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ANNALI 2008 84 Introduzione L ’isola di Sant’Antioco della quale mi onoro di essere il sindaco, è situata presso la costa sud-occidentale della Sardegna, di fronte alla regione del Sulcis-Iglesiente. L’isola si estende per 109 km 2 , è la più vasta della Sar- degna e la quarta d’Italia. Essa è collegata all’entroterra costiero da un sottile istmo, lungo 5 km, creato da sedi- menti marini, che in termini propri forma una penisola che si affaccia a sud nel golfo di Palmas. Dista da Cagliari circa 90 km. Il suo clima è prevalentemente mediterraneo, con in- verni brevi ed estati calde, asciutte, mitigate dai venti fre- schi di maestrale. Nei giorni di bonaccia, il paesaggio, pavoneggiandosi nella sua laguna animata da colonie di fenicotteri rosa, sembra uscito dalla tavolozza di un pittore. A pochi km dal paese si raggiungono spiagge d’incom- parabili bellezze, che stupiscono l’occasionale visitatore. L’isola nasce durante il periodo del Miocene, circa 25 milioni di anni fa, e si distacca dalla Sardegna a causa di poderosi movimenti tettonici. Molti milioni di anni dopo, l’isola assume l’attuale morfologia, prevalentemente pia- neggiante. Registra la presenza di rocce calcaree e trachi- tiche, con una rara vegetazione di tipo mediterraneo: la palma nana, considerata un fossile vivente, antico di mi- lioni di anni, il mirto, il leccio, l’olivastro, il corbezzolo, il rosmarino selvatico, il ginepro fenicio, il lentischio e tanta altra vegetazione mediterranea. Più tardi, intorno al 1800 a.C. i Fenici effettuarono le prime invasioni della Sardegna e delle sue isole minori, svi- SANT’ANTIOCO ISOLA DI CULTURA ED EMOZIONI Ringraziamenti Ridente sovra un colle il borgo giace, di florida isoletta ad oriente, tra viti rigogliose, in suol ferace, che verso il mar pianeggia dolcemente. Sui ruderi, già spenti, di cittade un dì fiorente e ricca molto, ei sorse, dappoi che queste fertili contrade, dal Saracen crudele furon corse. ...Così introduceva il suo scritto il Direttore Didattico Miche- le Caracciolo nel 1919... e così concludeva: Si, spero, che più lieto il dì risplenda Su questa terra bella e pur felice, e che pel mondo il grido mio si estenda: Trovata è alfine l’Araba Fenice. Il Villaggio di Sant’Antioco, ristampato nell’anno 2002 dalla Basilica di Sant’Antioco Martire, è un documento di al- tissimo valore, poiché ci fa conoscere cose oggi dimenticate. Il professor Caracciolo all’inizio del secolo ha pensato di far qual- cosa per l’isola che l’ospitava; dopo quasi un secolo, in veste del tutto diversa, abbiamo proposto un lavoro che speriamo sia utile a tutti coloro che stanno avendo un approccio con la no- stra storia. L’attività svolta ha il solo fine di ricordare ciò che gli altri dimenticano. In qualità di coordinatore dei lavori relativi ai saggi qui pubblicati, desidero ringraziare tutti coloro che hanno voluto fortemente il gemellaggio tra il territorio Antiochense e quello di Guidonia sotto la benedizione dei Santi Martiri Antioco e Sinforosa. Pertano si ringraziano in ordine puramente casuale: Prof. Vittorio Sgarbi, per il suo pensiero; Dott. Eugenio Moscetti, per aver lavorato instancabilmente al progetto; Ing. Mario Corongiu, per esserne stato il promotore. Lgt. Santino Carta, per sentirsi figlio della nostra isola; Prof. Piero Bartoloni, per il suo saggio; Prof. Francesca Cenerini, per il suo saggio; Prof. Roberto Coroneo, per il suo saggio; Dott.ssa Grazia Villani, per il suo saggio; Dott.ssa Daniela Ibba, per il suo incoraggiamento; Sig. Giorgio Pinna, libero studioso, per il suo saggio; Sig. Marco Massa, libero studioso, per il suo saggio; Don Demetrio Pinna, per essere l’indiscusso padre del culto del Santo; Sig. Stefano Alessandrini, responsabile dei gruppi archeolo- gici d’Italia per l’articolo sulla protome leonina da Sulky; Prof. Michele Caracciolo, per il saggio sul Villaggio di Sant’An- tioco; Dott.ssa Maddalena Cima, Direttrice del Museo Barraco di Roma, per la sua cortesia; Dott.ssa Cristina Bombasaro, mia moglie, per la selezione del- le foto e la sua pazienza. Ringrazio infine per la concessione del prezioso mate- riale fotografico: Piero Bartoloni, Roberto Coroneo, Don Demetrio Pinna, Marco Massa, Grazia Villani, Cristina Bombasaro, Basilica di Sant’Antioco, Salvatore Selis, Cattedrale di Sassari, Chiesa di Sant’Antonio Abate a Maracalagonis, Chiesa di Fluminimaggiore, e tutti coloro che in modo diretto e indiretto hanno colla- borato con me e mi hanno incoraggiato. ROBERTO LAI

SANT’ANTIOCO · ANNALI 2008 84 Introduzione L ’isola di Sant’Antioco della quale mi onoro di essere il sindaco, è situata presso la costa sud-occidentale della Sardegna, di

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ANNALI 2008 84

Introduzione

L ’isola di Sant’Antioco della quale mi onoro di essereil sindaco, è situata presso la costa sud-occidentale

della Sardegna, di fronte alla regione del Sulcis-Iglesiente. L’isola si estende per 109 km2, è la più vasta della Sar-

degna e la quarta d’Italia. Essa è collegata all’entroterracostiero da un sottile istmo, lungo 5 km, creato da sedi-menti marini, che in termini propri forma una penisolache si affaccia a sud nel golfo di Palmas. Dista da Cagliaricirca 90 km.

Il suo clima è prevalentemente mediterraneo, con in-verni brevi ed estati calde, asciutte, mitigate dai venti fre-schi di maestrale.

Nei giorni di bonaccia, il paesaggio, pavoneggiandosi

nella sua laguna animata da colonie di fenicotteri rosa,sembra uscito dalla tavolozza di un pittore.

A pochi km dal paese si raggiungono spiagge d’incom-parabili bellezze, che stupiscono l’occasionale visitatore.

L’isola nasce durante il periodo del Miocene, circa 25milioni di anni fa, e si distacca dalla Sardegna a causa dipoderosi movimenti tettonici. Molti milioni di anni dopo,l’isola assume l’attuale morfologia, prevalentemente pia-neggiante. Registra la presenza di rocce calcaree e trachi-tiche, con una rara vegetazione di tipo mediterraneo: lapalma nana, considerata un fossile vivente, antico di mi-lioni di anni, il mirto, il leccio, l’olivastro, il corbezzolo, ilrosmarino selvatico, il ginepro fenicio, il lentischio e tantaaltra vegetazione mediterranea.

Più tardi, intorno al 1800 a.C. i Fenici effettuarono leprime invasioni della Sardegna e delle sue isole minori, svi-

SANT’ANTIOCOISOLA DI CULTURA ED EMOZIONI

Ringraziamenti

Ridente sovra un colle il borgo giace,

di florida isoletta ad oriente,

tra viti rigogliose, in suol ferace,

che verso il mar pianeggia dolcemente.

Sui ruderi, già spenti, di cittade

un dì fiorente e ricca molto, ei sorse,

dappoi che queste fertili contrade,

dal Saracen crudele furon corse.

...Così introduceva il suo scritto il Direttore Didattico Miche-le Caracciolo nel 1919... e così concludeva:

Si, spero, che più lieto il dì risplenda

Su questa terra bella e pur felice,

e che pel mondo il grido mio si estenda:

Trovata è alfine l’Araba Fenice.

Il Villaggio di Sant’Antioco, ristampato nell’anno 2002dalla Basilica di Sant’Antioco Martire, è un documento di al-tissimo valore, poiché ci fa conoscere cose oggi dimenticate. Ilprofessor Caracciolo all’inizio del secolo ha pensato di far qual-cosa per l’isola che l’ospitava; dopo quasi un secolo, in vestedel tutto diversa, abbiamo proposto un lavoro che speriamo siautile a tutti coloro che stanno avendo un approccio con la no-stra storia. L’attività svolta ha il solo fine di ricordare ciò che glialtri dimenticano.

In qualità di coordinatore dei lavori relativi ai saggi quipubblicati, desidero ringraziare tutti coloro che hanno volutofortemente il gemellaggio tra il territorio Antiochense e quellodi Guidonia sotto la benedizione dei Santi Martiri Antioco eSinforosa.

Pertano si ringraziano in ordine puramente casuale:Prof. Vittorio Sgarbi, per il suo pensiero;Dott. Eugenio Moscetti, per aver lavorato instancabilmente al

progetto;Ing. Mario Corongiu, per esserne stato il promotore.Lgt. Santino Carta, per sentirsi figlio della nostra isola;Prof. Piero Bartoloni, per il suo saggio;Prof. Francesca Cenerini, per il suo saggio;Prof. Roberto Coroneo, per il suo saggio;Dott.ssa Grazia Villani, per il suo saggio;Dott.ssa Daniela Ibba, per il suo incoraggiamento;Sig. Giorgio Pinna, libero studioso, per il suo saggio;Sig. Marco Massa, libero studioso, per il suo saggio;Don Demetrio Pinna, per essere l’indiscusso padre del culto

del Santo;Sig. Stefano Alessandrini, responsabile dei gruppi archeolo-

gici d’Italia per l’articolo sulla protome leonina da Sulky;Prof. Michele Caracciolo, per il saggio sul Villaggio di Sant’An-

tioco;Dott.ssa Maddalena Cima, Direttrice del Museo Barraco di

Roma, per la sua cortesia;Dott.ssa Cristina Bombasaro, mia moglie, per la selezione del-

le foto e la sua pazienza.

Ringrazio infine per la concessione del prezioso mate-riale fotografico:Piero Bartoloni, Roberto Coroneo, Don Demetrio Pinna,

Marco Massa, Grazia Villani, Cristina Bombasaro,

Basilica di Sant’Antioco, Salvatore Selis,

Cattedrale di Sassari, Chiesa di Sant’Antonio Abate a

Maracalagonis, Chiesa di Fluminimaggiore,

e tutti coloro che in modo diretto e indiretto hanno colla-borato con me e mi hanno incoraggiato.

ROBERTO LAI

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Durante l’impero di Adriano, (II sec. d.C.), erano in at-to furiose persecuzioni verso i cristiani, i quali, per non es-sere arrestati e uccisi, emigrarono verso terre più tran-quille.

Secondo la leggenda agiografica, Antioco, medico Mau-ritano, arrivò sulla costa di Sulci durante l’epurazione cri-stiana per diffondere la fede di Cristo, che in poco temporaggiunse ogni anfratto della Sardegna. Qui, la sua fede furecepita e accettata dalla popolazione sarda, ma non daipersecutori che, recatisi a Sulci per arrestarlo, lo trovaro-no già morto nelle grotte ove si era recato a pregare.

La notizia della morte del nobile predicatore sconvolseil popolo sardo ormai evangelizzato. In suo onore, in tut-ta la Sardegna, fiorirono opere religiose avendolo ricono-sciuto il primo apostolo martire della cristianità sulla gran-de isola sarda. E fu così che il territorio di Sulci venne ri-nominato “Isola di Sant’Antioco” e Antioco, “Patrono ditutta la Sardegna”.

Tessere le lodi di un martire che la Chiesa ha volutosantificare, dando così lustro anche alla medesima isola ècertamente gradito al popolo antiochense, che si pregiad’aver dato ospitalità al Santo Patrono della Sardegna.

L’iniziativa di potere in questa sede presentare, in unarivista così importante, il nostro Santo Patrono è per memotivo d’orgoglio. Il gemellaggio tra Sant’Antioco Sulci-tano e Santa Sinforosa mette in posa una pietra miliare chedeve essere l’inizio di un comune interesse nella valoriz-zazione dei nostri territori e della nostra millenaria cultu-ra. I due Santi per ordine dell’imperatore romano Adria-no furono martirizzati, ma oggi questo triste evento è lon-tano e il mio pensiero và a tutti quei Santi che in momentistorici tristi hanno subito supplizi e martiri, ma il loro sa-crificio non è stato vano in quanto ci hanno lasciato unmessaggio che ancora oggi li vede protagonisti in questasede che accomuna due territori sotto il fattore comunedella fratellanza.

IL SINDACO DI SANT’ANTIOCODOTT. ING. MARIO CORONGIU

Presentazione

La Carta Costituzionale della Repubblica Italiana conl’articolo 9 recita: “La Repubblica promuove lo svi-

luppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, tutelail paesaggio e il patrimonio storico artistico della nazione”.“Repubblica”, è parola di derivazione latina (res publica,‘la cosa pubblica’) che indica una forma di stato basata sulprincipio della sovranità popolare. Il termine fu usato perla prima volta a Roma nel 509 a.C., dopo la cacciata delladinastia etrusca dei Tarquini, per indicare la nuova formadi governo, antitetica alla monarchia e costruita sul con-cetto di bene comune, di cosa pubblica. Partendo da que-sto fondamentale principio, è a mio giudizio di particolarerilevanza dimostrare che i risultati conseguiti dalle Am-ministrazioni di uno Stato nella tutela del proprio patri-monio culturale sono parte integrante della comunità stes-sa trattandosi di beni pubblici. Tanto si è scritto e tanti so-no stati i dibattiti sul termine “Bene Culturale” impro-priamente usato ed inopportunamente abusato. Tantoquasi da poter dire che la definizione sta dentro di noi edognuno la identifica a modo suo. Non sempre le leggi inmateria di tutela, almeno fino al Testo Unico sui Beni Cul-turali del 1999, hanno fornito una definizione esaurientesu tale termine. Regolare i conti con l’eredità del passato,trovando risposte giuste al bisogno di memoria storica, èil problema che si pone oggi con sempre maggior chiarez-za a quanti hanno la responsabilità di garantire alla comu-nità la sopravvivenza e la fruizione dei Beni Culturali. Lafunzione che i Beni Culturali possono svolgere oggi, risie-de nella determinazione della qualità ambientale e inse-diativa, quindi della qualità della vita di un ambito urba-no. Valorizzare un bene culturale significa quindi riquali-ficare anche il tessuto urbano circostante. Questa pre-messa, per esternare profonda gratitudine a coloro chehanno voluto supportare l’iniziativa di questo Assessora-to alla Cultura sulla promozione che vede in prima lineadue territori: quello Antiochense e Nomentano. Oggi in

luppando la civiltà dei nu-raghi e delle domus de ja-nas, ossia tombe in minia-tura scavate nelle rocce,oltre alle necropoli deno-minate “tombe dei gigan-ti”. La dominazione feni-cia durò sino al 500 a.C.dopodiché furono i carta-ginesi a stabilire insedia-menti in Sardegna e fon-darono le prime città, qua-li Cagliari, Tharros, Nora eSulci, e quest’ultima, inonore del nostro SantoMartire, divenne isola diSant’Antioco.

I romani, apparvero inSardegna nel 238 a.C.

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sinergia con la prestigiosa Associazione Nomentana di Sto-ria e Archeologia ONLUS con il Comune di GuidoniaMontecelio e sotto la protezione del nostro PatronoSant’Antioco Sulcitano e Santa Sinforosa di Guidonia ab-biamo sicuramente dato un ulteriore contributo alla valo-rizzazione dei nostri territori e della nostra cultura che ve-de comunque protagonisti le nostre comunità nella tute-la del bene pubblico.

L’ASSESSORE ALLA CULTURA DI SANT’ANTIOCODOTT.SSA DANIELA IBBA

Sant’Antioco Patrono della Sardegna

Tra agiografia e leggendaROBERTO LAI

Dalle origini del cristianesimo ai primi martiri

La religione Cristiana com’è noto prende il nome daCristo appellativo di Gesù di Nazareth, nato tra il 7

e il 4 a.C. in Palestina (anche se per tradizione viene indi-cata come data di nascita l’anno zero). Gesù nacque a Be-tlemme da Maria, sposa di Giuseppe, concepito per operadello Spirito Santo: non è dunque un semplice uomo, mauomo e Dio allo stesso tempo. Con Gesù, dunque, Diosceglie di farsi uomo tra gli uomini. Il cristianesimo si pre-senta quindi da subito come religione universale, nata tragli umili per portare il lieto annuncio a tutta l’umanità sia-no essi peccatori o giusti, schiavi o persecutori, donne obambini. Inizialmente, la nuova religione trovò i suoi adep-ti tra la popolazione ebraica grazie all’azione di proseliti-smo degli Apostoli. Un notevole salto di qualità per il cri-stianesimo delle origini si ebbe con la conversione di SanPaolo (Paolo di Tarso), erudito di origini ebraiche e citta-dino romano, che contribuì con i suoi viaggi ad estenderel’insegnamento del cristianesimo nel bacino del Mediter-raneo e specialmente a Roma, dove morì nel 67, dopo es-servi stato più volte incarcerato. San Paolo fu il primo in-tellettuale convertito al cristianesimo. Nel primo secolo ilcristianesimo si diffuse in tutta l’Asia Minore e nell’Afri-ca settentrionale per poi arrivare in Europa e a Roma; l’A-postolo Pietro e Paolo di Tarso furono sicuramente i pri-mi martiri: San Pietro conobbe personalmente il Cristomentre San Paolo non lo conobbe direttamente e pur nonfacendo parte dei 12 viene indicato come tale. La loroopera li vide protagonisti nella Galazia, nella Capodacia,in Antiochia di Siria, in Bitinia e a Corinto. Probabilmen-te gli echi di questi evangelisti e dei loro seguaci che con-tinuarono l’opera nell’Africa del nord arrivarono in quellaregione indicata come Mauretania che vede protagonistail nostro Antioco.

Conoscere esattamente il numero esatto dei martiri èquasi impossibile, furono probabilmente migliaia. Secon-do Tacito furono ingens multitudo. Il martirologio Gero-miniano ne elenca 979. In seguito San Cipriano parlerà dimartirium innumerabilis populus. In questa sede non sivuole certo fare una cronologia di tutti i Santi Martiri maper meglio comprendere il Santo sulcitano, dobbiamo ca-pire dove esattamente si può collocare la sua educazione

cristiana, ed in particolare quale fu il contesto storico so-ciale dove si formò.

La prima presa di posizione dello Stato Romano con-tro i Cristiani risale all’imperatore Claudio (41-54 d.C.).Gli storici Svetonio e Dione Cassio riferiscono che Clau-dio fece espellere i giudei perché erano continuamente inlite fra loro per causa di un certo Chrestos. Lo storico GaioSvetonio Tranquillo (70-140 ca.), funzionario imperiale dialto rango sotto Traiano e Adriano, intellettuale e consi-gliere dell’imperatore, giustificherà questo e i successiviinterventi dello Stato contro i Cristiani definendoli “su-perstizione nuova e malefica”.

L’Imperatore Nerone accusò i cristiani di aver appic-cato l’incendio che distrusse la città nel 64; in questo sce-nario ebbe inizio la prima grande persecuzione che duròquattro anni, dal luglio del 64 al giugno del 68. Moltoscarse sono le notizie della persecuzione che colpì i Cri-stiani nell’anno 89, sotto l’imperatore Domiziano. Di par-ticolare importanza è la notizia riportata dallo storico gre-co Dione Cassio, che a Roma fu pretore e console. Nel li-bro 67 della sua Storia Romana afferma che sotto Domi-ziano furono accusati e condannati “per ateismo” (ateòtes)il console Flavio Clemente e sua moglie Domitilla, e conloro molti altri che “avevano adottato gli usi giudaici”. L’ac-cusa di ateismo, in questo secolo, è rivolta a chi non con-sidera divinità suprema la maestà imperiale. Domiziano,durissimo restauratore dell’autorità centrale, pretende ilculto massimo alla sua persona, centro e garanzia della “ci-viltà umana”. Nel 111 Plinio il giovane, governatore dellaBitinia sul Mar Nero, riferisce all’imperatore Traiano cheil rifiuto da parte dei cristiani di offrire incenso e vino da-vanti alle statue dell’Imperatore gli sembra un atto di de-risione sacrilega.

L’Imperatore risponde: “I Cristiani non si devono per-seguire d’ufficio. Se invece vengono denunciati e ricono-sciuti colpevoli bisogna condannarli”.

Sotto l’imperatore Marco Aurelio (161-180) l’imperofu martoriato da carestie, pestilenze e da invasioni barba-re; di tutto questo furono accusati i cristiani.

Sotto Settimo Severo (193-211) ci furono altre perse-cuzioni ed altre e più terribili avvennero tra il 235-238sotto Massimino; tra il 249-251 sotto Decio; nel 251-253sotto Treboniano Gallo; tra il 253-260 sotto Valeriano; in-fine con gli editti del 303 e 304 sotto Diocleziano e Ga-lerio.

La fine definitiva delle persecuzioni arrivò dopo tre se-coli dalla nascita di Cristo, precisamente nel 313, con l’e-ditto di Milano, emesso da Costantino e Licinio. L’edittoaccordava ai cristiani la libertà di culto e la restituzione deibeni confiscati. Lo stesso Costantino fu il primo Impera-tore convertito alla cristianità, tanto da presiedere il pri-mo concilio ecumenico nel 325 a Nicea per contrastarel’eresia degli Ariani.

I martirologi storici

A partire dal II secolo nelle Chiese più importanti, co-me in quella di Cartagine, di Roma e di Antiochia, si te-neva un martirologio aggiornato e compilato con doviziadi particolari. Consisteva in un vero e proprio calendario

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dove veniva indicato il nome dei Santi e il luogo della loromorte. In seguito le notizie vennero arricchite anche conuna descrizione di come era avvenuto il decesso. Il più fa-moso è quello “gerolomita”, compilato nel VI secolo a Ro-ma e impropriamente attribuito a San Girolamo. Nellostesso periodo si assiste alle Legendae l’usanza tra il clerodi leggere, durante la Messa una breve storia della vita delsanto di cui si celebrava il dies natalis, che per i cristiani èl’anniversario della morte corporale. Questi racconti in se-guito vennero chiamati Passiones. Partendo da una basecerta nelle legendae si dava più importanza all’immagina-zione che alla storicità. Gli autori non mancavano di daredettagli sulla crudeltà dei boia e dei magistrati, sulla du-rezza dei supplizi e sulla serena resistenza che i servi diDio opponevano ai loro persecutori. Al fine di colpire i fe-deli venivano narrati miracoli fantastici e opere straordi-narie per suscitare negli uditori spirito di emulazione eammirazione. L’agiografia è infatti quella parte letterariache ha per oggetto i santi che hanno praticato le virtù inmodo eroico e riconosciute dalla chiesa cattolica o diun’altra chiesa cristiana.

Le origini di Antioco

La tradizione ritiene che il martire Antioco sia vissutosotto la dominazione dell’imperatore Adriano suo perse-cutore. Tralasciando l’agiografia cercheremo di ricostruirefatti storici attendibili. Innanzi tutto sorge una domanda:Adriano fu il vero persecutore di Antioco?

La Passio sancti Antiochi martyris, è la più antica e im-portante fonte storica sul martire sulcitano. Il testo origi-nale è purtroppo andato perduto; ci rimane una fedele edintegrale copia custodita nell’archivio del Capitolo dellacattedrale di Iglesias, fatta eseguire nel 1621 dall’Arcive-scovo di Cagliari Francesco Desquivel, scopritore delle re-liquie del Santo. L’originale era scritto su pergamena concopertina in pelle scura. La sua compilazione si puòsenz’altro datare tra il 1089 e il 1119, periodo in cui i mo-naci benedettini di San Vittore di Marsiglia eb-bero il possesso della chiesa del Santo.

L’antico agiografo scrive che in Africaed in particolare in Mauretania un medico,di religione cristiana, chiamato Antioco,non vuole ricavare dalla sua professione al-cun lucro, ma soltanto il bene spirituale.

Nella Passio leggiamo: “Riteniamo che aquesta schiera di beati martiri appartenga ilsantissimo martire Antioco, la cui passione, cheabbiamo appreso da una verace relazione pre-sentiamo a tutti i fedeli di Cristo.

Cosa intendeva il narratore ri-ferendosi a una “verace nar-razione”? Esisteva qual-che antico documentoora perduto o si riferiscead una tradizione oraleche si è tramandata neisecoli fino alla compila-zione della Passio?

L’imperatore Adriano e il cristianesimo

Publio Elio Adriano, fu un uomo di grande cultura,amante delle lettere e delle arti. Si intendeva di musica, dipittura, di scultura, di architettura, di filosofia, scriveva inprosa e in poesia, in greco e latino; era un grande estima-tore della cultura Ellenica tanto che a Roma fu sopranno-minato “graeculus”. Governò dal 117 al 138; il suo imperofu lungo e caratterizzato da grandi riforme civili e militari.

Sembra verosimile che un uomo di tale carisma diven-ne il persecutore di un innocuo medico che professava ilcristianesimo in Mauretania?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo cercare dianalizzare l’atteggiamento di Adriano verso i cristiani. Lafonte letteraria fondamentale a questo scopo è il rescrittodi Adriano a Minucio Fundano, proconsole d’Asia, intornoal 124 (Giustino, Apologia, LXVIII, 6-19). Poiché le po-polazioni locali avevano richiesto l’intervento delle auto-rità romane contro i cristiani, il proconsole Silvano Gra-niano aveva chiesto il parere in merito dell’imperatore, co-me già aveva fatto Plinio con Traiano. Adriano inviò la pro-pria risposta al successore di Graniano, Minucio Fundano,ed essa fu sostanzialmente conforme a quella di Traiano.Dal testo si evince che Adriano non voleva venissero pro-mossi procedimenti d’ufficio, ma esigeva che nonostanteciò i cristiani dovevano essere puniti quando contro di lo-ro venisse portata un’accusa fondata. In confronto alla po-sizione di Traiano, le istruzioni di Adriano costituivano unpiù energico richiamo al rispetto della legge, ed in tal sen-so costituivano una migliore tutela giuridica dei cristiani.

