69
INDICE Introduzione…………………………………………………………………..2 Epatite Autoimmune…………………………………….…..…………………..2 Cirrosi Biliare Primitiva……………………………………….…………………7 Colangite Sclerosante Primitiva……………………………………………….20 Scopo dello studio………………………...………………………………23 Pazienti e Metodi………………………..…………………………………24 Selezione dei pazienti………………………………………………………….24 Immunofluorescenza Indiretta…………………..…….………………………25 Immunoblot………………………………………………...……………………26 Valutazione clinica dello score system dell’IAIHG……...……………………27 Risultati…………………………………………………………………………28 Immunofluorescenza Indiretta………………………….………………………28 Immunoblot……………………………………………….………………………29 Valutazione clinica dello score system dell’IAIHG……………………………29 Discussione………………………………………….…………………..……30 Tabelle…….………………………………………….…………………………36 Riassunto…………………………………………….………………….………38 1

Sindromi da overlap in epatite e colangite; …users.libero.it/avincent/Tesi/TesiVincenzototale.doc · Web viewIn considerazione della diversa prevalenza di reattività dei sieri

  • Upload
    doantu

  • View
    216

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

INDICE

Introduzione…………………………………………………………………..2

Epatite Autoimmune…………………………………….…..…………………..2

Cirrosi Biliare Primitiva……………………………………….…………………7

Colangite Sclerosante Primitiva……………………………………………….20

Scopo dello studio………………………...………………………………23

Pazienti e Metodi………………………..…………………………………24

Selezione dei pazienti………………………………………………………….24

Immunofluorescenza Indiretta…………………..…….………………………25

Immunoblot………………………………………………...……………………26

Valutazione clinica dello score system dell’IAIHG……...……………………27

Risultati…………………………………………………………………………28

Immunofluorescenza Indiretta………………………….………………………28

Immunoblot……………………………………………….………………………29

Valutazione clinica dello score system dell’IAIHG……………………………29

Discussione………………………………………….…………………..……30

Tabelle…….………………………………………….…………………………36

Riassunto…………………………………………….………………….………38

Bibliografia………………………………………….…….……………………41

1

Introduzione

La dizione di “sindrome da overlap” (SO) esprime il concetto di sovrapposizione

che, applicato alla patologia epatica autoimmune, sottende la contemporanea

presenza di caratteri peculiari di differenti entità nosologiche in un singolo

paziente. Lo spettro delle patologie a carattere autoimmunitario del fegato vede

ad un estremo l’epatite autoimmune (EAI), classicamente suddivisa in tipi in

funzione delle reattività autoanticorpali presenti, all'altro le patologie a carattere

colangitico classicamente rappresentate dalla colangite cronica non suppurativa,

meglio nota come Cirrosi Biliare Primitiva (CBP), e dalla Colangite Sclerosante

Primitiva (CSP). Prima di affrontare l'aspetto propriamente riconducibile alla

sovrapposizione della componente epatitica e di quella colangitica riteniamo

opportuno affrontare un breve excursus su quelle che sono le tre entità

nosologiche autoimmunitarie epatiche; e cioè l'EAI, la CBP e la CSP.

Epatite Autoimmune

L’epatite autoimmune (EAI) è “una malattia che non mostra tendenza alla

risoluzione spontanea, ha un substrato istopatologico di epatite periportale, è di

solito associata ad ipergammaglobulinemia policlonale e presenza di

autoanticorpi sierici e risponde alla terapia immunosoppressiva nella maggior

parte dei casi” [1]. L’EAI è una malattia relativamente rara (incidenza 0.1-1.2 x

2

105 casi/anno ed una prevalenza stimabile in circa 15 x 105 casi) [2] e ad

eziologia sconosciuta, per cui non esiste un singolo criterio in sè sufficiente per

porre una diagnosi, che risulta quindi una diagnosi di esclusione. Nel 1999

l’International Autoimmune Hepatitis Group-IAIHG ha ribadito i criteri diagnostici

dell’EAI [3], già proposti qualche anno prima, e basati su un sistema di punteggio

- positivo o negativo- che tiene in considerazione una serie di parametri clinici,

biochimici, virologici ed immunologici, la presenza di fattori eziologici noti, il

quadro istologico, l’assetto genetico e la risposta alla terapia

immunosoppressiva. Il punteggio cumulativo permette di concludere per una

diagnosi di EAI “definita” o “probabile”, ovvero di escludere la diagnosi di EAI

(Tabella 1). La presentazione clinica della malattia risulta estremamente

polimorfa, e può essere schematicamente suddivisa in 3 modalità: acuta, cronica

ed asintomatica. L’esordio acuto, osservabile nel 20-30% dei casi, simula in tutto

e per tutto il quadro dell’epatite acuta itterica, virale o da altre cause. La

progressione insidiosa della malattia determina nel 30-40% dei casi una

sintomatologia aspecifica contraddistinta da astenia, malessere generale e calo

ponderale. Nel restante 30-40% dei casi non è presente alcuna sintomatologia e

la diagnosi risulta del tutto incidentale. Spesso l'EAI è associata a manifestazioni

extra-epatiche quali distiroidismo, artriti/artralgie, diabete mellito, malattie

infiammatorie intestinali, sindrome di Sjögren, per cui spesso tali pazienti sono

osservati inizialmente in ambiente endocrinologico o reumatologico [4]. L’EAI, in

linea generale, è una malattia ad alta attività biochimica (elevati valori di

transaminasi e di -globuline) ed istologica, con quadri di epatite dell’interfaccia

3

(“piecemeal necrosis”), necrosi “a ponte”, necrosi multilobulare. L’IAIHG ha

considerato marcatori di rilevanza diagnostica i seguenti autoanticorpi, ricercati

mediante immunofluorescenza indiretta alla diluizione del siero test di 1:40 (un

cut-off di positività più basso è suggerito in caso di patologia pediatrica):

- autoanticorpi antinucleari (ANA)

- autoanticorpi anti muscolo liscio (SMA)

- autoanticorpi anti microsomi di fegato e rene (anti-LKM1).

In caso di negatività dei suddetti marcatori sono presi in considerazione altri

autoanticorpi “definiti”, dei quali cioè siano disponibili informazioni pubblicate,

relative alla metodologia di indagine e alla rilevanza nella diagnosi di EAI

(anticorpi anti-ASialoGlycoProtein Receptor – anti-ASGP-R, anti-Soluble Liver

Antigen/Liver Pancreas – anti-SLA/LP, anti-Liver Cytosol type 1 – anti-LC1, anti-

Human Hepatocyte Plasma Membrane – anti-HHPM, anti-Sulfatide) [5].

In base alla presenza dei diversi autoanticorpi l’EAI è correntemente suddivisa in

tre forme:

l’EAI di tipo 1, positiva per ANA e/o SMA,

l’EAI di tipo 2, positiva per anti-LKM1 e/o anti-LC1,

l’EAI di tipo 3, positiva per anti-SLA/LP.

Va comunque sottolineato che il quadro clinico, biochimico ed istopatologico

delle tre forme è sostanzialmente simile. Fa eccezione l’età di insorgenza della

malattia, significativamente più bassa nella maggior parte dei casi di EAI di tipo

2, che spesso esordisce in età pediatrica. Da segnalare infine la recente

osservazione di anticorpi anti citoplasma perinucleare dei neutrofili (pANCA) in

4

due terzi dei casi di EAI di tipo 1, ma non di EAI di tipo 2; la rilevanza dei pANCA

nella diagnostica e nel monitoraggio rimane tuttora da chiarire [6]. Autoanticorpi

pANCA sono osservabili con la stessa prevalenza nel 70-80% dei casi di CSP.

Non esiste una cura per l’EAI, per cui l’obiettivo è quello di “spegnere” la flogosi

epatica cercando di limitare al minimo gli effetti collaterali legati ai farmaci

utilizzati. Il cardine della terapia farmacologica dell’epatite autoimmune è

rappresentato dalla terapia immunosoppressiva, in particolare dalla terapia

steroidea, da sola o in associazione con aziatioprina. La maggior parte dei

pazienti trae beneficio dalla terapia steroidea, mediante una riduzione della

citonecrosi epatocitaria e della flogosi epatica con remissione della malattia. Con

il termine di remissione si intende la normalizzazione dei parametri biochimici

(transaminasi, ipergammaglobulinemia) ed un miglioramento del quadro

istologico. La terapia steroidea non è però completamente soddisfacente; infatti

le recidive di malattia durante il “tapering” del cortisone e nel caso di

sospensione completa, la frequente comparsa di effetti collaterali quali diabete,

irsutismo, osteoporosi, ipertensione rendono comunque necessaria una continua

ed attenta modulazione del dosaggio terapeutico dello steroide nel singolo

paziente. Vengono considerate indicazioni assolute alla terapia

immunosoppressiva valori di transaminasi uguali o superiori a 10 volte la norma,

oppure superiori a 5 volte la norma ed associati ad un aumento di più del doppio

delle -globuline, il riscontro istobioptico di necrosi a ponte o multilobulare e la

presenza di sintomi inabilitanti. Laddove le alterazioni cliniche, biochimiche ed

istologiche siano invece di minore entità non vi è indicazione alla terapia. Se il

5

quadro è già evoluto verso uno stadio di cirrosi con insufficienza epatica

l’indicazione terapeutica è il trapianto d’organo. Il protocollo terapeutico prevede

una prima “fase di attacco” con dosaggi medio-elevati (0,5-1 mg/Kg/die) di

metilprednisolone (Urbason, Medrol) allo scopo di contrastare la flogosi

epatica, verosimile espressione biochimica ed istopatologica dell’attacco

immuno-mediato verso l’epatocito. In seguito, quando è stato ottenuto un

controllo soddisfacente della citonecrosi epatocitaria la terapia deve essere “di

mantenimento” della remissione, per cui è opportuno ridurre molto lentamente il

dosaggio steroideo, al fine di ridurre o comunque limitare gli effetti indesiderati di

tale farmaco. Quando gli effetti collaterali siano importanti o non sia possibile

ridurre lo steroide senza evitare che la flogosi epatica riprenda con vigore, può

essere utile introdurre, in combinazione con il cortisone, l’azatioprina (Imuran) al

dosaggio di 50 mg/die. L’introduzione dell’azatioprina si pone l'obiettivo di ridurre

ulteriormente, in corso di mantenimento, il dosaggio dello steroide. Il trattamento

combinato risulta invece mandatorio in tutti quei casi in cui coesistano patologie

che verrebbero ulteriormente aggravate da terapie steroidee prolungate ad alti

dosaggi (diabete, osteoporosi, ipertensione, obesità). Le principali

controindicazioni all’utilizzo dell’azatioprina sono rappresentate da età giovanile,

gravidanza e coesistenza di pancitopenia. In caso di riaccensione della flogosi

epatocitaria è indicato il ricorso ad un nuovo ciclo di terapia “di attacco”. Alcuni

pazienti non rispondono in maniera completa alla terapia, in quanto, nonostante

un miglioramento dei parametri biochimici, non è raggiunto lo stato di completa

remissione; in tali casi l’obiettivo deve essere quello di identificare, in maniera del

6

tutto empirica, il più basso dosaggio di steroidi efficace. Altri farmaci ad azione

immunosoppressiva (tacrolimus, ciclosporina, budesonide, mofetil micofenolato)

sembrano produrre risultati promettenti, ma necessitano di ulteriori conferme

sono necessarie prima di potere essere affiancati agli attuali farmaci d’elezione.

