche e Bergson, si tratta di affermare la positività e l’immanenza del vivente nel luogo stesso della sua costituzione: «Se ogni essere vivente nasce, si sviluppa e muore, se la vita è una evoluzione e se la durata è qui una realtà, non c’è anche una intuizione del vitale, e di conseguenza una metafisica della vita, che prolungherà la

3 F.T. Marinetti, Guerra sola igiene del mondo, in Teoria e invenzione futurista,

Mondadori, Milano 1983, p. 331. 4 Id., Le due fonti della morale e della religione, cit., p. 72. Cfr. inoltre Mélanges,

PUF, Paris 1972, pp. 463-502. 5 Cfr. M. Foucault, La volontà di sapere, trad. it. di P. Pasquino e G. Procacci, Fel-

trinelli, Milano 1978, p. 128.

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Intervalli bergsoniani 15

metafisica della vita, che prolungherà la scienza del vivente?»6. Quanto al pensiero, esso è chiamato ad orientarsi verso delle tecniche di collocazione, tra misticismo e rivoluzione, quieti-smo e attivismo: pensare equivale a far posto alla vita. In ogni caso, una volta riconosciuta l’intersezione di conoscenza e vita, il concetto riformula il proprio inserimento nel reale, voltando le spalle alla teoria della conoscenza e collocandosi nel campo di tensione che va dall’eterno ritorno nietzschiano alla decisione sovrana di Carl Schmitt7. L’unione di mistica e meccanica in Bergson, la volontà di potenza nietzschiana, gli automi di Vil-liers de l’Isle-Adam e di Roussel, le “macchine celibi” di Du-champ e gli oltre-uomini artificiali o barbarici di Marinetti sono esempi significativi delle nuove positività che emergono a parti-re dalla prassi topologica del vivente. Della vita, della sua nudi-tà biologica o dei suoi abiti sociali, non interessa più la defini-zione sostanziale ma l’efficacia, la capacità di ampliamento o resistenza nei confronti dell’azione, la sua dislocazione su piani che riconfigurano gli equilibri tra i concetti e le convenzioni so-ciali.

Nella prospettiva delle tecniche di raccordo, inserimento, sovrapposizione e contatto della vita con il pensiero, la cono-scenza del vivente possiede la caratteristica di essere “limitata” ma non “relativa”8. Alla vita ci si rivolge non per imprigionarla in un sistema di principi e relazioni formali retti da criteri di ve-rità ma per sperimentare una pedagogia degli atti indivisibili e degli arresti, degli slanci e delle frammentazioni dell’azione. Se si accetta il presupposto che «noi siamo là dove noi agiamo», ovvero che in gioco ci sia il luogo di un’azione e non il “che co-sa” della descrizione di una sostanza, i rapporti tra corpo orga-nico e corpo inorganico, tra unità e dispersione della materia

6 H. Bergson, Pensiero e movimento, cit., p. 25. 7 «Vi sono dei modi di vivere, in cui le difficoltà sono enormemente accresciute, e

tale è la vita dei pensatori: a questo proposito, quando se ne racconta qualcosa, bisogna ascoltare attentamente, poiché qui si può intendere qualcosa a riguardo delle possibilità di vita» (F. Nietzsche, Frammenti postumi 1875-1876, cit. in G. Deleuze, Pourparlez, p. 15).

8 H. Bergson, Mélanges, cit., p. 494.

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Capitolo I 16

producono circuiti al cui interno si dispiega la varietà dei mo-vimenti vitali e delle forme di esistenza ad essi corrispondenti9.

Nel contesto di questa attualità del vivente s’inserisce la rin-novata diffusione trasversale della filosofia bergsoniana, testi-moniata dal moltiplicarsi di traduzioni e pubblicazioni mono-grafiche10. Riflessi nello specchio anamorfico bergsoniano, i grandi temi del vitalismo occidentale – che si affacciano nel De anima aristotelico e nella filosofia stoica – assumono infatti configurazioni originali e si ritrovano spostati su un nuovo terri-torio: un pensiero della “densità” dell’essere d’ispirazione natu-ralistica, radicalmente non cristiano e non dialettico11. L’onto-topologia del corpo di Merleau-Ponty, la filosofia dell’immanenza deleuziana così come la biopolitica foucaultia-na affondano le loro radici in questo bergsonismo latente, di cui si tratta di recuperare la forza concettuale, strappandolo alla mortificazione esegetica e sviluppandone le implicazioni esteti-co-politiche.

9 Se «la superficie del nostro piccolissimo corpo organizzato (organizzato proprio

in vista dell’azione immediata) è il luogo dei nostri movimenti attuali, il nostro grandis-simo corpo inorganico è il luogo delle nostre azioni eventuali e teoricamente possibili» (Id., Le due fonti della morale e della religione, cit., pp. 188-189).

10 In Italia, questa tendenza è confermata dalla ripubblicazione delle principali ope-re bergsoniane presso le Edizioni Cortina e dal moltiplicarsi di traduzioni e monografie dedicate a Bergson o a temi bergsoniani: cfr. G. Deleuze, Il bergsonismo e altri saggi, a cura di P.A. Rovatti e D. Borca, Einaudi, Torino 2001; R. Diodato, Estetica del virtuale, Bruno Mondadori, Milano 2005; R. Barilli, Bergson. Il filosofo del software, Cortina, Milano 2005; G. Canguilhem, G. Deleuze, Il significato della vita. Letture del III capi-tolo dell’Evoluzione creatrice di Bergson, Mimesis, Milano 2006 e G. Fasolo, Tempo e durata. Il luogo del presente in Aristotele e Bergson, Alboversorio, Milano 2006. Il rin-novato interesse per la filosofia bergsoniana travalica tuttavia le frontiere italiane: cfr. J. Mullarkey, Bergson and Philosophy, Edinburgh University Press, Edinburgh 1999; Y. Conry, L’Évolution créatrice d’Henri Bergson, Harmattan, Paris 2000; Henri Bergson: esprit et langage, a cura di C. Stancati, Pierre Mardaga, Hayen 2001; K.H. Pearson, Philosophy and the Adventure of the Virtual. Bergson and the Time of Life, Routledge, London 2002. Per una rassegna bibliografica ragionata, che tiene conto della ricezione post-deleuziana di Bergson, cfr. S. Guerlac, Thinking in Time. An Introduction to Henri Bergson, Cornell University Press, Ithaca and London 2006, pp. 173-196.

11 «Cogliamoci nuovamente, invece, così come siamo, in un presente denso e, in più, elastico» (H. Bergson, Pensiero e movimento, cit., p. 119).