Ancor più del suo predecessore, Adriano era preoccu-pato che i funzionari imperiali dessero prova di debolez-za di fronte alle pressioni irresponsabili dei ceti popolari,ponendosi a rimorchio di essi con esecuzioni sommarie aseguito di pressioni o tumulti della plebe.

Adriano non si limitava a raccomandare di non tenerconto delle denunce anonime, ma indicava più precisecautele in difesa soprattutto degli innocenti che potevanofacilmente venir coinvolti da accuse false e processi af-

frettati.Non era neppure sufficiente che vi fosse

un’accusa regolare, basata su fatti concreti enon su semplici dicerie, ma questa dovevaprovare che l’accusato avesse realmentecommesso un delitto: Si quis igitur accusat etprobat, adversum legem, quidquid agere me-

moratos homines, pro merito peccatorum etiamsupplicia statues.

Si è letta in queste parole la revoca della de-cisione di Traiano, per la quale bastava il sempli-ce nomen di cristiano per venir processato, e lo

stabilirsi d’una nuova massima, secondo laquale i cristiani si sarebbero dovuti pu-

nire solo quando a loro carico fosse ri-sultato qualche altro delitto, e quin-

di l’esser cristiani non avrebbe co-stituito ex se un crimine passibiledi punizione.

Altri autori tuttavia ritengonoche Adriano facesse riferimentonon solo a delitti comuni, ma

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anche alla lesa maestà ed al sacrilegio, accuse comune-mente mosse ai cristiani, particolarmente gravi in età adria-nea, nella quale l’imperatore, sulle orme di Augusto, ten-tava di rinvigorire i culti tradizionali di Roma ed il cultoimperiale, nel quadro di una sovranità carismatica ripren-dente la tradizione religiosa e politica della Roma arcaica.

Ma anche nel secondo caso Adriano avrebbe correttola giurisprudenza stabilitasi sotto Traiano, secondo la qua-le detti crimini potevano essere addebitati per presunzio-ni sulla sola base dell’appartenenza al cristianesimo, inomaggio al principio del crimen coherens nomini, ed abbiavoluto esigere invece che venisse provato come ciascun ac-cusato, anche se manifestamente cristiano, avesse real-mente commesso i delitti usualmente associati al nomenchristiani, ossia ateismo, empietà e lesa maestà.

Siamo di fronte ad una posizione ben più favorevoleagli accusati rispetto all’epoca di Traiano, poiché di fron-te ad un’accusa di ateismo ed empietà, per la quale nonesistessero prove concrete, il cristiano o presunto tale nonpoteva venir processato, e, negli altri casi, per liberarsi daun’accusa di tale genere, all’accusato sarebbe bastato ren-dere omaggio agli emblemi di Roma e dell’imperatore al-la presenza di un magistrato per esser scagionato.

Infine, Adriano stabiliva che gli accusatori, in caso diprovata innocenza degli accusati, seguissero la sorte dei ca-lunniatori; con ciò l’imperatore mise un rimedio alla piagadei sicofanti e dei delatori di professione.

Nelle sue “Memorie di Adriano” Marguerite Yource-nar a proposito del cristianesimo fa dire ad Adriano: “Inquell’epoca, Quadrato, vescovo dei cristiani, m’inviò un’a-pologia della sua fede... avevo recentemente rammentatoai governatori delle province che la protezione delle leggisi estende a tutti i cittadini, e che i diffamatori di cristianisarebbero stati puniti qualora li accusassero senza prove...Stento a credere che Quadrato sperasse di convertirmi alcristianesimo, comunque volle provarmi l’eccellenza dellasua dottrina, e soprattutto quanto essa fosse innocua perlo Stato. Lessi la sua opera ed ebbi perfino la curiosità difar raccogliere da Flegone qualche informazione sulla vitadel giovane profeta chiamato Gesù, il quale fondò quellasetta e morì vittima dell’intolleranza ebraica circa 100 an-ni fa. Pare che quel giovane sapiente abbia lasciato precettiche arieggiano quelli di Orfeo, al quale i discepoli talvol-ta lo paragonano. Attraverso la prosa singolarmente piat-ta di Quadrato, non mancai tuttavia di gustare il fascinocommovente di quelle virtù da gente semplice, la loro dol-cezza, la loro ingenuità, il loro affetto reciproco; sembra-vano le confraternite di schiavi o di poveri che si fondonoqua e là in onore dei nostri dèi, nei quartieri popolosi del-la città; ...queste piccole società di mutua assistenza of-frono un appoggio ed un conforto a molti sventurati. Manon ero insensibile ad alcuni pericoli: quella esaltazione divirtù da fanciulli o da schiavi avveniva a discapito di qua-lità più virili e più ferme; dietro quell’innocenza insipidae ristretta, indovinavo l’intransigenza feroce del settarioverso forme di vita e di pensiero che non sono le sue, l’or-goglio insolente che gli fa preferire se stesso al resto degliuomini, la sua visuale deliberatamente limitata da paraoc-chi... Cabria, sempre ansioso... si sgomentava per le nostrevecchie religioni, che non impongono all’uomo il giogo di

alcun dogma, e lasciano che i cuori austeri si foggino, se lovogliono, una morale più alta, senza costringere le massea precetti troppo rigidi per evitare che ne scaturiscano su-bito costrizione e ipocrisia.

...Cabria si preoccupa di vedere un giorno il pastoforodi Mitra o il vescovo di Cristo prendere dimora a Roma erimpiazzarvi il Pontefice Massimo. Se per disgrazia questogiorno venisse, il mio successore lungo i crinali vaticaniavrà cessato d’essere il capo d’una cerchia d’affiliati o d’u-na banda di settari per divenire, a sua volta, una delleespressioni universali dell’autorità. Erediterà i nostri pa-lazzi, i nostri archivi; differirà da noi meno di quel che sipotrebbe credere. Accetto con calma le vicissitudini di“Roma eterna”.

La profezia messa in bocca ad Adriano dalla Yourcenarsi è avverata presso il colle Vaticano, dove continua, ancoroggi, ad avere sede il Pontefice Massimo.

Il grande imperatore pagano, che aggredito da un uo-mo armato di spada non lo punì ma lo fece curare da unmedico, scriveva di Alessandria: “Non vi è alcun prete cri-stiano che non sia al tempo stesso astrologo, mago e ciar-latano. Lo stesso patriarca, quando viene in Egitto, è spin-to da un partito ad adorare Serapide, dall’altro Cristo. Èuna categoria di uomini ribelli, spregevoli, maligni. ...Il lo-ro dio è l’oro, e i cristiani coi giudei e tutte le altre nazio-nalità vi si prosternano. Io ho fatto grandi concessioni aquesta città, le ho ridato gli antichi privilegi ed anche nuo-vi, tanto che i cittadini sono venuti a ringraziarmi perso-nalmente; e tuttavia, appena sono partito, hanno parlatoin modo indegno di mio figlio Vero. ...S’ingrassino purecon i loro polli; io mi vergogno di parlare del modo comeli covano” (Gregorovius, Vita di Adriano).

I viaggi di Adriano

Sappiamo che Adriano fu un grande viaggiatore nonper irrequietezza di spirito o per desiderio di vedere o go-dere, ma per la necessità che l’imperatore sentiva di os-servare le condizioni delle province e di provvedere ai lo-ro bisogni e al loro sviluppo. Adriano trascorse nelle pro-vince circa tre lustri del suo impero. È ancora incerta lacronologia dei viaggi d’Adriano, ma più che le date hannoimportanza i risultati del lungo peregrinare dell’imperato-re. Iniziò col visitare la Gallia, dove fu, come pare, nel 119dove era diffuso il paganesimo e vi faceva la comparsa an-che il Cristianesimo.

Dalla Gallia Adriano si recò nella Germania superioree nell’inferiore, dove diede impulso alle fortificazioni difrontiera e provvide alla disciplina delle legioni; poi passònella Britannia dove seguendo la sua politica di difesa, or-dinò una linea di sbarramento munita di trincee e fortini(Vallum Hadriani).

Dalla Britannia l’imperatore, attraversando la Gallia,passò nella Spagna, forse la più fiorente delle provincied’occidente. Si trovava a Tarracona, forse nell’inverno del123, quando un’insurrezione scoppiata nella Mauritanialo costrinse a passare in Africa. La sua presenza valse aquietare questa regione occidentale africana, la quale re-sisteva ancora tenacemente alla penetrazione delle armi edella civiltà romana. Anche qui l’imperatore dovette pren-

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dere provvedimenti per la difesa militare e dopo un’of-fensiva verso l’Atlante iniziò la costruzione di un vallum.Inoltre trasferì i quartieri della Legione III Augusta a Lam-bese. La sua presenza in Mauritania fu dunque forte, de-cisa e risolutiva per piegare alle armi della civiltà romana.La Mauritania provincia romana (da non confondersi conl’attuale stato di Mauritania) si estendeva dalla zona occi-dentale dell’attuale Algeria fino all’odierno Marocco e al-la parte settentrionale della Mauritania. La tradizione ciha tramandato la Mauretania come paese d’origine diSant’Antioco che quindi proveniva dalle terre dell’attua-le Marocco o Algeria. Oggi lo definiremmo come uno stra-niero di razza africana sbarcato sulle nostre coste. Comedetto sopra, risulta oggi difficile pronunciarsi sulla stori-cità di quanto riferito nella Passio del martire sulcitano, an-che se in ogni leggenda c’è un fondo di verità. D’altra par-te è anche vero che le passiones sono tutte molto simili fradi loro, in particolare quelle che vedono protagonisti deiSanti Taumaturghi, tra cui basti citare Sant’Antioco di Se-baste, San Vito, San Biagio e i Santi Cosma e Damiano Lafede nei santi taumaturghi, è fortemente radicata ovun-que; vengono invocati sia direttamente, finché sono in vi-ta, sia tramite immagini simboliche o reliquie quando so-no morti. Il loro potere va oltre la morte e pertanto sonoin grado di compiere i miracoli, per i quali vengono invo-cati dalla fede popolare, anche a distanza di secoli.

L’epigrafe del Vescovo Pietro e il rinvenimento

delle reliquie del Santo

Un altro supporto storico particolarmente importanteper la storia di S. Antioco è l’epigrafe rinvenuta nel 1615dall’Arcivescovo di Cagliari Monsignore Francesco De-squivel durante l’inventio delle reliquie del Santo. L’iscri-zione è considerata autentica dagli studiosi e fatta risalire aisec. VII-IX, se non addirittura al secolo VI; in questo sen-

so abbiamo diverse scuole di pensiero ma ritengo che glistudi Cagliaritani di Storia e Filologia (vol. I del Motzo)siano più che attendibili. In relazione a ciò si può dedur-re che il culto del Santo non solo è conosciuto nel 500, maanche prima; la lapide parla di restauri fatti eseguire dalVescovo Pietro in un’Aula già esistente, abbellendola conmarmi; questo ci fa pertanto tornare indietro almeno didue secoli.+AVLA MICAT VBI CORPUS SCIANTHIOCI QVIEBIT IN GLORIAVIRTVTIS OPVS REPARANTE MINISTROPONTIFICIS XPI SIC DECET ESSE DOMVMQVAM PETRUS ANTISTES CVLTV SPLENDORE NOBABIT MARMORIBVS TITVLISNOBILITATE FIDEI DDICATU D/ XII K FEBRV

Il fattore che diede l’impulso alle ricerche dei corpi deiSanti in Sardegna fu la controversia per il titolo primazia-le sulla Sardegna e sulla Corsica. Due erano i contendentiil Vescovo di Cagliari e il Vescovo di Sassari; a questi si ag-giunse nel 1611 l’Arcivescovo di Pisa.

La relazione dell’Arcivescovo Desquivel sul ritrova-mento delle reliquie di Sant’Antioco è particolarmenteimportante per la storia di S. Antioco.

Il 18 marzo del 1615, la delegazione inviata a Sulci perla ricerca del corpo del Santo, dopo aver digiunato per ungiorno a pane ed acqua, entrò nella chiesa a piedi nudi,pregando fervorosamente Dio che concedesse questo do-no, mettendo come intercessore il Santo stesso. Finita lapreghiera entrarono nella catacomba dove il Santo morì eandarono verso il luogo dove da sempre si diceva fosse latomba del Santo. Trovarono un sarcofago di marmo postosopra un altare molto antico, all’entrata della stessa cata-comba che era a forma di capella con sei colonne, qui ven-ne rinvenuta la lapide Aula micat. La lapide era posta so-pra l’altare, fissata alla parete con ganci di ferro, consuma-

ti dal tempo. Letta la lapide crebbero le spe-ranze. Smontarono l’altare, ruppero un impastomolto forte, che ricopriva un vano costruito incalce e pietre ben lavorate e con le pareti di-pinte; dentro stava il corpo del Glorioso marti-re, composto in modo che la testa corrisponde-va al punto della lapide in cui erano scritte peresteso le parole: BEATI SANCTI ANTIOCI.

La vista delle reliquie riempì tutti di ammi-razione e di devozione e mandarono subito uncorriere per informare il Vescovo. Il corriere,passando i ponti di notte, cadde nel mare, ma ifogli contenenti la notizia non si bagnarono. Inattesa che il Vescovo giungesse a Sulci, si pre-gava accanto alle reliquie. Appena si divulgò lanotizia, gli archibugieri spararono mille colpi asalve.

Un Archibugio fu caricato per sbaglio condue palle, e anche mettendogli fuoco non si in-cendiò, perché sarebbe scoppiato tra la genteche gremiva la catacomba in preghiera. L’Arci-vescovo Desquivel, dopo il rinvenimento dellalapide e delle reliquie del Santo Antioco mostròal popolo il teschio del Santo e con esso lo be-RELIQUARIO IN ARGENTO CON TESCHIO DI S. ANTIOCO

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nedisse. Poi suggellò la cassa con quattro chiavi, “y estasentregò a los Capitulares de la Cathedral de Iglesias concondicion que si en algun tiempo se bolviesse a poblar laIsla de S. Antiogo, se las hayan de restituir, siendo aquelsu proprio lugar”.

Del ritrovamento del Sacro Corpo il Desquivel ebbesubito l’accortezza di incaricare alcuni notai che racco-gliessero sotto giuramento le deposizioni delle varie per-sone che furono testimoni dell’accaduto. Inoltre ne feceuna relazione ben particolareggiata al papa Paolo V, che èconservata nell’Archivio Segreto Vaticano, ed una al re diSpagna, Filippo III, a cui offriva anche in un reliquiariod’argento un Osso della gamba del Santo. Questa relazio-ne si trova ancora nella “Biblioteca Nacional de Madrid”,conservata tra i manoscritti al n. 8664.

È opportuno intanto notare come lo stesso Desquivel,6 anni dopo, portasse una correzione al suo impegno perla cessione delle Reliquie. Con atto del febbraio 1621 – inconsiderazione delle spese sostenute dal Capitolo e dalComune di Iglesias per gli scavi e la causa contro Sassari –donava “in perpetuo” le Reliquie alla Città. Comunque es-se rimasero ad Iglesias per oltre 200 anni. “Pò sa festa man-na” di dopo Pasqua, tutti gli anni, seguendo la statua delSanto, esse venivano portate processionalmente nell’Isola,ma terminate le celebrazioni facevano ritorno in Città.

La popolazione risorgendo e crescendo si sentì però inqualche modo quasi orfana, senza la continua presenzadelle spoglie del suo Martire, del suo “Padre nella fede”.Quell’antica chiesa monumentale, che oggi finalmentepossiamo ammirare nel rigore della sua fattura originaria,integrata dalla catacomba testimone della fede dei priminostri cristiani, era vuota senza quel Corpo Santo, che persecoli aveva lì riposato richiamando tanti fedeli. Che quel-le Spoglie ci venissero una volta all’anno, e solo per qual-che giorno, non era sufficiente, non era naturale. Il Santodoveva ritornare

Il Comune di S. Antioco ne fa richiesta al Capitolo edal vescovo mons. Montixi, appellandosi all’impegno di re-stituzione stabilito nel 1615 da Mons. Desquivel. Ma ilCapitolo non è dello stesso parere, ed anch’esso si fa for-te della donazione in perpetuo del medesimo Desquiveldel 1621 che corregge il precedente atto. Nel giugno 1851

causa contro Sassari. In più vantava in suo favore la pre-scrizione di possesso ultra centenario. La causa si conclu-derà il 9 ottobre 1855 con la sentenza pronunciata a Cagliariin favore del Comune di S. Antioco. Le reliquie rientraronoin possesso degli Antiochensi con un magistrale colpo di ma-no nel 1853.

L’Epigrafe in atti, nonostante i trascorsi 400 anni, si tro-va ancora orfana e decontestualizzata presso il Capitolo diIglesias, in attesa, a Dio piacendo di una futura ricolloca-zione nel suo luogo di origine. L’attuale AmministrazioneComunale di Sant’Antioco, gli studiosi, gli accademici elo scrivente stanno lavorando perché ciò si realizzi.

Basilica di Sant’Antioco Martire

29 luglio 2008

VITTORIO SGARBI

Conoscevo la basilica di Sant’Antioco per averne lettole vicende nei libri di Raffaello Delogu, l’autore de

L’architettura medievale in Sardegna, certamente il testopiù noto in assoluto fra quelli che hanno trattato la storiadell’arte nell’isola.

È stato Delogu a ispirare i lavori con cui si è ripristina-ta quella che veniva considerata, allora, la condizione ori-ginale dell’edificio, risalente all’inizio del primo millennio,spogliandolo della decorazione barocca. Studi successivici hanno detto che quell’originalità è più sfumata di quan-to non si pensasse cinquanta anni fa, visto che l’edificioromanico deriva, probabilmente, dall’unificazione di unsacrario a pianta centrale, paleocristiano, con un’aula lon-gitudinale, d’epoca posteriore. Anche l’eliminazione degliintonaci, che ha lasciato gli interni in una nudità brut, èqualcosa sulla cui pertinenza filologica si potrebbe discu-tere, rispondendo più a un’idea romantica del Medioevoche alla sua realtà verificata, un po’ come la neutralità cro-matica della scultura antica va ritenuta concetto neoclas-sico piuttosto che greco-romano.

Originale o meno che sia, è certo che così come è sta-ta recuperata, la basilica di Sant’Antioco ha acquisito un

L’INTERVENTO DI SGARBI NELLA BASILICA

il Comune di S. Antioco insistee tenta la via giudiziaria. Il 29marzo 1852 il Tribunale provin-ciale di Cagliari, accogliendo lesue istanze, condanna il Capitoloalla restituzione delle Reliquie edegli arredi sacri relativi. Il Ca-pitolo appella. Inoltre nel feb-braio 1853 in favore del Capito-lo e contro il Comune Sulcitanosi schiera, come parte in causa, ilComune di Iglesias facendosi an-ch’esso forte del fatto che il De-squivel gli aveva affidato unadelle chiavi del Reliquiario, e ciòin compenso delle spese soste-nute per i lavori di scavo e per la

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fascino ulteriore, di energia strutturale e di forza concen-trata, che dal punto di vista architettonico va consideratoil suo carattere peculiare. Il restauro lo ha evidenziato almeglio, in un modo che qualunque superficie di intona-co avrebbe attutito, proponendo per essa una lettura cheoggi potremmo considerare critica, più ancora che filolo-gica, ma comunque lecita, soprattutto in virtù del risulta-to conseguito, che non fa rimpiangere per niente la per-dita delle decorazioni barocche, artisticamente poco si-gnificative.

Un caso che dimostra quanto, nella pratica, sia com-plicato concepire il restauro architettonico in un modo in-tegralmente scientifico, simile a quello che viene applica-to ai dipinti o alle sculture, qualora non si abbia l’assoluta

antico, dettata da uomini moderni, fosse stata condizio-nata dalla mentalità e dal gusto dell’epoca, è stata la piùcongeniale alla piena valorizzazione del monumento. Giàdiverso, però, è il discorso riguardante l’esterno, per il qua-le l’azzeramento delle aggiunte successive – la facciata, ilcampanile, l’edificio più alto di Sant’Antioco, nel puntopiù alto del paese, ben visibile a distanza – non ripristine-rebbe nulla di più significativo dell’attuale, ma lascereb-be, semmai, un vuoto, per quanto, a qualcuno, potrebbesembrare di sapore antico.

È vero che dal punto di vista artistico la facciata e ilcampanile non hanno niente di particolarmente rilevante,ma sono testimonianze di una storia comunque impor-tante, anche quando non la si trovasse scritta nei manualie nelle guide turistiche, appartenendo alla memoria col-lettiva degli abitanti di Sant’Antioco, alle loro vite, alle vi-te dei loro avi, così come le hanno conosciute da loro. Èuna memoria locale che va preservata e tramandata neltempo, almeno fino quando essa sarà ancora riconosciutacome un valore irrinunciabile. Non hanno motivazioni cul-turalmente qualificate, quindi, i tentativi, anche recenti,di eliminare tutti gli aspetti post-medievali della basilica,

certezza dell’aspetto e dei materiali ori-ginari. E anche quando ciò fosse statoconseguito, le problematiche non si esau-rirebbero di certo; perché andrebbe sem-pre valutato, per esempio, se un restau-ro scientifico sia realmente necessarioquando non è in grado di valorizzare almeglio i significati civili e sociali di unmonumento, potendo, in fondo, essereproposto in un plastico o nell’illustrazio-ne di un libro, che ne garantirebberougualmente la conoscenza; oppure, se ilripristino dello stato più antico di un edi-ficio sia sempre il più legittimo, azzeran-do visivamente una vicenda storica chepuò essere anche complessa e articolata,con altri episodi degni di essere ricordati,non solo dal punto di vista storico e arti-stico.

Per l’interno della basilica di Sant’An-tioco, possiamo dire che la scelta dellanudità originaria, anche se la sua idea di

nell’illusione di recuperare un’integrità storica che, comeabbiamo visto, è opinabile sotto vari punti di vista.

Al contrario, lo scarto fra l’esterno e l’interno accentual’impressione del divenire storico e fornisce un’emozioneparticolare a chi entra in questa chiesa, come un improv-viso viaggio a ritroso che conduce a un tempo remoto, so-brio, spirituale. Per ciò che mi riguarda, è un’emozione cheha suscitato anche una condizione di disagio personale,avendo potuto concedere un tempo molto ristretto alla vi-sita della chiesa, per le emergenze della vita che mi fannoessere sindaco di Salemi, un posto lontano da Sant’Antio-co, ma non tanto da Mozia, la “sorella” siciliana della pro-genitrice di Sant’Antioco, Sulci, anch’essa isola raggiungi-bile a piedi, anch’essa colonia punica alla quale fa seguito

un insediamento romano, anch’essa nucleo urbano con-traddistinto dal notevole rilievo, non solo simbolico, cheacquisiscono due luoghi di morte, la necropoli e il tophet.

Due vicende, quelle di Sant’Antioco e Mozia, che mu-tano con l’apparizione delle due nuove religioni destinatea dominare il mondo, il Cristianesimo e l’Islamismo.

Sant’Antioco, grazie al suo santo omonimo, anomalo,perché moro, nord-africano convertito, e grazie, soprat-tutto, al suo santuario, reverito in tutta la Sardegna, di-venta un avamposto della cristianità contro il pericolo isla-mico, personificato dai pirati arabi che periodicamente, fi-no all’Ottocento, devastano le sue coste.

Mozia, ormai abbandonata, non pone resistenza al-l’occupazione araba della Sicilia, origine di una conviven-za fra locali e islamici che ancora caratterizza la vicina Ma-zara del Vallo.

Nell’XI secolo, più o meno nel momento in cui i mo-naci Vittorini dovettero realizzare la basilica di Sant’An-tioco, i Normanni affidano Mozia ai Basiliani. Ma Mozianon avrà mai un santo da reverire, tanto meno un sacrarioche ne conservi le spoglie, e ciò la porterà alla morte, percerti versi provvidenziale, visto che ha favorito la preser-vazione di un patrimonio archeologico straordinario.

NAVATA CENTRALE DEL SANTUARIO

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Il ruolo delle religioni nelle vicende di Sant’Antioco edi Mozia mi invita a fare qualche riflessione sull’inciden-za che esse continuano a esercitare nelle nostre identitàculturali. La laicizzazione del mondo, figlia della civiltà in-dustriale, non è ancora arrivata, fortunatamente, a minareil presupposto storico dei nostri attuali modi di essere.

Per quanto riguarda l’Occidente cristiano, credo che lanota affermazione del laico Benedetto Croce, non possia-mo non dirci cristiani, abbia mantenuto intatta la sua va-lidità. Sono cambiati i costumi, le mentalità, il senso stes-so con cui i singoli percepiscono la fede, più personalizza-to, quindi meno legato alle ritualità di gruppo, ma non fi-no al punto di rinnegare la matrice storica del nostro mo-dello civile. Non credo sia stato casuale che le democraziemoderne siano nate sotto civiltà cristiane, condividendofra di esse molti valori sociali, a partire dall’uguaglianzadei diritti.

Immagino che anche per il mondo islamico ci sia sta-to un Benedetto Croce che abbia espresso un concettoanalogo. Magari facendo riferimento a società in cui, ri-spetto alle nostre, c’è più religione professata, ma anchemeno democrazia moderna, cosa di cui va tenuto conto.La percezione che noi abbiamo del mondo arabo è chenon esista una sola persona che non sia musulmana, piùancora di quanto non potremmo dire per gli occidentalicristiani. In realtà, le cose sono più complicate.

