46
SIMONA CIGLIANA – Quali sono le date cruciali del- l’avanguardia teatrale italiana? FRANCO CORDELLI – Alcune penso di conoscerle per- ché ne ho letto; a 18 anni avrei potuto vedere il “Cali- gola” di Carmelo Bene. Credo sia stato rappresentato al Teatro delle Arti a Roma – se la memoria non m’in- ganna – ma non c’ero. Non c’ero e sinceramente non ero appassionato di teatro e non immaginavo, anzi ero ben lontano dall’immaginare che me ne sarei occupa- to per tutta la vita, poi. Diciamo che in tutto quel decennio, tutti gli anni ’60, sono stato uno spettatore occasionale di teatro e sem- mai attratto conformisticamente dagli spettacoli-even- to, come spesso capita a spettatori occasionali. Sicché a ventitré anni ho visto “Vita di Galileo” di Brecht, mes- sa in scena da Strelher. Lo vidi a Roma nel 1964, all’E- liseo, ma non ho visto il “Caligola” né il “Pinocchio” di Carmelo Bene, né tantomeno le prime prove di Mario Ricci al Teatro delle Orsoline – altro teatro storico, nato – credo – nella prima metà del decennio. In verità gli spettacoli di Mario Ricci di quell’epoca sono stati visti da pochissimi, nel senso che non so quanti possono essere gli spettatori in grado di testimoniare di quegli spettacoli. E non ho visto neppure la performance di Giancarlo Nanni del 1967 alla Libreria Feltrinelli di Via del Babuino. In sostanza sto citando alcune date, alcuni spetta- coli cruciali, appunto, dell’avanguardia teatrale italiana 187 L’illuminista Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli e a Marco Palladini a cura di Simona Cigliana Risponde Franco Cordelli

Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

SIMONA CIGLIANA – Quali sono le date cruciali del-l’avanguardia teatrale italiana?

FRANCO CORDELLI – Alcune penso di conoscerle per-ché ne ho letto; a 18 anni avrei potuto vedere il “Cali-gola” di Carmelo Bene. Credo sia stato rappresentatoal Teatro delle Arti a Roma – se la memoria non m’in-ganna – ma non c’ero. Non c’ero e sinceramente nonero appassionato di teatro e non immaginavo, anzi eroben lontano dall’immaginare che me ne sarei occupa-to per tutta la vita, poi.

Diciamo che in tutto quel decennio, tutti gli anni ’60,sono stato uno spettatore occasionale di teatro e sem-mai attratto conformisticamente dagli spettacoli-even-to, come spesso capita a spettatori occasionali. Sicchéa ventitré anni ho visto “Vita di Galileo” di Brecht, mes-sa in scena da Strelher. Lo vidi a Roma nel 1964, all’E-liseo, ma non ho visto il “Caligola” né il “Pinocchio” diCarmelo Bene, né tantomeno le prime prove di MarioRicci al Teatro delle Orsoline – altro teatro storico, nato– credo – nella prima metà del decennio. In verità glispettacoli di Mario Ricci di quell’epoca sono stati vistida pochissimi, nel senso che non so quanti possonoessere gli spettatori in grado di testimoniare di queglispettacoli. E non ho visto neppure la performance diGiancarlo Nanni del 1967 alla Libreria Feltrinelli di Viadel Babuino.

In sostanza sto citando alcune date, alcuni spetta-coli cruciali, appunto, dell’avanguardia teatrale italiana

187 L’illuminista

Sette domande sul teatro

d’avanguardia

a Franco Cordelli

e a Marco Palladinia cura di Simona Cigliana

Risponde Franco Cordelli

Page 2: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

nella sua fase aurorale. E qui parliamo di secondaavanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce n’è stata un’altra nella prima parte del secolo.Ma non è di quella che dobbiamo parlare.

Il primo spettacolo d’avanguardia teatrale italianacui io abbia assistito e di cui purtroppo non ricordo ladata – ma credo fosse il 1965 – era un Beckett messoin scena da Carlo Quartucci sulla riva del Tevere. Sen-tire sulla riva del Tevere fa ridere perché che vuol direriva del Tevere? Quale riva del Tevere? Non sapreidire; so che era nella parte nord della città, direi a Pri-ma Porta. Ovviamente non era un teatro, era un luogoche nella memoria non so ricostruire. Era sicuramenteda quella parte, oltre Saxa Rubra.

Quello spettacolo, nel quale c’era come attore –anche qui lavoro solo di memoria nel senso che non holetto niente, almeno di recente, su queste cose – Leode Berardinis, – quello spettacolo, dicevo – mi fecemolta impressione perché obiettivamente diverso daglispettacoli tradizionali che avevo visto. Ho già citato“Vita di Galileo”; ma ricordo – anche questo del 1967 emeno tradizionale – “L’istruttoria” di Peter Weiss, mes-so in scena al Palazzo dello Sport all’Eur forse daGiancarlo Sbragia (non so se era il regista o uno degliattori). Quello spettacolo mi fece moltissima impressio-ne per i contenuti, naturalmente, perché Weiss comin-ciava ad essere famoso, era uno dei grandi testimonidell’Olocausto e in quel momento questo tema storicocominciava a rivivere in tutta la sua drammaticità per lamia generazione. Però non incideva sul linguaggio tea-trale in sé. Quindi nessuno degli spettacoli che stocitando, compreso quello di Quartucci, che aveva tut-tavia l’eccezionalità di abolire o quasi l’elemento sce-nografico e di creare una situazione in cui la corpora-lità cominciava ad essere importante – però io nonsapevo che la corporalità era importante, erano acqui-sizioni inconsapevoli – rientrava nella nuova avan-guardia teatrale italiana.

L’illuminista 188

Franco Cordelli e Marco Palladini

Page 3: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

CIGLIANA – Di fatto, mi sembra che si giochi nel-la successiva decina d’anni il passaggio dalla “pri-ma” alla “seconda” avanguardia teatrale italiana …

CORDELLI – Direi piuttosto la “preistoria” della secon-da avanguardia teatrale italiana, che coincide poi conla mia preistoria di spettatore teatrale. Fu per un purocaso che cominciai ad andare a teatro. Per ragioni pro-fessionali. Perché fui invitato da Elio Pagliarani a col-laborare con lui che aveva ereditato quell’anno, il1968, la rubrica di critica teatrale su “Paese Sera”: allo-ra era un giornale molto importante, benché non aves-se una diffusione nazionale. Quindi era molto gratifi-cante essere chiamato a fare questo lavoro anche seper me era più gratificante dal punto di vista del tipo dilavoro che mi permetteva di lavorare senza avere unorario . Non avendo la vocazione dello spettatore diteatro, non avevo né il senso di una missione né unproposito conoscitivo. Non avevo nulla, la mia missio-ne era opportunistica.

Ma già nel 1969 ebbi le prime rivelazioni anche sequeste le inscrivo in una “preistoria” nel senso che nonle tradussi in una reale presa di coscienza. E questisono gli spettacoli ben precisi che posso citare: 1)“L’imperatore della Cina” di Ribemont e D’Essaignes,messo in scena da Giancarlo Nanni al teatro La Fede(una specie di stalla a Porta Portese); 2) “Amleto” diGiuliano Vasilicò al Beat 72, primo di una lunga serie dispettacoli importanti messi in scena in questo teatro.Queste due rappresentazioni, completamente diverseda quanto visto fino ad allora compreso lo spettacolo diQuartucci, mi colpirono molto. Però, ripeto, non si tra-dussero in una presa di coscienza. Né ciò accadde conil successivo spettacolo “L’angelo custode” di FleurIaeggy; o con “I teologi” di Borges, entrambi messi inscena da Giorgio Marini al Beat 72.

La vera presa di coscienza o la prima metà di essaavvenne nel 1971, non in una cantina ma in un grandeteatro, il Sistina, dove Gerardo Guerrieri, un nostro

Sette domande sul teatro d’avanguardia

189 L’illuminista

Page 4: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

grande critico traduttore e animatore, aveva organiz-zato un premio (“Roma” o “Europa”) con la partecipa-zione dei Gruppi più importanti che circolavano allorain Europa.

E lì vidi quello che per me fu lo spettacolo rivelazio-ne nel senso che coincise con il 50% della mia presadi coscienza. Non era uno spettacolo italiano, era il“Deafman glance” di Bob Wilson. Il primo spettacolo,lunghissimo, di Wilson che fu rappresentato per duesere e al quale assistetti tutte e due le sere. La secon-da sera ci sono tornato per portare gli amici, quanti piùamici potevo, perché ero convinto che dovevano vede-re quello spettacolo, che era veramente scioccante.

Quello spettacolo fu per me la vera rivelazione delteatro. Capii, cioè, che il teatro poteva essere, era, èuna potente forma d’arte che con un linguaggio tuttosuo trasmette conoscenze ed emozioni peculiari. Nonstarò qui a descrivere “Deafman glance”; posso diresolo che era uno spettacolo nel quale recitavano attorisordomuti – e già questo dà una misura dell’eccezio-nalità – e nel quale non si parlava o quasi ma tutto eraaffidato alla gestualità del corpo ovvero alla presenzadi quei corpi sulla scena. Lì capii veramente che il tea-tro è la presenza dei corpi sulla scena e sottolineo laparola presenza, che qualche anno dopo capii esserecruciale per definire il senso dell’avanguardia teatrale.

Perché dico presenza? Perché la parola presenza èla parola chiave, secondo me, di Artaud il quale con-trappone – in tutta la sua azione e teoria – l’idea di pre-senza all’idea di rappresentazione, diciamo l’idea dipresentificazione a quella di rappresentazione. Il tea-tro, dice Artaud, non deve rappresentare qualcosa d’al-tro ma essere ciò che è. Il teatro è la presenza, è ciòche accade in quel momento. Non siamo più nel cam-po della mimesi ma nel campo dell’essere, con tutta lacrudezza che ciò comporta, ovvero la crudeltà, il con-sumo del corpo, cui il corpo presente sulla scenarimanda lo spettatore. Cominciava ad affermarsi que-st’idea, cominciavo cioè a capire che anche il corpo

L’illuminista 190

Franco Cordelli e Marco Palladini

Page 5: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

sulla scena perisce, anche l’arte perisce, anche ciòche perisce può essere arte oppure anche l’arte puòperire. Quindi, come si vede, tutto si rivoluziona. Il bel-lo non è più soltanto ciò che è fisso, immobile, eterno.Però noi eravamo giovani che non avevamo fattoesperienza del consumo dei corpi, storia dell’avan-guardia teatrale agli inizi, tale esperienza è venuta piùtardi.

L’altra metà della presa di coscienza avvenne l’an-no successivo, nel 1972, al Festival di Chieri, quandomi sono imbattuto per la seconda volta nella mia vita,però in modo diverso, in Leo De Berardinis che recita-va con Perla Peragallo in uno spettacolo intitolato “‘OZappatore”. Non erano soli in scena ma era come selo fossero. Mentre lo spettacolo di Bob Wilson mi abba-gliò per così dire per l’elemento di sorpresa, quindi distupore, lo spettacolo di De Berardinis, benché si pos-sa definire di avanguardia (non era certamente unospettacolo di rappresentazione), conseguì per me l’al-tra delle grandi mete che consegue l’arte: la commo-zione, possiamo chiamarla catarsi: perché, come sem-pre, in quello spettacolo Leo suonò la sua corda – cor-da lirica – e la suonò in modo altissimo. Resta sicura-mente uno dei vertici della sua storia personale e di tut-ta la storia dell’avanguardia teatrale italiana.

Altra data cruciale, il 1973, al Beat 72 con il debut-to di Memè Perlini in “Pirandello chi?”. Quello fu unospettacolo pazzesco perché del lavoro di Pirandellonon era rimasto quasi nulla. Perlini, invece di rappre-sentare i “Sei personaggi” condensò in immagini, inelementi plastici, il concetto, la concettualità sottesa aquel dramma specifico dei sei personaggi. Non più laparola del testo ma la concettualità che quelle paroleimplicano e che Perlini traduceva in immagini.

Voglio ricordare un’altra data, un po’ dimenti-cata, ma cruciale. Mi riferisco a “La conquista del Mes-sico” di Bruno Mazzali, ancora al Beat 72, con Rosa DiLucia (attrice mitica) e Rossella Or, attrice dell’avan-guardia teatrale romana soprattutto ma che coincide

Sette domande sul teatro d’avanguardia

191 L’illuminista

Page 6: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

con l’avanguardia teatrale italiana. Fu uno spettacolodi fatto rivelazione perché qualcuno riprendeva il pro-blema di Artaud e lo poneva in scena. Non c’è dubbioche questo spettacolo è cruciale nella storia dell’avan-guardia teatrale italiana non foss’altro che per questomotivo; in ogni caso anche perché Mazzali compiva lostesso tipo di operazione di Perlini, traducendo inimmagini la concettualità sottesa. Quindi uno spettaco-lo imprescindibile.

