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Tesi di Dottorato in STUDI ASIATICI, XXII ciclo Facoltà di Studi Orientali Sapienza - Università di Roma SISTEMI DI ROMANIZZAZIONE DEL CINESE MANDARINO NEI SECOLI XVI-XVIII Candidato: Emanuele Raini Tutor: Prof. Federico Masini Anno Accademico: 2009/2010 Ciclo di dottorato: XXII

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Tesi di Dottorato in

STUDI ASIATICI, XXII ciclo

Facoltà di Studi Orientali

Sapienza - Università di Roma

SISTEMI DI ROMANIZZAZIONE

DEL CINESE MANDARINO

NEI SECOLI XVI-XVIII

Candidato: Emanuele Raini

Tutor: Prof. Federico Masini

Anno Accademico: 2009/2010

Ciclo di dottorato: XXII

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Questo lavoro viene alla luce in un momento molto particolare,

solo grazie all’aiuto e agli insegnamenti

che i miei maestri, amici e colleghi

hanno voluto offrirmi con grande pazienza e generosità.

Al Prof. Federico Masini,

dal quale ho con titubanza ereditato

le idee e i primi dati alla base di questa ricerca,

va il mio più commosso ringraziamento di allievo.

A tutti i “compagni di studio” della Facoltà di Studi Orientali,

con i quali ho potuto intrattenere

conversazioni edificanti che tanto mi hanno aiutato,

va il mio grazie e la mia amicizia.

Alla mia famiglia,

che tutto mi ha dato e nulla mi ha chiesto in cambio,

se non di partecipare alla gioia del mio percorso.

A mia moglie il mio grazie più grande,

poiché ha saputo accettare le mie assenze

e le mie molte notti alla scrivania,

paziente e amorevole come nessuno.

Infine,

a mio figlio

che arriverà tra poco in questo mondo così grande,

dedico il mio impegno nello studio,

nella speranza di sapergli insegnare ad imparare.

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i

0.0 Premesse 1

0.1 Stato attuale degli studi sull’argomento 1

PARTE I

PRESUPPOSTI E QUADRO METODOLOGICO

1.0 CONTESTO STORICO E LINGUISTICO 9

1.1 I missionari europei in Cina 9

1.2 I primi passi nello studio della lingua cinese 12

1.2.1 La lingua mandarina: il Guanhua 15

1.2.2 Origine ed evoluzione del mandarino Ming-Qing 22

2.0 ILLUSTRAZIONE FONTI E METODOLOGIA 28

2.1 Documenti (fonti) 28

2.1.1 Manoscritti e stampati 28

2.1.2 Tipologia e quantità dei dati 29

2.1.3 Presenza o assenza dei caratteri cinesi 29

2.1.4 Fonti ordinate e disordinate 29

2.2 Organizzazione dei dati e problemi metodologici 30

2.2.1 Il riferimento fonologico 30

2.2.2 Caratteristiche fonologiche degli alfabeti europei 31

2.2.2.1 Latino post-rinascimentale 32

2.2.2.2 Italiano post-rinascimentale 33

2.2.2.3 Portoghese post-rinascimentale 34

2.2.2.4 Spagnolo post-rinascimentale 36

2.2.2.5 Francese post-rinascimentale 37

2.2.2.6 Quadro riassuntivo delle

caratteristiche ortografiche europee 38

2.2.3 Il sistema fonologico del Mandarino Ming-Qing 39

2.2.4.1 Consonanti iniziali del Guanhua Ming-Qing 42

2.2.4.2 Le rime del Guanhua Ming-Qing 43

2.2.4.3 I toni del Guanhua Ming-Qing 44

2.3 Scelte redazionali di resa grafica 45

PARTE II

ANALISI DELLE ROMANIZZAZIONI: AUTORI E FONTI

3.0 Michele Ruggieri 49

3.1 La romanizzazione di Ruggieri 50

3.1.1 Grafemi iniziali della romanizzazione di Ruggieri (RES) 51

3.1.2 Tipi grafici delle rime della

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romanizzazione di Ruggieri (RES) 55

3.1.3 Diacritici della romanizzazione di Ruggieri (RES) 56

3.1.4 Osservazioni finali sulla

romanizzazione di Ruggieri (RES) 56

4.0 Matteo Ricci e Lazzaro Cattaneo 59

4.1 Matteo Ricci 59

4.2 Lazzaro Cattaneo 62

4.3 Innovazioni alla romanizzazione di Ruggieri/Ricci (RES) 63

4.4 La romanizzazione di Ricci/Cattaneo (RLS) 67

4.5 La romanizzazione nello Xizi Qiji (RLS) 69

4.5.1 Grafemi iniziali di XZQJ (RLS) 69

4.5.2 Tipi grafici delle rime di XZQJ (RLS) 70

4.5.3 Diacritici di XZQJ (RLS) 72

4.6 La romanizzazione RLS come standard 72

5.0 Nicolas Trigault 75

5.1 Trigault e la romanizzazione di Ricci/Cattaneo (RLS) 76

5.2 La romanizzazione dello Xiru Ermu Zi (XREMZ) 79

5.2.1 Grafemi iniziali di XREMZ 80

5.2.2 Tipi grafici delle rime di XREMZ 81

5.2.3 Diacritici di XREMZ 82

5.3 La sensibilità linguistica di Trigault

e il suo contributo epistemologico 83

5.4 Uno sforzo non ripagato 88

6.0 Juan Bautista de Morales e Francisco Diaz 97

6.1 Analisi delle fonti e delle romanizzazioni 102

6.2 Il Manuale pro missionariis 102

6.3 La romanizzazione del Manuale (Morales) 104

6.3.1 Grafemi iniziali del Manuale (Morales) 104

6.3.2 Tipi grafici delle rime del Manuale (Morales) 105

6.3.3 Diacritici del Manuale (Morales) 106

6.3.4 Ulteriori particolarità del Manuale (Morales) 106

6.4 Il Vocabulario de Letra China 107

6.5 Le romanizzazioni del Vocabulario (Diaz1, Diaz2) 116

6.5.1 La romanizzazione dei capilettera

del Vocabulario (Diaz1) 117

6.5.2.1 Grafemi iniziali di Diaz1 118

6.5.2.2 Tipi grafici delle rime di Diaz1 120

6.5.2.3 Diacritici di Diaz1 121

6.5.2.4 Ulteriori particolarità di Diaz1 121

6.5.2 La romanizzazione nelle definizioni

del Vocabulario (Diaz2) 122

6.5.3.1 Grafemi iniziali di Diaz2 123

6.5.3.2 Tipi grafici delle rime di Diaz2 124

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6.5.3.3 Diacritici di Diaz2 125

6.6 Considerazioni finali sulle romanizzazioni di Morales e Diaz 126

7.0 Martino Martini 129

7.1 Martini e la romanizzazione del cinese 130

7.2 La romanizzazione della Grammatica Sinica (MM1) 132

7.2.1 Grafemi inizali di MM1 135

7.2.2 Tipi grafici delle rime di MM1 136

7.2.3 Diacritici di MM1 137

7.2.4 Osservazioni finali su MM1 138

7.3 La seconda romanizzazione di Martini (MM2) 140

7.4 Brevis Relatio 141

7.4.1 Grafemi iniziali della Relatio (MM2) 142

7.4.2 Tipi grafici delle rime della Relatio (MM2) 143

7.4.3 Diacritici della Relatio (MM2) 143

7.4.4 Osservazioni finali sulla romanizzazione della Relatio (MM2) 144

7.5 De Bello Tartarico 144

7.5.1 Grafemi iniziali nel De Bello (MM2) 144

7.5.2 Tipi grafici delle rime del De Bello (MM2) 146

7.5.3 Diacritici nel De Bello (MM2) 146

7.6 Novus Atlas Sinensis 147

7.6.1 Grafemi iniziali dell’Atlas (MM2) 147

7.6.2 Tipi grafici delle rime dell’Atlas (MM2) 148

7.6.3 Diacritici dell’Atlas (MM2) 149

7.6.4 Considerazioni finali sulla romanizzazione dell’Atlas 149

7.7 Sinicae Historia Decas Prima 150

7.7.1 Grafemi iniziali della Decas (MM2) 150

7.7.2 Tipi grafici delle rime della Decas (MM2) 151

7.7.3 Osservazioni finali sulla romanizzazione della Decas (MM2) 152

7.8 Diacritici di MM2 in Golius 153

7.9 Conclusioni sul sistema di romanizzazione MM2 155

7.10 Quadro riassuntivo delle romanizzazioni

MM1 e MM2 a confronto 156

8.0 Michal Boym 159

8.1 La romanizzazione nelle opere di Boym 163

8.1.1 Grafemi iniziali di Boym 166

8.1.2 Tipi grafici delle rime in Boym 169

8.1.3 Diacritici della romanizzazione di Boym 172

8.1.4 Osservazioni finali sulle romanizzazioni di Boym 172

9.0 La romanizzazione portoghese dei

gesuiti del padroado (Intorcetta&al.) 177

9.1 Le fonti disponibili 178

9.2 La romanizzazione di Intorcetta&al. 180

9.2.1 Grafemi iniziali di Intorcetta&al. 181

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9.2.2 Tipi grafici delle rime di Intorcetta&al. 183

9.2.3 Diacritici di Intorcetta&al. 184

9.2.4 Osservazioni finali sulla romanizzazione Intorcetta&al. 185

10.0 Francisco Varo 187

10.1 La romanizzazione di Varo 188

10.1.1 Grafemi iniziali di Varo 188

10.1.2 Tipi grafici delle rime di Varo 190

10.1.3 Diacritici del sistema di Varo 191

10.1.4 Considerazioni finali sulla romanizzazione di Varo 193

11.0 Basilio Brollo 195

11.1 La romanizzazione del dizionario HZXY (1694) 196

11.1.1 Grafemi iniziali nello HZXY di Brollo 199

11.1.2 Tipi grafici delle rime nello HZXY di Brollo 200

11.1.3 Diacritici nello HZXY di Brollo 201

11.2 La romanizzazione del Confessionarium 204

11.3 Le romanizzazioni nel secondo dizionario di Brollo (1698) 205

11.4 Osservazioni finali sulla romanizzazione di Brollo 206

12.0 Le romanizzazioni dei missionari francofoni 209

12.1 Grafemi iniziali delle romanizzazioni francofone (confronto) 211

12.2 Tipi grafici delle rime nelle romanizzazioni francofone 213

12.3 Diacritici delle romanizzazioni francofone 216

12.4 Osservazioni finali sulle romanizzazioni francofone 217

PARTE III

CONCLUSIONI E APPENDICI

13.0 Osservazioni riassuntive sulle

romanizzazioni dei secoli XVI-XVIII 220

13.1 Il filone portoghese 220

13.2 Il filone spagnolo 228

13.3 Il filone francese 232

13.4 Sperimentazioni italiane 234

13.5 Romanizzazioni miste 237

13.6 Altre sperimentazioni 238

13.7 La babele delle romanizzazioni 244

13.8 Nota conclusiva 248

APPENDICI

Appendice I A - Tabella riassuntiva dei grafemi iniziali

dei principali sistemi di romanizzazione analizzati 250

Appendice I B - Tabella riassuntiva dei tipi grafici delle rime

dei principali sistemi di romanizzazione analizzati 253

Appendice II A - Tabella delle sillabe di base

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v

di alcuni sistemi di romanizzazione a confronto,

sistemate secondo l’ordine di XREMZ 261

Appendice II B - Tabella delle sillabe di base

di alcuni sistemi di romanizzazione a confronto,

ordinate secondo il PINYIN corrispondente 285

BIBLIOGRAFIA 310

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1

0.0 Premesse

Da circa cinquant‟anni, nello studio e nell‟insegnamento del cinese mandarino, si

fa uso di un utile strumento didattico: il Pīnyīn 拼音. Il Pinyin (lett. “combinare i

suoni”) è l‟alfabeto usato per la trascrizione fonetica della pronuncia cinese in

caratteri latini, che ha giovato considerevolmente all‟alfabetizzazione della

popolazione cinese e alla diffusione della pronuncia standard nazionale (il

Pǔtōnghuà 普通话, lett. “lingua comune”), oltre a facilitare l‟apprendimento della

lingua da parte degli stranieri. L‟attuale sistema di trascrizione è stato pianificato

e implementato per volere politico del Governo cinese; ma nella sua forma

originaria, la trascrizione fonetica della lingua cinese nacque proprio

dall‟esigenza di alcuni stranieri vissuti in Cina secoli fa, costretti ad imparare

velocemente la lingua per sopravvivere e svolgere le proprie attività.

A partire dalla fine del XVI secolo, i missionari cattolici europei si stabilirono in

Cina per fondare nuove missioni. Nell‟esigenza di acquisire velocemente la

lingua locale, cominciarono ad usare l‟alfabeto latino, nelle sue varie pronunce

nazionali, per annotare i suoni della pronuncia cinese. Non tutti lo fecero però

nello stesso modo; alcuni utilizzarono la pronuncia e l‟ortografia spagnola altri

quella portoghese, altri quella italiana, o francese o, piuttosto, mutuarono

singole ortografie da alfabeti europei diversi, convogliandole poi in sistemi di

trascrizione misti, al fine di rappresentare al meglio la pronuncia cinese. Poiché

tutti questi sistemi di trascrizione utilizzavano l‟alfabeto latino (o romano), il

termine “trascrizione” è spesso sostituito dal quasi sinonimo “romanizzazione”.

Nei due secoli successivi (XVII-XVIII), si succedettero così numerosi tentativi di

trascrivere i suoni del cinese secondo sistemi diversi, con maggiore o minore

successo e diffusione; ciò avvenne per lo più ad opera dei missionari, ma di

riflesso nacquero altre varietà di trascrizione anche presso gli intellettuali

europei interessati alla lingua del celeste impero. Successivamente, nel XIX

secolo (periodo non trattato da questa tesi), con l‟avvento in Cina dei missionari

protestanti, videro la luce ancora nuovi sistemi di trascrizione basati

maggiormente sull‟ortografia inglese, ma che di fatto gettavano le fondamenta

sui tentativi effettuati nei due secoli precedenti.

I suddetti sistemi di romanizzazione furono utilizzati in diversa misura nella

compilazione di documenti scritti, che rappresentano le fonti primarie di questa

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2

ricerca. La tipologia di tali documenti è estremamente eterogenea: glossari,

frasari, dizionari, rimari, grammatiche, lettere, relazioni, opere storiche,

trascrizioni e traduzioni di testi letterari, catechismi, preghiere, confessionari,

opere geografiche e cartografiche, scritti di carattere enciclopedico, etc. Da

queste fonti è possibile estrapolare i dati per ricostruire singoli sistemi di

romanizzazione, ma l‟eterogeneità dei documenti esaminati fa sì che essi non

offrano i dati tutti nello stesso modo. Il metodo di raccolta e arrangiamento dei

dati, preliminare all‟analisi, sarà concisamente illustrato nel corso della prima

parte della tesi.

Attraverso lo studio dei primi sistemi di romanizzazione del cinese, la presente

ricerca spera di raggiungere tre scopi:

1) tratteggiare una parte della storia della didattica del cinese nel suo

periodo embrionale, coincidente con gli albori della sinologia;

2) fornire una base di dati alfabetici ordinati, utili alla ricostruzione

fonologica della pronuncia del mandarino Ming-Qing;

3) produrre un quadro di riferimento per l‟interpretazione, l‟attribuzione e,

eventualmente, la datazione approssimativa di fonti contenenti

romanizzazioni di parole cinesi.

Nella prima parte di questa tesi si tratterà in breve il contesto storico che ha

portato i missionari europei allo studio della lingua cinese e all‟utilizzo fattone

nella produzione di documenti testuali. A seguire, si introdurranno le fonti

primarie prese in esame e i presupposti teorici e metodologici preliminari alla

raccolta e all‟analisi dei dati.

Nella seconda parte si passeranno in rassegna i principali sistemi di

romanizzazione dei secoli XVI-XVIII, cercando di evidenziare similitudini e

diversità, nonché eventuali linee di evoluzione e diffusione di tradizioni differenti.

Le fonti esaminate, seppur analizzate singolarmente, saranno presentate

all‟interno di paragrafi dedicati all‟autore o agli autori che le hanno compilate.

Questo permetterà di collocare cronologicamente la nascita e l‟utilizzo di alcuni

sistemi di romanizzazione, nonché di evidenziare l‟eventuale uso da parte di uno

stesso autore di sistemi diversi in periodi diversi. Differentemente, considerando

le romanizzazioni delle singole fonti in maniera avulsa dal contesto storico e

dalle vicende personali degli utilizzatori, si perderebbero dei riferimenti

essenziali ai fini della comparazione.

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3

La terza parte sarà costituita sostanzialmente da brevi osservazioni riassuntive

riguardo ai sistemi analizzati nella seconda parte.

Infine, nelle appendici, si presenteranno alcuni dati riordinati secondo vari criteri,

in tabelle comparative che li rendano fruibili per diverse finalità, per fornire un

quadro sinottico delle caratteristiche salienti di tutti i sistemi di romanizzazione

analizzati.

0.1 Stato attuale degli studi sull’argomento

I materiali linguistici prodotti dai missionari in Cina hanno destato l‟attenzione

del mondo accademico sia in Cina, sia in occidente; chiaramente, a causa del

fatto che la maggior parte di essi fu compilata in lingue europee, unitamente al

fatto che una gran quantità di questi documenti è tutt‟ora conservata nelle

biblioteche e negli archivi del vecchio continente, la fruibilità per gli accademici

occidentali è di gran lunga maggiore che non per gli studiosi cinesi. Tra questi

ultimi, il primo a studiare i sistemi di romanizzazione fu il linguista cinese Luo

Changpei (1930), concentrandosi su due opere scritte in cinese e stampate in

Cina, pertanto più facilmente reperibili lì che non in Europa, rispettivamente:

Strani esempi di scrittura occidentale (Xizi Qiji 西字奇迹, 1604, da qui in poi XZQJ)

di Matteo Ricci e Aiuto dei letterati d’occidente agli occhi e alle orecchie (Xiru

Ermu Zi 西儒耳目资, 1626, da qui in poi XREMZ) di Nicolas Trigault. Tra le opere

romanizzate stampate in Cina, queste furono tra le prime apparse, e i sistemi in

esse utilizzati dettarono lo standard della romanizzazione gesuita nel corso dei

secoli successivi. Luo (1930) ricostruisce e confronta i due sistemi di

romanizzazione, considerandoli fonti preziose per la ricostruzione della

pronuncia dell‟epoca tardo Ming.

Il sinologo e gesuita italiano Pasquale D‟Elia, si interessò ad una fonte ancora

precedente, i il Dizionario Portoghese-Cinese (Pu-Hua Cidian 葡华辞典, 1584, da

qui in poi PHCD) manoscritto da Ruggieri e Ricci intorno al 1584 (D‟Elia, 1938).

Ciò evidenziò l‟esistenza di un sistema di romanizzazione più antico, usato dai

due gesuiti italiani nei primi anni in Cina e pertanto basato sull‟ortografia

italiana, al contrario delle romanizzazioni usate successivamente da Ricci e

Trigault, basate sull‟ortografia portoghese.

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4

Successivamente, il linguista e dialettologo gesuita sino-americano Yang Fumian

effettuò una comparazione delle tre opere (PHCD, XZQJ, XREMZ) già esaminate

dai due studiosi precedenti, con particolare attenzione alle informazioni

fonologiche desumibili dai tre sistemi di romanizzazione. Yang (1989) fu il primo

a sottolineare che la varietà di lingua descritta delle tre opere rifletteva una

pronuncia meridionale. La sua analisi di fonologia storica, insieme ad altri indizi

reperibili nelle testimonianze dei missionari, portarono Yang (1989) a stabilire

che il mandarino usato alla fine dei Ming aveva come dialetto di riferimento

quello di Nanchino.

Il sinologo e linguista italiano Federico Masini ha esteso l‟indagine comparativa

ad altre fonti; in Masini (2003), si trova una comparazione dei sistemi di

romanizzazione delle tre opere sopra citate (PHCD, XZQJ, XREMZ) con quelli

reperibili in altre tre opere, rispettivamente: l‟anonimo Dictionaire Chinois &

Francois (in Kircher, Chine Illustreé, 1670; da qui in poi Dictionaire), la

Grammatica Linguae Sinensis (ca.1654; da qui in poi GLS) del gesuita Martino

Martini e, infine, il manoscritto del Vocabulario de Letra China con la Explicacion

Castellana (ca. 1642; da qui in poi Vocabulario) attribuito al domenicano

Francisco Diaz. Oltre al pregio di aver realizzato la comparazione di sistemi che

coprivano un periodo di oltre 60 anni, il lavoro di Masini contiene alcune utili

appendici con tabelle di corrispondenza delle iniziali, delle rime e delle sillabe

complete.

Il sinologo e fonologo americano Weldon South Coblin, principalmente

interessato alla ricostruzione fonologica, ha confrontato le romanizzazioni in

PHCD, XZQJ e XREMZ con altre fonti alfabetiche (mongole e coreane) di epoca

Ming (Coblin, 1997-2002), analizzando poi nuove fonti alfabetiche missionarie,

in particolare la grammatica Arte de la Lengua Mandarina (ca. 1683, pubbl. 1703;

da qui in poi Arte) del domenicano Francisco Varo (Coblin, 1998-2000), facendo

eco a Luo (1930) nel sottolineare l‟importanza delle fonti alfabetiche nella

ricostruzione fonologica.

Ultimamente è comparso uno studio di carattere più complessivo, simile per

metodo e struttura alla presente tesi, ad opera della sinologa e linguista Tan

Huiying che, nell‟analisi approfondita dell‟opera di Trigault XREMZ (Tan, 2008),

ha inserito una consistente sezione dedicata al confronto della romanizzazione

di Trigault con la maggior parte dei sistemi sopra citati (PHCD, XZQJ,

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Vocabulario, GLS, Arte), aggiungendovi le romanizzazioni di altre due fonti: la

trascrizione romanizzata della Stele di Xi‟an (in Kircher, 1667-70; da qui in poi

Stele) attribuita al gesuita Michael Boym e l‟opera Innocentia Victrix (ca. 1669,

pubbl. 1671; da qui in poi Innocentia) curata dal gesuita Antonio de Gouvea. Il

lavoro di Tan è estremamente utile, in quanto mette a confronto otto sistemi

diversi, che coprono un arco temporale di oltre un secolo (ca. 1584-1703).

Tuttavia, soffre la limitazione di aver usufruito principalmente di fonti secondarie,

riportando quindi dati già analizzati senza un riscontro sui documenti originali.

Tan, d‟altronde, è interessata all‟analisi dello XREMZ nei suoi vari aspetti,

pertanto il quadro riassuntivo sulle romanizzazioni è necessariamente una parte

accessoria, seppur ben strutturata.

Tenendo presenti gli studi esistenti sulla materia, con particolare riferimento ai

principali lavori sopra elencati, questa ricerca tenta di estendere ulteriormente la

quantità di fonti (e quindi di sistemi) da comparare, pur limitatamente al primo

periodo della presenza occidentale nella Cina Ming-Qing (XVI-XVIII secolo).

Inoltre, gli studi cui si è fatto riferimento, anche quelli più estesi (Masini, Coblin,

Tan) tendono a considerare una sola fonte per ciascun autore, mentre nel

presente lavoro si considerano preferibilmente più fonti per uno stesso autore,

al fine di delineare meglio la nascita, l‟evoluzione, la diffusione e l‟utilizzo dei

vari sistemi.

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PARTE I

PRESUPPOSTI

E QUADRO METODOLOGICO

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9

1.0 CONTESTO STORICO E LINGUISTICO

1.1 I missionari europei in Cina

Nel periodo in cui l'Umanesimo rinascimentale stava gradualmente portando

l'Europa verso l'età dei Lumi, tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo, il mondo

era diviso sotto l'egida degli imperi mercantili iberici: Spagna e Portogallo. Il

papato aveva stipulato un accordo con i governanti dei due Paesi, protettori

della fede cattolica contro gli “infedeli” (protestanti e musulmani), tramite le cui

flotte commerciali i missionari appartenenti a vari ordini potevano raggiungere

nuovi e remoti territori per stabilirvi nuove missioni; con il sistema del patronato

regio (port. padroado, spagn. padronado), il Papa concedeva agli stati tutti i

diritti di nomina ecclesiastica, delegandogli anche lo stabilimento delle missioni

all‟estero e la scelta dei missionari. I regnanti si impegnavano ad offrire

protezione e supporto economico a questi ultimi, al fine di proteggere e

diffondere la fede cattolica nelle terre più remote. Gli ordini religiosi

maggiormente coinvolti nell‟evangelizzazione delle terre dell‟Asia furono quelli

dei gesuiti (chierici regolari), dei domenicani e francescani (mendicanti)1 e degli

agostiniani (canonici regolari).

Gli agostiniani e gli ordini mendicanti erano legati all'impero spagnolo, mentre i

gesuiti dipendevano dalla corona portoghese. I missionari dei vari ordini

arrivavano perciò in Cina seguendo due distinte rotte commerciali, e

approdando a basi diverse in oriente; i missionari “spagnoli” erano infatti

impiantati a Manila, nelle Filippine, mentre i gesuiti “portoghesi” avevano una

base a Goa, in India, e si erano ritagliati un posto nella piccola colonia

portoghese di Macao, sulle coste del Guangdong.

