32
settemiglia da Gerusalemme ad Emmaus ...e ritorno Diocesi di Nola – Parrocchia San Francesco di Paola – Scafati – Sa anno V - n°5 #essereumani

Settemiglia - anno V, n°5

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Giornale della Parrocchia San Francesco di Paola - Scafati (Sa) Supplemento a IN DIALOGO Mensile della Chiesa di Nola

Citation preview

Page 1: Settemiglia - anno V, n°5

settemigliada Gerusalemme ad Emmaus ...e ritorno

Diocesi di Nola – Parrocchia San Francesco di Paola – Scafati – Sa

anno V - n°5

#essereumani

Page 2: Settemiglia - anno V, n°5

Supplemento a

IN DIALOGO

Mensile della

Chiesa di Nola

Aut.ne Trib. di Napoli

n. 3393 del 7/03/1985

Direttore Responsabile

MArCo IASevolI

Coordinatore Redazione

doN GIuSeppe de luCA

Redazione

vINCeNzo FIoreNzA

pASquAle velleCA

pASquAle vIolANTe

eNzo vITIello

eleNA FIoreNzA

roSA MATArAzzo

FrANCo CIprIANo

FrANCeSCo quAGlIozzI

vINCeNzo doNNAruMMA

Vignette

rosaria Scotto

E-Mail ed Info

[email protected]

per leggere e scaricare le

pubblicazioni precedenti:

www.parrocchia.info

www.settemiglia.it

Stampa

con il contributo di

Coppola Spa

Luisa IaccarinoPasquale ViolanteOsvaldo IervolinoPasquale VellecaVincenzo FiorenzaCiro CoticelliPasquale CoppolaFranco CiprianoFrancesco QuagliozziElena Fiorenzasuor Patrizia PanizziniMariapia Langone

pag. 4 - 5pag. 6 - 7pag. 8 - 10pag. 12 - 13pag. 15 - 15pag. 16 - 17pag. 18 - 19pag. 20 - 23pag. 24 - 25pag. 26 - 27pag. 28 - 30pag. 31

RIFLESSIONIFEDEDIOCESIVOLTIRIFLESSIONIRIFLESSIONITRAME AFRICANEARTESPORTCULTURAVOLTIINREDAZIONE

#essereumani

* in copertina Le Penseur (il pensatore) di AUGUSTE RODIN, particolare de La Porta dell'Inferno

settemiglia

Page 3: Settemiglia - anno V, n°5

Essere Umani di Marco Mengoni

Oggi la gente ti giudica,per quale immagine hai.Vede soltanto le maschere,non sa nemmeno chi sei.Devi mostrarti invincibile,collezionare trofei.Ma quando piangi in silenzio,scopri davvero chi sei.Credo negli esseri umani.Credo negli esseri umaniche hanno coraggio,coraggio di essere umani.

Prendi la mano e rialzati,tu puoi fidarti di me.Io sono uno qualunque,uno dei tanti, uguale a te.Ma che splendore che sei,nella tua fragilità.E ti ricordo che non siamo solia combattere questa realtà.L'amore, amore, amoreha vinto, vince, vincerà.Credo negli esseri umaniche hanno coraggio,coraggio di essere umani....Essere umani.

Page 4: Settemiglia - anno V, n°5

Tra il dire e il fare…ci siamo di mezzo noi!È giunto il tempo di preparare i bagagli, procurarci la bussola e partire!

4

settemiglia

Discorsi vuoti. Discorsi sem-pre più abbelliti, semprepiù retorici, sempre più ar-

tefatti, una sinfonia di parole perfet-tamente connesse tra loro macomunque vuote. A questo ci stiamo abituando, cipiace fermarci a parlare per le strade,con gli amici, nelle case, nelle chiesema quel che resta sono solo chiac-chiere di circostanza. Siamo sempre pronti con le nostreargomentazioni di ferro e poi? Poi ci diciamo “senza parole” quandoa presentarsi davanti a noi è la realtà,

cruda e violenta, la realtà vera nonquella letta su facebook o vista pertelevisione. Quando accade qualcosaproprio davanti ai nostri occhi, cosafacciamo noi?Quando si vivono le grandi crisi leparole devono lasciare spazio ai fatti.La crisi non è più una questione eco-nomica o meglio non lo è mai stata,procedendo oltre la coltre di numeri,tassi e percentuali troviamo infattiun’umanità ferita, disperata, diffidente.Troppo spesso ci sfugge che siamoessere umani prima di essere lavora-tori e consumatori.

di Luisa iaccarino

Page 5: Settemiglia - anno V, n°5

5

Troppo spesso fuggiamo dalle sceltee dalle responsabilità, troppo spessofuggiamo dalle relazioni con gli altri.

Ci stiamo dimenticando chi siamo,stiamo perdendo la rotta. Come pensare alla nostra umanità?Come rimettere al centro dei nostriinteressi e delle nostre azioni la per-sona col suo bagaglio di sogni, gioie,fragilità e frustrazioni? Abbiamo ca-pito davvero il senso dell’essere “co-munità”?

La traccia del Convegno Ecclesiale2015, che si terrà a Firenze dal 9 al13 novembre, ci offre immediata-mente una direzione: “In Gesù Cri-sto, il nuovo umanesimo”, non è iltitolo di un trattato di filosofia, mail tentativo che la Chiesa compie diripensare concretamente l’uomo apartire dal Maestro di umanità, GesùCristo, è l’invito che la Chiesa ri-volge a se stessa di partire per cercarel’umanità che purtroppo abbiamoperduto.

Gesù ha vissuto da vero uomo, vi-vendo sulla propria pelle gioie e do-lori, ha svelato il senso dell’uomo, hafatto luce sulla nostra grandezza e lanostra miseria, ci ha aperto la stradadella felicità, parlandoci del nostrodestino. Nella traccia del Convegnoleggiamo: “Le operazioni della vitaquotidiana di Gesù sono richiamateda papa Francesco nella Evangeliigaudium: una Chiesa in uscita, cheabita il quotidiano delle persone e,grazie allo stile povero e solidale, rin-

nova la storia di ciascuno, ridà spe-ranza e riapre le nostre vite morte allagioia della resurrezione. Una Chiesa gioiosa, perché semprepiena di meraviglia nello scoprire chela vita quotidiana è visitata dalla mi-sericordia di Dio.”Sono queste le coordinate del pros-simo convegno, cinque verbi diazione: uscire, annunciare, abitare,educare, trasfigurare. Vedremo comepoterli declinare nella nostra vita.

Intanto noi, qualche passo in questadirezione lo stiamo compiendo, cistiamo interrogando con maggioreserietà da quando il Sinodo dioce-sano ha impegnato ognuno di noi eha messo in discussione il nostrooperato.