Non sembra invece avere nessuna efficacia l’associazione degli acidi biliari alla

terapia steroidea. In corso di EAI, oltre alla terapia specifica tesa al controllo

della malattia, spesso si rivela utile il ricorso a terapie adiuvanti atte al controllo

delle manifestazioni che la terapia di base può comportare; in quest’ottica trova

ragione ed ha un suo razionale la somministrazione di calcio, vitamina D,

difosfonati, e di terapia ormonale nella donna in post-menopausa. Il trapianto di

fegato è riservato sostanzialmente a quei pazienti che presentano evoluzione in

cirrosi scompensata con quadro di insufficienza epatica, e ai casi di epatite acuta

a decorso fulminante che non rispondono alla terapia steroidea ad alti dosaggi.

Da non trascurare comunque che il trapianto di fegato in pazienti con EAI

comporta una maggior serie di problemi nel post-trapianto legati a rigetto

d’organo acuto e cronico ed alla scarsa responsività alla terapia steroidea

rispetto ai pazienti trapiantati per epatopatie ad eziologia differente. E’ stata

segnalata la possibilità di recidiva della EAI a livello del fegato trapiantato, specie

in relazione alla riduzione del trattamento immunosoppressivo.

Cirrosi Biliare Primitiva

7

La Cirrosi Biliare Primitiva (CBP) è una patologia epatica cronica ad impronta

colestatica, di origine sconosciuta ed a carattere evolutivo che colpisce

preferenzialmente donne di mezza età, la cui evoluzione può portare ad

insufficienza epatica ed a necessità di trapianto d’organo [7]. L’incidenza e la

prevalenza della CBP sono rispettivamente di 1.6 x 105 casi/anno e di 14.6 x 105

[2]. La diagnosi di CBP si basa su criteri clinici, biochimici, immunologici ed

istologici; un singolo test, cioè la positività per l’anticorpo anti-mitocondrio (AMA)

mediante immunofluorescenza indiretta, è però di per sè sufficiente per avanzare

il sospetto diagnostico di CBP con un grado di probabilità estremamente elevato.

La positività dell’AMA rappresenta il primo evento che compare nella storia

naturale della CBP [8]; può infatti precedere anche di molti anni le alterazioni

biochimiche tipiche della malattia aumento della fosfatasi alcalina e della

gammaglutamiltranspeptidasi (-GT), le quali a loro volta precedono la

comparsa della sintomatologia clinica (prurito, ittero, sintomi e segni di

insufficienza epatica). La precocità della comparsa dell’AMA, unitamente alla

sensibilità ed alla specificità di malattia che tale reattività esprime, rafforza

l’ipotesi a favore di un suo possibile coinvolgimento anche in ambito

patogenetico. La precocità della sua comparsa permette inoltre di effettuare una

diagnosi precoce e conseguentemente di instaurare a tempo debito l’appropriata

terapia. E’ degli ultimi anni l’acquisizione che il trattamento con acido

ursodesossicolico sembra in grado di modificare la storia naturale della malattia

rallentandone l’evoluzione senza indurre apprezzabili effetti collaterali [9, 10].

Sotto il profilo clinico e biochimico la colestasi rappresenta l’aspetto più

8

caratteristico della CBP. Naturalmente, l’espressione della colestasi varia sotto il

profilo sia qualitativo che quantitativo nel corso della malattia. L’unico stadio nel

quale, per definizione, non sono identificabili alterazioni correlate alla colestasi è

quello preclinico, quando come detto in precedenza può però essere già

identificabile l’AMA. I più sensibili marcatori biochimici di colestasi e quindi i più

utili nella pratica clinica sono rappresentati dalla fosfatasi alcalina e dalla -GT.

E’ consueto osservare, in genere in una fase successiva a quella dell’elevazione

della fosfatasi alcalina e della -GT un aumento delle aminotransferasi, spesso

con inversione del rapporto tra alanina- e aspartato-aminotransferasi. L’ultimo a

modificarsi tra gli indici di laboratorio associati alla colestasi è la bilirubinemia. La

sua correlazione inversa con l’integrità dei dotti biliari rendono particolarmente

utile ai fini prognostici le modificazioni dei suoi valori, a differenza di quanto

avviene per i livelli sierici degli enzimi e degli acidi biliari. La ragione per cui la

bilirubinemia compare solo tardivamente rispetto ad altri indici è da ricercare

nella notevole riserva funzionale dei meccanismi di trasporto epato-canalicolare

della bilirubina coniugata che sono, a parità di richieste fisiologiche, circa 5-10

volte più efficienti di quelli degli acidi biliari. Sotto il profilo clinico il segno più

tipico correlato alla colestasi è l’ittero che, comunque, è riconoscibile a livello

sclerale solo a livelli di bilirubinemia superiori a 2 mg/dL e a livello cutaneo a

livelli all’incirca doppi; è superfluo ricordare a questo punto come l’ittero

rappresenti un segno “tardivo” ai fini diagnostici e possa essere invece utilizzato

come marcatore prognostico di malattia. Altri segni cutanei correlati più o meno

direttamente alla colestasi sono l’iperpigmentazione, con una sfumatura

9

melanica localizzata prevalentemente al tronco, e gli xantomi; questi ultimi sono

lesioni giallastre, soffici strettamente correlate all’ipercolesterolemia che

contraddistingue i pazienti con CBP; ne esistono due varianti, una piatta

(xantelasmi) variamente localizzata a livello del collo, dorso, mammelle e tronco

e una variante tuberosa che è preferenzialmente localizzata a livello delle

superfici estensorie degli arti e delle cicatrici. Sono lesioni reversibili, per cui

quando si ha una riduzione della colestasi e quindi dei livelli di colesterolo, si può

verificare una loro riduzione e scomparsa. Il sintoma principale della CBP, che

talora rappresenta anche il sintoma iatrotropo, è rappresentato dal prurito;

l’intensità di tale sintoma varia grandemente, è generalizzato e può essere

invalidante le normali attività quotidiane; per quanto non sussista l’evidenza

scientifica che il prurito correli con l’aumentata concentrazione sierica di una

qualche sostanza normalmente escreta con la bile, la terapia standard del prurito

in corso di CBP avviene con resine a scambio ionico a livello intestinale che

legano e fanno precipitare gli acidi biliari [11]. Recentemente sono stati effettuati

vari studi atti a verificare ed a confermare un’origine centrale del prurito; sono

stati proposti modelli animali in cui vi era l’evidenza che il prurito e quindi l’attività

di grattamento, oggettivamente registrata attraverso appositi sensori cutanei,

associasse con un’attivazione del tono opioidergico e che la colestasi fosse in

grado di determinare un attivazione del tono opioidergico [11]. A questo punto la

terapia sarebbe volta all’utilizzo di molecole antagoniste i recettori per gli

oppiacei (es. naloxone). Le alterazioni del metabolismo osseo, osteomalacia e

osteoporosi soprattutto, sono state costantemente associate alla CBP; il ridotto

10

assorbimento della vitamina D secondario alla colestasi, il ridotto assorbimento

del calcio, le alterazioni ormonali estro-progestiniche del post-menopausa ed

eventuali terapie steroidee sono le molteplici cause alla base di tali quadri; è

altresì vero che un recente studio [12] abbia documentato come l’osteoporosi

non rappresenti un carattere specifico di CBP; infatti la prevalenza della

osteoporosi nei pazienti con CBP era analogo a quello di un gruppo di controllo

matchato per sesso ed età. Il sospetto clinico-laboratoristico di CBP richiede in

genere il supporto del dato istologico ottenuto mediante biopsia epatica. Le

informazioni così ottenute risultano preziose sia sotto il profilo di una conferma

diagnostica sia per la corretta stadiazione della malattia. A questo proposito è

opportuno ricordare che la istopatologia della CBP è stata suddivisa da Scheuer

in 4 stadi [13]. La lesione istopatologica che caratterizza la CBP è rappresentata

da una "colangite segmentaria, cronica, progressiva, non suppurativa e

distruttiva dei dotti biliari interlobulari del diametro di 40-80 . La reale

dimensione dei dotti interessati può peraltro risultare di difficile valutazione, in

quando essi tendono ad allargarsi come effetto della lesione della membrana

basale e della proliferazione epiteliale reattiva conseguente al danno. Nella fase

iniziale della malattia (stadio I) i segmenti interessati mostrano rigonfiamento dei

biliociti o condensazione eosinofila degli stessi e, a tratti, l’epitelio appare

pluristratificato ed infiltrato da linfociti e plasmacellule. Sono presenti inoltre

rotture focali delle strutture dei dotti. Aggregati di cellule epitelioidi o chiari

granulomi si sviluppano in stretta vicinanza o intorno ai dotti interessati. I

granulomi peri- o iuxtabiliari sono costituiti da linfociti, plasmacellule, istiociti,

11

eosinofili e, non raramente, chiare cellule giganti multinucleate. Ludwig ha

proposto una classificazione generale delle colangiti in forme granulomatosa,

linfocitarie e pleiomorfe [14]. La colangite, che costituisce il substrato della

lesione duttale della CBP e che si ritrova nel 50% dei campioni bioptici prelevati

nelle fasi iniziali della malattia, è quella definita da Ludwig come granulomatosa.