I gesuiti giocarono un ruolo da protagonisti in Cina. I primi due membri della

Compagnia a stabilirsi nell‟entroterra furono gli italiani Michele Ruggieri e

Matteo Ricci, che gettarono le basi per la politica di evangelizzazione in quelle

terre. L‟approccio dei gesuiti alla civiltà cinese era guidato al contempo da

attitudine e da strategia: attitudine al dialogo intellettuale, al perseguimento

della conoscenza, all‟apprendimento, fattori che permisero ai gesuiti di

1 Cfr. STANDAERT (2001:287-89)

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10

guadagnarsi la stima e l‟amicizia della classe colta e dei governanti; strategia di

conversione “dall‟alto”, secondo l‟idea che convertendo i funzionari e la corte,

tutto il paese avrebbe seguito l‟esempio. L‟attitudine e la strategia si

concretizzavano anche nell‟apertura verso la cultura e le tradizioni locali, alla

ricerca di valori di base comuni anche sul piano filosofico - religioso; al

contempo, l‟offerta più ghiotta dei gesuiti ai cinesi era rappresentata dal loro

sapere scientifico e tecnico, che gli permise di assurgere ad importanti cariche

governative, come la direzione del dicastero dell‟astronomia (cin. Qīntiānjiàn 钦

天监),2 spalancandogli persino le porte del palazzo imperiale in qualità di

precettori dell‟imperatore. Nel primo periodo della missione, i gesuiti pretesero

e ottennero l‟esclusiva per l‟evangelizzazione in Cina, dettando le regole anche

per gli altri missionari presenti. Questa sorta di iniziale monopolio, insieme con

la loro politica di accomodamento che sembrava troppo eterodossa ai

missionari degli altri ordini, oltre al contrasto politico dato dall‟appartenenza a

due diverse corone, generò fin da subito conflitti con i domenicani e i

francescani.

I missionari domenicani avevano un approccio alla missione diverso dai gesuiti; i

primi preferivano predicare alla gente nelle strade, piuttosto che alla corte e ai

funzionari, cui miravano invece i secondi; dei gesuiti, inoltre, non condividevano

l‟apertura ad alcuni aspetti della tradizione cinese, primo tra tutti il culto degli

antenati praticato dai confuciani, poiché a parer loro contrastavano con la

dottrina cristiana. Le divergenze di vedute dei due gruppi sfociarono in profondi

conflitti, culminati in quella lotta a colpi di reciproche accuse e difese che passò

alla storia col nome di “questione dei riti”.3

I risultati dell‟accordo di patronato regio, stipulato dal papato con i due imperi

iberici, non soddisfecero la Santa Sede che, dal secondo decennio del 1600 in

poi, anche in seguito al graduale declino del potere portoghese e spagnolo a

vantaggio di paesi come l‟Olanda e la Francia, sentì il bisogno di gestire in

modo indipendente l‟evangelizzazione delle terre di missione; a tal fine nacque

nel 1622 la congregazione di Propaganda Fide, istituto direttamente dipendente

dalla Santa Sede, atto a gestire tutto ciò che riguardasse le missioni estere.4 In

2 Ibid. p. 310-11

3 MUNGELLO (1989), passim

4 BROMILEY & BARRETT (2003:560)

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11

Asia, entro certi limiti, Propaganda Fide trovò il modo per aggirare il controllo

che le due corone esercitavano sugli ordini missionari, inviando a sua volta

missionari selezionati da vari ordini, che riportassero informazioni sullo stato

della cristianità in quei paesi, e che fungessero da terza parte in causa nella

gestione della missione.

Nell‟ultimo ventennio del XVII secolo, i cambiamenti degli equilibri geopolitici

mondiali modificarono anche la composizione della missione gesuita, la quale

accolse un gruppo di gesuiti francesi, svincolati dalla sfera del patronato iberico

ormai indebolito, e direttamente dipendenti dal re di Francia. Questi ultimi

vissero per lo più a corte, ricoprendo ruoli di prestigio guadagnati grazie alle

loro conoscenze scientifiche. I gesuiti francesi entrarono in contrasto con i

confratelli portoghesi, tanto che il generale della compagnia dovette

riconoscere ai francesi una maggiore autonomia, nominando per loro uno

specifico superiore, omologo del vice-provinciale dei portoghesi.5

Inutile addentrarsi oltre nelle vicende storiche delle missioni cattoliche in Cina,

per le quali si rimanda alle opere di riferimento sull‟argomento; 6 ciò che

interessa del contesto storico pocanzi tratteggiato, è la presenza sul territorio

cinese di diversi gruppi missionari, linguisticamente caratterizzati in modo

abbastanza netto:

1) nella missione gesuita era preponderante il ruolo della lingua

portoghese, anche se gli scritti gesuiti sulla Cina erano pubblicati e

tradotti in tutte le maggiori lingue europee, prime tra tutte il latino e

l‟italiano;

2) i missionari domenicani, francescani e agostiniani privilegiavano invece lo

spagnolo, idioma in cui furono scritte e pubblicate la maggior parte delle

opere concernenti l‟attività dei missionari spagnoli in Cina;

3) i missionari di propaganda fide facevano un uso ufficiale del latino e

dell‟italiano, ma ancora più importante è il particolare che riguarda

l‟attività editoriale condotta dalla tipografia poliglotta di Propaganda,

5 MUNGELLO (1989) passim; MUNGELLO (1999:37)

6 Un quadro generale ma estremamente completo è in STANDAERT (2001); per la missione

gesuita, MUNGELLO (1989, 1999) e BROCKEY (2007)

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istituita nel 1626, che produsse fin da subito opere a stampa in tutte le

lingue studiate nelle varie terre di missione;

4) infine, l‟arrivo dei gesuiti francesi e il crescente successo mercantile della

Francia del Re Sole, portò anche la lingua francese nel novero delle

lingue di missione usate in Cina.

Tutti i missionari, a prescindere dall‟appartenenza e dalla provenienza, convinti o

costretti a soggiornare per lunghi anni in terra cinese, dovevano

necessariamente affrontare lo studio della lingua. Le vicende storiche, dettate

dai delicati equilibri di potere che coinvolgevano i vari gruppi di missionari attivi

in Cina, vanno considerate al fine di una migliore lettura delle fonti e

un‟interpretazione più contestualizzata dei dati.

1.2 I primi passi nello studio della lingua cinese

A differenza dei mercanti, che intrattenevano rapporti saltuari con i cinesi, per lo

più attraverso l'ausilio di interpreti, per questi religiosi che decidevano di

dedicare l'esistenza alla missione e di trascorrere quindi il resto della vita fuori

dalla patria, l'apprendimento della lingua locale era in assoluto la prima e la più

fondamentale necessità; ad opera dei missionari, infatti, nascono i primi

strumenti per lo studio e la didattica del cinese, come glossari, frasari, dizionari,

etc.

Nelle fonti storiche dei vari ordini missionari coinvolti nella vicenda cinese, si

reperiscono diverse informazioni sui primi tentativi di studio della lingua, di

solito commissionati dai superiori a seguito di una selezione; per la maggior

parte, fino agli anni '80 del 1500, tutti i tentativi di addestrare dei missionari alla

lingua non ebbero esito positivo.

Fin dai primissimi anni di missione in oriente, dalle relazioni dei missionari dei

vari ordini è possibile comprendere quanta difficoltà comportasse l‟approccio

alla lingua cinese. Melchior Nugnez, gesuita, probabilmente il primo missionario

ad aver passato un periodo sulle coste della Cina continentale durante i Ming,7

7 Melchior Nuñez Barreto (1520-1571), uno dei primi gesuiti ammessi al Collegio di Coimbra.

Partì per l‟India e seguì le orme di Francesco Saverio recandosi in estremo oriente subito dopo la

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nel 1555 spronava i confratelli all‟evangelizzazione della Cina, chiarendo le

condizioni necessarie e la via da percorrere:

[…] Ego interim veluti terra pro missionis ingressus sum explorator, ut nova nuncia

accipitur, linguae addiscendae, & cognoscendae regionis magna daretur opportunitas. […]

Nempe ut duo Societatis Patres magno animarum zelo accensi, Cantaonem duabus

instructi linguis ingrederentur […].8

Lo studio della lingua si impose fin da subito come obiettivo primario per la

preparazione della strategia missionaria in Cina. Ma l‟arduo compito mieté

subito le prime “vittime”, sebbene animate da “fervore d‟animo”. Lo stesso

Nugnez, dopo i primi esperimenti di addestramento linguistico al quale aveva

chiamato dei giovani confratelli, nel 1558 scriveva sconsolato:

[...]vedendo parimente per esperienza, che per nissuna via al presente, potriamo far frutto

alcuno nella China: determinai di lasciar un fratello di quelli che menavamo, nella città di

Cantaon; acciò imparasse la lingua Chinese. Questo fratello si domanda Stefano di Gois […]

È vero chel fratello che là lasciai s'affaticò tanto in imparar la lingua( la quale pur in sé è

assai difficile) che venne in una gran fiacchezza di testa: per il che compresi non essere

della sua restata per all'hora servito Dio Nostro Signore. Et cosi quando tornai per là del

Giapon, trovandolo mal disposto che erano sette giorni che non haveva mangiato, mi

parve necessario rimenarlo all'India meco.9

Dieci anni più tardi, nel 1669, il dominicano portoghese Gaspar Da Cruz, uno dei

primi mendicanti entrato in Cina, così sintetizzava il suo approccio allo studio

della lingua:

[…] Nam tem os Chinas letras certas no escrever , porque tudo ho que escrevem he por

figuras, i fazem letras por parte , pollo que tem muito grande multidam de letras ,

significando cada hua cousa por hua letra. […] Esta he a causa porque em toda ha China

sua morte. Entrò per due volte nel Guandong arrivando fino a Canton, trascorrendovi circa un

mese in entrambe le occasioni. 8 GAMEREN (1569:149-150)

9 TRAMEZZINO (1559:44)

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ha muitas lingua de maneira que hua se nam entende a outra por fala […] i todos se

entendem por escritura[…]. […] direlhe q me fizesse as letras todas a .b.c. i rspodeo me q

nam podia logo assi fazellas,q eram mais de cinco mil. Cahi eu logo no q podia ser , i

pregute y lhe como chama esta letra primeira, respondeo, tiem, pregute y lhe tiem q quer

dizer, diçeme claro ho q dantes me estava escodido.10

La confusione relativa al parlato e allo scritto, a quale delle due espressioni

linguistiche andasse studiata, con la paura per l‟enorme difficoltà nella

pronuncia e nel grande numero dei caratteri; questo era il sentimento con cui i

primi missionari dovettero muovere i primi passi nello studio del cinese.

Per stabilire una data, o un periodo, in cui lo studio del cinese prende davvero

corpo con risultati tangibili, bisogna aspettare l‟ultimo ventennio del 1500,

quando iniziò la produzione di documenti linguistici descrittivi per mano tanto

dei gesuiti quanto dei missionari spagnoli. I primi contatti con i cinesi da parte

dei due gruppi di missionari avvennero in luoghi diversi: i missionari domenicani

e francescani iniziavano a conoscere i cinesi e i loro dialetti nei quartieri cinesi di

Manila, dove risiedevano comunità emigrate dal sud della Cina decenni prima,

principalmente dal Guandong e dal Fujian; i gesuiti, invece, incontravano i cinesi

nel continente, dove oltre agli abitanti locali delle zone costiere meridionali

avevano la possibilità di approcciare a cittadini provenienti anche da altre zone

del Paese. Ciò contribuì a determinare differenti strategie linguistiche

rispettivamente da parte dei gesuiti e dei missionari spagnoli.

Ciò che si ritrova fin dalle prime testimonianze, è la consapevolezza di tutti i

missionari riguardo all‟esistenza di più dialetti cinesi, fatto che ancora di più

atterriva coloro che anche solo immaginavano di dover imparare tanti idiomi,

così diversi tra loro. Fortunatamente, essi non tardarono a scoprire che esisteva

una via maestra tra tanti ripidi sentieri, che più direttamente poteva condurli alla

vetta; esisteva, cioè, un idioma privilegiato, non confinato a delle aree

geografiche circoscritte, ma diffuso in tutto l‟impero e parlato dalla classe

dominante. Lo studio di questa lingua divenne quindi il primo obiettivo dei

missionari, soprattutto di quelli che, come i gesuiti, proprio alla classe

dominante volevano parlare e rapportarsi.

10

CRUZ (1669:gjj)

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15

1.2.1 La lingua mandarina: il Guanhua

Con il termine guānhuà 官话, si indica genericamente la lingua (话 huà) usata

dai funzionari (官 guān), ossia i mandarini, per comunicare tra di loro e con la

Corte. Durante gli oltre 500 anni di storia coperti dalle due dinastie Ming e Qing,

i funzionari sparsi nelle varie province dell‟Impero potevano essere destinati al

governo di zone lontane dal proprio luogo di origine, e l‟eventuale modifica

dell‟incarico poteva portare a trasferimenti. Imparare ogni volta un nuovo

dialetto locale non era impresa da poco, inoltre la società locale non era l‟unico

interlocutore dei mandarini, che dovevano comunicare parimenti con i loro

superiori e collaboratori, anch‟essi spesso provenienti da altre parti del Paese. La

nascita e l‟adozione di una lingua franca con statuto ufficiale fu quindi dettata

dalle necessità della classe dirigente, ma la sua diffusione avvenne man mano

anche presso altri strati della società.

Nelle fonti scritte cinesi, il termine Guanhua si rinviene in testi risalenti a metà

del periodo Ming, ma è ragionevole pensare che fosse in uso già all‟inizio della

dinastia.

Le prime testimonianze non cinesi sull‟esistenza di questa “lingua mandarina” si

ritrovano nelle lettere e relazioni dei missionari ed esploratori spagnoli che si

recarono a più riprese in Cina partendo dalle Filippine. L‟agostiniano spagnolo

Martin De Rada,11 già nel 1575 scriveva:

[...]ponemos quasi acada provincia dos nombres el uno es en lengua cortesana y el otro

en la lengua particular de la provincia de Hocquien.12

11

Martin De Rada (1533-1578) è stato uno dei primi agostiniani attivi nelle Filippine nonché uno

dei primi missionari spagnoli ad essere mai entrato in Cina. Nato in provincia di Navarra

Pamplona, in Spagna, il 30 giugno 1533, diventa agostiniano nel 1554. Dopo un periodo in

Messico, dove dimostra buone doti linguistiche, nel 1665 parte per le Filippine, come

accompagnatore della spedizione spagnola comandata dal conquistatore Miguel López de

Legazpi (1502-1572), dove impara anche la lingua cinese. Nel 1572 diventa il primo superiore

provinciale dell'Ordine di Sant'Agostino nelle Filippine; nel 1574 fa da interprete per un gruppo

di commercianti cinesi in visita a Manila. Successivamente, De Rada accompagna diverse

legazioni in Cina in veste di interprete, avendo modo di osservare usi e costumi dei cinesi delle

zone costiere meridionali, in particolare del Fujian. 12

RADA (1575:f.22) Ms.

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16

[...]porque ninguno queno se pa bien leer y escrevir y demas desso la lengua cortesana no

puede ser governador ni Justicia porque encada provincia tienen diferente lengua a un

que todas combinan como portugues valenciano y castellano y tiene esta particulariedad

la letra de la china que como no son letras sino carateres una misma carta la leeran en

todas las lenguas de la china a un que vi cartas escritas en letra cortesana que era

diferente de la de Hocquien, pero en la una letra y en la otra leeran entrambas a dos

lenguas.13

La “lengua cortesana” di cui parla De Rada è chiaramente il Mandarino, la lingua

di corte e di governo, senza la quale era impossibile per un funzionario poter

svolgere le sue mansioni.

Anche un soldato ed esploratore spagnolo , Francisco de Duenas , nel 1580

rendeva conto della situazione linguistica dell‟impero cinese, confermando

l‟esistenza di una lingua “cortigiana”:

[…]Hay en este reyno de china quince prouincias y en cada prouincia hay lengua diferente

y es cosa dever que hay una lengua Particular que llaman la lengua manterin que es la

cortesana y esta corre por odo el reyno an la de saber por fuerça Todos los juezes porque

a ninguno daran a cargo si no la sabe y por eso la llaman lengua manterin porque a ellos

les llaman mantelines y assi todas las peticiones y escriptos que ante ellos se presentan an

de yr en esta lengua[…]14

La coscienza dell‟imprescindibilità di questa lingua ufficiale era quindi diffusa

non solo tra i missionari, ma in generale tra gli occidentali che frequentavano le

coste dell‟impero.

Anche i primi gesuiti che affrontarono lo studio della lingua cinese a Macao e in

Cina non mancarono di segnalare in modo chiaro che la varietà linguistica a cui

si dedicavano era il Mandarino, non già i dialetti locali. Alessandro Valignano

(1539-1606) visitatore delle missioni gesuite di Cina e Giappone dal 1574 al

1606, nella propria relazione del 1584 dimostra non solo di aver ben individuato

l‟esistenza di un dialetto privilegiato, ma ne sottolinea anche l‟importanza nella

strategia missionaria:

13

Ibid., f.28 14

DUEÑAS (1580), Ms.

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17

Tienen también los chinas otro lenguaje, que es casi universal y común, y este es el

proprio lenguaje de los mandarines y de la corte, y es entre ellos como entre nosotros el

latín; y como aquella lengua sea propria de los mandarines, en los quales está todo el

poder y mando, como diximos, todos procuran de aprender a hablar o bien o mal esta

lengua, para poderse negociar con los mandarines. […] están dos Padres de los nuestros

ya de algunos años a esta parte aprendiendo esta lengua mandarín y van aprovechando

en ella como diremos a su tiempo; porque este es el camino, por donde podemos esperar

(quanto a lo que a nosotros toca) que aya alguna entrada en la China[…].15

I due padri impegnati ad apprendere la lingua mandarina di cui parla Valignano,

altri non erano se non Michele Ruggieri e Matteo Ricci. Il primo dei due,

Ruggieri, fu il vero pioniere della Compagnia nello studio della lingua, fu

l‟apripista per tutti i confratelli che seguirono; nonostante la totale mancanza di

informazioni su quell‟idioma, anch‟egli aveva individuato un oggetto di studio

ben preciso:

Dopo l‟havere io alcuni anni atteso nel porto di Amacano (dove negotiano i mercati

Portoghesi) ad imparare quella sorte di lingua, che chiamano mãdarina, usata da questi

Magistrati, & Cortigiani (& per una quasi infinita quantità di caratteri, tanto difficile che

gl‟istessi Cinesi vi spendono gli anni) andai alcune volte co li detti mercanti Portughesi

nella Città di Cantone […].16

Ruggieri aveva quindi ben chiaro il suo target: imparare il cinese Mandarino. A

tale scopo Valignano aveva reclutato tre o quattro cinesi, che a Macao funsero

da insegnanti prima per Ruggeri e poi per Ricci. Tuttavia, come nota il

confratello portoghese Francesco Cabral (1528-1609), anch‟egli a Macao nello

stesso periodo:

La lingua Mandarina in questo porto di Amacano, per mancamento di periti maestri,

parea molto più difficile: hora il P. Matteo che l‟ha bene imparata, & fattovi sopra

osservazioni, mi afferma che gli basta l‟animo d‟insegnarne in sei mesi a nostri fratelli (pur

15

VALIGNANO (1584), Ms. 16

FRÓIS et al. (1586:169-170)

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18

che habbino ingegno, & usino diligenza) tanto, che possano intenderla, & essere intesi.

Vero è che la pronuntia è malagevole, & non si può imparare così presto.17

Nel De Christiana Expeditione, il belga Trigault, sulla base delle memorie dello

stesso Matteo Ricci, così ricorda le prime difficoltà del confratello Ruggieri

nell‟attendere allo studio della lingua cinese e della cortigiana in particolare. Di

seguito si riporta un passo tratto dall‟edizione italiana del 1622, di qualche anno

posteriore all‟originale latino:

Se‟l negotio havesse havuta tanta facilità, quanta ne prometteva, in più breve tempo si

sariano fatti maggiori progressi, ma il parlar Chinese, non solamente è assai difficile, &

intricato più di quanti habbia letto, ò udito, ma la penuria de‟ Maestri rendeva l‟opera per

sé malagevole, e più difficile; perche i Chini[…] quelli, che della China vi stavano per

mercantia, erano imperiti della lingua della Corte, e di quella d‟Europa; poiche i Mercanti

per il più parlano con la lingua del paese lor nativa, che se bene l‟intendono [la lingua

della Corte], nondimeno in quella malamente parlano[…].18

Il “mancamento di periti maestri” era scontato; non c‟è da sorprendersi che,

negli anni ‟80 del 1500, i cinesi reclutati per insegnare il Mandarino ai gesuiti in

transito a Macao non fossero docenti professionisti, bensì semplici personaggi

di estrazione più o meno colta che avevano qualche conoscenza di cinese

Mandarino. Tuttavia, non c‟è dubbio che i gesuiti sapessero fin dall‟inizio quale

fosse la lingua più utile alla loro causa. Inoltre, dalle prime testimonianze dirette

dei missionari, lettere e relazioni che venivano poi quasi sempre pubblicate, la

cognizione della differenza tra Mandarino e dialetti locali si diffuse abbastanza

presto anche in Europa; già nel 1596, il gesuita spagnolo José de Acosta, storico

e perito nelle lingue del Messico, così riassumeva le notizie raccolte dai

confratelli attivi in Cina riguardo alla lingua cinese:

[…]Questa chiamano la lingua Mandarina, la quale ricerca l'età d'un'huomo per impararla.

Et si deue auertire, che quantunque la lingua, nella quale parlano i Mandarini sia

differente dalla uolgare, che sono molte, & là si studia la Latina, come quà, ò la Greca, &

17

ibid. p.188 18

RICCI, TRIGAULT et al. (1622:114)

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19

la sa solamente i letterati, che stanno per tutta la China: nondimeno quello, che si scriue

in quella s'intende in tutte le lingue.19

Negli scritti dei missionari, in riferimento a questa “lingua mandarina”, fin dal

primo periodo fu usato il termine “Guanhua”, che compare già in un dizionario

portoghese-cinese compilato da Ricci e Ruggieri intorno al 1584, dove tra i

lemmi inizianti per la lettera F, si legge: “Falla Madarin, cuõ cua cin yin, 官话正

音”.20

Sempre nel De Christiana Expeditione, vediamo come Trigault riporti la seguente,

eloquente, testimonianza:

[…] ciascheduna Provincia ha propria lingua, & un‟altra commune a tutto il Regno; che

chiamano Quonhoa, che vuol dir parlar di Corte; perciò i Magistrati (come dirò) dove

governano, sono forastieri; i quali, per non aver ad imparar la lingua della Provincia,

vaglionsi del modo del favellar della Corte; ch‟è commune a tutti, col quale i Magistrati,

non solamente trattano i negotii della Provincia, ma anco i più civili: ò sia forastiere, ò sia

nativo. Questa sola imparano i nostri[…]. I putti, le femine intendono il favellar della Corte,

superando la difficoltà con lo spesso, e continuo ragionarne.21

È da affermazioni come questa che si evince quanto il Guanhua arrivasse a

diffondersi anche oltre la ristretta cerchia dei funzionari, tanto che le donne e i

bambini di ogni provincia (a detta di Trigault) lo capivano e imparavano a

parlarlo. Anche il gesuita portoghese Alvaro Semedo (1586-1658), nella sua

relazione pubblicata nel 1642 con il titolo Imperio de la China, offrì numerose

notizie sulla situazione linguistica della Cina alla vigilia del cambio di dinastia.

Questo passaggio estratto dall‟edizione italiana della sua opera conferma la

situazione descritta dai confratelli che lo precedettero:

Il linguaggio che s‟usa nella Cina è di tanta antichità […]. E vario, perché sono varij li Regni,

delli quali hoggi si compone questa corona; & anticamente non eran suoi, mà posseduti

19

ACOSTA (1596:128) 20

“cuõ cua” è la trascrizione delle due sillabe “guan hua” secondo il sistema di Ruggieri; ( v. infra,

capitolo su Ruggieri) 21

RICCI, TRIGAULT et al. (1622:21-22)

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20

da‟ Barbari[…]. Però la lingua della Cina venne ad essere una sola, che chiamiano Quonhoa,

ò lingua di Mandarini; perché essi con l‟istesso passo col quale inducevano il lor governo

in altri Regni, introducevano anche la lingua: e così hoggi corre per tutto il Paese, come il

Latino per tutta Europa[…] e se si parla perfettamente, come d‟ordinario si ode in Nankim,

lusinga l‟udito.22

Dalle osservazioni di Semedo, oltre a confermare l‟esistenza di una lingua

ufficiale, strumento politico, chiamata Guanhua dagli stessi cinesi, scopriamo

che presso la città di Nanchino, secondo il parere del gesuita portoghese, si

parlava un Guanhua corretto (“perfettamente”) e piacevole ad ascoltarsi

(“lusinga l‟udito”).

Dello stesso parere era Luis Le Comte, gesuita francese, che nella sua relazione

Nouveaux Memoirs… del 1697 scriveva:

[…] le son des paroles est assez agréable à l'oreille, sur tout dans la Province de Nankin,

où l'accent est meilleur que nulle autre part; car plusieurs y prononcent les differens tons

si finement qu'un Estranger a bien de la peiné à s'en appercevoir.23

Anche testimonianze successive, come quella inserita dal domenicano Francisco

Varo nella sua grammatica cinese (Arte) alla fine del XVII secolo, indicano la

pronuncia di Nanchino come la più corretta:

[…] Y para el açierto en esto, se a de atender al modo con que pronunçia semejantes

vocablos el Chino, no qualquier Chino, sino solos a quellos que de suio, tiene nel hablar

bien la lengua mandarina, quales son los naturales de la Prov.a de Nân kīng […] Y assi solo

se deve atender a las cabecillas, y vocabularios echos segun se habla en Nân kīng, ò Pě

kīng.24

Dalle parole di Varo si ottiene un‟altra informazione interessante, ossia che

questa lingua ufficiale, pronunciata correttamente nella zona di Nanchino, era la

22

SEMEDO (1643:43) 23

LE COMTE (1696:304) 24

VARO (1703), [BAV segn.: R.G.Oriente.III.246(int07)]

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stessa parlata anche a Pechino (“se habla en Nân kīng, ò Pě kīng”), ulteriore

conferma dell‟entità nazionale assunta dal Guanhua.

