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1 ARCIDIOCESI DI NAPOLI SAN GENNARO XVII CENTENARIO DEL MARTIRIO (305-2005) CONVEGNO DI STUDI INTERNAZIONALE Napoli, mercoledì 21 – venerdì 23 settembre 2005 COMITATO D’ONORE Card. Michele Giordano, Arcivescovo di Napoli, Ecc. Silvio Padoin, Vescovo di Pozzuoli Ecc.Serafino Sprovieri, Arcivescovo di Benevento Antonio Bassolino, Presidente della Giunta della Regione Campania Dino Di Palma, Presidente della Provincia di Napoli Rosa Russo Jervolino, Sindaco di Napoli, Renato Profili, Prefetto di Napoli Carlo di Somma, Vicepresidente della Deputazione della Cappella di S. Gennaro Guido Trombetti, Rettore Magnifico dell’Università “Federico II” di Napoli Fulvio Tessitore, Senatore della Repubblica COMITATO SCIENTIFICO Gennaro Luongo (Università degli Studi Federico II, Napoli), coordinatore Sofia Boesch Gajano (Università Roma Tre, Presidente dell’Associazione Italiana per lo Studio dei Santi, Culti e Agiografia), Vincenzo De Gregorio (Direttore del Conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli e Abate Prelato della Real Cappella di S. Gennaro), Ugo Dovere (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli), Robert Godding (Société des Bollandistes, Bruxelles) Antonio Pitta (Preside della Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale), Andrea Milano (Università degli Studi Federico II, Napoli) Antonio V. Nazzaro (Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi Federico II, Napoli), Giovanni Vitolo (Università degli Studi Federico II, Napoli) COMITATO ORGANIZZATIVO Maria Amodio Giuliana Boccadamo Francesco Lentino Gennaro Luongo Dipartimento di Discipline Storiche Università degli Studi Federico II via Marina 33 -80133 Napoli La partecipazione al convegno è gratuita. Per richiesta di pernottamenti in Hotel o B& B si può contattare la Segreteria organizzativa: DEFLA organizzazione eventi Via dei Mille 16 – 80121 Tel/fax 081 4023093 www.defla.it [email protected]

SAN GENNARO XVII CENTENARIO DEL MARTIRIO (305-2005 ...rm.univr.it/calendario/2005/Prog/prog-S_Gennaro.pdf · Gennaro Luongo (Univ. Federico II, Napoli) Neapolitanae urbis inlustrat

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ARCIDIOCESI DI NAPOLI

SAN GENNARO

XVII CENTENARIO DEL MARTIRIO (305-2005)

CONVEGNO DI STUDI INTERNAZIONALE

Napoli, mercoledì 21 – venerdì 23 settembre 2005 COMITATO D’ONORE Card. Michele Giordano, Arcivescovo di Napoli, Ecc. Silvio Padoin, Vescovo di Pozzuoli Ecc.Serafino Sprovieri, Arcivescovo di Benevento Antonio Bassolino, Presidente della Giunta della Regione Campania Dino Di Palma, Presidente della Provincia di Napoli Rosa Russo Jervolino, Sindaco di Napoli, Renato Profili, Prefetto di Napoli Carlo di Somma, Vicepresidente della Deputazione della Cappella di S. Gennaro Guido Trombetti, Rettore Magnifico dell’Università “Federico II” di Napoli Fulvio Tessitore, Senatore della Repubblica COMITATO SCIENTIFICO Gennaro Luongo (Università degli Studi Federico II, Napoli), coordinatore Sofia Boesch Gajano (Università Roma Tre, Presidente dell’Associazione Italiana per lo Studio dei Santi, Culti e Agiografia), Vincenzo De Gregorio (Direttore del Conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli e Abate Prelato della Real Cappella di S. Gennaro), Ugo Dovere (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli), Robert Godding (Société des Bollandistes, Bruxelles) Antonio Pitta (Preside della Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale), Andrea Milano (Università degli Studi Federico II, Napoli) Antonio V. Nazzaro (Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi Federico II, Napoli), Giovanni Vitolo (Università degli Studi Federico II, Napoli) COMITATO ORGANIZZATIVO Maria Amodio Giuliana Boccadamo Francesco Lentino Gennaro Luongo Dipartimento di Discipline Storiche Università degli Studi Federico II via Marina 33 -80133 Napoli La partecipazione al convegno è gratuita. Per richiesta di pernottamenti in Hotel o B& B si può contattare la Segreteria organizzativa: DEFLA organizzazione eventi Via dei Mille 16 – 80121 Tel/fax 081 4023093 www.defla.it [email protected]

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PROGRAMMA Mercoledì, 21 settembre 2005 Auditorium della Curia Arcivescovile Napoli, Piazza Donnaregina ore 16.00

Saluto del Card. Michele Giordano, Arcivescovo di Napoli

Presiede ANTONIO V. NAZZARO Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Napoli Federico II

GENNARO LUONGO Università degli Studi di Napoli Federico II Neapolitanae urbis inlustrat ecclesiam (Uran., de obitu Paulini 3)

ROBERT GODDING Société des Bollandistes, Bruxelles I Bollandisti e il dossier agiografico di S. Gennaro

DOMENICO AMBRASI Università degli Studi di Salerno Gli studi ianuariani di Domenico Mallardo (com.) ELIODORO SAVINO

Università degli Studi di Napoli Federico II Identità regionali e identità cristiana. Considerazioni sulle diocesi nella Campania tardoantica

GIORGIO OTRANTO Università degli Studi di Bari Origini del cristianesimo, martirio e persecuzione in Campania Giovedì, 22 settembre 2005

ore 9.00-11.00 Visita alle Catacombe di S. Gennaro Napoli, Basilica del Buon Consiglio a Capodimonte

ore 11.15

Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale Napoli, Viale Colli Aminei 2

Saluto Sezione storico-archeologica Presiede MARCELLO ROTILI Seconda Università di Napoli

FABRIZIO BISCONTI Segretario della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra,

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Università Roma Tre La successione cronologica e monumentale alla luce dei documenti iconografici di S. Gennaro

DANILO MAZZOLENI Rettore del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, Università Roma Tre Nuovi dati epigrafici dal complesso monumentale di S. Gennaro

MARIA AMODIO Università degli Studi di Napoli Federico II Le Catacombe di S. Gennaro: dalla ‘curiositas’ degli eruditi alle indagini archeologiche (com.)

Centro di eccellenza per la restituzione computerizzata di manoscritti e monumenti della pittura antica dell’ Università degli Studi di Napoli Federico II Risultati dell’indagine conoscitiva e restituzione virtuale degli affreschi ianuariani delle Catacombe di Capodimonte

Giovedì, 22 settembre 2005 ore 16.00 Auditorium del Seminario di Pozzuoli Pozzuoli, Via Campi Flegrei 12 Saluto delle Autorità Sezione storico-agiografica

Presiede SOFIA BOESCH GAJANO Presidente dell’AISSCA, Università di Roma Tre

ANTONIO VUOLO Università degli Studi di Salerno Rilettura del dossier agiografico di S. Gennaro e “compagni”

AMALIA GALDI Università degli Studi di Salerno Le traslazioni medievali delle reliquie di S. Gennaro (com.)

ANGELO D’AMBROSIO Direttore dell’Archivio Diocesano di Pozzuoli Testimonianze agiografiche e cultuali di S. Gennaro a Puteoli (com.)

Coffee break THOMAS GRANIER Université de Montpellier San Gennaro e compagni nelle fonti dei secoli X-XII

CARLO EBANISTA

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Università degli Studi del Molise Il culto ianuariano a Nola (com.) ANTONIO CAROCCIA Conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli Frammenti notati di un breviario monastico del XII sec. a Napoli: una fonte per la liturgia di S. Gennaro (com.) GIULIANA VITALE Università degli Studi di Napoli L’Orientale Testimonianze sul culto del sangue nel secolo XV (com.)

Venerdì, 23 settembre 2005 ore 9.00 Chiesa dei SS. Marcellino e Festo Napoli, Largo S. Marcellino Saluto GUIDO TROMBETTI Rettore dell’Università degli Studi Federico II Sezione storico-moderna

Presiede GIUSEPPE GALASSO Università degli Studi di Napoli Federico II

GIUSEPPE A. GUAZZELLI Università di Roma Tor Vergata Il culto di S. Gennaro nella liturgia postridentina

GIULIANA BOCCADAMO Università degli Studi di Napoli Federico II I miracoli di S. Gennaro in età moderna (com.)

MARCELLA CAMPANELLI Università degli Studi di Napoli Federico II Le feste di San Gennaro a Napoli in un’inedita cronaca del Seicento (com.)

MICHELE MIELE Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sez. S. Tommaso I rilievi critici di matrice illuministica sulla liquefazione del sangue e la replica apologetica dei contemporanei

Coffee break

ROBERTO ROMANO Università degli Studi di Napoli Federico II e GIULIO SODANO Università degli Studi Suor Orsola Benincasa Quel “falso spudorato” della Vita greca di S. Gennaro

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ELISA NOVI CHAVARRIA Università degli Studi del Molise La frontiera di un culto. S. Gennaro e Napoli (com.)

VALERIO PETRARCA Università degli Studi de L’Aquila Morfologie rituali del culto di S. Gennaro: costanti e trasformazioni tra età moderna e contemporanea MICHAIL TALALAY Accademia Russa delle Scienze, Mosca Il culto di S. Gennaro nelle testimonianze dei pellegrini russi (com.) Venerdì, 23 settembre 2005

ore 16.00 Sezione storico-artistica

Presiede RENATO DI BENEDETTO Università degli Studi di Napoli Federico II

VINCENZO PACELLI Università degli Studi di Napoli Federico II Iconografia di S. Gennaro in età moderna

MARTA COLUMBRO - PAOLO GIOVANNI MAIONE Conservatorio D. Cimarosa di Avellino Musici periti e cerimoniale musicale al Tesoro di San Gennaro tra Seicento e Settecento

FRANCESCO COTTICELLI Università degli Studi di Cagliari Perrucci e la tradizione degli spettacoli gennariani: La fede autenticata col sangue (1704)

MARINA MAYRHOFER

Università degli Studi di Napoli Federico II Una Cantata di Giovanni Paisiello per la processione di S. Gennaro del maggio 1787 (com.)

