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 PASOLINI CINEASTA CORSARO  Anno 1 n. 4 - luglio 2006 LO SGUARDO ANTROPOLOGICO DI PIER PAOLO PASOLINI di Teresa Biondi Affrontare il discorso riguardante i rapporti tra lo sguardo filmico e lo sguardo antropologico comporta una premessa imp ort ant e: quando si usa il ter mine antropologia in riferimento ad opere filmiche bisogna chiarire la differenza tra realtà e realismo cinematografico; in riferimento all’opera cinematografica di Pier Paolo Pasolini è utile riprendere il concetto espresso da Gilles Deleuze, il quale afferma in merito ai film dell’autore che « il cinema è la realtà », confermando il r ifiut o di simulare impressioni di realtà e perseguire la rappresentazione del vero partendo dall’assunto “ontologico/antropologico”: «il cinema rappresenta la realtà attraverso la realtà» 1 . Ma cosa significa sguardo antropologico filmico? Come l’antropologia si ritrova nell’opera pasoliniana? Pasolini poeta, romanziere, saggista, regista della modernità è anche “antropologo” ed è attraverso i documentari che illustra tale capacità in modo chiaro e fortemente rappresentativo dell’indagine antropologica e della ricerca sulle mutazioni storico-c ult ura li e compor tamentali deg li ita lia ni, che egl i and ava studiando ed analizzando attraverso il cinema. Pasolini usa il cinema partendo dal principio che si tratta di una lingua transculturale in grado di parlare a tutti, quindi in grado di comunicare a diversi livelli culturali; un sistema di segni che rappresenta la realtà attraverso la realtà capace di riprodurre uomini in carne ed ossa e che permette di vivere nel cuore della realtà delle cose e dei fatti rappresentati. La realtà al cinema per Pasolini non è la cronaca; anche quando utilizza l’inchiesta filmata ed emergono in primo piano accadimenti veri, la realtà ha una sua essenza realista che esula dal fatto stesso di cronaca per assurgere a forti tinte di umanità pura come eco e imm agi ne dell’uomo viv ent e. La Rab bia , il primo documentario di Pasolini, ne cost it uisce una prova; è il 1973 quando Pa solini realizza il suo pr imo film di montaggio realizzato con materiale di repertorio consistente nella messa in scena e rappresentazione della contemporaneità quale frutto della storia in grado di illustrare come negli anni il potere, le gerarchie e la borghesia hanno determinato i tempi moderni con tutte le catastrofi prodo tte e generate dall’uomo, risultato della volontà ed dell’attività arrivista delle forme di potere succedutesi e incardinatesi nella società e nella storia. La grandezza del pensiero di Pasolini è di aver saputo narrare attraverso questo film il passato, il presente e (previsto) il futuro, in quanto è un’interpretazione attuale e futurista dei fatti che non si discosta molto da contenuti e immagini del sociale contemporaneo  che oggi (ri)viviamo come se fossimo nel 1963  con tutti i 2005 © Fondazione Libero Bizzarri Edizioni & Autore

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PASOLINI CINEASTA CORSARO

  Anno 1  n. 4 - luglio 2006

LO SGUARDO ANTROPOLOGICODI PIER PAOLO PASOLINI

di Teresa Biondi

Affrontare il discorso riguardante i rapporti tra lo sguardo filmico e lo sguardoantropologico comporta una premessa importante: quando si usa il termine

antropologia in riferimento ad opere filmiche bisogna chiarire la differenza tra realtàe realismo cinematografico; in riferimento all’opera cinematografica di Pier PaoloPasolini è utile riprendere il concetto espresso da Gilles Deleuze, il quale afferma inmerito ai film dell’autore che «il cinema è la realtà », confermando il rifiuto disimulare impressioni di realtà e perseguire la rappresentazione del vero partendodall’assunto “ontologico/antropologico”: «il cinema rappresenta la realtà attraverso la 

realtà» 1.Ma cosa significa sguardo antropologico filmico? Come l’antropologia si ritrova

nell’opera pasoliniana? Pasolini poeta, romanziere, saggista, regista della modernità èanche “antropologo” ed è attraverso i documentari che illustra tale capacità in modo

