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    Senso, denotazione, verit1

    SERGIOBERNINI

    An account is given of Frege semantic theory and of its capacity toexplain the phenomenon of truth, that is why there is the distinc-tion between true sentences and false sentences. Some limits ofFreges theory are stressed. Truth is meant of as correspondenceto facts and some attempts are made to insert a suitable notionoffactin the general frame of Freges theory. Among them, there

    is one which exploits Freges distinction between thought andapparent thought. The final step is a proposal to reconcile Fregestheory of denotation with Russell-Wittgensteins theory of therepresentation of facts.

    Keywords: denotation, facts, logical form, representation, sense,truth

    1.Senso e denotazione dei nomi

    noto che la teoria fregeana del senso e della denotazione delleespressioni linguistiche si sviluppa come generalizzazione, a tutte leespressioni, di alcuni tratti semantici propri dei nomi individuali. Leespressioni linguistiche di cui si parla sono quelle tipiche dellanalisilogica, ossia: nomi individuali, predicati, enunciati dichiarativi. Per nomi

    individualisintendono i nomi propri e le descrizioni definite. Dato checoi nomi propri (Napoleone, Vienna, la Luna ecc.) sorgono vari

    1 * Questo articolo lelaborazione di un contributo presentato dallautore al IIConvegno Nazionale di Ontologia Analitica, Scuola Normale Superiore, Pisa, luglio 2005.Fa parte di una linea di ricerca cui gi appartengono i seguenti lavori: S. Bernini, Fattie denotazione, Lingua e stile, 35, 2000, pp. 183-228; Id., Fatti e mondi possibili, in M.Carrara e P. Giaretta (a cura di), Filosofia e logica, Rubbettino, Soveria Mannelli 2004;Id., Frege, i fatti e largomento di Frege-Church, Rivista di estetica, n.s., 26 (2/2004),XLIV, pp. 257-270.

    Annali del Dipartimento di Filosofia (Nuova Serie), XIII (2007), pp. 75-115ISSN 1824-3770 (online) 2008 Firenze University Press

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    problemi, di solito lattenzione si concentra sulle descrizioni definite.Si chiamano descrizioni definite(pi esattamente: descrizioni individualidefinite)le espressioni del tipo: lattuale re di Francia, il centro di gra-

    vit del sistema solare, il mio migliore amico, la teoria della Relativit,la radice quadrata di 2 ecc.2Si tratta delle espressioni che usiamo perriferirci a una certa cosa e che hanno questa caratteristica: comincianocon larticolo determinativo e proseguono con una descrizione della cosaa cui, con quellespressione, intendiamo riferirci. Lesempio tradizionaleper discutere della differenza tra senso e denotazione dei nomi individuali quello della stella del mattino e della stella della sera. Consideriamo ledescrizioni definite la stella del mattino e la stella della sera, e formiamoi seguenti enunciati di identit:

    (1.1) la stella del mattino = la stella del mattino;(1.2) la stella del mattino = la stella della sera.

    Entrambi sono veri, ma differiscono sul piano informativo: il primonon ci d alcuna informazione rilevante sulla stella del mattino, mentreil secondo ce ne d. Il primo dice qualcosa di scontato. Il secondo dicequalcosa di cui alcuni, o forse molti, potrebbero non essere a conoscenzao potrebbero addirittura essere disposti a negare. La differenza infor-mativa tra (1.1) e (1.2) non deriva dalla diversit delle cose di cui si staparlando, cio non deriva dalla diversit delle cose a cui si riferiscono

    i nomi la stella del mattino e la stella della sera. Infatti le due cose inquestione, i due corpi celesti la stella del mattino e la stella della sera,sono il medesimo: il pianeta Venere. Quindi, c in gioco una sola entit.Pertanto, la differenza tra (1.1) e (1.2) non dipende dallontologia deldiscorso. Deve dipendere da qualcosaltro. Secondo Frege, dipende daldiverso senso che i due nomi individuali la stella del mattino e la stelladella sera hanno. Il nome la stella del mattino porta con s uninforma-zione: chi lo usa ci sta con ci stesso informando che la cosa a cui egli siriferisce, o a cui intende riferirsi, una stella che appare il mattino; chiusa il nome la stella della sera cinforma invece che si tratta di una stella

    che appare la sera. Di fatto, i due nomi si riferiscono allo stesso oggetto,Venere, ma, di quelloggetto, dicono cose diverse. Il sensodel nome appunto ci che il nome di per s dice della cosa a cui con esso ci siriferisce. Con le descrizioni definite, facile capire quale sia il senso del

    2 Conformemente a un certo uso, di origine anglosassone, ormai stabilizzatosi inletteratura, e contrariamente alluso italiano tipografico standard, useremo le virgolettesemplici (,) per indicare lespressione intesa come pura espressione linguistica, cio aprescindere (almeno in prima istanza) dal suo significato.

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    nome, perch facile capire cosa il nome stia dicendo. Pi difficile riuscire a farlo con i nomi propri. Che informazione ci d, sulloggettoo persona Napoleone, il nome Napoleone? Si possono dare diverse

    risposte, ma sorgono anche diversi problemi. Si preferisce, pertanto,puntare lattenzione sulle descrizioni individuali. Potremmo allora fissareil punto generale in questo modo: il senso di un nome linformazioneche il nome porta circa la cosa a cui esso si riferisce. Ma forse convieneusare maggiore prudenza, e allora ci limiteremo a dire che il senso qualcosa di strettamente legatoa tale informazione. Cio, piuttosto chespecificare esattamente cosa sia il senso, ci accontenteremo di accordarcisul principio che regola tale dipendenza. Si tratta del seguente:

    (1.3) Nomi che portano la medesima informazione, hanno lo stesso senso;

    nomi che hanno lo stesso senso, portano la medesima informazione.

    Quanto alloggetto a cui un nome individuale si riferisce nel no-stro esempio, Venere , esso sar detto denotazionedel nome. A questopunto, la situazione chiara: i nomi la stella del mattino e la stelladella sera hanno la stessa denotazione ma sensi diversi. Lidentit didenotazione spiega perch entrambi gli enunciati (1.1) e (1.2), che sonoappunto enunciati didentit, sono veri. La diversit del senso spiegaperch sono diversi quanto a informazione veicolata. Consideriamo (1.1).Lidentit del senso dei nomi presenti in esso ( evidente che il senso sia

    identico, trattandosi di nomi identici) spiega perch lenunciato sia cospoco informativo. Infatti, un dato a priori che lo stesso nome denotila stessa cosa. Invece, i nomi che si trovano in (1.2) hanno senso diversoe questo spiega perch (1.2) d informazione: ci d linformazione nonbanale che la stella del mattino una stella che appare anche la sera e chela stella della sera una stella che appare anche il mattino. Si pu direche tutto il pensiero semantico di Frege, e forse pi in generale tutto ilsuo pensiero filosofico, ruoti attorno alle due nozioni ora toccate: verite informazione, che sono appunto rispettivamente collegate a quelle didenotazione e di senso.

    2. Pensieri

    A partire da queste idee sulla semantica dei nomi individuali, pos-sibile sviluppare la semantica per gli altri tipi di espressione: predicatied enunciati. Cominciamo dagli enunciati. Anche gli enunciati hanno unsenso. Su questo non c molto da discutere: se vero che il senso ha a chefare con linformazione, i primi e pi importanti vettori di informazionesono appunto gli enunciati, che costituiscono le espressioni standard da

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    usare per fare affermazioni. Il senso di un enunciato appunto il suocontenuto affermativo, ci che lenunciato dice, afferma. Prendiamolenunciato sotto la superficie del pianeta Venere vivono organismi

    intelligenti. chiaro cosa afferma: afferma che sotto la superficie delpianeta Venere vivono organismi intelligenti. Il suo senso quindi chesotto la superficie del pianeta Venere vivono organismi intelligenti. Ilsenso dellenunciato Carla non ha amiche che Carla non ha amiche. Isensi degli enunciati, Frege li chiamapensieri. un termineabbastanzaspeciale, in quanto riservato agli enunciati. I sensi dei soli soggetti odei soli predicati non dovranno essere chiamati pensieri: per avere unpensiero ci vuole sempre un enunciato completo. Ad esempio la stelladella sera e essere un pianeta non esprimono pensieri, mentre la stelladella sera un pianeta esprime un pensiero. In realt, Frege procede

    in un modo diverso. D per scontato che tutte le espressioni esprimanoqualcosa e chiama sensodi unespressione ci che lespressione esprime.D anche per scontato che il senso di un enunciato sia il pensierochequesto esprime, cio d per scontato che gli enunciati esprimano pensieri.Ad esempio, lenunciato sotto la superficie del pianeta Venere vivonoorganismi intelligenti esprime il pensiero che sotto la superficie delpianeta Venere vivono organismi intelligenti, e tale pensiero il sensodi quellenunciato. Di norma, la locuzione il pensiero che pu esseretralasciata e ridotta al solo che. Cos, si pu anche dire, pi semplice-mente, che il senso dellenunciato suddetto che sotto la superficie del

    pianeta Venere vivono organismi intelligenti. La legge generale dei sensidegli enunciati dunque la seguente:

    (2.1) Il senso di un enunciato E il pensiero che E. O pi brevemente:il senso di un enunciato E che E.

    Ad esempio, il senso dellenunciato Carla non ha amiche cheCarla non ha amiche. I sensi delle espressioni sono qualcosaltro rispettoalle espressioni stesse: le trascendono. Il senso di un enunciato non puessere identificato con lenunciato stesso. Ci testimoniato dal fatto

    che ci sono enunciati diversi aventi lo stesso senso. Un caso tipico datodal passivo: Vittorio amato da Carla ha lo stesso senso esprime lostesso pensiero di Carla ama Vittorio. Il fenomeno ancor pi evi-dente quando si considerano lingue diverse: lenunciato inglese Johnsaunt lives in Rome ha lo stesso senso dellenunciato italiano la zia di

    John vive a Roma. Abbiamo quindi situazioni in cui gli enunciati sonodue e il senso uno. Pertanto escluso che il senso dellenunciato possaessere identificato con lenunciato stesso. Oltre che con i dati linguistici,cio con gli enunciati, i pensieri non sono nemmeno identificabili con

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    dati mentali. I pensieri di cui parla Frege non sono cose che appaionoo accadono nella nostra testa quando udiamo, leggiamo o formuliamoenunciati. La mente non li genera: li afferra. Quello che accade nella testa

    quando udiamo un enunciato di una lingua che conosciamo non unprocesso diformazionedi qualcosa ma di comprensionedi quel qualcosa.Il principio dellunit linguistica appunto che menti diverse, davantialla medesima espressione, sono in grado di cogliere il medesimo senso.Per Frege, questo gi sufficiente per sostenere che, allora, i sensi nonsono dati mentali. Infatti, se due menti diverse possono afferrare lo stessosenso, ci in generale vuol dire che si danno due dati mentali (due cer-velli diversi, due distinti eventi psico-fisiologici), mentre il senso uno.Quindi il senso non pu essere il dato mentale. Per Frege, un puntofermo che i pensieri sono obiettivi(termine che significa non soggettivi,

    ossia indipendenti dalla mente, intesa sia come mente empirica sia comemente trascendentale alla Kant).