È vero che considerarsi musulmano corrisponde al ri-conoscimento di una specifica condizione culturale, manon di visioni del mondo equivalenti, che in taluni posso-no essere di apertura e mediazione con la modernità, ditolleranza del diverso, in altri, per fortuna pochi, di chiu-sura, di fanatismo integralista, in altri ancora, anche diagnosticismo. Ciò non toglie che tutti questi diversi modidi essere musulmano facciano riferimento a una base dipartenza comune, che è ancora determinante nel definirele formae mentis corrispondenti.

Conosco personalmente lo scrittore Tahar Ben Jelloun,marocchino di nascita, francese d’adozione, che certa-mente non è un credente, nel senso della rigorosa fedeltà auna religione confessata. Eppure si considera un musul-mano nei comportamenti, nel costume, nelle scelte, mol-ti dei quali ereditati da musulmani credenti; non potreb-be fare a meno di questa parte della sua identità cultura-le e sentimentale, che gli permette di confrontarsi in mo-do critico con la modernità occidentale, di cui riconosce imeriti anche rispetto alla sua emancipazione culturale, madi cui apprezza meno il suo essere tendenzialmente omo-logante, poco rispettosa delle diversità, anche di quelle incui lui, oggi, si riconosce solo in parte.

Il rispetto delle civiltà a matrice religiosa non dovrebbemai prescindere dalla presa di coscienza della loro diver-sità. In arte, questo è avvenuto perfettamente. L’arte oc-cidentale, figlia di quella greco-romana, pagana, ha prefe-rito esprimere il senso del bello attraverso l’idealizzazionedell’umano, replicando, per certi versi, il processo creati-vo con cui la natura è stata istillata di Dio. Nell’arte mu-sulmana, che pure non deve poco a quella greco-romana,il senso del bello si esprime in una dimensione che preva-lentemente esula dall’incarnazione umana, superando lasua condizione fisica, in una chiave di maggiore astratti-

smo mentale. Solo un ottuso occidentale potrebbe disco-noscere che l’arte musulmana sia stata incapace di espri-mere un senso del bello altrettanto dignitoso di quello del-l’arte cristiana.

Le influenze fra le due arti, strettissime in alcuni mo-menti storici e aree geografiche, dimostrano che il reci-proco interesse, e quindi la sostanziale legittimazione este-tica, è figlia del passato, non dei tempi recenti. È indub-bio, però, che per un occidentale i due modi di esprimereil senso del bello non siano equivalenti; uno fa parte inte-grante della sua identità culturale, essendo ancora motivovivo della propria esistenza, l’altro lo è certamente di me-no. Altrettanto, naturalmente, potrebbe dire un musul-mano. L’una e l’altra mentalità meritano lo stesso rispet-to, ma senza che ciò porti a considerarle uguali: solo unprocesso autoritario, di genocidio culturale, potrebbe far-le diventare tali.

Non siamo uguali neanche quando fra uomini di di-versa matrice culturale si stabiliscono convivenze felici,come quelle che contraddistinguono già il mondo di oggi,e sempre più lo saranno in quello di domani.

Salemi è un simbolo storico esemplare della conviven-za interreligiosa, avendo ospitato, fin dal Medioevo, unacomunità ebraica e una musulmana vicino a quella cri-stiana, ognuno con una propria zona di appartenenza. Icristiani ottusi, che non vivevano a Salemi, né compren-devano il modello civile che proponeva, troppo evolutoper un mondo che ancora, in nome del dio migliore, con-cepiva la contrapposizione delle civiltà, dicevano che erauna città di Satanasso.

Rischio che certamente non corre Sant’Antioco, luogoche simbolicamente può forse proporre un altro modellodi convivenza, ancora cristianocentrico, che prevede laconversione dell’etnicamente diverso. Luogo che in ognicaso, nell’identificare il proprio nome con quello del santopatrono, esibisce immediatamente l’orgoglio della propriaidentità storica e culturale, irrinunciabile, antica, eppuremodernissima nello stabilire la relazione fra livello civile ereligioso, se è vero che si riconosce nel culto di uomo dicolore. Concludo con la felicità di essere stato a Sant’An-tioco, e di avere avuto il saluto del parroco Don DemetrioPinna e del Sindaco Mario Corongiu, uniti nel nome diSant’Antioco a cui io stesso invio il mio pensiero devoto.

SULKY FENICIA E PUNICAPIERO BARTOLONI

L’antica storia della Sardegna, e quindi anche quelladella città di Sulky, è strettamente legata ai vecchi rac-

conti e alle antiche leggende, come del resto lo è quella ditutte le altre regioni del mondo e soprattutto dell’anticoMediterraneo. Purtroppo, per quanto riguarda in modospecifico l’isola, le opere degli antichi scrittori greci e lati-ni risultano particolarmente povere di notizie e queste ul-time nella maggior parte dei casi sono legate sovente adavvenimenti mitici, nei quali il sostrato fenicio è appenapercepibile o, addirittura, assente, e quindi sono da consi-derare per lo più fantasiose e quanto meno imprecise1.

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Ciò perché con ogni probabilità gran parte del mondogreco non aveva una diretta conoscenza della Sarde-gna e quindi vedeva l’isola come una lontana terra mi-steriosa e felice2, mentre, il mondo romano, acerrimo ne-mico di Cartagine, aveva una visione distorta dalla pro-paganda politica.

Altrettanto misere e generiche sono le fonti dirette,derivanti dalla tradizione fenicia e punica, poiché raresono le iscrizioni rimaste e le poche sopravvissute sonoprevalentemente di argomento religioso ovotivo3. Si consideri ad esempio che lescarse iscrizioni con più parole di sensocompiuto rinvenute fino ad oggi aSulky riguardano la dedica di un tem-pio da parte di un privato cittadino aduna divinità femminile4 o la dedicadi una coppa da parte di alcunimagistrati ad un’altra divinità ma-schile5. Pertanto, la ricostruzionedell’antica storia dell’isola risultaparticolarmente difficoltosa e an-cor più lo è quella dell’agglome-rato urbano di Sulky. Comunque,un indispensabile aiuto è dato dal-le indagini archeologiche che sonostate effettuate in Sardegna6 e inparticolare a Sulky e nel suo cir-condario nel corso dell’ultimo seco-lo e che almeno in parte sopperisco-no al desolante quadro7.

Le prime tracce di vita a Sant’Antioco sono da collo-care in epoca neolitica, anche se la morfologia e la strut-tura dell’isola ne fanno da sempre una ovvia fortezza na-turale e quindi consentono di ritenere che abbia costituitoun rifugio eccellente per l’uomo fin dalle epoche più re-mote. Comunque, le prime tracce di stanziamenti umaninell’isola di Sant’Antioco sono rappresentate da duemenhirs, cioè da due stele monolitiche erette lungo l’ist-mo che collega la Sardegna all’isola.

Più consistenti testimonianze di vita nell’isola diSant’Antioco sono da collocare sempre in epoca neolitica,in questo caso attorno al 2500 a.C. I resti più concreti so-no rappresentati da alcune Domus de Janas, del tipo co-stituito da non più di due celle successive. Si tratta di al-cune camere ipogee scavate nel tufo, praticate in un rilie-vo retrostante la spiaggia di Is Pruinis.

Il nuraghe più imponente e di maggiore interesse delcircondario era quello situato sul culmine della collina delcastello sabaudo che domina la città. Si trattava di un nu-raghe di tipo complesso, formato cioè da una torre cen-trale – forse ma non necessariamente la più antica dell’e-dificio – circondata da almeno altre due torri collegate traloro. Ciò è quanto emerge dalle fondazioni dell’edificio dietà fenicia e dalla torre di età punica che sono stati erettisul nuraghe e che attualmente sono in parte inseriti nellestrutture del suddetto castello, eretto nel XVIII secolo del-la nostra era. Il nuraghe, probabilmente attivo nella suafunzione primaria tra il 1400 e il 1200 a.C., fu certamen-te abitato fino ai primi anni dell’VIII secolo a.C. e sussi-

stono tracce della presenza di un villaggio dicapanne circolari nel pendio che si apre a

nord della torre8.Le prime testimonianze di una presenza sta-

bile dei Fenici, ultimi a giungere in Sardegna do-po i naviganti micenei, nord-siriani e ciprioti,sono databili attorno al 780/770 a.C. e anchea Sulky se ne notano chiari indizi, anch’essi at-tribuibili a questo periodo. Infatti gli oggettipiù antichi rinvenuti nell’area dell’abitato so-

no databili non dopo il 780/770 a.C.9 Gra-zie a questi elementi archeologici, che av-

vicinano la data di fondazione dell’anti-ca Sulky a quella di Cartagine, che tradi-zionalmente si pone nell’814 a.C., allostato attuale delle ricerche la città è daconsiderare la più antica tra quelle edifi-cate dai Fenici in Sardegna.

Non è neppure lontanamente immagi-nabile che tutti gli abitanti di cultura feni-

cia che si insediarono a Sulky e successiva-mente a Monte Sirai così come in tutte lealtre città di fondazione fenicia della costasarda fossero di origine orientale. Si devepensare piuttosto ad una popolazione mistae composta da una minoranza di Fenici diOriente e da una maggioranza abitanti distirpe nuragica. La presenza di forti nucleidi genti di origine autoctona e la reale pos-

sibilità di matrimoni misti soprattutto nei pri-mi anni della fondazione delle città è suggerita ad esem-pio da alcune testimonianze legate alle pratiche funerariepiù antiche in uso nel circondario e da alcuni oggetti diuso quotidiano, come tra l’altro le pentole, che, come for-ma esteriore, erano senza dubbio di tipo nuragico, ma era-no fabbricati con l’uso del tornio e, dunque, con una tec-nologia importata dai Fenici10. L’abitato fu impiantato suuna dorsale formata da rocce trachitiche o, meglio, ignim-britiche, che correva parallela alla costa e separata dai ri-lievi retrostanti, costituendo una ulteriore difesa naturale.

Dunque, i Fenici si insediarono stabilmente a Sulky at-torno al 780/770 a.C. costruendo un centro abitato chefin dall’origine era di notevoli dimensioni e che si disten-deva sul pendio ad est della vecchia torre nuragica11. L’ag-glomerato urbano originario occupava una superficie dicirca quindici ettari, praticamente di pari estensione aquella relativa al centro abitato di età medievale12. La ne-cropoli di età fenicia invece si estendeva lungo la costa asud della città, alle spalle dell’antico porto ed aveva unaestensione di circa tre ettari13.

Non ci è nota nei dettagli la struttura urbanistica glo-bale dell’insediamento o la totalità della rete viaria origi-nale né conosciamo la topografia dettagliata dell’anticoabitato fenicio, ma solo una parte delle strutture murarieche le componevano emergono nell’area dell’abitato mo-derno. Si è potuto constatare che le abitazioni di epoca fe-nicia erano del tipo consueto in madrepatria e in generein tutta l’area del Vicino Oriente, cioè formate da più am-bienti raccolti attorno ad un cortile centrale.

FIALA IN FAIENCE

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In ogni caso, grazie alla sua vastissima rete commercia-le e ai suoi due porti a cavallo dell’istmo, quello lagunare equello del Golfo di Palmas, la città divenne in breve tem-po una metropoli di grande ricchezza e passò a controlla-re il territorio della Sardegna sud-occidentale che ancoraoggi porta il nome di Sulcis. Le testimonianze delle sue at-tività commerciali sono emerse dagli scavi effettuati nel-l’abitato e ci parlano fin dalla prima metà dell’VIII secoloa.C. di rapporti stabili con Tiro e con le altre città feniciedella madrepatria orientale, di legami con Cadice e con glialtri centri fenici dell’Andalusia, di scambi fittissimi con ilmondo etrusco e con l’ambiente greco dell’Eubea e dellecolonie della Magna Grecia14.

La comunità fenicia trascorse nell’abitato di Sulky unperiodo di circa duecentocinquanta anni di tranquilla at-tività commerciale, agricola e domestica fino a quando –attorno al 540 a.C. – Cartagine, città fenicia di stirpe tiriacollocata sulla costa africana tra la Sicilia e la Sardegna, se-guendo una politica imperialista volta alla conquista deiterritori costieri del Mediterraneo occidentale, decise diporre piede in Sardegna per impadronirsene ed inserirladi fatto nel suo territorio metropolitano15. Già da tempola città nord-africana sembrava aver manifestato le sue mi-re espansionistiche, fondando alcune colonie in area nord-africana, ma solo attorno alla metà del VI secolo a.C. que-sti propositi presero realmente corpo in tutta la loro vio-lenza e drammaticità con l’invasione della parte occiden-tale della Sicilia e con la conseguente conquista di Mozia edei centri fenici presenti nel territorio. Infatti, con due suc-cessive invasioni, l’una avvenuta appunto attorno al 540 el’altra verso il 520 a.C., Cartagine invase la Sardegna. Èampiamente noto il susseguirsi degli eventi, cioè comedapprima giungesse nell’isola un esercito al comando delgenerale Malco, già vittorioso in Sicilia. Narrano le anti-che e purtroppo avare fonti che il comandante cartagine-se, dopo alterne vicende, fu duramente sconfitto, proba-bilmente da una coalizione di città fenicie alla cui testa eraverosimilmente Sulky, e costretto a reimbarcarsi versoCartagine. Non è da escludere che contro l’esercito carta-ginese intervenissero anche truppe nuragiche, sia come al-leate, sia come mercenarie delle città fenicie.

Ancorché momentaneamente sconfitta, Cartagine con-tinuò a sviluppare la sua politica egemonica volta alla su-premazia nelle acque del Mar Tirreno. Ne sono prova glieventi sfociati con la battaglia navale combattuta nel Ma-re Sardonio, da localizzare probabilmente nelle acque del-la Corsica, forse ad Alalia, e l’alleanza con la città etruscadi Caere, attuale Cerveteri, posta in evidenza dalle ben no-te lamine auree di Pyrgi16.

In seguito – attorno al 520 a.C. – Cartagine effettuòun ulteriore tentativo e le sue armate passarono sotto ilcomando di Asdrubale e Amilcare figli di Magone, con-quistatore della penisola iberica. Questa volta gli eserciticartaginesi ebbero ragione della resistenza opposta dagliabitanti delle città fenicie di Sardegna. Infatti, come sievince dalle significative tracce di distruzione, le ostilitàdella città nord-africana erano rivolte soprattutto nei con-fronti di questi centri e perciò soprattutto verso Sulky.

Quindi, dopo aspri combattimenti, Cartagine si impa-dronì saldamente della Sardegna, tanto che, già nel 509a.C., nel quadro del primo trattato di pace con Roma, tra-mandatoci dallo storico greco Polibio, l’isola, se non eraletteralmente assimilata al suo territorio metropolitano,era posta strettamente sotto controllo tanto che ai navi-ganti stranieri era impedito lo sbarco e la realizzazione diqualsiasi forma di commercio se non in presenza dei fun-zionari cartaginesi.

In ogni caso, come gran parte delle città fenicie di Sar-degna, anche Sulky uscì gravemente danneggiata dallaconquista cartaginese. La metropoli africana, che avevaconquistato la Sardegna per impadronirsi soprattutto del-le considerevoli risorse agricole dell’isola, inserì anche nel-la città sulcitana dei coloni trasportati dalle coste del Nord-Africa. Molte zone dell’isola, soprattutto quelle collinari,furono abbandonate poiché inadatte all’agricoltura di ti-po latifondista attuata da Cartagine, mentre numerosi nuo-vi insediamenti sorsero nelle pianure17. Dunque, mentrenei secoli precedenti l’isola aveva costituito un fonda-mentale nodo di scambio tra Oriente e Occidente e tra ilSettentrione e il Meridione del Mediterraneo, l’intera Sar-degna fu praticamente assimilata al territorio metropoli-tano di Cartagine e fu totalmente e rigorosamente chiusaai commerci internazionali. In particolare, cessarono tut-te le importazioni dall’Etruria e dalla Grecia, mentre fu-rono consentite unicamente quelle sottoposte all’egida ealla mediazione di Cartagine e sotto il rigido controllo deisuoi funzionari.

I nuovi abitanti, forse anche di origine berbera e quin-di portatori di una nuova cultura e di nuove usanze, tro-varono una sistemazione nell’area dell’abitato fenicio equindi ripristinarono una parte degli edifici, edificandonenuovi sulle rovine di quelli danneggiati dall’invasione.

Dopo la sua conquista, il centro di Sulky fu abitato an-che da famiglie di stirpe nord-africana, come si deducedalla presenza nella necropoli punica, relativa appunto aquesto periodo.

Infatti, mentre in epoca fenicia, a Sulky come nei re-stanti insediamenti fenici di Sardegna e in genere del Me-diterraneo occidentale, era in uso soprattutto il rito del-l’incinerazione del corpo in piccole fosse, in età punica,vale a dire dopo la conquista cartaginese, divenne preva-lente il rituale dell’inumazione dei defunti, che venivanosistemati all’interno di tombe a camera ipogea18. La ne-cropoli di Sulky è composta in prevalenza da tombe sot-terranee, disposte talvolta su due livelli e a profondità dif-ferenti, e si estende per una superficie di oltre sei ettari anord e a ovest dell’antico abitato19. Questo si distendevaa est della collina del Castello e scendeva verso il mare.

Nella prima età punica Sulky subì un periodo di crisi,conseguente alla sua emarginazione commerciale e alla re-lativa depressione economica, fino al terzo quarto del IVsecolo a.C. circa, presumibilmente il 380/370 a.C. Attor-no a questa data Cartagine decise di ristrutturare, amplia-re e fortificare alcune tra le città più importanti della Sar-degna e tra queste inserì anche il centro abitato di Sulky20.Quindi anche Sulky fu fortificata e, grazie anche alla sua

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felice posizione naturale, fu resa praticamente inespugna-bile. Le parti dell’abitato troppo distanti per essere inseri-te nella cerchia delle mura, come ad esempio il tofet21, fu-rono dotate di specifiche fortificazioni22.

In seguito allo scoppio della prima guerra punica, che,come è noto, ebbe una durata di circa cinque lustri, tra il264 e il 241 a.C., allo scopo di prevenire eventuali sbar-chi di contingenti militari romani, nei centri fortificati fu-rono insediate alcune guarnigioni costituite da truppe mer-cenarie, all’epoca soprattutto di provenienza iberica, ba-learica, ligure e campana.

Sulky infatti fece parte del teatro delle operazioni e inparticolare di un importante scontro navale nel corso del-la I guerra punica. Da quanto ci è tramandato nella narra-zione dello storico Zonara, l’ammiraglio cartaginese An-nibale, che aveva stanziato la sua flotta nel Portus Sulcita-nus, verosimilmente il Golfo di Palmas, subì nel 258 a.C.una dura sconfitta in mare da parte del console C. Sulpi-cio Patercolo. Il comportamento di Annibale, giudicato im-belle dai propri soldati per aver abbandonato gran partedella flotta in mano ai nemici ed essersi rifugiato in città,fu punito con la morte. Zonara, come anche il greco Poli-bio e il romano Livio tramandano addirittura che l’ammi-raglio fu crocefisso, mentre Orosio scrive che fu lapidato.

La sconfitta cartaginese dovette essere un fatto tal-mente inconsueto che il senato romano concesse a C.Sulpicio Patercolo gli onori del trionfo il 6 ottobre del258 a.C.

Poco tempo dopo, comunque, la superiorità navale deiCartaginesi prevalse allorché in un nuovo attacco all’isolaentrò in azione il generale punico Annone infliggendo unadura e decisa sconfitta alla flotta romana.

Subito dopo la fine della prima guerra punica nel 241a.C., che vide il passaggio della Sicilia sotto il dominio ro-mano, i centri del Nord-Africa e della Sardegna furonoscossi da una rivolta delle truppe mercenarie di guarni-gione che reclamavano la loro paga arretrata. Come è am-piamente noto, Cartagine, ingaggiata nei territori della pro-

Epigrafe BEATI SANCTI ANTHIOCI

GIORGIO PINNA

Le rivalità secolari tra Cagliari e Sassari agli inizi delXVI secolo si aggravarono sempre più allorquando la

contesa investì le sedi arcivescovili sarde per vantare il ti-tolo di “primaziale”, e quindi sul diritto degli arcivescovidi potersi fregiare dell’intestazione di “primate di Sarde-gna e Corsica”.

I due schieramenti si scontrarono sulla vetustà di fon-dazione urbana: Sassari, con l’umanista G. Francesco Fa-ra, arciprete sassarese, derivò la propria dai “Vetulonesi”(Etruschi) nel 1580 a.C.23, mentre la rivale Cagliari ven-ne dichiarata fondata dai Cartaginesi nel 518 a.C., ovveropiù di mille anni dopo. Sassari, con Torres, asseriva la fon-dazione apostolica della propria sede con Paolo; Cagliaridichiarava la specifica origine da Clemente, futuro papa ediscepolo di Pietro.

Altro oggetto del contendere fu il numero e la gloriadei martiri; la dedica latina BM invece di essere letta cor-rettamente come “Bonae Memoriae” veniva liberamenteinterpretata come “Beatus Martyr”. I propri santi veniva-no esaltati a dismisura contrariamente a quelli della parteavversa che venivano sistematicamente denigrati: a Luci-fero, antico vescovo di Cagliari, i Sassaresi, poggiando sul-l’autorità di Cesare Baronio autore degli Annales ecclesia-stici, contestavano la santità e l’ortodossia.

La guerra di santi e martiri tra le due sedi arcivescovilisfociò nella ricerca dei corpi santi incominciata nel 1614dall’arcivescovo di Sassari Gavino Manca Cedrelles, cheportò al ritrovamento, nella cripta della basilica di San Ga-vino presso il porto di Torres, dei sepolcri e delle reliquiedei martiri turritani Gavino, Proto e Ianuario. La rispostafu immediata allorché, nel novembre dello stesso anno,l’arcivescovo di Cagliari Francisco de Esquivel fece svol-gere degli scavi presso la chiesa paleocristiana di San Sa-turno, dove vennero scoperti i resti dei santi Cesello e Ca-

EPIGRAFE DI S. ANTIOCO

vincia nord-africana, quindi pra-ticamente alle porte di casa, unalotta inespiabile e mortale controi suoi antichi soldati, dopo aversubito un assedio e dopo aspri eviolentissimi combattimenti, vin-se la sfida a caro prezzo. Infatti,poiché secondo l’interpretazionedel senato romano, in deroga altrattato di pace impostole dopola fine della Prima Guerra Puni-ca, Cartagine era entrata in guer-ra contro le sue truppe mercena-rie, la metropoli africana fu co-stretta da Roma a cedere la si-gnoria della Sardegna. Dunque,senza colpo ferire, l’intera isola,e con essa Sulky, cadde sotto ildominio di Roma nel 238 a.C.

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merino. Altri centri imitarono i capoluoghi: nel 1615 fu-rono trovate le spoglie di San Simplicio a Terranova,Sant’Imbenia a Cuglieri, Sant’Archelao a Fordongianus edinfine il 18 marzo dello stesso anno nell’isola sulcitana fufatto il rinvenimento del corpo di Sant’Antioco; segnandoun punto favorevole e determinante all’arcidiocesi di Ca-gliari.

Il P. Tommaso Napoli24 fornisce di questo episodiouna colorita descrizione: «Dopo aver fatto ognuno i suoi vo-ti, e preghiere per ottener da Dio il desiato effetto, e proposto dipassar quel dì a pane ed acqua entrarono con gran devozio-ne nella catacomba, e per divina disposizione colpirono subi-to nel segno; poiché essendovi a piè della scala nell’ingressodella grotta un piccolo altare ornato di sei colonnette, una didiaspro, tre di marmo bianco, e due altre di differenti pietre,levarono una gran tavola di marmo che serviva di ara a det-to altare, sopra la quale erano scolpite con lettere Gotichemolto chiare sette linee contenenti la seguente iscrizione:

Questa iscrizione l’aveano tempi avanti già letta, e anchecopiata persone dotte, senza però capirne bene il senso, ma to-sto che la lessero i sopradetti Canonici, o Religiosi stimaronofondatamente, che in quel sito, e sotto quell’altare fosse se-polto il corpo del Santo. Ruppero dunque lo smalto molto for-te, e duro, su cui era fermata la detta tavola, e nel centro diesso altare apparve una piccola volta, rotta la quale, scopri-rono dentro di essa una sepoltura molto ben fabbricata di pie-tre, e calcina, e dentro smaltata incorporata nell’istesso alta-re, ed in essa il corpo del glorioso Martire posto in modo, chela testa corrispondeva alla parte dell’ara, ove erano le paro-le BEATI S. ANTIOCHI».

L’autenticità dell’epigrafe fu sostenuta da TheodorMommsen, grazie al contributo di un suo giovane colla-boratore Johannes Schmidt che visitò la Sardegna nel1881, ed inserita nel X volume del Corpus InscriptionumLatinarum pubblicato nel 1883 con il n° 7533; non primad’aver chiesto il parere dello studioso G.B. De Rossi. Il 23maggio 1881 il Mommsen trasmise al De Rossi il calcodell’iscrizione sulcitana, invitando l’amico ad ammorbidi-re le riserve sull’autenticità di un testo che non poteva es-sere medioevale26; lo stesso De Rossi aggiunse: «L’iscri-zione credo sia stata in origine nell’abside in lettere di mu-saico o di pittura imitante il musaico così:

† AULA MICAT UBI cinis (?) CORPUSque BEATumANTIOCHI SCI QUIEBIT IN GLORIA

sic splendet VIRTUTIS OPUS REPARANTE MINISTRO cet.

È evidentemente mutila, composta di emistichi dei for-molarii delle epigrafi metriche dei musaici, male riusciti,come si faceva circa il secolo VIII e IX ed anche prima.Un falsario non saprebbe inventare questa razza di cento-ni; di ciascuno degli emistichii potrei citarvi plus minusl’autorità originale. Poi fu fatta in marmo la copia mutilae guasta, che anche oggi esiste».