chiaro e fortemente rappresentativo dell’indagine antropologica e della ricerca sullemutazioni storico-culturali e comportamentali degli italiani, che egli andavastudiando ed analizzando attraverso il cinema. Pasolini usa il cinema partendo dalprincipio che si tratta di una lingua transculturale in grado di parlare a tutti, quindi ingrado di comunicare a diversi livelli culturali; un sistema di segni che rappresenta larealtà attraverso la realtà capace di riprodurre uomini in carne ed ossa e che permettedi vivere nel cuore della realtà delle cose e dei fatti rappresentati. La realtà al cinemaper Pasolini non è la cronaca; anche quando utilizza l’inchiesta filmata ed emergonoin primo piano accadimenti veri, la realtà ha una sua essenza realista che esula dalfatto stesso di cronaca per assurgere a forti tinte di umanità pura come eco eimmagine dell’uomo vivente. La Rabbia , il primo documentario di Pasolini, necostituisce una prova; è il 1973 quando Pasolini realizza il suo primo film dimontaggio realizzato con materiale di repertorio consistente nella messa in scena erappresentazione della contemporaneità quale frutto della storia in grado di illustrarecome negli anni il potere, le gerarchie e la borghesia hanno determinato i tempimoderni con tutte le catastrofi prodotte e generate dall’uomo, risultato della volontàed dell’attività arrivista delle forme di potere succedutesi e incardinatesi nella societàe nella storia. La grandezza del pensiero di Pasolini è di aver saputo narrare attraversoquesto film il passato, il presente e (previsto) il futuro, in quanto è un’interpretazioneattuale e futurista dei fatti che non si discosta molto da contenuti e immagini delsociale contemporaneo − che oggi (ri)viviamo come se fossimo nel 1963 − con tutti i

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limiti delle differenze dei fatti e delle evoluzioni della storia contemporanea. Quindila realtà nel cinema di Pasolini non è la cronaca, ma è un modo per lasciar parlare ilreale attraverso il filtro poetico del linguaggio cinematografico o il cosiddetto

“cinema di poesia ” come amava definirlo Pasolini.Il cinema di poesia di Pasolini può essere etichettato come un esperimento di

linguaggio, non in quanto poesia ma come “cinema del pensiero ” o “cinema della 

modernità ”2.Giorgio De Vincenti ne Il concetto di modernità nel cinema   3 descrivendo la

modernità ricorda che l’avvento di essa non è determinato esclusivamente dallenuove tecniche − tra le quali la scoperta del panfocus, obiettivo grandangolare ingrado di restituire la profondità di campo e quindi costruire un dialogo tra lo sfondo eil primo piano di una stessa immagine messa a fuco in tutte le sue parti − e dal modoin cui queste rappresentano visivamente l’uomo; ma ricorda che è soprattutto nei

contenuti filmici che nasce lo spirito profondo della modernità cinematografica, laquale consiste nel tentativo di rappresentare nuovi punti di vista sull’uomo tramiteforme di racconto innovative, a partire dalle quali i tecnici affinano le “specificitàdell’opera” attraverso le strumentazioni a disposizione che realizzano il contenuto permezzo delle nuove forme di rappresentazione filmica ottenute grazie all’innovazionedata dalle nuove tecnologie. Ciò spiega perché il montaggio nei film di Pasolini e inparticolar modo nei documentari è differente dal montaggio della classicità e delle sueforme; i documentari di Pasolini sembrano dei reportage che si trasformano inappunti visivi/filmati dell’esperienza dei sopralluoghi, molto vicini tecnicamente allaricerca antropologica sul campo e alla scientificità dell’antropologia, ad esempioattraverso l’utilizzo dei primi piani dei volti, ricercati e indagati con il chiaro intentodi rappresentare i connotati razziali, i segni lasciati dell’ambiente e dal contestoculturale di origine determinanti modi e stili di vita all’interno degli spazi autoctoni.

Pasolini ha pensato palesemente il cinema come strumento di ricerca e indagineantropologica sull’uomo, come rivelano i suoi successivi film, quando – nel tentativodi comprendere la cultura quale sfondo della società, successivamente interpretata inprospettiva mitica – diviene evidente l’indagine antropologica connaturata allinguaggio filmico; a testimonianza del valore antropologico della rappresentazionefilmica della realtà depone il suo pensiero sul Neorealismo cinematografico italianoche egli intendeva come il primo atto di coscienza critica e politica che l’Italia hacompiuto su se stessa, un’auto-analisi antropologica dettata dal piacere di scoprirsi

nella realtà vera attraverso lo sguardo su se stessi, fondato sull’idea che il futuro saràmigliore, quale rappresentazione di un presente già passato nell’istante della suacattura in immagine filmica e valevole in prospettiva teleologica.