    3. Verit

    Il motivo di tale obiettivit che Frege lega strettamente i pensierialla questione della verite, per lui, la verit obiettiva. I pensieri sonoiportatoridella verit, ossia ci di cui propriamente si predica il vero (eil falso) quando si dice che qualcosa vero o falso. Gli enunciati, invece,sono veri o falsi solo in senso derivato: il motivo per cui un enunciato

    vero, rispettivamente falso, che vero, rispettivamente falso, il pensie-ro che esso esprime. Ad esempio, il motivo per cui lenunciato la stelladella sera un pianeta vero, che il pensiero che la stella della sera un pianeta un pensiero vero. Il che pu essere detto anche in questomodo: il motivo per cui quellenunciato vero, che vero che la stelladella sera un pianeta. E il motivo per cui lenunciato Cremona ha piabitanti di Milano falso, che falso che Cremona abbia pi abitantidi Milano. Non la mente a fare la verit o la falsit dei pensieri. Ecco untipico argomento, in stile fregeano, a favore di questa tesi. Consideriamoil pensiero che la Terra gira attorno al Sole. Gli astronomi ci assicurano

    che gi un miliardo di anni fa era vero che la Terra girava attorno al Sole.Pertanto, quel pensiero era vero molto prima che sulla Terra comparissela mente. Ne viene che il pensiero che la Terra gira attorno al Sole eravero anche in assenza di mente. Fine dellargomento. Si resta perplessidavanti a questo parlare di pensieri in assenza di pensanti: sembra unacontraddizione in termini. In realt non lo perch, appunto, i pensierinon sono dati mentali. Il termine pensieri (Gedanken) usato da Frege indubbiamente infelice. Sarebbe stato meglio chiamarli pensabili.O ancora meglio: giudicabili, in quanto essi sono esattamente le cose

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    a cui applichiamo la nostra facolt di giudizio, cio la nostra facolt didare assenso(o dissenso). Il compito della mente non di creare questigiudicabili ma di considerarli, capirlie poi, se lo si desidera, giudicarli

    (dare loro il nostro assenso o dissenso). C differenza tra il pensare e ipensieri: il pensare unattivit mentale, mentre i pensieri sono gli oggetti(meglio: certi particolari oggetti) di tale attivit. La verit e falsit di cuiparla Frege invariabile. I pensieri, che sono appunto i portatori dellaverit e della falsit, hanno questa caratteristica: se sono veri, allora nonpossono essere falsi, n possono diventarlo. Viceversa, se sono falsi, nonpossono essere veri, n possono diventarlo. Ci comporta che lindaga-tore dei pensieri debba considerare certi enunciati piuttosto che altri.Ad esempio, scarter lenunciato Carla al mare, il quale ha questacaratteristica: vero o falso a seconda di quando lo si pronuncia. Era

    vero, mettiamo, se lo si pronunciava il 20 agosto del 2005, ma falso selo si pronunciava il 20 ottobre dello stesso anno. Interpreteremo questofatto, che chiameremo cambiamento di valore di verit, dicendo chequellenunciato non lespressione correttadi un pensiero. Per ottenereespressioni corrette di pensieri, dovremo considerare solo enunciati in cuitutti i cosiddetti momenti indicalisono esplicitati. Ad esempio, al postodi Carla al mare, si user un enunciato del tipo nel giorno tale e tale,allora tale e tale, Carla al mare. Questo enunciato, se vero, resta veroe, se falso, resta falso. un enunciato, come si dice, eterno, nel sensoappunto che la sua verit o falsit proiettata su un piano astorico, in-

    dipendente dal momento in cui lo si proferisce. Nel seguito, ci riferiremosolo a enunciati eterni (anche se, per semplicit di esposizione, di fattomolti di essi non ne avranno laspetto).

    Torniamo adesso ai nomi individuali. Non tutti i nomi individualihanno una denotazione. Un nome ha denotazione esattamente quandola cosa che con esso sintende indicare, esiste. Ad esempio, il nome lastella della sera ha una denotazione, perch la stella della sera esiste; ilnome la figlia di papa Ratzinger non ha denotazione, perch la figlia dipapa Ratzinger non esiste. La stella della sera denota Venere, la figliadi papa Ratzinger non denota niente. La questione della denotazione

    dei nomi strettamente legata alla questione della verit o falsit deglienunciati. Il principio che le vincola il seguente: hanno un valore diverit solo gli enunciati in cui tutti i nomi denotano. Ossia: le qualifiche divero e falso si applicano solo ai pensieri concernenti lesistente. Gli altri, ipensieri espressi da enunciati contenenti nomi privi di denotazione, nonhanno un valore di verit, cio non sono n veri n falsi. Cos, lenunciatola stella della sera un pianeta ha un valore di verit (in particolare, vero); lenunciato la figlia di papa Ratzinger bionda non ha un valoredi verit (non n vero n falso).

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    4.Denotazione degli enunciati

    Al pari dei nomi individuali, anche gli enunciati hanno una de-

    notazione e, al pari dei nomi individuali, solo alcuni di essi hanno unadenotazione. Gli enunciati che hanno una denotazione sono quelli aventiun valore di verit, cio quelli che esprimono pensieri veri o falsi. Glialtri, gli enunciati n veri n falsi, non denotano niente. Pertanto, i dueenunciati la stella della sera un pianeta e la stella della sera una stellafissa denotano qualcosa, mentre lenunciato la figlia di papa Ratzinger bionda non denota niente. Una domanda che Frege si pone, e perla quale ha pronta una risposta, la seguente: per avere una adeguatasemantica per gli enunciati, non basta il fatto che gli enunciati abbianoun senso? Che bisogno c che abbiano anche una denotazione? Un suo

    argomento a favore dellesistenza della denotazione del tipo seguente.Si accettino tre condizioni. La prima, gi espressa, che vero e falsosiano qualifiche solo degli enunciati concernenti lesistente: basta chevi sia un nome non denotante per rendere n vero n falso lenunciato.La seconda che il binomio senso/denotazione sia esaustivo: in meritoallanalisi del contenuto analisi semantica di unespressione, non caltra possibilit allinfuori di attribuirle un senso e/o una denotazione.La terza che verit e falsit siano nozioni semantiche, cio affrontabilinel quadro dellanalisi del contenuto dellenunciato. Fissati questi trepunti, veniamo allargomento. Supponiamo che gli enunciati abbiano solo

    un senso, e non una denotazione. Come giustificare allora il fatto che,quando riguardano lesistente, i pensieri sono veri o falsi mentre, quandonon riguardano lesistente, non sono n veri n falsi? La distinzione tralavere un valore di verit e il non averlo non pu essere una questioneinterna al pensiero, poich lesistenza o meno delle cose a cui il pensiero siriferisce indipendente dal pensiero in quanto tale. Infatti, il pensiero chela figlia di Papa Ratzinger bionda un pensiero compiuto esiste comepensiero sia che la figlia di papa Ratzinger esista sia che non esista. Lanatura dei pensieri non cambia perch alcuni di essi riguardano lesistentee altri no: essi sono tutti ugualmente comprensibili e afferrabili. Ma si

    presupposto che la verit o falsit degli enunciati sia strettamente con-nessa con lesistenza. Quindi se, come ragionevole pensare, lesistenza questione esterna al pensiero, dovr esserlo anche quella della verite falsit. Cos, il fatto che un enunciato abbia un valore di verit nonpu esser spiegato sulla base del solo senso. Daltra parte, oltre al senso,non c che la denotazione. Pertanto anche gli enunciati, nella misura incui sono veri o falsi, devono denotare qualcosa. Questo, pi o meno, largomento che Frege porta, inSenso e denotazione, a favore del fattoche la distinzione tra lavere un valore di verit e il non averlo non cosainterna del pensiero. Frege sostiene che le denotazioni degli enunciati

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    sono i loro valori di verit. Si tratta di due oggetti speciali, detti il vero eil falso, e che indicheremo rispettivamente con v e f. Per essi vale che vf. Lidea di Frege che tutti gli enunciati veri denotano v e che tutti gli

    enunciati falsi denotano f. Dunque i valori di verit, da semplici modidi dire da usarsi in luogo dei predicati essere vero e essere falso,diventano vere e proprie entit, veri e propri oggetti.

    5. Predicati

    Per completezza, accenniamo anche alla semantica dei predicati.Anche i predicati hanno un senso e una denotazione. Frege cinformache il senso di un predicato il contributo che il predicato d al sensocomplessivo dellenunciato in cui il predicato compare. Cerchiamo di

    chiarire. In generale, i pensieri si presentano come composti di parti,individuabili sulla base delle parti morfologiche degli enunciati che liesprimono. Prendiamo ad esempio lenunciato il maestro di Platone ateniese. Per maggiore intuitivit, scriviamo in corsivo il pensiero cheesso esprime: il maestro di Platone ateniese. un pensiero evidente-mente composto da parti, pi o meno complesse: c ad esempio la parteil maestro di Platone, che corrisponde al soggetto il maestro di Platone,e c la parte ateniese, che corrisponde al predicato ateniese. Il sensodi un predicato la parte del pensiero che corrisponde al predicato.Quindi il senso del predicato ateniese ateniese. Il motivo per cui Fre-

    ge non dice direttamente questo ma, per la caratterizzazione del sensodel predicato, preferisce partire dal senso complessivo dellenunciato,dipende dalla sua particolare interpretazione dei predicati come espres-sionifunzionali, cio espressioni contenenti variabili. A rigore, per lui ilpredicato dellenunciato il maestro di Platone ateniese non ateniese,bens x ateniese. Per Frege, i predicati devono sempre portare in loro,perfettamente riconoscibile, laforma dellenunciato, e di un enunciato,in effetti, x ateniese ha tutta la forma. I predicati vanno visti comematrici per enunciati: per ottenere enunciati, basta inserire nomi al postodelle variabili o quantificare su esse. chiaro pertanto che il senso di un

    predicato non mai perfettamente separabile da quello degli enunciatiin cui esso compare. E questo giustifica lapproccio fregeano alla carat-terizzazione del predicato.

    Veniamo adesso alla denotazione. Frege sostiene che in logica nonesistono nomi comuni e che ogni espressione deve comportarsi comeun nome individuale, cio denotare una cosa sola. Secondo Frege, unpredicato denota una funzione. Lidea presa dalla matematica dove,appunto, le espressioni contenenti variabili sono usate per indicare fun-zioni. La funzionef(x) denotata da un predicato Px unafunzione di

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    verit, cio una funzione i cui valori sono valori di verit. Essa ha questacaratteristica: dato un qualunque oggetto a, se lenunciato Pa denota v,alloraf(a) = v; se lenunciato Pa denota f, alloraf(a) = f. Frege d alle

    funzioni di verit il nome di concetti.