La questione relativa a quale fosse il dialetto o l‟area linguistica di riferimento di

questa lingua franca è animatamente dibattuta in ambienti accademici cinesi,

mentre tra i linguisti e sinologi occidentali sembra esistere più accordo, proprio

in base alle affermazioni dei missionari intorno ad uno standard meridionale.

Nell‟economia della presente ricerca, non è essenziale tanto stabilire quale fosse

il dialetto di riferimento, quanto piuttosto accertare che il guanhua descritto dai

diversi missionari, in diversi periodi a cavallo tra Ming e Qing, fosse pressappoco

sempre la stessa lingua; senza questo presupposto, il confronto tra i diversi

sistemi di romanizzazione non avrebbe senso.

Le fonti che prendiamo in esame utilizzano diversi sistemi di romanizzazione per

descrivere la pronuncia di una certa varietà di cinese; se in alcuni casi, come

abbiamo visto, il riferimento ad una lingua ufficiale o “mandarina” è fatto in

modo esplicito dall‟autore stesso, in altri casi non abbiamo simili conferme

dirette.

Certo, per quanto attiene ai gesuiti, sembra che essi si siano concentrati sul

mandarino fin dall‟inizio della missione, quindi tutto lascia pensare che le

generazioni seguenti avvicendatesi nel corso del secolo XVII abbiano continuato

a studiare lo stesso idioma; ma in altri casi, dove non appaiono chiaramente

conferme dirette sul fatto che la lingua descritta fosse il mandarino, il dubbio è

lecito.

Per quanto ne sappiamo, la lingua conosciuta e descritta dai diversi autori presi

in esame poteva essere diversa a seconda delle competenze o delle scelte

dell‟autore; ad esempio, missionari residenti in province diverse conoscevano e

descrivevano dialetti diversi? O, nel caso dell‟esistenza di una lingua comune, è

possibile che essi conoscessero e descrivessero varianti diverse di questa lingua?

Il cambio di dinastia, con il subentrare al potere di un‟etnia non cinese com‟era

quella Mancese, ha determinato o meno un repentino cambiamento della lingua

comune? Le opere scritte dai missionari durante il primo periodo Qing

potrebbero aver descritto un Mandarino diverso da quello dei loro confratelli

attivi durante i Ming?

La discussione accademica su queste tematiche, sia in Cina, sia in occidente, è

iniziata nella prima metà del 1900 e si mantiene viva tutt‟oggi, specialmente in

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relazione al lavoro condotto dalla fonologia storica nell‟ambito della

ricostruzione della pronuncia del Mandarino Ming-Qing. Nel paragrafo

seguente si dà brevemente conto delle più recenti conclusioni riguardo alla

storia del l‟evoluzione del cinese Mandarino durante le ultime due dinastie.

1.2.2 Origine ed evoluzione del Mandarino Ming-Qing

La pronuncia standard delle lingue comuni o nazionali tende ad essere

influenzata dai dialetti dei centri culturali e politici, in particolare delle capitali;

pertanto, essendo stata Pechino la capitale dell‟impero cinese dal 1267 (dinastia

Yuán 元) ad oggi, con l‟eccezione dei primi decenni della dinastia Míng (1356-

1421, periodo in cui la capitale fu posta a Nanchino), si è spesso asserito che il

dialetto di riferimento per la lingua comune sia sempre stato quello di Pechino.

C‟è da dire che nella stessa Pechino, nel corso degli ultimi otto secoli, si sono

avvicendati governi e popolazioni dalle provenienze eterogenee, pertanto

numerosi sono stati i dialetti parlati nella capitale in periodi diversi.

Ciononostante, la linguistica sinologica ha assunto l‟ipotesi dell‟origine

“pechinese” del Mandarino come verità indiscussa per lungo tempo.25

La fluttuazione della situazione linguistica nel corso dell‟ultimo millennio della

storia cinese va certamente analizzata secondo schemi piuttosto complessi; le

teorie in cui si ipotizza che uno standard linguistico possa mutare

repentinamente a seguito di un improvviso cambio del centro di potere, sono

probabilmente da accogliere con cautela. Sebbene gli sconvolgimenti socio-

politici quali lo spostamento dei centri di potere e le conseguenti migrazioni di

massa influenzino fortemente i processi di evoluzione e metamorfosi delle

lingue, questi ultimi hanno bisogno di tempo per attuarsi e affermarsi.

Numerose fonti cinesi dei secc. XV-XVIII attestano l‟esistenza di una lingua

ufficiale/nazionale (il Guanhua), usata per scopi di governo e di coesione

nazionale;26 dal punto di vista occidentale, ciò conferma quello che i missionari

osservavano nelle prime relazioni spedite in Europa. Inversamente, nonostante

le stesse fonti cinesi avvalorassero già di per sé l‟ipotesi dell‟esistenza di un

25

Cfr. COBLIN (2002a:31-32) 26

Cfr. YE (2001:21-24)

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Guanhua Ming-Qing, l‟incontro degli studiosi cinesi con le fonti missionarie ha

offerto ad essi ulteriori prove in merito al Mandarino dell‟epoca, aprendo altresì

un nuovo filone di ricerca nella linguistica sinologica in Cina.27

Gli studiosi che, nel tracciare le linee del processo evolutivo della pronuncia del

Mandarino Ming-Qing, si sono interessati alle fonti cinesi o a quelle straniere,

hanno disposto di due punti di vista diversi per scrivere sostanzialmente la

stessa storia.

Stabilita l‟esistenza di una lingua comune, resta da capire se essa sia sempre

rimasta simile a se stessa, oppure se sia mutata nel corso dei secoli e in che

misura.

Per oltre due millenni, a partire dall‟epoca Shang-Zhou (XI-VII sec. a.C.) fino ai

Song Settentrionali (X-XI sec.), con esclusione del periodo delle dinastie del

nord e del sud (V-VI sec.) i centri politici dell'Impero furono sempre allocati nella

zona della pianura centrale cinese (Zhōngyuán 中原, o Zhōngzhōu 中洲),

appena sotto il fiume Giallo. La pronuncia dei dialetti Han parlati nella pianura

centrale ha costituito la base per le successive lingue comuni del popolo Han, in

un processo lungo e complesso, articolatosi nel corso di un millennio ed oltre. 28

Una forte differenziazione tra dialetti settentrionali e meridionali avvenne

durante il III secolo d.C., quando la dinastia dei Jin 晋 (266-420) dovette cedere

la Cina del nord alle popolazioni nomadi (che si avvicendarono al potere nel

periodo detto dei “sedici regni”, liùshí guó 十六国), ritirandosi nella zona

meridionale del Jiāng-Huái 江淮,29 e dando così inizio alla seconda fase della

dinastia, ricordata come Jin orientali (Dōng Jìn 东晋); pertanto, mentre i dialetti

settentrionali entrarono in contatto con le lingue uralo-altaiche e ne venivano

gradualmente influenzati, 30 al contempo i dialetti centro-settentrionali della

pianura centrale scesero nel sud del Paese, dove iniziò una progressiva osmosi

con gli idiomi meridionali del gruppo Wú 吴 , i quali subirono l‟influenza

27

In relazione all‟influenza delle fonti missionarie sulla linguistica cinese, cfr. LUO (1930), COBLIN

(2002a:36-37) e WANG (2007) 28

YE (2001:2-3) 29

Ossia l‟area a nord del fiume Azzurro o Chángjiāng 长江 (per antonomasia “jiāng”, cioè

“fiume”) e a sud del fiume Huái 淮; dall‟accostamento dei caratteri rappresentanti il nome dei

due fiumi deriva la denominazione Jiāng-Huái. 30

Cfr. ZHANG (1998a:77) e YE (2001:11)

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linguistica della classe dominante proveniente dalle regioni centrali.31 La capitale

Jiànkāng 健 康 dei Jin, pressoché corrispondente all‟odierna Nanchino,

comprendeva decine di prefetture totalmente abitate da cittadini originari delle

pianure centrali, diventando gradualmente una metropoli “cosmopolita” dove

culture e lingue meridionali e centro-settentrionali andavano lentamente

fondendosi, dando vita a quello che viene solitamente definito “Mandarino

meridionale” (Nánfāng guānhuà 南方官话) e che, di fatto, è un prodotto dello

spostamento delle popolazioni Han centro-settentrionali dalla pianura centrale

verso il meridione.32

La differenza tra i due grandi gruppi linguistici del nord e del sud si rafforzò

durante il successivo secolo e mezzo, periodo di divisione dell‟impero, dominato

dalle cosiddette “Dinastie del Nord e del Sud” (Nán Běi cháo 南北朝, c.a. 420-

589).

Successivamente, con le dinastie Suí 隋 (581-618) e Táng 唐 (618-907) e il

seguente spostamento della capitale nel centro-nord (alternativamente nelle

due città di Luòyáng 洛阳 e Cháng‟ān 长安), il Mandarino dell‟area di Nanchino

e del Jianghuai (Nanfang Guanhua) ritornava nelle pianure centrali da dove era

partito, stabilendosi come standard per la lingua comune dell‟Impero. Anche

durante i Song settentrionali (Běi Sòng 北宋 , 960-1127), lo stesso idioma

continuava a fungere da lingua franca del Paese.

Nel periodo dei Song meridionali (Nán Sòng 南宋, 1127-1279), quando la

dinastia retrocesse nuovamente verso il sud a fronte dell‟invasione dei nomadi

settentrionali Jurchen (in cinese Nǚzhēn 女真 ), iniziò un altro periodo di

consolidamento e differenziazione delle pronunce settentrionali e meridionali: il

Nanfang Guanhua tornando al sud mantenne sostanzialmente le sue

caratteristiche centro-meridionali; al nord, invece, una nuova ondata di lingue

uralo-altaiche rafforzò le caratteristiche dei dialetti cinesi settentrionali.33

La dinastia mongola degli Yuán 元 (1271-1368), non solo spostò la capitale a

Pechino, nell‟estremo nord del Paese, ma impose il mongolo come lingua di

Governo. Tuttavia, la maggioranza dei funzionari Yuan non era composta da

cinesi Han, ma da appartenenti ad altre etnie straniere; la corte Yuan evitò altresì

31

ZHANG (1998a:74) 32

YE (2001:14) 33

COBLIN (2002b:533-35)

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25

che i sudditi mongoli subissero un processo di sinizzazione, e i contatti

linguistici furono meno sconvolgenti di quanto avrebbero potuto essere. La

classe colta cinese continuò sostanzialmente ad utilizzare lo standard

Mandarino tramandato nei secoli precedenti.34

Dopo appena un secolo di dominazione mongola, l‟avvento della dinastia Míng

明 (1368-1644) riportò la lingua mandarina al suo status originario; nei primi

cinquant‟anni della dinastia, tra l‟altro, la capitale rimase a Nanchino, il cui

dialetto doveva essere il più rappresentativo della pronuncia mandarina corretta.

Anche lo spostamento della capitale a Pechino non sortì effetti sostanziali sullo

standard linguistico nazionale, che rimaneva radicato all‟area centro meridionale

del Jianghuai.35 Il graduale sviluppo demografico ed economico della nuova

capitale cominciò tuttavia ad innestare un lento processo di spostamento del

centro culturale verso il nord, cui nei secoli seguenti poté per gradi

accompagnarsi anche l‟affermazione e l‟aumento dell‟influenza dell‟area

settentrionale sul piano linguistico.36

Un contributo in questa direzione forse coincise anche con l‟ultimo cambio di

regime, a favore dei mancesi della dinastia Qīng 清 (1644-1912).37 La capitale

rimase a Pechino, dove l‟interazione linguistica tra il Mandarino meridionale

(Nanfang Guanhua) e i dialetti settentrionali, ebbe modo di continuare a

svolgersi. Seppure appartenenti ad un‟etnia non cinese, i regnanti Qing si

rapportarono ai cinesi in maniera differente dalla precedente dinastia forestiera

dei mongoli Yuan, partecipando ad un processo di integrazione culturale (da

alcuni definito semplicemente “sinizzazione”) che, sul piano linguistico, si

concretizzò con una situazione di multilinguismo, in cui il cinese Mandarino

continuava a giocare un ruolo fondamentale. Durante la dinastia Qing, il

mancese, il mongolo e il cinese erano tutti idiomi ufficiali indispensabili

nell‟amministrazione pubblica; 38 nel tardo XVIII secolo si diffuse anche una

politica per la quale i funzionari di una certa etnia erano tenuti a parlare nella

propria lingua madre. Ma, di fatto, nelle aree fuori dal diretto controllo della

34

ZHANG (1998a:76) 35

COBLIN (2002a:31); 36

YE (2001:14) 37

Id. 38

Cfr. CROSSLEY & RAWSKI (1993:80)

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26

Corte, i funzionari non cinesi imparavano ed usavano il cinese per necessità e

convenienza;39 fin dall‟inizio della dinastia, la produzione dei documenti ufficiali

avvenne in tutti e tre gli idiomi, 40 ma la lingua parlata dagli ufficiali tendeva ad

essere il cinese, probabilmente la stessa forma di Mandarino meridionale

utilizzata nei secoli precedenti. Solo verso la metà del 1800, dopo un lungo

periodo di influenza da parte dei dialetti settentrionali, la pronuncia standard

del cinese Mandarino perse alcune caratteristiche dell‟area meridionale,

avvicinandosi e infine attestandosi sulla pronuncia standard settentrionale; il

nuovo dialetto Mandarino pechinese (Beijing Guanhua 北京官话) fu alla base

del Mandarino moderno.41

Il presupposto fondamentale sul quale si basa questa ricerca e, soprattutto, la

comparazione di numerosi e diversi sistemi di romanizzazione, è che tutte le

opere e gli autori presi in considerazione abbiano descritto più o meno la stessa

lingua. Considerato quindi che:

1) Le fonti cinesi, in tutto l‟arco di tempo che va dalla fine del XVI

all‟inizio del XVIII secolo, testimoniano l‟esistenza di una lingua nazionale

chiamata Guanhua (il Mandarino), storicamente sviluppatasi nelle zone

centro-meridionali a ridosso del fiume Azzurro, in particolare nei pressi di

Nanchino. Questo idioma dovette conservare le sue caratteristiche

meridionali durante i secoli a cavallo delle due dinastie, cedendo il passo

ad uno standard settentrionale solo a metà del XIV secolo;

2) Anche le fonti scritte dai missionari, indipendentemente dall‟ordine

di appartenenza, testimoniano l‟esistenza di una lingua nazionale nella

Cina Ming-Qing, rimarcando che essa, e non i dialetti, era l‟oggetto

primario del loro studio, in quanto permetteva di comunicare con cinesi

di varie estrazioni e provenienze. I missionari sottolineavano inoltre in più

casi che le aree dove meglio si pronunciava questo cinese Mandarino

erano quelle circostanti a Nanchino.

39

Id. 40

Ibid., p.68 41

COBLIN (2002a:32-33)

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27

Pertanto, è molto probabile che le romanizzazioni presenti nelle fonti

missionarie prese in esame riflettano tutte la stessa pronuncia del cinese

Mandarino meridionale (Nanfang Guanhua) parlato nel periodo a cavallo tra

Ming e Qing. Il confronto tra i vari sistemi di romanizzazione è quindi sostenibile.

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28

2.0 ILLUSTRAZIONE FONTI E METODOLOGIA

2.1 Documenti (fonti)

Come si è già accennato nell‟introduzione, le fonti primarie di questa ricerca

sono costituite da un ampio gruppo di documenti scritti in Cina dai missionari

cattolici tra la fine del XVI secolo e l‟inizio del XVIII. Per quanto possibile, si è

preferito lavorare direttamente sulle fonti originali, per lo più in riproduzione

fotostatica, tenendo comunque in considerazione i lavori di raccolta dati e

analisi effettuati da altri studiosi. Nel fruire delle fonti secondarie, pur non

discutendone l‟attendibilità, si è cercato di effettuare in prima persona un

costante riscontro sulle fonti originali.

Tutte le fonti primarie prese in esame, sebbene molto diverse per tipologia e

consistenza (da poche decine a molte centinaia di pagine) hanno una

caratteristica che le accomuna: in ognuna compaiono numerose parole cinesi

(da qualche decina a molte migliaia), le cui pronunce sono rese in forma

alfabetica. Nella maggior parte di questi documenti è possibile riscontrare una

certa coerenza interna e sistematicità nelle romanizzazioni, che non appaiono

quindi casuali e istintive, permettendo bensì di individuare dei sistemi di

romanizzazione completi ed organici, potenzialmente descrivibili nei loro

elementi e nelle loro regole. A tal fine, si deve prima raccogliere i dati, cioè tutte

le parole cinesi romanizzate che compaiono in una fonte, per poi isolarne tutte

le sillabe di base.

Non tutti i documenti, però, offrono i dati nello stesso modo; nei paragrafi

seguenti sono brevemente illustrate le principali problematiche relative alla

raccolta dei dati in base alla varietà delle fonti.

2.1.1 Manoscritti e stampati

La differenza tra fonti manoscritte e stampate è abbastanza evidente: nelle

forme manoscritte, l'autore ha la libertà di rendere graficamente lettere e

diacritici nel modo che ritiene più opportuno e funzionale; al contrario, nel

periodo storico cui ci riferiamo, la stampa aveva e imponeva limiti grafici, per

motivi tecnici o economici. Mentre una fonte manoscritta, specie se originale,

riflette direttamente la resa voluta dall‟autore senza alcuna interpolazione, nel

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29

passaggio tipografico da un manoscritto all‟opera stampata erano frequenti gli

errori, le sostituzioni di lettere o l‟omissione di diacritici. Pertanto, le fonti a

stampa offrono dati generalmente meno completi di quelle manoscritte.

Per tutti i documenti analizzati, quando necessario, si ipotizzano implicazioni

relative alla copiatura o alla stampa, nel tentativo di chiarire in generale il valore

e l'affidabilità della fonte, in particolare singole stranezze tipografiche.

2.1.2 Tipologia e quantità dei dati

La tipologia stessa dei documenti influisce sull'entità dei dati che vi si possono

raccogliere. È facile immaginare che un dizionario conterrà sempre un gran

numero di parole cinesi romanizzate, un glossario o un frasario ne conterranno

tendenzialmente meno; al contrario, una breve relazione scritta da un

missionario in un certo periodo della sua missione in Cina potrà certo contenere

alcune parole cinesi romanizzate, quali toponimi, nomi di persona, alcune parole

ed espressioni comuni; ma, per quante ne contenga, esse difficilmente

raggiungeranno la stessa quantità di quelle elencate da un glossario, o un

dizionario. Nel testo, completamente romanizzato, di un lungo brano letterario,

sebbene esso possa offrire un gran numero parole cinesi romanizzate, per una

questione di frequenza di occorrenza non è detto che vi appaiano tutte le

sillabe della lingua cinese, poiché alcune sillabe corrispondono a parole molto

rare.

2.1.3 Presenza o assenza dei caratteri cinesi

Tutti i documenti contengono romanizzazioni, ma non tutti i documenti

contengono i caratteri cinesi corrispondenti alle romanizzazioni. La differenza

non è da poco: se si hanno i caratteri cinesi, o se vi si può risalire, si ha più

certezza su quale grafia corrisponda a quale suono. Nel caso contrario, quando

non compaiono i caratteri cinesi, si ha bisogno di un gran numero di sillabe, per

poter descrivere correttamente gli elementi del sistema di romanizzazione.

2.1.4. Fonti ordinate e disordinate

Per alcuni documenti, la raccolta dei dati è semplificata, in quanto le sillabe di

base compaiono in maniera ordinata; ad esempio, in un dizionario cinese-

europeo ordinato alfabeticamente secondo la pronuncia romanizzata dei lemmi

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cinesi, guardando i capilettera dei lemmi e scorrendo il dizionario si otterranno

in breve tempo tutte le sillabe di base di quel sistema. Al contrario, in un

dizionario europeo - cinese, dove i lemmi ordinati alfabeticamente saranno

quelli europei, le parole cinesi (e quindi le sillabe romanizzate) si reperiranno

sostanzialmente in un ordine sparso, quindi sarà necessario scorrere con

attenzione tutto il dizionario, estrapolando le sillabe una ad una ogni volta che

le si incontra per la prima volta. Non solo ci vorrà molto più tempo, ma non è

garantito nemmeno che compaiano tutte le sillabe di base della lingua.

2.2 Organizzazione dei dati e problemi metodologici

Inizialmente, da una fonte scritta si estraggono tutte le parole cinesi in forma

romanizzata; da queste bisogna estrapolare le singole sillabe, elencandone tutti

i tipi grafici che è possibile distinguere.

Alcune fonti offrono le parole romanizzate in forma già sillabata, ossia lasciando

uno spazio bianco tra le sillabe, che così possono essere facilmente isolate e

censite; in altre fonti, le sillabe delle parole romanizzate sono invece scritte tutte

attaccate. Qui si pone un problema metodologico nella raccolta dei dati: Come

riconoscere i confini di sillaba?

Inoltre, una volta estrapolate le sillabe, se ne devono analizzare separatamente

le grafie per le iniziali, i gruppi grafici per le rime, nonché gli eventuali segni

diacritici (aspirazione, toni, apertura vocale, etc.). Ma la corrispondenza tra grafia

e pronuncia non è lineare, e non è sempre facile capire se un certo grafo

rappresenta individualmente un valore fonologico, o se invece gioca solamente

un ruolo ortografico. Perciò, un problema nell‟organizzazione dei dati raccolti è:

Come riconoscere le grafie corrispondenti a iniziali e rime?

2.2.1 Il riferimento fonologico

I due problemi presentati si risolvono fissando dei punti di riferimento

fonologici; stabilendo, cioè, quali fossero i possibili valori fonologici sottostanti

alle grafie prese in esame.

Da una parte, le lettere alfabetiche usate nelle romanizzazioni furono mutuate

dagli alfabeti delle varie lingue europee conosciute dai missionari; le grafie

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corrispondevano quindi a specifici valori fonologici, diversi a seconda di quale

fosse la pronuncia europea e la relativa ortografia di riferimento.

Dall‟altra, quelle stesse grafie furono usate per annotare la pronuncia cinese,

andando così a corrispondere ai fonemi di quella lingua.

Sembra altamente probabile, se non scontato, che se una certa grafia alfabetica

fu usata per annotare un certo valore fonologico del mandarino Ming-Qing,

questo valore doveva essere simile o uguale ad uno dei valori fonologici che

quella grafia rappresentava in una delle lingue europee di partenza. Pertanto,

per risolvere i due quesiti metodologici esposti più sopra, è utile aver presenti

sia i valori fonologici rappresentati dagli alfabeti europei post-rinascimentali, sia

le ricostruzioni dell‟ipotetico sistema fonologico del mandarino Ming-Qing.

2.2.2 Caratteristiche fonologiche degli alfabeti europei

I missionari vissuti in Cina durante la fine dei Ming e l'inizio dei Qing

provenivano da diversi paesi d'Europa, ognuno dei quali aveva una sua lingua

nazionale. A quel tempo, ciascuna delle lingue nazionali europee aveva già una

lunga tradizione letteraria e filologica; alcune di quelle lingue, come l‟italiano,

erano utilizzate di frequente anche al di là dei confini nazionali. Ma le lingue

effettivamente servite come mezzo di comunicazione internazionale e nelle

missioni dell‟estremo Oriente furono principalmente il latino, il portoghese e lo

spagnolo nel periodo del patronato iberico, mentre il francese cominciò ad

essere utilizzato a partire dagli ultimi decenni del XVII secolo.

Il latino era la lingua ufficiale della Chiesa, utilizzata soprattutto nei contatti

diretti tra la Santa Sede e i missionari. Ma il portoghese e lo spagnolo sono state

le lingue più usate dai missionari in oriente per comunicare all'interno delle

missioni e con i rispettivi superiori.

La lingua portoghese rimase la lingua franca della missione gesuita per più di un

secolo e mezzo, anche se la piccola popolazione del Portogallo offrì un numero

abbastanza esiguo di portoghesi alla causa gesuita, 42 portando l‟ordine ad

acquisire una composizione molto eterogenea, cosicché un gran numero di

42

STANDAERT (2001:309)

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32

lingue erano effettivamente utilizzate quotidianamente tra i membri della

compagnia nelle varie missioni.

Nello stesso periodo, lo spagnolo consolidò una posizione predominante presso

gli ordini mendicanti, diffondendosi anche nelle colonie mercantili dell‟impero

spagnolo; in oriente, la lingua spagnola trovò terreno fertile specialmente nelle

Filippine.

Il portoghese fu in seguito soppiantato dal francese come lingua franca della

missione gesuita in Cina, sia a causa della diminuzione della forza coloniale

portoghese, sia per il crescente potere dell'Impero francese. La sostituzione del

portoghese col francese iniziò in Cina subito dopo l‟arrivo dei “Matematici del

Re”, i gesuiti francesi inviati da Luigi XIV; al contempo, diventava gradualmente

anche la lingua preferita dagli intellettuali europei del XVIII secolo.

Lingue minori come l‟italiano, il tedesco, il polacco o il fiammingo, godettero di

alcuni periodi di diffusione, a volte per motivi politici, a volte perché funzionali a

specifici ambiti della cultura, ma nessuno di questi idiomi ha influenzato

sensibilmente l'equilibrio linguistico delle missioni orientali. L‟italiano, a causa

dell‟alto numero di missionari provenienti dalla penisola mediterranea, ha però

conquistato di quando in quando uno spazio nelle relazioni o nella

corrispondenza missionaria che, ampiamente pubblicata per il pubblico europeo

avido di notizie, ha contribuito ad una certa “italianizzazione” delle informazioni

sull‟oriente.