In parrocchia, infatti, ciascuno èstato “provocato”, è stato chiamatocioè, ad “essere per” gli altri in ma-niera coerente e credibile, attraversol’ascolto della Parola, la preghiera,attraverso sinceri e concreti atti di ca-rità; siamo stati invitati a vivere lanostra fede in maniera più profonda,più vera e sotto ogni suo aspetto.Si tratta di piccoli “miracoli silen-ziosi”, atti d’amore che ci fanno pen-sare che ancora niente è perduto, sitratta di mani tese, di orecchi attenti,di sguardi e sorrisi di gioia e nondobbiamo smettere di viverli, di rac-contarceli, di testimoniarli. Solo così abbiamo un’opportunitàper seminare la speranza e attenderecon pazienza di raccoglierne i frutti.

ssettemiglia

Page 6: Settemiglia - anno V, n°5

6

settemiglia

Domenica 4 ottobre papaFrancesco ha presieduto laSanta Messa per l’apertura

della XIV Assemblea Ordinaria delSinodo dei Vescovi, su “La voca-zione e missione della famiglianella Chiesa e nel mondo contem-poraneo”. Il Sinodo durerà tre set-timane e terminerà il 25 ottobre.Esso fa seguito al Sinodo straordi-nario celebrato un anno fa su “Lesfide pastorali sulla famiglia nelcontesto dell’evangelizzazione”.L’Instrumentum Laboris, che costi-tuisce il documento di base sulquale i padri sinodali si confronte-ranno nel Sinodo si articola in treparti: l’ascolto delle sfide sulla fami-glia, il discernimento della voca-zione familiare e la missione dellafamiglia oggi.

Ma perché questo Sinodo è diven-tato un evento di grande rilevanzamediatica, a cui tutto il mondoguarda? E da esso cosa dobbiamoaspettarci concretamente?

Questo Sinodo è davvero unevento storico per la Chiesa, graziea papa Francesco che non ha volutoriguardasse solo i vescovi, ma ha vo-luto coinvolgere tutto il Popolo diDio in un cammino di riflessionesu diverse problematiche relative

alla famiglia, che hanno lacerato lecoscienze sia dei fedeli che dei pa-stori. Mi riferisco all’esclusione deidivorziati risposati dall’Eucarestia,ai metodi di regolazione della na-talità, alla cura pastorale di omo-sessuali, di chi è sposato civilmenteo convive, delle famiglie ferite(separati, divorziati non risposati,divorziati risposati, famiglie mono-parentali).

Purtroppo molti organi di informa-zione hanno voluto presentare que-sto Sinodo come uno scontro tra“conservatori” e “progressisti”.Ma quest’interpretazione nonrende ragione del momento di gra-zia che sta vivendo la Chiesa, perchécome ha affermato papa Francesconel discorso per la conclusione delSinodo dell’anno scorso, devono es-sere respinte due tentazioni: la ten-tazione dell’irrigidimento ostile,cioè il voler chiudersi dentro loscritto (la lettera) e non lasciarsisorprendere da Dio, dal Dio dellesorprese (lo spirito); dentro la legge,dentro la certezza di ciò che cono-sciamo e non di ciò che dobbiamoancora imparare e raggiungere. Daltempo di Gesù, è la tentazione deicosiddetti tradizionalisti. La seconda tentazione è quella delbuonismo distruttivo, che a nome

di PasquaLe VioLante

Sinodo sulla famiglia“Una chiesa con le porte chiuse tradisce sé stessa e la sua missione”

Page 7: Settemiglia - anno V, n°5

settemiglia

7

di una misericordia ingannatrice fa-scia le ferite senza prima curarle emedicarle; che tratta i sintomi enon le cause e le radici. È la tenta-zione dei progressisti.

Il papa ha indicato nell’omelia perla Messa di apertura del Sinodo del4 ottobre quale dovrà essere lastrada da seguire: la Chiesa è chia-mata a vivere la sua missione nellafedeltà, nella verità e nella carità.Vivere la sua missione nella fedeltàal suo Maestro, per difenderel’amore fedele; per difendere la sa-cralità della vita, di ogni vita; perdifendere l’unità e l’indissolubilitàdel vincolo coniugale. La Chiesa è chiamata a vivere la suamissione nella verità che non simuta secondo le mode passeggereo le opinioni dominanti. La veritàche protegge l’uomo e l’umanitàdalle tentazioni dell’autoreferen-zialità e dal trasformare l’amore fe-condo in egoismo sterile, l’unionefedele in legami temporanei.«Senza verità, la carità scivola nelsentimentalismo. L’amore diventaun guscio vuoto, da riempire arbitra-riamente. È il fatale rischio del-l’amore in una cultura senzaverità» (Benedetto XVI, Enc. Ca-ritas in veritate, 3). E la Chiesa è chiamata a vivere lasua missione nella carità che nonpunta il dito per giudicare gli altri,ma si sente in dovere di cercare ecurare le coppie ferite con l’oliodell’accoglienza e della misericor-dia; di essere “ospedale da campo”,

con le porte aperte ad accoglierechiunque bussa chiedendo aiuto esostegno; di più, di uscire dal pro-prio recinto verso gli altri conamore vero, per camminare conl’umanità ferita, per includerla econdurla alla sorgente di salvezza.Una Chiesa che insegna e difende ivalori fondamentali, senza dimen-ticare che «il sabato è stato fatto perl’uomo e non l’uomo per il sabato»(Mc 2,27); e che Gesù ha dettoanche: «Non sono i sani che hannobisogno del medico, ma i malati; ionon sono venuto a chiamare i giusti,ma i peccatori» (Mc 2,17).San Giovanni Paolo II diceva:“L’errore e il male devono essere sem-pre condannati e combattuti; mal’uomo che cade o che sbaglia deve es-sere compreso e amato. Noi dob-biamo amare il nostro tempo eaiutare l’uomo del nostro tempo. Ela Chiesa deve cercarlo, accoglierlo eaccompagnarlo, perché una Chiesacon le porte chiuse tradisce sé stessa ela sua missione, e invece di essere unponte diventa una barriera”.Vogliamo allora anche noi pregareinsieme al papa la Santa Famiglia diNazareth, affinché:il prossimo Sinodo dei Vescovipossa ridestare in tutti la consapevo-lezza del carattere sacro e inviolabiledella famiglia, la sua bellezza nelprogetto di Dio.Gesù, Maria e Giuseppe,ascoltate, esaudite la nostra supplica.Amen. s

Page 8: Settemiglia - anno V, n°5

Alla vigilia dell’apertura del Si-nodo Diocesano, il nostro ve-scovo padre Beniamino ha

indirizzato un messaggio all’interacomunità diocesana dal titolo“Chiesa di Nola: ascolta lo Spirito cheti parla”. Gesù Cristo è il Signore el’incontro con Lui rivoluzionò la vitae le scelte di quanti incontrò sul suocammino e che scelse come apostoli.

Oggi, come duemila anni fa, il Si-gnore continua a rivoluzionare le vitedi coloro che scelgono di seguirlo, dichi rinnega la propria identità e gliidoli della società mondana per met-tersi alla sequela del Maestro. È im-portante sottolineare che la letterapastorale si apre con due figure signi-ficative: Pietro e Cornelio. Negli Atti

degli Apostoli (At 10, 1-48), agli al-bori della Chiesa nascente, il centu-rione della coorte italica - scrive ilvescovo - pone un problema serio etotalmente nuovo: ricevere il Batte-simo per poter entrare a far partedella comunità cristiana. Cornelio, dunque, sconvolge i pianidegli apostoli e questo avvenimentoscuote anche le nostre vite, invitandociascuno di noi a lasciarsi avvolgeredalla realtà che ci circonda.