CIGLIANA – E poi ci furono “Le 120 giornate diSodoma” di Giuliano Vasilicò, al Beat ‘72.

CORDELLI – FU un grande spettacolo che proiettò lanostra avanguardia per la prima volta su una scenainternazionale. Lo spettacolo fu esportato all’estero equando fu rappresentato a Parigi ne scrisse RolandBarthes che allora era una delle grandi autorità euro-pee, mondiali. Lo spettacolo ha rappresentato unaspecie di battesimo che mostra come questa storianon sia una storia locale; non stiamo parlando di qual-cosa di piccolo e irrilevante ma di veramente impor-tante. Sicuramente la nostra avanguardia.

Ho scritto molte volte che senza “Deafman glance”di Bob Wilson l’avanguardia teatrale romana nonsarebbe mai nata. Ma è anche vero che c’erano statiCarmelo Bene, Mario Ricci, Nanni e Quartucci e dun-que c’erano già tutte le premesse. Questo fenomenotutto italiano in realtà fu un fenomeno di portata bensuperiore all’Italia e forse alla stessa Europa. Anziescludo che qualunque altro Paese europeo possavantare altrettanti titoli di merito dell’Italia. Forse sol-tanto l’America compete con la vitalità del nostro teatronegli anni ’70 o nella storia dell’avanguardia Bob Wil-son e Richard Foreman erano solo i prototipi.

CIGLIANA – Nel passaggio dagli anni ’80 ai ’90 lapoetica del gruppo (Magazzini, Gaia Scienza, FalsoMovimento, Valdoca, Socìetas Raffaello Sanzio,

L’illuminista 192

Franco Cordelli e Marco Palladini

Page 7: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

Krypton, Le Albe, Marcido Marcidorjs, Santagata -Morganti, Centro Sperimentale di Pontedera etc.) siè trasformata in una poetica più tradizionale. È tor-nato alla ribalta il regista; o forse l’attore; o l’atto-re-regista; o l’attore-autore (Tiezzi, Lombardi, Bar-berio Corsetti, Martone, Servillo, Martinelli, Vacis,moscato ect.). È stato davvero un ritorno al teatrodegli anni ‘50 o si configura come un fenomenonuovo?

CORDELLI – Ovviamente si configura come un feno-meno nuovo nel senso che non esistono ripetizioni, lecose non si ripetono mai nello stesso modo. Qui ilragionamento è complesso perché mentre tutto il tea-tro tradizionale, sbaragliato sul piano dell’ideologiadominante negli anni ’70, piano piano ha ricominciatoa prendere il suo spazio nel corso degli anni ’80. Que-sto sta nella natura delle cose. Ma quello che qui mas-simamente ci interessa è capire come coloro che sisono formati nella cultura avanguardista si sono poitrasformati. E allora è opportuno – anzi necessario –operare delle distinzioni.

Nel ritorno alla drammaturgia ai livelli alti – duenomi su tutti, Ronconi e Castri – non fu ininfluente l’e-sperienza degli anni precedenti. Intendo dire che sefino a Strehler la messa in scena non era connessa aun’idea di interpretazione critica (con l’eccezione dellostesso Strehler) ma all’idea di una messa in scenacome fatto artigianale, tecnico-artigianale, il traumasubìto dalla nostra tradizione teatrale implicò da partedei teatranti una presa di coscienza a livello globale. Ilritorno alla drammaturgia non poteva avvenire comese niente fosse accaduto, assumendo il testo in modoun po’ passivo o meccanico; solo in termini di bravuratecnica o meramente artigianale. Si poneva, quindi, unproblema di interpretazione storica del testo e cioè:cosa ci ha detto il teatro italiano degli anni ’70? Ci hadetto che il teatro è un’arte a sé, con un suo linguaggiomolto complesso e che nella storia mondiale è vissuto

Sette domande sul teatro d’avanguardia

193 L’illuminista

Page 8: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

come arte da pochissimo tempo, dall’inizio del Nove-cento, credo. Il teatro comincia ad essere percepitocome arte con la nascita del cinema; forse, come arte,addirittura è più giovane rispetto al cinema. Il teatroprende coscienza di sé in quanto arte a prescinderedalla drammaturgia perché c’è il cinema. Allora GordonCraig, o Mejerchol’d o Stanislavskij o Piscator, il teatrorusso e quello inglese, quindi la prima avanguardia,compresi i nostri futuristi, comincia a percepire il teatrocome arte e ad individuare nel regista la figura dell’au-tore. Tutto questo movimento culmina in Artaud. Èqualcosa che va dagli anni ’10 agli anni ’30. Poi neglianni ’40 e ’50 c’è stato come un vuoto, un momento distasi; il risveglio c’è negli anni ’60 e la vera presa dicoscienza e la vera trasformazione e istituzione delteatro come arte avviene all’inizio degli anni ’70. Unadelle punte di questa presa di coscienza è l’Italia. Sem-bra incredibile ma non lo è, considerando il talentofigurativo degli italiani, poiché ciò che emerge è che ilteatro è un’arte di tipo figurativo ancorché narrativa.Allora che cos’è l’avanguardia se non la mediazionetra la staticità o plasticità dell’arte figurativa e la dina-mica dell’arte narrativa? Il teatro d’avanguardia è unostrano compromesso tra queste due tendenze, traqueste due virtualità implicite nel fatto teatrale.

Questa presa di coscienza del teatro come arte,questa acquisizione di consapevolezza, questa eleva-zione della figura del regista ad autore porta il registache si pone di fronte ad un testo ad assumere fatal-mente una posizione critica, una posizione di tipo sto-rico ed ecco che con il ritorno alla drammaturgia deglianni ’80, questi registi questi grandi spettacoli (gliIbsen di Castri o di Ronconi) impongono la necessitàche il teatro si faccia in un certo modo. Cioè che d’orain poi si distingua tra teatro commerciale e teatro noncommerciale ancorché apparentemente siano simili.Cioè Ibsen può essere messo in scena da Castri o daun regista giovane e quindi inesperto oppure non bra-vo apparentemente in modo uguale ma producendo

L’illuminista 194

Franco Cordelli e Marco Palladini

Page 9: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

due spettacoli diversi che non hanno quasi nessunrapporto con Ibsen.

CIGLIANA – Mi sembra che risalga propri a questaseconda metà degli anni ’80 la consuetudine dipubblicare i testi riscritti dai registi-autori. C’è unadrammaturgia della drammaturgia, una riscritturadei testi che è sintomatica di quello che sta avve-nendo e che va a costituire un anomalo genere let-terario, abbastanza tipico di quegli anni: il testo“della scrittura scenica”.

CORDELLI – Sì, fu Bartolucci a chiamarlo così. Nonc’è solo la scrittura drammaturgica ma c’è la scritturascenica come fatto in sé che, mentre in Bob Wilson èevidente perché lo spettacolo è quasi muto, nell’Ibsendi Castri è meno evidente: poiché c’è anche una dram-maturgia, ci sono anche le parole. Si tratta quindi divedere i punti di contatto e quelli di autonomia dellascrittura scenica rispetto alla scrittura da cui si sonoprese le mosse.

Quando alcuni dei gruppi, che si erano formati neglianni ’70 e che avevano cominciato a fare teatro secon-do modi esplicitamente avanguardistici, si sono a pocoa poco convertiti e sono tornati alla drammaturgia, nonhanno potuto fare questa operazione impunemente:meno ancora di tutti gli altri, perché condizionati dalleprecedenti esperienze. Affermo che lo erano in modoanche molto negativo nel senso che un conto è che deicorpi si muovano sulla scena come se danzassero,quindi allenati a un certo tipo di gestualità, di movi-mento, di plasticità, altro è se quei corpi appartenentiad attori giovani ma non più giovanissimi devono emet-tere dei suoni, delle voci, pronunciare discorso, dialo-gare con altre persone, insomma recitare privi in talsenso di ogni esperienza. Sicuramente si trovano indifficoltà.

Secondo me il caso più clamoroso, nella forma delfallimento, è Giorgio Barberio Corsetti, che debuttò nel

Sette domande sul teatro d’avanguardia

195 L’illuminista

Page 10: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

1976 con “La rivolta degli oggetti” di Majakovskij, titolomolto significativo, emblematico per uno spettacolod’avanguardia. Fino al 1984 ha prodotto una quantitàdi spettacoli veramente notevoli, alcuni bellissimi(“Cuori strappati”, “Notturni diamanti”), specie quelliallestiti nel Parco dei Daini di Villa Borghese con Mar-co Solari, Alessandra Vanzi e Guidarello Pontani. Unconto sono questi spettacoli, altro è quando BarberioCorsetti si è messo a recitare, a far recitare i suoi atto-ri con il risultato di rendere evidente tutta la sua ine-sperienza, una forma di ritardo culturale. Questi attorigiovani, ma non più giovanissimi, con alcuni anni dicarriera alle spalle, dovevano trasformarsi all’improvvi-so in attori tradizionali, ancorché non lo fossero affatto.

CIGLIANA – È come se Barberio Corsetti avesseceduto alla necessità della parola, senza che anco-ra fosse arrivato “storicamente” il momento di farparlare gli attori e senza aver ancora lavoratoabbastanza in tal senso.

CORDELLI – Barberio Corsetti è stato quello che hapagato di più lo scotto di questo passaggio. L’altrogruppo che avrebbe potuto pagare di più (senza checiò accadesse) è “I magazzini”, la cui esperienza èparallela a quella della Gaia Scienza. I Magazzini han-no avuto la fortuna 1) di trovarsi un attore vero, SandroLombardi, in casa e 2) di avere alle spalle una poetica,nel senso letterario del termine, molto forte, ben preci-sa. E questo era un patrimonio di Federico Tiezzi, maanche dello stesso Lombardi. Qui pensiamo soprattut-to ai rapporti di questo gruppo con Testori. Allora l’ave-re le spalle coperte ha consentito ai Magazzini di potercontinuare – pur alternando spettacoli più o meno bel-li – ad elaborare le proprie visioni nel senso degli anni’70 con un patrimonio figurativo visionario e nello stes-so tempo di poter recitare Dante a livelli elevati.

Altri gruppi, come ad esempio Falso movimento,hanno avuto una storia più complessa, più frastagliata,

L’illuminista 196

Franco Cordelli e Marco Palladini

Page 11: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

nel senso che qui è importante l’origine del gruppo. Nelcaso di “Falso movimento” è Napoli, città che ha unatradizione tutta sua e che ti consente di salvarti comun-que. Anche lì, però, con esiti dissimili tra loro nel sen-so che un attore come Toni Servillo, un vero attore, haaffinato abbastanza rapidamente le sue possibilità diespressione fino a diventare un interprete (anchecome regista) di primo rango. Sembra quasi che abbiadissimulato all’inizio, camuffandosi.

Viceversa non sono altrettanto sicuro delle qualitàregistiche, non delle qualità figurative, di Martone.Penso che Martone abbia una vera dote di visualizza-zione delle scene drammatiche. Ho dei dubbi sulla suacapacità di interpretare testi, sulla sua capacità di leg-gere e di far recitare adeguatamente gli attori. Ho l’im-pressione che della storia ormai più che ventennale gliesiti più alti di Martone rimangano di fatto le prime pro-ve quelle che lui ha affrontato come regista puramented’avanguardia. Penso ai primi spettacoli, a “Controllototale”, a “Rosso texaco” a “Tango glaciale”. Credo chenessuno spettacolo suo di interpretazione o di rappor-to con un testo mi abbia convinto fino in fondo. Forse ilpiù interessante che abbia visto messo in scena daMartone è il “Riccardo II”, all’inizio degli anni ’90 aNapoli. Disponeva di un cast notevole. Ecco che l’in-nata qualità istrionica dei napoletani ha il suo peso; latradizione ha il suo peso anche nella trasformazione,nell’evoluzione della cosa avanguardistica. Ho citato itre gruppi più importanti, di quelli sopravvissuti daglianni ’70 agli anni ’80 e addirittura dagli anni ’80 aglianni ’90.

In quanto agli altri, che sono citati nella domanda,Valdoca, Societas Raffaello Sanzio, Krypton e Ponte-dera, questi sono tutti gruppi nati dopo gli anni ’70 equindi già in una fase di maturazione del linguaggiosperimentale. Erano più liberi, quindi hanno potutomixare le due esperienze, le due culture, con menocondizionamenti rispetto ai tre gruppi citati prima.