    6. Pensieri e pensieri apparenti

    Prima ancora della qualifica di esprimibili cio di cose che possonoessere espresse da enunciati , i pensieri sembrano meritare quella diafferrabili. In effetti, il compito primario della mente nei confronti deipensieri sembra essere quello di afferrarli, capirli. Una volta afferrato,la mente sa sempre cosa farne: lo pu lasciare afferrato e basta, oppurepu procedere agiudicareche sia vero (o magari falso), o semplicemente

    a sperare (o temere) che sia vero, o anche solo a compiacersi nellim-maginare che lo sia. Questo vuol dire che i pensieri sono oggetto deicosiddetti atteggiamenti proposizionali, cio di quegli speciali atti mentaliil cui contenuto appunto una certa proposizione (Frege direbbe: uncerto pensiero). Ma ci chiediamo se lafferrabilit e lessere oggetto diatteggiamenti proposizionali sia davvero un tratto essenziale dei pensieri.Certamente Frege deve essersi posto questo problema quando, a un certostadio della sua riflessione, si messo a distinguere trapensieriepensieriapparenti. Non dice pi che tutti gli enunciati esprimono pensieri: diceche esprimono pensieri (Gedanken) solo gli enunciati che hanno un va-

    lore di verit; gli altri, quelli privi di valore di verit, esprimono pensieriapparenti (Scheingedanken).3Cos, in quanto falso, lenunciato la figliadi Silvio Berlusconi tedesca esprime un pensiero mentre, in quanton vero n falso, lenunciato la figlia di papa Ratzinger tedesca espri-me un pensiero apparente. Cos un pensiero apparente? Certo non un pensiero, perch qualcosa apparentequando sembra,ma non . Ilsenso dellenunciato la figlia di papa Ratzinger tedesca ha lapparenzadi un pensiero, ma non un pensiero. Per la nozione di pensiero lesservero o falso diventa allora una questione essenziale e la dimensionedellafferrabilit e dellessere oggetto gli atteggiamenti proposizionali va

    in secondo piano, in quanto anche il pensiero apparente che la figlia dipapa Ratzinger tedesca perfettamente afferrabile e, bench non sian vero n falso, qualcuno lo pu legittimamente giudicare tale (perch convinto che la figlia di papa Ratzinger esista davvero).

    Cerchiamo allora di capire in che senso la verit e la falsit possanoessere essenziali per i pensieri. Cominciamo col chiederci in che consista

    3 Cfr. G. Frege,Logica, Introduzione,e Id., 17 massime sulla logica, massima n. 10,in Id.,Scritti postumi, trad. it. di E. Picardi, Bibliopolis, Napoli 1986.

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    la differenza tra pensieri veri e pensieri falsi. Dalle considerazioni fattesopra circa linterno e lesterno del pensiero risulta ragionevole supporreche tale differenza trovi il suo fondamento allesterno del pensiero stesso.

    Unaltra cosa osservata era che le qualifiche di vero e falso si riferisconoprimariamente ai sensi degli enunciati e solo derivatamente agli enun-ciati: un enunciato vero (o falso), in quanto vero (o falso) il pensieroche esso esprime. Qualcosa del genere dovr allora valere anche per ladenotazione: un enunciato denota un dato valore di verit w, in quanto w ci che il pensiero espresso dallenunciato denota. Forse bene aggiu-stare la terminologia. La denotazione riguarda le espressioni linguistiche,mentre il pensiero non unentit linguistica. Ci esprimeremo allora inquestaltro modo: diremo che un enunciato denota w,in quanto w cia cui il pensiero espresso si riferisce. Dunque la denotazione, per realiz-

    zarsi, ha bisogno di passare per il senso. Si tratta di un principio validoper tutte le espressioni: ogni espressione ha un senso, il quale si riferiscea una certa cosa, ed questo riferirsi alla cosa da parte del senso che cipermette di dire che quella data espressione denota quella data cosa. Lasituazione illustrata dal cosiddetto triangolo semantico, ben noto allatradizione della filosofia della logica e del linguaggio. Nel caso fregeanoe degli enunciati, il triangolo pu essere rappresentato cos:

    p

    E w

    La freccia tratteggiata indica la relazione di denotazione che intercor-re tra un dato enunciato Ee il suo valore di verit w. stata tratteggiataper sottolineare che non si tratta di una freccia originale, ma risultadalla composizionedelle altre due. La prima di queste, quella verso lalto,indica che lenunciato E esprime il pensierop. La seconda, quella versoil basso, indica che il pensierop si riferisce al valore di verit w.

    7.Il problema della verit

    Se questo il quadro generale, cosa significa, allora, che un pensierop vero, o che falso? Si sembra invitati a dare una spiegazione del genere:

    (7.1)p vero, in quantopsi riferisce a v;(7.2)p falso, in quantopsi riferisce a f.

    Bisogna per chiarirci le idee su questa relazione di riferimento.Sicuramente, non una relazione intenzionale, perch non la mente a

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    far riferire un pensiero a una cosa piuttosto che a unaltra. Per Frege,il quale sostanzialmente un realista della verit, le verit e le falsitsi scoprono. Tutte le verit, nella misura in cui riusciamo a esprimerle

    con enunciati privi di momenti indicali, sono eterne, e leternit, anchenel suo aspetto modesto di perennit, una questione non omogeneaalle faccende della mente. La situazione triangolare vista nel paragrafoprecedente una generalizzazione agli enunciati di certe caratteristichesemantiche dei nomi individuali. Vediamo allora se, guardando ai nomi,non impariamo qualcosa che ci aiuti a capire meglio. Consideriamo ilnome la stella della sera. Nel suo caso, il triangolo semantico consistenel riconoscere che quel nome denota Venere in quanto il senso di quelnome si riferisce a Venere. Se poi ci chiediamo qual il motivo per cuiquesto senso si riferisce a Venere, si risponder che ci accade per due

    cose: (i) il senso rimanda alla propriet di essere unica stella della sera;(ii) Venere ha questa propriet. Cos, la stella della sera denota Venere,in quanto Venere unica stella della sera. C quindi di mezzo lapredica-zione, ossia il fatto che la cosa denotata ha certe propriet. Poich i nomiindividuali sono il modello, ci aspettiamo che qualcosa del genere valgaanche per gli enunciati. Supponiamo allora che un pensieropsi riferisca,mettiamo, a v, cioal vero. Ci devessere un principio di predicazioneche spiega perch questo avvenga. Non che abbiamo tante scelte. Ilmassimo che si possa produrre :

    (7.3)psi riferisce a v, in quantop vero.

    (7.3) e (7.1), presi insieme, rendono circolare, e quindi inconcludente,tutta la situazione. Nasce allora il sospetto che la questione del riferimen-to del pensiero sia solo un modo di dire e che, in realt, la divisione travero e falso sia un dato primitivo, inesplicabile. Ma allora a cosa serve ladimensione denotativa degli enunciati? Ci basta dire che un enunciato vero in quanto vero il pensiero che esso esprime. Eppure la denotativitdegli enunciati sembrava un ingrediente essenziale della verit e falsitdei pensieri. chiaro che qualcosa non quadra.

    8. Verit ed esistenza

    Vediamo se sia possibile risolvere il problema della verit e falsit deipensieri senza ricorrere al riferimento allesterno, cio alla denotazione, esenza che verit e falsit risultino qualit intrinseche dei pensieri. Detto cos,sembrerebbe una contraddizione in termini. Tuttavia, c almeno un esempiodi predicazione a cui non corrisponde n una qualit intrinseca n una qualitestrinseca delle cose di cui si predica: lesistenza. Lesistenza non un fatto

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    interno agli enti. Dato un ente, non c il problema di cercarne lesistenza alsuo interno, perch dare un ente vuole gi dire dare un esistente (altrimentisarebbe un non ente). Per lidentico motivo, lesistenza non nemmeno un

    fatto esterno: data la cosa a, non c il problema di correlarla con lesternoper vedere se questa esiste, perch dare la cosa asignifica appunto supporreche aesiste.Chiediamoci allora se non sia possibile riportare la questionedella verit e falsit dei pensieri a questioni concernenti lesistenza. I pensieri,abbiamo detto, sono obiettivi, cio non soggettivi, entit esterne alla mente.Possiamo dire: esistono indipendentemente da noi. Proviamo allora a farsvolgere ai pensieri il ruolo difattori di verit degli enunciati, ossia difatti.Cercheremo di costruire tramite i pensieri unontologiapragmatica, unon-tologia di fatti, supponendo che sia il loro stesso essercia rendere veri glienunciati veri, e che sia il loro non esserci a rendere falsi gli enunciati falsi.

    A Frege non piaceva lidea dei fatti ma, almeno una volta, si trovato a direche per fatti si possono intendere i pensieri veri.4Forse non si trattava diunaffermazione molto impegnata. Tuttavia, ci autorizza a dire che, anchese solo per banale riduzione ad altro, la semantica fregeana non rifiuta diprincipio lidea dei fatti. La mossa pi semplice che possiamo compierenella direzione cui abbiamo accennato sopra sostenere che:

    (8.1) il pensierop vero, in quanto esso esiste;(8.2) il pensierop falso, in quanto essonon esiste.

    C subito un errore evidente: tutti i pensieri esistono, anche quellifalsi. Chiediamoci allora se la differenza tra vero e falso non possa di-pende dal tipo diversodi esistenza. Facciamo la considerazione seguente.Abbiamo detto che i pensieri sono concepibili come dei complexa, ciocome composti diparti, il cui modello di complessit dato dalla com-plessit degli enunciati che li esprimono. In questo frangente, cinteressala nozione di parte logico-proposizionale, ossia quella per cui si pu direchep parte di p, chepe qsono parti dip qe dip q, ecc. Eccoquanto si potrebbe sostenere:

    (8.3) i pensieri veri sono i pensieri che sussistono come interi;(8.4) i pensieri falsi sono i pensieri che sussistono solo come parti dipensieri veri.

    Per capirsi: sep vero, allorapesiste per conto suo. Se invece p falso, allorapesiste, s, ma solo come parte di altri pensieri, ad esempio

    4 Cfr. G. Frege,Il pensiero, in Id.,Ricerche logiche, trad. it. di R. Casati, Guerini eAssociati, Milano 1988.

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    del pensierop(che un pensiero vero), del pensierop q(dove q undato pensiero vero) ecc. I pensieri veri si distinguono per la loro esistenzaautonoma: sono pensieri che sussistono per conto loro. I pensieri falsi si

    distinguono per la loro non esistenza autonoma: sono pensieri la cui esi-stenza dipende da altri pensieri. Chiaramente, ci non tocca la questionedellafferrabilit perch, dal punto di vista dellafferramento, tutti i pen-sieri sono sullo stesso piano, essendo tutti ugualmente afferrabili, anchequelli falsi. La questione di cui qui si sta trattando concerne il principiodella loro esistenza obiettivae si sta sostenendo che, da questo punto divista, i pensieri nonsono tutti sullo stesso piano, in quanto i veri si di-stinguono dai falsi. Esprimendoci in termini di fatti, possiamo dire cos:i pensieri sono ofattio certeparti di fatti. E ilgiudizio Frege diceva cheil giudizio il riconoscimento da parte della mente che un certo pensiero

    vero il riconoscimento che un certo pensiero si realizza, ossiaesiste(autonomamente).Si pu osservare che, in questottica, sembra naturaleconcepire la nozione di falsit come direttamente derivata da quella diverit, cio porre la definizione seguente:

    (8.5)p falso dfp vero.