La Chiesa, la comunità dei credenti,deve essere ora più che mai dinamicae creativa cercando quelle stradenuove e ricche di speranza che fannoda cornice all’annunzio della lieta no-tizia. Ciò che manca all’uomo di oggiè il lasciarsi guidare dallo Spirito. 8

di osVaLdo ierVoLino

settemiglia

Chiesa di Nola: ascolta lo Spirito che ti parla Il Messaggio del nostro Vescovo alla vigilia del Sinodo Diocesano

Page 9: Settemiglia - anno V, n°5

settemiglia

9

Primeggia, infatti, l’ideologia e la cul-tura dell’io, dell’individualismo chenon costruisce ma distrugge. L’io èun’illusione che non crea comunione.Padre Beniamino richiama l’Eccle-siam Suam: la prima lettera enciclicadel Beato Paolo VI che, nel pieno deilavori del Concilio Vaticano II, ponealla base del nostro credo due aspettifondanti quali il dialogo e la co-scienza che la Chiesa deve avere di sestessa. Riprendendo l’episodio di Pietro eCornelio, c’è un’unzione dello Spiritoche precede e abilita i laici a vivere lamissione a servizio della Chiesa.Quell’unzione è per i laici una con-sacrazione ad essere eternamente an-nunciatori del Vangelo di Cristo, unamissione infinita che diventa azionecreativa, globale e dinamica.

Il vescovo parla di una sfida e, a talproposito, scrive: «La sfida, per noitutti, è quella di aiutare la Chiesa adessere fedele alla sua autentica missione:essere un gancio tra cielo e terra. Una Chiesa più leggera, meno burocra-tizzata, meno procedurale diventa piùa misura di persona. Ma, soprattutto,una Chiesa più “sostenibile” rispondein modo migliore al suo compito prio-ritario: mostrare frammenti di Regnogià qui nella nostra vita terrena. Questa sfida, questo impegno, deve tro-vare riscontro nelle nostre progettazionie programmazioni: le attività e le ini-ziative non hanno lo scopo di “salva-guardare” la struttura-Chiesa, diautoalimentare la nostra “macchina”;bensì, hanno lo scopo di favorire l’in-

contro personale con il Signore, bonifi-care le relazioni, accorciare le distanzetra le persone e le famiglie, far valere leragioni dell’amore, della misericordia edel perdono, instaurare vincoli di soli-darietà, accrescere il senso di comunità.La Chiesa esiste per mostrare e indicareil Regno, non possiamo né dobbiamomai dimenticarlo»

Mostrare ed indicare il Regno, nonsono parole lontane dal nostrotempo, né sillogismi da dimostrare.È, piuttosto, l’invito sincero di un Pa-store, di un Padre che non si stancamai di condurre il suo gregge versoGesù Cristo figlio di Dio. Evangeliz-zare diventa così un invito, una pa-rola chiave del nostro vivere la fede,un punto cardinale della nostramappa. La stragrande maggioranzadel Popolo di Dio è formata da laici:uomini e donne che vivono il quoti-diano, che sono al centro di eteroge-nee realtà come la famiglia, la scuola,il lavoro, la politica, la cultura, lascienza e in ciascun ambito elencatoil buon cristiano sa annunziare, senzaalcun timore, il vero Amore. L’invito alla corresponsabilità risuonapiù volte, cosi come Paolo nellaprima lettera ai Corinzi esalta inmodo chiaro la carità.

Il mondo, la Chiesa universale, la no-stra Chiesa diocesana, urgono di uo-mini e donne esperti in umanità,capaci di leggere il cuore degli uo-mini e di portare parole di speranza.Ciascun uomo e ciascuna donna siaccorga sempre della presenza e della

Page 10: Settemiglia - anno V, n°5

10

settemiglia

di osVaLdo ierVoLino

guida dei presbiteri, si lasci accompa-gnare da questi uomini scelti da Dioper pascere una parte di gregge.

Il Sinodo vuole essere un’occasioneper i presbiteri di riscoprire il sensodella comunione, non intesa comecomunanza di idee, ma come condi-visione di idee con quanti vivono leparrocchie. Nella vita di ciascun cre-dente, presbitero e laico, non manchimai la preghiera, la sosta di silenziodinanzi a Dio, il denudare la propriacoscienza dinanzi al Padre Misericor-dioso, il porsi in adorazione e con-templazione a Gesù Eucaristia.

Tre punti fondamentali dobbiamosempre tenere in mente, ricorda ilnostro Arcivescovo: 1. tornare all’essenzialità: la nostrapastorale ha tutto, ma dimentica ilmeglio, Gesù Cristo. Tendiamo a mettere noi stessi al cen-tro di ogni situazione commettendoun grave errore. È Lui il centro ditutto! Dobbiamo dunque liberarcidalla mania di accontentare la genteperché vuole così; ciò che conta è l’es-senziale, non ciò che fa comodo allepersone. 2. Restituire l’organicità alla nostrapastorale: il nostro compito è tra-smettere la fede che non è solo unaquestione di sacramenti e basta, è benaltro. Abbiamo bisogno di crescere inmodo graduale e ciò può avvenire so-lamente se ci convinciamo che tuttociò che realizziamo parte dal propriocuore, dalla propria fede. 3. La relazionalità: dobbiamo impa-

rare a essere Chiesa, a fare Chiesa.Nessuno può fare niente da solo; èinsieme che si realizza qualcosa diconcreto. Gli Apostoli ne sonol’esempio. Se riuscissimo a fare spazioagli altri e a rispettarli allora riusci-remmo concretamente a crescere. La Chiesa ha bisogno di uomini edonne che siano anzitutto persone diverità, che si aprano alla vita e al dia-logo col prossimo, che sappiano por-tare Dio ovunque. Aprire i nostrianimi e il nostro cuore: questo è ciòche resta. Possiamo dire di apparte-nere alla Chiesa solo se saremo ingrado di lasciarci cadere tra le bracciadello Spirito.

Domenica 11 ottobre 2015, alle ore19,00, ha avuto inizio il Sinodo conla Solenne Concelebrazione Eucari-stica nella Cattedrale di Nola. In questo anno particolare in cui laChiesa nolana celebra e vive il Si-nodo, la Chiesa universale riscopre ilsenso della Misericordia nel tempodel Giubileo, ciascuno di noi sappiatornare all’essenziale per fare spazioalla vita dello spirito e non essere se-dotti dalla logica delle iniziative. È untempo di grazia che va vissuto confede sincera, speranza certa, caritàperfetta. s

Page 11: Settemiglia - anno V, n°5

www.coppolaspa.itIndustrie Conserve Alimentari

COPPOLA S.p.A.via De Risi, 13 - 84018 Scafafti (Sa)

Tel. +39 081 8633370 , +39 081 8631996 Fax +39 081 8635579

e-mail: [email protected]

Page 12: Settemiglia - anno V, n°5

12

settemiglia

PAPA PIO XII“Opus iustitiae pax”