Ognuno ha sviluppato un suo linguaggio, chi più chi

Sette domande sul teatro d’avanguardia

197 L’illuminista

Page 12: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

meno interessante. Non mi sembra sia il caso di espri-mere giudizi singoli. Certamente oggi posso dire che laSocietas Raffaello Sanzio accanto a spettacoli fasti-diosi come il “Giulio Cesare”, hanno prodotto spettaco-li molto belli, con immagini folgoranti di grande poten-za plastica. Quindi non un ritorno al teatro degli anni’50 ma un fenomeno nuovo che ha delle sue diverse emolteplici pecularietà.

CIGLIANA – Due date: nel 1988 il ministro Carrarosegna la nascita del teatro azienda, nel 1989 la finedell’attività di Giuseppe Bartolucci come criticomilitante.

CORDELLI – La circolare Carraro è uno dei grandidrammi della storia del teatro italiano, forse è lo spec-chio di uno dei drammi della storia d’Italia, è uno deipunti di americanizzazione del nostro Paese. Può dar-si che questa americanizzazione sia necessaria. Vivoquesta data come un fatto forse storicamente neces-sario ma da un punto di vista dell’evoluzione di un lin-guaggio è una data molto negativa, nel senso che nelmomento in cui Carraro stabilisce che i teatri che van-no finanziati dallo Stato sono quelli che producono dipiù e meglio, decreta la morte del teatro come formad’arte e istituisce il fatto che il teatro è un’azienda.Esso fornisce prodotti cosiddetti estetici. Muore la pos-sibilità di parlare di teatro di ricerca. Muore l’idea che ilteatro sia un’arte. Naturalmente questa idea non èmorta, è morta a livello istituzionale. Si potrebbe obiet-tare che il teatro vive contro o al di fuori delle istituzio-ni. E infatti è vero, cioè sopravvive in questo modo, maè anche vero che il teatro è, come l’arte figurativa clas-sica o come l’opera lirica, una forma d’arte fuori delmercato. Ha troppo poco pubblico perché il pubblico lopossa sostenere. Coloro che fanno teatro, e i cui corpitrent’anni dopo vediamo che sono invecchiati, si sonoconsumati: perché i corpi sulla scena si consumanopiù che altrove, e se devi produrre uno o due spettacoli

L’illuminista 198

Franco Cordelli e Marco Palladini

Page 13: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

l’anno, le facoltà immaginative e fantastiche tendonoad esaurirsi prima del tempo. Con l’idea del teatrocome azienda non puoi rispettare un tuo ritmo natura-le di creazione, sei obbligato a trasformare quella chesarebbe una tua crescita naturale, sei obbligato adaccelerare questi ritmi per fornire prodotti anziché ope-re, o creazioni. Ecco che l’accelerazione dell’elementotemporale – ciò in cui consiste l’americanizzazione – èla vera strozzatura, che se da una parte sembra incre-mentare, dall’altra depaupera, impoverisce, isterilisce.In effetti, il teatro italiano degli anni ’90 è un teatropoverissimo di date, non dell’avanguardia totale, ma dispettacoli importanti, belli rispetto a quelli degli anni ’70e ’80.

CIGLIANA – Anche perché la Circolare Carraro,obbligando i gruppi di ricerca a immettersi sul mer-cato, in concorrenza con le compagnie di teatrotradizionale, finiva, nei fatti, per indurli a tradire laloro più vera natura e a produrre, per necessità disopravvivenza, spettacoli più indulgenti con i gustidel grande pubblico.

CORDELLI – In questo è implicita la constatazioneche gli anni 1988 e 1989 sono uno vicino all’altro. Il1989 vede l’uscita di scena di Bartolucci come demiur-go. Bartolucci girava in lungo e in largo l’Italia alla ricer-ca di giovani, di nuovi gruppi, che poi invogliava attra-verso la sua grande capacità di stimolazione, unacapacità socratica, maieutica. I giovani credevano inlui; e lui era capace di farli sentire importanti, come eragiusto. Creava continuamente gruppi, figure singole,festival, rassegne. E tutto questo ovviamente era vita-lità.

Bartolucci ha pagato duramente questa sua militan-za perché ha vissuto la sua attività come una militan-za. Critico militante perché non lo è stato solo nel sen-so teorico e concettuale ma nel senso di uno chescendeva in campo, si muoveva fisicamente. Qualco-

Sette domande sul teatro d’avanguardia

199 L’illuminista

Page 14: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

sa che rappresenta lo spirito ribellistico e guerrierodegli anni ’70 e ’80.

CIGLIANA – È plausibile l’idea che il vero teatrosperimentale sia fatto ancora da due soli gruppi adun certo livello la Socìetas Raffaello Sanzio e laValdoca?

CORDELLI – No, non è plausibile. Probabilmente laSocìetas Raffaello Sanzio e la Valdoca sono i duegruppi che definirei più rigorosi; oggi si direbbe inte-gralisti. Non so se è il termine giusto perché integrali-smo fa pensare al fanatismo che non c’entra nientecon ciò che fanno questi due gruppi anche se all’inter-no ci sono delle persone veramente fanatiche. Sempli-cemente questi due gruppi elaborano un loro linguag-gio, seguono la loro strada. Non si può dire che non sipiegano a nessun compromesso perché non si pongo-no nemmeno il problema se piegarsi o no ad un com-promesso, non sarebbero capaci di farlo. La parolaintegralismo forse non sarebbe giusta ma è certamen-te vero che il discorso del teatro d’avanguardia, cheprima ho cercato di delineare, in questi due gruppi con-tinua con una sua pienezza d’intenti: nel senso cheessi non si manifestano attraverso la messa in scenadi testi drammaturgici preesistenti. Nel loro comporta-mento, cioè, non c’è nessuna soggezione di tipo idea-listico. Intendo dire questo: tutto il teatro tradizionaleper me pecca di idealismo, cioè considera la dramma-turgia come un’idea platonica, qualcosa di dato da cuisi deve dedurre qualcos’altro, che è di necessità quel-lo, e il più bravo è chi si avvicina di più a questa formaimplicita nel testo drammaturgico. Questo è davvero l’i-dealismo. L’avanguardia, cioè il materialismo, è il pro-cedimento opposto: si parte dal basso, dal corpo, dal-l’assenza di un testo. Il testo si va scrivendo sulla sce-na e il fatto che poi un attore si aiuti con parole preesi-stenti è un fatto normale perché nessuno nasce al difuori di un contesto. Ed ecco allora che le parole che la

L’illuminista 200

Franco Cordelli e Marco Palladini

Page 15: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

Valdoca e la Socìetas Raffaello Sanzio usano nei lorospettacoli, i testi scritti, poniamo, da Mariangela Gual-tieri o da Claudia Castellucci, sono parte del contesto.Lo spettacolo non è mai deduttivo, non è mai di tipoidealistico.

Però non ci sono solo questi due gruppi, qui vedocitato “Le Albe”. Questo gruppo costituisce un’espe-rienza importante nella elaborazione di una poeticadella corporalità che ha un rapporto importante conuna tradizione, un contesto storico, per esempio con ipoemi eroicomici, con la cultura romagnola in genere.(All’improvviso sembra che Folengo sia il regista Mar-tinelli; come se uno vissuto quattro secoli fa si fossereincarnato, fosse trasmigrato. Cioè, c’è una consu-stanzialità, una profonda logica, possibile perché partedal basso).

CIGLIANA – Pippo Delbono e Danio Manfredinirappresentano un fenomeno nuovo, una specie diteatro verità?

CORDELLI – Non so rispondere perché li ho visti trop-po poco. Presumo che in due modi diversi possaesserci del vero, cioè Delbono, probabilmente, comeerede di una tradizione di engagement, con il teatrosociale, il teatro impegnato, la mobilitazione in favoredei diseredati, dei dannati della terra, ecc.. Manfredinipiù sul piano di un teatro di ricerca esistenziale, diricerca di una propria verità interiore, di un proprio ten-tativo di soluzione di una dramma personale, di unamessa in questione del proprio corpo come fonte pri-maria del disagio, del malessere. Probabilmente que-sti due autori rappresentano queste due massime tra-dizioni dell’esperienza umana, non dell’esperienza tea-trale; però se ne siano i maggiori rappresentanti e sia-no un fenomeno nuovo io non mi sentirei di dirlo per-ché, come ripeto, li conosco troppo poco.

CIGLIANA – Alcuni nomi di nuovi gruppi: Motus,

Sette domande sul teatro d’avanguardia

201 L’illuminista

Page 16: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

Fanny & Alexander, teatrino Clandestino, Accade-mia degli Artefatti, gruppo Masque, Teatro del lem-ming. Queste formazioni nascono, almeno in unacerta misura, protette dalle istituzioni. Che cosaimplica?

CORDELLI – Conosco poco anche questi gruppi. Perquel che ho visto posso dire che appartengono allastoria dell’avanguardia italiana, e i cui modi di espe-rienza, di produzione di oggetti d’arte, di modo di starein scena, di occupazione degli spazi, sono parte dell’a-vanguardia. Però la mia impressione, superficiale, èche essi è come se avessero rimpicciolito la portatadegli interrogativi formali linguistici che avevano rivoltoa se stessi e al pubblico i gruppi nominati prima.

Forse il “Teatrino clandestino” è l’emblema di tutto ilmovimento ultimo dell’avanguardia teatrale. Cioè unaclandestinità che non è tanto avanguardia, prodromodi qualcosa che esploderà dopo, ma è qualcosa di ulti-mo e derivato e anche qualcosa di compiaciuto. Saràper colpa del contesto veramente penalizzante ma cer-to vi è anche della responsabilità personale.

“Motus” è un gruppo che ho visto un po’ di più edevo dire che non noto sostanziali differenze daglispettacoli che i Magazzini proponevano negli anni ’80.Qui siamo addirittura con vent’anni di ritardo: aggior-nati all’oggi da un punto di vista puramente tematicoma non da un punto di vista linguistico. Allora pensoche ci sia una forma di compiacimento, una specie dinarcisismo e in fondo di accademismo estetizzante.Quindi mi fa pensare che l’energia creativa dell’avan-guardia sia piuttosto ridotta in questo momento.

CIGLIANA – Si può citare una tendenza anomala opoco registrata o poco acclamata?

CORDELLI – Mi viene in mente Mimmo Cuticchio, cheho rivisto in uno spettacolo su Gesualdo da Venosa,sicuramente meno importante e meno bello del prece-

L’illuminista 202

Franco Cordelli e Marco Palladini

Page 17: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

dente da me visto, ma era uno spettacolo il cui lin-guaggio aveva una sua precisa finalizzazione, era con-dizionato a priori perché si rivolgeva ad pubblico deter-minato, quello dei bambini.

Perché Cuticchio è importante? Perché possiamoregistrarlo come tendenza anomala o poco registratae, alla fine, nuova? Proprio perché è antica, proprioperché la versione del puparo è talmente antica e tal-mente locale e Cuticchio è una persona di tale vitalitàpersonale che nel momento in cui appare sulla scenasi presentifica. Da una parte attraverso i pupi rappre-senta, in modo addirittura meccanico, marionettistico,burattinesco e quindi in fondo parodistico, il poemacavalleresco (e quindi rende evidente la natura dellarappresentazione) e dall’altra non si limita a fare dellaparodia o dell’ironia perché è lì, presente in scena, conil suo corpo, facendo una specie di controcanto rispet-to alla sua tradizione. Si espone personalmente, si pre-sentifica, e mescola i due linguaggi ottenendo un effet-to nuovo che io non conoscevo, produce una veraemozione e una vera conoscenza della possibilità diaggirare, di dare nuovo fuoco, una nuova vita a qual-cosa che stai rappresentando e che è stata rappre-sentata mille altre volte.

Mi vengono in mente altri due nomi – Ruggero Cap-puccio e Enzo Moscato, due drammaturghi napoletaniche hanno tante cose curiose, alcune in comune altreno. In comune hanno le origini napoletane e lo scrive-re in dialetto, dimostrando così che la lingua italiana(questo si sapeva da trent’anni) a teatro non può esse-re usata e, implicitamente, che scrivendo in dialettonon si può comunicare all’universo mondo ma solo achi quel dialetto capisce, cioè a pochi. Il dialetto comu-nica che il teatro è per pochi felici, per i pochi chesaranno in grado di capire, nonostante tutto, o perchésono napoletani e perché il teatro è un fenomeno d’é-lite. Lo era anche negli anni ’70, però l’avanguardia erail linguaggio dominante, creava una tendenza, ungusto, era accessibile ad un maggiore numero di per-

Sette domande sul teatro d’avanguardia

203 L’illuminista

Page 18: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

sone – potenzialmente a tutti – poiché figurativo. Orané Moscato né Cappuccio sono in grado di creare ungusto, non sono un punto di riferimento se non peralcuni pochi teatranti. Al di fuori del mondo del teatro,nessuno li conosce.