    Chiaramente, nessuno eccepisce su (8.5) come equivalenza. Il punto se vale come definizione, cio se ci aiuta realmente a capire cosa sia lafalsit. Se guardiamo alla teoria fregeana del giudizio, pare proprio di s.

    Per Frege infatti non ci sono giudizi negativi: ci sono solo giudizi, e giu-dicare sempregiudicare vero. Giudicare falso vuol dire semplicementegiudicare vera una negazione, cio:

    (8.6) | p. (| il segno che Frege usa per indicare che si compie ungiudizio.)

    Quanto al giudizio errato, esso consister in questo: si giudicatoche c qualcosa che, in realt, non c. Opportunamente elaborata neidettagli, una prospettiva del genere ora indicato potrebbe candidarsi a

    dar conto della questione della verit e della falsit dei pensieri sia comefenomeno non intrinseco a essi sia come fenomeno non estrinseco. Infatti,come si gi osservato, lesistenza non questione intrinseca allesistente,mentre indubbio che la struttura dellesistente lo sia.

    9. Forma dei pensieri?

    La teoria suesposta ha un punto debole proprio nellidea che i pen-sieri abbiano una struttura, una forma logica intrinseca. chiaro infatti

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    che la teoria ha speranza di funzionare solo se la forma dei pensieri obiettiva come i pensieri stessi, ma lidea dellobiettivit della forma nonsembra fondata. Tra gli interpreti di Frege, vi sono importanti sostenitori

    delloggettivit della forma dei pensieri, ad esempio Michael Dummett.5In generale, costoro ritengono che il compito dellideografia, cio deicriteri di formalizzazione degli enunciati, sia proprio quello di rivelarela forma dei pensieri, la quale finisce per coincidere con la strutturamorfologica dalle loro formalizzazioni. Si tratta per di uno sviluppooriginale della filosofia fregeana, utile a soddisfare esigenze proprie diuna pi recente filosofia del linguaggio. Ma per Frege le cose non stannocos. Infatti, sono molti i luoghi fregeani in cui si nega unidea del ge-nere, a cominciare dallopera ideografica per eccellenza, i Grundgesetzeder Arithmetik.6In questa, forme enunciative diverse, come pe p =v, vengono sistematicamente impiegate per esprimere il contenuto delmedesimo giudizio, vale a dire per esprimere il medesimo pensiero. precisamente quanto ci aspettiamo, dato che, per Frege, due enunciatidel tipo p e vero chep esprimono sempre lo stesso pensiero, e p =v esattamente la forma che lenunciato vero chep assume secondolideografia dei Grundgesetze. Ma Frege potrebbe sbagliare. Infatti, peri criteri di formalizzazione oggi comunemente accettati, lideografia deiGrundgesetze contiene errori. Uno dei pi importanti di questi appuntoil fatto che essa consente di scrivere formule del tipo p = v, e quindidi accettare come confrontabili, e dunque come appartenenti alla stessa

    categoria logica, espressioni categorialmente disomogenee quali enunciatie nomi individuali (p un enunciato e v un nome individuale). Malideografia dei Grundgesetzecentra solo fino a un certo punto, perchla questione della forma del pensiero si ripresenta anche se accettiamole norme moderne. Infatti, Frege sostiene in pi luoghi che la doppianegazione non cambia il pensiero espresso: p e p esprimono il me-desimo pensiero.7Chiaramente, le due formule sono ideograficamentediverse. Un altro esempio lo troviamo nel saggio Senso e denotazione,dove leggiamo:

    Nellenunciato il ghiaccio galleggia sullacqua, poich ha peso specificominore dellacqua abbiamo:1. il ghiaccio ha peso specifico minore dellacqua;

    5 Cfr. M. Dummett, The interpretation of Freges philosophy, Harvard UniversityPress, Cambridge 1981, cap. 15.

    6 Cfr. G. Frege, Grundgesetze der Arithmetik, Olms, Hildesheim 1962 (trad. it.Leggifondamentali dellaritmetica, a cura di C. Cellucci, Teknos, Roma 1995).

    7 Cfr. Frege,Logica, sezione Negazione, e Id.,Breve compendio delle mie teorielogiche, sezione Negazione, in Id.,Scritti postumi, cit.

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    2. se qualcosa ha peso specifico minore dellacqua, galleggia sullacqua;3. il ghiaccio galleggia sullacqua.Il terzo pensiero potrebbe non venire espressamente prodotto, in quanto

    contenuto nei primi due. Al contrario, n il primo e il terzo, n il secondo e ilterzo potrebbero insieme costituire il senso del nostro enunciato.8

    Se ne ricava che la congiunzione degli enunciati 1. e 2. ha lo stessosenso, cio esprime lo stesso pensiero, della congiunzione degli enunciati1., 2. e 3. Ma allora, se formalizziamo, ci troviamo davanti a due formuledi forma diversa aventi lo stesso senso. Infatti, le due congiunzioni di-ventano rispettivamente della forma

    (9.1) Pax(PxQx);

    (9.2) Pax(PxQx)Qa.Pensiamo che vi sia unimportante ragione di principio per cui

    debbano esserci espressioni ideograficamente diverse aventi il medesimosenso: servono a spiegare perch certe verit indimostrabilisono vere.Per Frege, nemico giurato dei formalisti, gli assiomi delle teorie sonoparticolari enunciati veri.Consideriamo ad esempio la teoria generaledellidentit. La legge su cui si basa il principio della sostituibilit, dettoanche diLeibniz (o dellindiscernibilit), secondo il quale essere identiciequivale ad avere le medesime propriet. Cio:

    (9.3) a = bP(Pa Pb).

    Per assiomatizzare lidentit, si pu scegliere tra diversi sistemidassiomi, ma la scelta va sempre fatta alla luce del principio di Leibniz: questo il vero assioma dellidentit, quello su cui la scelta automatica-mente cadrebbe, se motivi di convenienza formale non ci spingessero aconsiderarne altri. (9.3) un principio vero. Cosa lo rende tale? Essendoun principio della logica, non basta il riconoscimento che esso material-mentevero, cio che, di fatto, i due membri dellequivalenza (9.3) hanno

    sempre lo stesso valore di verit. La risposta pi naturale alla domandaposta sembra essere questa: lequivalenza (9.3) vera in quanto i suoidue membri dicono la stessa cosa, esprimonolo stesso pensiero. Tale idea rafforzata dal fatto che (9.3), invece che come assioma, pu esser presocome definizione esplicita dellidentit stessa:

    (9.4) a = bdfP(Pa Pb).

    8 G. Frege,Senso e denotazione, in Id.,La struttura logica del linguaggio, a cura diA. Bonomi, Bompiani, Milano, 1992, pp. 9-32.

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    Sembra quindi che, in un linguaggio contenente il simbolo =, e incui possibile scrivere formule del tipo P(PaPb), vi siano formuledi distinta forma logica esprimenti lo stesso pensiero. Cos, se la forma

    del pensiero fissata dalla forma dellenunciato, la forma del pensieronon obiettiva.

    10.Altre identit tra pensieri

    chiaro cosa si pu obiettare: dato che lidentit definibile, a = bnon deve essere considerato come facente parte formale del linguaggio,ma semplicemente come abbreviazione per P(PaPb). In tal modo, ilpensiero espresso da P(PaPb) non soffrirebbe pi di dissociazioneideografica e lipotesi della forma del pensiero riprenderebbe quota. Ma

    unobiezione debole. Infatti, accanto alla teoria generale, ci sono anchele teorie specialidellidentit, come ad esempio la teoria delle identitinsiemistiche, cio delle identit del tipo: linsieme delle cose che hannola propriet P identico allinsieme delle cose che hanno la propriet Q.Ossia:{z|Pz} = {z|Qz}. Al di l dei vari aspetti assiomatici formali cheuna teoria degli insiemi pu assumere, il vero assioma alla luce del qualesintende agire il seguente:

    (10.1) {z|Pz} = {z|Qz} x(Px Qx).

    Si tratta del famoso quinto postulato dei Grundgesetze, il quale af-ferma che lidentit tra due insiemi equivale al fatto che le propriet, dicui gli insiemi sono lestensione, sono equiestese. Com noto, nel 1902Bertrand Russell scopr che, posto nel suo ambiente naturale, ossia nelquadro generale del sistema di Frege, quel postulato portava a contraddi-zione, ed altrettanto noto come ci segnasse la fine di molte importantiaspirazioni filosofiche fregeane. In questo momento, per, la questionedella contraddittoriet del sistema dei Grundgesetze non ci interessa,perch stiamo discutendo di forma logica e, anche dal punto di vista del-lideografia moderna, la forma logica di (10.1) risulta ineccepibile. (Inoltre

    (10.1) pu essere riformulato in modo non contraddittorio, ad esempioapplicando certi criteri della teoria dei tipi semplici di Russell.)

    Quanto agli assiomi, in alternativa a (10.1) possiamo farci guidaredai seguenti:

    (10.2) a {z|Pz} Pa;(10.3) {z|Pz} = {z|Qz} x(x {z|Pz} x {z|Pz}).

    (Si tratta, rispettivamente, del principio di comprensione insiemisticae del principio di estensionalit per gli insiemi. Chiaramente, questo ap-

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    proccio prevede che il linguaggio contenga il simbolo per la relazionedi appartenenza.)

    Ci si rende subito conto che nessuna delle equivalenze (10.1), (10.2) e

    (10.3) pu fungere da definizione: le dobbiamo prendere esattamente perquello che sono, cio assiomi, ossia regolari enunciati veri.9Non essendodimostrabili, perch si dice che sono veri? Centra forse lautoevidenza? Nondobbiamo farcela entrare perch, in logica, evidenza e intuizione devonoavere solo ruoli marginali. Daltra parte, non filosoficamente serio consi-derarli verit inesplicabili: sarebbe grave rinunciare al principio di ragionsufficiente; sarebbe grave dire che ci sono pensieri che si implicanotra loro,senza spiegare in che consista questa implicazione. Lunica spiegazione checi venga in mente si basa sullidentit: quelle equivalenze sono vere perchi loro membri esprimono il medesimo pensiero. unidea che potrebbe

    anche avere valore generale: ogni equivalenza, che si riconosca al tempostesso come vera e indimostrabile, rappresenta unidentit di pensieri10.

    11. Presupposizioni esistenziali

    Nasceun problema. Alcuni ritengono che esistano solo oggetticoncreti: gli oggetti astratti (sarebbe meglio dire: ideali) non esistono. Ad

    9 (10.1) e (10.2) non possono valere come definizioni. Infatti, a una definizione

    consentito definire solo un termine per volta mentre, nelleventuale definiendum, cioparte sinistra di (10.1) e (10.2), i termini da spiegare (definire) sono sempre pi di uno:in (10.1) c =, {z|Pz}, {z|Qz}; in (10.2) c , {z|Pz}. Formalmente, (10.3) potrebbeessere una definizione corretta ma, di fatto, non funziona: per lidentit definita a quelmodo, non si riesce a dimostrare che vale il principio generale (9.3).