Eugenio Pacelli viene elettopapa il 2 marzo 1939 giornodel suo sessantatreesimo

compleanno, assumendo il nomedi Pio XII, il quale iniziò così il suolungo Pontificato, 19 anni, dal1939 al 1958, uno dei più difficili edrammatici Pontificati fra i tantiche la Chiesa ricorda nel corso didue millenni. Uomo di grandissimaesperienza diplomatica, egli perce-pisce che lo attende uno dei più tra-vagliati periodi storici, fin dal suoprimo intervento, il Radiomessag-gio “Dum gravissimum” del 3marzo 1939 indirizzato al mondointero, esprimendo la propria pre-occupazione per quanto si teme.Mentre per riservate vie diplomati-che interessa numerose personalitàpolitiche, fra le quali Franklin De-

lano Roosevelt e Benito Mussolini,affinché si eviti la guerra, il 2 giu-gno davanti al Sacro Collegio rin-nova la propria implorazione a Dioaffinché nei cuori dei governanti edei popoli operi il soffio della pace. Purtroppo il pericolo del sangui-noso conflitto internazionale si fapiù assillante, tanto che il 1 settem-bre 1939, inizierà la seconda guerramondiale. Nella drammatica e tragica situa-zione che si è venuta determinan-dosi, Pio XII utilizza tutti glistrumenti di cui dispone o meglioquei pochi a sua disposizione. Quelli tradizionali, cioè gli scritti uti-lizzati per le Encicliche, le Epistole ele Bolle, superano con difficoltà lecensure e i confini degli Stati, inguerra l’uno contro l’altro, con felice

di PasquaLe VeLLeca

Page 13: Settemiglia - anno V, n°5

settemiglia

13

intuizione il Pontefice, e sull’esem-pio di Pio XI, utilizza con frequenzail mezzo radiofonico che la nuovatecnica ha messo a disposizione. Fu il primo Papa che divenne moltonoto usando frequentemente laradio e la televisione. Fedele esecu-tore della parola di Cristo, nella ter-ribile tempesta che ha colpito ilmondo intero, Papa Pacelli operacon tutti i mezzi per alleviare le mi-serie dei profughi, dei rifugiati, degliaffamati, dei perseguitati, degli ebrei,sia in Italia, sia all’estero. A favoredegli ebrei, colpiti dall’insensatoodio di una folle dottrina razzista,egli svolge una preziosa opera di ca-rità, che verrà testimoniata dagli ot-tanta delegati dei campi diconcentramento tedeschi che nellaspeciale udienza in Vaticano del 29novembre 1945 ringrazieranno«personalmente il Santo Padre per lagenerosità da lui dimostrata verso diloro, perseguitati durante il terribileperiodo del nazifascismo».Nel dicembre 1940, in un articolodel Time magazine, il grande scien-ziato ebreo Albert Einstein scrisse:“Solo la Chiesa si è schierata aperta-mente contro la campagna di Hitlerper la soppressione della verità. Nonho mai avuto un particolare amoreper la Chiesa prima d’ora, ma sonocostretto a confessare che ora ap-prezzo senza riserve quello che untempo disprezzavo”. Durante l’occupazione tedesca diRoma, Pio XII diede segretamenteistruzione al clero cattolico di sal-vare quante più vite umane possi-bili, con ogni mezzo. Solo in

Roma, 155 conventi e monasteridiedero rifugio a circa 5 mila ebrei.A un certo punto, non meno di tre-mila trovarono scampo nella resi-denza papale di Castel Gandolfo,sfuggendo così alla deportazionenei campi di sterminio tedeschi. Seguendo le dirette istruzioni diPio XII, molti preti e monaci favo-rirono il salvataggio di centinaia divite ebraiche mettendo a repenta-glio la loro. È vero che il Papa nondenunciò mai in pubblico le leggiantisemite e la persecuzione degliebrei, ma il suo silenzio fu un effi-cace approccio strategico volto aproteggere più ebrei dalla deporta-zione. La protesta pubblica avrebbeinoltre impedito alla Chiesa di svol-gere il lavoro nascosto di assistenza.Ci si può chiedere, naturalmente,cosa poteva essere peggio dello ster-minio di sei milioni di ebrei? La ri-sposta è semplice e terribilmenteonesta: l’assassinio di centinaia dimigliaia di ebrei in più. All'inizio del 2005 il quotidiano"Avvenire" ha affermato, sulla basedella testimonianza del generaledelle SS, Karl Friedrich Otto Wolff,che un piano di Hitler “meditato peranni e messo a punto nei dettagli” or-ganizzava il rapimento di Pio XIIperchè antinazionalsocialista eamico degli ebrei, con l'obiettivo dicancellare il cristianesimo e sosti-tuirgli la nuova religione nazista: ladocumentazione che prova il fattoè tra quella presa in considerazioneper la sua beatificazione.Eugenio Pacelli, papa pio XII, morìil 9 ottobre 1958. s

Page 14: Settemiglia - anno V, n°5

14

settemiglia

1933, Stati Uniti. Un uomo dimezza età, con lunghi e foltibaffi e capelli piuttosto arruf-

fati, con uno sguardo sornione e unsorriso ironico chiede il permesso dientrare. Il poliziotto di turno nonalza più nemmeno lo sguardo. È in-tento a scrivere correttamente inomi, sono in troppi gli stranieri chevogliono superare quella linea che se-para il sogno americano dal resto delmondo. Per qualcuno, anzi, per tanti,forse troppi, quella terra, oltre ad es-sere un sogno, è anche una salvezza.In Europa, infatti, si è affermata unascuola di pensiero, una filosofia tra-sferita in politica, secondo cui gli es-seri umani sono divisi in razze, delle

quali una sola è degna di sopravvi-venza, l’unica razza pura, la razzaariana. Le altre sono delle sottospe-cie, sono quelle cui appartengono ineri, gli esseri più vicini agli animaliche agli uomini. Di ciò il poliziottonon si occupa, probabilmente nep-pure conosce nomi come Mussolinio Hitler. Gli ordini sono quelli di la-sciar passare gli ebrei. Dunque, senzaneppure alzare lo sguardo verso lostraniero, gli chiede: “Nome e co-gnome” - “Albert Einstein” - “Età” -“54 anni” - “Stato civile” - “Coniu-gato” - “Religione” - “Nessuna” -“Razza” - (breve pausa)… di nuovo -“Razza?” – “Umana”. Una breve esi-tazione, poi il poliziotto alza il suo

di Vincenzo Fiorenza

La diversità come ricchezzaRiflessioni sull’idea di razza

Page 15: Settemiglia - anno V, n°5

settemiglia

15

sguardo e finalmente vede quella fi-gura solo immaginata, quel volto unpo’ malinconico e un po’ maliziosoche sembra dirgli: “E allora? Che c’èche non va? Sono un uomo e appar-tengo all’unica razza che io conosca,quella umana! Perché tu ne conoscialtre?”. Il poliziotto non replica, lafila è aumentata e c’è un po’ di ressa,da lui dipende l’ordine nella dogana.Allora abbassa di nuovo lo sguardo,riprende la biro e scrive: “Bianca”.Poi, subito dopo, fissa l’uomo che glisorride ironico, gli strizza un occhioin segno di ammiccamento e lo lasciapassare. Contrariamente a quanto si è cre-duto per secoli, le razze sono un er-rore di valutazione pseudoscientificache si è radicato tra il XVII e il XIXsecolo, quando, con le grandi esplo-razioni e la nascita del pensiero evo-luzionistico, alcuni scienziati hannoindotto nelle masse la convinzioneche gli esseri umani, così come glianimali, potessero essere distinti ingruppi ben distinti, ognuno con leproprie specificità genetiche. A direil vero, di ciò erano convinti già gliantichi Greci e Romani che, però, sifermavano al colore della pelle, allaconformazione del viso e del cranioalla statura, senza mai arrivare a veree proprie politiche discriminatorie.Per loro l’unico criterio valido per di-stinguere i “diversi” era quello di ri-tenerli amici o nemici, alleati oavversari. Quindi, il pregiudizio raz-ziale, così come lo conosciamo noi, èuna prerogativa culturale del mondomoderno. Nel corso dei secoli non è