CIGLIANA – Anche perché negli anni ’70 il teatrorappresentava il luogo dell’utopia, lo spazio diricerca “pubblico” per eccellenza.

CORDELLI – Certo, era un’utopia di affrancamentodai vincoli sociali ed espressivi in genere. Cappuccio e

Moscato hanno in comune di esserenapoletani, di scrivere in dialetto, di scri-vere un dialetto proprio, ognuno dei duepersonalissimo. Ciò che hanno meno incomune è il fatto di essere, il primo unmitografo della classicità, che esibisceun rapporto critico con la materia lette-raria molto complesso un rapporto chetraduce immediatamente in una icasti-cità figurativa molto forte; il secondo èun esistenzialista napoletano, con un

rapporto con la classicità più controverso nel sensoche sembra averlo solo con la classicità locale (Vivia-ni, per intenderci) e forse non lo possiede veramentequesto rapporto. Moscato è un uomo solo nel sensoculturale anche se ha lavorato e lavora con i Teatri Uni-ti, è amico di Martone e di Servillo (ha lavorato conloro, insieme hanno fatto uno spettacolo meraviglioso,“Rasoi”). Però è certamente un uomo solo nel sensoesistenziale e sociale del termine e la sua forza, la suaimportanza, è di esporre questa solitudine e nuditàsebbene lo faccia collegandosi, più di quanto accada aCappuccio, ad elementi figurativi più tradizionali delteatro napoletano.

L’illuminista 204

Franco Cordelli e Marco Palladini

Page 19: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

Risponde Marco Palladini

CIGLIANA – Quali sono dunque, a tuo parere, ledate cruciali dell’avanguardia teatrale italiana?

Marco PALLADINI – Più che stare ad indicare unasequenza storica e cronologica, mi interessa rifletteresulla situazione del teatro italiano quando si incominciaa delineare, a partire dai primi anni ’60, una scena d’a-vanguardia. I primi, fondamentali segnali di rinnova-mento sono venuti nel dopoguerra con l’affermarsianche da noi del teatro della regia critica, che ha fin dasubito due indiscutibili protagonisti: Luchino Visconti eGiorgio Strehler. È in pratica l’irrompere di una culturamoderna in una scena pre-moderna, che nonostantegli sforzi di Pirandello negli anni ’20-’30 continuava arifarsi al modello del cosiddetto teatro all’antica italia-na. Ciò che voleva dire una struttura rigidamente capo-comicale, repertori modesti o polverosi, allestimentifrettolosi e pressappochisti, gli stessi classici inscenatiin modo sommario, senza alcun approfondimentointerpretativo, la medesima arte dell’attore legata acanoni ottocenteschi, esteriorizzati e manieristici. La“riforma” moderna di Visconti e Strehler non è cosa dapoco. Il primato passa dall’attore capocomico al registanon attore. Colui che è detentore di una cultura criticadella messinscena, che affronta il lavoro con unapproccio fortemente ermeneutico sia nei confronti deiclassici che dei testi contemporanei, che impone pro-lungati periodi di prove per riuscire a plasmare un nuo-vo e più elaborato stile attorale, che eleva la qualitàcomplessiva degli allestimenti, curando ogni dettaglio,dalle luci ai costumi, dal suono alle scene. Tutto ciòintroduce un inedito rigore etico, professionale e cultu-rale nel teatro, un “metodo” moderno che finirà perdiventare il più importante paradigma di riferimento per

Sette domande sul teatro d’avanguardia

205 L’illuminista

Page 20: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

la nostra scena. Alla fine degli anni ’50 questa riformapuò, quindi, dirsi compiuta: Visconti abbandona insostanza il campo teatrale lasciando come sua direttaerede la Compagnia dei Giovani all’Eliseo di Roma,che incarna il nuovo, anche sofisticato “teatro borghe-se”; Strehler che guarda al modello brechtiano ha,invece, con il Piccolo di Milano fondato e imposto unmodello di teatro pubblico animato da una tensionepedagogico-culturale di tipo socialdemocratico, maanche cosciente di dovere recuperare e rivitalizzare latradizione (vedi lo spettacolo-bandiera del Piccolo: l’Ar-lecchino servitore di due padroni riproposto per cin-quant’anni).

Rispetto a quest’orizzonte quali sono i punti diattacco su cui verrà a generarsi la rivoluzione dell’a-vanguardia? Secondo me gli elementi caratterizzantisono due, distinti ma ovviamente interdipendenti. Il pri-mo è la rottura della “endoteatralità” cioè di un teatroimperniato solo su se stesso, sul proprio, peculiaresistema espressivo. L’avanguardia si propone fin dall’i-nizio come un’esperienza multidisciplinare, il suo radi-cale impeto energetico-linguistico attinge alle arti visi-ve, all’arte concettuale, alla danza contemporanea,all’happening, alla performance, al cinema, al video,alla più avanzata ricerca musicale. Tutto questo ripor-ta all’idea, già concepita dalle avanguardie del primoNovecento, di un’opera d’arte totale. È questo il filorosso che connette i capofila degli anni ’60-’70: MarioRicci (con Claudio Previtera), Carmelo Bene, CarloQuartucci, Leo de Berardinis (con Perla Peragallo) epoi Giancarlo Nanni, Perlini-Aglioti, Vasilicò, SimoneCarella, Remondi & Caporossi.

Sempre a proposito della rottura con la “endotea-tralità” non va dimenticato che i protagonisti dell’a-vanguardia praticamente si auto-inventano teatranti,senza alcun background o tirocinio specifico nel tea-tro convenzionale. Il transito di Carmelo all’Accade-mia “Silvio D’Amico” o di Quartucci allo Stabile diGenova sono dei momentanei, brevi passaggi, utili

L’illuminista 206

Franco Cordelli e Marco Palladini

Page 21: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

soltanto a stabilire la loro incompatibilità e ad avviarela traiettoria del loro antagonismo artistico. Questaestraneità psicologica, personale e professionale alteatro cosiddetto ufficiale è un fattore assai importan-te per considerare poi i pregi e i limiti dell’avanguar-dia teatrale. Ed è, d’altronde, un fattore permanenteche ha contraddistinto il teatro di ricerca nostrano per40 anni, fino ai giorni nostri. Ci sono in pratica dueambienti, due “ecosfere” teatrali che non s’incontra-no, che rimangono in larga misura impermeabili l’unaall’altra.

Il secondo decisivo elemento che caratterizza l’a-vanguardia contro il teatro di regia è il rigetto del testo,del copione drammaturgico. L’unico che cerca fino adun certo momento di riferirsi alla testualità, ad unadrammaturgia innovativa, è Quartucci a cui dobbiamoalcune pionieristiche e bellissime messinscene diBeckett e il coraggioso esperimento di Zip Lap Lip VapMam etc. di Giuliano Scabia alla Biennale del ’65. Pertutti gli altri è netto il passaggio dalla centralità dellascrittura drammaturgica alla primazìa della scritturascenica. Cioè ad una composizione di segni sinesteti-ci in cui il testo può anche comparire, ma come lacer-to drammatico, suggestione letteraria, frammento poe-tico accessorio. Carmelo, il più geniale di tutti, procla-ma la “sospensione” della rappresentazione e dichiara,col suo tipico gusto del paradosso, che invece di “met-tere in scena” qui si tratta di “togliere dalla scena”,ossia di dismettere tutti i pilastri dell’aborrito “teatro diprosa”.

Se è questo, sia pure detto sbrigativamente, il qua-dro essenziale del teatro “alternativo” degli anni ’60 eprimi ’70, mi sembra però necessario segnalare unnodo problematico irrisolto, una vera aporia della rivo-luzione teatrale avanguardista in Italia: la questionedell’attore. Mentre altrove — vedi la linea Stanislavskij-Grotowski-Barba — ci si pone il problema teorico e pra-tico del training, ossia della costruzione di un attorediverso, e in definitiva di una inedita antropologia tea-

Sette domande sul teatro d’avanguardia

207 L’illuminista

Page 22: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

trale, in Italia la questione della formazione di nuovaattoralità è stata completamente elusa. Nell’orizzontedella scrittura scenica l’attore è, in sostanza, un perfor-mer duttile e intercambiabile. Grande enfasi viene cer-to data alla gestualità, al linguaggio del corpo, ma è tut-to lavoro empirico, estemporaneo, improvvisato, senzavere basi e senza un’adeguata codificazione espressi-va. Il risultato è che di attori “creativi” significativi nesono venuti fuori pochissimi, ed è mancata del tuttouna pedagogia teatrale, una metodologia d’apprendi-mento. Certo, l’avanguardia ha partorito due attori tota-li, i “mostri sacri” Carmelo Bene e Leo de Berardinis,ma si tratta di due monadi riferibili soltanto a se stesse.

Carmelo, che è un genio anche culturale, ha pro-dotto una iperbolica teorizzazione su di sé, sull’artificiodella phoné, su “C.B. macchina attoriale”, una teoriz-zazione tanto affascinante quanto inutilizzabile daaspiranti attori perché mera emanazione del suo irri-producibile, straordinario, unico talento, sublimazioneestrema e rovesciamento nichilistico del modello delsuper attore-istrione romantico ottocentesco. Differen-te nei percorsi, assai più contradditorî e variegati, maanalogo quanto ad unicità e lucidità, il caso di Leo,figura proteiforme e metamorfica, capace di reinven-tarsi quasi ad ogni decennio, pur mantenendo un filo ditenacissima coerenza con l’idea di un attore solista“free”, capace di trascorrere da Shakespeare alla sce-neggiata napoletana, da Pirandello a Totò, dalle espe-rienze con gli emarginati di Marigliano a Dante e Leo-pardi.

Carmelo e Leo, dunque, come eccezioni autopro-dotte che sicuramente non potevano “fare scuola”.Risibile era, del resto, anche l’etichetta di “scuolaromana” affibbiata al cosiddetto teatro-immagine che sifaceva nelle cantine capitoline negli anni ’70: oltre aicitati Nanni, Perlini, Vasilicò, Remondi & Caporossi eCarella, come non ricordare Pippo Di Marca, BrunoMazzali, Gianfranco Varetto, Ugo Margio, Giorgio Mari-ni, Giancarlo Sepe, Severino Saltarelli, Gianni Colosi-

L’illuminista 208

Franco Cordelli e Marco Palladini

Page 23: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

mo, Lisi Natoli e tanti altri. Tutto un movimento, quellodella sperimentazione romana, frastagliato, fin tropporigoglioso, e proliferato anche per metastasi modaiola,che bruciò in un decennio le sue migliori energie e lesue più feconde intuizioni artistiche. Ci volle la genia-lità di Simone Carella che decise di abbandonare il tea-tro per invadere il territorio con l’evento del Festival deiPoeti nel ’79 sulla spiaggia di Castel Porziano e il col-po di mano di Leo che s’inventò nell’82 al Parco deiDaini il Censimento teatrale, altrimenti appellato comeLa strage dei colpevoli, a segnare l’apoteosi e l’effet-tuale esaurimento di quel fenomeno.

Significativo che in entrambe le operazioni ci fossela complicità intellettuale e organizzativa di FrancoCordelli. Lui che pure aveva fiancheggiato e illustratocon grande sagacia critica quella stagione, partecipa-va a decretarne il tramonto.