Rilevante a tal proposito è l’annotazione di O. Maruc-chi sulle iscrizioni metriche27: «Le iscrizioni cristiane me-triche a differenza delle pagane non sono scritte generalmen-te con eleganza anzi spesso ci si presentano rozze ed anche er-ronee nella misura dei versi: quindi devono dirsi piuttosto rit-miche che veramente metriche. Dal primo al quarto secolo ta-li epigrafi sono quasi tutte sepolcrali semplici e brevissime. Es-se ci offrono spesso centoni di poeti antichi, versi intieri odemistichi presi in prestito dai classici autori...».

All’autorità del Mommsen e De Rossi si appoggiaronodiversi autori; G. Dettori considera: «Il culto di Antioco aSulcis è molto antico, poiché in un’iscrizione mutila del sec.VIII o IX, che sembra, però, la copia di un’altra più antica,trovata nel sec. XVII nella catacomba sottostante all’attualechiesa a lui dedicata, si allude ad una chiesa ornata conmarmi e dedicata al santo dal vescovo Pietro, vissuto proba-bilmente nel sec. VI»28.

R. Serra anticipa di un secolo il periodo di riferimen-to: «Di imprecisabili lavori d’“abbellimento marmoreo”, peri quali un’aula “riluce e acquista nuovo splendore”, parla l’i-scrizione del vescovo Pietro, databile fra VII-IX sec. e varia-mente interpretata»29. Non si discosta dal periodo L. Por-ru: «Se ancora non si è in grado di chiarire i nessi che nonsembrano generici fra Sulci e Roma nei primi secoli dell’Al-tomedioevo, indiscutibilmente se ne trae conferma della ge-nesi metrica della nostra epigrafe, che in più punti lascia per-cepire cadenze ritmiche; può dunque fondatamente fissarsiagli inizi del VII sec. il post quem per l’intervento del vesco-vo»30. Ma, nell’introduzione dello stesso testo, discorren-do dello studio di R. Coroneo sull’arredo architettonicodel Santuario, il massimo studioso e archeologo sardo Gio-vanni Lilliu considera: «Il primo gruppo consta di otto fram-menti (nn. 1-8 del pregevolissimo Catalogo), datati V-VI se-colo, costituenti residui di pluteo, ciborio e altri parti di arre-do da riferire verosimilmente al martyrium. È in questi ele-menti, taluni inscritti con lettere greche e latine e tutti deco-rati con motivi a pelte, croci e vegetali, che si devono ricono-scere (a mio avviso) i “titoli” e i “marmi” vantati nell’epigra-fe di Petrus antistes, per cui brillava l’aula (aula micat) doveil corpo di S. Antioco dormiva nella gloria delle sue virtù(quiebit in gloria virtutis). I pezzi stilisticamente e per l’ico-nografia sanno della tradizione artistica tardo-antica»31.

Dalla datazione dell’epigrafe non si può disgiungere lafigura storica del vescovo Pietro; Alberto de La Marmorain risposta alla tesi del Mattei in Sardinia Sacra: «Ce prélatn’était pas, comme on l’a cru, un archevêque de Cagliari,mais un évêque de Sulcis et il se nommait Pierre Pintor»32;e d’accordo con il Martini della Storia ecclesiastica di Sar-degna, Vol. III, colloca il vescovo Pietro nel periodo com-preso tra il 1122, anno in cui Alberto, monaco cassinese,fu ordinato vescovo dal Pontefice Callisto II, e l’anno 1163

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nel quale il vescovo Aimone compare come garante in unadisputa tra l’arcivescovo di Cagliari ed i monaci di San Sa-turnino. I due prelati, Aimone ed Alberto, compaiono nel-l’iscrizione murata nella facciata dell’antica cattedrale diTratalias. D’accordo con il Martini ed il La Marmora è S.Pintus, che afferma: «Quest’iscrizione è interessante, perchéci fa conoscere il tempo in cui la chiesa fu abbellita dal ve-scovo Pietro, al cominciare del secolo XII»33. Infine, in ordi-ne temporale, F. Pili sulla traccia di altri autori sardi con-tinua a considerare il vescovo Pietro reggente la cattedrasulcitana nel XII secolo: «...l’antica iscrizione latina Aulamicat ricalcata, probabilmente, dal vescovo Pietro (sec. XII),a seguito degli abbellimenti da lui apportati al tempio sulci-tano, su altra più breve e più antica (sec. V?)»34.

Voce solo in parte dissenziente è quella di B.R. Motzo:«Avendo avuto occasione di esaminare l’iscrizione il cui mar-mo è intero e occupato solo per metà dal testo, mi sono con-vinto che è autentica e che fu posta nella cripta dove giacevail corpo del santo in occasione di lavori eseguiti nel VI-VIIIsecolo. Essa è il più antico monumento storico che menzionis. Antioco. Ignoto è il Petrus antistes che vi è ricordato: il Mat-tei vide in esso l’arcivescovo di Cagliari Pietro che viveva ver-so il 1126; il Martini lo rivendica alla chiesa sulcitana mail suo tentativo di precisarne l’epoca con l’aiuto della dona-zione di parte del salto di Marzana a s. Cristina fatta da Co-stantino-Salusio (1130-1102?) è vano, poiché il Pietro Pin-tori che vi è ricordato era vescovo di Suelli non di Sulcis. Trat-tasi più probabilmente d’un vescovo della sede di Sulcis nelVI-VIII secolo»35.

Procedendo nella storia degli studi incontriamo dueSardi sul trono di S. Pietro, S. Ilario (461-468) e S. Sim-maco (498-514). Papa Simmaco viene citato da F. Lanzo-ni36: «Quando vivesse il vescovo Pietro, certamente di Sulci,che dedicò quell’antica chiesa o basilica in onore di s. Antio-co, non si sa. A ogni modo l’iscrizione, di cui ci occupiamo,potrebbe risalire al VI secolo, non oltre, contenendo evidentireminiscenze di epigrafi metriche cristiane del secolo V. Infat-ti l’ultimo distico quasi per intero si legge in un’iscrizione ro-mana di papa Simmaco (498-514)»37; da notare in questacitazione che F. Lanzoni considera il vescovo Pietro comeSulcitano. Simmaco, originario, secondo la tradizione, delpaese di Simaxis presso Oristano, fu eletto papa il 22 no-vembre del 49838.

E. Diehl nell’edizione del 1961 delle Inscriptiones La-tinae Christianae Veteres mette in accostamento la nostraepigrafe, al n° 1791, con una iscrizione, al n° 1788, rinve-nuta nell’Isola Sacra nei pressi del Porto Ostiense all’in-terno della basilica di s. Ippolito, distrutta da Gensericonell’anno 455 e ricostruita dal vescovo di Porto Pietro nel-l’anno 46539; l’iscrizione è oggi perduta. Un frammentofu ritrovato nella chiesa di S. Giovanni Calibita a Roma40,la trascrizione riferita è di questo tenore:

† Vandalica rabies hanc ussit martyris aulam,quam Petrus antistes cultu meliore nouata(m)

Analizzando questa iscrizione troviamo non solo unaassonanza metrica, rilevabile anche più estesamente in al-tre iscrizioni dello stesso periodo, con la nostra epigrafe

ma una corrispondenza delle origini molto stimolante alfine di inquadrare correttamente il periodo storico.

La città di Porto (Portus ostiensis, Portus urbis Romae)edificata nel I secolo nasce come alternativa portuale adOstia, soggetta a frequenti insabbiamenti41, si afferma neltardo impero ospitando un nucleo cristiano documentatoda un ricco corredo epigrafico; attualmente l’antico nu-cleo urbano non è più esistente come tale ed il territorioper la più parte ricade nell’area demaniale dell’aeroportointercontinentale di Fiumicino, già proprietà dei principiTorlonia. La città di Porto era nota nell’antichità per esse-re stata la probabile dimora di Sant’Ippolito, la cui storiaè molto oscura; qui fu costruito il grande xenodochium, odospizio, di Pammachius per accogliere i pellegrini diretti aRoma42. Nel 410, Roma e Porto furono saccheggiate daAlarico, re dei Visigoti.

Nel giugno del 455 Porto subì l’attacco ed il saccheg-gio dei Vandali di Genserico, i quali incendiarono e di-strussero l’aula martyris, identificata con la basilica diSant’Ippolito. Anche Ostia e Roma subirono l’affronto delsaccheggio. Porto fu costituita in diocesi nel III secolo di-ventando ben presto sede suburbicaria; al cardinale ve-scovo di Porto-Santa Rufina compete la qualifica di sub-decano facente parte del collegio cardinalizio.

Nel 465 il vescovo di Porto Pietro partecipa al conci-lio romano indetto dal papa Ilario; nel 474 nella cattedra-le di Porto, oramai riattivata, ebbe luogo l’ordinazione delvescovo Glicerio.

A. Mastino ritiene che la dominazione vandalica in Sar-degna vada collocata ben oltre il sacco di Roma del 2 giu-gno 45543, perché ancora nel 458 la Sardegna non rico-nosceva l’autorità di Genserico; ed aggiunge: «Del resto laprovincia Sardinia fu amministrata dai re vandali con rela-tiva mitezza...: già l’effimera riconquista della Sardegna nel466, avvenuta forse su sollecitazione del papa sardo Ilaro(anni 461-468) con l’intervento di Marcellino che riuscì sen-za troppa difficoltà a travolgere le piccole guarnigioni vanda-le stanziate nell’isola, dimostra come i Vandali si limitasse-ro a controllare soltanto alcune località, lasciando la massi-ma libertà ai Sardi dell’interno ed agli stessi Mauri trasferi-ti dalla Cesariense ed esiliati da Genserico in Sardegna, con-finati assieme alle loro donne, che avrebbero rappresentatoun problema solo qualche decennio dopo, in età bizantina».

Il papa Ilario (461-468) è il successore di Leone I Ma-gno (440-461); i Bollandisti nella Vite dei Santi44 scrivo-no: «Ilaro o Ilario, figliuolo di Crispiniano, cui credesi origi-nario di Sardegna, era diacono della Chiesa romana sotto ilpapa san Leone, e gli aveva dato tali prove di capacità, di ze-lo e di virtù, che questi lo scelse per uno dei legati da lui in-viati, l’anno 449, in Oriente ad assistere in suo nome ed inquello di tutti i vescovi di Occidente al concilio convocato adEfeso, a causa della nuova eresia degli Euticheti... Dopo lun-ghe fatiche pel servizio della Chiesa, il papa san Leone lasciòvacante la sede apostolica con la sua morte accaduta il 30ottobre dell’anno 461. Nessuno fu giudicato più degno di oc-cuparla del diacono Ilaro, di cui questo santo papa erasi ser-vito tanto utilmente negli affari più importanti avvenuti sottoil suo pontificato. Fu consacrato il 12 novembre seguente...

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Sin dal principio del suo pontificato, scrisse una lettera circo-lare per condannare novellamente Nestorio ed Eutichete, eper confermare i concilii di Nicea, il primo di Efeso, e quellodi Calcedone. ...Questo santo papa, sempre applicato a cor-reggere gli abusi ed a fare salutari regolamenti per tutta laChiesa, tenne un nuovo concilio a Roma, il 17 novembre del-l’anno 465, con i vescovi andati a celebrarvi il giorno dellasua ordinazione, che cadeva il 12 di questo mese... Dicesi,che questo concilio particolare durò più di un anno, dal chepuò giudicarsi il gran numero di costituzioni ch’egli vi fece pelbene della Chiesa». Ilario fu accusato dai suoi contempo-ranei di eccessivo mecenatismo; utilizzò le donazioni diricche famiglie patrizie romane per arricchire e decorarecon marmi e statue preziose diverse chiese, tra le quali SanPietro, San Paolo e San Lorenzo, dotandole anche di stru-menti per le funzioni sacre in oro ed argento. Dunque, ilpapa Ilario era originario della Sardegna, proseguì l’operadi Leone Magno con una incessante attività diplomatica efu assertore del primato del vescovo di Roma, al qualecompete sollecitudo et auctoritas verso tutta la Chiesa nel-le sue varie diocesi.

Nel 594 il vescovo di Porto Felice e Ciriaco, abate diSant’Andrea al Celio, furono inviati in Sardegna come mi-nistri dal papa Gregorio Magno45. Felice era il latore per ipossessores sardi di una lettera dove venivano spronati adagire per la conversione dei propri contadini, che pratica-vano il culto degli idoli; al duca di Sardegna Zabarda con-segnò una missiva di elogio per le buone azioni compiutee al duca barbaricino Ospitone recapitò una nota di insi-stenza per la conversione dei barbaricini con l’invito a for-nire aiuto, in qualsiasi modo, al “nostro confratello vesco-vo Felice”.

A questo punto si possono fare alcune ipotesi: Sulcicondivide con Porto l’invasione ed il saccheggio dei Van-dali; il vescovo Pietro di Porto, con prerogative simili a Fe-lice, viene inviato a Sulci per rinnovare lo splendore delMartyrium, avendo già operato per la ricostruzione dellacattedra di Porto. Pietro antistes opera in qualità di mini-stro del pontifex Christi, cioè il papa Ilario, di origini sarde,che ben conosceva la realtà religiosa della Sardegna datoche si sarebbe formato spiritualmente e culturalmente aCagliari46.

In questo periodo possiamo considerare il seggio ve-scovile sulcitano vacante o non ancora costituito; fu il ve-scovo Pietro in rappresentanza di Ilario ad istituirlo? Il ve-scovo Vitale, il primo conosciuto per Sulci, è presente alconcilio di Cartagine nel 48447.

Il titolo di Antistes, in sostituzione di episcopus, fu dipreferenza adoperato nelle epigrafi metriche48. L’intesta-zione di pontifex, in uso nel culto pagano, non fu impiega-to nei primi secoli del cristianesimo; nel secolo V, ormaisconfitto il paganesimo, fu utilizzato come titolo per Leo-ne I Magno nell’iscrizione dell’arco trionfale a San Paolosull’Ostiense, anno 443-44949.

L’epigrafe dettata dal Petrus antistes, e poi negligente-mente interpretata dal lapicida, così come il restauro ed ilriacquistato splendore del Martyrium possono pertanto ri-tenersi risalenti agli anni 465-468.

Il culto in Sardegna di Sant’AntiocoSulcitano

GRAZIA VILLANI

Il primo martire della Sardegna

“G lorioso protho Martir de Çerdeña”: così viene accla-mato sant’Antioco nella sua Passio, pervenutaci in

copia seicentesca dal presunto originale dell’XI secolo.In effetti, stando a ciò che tramanda la tradizione,

sant’Antioco visse e morì nell’isola di Sulci durante il re-gno dell’imperatore Adriano (117-138): in ordine di tem-po, risulterebbe essere, quindi, il primo martire della Sar-degna.

Dopo il ritrovamento delle reliquie, avvenuto il 18marzo 1615, questo suo status di Protomartyr Apostolicussvolse un ruolo decisivo nell’assegnazione, da parte dellaSacra Rota, del Primato Metropolitano nell’isola: permisealla diocesi di Cagliari, che dal 1506 inglobava anche quel-la di Sulci, di certificare la maggiore antichità delle pro-prie testimonianze protocristiane rispetto a Torres e ad Ar-borea, ottenendo così l’ambita investitura.

Sant’Antioco “Patronus Sardiniae”

Tuttavia, il culto di sant’Antioco non solo è antichissi-mo, come dimostrano, fra gli altri, i ritrovamenti archeo-logici ed epigrafici all’interno della basilica a lui dedicata,ma la sua diffusione è documentata, in modo capillare,nell’intero territorio sardo. Non a caso, nel corso dei seco-li, le attestazioni che lo salutano come patrono dell’isolasono redatte nelle diverse lingue usate dai dominatori edai locali: dal latino (“Patronus totius Regni Sardiniae”) alcastigliano (“Patron de la Isla de Sardegna”), dal sardo lo-gudorese (“Patronu de sa Isola de Sardigna”) all’italiano(“Protettore insigne della Chiesa sarda”), a dimostrazionedella continuità cronologica e territoriale del suo culto.

Nel 1124 la devozione verso il Santo doveva costitui-re già una consolidata tradizione religiosa, se il giudice diCagliari, Mariano Torchitorio, decretò di offrirgli in dona-zione l’intera isola sulcitana, pro remissione dei propri pec-cati e di quelli di tutti i suoi familiari. In seguito, tale con-sacrazione fu sancita definitivamente: abbandonata l’anti-ca denominazione, Sulci assunse ad eponimo lo stessoMartire, e venne, da allora, comunemente indicata e co-nosciuta come isola di Sant’Antioco.

In tempi ancora più remoti, a Bisarcio, nell’attuale pro-vincia di Sassari, in suo onore era stata innalzata una gran-diosa cattedrale, poi ricostruita in forme romaniche, pri-maziale dell’omonima diocesi; dopo lunghe ed alterne vi-cende, dal 1915 essa fu compresa nella nuova sede vesco-vile di Ozieri, di cui tuttavia sant’Antioco è rimasto il ve-nerato patrono.

Non solo. Come abbiamo anticipato, la profonda fedenei confronti del Sulcitano ha interessato, nel volgere del-la storia, tutta la Sardegna nella sua interezza, secondo ciòche dichiara anche Tommaso Napoli nel 1784: “Tanta è ladivozione di questi popoli [sardi] verso il glorioso martire S.Antioco, che non vi è città, né villaggio in questo regno, in cuinon vi sia o chiesa, o altare, o statua, o immagine innalzata

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a onor di questo Santo, o a lui consegra-ta, facendosi nella Sardegna varie feste,ed in varii giorni, e templi a suo onore”.

Chiese, cappelle e simulacri

dedicati al Santo

Se, col passare del tempo, molti diquesti edifici chiesastici sono scompar-si e tante cappelle hanno cambiato in-titolazione, la loro esistenza è fortuna-tamente ricordata da un immenso ma-teriale letterario e documentale: da Sas-sari ad Oristano, da Cagliari a PortoTorres, sono molteplici i simulacri, leaule di culto e le cappelle che, attra-verso i secoli, sono stati dedicati asant’Antioco, per non parlare, ovvia-mente, della loro diffusione nel territo-rio iglesiente, della cui diocesi è, peral-tro, il patrono.

Fra le tante chiese sarde di cui è ti-tolare, nominiamo per tutte quelle diGhilarza, Muravera e Scano Montifer-ro, nonché le aule di culto ormai scom-parse di Pattada, Escolca, Gesico e Se-norbì.

Infine, occorre ricordare che i paesidi Atzara, Girasole, Palmas Arborea,Ulassai e Villasor, oltre ad aver innalza-to “templi a suo onore”, hanno elettosant’Antioco quale proprio supremoprotettore, ruolo condiviso a Mogoroassieme a san Bernardino da Siena.

Feste in onore di sant’Antioco

La devozione dei Sardi nei confron-ti del Sulcitano è altresì dimostrata dalle innumerevoli fe-ste che tradizionalmente si svolgevano ovunque per omag-giarlo, di cui, molte, tuttora vigenti. Il calendario liturgi-co prevedeva ben quattro appuntamenti annuali: il 13 no-vembre, il 1° agosto, il venerdì chiamato “di Lazzaro”, (os-sia dopo la quarta domenica di quaresima), e il quindice-simo giorno successivo alla Pasqua di Resurrezione.

In quest’ultima ricorrenza, uno dei festeggiamenti piùimportanti, per partecipazione e fede, era quello celebra-to a Cagliari, la cui processione si snodava attorno allachiesa di Bonaria e al quale accorreva, a piedi o con i car-ri (le cosiddette “trakkas”), una moltitudine di fedeli datutto il Campidano. Significativa la descrizione offerta dalLippi nel 1870: “Quasi improvvisamente e come per incan-to, Bonaria non pare più una collina cagliaritana, sì un ve-ro villaggio, oppure un ridotto di popoli diversi per lingua, ve-sti e costumi: è la religione che li ha uniti per venerare un sar-do eroe”.

A Baunei, sul versante orientale sardo, in onore del Sul-citano aveva sede annualmente la sagra de is bagadius (icelibi), cosiddetta perché organizzata da un comitato digiovani. Non si trattava di una ricorrenza solo religiosa, macostituiva un atteso appuntamento durante il quale si in-

Cagliari, a proposito di questa ricorrenza, qualifica come“cosa milagrosa” la grande partecipazione popolare che an-nualmente comportava, e “non solo dalla città di Cagliari edalla città di Iglesias e da altri luoghi lontani, ma anche datutta l’isola, in grandissimo numero e con grandissima devo-zione”.

Fra le tante autorità politiche che erano solite presen-ziare, sono documentati due Viceré: Don Alvaro de Ma-drigal, nel 1557, e Don Joan Colomma nel 1575; inoltre,per il 1595, viene segnalata la partecipazione dell’Illu-strissime Señor Inquisidor Peña, oltre che dei governatoridi Cagliari e Gallura.

Pochi anni addietro, nel 1584, papa Gregorio XIII ave-va concesso l’indulgenza plenaria, con validità decennale,a tutti coloro che si fossero recati presso la chiesa sulcita-na in due delle festività consacrate al Santo: una sorta diriconoscimento solenne, con tanto di avallo pontificio, del-la devozione attribuitagli da un’evidente moltitudine difedeli, che, chiaramente, oltrepassava quello della singoladiocesi e, addirittura, persino dell’intera isola di Sardegna.

Particolarmente solenne fu la celebrazione del 4 mag-gio 1615, successiva al ritrovamento delle reliquie del san-

tessevano basilari transazioni economiche per quel-la comunità, come le compravendite di greggi e gliingaggi di servi-pastori.

Ancora, nel cuore dell’isola, a Gavoi, oltre allasolenne processione, si svolgevano gare equestri, co-me si legge nella descrizione ottocentesca fornita daVittorio Angius: “Una moltitudine di cavalli scelti,governati da giovani briosi, (...) gareggiano per arri-vare prima alla meta, che è fissata nel piazzale dellachiesa”. Apriva la sfilata il cosiddetto “cavallo delSanto”, che s’inchinava sette volte davanti al simu-lacro di S. Antioco per rendergli omaggio, secondouna consuetudine ancora in vigore a tutt’oggi.

Le “corse di barbari” venivano disputate anche aCagliari, Pirri, San Gavino Monreale, inoltre, conmodalità diverse ma col simile afflusso di numero-sissimi fedeli, celebrazioni in onore di sant’Antiocosi tenevano a Fordongianus, Furtei, Irgoli, Neoneli,Sanluri, Ussassai, per citare solo alcune località diun elenco che sarebbe altrimenti interminabile.

La festa di sant’Antioco nell’isola omonima

La festa in assoluto più importante era quellache si svolgeva nell’isola omonima, quindici giornidopo la Pasqua, definita da Tommaso Napoli, nel1784, “la più celebre, e la più divota di quante se nefacciano in questo regno [di Sardegna]”.

Tale celebrazione, ancor prima dell’inventio del-le reliquie del Santo, prevedeva afflussi di pellegrinidalle più disparate contrade dell’isola: un mano-scritto anonimo tardo-cinquecentesco, intitolato Vi-ta Sancti Antiochi Martyris, riferisce della presenza,per questi stessi anni, di 20.000 persone, 4.000 ca-valli, 2.000 carri di buoi, in provenienza “da tuttala Sardegna” e persino “dalla Corsica”.

Serafino Esquirro, canonico della cattedrale di

ANTINA IN LEGNO CONIMMAGINE DISANT’ANTIOCO. PEDAXIUS,CHIESA CAMPESTRE

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to: in tale occasione, l’arcivescovo De Esquivel osservò co-me i fedeli fossero giunti non solo “da diverse città e partidella Sardegna”, ma addirittura “de afuera del Reyno”, inprovenienza dall’Aragona, Castiglia, Portogallo, Italia,Francia “y de otras varias naciones”. Serafino Esquirro nefornì i dati numerici, calcolando la presenza di 4.125 ca-valli, 4.000 carri, 150 barche, per un totale approssimati-vo di 32.000 persone.

Al di là dell’esattezza delle cifre, un decennio più tardi,sempre l’Esquirro, finì per qualificare questa celebrazionesulcitana come “uno degli avvenimenti più insigni e degni dimemoria, non solo per il Regno di Sardegna ma anche per lamaggior parte della Cristianità”.

I festeggiamenti ad Iglesias

per il ritrovamento delle reliquie

Quello stesso anno 1615, visto che l’appuntamento delquindicesimo giorno dopo la Pasqua era comunque avve-nuto troppo a ridosso, rispetto al giorno dell’Inventio, perorganizzarne adeguatamente i festeggiamenti, fu decreta-ta una celebrazione aggiuntiva, che si svolse in tre giorni,fra l’agosto e il settembre successivi. Tale manifestazione,cui accenna immancabilmente anche l’Esquirro, definen-dola muy curiosa e muy insigne, è nota da un manoscritto,redatto in catalano e ancora inedito, reperito nell’Archi-vio Capitolare di Iglesias, città, peraltro, teatro dell’avve-nimento.

In quell’occasione, in onore di sant’Antioco martire, ol-tre alle tradizionali cerimonie religiose e a meravigliosi gio-chi pirotecnici, abili cavalieri si cimentarono in ardite com-petizioni equestri: fra queste, un palio, diverse quadrigliee persino una Sortilla, simile, a quanto consta dai partico-lari descritti, alla Sartiglia che annualmente viene dispu-tata ad Oristano nel periodo di Carnevale, nonché a quel-la corsa nell’isola di Minorca per la festa di san Giovanni.Inoltre, furono impiegati, quale apparecchiatura sceno-grafica della festa, quelli che l’Esquirro chiama “maravil-losos artificios”: in linea col gusto teatrale del Seicento ba-rocco, consistevano in strabilianti macchine sceniche, do-tate di movimenti meccanici, le quali, applicate a una ve-ra e propria sfilata di carri allegorici, provocavano stupo-re e sorpresa negli spettatori. Si trattava di uno spettaco-lo eccezionale, che, in quanto tale, voleva ribadire il signi-ficato di estra-ordinarietà dell’evento celebrato, ovvero ilritrovamento del corpo di sant’Antioco.