    10 Pu trattarsi anche semplicemente di unimplicazioneindimostrabile: se un pen-siero ne implica un altro, e non si riesce a trovare un motivo generale per cui ci avvenga,allora i due pensieri sono identici. Chiaramente, il pensieropqimplica il pensierop, espesso lenunciato pqp preso come assioma per il connettivo (congiunzione),ma ci non significa chep q epsiano lo stesso pensiero. La scelta di quellassioma soloun fatto formale, dovuto alla particolare forma architettonica che si vuole dare al sistemaassiomatico. In realt, il perch quellimplicazione avvenga perfettamente spiegabile,

    ad esempio in base alle tavole di verit.In vari luoghi, ad esempio in Concetto e oggetto (cfr. Frege, La struttura logicadel linguaggio, cit.), Frege accenna al fatto che enunciati del tipo (10.2) rappresentanoidentit di pensieri. Quanto ai criteri generali di identit dei pensieri, Frege a un certopunto d il seguente: due pensieri sono identici quando chi riconosce la verit del primodeve riconoscere anche la verit del secondo, e viceversa. Losservazione si trova in unoscritto del 1906 (Breve compendio delle mie dottrine logiche,cfr. Frege,Scritti postumi,cit.), quando cio Frege era gi stato scottato dalla scoperta dei paradossi insiemistici,vale a dire dalleccessiva fiducia che aveva riposto in principi del tipo (10.1) o (10.2).Pu darsi quindi che si riferisse a equivalenze di altro genere. Il nostro problema pernon cosa pensasse Frege nel 1906, ma cosa pensasse quando si diceva convinto che leequivalenze (10.1) e (10.2) fossero vere.

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    esempio, non esistono gli insiemi. Come possibile allora che x(PxQx) esprima lo stesso pensiero di {z|Pz} = {z|Qz}, quando vi chi pucreder vero il primo enunciato ma non il secondo? Infatti, chi credesse

    vero il secondo, dovrebbe con ci stesso credere che i nomi individuali{z|Pz} e {z|Qz} denotano, e quindi dovrebbe credere che esistono gliinsiemi, il che, come si osservato, controverso. Ci viene in aiuto ladistinzione tra pensieri e pensieri apparenti, di cui al 6. Ci di cui sista trattando la teoria dei pensieri, non dei pensieri apparenti. Stiamocio trattando la teoria di ci che vero o falso. Possiamo integrarequesta affermazione dicendo che stiamo trattando la teoria di ci che siriconosce essere vero o falso. Quindi, il fatto che gli enunciati consideratisiano veri o falsi deve valere come principiocondiviso. Il che comportache siano condivise anche le relative presupposizioni esistenziali, ossia

    il fatto che i nomi individuali in questione denotano. Naturalmente, leopinioni in merito alla verit o falsit dei singoli enunciati possono variaree qualcuno pu ritenere falso ci che un altro ritiene vero, e viceversa.Ad esempio, uno pu ritenere che loggetto a appartenga allinsieme{x|Px}, mentre un altro lo nega. I conti generali, tuttavia, vanno semprefatti sotto lipotesi che si abbia a che fare con pensieri e non con pensieriapparenti. Ci in fondo banale: i principi della logica sono normativie quindi vige la regola che tutti debbano riconoscerli come veri. Questovale anche per (10.1). Ne segue che tutti sono tenuti a riconoscere chei termini insiemistici denotano. chiaro che, quando si passa da nomi

    di oggetti ideali, in particolare da nomi di oggetti di interesse logicogenerale, a nomi di oggetti di altro genere, lipotesi di condivisione dellepresupposizioni esistenziali perde di ragionevolezza. Anche il nome labicicletta gialla di Sergio Bernini denota, ma non si pu pretendere chetutti riconoscano che denoti. Frege tuttavia riesce a rendere universal-mente valida lipotesi, ricorrendo al trucco della denotazione artificiale.Stabilisce e quindi assume che tutti accettino la convenzione seguente:il nome la bicicletta gialla di Sergio Bernini denota la bicicletta gialla diSergio Bernini se questa esiste, cio se Sergio Bernini ha una e una solabicicletta gialla; denota linsieme vuoto se Sergio Bernini non ha biciclette

    gialle; denota linsieme di tutte le biciclette gialle di Sergio Bernini se,di biciclette gialle, Sergio Bernini ne ha pi di una. In tal modo, tutti gliutenti del linguaggio sono daccordo sul fatto che tutti i nomi denotanoanche se, per la maggior parte dei nomi, la maggior parte degli utentinon sa esattamente cosa denotino. Possiamo concludere il paragrafo conlosservazione seguente. Ragionando alla luce del fatto che (9.1) e (9.2)esprimono lo stesso pensiero, e alla luce dellipotesi della condivisionedelle presupposizioni esistenziali, si deve riconoscere che lequivalenza

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    (11.1) xPx(xPxPa)

    rappresenta unidentit di pensieri. Il che potrebbe suggerire varie con-

    getture su come eventualmente assiomatizzare la logica in base a espliciteidentit tra pensieri. Chiaramente, ci non significa che ogni equivalenzalogica debba rappresentare unidentit di pensieri. Stiamo solo dicendoche la teoria dei pensieri pi esattamente: delle identit tra pensieri serve per assiomatizzare la logica. Quanto ai teoremi di questa, persvolgere la loro teoria ormai la teoria del pensiero non serve pi: bastanole leggi generali del vero e del falso, i cui principi sono fissati dagli assiomie dalle regole stabilite.

    12.I fatti alla Russell-WittgensteinSi tentato di sfruttare il principio delloggettivit dei pensieri per

    spiegare il fenomeno della verit degli enunciati nel quadro della teoriafregeana, ma senza successo. Dal punto di vista esplicativo, le teorie dei

    fattidi Bertrand Russell e Ludwig Wittgenstein sembrano molto miglio-ri.11Lidea dei due filosofi che il mondo composto da fatti e che lesistenza di queste speciali entit a rendere veri o falsi gli enunciati. Larelazione semantica fondamentale che costoro considerano la relazionedi rappresentazione, la quale collega enunciati e fatti. Viene spiegata nelmodo seguente. Un enunciato E rappresentaun fatto ,quando:

    (12.1) (rende vero E) (rende falso E).

    Rendere vero e rendere falso sono a loro volta relazioni che in-tercorrono tra fatti ed enunciati, evanno prese come relazioniprimitive.Intuitivamente, tra fatti ed enunciati, si riconoscono nessi di pertinenzae non pertinenza. Ad esempio, al mondo accade che Cremona sia pipiccola di Milano, cio esiste il fatto che Cremona pi piccola di Milano.Tale fatto risulta pertinente a certe questioni e non ad altre. Ad esempio, pertinente alla questione se Cremona sia pi piccola di Milano oppure

    non lo sia, e quindi pertinente agli enunciati Cremona pi piccoladi Milano e Cremona non pi piccola di Milano. Non pertinentead altri enunciati, come ad esempio Socrate il maestro di Platone eSocrate non il maestro di Platone. Rendere vero e rendere falsosono relazioni che intercorrono tra i fatti e gli enunciati a cui essi sono

    11 Cfr. B. Russell,La filosofia dellatomismo logico, trad. it. di G. Bonino, Einaudi,Torino 2003; L. Wittgenstein, Tractatus Logicus-philosophicus e Quaderni 1914-1916,trad. it. di A.G. Conte, Boringhieri, Torino 1964.

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    pertinenti. Cos, il fatto che Cremona sia pi piccola di Milano rende verolenunciato Cremona pi piccola di Milano e rende falso lenunciatoCremona non pi piccola di Milano. Vi sono varie leggi generali che

    governano il render vero e il render falso. Una che, se un fatto rendevero un enunciato, allora non si d un fatto che lo renda falso; viceversa,se un fatto rende vero un enunciato, allora non si d un fatto che lo ren-da vero. Unaltra legge la seguente. Il medesimo fatto che rende verolenunciato E, rende falso lenunciato E; il medesimo fatto che rendefalso lenunciato E rende vero lenunciato E. Viceversa: il medesimofatto che rende vero E rende falso E; il medesimo fatto che rende falsoE rende vero E. Da ci segue che due enunciati tra loro contraddittori,cio della forma E e E, rappresentano sempre lo stesso fatto. Cos, ilfatto rappresentato dagli enunciati Cremona pi piccola di Milano e

    Cremona non pi piccola di Milano il medesimo: si tratta appuntodel fatto che Cremona pi piccola di Milano. ( questo il fatto che sid nel mondo. Laltro fatto, il fatto che Cremona non sia pi piccola diMilano, non esiste.)

    Vediamo se non si possa sfruttare la teoria della rappresentazioneper ampliare la capacit esplicativa della teoria di Frege.

    13.Rappresentazione e denotazione

    Russell e Wittgenstein ci tengono a sottolineare che la relazione di

    rappresentazione non la denotazione. Uno dei motivi addotti il seguen-te. Secondo la relazione di denotazione di cui parla Frege, due enunciaticontraddittori, E eE, hanno sempre denotazioni distinte (infatti, se unodei due denota v, laltro denota f, e viceversa; e inoltre vf), mentre,come si detto ora, due enunciati contraddittori rappresentano sempreil medesimo fatto. Si sostiene quindi che la rappresentazione sia una re-lazione di altro genere rispetto alla denotazione. ( ovvio che altrettantovarr rispetto alla relazione di espressione dei pensieri, in quanto chiaroche due enunciati tra loro contraddittori esprimono pensieri diversi.)

    Ma forse la denotazione e la rappresentazione non sono relazioni

    poi tanto lontane tra loro. Certamente non hanno la stessa struttura.Tuttavia, pu darsi che il punto rilevante non sia tanto la strutturaquanto la differenza ontologicadei loro codomini, cio delle cose che,tramite quelle relazioni, vengono correlate agli enunciati: da un lato,abbiamo quelle entit, verosimilmente multiformi e complesse, che sonoifatti; dallaltro, abbiamo i due semplici valori di verit. Supposto chela differenza significativa sia solo una differenza ontologica, allora, persciogliere le nostre perplessit circa la capacit della teoria fregeana didar conto del fenomeno della verit e della falsit, si potrebbe partire fin

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    dallinizio con lidea che le denotazioni degli enunciati non sono i valoridi verit ma i fatti. (A questo punto sorge legittima una domanda: perchinsistere tanto con la teoria di Frege? La risposta scontata: pensiamo

    che la distinzione tra senso e denotazione sia uno strumento importanteper lanalisi del linguaggio e che i nomi, che sono le espressioni denotantiper eccellenza, restino una categoria fondamentale per imparare a faresemantica. Se vogliamo, la risposta : si vuol essere fregeani per forza.)Ecco allora come potremmo procedere. Assumeremo anche noi che, trafatti ed enunciati, siano allopera le due relazioni di render vero e renderfalso e, ove Russell e Wittgenstein dicono che un enunciato rappresentaun fatto, noi diremo che lo denota.