L’epicentro della ricerca si spostava, anzi si era spo-stato altrove. In linea col “gruppettarismo” politico deglianni ’70, i nuovi protagonisti diventavano i gruppi che illoro principale teorico e mallevadore, Beppe Bartolucci,si affrettò a definire “la post-avanguardia”. Nel ’72nasce a Firenze Il Carrozzone (con Federico Tiezzi,Sandro Lombardi e Marion D’Amburgo) che nel ’79assume il più aggressivo nome di Magazzini Criminali.Nel ’76 fa il suo esordio la romana Gaia Scienza (conBarberio Corsetti, Marco Solari e Alessandra Vanzi).Nel ’77 si avviano i napoletani Falso Movimento (gui-dato da Mario Martone) e Teatro dei Mutamenti (conAntonio Neiwiller e Renato Carpentieri). Il Teatro Studiodi Caserta (con Toni Servillo) parte nel ’78. Nel ’79 pren-de le mosse il milanese Out-Off (diretto da AntonioSixty). Nell’80 nascono il duo pugliese-toscano Santa-gata & Morganti e il Teatro della Valdoca di Cesena;nell’81 debuttano i Raffaello Sanzio, cesenati pure loro,e il torinese Teatro Laboratorio Settimo (guidato daGabriele Vacis). La mappa degli altri gruppi inclusi nelfilone della post-avanguardia comprende i Krypton diFirenze (’82), Padiglione Italia (’82), i Tradimenti Inci-

Sette domande sul teatro d’avanguardia

209 L’illuminista

Page 24: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

dentali di Terni (’82), Koiné di Carpi (’83), i NutrimentiTerrestri di Messina (’83), i Marcido Marcidorjs e Famo-sa Mimosa di Torino (’85), le Albe di Ravenna (’85), iGiardini Pensili di Rimini (’85), Lenz-Rifrazioni di Parma(’86). In posizione defilata o autonoma ci sono il Picco-lo Teatro di Pontedera (’77) guidato da Roberto Bacci,direttore per molti anni del più importante festival delteatro di ricerca italiano, quello di Santarcangelo diRomagna, e capofila del “terzo teatro” di ascendenzaGrotowski-Barba; il Tam - Teatro Musica di Padova(’80); i gruppi romani Teatroinaria (retto da Sandro Ber-dini, ’76), Dark Camera (con Marcello Sambati, ’79),Stravagario (con Enrico Frattaroli e Franco Mazzi, ’82);e le formazioni sarde Akroama (’79) e Cada Die (’82).

L’etichetta di post-avanguardia che allora piaceva apochi, debbo dire che a vent’anni di distanza mi pareazzeccatissima. Essa coglieva in tempo reale lo slitta-mento della seconda generazione dell’avanguardiateatrale nella deriva del postmoderno. Ciò che significòil dare vita a forme sceniche permeate di “pensierodebole”, di ipercitazionismo, imbevute di tecnologia emoda, risucchiate nell’immaginario della videociviltàdilagante, segnate da uno spirito di euforia edonistica,di velocità, di vibratile leggerezza, tanto più rimarche-voli se pensiamo che in quegli anni c’era in Italia il cli-ma pesante e cupo del terrorismo, degli attentati asuon di bombe, degli scontri in piazza, della guerracivile strisciante. La post-avanguardia rappresentavachiaramente una inversione di tendenza, una reazioneartistica a tutto ciò, apriva e ritmava il nuovo flusso (peralcuni riflusso) degli anni ’80. Cambiava il sound: dallamusica colta contemporanea e dal jazz dell’avanguar-dia anni ’60 si passava al rock e anche alla musicaetnica, la “world music”.

Nel mio ricordo certi spettacoli dei Magazzini (Vedu-te di Porto Said, Punto di rottura, Crollo nervoso,Genet a Tangeri), della Gaia Scienza (La rivolta deglioggetti, Gli insetti preferiscono le ortiche, Cuori strap-pati), di Falso Movimento (Rosso Texaco, Tango gla-

L’illuminista 210

Franco Cordelli e Marco Palladini

Page 25: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

ciale, Coltelli nel cuore) sono delle meravigliose made-leines teatrali che mi restituiscono subito il sapore del-l’epoca, che sintetizzano le “intermittenze del cuore”, ilvortice estetico-emozionale di una scrittura scenicaintegrale dove lampeggiavano rapide epifanie, adole-scenziali, sognanti intuizioni poetiche, eteroclite, sor-prendenti immagini, e un movimento inarrestabile efrenetico di corpi inquieti, acrobatici, innamorati, inson-ni. Spettacoli come polaroid che fissavano un momen-to di grazia aurorale e di energia irresistibile della gio-vinezza, che inventava un teatro di onde ritmiche chescivolava fatalmente verso la danza.

Non a caso in quegli anni si afferma in Europa il cul-to del Tanztheater espressionistico di Pina Bausch eanche in Italia nasce il fenomeno del teatrodanza adopera di giovanissimi interpreti: penso a Enzo Cosimiche si ispirava alla postmodern dance newyorkese, algruppo seminale dei Sosta Palmizi, allievi di CarolynCarlson, ai Parco Butterfly guidati da Virgilio Sieni diascendenza Merce Cunningham, a Fabrizio Montever-de, al gruppo romano Vera Stasi (con Ian Sutton e Sil-vana Barbarini) e altri ancora. Del resto, l’era, per cosìdire, della post-avanguardia corrisponde sul piano del-la ricerca internazionale a un cambio di modello: dalprimato negli anni ’60 del teatro politico-ecologico (nelsenso di Gregory Bateson) del Living Theatre e delteatro “povero” di Grotowski si passa al prevalere delteatro multimediale, surreal-futuristico, macrotempora-le, fantaculturale, simil-coreografico di Bob Wilson, unteatro-opera totale di abbagliante spettacolarità quan-to a patterns visivi-onirici, musica, luci, gesti, ma anchericco di spiazzante lievità, di sublime estetica della len-tezza e della ripetizione, di umori anti-ideologici e iro-nicamente pop.

Per concludere questa parte del discorso, ritengoche quel decennio tra metà anni ’70 e metà anni ’80 siastata la stagione di maggiore dovizia e felicità creativadell’avanguardia per qualità, quantità e slancio dei pro-tagonisti. Non c’è paragone con la parallela e paludo-

Sette domande sul teatro d’avanguardia

211 L’illuminista

Page 26: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

sa situazione della scena convenzionale dove Ronco-ni aveva scalzato Strehler al vertice del teatro di regia,ma per annegare il modernismo critico in un barocchi-smo sovraccarico, magniloquente e incline all’automo-numentalizzazione; dove il sistema ufficiale si aggrap-pava alle ultime, commoventi apparizioni di Eduardo,ai periodici ritorni del mattatore Gassman, alla neo-guitteria di massa di Gigi Proietti e dove, defunti Valli eDe Lullo alfieri dello stile alto-borghese, era vincente ilteatro popolare-romantico-kitsch di Gabriele Lavia.

La presa di potere artistico della post-avanguardiafu comunque virtuale ed ineffettuale. Tranne rare ecce-zioni (penso alla Biennale veneziana dell’84 diretta daFranco Quadri) le istituzioni teatrali rimasero sorde echiuse agli impulsi creativi ed innovativi della genera-zione post-avanguardista. L’elettricità speciale di quelmomento finì ineluttabilmente per spegnersi e, verso lafine degli anni ’80, il movimento nel suo complessos’impantanò tra narcisismo e ostinazione a reiterarsi.Dilapidate le residue risorse inventive, andò palese-mente in crisi.

CAGLIANA – Nel passaggio dagli anni ’80 ai ’90la poetica del gruppo (Magazzini, Gaia Scienza,Falso Movimento, Valdoca, Socìetas Raffaello San-zio, Krypton, Le Albe, Marcido Marcidorjs, Santa-gata-Morganti, Centro Sperimentale di Pontederaetc.) si è trasformata in una poetica più tradiziona-le. È tornato alla ribalta il regista; o forse l’attore; ol’attore-regista; o l’attore-autore (Tiezzi, Lombardi,Barberio Corsetti, Martone, Servillo, Martinelli,Vacis, Moscato etc.). È stato davvero un ritorno alteatro degli anni ’50 o si configura come un feno-meno nuovo?

PALLADINI – Un moto di restaurazione sicuramentec’è stato, effetto anche della stasi o della vera e propriacrisi di idee e di identità del movimento. Il postmoder-no che intride di sé la post-avanguardia, in fondo, fini-

L’illuminista 212

Franco Cordelli e Marco Palladini

Page 27: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

sce per mettere in crisi la stessa nozione di “nuovo”.Sempre meno si parla di avanguardia e sempre più diteatro di sperimentazione che, però, diventa prestouna mera categoria burocratica adottata dal ministerodello Spettacolo per elargire le sue sovvenzioni. Anchechi avanza il concetto di “tradizione dell’avanguardia”,al di là dell’elegante ossimoro, sembra denegare lapossibilità effettiva del “nuovo”. L’avanguardia che si fatradizione in pratica si riduce a memoria codificata ditrasgressioni di linguaggio, a formula liturgica dell’alte-rità scenica, ma così facendo non può che distruggerela sua essenza profonda, la sua ragione prima che èquella di sovvertire lo stato delle cose dell’arte presen-te. Come recita l’aureo motto di Man Ray: “Si è all’a-vanguardia una sola volta nella vita”; pretendere di far-si tradizione è un palese falso in atto estetico pubblico.

Questo per dire che, arenatasi la spinta propulsi-va, il movimento sorgivo e fusionale della scena spe-rimentale, ai gruppi si poneva una scelta drastica: odissolversi, chiudere i battenti come era accaduto atante realtà della prima avanguardia e delle cantineromane, o intraprendere una svolta, anche struttura-le, di collocazione. Innanzitutto, dentro i gruppi sisono definiti più rigidamente i ruoli, si sono specializ-zate le competenze sul paradigma delle compagnietradizionali. Poi alcuni gruppi hanno trovato una“casa” teatrale, giungendo in qualche caso a forme distabilizzazione istituzionale. Ma la novità-non novitàpiù forte e traumatica è stata la riconversione al testodrammaturgico. Non che la scrittura scenica venissedi colpo cancellata, ma certo essa veniva riusata oriciclata in funzione della rivalutazione della scritturadrammaturgica in qualche modo riportata al centrodella prassi teatrale. È evidente, a questo punto, chebuona parte della sperimentazione finiva per configu-rarsi come una sorta di teatro di regia, certo più ete-rodosso e a volte estroso, ma anche molto spesso piùinconsistente sotto il profilo semiotico-culturale, e conpaurosi vuoti interpretativi, per mancanza di una

Sette domande sul teatro d’avanguardia

213 L’illuminista

Page 28: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

generazione attorale all’altezza, cioè tecnicamenteed espressivamente allenata ad affrontare la parolarecitata, a scavare nel testo.

In questo senso è impietoso, ad esempio, il con-fronto con Carmelo Bene che pur avendo sempre ope-rato con la parola teatrale, ha sempre, costantementeripetuto “Per me il testo ha il medesimo valore di unacantinella”. Proprio a partire dalla sua somma tecnicarecitativa, Bene si può permettere di deprezzare,disprezzare il testo, sottintendendo che nella macchi-nazione della sua phoné esso viene svuotato, depriva-to di senso letterale, “originario”, e invece risemantiz-zato, ricreato, ridinamizzato nella performance vocale-interpretativa: “Poesia è la voce, il testo la sua eco”.

In ogni caso, la svolta estetica dei gruppi ha libera-to anche tante risorse individuali che vanno attenta-mente censite nei loro singoli percorsi. Ad esempio,Federico Tiezzi il più colto e talentuoso dei neo-registiex-sperimentali ha via via accresciuto la sua statura,giungendo con la trilogia delle Scene di Amleto (1998-2000) a firmare uno dei pochi spettacoli-capolavorodelle ultime stagioni, in perfetto, voluttuoso equilibriotra enciclopedico polistilismo registico e personalememoria biostorica.

Sempre in seno ai Magazzini, Sandro Lombardi nelsuo ripetuto incontro con il teatro di Testori ha saputoautoinventarsi interprete di matrice espressivistica emacheronica di straordinaria bravura. Pochi altri attorisono, invero, emersi da quest’area e comunque sem-pre miscelando lingua e dialetto: penso al napoletanoAntonio Neiwiller (precocemente morto nel ’93), alcasertano Toni Servillo capace di coniugare napoleta-nità di ieri e di oggi passando da Viviani a Moscato, allaromagnola Ermanna Montanari (Albe di Ravenna)recente premio Ubu. In questa chiave persino un tec-no-regista come Giancarlo Cauteruccio (Krypton) si èscoperto attendibile interprete recitando Beckett incalabrese. Simile la traiettoria del pugliese AlfonsoSantagata, rielaboratore di classici in grottesca, misti-

L’illuminista 214

Franco Cordelli e Marco Palladini

Page 29: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

lingue salsa mediterranea, che è forse oggi il più con-vincente degli attori-registi para-sperimentali.

Se Mario Martone le sue migliori prove di regia le hadate negli anni ’90 senz’altro al cinema, i vari BarberioCorsetti, Gabriele Vacis, Marco Martinelli hanno via viasviluppato altalenanti percorsi registici, non necessa-riamente migliori o più interessanti rispetto a quelli deicoevi esponenti del teatro di regia provenienti dallasponda tradizionale: penso a Cesare Lievi, a NanniGarella, a Elio De Capitani, a Cristina Pezzoli, a PieroMaccarinelli.