Una breve panoramica sulle ortografie post-rinascimentali delle principali lingue

europee coinvolte in questo processo di romanizzazione del cinese (in quanto

lingue franche per le missioni, o in quanto lingue madri degli autori delle

romanizzazioni) può servire a raccogliere qualche indizio circa la localizzazione

dei sistemi di trascrizione. Inoltre, i valori fonologici ricoperti dalle lettere dei

vari alfabeti, ricostruibili con buona approssimazione, aiuteranno ad guadagnare

altri punti di riferimento rispetto alla pronuncia cinese descritta dalle

romanizzazioni.

2.2.2.1 Latino post-rinascimentale

L‟alfabeto del latino classico si componeva di 23 lettere: a, b, c, d, e, f, g, h, i, k, l,

m, n, o, p, q, r, s, t, v, x, y, z. Solo alcuni secoli più tardi vi si aggiunsero anche le

due lettere: j, u.

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33

Grazie al fatto che la pronuncia del latino post-rinascimentale è stata

abbondantemente descritta dai filologi dell‟epoca, i valori fonologici

rappresentati dalle lettere in quel periodo sono abbastanza certi. Tra questi, per

il nostro obiettivo siamo più interessati alle seguenti caratteristiche:43

- c, k, q, allografi per /k/;

- v ed u rappresentavano sostanzialmente lo stesso suono /u/, ed è difficile

reperire nelle fonti una descrizione di v che faccia pensare alla fricativa

sonora labiodentale /v/. Probabilmente, una opposizione immaginabile

potrebbe essere u come vocale tonica /u/ mentre v come semivocale /w/;

- h rappresentava una fricativa velare sorda /x/, ma era anche usata per

rendere graficamente le varianti aspirate di altre consonanti, come in ch

per /kh/;

- x era un grafema per il gruppo consonantico /ks/.

Anche se l‟alfabeto latino rappresenta la base di tutti gli alfabeti che seguono,

alcune delle sue caratteristiche permetto facilmente di dire che la pronuncia

latina dell‟alfabeto non ha giocato un ruolo centrale nella romanizzazione del

cinese.

2.2.2.2 Italiano post-rinascimentale

Anche l‟alfabeto italiano dei secoli XVI-XVIII comprendeva 23 lettere: a, b, c, d, e,

f, g, h, i, k, l, m, n, o, p, q, r, s, t, v, x, y, z, e l‟ortografia prevedeva molti digrammi,

come ch, gh, gn, sc, etc. Tra tutte le caratteristiche della grafia italiana, è

interessante considerare le seguenti peculiarità:44

- c rappresentava sia l‟occlusiva /k/, sia l‟affricata /tʃ/. L‟ortografia voleva

che, per /k/ davanti ad a, o, u, il grafema c rimanesse invariato, ma vi

andava aggiunta la -h (ch) davanti a e, i. Mentre per /tʃ/ rimaneva c

davanti ad e ed i, ma vi andava aggiunta la -i (ci) davanti ad a, o, u;

- la situazione di g era identica a quella di c, con la sola differenza che g

rappresentava fonemi sonori invece che sordi: /g/ e /dʒ/. In epoca post-

43

ACETI (1733) passim 44

Cfr. POLITI (1614) e BARTOLI (1670) passim

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34

rinascimentale, il valore /dʒ/ cominciò a cambiare nel fricativo palatale

sonoro /ʒ/ in alcuni dialetti centrali (toscano, umbro, marchigiano);

- h, era per lo più un‟iniziale muta, ovvero un‟occlusiva glottidale /ʔ/, ma

come si è visto era usata anche per modificare la c e la g, dai loro valori

affricati /tʃ/ e /dʒ/ alle occlusive velari ch /k/ e gh /g/ prima di e and i;

- il digramma gn, rappresentava la nasale palatale /ɲ/;

- k, x e y erano usate solo in parole greche o latine;

- q, valeva /k/ davanti ai dittonghi inizianti con un‟approssimante u /w/. La

sequenza dei due grafemi qu rendeva quindi il gruppo consonantico

/kw/;

- il digramma sc rappresentava una fricativa post-alveolare /ʃ/;

- v, rappresentava sia una vocale con valore /u/, sia una consonante con

valore /v/ o /υ/. Sebbene non distinti graficamente, nel periodo post-

rinascimentale l‟italiano indicava con v due fonemi diversi. In realtà, le

due forme grafiche v e u convivevano nei testi nel XVI-XVII secolo, come

varianti grafiche pressoché libere, sebbene v comparisse più

frequentemente in iniziale di parola.

Si vedrà come alcune caratteristiche della pronuncia italiana dell‟alfabeto siano

state introdotte in alcuni sistemi di romanizzazione del cinese, per lo più ad

opera di italiani.

2.2.2.3 Portoghese post-rinascimentale

La pronuncia portoghese delle lettere latine differiva dalle altre per più di una

caratteristica. L‟alfabeto era composto da un set di 24 lettere: a, b, c, ç, d, e, f, g,

h, i, k, l, m, n, o, p, q, r, s, t, u(v), x, y and z, e l‟ortografia prevedeva una serie di

digrammi, tra i quali ch, lh, nh. Le principali peculiarità della grafia portoghese

erano:45

- ç, con la cediglia, era usato per rendere un valore fricativo dentale tipo

/s/ davanti ad a e o, in complementarietà con z che rendeva sempre /s/

ma davanti a e, i, u;

45

Cfr. LEAO [LIAO] (1576, 1606, 1781) passim

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35

- c, valeva /k/ davanti ad a, o e u, mentre probabilmente valeva /tʃ/ davanti

e ed i, come in italiano;

- e ed i, in molti casi convergevano a rappresentare un vocale centralizzata

/i/.

- g valeva sia /g/, sia /ʒ/. Per il valore /g/ l‟ortografia voleva che davanti a

a, o, u il grafo rimanesse g, mentre davanti a e, i andava aggiunta una h

(ghe, ghi), senza la quale valeva g /ʒ/ (ge, gi);

- h stava per la fricativa velare /x/ se precedeva una vocale. Era anche usata

per aggiungere un qualche tipo di frizione ad altri fonemi, come nel

digramma ch che rappresentava sia /kh/, sia /tʃ/, o i digrammi ph e th per

le pronunce di origine greca /ɸ/ e /θ/;

- k, per /k/, usato solo nelle parole di origine greca;

- il digramma lh occorreva davanti a vocali e rappresentava un suono tra la

semivocale /j/ e la laterale /ʎ/;

- Il digramma nh occorreva davanti a vocali e aveva probabile valore /ɲ/;

- q, come in italiano, valeva /k/ davanti ai dittonghi inizianti con

un‟approssimante u /w/. La sequenza dei due grafemi qu rendeva quindi

il gruppo consonantico /kw/. Ma la stessa sequenza poteva rendere anche

semplicemente il valore /k/;

- u and v, si opponevano probabilmente in quanto vocale /u/ e semivocale

/w/. In posizione iniziale, v aveva forse un valore approssimante

labiodentale /ʋ/. Sostanzialmente, però, si confondevano nell‟uso;

- x, rappresentava generalmente una fricativa post-alveolare /ʃ/ o

retroflessa /ʂ/. Solo in finale di arcaismi latini suonava /ks/;

- y, allografo di i per /i/;

- z, allografia di s, ç per /s/ o /z/

Molte delle caratteristiche ortografiche del portoghese appena riassunte si

ritroveranno in diversi sistemi di romanizzazione del cinese fin dai primissimi

esperimenti, fatto che determinò una certa longevità di alcune tra queste grafie

nel corso dei secoli, nonostante le trasformazioni e i cambiamenti delle grafie di

riferimento.

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36

2.2.2.4 Spagnolo post-rinascimentale

Chiamato anche Castigliano, secondo le descrizioni del XVIII secolo aveva un

alfabeto di 26 lettere: a, b, c, ç, d, e, f, g, h, i, j, k, l, m, n, ñ, o, p, q, r, s, t, u, v, x, y,

z.46 Prevedeva alcuni digrammi, tra cui ch e ll. Alcune delle caratteristiche salienti

per la presente ricerca sono riassunte di seguito:

- c, valeva /k/ prima di a, o e u, mentre davanti ad i rappresentava un

valore tra l‟affricata /ts/ e la fricativa /s/;47

- ç poco usata, comunque con valore tra /s/ e /θ/ ;48

- ch, era prevalentemente la resa di /tʃ/;

- g, stava per /g/ prima delle vocali a, o e u, mentre probabilmente

rappresentava una fricativa velare sonora /γ/ prima di e ed i;

- h, era una fricativa palatale /ç/, o una fricativa alveolo-palatale /ɕ/;

- i e y, erano allografi per /i/, ma y era maggiormente usato per indicare le

semivocali nei dittonghi;

- ll, rappresentava il suono laterale /ʎ/;

- q, valeva /k/ davanti a u, che a differenza dell‟italiano (dove valeva /w/) in

spagnolo era muta. Pertanto la sequenza dei grafi qu nell‟ortografia

spagnola era un digramma per /k/;

- u e v, in spagnolo rappresentavano suoni distinti fin dal XV secolo, con i

rispettivi valori /u/ e /v/;

- x, rappresentava la fricativa velare sorda /x/ prima delle vocali, mentre

manteneva il suono /ks/ solo in posizione finale negli arcaismi latini;

- z, un valore tra la fricativa dentale /θ/ e l‟alveolare /s/.

Anche alcune di queste peculiarità dell‟ortografia spagnola confluirono nel

calderone delle romanizzazioni, specie di quelle a firma di parlanti ispanofoni,

ma rimanendo in uso anche in sistemi ispirati ad altre lingue.

46

IBARRA (1770) passim 47

Non si può comunque escludere un possible valore palatale /ç/. 48

moriano (1866) passim

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37

2.2.2.5 Francese post-rinascimentale

L‟alfabeto francese era, ovviamente, molto simile agli altri alfabeti per

l‟inventario delle lettere, comprendendone 26: a, b, c, ç, d, e, f, g, h, i, j, k, l, m, n,

o, p, q, r, s, t, u, v, x, y e z, ma prevedeva alcuni digrammi e trigrammi iniziali

particolari, tra cui ts, tch, nonché l‟uso di diacritici assenti in altre ortografie

europee, come la dieresi ( ) sovrascritta ad alcune vocali e, in generale, un

complesso sistema di dittonghi e trittonghi:49

- c valeva /s/ davanti a e, i, y, in complementarietà con l‟allografo ç /s/

davanti ad a e o, in quanto opposto a c per /k/ davanti ad a, o e u;

- ch, per /ʃ/, da cui il trigramma tch per /tʃ/;

- g valeva /g/ prima di a, o, u; mentre stava per /ʒ/ prima di e;

- gn, per /ɲ/;

- h sia muta, sia con valore /x/, a seconda delle parole;

- j era un allografo di g

- k, per /k/ era usata solo nelle parole straniere;

- ts valeva /ts/, anche questa una resa peculiare del francese;

- v, approssimante labiodentale /ʋ/;

- y, allografo di i /i/, occorrendo unicamente in posizione finale di parola.

L‟ortografia francese possedeva delle particolarità che la rendevano ben

riconoscibile rispetto alle altre. Tra queste, la tendenza a rendere graficamente

fonemi vocalici semplici attraverso combinazioni complesse di più grafi (es. ou

per /o/, ai per /ɛ/-/e/) risultando in una serie di allografie (es. per /o/: ou, ots,

eau). L‟influsso sui sistemi di romanizzazione del cinese, specialmente ad opera

di francofoni, sarà evidente a partire dalla seconda metà del XVII secolo.

49

IRSON (1662) passim

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38

2.2.2.6 Quadro riassuntivo delle caratteristiche ortografiche europee

Tabella riassuntiva delle caratteristiche ortografiche europee

Grafie Latino Italiano Portoghese Spagnolo Francese

c /k/ /k/ (-a, -o, -u)

/tʃ/ (-e, -i)

/k/ (-a, -o, -u)

/k/(-a, -o, -u)

/s/-/ts/ (-e, -i)

/k/ (-a, -o, -u)

/s/ (-e, -i)

ch /kh/ /k/ (-e, -i) /tʃ/ /tʃ/ /ʃ/

ç --- --- /s/ /s/ (rara)

[θ]

/s/

çh --- --- --- /ts/ ---

g /g/ /g/ (-a, -o, -u)

/dʒ/-/ʒ/ (-e, -i)

/g/(-a, o, u)

/ʒ/

/g/ (-a, -o, -u)

/ ɣ / (-e, -i)

/ʒ/

gh --- /g/ (-e, -i) /g/ (-e) raro --- ---

gn /gn/ /ɲ/ --- --- /ɲ/

gu /gu/ /gu/-/gw/ /g/ (-e, -i) /g/ (-e, -i)

h /#h/ /ʔ/ /x/ /ç/-/ɕ/ /ʔ/

/x/

j /j/ /j/ /ʒ/ /x/ /ʒ/

k /k/ /k/ /k/ /k/ /k/

lh --- --- /ʎ/ --- ---

nh --- --- /ɲ/ --- ---

q /kw/ (-u-) /kw/ (-u-) /k/-/kw/ (-u-) /k/ /k/-/kw/

s /s/ /s/ /s/ /s/ /s/

u /u/ /u/ /u/ /u/ /u/

v /u/ /v/ ([ʋ]-[w]) /u/([w]) /v/([ʋ]) /ʋ/

x /ks/ /ks/ /x/ /ç/ /ks/

y --- /i:/(ij) /i/

/j/

/i/

/j/

/i/

z --- /ts/

/dz/

/s/-/z/ /s/-/θ/ /s/-/z/

Tutti gli alfabeti di queste lingue europee potevano essere eventualmente

utilizzati per descrivere i suoni di altre lingue; il successo di questa o quella

lingua europea nell‟essere usata per la descrizione di questo o quel particolare

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39

idioma esotico era, a parere di scrive, molto più connessa a contingenze umane

e a fattori politici che non alle proprie intrinseche caratteristiche linguistiche.

Questo quadro dei principali valori fonologici sostanti ai vari alfabeti europei

post-rinascimentali può aiutare sia ad individuare l‟ortografia europea di

riferimento per una certa forma romanizzata, sia a determinare i valori

fonologici cinesi descritti dalla romanizzazione; tuttavia, sebbene possa facilitare

nell‟interpretazione fonologica di singole grafie, da solo non basta ad

individuare i confini di sillaba, per i quali occorre quantomeno aver presente i

possibili tipi di struttura sillabica ammessi nel mandarino del XVI secolo. Un

quadro riassuntivo delle caratteristiche fonologiche e fonotattiche del

mandarino Ming-Qing, secondo le ricostruzioni maggiormente condivise, è

tracciato nei paragrafi seguenti.

2.2.3 Il sistema fonologico del Mandarino Ming-Qing

Sebbene i documenti romanizzati siano essi stessi delle valide fonti per la

ricostruzione fonologica del mandarino Ming-Qing, l‟utilizzo delle ricostruzioni

esistenti come riferimento teorico per analizzare nuove fonti romanizzate e

tratteggiare un quadro d‟insieme sulle romanizzazioni; una volta realizzato

questo quadro descrittivo, esso potrà, in una sorta di circolo ermeneutico,

ritornare utile anche alla stessa ricostruzione fonologica.

Esiste in Cina una lunga tradizione di studio e descrizione dei suoni della lingua,

concretizzatasi nella produzione di numerosissime opere finalizzate

all‟indicazione della pronuncia corretta dei caratteri, fin dal secondo secolo d.C.

Probabilmente in ragione della forte corrispondenza che questa lingua presenta

tra morfemi e sillabe, riscontrabile nell‟altissima percentuale di morfemi

monosillabici,50 la fonologia tradizionale cinese prende come unità di analisi la

sillaba, piuttosto che concentrarsi sui singoli fonemi.

Nell‟analisi della pronuncia dei caratteri cinesi, si distinguono tradizionalmente

tre sotto-unità, o componenti:

50

Cfr. DEFRANCIS (1989:115)

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40

- Le “iniziali”, o “attacchi” di sillaba (shēngmǔ 声母 ). Nel mandarino

moderno l‟attacco di sillaba può mancare (iniziale zero, es. /an/), oppure

essere costituito da una consonante singola (es. /pan/);

- Le “rime” (yùnmǔ 韵母). La rima è la parte rimanente della sillaba tolto

l‟attacco. È composta da:

- Un nucleo, o gruppo vocalico. Nelle sillabe del mandarino moderno

il nucleo vocalico è necessariamente presente e può essere

costituito da una vocale singola (es. /a/, /i/), un dittongo

ascendente (es. /ja/, /wa/) o un trittongo (es. /jao/, /wai/).51

- Una coda. La coda può mancare (es. /pi/, /kwa/), essere costituita da

una semivocale in chiusura di un dittongo discendente (es. /aj/,

/aw/) oppure da una consonante finale, che in mandarino

moderno può essere solo /n/ o /ŋ/.

- Il “tono” (shēngdiào 声调). I toni sono curve di variazione di tonalità che

interessano la sillaba, in particolare il nucleo, tramite cui possono

distinguersi sillabe altrimenti uguali.

Oggi il mandarino possiede un inventario di 21 attacchi (shēngmǔ 声母, o

consonanti iniziali), 35 rime (yùnmǔ 韵母 ) e 4 toni (shēngdiào 声调 ). La

combinazione di attacchi e rime, con certe restrizioni, genera in cinese circa 410

tipi sillabici di base. Non tutti i tipi sillabici vengono pronunciati secondo tutti e

quattro i toni; computando i tipi sillabici “tonali” realizzati, se ne contano circa

1200.

La quantità dei costituenti della sillaba cinese, e di conseguenza il numero dei

tipi sillabici, ha subito variazioni nel corso dei secoli. Solitamente, la prima

sommaria descrizione fonologica di uno stato passato della lingua cinese

consiste pertanto nel contare il numero degli elementi di questi tre inventari:

iniziali, rime e toni.

51

In realtà la fonologia tradizionale cinese chiama “nucleo” (yùnfú 韵腹) esclusivamente la

vocale tonica, mentre analizza separatamente le semivocali all‟inizio di dittonghi e i trittonghi

come “medie” (jièyīn 介音 ) o “teste della rima” (yùntóu 韵头 ); altre teorie più recenti

considerano le semivocali in apertura dei dittonghi o dei trittonghi, ossia le “medie”, come

appartenenti all‟attacco piuttosto che alla rima. In proposito, cfr. DUANMU (2000:79 ss.) e PLAG,

HULST & RITTER (2002:485 ss.). Nel presente studio, le “medie” vengono invece considerate

parte del nucleo sillabico, quindi parte della rima.

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41

Per ricostruire la pronuncia del Mandarino Ming-Qing, gli studiosi cinesi hanno

utilizzato prevalentemente fonti cinesi fino agli anni „30 del 1900, quando Luo

(1930) per primo ha integrato i risultati ottenuti dalle fonti cinesi con quelli

forniti da alcuni documenti alfabetici dei missionari europei.

Sia per la diversità delle fonti esaminate, sia per la differenza nell‟interpretazione

delle stesse fonti, le ricostruzioni effettuate dai diversi studiosi solo di rado sono

totalmente sovrapponibili; per lo più sussistono lievi differenze sull‟identità

fonologica di singoli valori, ma la maggior parte delle ricostruzioni si muove

entro la stessa gamma di variazioni, individuando più o meno la stessa quantità

di iniziali, rime e toni.

La tabella che segue illustra come fonti diverse, seppure teoricamente

descrittive di uno stesso stato di lingua, possano portare a ricostruzioni

fonologiche lievemente diverse:

Quantità delle iniziali e delle rime del MQGH secondo diverse ricostruzioni

Periodo Opera Iniziali Rime Toni Ricostr.

ca.1584 (Ruggieri-Ricci) Dizionario

Cinese-Portoghese 22

55

57 5

Yang (1989)

Coblin (1997)

1586~1612 《韵法横图》 21 58 5 vari

1587 《书文音义便考私编》 21 55 5 vari

1604 (Ricci)《西字奇迹》 21 55 5 Luo (1930)

1606 《等韵图经》 19

22 43 4

vari

Zhao (1936)

1626 (Trigault)《西儒耳目资》 20

21

50

56 5

Luo (1930)

Ye (2001)

1642 《韵略汇通》 20 50 5 vari

1654~64 《五方元音》 20 52 5 vari

ca.168? (Varo) Arte de la Lengua

Mandarina 21 56 5

Coblin

(1998, 2000)

1715~24 《音韵阐微》 21 48 5 vari

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42

È possibile notare due tipi di divergenze: la prima consiste nell‟oscillazione del

numero di iniziali e di rime a seconda della fonte, e dimostra che l‟analisi di fonti

differenti può risultare nella ricostruzione di due inventari fonologici diversi per

uno stesso stato di lingua; la seconda, invece, si osserva nelle disuguaglianze di

ricostruzione anche rispetto ad una stessa fonte, logografica o alfabetica che sia.

Nei paragrafi seguenti si indicano dei valori di riferimento per il set delle

consonanti iniziali (o attacchi di sillaba, shēngmǔ 声母), per l‟inventario delle

rime (yùnmǔ 韵母) e per il sistema dei toni (shēngdiào 声调) del Mandarino

Ming-Qing.

2.2.3.1 Consonanti iniziali del Guanhua Ming-Qing

La maggior parte delle ricostruzioni concorda sul numero delle consonanti

iniziali del Mandarino Ming-Qing, stabilendolo pari a 20 (o 21 se si considera

un‟iniziale zero, /Ø/). Il set dei probabili fonemi consonantici iniziali è

sintetizzabile come segue:52

LUOGO

MODO

bilabiali labiodent. alveolari post-

alveol./

retrofl.

velari/(glott.)

occlusive non aspirate /p/ /t/ /k/

aspirate /ph/ /th/ /kh/

nasali /m/ /n/ ([ɲ])53 /ŋ/-/ʔ/54

laterali /l/

affricate non aspirate /ts/ /tʃ/-/tʂ/

aspirate /tsh/ /tʃh/-/tʂh/

fricative sorde /f/ /s/ /ʃ/-/ʂ/ /x/

sonore /v/ /ʒ/-/ʐ/

approssimanti (/ʋ/)55 /Ø/56

52

La tabella seguente si ispira a quella proposta da YE (2000:294), ma alcuni valori fonologici

sono individuati dall‟interpolazione con le ricostruzioni di COBLIN (1997). 53

Il valore nasale retroflesso /ɲ/ è indicato solo da alcuni autori (YANG 1930, ZHAO 1936), e

molto probabilmente è da interpretare come un allofono contestuale di /n/. 54

Per comodità di rappresentazione grafica, si inserisce /ʔ/ come variante di /ŋ/ nella stessa

casella (sulla stessa riga), sebbene non sia un fonema nasale bensì occlusivo.

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43

Le oscillazioni più frequenti riguardano i fonemi affricati /tʃ/-/tʂ/, /tʃh/-/tʂh/ e

fricativi /ʃ/-/ʂ/ e /ʒ/-/ʐ/, per i quali è difficile stabilire univocamente il luogo di

articolazione, indicato alternativamente dai diversi studiosi come post-alveolare

o retroflesso; nella presente ricerca, per convenzione, si utilizzeranno come

riferimento i valori post-alveolari (/tʃ/, /tʃh/, /ʃ/, /ʒ/) e non quelli retroflessi. Un

altro fonema oscillante è la nasale velare /ŋ/, alla quale si sostituisce a volte

l‟occlusiva glottale /ʔ/. Infine, il fonema fricativo sonoro /v/, la cui presenza è

ipotizzata dalla maggior parte degli studiosi, è opzionalmente interpretato

come un‟approssimante labiodentale /ʋ/; quest‟ultima oscillazione è forse

leggibile in chiave diacronica, come un mutamento fonetico da /v/ verso /ʋ/.

L‟ipotetico set delle iniziali (attacchi di sillaba) del Guanhua Ming-Qing così

descritto, servirà da riferimento per l‟individuazione dei grafemi iniziali dei

diversi sistemi di romanizzazione presi in esame.

2.2.3.2 Le rime del Guanhua Ming-Qing

La ricostruzione del set di rime del Mandarino Ming-Qing presenta ipotesi

diverse, ma tutto sommato abbastanza omogenee, specialmente per quanto

riguarda il numero di elementi, che si attesta intorno a 50-55; le oscillazioni

sono invece più evidenti sull‟identità fonologica di questi elementi. Operando

una sorta di sintesi tra le varie proposte esistenti e stabilendo dei range di

riferimento, è tuttavia possibile fissare un probabile set delle rime del Guanhua

Ming-Qing come segue:

Set delle rime del Ming-Qing Guanhua (approssimativo)

/a/, /ai/, /an/, /aŋ/, /au/, /aʔ/

/ɔ/, /ɔʔ/, /oʔ/, /oi/

/ɚ/, /ʅ/, /ʅʔ/

/ɛ/, /ɛn/, /ɛŋ/, /ɛu/, /ɛʔ/

/i/, /iʔ/, /ɿ/

/ia/, /iai/, /iaŋ/, /iau/, /iaʔ/, /iɔʔ/

55

La casella contenente il fonema /ʋ/ è stata unita a quella del fonema /v/, in quanto i due

fonemi non si oppongono, ma sono interpretabili in chiave variazione diacronica come allofoni. 56

Il simbolo per l‟iniziale zero /Ø/ è stato posto in questa casella solo per comodità, dato che

non corrisponde a nessun modo né luogo di articolazione

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44

/iɛ/, /iɛn/, /iɛu/, /iɛʔ/

/in/, /iŋ/

/ioʔ/, /iuŋ/

/u/, /uʔ/

/ua/, /uai/, /uan/, /uaŋ/, /uaʔ/

/uɔ/, /uɔn/, /uɔʔ/

/uɛi/, /uɛn/, /uɛŋ/, /uɛʔ/

/ui/, /uŋ/

/y/, /yɛ/, /yɛn/, /yɛʔ/, /yn/, /yʔ/

Il sistema delle rime così definito servirà da supporto per l‟individuazione dei tipi

grafici ad esse corrispondenti in ogni sistema di romanizzazione. Ciononostante,

dal momento che la quantità dei tipi grafici delle rime non necessariamente

corrisponde alla quantità delle rime fonologiche (in base al diverso grado di

aderenza alla realtà fonetica della trascrizione presa in esame), nell‟analisi degli

inventari grafici delle rime dei singoli sistemi si eviterà di indicarne i valori

fonologici; si rimanda invece, per un riepilogo delle possibili corrispondenze

grafiche-fonologiche delle rime, alle tabelle in appendice.