    C subito un problema. In base a questa idea di denotazione, che poi semplicemente la rappresentazione, gli enunciati tra loro contraddittori

    risultano avere la medesima denotazione. Ma tra i motivi dinteresse per lanozione di denotazione c appunto il fatto che gli enunciati sono espres-sioni in qualche modo assimilabili a nomi. Ci troviamo quindi davanti anomi espressioni assimilabili a nomi i quali denotano la stessa cosa,pur essendo tra loro logicamente incompatibili. Per qualcuno, ci equivalead accettare lidea che due nomi individuali del tipo il figlio primogenitodi Carla e il figlio secondogenito di Carla possano, da un lato, avereuna loro regolare denotazione e, dallaltro, denotare lo stesso oggetto. Ilche assurdo. in fondo per questo motivo, o anche per questo motivo,che Russell e Wittgenstein sostenevano che la rappresentazione non

    la denotazione. Si pu ovviare al problema in pi modi. Il pi semplice non ritenerlo un problema. Si ragiona cos: essere assimilabili ai nomivuol dire avere alcune caratteristiche rilevanti dei nomi, non vuol direaverle tutte. Evidentemente, quella per cui nomi logicamente incompati-bili devono per forza denotare cose diverse una caratteristica dei nomiche gli enunciati non hanno. Un altro modo, pi positivo, il seguente.Prendiamo due oggetti qualunque, diversi tra loro. Meglio se si tratta dioggetti ideali: ad esempio, luno e lo zero o, meglio ancora, i due valori diverit, v, f. Supponiamo che sia il fatto rappresentato dallenunciato E.Se rende vero E, diremo che Edenota , v; se rende falso E, diremo

    che Edenota , f. (In generale, la scrittura del tipo a, bindica la coppiaordinata composta da ae b.) Questa soluzione sembra un po artificiosa,ma in realt non lo , perch non c gran differenza tra il considerare,come fanno Russell e Wittgenstein, duedistinte relazioni, il render veroe il render falso, e il considerarne una sola, come fa Frege, ma con uncodominio raddoppiato. Chiaramente, il render vero e il render falso re-stano alla base del tutto, e il medesimo fatto che rende vero un enunciatocontinuer a render falso lenunciato contraddittorio; ma noi, invece chedi rappresentazione, parleremo di denotazione e diremo che gli enunciati

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    denotano i fatti o in quantoquesti li rendono veri o in quantoquesti lirendono falsi. Per codificare tale distinzione, sufficiente considerare,oltre ai fatti , anche gli oggetti , ve , f. Diamo un nome anche a

    questi oggetti. Chiamiamoli circostanze.12Possiamo dire allora che aglienunciati restano associati due tipi di cose, fatti e circostanze: il fattoassociato il fatto che rende vero o falso lenunciato, e di questi due casine pu valere uno solo; le circostanze associate sono gli oggetti , ve, f, una e solo una delle quali ci che lenunciato denota.

    14. Teoria generale della denotazione

    Detto cos, il problema di cui stiamo trattando da cosa dipendalesser vero e lesser falso degli enunciati sembra risolto con un sempli-

    ce cambio terminologico: denotazione invece di rappresentazione.Potrebbe essere troppo semplice. In effetti lo . Per valutare la situa-zione, bisogna chiarirci le idee su quali siano i principi generali che ledenotazioni degli enunciati devono soddisfare. Si riconosce che devonovalere i seguenti tre:

    (14.1) (Principio di equivalenza) Enunciati tra loro logicamente equivalentihanno la stessa denotazione.(14.2) (Principio di separazione) Enunciati tra loro logicamente incom-patibili hanno denotazioni distinte.

    (14.3) (Principio di sostituzione) Sostituendo, in un enunciato, un nomeindividuale con un altro nome individuale avente la stessa denotazione,la denotazione dellenunciato resta la medesima.

    Sono tutti e tre principi derivati dai nomi individuali. chiaro infattiche se le propriet P e Qsono logicamente equivalenti, allora i nomi lacosa che ha la propriet P e la cosa che ha la propriet Q indicano denotano la stessa cosa. Ad esempio, i nomi il medico che cugino diGianni e il cugino di Gianni che fa il medico indicano la stessa persona.Il principio di equivalenza (14.1) dice appunto che, per gli enunciati,

    vale altrettanto. Per quanto riguarda (14.2), vi abbiamo gi accennatonel paragrafo precedente, quando si discusso degli enunciati contrad-dittori E, E. Il principio di sostituzione (14.3) molto importante ed

    12 Un nome vale laltro, ma la scelta del termine circostanza non arbitraria. NellaBegriffsschrift(cfr. G. Frege,Begriffsschrift und andere Aufstze, a cura di I. Angelelli,Olms, Hildesheim 1988, par. 2),Frege chiama circostanze (Umstnde) i contenuti deglienunciati. (In seguito, quando avr fatto la distinzione tra senso e denotazione, dir checi che l chiamava circostanze erano in realt le denotazionidegli enunciati.)

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    un po il caposaldo della teoria denotazione. Infatti, intuitivamente, ladenotazione di un nome pu essere caratterizzata in questo modo: ciche resta immutato per sostituzione di identici. Se sappiamo che Venere

    e la stella della sera sono la stessa cosa, allora sappiamo anche che lat-mosfera di Venere e latmosfera della stella della sera sono la stessa cosa,cio sappiamo che i nomi latmosfera di Venere e latmosfera della stelladella sera denotano la stessa cosa. Si tratta in sostanza del principio diunivocitdelle funzioni, secondo il quale, applicando la medesima fun-zione al medesimo oggetto, si ottiene sempre il medesimo oggetto:

    (14.4) se x=y, alloraf(x) =f(y).

    Le funzioni centrano in questo: un nome del tipo latmosfera di

    Venere pu essere considerato come ottenuto a partire dallespressionefunzionale latmosfera di x, nella quale, al posto della variabile x, si messoil nome Venere. Cio, lespressione latmosfera di x rappresentauna funzionef(x) e il nome latmosfera di Venere della formaf(Venere).Per (14.4), abbiamo quindi che

    (14.5) se Venere = la stella della sera, allora f(Venere) =f(la stella dellasera).

    In termini di denotazione, (14.5) dice: se i nomi Venere e la stella

    della sera denotano la stessa cosa, allora anche i nomi f(Venere) e f(lastella della sera) denotano la stessa cosa. Che, appunto, il principiodella sostituzione. Si mostrato quindi che i principi (14.1), (14.2) e(14.3) valgono per i nomi individuali e si ritiene che debbano valereanche per gli enunciati. Vedremo adesso che la teoria della denotazione,posta sulla base di quei principi, risulta incompatibile con la teoria dellarappresentazione.

    15.Largomento di Frege-Church

    Lidea di Frege, secondo la quale gli enunciati denotano solo due cose,il vero e il falso, non era arbitraria ma dovuta a precise considerazioniteoriche. Per lui, la cosa era ovvia e, in effetti, esistono dimostrazionidi questo fatto. Una di esse dovuta ad Alonzo Church, e si basa suiprincipi (14.1), (14.2) e (14.3). La dimostrazione chiamata argomentodi Frege-Church.13Ne esporremo una certa forma, che abbiamo scelto

    13 Cfr. A. Church, Introduction to Mathematical Logic, vol. I, Princeton Univer-sity Press, 1956, Introduction. Risulta che, prima ancora di Church, un argomento del

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    98 Sergio Bernini

    perch piuttosto generale. Mostreremo che ogni enunciato vero ha lastessa denotazione della verit logica x(x = x)e che ogni enunciatofalso ha la stessa denotazione della falsit logica x(x = x). Ma per

    cominciare, faremo vedere, in maniera pi diretta e quindi pi chiara,com che un enunciato del tipo Carla bionda, supposto vero, finiscaper avere la stessa denotazione di una verit logica. In questo caso, laverit logica sar =, dove linsieme vuoto. Conviene introdurreuna notazione che semplifica di molto la scrittura: dato un qualunqueenunciato E, per indicare la denotazione di E, scriveremo [E]. Faremoquindi vedere che

    (15.1) [Carla bionda] = [= ].

    La logica ci assicura che lenunciato Carla bionda equivale al-lenunciato linsieme delle cose che sono identiche a Carla e che nonsono bionde identico a. Chiaramente, questo enunciato della format = , dove t il termine insiemistico linsieme delle cose che sonoidentiche a Carla e che non sono bionde.14Quindi, per il principio diequivalenza (14.1), si ha:

    (15.2) [Carla bionda] = [t= ].

    Poich si supposto che Carla bionda vero, allora sar vera

    anche lidentit t = , in quanto equivalente a Carla bionda. Ma, setale identit vera, allora vuol dire che t e denotano la stessa cosa.Pertanto, in quella stessa identit, posso sostituire t con ottenendo,per il principio di sostituzione (14.3),

    (15.3) [t= ] = [= ].

    Da (15.2) e (15.3), per transitivit, segue (15.1), che era quantovolevamo. Cos, la verit singolare specifica Carla bionda finisce peressere indistinguibile, sul piano della denotazione, dalla verit a priori

    = . Cambiando opportunamente linsieme t, si vede che la stessa cosavale per tuttele verit singolari: Socrate mortale, Cremona ha menoabitanti di Milano, Parigi non in Kenia ecc. Questo, in sostanza, largomento di Frege-Church. Ma vediamone una forma pi generale.Consideriamo due predicatiA,Bper i quali, in base alla logica, si abbia

    genere era stato elaborato anche da Kurt Gdel, per cui largomento detto anche diFrege-Gdel-Church.

    14 Si tratta cio del termine {x|x = Carla (x biondo)}.

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    99Senso, denotazione, verit

    che: (i)AeBsono tra loro incompatibili; (ii) c uno e un solo oggetto ache soddisfaA; (iii) c uno e un solo oggetto b che soddisfaB. Da ci,sempre in base alla logica, segue che: (iv) a b.15Fatta questa premessa,

    veniamo allargomento vero e proprio. Sia E un qualunque enunciato.Formiamo il predicato seguente:

    (15.4) C(x) df(EAx) (EBx).

    Data lipotesi fatta su A e B, la logica ci assicura che esiste uno eun solo oggetto, chiamiamolo c, che soddisfa il predicato C. Abbiamoquindi che C(c) una verit logica, e pertanto la seguente unequiva-lenza logica:

    (15.5) C(c) x(x = x).

    Sempre la logica, ci dice che lidentit delloggetto c legata allaverit o falsit dellenunciato Ein questo modo:

    (15.6) Ec = a;(15.7) Ec = b.

    Ancora la logica, ci dice che vale:

    (15.8) EC(a);(15.9) EC(b).

    Pertanto, applicando il principio dellequivalenza (14.1) a (15.8) e(15.5), otteniamo rispettivamente le identit

    (15.10) [E] = [C(a)];(15.11) [C(c)] = [x(x= x)].

    Ormai abbiamo davanti a noi tutto il materiale per mostrare che tutti

    gli enunciati veri denotano la stessa cosa. Infatti, facciamo lipotesi chelenunciato E sia vero. Allora, per (15.6), vera lidentit c= a. Applicandoa (15.11) il principio di sostituzione (14.3), otteniamo:

    15 Come a, b, possiamo pensare a oggetti ideali (logici) quali gli insiemi o i numeri. Adesempio, perAx, possiamo prendere il predicato x un insieme privo di elementi e, per

    Bx, il predicato x un insieme che contiene uno e un solo insieme, e tutti gli insiemi checontiene sono privi di elementi. In tal caso, loggetto arisulta essere linsieme vuoto,,e loggetto b il singoletto del vuoto, {}. In teoria degli insiemi, si dimostra che ab.