Un discorso a parte in questo ambito di “ricentraliz-zazione” del testo meritano i cosiddetti attori-autori lacui proliferazione si spiega anche con l’assenza di unareale drammaturgia contemporanea nazionale. Inverità, qui di autori veri e propri ne vedo soltanto due:Enzo Moscato e Franco Scaldati. Il primo, dopo l’im-matura scomparsa nell’86 a soli 30 anni di AnnibaleRuccello, è l’unico credibile erede dell’asse Viviani-Eduardo come cantore del postmoderno degrado diNapoli, da lui attraversato con tragicomici, brillantissimirisultati agglutinando la crepitante lingua partenopeacon una farandola plurilinguistica, ottenendo effetti diammaliante iperbarocchismo. Figura e corpo-simbolodi femmeniello intellettuale straniato e straniante,Moscato fa indubbiamente gioco a sé, anche esiben-dosi come neomelodico cantante. Il palermitano Scal-dati è come se avesse immerso una poetica da assur-do beckettiano in un territorio di sicilianità atavica edemarginata pieno di risonanze visionarie, favolistiche,ma anche cruente, disperatamente nichiliste. Il tuttorimasticato nel fosco, tambureggiante dialetto dellaKalsa, popolare quartiere di Palermo.

Gli altri cosiddetti attori-autori vanno, in realtà, con-siderati degli attori-narratori. Marco Paolini, grazie alsuccesso televisivo del Racconto del Vajont, col suoforte impatto di denuncia civile e politica, è stato scam-biato per un epigono di Dario Fo, ma è un abbaglio: chiconosce la lunga serie dei suoi rutilanti Album, sa che

Sette domande sul teatro d’avanguardia

215 L’illuminista

Page 30: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

la sua principale vena è quella di un divertito, intelli-gente, catartico autobiografismo. Sia Laura Curino delLaboratorio Settimo (degna di nota la sua dilogia suCamillo e Adriano Olivetti) che Marco Baliani, prove-niente dal teatro-ragazzi, con le loro prove da narratorisolisti hanno circoscritto uno spazio artistico che haassai più a che fare con la drammaturgia dell’attore, edunque con una ricerca performativa, che con la scrit-tura testuale. È questo uno spazio artistico da one-man-band, peraltro congeniale al tipico solipsismo itali-co, non a caso trova vari adepti presso i teatranti del-l’ultima generazione (penso, ad esempio, al romanoAscanio Celestini). Comunque lo si voglia rigirare, è ilproblema dell’antropologia d’attore la vera questioneirrisolta della nostra scena.

CIGLIANA – La circolare Carraro del 1988, e la finedell’attività di Giuseppe Bartolucci (1989) segnano,secondo te, due momenti importanti, nella storiadel teatro dell’ultimo decennio?

PALLADINI – Sono due eventi importanti e comple-mentari, non c’è dubbio. Con la “circolare” che stabili-va una nuova regolamentazione per l’erogazione dellesovvenzioni statali, l’allora ministro dello Spettacolo, ilsocialista Carraro, intercettava il mutamento dello Zeit-geist e, con un colpo di mano, stabiliva l’inversione ditendenza. L’obiettivo dichiarato era quello di smetterlacon la politica delle sovvenzioni “a pioggia” che, princi-piata negli anni ’70, aveva finito per rigonfiare oltremi-sura il settore degli “sperimentali”, dove c’era oramai ditutto secondo le più auree consuetudini della furberiaitaliota. Per realizzare questo, anche necessario,disboscamento non si fissavano però dei criteri di “esa-me culturale”, di attendibilità artistica, bensì dei criterieconomicisti e contabili. In pratica si diceva: noi nonsappiamo, e al limite non ce ne importa nulla, se tu fairicerca e sperimentazione o no, quello che ci preme èche tu dimostri di essere “produttivo” e ci presenti un

L’illuminista 216

Franco Cordelli e Marco Palladini

Page 31: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

bilancio con tot borderó, tot piazze, tot giornate lavora-tive, tot contributi versati, tot tasse pagate. È stato l’av-vio dell’aziendalizzazione del teatro che ha colpito indi-scriminatamente tutti, sia i falsi sperimentali che quelliveri, ma con deboli strutture organizzative e con scar-si o nulli rapporti di scambio distributivo, che hannoprovato a resistere, ma dopo un po’ sono spariti.Insomma, con l’acqua sporca si sono gettati via nonpochi bambini. Il disboscamento c’è stato, ma in moditali da azzerare il terreno di coltura della ricerca teatra-le. La ripresa di finanziamento di alcuni giovani gruppia metà anni ’90 non ha, in realtà, intaccato la filosofiaaziendale di fondo. Una politica vera e adeguata emeditata di sostegno alla ricerca, che non può esserevalutata con i medesimi canoni con cui si valuta il tea-tro d’intrattenimento commerciale, non si è mai profila-ta, neppure sotto i governi di centrosinistra. In definiti-va, si nega l’Artista e si legittima soltanto il Produttore,si respinge l’homo artifex che agisce la lingua del desi-derio e si incorona l’homo faber, colui che agisce la lin-gua della produzione.

Del resto, lo sappiamo, è un discorso stravecchio,per le classi dirigenti di questo paese, la cultura è tra-dizionalmente un fatto cortigiano, cioè un fatto di para-ta e di schieramento e di facciata, mai di sostanza cri-tica e di libero, autonomo impegno.

Su Beppe mi concedo la libertà di riprendere alcu-ne cose che scrissi poco dopo il suo decesso: «conmolta tristezza, penso che per me la critica militantee, financo, l’avanguardia come critica sono morte,anche fisicamente, il 22 settembre 1996, il giorno incui si è spento a Roma, a 73 anni, Giuseppe Barto-lucci. Colui che, per circa trent’anni, in veste di teori-co, giornalista, organizzatore e promotore fecondissi-mo, dirigente di istituzioni teatrali, ha incarnato coninesausta radicalità l’idea stessa di avanguardia sce-nica in Italia. Beppe, così lo chiamavamo noi amici esodali, era stato in verità costretto a ritirarsi dalle bar-ricate della militanza critica che tanto gli piacevano

Sette domande sul teatro d’avanguardia

217 L’illuminista

Page 32: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

sette anni prima, quando nell’estate dell’89, reduceda una ennesima scorribanda, era stato colpito da unictus. L’“insulto cerebrale”, ricordo, che aveva fattoevaporare di colpo l’energia luciferina che sostenevala sua attività e lo aveva addolcito, reso sempre piùsimile a un roseo e paffuto vecchio bambino. Gli erasvanita negli anni ’90 la stessa voglia di andare a tea-tro, e si capiva: lui non era stato uno spettatore, siapure specializzato, normale; era stato un protagoni-sta, uno che il teatro d’avanguardia lo aveva inventa-to, trasfigurato, predetto, manipolato con folgorantiintuizioni e, talora, insopportabili faziosità, con estre-mistico istinto visionario e prepotenze anche irritanti.Bartolucci d’altronde era fatto così: prendere o lascia-re. Lui medesimo procedeva per simpatie o antipatieimmediate e definitive, suscitando con ciò risentimen-ti e anche odî profondi.

A Bartolucci “papà” e banditore di almeno tre gene-razioni avanguardiste tra gli anni ’60 e gli ’80, uno deirimproveri che più frequentemente venivano mossiera di “divorare le proprie creature”. Ossia dopo avereportato alla ribalta un gruppo o un artista, di abbando-narlo abbastanza rapidamente al proprio destino, nonaiutandolo a crescere e a maturare, per correre inve-ce, subito, “nevroticamente” alla scoperta di altri talen-ti, veri o presunti. Mi sembra un’accusa priva di sen-so. Se l’avanguardia si realizza in un eterno presente,nel sogno o illusione di un perpetuo ringiovanimento,nella promessa ossessivamente reiterata del Nuovo,Bartolucci critico è stato la più straordinaria incarna-zione dello spirito, del carattere stesso dell’avanguar-dia, in senso forte, ontologico-etologico. All’altezzadella metà anni ’70 e per tutti gli ’80 l’essere avan-guardia di Bartolucci prese una dinamica raffinata-mente vorticosa. Ad ogni stagione, lanciava nuoveparole d’ordine, nuovi slogans critici; ad ogni stagioneestraeva, come conigli, dal suo cappello di prestigia-tore della critica nuove formazioni, nuovi ensembleteatrali. Io pure, confesso, facevo fatica a seguirlo.

L’illuminista 218

Franco Cordelli e Marco Palladini

Page 33: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

Beppe si muoveva sempre più freneticamente comese, inconsciamente, sentisse che il suo tempo stavaper scadere. Nell’orgia dell’attualità, accadeva che luicorresse più veloce dell’atto, di ciò che era “in atto” eche quindi gli venisse letteralmente a mancare la“materia prima”. Senza indugi si inventava allora ten-zoni fra critici, crossover interdisciplinari, annetteva alsuo poiein operativo nuovi territori come quello delteatrodanza, sempre moltiplicando rassegne, incontri& scontri.

Ciò che più di tutto mi pareva entusiasmante era ilsuo entusiasmo, la sua apertura a 360 gradi verso ognigiovane artista o aspirante tale, purché nel segno del-la sperimentazione e del rifiuto della convenzione. Bar-tolucci nel flusso delle sue ininterrotte epifanie miappariva il prototipo unico e inimitabile dell’intellettualeorganico del teatro di ricerca, sempre presente condisciplina di autentico soldato sul campo di battaglia. Ementre tanti lucravano, qualcuno anche arricchendosio scalando posti di potere, lui andava avanti per purafede, realmente disinteressato, faticando persino allafine a mettere assieme una pensione.

Sul finire degli anni ’80, poco prima della sua uscitadi scena, Beppe realizzò un’ulteriore svolta da nessu-no, ch’io sappia, sufficientemente notata o sottolinea-ta. La movimentazione neo e post avanguardistica eraagli sgoccioli, il quasi stagionale ricambio di gruppi ecompagnie era pressocché bloccato, la sponda dellacritica complice pareva rifluire altrove, l’interesse deimedia e delle istituzioni decresceva a vista d’occhio: intale congiuntura, ove i segnali di esaurimento di un’e-poca teatrale erano più che palesi, Bartolucci fece l’ul-tima, estrema, tanto spregiudicata quanto coerente,mossa del cavallo. Mise se stesso al centro della sce-na. Se l’avanguardia scenica, la sua energia alternati-va s’erano dissolte, resisteva e persisteva imperterrital’avanguardia come coscienza critica, testimoniata eincarnata da Giuseppe Bartolucci. Se fino allora nellesue innumeri iniziative egli era stato il mago buratti-

Sette domande sul teatro d’avanguardia

219 L’illuminista

Page 34: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

naio, ora diventava il burattino principe. Negli eventiche inesausto progettava, ormai i gruppi e gli spetta-coli, sempre più irrilevanti, diventavano il mero contor-no della sua presenza come assoluto protagonista,della sua parousía come santone e profeta, comememoria attante e vivente della intramontabile neces-sità dell’avanguardia. Insomma, il Bartolucci postremosi offrì come corpo sacrificale sull’altare dell’assenzadell’avanguardia proprio per ribadirne la sua immanen-za, il suo permanente valore. La parabola di questochiaro rito sacrificale si compì con la malattia che lomise fuori scena, coincidendo temporalmente con unadata, il 1989, di macroscopiche risonanze simbolico-politiche. Si chiudeva anche traumaticamente un’era eal posto dell’ingombrante, scomoda sagoma di Barto-lucci subentrava un autentico “vuoto teatrale” (titolo diun suo libro del ’71).

Il gesto simbolico-sacrificale finale di Beppe, erastato peraltro preparato nel corso degli anni ’80 dal suoprogressivo abbandono della scrittura. La scrittura che,pure, come luogo di riflessione teorico-critica e di ema-nazione polemica aveva avuto per lui un’importanzaprimaria. Si era intrecciata con la sua discesa in cam-po come scopritore di talenti e stimolatore-organizza-tore di eventi, generando una sterminata serie di con-cetti e definizioni e etichette che contrassegnarono levarie stagioni dell’avanguardia italica: dalla scritturascenica al teatro-immagine, dal teatro delle cantinealla performance art, dal teatro analitico-esistenzialealla post-avanguardia, dalla nuova spettacolarità aipaesaggi metropolitani, dagli scenari urbani-tecnologi-ci alla ripresa del mito, dalla nuova sensibilità al ritornoall’opera e alle “opere prime”, etc. L’ingegno modellisti-co e perennemente sovreccitato di Bartolucci era ali-mentato dalla continua ansia di “nuove energie e nuo-ve esperienze” che avevano bisogno, affermava, “dicritici illuminati e non sapienti, di critici in stato di gra-zia e non in stato di ragione”. Il critico illuminato e instato di grazia era naturalmente lui, e questo indiretto

L’illuminista 220

Franco Cordelli e Marco Palladini

Page 35: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

autoritratto ci fa capire la sua idea eccentrica, partico-larissima di un “essere critico” veggente, sensitivo,percettivamente mesmerico, capace di cogliere perpura intuizione i segnali del (divenire) nuovo e di asse-condarli, da un lato transcodificandoli al pubblico e dal-l’altro chiarendoli a loro stessi. Tale torsione verso il cri-tico illuminato, e dunque santo, guru, stalker invasato,aveva sempre meno bisogno della scrittura come atti-vità di analisi, selezione e elaborazione, e sempre piùdi una “scrittura del corpo”, di una auto-disseminazio-ne per apparizione e per esaltazione, per combatti-mento e per competizione. Il farsi corpo-guida quasi insostituzione dell’avanguardia esausta retrocesse lascrittura a pratica secondaria relativa a schede di pre-sentazione di spettacoli, introduzioni a convegni, mes-sa a punto di progetti, etc. Questa fisica, concreta ecarismatica personificazione dell’avanguardia, la suasovraesposizione pubblica alla fine, in verità, distrus-sero il critico».