CONCLUSIONI ANDRÉ VAUCHEZ Institut de France

ore 19.30 Concerto La grande musica del ‘600 e del ‘700 nella committenza della Real Cappella di S. Gennaro

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ABSTRACTS

Gennaro Luongo (Univ. Federico II, Napoli) Neapolitanae urbis inlustrat ecclesiam (Uranio, La morte di Paolino 3) La più antica testimonianza letteraria su San Gennaro è contenuta nell'opuscolo di Uranio sulla vita e la morte di Paolino di Nola: l'autore racconta l'apparizione dei santi Gennaro e Martino a Paolino tre giorni prima della morte avvenuta il 22 giugno 431. Il breve commento esplicativo di Uranio, assai conciso sul santo di Tours, offre invece per Gennaro una scheda prosopografica, che diventa una vera e propria rappresentazione agiografica: Ianuarius, episcopus simul et martyr, Neapolitanae urbis illustrat ecclesiam. La notizia costituisce un preciso identi-kit agiografico di un vescovo e martire, strettamente legato a Napoli; l'abbinamento poi di Gennaro al celebre santo delle Gallie finisce per accrescere il suo ruolo di rappresentante italico della santità. Un'attenta lettura dell'opera e lo scavo filologico cercano di mettere in luce qualche aspetto, che impreziosisce la testimonianza ianuariana e le conferisce un maggiore spessore storico. Qual è il senso della notizia uraniana su Gennaro? Perché, in che cosa e come il vescovo e martire illustra/ onora/ glorifica la chiesa della città partenopea? Uno spoglio delle frequenze del verbo nei testi latini tardoantichi suggerisce che l’espressione non indica solo la rinomanza generica che ricade sulla città, ma sembra alludere a una relazione più profonda e significativa, come l'azione vivificatrice e protettrice esercitata dai santi attraverso la tomba o le reliquie. In numerosi testi latini tra IV e VI secolo, infatti, il verbo illustro ricorre in testi che associano nomi di santi a luoghi di culto che conservano corpi o reliquie. Inquadrato nel contesto storico del culto dei martiri tra la fine del IV secolo e la prima metà del V secolo - epoca nella quale il corpo di San Gennaro fu traslato nelle catacombe napoletane - e confrontato con le testimonianze della storia ecclesiastica napoletana e con le recenti evidenze archeologiche, il brano di Uranio acquista una significatività più ricca. Robert Godding (Société des Bollandistes, Bruxelles) I Bollandisti e il dossier agiografico di San Gennaro

L’elaborazione del dossier di S. Gennaro per gli Acta Sanctorum supponeva la raccolta di una importante documentazione manoscritta e stampata, di cui si seguono le vicende, attraverso un secolo e mezzo, dalla pubblicazione dei Fasti sanctorum di Rosweyde (1607) a quella del sesto volume di settembre degli Acta Sanctorum (1757), che contiene i santi del 19 settembre. Dall’inizio, i Napoletani cercarono di influire in modo positivo sulla stesura del dossier: nel 1661, i PP. Henschenius e Papebrochius, primi collaboratori del Bolland, furono testimoni della prodigiosa liquefazione del sangue, durante un’ostensione straordinaria organizzata in loro onore. La visita del bollandista Stiltingh a Napoli (1753) fu l’inizio di un fruttuoso contatto con il confratello gesuita Pasquale De Matthaeis, il quale ottenne dalla Città il finanziamento per una raccolta degli atti manoscritti di San Gennaro, da mandare ai Bollandisti, nonché per l’incisione e la stampa di una serie di illustrazioni destinate ad arricchire il dossier degli Acta Sanctorum. Le rivalità tra le città di Napoli e Benevento circa il luogo di nascita del santo, nonché le varie polemiche attorno agli acta sincera, dal Falcone al Mazocchi, avevano creato un clima nel quale la redazione del dossier bollandiano risultava particolarmente delicata. Nel complesso, l’importante dissertazione (133 pagine in-folio) doveva confortare le tesi napoletane tradizionali.

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Domenico Ambrasi (Univ. di Salerno) Gli studi ianuariani di Domenico Mallardo

Gli studi ianuariani rappresentano un punto fermo nell vasto campo delle ricerche sulla questione storico-agiografica di San Gennaro. Emulo dei padri Bollandisti, rappresentante ed epigono della scuola di Storia ecclesiastica e di Archeologia cristiana del clero di Napoli, illustrata dai nomi di A.S. Mazocchi, G.A. Galante e G. Tagliatatela e molti altri, D. Mallardo studiò in vari contributi testi e monumenti riguardanti la storia e il culto del santo patrono di Napoli con acute critiche e profonda preparazione dottrinale. Si passano in rassegna alcuni suoi testi più notevoli, tra i quali i contributi apparsi nei Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti e specialmente l’originalissima disamina delle più antiche testimonianze letterarie, liturgiche, documentarie, archeologiche, agiografiche (S. Gennaro e compagni nei più antichi testi e monumenti, 1940). Si formula infine l’auspicio che tutta l’opera del Maliardo riveda la luce. Eliodoro Savino (Univ. Federico II, Napoli) Identità regionali e identità cristiana. Considerazioni sulle diocesi nella Campania

tardoantica

Il rinnovamento delle conoscenze sull’Italia meridionale è uno dei più significativi risultati della fioritura di studi sul Tardoantico, riconosciuto tra i fenomeni storiografici più importanti degli ultimi decenni. Per quasi tutte le province meridionali sono disponibili sintesi, o, almeno, <<messe a punto>> di settori fondamentali della documentazione letteraria, epigrafica e archeologica, attente alla varietà delle situazioni locali, opportunamente definite attraverso l’individuazione di omogenee aree regionali. Tuttavia, la consapevolezza del ruolo centrale del cristianesimo nella vicenda storica dell’Italia meridionale tardoantica non trova sempre adeguato riscontro nelle ricostruzioni storiografiche. Si avverte l’esigenza di una visione unitaria del fenomeno, attenta ai suoi complessi rapporti con la vicenda politica e socioeconomica delle singole province meridionali, ed alle peculiari <<identità>> che esso assume nelle singole aree regionali. Per qualità della documentazione e tradizione di studi, la vicenda del cristianesimo nella Campania tardoantica si propone come campo d’indagine privilegiato. Obiettivo della relazione è il riesame di alcune questioni relative alle diocesi campane, indagate nei differenti contesti regionali. Si affrontano, in particolare: 1) le fasi della formazione del tessuto diocesano; 2) i rapporti tra diocesi, centri urbani, insediamenti rurali; 3) la partecipazione dei vescovi campani ai concili tenutisi in Italia tra V e VI sec.; 4) la trasformazione del tessuto diocesano, nella fase finale del Tardoantico. Danilo Mazzoleni (Univ. Roma Tre) Note ed osservazioni sulle iscrizioni del complesso monumentale di S. Gennaro

Manca tuttora una silloge completa di tutte le iscrizioni della catacomba di S. Gennaro, ma dopo l’apparizione di alcuni articoli recenti sui testi cristiani del complesso funerario e dell’edizione critica delle iscrizioni greche cristiane partenopee, si può comunque tracciare un bilancio sulle non numerosissime testimonianze epigrafiche, provenienti dalle catacombe di S. Gennaro, che tuttavia non di rado risultano di notevole interesse.

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Si cercheranno di porre in evidenza le peculiarità, nell’onomastica e nei formulari, dei materiali noti, che sono riconducibili a tecniche diverse: dediche incise su lapidi, realizzate a mosaico, dipinte, graffiti. Ci si limiterà, peraltro, alla fine del VI, o al massimo agli inizi del VII secolo, termine convenzionale dell’epigrafia cristiana. In particolare, dopo aver passato in rassegna le poche dediche datate (alcune scoperte in anni vicini a noi), ci si soffermerà su una categoria di epigrafi particolarmente abbondanti nel cimitero, ossia su quelle didascaliche, che accompagnano molte pitture, soprattutto di arcosoli. Si tratta o di epitaffi brevi, relativi ai defunti raffigurati, o di semplici didascalie, che chiariscono l’identità di santi e martiri effigiati, che in alcuni casi sono locali, o comunque campani (S. Gennaro, S. Sosso,), in altri apostoli (i SS. Pietro e Paolo), oppure santi venerati in tanti siti del mondo cristiano antico (S. Lorenzo, S. Stefano, gli africani S. Sperato e forse S. Marta). Si esaminerà, poi, qualche lapide più o meno lacunosa, con possibili allusioni al martire eponimo, o a lavori realizzati nella sua cripta, e successivamente si avanzeranno alcune osservazioni sui pochi testi dai quali si possono trarre dati sicuri sul ceto sociale, a cui appartenevano i fedeli e sul mestiere che esercitavano. Si passerà, quindi, ad alcuni graffiti devozionali, fra i non molti che si sono finora interpretati e soprattutto si concentrerà l’attenzione su un importante testo graffito su intonaco in versi, edito proprio di recente dallo stesso relatore, che parla esplicitamente di lavori di ampliamento della cripta martiriale, eseguiti verosimilmente sotto il vescovo Giovanni II, intorno alla metà del VI secolo. Fabrizio Bisconti (Segretario della Pont. Comm. di Archeologia Sacra, Università Roma Tre) La successione cronologica e monumentale alla luce dei documenti iconografici di S. Gennaro Il complesso decorativo delle catacombe di S. Gennaro a Napoli aiuta a descrivere il diagramma delle successioni topografiche e monumentali del grande complesso ipogeo di Capodimonte. All’esordio, segnato dai due grandi vestiboli, che danno accesso alle catacombe sovrapposte e che presentano decorazioni pittoriche neutrali, cosmiche, dionisiache, ma anche e già i primi temi cristiani e, segnatamente quelli della caduta dei protoparenti, della lotta tra Davide e Golia e della costruzione della città-torre, ispirata ad una similitudine del Pastore di Erma, segue un importante momento, che si sviluppa nel corso del IV secolo e che vede apparire temi canonici, paradigmatici e salvifici, di ispirazione biblica, come la simbolica storia di Giona. Nel V secolo – come è noto – si verifica l’atto più importante della storia della catacomba e, segnatamente, la risepoltura del martire nel sacello della catacomba inferiore ad opera di Giovanni I che, forse, concepì anche la creazione della cripta dei Vescovi, definitivamente decorata e monumentalizzata nel corso del secolo seguente, negli anni centrali del VI secolo, per interessamento di Giovanni II il Mediocre, al quale va forse riferita anche la sistemazione della basilica adiecta. La cripta dei vescovi, in seguito allo scavo degli anni ’70 e ai recenti restauri, mostra la galleria dei vescovi partenopei del V e VI secolo, ritratti nelle lunette degli arcosoli in pittura e in mosaico. Ma dalla cripta si diparte una basilichetta che vede, nella volta, la cronotassi episcopale partenopea, a cominciare da Asprenas, di cui rimane ancora il ritratto in clipeo. La basilica ipogea propone una serie di cappelle gentilizie, tra le quali emerge per interesse quella relativa a Teotecnus e Proculus, e quella del gruppo dei santi martiri Pietro, Paolo, Lorenzo e, forse, lo stesso Gennaro. Quest’ultimo appare in una sepoltura ad arcosolio un po’ defilata con i ritratti delle defunte Nicatiola e Cominia in un habitat paradisiaco arricchito da due candelabri, che alludono alla componente africana della comunità napoletana, costituita da quegli esuli, guidati da Quodvultdeus, che approdarono in