Comizi d’amore  è un documentario che attraverso l’inchiesta filmata mette inscena in modo esemplare per l’epoca la cultura che innesta e determina i costumi e letradizioni sessuali degli italiani. Per realizzare questo film Pasolini si sposta da uncapo all’altro dell’Italia mostrando diversi ambienti e diverse culture del Paese,documentando attraverso volti, atteggiamenti, modi e soprattutto attraverso i dialetti− i quali costituiscono il miglior modo, dal punto di vista antropologico, perrappresentare la realtà degli uomini che vivono in un determinato contestoambientale e sociale − le diverse stratificazioni culturali e relativi comportamenti

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sessuali, totalmente contrastanti nell’uso e nel modo di intendere lo stesso pensierosessuale degli italiani. Da questo panorama ricostruito tramite l’incastro di tassellimacrosignificanti esplicativi di tipologie e modi cultuali, emergono i contesti che

determinano la multiforme e sfaccettata italianità, i diversi caratteri sessuali del degliitaliani dal settentrione alla Sicilia, determinati dal “modello culturale diappartenenza” − che in tal caso ha basi fortemente regionalistiche, quali ad esempio la“sicilianità” che Pasolini lascia emergere con profonda significanza e a forti tinte“tradizionalistiche” − alle soglie di una trasformazione imminente che sfocerà nellarivoluzione sessuale del “Sessantotto”.

L’utilizzo di tecniche del racconto specifiche del linguaggio cinematografico, leinquadrature, i primi piani, l’inchiesta dal vero, l’utilizzo di un montaggio serratofatto di passaggi e tagli di forte impatto visivo − come un passaggio da un primo pianoad un totale, atto a connotare e contestualizzare la cultura nell’ambiente che la

prodotta−

non costituiscono per Pasolini una volontà di rottura delle forme o iltentativo di fare puro sperimentalismo, ma costituiscono il risultato dell’utilizzo dellamacchina da presa come “camera stilo ”, in modo del tutto libero dagli schemi dellinguaggio classico e formale, come insegna la “nouvelle vague ” francese. Come gliantropologi che si calano sul campo e vanno alla ricerca delle spiegazioni permostrare e svelare la cultura e la realtà di popoli e situazioni, così Pasolini utilizza lamacchina da presa per catturare immagini e istanti di realtà che svelano l’essenza veradegli italiani e mostrano i comportamenti, i costumi, la lingua, i pensieri, nonché ledifferenze essenziali che costituiscono gli specifici valori antropologici della variegatacultura italiana, sottolineando le “differenze” come patrimonio culturale eontogenetico degli italiani, per assurgere in fine alla rappresentazione filmica deicambiamenti storico-culturali in atto nella società moderna a scapito dei valori e delpatrimonio di tradizioni e pratiche culturali ormai quasi del tutto perse, nel nomedella modernità, del consumismo e dell’omologazione.

In questo contesto storico-culturale-antropologico il nuovo linguaggio filmicoproposto da Pasolini è stato definito “sperimentalista”, luogo virtuale di espressioneideologica e contestazione teorica in cui le forme sperimentali del documentariomoderno, il carattere performativo e autoriflessivo che si integrano alle forme dellarappresentazione canonica − forme impure , in cui il soggettivismo si contrapponeall’oggettivismo classico − costituiscono il modo di rappresentare una nuova forma diantropologia prospettica intorno all’analisi dei cambiamenti culturali ed epocali

dell’uomo, puntando i riflettori sulle angosce intime e private derivanti dal disagio delvivere di quegli anni. Pasolini si spinge fino al tentativo della ricerca dell’arcaico puroe dell’uomo originario non contraffatto dall’evoluzione dei tempi moderni –quest’ultima dettata dall’arroganza del potere e della borghesia sopraffattrice, in nomedel denaro e della supremazia del più forte sul più debole, dei valori intimi eprimordiali dell’uomo – andando a ricercare nei paesi del Terzo Mondo l’uomo“oriundo”, nella speranza di trovare ancora in vita l’essere non corrotto dalla nuovacultura consumistica e omologante delle società evolute.