Ecco la “autodistruzione” e poi la scomparsa di Bar-tolucci coincide per me con l’eclissi terminale del criti-co-demiurgo, una tipica figura del Moderno. È la stes-sa impossibilità dell’avanguardia a sancire oggi l’im-possibilità del critico-demiurgo. Non a caso, la fine diBartolucci ha segnato anche la completa dispersione diuna cospicua “famiglia critica”, di cui pure Cordelli e ilsottoscritto facevamo bene o male parte, al di là di altredolorose morti come quella nel ’96 di Maurizio Grande.Chi negli anni ’90 (penso al più giovane Paolo Ruffini)ha provato a ergersi come portavoce critico dei nuovigruppi sperimentali, con tutta la buona volontà non hapotuto essere che un modesto surrogato. Non c’è nien-te da fare, se “la critica è il critico”, la morte di Beppe èstato anche un addio al critico-avanguardia intellettua-le come cruciale topos del Novecento.

CIGLIANA – È plausibile, secondo te, l’idea chevero teatro sperimentale sia ancora fatto, almenoad un certo livello, da due soli gruppi, la Socìetas

Sette domande sul teatro d’avanguardia

221 L’illuminista

Page 36: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

Raffaello Sanzio e la Valdoca?

PALLADINI – Se ci riferiamo ai gruppi nati negli anni’80 la risposta non può che essere affermativa, anchese non vorrei dimenticare il teatrino ipermanierista,teratomorfico, straniato e stridente dei Marcido Marci-dorjs, se non altro per le geniali, kitschissime invenzio-ni visive, scenico-costumistiche di Daniela Dal Cin.Comunque, è vero che Raffaello Sanzio e Valdocasono le uniche formazioni che continuano a fare dellascrittura scenica il centro genetico, irradiante delle lorocreazioni. Certo, è una buffa coincidenza il fatto chesiano entrambe di Cesena, però è anche una spia diuna provincia romagnola imbevuta al contempo di per-duranti, tenaci valori tradizionali, contadini e di uno spi-rito eterodosso, ansioso di esplorare nuovi territori,non timoroso di esibire la sua diversità e originalitàanche estreme, e ricco di un inconscio perturbato eperturbante.

Le loro traiettorie non sono, comunque, apparenta-bili. I Raffaello Sanzio sono, oggi, un gruppo più inter-nazionale che italiano. Nel senso che le loro coprodu-zioni sono quasi tutte estere, e fanno molti più spetta-coli in giro per il mondo che in Italia. Il fatto che si sia-no imposti nell’ultimo decennio come uno dei gruppileader della ricerca a livello internazionale, che sianoconsacrati e acclamati tanto in Europa che in Giappo-ne o in America e vengano in sostanza ignorati dalsistema teatrale nostrano, la dice lunga sul livello diatrofia e di marciume di queste istituzioni. Avendoliconosciuti fin dai loro esordi, debbo dire che la loro cre-scita artistica è stata impressionante. Sinceramente,debbo dire che pur avendoli amati e sostenuti da subi-to, mai avrei pensato che avrebbero raggiunto un gior-no altezze teatrali del tutto degne di stare accanto allecreazioni di Bob Wilson, Pina Bausch, Kantor o PeterBrook, per dire i “pesi massimi” del nuovo teatrale.Quando li ho conosciuti, ai tempi di Persia-Mondo 1 a1 (’81), Popolo zuppo (’82), I fuoriclasse della bontà

L’illuminista 222

Franco Cordelli e Marco Palladini

Page 37: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

(’83) e delle loro Oratorie intransigenti e “khomeiniste”,erano un bifamiliare quartetto di ventenni, allievi all’Ac-cademia delle Belle Arti, traboccanti di idee bizzarre edeccitanti, ma anche molto naif, che non parevano gran-ché consapevoli di quanto stavano facendo. I lorospettacoli erano una sorta di scatenate performanceneo-dadaiste e iconoclaste, gremite di gesti, azioni,oggetti, marchingegni, visualizzazioni, movimentazioniepifenomeniche, fumettistiche, infantili procedenti permero accumulo paratattico. Accanto alla componenteludica e neuro-dinamica, trapelava però già alloraun’inclinazione per l’Oriente, come luogo-matrix delsacro, e la spinta a tradurre la loro spontanea anti-tea-tralità in un linguaggio scenico auto-fondante, assolu-tamente “avulso” (aggettivo basilare nelle loro teoriz-zazioni), sino al punto da mettersi a studiare e ideareex-novo una “lingua generalissima”. Il loro gioco tea-trale da sovversivo-effimero si fa progressivamenteliturgico e “bizantino” (nel senso di una orizzontalitàdella visione contro la profondità prospettica) comeattesta il loro spettacolo-clou degli anni ’80 SantaSofia-Teatro khmer (’86). Esaurita la fase iconoclasta,il gruppo svolta decisamente verso il mito, come luogodi sconvulsione e di purificazione del tragico. E qui c’èla fulminante intuizione che essendo l’origine del tragi-co implicata col sacrificio degli animali, la rielaborazio-ne dei miti tragici comporta il recupero dell’essenzaanimale dell’uomo. Da ciò, ovvero dall’idea che solonell’animalità pre-cosciente si incontri la pienezza delsacro, deriva la prassi di invadere la scena con peco-re, buoi, asini, pitoni, cani alani fino ad una intera fami-gliola di ferocissimi babbuini (ovviamente in gabbia):penso a spettacoli come I miserabili (’87), Alla bellez-za tanto antica (’88), La discesa di Inanna (’89) e Gil-gamesh (’90).

L’ulteriore, definitivo salto di qualità lo si ha al prin-cipio degli anni ’90 con la potente maturazione diRomeo Castellucci come leader e regista, pur all’in-terno di una poetica di gruppo solidalmente condivi-

Sette domande sul teatro d’avanguardia

223 L’illuminista

Page 38: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

sa. Il secondo decennio della compagnia vede la rea-lizzazione di almeno tre spettacoli-capolavoro. Amle-to. La veemente esteriorità della morte di un mollusco(’92) è un lavoro sull’autismo dell’attore. L’amletismoshakespeariano collassa in un personaggio-bambinomonade solitaria, chiuso nel suo incubo, snervato,devitalizzato, svuotato di energie e di impulsi che nonsiano quelli delle elementari funzioni corporali. Un“essere e non essere” (più che essere o non essere)molluscoide, vegetante, atonico, che mugola, striscia,ansima, orina, defeca in una scena alla JosephBeuys, disseminata e illuminata spettralmente e cru-damente con decine e decine di batterie elettriche.Spettacolo programmaticamente sgradevole, “catti-vo”, aggressivo tra ondate di noise-sound e continui,proditori, rimbombanti colpi di pistola che mettono infuga non pochi spettatori. La forza ameboide e logo-rante del lavoro sta in una ricerca di regressione alpre-umano per rovesciare (forse) l’autismo in unapalingenesi.

Dopo il viaggio tenebroso-patologico del Masoch, itrionfi del teatro come potenza passiva, colpa e scon-fitta (’93) e la composizione per sagome putrefatte efantasmatiche, e macchinazioni da teatro della cru-deltà di Orestea [una commedia organica?] (’95), lasuccessiva esplosione si ha con il Giulio Cesare (’97).Qui Castellucci passa direttamente al terrorismo del-l’immagine (e dell’immaginario). Popola la scena diagghiaccianti anoressiche e di desnudi obesi, di corpimutilati, di laringectomizzati. Figure che inghiottonoaria compressa per distorcere innaturalmente la voce,altri che si infilano sonde endoscopiche in gola eproiettano su uno schermo la propria trachea. La poli-tica-guerra di atti-parole si traduce in un panoramaallucinogeno e allucinante. Castellucci scaglia il terro-rismo dell’immagine e dell’immaginario contro il lin-guaggio. Così, il tema della retorica come arte (artifi-cio) della persuasione viene sventrato e desublimatoin pose statuarie dentro il trionfo della mostrificazione.

L’illuminista 224

Franco Cordelli e Marco Palladini

Page 39: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

Ecco, posto che i Raffaello Sanzio nella loro fede anti-teatrale non hanno mai usato attori, nel senso con-venzionale del termine, in quest’ultima fase hannodecisamente tramutato i loro attanti/non attori in corpimostrificati, una cruenta estetica del freak, che perloro non è compiaciuto esibizionismo dell’horror, ben-sì contemplazione di “forme di bellezza dimenticate”.Questo afflato panico e creaturale attraversa anchequell’autentico spettacolo-evento che è Genesi - fromthe museum of sleep (’99) dove in tre movimenti, trapotenti composizioni scenografiche e survoltate mac-chinerie elettrotecniche, si vuole rileggere il raccontodella creazione divina sotto il segno della teologia ere-tica. Quella che legge nella diegesi biblica la rivelazio-ne che il male non è fuori di Dio, ma scaturisce diret-tamente da lui e che, dunque, Lucifero è il punto diverità dell’essere divino. Commovente e micidiale è ilsecondo atto intitolato “Auschwitz” dove freaks, defor-mi, contorsionisti e mutilati scompaiono e i sei bambi-ni figli del regista si muovono in un asettico, candido,ludico kindergarten. L’orrore dei campi di sterminio sidà “in absentia”, in un silenzio bianco di morte, e “Ali-ce nel paese delle meraviglie” si incrocia con le verti-gini oniriche del “2001” di Kubrick. Poi mentre delledocce di sangue innaffiano i piccini richiamando lemacabre docce in cui i nazisti gasavano gli ebrei, lastridula voce di Artaud evoca la poetica visione del“corpo senza organi” e profetizza la manipolazionegenetica, quindi l’oversound simula un effetto terre-moto da finimmondo. Nel terzo atto ritorna la popola-zione dei mostri ed Eva incorona Caino, il nostro pro-genitore, perché sia chiaro a tutti che noi siamo i figlidella sua stirpe omicida. Il disegno di questa mirabilecontro-teologia luciferina termina con una grandepupilla-buco nero, che può significare tanto la nostrainvalicabile cecità quanto, forse, il possibile sguardo dicompassione su noi stessi di fronte all’impossibileconciliazione con la vita.

Il percorso della Valdoca ha un’ampiezza e un por-

Sette domande sul teatro d’avanguardia

225 L’illuminista

Page 40: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

tata teatral-culturale assai inferiore. Debbo dire chenegli anni ’80 il loro misticismo rarefatto e contemplati-vo, tra statico ed estatico, confinante col poetismo neo-orfico, per quanto impeccabilmente congegnato edeseguito, mi coinvolgeva molto poco. Poi negli anni ’90il regista Cesare Ronconi ha impresso una svolta inte-ressante verso una sorta di teatrodanza anomalo, ete-rodosso. Nell’arco di almeno tre assai felici spettacoli— Fuoco centrale (’95), Nei leoni e nei lupi (’97), Par-sifal (’99) — c’è stata un’esplosione di musiche strug-genti, di una collettività di corpi scomposti, irruenti,feroci e gioiosi, di trame di energia vitale traboccantivisceralità, sensualità, insomma una fremente anima-lità. In tale ambito, anche molto ginnastico e acrobati-co, i testi poetici, sia in italiano che in romagnolo, inten-samente stupefatti, doloranti, enigmatici e “innamorati”di Mariangela Gualtieri sono sembrati un controcanto,quasi un controluce sapienziale e metafisico all’orgiagrottesca di una fisicità neobarbarica. In definitiva, ilteatro ultimo della Valdoca polarizza il rapporto corpo-anima e celebra la sua antidialettica scissione comedestinale festa della vita.