stato facile contrastare tale pregiudi-zio e la lotta contro le discrimina-zioni razziali non è stata indolore.Martin Luther King fu assassinatoproprio per le sue idee antirazziste.L’elezione a Presidente degli StatiUniti di Barak Obama, un afroame-ricano, può indurre un qualche otti-mismo, ma la strada è ancora lunga.Basti vedere come ci si è mossi peraccogliere poche decine di migliaiadi profughi (ma anche non vera-mente profughi, non importa) neiconfini europei. Si è detto che avrebbero destabilizzatoil nostro sistema sociale, portandomalattie, delinquenza, fanatismo reli-gioso. Può darsi. Il fatto vero, però, è che non ab-biamo saputo affrontare un pro-blema che riguardava altri esseriumani. È stato più comodo chiuderele frontiere, presi dalla paura, pureessa atavica e in qualche modo giu-stificata, verso esseri considerati “di-versi”. E questo è il punto. Fino aquando nel modo ci considereremo“diversi”? Quando impareremo, fi-nalmente, che la diversità è ric-chezza, creatività, opportunità? NoiItaliani siamo figli delle mescolanzeetniche. Basti pensare alle nostre ori-gini: Etruschi, Greci, Latini, Bizan-tini, Arabi, Normanni, Longobardi…Cosa saremmo stati senza di loro?Dobbiamo convincerci subito e inmodo definitivo, che per salvare lanostra specie, quella umana, la solu-zione vincente è proprio l’abbatti-mento delle frontiere. Il contrario èstupidità. s

Page 16: Settemiglia - anno V, n°5

Ho rivisto di recente un'in-tervista al regista PaoloSorrentino. Mi ha fatto

sorridere quando ha confessato diriuscire raramente nell'intento di es-sere invitato a cena una seconda voltaa causa della smania di osservare eperdersi nelle persone che si trova in-torno, nei loro gesti, nei loro di-scorsi... ma che magari non sonoquelle sedute al suo tavolo! Ho sor-riso perchè anch'io ho questo vizio.O virtù.Mi piace osservare perchè mi piacel'essere umano. Dove essere è sostan-tivo. Certo che l'ottimo sarebbe sesostantivo e verbo combaciasserosempre e non sempre questo accade.

Ho però paura di giudicare, di emet-tere sentenze su cosa è giusto e sba-gliato, su cosa è essere uomo e cosanon lo sia. Per ora, quindi, osservo.

Osservo le vittorie e gli errori deglialtri, le gioie e i dolori, ma soprat-tutto le reazioni. Perchè quella ra-gazza è sorridente e quell'altra invecescontrosa? Perchè quel bimbo ha lavita negli occhi, mentre il suo com-pagno di banco ha l'inverno dentro?È bello vedere riflessa negli occhi divetro di un orsacchiotto la gioia diun giovane uomo di sette anni infuga dalla Siria.Mi domando spesso come sarebbe lamia vita in condizioni diverse. 16

settemiglia

Essere umani

di ciro coticeLLi

Page 17: Settemiglia - anno V, n°5

La vita è fatta di scelte. Vero, ma dicerto le mie scelte sono state piùsemplici di chi deve decidere se ab-bandonare tutto e tutti o morire, sedire ad un mondo omofobo di amareun altro essere del proprio sesso.

Tu che mi stai leggendo, probabil-mente ti professi cattolico, ma tra lamessa e la partita della tua squadradel cuore cosa scegli? Così osservoper imparare, per pormi domande. Ho osservato tanto quest'estate,lungo il cammino di Santiago. Camminare aiuta a pensare. La solitudine ti obbliga a cercare untuo equilibrio. Ho vissuto la stradacon una novantenne brasiliana chepercorreva da sola i suoi 10/15 km algiorno, dopo aver superato inter-venti vari. Ho incontrato ragazzi e ragazze incammino da soli o in compagnia, masempre alla ricerca di se stessi. Forsenon è il motivo giusto per sceglieredi fare il cammino, ma la strada tiporta a riflettere e a meditare su chisi è, su chi si vuole essere, su comevorresti fosse il mondo. Perlomeno iltuo, di mondo. Così quando torni acasa ti sembrano meno importanti letrasmissioni politiche, se l'iva sale oscende, se riesci ad avere il successoche il mondo occidentale richiede.

Questo numero di Settemiglia vanon solo letto, ma osservato da lon-tano. È un invito a riflettere sui cam-biamenti epocali cui il Signore cichiama. Cosa significa essere uomosingolo e in comunità? In famiglia

come nel mondo? Come ci rappor-tiamo agli altri esseri umani? È umano fare guerra ad altri esseriumani o non accettare chi è diversoda te per colore, religione, preferenzesessuali?

Arrivato a Santiago, ho partecipatocon Rosaria ad un incontro di medi-tazione con don Fabio, punto di ri-ferimento dei pellegrini italiani. Una considerazione tra le tante mi èrimasta in testa: “Padre nostro che seinei cieli...”, ma “nostro” di chi? Dei bianchi o dei neri? Degli etero odegli omo? Di chi ti è simpatico o dichi ti ha recato offesa?

Ancora una volta una riflessionesenza risposta e con tante domande.Se sei stanco delle mie domandechiudi gli occhi e cerca nella tuamente un'immagine che sia per te unangolo di pace. Non vedi il tuo nipo-tino o la tua compagna o un ritrattodi Modigliani? Non senti delle note?Ecco, questo vuol dire che forse que-ste piccole cose sono più importantidel fruscio dei soldi. Sono queste pic-cole cose a farci essere Essere Umani.

settemiglia

17

s

Page 18: Settemiglia - anno V, n°5

Parlare oggi di immigrazione si-gnifica parlare principalmentedi sbarchi, barconi, gommoni

stracolmi, visi straziati, corpi ritro-vati, ansia per le masse in arrivo nellenostre nazioni.Prevale spesso la logica istintiva e ir-razionale che, sollecitata magari dallapaura, dalle tensioni, dal caos che unfenomeno così complesso comporta,spinge a vedere nello sbarco il veroproblema. Allora l’immigrazione di-venta argomento di discussione e di-battito, perché subentrano poi lequestioni relative alla gestione orga-nizzativa dei flussi migratori, la mi-naccia per la sicurezza nazionale,l’integrazione con gli abitanti locali.