Nelle fasi più avanzate il riscontro della "lesione duttale florida" scende al 25%

delle biopsie. Meno frequente è il riscontro, peraltro possibile anche in fase

iniziale di malattia, di una colangite linfocitaria o pleiomorfa ad evoluzione verso

la fibrosi. I dotti di dimensioni inferiori ai 40 possono apparire circondati da

edema e fibrosi, verosimile espressione di un’ostruzione più distale. Ha inoltre

una precisa utilità diagnostica la dimostrazione istologica di un accumulo di rame

e della proteina legante il rame, la metallotioneina; tali alterazioni sono peraltro

indicative di epatopatia cronica colestatica più che di CBP. Col progredire della

malattia verso lo stadio II si assiste allo sconfinamento dell’infiltrato infiammatorio

nel circostante parenchima periportale (da portale l’epatite diviene periportale);

questo si associa a marcata proliferazione duttulare, ben visibile all’interfaccia

porto-parenchimale. Gli epatociti periportali appaiono vacuolati e circondati da

macrofagi d’aspetto "schiumoso" a questo quadro è stato dato il nome di

"piecemeal necrosis biliare". Lo stadio III è contraddistinto dall’accentuazione

della fibrosi, già iniziata nello stadio II, con comparsa di setti che uniscono spazi

portali adiacenti. Nello stadio IV è presente cirrosi franca. La paucità di dotti

biliari interlobulari può essere l’unico indizio della natura della cirrosi. Va rilevato

che lo staging della CBP presenta problemi che possono limitarne alquanto

12

l’utilità dell’operazione. Infatti lesioni caratteristiche di più di una stadio di malattia

possono coesistere nella stessa biopsia; in questi casi è la lesione più avanzata

a definire lo stadio. Il carattere di segmentarietà della lesione duttale fa sì che la

stessa possa non essere inclusa nel campione in esame, specie se non vengono

eseguite sezioni seriate. Sotto il profilo immunologico abbiamo precedentemente

accennato all’AMA ed alla sua utilità diagnostica, che lo rende unitamente al dato

istologico, uno dei due criteri maggiori per porre diagnosi di CBP. L’associazione

AMA-CBP risale alla metà degli anni ’60 [15]. Attualmente la ricerca della

reattività antimitocondriale viene comunemente effettuata nella pratica clinica

mediante immunofluorescenza indiretta, western immunoblotting ed ELISA. Tutte

e tre le metodiche presentano una elevata sensibilità e l’utilizzo dell’una o

dell’altra dipende essenzialmente dall’esperienza degli operatori e dalle

attrezzature di cui il laboratorio dispone. L’IFL utilizza come substrato sezioni

criostatiche non fissate di rene e stomaco di roditore; l’utilizzo di tali substrati

trova la sua giustificazione nell’abbondanza di mitocondri che questi tessuti

propongono, in particolare modo le cellule dei tubuli renali e le cellule parietali

gastriche. Non vi è dubbio che il riconoscimento del pattern immunomorfologico

dell’AMA richiede la capacità di differenziarlo da quello di altri autoanticorpi,

come l’anti-liver kidney microsome (LKM1), reattivi a livello degli stessi substrati

tissutali [16]. Il maggior limite della ricerca dell’AMA in immunofluorescenza,

intrinseco alla tecnica immunomorfologica, è tuttavia rappresentato dal fatto che

il test può peccare di specificità, in quanto consente di valutare la presenza o

l’assenza della reattività ma non l’identificazione dell’antigene o degli antigeni

13

riconosciuti; sono noti infatti anticorpi diretti contro molecole mitocondriali diverse

dai bersagli dell’AMA (ad esempio, gli anticorpi anticardiolipina, che riconoscono

l’epitopo contenente il difosfatidilglicerolo). Più complessa, ma anche dotata di

maggiore sensibilità e specificità, è la tecnica rappresentata dal western

immunoblotting che utilizza preparazioni mitocondriali come sorgente di

antigene. E’ rapidamente emerso che l’AMA reagisce con più peptidi

mitocondriali di vario peso molecolare, compreso tra 74 e 41 kDa. Nel 1987 è

stato sequenziato e clonato il cDNA che codifica per un peptide target di 74 kDa

[17], riconosciuto come il principale autoantigene bersaglio dell’AMA ed

identificato nel 1988 come la componente E2 del complesso della piruvato

deidrogenasi (PDC-E2) [18, 19]. Allo stesso modo sono stati identificati i bersagli

antigenici corrispondenti agli altri peptidi reattivi in immunoblotting. In generale, si

tratta delle componenti E2 (ad attività diidrolipoamide acetiltransferasica, in

grado di catalizzare il trasferimento riduttivo di un gruppo acetilico dai rispettivi

substrati al coenzima A per l’ossidazione nel ciclo di Krebs) di una famiglia di

enzimi funzionalmente correlati, chiamata complesso della 2-oxo-acido-

deidrogenasi (2-OADC), comprendente il complesso della piruvato deidrogenasi

(PDC-E2), il complesso della branched-chain 2-oxo-acido deidrogenasi

(BCOADC-E2) [20] [21], ed il complesso della oxoglutarato deidrogenasi (OGDC-

E2) [22, 23]. Inoltre viene riconosciuta dall’AMA la subunità E1a [24] e la

proteina E3BP (la cui funzione sembra essere quella di legare la subunità E3)

della piruvato deidrogenasi [25]. Mediante immunoblotting con preparato di

mitocondri è possibile determinare la fine caratterizzazione delle specificità di

14

ogni singolo siero; non sembra comunque esistere una correlazione clinico-

immunologica fra data specificità e stadio clinico della malattia, e questo rende

superfluo il monitoraggio della patologia mediante lo studio delle singole

reattività. L’identificazione biochimica degli antigeni mitocondriali riconosciuti

dall’AMA, la clonazione e l’espressione di proteine mitocondriali in forma

ricombinante hanno facilitato la fine caratterizzazione della reattività

antimitocondriale e la messa a punto di specifici reattivi diagnostici per il

rilevamento dell’AMA mediante ELISA. L’ELISA è un test sensibile e specifico e

consente di saggiare contemporaneamente più sieri a varie diluizioni. In

considerazione della diversa prevalenza di reattività dei sieri AMA positivi nei

riguardi delle varie proteine target e considerando che nessuna di esse è

riconosciuta dal 100% dei sieri, è necessario che l’ELISA utilizzi uno spettro di

antigeni che comprenda tutte le varie proteine target. Questo si è ottenuto

attraverso la costruzione di "designer molecules", in cui più antigeni bersaglio

sono espressi come una singola proteina ibrida. L’ELISA allestito con questo

reattivo non sembra essere più sensibile e specifico dell’immunoblotting con le

singole proteine antigeniche ricombinanti; tuttavia è un test di facile esecuzione

che offre il grande vantaggio di consentire lo studio contemporaneo di un alto

numero di campioni. L’AMA rappresenta sicuramente il marcatore sensibile e

specifico di CBP, ma vi è una minoranza di casi (5-10%) in cui tale reattività non

è riscontrabile a livello sierico, e ciò può ritardare od addirittura misconoscere la

diagnosi di CBP; l’assenza di AMA nell’ambito della CBP è argomento

largamente dibattuto, e al quale sono stati dedicati numerosi studi in questi ultimi

15

anni [26-29]. Di recente e’ stato introdotto il termine di colangiopatia o colangite

autoimmune (CA) [30-33]. Nell’accezione più ampia dovrebbe definire ogni

malattia biliare con aspetti indicativi di autoimmunità. In un’accezione più ristretta

è usato per descrivere una patologia colestatica le cui caratteristiche

biochimiche, cliniche ed istologiche sono del tutto sovrapponibili a quelle della

CBP: il quadro della colangio-pancreatografia retrograda endoscopica non rivela

alterazioni dell’albero biliare, escludendo di fatto il sospetto di Colangite

Sclerosante Primitiva; l’AMA, marcatore sensibile e specifico della CBP, è

assente, mentre sono presenti autoanticorpi antinucleari e/o anti muscolo liscio.

Studi condotti su ampie casistiche di pazienti con diagnosi clinica ed istologica di

CBP non hanno dimostrato differenze significative sul piano biochimico, clinico e

istologico tra pazienti AMA positivi e pazienti AMA negativi [26, 27, 34]. Sotto il

profilo della collocazione nosologica i casi di colangite autoimmune sono

inquadrabili in tutto e per tutto come CBP, negativi per AMA, ma con altre

autoreattività anticorpali dimostrabili, lasciando la dizione di CBP AMA negativa

ai casi senza autoreattività evidenziabili. La natura delle reattività nucleari

descritti in corso di CA sono analoghe a quelle presenti in corso di CBP. Per

chiarezza espositiva noi ci limiteremo a suddividere i casi in CBP AMA positivi e

CBP AMA negativi. Fra i pattern immunomorfologici descritti in associazione con

la CBP una rilevanza di primo piano la possiedono il Multiple Nuclear Dots

(MND) e il Rim-like/Membranoso, mentre la presenza di altri pattern è spesso

subordinata a patologie coesistenti con la CBP stessa, come per esempio

l’anticorpo anti-Centromero diagnostico sia della variante CREST della

16

sclerodermia senza CBP, sia dell’associazione CBP+CREST. Con il termine di

anticorpi anti-MND si intende una reattività diretta contro antigeni nucleari,

rilevabile mediante tecniche immunomorfologiche. Usando come substrato

cellule HEp-2 il pattern di positività è assai caratteristico ed è costituito da una

positività nucleare punteggiata: si osserva la presenza 3-20 punti di diverse

dimensioni, variamente distribuiti all’interno del nucleo, ma non a livello dei

nucleoli. Tipicamente negativi sono i nuclei delle cellule in mitosi. Tale reattività è

stata descritta con prevalenze variabili nelle varie casistiche (13-42%) di

CBP[35] [36]; la sua importanza deriva tuttavia dal fatto che è presente nel 60%

di casi di CBP AMA negative. Per quanto caratteristico, il pattern di positività

della reattività MND deve essere differenziato da quello di reattività similari, quali

ad esempio quello dell’anticorpo anti-centromero (dots più numerosi, positività

delle cellule in mitosi) [37]. Inoltre la eventuale presenza di altri anticorpi

antinucleari con positività di tipo punteggiato (speckled) può rendere difficile il

riconoscimento del pattern MND. Per tali motivi l’immunofluorescenza indiretta

non può essere considerata la tecnica d’elezione nella ricerca della reattività anti-