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Campania, per sfuggire alla persecuzione vandalo-ariana di Genserico. Il ritratto del presule cartaginese e le coperture musive delle formae della basilica ipogea testimoniano archeologicamente questa importante fase della storia della Chiesa napoletana. Il culto per il martire di Pozzuoli e per il gruppo agiografico a lui connesso è esplicitamente attestato da una serie di affreschi individuati nel sacello del martire, che vede una importante fase bizantina ed una chiaramente altomedievale. Maria Amodio (Univ. Federico II, Napoli) Le Catacombe di S. Gennaro: dalla ‘curiositas’ degli eruditi alle indagini archeologiche

Nel contributo si ripercorre la storia degli studi delle catacombe di S. Gennaro a Capodimonte, dall’entusiasmo degli eruditi che le esplorarono nel XVII e XVIII secolo, ai primi scavi archeologici condotti nella prima metà dell’800 fino alle indagini del XX secolo che hanno portato all’individuazione della prima tomba del martire nel cimitero e hanno chiarito molti punti oscuri e discussi della topografia della catacomba, di non facile ricostruzione. Il complesso monumentale, sorto agli inizi del III secolo, è molto ampio e articolato e deve il suo imponente sviluppo e l’intensa frequentazione cultuale in primo luogo alla presenza delle reliquie del martire Gennaro, ivi traslate, come è noto, nella prima metà del V secolo. Nello stesso cimitero erano sepolti anche vari vescovi napoletani, oggetto anch’essi di forte devozione. La traslazione dei corpi venerati nel corso del IX secolo, non comportò l’abbandono delle catacombe, ormai prive delle sante reliquie; il vescovo Atanasio I (849-872) promosse vari interventi di restauro nel cimitero e istituì nell’area un monastero intitolato a Gennaro e ad Agrippino. Il convento, abitato fino al XV secolo, fu poi abbandonato e trasformato in lazzaretto. Varie gallerie e cubicoli delle catacombe, allora, riempite di cadaveri, furono murate all'ingresso e il complesso funerario, che presentava ampie zone ostruite e interrate, divenne solo in parte accessibile. Si perse dunque progressivamente la memoria dell’aspetto del cimitero e della distribuzione topografica dei luoghi di culto ipogei. Nell’area spiccava la basilica sub divo di S. Gennaro extra-moenia, completamente ristrutturata nella metà del ‘300. Su di essa si sofferma nel XVI secolo Pietro De Stefano il quale, nella sua opera sui luoghi sacri di Napoli pubblicata nel 1560, non fa invece cenno alle contigue catacombe, che saranno ricordate solo alcuni decenni più tardi in relazione al culto di S. Gennaro. Nei primissimi anni del ‘600 infatti, nell’Historia della città e del Regno di Napoli, G. A. Summonte, parlando della vicenda del martirio del santo, menziona il cimitero richiamando in particolare l’attenzione su una basilica cavata nel tufo -ovvero quella posta nella catacomba inferiore e oggi attribuita a S. Agrippino- che l’autore identifica con la chiesa edificata, secondo alcune fonti, dal vescovo Severo in onore di S. Gennaro, per deporvi le reliquie del martire al momento della loro traslazione a Napoli. Ne fornisce poi una breve descrizione, sottolineando l’importanza del luogo che però “non è a molti noto per esser stato lungo tempo sotterrato e pieno di ossa degli appestati”. Dopo questi primi vaghi cenni, nel corso del XVII secolo e poi in quello successivo, cresce progressivamente tra gli eruditi l’interesse per il complesso monumentale, di cui si trova notizia sia in opere su Napoli di carattere descrittivo storico-geografico, sia in scritti sulla vita e il culto di S. Gennaro. Si ribadisce in questi testi, diversi tra loro nello spirito e negli intenti, l’identificazione della basilica nel piano inferiore con quella fondata da Severo per deporvi le reliquie del martire e, al contempo, si forniscono notizie più diffuse e dettagliate sul cimitero che esercita grande fascino e viene quindi visitato sempre più di frequente. Lo stato dei luoghi, esplorabili con difficoltà, contribuisce ad alimentare la curiosità e talora la fantasia dei visitatori, e favorisce la nascita di convinzioni errate e leggende, come quella sulla comunicabilità del cimitero sotterraneo con le altre catacombe napoletane.

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Per un diverso approccio al monumento si dovrà aspettare il XIX secolo, con le opere di C.F. Bellermann e di A. De Jorio, che, pubblicate entrambe nel 1839, segnano una svolta negli studi in primo luogo per la redazione di rilievi accurati delle catacombe, di cui si verifica l’effettiva estensione, grazie anche all’esplorazione di aree interrate. Alla curiosità e alle ricostruzioni suggestive ma fantasiose, ancora presenti ad esempio nella dissertazione sulle catacombe di A.A. Pelliccia del 1781, si sostituisce un’attitudine scientifica, la volontà di conoscere e indagare con maggior rigore il monumento, che, pur con i limiti metodologici dell’epoca, viene infatti descritto con precisione e stringatezza da De Jorio. Lo studioso, senza indulgere a ipotesi o teorie che non siano basate su solidi documenti, ‘fotografa’ lo stato della catacomba al suo tempo, le zone già visitabili e quelle scavate di recente, le pitture e i materiali in essa conservati. Descrive, tra gli altri, un cubicolo -da lui scoperto- decorato da tre strati di affreschi sovrapposti, di cui il più recente rappresentava S. Gennaro coi suoi compagni di martirio, che sarà identificato solo oltre un secolo dopo con la confessio del martire, dove furono inizialmente deposte le sue reliquie. Non colse l’importanza dell’ambiente G. A. Galante il quale, tra la fine dell’ ‘800 e i primi anni del ‘900, condusse ampie indagini in catacomba, in particolare nel vestibolo inferiore e nell’area circostante; queste portarono a importanti risultati come l’identificazione della basilica dei Vescovi e la scoperta del fonte battesimale del vescovo Paolo II. Nel corso del XX secolo a più riprese si effettuano scavi nel complesso. Negli anni ’20 si esplorano la basilica a cielo aperto, di cui si individua l’originaria fase paleocristiana, e il braccio di catacomba retrostante; altri interventi risalgono al secondo dopoguerra nell’ambito del progetto di ripristino del monumento adibito, durante la guerra, a ricovero anti-aereo. Nonostante le ripetute esplorazioni del cimitero, però numerosi restavano i punti oscuri o incerti nella ricostruzione della storia e topografia del monumento, in gran parte poi chiariti con gli scavi condotti da U.M. Fasola negli anni ’70; questi hanno portato alla scoperta, come è noto, del fulcro cultuale della catacomba, ovvero la Cripta dei Vescovi -fino ad allora ostruita da un muro e interrata- con la sottostante confessio del martire e hanno consentito così una corretta interpretazione delle notizie delle fonti letterarie. Alla luce dell’articolata storia degli studi e delle esplorazioni del complesso ianuariano in età moderna e contemporanea, la ricerca mira a definire lo stato delle catacombe nel corso dei secoli, a ricostruire analiticamente quali erano le zone conosciute e accessibili nelle varie epoche, e a valutare, nel contempo, qual era la percezione del monumento nei diversi contesti storici. L’interesse crescente per l’area in età moderna, originato dalla memoria nel sito del culto di S. Gennaro, è evidente nelle opere di XVII e XVIII secolo; in esse, nell’ambito di un’erudizione storica di carattere municipale, l’attenzione verso le catacombe appare dettata da interessi ora in prevalenza agiografici ora prettamente storici o topografici, sovente animati, in entrambi i casi, da curiositas antiquaria. L’atteggiamento diverso emerso nel corso dell’800, quando prevale la volontà di conoscere e documentare scientificamente il sito, giungerà a piena maturazione solo nell’ultimo trentennio del XX secolo. In questa fase i progressi nella metodologia archeologica, di pari passo con il consolidarsi di un nuovo approccio alla tutela e conservazione dei beni monumentali, porteranno ad un notevole ampliamento delle conoscenze e ad una ricostruzione storica e topografica più rigorosa. Oggi si auspica che su questa stessa linea proseguano le ricerche e si possa dare risposta ad alcuni interrogativi che restano ancora aperti su un monumento complesso come le catacombe di S. Gennaro, importante fonte di informazioni per la storia della chiesa e della città di Napoli. Centro di eccellenza per la restituzione computerizzata di manoscritti e monumenti della pittura antica dell’ Università degli Studi di Napoli Federico II