2.2.3.3 I Toni del Guanhua Ming-Qing

Più o meno tutte le ricostruzioni concordano sul numero di cinque, pur

rimanendo aperto il dibattito sull‟entità del loro profilo di intonazione.

Tradizionalmente, si distinguono le cinque seguenti categorie tonali:

- Yīnpíng 阴平 (“tono piano yin”; anche qīngpíng 清平 “piano-pulito”)

- Yángpíng 阳平 (“tono piano yang”; anche zhuópíng 浊平 “piano-sporco”)

- Shǎngshēng 上声 (“tono ascendente”)

- Qùshēng 去声 (“tono discendente”)

- Rùshēng 入声 (“tono entrante”)

Si terranno presenti queste cinque categorie per interpretare le marche tonali

eventualmente previste nelle romanizzazioni analizzate.

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45

2.3 Scelte redazionali di resa grafica

I. Le pronunce cinesi esterne ai dati raccolti sono rese in Pinyin; ove occorra,

sono complete dei toni e seguite dai rispettivi caratteri cinesi

(es. Guānhuà 官话); negli altri casi, senza toni né caratteri (es. Beijing);

II. I valori fonologici sono espressi tramite l‟alfabeto fonetico internazionale

(IPA), chiusi tra sbarre oblique (es. /p/, /aŋ/);

III. Le pronunce delle varie romanizzazioni analizzate sono rese in corsivo; ove

occorra, complete dei toni e seguite dai caratteri cinesi (es. k’ió 去) in altri

casi, senza toni o caratteri (es. k’io, t’an, Pe kim);

IV. I diacritici sono resi secondo i seguenti criteri:

a. la cediglia ( ʖ ): compare solo a modifica della c, per la quale esiste

già il carattere composto ç

b. lo spirito aspro ( ‘ ): indica l‟aspirazione, è stato reso con

l‟apostrofo, ( „ ) posto subito dopo i grafemi iniziali (es. p’am)

c. I toni ( ‾, , ˋ , , ): in tutti i sistemi che li prevedono, sono sempre

5, resi pressoché sempre con la stesse forme grafiche.

Nell‟unificarne la resa, per le marche circonflesse si sono preferite

forme angolate (es. ô, ǒ, ê) a quelle arrotondate (es. *ȏ, *ŏ, *ȇ),

anche se la differenza non è pertinente. La posizione varia da

sistema a sistema, qui si è scelto di posizionarli sulla vocale tonica

della sillaba (es. ch’uěn)

d. il punto soprascritto ( ˙ ): nei sistemi in cui è previsto compare sulla

vocale interessata, solitamente la tonica del nucleo sillabico (es.

miė). Poiché ogni sillaba prevede una sola vocale tonica, ne deriva

che di questo diacritico è pertinente la presenza/assenza, ma non

la posizione. Pertanto, per semplificare la resa grafica ed evitare

caratteri composti, si è scelto di porre il punto soprascritto alla fine

della sillaba, in alto a destra (es. mie˙ ); (es. miė). (es. mie˙ )

e. il punto sottoscritto ( . ): Idem. È reso in combinazione con la vocale

interessata (es. pie);

f. la dieresi ( ): è stata resa come nelle fonti, cioè sovrascritta al

grafo cui si riferisce (es. ï, ü, ÿ)

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46

V. Ricorre spesso nelle sillabe romanizzate la sovrapposizione di due o tre

diacritici (es. chȱ) combinati (sovrascritti) ad una lettera. Nel presente

lavoro si è scelto di non combinare mai i diacritici tra loro, e di renderli

sempre in modo separato (es. ch'ō˙), fatta eccezione per la possibilità di

combinazione con il punto sottoscritto, che non dà problemi di

composizione (es. ch'ō)

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47

PARTE II

ANALISI DELLE ROMANIZZAZIONI:

AUTORI E FONTI

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49

3.0 Michele Ruggieri

Il pugliese Michele Ruggieri nasce a Spinazzola (BA) nel 1543, consegue a

Napoli una laurea in diritto civile e canonico, esercitando per qualche tempo

come giurista nei tribunali napoletani. All‟età di 29 anni entra nel noviziato

gesuita di S. Andrea al Quirinale a Roma per essere ammesso agli studi religiosi.

Espresso il desiderio di partire per le Indie, è selezionato e ritenuto idoneo al

compito, così che nel 1578 è ordinato sacerdote e gli viene concesso di

imbarcarsi a Lisbona per Goa, dove sbarcherà nel settembre dello stesso anno.

Nel 1579, il visitatore della missione gesuita in Asia, l‟abruzzese Alessandro

Valignano (1539-1606) lo chiama a Macao per prepararsi ad entrare nel

Guangdong. Ruggieri arriva a Macao nel luglio 1579, ottenendo l‟anno

successivo il permesso dalle autorità di passare un periodo a Canton

(Guǎngzhōu 广州). Nel 1582, raggiunto a Macao dal confratello maceratese

Matteo Ricci (1653-1610) e dal bolognese Francesco Pasio (1554-1612), rientra

nel Guangdong dove i tre ottengono il permesso dal viceré della provincia di

risiedere a Zhàoqìng 肇庆, una località a nord di Canton, vicino al confine col

Guangxi. Più tardi, nel 1584, probabilmente anche a seguito di diverbi con il

visitatore Valignano, viene sollevato dall‟incarico di superiore della casa di

Zhaoqing ed è inviato nelle province più a nord per tentare di espandere l‟aerea

di evangelizzazione. Fa ritorno nel Guangdong un paio di anni più tardi, e

comincia ad adoperarsi per richiedere alla Santa Sede l‟organizzazione di

un‟ambasciata in Cina. Non trova, in quest‟ultimo periodo, appoggio o stima da

parte dei confratelli e dei superiori; nel 1588 viene rimandato in Europa, con

l‟incarico formale di riferire al Papa la situazione della missione cinese, ma in

realtà recando a sua insaputa anche un rapporto di discredito nei propri

confronti a firma dei confratelli e del Valignano. Una volta giunto a Roma,

ancora intento a cercare risorse per l‟ambasciata in Cina, le sue speranze

vengono annebbiate dalla morte del Papa, evento che non lascia spazio alla

gestione di problematiche marginali da parte della Santa Sede.

Negli anni che seguono svolge una vita ritirata, tra gli impegni religiosi

quotidiani e il tempo dedicato alla continuazione dei lavori iniziati in Cina, tra

cui la traduzione dei classici confuciani e un atlante geografico delle province

cinesi. Muore a Salerno nel 1607, senza mai aver pubblicato alcuna delle sue

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50

opere sulla Cina, che restano però conservate in forma manoscritta in vari

archivi del paese.

Fu il primo gesuita a dedicarsi con successo allo studio della lingua cinese,

fungendo da “apripista” per i confratelli che lo seguirono, primo tra tutti il Ricci.

È quindi lecito pensare che durante la sua esperienza di studio nacquero i primi

strumenti di apprendimento ad uso della compagnia, e che a Ruggieri si possa

accordare il brevetto di alcuni di questi.

È innegabile l‟esistenza di documenti riguardanti la Cina scritti precedentemente

all‟arrivo di Ruggieri, ad opera di missionari agostiniani stanziati nelle Filippine

(Manila) che avevano avuto modo di avvicinare e conoscere le comunità cinesi

ivi residenti, nonché compiuto alcuni viaggi sulle coste cinesi sud-orientali,

maturando anche una certa quantità di conoscenze sulla lingua cinese; a

Ruggieri si deve tuttavia concedere il primato sui confratelli della sua

compagnia, che beneficiarono dei suoi sforzi nello studio del cinese e poterono

usufruire del suo metodo e dei materiali da egli accumulati o personalmente

compilati.

3.1 La romanizzazione di Ruggieri

Per quanto riguarda l‟invenzione del primo sistema di romanizzazione, si fa

spesso riferimento a Ruggieri accostandolo al più rinomato confratello Matteo

Ricci; l‟opinione più diffusa è che i due abbiano sviluppato insieme la prima

forma di romanizzazione, essendo stati i primi due gesuiti a stabilirsi

nell‟entroterra cinese. In realtà, come si è notato in precedenza, esistevano

forme di romanizzazione già da qualche anno, usate dai missionari spagnoli

nelle Filippine; non è neanche da escludere che gli abitanti di Macao, la cui

storia contava già qualche decade all‟arrivo di Ruggieri, avessero già sviluppato

dei mezzi di studio della lingua, anche se non abbiamo prove certe per

sostenerlo.

Certo è che prima Ruggieri e poi Ricci dovettero dedicarsi in modo molto

intensivo allo studio del cinese, necessitandone al più presto per iniziare la loro

opera di evangelizzazione; il primo passo fu quindi quello di trovare un modo

per descrivere i suoni della lingua cinese, univoco e intelligibile a entrambi. Lo

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51

crearono quindi principalmente sulla base della pronuncia italiana, ed in questo

furono sicuramente i primi, se non consideriamo tutte le romanizzazioni

occasionali di nomi cinesi comparse nella letteratura europea da Il Milione di

Marco Polo in poi.

La romanizzazione italiana di Ruggieri-Ricci fu impiegata nella compilazione di

un dizionario portoghese-cinese (Pu-Han Cidian 葡漢辤典, da ora in poi PHCD)

attribuito ai due gesuiti italiani, che lo redassero nei primi anni della missione

(1580-1588), e che fu probabilmente portato in Europa dallo stesso Ruggieri nel

suo viaggio di ritorno dalla Cina nel 1588. Questo dizionario è stato analizzato

in dettaglio da Paul Yang Fu-Mien,57 che ha dedicato ampio spazio all‟analisi

della romanizzazione.

3.1.1 Grafemi iniziali della romanizzazione di Ruggieri (RES)

Yang (1989, 2001) individua ed elenca le iniziali e le rime del sistema di

romanizzazione del dizionario; per quanto concerne le iniziali, egli nota la

presenza di alcune grafie concorrenti, evidentemente ispirate alla pronuncia di

due distinti alfabeti di riferimento: quello italiano e quello portoghese. In

particolare, Yang evidenzia i seguenti casi:

Ortografia italiana:

c = /tʃ/, /tʃh/ davanti a e ed i; /k/, /kh/ davanti ad a, o ed u

sc = /ʃ/ davanti ad i

z = /ts/, /tsh/

Ortografia portoghese:

ç = /ts/, /tsh/

La compresenza di grafemi italiani e portoghesi è interpretata da Yang come

inerente al sistema di romanizzazione del PHCD, e di conseguenza egli descrive

il sistema di romanizzazione di Ruggieri attribuendogli una certa dose di

incoerenza e instabilità. Il confronto con altri documenti autografi di Ruggieri

57

YANG (1989-2001)

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52

nei quali è impiegata ampiamente la romanizzazione può forse chiarire meglio

la natura di queste incongruenze.

A tal fine, si sono prese in considerazione le carte di Ruggieri conservate

all‟Archivio di Stato di Roma, consistenti in circa 40 fogli r-v comprendenti le

carte topografiche e le analisi descrittive di alcune delle province cinesi del

periodo Ming. Questi documenti sono stati studiati da Eugenio Lo Sardo, che li

ha raccolti in una pubblicazione intitolata Atlante della Cina;58 da ora in poi, per

comodità, faremo riferimento a questo insieme di documenti chiamandoli

Atlante.

Nelle carte topografiche delle province, i toponimi sono tutti romanizzati

secondo un sistema che appare molto simile a quello usato nel dizionario;

sebbene nel lavoro di Lo Sardo non compaia un‟analisi della romanizzazione,

l‟indice finale dei toponimi è stato di grande utilità per stilare la lista delle sillabe

di base ed estrapolarne i set delle iniziali e delle rime.

Nella tabella seguente sono comparati i Grafemi iniziali rispettivamente della

romanizzazione usata nel PHCD e in quella dell‟Atlante:

Grafemi iniziali del PHCD e dell‟Atlante di Ruggieri a confronto

PHCD59 ATLANTE60 IPA Attacchi/Nuclei

c

ch

q

c

ch

q

/k/, /kh/

(-a, -o, -u)

(-e, -i)

(-u-)

f f /f/ %

l l /l/ %

m m /m/ %

n n /n/

([ɲ])

%

gn gn (-i)

58

LO SARDO (1994) 59

I dati sulla romanizzazione del dizionario portoghese-cinese di Ruggieri sono estrapolati da

YANG (1989, 2001) 60

I dati sulla romanizzazione usata da Ruggieri nel suo Atlante della Cina sono estrapolati da

fac-simili delle carte originali, disponibili online sul sito dell‟Archivio di Stato di Roma. Il lavoro di

LO SARDO (1994) è stato consultato e vi si sono attinti alcuni dati altrimenti difficili da reperire

sondando le sole carte originali.

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53

ng

ngh ng /ŋ/-/ʔ/

(-a, -o, -u)

(-e)

g g ([ʔ]-[ɣ])61 (-uei)

p p /p/, /ph/ %

s (ss) s, ss /s/ %

t t /t/, /th/ %

c (cc) c, cc /tʃ/, /tʃh/ (-e, -i)

c (ç, çc)

z

c

z /ts/, /tsh/

(-e, -i)

(-a, -o, -u)

v/u v/u /v/-/ʋ/ %

sc(i) sc /ʃ/ %

g g /ʒ/ (-e, -i)

h

c

g

sch

h

c

g

sch

/x/

(-a, -e, -o)

(-u)

(-u)

(-i)

Come evidenziato dalla tabella, il confronto mostra che le occorrenze

“portoghesi” presenti nella romanizzazione del PHCD sono invece assenti nel

sistema dell‟Atlante. In particolare, la presenza dell‟iniziale portoghese ç- per /ts/,

/tsh/ nel dizionario, si azzera totalmente nei toponimi dell‟Atlante; nella tabella

seguente si riportano due esempi a dimostrazione:

Carattere PHCD ATLANTE

清 çin schian 清闲 ciam cin ( 長清 distretto

prov. Shandong)

61

Sebbene non compaia nel quadro di riferimento delle consonanti iniziali del Guanhua Ming-

Qing proposta in precedenza, si dà qui conto dell‟ipotesi di YANG (1989, 2001) sul possibile

valore [ɣ] per g-. la scelta è motivate dalla possibilità che la pronuncia descritta da Ruggieri e

Ricci potesse riflettere influenze dialettali.

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54

青 çie˜çie˜ mu çin 漸~木青 cin ceu (青州 città, prov.

Shandong)

Il caso concernente le iniziali ç- e c- per /ts/, /tsh/, porterebbe alla conclusioni

che i grafemi iniziali della romanizzazione usata nell‟Atlante hanno un grado di

aderenza alla pronuncia italiana maggiore di quanto non abbiano le consonati

iniziali nel PHCD, le quali mostrano invece un certo grado di interferenza della

pronuncia portoghese.

Non si può però negare che altri casi la situazione sembra invertita, come per il

caso delle due forme ngh- e ng- per /ŋ/; nel PHCD c‟è un‟alternanza delle due

forme, secondo le vocali che seguono: ng- prima di -a, -o, -u, e ngh- prima della

-e. Tale alternanza mostra una coerenza con l‟ortografia italiana, piuttosto che

con quella portoghese. Ipotizzando che la romanizzazione nell‟Atlante sia

ancora più italofona, ci si aspetterebbe che questa distinzione ortografica vi

fosse mantenuta; al contrario, sembra che l‟alternanza ng-/ngh- nell‟Atlante si

neutralizzi nel solo digramma ng-, come nell‟esempio seguente:

Carattere PHCD ATLANTE

nghen cui 恩惠 ngen (恩 distretto prov. Shandong)

Bisogna però considerare il diverso peso di questi due casi ortografici. Nel

secondo caso esaminato, la coppia ng-/ngh- si neutralizza in ng-, cosicché ci si

trova comunque davanti ad un digramma esistente nella lingua italiana, seppur

usato occasionalmente in deroga alle regole ortografiche italiane; diversamente,

nel caso del grafema iniziale ç- si ha a che fare con una lettera estranea

all‟alfabeto italiano, quindi di inconfondibile provenienza straniera. Inoltre,

sillabe tipo /ŋƐ/ o /ŋƐn/, unici casi a porre il problema dell‟alternanza

ortografica, hanno una frequenza bassissima sia nel PHCD che nell‟Atlante; al

contrario, le sillabe con iniziale /ts/, /tsh/ sono abbastanza frequenti, tanto da

rendere l‟alternanza di ç- e c- decisamente significativa.

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55

Pertanto, si può affermare che l‟assenza del grafema ç- (e quindi la

corrispondente presenza di c-) nella romanizzazione dell‟Atlante, rende

quest‟ultima più “italiana” rispetto alla romanizzazione del PHCD.

Sia nel caso del PHCD, sia nell‟Atlante, il numero dei grafemi iniziali è maggiore

del set dei 20/21 fonemi iniziali di riferimento; tra l‟altro, non segnalando la

distinzione tra consonanti aspirate e non aspirate, i grafemi iniziali sarebbero

dovuti essere ancora meno (calcolando che il set di fonemi escluse le aspirate

ammonterebbe a 15 elementi). In questo senso sono state pensate le numerose

allografie segnalate nella tabella.

3.1.2 Tipi grafici delle rime della romanizzazione di Ruggieri (RES)

La situazione delle rime non pone le stesse problematiche, poiché le

romanizzazioni di entrambe le opere presentano essenzialmente lo stesso set di

rime, descritto nella tabella seguente:

Tipi grafici delle rime della romanizzazione di Ruggieri

V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC

-a -ai/ay; -am; -an; -au

-e -en; -eu

-i/ij/y

(y-)

-ia/ya;

-ie/ye; -im/ym; -in/yn;

-io/yo; -iu/yu

-iai/iay; -iam; -ian;

-iau/yau;

-ien/yen; -ieu/yeu;

-iuo; -ium/yum;

-iun/yun

-iuon

-o -oi -oan

-u -ua;

-ui/uj; -um; -un; -uo

-uai; -uam; -uan;

-uei/uej;

-uem; -uen;

Si contano circa 40 tipi grafici di rime, le cui combinazioni con i grafemi iniziali

effettivamente realizzate nel sistema sono oltre 400.62 Il numero dei tipi grafici

risulta leggermente inferiore a quello di 50/55 stimato per le rime fonologiche;

62

cfr. COBLIN (1997:294-306) [Appendix]

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56

stabilire il perché di questa discrepanza non è fra gli intenti di questa tesi,

poiché occorrerebbe un‟approfondita ricostruzione fonologica per valutare sia

le influenze dialettali, sia il maggiore o minore grado di aderenza della

trascrizione alla realtà fonetica descritta. Ci si limita quindi ad elencare i tipi

grafici reperibili nelle fonti esaminate.

3.1.3 Diacritici della romanizzazione di Ruggieri (RES)

Sia nel dizionario, sia nell‟Atlante compaiono spesso sillabe scritte in forma

abbreviata, nelle quali si sostituiscono le consonanti finali -m o -n con

un‟abbreviatura, resa tramite un apostrofo di elisione (es. 掌 ciam/cia‟; 拳

chiuon/chiuo‟), a volte affiancato o sostituito da una di linea curva sovrascritta

( ʔ ), (es. 年 nien/nie’/nieʔ ). Si è scelto di non indicare queste forme nella tabella

delle rime, poiché non sistematiche ma solo occasionali (anche se frequenti),

riportando solo le forme non abbreviate.

Per quanto riguarda altri diacritici, si ricorda l‟assenza totale di indicazione

dell‟aspirazione per le consonanti iniziali, come pure il mancato segnalamento

dei toni. Difficile stabilire se la mancanza di questi elementi nel sistema di

romanizzazione dipenda da una corrispondente mancata percezione di queste

caratteristiche fonologiche e prosodiche da parte di Ruggieri, oppure se sia da

interpretare come l‟evidenza di una difficoltà nel decidere come segnalare

graficamente le suddette caratteristiche.

D‟altronde, la romanizzazione italiana di Ruggieri è forse la prima attestazione di

un sistema organico e coerente per la trascrizione dei suoni del Mandarino; non

sorprendono, pertanto, le imperfezioni o le mancanze che vi si possono

riscontrare, essendo questo sistema l‟espressione di uno tra i primissimi

strumenti per la glottodidattica del Mandarino.

3.1.4 Osservazioni finali sulla romanizzazione di Ruggieri (RES)

La romanizzazione utilizzata da Michele Ruggieri, sviluppata durante i primi due

o tre anni della sua formazione linguistica, successivamente usata anche da

alcuni dei primi confratelli della missione cinese (Ricci, Pasio, etc.), è uno dei

primi mezzi con cui gli occidentali hanno facilitato lo studio del Mandarino.

Nelle sue attestazioni concrete, rappresentate dall‟uso sistematico di questa

romanizzazione nel dizionario portoghese-cinese (PHCD) e nell‟Atlante, si ritrova

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57

il sistema completo, seppur con minime differenze tra le due opere;

estrapolandone gli elementi, è possibile analizzarlo e descriverlo nella sua

totalità, traendone inoltre utili informazioni sulla pronuncia della lingua studiata

e parlata da Ruggieri e i suoi confratelli durante gli anni ‟80 del 1500.

Gli studi effettuati sulle qualità fonologiche della lingua descritta da questa

romanizzazione, corroborati dalle affermazioni degli stessi missionari nelle

lettere e relazioni dell‟epoca, permettono di stabilire con buona

approssimazione che si sta trattando di una romanizzazione del Mandarino

(guanhua 官话) parlato in epoca tardo - Ming, seppur fortemente permeato di

elementi provenienti da altri dialetti, probabilmente da connettersi alla

provenienza geografica e all‟estrazione sociale dei primi insegnanti cinesi di

Ruggieri.

Lo sforzo linguistico di Ruggieri, per quanto frutto del suo personale impegno e

della sua creatività, ha probabilmente beneficiato del sub-strato bilinguistico

che doveva esistere a Macao ormai da molti anni. È noto dalla testimonianza

diretta dei missionari che esisteva un certo numero di interpreti cinesi a Macao,

che plausibilmente possedevano rudimenti di portoghese e forse altre lingue

europee, dei quali si servivano i commercianti occidentali durante le trattative

con i cinesi. Ma non si pensi che i missionari istruiti nella lingua abbandonarono

del tutto l‟ausilio degli interpreti, che continuarono invece ad offrire i loro servizi

ai missionari lungo tutto l‟arco della missione, specialmente nei primi anni:

[…] poiché se bene i Padri parlano & intendono comunemente la lingua, nondimeno i

negotij gravi & nel cospetto di Mandarini grandi, con cui è necessaria lingua più corrente,

si servono d‟Interprete.63

Non è quindi da escludere che, già prima che Ruggieri iniziasse lo studio della

lingua, qualche tipo di materiale linguistico fosse in circolazione tra i missionari

e i convertiti cinesi di Macao, e che possa essere servito da base per

l‟elaborazione dei metodi di studio dei missionari.

L‟osservazione dei successivi sistemi di romanizzazione chiarirà meglio il ruolo

del sistema di Ruggieri nel quadro generale in prospettiva diacronica. Ma il

63

GESUITI (1591:208)

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58

valore del suo contributo nella storia dell‟apprendimento e dell‟insegnamento

del cinese è indiscusso, e contribuisce a far emergere la figura di Ruggieri e il

suo originale apporto alla nascita della sinologia, che in passato è stato in parte

adombrato da altre personalità (primo tra tutti il Ricci) apparse di maggiore

carisma e risonanza agli occhi di molti studiosi.

Una pagina del Pu-Han Cidian 普 汉 辞 典

(Dizionario portoghese-cinese, ca. 1684) di

Michele Ruggieri e Matteo Ricci.

La colonna di sinistra riporta i lemmi in

portoghese, la colonna di destra mostra la

traduzione cinese scritta in caratteri, la colonna

centrale ne presenta la pronuncia romanizzata

secondo il sistema italofono di Ruggieri (RES).

Particolare di una delle carte topografiche di Ruggieri conservate all‟ASR. Si notano i toponimi

romanizzati secondo lo stesso sistema di trascrizione (RES).

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59

4.0 Ricci e Cattaneo

Concluso il primo decennio della missione gesuita in Cina, con la partenza di

Ruggieri (1588) e soprattutto con Ricci superiore della missione (1597), si

verificò un assestamento della strategia gesuita, sia dal punto di vista

dell‟evangelizzazione, sia da quello dell‟addestramento dei missionari destinati a

lavorare sul suolo cinese. Importanti innovazioni sul piano dello studio della

lingua in generale, e riguardo la romanizzazione in particolare, furono messe in

atto da Ricci e da alcuni altri confratelli; tra questi risalta l‟italiano Lazzaro

Cattaneo (1560-1640) che, con Ricci, fu autore di una riforma del sistema di

romanizzazione, sostituendo il primo standard di Ruggieri/Ricci basato

sull‟ortografia italiana con un nuovo standard basato su quella portoghese.

Questo standard, attraverso l‟uso nei decenni successivi e dopo un lungo

percorso di assestamento, da metà del 1600 in poi si attestò definitivamente

come romanizzazione ufficiale dei gesuiti afferenti al padroado, trovando

accoglienza anche tra i primi orientalisti e proto-sinologi europei e

sopravvivendo, sostanzialmente immutato, fino ai primi decenni del 1800.