CIGLIANA – Pippo Delbono e Danio Manfredini.Rappresentano un fenomeno nuovo, all’interno diquello che si potrebbe definire teatro-verità?

PALLADINI – Non so se è la definizione più giusta,ma so che entrambi forzano la fiction teatrale sino alpunto da confondere arte e vita. E ad un simile appro-do pervengono grazie a motivazioni personali, adurgenze biografiche fortissime. So che è un discorsoche molti respingono o che altri reputano “politica-mente scorretto”, ma lo faccio lo stesso. Il punto dipartenza è la loro omosessualità. Piaccia o no l’esse-re omosessuali induce una condizione psicologica esociale di diversità che può avere una gamma di ela-borazioni culturali assai ampia, dal celare o rimuovereil problema sino al farne il centro ossessivo del proprio

L’illuminista 226

Franco Cordelli e Marco Palladini

Page 41: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

pensare ed agire. Da quello scarto è comunqueimpossibile prescindere.

Pippo Delbono, che ha fatto training con Pina Bau-sch e con Iben Nagel Rasmussen dell’Odin Teatret,fino ai primi anni ’90 faceva col suo compagno PepeRobledo un teatro un po’ minimale, un po’ antropolo-gico, un po’ ironico, anche apprezzabile ma nulla dipiù. È stato l’incontro con la malattia, cioè l’aver con-tratto l’Aids, e lo stato di smarrimento e di disperazio-ne che ne è derivato che lo ha sospinto ad incontraree conoscere altri infelici, disperati ed emarginati. Daqui sono nati due spettacoli-chiave: Barboni (’97) eGuerra (’98). La voglia di ritrovare una necessità alproprio fare teatro è coincisa con il portare in scenauna tribù di clochards, mutilati gravi, giovinetti down,neurolabili “schizzati” e tatuati dappertutto, ragazzesemi-obese e trans, fino al caso, divenuto emblema-tico, del microcefalo e sordomuto Bobò, un sessan-tenne lungodegente al manicomio di Aversa, che Del-bono ha in pratica adottato. In Barboni Delbono, cheè comunque uno smaliziato uomo di scena, montavauno spettacolo per segmenti di narrazione-confessio-ne, per momenti mimici, coreutici, musicali da cuiscaturiva una sorta di poesia-verità che sfuggiva alpatetismo grazie ad una sorvegliata, affettuosa ironia.Dietro cui, però, Delbono si mimetizzava un po’ trop-po. Più convincente mi è, dunque, sembrato Guerradove il regista-attore genovese si getta direttamenteed aspramente nella mischia dei suoi barboni. Ed èun gesto liberatorio tra lo spogliarello morale e l’in-vettiva contro il mondo. Qui Delbono non si perita diapparire anche molto sgradevole ed antipatico, ma èquesto buttare la maschera e mostrare senza veli lapropria miseria che imprime un segno di soffertaautenticità al suo lavoro.

Danio Manfredini, pure lui formatosi con l’Odin diBarba, è basicamente una figura di irregolare, un soli-tario che entra ed esce dal teatro facendo tante altrecose. Fin dal Miracolo della rosa (’88), liberamente

Sette domande sul teatro d’avanguardia

227 L’illuminista

Page 42: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

ispirato al testo di Genet, era chiaro che la sua poeticaera votata al tema dell’omosessualità. Ma è stato solodieci anni dopo quando, con Al presente, ha rovescia-to in scena la sua autobiografia che ha conseguito unrisultato importante, toccante. Mescolando omoses-sualità, follia, l’emarginazione dei vecchi, i conflittifamiliari, gli strazi della solitudine egli giunge ad unaccumulo di pathos e a vertici di masochismo persinoimbarazzanti, rischiando il rigetto. Ma è la sapienteessenzialità della sua maschera attorale, la sua esibi-ta scissione psichica con un manichino-doppio chedanno senso e verità al suo gioco di “commediante,santo e martire”. Il teatrante milanese appartiene, delresto, alla razza dei Jean Genet e Sandro Penna: arti-sti omosessuali interessati unicamente a se stessi, allapropria condizione. La battuta finale dello spettacolo èinequivocabile: “Questo è il mio mondo, e solo di que-sto so parlare”.

Delbono e Manfredini sono, tuttavia, casi-limite,figure troppo particolari e singolari perché il loro teatro-verità possa essere additato a modello, a paradigmapossibile e riproducibile. Però, senz’altro, il loro esem-pio può indicare e stimolare la ricerca di un teatronecessario innanzitutto per se stessi e non legato amode, opportunità (ed opportunismi), occasioni ester-ne o di mera routine produttiva.

CIGLIANA – Motus, Fanny & Alexander, TeatrinoClandestino, Accademia degli Artefatti, GruppoMasque, Teatro del Lemming: queste formazioninascono, almeno in una certa misura, protettedalle istituzioni. Questo che cosa implica, secon-do te?

PALLADINI – È una situazione inedita, a parte unabreve eccezione nei primi anni ’70, profilatasi a parti-re dalla metà dello scorso decennio e coincidente conl’avvento del governo del centrosinistra. Ne hannobeneficiato i gruppi di ricerca della generazione anni

L’illuminista 228

Franco Cordelli e Marco Palladini

Page 43: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

’90 in gran parte provenienti dall’Emilia-Romagna,regione-laboratorio da questo punto di vista (bastipensare al trentennale Festival di Santarcangelo) perla politica che sceglie di investire sullo sperimentaleinvece che sul tradizionale. Attaccare questa lineapolitica mi parrebbe insensato. Certo, l’assunzione dialcuni giovani gruppi in un ambito di ufficialità è sem-brata in più occasioni voler precostituire un regime diconsenso, un establishment neoconformista. Tantopiù ingiustificabile in quanto questi gruppi di post-postavanguardia non hanno granché di interessanteda offrire e, soprattutto, è risibile che rappresentino ilvero “nuovo” teatrale. Nonostante abbiano i loro bravilaudatores (penso al libro di Stefania Chinzari e Pao-lo Ruffini Nuova Scena Italiana, Castelvecchi 2000) ame sembra che propongano un teatro di scrittura sce-nica ampiamente basato sulla rimasticatura di espe-rienze passate, sulla rimanipolazione anche neoma-nierista, da tardo postmodernismo di segni e codicipluridisciplinari e tecnovisivi già ampiamente visti ecentrifugati nelle precedenti stagioni avanguardiste.Dalla ripresa della body-art come amplificazione delcorpo-mito in corpo feticcio alla pratica dell’installazio-ne necrofila (vedi l’Accademia degli Artefatti), mi pareche, situandosi in un’epoca di simulazione (e simula-crazione) e virtualizzazione totale, l’ossessione princi-pe di questi gruppi verta sulla vera natura della realtàe, dunque, sul che cosa significhi essere reali e, in ulti-ma analisi, essere umani. Esaurita l’utopia comeapprodo del sogno individuale che si fa collettivo, latrascendenza è avvertita come prassi autodistruttiva,dunque la plastificazione della realtà è senza via d’u-scita, l’arte non può più evocare un “fuori”, siamo tuttidentro la mercificazione globale, l’arte è mero lavorosulla morte del senso come altrove, come altro da ciò-che-è. Esemplare, al riguardo, la parabola del gruppopiù in voga e leader incoronato di questa generazione:i Motus che, da veraci riminesi, hanno preso la disco-teca a modello estetico del loro teatro. Discoteca come

Sette domande sul teatro d’avanguardia

229 L’illuminista

Page 44: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

luogo di identificazione euforica coi patterns di esterio-rizzazione e artificializzazione del mondo, come luogodi transito verso un’edonistica leggerezza del disesse-re già post-human. Nei loro allestimenti — penso aO.F. ovvero Orlando Furioso (’98), a Orpheus Glance ea Visio gloriosa (2000) — tutto è superficie, glamour,stile patinato, l’inautentico come condizione di presen-za scenica. Nel frullatore spettacolare, anche piacevo-le, spudoratamente neo-pop e filo-pulp, entrano instal-lazioni visive, la tv, la moda, il fumetto, il kitsch pubbli-citario, la rock music, il karaoke, il simil-porno equant’altro per un effetto di teatro-spazzatura coatto-chic astutamente confezionato, ma che coincide con lasua pura apparenza: levigata, scontata, per nulla per-turbante. I Motus agiscono ed esprimono la merce chec’è in noi, nella nostra vita, oltre ogni intento di demi-stificazione critica. Il loro teatro pare oggi celebraresoltanto il trionfo dell’ovvio e dell’ottuso perfettamentericongiunti, ricompresi in sé. Dunque, un teatro perico-losamente conformistico, completamente arreso al“dentro” del reale. Forse, perciò è un teatro che le isti-tuzioni si sono affrettate a premiare.

CIGLIANA – Si può fare un nome, o indicare unatendenza anomala, poco registrata, o poco accla-mata?

PALLADINI – Potrei dire il Teatro del Lemming di Rovi-go che con la svolta dell’Edipo. Tragedia dei sensi peruno spettatore (’97), seguito da Dioniso. Tragedia delteatro (’98) e Amore e Psiche (’99) ha creato un tritticodi spettacoli basati sull’integrale coinvolgimento sine-stetico e interattivo dello spettatore. Certo, già il Livingnegli anni ’60 abbatteva la quarta parete e invitava(penso a Paradise now) gli spettatori a entrare in sce-na. Ma era un gesto politico di condivisione di uno spa-zio di riconoscimento utopico e rivoluzionario. Qui c’èun rito, comunque, attentamente programmato e cali-brato dove lo spettatore viene risucchiato sino a fun-

L’illuminista 230

Franco Cordelli e Marco Palladini

Page 45: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

gere da attore involontario e privato della visione. Lospettatore-attante reso cieco (l’ho personalmente spe-rimentato sia nell’Edipo che nel Dioniso) fa una sorta diviaggio nella sensorialità percettiva ed emotiva, unaesperienza di contatto corporeo anche pesantementesgradevole che diventa una sorta di test psicofisicosulla reattività delle persone (molti rimangono bloccati,certi si abbandonano, altri abbandonano, alcuneragazze pesantemente palpate hanno, talora, dura-mente protestato). Il regista Massimo Munaro, in defi-nitiva l’unico spettatore privilegiato di questi anomaliriti, mi ha detto in una conversazione: “Ti assicuro chelo spettacolo non è mai noioso, cambia ogni volta, ealcune volte è veramente magnifico”. Se lo dice lui, c’èda credergli. L’esperimento è singolare e ha un suotasso di reale novità, ma è anche criticamente inverifi-cabile, e non so al momento quali sviluppi possa infuturo avere.

Vorrei piuttosto fare un ragionamento sul fenomenodei cosiddetti “Teatri Invisibili”. Una realtà, anche abba-stanza vellicata dalle istituzioni sia a livello locale chea livello nazionale dall’Eti, rappresentata da un’asso-ciazione che riunisce, mi è stato riferito, oltre trecentocompagnie. È un numero enorme che testimonia dellaperdurante, massiccia spinta a fare teatro che c’è nelnostro paese. A dispetto di tutti i luoghi comuni sul tele-visionismo egemone, sul dominio del virtuale, dell’im-materiale etc. , la voglia di creare spettacolo dal vivo èfortissima e insopprimibile. Naturalmente dentro i “Tea-tri Invisibili” si trova di tutto: gruppi amatoriali retrò, esi-bizionismo scenico di provincia, scimmiottamenti para-accademici, tanta sperimentazione “selvaggia” sino adensemble semiprofessionali. Ma ciò che è rilevante èquesto bisogno di teatro contro tutte le false profezie dieclissi e morte dell’arte scenica. Il fenomeno dei “Tea-tri Invisibili” fa capire, secondo me, una cosa essen-ziale: che se il teatro è un luogo filosofico per eccel-lenza, proprio in quest’epoca senza filosofia esso affer-ma la sua capitale necessità. L’arte performativa più

Sette domande sul teatro d’avanguardia

231 L’illuminista

Page 46: Sette domande sul teatro d’avanguardia a Franco Cordelli ... · nella sua fase aurorale. E qui parliamo di seconda avanguardia teatrale italiana o di neo avanguardia per-ché ce

antica si conferma la più nuova, la più attuale, la piùidonea a cercare di rispondere alle eterne domandeche travagliano gli esseri umani. Il teatro è ancora unluogo di rispecchiamento, dove il visibile può metterciin contatto con l’invisibile. Dove, guardandoci, atten-diamo, secondo sostiene Peter Brook, quell’eventoinatteso che apra la porta a un mutamento di visione,alla nostra trasformazione.

L’illuminista 232

Franco Cordelli e Marco Palladini