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Risultati dell’indagine conoscitiva e restituzione virtuale degli affreschi ianuariani delle Catacombe di Capodimonte. Sezione Filologia-Archeologia: G. M. Rispoli, G. Greco, M. Amodio Sezione Materiali: C. Colella, M. de’ Gennaro, O. Marino, P. Cappelletti, A. Colella, M. Colella Sezione Informatica: M. Vento, P. Foggia, A. Limongiello In questo contributo si presentano i risultati preliminari delle indagini - ancora in corso - effettuate dal Centro di Eccellenza su due affreschi raffiguranti il martire Gennaro conservati nelle catacombe a lui dedicate a Capodimonte. Si tratta in particolare della più antica immagine del Santo, rappresentato in un arcosolio del livello superiore del cimitero accanto alle defunte Nicatiola e Cominia, databile intorno alla metà del V secolo, e dell’affresco ancora in situ sulla parete di fondo della Confessio del martire, degli inizi del VI secolo, con la famosa raffigurazione del monte, interpretato come il Vesuvio, alle spalle del santo. Il Centro di Eccellenza, nato su progetto dell'Università Federico II di Napoli e cofinanziamento del MIUR, è costituito da ricercatori provenienti dai Dipartimenti di "Filologia Classica", "Discipline Storiche", "Informatica e Sistemistica", "Ingegneria dei Materiali e della Produzione" e "Scienze della Terra" dell’Università Federico II di Napoli. Il Centro ha come obiettivo lo sviluppo di ricerca e la messa a punto di metodologie e tecnologie finalizzate ad accrescere e migliorare il livello di conoscenza di documenti di pittura antica e di antichi manoscritti e scritture. Tale ricerca, per sua natura multidisciplinare, prevede l'apporto di competenze diverse (archeologi, paleografi, storici dell’arte antica, restauratori, ingegneri informatici, ingegneri chimici, geologi). Per quanto attiene specificamente ai monumenti pittorici, il Centro opera parallelamente sia mediante l'analisi dei materiali costituenti i substrati (lapidei naturali e artificiali, malte ed intonaci) e, con essa integrata, l'analisi del materiale pittorico residuo, sia mediante la restituzione computerizzata delle immagini, ai fini di una corretta progettazione dell’intervento di restauro dei dipinti, tale da consentirne l’interpretazione e lo studio, promuovendone inoltre la fruizione. Saranno dunque mostrati il procedimento di acquisizione ed elaborazione digitale delle immagini ad alta risoluzione, ed inoltre i risultati del restauro virtuale, che consentono una lettura più accurata degli affreschi e suggeriscono ipotesi di intervento per il restauro. Saranno inoltre presentati, in via preliminare, gli esiti delle analisi non distruttive o microdistruttive, eseguite in situ e ancora in corso, per la determinazione della natura e della composizione dei pigmenti pittorici e dell’intonaco sottostante, della tecnica di esecuzione, e per la valutazione dello stato di conservazione degli affreschi e delle eventuali cause di degrado. Analisi dei Materiali

La caratterizzazione dei materiali costituenti gli affreschi è stata senza dubbio un fase importante del lavoro di indagine conoscitiva. Gli obiettivi di tale fase sono molteplici: dalla conoscenza delle tecniche e dei materiali utilizzati per la preparazione dell’intonaco di supporto alla individuazione delle sostanze impiegate per la preparazione dei pigmenti, alla valutazione dello stato di conservazione e delle eventuali cause di degrado. L’alto valore intrinseco delle opere pittoriche ha suggerito di adottare gli stessi criteri di studio e le stesse tecniche di analisi non distruttive e microdistruttive sperimentate con successo in casi analoghi. Sono state condotte indagini non distruttive, eseguite in sito, per la determinazione della natura e della composizione dei pigmenti pittorici e dell’intonaco sottostante, avvalendosi di un apparato sperimentale portatile ASX-DUST (rad. FeK, geometria theta-theta, area

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investigabile: da 5 mm2 ad 1 cm2), messo a punto sulla base della collaborazione stilata tra il Centro e la Società Assing S.p.A., Roma, in grado di acquisire contemporaneamente uno spettro di diffrazione RX e uno spettro di fluorescenza RX. Per la caratterizzazione mineralogica delle fasi costituenti l’intonaco di supporto all’opera pittorica sono state effettuate prove microdistruttive, utilizzando pochi milligrammi di materiale in polvere. In particolare le polveri sono state utilizzate nelle analisi in diffrattometria RX e in quelle termoponderali (TGA) e termiche differenziali (DTA) per l’individuazione delle principali fasi mineralogiche; piccoli frammenti di intonaco sono invece stati osservati con un microscopio elettronico a scansione (SEM), per la caratterizzazione della microstruttura e la individuazione di fasi mineralogiche non rilevabili ai raggi X; unitamente al SEM è stato impiegato anche un sistema di analisi EDS in grado di fornire lo spettro degli elementi chimici individuati nell’area o in un punto sotto osservazione microscopica. Analisi Informatica

Per questi due affreschi si è proceduto all’acquisizione, all’elaborazione digitale delle immagini ad alta risoluzione e alla loro pubblicazione sulla rete Intranet. Il sistema di acquisizione utilizzato comprende apparecchiature sofisticate: una macchina fotografica Hasselblad 503CW 6x6 con obiettivi da 80 e 120 mm, dotata di dorso digitale ad alta risoluzione (2.032 x 3.056 pixel) Phase One H5; un esposimetro fotografico digitale Minolta per la regolazione di tempo e diaframma del sistema fotografico; un parco luci costituito da illuminatori a scarica (HMI) a temperatura di colore solare, filtrati in maniera da abbattere la componente ultravioletta dello spettro che potrebbe essere nociva per oggetti estremamente delicati; una carta dei colori Gretag Macbeth, necessaria per la rappresentazione delle scale colorimetriche. Allo scopo di ottenere una risoluzione più elevata di quella conseguibile mediante una singola operazione, l’acquisizione digitale delle immagini è stata effettuata suddividendo l’opera in sezioni minime (tiles), acquisite separatamente. Mediante l’elaborazione digitale si è quindi proceduto ad unificare le diverse parti dell’immagine per consentire, mediante la ricostruzione, la più precisa visione unitaria: le tiles sono state pre-processate per eliminare eventuali distorsioni o problemi cromatici legati alla fase di acquisizione e quindi composte con un algoritmo di “mosaicizzazione”. L’elevata risoluzione ottenuta consente una lettura più accurata degli affreschi e suggerisce ipotesi di interventi digitali per il restauro. L'immissione in rete Intranet di tali immagini mediante le attuali tecnologie di connessione, caratterizzate da una banda assolutamente inadeguata al trasferimento dell’intera immagine, si è resa possibile utilizzando un image server, cioè un sistema server in grado di trattare immagini ad elevata risoluzione garantendo accesso veloce da web; la fruizione in Intranet, e cioè all'interno della comunità dei ricercatori che operano su questo progetto, è funzionale all'intervento di restauro virtuale e al più approfondito studio dell'immagine. Su richiesta delle autorità preposte alla custodia e alla gestione dei monumenti pittorici in questione, è prevista, infine, la possibilità della pubblicazione in Internet delle immagini, la possibilità di una visita virtuale 3D degli affreschi da web e la messa a punto di palmari finalizzati ad approfondimenti nel corso di una visita effettiva dei monumenti. Analisi storico-artistica

L’inquadramento e l’interpretazione dei vari dati ricavati dalla convergenza delle diverse discipline consentono uno studio complessivo degli affreschi presi in esame, che ne analizzi le tecniche di esecuzione, gli aspetti stilistici, iconografici, il valore storico. Un’analisi mirata e integrata di questo tipo, per la prima volta effettuata su affreschi delle catacombe napoletane, fornisce un importante apporto allo studio e all’interpretazione dei documenti

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pittorici, alla valutazione del loro stato di conservazione e all’eventuale progettazione di un intervento di restauro. L’acquisizione ed elaborazione digitale delle immagini ad alta risoluzione ha consentito in primo luogo, attraverso la visione ravvicinata, un’accurata lettura degli affreschi, di cui è stato possibile apprezzare particolari iconografici e peculiarità nello stile pittorico (pennellate, ombreggiature, uso della linea di contorno e dei colori). Ancora in corso di elaborazione è invece l’analisi specifica della tecnica esecutiva, dei materiali del supporto pittorico e dei pigmenti. Il tipo di indagine avviato su due tra gli affreschi più significativi e noti delle catacombe napoletane - di cui in questa sede si presentano i risultati preliminari - costituisce un piccolo saggio delle potenzialità di ricerca delle tecniche e metodologie proposte, che sarebbe auspicabile estendere anche ad altre pitture delle catacombe di S. Gennaro, in particolare a quelle che, per la posizione disagevole o per lo stato di conservazione, sono più difficilmente fruibili. E’ il caso ad esempio degli affreschi che decorano le volte dei due vestiboli, testimonianze fondamentali della prima diffusione del cristianesimo a Napoli, di cui in particolare quelle del piano inferiore, meno note e non studiate in modo esaustivo, andrebbero analiticamente documentate. Sarebbe in effetti utile creare una sorta di archivio di immagini e dati, che costituisca la base documentaria per lo studio delle pitture, particolarmente significativa nel caso del cimitero di S. Gennaro, vista la lunga storia del monumento, in cui si conservano pitture databili dalla fine del II al IX-X secolo, che consentirebbero anche un’analisi diacronica delle tecniche di esecuzione e dei materiali usati in età tardo-antica e alto-medievale. Tale archivio di immagini garantirebbe inoltre la fruizione e leggibilità delle testimonianze figurative nel tempo, che, date anche le particolari condizioni micro-climatiche delle catacombe, sono soggette ad un processo di degrado che impone una continua opera di monitoraggio del loro stato di conservazione e richiede frequenti interventi di restauro. Antonio Vuolo (Univ. di Salerno) Rilettura del dossier agiografico di San Gennaro e “compagni”

La Passio ss.Ianuarii et sociorum, con le sue molteplici redazioni, è un esempio estremamente significativo del fenomeno della riscrittura di un testo agiografico. Di questa passio, infatti, si conoscono da tempo 8 versioni, di cui solo 2 si impongono per antichità ed autorità su tutte le altre: si tratta dei cosiddetti Acta Bononiensia e degli Acta Vaticana, in considerazione della località dove, in età moderna, sono state rinvenute le prime rispettive testimonianze manoscritte. Le altre versioni sono invece note o con le parole dell’incipit, o con il nome dell’autore o con quello del luogo di origine. Abbiamo così gli atti redatti agli inizi del sec. X dal celebre agiografo napoletano Giovanni Diacono, come premessa alla Translatio s.Sossii; gli atti Ad gloriam laudemque (altrimenti denominati Atti Falconiani, dal nome dell’erudito ecclesiastico napoletano del Settecento, N.C.Falcone, che li pubblicò); gli atti Tempore quo Karus (redatti nell’abbazia di Reichenau); gli atti ad uso liturgico In Campania civitate Puteolana; gli atti Strenuissime, scritti dal non meglio identificabile Ranieri l’Esiguo, come premessa alla Translatio dei ss.Eutiche ed Acuzio da Pozzuoli a Napoli, e gli Acta Puteolana. A questi testi bisogna inoltre aggiungere quello ancora inedito recentemente rintracciato nella biblioteca cecoslovacca del Castello di Kynzwart. In particolare, però, dopo alcune riflessioni sulla probabile origine degli Acta Vaticana, si è cercato qui di definire i rapporti, finora solo accennati ma mai analizzati in modo approfondito, tra la versione Ad gloriam laudemque e quella di Giovanni Diacono. Inoltre si presentano alcune osservazioni sulla versione Tempore quo Karus, rapide considerazioni sugli Acta Puteolana e sulla leggenda In Campania civitate Puteolana, nonché sul testo ancora inedito di Kynzwart. 1) a) Cronologia indicata dagli Acta Bononiensia:

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Temporibus Diocletiani, consulatu Constantini caesaris quinquies et Maximiani caesaris septies

b) Cronologia indicata dagli Acta Vaticana: Temporibus Diocletiani, consulatu Constantini caesaris quinquies et Maximiani caesaris sexies (alcuni codici hanno la variante septies) 2) Brano finale degli Acta Vaticana relativo alle diverse sepolture dei vari martiri: Noctu vero, cum unaquaeque plebs sollecite suos sibi patronos rapere festinarent, Neapolitani beatum Ianuarium sibi patronum tollentes, a Domino meruerunt. Quem primo quidem in loco, qui appellatur Marcianus absconderunt. Postea vero, quieto iam tempore, venerabilis episcopus*, una cum omnibus ex genere beatissimi martyris Ianuarii, cum plebe Dei sancta, cum hymnis et laudibus corpus eius tollentes, iuxta Neapolim transtulerunt, et posuerunt in basilica ubi nunc requiescit. […] Sanctum vero Sosium diaconum cives eius Misenates tulerunt et posuerunt in basilica ubi nunc requiescit. […] Puteolani quoque sanctum Proculum diaconum et sanctum Euticetem et sanctum Acutium cives sui posuerunt in pretorio Falcidi, quod coniungitur basilicae sancti Stephani, in con trivio ipso. Sanctum autem Festum et sanctum Desiderium idem cives sui Beneventum tulerunt. * N.B.: i testimoni manoscritti degli Acta Vaticana redatti in area napoletana riportano qui la variante venerabiles episcopi 3) Cronologia indicata dalla versione Ad gloriam laudemque: Anno igitur ab incarnatione domini nostri Iesu Christi fere ducentesimo nonagesimo primo, cum saevissimus imperator Diocletianus Romanae Reipublicae, atrocissimo praelatu gubernaret habenas, consulatu scilicet Constantini Herculii sexto, christianorum erat ingens persecutio. […] Qua etiam tempestate Marcellinus Romuleae sedis antistes, ad sacrificandum ductus, in Capitolio thura cremavit, unde et sacerdotali examine, pontificalem amisit infulam; scilicet post paucos dies, Dei miseratione respectu, poenitentiam egerit, sicque pro fide Christi ab eodem Diocletiano, una cum Claudio et Cyrino atque Antonino, capitalem iussus subire sententiam, martyrio sit coronatus. Amalia Galdi (Univ. di Salerno) Le traslazioni medievali delle reliquie di San Gennaro

Oggetto principale della comunicazione, considerata l’ampiezza dell’argomento proposto nel titolo, sarà la traslazione delle reliquie di s. Gennaro a Benevento, con l’analisi delle sue testimonianze e del culto che ne seguì, in un arco cronologico compreso tra i secoli IX-XII. Il trasferimento del corpo del santo dall’agro Marciano, presso Pozzuoli, ad una delle due catacombe extra moenia napoletane nei primi decenni del V secolo; la translatio a Benevento, ad opera del principe Sicone nell’831 ca., durante l’assedio longobardo di Napoli; il ritrovamento nella chiesa di S. Maria di Montevergine, il 27 luglio del 1480; il definitivo ritorno nella città partenopea nel 1497, dove è custodito tuttora. Le vicende delle reliquie di s. Gennaro furono particolarmente tormentate e vi si proiettarono significati complessi e diversi, da interpretarsi certo all’interno di un peculiare modo di vivere e intendere la religiosità, sotteso sempre a eventi di particolare diffusione quali furono le traslazioni medievali. Tuttavia, come per tutti i fenomeni connessi ai culti dei santi, esse richiedono una lettura che ne colga le valenze polisemiche, profondamente legate al tempo e al luogo dell’accadimento e agli uomini che se ne fecero promotori.

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In questo senso significativa è la traslazione del corpo di Gennaro a Benevento: testimoniata da cronache più o meno coeve, che saranno rilette discutendo in parte precedenti acquisizioni, ma soprattutto dal resoconto agiografico di un contemporaneo all’evento, nel quale se ad essa, topicamente, era attribuita come presupposto la volontà espressa dallo stesso santo di tornare nella città di origine, in più punti si rivela la natura “politica” dell’impresa di Sicone. Un riflesso anch’esso, quest’ultimo, della particolare connotazione storica della Campania dei secoli VIII-IX, terra di contatto e convivenze tra diversi sistemi politici e culturali, dove gli scontri si misurarono anche sul piano devozionale e sul possesso conseguente di corpi santi. Ma se a Napoli la devozione per s. Gennaro rimase viva anche in assenza delle reliquie, scarse sono le testimonianze del culto beneventano dopo la traslazione, nonostante la commossa accoglienza descritta dall’agiografo e i numerosi miracoli che ne sarebbero seguiti. Solo nel 1129 si saprà, da Falcone Beneventano, che le ossa del santo furono oggetto di una ennesima translatio in una basilica costruita in suo onore. Una spiegazione a ciò, si può ipotizzare, è da ricercare nel fatto che la devozione per Gennaro, benché di particolare significato, era solo una delle tante espresse da Benevento, custode di molti prestigiosi sacra pignora, raccolti già dalla II metà dell’VIII secolo e spesso con una peculiare valenza di legittimazione delle imprese dei Longobardi beneventani. Forse questo stesso affievolimento, benché solo presunto (l’assenza di testimonianze ha evidentemente solo un valore indiziario), potrebbe spiegare la successiva perdita dei corpi di Gennaro e compagni a favore di S. Maria di Montevergine, insieme ad altri ugualmente custoditi in chiese beneventane, quando ormai il santuario verginiano aveva sostituito completamente Benevento nel suo antico ruolo di città “santa” della Longobardia minor. Thomas Granier (Univ. di Montpellier) San Gennaro e compagni nelle fonti dei secoli X-XII

Questo studio si basa su tre gruppi di testimoni : - La tarda agiografia sui martiri : Homilia de miraculis di Gennaro (fine IX-X secc.), fine dei Miracoli di Agrippino di Pietro Suddiacono (sec. X), Passio et Translatio di Eutizio ed Acuzio (X-XI secc.), Leggenda di Gennaro (XII-XIII secc.). - I manoscritti dei secoli X-XII. - Le fonti narrativi extranapoletane, in particolare il Chronicon Salernitanum (X sec.) e la Chronica monasterii Casinensis (XII sec.). Lo studio prova a mostrare che : 1 – Il corpus della produzione agiografica napoletana altomedioevale sui martiri finisce con due opere di gran rilievo : la fine dei Miracoli di Agrippino intorno al 960 (testo in cui Gennaro svolge un ruolo maggiore) e la stesura del manoscritto Corsiniana 777 intorno al 1100. Queste opere finiscono di legare strettamente i martiri alla serie vescovile. 2 – Oltre queste opere maggiori, la produzione testuale cittadina si limita a puntuali rifacimenti : - Ampliamenti tardivi, nel caso della Passio-Translatio di Eutizio ed Acuzio di Raynerius, il cui esempio mostra l’interesse per figure secondarie del gruppo e l’assenza di informazioni precisi oltre ciò che si legge nelle fonti anteriori. - Puntuale volontà di riscrittura stilistica, nel caso della tarda Leggenda di Gennaro. 3 – Così il manoscritto 777 che le opere tardive mostrano che l’interesse per i martiri s’esprime ora fuori dal milieu vescovile : testi dovuti ad iniziative private o al monastero San Severino e Sossio, legato alla sede, ma distinto. Nel contesto della promozione metropolitana, poi della Riforma Gregoriana e dell’intensificata pressione normanna, i vescovi non bisognano più testi nuovi sui martiri così legati a loro nell’Altomedioevo, perché lo scopo di prestigio ed autorità è ora conseguito.

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4 – La riduzione della produzione riflette non un interesse ridutto per i santi, ma il già cospicuo corpus di testi disponibili ed in generale di buona qualità letteraria : testi nuovi non sono necessari, come lo mostra la tradizione manoscritta degli Acta Vaticana (VIII sec. ?) che hanno quasi totalmente sotituito l’altra versione (Acta Bononiensia). Quest’ampia diffusione di una stessa versione impedisce che il nucleo narrativo formato nell’Altomedioevo intorno ai martiri venga sostanzialmente modificato. 5 – Le fonti narrativi extranapoletane confermano che l’interesse per i martiri non è andato diminuito : le reliquie di Gennaro sono state trasferite a Benevento nel secolo IX, ma qualche episodio miracoloso prova che i martiri puteolani rimangono i principali protettori di Napoli. Carlo Ebanista (Univ. del Molise) Il culto ianuariano a Nola