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    100 Sergio Bernini

    (15.12) [C(a)] = [x(x= x)].

    E poich lidentit una relazione transitiva, da (15.10) e (15.12),

    otteniamo:

    (15.13) [E] = [x(x= x)].

    Cos, lenunciato vero Edenota ci che denota lenunciato x(x =x). Ma Eera un enunciato qualunque. Se ne conclude che tutti gli enun-ciati veri denotano ci che denota lenunciato x(x = x). Cos, tutti glienunciati veri hanno la stessa denotazione.

    Veniamo ora agli enunciati falsi. Da (15.9) e (15.5), segue rispetti-vamente:

    (15.14) EC(b);(15.15) C(c) x(x= x).

    Da cui, per il principio di equivalenza, otteniamo:

    (15.16) [E] = [C(b)];(15.17) [C(c)] = [x(x= x)].

    Supponiamo adesso che E sia falso. Allora, per (15.7), vero c= b.

    Sostituendo in (15.17), otteniamo:

    (15.18) [C(b)] = [x(x= x)].

    Da (15.16) e (15.18), per transitivit, otteniamo:

    (15.19) [E] = [x(x= x)].

    Quindi, poich E era un enunciato qualunque, si ha che tutti glienunciati falsi denotano ci che denota x(x= x). Con ci, largo-

    mento di Frege-Church pu considerarsi concluso. Largomento si basato esclusivamente sui principi di equivalenza e di sostituzione, eha mostrato che le denotazioni degli enunciati sono al massimo due:una per gli enunciati veri e una per gli enunciati falsi. Il principio diseparazione (14.2) ci dice poi che le denotazioni degli enunciati sonoalmeno due. Infatti, in base a tale principio, E e Enon possono averela stessa denotazione. Ne ricaviamo che le denotazioni degli enunciatisono esattamentedue. Se conveniamo di chiamare il verola denota-zione di x(x= x), e di chiamare il falsola denotazione di x(x=

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    x), vediamo allora che Frege aveva perfettamente ragione, quandodiceva che gli enunciati possono denotare solo due cose: il veroe il

    falso. utile considerare anche una certa variante dellargomento di

    Frege-Church, la quale consiste in questo: nelle formule usate, occorrepi di un nome individuale. La cosa pu sembrare irrilevante, ma piavanti vedremo che non lo . La variante la seguente. In base allalogica, valgono le equivalenze:

    (15.20) EC(a) A(a);(15.21) C(c) A(a) x(x= x).

    Applicando a esse il principio di equivalenza si ottengono le iden-tit:

    (15.22) [E] = [C(a) A(a)];(15.23) [C(c) A(a)] = [x(x= x)].

    Adesso si ragiona come prima. Supponiamo che Esia vero. Allora,per (15.6), vera lidentit c= a. Sostituendo in (15.23), si ottiene

    (15.24) [C(a) A(a)] = [x(x= x)],

    da cui, per transitivit,

    (15.25) [E] = [x(x= x)].

    Di nuovo, si assiste al collasso della denotazione di un qualunqueenunciato vero Esulla denotazione di x(x= x). Analogo ragionamentoper gli enunciati falsi.

    16. Frege-Church contro Russell-Wittgenstein?

    In base allargomento di Frege-Church, la proposta di prendere le

    circostanzecome denotazioni degli enunciati fallisce. Risulta che, se perla denotazione valgono i principi di equivalenza e di sostituzione, alloratutti gli enunciati veri denotano ununica circostanza e tutti gli enunciatifalsi denotano ununica circostanza. Il che vuol dire che c un unicofatto che rende veri tutti gli enunciati veri e che c un unico fatto cherende falsi tutti gli enunciati falsi. Per come funzionano le relazioni dirender vero e render falso, ne segue che allora c uno e un sol fatto che rende veri o falsi tutti gli enunciati. Con il che, lintera teoria deifatti risulterebbe nullificata. Dunque, la morale sembra essere di evitare

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    102 Sergio Bernini

    la commistione tra denotazione e rappresentazione, cio lasciar perderei fatti. Ma perch largomento di Frege-Church dovrebbe valere solo perla denotazione e non anche per la rappresentazione? La domanda resa

    ancora pi sensata dalla considerazione che i principi di equivalenza edi sostituzione, su cui largomento di Frege-Church si basa, sembranovalere anche per la relazione di rappresentazione. Consideriamo infattiil principio di equivalenza. opinione comunemente accettata che, sedue enunciati sono logicamente equivalenti, allora essi devono averele medesime condizioni di verit e falsit. Cio: se sono veri, sono veriper gli stessi motivi e, se sono falsi, sono falsi per gli stessi motivi. (Cchi sostiene che la logica serva proprio a questo: a farci capire cosa, inun enunciato, rilevante per la questione della sua verit o falsit, ecosa non lo .) In teoria dei fatti, le condizioni di verit e falsit sono

    i fatti. Pertanto, gli equivalenti logici rappresentano lo stesso fatto.Quindi il principio di equivalenza vale anche per la teoria dei fatti.Consideriamo adesso il principio di sostituzione. intuitivo che, se aidentico a b, allora il fatto che aabbia la propriet P coincide col fattoche b abbia la propriet P. Lo si vede piuttosto bene, se presentiamo ifatti in forma astratta, cio se, invece di usare unespressione del tipoil fatto che Venere abbia unatmosfera, ne usiamo una del tipo ilpossesso di unatmosfera da parte di Venere. Chi sa che la stella delmattino e la stella della sera sono la stessa cosa, alla domanda: quantisono i casi astronomici di possesso di unatmosfera di cui gli enunciati

    veri la stella del mattino ha unatmosfera e la stella della sera haunatmosfera testimoniano lesistenza?, risponde: uno solo. Tutto fapensare, quindi, che un principio di sostituzione analogo a (14.3) debbavalere anche per la rappresentazione dei fatti. Pertanto, largomento diFrege-Church applicabile anche alla rappresentazione. Sembrerebbeallora che le teorie alla Russell-Wittgenstein sono sbagliate in quantocostruite per dar conto della pluralit dei motivi di verit (o falsit) deglienunciati mentre, di tali motivi, ce n uno solo. In realt, le teorie allaRussell-Wittgenstein sono ben difese nei confronti di questa obiezione.Lidea che la rappresentazione sia altra cosa rispetto alla denotazione va

    infatti inserita nel quadro pi ampio delleliminabilit di questultimarelazione. Russell, con la sua famosa teoria delle descrizioni definite,aveva dimostrato che tutto ci che si pu dire usando nomi indivi-duali, si pu dire anche senza. La conclusione che ne traeva era che inomi individuali non costituiscono affatto un modello privilegiato perlanalisi concettuale del linguaggio: non c motivo di attribuire ruolofondamentale a ci di cui si dimostra che si pu fare a meno (rasoio diOccam). La relazione di rappresentazione, che Wittgenstein proponee che Russell fa sua, ha dunque tutto il diritto di essere pensata come

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    nuova, originale, rispetto alla denotazione, la quale pu tranquillamentesparire dallorizzonte filosofico in quanto inutile. Chiaramente, conquesta spariscono anche i nomi individuali: il linguaggio del filosofo

    pu articolarsi perfettamente anche senza di essi. Ma allora chiaroche largomento di Frege-Church non si applica alle teorie alla Rus-sell-Wittgenstein: in queste, il principio di sostituzione (14.3) non haalcun ruolo di rilievo, in quanto in esse non ci sono nomi individualida sostituire. Si visto infatti che largomento giocato su tre nomi: a,b, c, e su certe loro sostituzioni. chiaro che, se il linguaggio tramitecui rappresentiamo i fatti non ha quei nomi, in quanto non contienenessunnome, largomento non parte nemmeno.

    Per completezza, accenniamo alla teoria delle descrizioni di Russell,facendo un esempio di eliminazione di nomi. Il procedimento quello del-

    leliminazione contestuale: si fa vedere che, per ogni enunciato contenentenomi individuali, c sempre un altro enunciato che gli equivalente e noncontiene nomi individuali (contiene solo predicati e operazioni logiche).Prendiamo lenunciato la stella della sera un pianeta, il quale contieneil nome la stella della sera. Tra gli enunciati che gli sono equivalenti, sitrova il seguente: c al massimo una stella della sera e c almeno unastella della sera che un pianeta. Lanalisi logica di questo enunciatomostra che esso non contiene nomi individuali. Cos, chi vuol dare lin-formazione specifica che la stella della sera un pianeta, pu darla senzausare n il nome la stella della sera n alcun altro nome. Generalizzando

    il procedimento, si mostra che tutti i nomi sono eliminabili.16

    17. Nomi e informazione

    Sembra dunque che i fatti abbiano poco a che vedere con ladenotazione e quindi, visto quanto abbiamo gi appurato circa i pen-sieri, sembra che i fatti abbiano in generale poco a che vedere con lasemantica alla Frege. Dunque, per il fregeano, lorigine del fenomenodella verit o falsit degli enunciati resta misteriosa. Faremo un ten-tativo di rimediare a questa situazione. Largomento di Frege-Church

    ha mostrato che qualunque enunciato vero denota ci che denota

    16 Si trasformato un enunciato del tipo la cosa che ha la propriet P ha la proprietQ nellenunciato (formula) seguente: (1) xy(Px Pyx =y) x(Px Qx). Russellpreferiva unaltra parafrasi: c almeno una cosa che P, c al massimo una cosa che P e tutte le cose che sono P hanno la propriet Q. Ossia: (2) xPx xy(Px Pyx =y) x(Px Qx). Secondo Russell, lo stesso procedimento avrebbe permesso dieliminare anche i nomi propri. La sua idea, infatti, era che i nomi propri fossero descri-zioni mascherate, ossia che, di fatto, ogni nome proprio fosse unabbreviazione per unaqualche opportuna descrizione definita.

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    a considerare solo descrizioni di grado 0. Fissato questo, bisogna anchedecidere quale teoria delle descrizioni usare. Fondamentalmente, ce nesono di due tipi. Ce n una secondo la quale tutti i nomi del tipo la

    cosa che ha la propriet P, qualunque sia il predicato P,appartengo-no al linguaggio. In questo caso, c il problema che non tutti i nomihanno una denotazione. Si usa allora il metodo del denotato artificiale.Sintroducono, per ciascun nome la cosa che ha la propriet P, dueprincipi (assiomi) del tipo seguente: (i) se esiste una e una sola cosache ha la propriet P, allora la cosa che ha la propriet Pha la proprietP; (ii) se non esiste una e una sola cosa che ha la propriet P, allorala cosa che ha la propriet P identica al numero 0. La teoria alter-nativa a questa prevede che lintroduzione, nel linguaggio, del nomela cosa che ha la propriet P debba sottostare alla condizione che sia

    stata preliminarmente riconosciuta la verit dellenunciato esiste unae una sola cosa che ha la propriet P. Una volta riconosciuto ci, equindi introdotto nel linguaggio il nome la cosa che ha la proprietP, sintrodurr anche lassioma: la cosa che ha la propriet Pha lapropriet P.18Chiaramente, in questo caso, il linguaggio e il relativosistema di assiomi sono in continua crescita, e qualcuno pu ritenereche ci sia un difetto. Opteremo tuttavia per questa seconda teoria, inquanto pi naturale della prima. Da tener presente che, in generale,un assioma del tipo la cosa che ha la propriet Pha la propriet Pnon un assioma logico. Infatti, da esso segue: esiste una cosa che ha

    la propriet P, ed chiaro che, per la maggior parte delle proprietP, non spetta alla logica fare affermazioni del genere. Lassioma sarun assioma logico, quando la condizione per lintroduzione del nome,cio lenunciato esiste una e una sola cosa che ha la propriet P, risultaessere anchessa una verit logica. (Quando ci accade, cio quandolassioma logico, il relativo nome, la cosa che ha la propriet P, sardetto nome logico. Quanto a cosa sia la logica, ci baseremo su questaidea: la logica la teoria generale del vero,delfalso, dellidentite deglioggetti ideali. Restiamo in debito di una spiegazione di cosa accomunitutte queste nozioni.)