Ciò dimostra che si tende a concen-trarsi più sulle conseguenze che sullecause. Forse sarebbe opportuno superare lafase iniziale di allarmismo e conun’analisi più critica e razionale, ini-ziare a pensare che non sono gli immi-grati il vero problema, che l’emergenzariguarda più loro che noi: nessunofuggirebbe da un paese in cui ci sia lapace, il benessere, rischiando anche diperdere la propria vita se non perchéspera di sottrarre quella stessa vita allapovertà, alla miseria, alle persecuzionipolitiche o religiose che sono costrettia subire nei loro paesi d’origine.La responsabilità non è allora di chiscappa dal proprio Paese ma è di chi18

di PasquaLe coPPoLa

settemiglia

Prigionieri dei propri confini

Page 19: Settemiglia - anno V, n°5

settemiglia

costringe loro a scappare o non fanulla per evitarlo, continuando aperpetuare logiche di guerre, terrori-smo, disparità economiche ecc. Per una Onlus quale Trame Afri-cane, che opera nel campo dell’assi-stenza internazionale, cercando didare alle comunità coinvolte nei suoiprogetti un sostegno concreto, voltoa migliorare le condizioni di vita ditanti attraverso la creazione di realipossibilità di sviluppo e di auto so-stentamento, è impensabile il doverconstatare che, ancora oggi, ci si pre-occupa di come dover risolvere gli ef-fetti piuttosto che le cause.Si possono adottare tante misure:chiudere le frontiere, rimpatriare gliimmigrati clandestini, attivare aiutiumanitari, ma il flusso migratoriodifficilmente si fermerà se continue-ranno ad esserci Paesi dove non c’èlibertà, dove non c’è vita.La soluzione, per quanto impossibilepossa sembrare, è quella di crearedelle condizioni di vita tollerabili neipaesi nativi dei migranti.Da sempre l’obiettivo di Trame Afri-cane è quello di aiutare, valorizzandoe promuovendo le risorse del luogodove presta assistenza, come motoredi sviluppo sostenibile, fornendo co-

noscenze e strumenti adeguati affin-ché si possa uscire da una situazionedi immobilità e di indigenza e cercareun futuro migliore nella propria terrae non altrove così da essere uno sti-molo anche per le generazioni future. Una logica solidale piuttosto che unalogica capitalistica, cooperazione enon chiusura o indifferenza: seanche gli Stati e i loro governi simuovessero in quest’ottica, forsel’immigrazione non sarebbe più unproblema, ma solo occasione di in-treccio tra popoli, culture e crescitareciproca e si potrebbe così provarea costruire un mondo in cui non sidebba essere “prigionieri dei propriconfini”.

19

s

Page 20: Settemiglia - anno V, n°5

Essere umani?POLIttICO DeLLe atteSe, “CaVaLLI 8 UOMINI 40”

Ciro Vitale al Museo dello sbarco e Salerno Capitale

L’umanesimo occidentale è unostato di crisi permanente. Se“la potenza umana” è il pen-

sarsi “annichilente” le altre cose, percui un’irriducibile hybris fa diventarela terra e gli stessi altri viventi allamercè della propria incondizionatadominazione, allora l’umanismo puòessere il vizio supremo dell’umanità enon la sua salvezza, il nucleo stessodel nichilismo. Nella Tecnica perva-siva che si volge in auto-glorifica-zione del Potere e nell’annullamentodel differente, nell’idolatrica praticadel denaro nell’assolutismo finanzia-rio e nella discriminazione etnico-an-tropologica e religiosa dei popoli,l’essere umani cede all’oblìo della me-moria. Consumando il senso dell’Al-

tro e della Storia nei riti delle comu-nicazioni mediatiche, il segno tragicodegli accadimenti si dissolve in ‘spet-tacolo’ dei resti e delle celebrazioni.In senso inverso, in controtempo, in-vece muove “la storia” di Ciro Vitale:l’essere umani risuona nello spaziodelle sue ‘esposizioni’ come urgenzacritica dell’esistente, nell’intensità diuna commozione politica che pervadeil progetto, il procedimento e la ma-terializzazione della visione. In un’eccedenza della memoria che sifa presenza si “articola” il corpus nellospazio dell’istallazione, con riflessionipersino ‘liriche’ dei materiali perfor-manti-simbolici delle coniugazioni dioggetti, immagini, scritture, suoni, luci. Della guerra dimenticata nella sua20

di Franco ciPriano

settemiglia

Page 21: Settemiglia - anno V, n°5

settemiglia

corporea devastazione di destini in-terrotti, degli addii delle partenze edelle infinite attese, Ciro Vitale, dun-que, rinnova la memoria nel presente:farsi attraversare dalle domande sullacrisi dell’umano per ‘pensare’ l’uma-nità della crisi. Interrogazione verti-ginosa che cade nei frammenti di unaderiva incontrollabile e inconsolabile,nella devastazione di senso del“tempo dell’uomo”. La memoria riaccende il linguaggionella sua profondità materica e sim-bolica, custodisce il linguaggio nellasua radice immemoriale, non pratica,non tecnica: linguaggio interro-gante, anche in se stesso, nella pro-pria originarietà. Vedere e ascoltarenella ‘profondità’ del tempo – pas-sato, presente, futuro – ma anche“oltre il tempo”, l’essenza dell’esi-stente, segna lo spirito epocale delmovimento delle cose e del contrad-dirsi inesorabile del senso umano.Dunque, non un ideologico culto deltrascorso storico ma l’orizzonte in cui

le assenze/gli assenti sono ombre dicontraddizione delle rappresenta-zioni “logico-formali” del divenire (lastoria dominante non sopporta ivuoti, i silenzi, gli urli degli ‘ecce-denti’). Di questo essenziale ‘fuoco’“poetico-politico” che è insiemegesto ‘sensibile’ e concettualmente‘eversivo’, Vitale ‘canta’ le vicendedell’alterità umana, componendoneuna ‘convocazione’ paradossale e ditensione comunicazionale.Nell’intensità di una consapevolezzadelle estremità del linguaggio dell’artenell’ultimo moderno, Vitale apre unarete di relais immaginativi, come inun pensiero che si fa spazio multi-forme. operando una fenomenologia 21

A latoPolittico - Abisso, particolare

CIRO VITALEfoto di VINCENZO DONNARUMMA

in altoPolittico - veduta

CIRO VITALEfoto di CIRO FUNDARÒ

Page 22: Settemiglia - anno V, n°5

22

settemiglia

di Franco ciPriano

Polittico - prologo (particolare),Polittico - Epilogo,

Epilogo StillCIRO VITALE

foto di CIRO FUNDARÒ

a latoPolittico - Abisso

CIRO VITALEfoto di CIRO FUNDARÒ

di associazioni e compenetrazioni traforme, oggetti, eventi segnici e suoni.Il “Polittico delle attese” compone al-l’interno del “Museo dello sbarco”, inun frammentato percorso della me-moria: a) una scatola conica che è vi-sore di immagini storiche dei tempi diguerra; b) carte geografiche che se-gnano nella loro eclatante differenzia-zione i luoghi del consumo dellerisorse e di dislocazione della ric-chezza planetaria; c) una bandiera tri-colore senza colori presso una tecacon un libro-guida geografica dellaspedizione fascisto-colonialista inAfrica. All’esterno è il vagone ferroviariousato nelle deportazioni degli ebrei(dato in affidamento al museo dallaComunità ebraica italiana), dove siindica la capacità di trasporto in 40uomini o 8 cavalli, a costituire il nu-

Page 23: Settemiglia - anno V, n°5

cleo forte dell’istallazione. Nell’in-terno del vagone la proiezione di unvideo del mare (calmo, disteso, in-quietante nella sua pacificazione ri-spetto ai materiali di guerra che sonodisseminati nel museo) è, elegiaca eindicibile, di una polifonica intensitàemozionale e concettuale. L’assenza diogni forma vivente evoca gli innume-revoli corpi che del mare hanno latomba, migranti come coloro, soldati,che in quel vagone un tempo viaggia-rono verso l’oscurità della guerra. Un polittico che diviene un palinse-sto della memoria. Manifesta il pensare l’arte come ‘ter-ritorio’ del conflitto tra vita e potere,dove l’esistente come la storia è ungorgo di scenari dell’inganno e di vio-lenze. Ciro Vitale lo indica con acco-rato ethos, annodando frammenti,schegge di senso tra di loro ‘distanti’,come rivelazione ‘spaziale’ della me-moria che ‘accade’ nel presente. s