La comunicazione, basata sull’analisi comparata delle fonti letterarie, agiografiche, storico-artistiche e archeologiche, si articola in due parti. La prima analizza la tradizione del martirio di S. Gennaro a Nola che, com’è noto, è registrata negli Acta Vaticana, ma non nei più antichi Acta Bononiensia. Caratterizzati dalla presenza di episodi eclatanti, gli Acta Vaticana raccontano, tra l’altro, l’incontro a Nola di Gennaro con il giudice Timoteo che avrebbe fatto gettare il santo in una fornace ardente da cui sarebbe uscito miracolosamente illeso. Nella seconda parte della comunicazione vengono esaminate le testimonianze del culto ianuariano nel santuario di S. Felice che sorse, nella prima metà del IV secolo, in un’area sepolcrale ubicata nel suburbio di Nola. Il complesso monumentale, oggi ricadente nel comune di Cimitile, conobbe il momento di massimo splendore all’epoca di Paolino di Nola che rappresenta, sotto ogni punto di vista, il vero genius loci: si devono a lui, infatti, la diffusione del culto di S. Felice e la trasformazione del cimitero in un grandioso e frequentatissimo santuario, distante poco più di 1,5 Km dal foro dell’antica città. Come riferisce il presbitero Uranio, che assistette alla morte di Paolino nel 431 e partecipò ai suoi funerali, l’evergete nutriva una profonda venerazione per Januarius episcopus simul et martyr. Sebbene a Cimitile non manchino testimonianze del culto ianuariano in età altomedievale, la venerazione ebbe un forte incremento solo a partire dagli inizi del XVII secolo, quando venne scoperta una ‘fornace’ che, forse anche in relazione al rilievo che all’episodio viene dato nelle Vite di S. Gennaro pubblicate da Davide Romeo e Paolo Regio nella seconda metà del Cinquecento, fu immediatamente collegata al martirio del santo. Patrocinatori del culto ianuariano a Cimitile furono i canonici della cattedrale di Nola che, in quegli anni, amministravano il santuario. Discordanti sono le fonti erudite sull’origine della cappella che venne costruita sulla ‘fornace’. Secondo Gianstefano Remondini, i canonici fecero erigere sulla ‘fornace’, poco dopo il rinvenimento, una piccola cappella che divenne ben presto meta di pellegrinaggi; danneggiata nel 1631 dall’eruzione del Vesuvio, venne restaurata a spese degli stessi canonici. Carlo Guadagni, con evidente allusione al principe Tommaso Caracciolo, attribuisce, invece, la costruzione della cappella alla «pietà di alcuni cavalieri napolitani» rifugiatisi a Cimitile per sfuggire alla peste del 1656. Il riferimento a Tommaso Caracciolo, deputato del tesoro di S. Gennaro sin dal 1647, evidenzia la forte devozione per il santo nonché i legami con la città di Napoli; non a caso fu proprio l’amministrazione della capitale che nel 1700 provvide a riparare i danni inferti all’edificio di culto cimitilese dal terremoto dell’8 settembre 1694. A dispetto della sentita venerazione, la cappella venne distrutta alla fine del Settecento per costruire la parrocchiale di Cimitile; si fece, però, attenzione a salvaguardare la ‘fornace’ e il ‘carcere di S. Gennaro’ che vennero a trovarsi sotto il presbiterio del nuovo edificio. L’analisi stratigrafica delle strutture superstiti indica che il ‘carcere’ corrisponde ad uno dei serbatoi che, come scriveva Paolino di Nola, approvvigionavano le fontane del vicino atrio della basilica nova, laddove la ‘fornace’ sorge in un ambiente circolare pertinente alla fase paoliniana.

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Antonio Caroccia (Univ. di Perugia) Frammenti notati di un breviario-monastico del XII secolo a Napoli: una nuova fonte per la liturgia di San Gennaro I resti di un breviario-monastico conservati presso l'Archivio Storico-Diocesano di Napoli rappresentano uno dei rari e preziosi documenti liturgico-musicali riguardanti il culto di S. Gennaro. Si tratta di quattro pergamene facenti parte di un codice miscellaneo (Haebdomadarialis 1) costituito da dodici fascicoli, di cui il nono contiene otto carte membranacee vergate in scrittura e notazione beneventana e databili attorno alla fine del XII secolo. Quattro di queste otto pergamene contengono antifone e responsori inframmezzati da lectiones per la recita del mattutino in onore di San Gennaro, mentre le restanti pergamene sono dedicate all'ufficio di vari santi campani, tra cui: S. Massimo di Cuma, S. Matteo di Salerno, S. Bartolomeo, S. Eleuderio, S. Bonifacio. La ricerca si basa sulla trascrizione dei brani contenuti nelle pergamene suddette e sul loro confronto con altre fonti più tarde. Lo studio è stato condotto, oltre che da un punto di vista musicale, anche sotto l'aspetto letterario e liturgico. Le fìnalità di questa ricerca sono quelle di investigare il patrimonio liturgico-musicale riguardante il culto di San Gennaro, partendo da una rara e inesplorata fonte antica, quale quella rappresentata dalle pergamene dell'Archivio Storico-Diocesano di Napoli. Giuseppe Antonio Guazzelli (Univ. di Roma Tor Vergata) Il culto di San Gennaro nella liturgia postridentina

L’assemblea conciliare di Trento, il 4 dicembre del 1563, nella sua XXV ed ultima sessione, approvava il decreto che demandava al pontefice l’incarico di intervenire in ambito liturgico e di portare a compimento la riforma del Messale e del Breviario. Si dava in tal modo seguito all’esigenza, più volte avvertita a Trento (e, più in generale, nella prima metà del XVI secolo), di intervenire su schemi e libri liturgici allora utilizzati in modo indistinto presso le singole realtà ecclesiastiche interne alla Chiesa. I parametri liturgici della celebrazione della Messa e della recita dell’Ufficio divino erano, infatti, seguiti nelle diocesi, all’interno delle famiglie religiose o anche in ambiti più circoscritti (quale, ad esempio, una struttura capitolare) con peculiarità sia nella forma, sia nei contenuti. Nelle diverse sedi la prassi liturgica nel suo svolgersi ciclico era poi ancorata a calendari particolari, nei quali si dava risalto a tradizioni cultuali ed agiografiche locali. Alla metà del XVI secolo, all’interno della Chiesa vigeva, in altri termini, una situazione liturgica frammentata, a sua volta resa tangibile dalle diversità intercorrenti fra i messali ed i breviari utilizzati localmente. In rapporto a questi testi liturgici si avvertì a Trento anche l’esigenza di una loro verifica storica e filologica, in quanto larga parte di essi trasmetteva contenuti che, nel panorama critico e religioso del tempo, erano ormai inaccettabili. Nel corso del Concilio, circa i vari problemi connessi alla liturgia ed ai testi liturgici si profilarono due possibili soluzioni: la prima, definita della ‘riforma particolare’, consisteva nel fissare in ambito conciliare i parametri generali lasciando, tuttavia, che ad intervenire in materia liturgica fossero localmente i vescovi; la seconda consisteva nella proposizione di un ‘modello unitario’, veicolato da libri liturgici che avessero valore normativo per l’intera Chiesa. A Trento prevalse questa seconda linea, la quale fu rafforzata dal decreto della XXV sessione che demandava, come già detto, il compito di completare la riforma dei testi liturgici al pontefice. La riforma della liturgia fu, di fatto, un ambito nel quale, dopo Trento, Roma affermò in modo assai netto la propria centralità, ed i testi liturgici allora prodotti furono prescritti dall’autorità pontificia all’utilizzo della Chiesa universale. Ciò, in particolare con il Breviarium Romanum (1568), il Missale Romanum (1570) ed il Martyrologium Romanum (1584), incise in modo alquanto marcato sul culto dei santi.

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Congiuntamente al Breviarium Romanum del 1568 fu, infatti, promulgato un Calendario dove si fissava quali feste di santi e con quale grado liturgico (Simplex, Semiduplex, Duplex) dovessero essere celebrate dall’intera Chiesa. Si trattava del primo vero Calendario liturgico avente valore universale; esso, tuttavia, necessariamente selettivo, non accolse al suo interno tradizioni cultuali pur vive a livello locale. Scaturirono da ciò numerose richieste mirate a far sì che il Calendario promulgato congiuntamente al Breviarium Romanum del 1568 fosse integrato da feste di santi in esso assenti, cosa che regolarmente avvenne a partire dal pontificato di Gregorio XIII. Ciò sicuramente contribuì a determinare il carattere dinamico dei libri liturgici postridentini, testi dalla storia redazionale estremamente articolata e suscettibili, nel passaggio da una edizione alla successiva, di non poche modifiche ed integrazioni. Bisogna poi rilevare che, nel sistema liturgico che si delineò dopo Trento, oltre a codificare schemi e testi aventi valore universale, si riconobbe anche una certa liceità a tradizioni e pratiche cultuali strettamente locali. Già nel 1568, in concomitanza al Breviarium Romanum, si prevedeva, infatti, che breviari e liturgie particolari potessero essere ancora adoperati, purché si dimostrasse che erano in uso da almeno due secoli. Ugualmente santi venerati in un contesto territoriale circoscritto, pur se non inclusi nel Calendario della Chiesa universale, poterono beneficiare, sempre a livello locale, di officiature proprie in concomitanza al ricorrere annuale delle loro feste. Nel riconoscimento e nella gestione di liturgie e culti particolari mantenne, tuttavia, un ruolo centrale Roma, che riservò a sé l’autorità di approvare le pratiche locali. Tale situazione, già in atto sotto Pio V e Gregorio XIII, divenne palese sotto Sisto V, con l’istituzione, nel 1588, della Sacra Congregazione dei Riti, alla quale, accanto a compiti quale lo svolgimento dei processi di canonizzazione ed il controllo dei testi liturgici, spettò anche quello di valutare le richieste di conferma di culti particolari e di approvare le officiature che, a livello locale, erano seguite nel ricorrere delle feste di alcuni santi. Alla stessa Congregazione spettò, poi, il compito di dirimere le questioni di precedenza fra le festività di diversi santi celebrati in uno stesso contesto e, dal 1630, quello di confermare l’elezione di un santo a patrono, di una città di una regione o di un regno. Sullo sfondo di questo panorama si sono analizzati lo sviluppo ed i modi di presentazione che, dopo Trento, caratterizzarono il culto ianuariano a livello universale. A tal fine, accanto ai momenti di definizione normativa relativi al culto del Santo, si sono valutati i risvolti che esso ebbe all’interno dei libri liturgici postridentini. Ciò ha rivelato che il culto di San Gennaro fu riconosciuto a livello universale a seguito di un lungo iter che ebbe come suo momento iniziale l’assenza della festa (o, per meglio dire, delle feste) del Santo dal Calendario premesso al Breviarium Romanum del 1568: il primo dei prodotti della riforma liturgica promossa da Trento ometteva, pertanto, di prescrivere il culto ianuariano alla Chiesa universale. Tale assenza fu in parte già sanata sotto il pontificato di Gregorio XIII, con il Martyrologium Romanum che, al 19 settembre, nel dedicare un elogio a Gennaro ed ai suoi compagni di martirio, non mancava di enfatizzare la figura di Gennaro e di sottolinearne il legame con Napoli, testimoniato dal periodico riproporsi del miracolo della liquefazione del suo sangue. La festa del 19 settembre fu, poi, nel 1586, inclusa nel Calendario liturgico della Chiesa universale da Sisto V, ma con il grado di Simplex e solo con papa Innocenzo XI, nel 1676, essa fu elevata al grado di Duplex. Le vicende che dopo Trento interessarono il culto di San Gennaro a livello universale, si sono, infine, rivelate strettamente connesse alla produzione erudita ed alle forme devozionali che interessavano il medesimo Santo nel contesto particolare napoletano. La notizia di Gennaro presente nel Martyrologium Romanum appare, ad esempio, frutto di una concertazione fra i redattori romani e l’ambiente napoletano; in modo non dissimile le officiature proprie del Santo, destinate alla liturgia della diocesi di Napoli e redatte in quella sede, appaiono essere state sottoposte al controllo romano della Sacra Congregazione dei