MND. Mediante western immunoblotting la reattività anti-MND tipica della CBP è

diretta contro proteine nucleari del peso molecolare di 78-92-kDa e 96-100-kDa,

presenti nei "nuclear bodies" [38]. I target antigenici del pattern

immunomorfologico MND sono stati identificati nella proteina Sp100 e nella

proteina denominata PML, entrambe rappresentate a livello dei “dots” nucleari;

l’Sp100 è una proteina con un peso molecolare di 53 kD, che però a livello

elettroforetico presenta una migrazione aberrante a 100 kD; l’importanza di tale

17

proteina, della quale, invero, non si sa molto, risiede nella sua azione di

stimolazione della attività di trascrizione e nel fatto che la sua prodzione sia

accresciuta dall’interferone gamma; la sequenza di Sp100 presenta due regioni

con notevole grado di omologia nei confronti di proteine note. Un dominio di 40

aminoacidi, localizzato nella metà aminoterminale, presenta un’omologia

superiore al 60% con la regione legante l’antigene delle molecole HLA di classe

I. Una sequenza localizzata nella regione carbossiterminale presenta notevole

somiglianza con vari fattori che regolano la trascrizione [39]. La PML è una

proteina originariamente descritta in pazienti con leucemia acuta promielocitica.

Essa co-localizza con l’Sp100 a livello dei “dots” nucleari e risulta

abbondantemente prodotta nei tessuti sede di flogosi e neoplasia. Sp100 e PML

oltre a possedere una analoga localizzazione a livello nucleare sono state

dimostrate essere anche co-immunogeniche, per cui nel 90% dei casi si trovano

reattività sia contro l’una che contro l’altra proteina [40]. Non stupisce che le

prevalenze fra il pattern immunomorfologico MND e gli anticorpi anti-Sp100 siano

differenti, a favore di una maggiore sensibilità dell’anti-Sp100 (34% vs 17%); la

spiegazione risiede sia nel fatto che la metodica immunoenzimatica (ELISA)

utilizzata per la ricerca dell’anti-Sp100 sfrutti l’utilizzo di una proteina

ricombinante come fonte antigenica, sia nel fatto che, come accennato in

precedenza il pattern MND possa essere in talune occasioni mascherato dalla

coesistenza con altri pattern immunomorfologici. Oltre ad una maggiore

sensibilità, l’Sp100 rispetto all’MND presenta anche una specificità di malattia

superiore [37] [41]. Rare ed occasionali reattività anti-Sp100 sono state anche

18

riscontrate in pazienti “reumatologici”. Unitamente all’MND, l’altro pattern

immunomorfologogico caratteristico della CBP è rappresentato dal cosidetto

Rim-like pattern, caratterizzato dalla positività in fluorescenza a livello della

membrana nucleare; tale positività può essere poi distinta in “smooth” o

“punctate”, in funzione degli antigeni sottostanti tale reattività [42]: come nel caso

dell’MND infatti le specificità antigeniche responsabili di tale pattern sono state

identificate e caratterizzate; si tratta sostanzialmente di un “cluster” di proteine

facenti parte della membrana nucleare interna e del “complesso dei pori

nucleari”, la cui azione specifica è rappresentata dal fatto di costituire una sorta

di barriera permeabile al passaggio di proteine, di cui media e regola il passaggio

dal nucleo al citoplasma e viceversa [43]. La specificità proteica responsabile del

pattern Rim-like “smooth” è rappresentata dal recettore per la lamina B (LBR), la

cui importanza risiede in una elevatissima specificità per CBP [42], mentre la

sensibilità e’ assolutamente modesta (1-4%), mentre del pattern Rim-like

“punctate” sono responsabili proteine quali la gp210 e la p62, facenti parte del

“complesso dei pori nucleari” [44-50]. In particolar modo negli ultimi anni sono

stati approfonditi studi su tali specificità anticorpali, che propongono una

sensibilità nell’ordine del 20 % ma una elevata specificità di malattia. Recenti

studi hanno anche individuato in tali reattività un possibile marcatore prognostico

negativo sulla storia naturale e sull’evoluzione della malattia [51, 52]. Altre

reattività e pattern immunomorfologici nucleari associati alla CBP sono stati

descritti nel corso degli anni [35, 36, 53]; si tratta comunque di pattern non

specifici e la cui presenza può essere spesso giustificata da patologie, di cui

19

sono marcatori, associate alla CBP (è il caso per esempio dell’anticorpo anti-

Centromero, marcatore della sindrome CREST, e del pattern speckled che talora

può sottendere la presenza di anticorpi anti-antigeni nucleari estraibili (anti-ENA)

quali l’SS-A e l’SS-B, marcatori immunologici della sindrome di Sjiogren) [54].

Colangite sclerosante primitiva

La colangite sclerosante primitiva è una patologia epatica cronica ad impronta

colestatica ad eziologia ignota, caratterizzata da un quadro di infiammazione,

distruzione e fibrosi interessante l’intero albero biliare, sia nella sua componente

intraepatica, sia in quella extraepatica [55]. L’aspetto patognomonico valutabile

mediante ERCP è rappresentato da un’alternanza di ristringimenti e dilatazioni a

carico dell’intero sistema billiare, il cosidetto "beading". L’incidenza e la

prevalenza della CSP sono rispettivamente 1.3 x 105 casi/anno e 8.5 x 105 [2]. A

differenza di tutte le altre patologie a verosimile origine autoimmunitaria la CSP

presenta una prevalenza del sesso maschile rispetto a quello femminile [56].

Sotto il profilo istologico la CSP può essere suddivisa in 4 stadi differenti, che

rappresentano uno l’evoluzione dell’altro [57], a cominciare da un quadro di

degenerazione dell’epitelio biliare con infiltrato linfocitario a livello dei dotti biliari

ed allargamento degli spazi portali (stadio I); tale quadro tende poi a diffondersi

con carattere evolutivo, a cui si asociano duttopenia e possible presenza di

necrosi periportale e fibrosi (stadio II) fino ad arrivare alla proliferazione di setti

fibrosi, scomparsa dei dotti biliare (stadio III) e franca cirrosi (stadio IV). Uno dei

limiti della valutazione istologica nella CSP è rappresentata dal campionamento

20

delle sezioni istologiche, per cui spesso ci si trova davanti ad aspetti aspecifici e

non diagnostici, mentre la caratteristica lesione a “buccia di cipolla” dei dotti

biliari, quella si patognomonica, è difficilmente visualizzabile. In seguito a queste

considerazioni il "gold standard" per la CSP è rappresentato dalla

colangiopancreatografia retrograda perendoscopica (ERCP), esame invasivo ma

efficace nella fine valutazione sia delle vie biliari intraepatiche sia in quello delle

vie biliari extraepatiche; a tutt'oggi l'ERCP non è ancora stata sostituita come

esame d'elezione dalla Risonanza Magnetica delle vie biliari, anche se l'auspicio,

considerata la mancata invasività di quest'ultimo esame, è che ciò possa

avvenire in tempi rapidi. L’eziopatogenesi della CSP, così come quelle delle altre

patologie a genesi autoimmunitaria è sconosciuta; nel corso degli anni si sono

susseguite varie ipotesi su quali potessero essere i fattori deteminanti un danno

ricorrente a livello delle vie biliari che potesse poi perpetuare la malattia e

determminarne la sua progressione; fenomeni infettivi (sia di origine batterica

intestinale sia di natura virale), metaboliti tossici della bile, danni vascolari a

carico dei dotti biliari unitamente ad un substrato genetico sono i vari elementi

presi in considerazione per formulare le ipotesi patogenetiche alla base di tale

patologia, anche se tutt'ora nessuna delle ipotesi prese in considerazione ha

fornito risposte concrete. Sotto il profilo clinico la patologia decorre generalmente

in modo asintomatico e la diagnosi è spesso incidentale; solo una modesta

percentuale di pazienti (10-15%) presenta una sintomatologia coclamata

all’esordio della malattia, sintomatologia che puo’ essere polimorfa e variare dalla

febbre, all’astenia, all’ittero, al senso di peso all’ipocondrio destro [58]. Come le

21

altre patologie a carattere autoimmunitario la CSP è spesso associata ad altre

patologie, e nel caso specifico presenta una stretta associazione con le Malattie

Infiammatorie Intestinali, ed in special modo con la Rettocolite Ulcerosa (circa il

75% dei pazienti con CSP presentano anche associata una rettocolite ulcerosa)

[59, 60]; proprio dall'associazione con tale patologia sono originate le

speculazioni secondo le quali alla base della CSP potesse essereci una

infezione batterica di origine intestinale [61, 62]. Altre associazioni significative

sono raprresentate da quelle con la tiroidite e con il Diabete Mellito di tipo 1 [57].

Sotto il profilo immunologico, la CSP propone un’ampia prevalenza di p-ANCA

[63], che come visto in precedenza sono anche caratteristici della EAI di tipo 1,

per cui non possono rappresentare un substrato diagnostico specifico di malattia.

Chiaramente non esiste una terapia eziologica per la CSP, l’acido

ursodesossicolico al dosaggio di 13/15 mg/kg/die ha mostrato miglioramenti del

quadro biochimico di colestasi, soprattutto nei primi mesi di terapia, senza

tuttavia grossi benefici sul lungo termine [64], sono tutt’ora in fase di promettente

sperimentazione trials clinici con acido ursodesossicolico a dosaggi maggiori (25-

30mg/kg/die). Inefficaci si sono rivelati invece i farmaci immunosoppressori

testati e valutati quali i corticosteroidi, la penicillamina e il methotrexate [56]. Al

momento il trapianto ortotopico d’organo rappresenta l’unico valido approccio

terapeutico nei pazienti con quadro di insufficienza epatica [56].