Ciro Vitale è nato a Scafati nel 1975. Nella sua attività espositiva annovera mostre per-

sonali e numerose partecipazioni a collettive erassegne nazionali e internazionali. Nel 2004/05

partecipa al programma di residenza inter-nazionale Arteinformazione promosso dall’Ac-cademia delle Belle Arti di Carrara, prendendo

parte a numerosi workshop tra i quali Fotografiacon Massimo Vitali, Arte Interattiva con Paolo

Rosa, Pittura con Pierpaolo Calzolari, Video Artecon Giacomo Verde e Sound Design con Mauro

Lupone. Tutte queste esperienze hanno con-tribuito a formare l’attuale natura multimedialedel lavoro dell’artista. Nel 2008 è selezionatodalla Fondazione Antonio Ratti di Como, per

partecipare alla 14° edizione del Corso Superioredi Arti Visive, con Visiting Professor Yona Fried-man. Il 2012 lo vede impegnato come ideatore e

fondatore del progetto Di.St.Urb.(distretto di studi e relazioni urbane/in tempo di crisi)

esperienza che intende indagare, attraverso ilcontributo di artisti, critici, filosofi, economisti estudiosi, l’impatto della crisi politico/finanziariasulla società. Nel 2013 ha partecipato alla resi-denza dell'VIIIa Shiryaevo Biennale of Contem-

porary Art in Russia con i progetti Est Memorialee Somewhere realizzati con Pier Paolo Patti.

settemiglia

23

Page 24: Settemiglia - anno V, n°5

24

settemiglia

di Francesco quagLiozzi

Rifugiati uguale sopraffa-zione. Rifugiati uguale mal-vivenza. Rifugiati uguale

manovalanza della criminalità. Ri-fugiati uguale fonte di lucro per laclasse politico-amministrativa ita-liana ed europea. Rifugiati ugualemafia-capitale. Quante volte siamo arrivati a que-ste conclusioni? Quante volte ab-biamo girato le spalle e cambiatocanale di fronte ai problemi legatialla situazione dei profughi e dei ri-chiedenti asilo? In un mare di incredulità, sacrificioe sofferenza, c’è chi ha compreso afondo la necessità dell’accoglienza. Alle porte di Roma si è intrapresoun progetto dalla grande umanità.Un progetto che trova esclusivo

fondamento nell’amore per il pros-simo e nella francescana acco-glienza. È nata già qualche anno fauna società dilettantistica costituitada soli “atleti” rifugiati, la LiberiNantes della presidentessa DanielaConti, laureata in sociologia dellosport ed anch’ella figlia di emi-granti da tre generazioni. Tale realtà offre ai rifugiati la pos-sibilità di cimentarsi nel gioco delcalcio, del rugby e di prendere partealle attività escursionistiche ed allascuola di italiano. Nel calcio, la Liberi Nantes, anchequest’anno, prenderà parte al cam-pionato di Terza Categoria, ma losport di rifermento sembra esserediventato il “touch-rugby”, graziead un mix tra i valori di forza e le-

Rifugiati nel pallone… e tra i montiUna società di soli rifugiati si appresta ad iniziare un nuovo cammino

Page 25: Settemiglia - anno V, n°5

settemiglia

altà propri del rugby e regole tecni-che specifiche che ne fanno una di-sciplina accessibile a tutti senzarestrizioni di età e genere. Inizialmente tale disciplina era ri-volta alle sole donne immigrate. Poi, il gruppo è cresciuto e, graziealla collaborazione con le realtàsportive romane della TouchRugby Roma e Spartaco Rugby,vede la partecipazione di ragazzi eragazze, italiani e stranieri, tutti in-sieme in un’unica squadra, la LiberiNantes Touch Rugby. L’attività che maggiormente simbo-leggia il cammino che molti migrantihanno percorso per allontanarsidalle violenze, dalle guerre, è quelladell’escursionismo. I “Liberi camiNantes”, mensil-mente, pianificano ed organizzanoescursioni coi ragazzi dei centri diaccoglienza, condividendo le pro-prie storie alla conquista della vettapiù difficile da raggiungere, quelladella solidarietà e dell’integrazione.

25s

Page 26: Settemiglia - anno V, n°5

Io ho paura.

Paura di soffrire, paura di ferire, pauradel buio, paura del giorno, del caos edell’ordine, del bello e del brutto.Paura di amare e di essere amata,paura che qualcuno mi lasci.La solitudine mi terrorizza lancian-domi in un turbine di facce, manipronte ad afferrare, a strappare e poi…via. Altrove, oltre, di più, ancora.

Credo negli esseri umani

Ho paura di essere fragile, paura chequalcuno possa conoscermi davvero,paura di essere scoperta, spogliata nelprofondo, abbandonata.Prendo tutto quello che c’è, giudico,divoro parole, commenti, immagini,che gli altri sappiano ciò che io m’il-ludo di voler far sapere e poi…via.

Ancora, ancora, ancora.

Credo negli esseri umani

Ho paura di me, dei miei desideri, deipensieri, ho paura di essere diversa,paura di essere malata, di cadere, in-ciampare nel mondo senza difese.E allora scappo, mi chiudo, mi copro,mi nascondo, non voglio essere tro-vata, ma vorrei che qualcuno lo fa-cesse...qui. Adesso, ancora, di più.

Credo negli esseri umani

Ho paura dei semafori, degli automo-bilisti e dei pedoni, delle bicicletteche si lanciano in mezzo alla strada,ho paura di distrarmi, di fallire.Così bevo, mi alleggerisco, svuoto lamente e dimentico i problemi, m’in-nalzo nell’abbassarmi alla ricerca spa-26

di eLena Fiorenza

settemiglia

Cieli di carta

Page 27: Settemiglia - anno V, n°5

settemiglia

27

L’ultimo film di Gabriele Muc-cino scava nel profondo. S’in-sinua lentamente nell’anima

aprendo una ferita, quella più nasco-sta: la paura d’essere abbandonati. Con uno sguardo attento e delicatoe il sapiente utilizzo della macchinada presa sa stupirci ed emozionarciin un vortice di sensazioni che nonlasciano indifferenti. Un film intenso, volto a scandagliarele profondità del cuore che, comeben sappiamo, ha le sue ragioni (espesso neanche la mente ne è a cono-scenza). Ragioni che, il più dellevolte, derivano dalle briciole del no-stro passato.

smodica dell’abisso.

Che hanno coraggio

Ho paura del cibo biologico e dell’oliodi palma, di essere troppo grassa,troppo magra, troppo bassa, troppoalta, di arrivare a fine mese, di non es-sere all’altezza delle aspettative.