    Veniamo adesso alla questione dellinformazione. Le descrizioniportano informazione. La descrizione la cosa che ha la propriet

    che fu secondo marito di x. Il grado d la misura di un certo tipo di complessit delledescrizioni ed una grandezza precisamente determinabile: ogni descrizione ha un suogrado ed esistono descrizioni di ogni grado.

    18 Entrambe le teorie si trovano in Frege. La prima quella adottata nei Grundge-setze. Alla seconda si accenna inSenso e denotazione. Per un trattamento sistematico diquestultima, cfr. D. Hilbert e P. Bernays, Grundlagen der Mathematik, Springer, Berlin1968, Supplement I.

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    P porta linformazione che loggetto che essa denota gode dellapropriet P. Diremo quindi che linformazione che tale descrizioneporta circa la propria denotazione quella espressa dal predicato

    P. In questo contesto, a noi interessa specificamente linformazionelogica, cio quellaportata dai nomi logici. Ad esempio, cinteressa ilfatto che linformazione portata dal nome linsieme degli ateniesi quella espressa dal predicato insieme cui appartengono tutti e soli gliateniesi. Quanto ai nomi propri normali, si assume che non portinoalcuna informazione. Chiaramente, ci non vale per i nomi proprilogici. Ad esempio, in teoria degli insiemi, il nome proprio (costanteindividuale) specificamente deputato a portare linformazioneche linsieme che esso denota non ha elementi. In aritmetica, il nomeproprio (costante individuale) 0 deputato a portare linformazione

    che il numero naturale che esso denota il pi piccolo, ossia non successore di alcun numero naturale. Diremo, in questo caso, che lin-formazione portata da espressa dal predicato insieme privo dielementi e che linformazione portata da 0 espressa dal predicatonumero naturale che non successore di nessun numero naturale.Pertanto, a ciascun nome logicoresta sempre associato un predicatoche esprime linformazione che il nome porta.

    18. Enunciati espliciti

    Definiamo adesso una certa classe di enunciati nei quali la sosti-tuzione di identici non fa perdere informazione logica. Li chiameremoenunciati espliciti. Sia dato un enunciato E(n1, , nk), dove n1, , nksonotutti i nomi logici che occorrono in esso, e dove linformazione portatada n1, , nk espressa, rispettivamente, dai predicatiP1, , Pk. Si dirche lenunciato E(n1, , nk) esplicito quando, avendo sostituto i nomin1, , nkrispettivamente con le variabili x1, , xk, lenunciato seguenterisulta una verit logica:

    (18.1) x1 xk[E(x1, , xk) P1x1 Pkxk].

    In un enunciato esplicito accade che la presenza dei nomi logici inutile. Infatti, anche senza di essi, lenunciato sarebbe in grado didare linformazione che essi portano. Ecco un esempio di enunciatoesplicito:

    (18.2) Socrate appartiene allinsieme degli ateniesi, e linsieme degli ate-niesi un insieme a cui appartengono tutti e soli gli ateniesi.

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    Lenunciato esplicito, perch la formula Socrateappartiene a x, e xun insieme a cui appartengono tutti e soli gli ateniesi implica logicamentela formula x un insieme a cui appartengono tutti e soli gli ateniesi,

    che esattamente il predicato esprimente linformazione portata dalnome linsieme degli ateniesi. Questo esempio rende evidente che, perqualunque enunciato E,c sempre un enunciato esplicito logicamenteequivalente a E. Infatti, ogni enunciato E(n1, , nk) sempre logicamenteequivalente a E(n1, , nk) P1n1 Pknk, e questo un enunciatoesplicito. chiaro inoltre che, in un enunciato esplicito, nessuna sostitu-zione di identici fa perdere informazione logica: se in (18.2) sostituiamo ilnome linsieme degli ateniesi con linsieme dei concittadini di Pericle,resta comunque conservata linformazione che la cosa di cui si parla uninsieme che contiene tutti e soli gli ateniesi. Veniamo quindi a esporre la

    prima delle idee che, secondo noi, dovrebbero permettere di associareuna teoria dei fatti alla teoria della denotazione. Si propone di limitare ilprincipio di equivalenza (14.1) ai soli enunciati espliciti. Cio: ci diremocerti che due enunciati, logicamente equivalenti tra loro, hanno la stessadenotazione, solo quando si tratta di enunciati espliciti. Sugli altri equi-valenti logici, quelli non espliciti, non faremo alcuna ipotesi. In questomodo, si evita che i rapporti tra logica e denotazione si basino solo sulfatto che, in un enunciato, sono presenti certi nomi logici piuttosto chealtri, fatto che poi si rivela contingente in quanto sappiamo che, per so-stituzione, i nomi vanno e vengono in grande libert. Una volta stabilito

    ci, certi passaggi importanti per largomento di Frege-Church non sipossono pi fare. Ad esempio, dal fatto che lenunciato Carla biondasia equivalente a t = non si ricava pi che questi due enunciati hannola stessa denotazione, cio che vale

    (18.3) [Carla bionda] = [t = ].

    Infatti, lenunciato t = non in forma esplicita: i nomi logici t e rispettivamente linsieme delle cose che sono identiche a Carla e chenon sono bionde e linsieme privo di elementi portano uninformazio-

    ne su ci che denotano, informazione che la formula x =y, da sola, nonsa dare. Altrettanto dicasi del passaggio da (15.8) a (15.10), cio da

    (18.4) EC(a)

    a

    (18.5) [E] = [C(a)].

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    Anche questo passaggio non si pu pi fare, in quanto lenunciatoC(a) non in forma esplicita: il nome logico a porta linformazione checi che esso denota ha la propriet A; da sola, la formula C(x), cio la

    formula

    (18.6) (EAx) (EBx),

    non implica tale informazione.

    19. Enunciati fondamentali

    Ma questo non basta. Come vedremo subito, gli enunciati fattual-mente veri continuano a collassare sulle verit logiche. Ora, per, sulla

    distinzione tra verit fattuali e verit logiche bisogna intendersi. Data lalimitazione del principio di equivalenza agli enunciati espliciti, chiaroche la distinzione avr un fondamento solo se riferita agli enunciatiespliciti. Con gli enunciati privi di nomi logici non ci sono problemi,perch sono tutti espliciti. Per gli altri, quelli che hanno nomi logicima che non sono espliciti, la questione non potr essere decisa tramiteprincipi generali e si dovr vedere caso per caso. Ma mostriamo adessoperch la limitazione del principio di equivalenza agli enunciati esplicitinon basta a evitare il collasso. Invece della semplice identit t = ,consideriamo lenunciato esplicito t = T(t) V() (dove Te V

    sono rispettivamente i predicati essere un insieme delle cose che sonoidentiche a Carla e che non sono bionde e essere un insieme privo dielementi). Anche questo enunciato logicamente equivalente a Carla bionda. Ma allora, essendo esplicito, varr:

    (19.1) [Carla bionda] = [t = T(t) V()].

    Sostituendo t con , otteniamo:

    (19.2) [Carla bionda] = [= T(t) V()].

    Lenunciato di destra una verit logica esplicita. In quanto veritlogica, logicamente equivalente ax(x = x). Quindi, in quanto esplicita,varr:

    (19.3) [= T(t) V()] = [x(x = x)].

    Ma allora, per transitivit, da (19.2) e (19.3) otteniamo:

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    fondamentale, in quanto contiene quattro nomi (il vincitore di Au-sterlitz, Austerlitz, il generale Beauharnais, la vedova del generaleBeauharnais) i quali denotano quattro individui distinti. Non sono invece

    fondamentali gli enunciati:

    (19.11) Napoleone il vincitore di Austerlitz;(19.12) Socrate appartiene allinsieme degli ateniesi e allinsieme deiconcittadini di Pericle.

    Infatti, in entrambi, vi sono nomi diversi Napoleone, il vincitoredi Austerlitz, rispettivamente linsieme degli ateniesi, linsieme deiconcittadini di Pericle che denotano lo stesso oggetto. Chiaramen-te, gli unici enunciati di identit, cio enunciati della forma a = b ,

    costituenti enunciati fondamentali sono le identit non informative a= a. La definizione esatta di enunciato fondamentale la seguente: unenunciato fondamentale quando, per i nomi individuali (di qualunquegenere) n1, , nkche esso contiene (e che supporremo elencati senzaripetizioni), vale ninj , per i j.

    19Si era osservato che ogni enunciato riconducibile, per equivalenza logica, a un enunciato esplicito. Osser-veremo adesso che ogni enunciato riconducibile, per sostituzione diidentici, a un enunciato fondamentale. Infatti, dato un enunciato E(n,m), dove ne m denotano lo stesso individuo cio vale lidentitn = m, per sostituzione di identici possiamo passare allenunciato

    fondamentale E(n, n). Cos, passando prima allenunciato fondamentalee poi allequivalente esplicito, si ha che ogni enunciato riconducibilea un enunciato esplicito fondamentale, ossia a un enunciato in cui ilvalore informativo dei nomi logici che contiene esplicito e nel qualeci sono tanti nomi quanti individui. Lidea finale dunque di limitareil principio di equivalenza ai soli enunciati espliciti fondamentali. Lanozione di enunciato esplicito prende origine dallidea di Russell diintegrare, nella stessa forma logica dellenunciato, il contenuto pre-dicativo delle descrizioni definite. A differenza di Russell, noi per

    19 La definizione lega la nozione di rappresentazione fondamentale alla costi-tuzione materiale del nome e non si cura del fatto che certe differenze linguistichepossono essere irrilevanti. Ad esempio, anche lidentit il medico che cugino diGianni = il cugino di Gianni che fa il medico contiene nomi diversi, ma non in-formativa. Una definizione meno rozza di quella data la seguente. Un enunciato una rappresentazione fondamentale se, per i nomi n

    1, , n

    kche in esso occorrono

    (elencati senza ripetizioni), vale nin

    j, per i j, a meno che lidentit n

    i= n

    j non sia

    una verit logica. Chiaramente, nel caso che si abbiano identit logiche, consentitoavere pi nomi che individui denotati. Comunque, la questione non importante perla discussione presente.

  • 8/14/2019 Senso, denotazione,