22

Scopo del lavoro

Lo scopo dello studio è stato quello di valutare quale fosse la prevalenza di

sindromi da overlap nella nostra casistica di CBP e di CSP, di confrontare i nostri

dati con quanto emerge dalla letteratura e di verificare l'eventuale impatto

epidemiologico che tale quadro potesse esprimere nell'ambito delle patologie

epatiche a carattere autoimmunitario, soprattutto in funzione dei differenti

approcci terapeutici che le singole patologie presuppongono.

23

Pazienti e Metodi

Selezione dei Pazienti

Abbiamo studiato 173 pazienti con colestasi cronica; di questi 173 pazienti in 157

venivano soddisfatti i criteri clinici, biochimici ed immunologici di CBP; in 122 su

157 (78%) presentavano in Immuno Blot una positività per l'AMA, per la diagnosi

posta è stata di CBP AMA positiva; in 35 su 157 (22%) la ricerca di AMA è

risultata negativa, per cui è stata posta la diagnosi di CBP AMA negativa. Tutti e

35 i pazienti con CBP AMA negativa sono stati sottoposti a ERCP al fine di

escludere il quadro tipico “a corona di rosario”, caratteristico di Colangite

Sclerosante Primitiva. In 16 pazienti la colestasi cronica era invece riconducibile

alla CSP, dove il sospetto clinico ha trovato la sua conferma diagnostica

nell'esecuzione di una ERCP. Nella nostra casistica, come atteso, il sesso

femminile era largamente predominante nella CBP (143 donne/14 uomini),

mentre il sesso maschile era maggiormente rappresentato nella CSP (4

donne/12 uomini). Tutte le possibili cause di ostruzione biliare extraepatica sono

state escluse mediante ecotomografia addominale. Le infezioni da virus B e C

dell’epatite sono state ricercate ed escluse mediante le appropriate tecniche di

indagine, così come sono stati escluse sotto il profilo eziologico tutte le cause di

epatopatia metabolica (malattia di Wilson, deficit di alpha-1-antitripsina) e

mediante una attenta e circostanziata raccolta anamnestica le cause di natura

24

tossica e farmacologica. Tutti i campioni di siero sono stati consevati a –20° fino

al momento del loro utilizzo.

Immunofluorescenza Indiretta

Tutti i sieri sono stati testati, ad una diluizione di 1:40 in tampone salino fosfato

(PBS), su vetri contenenti sezioni congelate di fegato, rene e stomaco di ratto.

Dopo un’incubazione in “camera umida” di 20 minuti e successivi tre lavaggi in

PBS di cinque minuti ciascuno, i vetri sono stati incubati, sempre in “camera

umida”, e sempre per 20 minuti con antisiero, cioè con immunoglobuline anti-

umane coniugate con fluorescina, diluite 1:100 in PBS. Dopo ulteriori lavaggi in

PBS, i vetri sono stati “montati” tramite una soluzione di glicerolo e PBS in un

rapporto di 1:1 ed i pattern delle reattività presenti sono stati valutati mediante

microscopio ottico a fluorescenza (Orthoplan, Leitz, Wetzlar, Germany). Tutti i

sieri sono stati successivamente valutati, utilizzando la stessa metodica, su vetri

commerciali contenenti la linea cellulare HEp-2 alla diluizione del siero di 1:100.

I granulociti neutrofili da utilizzare come substrato per la ricerca dei p-ANCA sono

stati purificati come segue a partire da sangue venoso periferico di donatore

sano di gruppo sanguigno 0. Dopo sedimentazione del sangue eparinato e

addizionato con 10 % di destrosio a 37 ºC per 1 ora, il buffy coat ottenuto e’ stato

sottoposto a centrifugazione su gradiente di Ficoll-Hypaque per separare le

cellule mononucleate. Il pellet, contenente globuli rossi e granulociti e stato poi

25

recuperato e sottoposto a lisi ipotonica dei globuli rossi. Dopo aver riportato la

soluzione in condizioni di isotonicità, la sospensione è stata centrifugata a 200 g

per 10 minuti. Dopo ulteriori due lavaggi in soluzione fisiologica, i granulociti

neutrofili così ottenuti sono stati portati alla concentrazione di circa 1x106/ml e

centrifugati su vetrini mediante Cytospin Shadon a 600 rpm per 3 minuti. I vetrini

sono stati poi fissati in alcool assoluto per 10 minuti a temperatura ambiente e

conservati a –20 ºC fino al loro utilizzo.

Immunoblot

Tutti i sieri sono stati testati in immunoblot per la ricerca delle reattività anti-

mitocondriali utilizzando mitocondri di cuore bovino come fonte antigenica. In

breve, le proteine mitocondriali (ad una concentrazione iniziale di 1 mg/ml) sono

state separate mediante una corsa elettroforetica su un gel al 10 % di

poliacrilamide sodio-dodecil solfato (SDS) e successivamente transblottate su

filtri di nitrocellulosa. Dopo un incubazione di tali filtri per un’ora con PBS

contenente latte in polvere al 3 % (soluzione di blocco), tali filtri sono stati tagliati

in strisce, ciascuna delle quali è stata successivamente incubata con il siero da

testare per 90 minuti ad una diluizione di 1:100 nella soluzione di blocco. Dopo 3

lavaggi di 5 minuti ciascuno con PBS contenente Tween allo 0,1 %, le strisce

sono state incubate per 60 minuti con il siero secondario, costituito da IgG anti-

umane coniugate con perossidasi, alla diluizione di 1:500. Dopo ulteriori lavaggi

26

la reazione colorimetrica è stata sviluppata in una soluzione contenente H2O2 e

cloro naftolo per 10 minuti.

Valutazione score clinico dell’IAIHG

Tutti 173 i pazienti sono stati valutati secondo le direttive dell' IAIHG (tabella 1)

mediante l'applicazione dello score numerico che permette di escludere la

diagnosi di EAI, di renderla "probabile" qualora il range raggiunto fosse fra 10 e

15 prima della terapia o 12 e17 dopo la terapia, o di renderla "definita" se fosse

superato lo score di 15 nel pre-terapia e 17 nel post-terapia.

27

Risultati

Immunofluorescenza Indiretta

Fra i 157 pazienti con CBP il tipico pattern antimitocodriale su sezioni di rene

fegato e stomaco di ratto era presente in 112, mentre anticorpi antinucleo erano

presenti nel 56 % (88/157) utilizzando come substrato le HEp-2 alla diluizione di

1:100; fra i 45 pazienti negativi per AMA, 31 erano ANA positivi. La

caratterizzazione delle reattività nucleari ha evidenziato i seguenti pattern:

Speckled in 41 casi (26%), MND in 22 (14%), Rim-like/Membranoso in 17 (11%),

anti-Centromero in 21 (14%) ed Omogeneo in 5 (3%). I 31 casi ANA positivi

AMA negativi evidenziavano i seguenti pattern immunomorfologici in differenti

associazioni: MND (9 pazienti, 20 %), Speckled (19 pazienti, 42 %), Rim-like (11

pazienti, 24%), Omogeneo (5 pazienti, 11 %) ed anti-Centromero (4 pazienti,

9%). 17 (11%) pazienti presentavano anche una reattività anti-muscolo liscio

(SMA); il pattern SMA era di tipo SMA-V (vasi) in 14 casi, SMA-G (glomerulo) in

1, e SMA-T (tubulare) in 1 [65]. 4/157 (2%) erano positività per p-ANCA. Fra i 16

casi di CSP le reattività antinucleo erano pari al 31% (5/16) rappresertate da 2

casi di pattern Speckeld, 2 Omogeneo e 1 Rim-like/Membranoso. Le reattività

anti-SMA erano pari al 27%, in 2 casi il apttern era SMA-T e in 2 casi il pattern

era SMA-V. Nel 69% dei casi (11/16) era presente una positività per p-ANCA.

28

Immunoblot

122 pazienti su 157 (78%) riconoscevano le specifiche bande di positività

all’immunoblot utilizzando come antigene mitocondri di cuore bovino. 117 su 122

reagivano con la proteina E2 del complesso della piruvato deidrogenasi

localizzato a 74 KD, in differenti associazioni con altre proteine mitocondriali

quali la subunità E3 (E3BP), la subunità E2 della 2-ossi-glutarato deidrogenasi

(OGDC) a 48 kD, la subunità E2 della catena corta della 2 ossi-acido

deidrogenasi (BCOADC) a 52 kD e la subunità E1 della piruvato deidrogenasi a

41 kD; 5 dei 122 sieri reagivano solo con la BCOADC a 52 kD. 10 pazienti

negativi per AMA in IFL sono risultati positivi in blot. Sono stati testati in IB per

AMA anche tutti i 16 casi di CSP che sono risultati negativi.

Valutazione dello score system proposto dall’IAIHG

Dei 173 pazienti studiati 9 pazienti raggiungevano un valore numerico dello score

compatibile almeno con EAI “probabile” e precisamente 3 pazienti con CBP , di

cui 2 con CBP AMA negativa, e 6 con CSP (tabella 2). Nessuno dei pazienti con

CBP, indipendentemente dalla positivita’ per l’AMA raggiungeva lo stato di EAI

“definita”, mentre 2 pazienti su 16 con CSP presentavano un valore numerico

dello score compatibile con diagnosi di EAI “definita”.