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Riti, la stessa che, negli anni centrali del XVII secolo, fu chiamata a dirimere la complicata questione, di chi, fra San Gennaro e San Domenico, fosse il principale patrono della città e del Regno di Napoli. Giuliana Boccadamo (Univ. Federico II, Napoli) I miracoli di S. Gennaro in età moderna La ricerca ha voluto appurare se San Gennaro abbia operato nel corso dell’età moderna ‘miracoli’ a favore di singoli cittadini. In altri termini, se un culto per così dire ‘personale’ o ‘privato’ abbia affiancato il ben più noto culto ‘cittadino’ nei confronti del santo patrono. Sono state analizzate fonti letterarie – dalle biografie di Tutino , Girolamo di Sant’Anna, Falcone fino alle cronache cittadine – e fonti d’archivio. Su questo versante le indagini hanno privilegiato i Diari dei Cerimonieri della Cattedrale – cosa che ha permesso di evidenziare, a latere il particolare rapporto fra i vari arcivescovi e il santo patrono - i resoconti delle Visite pastorali effettuate al ‘Tesoro Vecchio’, gli inventari di sagrestia del ‘Tesoro Nuovo’. Se le fonti letterarie sono state un po’ avare, non così si può dire per quelle archivistiche. È stato possibile infatti accertare l’offerta di ex voto, o voti, come si diceva all’epoca, di varia tipologia, per un periodo compreso fra il XVII e (ampliando l’arco temporale) il XX secolo. Marcella Campanelli (Univ. Federico II, Napoli) Le feste di San Gennaro a Napoli in una inedita cronaca del Seicento

La “Notitia di quanto è occorso in Napoli dall’anno 1648 per tutto l’anno 1667” scritta dal d.r don Andrea Rubino è un’ampia cronaca manoscritta ed inedita. Essa non riveste un’importanza diretta e specifica sul piano della storia politica della capitale e del Regno quanto, piuttosto, dal punto di vista della storia sociale in vari suoi aspetti e manifestazioni. Tali sono le descrizioni delle feste civili e religiose, in alcuni casi molto dettagliate anche per quanto riguarda gli apparati delle feste stesse; le notizie circa culti e devozioni, specie in alcune occasioni; celebrazioni di cerimonie, accadimenti singolari metereologici o di altro ordine e così via. Il contributo volge la sua attenzione sulle feste di S. Gennaro e alle trasformazioni da esse subite in alcuni anni cruciali della storia della città. Michele Miele (Univ. Federico II, Napoli) I rilievi critici di matrice illuministica sulla liquefazione del sangue e la replica apologetica dei contemporanei Le prime contestazioni della liquefazione miracolosa del sangue di S. Gennaro iniziano con l'avvento della riforma luterana, le cui riserve erano dettate da motivi strettamente teologici. La critica più o meno razionale comincia nel Seicento e travalica l'appartenenza alle confessioni religiose. Si va dal servita Paolo Sarpi al giurista Jean-Jacques Bouchard, dal calvinista Pietro du Mulin al tedesco Lorenzo Strauss, agli imputati del processo napoletano detto degli ateisti. Nel Settecento sono soprattutto i viaggiatori stranieri in visita a Napoli a esprimersi. L'inglese J. Addison vede nella liquefazione una manifestazione della tipica superstizione dei napoletani. Il processo tenuto in città nel 1707 oppone il pittore N. d'Anfora al francescano Accursio di Policastro, colpevole secondo il primo di aver ritenuto i napoletani «troppo creduli» nei poteri del santo, posizione che anche i giudici ritengono troppo audace, mentre lasciano correre affermazioni non meno infondate. Accuse pesanti dové affrontare pure Pietro Giannone nel 1723 in seguito alla pubblicazione della sua Istoria civile, cui vennero

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attribuite falsamente concezioni eversive su S. Gennaro, cosa che costrinse l'autore a prendere la via dell'esilio a Vienna. Il clima illuministico si fa sentire soprattutto con Montesquieu, non disposto a sottoscrivere all'impostura di cui aveva parlato Addison e non contrario a un vero e proprio miracolo, anche se personalmente propenso a una spiegazione di ordine naturale (il riscaldamento della teca). Questo atteggiamento è abbandonato dal francese Ch. de Brosses, ironico sul miracolo, dovuto per lui all'intraprendenza dei canonici. Non meno duro è il giudizio del padre di Goethe, per il quale il miracolo era un puro inganno, rifiutato dagli stessi cattolici colti. Acredine anticlericale trasuda pure l'abate di Saint-Non. Più onesto è S. Sharp, che esclude l'inganno, ma non una spiegazione naturale. Più autorevole la testimonianza dell'astronomo francese Lalande, che non abbaondona il suo scetticismo e riferisce di uno scienziato tedesco che avrebbe riprodotto il miracolo in laboratorio. Con l'accademico francese Duclot si torna alle supposte manipolazioni del clero. Lo stesso fa il meno affidabile abbé La Porte. Non molto diversa è la posizione del tedesco Volkmann, che spiega la liquefazione col calore emesso dall'ambiente e menziona l'esperimento fatto a Berlino già evocato da Lalande. Il filosofo svedese Björnstahl si dichiara contrario al trucco perpetrato dai canonici, ma si chiede se il contenuto dell'ampolla sia veramente sangue. Per il marchese de Sade si tratta solo di una ridicola farsa. Diffidenza e onestà sono gli atteggiamenti che esprime ugualmente l'inglese John Moore. Di nessun miracolo si deve parlare pure per l'inglese Anne Miller, convinta che il presunto prodigio è dovuto al calore dell'ambiente. Sulla stessa lunghezza d'onda è Voltaire, per il quale il miracolo è frutto del fanatismo religioso e della sete di danaro, anche se per lui la liquefazione si può ascrivere all'immaginazione di un popolo che vive in un clima caldo. Per il giurista Dupaty, amico di Voltaire, il miracolo è ormai discreditato e fra poco scomparirà anche la credenza in esso. Gli autori finora passati in rassegna non hanno tutti i numeri per dare un giudizio equo. Non si tratta del fatto che le loro conclusioni sono per lo più sfavorevoli al miracolo e c'è chi se ne dimostra scandalizzato. Nel migliore dei casi si arrestano a un prudente scetticismo, che non esclude il soprannaturale, ma neppure garantisce la genuinità del sangue che ne è oggetto. Negli autori della seconda metà del Settecento la presenza delle idee illuministiche è lapalissiana. Non per niente alcuni di essi ritengono che il progresso cui l'uomo è giunto dovrebbe ormai far accantonare certe ingenuità. Quanto ai difensori più o meno ufficiali del miracolo, ci si può rifare, oltre che ai giudici dei due menzionati processi napoletani a cavallo tra il Sei- e il Settecento, ai tre agiografi Girolamo di S. Anna (1707), Niccolò Carmine Falcone (1713) e Giovanni Domenico Putignano (1723-1726), anche se scrissero in un 'epoca che non ha nulla a che fare con l'illuminismo maturo, pr il quale si dispone, a mia conoscenza, solo dell'introvabile breve Vita S. Januarii di Cirillo (1776). Per Girolamo di S. Anna il carattere miracoloso della liquefazione del sangue è stato già attestato da autori anteriori, in base ai quali ritiene che il suo carattere miracoloso è chiaro «come il sole» (Pietrasanta); si tratta di un miraculum quotidianum ( De Luca); non c'è di meglio per affermare la validità del cattolicesimo contro gli eretici (Rho), anzi la stessa veridicità della Trinità (Marra); si possono mettere alle corde i negatori ostinati della fede (Capaccio): si viene dall'estero per ammirare Baia e la Solfatara, ripete sulla scia di quest'ultimo; perché allora non ammirare anche ciò che di straordinario Dio opera nei suoi santi? Inutile continuare in queste citazioni. L'autore non ammette che si possano dare delle spiegazioni razionali a un fenomeno ritenuto miracoloso di per sé, né prova a smontare gli argomenti in contrario in quanto insufficienti. Assegna inoltre la patente di empio ed eretico a chi nega il miracolo, senza pensare che così coinvolge anche alcuni cattolici. Il secondo autore, Falcone, parla poco della liquefazione del sangue, ma perché questa è compresa in una visuale più ampia: la protezione del Santo sulla città. La storia di Napoli è tutto un tessuto di interventi miracolosi indiscutibili di S. Gennaro, che ha tenuto al riparo la

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città o ha limitato gli effetti dei terremoti, della peste, delle eruzioni vesuviane, della carestia su di essa: «ei governa, visita e purga la sua Patria ne' bisogni». In una visuale del genere è difficile contentarsi di quanto gli storici della città hanno scritto finora. Le vicende che questi narrano riguardano la superficie esterna delle cose. Tutta la storia di Napoli, quella più nascosta, va riscritta, ovviamente in chiave mistica. Con Putignano, il terzo autore, le cose cambiano ancora, sia pure in modo sostanziale. egli è il primo a occuparsi estesamente del fenomeno della liquefazione periodica e ad accennare a qualche apertura verso quei cattolici che non mostrano alcun entusiasmo per un'interpretazione in chiave soprannaturale. Nello stesso tempo rimprovera i visitatori d'Oltralpe di emettere con sufficienza giudizi da lontano o senza aver preso sufficiente conoscenza dei fatti. Questo è solo arroganza. Credono di conoscere essi soli come stanno veramente le cose: Soli hi sapiunt, sed judicio tantum suo! In conclusione, gli agiografi settecenteschi non hanno tutti i torti ad ascrivere a superficialità alcuni rilievi negativi e scettici fatti da molti fra queli che al loro tempo hanno espresso giudizi sul fenomeno del sangue. Nello steso tempo però appaiono troppo sicuri del miracolo o del Santo, per prendere veramente in considerazione alcune spiegazioni degli avversari. Se poi si sposta il confronto tra quanto detto fin qui e quanto si dirà sul fenomeno nell'Otto- Novecento a livello europeo (per es., negli anni 1831-32, ai primi del Novecento e negli anni 1927-1930), si nota che le conoscenze reali su di esso raggiunte all'epoca delle discussioni a noi più vicine non erano molto più avanzate rispetto a quelle cui si era pervenuto in età illuministica. Roberto Romano (Univ. Federico II, Napoli) La falsa Vita greca di San Gennaro