In conclusione, al di là delle specifiche modalità di fe-steggiamento dei singoli paesi, ciò che preme evidenziare,quale filo rosso che accomuna tutte queste manifestazioni,è la profonda fede, da parte dei Sardi, nei confronti diSant’Antioco, loro Patronus, attorno al quale, “de tiempoimmemorial”, pone le radici la loro identità di popolo re-ligioso.

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La basilica di Sant’AntiocoROBERTO CORONEO

I l santuario di Sant’Antioco è intitolato al santo marti-re che la tradizione agiografica vuole medico di origine

africana, vissuto a Sulci al tempo dell’imperatore Adriano(117-138)50. Si compone di due nuclei principali, allasommità del colle che domina l’abitato: le catacombe, svi-luppatesi nel sottosuolo a partire dal più antico santuarioipogeo e la chiesa, che svolse il ruolo di cattedrale sulcita-na fino al trasferimento del vescovo dapprima a Trataliasentro il XII secolo, quindi a Iglesias nel XIII. Dopo questieventi la città romana e medievale di Sulci andò in rovina,per sopravvivere soltanto come santuario del martire lo-cale.

A seguito del ripopolamento del centro, avvenuto nelXVIII secolo, Sant’Antioco diede il nome all’intera isola eal nuovo abitato, esteso verso il mare a occupare il sito del-l’antica Sulci. Principale porto d’imbarco del piombo ar-gentifero estratto nell’entroterra, la città – ubicata in un’a-rea frequentata sin dall’età preistorica51 – venne fondatadai Fenici entro la metà dell’VIII secolo a.C.52 e fu fio-rente in età romana53. Aveva la necropoli punica (VI-IIsecolo a.C.) e quella romano-imperiale (fine del I-IV se-colo d.C.) sulle pendici del mont’e Cresia e nella zona altadell’abitato moderno, dove camere funerarie fenicio-pu-niche furono adattate a catacombe cristiane e al santuarioipogeo, cui si accede oggi dalla chiesa54.

Sulci fu sede episcopale, documentata dal 484, quan-do un suo vescovo (Vitalis) partecipa al concilio di Carta-gine55. Nessun documento specifica il titolo della catte-drale, prima della bolla del 1218, con cui papa Onorio IIIprende atto del trasferimento della diocesi sulcitana nellachiesa di Santa Maria a Tratalias. Tuttavia, a favore dell’i-dentità fra la cattedrale di Sulci e la chiesa di Sant’Antiocova la scoperta di un possibile fonte battesimale all’internodella basilica56.

Risale al 1089 la prima menzione di un monasteriumsancti Anthioci, donato dal giudice cagliaritano Costanti-no-Salusio II de Lacon-Gunale ai Vittorini di Marsiglia, as-sieme alla chiesa riconsacrata dal vescovo sulcitano Gre-gorio nel 110257. Non si hanno dati certi sullo spopola-mento del sito, sopravvissuto come centro devozionale fi-no al 1615, quando l’arcivescovo di Cagliari Francisco DeEsquivel58 ordinò una ricognizione nel santuario ipogeo,

BIBLIOGRAFIA

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per confutare il preteso rinvenimentodelle reliquie di Sant’Antioco a PortoTorres e dimostrare così la tradizione, chesulla scorta dell’iscrizione del vescovo Pie-tro le ubicava nel sarcofago-altare entrocui si verificò l’inventio. Quest’ultimo sitrova nella “cripta”, oggi accessibile dal-l’interno della chiesa ma in originemartyrium dotato di proprio ingresso eindipendente da quella.

L’attuale basilica risulterebbe dallatrasformazione longitudinale d’una chie-sa cruciforme cupolata59. Data l’entitàdei successivi interventi edilizi è difficiledistinguere le strutture d’impianto daquelle di rifacimento, messe in opera congli stessi cantoni in arenaria e grossi con-ci bugnati in basalto, di spoglio delle mu-ra di Sulci. La prima campata è un’ag-giunta del XVII secolo, come pure la fac-ciata, edificata nel XVIII. L’antica faccia-ta basava su una muratura in grossi blocchi bugnati di pie-tra vulcanica, appartenenti a una struttura preesistente.

Alla fase di ristrutturazione longitudinale, forse opera-ta anche prima della donazione ai Vittorini, risalgono leabsidi e le navatelle, probabilmente anche i setti divisori ele volte a botte dell’aula. Alla fase d’impianto cruciformerisalgono con relativa sicurezza le volte a botte del brac-cio trasversale e il corpo centrale raccordato alla cupolatramite trombe con mensole a forma di zampa leonina (ledue coppie a est) e a guscio di tartaruga (le altre due aovest). Dall’arredo liturgico di questa o d’altra chiesa piùantica potrebbe derivare un frammento di pluteo decora-to a squame, ascrivibile al V-VI secolo60. Da quello rin-novato tra la metà del X e i primi decenni dell’XI secoloderivano un’importante iscrizione in lingua e grafia me-dioellenica e un consistente gruppo di frammenti sculto-rei, alcuni dei quali con figure zoo e antropomorfe, mura-ti in varie zone della chiesa e delle catacombe61.

La basilica di Sant’Antioco si caratterizza per la pre-senza della cupola innalzata da quattro robuste arcate chea loro volta si impostano sui pilastri d’angolo all’incrociofra la navata principale e il transetto. La soluzione archi-tettonica “a baldacchino”, per quanto più antica, è co-munque tipica dell’edilizia bizantina del VI secolo e risul-ta applicata in Sardegna, dopo la conquista giustinianeadel 534, a Cagliari nella chiesa di San Saturnino e a Ca-bras in quella di San Giovanni di Sinis. I tre edifici sonocomplessivamente assai simili, ma si danno varianti62.

A differenza che nel San Giovanni di Sinis, nella chiesadi Sant’Antioco la soluzione di raccordo della cupola altamburo è, come probabilmente in origine nel San Satur-nino di Cagliari, quella delle trombe a quarto di sfera. Èperò difficile precisare se l’impianto fosse a croce libera oinscritta, in ogni caso con bracci mononavati. Quanto allaspecifica soluzione di raccordo – trombe anziché pennacchi– bisogna ricordare la coesistenza dei diversi tipi nell’ar-chitettura orientale della prima metà del VI secolo63.

Procopio termina i sei libri Perì ktismáton (De Aedifi-ciis) nel 554, con una sola indicazione relativa alla Sarde-gna: la fortificazione della città di Forum Traiani, odiernaFordongianus64. Per quanto l’opera sia stata compilata erivesta un interesse principalmente per l’utilità rispetto al-le informazioni militari, si può anche pensare che a quel-la data nessuna grande fabbrica ecclesiastica fosse stata in-trapresa nell’isola, almeno non con la committenza impe-riale65. Non prima della metà del VI secolo vanno dun-que collocate la fabbrica di San Saturnino a Cagliari, fra lametà del VI e il VII secolo quelle di Sant’Antioco e di SanGiovanni di Sinis. Nell’arco del VI secolo fu probabil-mente costruito anche il distrutto Castello Castro, fortez-za di tipo giustinianeo presso il ponte romano di Sant’An-tioco66.

La probabile anteriorità della basilica cagliaritana tro-va ragione nella maggiore prossimità al prototipo dell’A-postoleion costantinopolitano, riconsacrato nel 55067. Laseriazione delle altre due non è precisabile, in quanto en-trambe presentano elementi comuni con San Saturnino,ma diversi fra loro. Come in San Saturnino, la soluzionedi raccordo del tamburo alla cupola è data da trombe inSant’Antioco, mentre in San Giovanni di Sinis si hannopennacchi, ma nei pilastri di quest’ultima sono alveolatecolonne, come in San Saturnino. Più che a significativiscarti cronologici, le differenze sembrano imputabili a di-verse scelte operate dagli architetti a capo delle tre fab-briche, scelte che potevano anche derivare dal maggiore ominore grado di aggiornamento sulle linee sperimentalidella capitale, ovvero dalla continuazione di linee archi-tettoniche della tradizione locale.

L’architetto di San Giovanni di Sinis è in possesso del-le sofisticate nozioni tecniche per padroneggiare e porrein opera l’impegnativa soluzione dei pennacchi, che risol-ve brillantemente e con coerenza il problema del raccor-do del quadrato al cerchio. Gli altri due architetti o nonconoscono l’innovazione, o preferiscono servirsi della so-

“SU MONIMENTU”

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luzione tradizionale a trombe, ma con una sostanziale dif-ferenza. Sia nel corpo cupolato di San Saturnino, sia inquello di Sant’Antioco il raccordo a trombe obbliga a farrientrare l’intradosso della cupola sul filo interno del tam-buro, onde diminuire la superficie d’imposta che non ri-cade sui quattro sostegni delle arcate ed è pertanto desti-nata a poggiare sugli archetti delle trombe. Queste ultimeperò si collocano a livelli differenti: in San Saturnino allostesso piano d’imposta della cupola; in Sant’Antioco piùin basso, in quanto la cupola s’imposta su tamburo rialza-to. Di conseguenza, nella chiesa cagliaritana le quattro lu-ci si aprono nei primi corsi della cupola, mentre in quellasulcitana si aprono negli ultimi filari del corpo sottostan-te. Inoltre, in Saturnino le trombe e la cupola vengono ce-late alla vista dal tiburio quadrangolare esterno, che anco-ra oggi rifascia interamente le prime e per metà la seconda,la cui emergenza doveva essere in origine contenuta entroun tetto piramidale a falde68. In Sant’Antioco, invece, iltamburo rialzato richiede un tiburio a pianta ottagonale,inscritta nel quadrato del corpo centrale. Agli angoli delquadrato, ogni tromba ha copertura semipiramidale. Lun-go i lati, la muratura si innalza per raggiungere il pianod’imposta della cupola, in origine contenuta per intero en-tro un tetto prismatico a otto falde. È un risultato d’im-magine che accomuna la basilica sulcitana alle più tardederivazioni dal modello giustinianeo dei Santi Apostoli, inparticolare alla cattedrale di Santa Sofia a Sofia, ascrittaalla fine del VI-VII secolo.

Un frammento di pluteo decorato a squame, riutiliz-zato nella muratura della testata nord del transetto, sem-bra indicare che entro il VI secolo la chiesa cruciforme (oaltra preesistente) dovette possedere un arredo liturgicoin marmo, forse lo stesso di cui rimane memoria nell’iscri-zione del vescovo Pietro, oggi nella cattedrale di Iglesias. Sipuò facilmente rilevare come il referente culturale pale-sato da quest’ultima, che sembra collazionare formule epi-grafiche largamente attestate nella basilica vaticana, rice-va conferma dall’analisi formale del frammento di pluteo

Una differente categoria di problemi è posta dai fram-menti dell’iscrizione di Torcotorio, Salusio e Nispella, in gre-co medioellenico70. Nel protospatario Torcotorio, nell’ar-conte Salusio e in Nispella vanno identificati personaggidell’aristocrazia locale, in un momento in cui i rappresen-tanti dell’autorità imperiale andavano svincolandosi dalcontrollo centrale e costituendo l’autoctono giudicato diCagliari. Non si hanno dati sufficienti, per accertare la na-tura del monumento aulico al quale era apposta l’epigra-fe. Come per altre simili epigrafi sardo-meridionali in gre-co medioellenico, può pensarsi all’epistilio del recinto pre-sbiteriale. È possibile poi riformulare organicamente l’i-potesi di Antonio Taramelli, che l’iscrizione, datata post1015, vada considerata in rapporto contestuale non solocon l’arredo liturgico dei primi decenni dell’XI secolo, maanche con la serie di lastre coeve che presentano musici,un armigero e due personaggi in atteggiamento aulico, co-me per rappresentare la committenza giudicale a comple-mento figurativo degli intenti celebrativi dell’epigrafe.

SULCI ROMANAFRANCESCA CENERINI

La conquista romana della Sardegna risale a partire dalIII secolo a.C., più esattamente al 237/8 a.C. Fin dai

primi anni dell’occupazione l’isola era oggetto di fenome-ni di immigrazione da parte dei mercatores italici che sfrut-tavano le risorse sarde. Al contempo, aprivano le porte afecondi processi di integrazione e romanizzazione, e mo-numentalizzazione urbana, almeno per quanto riguarda lecittà della costa, sedi dei porti vitali per la commercializ-zazione di tali risorse. Un esempio della ricchezza legataal commercio dei minerali può essere visto proprio per lacittà punica di Sulky, la Sulci romana, da sempre porto dismercio del piombo argentifero delle miniere della regio-ne del Sulcis-Iglesiente.

CUPOLA DELLA BASILICA

decorato a squame, che denota una stretta dipen-denza dal motivo ornamentale più diffuso a Romae in marmi di desunzione romana, rimandando allostesso tempo al sarcofago sulcitano di Orfeo liricino(di cui restano frammenti nella locale collezione Big-gio)69 e dunque a una sostanziale continuità nelflusso di importazione di manufatti marmorei da of-ficine ostiensi e romane a Sulci, tra la fine del III ela metà del VI secolo.

All’arredo litugico della seconda metà del X se-colo va invece restituito un ciborio con iscrizioni la-tine, cui appartenevano frammenti di archetti e pro-babilmente anche capitelli con croce. Ai primi de-cenni dell’XI secolo sono ascrivibili i marmi prove-nienti dallo smembramento di un recinto presbite-riale, comprendente plutei con figure animali, rac-cordati mediante pilastrini. Altri elementi, diversiper caratteri tipologici (dimensioni, sagome, distri-buzione degli ornati) non si prestano a esser resti-tuiti nell’arredo liturgico dell’aula, bensì come par-ti della decorazione architettonica della chiesa: for-melle e fregi di varia, imprecisabile destinazione.

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Sulci è ricordata dall’anonimo autore del Bellum Afri-canum71 per avere rifornito di uomini e vettovagliamentii Pompeiani; per questo motivo, Cesare, dopo avere scon-fitto i seguaci di Pompeo a Thapsus, nel 46 sbarcò a Ka-rales, impose ai Sulcitani una forte multa, il cui ammon-tare era di 10 milioni di sesterzi, secondo una recente in-terpretazione, oltre ad elevare ad un ottava parte la deci-ma dei prodotti del suolo. Lo stato economico della città,per altro, non pare dovette soffrire a lungo per le restri-zioni volute da Cesare, se Strabone72 dice che Cagliari eSulci sono le due più importanti e fiorenti città dell’isola.Per quanto riguarda Sulci, è stata avanzata l’ipotesi che ab-bia ottenuto lo statuto di municipium civium Romanorumcon l’imperatore Claudio, statuto attestato con sicurezzada alcune iscrizioni. Secondo un’altra interpretazione, ta-le concessione potrebbe risalire all’età augustea73.

Tuttavia, il commercio non era la sola anima dell’eco-nomia sulcitana. A partire dalla prima età imperiale esi-stono attestazioni archeologiche di insediamenti rusticinell’interno dell’isola, volti al suo sfruttamento cerealico-lo. Una testimonianza di ciò è costituita dall’impianto ter-male che un tempo esisteva al margine settentrionale del-la cala di Maladroxia, verso Capo Sperone74.

Nei fatti conseguenti alla conquista romana della Sar-degna non vi sono riferimenti alla città, alla quale dovet-tero essere risparmiate le conseguenze dei violenti scontriche infiammarono l’isola tra il 238 e il 110 a.C. Tra que-sti la rivolta di Ampsicora e numerose insurrezioni che, agiudicare dai sei trionfi attribuiti ai generali romani, do-vettero essere violentissime.

Nei primi tempi dell’occupazione romana, come con-seguenza immediata, furono demolite le fortificazioni pu-niche che circondavano l’antica città, tranne che nel set-tore settentrionale dell’abitato, che costituì il nucleo ori-ginario dell’insediamento romano. In questo luogo fortifi-cato, adiacente al porto, trovarono ospitalità e rifugio i pri-mi mercatores, i mercanti italici che procacciavano affariper conto di Roma.

Un nuovo riferimento a quella che dai Romani fu chia-

mente punita da Cesare con una forte sanzione pecunia-ria e la decima sui prodotti agricoli fu portata per Sulci adun ottavo. Sappiamo dalle fonti storiche inoltre che i re-sponsabili della sfortunata scelta politica anti-cesariana diSulci furono condannati da Cesare alla privazione dei be-ni personali, che furono banditi all’asta pubblica. Ma lacittà ebbe modo di risorgere anche da questi danni, poi-ché tornò a costituire un importante centro per il com-mercio dei metalli, che provenivano dal bacino minerariodell’Iglesiente. Traccia palese di queste attività è nel nomedi Plumbaria o Plumbea Insula che le venne conferito, purnon essendo nel suo territorio alcuna traccia di metalli esoprattutto di piombo75.

Sotto l’impero di Claudio al più tardi, la città fu innal-zata al rango di municipium, divenne cioè una città piena-mente romana all’interno della provincia Sardinia, comedimostrano le numerose testimonianze archeologiche re-lative alla famiglia giulio-claudia. Ai fini elettorali e ana-grafici, gli abitanti della città, al pari di quelli di Karales(Cagliari) e di Cornus (Santa Caterina di Pittinuri), eranoiscritti nella tribù Quirina76.

La città mostrò fino al II secolo d.C. una prosperità no-tevole e una rete commerciale che la lega strettamente al-l’ambiente nord-africano. Per quel che concerne la cera-mica, questa proveniva in massima parte dalla provinciaafricana o era imitata dai prodotti di questa regione. Que-sto legame è espresso anche dalla vicenda di Sant’Antio-co, Protomartire e Santo patrono della Sardegna e attual-mente venerato dagli abitanti del luogo da cui prende ilnome. Infatti nella passio si narra che appunto in questoperiodo, attorno alla metà del II secolo d.C., il Santo, me-dico di professione e originario della Numidia, compresanella diocesi della Mauretania, forse Caesarensis, fu esilia-to nella città che ne prese il nome.

Nell’area urbana è attestata anche la presenza di un nu-cleo di abitanti di origine ebraica, evidenziata da sepoltu-re con iscrizioni in caratteri ebraici, che forse parteciparo-no a moti insurrezionali connessi con la rivolta ebraica, av-

MOSAICO CON SCENA DIONISIACA, CAGLIARI MUSEO ARCHEOLOGICO

mata Sulcis e al Portus Sulcitanuslo troviamo nella tarda età re-pubblicana, quando la città eb-be un ruolo nel corso degliscontri connessi alle guerre civi-li. Sulcis infatti parteggiò per ilpartito di Pompeo e nel 47 a.C.accolse nel suo porto la flottadel prefetto pompeiano L. Na-sidio. Le navi giungevano daMassilia, attuale Marsiglia, prin-cipale centro della costa dellaProvenza, nell’antica Gallia, inmano ai partigiani di Pompeo erecavano anche truppe, mate-riali e vettovaglie.

Come accennato più sopra,per questo comportamento l’an-no seguente la città fu severa-

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venuta verso la fine del II secolo d.C., che provocò danninon indifferenti all’abitato77.

Alla destra di chi percorre l’attuale strada statale 126per raggiungere l’abitato di Sant’Antioco, prima dell’ulti-ma grande curva che segue il fondo della laguna è visibileun tratto superstite della massicciata dell’antica strada ro-mana e, forse in precedenza, punica, anticamente deno-minata a Karalibus Sulcos, cioè che da Cagliari conduce-va a Sant’Antioco passando attraverso la valle del RioCixerri.

Proseguendo lungo la strada, sempre sulla destra s’in-contra il ponte, definito come romano, ma è frutto di nu-merosi rimaneggiamenti, l’ultimo dei quali non anteriorealla metà del secolo scorso. La struttura attualmente visi-bile, che si lascia prima di transitare sul canale che attual-mente separa l’isola di Sant’Antioco dalla Sardegna, era inuso fino agli anni ’50. Sono visibili le rampe e le spallette,costruite prevalentemente in blocchi di trachite, che sor-montano due archi in pietra arenaria. Questi due archi,unitamente ad un terzo collocato in posizione centrale, og-gi occluso, sono le sole strutture che probabilmente ap-partenevano all’antico ponte, costruito in età tardo-punicao romana, come si evidenzia in base alla tipologia dei ma-teriali impiegati.

Vistose tracce della cinta muraria punica erano visibilifino alla fine degli anni ’60 in località Su Narboni, che cor-risponde alla zona nel cui epicentro attualmente sorge lascuola media “Antioco Mannai”. Durante la costruzionedell’edificio scolastico furono messi in luce lunghi trattidelle mura in eccellente stato di conservazione rispetto aquelle esistenti al di fuori di questo settore. Si trattava diparamenti composti da almeno tre assise di blocchi di tra-chite rossa, che raggiungevano l’altezza di circa tre metri.Visto che la parte restante della cinta muraria punica erastata abbattuta e i blocchi che la componevano erano sta-ti ampiamente riutilizzati nelle strutture edilizie privatedi età romana repubblicana, è possibile che questo settorefosse stato risparmiato al fine di costituire il primo nucleoabitato della Sulci romana. In questo quartiere, che sorgenelle immediate adiacenze del porto, è possibile trovasse-ro ospitalità e tutela i primi mercatores italici, giunti al se-guito dell’esercito romano. Questa ipotesi è avvalorata dal-le presenza di un’area che sorge immediatamente a ovestdella scuola e a est dell’area del Cronicario, che viene in-dicata come sede del foro romano e dalla quale proven-gono la maggior parte delle statue rinvenute nei secoliscorsi a Sant’Antioco. Quanto alla presenza dei mercato-res, questa sembra ulteriormente confermata dall’esisten-za di un supposto edificio di culto di tipo italico ubicatoin area limitrofa, il cui impianto architettonico composi-to è posto in relazione dal mondo degli studi con le ric-chezze acquisite dai mercatores italici nell’area del Medi-terraneo orientale.

Infatti, con la conquista romana dell’isola e con il con-seguente smantellamento delle fortificazioni cartaginesi,da taluno ritenute invece di età romana78, l’area in pen-dio a Oriente del Castello fu ristrutturata e i materiali dirisulta delle fortificazioni furono utilizzati fin dal II secoloa.C. per la costruzione di un grande edificio, forse un san-

tuario tipologicamente affine a quello di Palestrina, che sisovrapponeva anche a una parte della necropoli punicaipogea, ubicata nelle immediate adiacenze. L’area del sup-posto santuario giungeva fino ad una zona pianeggianteove è stato rinvenuto l’anfiteatro romano, eretto invecenel II secolo d.C. Si tratta di un’ampia ellisse, orientata se-condo l’asse nord-sud, con la cavea scavata nel tufo e conle strutture che probabilmente dovevano essere lignee79.Una parte dell’anfiteatro, il podium, fu eretta in muraturae allo scopo vennero usate anche le due statue dei leonidella porta di età punica, che sono state appunto rinve-nute riutilizzate in quest’area80.

Nel corso del periodo cristiano, più precisamente tra ilIV e il VII secolo d.C., a Sant’Antioco, come del resto ingran parte del mondo cristiano, entrò in uso il sistema disepoltura con l’utilizzo delle catacombe, che prevedeval’impiego di vani sotterranei. Allo scopo non furono pra-ticate nuove gallerie, ma disponendo di un vastissimo se-polcreto punico attivato nei primi anni del V secolo a.C.e formato da tombe a camera ipogea l’una adiacente al-l’altra, fu sufficiente sgomberare gli antichi ipogei dalleprecedenti deposizioni e, abbattendo i diaframmi che se-paravano una tomba punica dall’altra, formare una seriecontinua di cavità81.

Nel mondo dei primi cristiani era invalso l’uso di col-locare le proprie sepolture il più vicino possibile ai sepol-cri dei martiri e all’interno o nelle immediate adiacenzedei luoghi di culto. Del resto tale uso è rimasto in auge fi-no all’editto napoleonico, promulgato nel 1804, che proibìle sepolture all’interno o all’esterno delle chiese ubicatesia all’interno che all’esterno dei centri abitati.

Le catacombe di Sant’Antioco seguono i criteri cheispirarono i sepolcreti cristiani e quindi furono create làdove la Passio Sancti Antiochi aveva collocato la sepolturadel santo, considerato il protomartire della Sardegna. Esi-stono altri raggruppamenti di tombe puniche trasformatiin catacombe, ma il nucleo principale è quello raccolto at-torno alla tomba del santo, il cui accesso è ubicato nel tran-setto a destra dell’altare. Un ulteriore nucleo catacombale,denominato di Santa Rosa, fu creato utilizzando due ipo-gei punici trovati sotto la navata della basilica.

Ulteriori catacombe sono state rinvenute nell’area del-la necropoli punica in località Is Pirixeddus, distanti dallachiesa circa 250 m. All’interno di questa catacomba è sta-to rinvenuto un sepolcro ad arcosolio destinato ad una de-funta, della quale si conserva l’immagine policroma idea-lizzata.

Sempre da impianti catacombali prossimi all’edificiochiesastico, ma in questo caso utilizzati da fedeli di reli-gione ebraica, provengono alcuni arcosolii con iscrizioniin caratteri ebraici e latini databili nel IV secolo d.C. Sitratta evidentemente di discendenti di quegli Ebrei che fu-rono dedotti in Sardegna nel 19 d.C.82, durante l’imperodi Tiberio, o di quelli che si dispersero nei territori del-l’impero, dopo l’assedio di Gerusalemme e la distruzionedel tempio avvenuta nel 70 d.C., durante l’impero di Ve-spasiano.

ANNALI 2008105

I Greci a Sant’Antioco(e un tentativo fallito di ripopolamento)

MARCO MASSA

L ’Isola di Sulcis, ora detta di S. Antioco, che a mezzo-giorno e libeccio è alla Sardegna unita per mezzo di al-

cuni tratti di terra in più luoghi continuati da ponti di pietrache sotto di tre di loro archi lasciano il varco ai soli battelli epiccoli bastimenti in quel mare assai basso nulla ritiene del-la antica Sua Popolazione e grandezza se non alcuni, qua elà sparsi avanzi di Fabriche o Fondamenti di ben grosse e ri-tagliate pietre...