29

Discussione

Una prima analisi dei nostri risultati comporta una valutazione di carattere

"epidemiologico"; nel complesso nella nostra casisitica costituita da 173 pazienti

solo 7 raggiungevano uno score sufficiente per EAI "probabile" e solo 2

(entrambi con CSP) raggiungevano uno score di EAI "definita"; questo primo

elemento sta a significare come l'entità numerica del problema sia sicuramente

circoscritta, in considerazione anche dei dati epidemiologici delle patologie

colestatiche autoimmuni già ricordati a livello introduttivo. L’altro aspetto da

sottolineare è rappresentato dalla marcata discrepanza esistente nella frequenza

della SO CBP-EAI e SO CSP-EAI; la prevalenza di questa ultima è

significativamente maggiore (p<0,01) (tabella 2) e le motivazioni alla base di

questa differenza sono molteplici; innanzitutto la CBP rappresenta una patologia

maggiormente "oggettiva", cioè è generalmente sufficiente la presenza di un

autoanticorpo affidabile come l'AMA per porre la diagnosi, tanto che la sua

presenza nell'ambito dello score system proposto dall'IAIHG assume un marcato

peso specifico in negativo. E' comunque giusto anche osservare come l'assenza

di AMA, cioè i casi di CBP AMA negativa non propongano variazioni

statisticamente significative nella prevalenza della sindrome da overlap CBP-EAI,

e questo va a confermare come le due patologie (CBP e EAI) rappresentino due

entità generalmente ben separate e di facile distinzione, cosa che però non

esclude la possibile coesistenza di caratteri sovrapposti. Risale alla fine degli

anni settanta la prima segnalazione di questa SO con la descrizione di casi in cui

veniva riscontrata la coesistenza di caratteri clinici appartenenti sia all’EAI, sia

30

alla CBP [66]; successivamente tale sindrome ha acquisito una base

immunologica con la descrizione di “epatiti colestatiche” in cui coesisteva la

positività degli anticorpi caratteristici della EAI e dell’AMA [67]. Gli studi proposti

in letteratura sulla sindrome da overlap CBP-EAI hanno evidenziato prevalenze

analoghe (7 e 9% rispettivamente) [32] [68] e superiori a quella da noi

riscontrata. E' giusto però sottolineare come siano stati applicati criteri diagnostici

differenti rispetto a quelli da noi utilizzati; da una parte l'applicazione dello score

cumulativo proposto nel 1993 [69], che evidenziava una prevalenza di SO EAI-

CBP nel 7% dei casi considerati, dall'altra si è giunti a risultati analoghi (9%)

ricorrendo a criteri diagnostici meno rigidi, che comunque si basavano sull’analisi

di parametri biochimici, immunologici ed istologici rilevanti [68]. Uno degli aspetti

più controversi e fonte di confusione è rappresentato dalla mancanza di

uniformità dei termini usati ai fini della definizione nosografica: ne deriva che

quadri analoghi possono venire etichettati in modo diverso con la conseguenza

che i risultati di indagini epidemiologiche o terapeutiche condotte da gruppi

diversi sono talvolta difficilmente comparabili. Un esempio è rappresentato dalla

dizione “SO” che in talune occasioni è stata utilizzata come sinonimo di

“colangite autoimmune” [31] [70] , laddove invece vi è un sostanziale accordo

nell’identificare la “colangite autoimmune” con una malattia in cui la sindrome

colestatica predomina largamente sulla sindrome epatitica ed è pertanto

essenzialmente sovrapponibile alla CBP, se si eccettua la negatività dell’AMA.

Allo stesso modo si comprende l’importanza di attribuire ad ogni singolo

parametro, sia esso clinico, istologico, immunologico, biochimico o genetico, un

31

appropriato peso specifico ed una giusta valenza; nella revisione dello score

cumulativo per la diagnosi di EAI, recentemente effettuata, è stato raddoppiato il

valore negativo del riscontro dell’AMA, portandolo da –2 a –4; in tal modo oltre

ad aumentare inevitabilmente la specificità della diagnosi di EAI, si è ridotta la

probabilità di raggiungere la diagnosi di SO EAI-CBP, laddove il punto di

partenza fosse rappresentato dalla diagnosi di CBP (AMA positiva). Nel recente

passato è stata proposta un’interessante ipotesi per cui un sottogruppo di

pazienti, accomunati da un particolare substrato genetico, sviluppi caratteri

compatibili con la SO EAI-CBP [71]. Tale ipotesi parte dal presupposto che

difficilmente possano coesistere in un unico paziente due patologie comunque

rare, quali la EAI e la CBP; dal momento che la diagnosi di CBP si fonda su

criteri ben definiti e maggiormente specifici i pazienti con SO EAI-CBP sarebbero

pazienti con CBP; in tali individui un particolare assetto genetico (HLA B8, DR3 o

DR4), che è significativamente associato all’EAI, condizionerebbe la comparsa di

alterazioni comuni all’EAI. Un’ulteriore valutazione in merito alle SO CBP-EAI

proviene dalla sporadica osservazione di casi di CBP che nel tempo hanno

sviluppato caratteristiche proprie di una EAI non solo sotto il profilo biochimico

(con un marcato aumento delle transaminasi), ma anche sotto il profilo

immunologico (con perdita cioè della reattivita’ antimitocondriale e sviluppo di

reattività nucleari), e ciò lascerebbe intravvedere la possibilità che tali disordini

immunologici possano rappresentare un “continuum” di uno stesso spettro e la

cosiddetta sindrome da overlap il punto di passaggio da una condizione all’altra

[70]; se così fosse però, la prevalenza delle SO dovrebbe essere probabilmente

32

maggiore e non rappresentare un quadro relativamente raro rispetto alla CBP e

all’EAI singolarmente diagnosticate. Come accennato in precedenza nel nostro

studio la SO EAI-CSP presenta una prevalenza maggiore ed una signicatività

statistica rispetto alla SO EAI-CBP, e questo a dispetto del fatto che rispetto alla

EAI e alla CBP, la patogenesi autoimmune della CSP sia maggiormente messa

in discussione; essa infatti, a differenza delle classiche patologie autoimmuni,

presenta una maggiore prevalenza nel sesso maschile e non è caratterizzata da

autoanticorpi specifici, oltre a presentare una scarsa responsività alla terapia

steroidea; inoltre l’aspetto istologico epatico che la caratterizza, la fibrosi

periduttulare “a buccia di cipolla”, non è tipica della patologia autoimmune

epatitica o colangitica, caratterizzata dall’infiltrato di cellule mononucleate. Ci

sono però caratteri peculiari della CSP che ricordano quelli dell’EAI, ed in

particolare modo l’associazione con determinati alleli HLA (HLA-B8, DR3, e

DRw52), l’elevata prevalenza di pANCA, la frequente associazione con altre

patologie di natura autoimmunitaria. Queste analogie contribuiscono

verosimilmente in maniera determinante a giustificare l’elevata prevalenza di SO

EAI-CSP, qualora si applichi lo score cumulativo dell’EAI; le differenti casistiche

propongono una prevalenza della SO variabile tra il 35 e il 52 %[32] [72], quando

sia stata applicata la prima edizione dello score; è doveroso però sottolineare

come in realtà la maggioranza dei casi raggiungesse un punteggio compatibile

con una diagnosi di EAI probabile e solo l’1.7 % uno score di EAI definita. La

recente revisione dello score cumulativo, modificando il punteggio attribuito ad

alcuni parametri biochimici (rapporto fosfatasi alcalina/transaminasi glutammico

33

piruvica) ed aumentando la specificità del dato istologico delle lesioni biliari, ha

comportato una soddisfacente riduzione della prevalenza di SO EAI-CSP. La

nuova analisi condotta su una casistica di 114 casi di PSC, in cui inizialmente la

prevalenza di EAI probabile era del 33% e di EAI definita dell’1.7%, ha ridotto la

prevalenza di EAI probabile (e quindi la presenza di SO EAI-CSP) all’8.7%,

lasciando inalterata la prevalenza di EAI definita [3]. Nella nostra esperienza

rimane comunque elevata la presenza di SO EAI CSP (37%) e, a nostro parere,

rimane dunque aperta la necessità di individuare un parametro sufficientemente

precoce e specifico di CSP, che possa essere contemplato nello score

cumulativo dell’EAI, al fine di aumentarne ulteriormente la specificità diagnostica.

Il problema si pone in termini rilevanti per l’esistenza di casi di EAI ad impronta

colestatica, quantificabili in circa il 10 % [3], in cui si pone il sospetto di una SO

EAI-CSP; in tale casistica il trattamento steroideo potrebbe aumentare in modo

significativo il rischio di colangiti batteriche. Non sembra percorribile la possibilità

di sottoporre tutti questi pazienti ad ERCP in considerazione dell’invasività della

tecnica; potrà essere importante lo sviluppo ed il perfezionamento di un esame

non invasivo, quale la risonanza magnetica delle vie biliari, come nuovo “gold

standard” diagnostico della CSP. La SO EAI-CSP, relativamente rara nell’adulto,

sembrerebbe presentare una maggiore prevalenza nei bambini, anche se tale

dato non ha trovato conferme precise [73] [74] [75]. Uno degli aspetti

fondamentali nella identificazione delle SO è rappresentato dall’approccio

terapeutico che dovrà poi essere utilizzato; in corso di patologia colestatica

cronica l’unico farmaco che attualmente parrebbe comportare un miglioramento

34

del quadro sia sotto il profilo clinico che biochimico é rappresentato dall’acido

ursodesossicolico [76], anche se tale dato é stato recentemente messo in

discussione [77]; il cardine della terapia dell’EAI è rappresentato dalla terapia

steroidea. Proprio alla luce di due approcci terapeutici così differenti è importante

riuscire a rendere omogenei i criteri diagnostici attraverso i quali giungere alla

diagnosi di SO e di raggiungere quindi una ottimizzazione della terapia. Il

dilemma non è nuovo e già in passato era stato proposto un ciclo di terapia

steroidea ex iuvantibus al fine di dirimere il dubbio diagnostico qualora

coesistessero caratteri comuni a patologie epatitiche e colestatiche [78].