4.1 Matteo Ricci

Matteo Ricci nasce a Macerata nel 1552, da un‟importante famiglia della città. Il

padre è un medico speziale, che vorrebbe vedere il figlio laureato in

Giurisprudenza. Per questo lo spedisce a Roma all‟età di 16 anni per studiare

presso lo Studium Urbis, l‟università capitolina che, circa un ventennio dopo la

morte di Ricci, avrebbe cambiato il suo nome in “Sapienza”.

Ma il giovane maceratese ha altri progetti; vuole diventare un religioso, vuole

farsi gesuita come i sacerdoti del collegio di Macerata presso il quale ha

trascorso l‟adolescenza e frequentato il ginnasio. All‟insaputa dei genitori entra

nel noviziato di S. Andrea nel 1571; il padre, avuta la notizia, parte per Roma con

l‟intento di dissuaderlo, ma quasi subito torna sui suoi passi e decide di non

interferire con la scelta di Matteo.

Negli anni successivi, Ricci si forma sia nella religione, sia nelle scienze; in

particolare, studia matematica, astronomia e geografia con il matematico

gesuita tedesco Cristoforo Clavio (1538-1612).

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60

Nel 1578 parte per Goa, dove arriva circa sei mesi dopo, a seguito di un viaggio

piuttosto travagliato. Il confratello Michele Ruggieri, già a Macao, nel 1582 lo

chiama nella colonia portoghese per approntare l‟entrata in Cina. All‟arrivo a

Macao, Ricci dedica la maggior parte del suo tempo allo studio della lingua,

facendo certamente tesoro dell‟esperienza di studio di Ruggieri, seppur

modesta. È in questo periodo che, probabilmente, inizia a prendere corpo il

dizionario portoghese-cinese compilato a quattro mani da Ricci e Ruggieri,

come strumento linguistico indispensabile sia per lo studio che per la

sopravvivenza quotidiana.

Nel 1583 i due confratelli riescono a entrare nel Guangdong, dove fondano la

prima residenza presso Zhàoqíng 肇慶. Già in questi primi anni, la figura di

Matteo Ricci comincia a emergere rispetto a quella di Ruggieri e di tutti gli altri

confratelli che si uniranno alla missione per i tre decenni successivi, forse anche

grazie alla sua intraprendenza e alla sua produttività, ma soprattutto per la sua

attitudine al dialogo e allo scambio con la cultura cinese. Nel 1597 è nominato

superiore della missione dal padre provinciale Alessandro Valignano.

Dopo altri anni trascorsi al Sud, Ricci tenta di raggiungere la capitale in più

occasioni, riuscendovi una prima volta nel 1598, senza però ivi stabilirsi. È nel

viaggio di ritorno verso Nanchino che, insieme a Cattaneo e ad un coadiutore

cinese convertito, completa un secondo dizionario, stavolta cinese-europeo.64 Si

stabilisce definitivamente a Pechino solo nel 1601 con altri compagni; qui

dimorerà per oltre nove anni, fino alla morte, avvenuta nel maggio del 1610.65

Il gesuita di Macerata produsse una gran quantità di scritti durante tutto il

periodo della sua missione cinese. La produzione in lingue europee riguarda

soprattutto le lettere, oltre che una lunga relazione sulla missione in Cina

redatta in forma di diario, il cui originale manoscritto fu riedito e pubblicato nel

1617 dal gesuita belga Nicolas Trigault (1577-1628), nel periodo

64

Si trattava di un “Vocabularium ordine alphabetico europeorum more concinnatum et per

accentus suos digestum”, cfr. COUPLET (1686:7); e cfr. TACCHI VENTURI (1911:I:287-289), “[...] i

più vecchi della missione, et avere seco il fratello Bastiano che sapeva molto bene la lingua della

Cina, fecero un bello vocabulario, e messero in regola et ordine le cose di questa lingua; con che

da li avanti il doppio più facilmente si poteva imparare[…]” 65

DEHERGNE (1973:219)

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61

immediatamente successivo alla morte di Ricci.66 Quest‟opera, conosciuta col

suo titolo latino De Christiana Expeditione Apud Sinas (da qui in poi DCEAS) o

con quello italiano Entrata nella China de’ Padri della Compagnia di Gesù,67 fu

certamente la maggiore causa della popolarità di Ricci in Europa, rimanendo la

fonte primaria sulla Cina per almeno trent‟anni.68

Gli scritti cinesi di Ricci sono numerosi e di tipologia molto eterogenea; si

ricordano, tra gli altri: il Trattato sull’Amicizia o Jiaoyou Lun 交友论 del 1595; un

trattato di mnemotecnica, lo Xiguo Jifa 西国记法, del 1595; una traduzione in

cinese dell‟Encheiridion 69 di Epitteto con alcune aggiunte di Ricci,70 intitolata

Ershiwu Yan 二十五言 o Le Venticinque Sentenze, del 1599; un mappamondo,

iniziato già nel 1584, ma revisionato più volte fino ad un‟edizione finale nel 1602,

col nome Kunyu Wanguo Quantu 坤舆万国全图; un catechismo, il Tianzhu Shiyi

天主实义, del 1603; la traduzione in cinese dei primi sei libri della geometria di

Euclide, sulla base dell‟edizione fattane da Clavio, col titolo Jihe Yuanben 几何原

本, del 1607. A queste opere maggiori, prodotte sempre con la collaborazione di

letterati cinesi convertiti, si aggiungono altri scritti in cinese di minore rilievo.

Tuttavia, tra questi, è di particolare interesse ai fini della presente ricerca un

libello didattico composto per dimostrare l‟uso della romanizzazione, dal titolo

Xizi Qiji 西字奇迹 (da qui XZQJ) o Il miracolo delle lettere occidentali; l‟opera,

stampata prima nel 1605 e poi nel 1606 con alcune aggiunte, è costituita da tre

66

La definizione della paternità dell‟opera è abbastanza complessa, in quanto si tratta di una

rielaborazione fatta da Trigault di un originale ricciano. Il gesuita Pietro Tacchi Venturi (1861-

1956) scoprì il manoscritto originale presso l‟archivio della Compagnia, e mise in discussione

l‟aderenza dell‟edizione di Trigault all‟originale, operando una personale ricostruzione di quello

che, secondo lui, doveva essere il testo ricciano. Cfr. TACCHI VENTURI (1911) passim 67

Titolo dell‟edizione italiana tradotta da quella latina di Trigault; la traduzione fu curata da

Antonio Sozzini, e pubblicata a Napoli da Lazzaro Scoriggio nel 1622. Bibl. TRIGAULT (1622) 68

Dagli anni ‟40 del 1600 in poi, altre relazioni importanti giunsero al ghiotto pubblico europeo,

come quella del gesuita portoghese Alvaro Semedo (1585-1658), intitolata Imperio de la China i

la cultura evangelica en él, por los religiosos de la Compañia de JESUS, del 1642, cui seguirono le

opere storiche di Martino Martini (1614-1661) e i lavori di molti altri autori, non esclusivamente

gesuiti. 69

Encheiridion (in greco Ἐγχειρίδιον "Manuale"), è un opera di Flavio Arriano (95-175), storico

greco antico, consistente in un manuale degli insegnamenti di Epitteto, il filosofo stoico di cui

Arriano era discepolo. 70

Cfr. STANDAERT (2001:605)

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62

brevi storie bibliche tradotte in cinese e completamente annotate con la

pronuncia romanizzata,71 seguite da un trattato di circa undici pagine sulla

lingua e sulla scrittura, anch‟esso in cinese con romanizzazione.72 Come si dirà,

quest‟opera è la fonte più importante per ricostruire il sistema di

romanizzazione usato da Ricci nel secondo periodo del suo soggiorno in Cina.

L‟uso della romanizzazione da parte di Matteo Ricci può essere suddiviso in due

periodi: il primo, lo vede accogliere il sistema di Ruggieri, per poi cercare di

migliorarlo. Il sistema di questo periodo (1582-1598) è spesso indicato come

Ricci Early System (RES), ma più semplicemente possiamo chiamarlo sistema

Ruggieri/Ricci; il secondo, invece, vede Ricci abbandonare il sistema RES, per

idearne uno nuovo insieme a Cattaneo e altri, spesso indicato come Ricci Late

System (da qui in poi RLS) o semplicemente Ricci/Cattaneo.

4.2 Lazzaro Cattaneo

Lazzaro Cattaneo nasce a Sarzana (Genova) nel 1560, da una famiglia altolocata

del paese. All‟età di 21 anni entra nel noviziato di S. Andrea a Roma per studiare

da gesuita. Chiede di partire per le Indie e il permesso gli viene accordato;

continua perciò la sua formazione in Portogallo da dove, nel 1589, parte per

Goa. Nel 1593 arriva a Macao per prepararsi a entrare in Cina e raggiungere

Ruggieri e Ricci; inizia quindi a studiare il cinese e l'anno successivo si unisce ai

confratelli residenti a Shàoguān 韶關 (Guangdong). Nel 1598, Cattaneo

accompagna Ricci nel suo primo viaggio per entrare a Pechino; negli anni a

seguire è attivo a Nanchino, trascorrendo anche alcuni anni tra Macao e

71

Tra i testi sono inserite anche quattro illustrazioni riguardanti gli episodi biblici narrati, tratte

dall‟opera Evangelicae historiae immagine, pubblicata nel 1593 dal gesuita spagnolo Jerónimo

Nadal (1507-1580); la presenza delle immagini in stile europeo fece sì che, nel 1606, lo Xizi Qiji

fosse inserito in una raccolta di pubblicazioni artistiche in 12 volumi intitolata Chéngshì Mòyuán

程氏墨苑 o “Giardino d‟inchiostro della famiglia Cheng”, a cura di Cheng Dayue 程大約, un

intellettuale contemporaneo a Ricci. 72

Con maggiore precisione, la prima edizione del 1605, della quale è conservato un esemplare

anche presso la biblioteca Vaticana (R.G.Oriente.III.231) consisteva solo nelle tre storie bibliche;

nel 1606 Ricci aggiunse il trattato sulla lingua e scrittura e le quattro illustrazioni, regalandone

una copia a Cheng Dayue, che la ripubblicò lo stesso anno.

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63

Nanchang. In seguito si sposta definitivamente a Hangzhou, dove passa l‟ultima

parte della sua vita, conclusasi nel 1640.73

È durante il viaggio del 1589, di ritorno verso Nanchino, che Cattaneo

contribuisce ad apportare delle modifiche alla romanizzazione di Ruggieri/Ricci,

aggiungendo i cinque toni e l‟aspirazione. Negli scritti dei confratelli a lui

contemporanei, in particolare in quelli di Trigault, si sottolinea la competenza di

Cattaneo in fatto di musica, nonché la sua sensibilità alle minime variazioni di

suono e pronuncia.

Le fonti dalle quali è possibile ricostruire i due sistemi di romanizzazione usati

da Ruggieri/Ricci (RES) e Ricci/Cattaneo (RLS) sono di periodi e tipologie

differenti; se ne offre una panoramica nei paragrafi seguenti.

4.3 Innovazioni alla romanizzazione Ruggieri/Ricci (RES)

La romanizzazione italofona di Ruggieri, sebbene in seguito sia stata scalzata da

un sistema più evoluto ideato da Ricci e gli altri confratelli, rimase in uso tra i

membri della compagnia anche negli anni successivi al suo ritorno a Roma.

Esistono documenti che mostrano uno stato intermedio tra le due

romanizzazioni, in cui il sistema di Ruggieri è utilizzato in una forma revisionata,

con l‟aggiunta di alcuni elementi che non compaiono nel PHCD o nell‟Atlante; è

il caso, ad esempio, di un manoscritto del Trattato Sull’Amicizia (Jiāoyǒu Lún 交

友论, da qui in poi JYL) considerato autografo di Ricci e databile intorno al

1599.74

Nel testo cinese del manoscritto, ogni carattere è annotato con la sua pronuncia

romanizzata secondo il sistema di Ruggieri; ma in questo caso, seppure non in

modo sistematico, compaiono le marche per l‟aspirazione delle iniziali e i segni

73

GOODRICH & FANG (1976:I:31-33) 74

Si tratta dell‟esemplare conservato alla British Library con segnatura Add.8803; nei ff.6-29 si

trova una copia autografa del testo originale cinese, nella sua prima versione. I ff.7-20

contengono il testo in caratteri cinesi con rispettiva romanizzazione; i ff.20-29 contengono

invece la traduzione in italiano. Da una nota di Ricci sul f. 21, “Il Padre Matteo lo manda al Padre

Geronimo Costa a Roma”, si può supporre che l‟esemplare sia la copia con la traduzione in

italiano che Ricci inviò al gesuita Costa Girolamo il 14 agosto 1599.

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64

grafici per i toni, che invece mancavano totalmente nella forma originaria del

sistema Ruggieri (v. supra).

Purtroppo, del manoscritto in questione, è stato possibile analizzare solo la

copia fotostatica di un singolo foglio; tuttavia, da essa è già possibile

estrapolare alcuni dati interessanti. Innanzitutto, i grafemi iniziali appaiono simili

a quelli del sistema usato da Ruggieri nel PHCD, ma tra essi compaiono alcuni

elementi nuovi:

Confronto tra grafemi iniziali del PHCD e del JYL

Ruggieri

PHCD75

Ricci

JYL76

IPA Attacchi/Nuclei

c

ch

q

c, c‟

ch

---

/k/, /kh/

(-a, -o, -u)

(-e, -i)

(-u-)

c, cc c, c‟ /tʃ/, /tʃh/ (-e, -i)

c,

ç,

çc

z

c

(ç), ç‟

---

z

/ts/, /tsh/

(-e, -i)

(-a, -o, -u)

f f /f/ %

l l /l/ %

m m /m/ %

n n /n/ %

gn --- ([ɲ]) (-i)

ng

ngh

ng

ngh (-i-) /ŋ/-/ʔ/

(-a, -o, -u)

(-e)

g --- ([ɣ])77 (-u-)

75

I dati fonologici del dizionario portoghese-cinese di Ruggieri sono estrapolati da Yang (1983,

2001) 76

Data l‟entità del documento e la ridotta quantità di dati che se ne può trarre, non è stato

possibile ricostruire interamente il sistema di iniziali. Pertanto, le caselle della tabella

contrassegnate con tre trattini --- generalmente indicano la mancanza di un certo grafema nel

sistema, ma in questo caso si interpretino come il segno che nel foglio esaminato non si

riscontra l‟occorrenza di quel grafema.

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65

Ruggieri

PHCD75

Ricci

JYL76

IPA Attacchi/Nuclei

p p /p/, /ph/ %

s (ss) s /s/ %

t t, th /t/, /th/ %

v/u --- /v/-/ʋ/ %

h

c

g

sch

h

---

---

---

/x/

(-a, -e, -o)

(-u)

(-u)

(-i-)

sc(i) --- /ʃ/ %

g g /ʒ/ (-e, -i)

Sostanzialmente, la novità rispetto al sistema RES di Ruggieri risiede

nell‟aggiunta di marche per l‟aspirazione, indicata attraverso lo spirito greco

aspro ( ‘ ) soprascritto alla sillaba, oppure tramite una h inserita dopo l‟iniziale,

generando così coppie di grafemi opposti quali ç/ç’, c/c’, t/th. Si elencano di

seguito le sillabe recanti una marca per l‟aspirazione dell‟iniziale:

thai

ç’u78

thien

c’iun

Un‟analisi completa dell‟intero manoscritto potrebbe certo consentire una

descrizione più esaustiva del suddetto sistema di opposizioni.

Riguardo ai segni grafici dei toni, i dati disponibili sono forse più che sufficienti

a dimostrarne la presenza nel sistema, giacché nella pagina del manoscritto del

JYL preso in esame si riconoscono almeno cinque segni differenti, in apparente

77

Sebbene non compaia nel quadro di riferimento delle consonanti iniziali del Guanhua Ming-

Qing proposta in precedenza, si dà qui conto dell‟ipotesi di YANG (1989, 2001) sul possibile

valore [ɣ] per g-; la scelta è motivate dalla possibilità che la pronuncia descritta da Ruggieri e

Ricci potesse riflettere influenze dialettali. 78

La segnalazione dell‟aspirazione per quest‟iniziale è probabilmente un errore, in quanto

l‟iniziale di zì 自 non doveva essere aspirata; tuttavia essa conferma l‟utilizzo di una marca

diacritica per l‟aspirazione.

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66

accordo con il presunto tono del carattere a cui si riferiscono. Si elencano di

seguito le sillabe del foglio recanti una marca tonale:

c’iûn

chién

chīn

ièu

līn

mîn

scî

da cui si estrapolano i segni grafici ˉ, ˆ, ´, `, ˘, in numero di cinque. Su 57 caratteri

romanizzati, nel foglio esaminato, solo 11 sillabe hanno la marca tonale, ma

l‟utilizzo appare cosciente e funzionale, anche se forse ancora in una fase di

sperimentazione.

Purtroppo, l‟esigua quantità di dati estrapolabile dal documento non permette

un analisi dei tipi grafici per le rime, che tuttavia sembrano non aver subito

modifiche sostanziali.

La romanizzazione appena vista, una sorta di upgrade del sistema di Ruggieri,

deve aver servito bene il suo scopo se, nel 1599, il Ricci la utilizzava ancora. Ricci

e i confratelli tentarono in un primo momento di usare la romanizzazione

italofona di Ruggieri come base per un sistema standard, che rendesse conto di

tutte le caratteristiche della pronuncia del Mandarino; le mancanze potevano

essere colmate e i difetti risolti, processo di revisione che probabilmente stava

avvenendo negli ultimi del XVI secolo.

In seguito, qualcosa convinse Ricci ad apportare cambiamenti maggiori, tanto

da ridisegnare un sistema di romanizzazione nuovo, spostando l‟ortografia di

riferimento dall‟italiano al portoghese.

È da notare, tuttavia, che nel DCEAS di Trigault gran parte delle romanizzazioni

sembrano aderire al sistema RES, anche se affiancate a quelle trascritte secondo

RLS, probabilmente perché il diario ricciano sul quale Trigault basò la sua opera

fu iniziato nel periodo in cui la romanizzazione usata da Ricci era ancora quella a

base italiana ideata da Ruggieri (RES).

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67

Una pagina del manoscritto autografo del

Trattato sull’Amicizia di Ricci

(Jiaoyou Lun 交友论, circa 1599).

Accanto al testo in caratteri cinesi, si noti la

corrispondente romanizzazione, coerente col

sistema RES modificato da Ricci, con

l‟aggiunta di aspirazioni e toni.

4.4 La romanizzazione di Ricci/Cattaneo (RLS)

I gesuiti inviati in Cina nei primi anni della missione furono quasi tutti italiani o

portoghesi,79 ed è ragionevole pensare che la lingua più usata tra confratelli

fosse il portoghese, sebbene l‟ambiente fosse plausibilmente caratterizzato da

un multilinguismo di fatto. Probabilmente è questo il motivo che spinse i gesuiti

presenti in Cina alla fine del „500 a cambiare il modo di annotare i suoni della

lingua cinese, abbandonando la pronuncia italiana delle lettere latine e

sostituendola con l‟ortografia lusitana.

I fautori principali di questo accomodamento della romanizzazione furono

appunto Ricci e Cattaneo. Il primo, grazie all‟esperienza linguistica già

accumulata e forse anche alla consapevolezza degli equilibri politici che

interessavano la missione, fu probabilmente il promotore del passaggio ad uno

standard d‟ispirazione portoghese; il secondo, abile musicista, fu invece

l‟ideatore degli elementi grafici per marcare le differenze di suono più sottili,

quali le aspirazioni e i toni; queste innovazioni dovettero migliorare

grandemente l‟agevolezza nello studio della lingua cinese.

79

Cfr. DEHERGNE (1973:324 ss.), [Chronologie…]

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68

Trigault riporta il racconto di Ricci, secondo il quale egli compilò un dizionario

con Cattaneo e col fratello Bastiano80 durante il viaggio di ritorno da Pechino a

Nanchino, un “Bello Vocabulario”:

[…]con l‟aiuto del fratello Bastiano molto perito della lingua China, e regolarono altre cose;

acciò per l‟avvenire con più facilità i nostri imparassero la lingua del paese. […]erano stati

trovati da loro alcuni accenti, & aspirazioni[…]ordinarono per regole cinque note, ò

virgolette, con le quali i nostri sapessero, che con quanti accenti ogni lor voce fosse

alterata, altrettanta fosse la varietà delle parole. A questo giovò assai il P. Cattani, perché

era intendente di musica[…] Hoggi anco si osservano le regole che scrissero questi due

compagni. 81

Riguardo l‟affermazione di Trigault, scritta intorno al 1614, del fatto che le

“regole” ideate da Ricci e Cattaneo fossero rispettate anche ai suoi giorni, è

difficile dire se egli si riferisca solamente al sistema di notazione dei toni e delle

aspirazioni, oppure al sistema di romanizzazione nella sua totalità.

Secondo quanto osservato nei paragrafi precedenti, si può notare che nel 1599,

un anno dopo il completamento del dizionario con Cattaneo, Matteo Ricci

utilizzava ancora la romanizzazione italofona di Ruggieri, parzialmente integrata

con i toni e le marche per l‟aspirazione. Se la datazione del manoscritto del JYL è

corretta, allora non potremmo escludere l‟ipotesi che anche il vocabolario

compilato da Cattaneo e Ricci sulla nave per Nanchino possa aver adottato

questo stesso sistema di romanizzazione, cioè il sistema di Ruggieri/Ricci

stabilizzato e migliorato tramite l‟aggiunta dei toni e delle aspirazioni.

Sfortunatamente, fino ad oggi, nessuno ha mai trovato un manoscritto

riconoscibile come un esemplare del “Bello Vocabulario”, perciò al momento è

impossibile chiarirne con certezza le caratteristiche.

80

Si trattava di un cinese di Macao, Zhong Mingren 鈡銘仁, battezzato col nome di Sebastianus

(secondo nome Fernandez), pertanto spesso ricordato come Zhong Baxiang 鈡 巴 相

(Baxiang=Sebastiano), nome che compare ancora sulla sua lapide a Hangzhou. Parlava

portoghese e fu inizialmente l‟interprete di Ricci; successivamente, nel 1591, fu il primo cinese

ad entrare nella Compagnia di Gesù, insieme ad un altro convertito, Huang Mingsha 黃明沙. 81

TRIGAULT (1622:279)

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69

4.5 La Romanizzazione nello Xizi Qiji (RLS)

Certo è che, ad un certo punto, un nuovo sistema di romanizzazione prende vita

davvero, avvenimento innegabilmente testimoniato dallo XZQJ di Ricci, del 1606.

La romanizzazione usata in quest‟opera differisce sensibilmente da quella di

Ruggieri, sia nel sistema dei grafemi iniziali, sia in alcune particolarità del

sistema di rime nonché, ovviamente, nella presenza e nell‟uso sistematico dei

toni e dell‟aspirazione.

La qualità della fonte è buona, poiché la tecnica di stampa xilografica ha

verosimilmente permesso di riprodurre gli elementi grafici della romanizzazione

in modo più fedele all‟originale manoscritto, del quale d‟altronde non si conosce

alcun esemplare. Tuttavia, la mole ridotta dell‟opera, che ammonta ad una

trentina di pagine, riduce il numero dei dati che è possibile estrapolare. Da un

totale di circa 390 caratteri cinesi romanizzati, si ottengono circa 280 sillabe

grafiche diverse (senza contare le differenze di tono).

4.5.1 Grafemi iniziali di XZQJ (RLS)

Sebbene il numero delle sillabe di base non sia molto alto, da esse è comunque

desumibile il sistema completo dei grafemi iniziali, come descritto nella tabella

seguente:

Grafemi iniziali dello XZQJ

XZQJ IPA Attacchi/Nuclei

c, c‟

k, k‟

q, q‟

/k/, /kh/

(-a, -o, -u)

(-i/y, -e)

(-u-)

c, c‟ /ts/, /tsh/

(-e, -i/y)

ç, ç‟ (-a, -e, -o, -u, -y)

ch, ch' /tʃ/, /tʃh/

f /f/

g /ʒ/

(-e, -i)

j (-o, -u)

h /x/

l /l/ %

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70

m /m/ %

n /n/ %

nh ([ɲ]) (-a, -i)

ng

g /ŋ/-/ʔ/

(-a, -o)

(-a, -u)

p, p‟ /p/, /ph/ %

s /s/ %

t, t‟ /t/, /th/ %

v /v/-/ʋ/

x /ʃ/ %

È evidente la matrice ortografica portoghese, in grafemi quali ç /ts/ e x /ʃ/, o

digrammi quali ch /tʃ/ e nh /ɲ/, estranei invece all‟ortografia italiana di Ruggieri.

In generale, si contano 26 grafemi, in numero decisamente superiore ai 20/21

fonemi iniziali di riferimento; perciò si notano alcune probabili allografie, come

c-, k-, q- per /k/, oppure g-, j- per /ʒ/; ma anche alcune omografie per fonemi

diversi, come /k/ e /ts/ che hanno una resa comune in c-, oppure /ʒ/ e /ŋ/-/ʔ/

che condividono un grafo g-.