In silenzio rimugino, mi guardo ipiedi che vorrebbero saltare, morire,dormire, null’altro…

Coraggio

Ho paura della morte.

di essere umani

Padri e figlies

“Questa è la mia bambina, questa è la mia bambina...” Così grida con infinitoorgoglio Russel Crowe nel film “Padri e Figlie” quando la sua piccola Katie im-para a pedalare da sola. Un orgoglio condivisibile perchè è espressione profondadell’amore di un padre per sua figlia. Facciamo nostre queste parole e lededichiamo ad elena perchè la sua voce, prestata alla protagonista amandaSey-dred, ha trasformato tutti noi della redazione in tanti Russel Crowe. “Questa èla nostra elena, questa è la nostra elena...” auguri ragazza, auguri da tuttinoi. Regalaci ancora tante emozioni con la tua bella voce. ad majora.

don Peppino e la redazione.

s

Page 28: Settemiglia - anno V, n°5

28

settemiglia

Si chiamava Stefano, o almenocosì si faceva chiamare. Forseera ucraino, qualcuno dice

slavo, non importa! ...Era di S. Fran-cesco!Sì! Perché così si era identificato alPronto Soccorso di Sarno quandoera stato ricoverato. I medici inquell’occasione avevano subito chia-mato don Peppino per sapere chifosse e per chiedere chi se ne sarebbepreso cura.Non aveva mai accettato di andare inuna comunità, sebbene don Peppinoglielo avesse proposto più di unavolta, aveva sempre rifiutato. Passava,

così, le sue giornate per strada e lo sipoteva incontrare seduto magari suuna delle panchine del territoriodella nostra Parrocchia. Si chiamava Stefano, era di S. Francesco!La mattina, all’apertura della Cap-pella dell’Adorazione, entrava, salu-tava e si inginocchiava sempre sullasolita panca, poi faceva i segni dicroce tipici degli ortodossi e rima-neva lì a pregare per parecchiotempo. Capitava poi che si addor-mentasse e così passava quasi l’interagiornata in cappella dormendo sullapanca. Gli adoratori lo conoscevano,

di suor Patrizia Panizzini

Si chiamava Stefano,era di S. Francesco!

Page 29: Settemiglia - anno V, n°5

settemiglia

29

ormai era diventato uno di loro. Lasera poi, purtroppo, dovevamo farlouscire. A volte diventava difficile per-ché dormiva sodo, ma non si arrab-biava mai, prendeva la sua borsa,salutava e se ne andava. Si chiamava Stefano, era di S. Francesco!La borsa gliela avevano procurata lesignore del servizio guardaroba.Come i vestiti, le scarpe e tuttoquello che possedeva, se si può direche possedesse qualcosa! Enzo, dalleofferte della parrocchia, gli forniva lelamette per farsi la barba e qualchesoldino di tanto in tanto. Dentro laborsa non aveva nulla se non i car-tocci di vino coi quali, purtroppo,passava il tempo per dimenticarsiforse di una storia troppo dolorosaper essere ricordata.Beveva, sì! Purtroppo beveva, e l’al-col lo portava ad addormentarsiovunque e spesso a cadere lungo lastrada.Si chiamava Stefano, era di S. Francesco!Non era cattivo, né maleducato oprepotente anzi, quando il tasso al-colico non era ancora giunto ad an-nebbiargli la vista, rivelava unadiscreta cultura e chiacchierava vo-lentieri con chi gli prestava atten-zione. Qualche volta avevapartecipato anche alla S. Messa e, aPasqua, si mise in fila anche lui perricevere la Comunione.Si chiamava Stefano, era di S. Francesco!Il giovedì l’avevo visto in via Fermi,c’era la Messa e la benedizione dellaMadonnina. Aveva condiviso con

noi un buon piatto di pasta pur ri-manendo seduto in disparte. Il sa-bato mattina l’avevo rincontrato alsupermercato, dove sicuramentestava comprando del vino, ed erastato lui stesso per primo a chia-marmi e salutarmi.Si chiamava Stefano, era di S. Francesco!L’hanno trovato nel parcheggio delsupermercato la mattina successiva,la domenica, raggomitolato a terra,morto! Sul muretto, dove era sedutoprima di cadere a terra, c’erano an-cora la sua borsa, i cartocci del vinoe una maglia.C’ero anch’io con don Peppinoquella mattina quando diede la be-nedizione alla salma mentre lo depo-nevano dentro la bara per l’ultimoviaggio, con un gesto di tenerezza, glimise una corona del rosario fra lemani. I Carabinieri volevano saperele sue generalità ma nessuno le cono-sceva, non aveva familiari o parenti…aveva solo noi!Si chiamava Stefano, era di S. Francesco!Alle sue esequie partecipò un bel nu-mero di persone della nostra comu-nità, venne anche il sindaco e tutti cistringemmo con commozione, can-tando e pregando, attorno a quel no-stro fratello che ci aveva lasciatotroppo presto per la sua età. E quasicome segno, mentre la bara entravain chiesa, erano in corso le misura-zioni per la costruzione della Casa diFrancesco.Don Peppino alla fine della funzionedisse a Stefano delle parole che do-vremmo scolpirci nel cuore! Disse:

Page 30: Settemiglia - anno V, n°5

30

settemiglia

“Ti chiedo, ora che sei in cielo, di farciperdere il sonno! A me, al Sindaco e atutta la comunità! Facci perdere ilsonno fino a che non troviamo una so-luzione perché cose del genere non ac-cadano più!”Si chiamava Stefano, era di S. Francesco!Sì Signore! Facci perdere il sonno!Facci perdere il sonno e perdonaciper non essere stati capaci di fare dipiù per questo nostro fratello, peravergli dato forse solo le briciole.Aiutaci ad essere più attenti, acco-glienti, disponibili, a farci carico deinostri fratelli, delle loro sofferenze,dei disagi, dei bisogni.Aiutaci e incoraggiaci a portare

avanti un sogno, “La Casa di France-sco”, dove finalmente, forse, ognunodi loro potrà trovare la propria casa! Perché lui era un nostro fratello!Perché lui si chiamava Stefano!Perché lui era di S. Francesco! E tu, Stefano, intercedi per noi, tuche pregavi spesso nella chiesa pic-cola, ora prega per noi!E ti voglio ripetere quello che ti rac-comandò don Peppino nell’omelia:“Stefano, ora che giungi davanti al Si-gnore, non ti preoccupare, diglielo! ...diglielo pure che tu sei di San Fran-cesco!”Si chiamava Stefano…era di S. Francesco!

s

di suor Patrizia Panizzini

Page 31: Settemiglia - anno V, n°5

settemiglia

31

Mi sono chiesta mille volteil significato di questaparola, ma c’è una sola

risposta che mi martella la mente:Madre Teresa di Calcutta. Chi piùdi lei l’ha espressa in tutte le sueproiezioni? Umanità è il rispetto dell’uomo, èamare ogni nostro simile, un gio-vane, un vecchio, una partoriente,un malato. Dio ci ha creato e quindi siamo le-gati tutti dallo stesso vincolod’Amore. Purtroppo oggi viviamoin un mondo freddo, cinico e cru-dele dove non c’è umanità perchénon c’è pietà. Basti pensare allecentinaia di persone che ognigiorno arrivano ammassate suigommoni e parte del mondo si giradall’altra parte. Dov’è l’umanità in

quest’occasione? Dov’è il senti-mento di compassione quando unpiccolo muore in mare, propriodove potevano avere inizio i suoisogni? Un briciolo di umanità l’ab-biamo avuta tutti, quando le imma-gini del bimbo siriano morto tra leonde hanno fatto il giro delmondo, ma è stato un attimo etutto è già dimenticato. L’umanità, però, resiste, anzi persi-ste e io la vedo negli occhi di unmedico di Emergency che offrecure gratuite in nome della pace,della solidarietà e del rispetto deidiritti umani. Ecco, questo dobbiamo fare ancheognuno di noi: amare ogni nostrosimile perché solo dall’amore nascel’umanità. s

Umanità...

di MariaPia Langone

Page 32: Settemiglia - anno V, n°5