Il codice Neapolitanus Soc.Hist.Patr. XXI.B.3, datato XVII-XVIII secolo, contiene la vita greca di S.Gennaro BHG 1957, n° 774( nel ms. attribuita a tal Manuele monaco basiliano, che scriveva a Napoli nell’anno 500) e il miracolo,anch’esso in greco, BHG 1957, n° 775( di anonimo autore). Fu scoperto nel 1709 dal prete napoletano Niccolò Carminio Falcone, che si servì di entrambi i testi come base per la sua biografia di S.Gennaro apparsa a Napoli nel 1713. Sùbito dopo la sua apparizione, la biografia subì aspre critiche; successivamente, fu posta all’Indice, mentre numerosi studiosi ( dal “ 700 al “900) additavano in Falcone stesso l’autore dei due scritti.Un’edizione di entrambi i testi fu procurata dai Benedettini di Montecassino nel 1875 e da G.Scherillo nel 1877. Essendosi rivelate entrambe le edizioni inaffidabili, il relatore ha provveduto ad una nuova edizione critica ed a uno studio della lingua e dello stile, ricercando nel contempo elementi interni utili a stabilire una cronologia. L’indagine sulla lingua rivela che i due testi sono stati scritti dallo stesso autore, che non può essere un italiano, ma un greco, di buona cultura, che ha cercato di imitare la lingua e lo stile delle vite dei santi di livello popolareggiante. Il lessico è contraddistinto da neoformazioni d’età proto- e mediobizantina. Se si considera che entrambe le opere sono state stese presumibilmente fra gl’inizi del XIV e gl’inizi del XVII sec., il falsario sarà probabilmente da ricercare fra i dotti greci che operarono in Italia, ma spec. a Napoli, fra il XVI e il XVII sec.( i due Melisseni, Giovanni Santamaura, Manuele Glinzunio, Andrea Darmario). Fra essi, in particolare, maggiormente indiziati appaiono Macario e Niceforo Melisseno, còlti ecclesiastici di vaste letture, ma anche abili falsari. Giulio Sodano (Univ. Suor Orsola Benincasa, Napoli) Il “falso spudorato” della Vita greca di San Gennaro

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Nel 1713 il sacerdote napoletano Niccolò Carmine Falcone pubblica una vita di San Gennaro utilizzando un manoscritto greco, che fa ampi riferimenti alla vita del santo precedente al martirio. A parte l’indicazione della data di nascita, il testo insiste sulla patria napoletana e sulle origini della famiglia. Il piccolo santo vive una dimensione del tutto diversa dai suoi coetanei, già a partire dal rifiuto del gioco. Gli elementi narrativi della vita greca sono ampiamente presenti nella tradizione agiografica del cristianesimo antico. Le agiografie presentavano il topos del puer senex come coordinata di base della santità dell’individuo: la constantia dei comportamenti a partire dall’infanzia, esprimeva nel codice cristiano il concetto aristotelico dell’immutabilità del carattere. L’antica tradizione agiografica della vita di san Gennaro era più o meno legata al solo avvenimento del martirio e ignorava i particolari della vita del vescovo. Con l’età moderna, l’affermazione del sistema delle virtù eroiche fece assumere importanza proprio alle notizie relative alle origini del santo, al luogo della sua nascita, alla sua famiglia, alla sua educazione, alla sua vita infantile che preludeva alla scelta ecclesiastica. La stessa iconografia di San Gennaro si trasforma nel corso del XVII secolo, abbandonando la rappresentazione del martirio e preferendo quella del ritratto da vescovo. Nel corso del Seicento si era andata, poi, affermando la poderosa operazione dei Bollandisti. Era quindi necessario ricorrere al un testo antico o pseudo antico che integrasse la vita e le virtù del santo martire in sintonia con le nuove esigenze spirituali. Ma l’agiografia del Falcone è finalizzata soprattutto a chiudere la vecchia questione della patria di san Gennaro, con una inequivocabile soluzione a favore di Napoli. Il manoscritto greco diventa, quindi, un fondamentale strumento per provare la patria del santo martire. L’operazione compiuta dal sacerdote napoletana va, comunque, collocata anche nella congiuntura storica del primo decennio del Settecento, con il passaggio del Regno dagli Spagnoli agli Austriaci. I rapporti tesi tra la nuova compagine statale e Chiesa romana fanno, quindi, da sfondo alla genesi e alla stesura dell’opera. Elisa Novi Chavarria (Univ. del Molise) La frontiera di un culto. S. Gennaro e Napoli

Se – come è stato detto – il santo è sempre «santo di un luogo» ((W. CHRISTIAN jr.), san Gennaro è il santo di Napoli per eccellenza, «defensor civitatis» in tutte le calamità pubbliche o di ordine naturale che la città conobbe. Attraverso l’analisi di una serie di dati quantitativi (patronati, intitolazioni dei luoghi di culto, formule di invocazione nei testamenti) desunti dall’ampia letteratura che almeno per il Mezzogiorno esiste ormai sull’argomento (a partire dai fondamentali studi di M. VOVELLE e poi di C. RUSSO, M.A. VISCEGLIA, F. GAUDIOSO, M. CAMPANELLI) e da ricerche presso archivi locali (prevalentemente nell’area del Sannio), il contributo intende tracciare i confini entro cui si andò configurando la devozione al santo nei primi due secoli dell’età moderna. Dove per confini si intende sia quelli territoriali (G. GALASSO), segnati volta a volta dai luoghi del martirio e dell’agiografia o degli avvenimenti storici (ad esempio l’eruzione del Vesuvio del 1631 o la rivendicazione dei natali del santo contesi, a partire più o meno dagli

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stessi anni, tra Napoli e Benevento), sia quelli mobili e aperti legati alle modalità di percezione ed espressione del culto. Valerio Petrarca (Univ. de l’Aquila) Morfologie rituali del culto di S. Gennaro: costanti e trasformazioni tra età moderna e contemporanea La liquefazione del sangue di S. Gennaro unisce due morfologie religiose solitamente separate: quella del miracolo (basata sull’eccezione e l’imprevedibilità) e quella del rito (basata sulla ripetizione e la prevedibilità). Il culto di San Gennaro sarà analizzato dal punto di vista storico e antropologico per cogliere, sul piano individuale e collettivo, i processi simbolici attraverso cui si è dato senso all’evento miracoloso e rituale, come pronostico (positivo o negativo) e come attesa di liberazione da ogni male. Michail Talalay (Accademia delle Scienze di Mosca) Il culto di S. Gennaro nelle testimonianze dei pellegrini russi

Il culto per S. Gennaro (secondo la grafia russa Iannuarij) è giunto nel mondo slavo, insieme a tutto il corpus delle tradizioni liturgiche e devozionali bizantine, alla fine del X secolo, con l’evangelizzazione delle terre slave; la stessa l’ufficiatura liturgica per la festa del Santo, celebrata ancora oggi il 21 aprile, è tradotta letteralmente dai testi bizantini. Nella tradizione agiografica russa, che suddivide i Santi in nove ‘categorie’ (giusti, martiri, confessori ecc.), a S. Gennaro è stato attribuito il titolo di svjašennomučenik, assegnato ai martiri che possedevano lo status ecclesiastico. Tuttavia, nonostante la presenza della sua memoria già nei calendari liturgici più antichi, il Santo non è mai stato oggetto di culto popolare e diffuso e il nome Gennaro è praticamente assente nell’Onomasticon russo, benché sia talvolta testimoniato per i monaci che, secondo una tradizione notoriamente diffusa anche nel mondo monastico di area bizantina, assumevano insieme ai voti un nuovo nome, spesso derivato dai martiri paleocristiani. Anche le reliquie di S. Gennaro a Napoli, ma in misura minore rispetto a quelle di Santi più noti della Cristianità e ugualmente custodite in Italia, sono state interessate dal pellegrinaggio proveniente dai paesi slavi ortodossi, fenomeno peraltro relativamente recente; trattandosi, però, di un martire autoctono, il pellegrinaggio ha risentito meno del prevedibile atteggiamento di venerazione mista a diffidenza riservato ad altre reliquie italiane provenienti proprio dal mondo bizantino-ortodosso e dunque testimonianza non secondaria dei secolari contrasti tra la Chiesa Ortodossa e quella Cattolica. Il miracolo della liquefazione del sangue del Santo a Napoli è attestato per la prima volta dalla cultura russa nel 1698, nel resoconto, molto dettagliato, che ne fece l’ambasciatore moscovita conte Boris Šeremetev, ma nel corso del XIX secolo le descrizioni dell’evento diventarono particolarmente numerose. Fra di esse si distinse quella dello scrittore religioso Andrej Murav’ёv, che visitò Napoli nel 1845: devotissimo a S. Gennaro, tanto da curarne la divulgazione delle vicende del suo martirio a Pozzuoli, egli fu però particolarmente critico nei confronti degli eccessi delle manifestazioni devozionali che si verificavano in occasione dell’evento. La sua testimonianza fu più volte ripresa e utilizzata in altri resoconti successivi, che tuttavia ne smorzarono i toni critici per lasciare spazio al puro evento cultuale e antropologico. Nel 1858 anche un noto poeta russo, Appolon Majkov, dedicò al Santo un devoto poemetto per celebrare il prodigio napoletano. L’ultimo riferimento al miracolo si ritrova invece nell’opera del musicista e saggista Grigorij Gnesin, ma si trattò di una mancata liquefazione del sangue, descritta insieme alle manifestazioni di delusione dei fedeli che vi assistettero, in alcuni casi anche intemperanze

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blasfeme. La pubblicazione di Gnesin uscì nel 1917, l’anno in cui il pellegrinaggio russo alle reliquie di S. Gennaro, come anche alle altre custodite in Italia e altrove, fu interrotto bruscamente dalla Rivoluzione bolscevica, per riprendere gradualmente solo in tempi recenti.