35

Tabella 1 - Revised score system for diagnosis of autoimmune hepatitis (1999)(15)

Female sex +2

ALP:ALT ratio<1.5 +21.5-3.0 0>3.0 -2

Serum globulins or IgG above normal>2.0 +31.5-2.0 +21.0-1.5 +1<1.0 0

ANA, SMA, or LKM-1>1:80 +31:80 +21:40 +1<1:40 0

AMA positive -4

Hepatitis viral markersPositive -3Negative +3

Drug historyPositive -4Negative +1

Average alcohol intake<25 gr/day +2>60 gr/day -2

Liver histologyInterface hepatitis +3Predominantly lynfoplasmacytic infiltrate +1Rosetting of liver cells +1None of above -5Byliary changes -3Other changes -3

Other autoimmune disease(s) +2Optional additional parametersSeropositivity for other defined Abs +2HLA DR3 or DR4 +1

Response to therapyComplete +2Relapse +3

Interpretation of aggregate scorePre-treatment:Definite AIH >15Probable AIH 10-15

Post-treatmentDefinite AIH >17Probable AIH 12-17

36

Tabella 2

EAI “probabile” EAI “definite”

CBP tutte 3/157° 0/157°

CBP AMA positva 1/122 0/122

CBP AMA negativa 2/35 0/35

CSP 4/16° 2/16°

Legenda:

° p< 0.01

CBP: Cirrosi Biliare PrimitivaAMA: Anticorpo anti-mitocondrioCSP: Colangite Sclerosante PrimitivaEAI: Epatite Autoimmune

37

Riassunto

Col termine di “sindrome da overlap” nella patologia epatica autoimmune viene

espresso il concetto di sovrapposizione, che si identifica con la coesistenza a

livello di uno stesso paziente della componente epatitica, propria dell’Epatite

Autoimmune e della componente colangitica propria della Cirrosi Biliare Primitiva

e della Colangite Sclerosante Primitiva. Lo scopo del nostro studio è stato quello

di verificare la prevalenza della sindrome da overlap, sia fra Epatite Autoimmune

e Cirrosi Biliare Primitiva sia fra Epatite Autoimmune e Colangite Sclerosante

Primitiva; abbiamo studiato una casistica di 173 pazienti con colestasi cronica di

cui 122 con diagnosi di Cirrosi Biliare Primitiva (tra i quali 35 negativi per

l’anticorpo anti-mitocondrio) e 16 con Colangite Sclerosante Primitiva. A tutti i

pazienti è stato applicato lo score proposto dall’ International Autoimmune

Hepatitis Group per la diagnosi di Epatite Autoimmune, accettato a livello

internazionale. Lo score si fonda su valori numerici positivo o negativi (a seconda

che agevolino o contrastino la diagnosi) che vengono accordati a paramentri di

natura clinica, immunologica, istologica e genetica, ed in base al punteggio

raggiunto rende la diagnosi di Epatite Autoimmune “definita”, probabile, ovvero la

esclude.

Su 122 pazienti con Cirrosi Biliare Primitiva solo 3 pazienti (2,4%) raggiungevano

uno score sufficiente almeno per la diagnosi di Epatite Autoimmune “probabile”,

mentre nessuno raggiungeva la diagnosi di Epatite Autoimmune “definita”,

Diversi sono invece i risultati per quanto riguarda i 16 pazienti con la Colangite

38

Sclerosante Primitiva; 4 su 16 e 2 su 16 raggiungevano rispettivamente uno

score sufficiente per diagnosi di Epatite Autoimmune “probabile” e “definita”.

Se la sindrome da overlap fra Epatite Autoimmune e Cirrosi Biliare Primitiva la

possiamo definire occasionale, o comunque rara, lo stesso non si puo’ dire della

sindrome da overlap fra Epatite Autoimmune e Colangite Sclerosante Primitiva

che propone una elevata prevalenza (37%); la spiegazione di tale discrepanza,

discrepanza presente tra l’altro anche in letteratura, oltre che in una maggiore

componente epatitica della Colangite Sclerosante Primitiva risiede probablmente

anche in una differenza esistente fra le due maggiori patologie colestatiche; se la

Cirrosi Biliare Primitiva presenta un marcatore sensibile e specifico di malattia

come l’anticorpo anti-mitocondrio, che proprio per questo motive assume una

marcata valenza negativa nello score system, lo stesso non può dirsi per la

Colangite Sclerosante Primitiva, il cui gold standard continua ad essere

rappresentato da una tecnica invasiva quale la colangiografia retrograda

perendoscopica, e che non presenta nessuna peculiarità sufficientemente

specifica da potere essere inserita nello score; quindi ancorchè la sindrome da

overlap Epatite Autoimmune-Colangite Sclerosante Primitiva presenti una

prevalenza significativamente maggiore, è plausibile ipotizzare una sua parziale

sovrastima proprio alla luce di un deficit di specificità dello score system nel caso

particolare.

Anche se “limitate” sotto il profilo epidemiologico, il riconoscimento delle sindromi

da overlap è importante ed utile sopratutto alla luce del differente approccio

terapeutico che esse presuppongono, per cui alla terapia di base con acido

39

ursodesossicolico nelle patologie colestatiche, è opportune associare, qualora si

sovrapponga la componente epatitica, la classica terapia immunosoppressiva

con steroidi della Epatite Autoimmune.

40

Bibliografia

1. Krawitt, E.L., Autoimmune hepatitis: classification, heterogeneity, and treatment. Am J Med, 1994. 96(1A): p. 23S-26S.

2. Boberg, K.M., et al., Incidence and prevalence of primary biliary cirrhosis, primary sclerosing cholangitis, and autoimmune hepatitis in a Norwegian population. Scand J Gastroenterol, 1998. 33(1): p. 99-103.

3. Alvarez, F., et al., International Autoimmune Hepatitis Group Report: review of criteria for diagnosis of autoimmune hepatitis. J Hepatol, 1999. 31(5): p. 929-938.

4. Krawitt, E.L., Autoimmune hepatitis. N Engl J Med, 1996. 334(14): p. 897-903.

5. Czaja, A.J. and H.A. Homburger, Autoantibodies in liver disease. Gastroenterology, 2001. 120(1): p. 239-49.

6. Zauli, D., et al., Anti-neutrophil cytoplasmic antibodies in type 1 and 2 autoimmune hepatitis. Hepatology, 1997. 25(5): p. 1105-7.

7. Kaplan, M.M., Primary biliary cirrhosis. N Engl J Med, 1996. 335(21): p. 1570-80.

8. Neuberger, J. and R. Thomson, PBC and AMA--what is the connection? Hepatology, 1999. 29(1): p. 271-6.

9. Poupon, R.E., et al., Ten-year survival in ursodeoxycholic acid-treated patients with primary biliary cirrhosis. The UDCA-PBC Study Group. Hepatology, 1999. 29(6): p. 1668-71.

10. Lindor, K.D., et al., Ursodeoxycholic acid in the treatment of primary biliary cirrhosis. Gastroenterology, 1994. 106(5): p. 1284-90.

11. Jones, E.A. and N.V. Bergasa, The pruritus of cholestasis. Hepatology, 1999. 29(4): p. 1003-6.

12. Newton, J., et al., Osteoporosis in primary biliary cirrhosis revisited. Gut, 2001. 49(2): p. 282-7.

13. Scheuer, P., Primary biliary cirrhosis. Proc R Soc Med, 1967. 60(12): p. 1257-60.

14. Ludwig, J., New concepts in biliary cirrhosis. Semin Liver Dis, 1987. 7(4): p. 293-301.

15. Doniach, D., et al., Tissue antibodies in primary biliary cirrhosis, active chronic (lupoid) hepatitis, cryptogenic cirrhosis and other liver

41

diseases and their clinical implications. Clin Exp Immunol, 1966. 1: p. 237-62.

16. Czaja, A.J., H.A. Carpenter, and M.P. Manns, Antibodies to soluble liver antigen, P450IID6, and mitochondrial complexes in chronic hepatitis. Gastroenterology, 1993. 105(5): p. 1522-8.

17. Gershwin, M.E., et al., Identification and specificity of a cDNA encoding the 70 kd mitochondrial antigen recognized in primary biliary cirrhosis. J Immunol, 1987. 138(10): p. 3525-31.

18. Van de Water, J., et al., The autoepitope of the 74-kD mitochondrial autoantigen of primary biliary cirrhosis corresponds to the functional site of dihydrolipoamide acetyltransferase. J Exp Med, 1988. 167(6): p. 1791-9.

19. Coppel, R.L., et al., Primary structure of the human M2 mitochondrial autoantigen of primary biliary cirrhosis: dihydrolipoamide acetyltransferase. Proc Natl Acad Sci U S A, 1988. 85(19): p. 7317-21.

20. Surh, C.D., et al., Reactivity of primary biliary cirrhosis sera with a human fetal liver cDNA clone of branched-chain alpha-keto acid dehydrogenase dihydrolipoamide acyltransferase, the 52 kD mitochondrial autoantigen. Hepatology, 1989. 9(1): p. 63-8.

21. Fregeau, D.R., et al., Antimitochondrial antibodies of primary biliary cirrhosis recognize dihydrolipoamide acyltransferase and inhibit enzyme function of the branched chain alpha-ketoacid dehydrogenase complex. J Immunol, 1989. 142(11): p. 3815-20.

22. Fussey, S.P., et al., Identification and analysis of the major M2 autoantigens in primary biliary cirrhosis. Proc Natl Acad Sci U S A, 1988. 85(22): p. 8654-8.

23. Fregeau, D.R., et al., Inhibition of alpha-ketoglutarate dehydrogenase activity by a distinct population of autoantibodies recognizing dihydrolipoamide succinyltransferase in primary biliary cirrhosis. Hepatology, 1990. 11(6): p. 975-81.

24. Fussey, S.P., et al., The E1 alpha and beta subunits of the pyruvate dehydrogenase complex are M2'd' and M2'e' autoantigens in primary biliary cirrhosis. Clin Sci (Lond), 1989. 77(4): p. 365-8.

25. Dubel, L., et al., Autoepitope mapping and reactivity of autoantibodies to the dihydrolipoamide dehydrogenase-binding protein (E3BP) and the glycine cleavage proteins in primary biliary cirrhosis. Hepatology, 1999. 29(4): p. 1013-8.

42

26. Goodman, Z.D., et al., Autoimmune cholangitis: a variant of primary biliary cirrhosis. Clinicopathologic and serologic correlations in 200 cases. Dig Dis Sci, 1995. 40(6): p. 1232-42.

27. Lacerda, M.A., et al., Antimitochondrial antibody-negative primary biliary cirrhosis. Am J Gastroenterol, 1995. 90(2): p. 247-9.

28. Kinoshita, H., et al., Autoimmune cholangitis and primary biliary cirrhosis--an autoimmune enigma. Liver, 1999. 19(2): p. 122-8.

29. Michieletti, P., et al., Antimitochondrial antibody negative primary biliary cirrhosis: a distinct syndrome of autoimmune cholangitis. Gut, 1994. 35(2): p. 260-5.