Pasolini dopo Comizi d’amore  si reca in Palestina per la ricerca delleambientazioni e dei personaggi de Il Vangelo secondo Matteo  (1964) e realizza deisopralluoghi filmati (Sopraluoghi in Palestina per il Vangelo secondo Matteo , 1963-

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1964) trasformando la macchina da presa in taccuino da viaggio così come fanno gliantropologi sul campo. Pasolini non vuole fare l’antropologo, ma si è sempretrasformato e reinventato attraverso l’analisi sullo stato della cultura e dell’uomo

realizzate da punti di vista molto differenti gli uni dagli altri. Non ha mai pensato diessere solo un poeta, solo un romanziere, solo un regista o un antropologo. Quando sisposta da un continente all’altro alla ricerca della spiegazione della cultura umana,dell’uomo primitivo, delle tradizioni e del folklorico allo scopo di interpretare lacondizione moderna dell’uomo, si rende conto che l’utilizzo della macchina da presadiviene un occhio meccanico in sostituzione del proprio in grado di catturare la suaesperienza esattamente così come appare davanti ai suoi occhi in quel preciso istante.Pasolini può così compiere il suo viaggio di ricerca, calarsi sul campo e cercare lerisposte alle sue domande attraverso le riprese dell’esperienza vissuta con isopralluoghi per il film sul Vangelo, testimonianza della vita e delle trasformazioni

economiche, politiche e sociali della cultura araba e dei popoli della Palestina dallanascita di Cristo agli anni Sessanta del Novecento.La documentazione audiovisiva, ricercata e ragionata attentamente, assume

valenza antropologica per la capacità di narrare un ambiente contenete degli uominiche vivono nella loro cultura specifica e lascia emergere la grande capacitàantropologica di Pasolini che riesce a riprodurre diversi modelli di culture attraverso idocumentari realizzati in Italia, in Palestina, in Africa e in India.

Gli antropologi analizzano e studiano le culture definendole attraverso lariproduzione dell’esperienza sul campo documentata su testi scritti e audiovisivi,secondo una prospettiva di studio stabilita, o “teleologica” come viene definitatecnicamente in antropologia sociale, che in quanto tale se verificata assume valenza“scientifica” della ricerca antropologica sul campo. Per gli antropologi l’operapasoliniana quale ricerca sul campo non è puramente scientifica, anche se più volteantropologi e etnologi citano i film di Pasolini, e non solo i film documentari, qualidocumenti in grado di spiegare culture e aspetti di modelli di culture delle quali nonesistono altri documenti . Bisogna infatti porre attenzione al particolare significatoassunto dai film quali testimonianze che documentano l’uomo e la cultura grazie allacapacità ontologica, assunta dal cinema sin dalla sua origine, di essere strumento diriproduzione tecnologica del reale.4 Infatti, sin dagli inizi del Novecento, gliantropologi si accorgono che il cinema ha la grande capacità di rappresentare l’uomovivente e la sua cultura, anche se bisognerà attendere gli anni Trenta e le ricerche

condotte da Margaret Mead per la nascita ufficiale dell’antropologia visiva. I primistudi antropologici definiscono “scientifica” la capacità del mezzo filmico – in gradodi sostituire il taccuino da viaggio con uno strumento che finalmente dà la possibilitàdi mostrare l’uomo attraverso delle riprese realizzate sul campo – di riprodurremovimenti, gesti, fattezze e in seguito, quando arriverà il sonoro, registrare eriprodurre i suoni, le lingue ed il pensiero stesso degli uomini attraverso la parola. Sipensi all’uso del dialetto nei film di Pasolini quale elemento forte della costruzionefilmica; attraverso una lingua diversa da quella spontanea e originaria dellapopolazione messa in scena non si potrebbe avere lo stesso significato antropologicodell’uomo e dei luoghi rappresentati. Pasolini è alla ricerca dell’uomo originario,

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scelta ideologica non secondaria che accomuna lo studio antropologico e il lavorocinematografico pasoliniano.