Cominciava così la Relazione dello Stato dell’Isola di S.Antioco e de Contorni della Città di Iglesias83 redatta daFrancesco Cordara penultimo Conte di Calamandrana edIntendente Generale di Sardegna.

Era sbarcato i primi giorni del mese di dicembre 1754accompagnato dal Sig. Maggiore di Cagliari Bessone, in-telligente d’architettura militare e civile, di un Regio Misura-tore e di altri...

Suo compito, misurare e verificare lo stato dei terrenidell’isola, quelli da destinare a pascolo (di pecore, vacchee capre), le varie colture da potersi impiantare (grano, vi-gne, olivo, orto e giardino, bosco).

Il progetto del governo piemontese: individuare i sitiin cui potesse sussistere una nuova Popolazione costituita dauna colonia di greco-corsi che avendo il capitano Costan-tino astutamente procurato di far passare dal Golfo di sanPietro (dove secondo l’ordine avuto era trasportato) a quellodi Palmas nelle vicinanze di S. Antioco il Capitano IngleseFerguson colla sua nave, che unitamente ad altro bastimen-to toscano, ha condotto da Ajaccio in numero di 198 i greciche sono poi discesi a Portoscuso, dove per ora rimangonoprovvisti di alloggio e di vitto e facendo il medesimo Costan-tino vivissime istanze, anche con espressioni di volersene al-trimenti tornarsene indietro, perché si lasciassero discenderedetti greci nelle abitazioni suddette.

C’era da risolvere un piccolo problema segnalato an-che dall’Intendente Generale e cioè che l’isola non è sicco-me si è supposta affatto disabitata et incolta, vi ho trovatoesistenti nei contorni della Chiesa del Santo, da cui la Sª Iso-la tiene il nome, oltre ad un’altra chiesa e 17 botteghe, n° 49Case, 31 Capanne e due Grotte tutte abitate da 302 personeche fanno ivi continua dimora et avendo indi in più voltescorsa tutta l’isola, ed i siti della medesima riconosciuti, viho veduto fontane e rivi, Porti, Monti e terreni coltivati ed in-colti, de quali ne ha fatta il D° Maggiore annotazione nellacarta dal med° formata con particolare esattezza, e con set-tanta paia di bovi ed aratri altrettanti agricoltori, la maggiorparte de’ medesimi sovraddetti abitanti lavorando il terreno,e nella campagna dieci fra magazzini e case, 63 capanne peruso di detti agricoltori e de pastori, che in numero di 28 vipascolano ciascuno nei suoi territori assegnati, e distinti co’loro propri segni o de’ loro padroni gli armenti che sono 2.380capre, 3.213 pecore, 440 vacche e 39 cavalle, et altri moltibovi novelli e da giogo, che ivi per la sola pastura manten-gonsi, senza danno ancora di quella di cavalli selvatici os-servati, come specialmente protetti da S. Antioco e di altre fie-

re, cinghiali e caprioli che pur vi sussistono nei luoghi menfrequentati...

In sintesi i greci aspettavano impazientemente di po-ter occupare le case abitate dal primo nucleo di cittadiniantiochensi, che naturalmente non erano proprio d’accor-do ...tutti esprimendosi che se S.M., la di cui somma giusti-zia e clemenza sapevano, fosse informata della loro situazio-ne, giammai vorrebbe far uscire dalle case e dai luoghi dove sierano allevati e cresciuti essi suoi sudditi e figli naturali an-tichi e fedeli, come si professavano, per collocarvi i vescovi etadottivi e di non sicura fede, come chiamavano i Greci.

Anche appena saputo il mio arrivo in detta isola la città eil Capitolo di Iglesias mi hanno ciascuno spedito un soggettoper rinnovare le loro rimostranze, e la detta città; e le mona-che di Santa Chiara, li Padri Francescani, e Gesuiti, ed An-tonina Olargiu, hanno trasmesso suppliche, che qui vannounite, pregandomi farle presenti a S.E. e alla Maestà Sovra-na colla da essi esposta legittimità dei loro titoli, et antico pos-sesso di dette case e terreni su dei quali dicono posta la sicu-rezza, o ipoteca di molti loro crediti, et in gran parte la lorosussistenza.

Ecco la trascrizione della supplica degli abitanti diSant’Antioco, straordinario censimento della prima popo-lazione moderna.

SUPPLICA DEGLI ABITATORI DI ST ANTIOCO

– La vedova Dona Madalena de Spinosa che dimora quasi tuttol’anno nell’isola di San Antiogo con la sua famiglia checonsiste in quattro figlioli un servitore e tre serve possiedevicino alla Chiesa una casa grande col suo Magazzino. NelPiano detto della Chiesa due aratri di terra disboscata (peraratri si intende tanto di terreno che basti per seminare se-dici starelli tra grano, orzo, legumi, cioè, dodici starelli digrano, tre starelli d’orzo e uno starello di fave e ogni sta-rello di misura sarda corrisponde a due semine di Pie-monte) (1 starello equivale a 0,40 ettari. N.d.T.). Possiedeinoltre nel luogo detto Ponti Mannu un altro aratro; nel luo-go detto Su Pruini = altri due aratri; nel Luogo o sia regio-ne detta Su Fraitzu quattro aratri; nel Luogo detto Sa Grut-ta De s’Homini una capanna con centocinquanta pecore;nel Luogo detto Cortis Cherbus cento novanta capre conuna capanna per abitazione del pastore.

– Don Pedro Usay San Just delegato della Rª intendenza che vi-ve quasi tutto l’anno nell’isola colla sua famiglia che tra i fi-gliuoli e servidori sono quindici persone insieme a DonFrancesco e Don Lorenzo suoi figliuoli posseggono una ca-sa capace con due gran magazzini e un orto chiuso a mu-raglia nel Piano della Chiesa dodici aratri in Corru Longu trearatri nel Piano della Chiesa duecento cinquanta pecore.

– Don Emanuele Angioi che abita la maggior parte dell’annonell’isola colla sua famiglia, cioè moglie, quattro figliuoli esette tra Servidori e Servo, tiene una casa con un cortilegrande, in sa gruta due aratri.

– La Città di Iglesias tiene una casa che serve al tempo delledue feste che ogni anno si fanno per San Antiogo per abi-tazione de Consiglieri e di varie persone di riguardo chesogliono concorrere ogni anno.

– Il Capitolo di Iglesias tiene una casa, in cui abitano tutti iCanonici nel tempo che durano le suddette feste e quindi-ci botteghe che suole affittare quando si fa la festa facen-dosi allora una spezie di fiera perché vi concorrono da tut-

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te le parti del Regno fino a sette, otto e più mille persone,nella Cussorgia detta “Portu de terra apidu” sessanta vac-che.

– Don Mario de Spinosa tiene una casa.– Don Francesco Giuseppe Otger possiede due case, in Malla-

dorgia un aratro.– Don Francesco Caneglies possiede due case con un cortile

oltre i seguenti territori, cioè in Ponte un aratro, in Trigadue aratri.

– Don Nicola Salazar Arcidiacono della Cattedrale una casa.– Il Dr Fadda una casa.– L’Eredi di Don Antonio Rog una casa e due aratri in Su Prui-

ni.– Ignazio Ventura una casa.– Antonio Desogus, che abita tutto l’anno colla moglie, tre fi-

gliuoli, Suocera, Cognato e due Servidori possiede una ca-sa e un cortile grande nel Piano della Chiesa, un aratro inCanai, tre aratri in Canai, trecento cinquanta pecore.

– Il Notaro Antonio Cocco una casa, in Canai cinque aratri – Il Notaro Francesco Cocco una casa.– Il Notaro Nicola Pintus una casa.– Il Canonico Carta una casa con sotterranei. In Su Pruini due

aratri, in Su Pruini ottanta pecore.– La vedova Maria Dessi che vive tutto l’anno nell’isola nella

casa di Salvador Esu Cannas con quattro figlie maritate,che fra tutti sono ventitre persone, possiede in Triga trearatri, il di lei genero Domenico Salidu in Triga una capan-na in Triga novanta pecore, l’altro genero Antiogo Sera cin-quanta pecore in Triga.

– Pietro Toro nel Piano della Chiesa due aratri.– Domenico Salidu nel d° Piano due aratri.– Sisinnio Trudu Massaro abita nell’isola tutto l’anno colla

moglie cinque figliuoli e un servidore in una Cappannapossiede nel piano della Chiesa due aratri.

– Salvador Querqui che dimora tutto l’anno colla moglie tienenel piano della Chiesa ottanta pecore.

– Gioanni Esu Fanutza che abita la maggior parte dell’annocolla moglie, figlio e sei persone che lo adjutano al lavorodella terra possiede una casa e una capanna in Triga e inCanai cinque aratri, in su Pruini un aratro, e cinque capan-ne nelle quali abitano due pastori con trecentocinquantacapre e cinquanta pecore, oltre oltre cinquanta vacche chetiene nella regione detta Mercoreddu.

– Salvador Esu Cannas coi suoi fratelli e sorelle posseggonouna casa, un territorio un cortile grande chiuso a muragliae una capanna in Canai due gran pezzi di territorj chiusi asiepe con altre due capanne e otto aratri di altro territoriotrecento pecore con altra capanna duecento cinquanta ca-pre con altra capanna in Crisionis, cinquanta vacche in Por-tu Misi.

– Antonio Esu colla sua moglie quattro figli ed un servidorepossiede due capanne, in Triga due aratri e mezzo e trentapecore.

– Antiogo Esu nella regione detta Sa tuvara settanta capre.– Gioanni Antonio Pricocci colla sua famiglia, una casa con

due capanne, in Triga due aratri.– Antonio Sevis in Corongiu Murvonis due capanne e tre ara-

tri di territorj in Triga cento cinquanta capre, in Porta deSu Suergiu quaranta vacche, nel piano della Chiesa tre ara-tri.

– Salvador Paris in Canai un aratro, in Triga cento ottanta ca-pre.

– Antiogo Ganau in Canai quattro aratri, vicino alla Chiesauna casa, tre cave con magazzini e 50 pecore.

– Il Nor° Marco Corbelli in Canai un magazzeno, e tre aratridi terra

– Antiogo Ignazio Corbelli in Triga 40 pecore.

– I Padri Minori Conventuali di San Francesco del convento diIglesias in Canai due case e tre aratri.

– La Vedova Mª Santu Lochi coi suoi tre figliuoli in Canai duecapanne, un cortile, quattro aratri trecento pecore e unode suoi figliuoli in Crisionis 250 capre, in Sa Pispisia 70 vac-che.

– Sebastiano Spada in Canai 5 aratri.

– Gavino Garia in Canai 4 aratri.

– Salvador Corona in Canai una capanna e tre aratri.

– Gioanni Cautai colla moglie e tre figli in Triga una capannacon un aratro in mezzo ed altra capanna vicina alla Chiesa.

– Sisinnio Cordeddu colla moglie e quattro figli in Triga unaratro e mezzo e una capanna.

– Antiogo Lochi colla sua moglie in Triga un aratro.

– Francesco Chireddu vicino alla Chiesa una casa e in Canaidue aratri e in Su Pruini un altro aratro.

– Antonio Vincenzo Longu in Canai una casa e due aratri, inCrisionis 150 capre.

– Antiogo Pisano in Canai due cappanne e due aratri.

– Gli eredi di Antiogo Ignazio Depau in Cannai due aratri.

– Giovanni Antonio Pisano in Canai un aratro.

– Antonio Querqui in Canai due aratri e una cappanna.

– La vedova Paselli cò suoi figli in Canai due aratri.

– Gli eredi di Cristoforo Falconi in Canai un aratro.

– Giovanni Esu Cannas in Canai due aratri, in Portu Maiori 100vacche.

– Gli eredi di Salvador Contu in Canai un aratro.

– Salavador Balzai nel Piano della Chiesa un aratro, in Crisionis130 capre.

– La vedova Corbelli cò suoi figli in Coacuaddus due aratri.

– Pietro Carroccia in Canai due aratri.

– Antiogo Pittis cò suoi figli in Canai un aratro, in Su Pruiniun altro aratro.

– Don Nicolas de Spinosa in Su Pruini un aratro, nel Piano del-la Chiesa un altro aratro.

– Antiogo Fonnesu in Guturu Canargius un aratro.

– Antiogo Vincenzo Manigas nel Piano della Chiesa un aratro.

– Benedetto Pabis una casa vicino alla Chiesa e nel piano trearatri.

– Don Gavino Salazar Capitano di Giustizia della Città e terri-torj d’Iglesias nel Piano della Chiesa tre aratri.

– Antiogo Corona che vive tutto l’anno nell’isola colla mogliee quattro figli due aratri.

– Il Sacerdote Giuseppe Pintus Vice Curato della Chiesa di SanAntiogo nel Piano della Chiesa due aratri, due cappanne ecinquanta pecore.

– Francesco Vacca che sta tutto l’anno nell’isola colla mogliee due figli nel Piano della Chiesa due aratri.

– Giuseppe Brondo colla moglie e tre figli nel Piano della Chie-sa due aratri e un sotterraneo.

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– Sebastiano Bolegas che sta anche tutto l’anno colla mogliee quattro figli nel Piano della Chiesa quattro aratri.

– Il Collegio de PP. Gesuiti d’Iglesias una casa vicino alla Chie-sa.

– Salvador Tronchi domiciliato nell’isola colla moglie e cin-que figli nel Piano della Chiesa due aratri.

– Giuseppe Bulegas domiciliato nell’isola colla moglie tre figli,due servidori nel Piano della Chiesa due aratri.

– Giovanni Bulegas Murroni nel Piano della Chiesa due aratri.– Giovanni Manca colla moglie e figli domiciliato nell’isola

una capanna nel Piano della Chiesa e due aratri.– Antonio Barossu domiciliato nell’isola colla moglie e quat-

tro figli due capanne nel Piano della Chiesa e due aratri.– Sisinnio Trudu colla moglie e cinque figli due cappanne nel

Piano della Chiesa due aratri, Antonio Cuccu colla moglie etre figli tre cappanne con tre cortili nel Piano della Chiesadue aratri.

– Francesco Mereu colla moglie e cinque figli una capanna edue aratri nel Piano della Chiesa.

– Salvador Luxu colla moglie e quattro figli due cappanne, inSu Pruini un aratro.

– Giovanni Balloni in Su Pruini un aratro.– Francesco Elias colla moglie e figli una cappanna nel Piano

della Chiesa due aratri.– Antonio Piredda colla moglie e figlio nel Piano detto due

aratri.– Pietro Foddis colla moglie e figli nel Piano della Chiesa due

aratri.– Il Nor° Giovanni Vincenzo Frongia nel Piano della Chiesa due

aratri, in Sa Pispisia due aratri.– Francesco Porcu nel Piano detto due aratri.– Francesco Pintus colla moglie e tre figliuoli una cappanna

nel Piano della Chiesa due aratri.– Mauro Simula colla moglie e due figli tre cappanne e tre

cortili, nel Piano della Chiesa due aratri.– Don Miguel Pes Arciprete della cattedrale d’Iglesias in S’Ac-

qua de sa Canna tre aratri.– Don Giuseppe Pintus in Sa Pispisia quattro aratri.– Antonio Usay colla moglie e due figli abitano nella casa di

Dona Madalena Sulas.– Pietro Carta Massaro nella casa del Capitolo.– Antonio Esteri colla moglie e due figli in un sotterraneo del

Capitolo.– Giuliana Callaresa vedova nella casa del Canonico Pileddu.– Francesco Antonio Zucca colla moglie e tre figli in un’altra

casa del Canonico Pileddu.– Giovanni Lochj colla moglie e tre figli nella casa di Bene-

detto Pavis.– Nicoletta Manca con tre figlie una casa e una cappanna– Antiogo Frongia colla moglie e tre figli posseggono una ca-

sa e una cappanna, in Su Pruini settanta pecore.– Giovanni Coccu massaro colla moglie e due figlj una casa.– Antiogo Lochi colla moglie e tre figlj due cappanne.– Salvador Cabras colla moglie e tre figlj due cappanne, nel

Piano della Chiesa due aratri.– Francesco Ignazio Eremita della Chiesa di San Antiogo una

cappanna con un cortile, nel Piano della Chiesa due aratri.– Francesco Toru colla moglie e una figlia pastore di capre -

Pietro Toru colla moglie e un figlio massaro, Giovanni An-

tonio Pai colla moglie e quattro figlj massaro. Salvador Pul-lo colla moglie e quattro figlj vivono tutto l’anno nell’isola.

– Antiogo Melis Murtas colla moglie madre e tre figlj. Giusep-pe Lodde colla moglie e quattro figlj. Antiogo Melis Piricoc-ci colla moglie, suocera e due figlj – Antonio Rossu collamoglie e tre figlj – Sisinio Campus colla moglie sono tuttimassaro domiciliati nell’Isola che coltivano le terre de Ca-valieri e d’altre persone che non coltivano da se stessi.

– Antiogo Corona colla moglie e quattro figlj nel Piano dellaChiesa due aratri.

– Antonio Piredda colla moglie e figlj – Antonio Giruccio col-la moglie figlio e nuora – Antonio Garau colla moglie e duefiglj - Felice Olargiu colla moglie – Agostino Pintus – Salva-dor Raspilla, Sebastiano Pilloy colla moglie e due figlj sonopastori e massari altrui sono abitanti tutto l’anno nell’Iso-la.

– Francesco Puddu - Donna Gioanna Paliaccio con suo figlioDon Giorgio Corria che dimora quasi tutto l’anno nell’Isolaposseggono tre case e un magazzeno grande nel Piano del-la Chiesa, quattro aratri in Sa Punta des’Omini una cappan-na con trenta pecore in Corti Cherbus una cappanna con246 capre.

Vi sono più di cento grotte incavate nella rocca tutte pro-prie di vari Particolari della Città d’Iglesias che si soglionoaffittare per abitazione e ricovero de concorrenti alla Festa.

Lo stabilimento di una nuova popolazione presentavaun altro ostacolo da superare: i diritti vantati dal Vescovodi Iglesias in forza di diverse donazioni: il Giudice Torco-torio nel 1124, Donna Benedetta di Lacon Massa con suofiglio Guglielmo nel 1216, Privilegi Reali dei Re di Spa-gna Giovanni nel 1466 e Ferdinando nel 1479 dove, su ri-chiesta del Vescovo Giuliano di Iglesias, vengono ribaditi iprivilegi sull’isola “Tam in die festivitatis eiusde Ecclesia...”(importante la citazione “in die festivitatis” nel 1466 checertifica la festa 54 anni prima).

Monsignore Arcivescovo di Cagliari scrive una memoriadi proprio pugno (conservata presso l’Archivio Maurizianoa Torino) dove sono anche indicate alcune disposizioni datenersi durante la festa del Santo: Memorie di molti atti de-gli Arcivescovi di Cagliari come Vescovi pure di Iglesias mieiPredecessori sopra l’Isola di Santo Antioco, per li quali si de-duce chiaramente il loro possesso e dominio di quell’Isola, ri-cavati da i Registri della Mensa.

E in primo luogo è da notare che né libri stampati ancheprima del 1600 approvati dall’Arcivescovo di quel tempo, o alui dedicati, gli vien dato palesemente il Titolo Dominus Suel-li, ac Sancti Pantaleonis, atque Insulae Sancti Antiochi &.

Così si vede in un libro che mi ritrovo a caso di avere, ilquale è stato stampato in Cagliari con licenza dè Superiori.

1598 - L’anno 1598: e così pure si legge in una Prefazio-ne o pure dedicatoria stampata in Sassari circa il medesimotempo, e inviatami due anni sono da Monsignore Vescovo diBosa, indirizzata all’Arcivescovo di Cagliari ch’era alloraDon Alonso Lasso Sedegno.

Dalla quale appellazione allora così palesemente usata sideduce che lo stesso Arcivescovo d’Iglesias doveva essere no-toriamente riputato, quale viene asserito, cioè Dominus In-sulae Sancti Antiochi, o Insularum Sancti Antiochi come

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si legge in altro luogo, siccome lo era di Suelli e di San Pan-taleo siccome ivi chiaramente viene enunziato nè i Titoli.

1597 - Una commissione e Delegazione generale dell’Ar-civescovo Don Alonso Lasso data nel 1597. al CanonicoGiovanni Melis con poter generale di procedere, catturare,giudicare, sentenziare, ed esercitare la Giurisdizione contraqualsiasi delinquenti nell’Isola di San Antiogo, Santadi &;la qual Commissione e Delegazione gen.le è stata prodotta incedola, a i. 3. di agosto del 1630. nella causa vertente con laCittà d’Iglesias sopra la Giurisdizzione di Santadi al fol.713. e 714.

1600 - Una Provisione del medesimo Arciv° Don Alon-so Lasso data il dì 14. di gennaro 1600. per la quale com-manda al suo Vicario Generale, e Ministri Ecclesiastici d’I-glesias che abbiano a riconoscere e riputare Andrea Meli dªmedesima Città d’Iglesias per Arrendatore di tutti i frutti erendite così civili come criminali, del detto Vescovado, del-la Isola di San Antiogo &; la quale provisione fu prodotta incedola a i. 16. di Settembre 1638. nella medesima causa chesopra a fogl. 122. a tergo.

1609 - Una provvisione di Monsignor Arcivesc° DonFrancesco d’Esquivel in data di 28. Gennaro 1609, per laquale dà facoltà al suo Vicario generale d’Iglesias di stabi-lire, ossia sindicare, o assegnare terreni nell’Isola di San An-tiogo a qualsiasi persona, pagando quello che accostuma-vano di pagare nel suo Salto, cioè né i suoi territorj di San-

re di queste cose, mentre li cacciatori anno la licenza del pro-prio Barone e Signore dell’Isola.

1620 - Proclama del Dottore e M° R.do Nicolò CadelloProvicario Gen.le in assenza del Canonico Franc° Cani Vic°Gen.le del Vescovato d’Iglesias e suoi Territorj; Nel quale sicommanda che tutti coloro che anno case distrutte o disfat-te nell’Isola di San Antiogo, le debbano far aggiustare e ri-fare in piedi, o riedificare dentro del termine di otto mesi sot-to pena di devoluzione delle medesime rovine e di esser mes-se all’incanto, e consegnate a chi offerirà di più &. In que-sto Proclama si dice ancora l’Arcivescovo come sopra Baro-ne e Signore dª medesima Isola e in suo nome si comman-da & come sopra. E segue la Relazione e Certificato di es-sersi pubblicata questo Proclama nella Chiesa del medesi-mo Santo nell’Isola nel dì della Festa del Santo e al maggiorconcorso del popolo (che concorre numerosissimo da tutte leparti del Regno a quella Festa dove, sempre interviene tuttala Città e Magistrati d’Iglesias) alla Chiesa il dì 3. e 4. diMaggio 1620.

1647 - Filippo Corrus Officiale dell’Isola di San Antiogoda Relazione di aver sindicato ossia assegnato una misuradi terreno Marco Cannas Blancher e Giovanni Manca abi-tanti d.ª Città d’Iglesias d’ordine del Vicario Gen.le del Ve-scovado Giovan Antonio Escarconi Serra a i 28. di febbr°1647.

Alli 3. di Aprile dello stesso anno 1647. d’ordine del me-

tadi; la quale provvisione fù ancora prodotta nella mede-sima causa della Giurisdizione di Santadi in cedola pre-sentata il dì 23. di 7.bre dell’anno 1638. a fol. 138.

1620 - Relazione di Nicolò Corbelli pubblico prego-niere di aver fatto il Bando per la Città di Iglesias con lagrida né i luoghi soliti della dª Città il dì 26. di Marzodell’anno 1620. d’ordine del Vicario Generale d’Iglesiase de i Salti ossia Territorj d.ª Mensa ossia Mitra Eccle-siense che era il Canonico Francesco Cani, che nessungenere di persone di qualsivoglia Grado, o Stamento, nonpossano condurre né pascolare qualsivoglia genere di Be-stiame per la distanza di quattro miglia d’intorno allaChiesa e Case del Glorioso Santo Antioco, sottopena diessere macellate, tenturate, tante volte quante entreran-no & e di cinque lire da applicarsi alla Chiesa del me-desimo Santo.

1620 - Intima fatta dal suddetto Rdo Francesco CaniVicario Gen.le Ecclesiense a i 28. d’Aprile del 1620, e no-tificata al Capitano e Giurati dª Città d’Iglesias, perchénon molestino li Cacciatori dell’altra Città e Luoghi delRegno che andarebbero a caccia nell’Isola di San Antio-go con licenza dell’Ill.mo e R.mo Don Francesco d’Esqui-vel Arciv° di Cagliari Vescovo d’Iglesias Barone e Signo-re della detta Isola, o del suo Vicario gente di quel Ve-scovado e dè i Salti ossia Territorj di esso; La qual espres-sione di Barone e Signore della detta Isola quivi viene re-plicata più volte. L’oggetto di questa Intima si è che nonmolestino i cacciatori forestieri col levargli parte della cac-cia che avrebbero presa, secondo che essi Capitano e Giu-rati & dovevano essersi vantati di voler fare e quivi gli sidice in questa Intima che essi non devono nè possono fa-

PIANO DELL’ABITATO DI SANT’ANTIOCO DISEGNATODAL MAGGIORE BESSONE (10 GENNAIO 1955)

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desimo Vicario Gen.le ha sindicata altra misura di terra aAntiogo Esu abitante d.ª medesima Città.

A i trè di Maggio del medesimo anno 1647. lo stesso Vi-cario Genle commanda per Editto che coloro che avevano sta-bilimenti di case, Baracche nell’Isola debbano fra quindici dìdalla pubblicazione del presente Editto, mostrare e produrre ititoli, dè i detti stabilimenti, concessioni & alla medesima Cu-ria Ecclesiastica; e che le case distrutte debbano essere rimessein piedi e riedificate entro di un anno sotto pena di essere de-volute alla Mensa &. Il quale Editto fù pubblicato ed affissoalla Chiesa del medesimo Santo Antioco il dì della sua Fe-sta cioè li trè di Maggio 1647.