4.5.2 Tipi grafici delle rime di XZQJ (RLS)

Per quanto riguarda le rime, invece, la raccolta dei dati presenta qualche

problema in più, in quanto la resa grafica della xilografia in alcuni casi appare

ambigua o difficilmente interpretabile; ad esempio, si riscontrano singole o rare

occorrenze di dittonghi grafici, come æ ed œ, o di grafemi “esotici” quali ω, non

sempre riconducibili ad altre forme. Considerando i dittonghi grafici come

equivalenti alle rispettive forme digrafiche (es. æ =ae) e considerando non

pertinenti i rarissimi grafi tipo ω, il set delle rime dello XZQJ è composto da

almeno 49 tipi grafici diversi (non contando separatamente le forme allografe),

come illustrato dalla tabella seguente:

Tipi grafici delle rime dello XZQJ

V Vv, vV, VC vVv, vVC vVvC

-a -ae, -ai/ay, -am, -an, -ao

-e -em, -en, -eu -eam, -eao

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71

-i /y

(ii, y˙, ÿ, yi)

-ia/ya,

-ie/ye, -ie˙/ye˙,

-im/ym, -in/yn,

-io/yo, -iu/yu (iuu)

-iai, -iam, -iao,

-ien/yen, -ieu/yeu,

-iue/yue, -yum, -iun

-iuen/yuen

-o (oo),

-o˙

-oa, -oe, -om -oam, -oei, -oem

-u,

-u˙

-ui, -um, -un, -uo -uam, -uan,

-uei, -uen,

-uoe, -uon

lh

Si nota la presenza di alcune rese grafiche alternative, segnalate in due modi:

nel caso si tratti di allografie ricorrenti o complementari, sono segnalate da una

sbarra obliqua (es. -ai/ay); se invece si tratta di allografie libere con bassa

occorrenza, sono incluse tra parentesi (es. -o (-oo)).

Al confronto col sistema di Ruggieri, il set delle rime nello XZQJ presenta alcuni

tipi grafici in più, che non sempre sono riconducibili a tipi fonologici diversi. Ad

esempio, le rime -eam/-iam e -eao/-iao possono essere considerate forme

allografe, occorrenti a seguito di iniziali diverse; in questo caso, -eam ed -eao

occorrono solo dopo l‟iniziale l- /l/, il cui modo di articolazione probabilmente

può condizionare la percezione della semivocale del dittongo, dando

l‟impressione di un grado di arretratezza maggiore. In questo caso si è di fronte

ad una trascrizione più stretta, più fonetica che fonologica. Al contrario, alcune

rime del sistema Ricci/Cattaneo che non apparivano nel sistema Ruggieri, come

-em, vanno a segnalare opposizioni fonologiche pertinenti; in questo caso la

rima -em /eŋ/ compare in contrasto a -en /en/, a segnalare contestualmente

l‟opposizione tra due diversi fonemi finali /ŋ/ e /n/, della quale non si rendeva

conto nella romanizzazione di Ruggieri.

Appare, in questo sistema, la sillaba lh,82 con probabile valore /ɚ/, con un

comportamento differente dalle altre rime, in quanto non entra in combinazione

con alcuna consonante iniziale. 83 L‟indicazione separata di questa sillaba

82

Ad indicare la pronuncia di caratteri quali èr 二, ér 而. 83

Nel sistema di Ruggieri, caratteri quali èr 二, ér 而 erano invece romanizzati con la forma i, che

compariva anche come rima in altre sillabe, preceduta da varie iniziali.

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72

“speciale” diviene, dalla romanizzazione di Ricci/Cattaneo in poi, una costante di

tutti i sistemi successivi, seppure con diverse forme grafiche.

4.5.3 Diacritici di XZQJ (RLS)

Si osserva innanzitutto la presenza sistematica della marca dell‟aspirazione,

rappresentata nella resa grafica della stampa originale dallo stesso spirito greco

aspro ( ‘ ) riscontrato nel manoscritto del JYL (v. supra), somigliante ad un

gancetto (simile ad una piccola “c”) soprascritto alla sillaba ( c ) in posizione

variabile; il diacritico per l‟aspirazione è qui semplificato con un apostrofo ( ‟ )

posto subito dopo la consonante iniziale.

I segni grafici per i toni, finalmente presenti sistematicamente su ogni sillaba,

sono cinque: ˉ, ˆ, ´, `, ˇ, esattamente come nel JYL. La posizione è variabile, ma

mai in corrispondenza dell‟iniziale, sono quindi sempre sovrascritti alla rima.

Appare invece qui per la prima volta il punto soprascritto ( ˙ ), diacritico che,

come si vedrà, indica una qualche variazione delle vocali del nucleo sillabico. Il

punto soprascritto è posto sopra alla grafema vocalico interessato, che in XZQJ

può essere -e, -o, oppure -u-.

Si notano inoltre alcune grafie mal interpretabili, delle quali è difficile dire se

vadano scorporate i grafi e diacritici, o se siano un tutt‟uno grafico (es. e , y, ÿ);

ad un primo esame non sembrano pertinenti né dal punto di vista fonologico,

né ortografico.

4.6 La romanizzazione RLS come standard

Come si è detto, la decisione di creare e fissare uno standard di romanizzazione

fu una scelta consapevole del superiore della missione, Matteo Ricci, dalle cui

parole sappiamo quanto tenesse ad imporre l‟uso del nuovo sistema a tutti i

confratelli, per facilitare lo studio e impedire la confusione.84

La testimonianza di Trigault del 1614, riguardo a come lo standard RLS fosse

rispettato da tutti i gesuiti in Cina, trova rare ma importanti conferme in alcuni

documenti di quegli anni. Ad esempio, la prima attestazione d‟uso del sistema

84

D‟ELIA (1939:n.526)

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73

RLS dopo lo XZQJ, compare in una lettera annua scritta da Trigault nel 1612,

dove il gesuita belga usa qualche decina di parole romanizzate, complete di toni

e aspirazioni. Nel capitolo seguente, dedicato all‟uso della romanizzazione da

parte di Trigault, sono riportati numerosi esempi di parole e frasi da egli

romanizzate secondo il sistema RLS.

Anche più tardi, negli anni venti, si trovano attestazioni dell‟uso di questa

romanizzazione da parte di altri missionari; un esempio è dato dalla lettera

annua scritta nel 1623 da Alvaro Semedo,85 nella quale compaiono molte parole

cinesi in romanizzazione RLS, sebbene senza toni né aspirazioni.

Il sistema RLS di Ricci/Cattaneo fu la base per l‟affermazione di uno standard

basato sull‟ortografia portoghese caratteristico dei gesuiti inquadrati nel sistema

del padroado. La sua funzionalità, dimostrata dal largo uso che se ne fece e al

contempo dalle minime modifiche che subì, fu però messa in discussione

all‟interno della Compagnia almeno in due casi: il primo, ad opera proprio di

Trigault, primo elogiatore del sistema, che nel 1626 pubblicò una voluminosa

opera sulla pronuncia del Mandarino, in cui proponeva e illustrava un sistema di

romanizzazione basato su RLS, ma sensibilmente modificato e facilmente

distinguibile da esso. Questo suo tentativo di stabilire un nuovo standard,

tuttavia, non ebbe successo, come sarà illustrato nel capitolo dedicatogli; il

secondo tentativo, ad opera dei gesuiti francesi arrivati in Cina alla fine del 1600,

consistette nella creazione di una romanizzazione basata sull‟ortografia francese.

In questo caso, il successo del nuovo standard si concretizzò negli ambienti

francofoni con l‟abbandono di RLS, sostituito totalmente dalla romanizzazione

francese. Anche di questo sistema si darà conto nei capitoli seguenti.

Si tenga comunque presente che alcuni elementi di RLS, in particolare il sistema

di notazione dei toni, furono adottati trasversalmente da tutti i sistemi successivi,

pressoché senza modifiche.

Nei prossimi capitoli si traccerà l‟evoluzione del sistema ideato da Ricci e

Cattaneo, delle sue successive modificazioni, rendendo conto dei personaggi

che hanno contribuito alla sua sopravvivenza e propagazione e cercando, infine,

di definire la sua collocazione nella storia della romanizzazione del cinese.

85

SEMEDO (1627)

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74

Due pagine dello Xizi Qiji (西字奇迹, ca. 1604). Ogni carattere cinese reca sulla destra la

corrispondente romanizzazione. Il sistema utilizzato è quello di Ricci-Cattaneo (RLS),

progenitore del filone portoghese-gesuita.

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75

5.0 Nicolas Trigault

Nicolas Trigault nasce nel 1577 a Douai,86 da un facoltoso agricoltore e una

aristocratica della città. Si diploma al collegio gesuita di Anchin, dove consegue

il baccelorato in Arte, che determina la sua prima formazione in materie quali

grammatica, dialettica, retorica, aritmetica geometria, fisica e musica. A 17 anni

entra nella Compagnia di Gesù, poco dopo comincia ad insegnare retorica

all'università di Lille. Nel frattempo intraprende lo studio di numerose lingue

europee. Dopo aver manifestato il desiderio di partire per le Indie, gli viene

accordato il permesso nel 1607. Subito parte da Lisbona per Goa, da dove poi

arriva a Macao e quasi immediatamente entra nel continente. Si ferma prima a

Nanchino, poi a Hangzhou per un periodo complessivo di due anni, dopodiché

viene incaricato di tornare in Europa come procuratore per la missione.

In questo compito ottiene successi notevoli, anche grazie alla pubblicazione del

DCEAS,87 dove racconta la storia della fondazione della missione gesuita e dà

conto di molti dettagli sui costumi della Cina. I frutti più importanti della sua

opera di procuratore furono l'ottenimento dell'indipendenza amministrativa

della missione cinese da quella giapponese, nonché il supporto economico di

alcuni mecenati e benefattori.

Torna in Cina nel 1620, portando con sé nuovi missionari, un gran numero di

libri occidentali, ricchi e curiosi doni per l‟imperatore e per i mandarini, nonché

oggetti di culto di vario genere per i fedeli. In particolare, questo primo fondo

librario portato in Cina da Trigault costituì una sorta di pietra miliare per le

biblioteche dei gesuiti in Cina.

È costretto nel 1621 a rifugiarsi a Hangzhou con altri missionari, a causa della

persecuzione anti-cristiana ad opera del funzionario Shěn Què 沈榷; è in questo

periodo che scrive la lettera annua del 1621, dedicando diverse decine di pagine

alla descrizione delle prime battaglie tra mancesi e cinesi nel nord del Paese.

Più tardi gli viene affidato il compito di iniziare l'evangelizzazione delle regioni

settentrionali, in particolare si ferma alcuni mesi a Kaifeng e Xi'an; qui, nel 1625,

86

Douai si trova oggi in Francia, in precedenza apparteneva al Belgio, mentre al tempo di

Trigault si trovava nella regione delle Fiandre 87

Trigault (1615a)

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76

scopre una stele cristiana incisa dai monaci e sacerdoti siriani arrivati in Cina nel

VII secolo.

Nel 1626 pubblica, con la collaborazione del funzionario convertito Wang Zheng

王徵,88 la sua opera più rappresentativa, lo Xiru Ermu Zi (西儒耳目资, da ora in

poi XREMZ), un manuale per lo studio della pronuncia dei caratteri cinesi, il cui

titolo è traducibile come Aiuto dei letterati d'occidente agli occhi e le orecchie.89

Nel 1627 partecipa insieme a tutti i suoi confratelli alla conferenza di Jiādìng 嘉

定, indetta dal vice padre provinciale Nicolò Longobardi per discutere delle

politiche di evangelizzazione da adottare in Cina.90 Nella suddetta conferenza, la

valutazione dei riti cinesi e il dibattito sulle traduzioni in cinese della

terminologia religiosa ricoprirono un posto predominante. Trigault fu uno dei

più strenui sostenitori della politica di accomodamento improntata dal Ricci,

mostrando un'attitudine marcatamente eterodossa. Nelle lettere e relazioni

successive al 1627, più di un gesuita rimarca che Trigault fu profondamente

colpito dalle problematiche insorte, fino a impegnarsi ossessivamente per

trovare delle soluzioni sia sul piano teorico che pratico.

Nel 1628 il gesuita belga fu trovato senza vita nella dimora di Hangzhou, fatto

che venne riportato dai confratelli con una certa reticenza e omissione di

particolari; alcuni indizi presenti in fonti primarie a lui contemporanee hanno

perciò suscitato in tempi recenti il sospetto che il gesuita si sia in realtà tolto la

vita.91

5.1 Trigault e la romanizzazione di Ricci/Cattaneo (RLS)

Il caso di Trigault è singolare; se si guardano le sue prime produzioni scritte

appena dopo il primo periodo passato in Cina, si nota che il primo sistema di

88

Wang Zheng, (1521-1644), o Filippo Wang; amico e collaboratore di Trigault e Terrenz

Schreck. 89

La traduzione più diffusa è, in realtà, Un aiuto agli occhi e alle orecchie dei letterati d’occidente,

ma nel corso del capitolo si spiegherà il perché di questa traduzione alternativa. BROCKEY

(2007:261) e BRANNER (2006:322) propongono una simile interpretazione. 90

Cfr. BROCKEY (2007:87 ss.) 91

BROCKEY (2002), sulla base del ms. della lettera di Andrea Palmeiro al Generale Muzio

Vitelleschi, Macao, 20 Dicembre 1629, ARSI Jap-Sin (cfr. BROCKEY, 2002:2)

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77

romanizzazione con cui familiarizzò era probabilmente una forma ormai

abbastanza rodata del sistema stabilito dal Ricci e dai suoi confratelli (Cattaneo,

etc.), ossia ciò che oggi indichiamo con Ricci Late System (RLS). Le principali

fonti da cui si evince questo dato sono le due litterae annorum del 1610 e

1611,92 nonché l'opera che lo rese celebre in Europa, il DCEAS. In questi testi,

l'autore utilizza un certo numero di parole o frasi cinesi romanizzate (come nomi

propri, toponimi, appellativi sociali, proverbi, etc.).

Nella lettera del 1610, ad esempio, occorrono alcune sillabe in trascrizione,

come Hô Xám 和尚 o Nân-Cham 南昌, ma in numero estremamente limitato e

apparentemente influenzate da una cattiva resa tipografica. La comparsa di

alcuni diacritici, come i toni degli esempi appena riportati, in questo testo

avviene in maniera discontinua e in misura minima.93

Tuttavia, se nella lettera del 1610 non troviamo una descrizione accurata dei toni,

e le poche sillabe romanizzate non offrono dati sufficienti, basta leggere la

lettera dell'anno successivo, per imbatterci in un maggior numero di sillabe

romanizzate, alcune delle quali sono riportate di seguito:94

Romanizzazione Caratteri Romanizzazione Caratteri

Xí 是 Hûm vù 洪武

Liě˙ fǎ 历法 Hán lîn yuén 翰林院

Tí cám 地藏 Xām 商

Yaô 尧 Hiá 夏

Hî 羲 Foē 佛

Xí hoâm 始皇 Yâm 楊

Vû tí 武帝 T 'iēn xám t'iēn t'âm 天上天堂

T 'iēn vên 天文 tí xám sù hâm 地上苏杭

92

TRIGAULT (1615b) 93

Cfr. TRIGAULT (1615b:3-69) 94

Estratte da TRIGAULT (1615b:71-227) passim

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78

Si nota la presenza dei diacritici per i 5 toni: ˉ, ˆ, `, , ˇ e dell'aspirazione,

rappresentata graficamente da uno spirito greco aspro ( ‘ ), reso qui con

l‟apostrofo ( ' ) posto dopo la consonante iniziale. Interessante anche la

presenza del puntino soprascritto ( ˙ ), che compare in tutti i sistemi da RLS in

poi, per indicare una variazione di apertura della vocale a cui è sovrapposto.

Al suo ritorno in Cina nel 1621, concluso il viaggio come procuratore in Europa,

Trigault scrive nuovamente una lettera annua, come compendio dei fatti

avvenuti in Cina e presso la missione durante l'anno precedente.95 In questa

lettera, dove compaiono romanizzati principalmente i toponimi, il missionario

utilizza ancora una trascrizione aderente allo standard ricciano, pur tuttavia non

comparendovi né toni né altri segni diacritici.

Se si confrontano le pur poche sillabe romanizzate in questi scritti con le tracce

che abbiamo di RLS e con il sistema proposto più tardi da Trigault, questa

trascrizione sembra collocarsi a metà tra i due sistemi, ma più spostata verso

RLS.

D'altronde va ricordato che Ricci e gli altri artefici del tentativo di

romanizzazione, imposero a tutti i confratelli di utilizzare quel sistema e non altri,

in modo da non generare ambiguità. Ciò significa che, verosimilmente, doveva

esistere un quadro di riferimento, un'opera o un prontuario, prodotto da Ricci e

dai suoi, che permettesse ai missionari impegnati nello studio del cinese di

imparare in modo sistematico la trascrizione corretta; essi, infatti, non potevano

certo limitarsi ad apprendere la romanizzazione casualmente, scorrendo testi

cinesi romanizzati ed estrapolando le sillabe una ad una. Deve essere invece

esistita una qualche forma più ordinata di questo sistema grafico, come un

dizionario o un rimario.

Dalle fonti Ricciane non emerge l'esistenza di un rimario vero e proprio, simile a

ciò che fu poco dopo lo XREMZ; al contrario, è ben noto il riferimento del Ricci

ad un “bello vocabulario”, di cui ancora non si è individuato un esemplare certo,

ma che probabilmente rappresentava proprio lo standard di riferimento a cui

accennavamo.

Per poter affermare l'esistenza di un vero e proprio standard ed eventualmente

tracciare un profilo completo del set sillabico utilizzato, oltre all'opera di Trigault

95

TRIGAULT (1625)

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79

è necessario analizzare gli scritti prodotti dagli altri missionari gesuiti presenti in

Cina nei primi decenni del 1600; ad esempio, si trovano tracce di romanizzazioni

accostabili a quella del Ricci (XZQJ, i.e. RLS) e del Trigault pre-XREMZ anche

nelle lettere e nelle relazioni di padri come Aleni, Semedo, Sambiasi, De Ursis,

Furtado, Diaz, Palmeiro e altri confratelli attivi nello stesso periodo, ma le parole

romanizzate non appaiono mai in quantità tali da permettere una descrizione

completa della romanizzazione usata.

Ciò che però è sicuramente degno di nota, è che le occorrenze di sillabe

romanizzate nelle lettere scritte da Trigault nel 1610-11, sono tra le prime

attestazioni stampate in Europa dello standard di trascrizione ricciano, la cui

unica traccia originale rimasta è rappresentata dallo XZQJ.

Solo nel 1626, anno in cui pubblica lo XREMZ, Trigault propone un sistema di

romanizzazione leggermente modificato, il cui destino sarà però quello di non

assurgere mai al grado di standard corrente, rimanendo sostanzialmente

inutilizzato dai fratelli della compagnia; si vedrà, tuttavia, come delle eco della

romanizzazione di Trigault riaffioreranno inaspettatamente nell'opera di

missionari di altri ordini.96

Se fino ai tardi anni „20 de XVII secolo era davvero in uso uno standard ricciano,

e se davvero esistevano degli strumenti di riferimento come ad esempio

l'introvabile “bello vocabulario” di Ricci e Cattaneo, che necessità aveva Trigault

di provare a stabilire un nuovo standard, fornendo inoltre un nuovo quadro di

riferimento estremamente dettagliato e articolato? A quali esigenze rispondeva

questo suo lavoro straordinario?

5.2 La romanizzazione dello Xiru Ermu Zi (XREMZ)

Il sistema di trascrizione di Trigault come presentato nello XREMZ è descritto

nell‟opera in modo coerente e articolato, in tutti i suoi elementi. Essendo

l‟intento specifico dell‟opera, quello di illustrare le caratteristiche formali e

funzionali della romanizzazione, risulta molto semplice individuarne i grafemi

iniziali, i tipi grafici delle rime e i diacritici. Inoltre, di tutte le fonti esaminate in

96

V. infra, sul dizionario del domenicano Francisco Diaz

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80

questa ricerca, lo XREMZ è sicuramente quella più studiata; perciò si è potuto far

conto su una certa quantità di fonti secondarie, in particolare Luo (1930), Ye

(2001) e Tan (2008), che presentano analisi complete del sistema di

romanizzazione di Trigault.

5.2.1 Grafemi iniziali di XREMZ

I grafemi iniziali previsti dallo XREMZ sono 20, pertanto esattamente

corrispondenti al numero dei fonemi di riferimento. Il sistema prevede anche

un‟iniziale zero, non segnalata graficamente:

Set dei grafemi iniziali dello XREMZ

XREMZ IPA Attacchi/Nuclei

ç, ç‟ /ts/, /tsh/ %

ch, ch' /tʃ/, /tʃh/ %

f /f/ %

g /ŋ/-/ʔ/ (-a, -e, -o, -u)

h /x/ %

j /ʒ/ %

k, k‟ /k/, /kh/ %

l /l/ %

m /m/ %

n /n/ %

p, p‟ /p/, /ph/ %

s /s/ %

t, t‟ /t/, /th/ %

v /v/-/ʋ/ %

x /ʃ/ %

La diminuzione del numero dei grafemi iniziali, rispetto ai sistemi

precedentemente osservati (RES, RLS) non può che indicare una tendenza a

modificare una trascrizione più stretta (più fonetica) in una trascrizione più larga

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(più fonologica) che tenesse conto delle sole distinzioni pertinenti, senza

peraltro farsi influenzare troppo dalle regole ortografiche delle lingue europee.

I grafemi iniziali di Trigault, molto probabilmente, ben corrispondevano alla

realtà fonologica del Guanhua tardo - Ming, anche a giudicare dalla

corrispondenza con le categorie tradizionali dei suoni iniziali reperibili nelle fonti

cinesi, presi come riferimento nei capitoli introduttivi di questa ricerca.

Va segnalato che rispetto a RLS, primo sistema imparato e usato da Trigault, in

XREMZ si nota l‟abbandono di alcune grafie portoghesi, come ng(h)- per /ŋ/ e

g- per /ʒ/, in un generale tentativo di far corrispondere il più possibile un

fonema ad una sola grafia, e viceversa. Per farlo, Trigault si è mosso

agevolmente tra le varie ortografie europee da egli conosciute, scegliendo i

grafemi più adatti in un‟operazione di sintesi di grande valore scientifico.

Si vedrà più avanti che questa economia grafica nella trascrizione sarà

prerogativa dei sistemi ispanofoni, che presenteranno un set di grafemi iniziali

molto simile a quello di XREMZ.

5.2.2 Tipi grafici delle rime di XREMZ

Lo XREMZ, essendo di fatto un rimario, è organizzato in tavole di rime; pertanto

è agilmente ricostruibile l‟inventario dei tipi grafici delle rime impiegati nella

romanizzazione dell‟opera. La tabella seguente ne dà conto in modo schematico:

Tipi grafici delle rime nello XREMZ

V Vv, vV, VC vVv, vVC vVvC

-a -ai, -am, -an, -ao

-e

-e˙

-em, -en, -eu -eam, -eao

-i -ia,

-ie, -ie˙,

-im, -in,

-io, -io˙, -iu, -iu

-iai, -iam, -iao,

-ien, -ieu,

-iue, -ium, -iun

-iuen

-o

-o˙

-oa, -oe -oai, -oam, -oan,

-oei, -oem, -oen

-u

-u˙

-ua, -ue, -ui,

-um, -un, -uo, uo˙

-uai, -uam, -uan,

-uei, -uem; -uen,

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82

-u -uon

ul

Al contrario di quanto osservato per i grafemi iniziali, sul piano delle Trigault

rime deve aver tenuto conto di distinzioni fonologiche alquanto sottili, talvolta

forse più fonetiche che fonologiche (probabili allografie in complementarietà

come -oa [solo dopo h-, x-] e -ua [solo dopo Ø-, k-]). Il set dei tipi grafici

previsti ammonta a 57 elementi, tutto sommato abbastanza corrispondente alla

quantità di 50/55 rime fonologiche prese come riferimento in questa ricerca.

Da notare la comparsa della forma ul per la sillaba a “statuto speciale” con

probabile valore /ɚ/, resa diversamente dai sistemi precedenti ( i in RES, lh in

RLS). Come si vedrà, anche questa particolarità ritornerà nei sistemi ispanofoni

più che in quelli a base portoghese.

5.2.3 Diacritici di XREMZ

Non si nota nulla di particolare nella descrizione che Trigault fa dei toni, che

restano pressoché invariati rispetto a RLS, nel numero di cinque: ˉ, ˆ, `, , ˇ, e

rappresentati dalle stesse marche grafiche. La quinta marca è però resa in

Trigault tramite un segno angolato ( ˇ ) invece che arrotondato ( ˘ ).

Anche la marca dell‟aspirazione rimane la stessa di RLS, resa con uno spirito

greco aspro ( ‘ ) o una specie di gancetto ( c ), con la differenza che Trigault

pone il segno dell'aspirazione sempre prima dell'iniziale (cc, cch, ck, cp, ct) ,

mentre in RLS la posizione poteva variare molto, almeno per come ci è stata

riportata dallo XZQJ. Nella presente ricerca, la posizione della marca per

l‟aspirazione è uniformata, resa con l‟apostrofo e posta convenzionalmente

dopo l‟iniziale (c’, ch’, k’, etc.)

Un'altra particolarità dello XREMZ nell'uso dei diacritici, riguarda i puntini

combinati alle vocali del nucleo. Come per le altre trascrizioni, la presenza di un

puntino sembra indicare una qualche variazione del grado di apertura della

vocale interessata; ma a differenza di tutti gli altri sistemi, dove compare solo

l'uso del punto soprascritto, nello XREMZ si rinviene anche un punto sottoscritto.

L‟assenza o la presenza di questi puntini diacritici esprimeva graficamente i

concetti definiti da Trigault shèn 甚 cì 次 e zhōng 中, traducibili a grandi linee

con “aperta”, “chiusa” e “intermedia”. Solo tre vocali: e, o, u, potevano essere

interessate da questa distinzione.

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Esse, se pronunciate al grado di apertura shèn 甚 , suonavano nella loro

“pienezza”, per così dire; pertanto non prevedevano alcuna aggiunta di punti

diacritici, ad es.: je 熱, ko 個, su 蘇.

Con il grado di apertura cì 次, marcato dal punto soprascritto ( ˙ ), suonavano, in

qualche modo, più chiuse, es.: je˙日, ko˙ 骨, su˙ 死.

L'apertura zhōng 中, come si intende dal nome stesso, era un grado intermedio

tra shèn e cì, la cui marca era il puntino sottoscritto ( . ) e occorreva solo con la

vocale u, es.: chụ 主, hiụ 虛, xụ 殊, k'iụ 去.