Ma cos’è per Pasolini la ricerca dell’uomo originario? È la ricerca utopica di

trovare, o ritrovare − se è ancora possibile − l’uomo puro, l’uomo che è sopravvissutoalle classificazioni sociali senza farsi corrompere dalla borghesia. L’intera operapasoliniana si assume l’arduo compito di documentare l’uomo superando etravalicando la nazionalità.

I successivi documentari, Appunti per un film sull’India (1967-1968), Appunti per 

un’Orestiade Africana (1969), Le Mura di Sanna’a (1971), costituiscono un’operazioned’indagine antropologica in cui si ricercano delle specificità culturali. All’interno ditali specificità Pasolini spiega la realtà sociale dell’uomo evolutosi fino alla modernitàe mostra contemporaneamente la geografia delle culture e la crescita dell’umanitàattestando come la povertà è radicata in tutte le società ed è parte dell’uomo quale

risultato delle classi sostenute dai corrotti, dal progresso e dal potere.Pasolini nel tentativo di spiegare la distruzione operata dall’uomo ai danni di sestesso e delle culture originarie mette in scena la morte, metafora dell’uomo corrottoche diretto verso la distruzione non ha alcuna via di scampo al suo destino. Ilsignificato specifico assunto della morte nella rappresentazione filmica pasoliniana èlegato al tentativo di spiegare l’uomo guardandolo a ritroso nel tempo, partendo dallesue origini e allo stesso tempo osservandolo nel suo cammino verso il futuro o versoquello che è il destino, percorso nel quale Pasolini rintraccia sempre l’innestarsi diforze di potere che ne determinano la distruzione e la morte. Pasolini attraverso lasacralità ed il mito – inteso quale destino, ciò che è segnato e destinato e non può nonaccadere – da delle risposte e dei significati profondi alle azioni dell’uomo compiutedurante questo tragitto ed afferma della morte che essa: « […] opera una rapida sintesi 

della vita passata e la luce retroattiva che essa rimanda su tale vita ne trasceglie i 

 punti essenziali facendone degli atti mitici o morali fuori del tempo. Ecco, questo è il 

modo con cui una vita diventa una storia» .Pasolini è stato decisamente un buon antropologo ed è limitativo parlare di

antropologia filmica nell’opera pasoliniana riferendosi solo a Edipo Re (1967), Medea 

(1969-1970) ed al discorso dell’autore intorno al mito, alla sacralità o alla religione.L’opera documentaristica pasoliniana, sia nei contenuti che nella forma, è moltovicina alla ricerca antropologica anche se il chiaro intento dell’autore è stato quello difare cinema, il cinema della modernità, dove travalicando i generi e le forme Pasolini

ha insegnato che il cinema è un linguaggio in continua evoluzione, espressione delpensiero dell’uomo e dell’uomo stesso in grado di svelare la realtà attraverso la realtà.

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1 Deleuze G., L’immagine tempo , Ubulibri, Milano, 1989, p. 41.2 Così come affermato al Premio Libero Bizzarri 2005 da Manoel de Oliveira riguardo al cinema della modernità edelle sue stesse opere: «il cinema del pensiero sono quei film attenti alla rappresentazione dell’uomo, dell’uomo 

immerso nel mondo e nel contesto in cui esso agisce, si muove e pensa» . È chiaro che sia l’opera di Pasolini chel’opera del grande maestro de Oliveira, sono esempi molto significati di quello che Deleuze chiama il cinema dipensiero o cinema della modernità.3

De Vincenti G., Il concetto di modernità nel cinema , Pratiche Editrice, Parma, 1993.4 Ha affermato Maoel de Oliveira durante un incontro con gli studenti delle scuole nelle mattinate del PremioLibero Bizzarri che: «quando i fratelli Lumiere girano i loro primi film realizzano dei documentari. Allo stesso 

modo quando posizioniamo la macchina da presa davanti ad un fatto che accade, se quel fatto non sa di essere 

ripreso, quello che otteniamo è molto vicino al documentario. Così l’uscita dalla fabbrica del primo film dei 

Lumiere è documentazione visiva di un avvenimento, ma non scientifica perché realizzata con intenzioni 

artistiche, di utilizzo del mezzo tecnico per riprodurre il movimento umano attraverso il cinema, e non con chiari 

intenti antropologici di analizzare culturalmente quel comportamento» .