1648 - Concessione di un tratto di terra per costruirvi unaBarracca, ai 15. Marzo

A i 27. Luglio del medesimo anno il soprad° VicarioGenle dà Patente di Offiziale della Isola di San Antiogo ter-ritorio e giurisdizione della Mensa, come ivi dice, del Vesco-vado Ecclesiense, il quale impiego vacava allora per la mor-te del soprallodato Filippo Corrus, a Antiogo Cadello Mas-saio d’Iglesias perché amministri ed eserciti gli atti e cose con-cernenti alla buona giustizia; e costui presente accetta il ca-rico di Offiziale, ed ha prestato il solito omaggio perciò os-sia il giuramento nella Curia, di portarsi ad amministrarefedelmente il carico datogli. Ai 24. di Agosto del medesimoanno è sindicata dall’Offiziale Antiogo Cadello d’ordine delVicario Genle a favore di Antonio Bringiu Toco Supplicanteuna misura di terra per due arati di formento, senza pregiu-dizio di terzo &.

Dal sopradetto anno 1648 a questa parte vi sono assais-

l’Arcivescovo e in odio di Lui sopra della Giurisdizione eser-citata nell’Isola, si esclude bensì l’Arcivescovo ossia il Vesco-vo d’Iglesias dalla Giurisdizzione; ma dalla stessa informa-zione risulta che l’Arcivescovo era nel possesso fino ad allo-ra di esiggere oltre la Decima anche gli altri redditi (che sonoil diritto territoriale ossia la portàdia) e la metà delle ma-chizie disperse, cioè per mezzo del suo Offiziale; pagandosialla Cassa Reale l’altra metà delle medesime. La suddettaInformazione si ritroverà nell’Archivio del Patrimonio. Il Reg-gente Vico nª sua Istoria fa menzione del Dominio utile del-l’Isola che anno i Vescovi, e delle antiche Donazioni dellequali ecco le Copie annesse.

Quanto al titolo di Barone dell’Isola sempre i Vescovi loanno usato in tutti gli atti pubblici, almeno da più di cencin-quanta anni in quà come si vede da libri o Editti stampati,e dalle esortatorie ancora solite a presentarsi a Signori Vicerèed alla Reale Udienza né i casi frequenti di contenzione.

Gli Arcivescovi nelle loro patenti che danno ai Vicarj ge-nerali d’Iglesias sono stati sempre soliti di dichiararli Reggitoridè i Salti ossia territorj dª Mensa, ed espressamente dell’Iso-la di San Antiogo; e nelle patenti date agli Offiziali della Iso-la e nell’omaggio sempre ricevuto di essi dagli stessi Arcive-scovi o da loro Vicarj, si vede che hanno sempre pensato diessere veramente Baroni dell’Isola; e lo stesso si vede da lorofrequenti Pregoni ossia Editti; e veramente il nominare Offi-ziali, il riceverne il Giuramento de Part ac fideliter admini-stranda justitiâ, il fare e pubblicare Bandi, o editti con pene&, l’esiggere la metà delle machizie& e il titolo pacificamen-te usato di Baroni, pare che tutto ciò indichi qualche cosa dipiù del dominio utile; né a questo si oppone la Informazione

COPIA DELL’ATTO DI DONAZIONE DI BENEDETTA DI LACON (11 GIUGNO 1216)

sime concessioni di terreni alavorare, e di pascoli, fatte datutti gli Arcivescovi o dal loroVicario Generale d’Iglesias,con le condizioni di pagare ilDritto territoriale, ossia por-tàdia come dicono qui ed ol-tre; e sarebbe fare un volumea volere trascrivere tutta que-sta serie non interrotta di at-ti, pregoni, patenti, sindici &che comprovano a piena evi-denza il possesso pacifico edantichissimo del Dominio uti-le di tutta l’Isola di San An-tiogo e adiacenti. Solamenteaggiungo che per l’incendiodell’Archivio del quale constanon si ritrovano più antichidocumenti dè i sopradetti, eda quelli tempi fino al dìd’oggi sono innumerabili i do-cumenti. Aggiungo ancorache nell’anno 1613 essendosipresa Informazione d’ordinedel Duca di Gandia che allo-ra era Vicerè, dal Capitanod’Iglesias a grazia del mede-simo, senza intervento del-

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del 1613. la quale fùpresa dal Capitano d’I-glesias e a distanza delmedesimo; perché in es-sa si dice da i testimoniallegati che il Capitanod’Iglesias per parte diSua Maestà era quelloche esercitava la Giuri-sdizzione; ma questo èperche quelli che anda-vano o abitavano là e-rano Vassalli Reali, cioèCittadini e abitatori dªCittà d’Iglesias, e perconseguenza non potevacontra di quelli proceder-si fuori che per la RealeGiurisdizione ch’era e-sercitata dal Capitanod’Iglesias. Ma il titolo diBarone, le patenti diReggitore, le patenti diOffiziale per ammini-strare giustizia, gli editti sotto pene, il diritto delle machizie& pare che mostri che gli Arcivescovi come Vescovi d’Iglesiasavevano ed anno la giurisdizione del luogo ossia del territo-rio dell’Isola quantunque non possano esercitarla sopra gliabitatori della medesima cioè per esser questi, Vassalli Realicome si è detto. Ben è vero che da quattro o cinque anni inqua il Capitano d’Iglesias non vuole che l’Offiziale di SanAntiogo e degli altri territorj della Mensa facciano esecuzio-ne e macellino & come facevano sempre, ma vuole che si rac-corra a Lui perch’egli faccia esecutare, macellare & e sicco-me per evitare i romori fino ad ora non si è fatta formale op-posizione a questa novità pregiudiziale; perciò poco a pococresce il pregiudizio della Mensa.

Calamandrana, stretto tra le rimostranze degli abitantidi Sant’Antioco ed Iglesias, i diritti rivendicati dall’Arci-vescovo di Cagliari, e la necessità per il governo piemon-tese di aumentare gli introiti per le povere casse reali au-mentando le rendite nelle zone spopolate del Regno, pro-va a suggerire un progetto di compromesso.

Nella sua relazione scrive...Tra tutti i territori di dett’isola da noi visitati tre sono par-

si propri per farvi una nuova popolazione cioè a Cala di Se-ta a tramontana verso San Pietro, a Porto Misci o sia Cala-sapone al ponente dell’isola, et altra a Maladorgia o Coi-cuaddus poco distante a mezzogiorno e levante verso il Golfodi Palmas, ma siccome nel sito di Cala di Seta che è tutto in-colto e serve solo di pascolo si trova un piccolo rivo et una fon-te in riva al mare d’acqua dolce perenne che vi si osservanovestigi di altre antiche abitazioni, che vi è un porto per anco-rare i bastimenti e che una torre ivi situata potrebbe con quel-la che si è progettata in Carloforte dominare l’entrata delGolfo di San Pietro, et avere anche con Portoscuso la dovutarelazione giacchè dalla parte dell’isola Piana e di Portoscusovi è il comando di altre torri.

In questo sito, dico, come il più proprio quando si volessecollocare i Greci venuti ultimamente da Corsica, ne avreb-bero di terreno buono secondo il giudicio de’ suddetti periti,al di la di quello sicuro per poter coltivare in più anni senzatoccare quello degli Iglesiensi e delli abitatori di S. Antioco,che si ritrova da questo lontano, e con altra torre che gli igle-siensi medesimi fabbricherebbero e manterrebero a loro spe-se nel Capo Su Moru, come alcuni della città hanno propo-sto, purchè si lascino godere le terre che attualmente coltivano,rimarrebbe quest’isola preservata dalle scorrerie sin qui pra-ticate dai barbareschi con far preda di sardi fino a che il Raispochi anni fa superato da questi vi ha con altri suoi turchilasciato la vita.

Il 28 Gennaio 1755 il Subdelegato d’Iglesias Don Pie-tro Usay consegna un’Intimazione84 scritta dal Conte diBricherasio alli Greci Corsi venuti d’Ajaccio, e commorantiin Porto Scuso.

A seguito degli accordi venuti meno (si erano obbliga-ti ad introdurre 240 famiglie, cioè circa 600 persone anzi-ché le 198 presenti, e varie altre mancanze), viene loroconcessa la possibilità di scegliere (entro 5 giorni) di sta-bilirsi non più nell’isola di St Antiogo, ma bensì a Montre-sta oppure a Fiumesanto. In caso poi li medesimi rifiutasse-ro queste grazie di S.M., intimerà loro che si facciano tuttitrasportare in Ajaccio facendo loro somministrare il nolito peril suo ritorno senza speranza di mai più essere ammessi nelRegno.

Il 16 Settembre 1759 la penisola di S. Antioco in Sar-degna, in seguito a transazione tra l’Arcivescovo di Ca-gliari, il Regio Patrimonio e l’Ordine dei Santi Maurizio eLazzaro, è ceduta a quest’ultimo.

Dieci anni dopo il sito di Cala di Seta sarà occupato dauna colonia di tabarchini e piemontesi.

Qualche traccia greca permane.

RELITTI TOPONOMASTICI

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Relitti toponomastici come l’antico nome dell’isola(Molibodes nesos poi plumbaria insula per i romani).

I Gregu (riferito a probabili discendenti greco-corsi),Sa Potecaria (così gli antiochensi più antichi chiamavanola farmacia, e Su Potecariu il farmacista).

Più importante l’eredità architettonica: l’impianto acroce greca del VII secolo nella basilica del glorioso San-to Antioco Patronus totius Regni Sardiniae.

Ma erano altri greci.

Il leone di Sulky nelle vicende antiquariedi Roma, nuova capitale del Regno

STEFANO ALESSANDRINI

Il Museo Barraco di Roma è una delle più complete rac-colte di scultura riguardante le civiltà del mondo an-

tico esistenti in Italia. Composta da circa 300 ope-re, la raccolta donata nel 1902 alla città dal ba-rone calabrese Giovanni Barraco, patriota ri-sorgimentale e senatore, rappresenta unostraordinario percorso che guida il visitatoreattraverso l’arte ed il tempo. Sculture egizie,assire, cipriote, etrusche, greche, romane(spesso degne di figurare nei più grandi mu-sei del mondo), sono esposte nel palazzettorinascimentale della cosiddetta Piccola Farne-sina, a pochi passi da Piazza Navona.

Tra i capolavori del Museo si trova un re-perto eccezionale: una testa di leone in alaba-stro. È fenicia, ma non proviene dal paesedei cedri, e nemmeno da Cartagine.

Fu rinvenuta in Sardegna. Nell’isoladi S. Antioco.

Giovanni Barraco era consigliato neisuoi acquisti di sculture antiche da un archeologo nativodi Praga, che da Vienna si era trasferito a Roma nel 1893:Ludwig Pollak. Divenne famoso per aver ritrovato il brac-cio destro del Laocoonte nel 1906.

Il Pollak era stimato ed interpellato da tutti i più gran-di collezionisti stranieri residenti nella città eterna. Que-sti ultimi erano sempre alla ricerca di reperti ed opere d’ar-te provenienti dagli scavi effettuati per la costruzione deinuovi quartieri della città, da scoperte fortuite nei dintor-ni di Roma, o da vendite di sculture dalle antiche colle-zioni romane.

Un antiquario piuttosto particolare era Pietro Stetti-ner, Ispettore generale del Ministero delle Poste. Nella suacasa con un piccolo giardino, non lontano dal Colosseo,raccoglieva monete e sculture romane. Durante i suoi viag-gi di lavoro incrementava la sua collezione acquistando re-perti archeologici.

In Sardegna, durante un’ispezione a Sant’Antioco, pas-seggiando in campagna, vide con suo grande stupore unascultura in alabastro di eccezionale fattura. Domandò alproprietario (un contadino del luogo) quanto denaro vo-lesse per cedere il reperto. L’uomo chiese in cambio un fu-cile a doppia canna.

Stettiner aspettava un consiglio da Pollak: lo studiosoboemo, entusiasta per la rarità del pezzo, lo spinse ad ac-quisirlo. A sua volta Pollak comprò dall’antiquario il leo-ne e lo cedette al barone Barraco per la sua collezione neldicembre 1899. L’archeologo era entusiasta della scultu-ra: “Probabilmente l’unico pezzo sopravvissuto di sculturafenicia in Italia” (così scrive nella presentazione del Mu-seo nel 1905).

La scultura, alta poco più di settanta centimetri, è unaprotome (rappresenta soltanto il muso e le zampe ante-riori dell’animale). Molto probabilmente il leone aveva lafunzione di guardiano (assieme ad una scultura gemella)della porta di un sepolcro monumentale. A S. Antioco sitrovano tombe con dromos (lungo corridoio) con più ca-mere. Due leoni in pietra calcarea, che quasi certamenteerano posti ai lati di una porta, sono conservati nel museo.Queste due sculture (simili ai leoni dell’isola di Delo) e la

protome leonina, pur nella loro originalità, han-no subito l’influenza dominante del mon-

do greco. Per la Magna Grecia possia-mo citare le gronde leonine tipichedelle architravi dei templi della Sici-lia, che ovviamente era in strettocontatto col mondo fenicio-punicodella Sardegna. Da non dimentica-re, comunque, anche i leoni funera-ri tipici dell’Etruria meridionale, con

esempi a Cerveteri e a Vulci. Per ladatazione posssiamo ipotizzare il pe-riodo tra la fine del V e il IV secoloavanti Cristo: una protome simile è

inserita nelle mura persiane di Bi-blo, risalenti all’incirca allo stes-

so periodo. Da ricordare infineche i leoni fiancheggiano il tro-no della dea Cibele, la grande

dea madre identificabile con Astarte fenicia. Forse un giorno riusciremo a ritrovare il luogo preciso

della collocazione originaria del “leone di Sulky” e a defi-nirne la funzione con certezza. Per ora non ci resta cheammirarlo, insieme ad altre straordinarie opere d’arte delpassato, nella meravigliosa collezione di un appassionatoed ammirevole mecenate.

Il Museo Archeologico di Sant’AntiocoPIERO BARTOLONI

Nel 1956, nell’abitato di Sant’Antioco, antica Sulky,ebbero inizio le fruttuose campagne di scavo nelle

aree del tofet e della necropoli ipogea di età punica. Gliscavi erano condotti dal Soprintendente, Gennaro Pesce,e dall’allora Ispettore, Ferruccio Barreca. Molte centinaiadi stele in pietra, decorate in prevalenza con figure uma-ne, e di urne fittili, unite ad altrettanti vasi in terracottadecorati e non, che facevano parte dei corredi tombali, im-posero la creazione di un luogo ove conservare tutta que-sta messe di reperti. D’altro canto, la distanza con il capo-

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luogo cagliaritano e la mancanza di spazi adeguati all’in-terno del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, ob-bligarono la Soprintendenza a creare a Sant’Antioco undeposito sia pur temporaneo che potesse ospitare la mag-gior parte dei reperti.

Occorre premettere che, nello stesso periodo, nell’areaadiacente al settore della necropoli punica ipogea, deno-minata Is Pirixeddus (le piccole pere), era stata iniziata lacostruzione di tre palazzine a due piani destinate all’edi-lizia popolare. Questi edifici dovevano sorgere a quella cheall’epoca era la immediata periferia del paese, cioè allasommità della cresta che, dalla cattedrale di Sant’Antioco,dedicata al Santo Protomartire della Sardegna, giungevafino ad un nuraghe polilobato su cui poi in età sabauda fucostruito un fortino. Conclusi i lavori del primo edificio einiziati quelli per la realizzazione dei successivi, i funzio-nari dell’allora Soprintendenza Archeologica per la Sar-degna tra le trincee di fondazione rinvennero vistose trac-ce di antichi edifici. Questi, rivelatisi in parte relativi allefortificazioni di età punica e in parte riguardanti forse ungrande santuario di età romana repubblicana, imposeroprima l’arresto immediato dei lavori e poi il loro definitivoabbandono. Le Autorità comunali spostarono il cantiereper le case popolari in un’altra area e il secondo piano del-l’unica palazzina già edificata fu dato in uso come depo-sito temporaneo alla Soprintendenza Archeologica. Que-sti due piccoli appartamenti costituirono il nucleo del fu-turo Museo Archeologico Comunale di Sant’Antioco.

Infatti, l’allora Ispettore Ferruccio Barreca, sotto la cuiresponsabilità venivano compiute le ricerche archeologi-che nel tofet e nella necropoli, decise che almeno una par-te dei materiali conservati nel magazzino improvvisatomeritava di essere esposta al pubblico godimento. In realtànon si trattava di un vero e proprio museo, ma di un de-posito, per di più temporaneo. Si deve dunque alla lungi-miranza di Ferruccio Barreca, alla cui memoria è stato op-

vicissitudini e numerosi passaggi dell’edificio da un enteall’altro, verso la metà degli anni ’90 la struttura è final-mente approdata sotto la giurisdizione dell’Amministra-zione Comunale, che, grazie anche ai fondi messi a dispo-sizione dalla Regione Autonoma della Sardegna, è stata ingrado di completare le opere murarie, di mettere a puntogli impianti e di allestire gli arredi interni. Il museo è in-serito nell’area archeologica del tofet, che lo sovrasta.

L’allestimento del museo è stato curato da chi vi par-la, con la collaborazione di Paolo Bernardini, Direttore del-la Soprintendenza Archeologica, e con l’aiuto imprescin-dibile di giovani studiosi e studenti dell’Università di Sas-sari, tra i quali Michele Guirguis, del Personale della se-zione di Sant’Antioco della Soprintendenza Archeologicae del Personale della Società Cooperativa Archeotur diSant’Antioco.

Oggi il Museo Archeologico Comunale di Sant’Antio-co, grazie agli accordi e alla collaborazione della Soprin-tendenza archeologica per le Province di Cagliari e Ori-stano, è pronto ad accogliere le istanze, l’interesse e il de-siderio di conoscere e di sapere dei più giovani, degli stu-diosi, dei turisti e, in definitiva, di tutti coloro, cittadinan-za compresa, che sono desiderosi di apprendere la storiae le vicende del più antico agglomerato urbano della Sar-degna. Questo museo si presenta come la più importanteesposizione monografica della Sardegna, relativa alla ci-viltà fenicia e punica, poiché ospita le testimonianze di ununico grande centro urbano dell’antichità, centro urbanoche, allo stato attuale delle ricerche, risulta il più anticodella Sardegna.

Allo scopo il museo è stato allestito seguendo un per-corso storico, che, dalle origini dell’occupazione del terri-torio da parte dell’uomo e dalle brume della preistoria,conduce fino all’impero romano e alla fine del mondo an-

IL MUSEO

portunamente intitola-to l’attuale museo, seoggi a Sant’Antioco a-pre i battenti il MuseoArcheologico Comuna-le. Negli anni successivigli oggetti contenuti inquesto deposito furonoin parte collocati in unaesposizione tempora-nea, allestita in un loca-le del monte granaticodi Sant’Antioco, appo-sitamente restaurato.

Il progetto per ilnuovo museo fu varatoattorno al 1970 e nel1973 fu edificata lastruttura, con i fondimessi a disposizionedalla Cassa del Mezzo-giorno. Dopo lunghe

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tico. Tutti gli oggetti sono esposti in vetrine di tre differentidimensioni, che ne permettono una completa visuale.

L’esposizione è aperta dalla vetrina allestita per i nonvedenti, che, oltre ad un modello di nave da guerra carta-ginese, contiene alcune riproduzioni di oggetti provenien-ti da contesti sacri, funerari o di vita quotidiana, che pos-sono essere toccati. Le didascalie dei materiali sono ripro-dotte anche in caratteri Braille.

La prima sezione comprende alcune vetrine che pre-sentano materiali d’uso quotidiano e di provenienza fu-neraria, relativi al periodo Calcolitico e all’Età del Bron-zo. Buona parte degli oggetti sono stati rinvenuti nell’areacosiddetta del Cronicario di Sant’Antioco, sotto le vesti-gia della città fenicia. Sono presenti tra l’altro frammentirelativi alla Cultura Ozieri e Sub Ozieri, immediatamen-te precedente la Cultura di Monte Claro, cronologica-mente inquadrabili a cavallo del IV e del III millennio a.C.Quanto alla ceramica nuragica, situata soprattutto nell’Etàdel Bronzo, sono presenti pochi ma significativi fram-menti, relativi a brocche askoidi o a recipienti decorati astampo o a incisione. Alcune vetrine della prima sezionesono dedicate alle collezioni private di Sant’Antioco o al-le mostre temporanee.

Tuttavia, come è intuitivo, il fulcro e il maggior nume-ro dei reperti esposti nel museo è appartenente alla civiltàfenicia e punica e proviene dalle ricerche archeologicheeffettuate nel sito durante l’ultimo cinquantennio. Infatti,la seconda sezione ospita ciò che è stato trovato nel corsodei decenni nella necropoli punica dell’antica Sulky. Que-sta sezione inizia superato il plastico ricostruttivo del tofete di fronte da quello che riproduce l’antico porto. In cin-que vetrine sono ospitati sia gli oggetti, soprattutto vasel-lame, che erano parte dei corredi di accompagnamento deidefunti, sia il corredo completo della tomba 9PGM, che,grazie al limitato numero degli oggetti, è stato possibileospitare all’interno di una sola vetrina. È appunto in con-comitanza con l’allestimento che sono emersi aspetti inprecedenza solo sfiorati. Tra tutti, il limitato repertorio del-le forme vascolari rinvenuto all’interno degli ipogei, che,per quanto riguarda le forme chiuse, non supera la decinadi tipi. Ciò, confrontato con quanto risulta da un con-fronto con la ceramica di uso domestico adottata tra il Ve il IV secolo a.C., se non altro dimostra l’appiattimentoe la banalizzazione di alcune pratiche connesse con il ritofunebre.

Il vasto andito, che accoglie parte delle vetrine della ne-cropoli, è custodito dai due grandi leoni in pietra, che al-l’origine probabilmente erano eretti a guardia della portasettentrionale dell’antica cinta muraria. Si tratta di duesplendide sculture a tutto tondo, in grandezza naturale,ispirate a modelli vicino-orientali, in particolare siro-ana-tolici, che fin dal secondo millennio a.C. adornavano e sor-vegliavano le porte delle antiche città.

Superata la porta dei leoni, si accede alla terza sezio-ne, anch’essa dedicata in parte alla necropoli punica, poi-ché, come è noto, in questo settore la cinta sulcitana se-parava l’area funeraria. Nell’ampio vano a destra è visibileuna ricostruzione della tomba di via Belvedere, una delle

tombe puniche più antiche rinvenuta verso la fine del2004, mentre, nelle vetrine lungo la parete opposta, sonoconservati i gioielli, gli amuleti, le maschere in terracottae le statuine rinvenute nelle diverse tombe. Una ulteriorevetrina ospita alcuni contenitori che, seguendo il rito del-l’incinerazione di età ellenistica, conservano ossa di indi-vidui adulti.

La seconda metà di questa sezione è dedicata al tofet,il santuario fenicio e punico dedicato al dio Baal Hammone alla dea Tinnit, ove, con riti particolari, venivano depostele ossa dei fanciulli mai nati o deceduti in tenerissima etàe, comunque, prima dell’iniziazione. Le prime due vetri-ne contengono gli amuleti, i piccoli giochi e il vasellamein miniatura che accompagnavano i piccoli defunti, men-tre le successive accolgono i vasi che nel corso del tempocostituirono le urne per le ossa bruciate dei bambini de-posti nel santuario.

L’andito tra la terza e la quarta sezione conserva unavetrina nel cui interno sono esposti gli oggetti di una col-lezione privata recentemente acquisita dal Ministero peri Beni e le Attività Culturali e ceduta al museo. La colle-zione è composta da oltre duecento amuleti e da circa sei-cento vaghi di collana in vetro e pasta vitrea, oltre a trecoppe ed alcuni bracciali in argento e a oltre duecento bot-toni in osso. Una delle coppe reca un’iscrizione punica dioltre cento caratteri. Anche se non se ne conosce la pro-venienza, il materiale ha un carattere omogeneo sia perquanto riguarda la cronologia che per quel che attiene latipologia. Infatti, gli amuleti alludono soprattutto alla ma-ternità e all’infanzia, mentre tra i vaghi di collana manca-no o sono assai rari quelli classici con ocelli.

La quarta ed ultima sezione contiene i materiali, cera-miche, ossi e metalli rinvenuti nell’area cosiddetta del Cro-nicario, casa di riposo comunale degli anziani. In quest’areasono stati rinvenuti gli edifici relativi alla prima città feni-cia, datati attorno al 770 a.C., sormontati da un santuario,forse di Demetra, e da abitazioni del III e II secolo a.C.Proprio nel segno della continuità, nella stessa sezione so-no visibili i corredi tombali della necropoli di età romanaimperiale, che concludono l’esposizione.

Alcuni plastici attualmente ancora in allestimento con-tribuiscono opportunamente ad integrare l’esposizione edhanno una funzione prettamente didattica: si tratta di unenorme pianta tridimensionale dell’isola di Sant’Antiocoin scala 1:2500, delle dimensioni di m 3,5x3, ove, utiliz-zando un’apposita consolle, possono essere indicate conpunti luminosi tutte le località d’interesse archeologicodell’isola. Un ulteriore plastico riproduce un’immagineideale, ma non molto distante dalla realtà, dell’antico por-to della città, mentre una grande vasca contiene le ripro-duzioni in scala 1:20 di una nave da carico e di una naveda guerra in uso in età fenicia.

Il Museo Archeologico Comunale “Ferruccio Barreca”di Sant’Antioco, con la ricchezza e l’interesse dei materialiconservati, si pone senza dubbio tra i musei più importantitra quelli dedicati alla civiltà fenicia e punica.