30. Brunner, G. and O. Klinge, Ein der chronisch-destruierenden nicht-eitrigen Cholangitis ahnliches Krankheitsbild mit antinuklearen Antikorpern (Immuncholangitis). Dtsch Med Wochenschr [A chronic destructive non-suppurative cholangitis-like disease picture with antinuclear antibodies (immunocholangitis)]. Dtsch Med Wochenschr, 1987. 112(38): p. 1454-8.

31. Ben-Ari, Z., A.P. Dhillon, and S. Sherlock, Autoimmune cholangiopathy: part of the spectrum of autoimmune chronic active hepatitis. Hepatology, 1993. 18(1): p. 10-5.

32. Czaja, A.J., Frequency and nature of the variant syndromes of autoimmune liver disease. Hepatology, 1998. 28(2): p. 360-5.

33. Heathcote, J., Autoimmune cholangitis. Gut, 1997. 40(4): p. 440-2.34. Invernizzi, P., et al., Comparison of the clinical features and clinical

course of antimitochondrial antibody-positive and -negative primary biliary cirrhosis. Hepatology, 1997. 25(5): p. 1090-5.

35. Bernstein, R.M., et al., Diversity of autoantibodies in primary biliary cirrhosis and chronic active hepatitis. Clin Exp Immunol, 1984. 55(3): p. 553-60.

36. Remmel, T., et al., Clinical significance of different antinuclear antibodies patterns in the course of primary biliary cirrhosis. Hepatogastroenterology, 1996. 43(11): p. 1135-40.

37. Szostecki, C., H.H. Guldner, and H. Will, Autoantibodies against "nuclear dots" in primary biliary cirrhosis. Semin Liver Dis, 1997. 17(1): p. 71-8.

38. Fusconi, M., et al., Anti-nuclear antibodies of primary biliary cirrhosis recognize 78-92-kD and 96-100-kD proteins of nuclear bodies. Clin Exp Immunol, 1991. 83(2): p. 291-7.

39. Zuchner, D., et al., Prevalence, kinetics, and therapeutic modulation of autoantibodies against Sp100 and promyelocytic leukemia protein

43

in a large cohort of patients with primary biliary cirrhosis. Hepatology, 1997. 26(5): p. 1123-30.

40. Sternsdorf, T., et al., Two nuclear dot-associated proteins, PML and Sp100, are often co-autoimmunogenic in patients with primary biliary cirrhosis. Scand J Immunol, 1995. 42(2): p. 257-68.

41. Muratori, P., et al., Anti-multiple nuclear dots (anti-MND) and anti-Sp100 antibodies in hepatic and rheumatological disorders. Clin Exp Immunol (in press), in press.

42. Courvalin, J.C. and H.J. Worman, Nuclear envelope protein autoantibodies in primary biliary cirrhosis. Semin Liver Dis, 1997. 17(1): p. 79-90.

43. Pante, N. and U. Aebi, The nuclear pore complex. J Cell Biol, 1993. 122(5): p. 977-84.

44. Bandin, O., et al., Specificity and sensitivity of gp210 autoantibodies detected using an enzyme-linked immunosorbent assay and a synthetic polypeptide in the diagnosis of primary biliary cirrhosis. Hepatology, 1996. 23(5): p. 1020-4.

45. Courvalin, J.C., et al., The 210-kD nuclear envelope polypeptide recognized by human autoantibodies in primary biliary cirrhosis is the major glycoprotein of the nuclear pore. J Clin Invest, 1990. 86(1): p. 279-85.

46. Lassoued, K., et al., Autoantibodies to 200 kD polypeptide(s) of the nuclear envelope: a new serologic marker of primary biliary cirrhosis. Clin Exp Immunol, 1988. 74(2): p. 283-8.

47. Lassoued, K., et al., Antinuclear antibodies directed to a 200-kilodalton polypeptide of the nuclear envelope in primary biliary cirrhosis. A clinical and immunological study of a series of 150 patients with primary biliary cirrhosis. Gastroenterology, 1990. 99(1): p. 181-6.

48. Lozano, F., et al., Autoantibodies against nuclear envelope-associated proteins in primary biliary cirrhosis. Hepatology, 1988. 8(4): p. 930-8.

49. Nickowitz, R.E., et al., Autoantibodies against integral membrane proteins of the nuclear envelope in patients with primary biliary cirrhosis. Gastroenterology, 1994. 106(1): p. 193-9.

50. Wesierska-Gadek, J., et al., Autoantibodies against nucleoporin p62 constitute a novel marker of primary biliary cirrhosis. Gastroenterology, 1996. 110(3): p. 840-7.

44

51. Itoh, S., et al., Autoantibodies against a 210 kDa glycoprotein of the nuclear pore complex as a prognostic marker in patients with primary biliary cirrhosis. J Gastroenterol Hepatol, 1998. 13(3): p. 257-65.

52. Invernizzi, P., et al., Autoantibodies against nuclear pore complexes are associated with more active and severe liver disease in primary biliary cirrhosis. J Hepatol, 2001. 34(3): p. 366-72.

53. Bernstein, R.M., Antinuclear antibodies in primary biliary cirrhosis. Lancet, 1984. 1(8375): p. 508.

54. Dorner, T., et al., Serologic characteristics in primary biliary cirrhosis associated with sicca syndrome. Scand J Gastroenterol, 1994. 29(7): p. 655-60.

55. Chapman, R.W., et al., Primary sclerosing cholangitis: a review of its clinical features, cholangiography, and hepatic histology. Gut, 1980. 21(10): p. 870-7.

56. Angulo, P. and K.D. Lindor, Primary sclerosing cholangitis. Hepatology, 1999. 30(1): p. 325-32.

57. Lee, Y.M. and M.M. Kaplan, Primary sclerosing cholangitis. N Engl J Med, 1995. 332(14): p. 924-33.

58. Kaplan, M.M., Medical approaches to primary sclerosing cholangitis. Semin Liver Dis, 1991. 11(1): p. 56-63.

59. Sivak, M.V., Jr., R.G. Farmer, and A.F. Lalli, Sclerosing cholangitis: its increasing frequency of recognition and association with inflammatory bowel disease. J Clin Gastroenterol, 1981. 3(3): p. 261-6.

60. Fausa, O., E. Schrumpf, and K. Elgjo, Relationship of inflammatory bowel disease and primary sclerosing cholangitis. Semin Liver Dis, 1991. 11(1): p. 31-9.

61. Lichtman, S.N., et al., Biliary tract disease in rats with experimental small bowel bacterial overgrowth. Hepatology, 1991. 13(4): p. 766-72.

62. Lichtman, S.N., et al., Degradation of endogenous bacterial cell wall polymers by the muralytic enzyme mutanolysin prevents hepatobiliary injury in genetically susceptible rats with experimental intestinal bacterial overgrowth. J Clin Invest, 1992. 90(4): p. 1313-22.

63. Duerr, R.H., et al., Anti-neutrophil cytoplasmic antibodies in ulcerative colitis. Comparison with other colitides/diarrheal illnesses. Gastroenterology, 1991. 100(6): p. 1590-6.

64. Lindor, K.D., Ursodiol for primary sclerosing cholangitis. Mayo Primary Sclerosing Cholangitis-Ursodeoxycholic Acid Study Group. N Engl J Med, 1997. 336(10): p. 691-5.

45

65. Bottazzo, G.F., et al., Classification of smooth muscle autoantibodies detected by immunofluorescence. J Clin Pathol, 1976. 29(5): p. 403-10.

66. Kloppel, G., et al., Histopathological features in mixed types of chronic aggressive hepatitis and primary biliary cirrhosis. Correlations of liver histology with mitochondrial antibodies of different specificity. Virchows Arch A Pathol Anat Histol, 1977. 373(2): p. 143-60.

67. Berg, P.A., et al., Serological classification of chronic cholestatic liver disease by the use of two different types of antimitochondrial antibodies. Lancet, 1980. 2(8208-8209): p. 1329-32.

68. Chazouilleres, O., et al., Primary biliary cirrhosis-autoimmune hepatitis overlap syndrome: clinical features and response to therapy. Hepatology, 1998. 28(2): p. 296-301.

69. Johnson, P.J. and I.G. McFarlane, Meeting report: International Autoimmune Hepatitis Group. Hepatology, 1993. 18(4): p. 998-1005.

70. Colombato, L.A., et al., Autoimmune cholangiopathy: the result of consecutive primary biliary cirrhosis and autoimmune hepatitis? Gastroenterology, 1994. 107(6): p. 1839-43.

71. Lohse, A.W., et al., Characterization of the overlap syndrome of primary biliary cirrhosis (PBC) and autoimmune hepatitis: evidence for it being a hepatitic form of PBC in genetically susceptible individuals. Hepatology, 1999. 29(4): p. 1078-84.

72. Boberg, K.M., et al., Features of autoimmune hepatitis in primary sclerosing cholangitis: an evaluation of 114 primary sclerosing cholangitis patients according to a scoring system for the diagnosis of autoimmune hepatitis. Hepatology, 1996. 23(6): p. 1369-76.

73. Wilschanski, M., et al., Primary sclerosing cholangitis in 32 children: clinical, laboratory, and radiographic features, with survival analysis. Hepatology, 1995. 22(5): p. 1415-22.

74. Gregorio, G.V., et al., Autoimmune hepatitis in childhood: a 20-year experience. Hepatology, 1997. 25(3): p. 541-7.

75. Roberts, E.A., Primary sclerosing cholangitis in children. J Gastroenterol Hepatol, 1999. 14(6): p. 588-93.

76. Poupon, R.E., et al., Combined analysis of randomized controlled trials of ursodeoxycholic acid in primary biliary cirrhosis. Gastroenterology, 1997. 113(3): p. 884-90.

77. Goulis, J., G. Leandro, and A.K. Burroughs, Randomised controlled trials of ursodeoxycholic-acid therapy for primary biliary cirrhosis: a meta-analysis. Lancet, 1999. 354(9184): p. 1053-60.

46

78. Geubel, A.P., A.H. Baggenstoss, and W.H. Summerskill, Responses to treatment can differentiate chronic active liver disease with cholangitic features from the primary biliary cirrhosis syndrome. Gastroenterology, 1976. 71(3): p. 444-9.

47