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suoi primi lavori in le-gno, per poi passare allapietra, prosegue il suopercorso artistico con lalavorazione di entram-be. Attualmente si dedi-ca a tempo pieno alla ri-cerca e alla creazionedelle sue opere.Nasce a Sant’Antioco il

27 novembre 1941;1980 - scopre la voca-

zione alla scultura einizia il suo percorsoartistico;

L’Artista Antiochense“Gianni Salidu”

“N’arte è un linguaggio che mi consente di esprimeretutto ciò che non si può trasmettere con le parole”

GIANNI SALIDU

Gianni Salidu, inizia la sua attività artistica traendo dal-l’isola sulcitana ispirazione per le proprie opere, realizza i

Agosto 1982 - si presenta al pubblicocon la sua prima personale tenuta aSant’Antioco;

1984 - Allestimento del presepe artisticoa Sant’Antioco in un ipogeo punico.L’appuntamento biennale proseguetutt’oggi;

1986 - Inizio delle esposizioni oltre Tir-reno: Fiorano Modenese (MO) - Lac-chiarella (MI) e, nel 1990 nel centroCIAS Club dell’UNESCO a Roma;

1991 - Ha inizio la collaborazione con lacooperativa Monte Meana per l’alle-stimento del presepe artistico anchenella grotta calcarea di Is zuddas -Santadi. L’appuntamento artistico di

cano tempi di origine e di creazione checircondano in un enigma le civiltà e la sto-ria dei popoli, i nuraghi della sua Sarde-gna, toccata dai Fenici, isola ponte di pas-saggi e contatti, che in Salidu rivivono perquella misteriosa magia che non è fatta dilibri ma di percorsi e di emergenze dal cer-chio profondo...

Prof. ELIO MERCURIcritico d’arte (Roma)

Il significato iconografico delle raffigu-razioni legate al suo primo periodo artisti-co risentono dell’influenza del Mito, del-l’Antico, dell’Arcano: basti osservare l’ope-ra umana, dagli occhi semichiusi e penso-si, capelli lunghi, baffi folti e lunga barba,ci riporta ai busti degli antichi filosofi gre-

fine anno è imperniato ancora oggi sulla natività del-l’artista, che annualmente viene rinnovata;

1993 - Partecipazione al primo simposio di scultura. Dal’93 l’artista ha partecipato ogni anno ad un simposio,alcuni a Sant’Antioco, altri a Cortoghiana, Ittiri, Jerzu,etc...

Ogni anno, nel mese di agosto, allestisce una perso-nale a Sant’Antioco. Salidu è un profondo conoscitoredelle culture tribali: India, Malesia, Indonesia, Thaiwan,Sud Africa, Marocco e Turchia. Ha viaggiato molto an-che in Europa (Austria, Germania, Belgio, Grecia), Se-negal, Gambia e Brasile. Si è potuto così confrontare condiverse culture e manifestazioni artistiche. È proprio gra-zie al contrasto artistico dei luoghi visitati e al confrontodi questi con la sua terra che ogni sua opera prende vi-ta, si anima, come fosse lo specchio della crescita edespressione interiore dell’artista.

Alcune recensioni

Nelle sue pietre e nei suoi legni c’è una forza impres-sionante, ti si parano davanti con la stessa consistenza diuna collina o di un albero, e al tempo stesso cariche di me-dianiche corrispondenze: hanno i tratti e le figure di ciò

che ci circonda e pu-re vivono in una loroaurea remota e asso-luta. Presenze, chesono collocate nellaloro primordiale sem-bianza, spesso rac-chiusa nel tempo in-terminabile dell’ar-chetipo, dove comin-cia la vita, e nasconoi miti e gli dei. Hannola stessa sostanza eforma degli eventi dinatura, ...e per sottilicorrispondenze evo-

GIANNI SALIDU

LIBERTÀ SPAZIO

VENERE “LIBERTÀ” MATERNITÀ

UNIONE

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ci, carichi di espe-rienza e maestri divita. Con l’Ardia,opera realizzata inolivastro, l’artista siavvicina al mondodel folclore sardo: ilPalio della monta-gna. In una dellesue opere lo sculto-re tocca un temaattualissimo e pur-troppo tristementefrequente: la trage-dia nucleare. Inquesta sua operaSalidu ha raggiun-to la piena matu-rità sia artistica chesociale: come noncommuoversi di-

zione e la distruzio-ne.

Dalle materieportate dal marehai realizzato figu-re dal sapore misti-co e orientale che ciriportano indietronel tempo, ove abordo di una picco-la imbarcazione ilnostro Antico, San-to Taumaturgo, ve-nuto da lontano, hasofferto per portareavanti le sue idee ela sua missione.Oggi, a distanza disecoli, il suo culto èancora vivo e ci halasciato un messag-

Con prudenza e senza alcuna presunzione, mi sento indovere di fare alcune considerazioni sulla tua arte, sulla tuamagistrale tecnica che riesce a plasmare la materia tutta.

Il fatto che tu, a prescindere dalla materia utilizzata, siaessa un blocco di trachite o un tronco di ginepro, esprimamagistralmente temi e soggetti così diversi ma facenti par-te di un’unica matrice, legata al comune denominatore cherappresenta le radici della nostra terra, danno, all’attentoosservatore, la percezione dell’ecletticità dell’artista.

Personalmente, la mia predilezione va alle figure fem-minili, discendenti dalla Mater Mediterranea, che, con ele-gante sofferenza, stringono tra le mani, racchiuso in unasfera, la dualità del mondo: la nascita e la morte, la crea-

COSTUMI SARDI - S. ANTIOCO

COSTUMI SARDI - S. ANTIOCO

COSTUMI FEMMINILI E MASCHILI DELLA TRADIZIONE ISOLANA

nanzi a questa Apocalisse, effigiata in primo piano dallostruggente abbraccio Madre-Figlio, sconvolti da tanto ter-rore.

FRANCO ROSSIIspett. Storico dell’Arte - Ministero BB.CC. (Roma)

Lettera all’artista

Caro Gianni,come tu sai, non sono né uno storico né un critico d’arte,ma figlio di questa terra antiochense che lavora nello speci-fico settore della Tutela del Patrimonio Culturale. Pertanto,le mie osservazioni, nascono esclusivamente dall’amore co-mune che ci lega alla nostra isola. gio: lo stesso che tu oggi riesci a trasmettere con le tue

opere.La tua arte parla ed io sento parole di libertà, di

unione, di pietà e di superbia che attraverso il filo con-duttore della tua opera, la Dea Madre, giungono inuna dimensione senza confine, dove luce e tempo, cheinesorabilmente scorrono, si materializzano in ununico messaggio d’amore: la tua arte.

Con stima e amiciziaROBERTO LAI

I costumi tradizionali diSant’Antioco

Icostumi tradizionali di Sant’Antioco sono oggi in-dossati solo in occasione delle sagre religiose. So-

lo alcune fra le donne più anziane ancora portanoogni giorno una versione semplificata del costumetradizionale. I costumi di Sant’Antioco sono di tipo-logia diversa in base alla posizione sociale di chi liindossa. Su “bistiri a nostrana” era indossato dalledonne della borghesia agricola. Comprende una gon-

1) M. PERRA, ΣΑΡ∆Ω, Sardinia, Sarde-gna, voll. I-III, Oristano 1997.

2) S.F. BONDÌ, Osservazioni sulle fonticlassiche per la colonizzazione della Sardegna,Saggi Fenici (Collezione di Studi Fenici, 6),Roma 1975, pp. 49-66.

3) M.G. GUZZO AMADASI, Le iscrizio-ni fenicie e puniche delle colonie in Occidente(Studi Semitici, 28), Roma 1967, pp. 129-31.

4) F. CENERINI, L’epigrafia di frontiera: ilcaso di Sulci punica in età romana, in Epigrafiadi confine. Confine dell’epigrafia, Atti del Col-loquio AIEGL Borghesi 2003, a cura di M.G.ANGELI BERTINELLI e A. DONATI, Faen-za 2004, pp. 223-237.

5) P. BARTOLONI, G. GARBINI, Unacoppa d’argento con iscrizione punica da Sulcis,“Rivista di Studi Fenici”, 27, 1999, pp. 79-91.

6) P. BARTOLONI, S.F. BONDÌ, S. MO-SCATI, La penetrazione fenicia e punica in Sar-degna. Trent’anni dopo (Memorie dell’Acca-demia Nazionale dei Lincei, 9,1), Roma 1997.

7) P. BARTOLONI, Sulcis (Itinerari, 3),Roma 1989, pp. 27-59; P. BARTOLONI, Fe-nici e Cartaginesi nel Sulcis, Cagliari 2003; P.BARTOLONI, P. BERNARDINI, I Fenici, iCartaginesi e il mondo indigeno di Sardegna tral’VIII e il III secolo a.C., “Sardinia, Corsica etBaleares Antiquae”, 2, 2004, pp. 57-64 P.BARTOLONI, Il museo archeologico comunale“Ferruccio Barreca” di Sant’Antioco (Guide eItinerari, 40), Sassari 2007, pp. 12-63.

8) V. SANTONI, La preistoria e la proto-storica, (ed. P. BARTOLONI), Sulcis, Roma1989, pp. 63-78.

9) S. MOSCATI, Chi furono i Fenici, Tori-no 1992; ID., Il tramonto di Cartagine, Tori-no 1993; ID., Introduzione alle guerre puni-che, Torino 1994; P. BARTOLONI, Nuove te-stimonianze sui commerci sulcitani, Mozia - XI(Quaderni di Antichità Fenicie e Puniche, 2),Roma 2005, pp. 557-78.

10) P. BARTOLONI, Nuove testimonianzearcaiche da Sulcis, “Nuovo Bullettino Archeo-logico Sardo”, 2, 1985, pp. 167-92.

11) P. BARTOLONI, Per la cronologia del-

l’area urbana di Sulky, “QuadCagliari”, 21,2004, pp. 51-55; ID., Nuovi dati sulla crono-logia di Sulky, in L’Africa romana: Atti delXVII Convegno di studio, Sevilla 2006, instampa.

12) P. BERNARDINI, Un insediamento fe-nicio a Sulci nella seconda metà dell’VIII sec.a.C., Atti del II Congresso Internazionale di Stu-di Fenici e Punici, Roma 1987, Roma 1991,pp. 663-673

13) P. BARTOLONI, Le necropoli dellaSardegna fenicia: El mundo funerario. Actas delIII Seminario Internacional sobre temas fenicios,Guardamar del Segura, 3 a 5 de mayo de2002, Alicante 2004, pp. 117-30.

14) P. BARTOLONI, Orizzonti commer-ciali sulcitani tra l’VIII e il VII secolo a.C.,“Rendiconti dell’Accademia Nazionale deiLincei”, 41, 1986, pp. 219-226.

15) P. BARTOLONI, Le relazioni tra Car-tagine e la Sardegna nei secoli VII e VI a.C.:Egitto e Vicino Oriente, 10 (1987), pp. 79-86.

16) S.F. BONDÌ, Fenici e Punici nel Medi-terraneo occidentale tra il 600 e il 500 a.C., inMAXH. La battaglia del Mare Sardonio, Ca-gliari - Oristano 2000, pp. 57-72; P. BAR-TOLONI, Fenici e Cartaginesi nel Sulcis, Ca-gliari 2003

17) P. BARTOLONI, Il controllo del terri-torio nella Sardegna fenicia e punica, Fra Car-tagine e Roma, Seminario di studi italo-tunisino(Epigrafia e Antichità, 18), Bologna 2002, pp.79-86.

18) P. BARTOLONI, Contributo alla cro-nologia delle necropoli fenicie e puniche di Sar-degna, “Rivista di Studi Fenici”, 9 Supple-mento, 1981, pp. 13-29.

19) P. BARTOLONI, La tomba 2 AR dellanecropoli di Sulcis: Rivista di Studi Fenici, 15(1987), pp. 57-73; ID., Riti funerari fenici epunici nel Sulcis: Riti funerari e di olocausto nel-la Sardegna fenicia e punica, Atti dell’incontrodi studio, Sant’Antioco, 3-4 ottobre 1986,(QuadCagliari, 6, 1989, supplemento), Ca-gliari 1990, pp. 67-81; P. BERNARDINI, Si-stemazione dei feretri e dei corredi nelle tombe

puniche: tre esempi da Sulcis: “Rivista di StudiFenici”, 27, 1999, pp. 133-146.

20) P. BARTOLONI, Fortificazioni punichea Sulcis, “Oriens Antiquus”, 10, 1971, pp.147-154; ID., Fortificazioni puniche nel Medi-terraneo, “Cultura e Scuola”, 37, 1971, pp.193-198.

21) P. BERNARDINI, Recenti indagini nelsantuario tofet di Sulci, Atti V Congresso Inter-nazionale di Studi Fenici e Punici, Marsala-Pa-lermo 2000, Palermo 2005, pp. 1059-1070.

22) P. BARTOLONI, Urne cinerarie arcai-che a Sulcis: “Rivista di Studi Fenici”, 16,1988, pp. 165-179.

23) A. MATTONE in B. ANATRA, A.MATTONE, R. TURTAS, Storia dei Sardi edella Sardegna, vol. III, L’Età moderna, JacaBook, Milano, 1989, pagg. 328 e seg.

24) T. NAPOLI, Vita, Invenzione e Mira-coli del glorioso martire Sant’Antioco detto vol-garmente Sulcitano, Reale Stamparia, Cagliari,1784, pag. 15.

25) A. LA MARMORA, Itinéraire de l’îlede Sardaigne, Frères Bocca, Turin, 1860, pag.279.

26) A. MASTINO, Diritto @ Storia N. 3 -Maggio 2004 - Tradizione Romana, Il viaggiodi Theodor Mommsen e dei suoi collaboratori inSardegna per il Corpus Inscriptionum Latina-rum sta in: www.dirittoestoria.it/3/Tradizio-neRomana/Mastino-Viaggio-di-Mommsen-in-Sardegna.

27) O. MARUCCHI, Epigrafia cristiana,Ulrico Hoepli, Milano, 1910, pag. 67.

28) G. DETTORI, in Biblioteca Sanctorum,Istituto Giovanni XXIII nella Pontificia Uni-versità Lateranense, Roma, Vol. II, 1962, pag.68.

29) L. PORRU, R. SERRA, R. CORO-NEO, Sant’Antioco - Le Catacombe - La Chie-sa Martyrium-I frammenti scultorei, STEF, Ca-gliari, 1989, pag. 88.

30) Ibidem, pag. 29.

31) Ibidem, pag. 11.

32) A. LA MARMORA, Itinéraire de l’île

ANNALI 2008 116

na a pieghe, “sa fardetta de mesu grana”, di colore rosso,in tessuto d’orbace finissimo, “su ventalliccu”, il grembiu-le nero ricamato, “su gipponi”, il corpetto stretto in raso ovelluto, “sa camisa a polanias”, la camicia bianca ricamata,“su panneddu”, da mettere sulle spalle, “sa perr’e sera”, ilfazzoletto ricamato, “is bottinus” le scarpe rosse con il tac-co, i gioielli: “sa gioia” (un ciondolo), “is arreccadas” (gliorecchini), “is aneddus” (gli anelli).

“Sa massaia”, la donna di casa vestiva in modo più sem-plice e senza gioielli (a parte la fede). In questo vestito siritrovano “su gipponi”, “sa perr’e sera”, “su ventalliccu”.Sul capo una cuffia rossa “sa scuffia”, ai piedi gli zoccoli inlegno fasciati da una banda rossa: “is cappus”.

Sobrio ma fiero il vestito de “Su massaiu”, l’uomo, ca-ratterizzato dai colori nero dei pantaloni “is cracciònis”,tessuti in orbace e tenuti stretti in vita da una cintura incuoio e dal bianco della camicia in lino ricamata: “sa ca-misa”. Alla cintura viene sempre tenuto un fazzoletto pie-gato, di colore rigorosamente rosso. Sul capo una “berrit-ta” nera; le scarpe sono ricoperte da ghette, sempre nere,“is cràccias”.

Il corpetto nero, da indossare sopra la camicia (“su cos-su”) è adornato da una doppia fila di monete dorate usa-te a mo’ di bottoni. Il cappotto di lana marrone, “su gab-banu”, bellissimo, comodo ed elegante, è più somigliantead un mantello che a un cappotto, ma ha le maniche.

de Sardaigne, Frères Bocca, Turin, 1860, pag.279.

33) S. PINTUS, Sardinia Sacra, Vol. I, Ti-pografia Canelles, Iglesias, 1904, pag. 65.

34) F. PILI, Le meraviglie di Sant’AntiocoMartire Sulcitano, Edizioni “Santuario S. An-tioco”, Cagliari, 1984, pag. 34

35) B.R. MOTZO, La donazione dell’isolasulcitana a S. Antioco, in Archivio Storico Sar-do - Vol. XIII, Cagliari, 1920, pag. 88.

36) F. LANZONI, Le diocesi d’Italia, Dal-le origini al principio del secolo VII (an. 604),Stabilimento grafico F. Lega, Faenza ,1927.pag. 670.

37) Ibidem: (cf. “Rassegna Gregoriana”, an.1910, pagg. 47-8):

Simmacus has arces cultu meliore novavitMarmoribus, titulis, nobilitate, fide;e (ivi) in un’altra iscrizione dello stesso pa-

pa si legge:Antistes portam renovavit Simmachus istam.

38) A.F. SPADA, Storia della SardegnaCristiana e dei suoi Santi, Il primo Millennio,Editrice S’Alvure, Oristano, 1994, pag. 208.

39) E. DIEHL, Inscriptiones Latinae Chri-stianae Veteres, vol. I, Berlino, 1961. pagg.850-1.

40) O. MARUCCHI, Le catacombe roma-ne, Desclée, Lefebvre e C., Editori, Roma,1905, pag. 706.

41) G. CALZA, G. BECATTI, Ostia, Isti-tuto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma,1987, pag. 59.

42) O. MARUCCHI, Le catacombe roma-ne, Desclée, Lefebvre e C., Editori, Roma,1905, pag. 701.

43) A. MASTINO, Diritto @ Storia N. 2 -Marzo 2003 - Lavori in corso - Contributi, LaSardegna cristiana in età tardo-antica, sta in:www.dirittoestoria.it/lavori2/Contributi/Ma-stino-Sardegna-Cristiana.

44) AA.VV., Fiore dei Bollandisti ovvero Vi-te dei Santi, Napoli, 1882.

45) A. BOSCOLO, La Sardegna bizantinae alto-giudicale, Chiarella, Sassari, 1978, pag.45.

46) A.F. SPADA, Storia della SardegnaCristiana e dei suoi Santi, Il primo Millennio,Editrice S’Alvure, Oristano, 1994, pag. 22.

47) C. HALM, Victoris Vitensis - Persecv-tionis africanae provinciae sub Geiserico etHvnirico regibvs wandalorvm, Weidmannos,Berlino, 1961, pag. 71.

48) A. BLAISE, Le vocabulaire latin des prin-cipaux thèmes liturgiques, Brepols, Turnhout(Belgique), 1966, pag. 519: ...Le mot antistes,chef, a désigné les évèques dès l’époque de Ter-tullien [Quintus Septimius Florens Tertullia-nus (150-220 circa)]. Dans le latin liturgique,il est aussi courant que pontifex et episcopus.

49) F. GROSSI GONDI, Trattato di Epi-grafia cristiana latina e greca del mondo romanooccidentale, Università Gregoriana, Roma,1920, pag. 148.

50) P.G. SPANU, Martyria Sardiniae. Isantuari dei martiri sardi, Oristano, 2000, pp.83-95.

51) E. ATZENI, La preistoria del SulcisIglesiente, Cagliari, 1987 [ripubblicato in: En-rico Atzeni, Ricerche preistoriche in Sardegna,Cagliari, 2005, pp. 271-319].

52) P. BARTOLONI, Fenici e Cartaginesinel Sulcis, Cagliari, 2003.

53) P. MELONI, “Sulcis e Iglesiente nelperiodo romano”, in Iglesias. Storia e società,Iglesias, 1987, pp. 73-83.

54) L. PORRU, “Riesame delle Catacom-be (nuove osservazioni e rilievi)”, in L. POR-RU, R. SERRA, R. CORONEO, Sant’Antio-co. Le Catacombe. La Chiesa Martyrium. Iframmenti scultorei, Cagliari, 1989, pp. 13-83.

55) R. TURTAS, “La diocesi di Sulci tra ilV e il XIII secolo”, in Sandalion, 18, 1995, pp.147-170.

56) P.G. SPANU, La Sardegna bizantinatra VI e VII secolo, Oristano, 1998, pp. 47-55.

57) R. CORONEO, Architettura romanicadalla metà del Mille al primo ’300, collana“Storia dell’arte in Sardegna”, Nuoro, 1993,p. 35, sch. 3.

58) F. DE ESQUIVEL, Relacion de la in-vencion de los cuerpos santos que en los años1614, 1615, y 1616, fueron hallados en variasYglesias de la Ciudad de Caller y su Arçobi-spado, Napoli, 1617, passim; Antioco Pised-du, L’arcivescovo Francesco Desquivell e la ri-cerca delle reliquie dei martiri cagliaritani nelsecolo XVII, Cagliari, 1997.

59) R. CORONEO, R. SERRA, Sardegnapreromanica e romanica, collana “PatrimonioArtistico Italiano”, Milano, 2004, pp. 52-59.

60) R. CORONEO, “Altari, pilastrini eplutei in Sardegna fra VI e VII secolo”, in Ar-chivio Storico Sardo, XLII, 2002, pp. 15-17.

61 R. CORONEO, Scultura mediobizanti-na in Sardegna, Nuoro, 2000, passim.

62) R. CORONEO, “La basilica di San Sa-turnino a Cagliari nel quadro dell’architettu-ra mediterranea del VI secolo”, in San Satur-nino. Patrono della città di Cagliari nel 17° cen-tenario del martirio. Convegno nell’aula consi-liare del Comune di Cagliari, Cagliari, 2004,pp. 55-83.

63) R. KRAUTHEIMER, Architettura pa-leocristiana e bizantina, Torino, 1986, pp.281-282.

64) A.F. VACCA, “Forum Traiani: Πολιςτειχηρης”, in Città, territorio, produzione ecommerci nella Sardegna medievale. Studi inonore di Letizia Pani Ermini offerti dagli allievisardi per il settantesimo compleanno, a cura diRossana Martorelli, Cagliari, 2002, pp. 187-206.

65) F. DE’ MAFFEI, Edifici di Giustinianonell’ambito dell’impero, Spoleto, 1988.

66) R. SERRA, “La possibile memoria diuna fortezza bizantina in Sardegna: il ‘Castel-lo Castro’ nell’isola di Sant’Antioco”, in Ar-

chivio Storico Sardo, XXXVI, 1989, pp. 83-90.

67) R. KRAUTHEIMER, Architettura sa-cra paleocristiana e medievale, Torino, 1993,pp. 40-49.

68) O. LILLIU, Il martyrium di S. Antioconel Sulcis, Cagliari, 1986.

69) R. CORONEO, “Sarcofagi marmoreidel III-IV secolo d’importazione ostiense inSardegna”, in La cristianizzazione in Italia, cit.,pp. 1353-1355.

70) R. CORONEO, “Nuovo frammentoepigrafico medioellenico da Sant’Antioco”, inTheologica & Historica. Annali della PontificiaFacoltà Teologica della Sardegna, XII, 2003,pp. 315-331.

71) Bellum Africanum, 98, 1.

72) STRABONE, 5, 2 123.

73) Cfr. CENERINI, Epigrafia di frontiera,cit.

74) P. BARTOLONI, La navigazione nelGolfo di Oristano, Emporikòs Kòlpos. Il Golfodegli Empori dai Fenici agli Arabi, Oristano2005, pp. 11-13.

75) R. ZUCCA, Insulae Sardiniae et Carsi-cae. Le isole minori della Sardegna e della Cor-sica nell’antichità, Roma 2003, pp. 212-14.

76) A. MASTINO, Cornus nella storia deglistudi, Cagliari 1979; ID., Roma in Sardegna:l’occupazione e la guerra di Hampsicora,in Sto-ria della Sardegna antica, (ed. Attilio Masti-no), Nuoro 2005, pp. 63-90.

77) A. MASTINO, Roma in Sardegna: l’etàimperiale: Storia della Sardegna antica, Nuoro2005, pp. 127-33.

78) A.M. COLAVITTI, C. TRONCHET-TI, Nuovi dati sulle mura puniche di Sant’An-tioco (Sulci), L’Africa Romana, Atti del XIIICongresso, Roma 2000, pp. 1321-31.

79) C. TRONCHETTI, S. Antioco (= Gui-de e Itinerari, 12), Sassari 1989, pp. 41-42.

80) P. BERNARDINI, I leoni di Sulci (=Sardò, 4), Sassari 1988, pp. 39-42.

81) G. LILLIU, Antichità paleocristiane delSulcis, “Nuovo Bullettino Archeologico Sar-do”, 1, 1984, pp. 283-300; L. PORRU, R.SERRA, R. CORONEO, Sant’Antioco. Le ca-tacombe, la chiesa Martyrium, i frammenti scul-torei, Cagliari 1989; L. PANI ERMINI, Sulcidalla tarda antichità al medioevo: note prelimi-nari di una ricerca, in Carbonia e il Sulcis. Ar-cheologia e territorio, Oristano 1995, pp.363-77.

82) A. IBBA, L’esercito e la flotta: Storiadella Sardegna antica, (ed. Attilio Mastino)Nuoro 2005, pp. 393-404.

83) Archivio di Stato Torino, Paesi-Sarde-gna-Materie Feudali-Feudi per A e B, Mazzo21, copia Archivio Comunale Sant’Antioco.

84) Archivio di Stato Torino, Paesi-Sarde-gna-Materie Feudali-Feudi per A e B, Mazzo5, copia Archivio Comunale Sant’Antioco.

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