Per quanto riguarda la u, non è facile stabilire il valore fonologico dei tre diversi

suoni, e gli studiosi protendono per idee differenti; l‟ipotesi più diffusa distingue

questi tre valori come u=/u/, u˙=/ɨ/-/ɿ/ ed ụ=/y/, anche se altri propongono

invece i tre valori u=/y/, u˙=/ʊ/ ed ụ=/ɿ/.97

5.4 La sensibilità linguistica di Trigault e il suo contributo epistemologico

L'opera linguistica di Trigault, come egli stesso volle sottolineare,98 è il risultato

di uno sforzo congiunto durato 2-3 decenni, suo e dei suoi confratelli (Ricci,

Pantoja, Cattaneo, etc.) e di studiosi cinesi a loro contemporanei come il già

citato Wang Zheng.

Il gesuita belga, come forse molti dei suo confratelli selezionati per le missioni

estere, dimostrava un‟ottima attitudine per le lingue. A vent'anni aveva studiato

e conosceva già almeno sei lingue: fiammingo, francese, latino, portoghese,

italiano e olandese, oltre al greco classico. È ragionevole credere che affrontò lo

studio della lingua cinese conseguendo ottimi risultati fin dai primi tempi.

Sappiamo che iniziò a studiare cinese solo dopo essere entrato in Cina, presso la

sede di Nanchino nel 1611,99 affiancato da personaggi cinesi di elevata cultura

che dovevano essere certo ferrati nella lingua ufficiale.

Oltre a poter leggere negli scritti dei suoi confratelli elogi ed apprezzamenti

verso la sua padronanza della lingua mandarina,100 nelle lettere scritte nei primi

97

Cfr. JIANG (2002) passim 98

Cfr. XREMZ, [Zixu 自序] p. 2 (二): “[…]幣會利西泰、郭仰鳳、龐順陽實始之[…]” 99

C. DEHAISNES (1861) 100

Cfr. SEMEDO (1627)

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due anni di soggiorno in Cina è possibile notare una certa sensibilità di Trigault

verso alcune caratteristiche della lingua cinese, in particolare sul piano della

pronuncia. Nella lettera annua del 1610 si legge:

Nam Sinarum characteres longe ab Europaeis distant, neque enim alios possunt sonos

exprimere escribendo effigant. Imo sunt apud nos tres omnino abent consonantes, B. D. R.

quae apud Sinas nullum omnino habent usum, nec ullo è suis characteribus effingi

possunt. Itaque pro his sonus aliquis quam minime remotus est reponendus. Sonum dixi,

nam consonante ipsi vocalesq(ue); nostras omnino non norunt, tot enim sunt apud eos

hieroglyphici characteres, quot sunt res rerumque dictiones. Habent tamen sonos nostris

vocalibus aut consonantibus, licet non omnibus, respondentes. Praeterea duas nusquam

consonantes nulla vocali media norunt. Imo exceptis, M & N. nulla alia consonante

terminant dictionem, sed omnes in vocalem desinunt. 101

Queste poche righe rendono conto di quelle che all'epoca dovevano sembrare

le diversità fonologiche più evidenti tra la lingua cinese e le lingue europee, cioè

la mancanza di iniziali occlusive o liquide sonore e la presenza di solo due

possibili suoni in finale di sillaba.

Nel dialogo, più o meno immaginario, tra il “letterato d'occidente” e quello

cinese utilizzato dall'autore come prefazione generale allo XREMZ, diverte un

passaggio in cui Trigault ci tiene a rimarcare il suo orecchio linguistico, di fronte

al confuciano perplesso riguardo al fatto che uno straniero possa analizzare

alcuni suoni del cinese meglio dei cinesi stessi:

[…] 問曰。耳目資分之乎?〇答曰。音音字字。縷縷分之。中士曰。噫嘻。真所稱繭絲而牛

毛。敝國未之前聞者也。西儒搖首曰。不然。貴國之聲口。明明分之。即兒童弗差。旅人

之能詳辨。亦以西號定音。耳鼓之習慣。故耳。

[…] [il letterato] domanda: “...E lo Ermu Zi li distingue (questi suoni)?” Risposta: “Suono per

suono, carattere per carattere, li analizza uno dopo l'altro senza esclusione”. Il letterato

cinese dice: “Wow! Questo sì che è andare a cercare il pelo nell'uovo! Fin'ora, nessuno del

mio Paese ha però mai avvertito ciò [parlando della differenza tra due suoni molto vicini]”.

101

TRIGAULT (1615b:15)

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85

Il letterato d'occidente scuote la testa e dice: “Non è così. Le bocche dei tuoi compatrioti li

differenziano chiaramente. Nemmeno ai bambini sfugge. Questo straniero sa distinguere i

dettagli, nonché fissarne il suono tramite le lettere occidentali. Ho il timpano allenato...ecco

perché li sento.”102

Sottolineare la sensibilità dell'orecchio di Trigault ai suoni esotici non serve solo

a delineare la sua personalità di intellettuale, ma aiuta anche a capire meglio le

differenze e le migliorie che il sistema di romanizzazione dello XREMZ

presentava rispetto allo standard precedente.

Secondo quanto osservato da Luo (1930) e Tan (2008), il lavoro di Trigault ha

apportato un contributo fondamentale alla fonologia cinese, oltre ad aver

introdotto numerosi nuovi concetti e termini nella linguistica cinese in generale;

tali termini sono oggi facilmente decifrabili, alla luce della fonologia moderna,

ma all'epoca erano decisamente innovativi, in quanto rappresentavano concetti

di per sé innovativi.

Evidenziare alcune delle spiegazioni teoriche presenti nello XREMZ può aiutare a

capire meglio la funzione di alcuni elementi ricorrenti in tutti i sistemi di

romanizzazione dei decenni seguenti.103 La terminologia di Trigault, sviluppata

in collaborazione con gli studiosi cinesi che lo aiutavano, ha inoltre influenzato

importanti intellettuali cinesi a lui successivi, in alcuni casi rimanendo in uso

presso gli studiosi locali fino ad oggi.104

Colpisce innanzitutto l'illustrazione iniziale dei singoli fonemi delle lingue del

mondo e, tra questi, quelli della lingua cinese. La rappresentazione dei suoni

tramite la scomposizione in fonemi costituiva una novità assoluta in Cina, dove

la fonologia classica utilizzava solo la scomposizione delle sillabe in “attacco”

(shengmu 声母) e “rima” (yunmu 韵母). Trigault introduce quindi una nozione di

fonologia occidentale pressoché sconosciuta alla Cina di allora, trasformando la

102

XREMZ, [Yiyin Shoupu], pagg. 53-54 103

Per un quadro completo dei concetti linguistici introdotti da Trigault con XREMZ, cfr. TAN,

(2006, 2008) passim 104

Tra le personalità che più hanno subito l‟influenza dell‟opera di Trigault si ricorda il fonologo,

scienziato, pittore e filosofo Fang Yizhi 方以智 (1611-1671), vissuto a cavallo delle due dinastie.

Cfr. TAN (2008:160-164); Per una riflessione sull‟osmosi avvenuta tra i concetti linguistici

occidentali e cinesi, e sul dialogo epistemologico ingaggiato dagli studiosi grazie all‟opera di

Trigault, cfr. WANG (2007).

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tradizionale analisi prosodica in una moderna analisi fonologica. Non solo, nella

descrizione dei suoni delle lingue del mondo, in particolare nello schema grafico

denominato “tabella animata dei suoni dei diecimila paesi” (万国音韵活图),

consistente in una rappresentazione grafica a dischi concentrici, l'autore attua

un vero e proprio tentativo di alfabeto fonetico internazionale!

Interessante inoltre indagare su quali fonti, occidentali e cinesi, abbiano ispirato

questo tipo di rappresentazione a dischi concentrici.105

Uno dei termini introdotti dallo XREMZ è yuányīn 元音, che nell‟opera è il nome

generico per vocali e consonanti. Ma la definizione di Trigault va oltre: Trigault

chiama yuányīn la sostanza fonica del parlato, i suoni della voce umana, che

sono naturali ed esistenti in tutte le lingue del mondo. Ciò che i parlanti

possono cambiare è lo hào 号 (segno) del yuányīn, ovvero la rappresentazione

scritta che se ne può dare. Questa definizione è rivoluzionaria, in quanto scinde

chiaramente il piano fonetico da quello grafico. Ai tempi in cui Trigault scriveva,

questa scissione non era affatto scontata nella linguistica cinese.

Dal punto di vista etimologico, sembra che Trigault, con i suoi collaboratori

cinesi, abbia mutuato il termine yuányīn dalla terminologia musicale e poetica.

La parola già esisteva ed era usata in epoca Ming per designare il suono "puro",

"perfetto", "originario". Il termine poteva perciò essere accettato dai cinesi

meglio di altri tradotti letteralmente dalla terminologia occidentale.

Due sotto-concetti di yuányīn sono zìmíng 自鸣 “auto-sonante” (vocale) e

tóngmíng 同鸣 “con-sonante”. Trigault usa due metafore per spiegare i concetti

di zìmíng e tóngmíng. Prima li paragona rispettivamente al parlato di una

persona normale e di un balbuziente, poi a due strumenti musicali cinesi (lo xiào

e il guān). Così spiega che zìmíng (vocale) è un suono completo, mentre

tóngmíng (consonante) è incompleto (bànyīn 半声 mezzo suono).

Un altro binomio interessante proposto dal gesuita belga è quello di zì 字 e hào

号. Se yuányīn è il suono prodotto naturalmente dall'apparato fonatorio umano,

sia lo zì che lo hào sono significanti scritti. Con la differenza che zì indica i

caratteri cinesi (la scrittura logografica) e hào indica la scrittura alfabetica.

Dallo zì 字, Trigault deriva una serie di termini, principalmente zìfù 字父 (zi-

padre), zìmǔ 字母 (zi-madre) e zìzǐ 字子 (zi-figlio); le prime due sono traducibili

105

Sul sistema di rappresentazione dei suoni linguistici attraverso le “tabelle animate”, ossia i

dischi concentrici, utilizzato da Trigault, cfr. Tan (2008:48-70)

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generalmente come: zìfù “iniziale” (attacco di sillaba) e zìmǔ “finale” (rima).

Quello di zìzǐ è un concetto più complesso, che in generale racchiude le

combinazioni di attacchi e rime. Interessante invece notare come il termine zìmǔ

字母 (rima) dia luogo ad altri composti, precisamente zìyuánmǔ 字元母 (rima-

madre), zìzǐmǔ 字子母 (rima-figlio) e zìsǔnmǔ 字孙母 (rima-nipote), per indicare

rispettivamente le rime semplici (-V), rime composte da due fonemi (-Vv, -vV, -

VC), e infine le rime di tre fonemi (-vVv, -vVC).

Una terna concettuale coniata ad hoc dal gesuita belga è quella composta dai

tre termini shèn 甚, cì 次 e zhōng 中, per indicare diversi gradi di apertura

vocalica, di cui si è spiegato l‟uso precedentemente. (v. supra)

Un‟altra dicotomia proposta da Trigault è quella composta da zhòng 重

“pesante” e qīng 轻 “leggero”, termini che ancora oggi sopravvivono nei

significati proposti dall'autore di “aspirato” e “non aspirato”. Per cinque delle

iniziali, (ç, ch, k, p, t) Trigault spiega che possono essere pronunciate con o senza

l'aspirazione, indicata da un apostrofo (ç/ç', ch/ch', k/k', p/p', t/t'), considerando

così l'aspirazione come un tratto pertinente a sé stante, che Trigault assimila al

suono dell'iniziale h [x]. Nel primo volume (譯引首譜 ) è ben spiegata la

distinzione tra consonanti non aspirate (輕 leggere) e aspirate (重 pesanti):

問曰。輕重者何。〇 答曰。重音者。自喉內強吹氣而出氣至口之外也。惟同鳴之父有之。

自鳴則無。然同鳴之中。亦有能輕而不能重者。有能重而亦能輕者。有能重而不能輕者。

重而不輕者。重德之純也。重而又輕者。重德之雜也。重而不輕曰黑 h。在同鳴之末而其

半聲惟一。故純重。而不輕。同鳴之一至五。曰則 ç者 ch 格 k 百 p 德 t。其變重。半聲有

二。故雜。試觀純重有內吹及出氣之強。雜重如克 'k 先有本半格 k 聲。後又有黑 h 純重之

強。測 'ç撦 'ch 魄 'p 忒 't 無不皆然。西法重音有號。惟純雜不同。純號曰黑 h。雜號于本

號之上。左有小鉤如 ' 。是也。

Domanda: Cosa si intende per “non aspirato” e “aspirato”? Risposta: Il suono “aspirato” si

produce espellendo con forza l'aria dalla gola fin fuori la bocca. Ciò riguarda solo le

consonanti, non le vocali. Così, tra le consonanti, alcune possono essere solo “non

aspirate”, altre possono essere sia “aspirate”, sia “non aspirate”. Ve ne sono di solamente

“aspirate”. In questo caso, si parla di “aspirazione pura”. Per quelle che possono essere sia

“aspirate” che “non aspirate”, si ha una “aspirazione composta”. La consonante

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esclusivamente “aspirata” è la h. È l'ultima delle consonanti e genera un solo suono

iniziale. Ecco perché è una “aspirata pura”.

Le prime cinque consonanti sono ç, ch, k, p, t. Esse possono diventare “aspirate”,

generando due diversi suoni iniziali. Sono perciò “composte”. Se proviamo a guardare la

“aspirata semplice”, essa è un forte soffio dall'interno all'esterno. Le “aspirate composte”

come 'k hanno prima il suono iniziale di base k e dopo hanno la forte “aspirazione pura”

della h. Anche per 'ç, 'ch, 'k, 'p, 't vale la stessa cosa. Secondo il metodo occidentale c'è un

segno per indicare l'aspirazione, ma diverso per l'aspirazione pura e quella composta. Il

segno per l'aspirazione pura è h. Quello per l'aspirazione composta invece va sopra il

suono iniziale di base, a sinistra, come un piccolo gancetto tipo c .

106

L'associazione tra il concetto di aspirazione e il suono della lettera h è

interessante, in quanto ci dà due informazioni: la prima è che l'orecchio attento

di Trigault avvertiva lo stesso tipo di aspirazione per tutte le consonanti

occlusive e affricate; la seconda è che la pronuncia della lettera h nell'alfabeto a

cui fa riferimento Trigault doveva essere aspirata.

5.5 Uno sforzo non ripagato

Lo Xiru Emu Zi è un'opera monumentale. Tre volumi per un totale di oltre 570

pagine, migliaia di caratteri cinesi annotati con la loro pronuncia, una stampa

della prima edizione voluta e realizzata con entusiasmo da Wang Zheng, che

subito dopo cominciò con Trigault un attento e tenace lavoro di revisione e

aggiornamento, per poi culminare in una seconda edizione nella forma più

completa a noi pervenuta. Non solo, il sistema di trascrizione dello XREMZ aveva

decisamente migliorato lo standard di romanizzazione ricciano, risolvendo molti

problemi e offrendo uno strumento di studio eccellente.

Eppure, negli anni e decenni successivi alla pubblicazione di questo libro, esso

non è riuscito a imporsi come il nuovo metodo di trascrizione ufficiale, né

tantomeno ha goduto di un'esportazione verso l'Europa come invece è successo

ad altri testi scritti dai missionari in Cina. Anzi, rispetto al pubblico occidentale è

106

XREMZ, [Yiyin Shoupu 譯引首譜] p. 49 (四十九), trad. mia

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di fatto caduto in un‟inspiegabile damnatio memoriae. Anche la risonanza

presso le successive generazioni di gesuiti in Cina è stata minima; per citare un

esempio, sorprende che Martino Martini, nella sua Brevis Relatio del 1654,

nell‟elencare i nomi e le opere di tutti i confratelli attivi in Cina fino ad allora,

non attribuisca alcuna opera a Trigault, ad eccezione di un “[…]Librum de

Computu Ecclesiastico, per quem Christiani Sinenses indagare possunt festa ac

ieiunia Romanae ecclesiae.” 107

Eppure, lo XREMZ non era passato in osservato presso i gesuiti in Cina negli

anni subito successivi alla sua pubblicazione. Nell‟opera Yuanxi Qiqi Tushuo 远西

奇 器 图说 (Spiegazioni e illustrazioni sulle strane macchine del lontano

occidente) 108 del gesuita tedesco Johan Terrenz Schreck (1576 -1630), 109

pubblicata nel 1627 insieme a quello stesso Wang Zheng che curò con Trigault

lo XREMZ, si ritrova il seguente passaggio, a spiegazione delle lettere

alfabetiche impiegate nelle illustrazioni del libro come riferimenti per le legende:

[…]乃其說則屬西文西字,雖余嚮在里中,得金四表先生為余指授西文字母字父二十五號,

刻有《西儒耳目資》一書,亦略知其音響乎。[…]號必用西字者,西字號初似難記,然正因

其難記,欲覽者怪而尋索[…]。況號止二十,形象各異,又不甚煩,不甚難乎。今將西字總

列于左,即以中字並列釋之,以便觀覽。 且欲知西字止二十號耳,可括萬音萬字之用。

a e i o u ç ch k p t j v f g l m n s x h

丫 額 衣 阿 午 則 者 格 百 德 日 物 弗 額 勒 麥 搦 色 石 黑

以上記號蓋因圖中諸器多端,須用標記,而後說中指其記號,一一可詳解耳,用之不盡不

論也。 圖之簡明易知者,則不用。

[…]Le didascalie, invece, sono in lettere occidentali, che vi sono state messe per mio volere.

Mi è stato insegnato l‟uso dei 25 segni occidentali, per le iniziali e le rime, dal signor Jin

Sibiao [Trigault]; io ne conosco un po‟ i suoni, [perché] è stato pubblicato il libro Xiru

Ermu Zi.

[…]Per chi li deve usare, i segni occidentali all‟inizio sembrano difficili da ricordare; proprio

per questo chi vuole consultare [il testo] potrebbe trovare la ricerca malagevole[…] Ma i

107

MARTINI (1654:XXXII) 108

TERENTIUS (1627:51-52)

109 Ricordato anche come Terrentius, fu prima accademico dei lincei e poi gesuita. La sua attività

di scienziato surclassa di molte misure quella di religioso

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segni sono solo 20, di forme diverse tra loro, né tanto problematici né difficili. Elenco qui

di seguito i segni occidentali, con dei caratteri cinesi in corrispondenza a spiegazione [del

suono], per facilitare la lettura. Inoltre, sapendo questa ventina di segni, si può estenderne

l‟uso ai diecimila suoni e i diecimila segni.

a e i o u ç ch k p t j v f g l m n s x h

丫 額 衣 阿 午 則 者 格 百 德 日 物 弗 額 勒 麥 搦 色 石 黑

È necessario usare la notazione con i suddetti segni poiché [alcune] illustrazioni sono

piene di oggetti di vario tipo e, indicandone il [corrispondente] segno di notazione

all‟interno della spiegazione, essi possono essere illustrati uno ad uno. [la notazione] può

essere usata senza limitazioni. Per le immagini più semplici, invece, non occorre usarla. 110

A parlare è Wang Zheng, che riconferma il suo interesse per le “strane lettere

occidentali” che tanto lo avevano stupito al primo incontro, e che lo avevano

convinto dell‟importanza di pubblicare lo XREMZ di Trigault.

Ma non è questa l‟unica testimonianza contemporanea sul sistema di

romanizzazione del gesuita belga; si trova, infatti, un altro riferimento allo

XREMZ nell‟opera Xifang Dawen 西方答問 Domande e risposte sull’occidente di

Giulio Aleni, pubblicata nel 1637; nel capitolo denominato Xixue 西學 (scienza

occidentale) si legge:

[…]遠西又以二十三字母為主。當二十三筆法。以二十三字。互相配則成人物之名目。其用

甚活。凡萬國語音與風雨鳥獸之聲。皆可寫出。蓋貴邦先有其字。後有其音。敝邦隨聞其

音即成其字。其詳見西儒耳目資之書可覽也。

[…]Nel lontano Occidente esistono principalmente 23 lettere, vale a dire 23 segni.

Combinando le 23 lettere si formano i nomi delle persone e delle cose. Si possono

scrivere tutti i suoni di tutte le lingue del mondo, e i rumori del vento, della pioggia, degli

uccelli e delle bestie. Nel vostro Paese viene prima la scrittura e poi i suoni; nel mio Paese,

ascoltando i suoni è nata la scrittura. Si può averne un‟illustrazione leggendo

attentamente il libro “Aiuto dei letterati d'occidente agli occhi e alle orecchie”.111

110

TERENTIUS (1627:31,51-52), trad. mia 111

ALENI (1637:1:12), trad. mia

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Questi primi riferimenti e apprezzamenti rivolti all‟opera di Trigault lasciavano

ben sperare che la nuova romanizzazione, ivi proposta, potesse assurgere a

ruolo di nuovo standard presso i membri della compagnia. Un certo alone di

mistero sembra però avvolgere questo libro, dal suo concepimento fino al suo

oblio. Innanzitutto credo sia lecito porsi almeno due domande sulla sua genesi:

1) Perché Nicolas Trigault reputava che lo standard di romanizzazione di Ricci

necessitasse di un rimodernamento?

2) Se davvero Trigault voleva proporre lo XREMZ come uno strumento di

riferimento per gli stranieri, come mai ha scelto di scriverlo interamente ed

esclusivamente in cinese?

Non si esclude che esistano fonti contemporanee a Trigault che aiuterebbero a

rispondere a queste domande, ma non disponendone in questa sede purtroppo

dovremo limitarci a fare delle ipotesi.

Sappiamo per certo che fino al 1622 Trigault ha continuato ad usare una

trascrizione inquadrabile nel sistema RLS, come abbiamo visto in precedenza.

Questo significa che lo studioso ha maturato l'idea e sviluppato il progetto nei

quattro anni successivi, fino alla pubblicazione nel 1626. Sebbene esistano prove

dell'impressionante velocità con la quale il gesuita sapeva produrre scritti anche

molto consistenti,112 è molto probabile che la progettazione e la stesura dello

XREMZ abbiano occupato un periodo di tempo abbastanza lungo.

A partire dal 1624 Trigault parte verso le regioni centro-settentrionali dello

Shanxi e Shaanxi per iniziarvi l'evangelizzazione; nel 1625, presso una località

nelle vicinanze di Xi'an, luogo d'origine dell'amico Wang Zheng, il gesuita

scopre una stele cristiana di epoca Tang, la cosiddetta Stele di Xi'an,113 del cui

contenuto stende la prima traduzione in latino. Non è chiaro se questa prima

analisi di Trigault contenesse anche la pronuncia traslitterata dei caratteri.

Nel 1627 Trigault scrisse una lettera al barone Florent de Montmorency,114

raccontandogli di alcuni avvenimenti degli anni precedenti e citando alcuni

112

Ad es., nel breve periodo dei pochi mesi trascorsi a Lisbona prima di partire per Goa scrive la

biografia di un padre gesuita, lunga quasi 400 pagine. Cfr. TRIGAULT (1610) 113

Spesso “stele di Sigan-fu”, in cinese Jingjiao Bei 景教碑; di cui si hanno diverse descrizioni

contemporanee e approfonditi studi successivi. Cfr. note successive 114

La lettera di Trigault a Florent de Montmorency, (Hangzhou, 13 settembre 1627) è

conservata presso la bibliothèque du collège des jésuites, ad Anversa

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termini in cinese, per lo più toponimi. Purtroppo, chi scrive non ha potuto

esaminare il testo originale di questa lettera, ma in un libro di Henry Havret sulla

stele di Xi'an se ne trova un estratto che presenta tre toponimi: 115 Ho-nan 河南,

Xan-si 陕西 e Che-chiam 浙江; compare inaspettato un trattino ( - ) divisorio tra

le sillabe, nonché un'iniziale CH per 江, che stranamente non concorda né con

RLS (kiam), né con XREMZ (kiam). Ovviamente si tratta di osservazioni di poco

valore, fintanto che non si effettui l'analisi del testo originale, e comunque

tenendo conto che la tipologia del testo non prevedeva un rigore nella

trascrizione.

Comunque, dopo il 1622, qualcosa deve aver fatto scoccare in Trigault questa

scintilla creativa. In passato, l‟interpretazione più diffusa del titolo Xiru Ermu Zi

西儒耳目资 era “Aiuto agli occhi e le orecchie dei letterati d'occidente”,

lasciando pensare ad un intento didattico, per uno strumento finalizzato allo

studio della lingua cinese, la cui utenza sarebbe dovuta essere plausibilmente

costituita da occidentali. Eppure il testo è completamente in cinese, scritto ad un

livello linguistico non certo adatto a dei principianti. Qual‟era, quindi, la reale

funzione di quest'opera?

Forse bisogna valutare meglio il contributo degli studiosi cinesi che hanno

collaborato con Trigault, primo tra tutti Wang Zheng, il cui ruolo dev'essere

stato ben più di quello di un semplice editore o revisore. La sua partecipazione

sul piano teorico deve aver pesato non poco sulla struttura dell'intera opera, che

risulta impostata in una modalità più facilmente fruibile da un pubblico cinese

colto che da un neofito della lingua.

Lungi dall'essere un dizionario, come erroneamente indicato in molti riferimenti

bibliografici, lo XREMZ era costituito da una prima parte teorica esplicativa del

sistema di romanizzazione, il volume Yiyin shoupu 譯引首譜, cui seguivano due

volumi per due specifiche funzioni:

1) cercare un carattere cinese conoscendone la pronuncia, tramite il

secondo volume Liebian yunpu 列邊韻譜,

2) cercare la pronuncia a partire dal carattere cinese, tramite il terzo volume

Liebian zhengpu 列邊正譜.

115

HAVRET (1895:62)

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A pensarci bene, entrambi gli utilizzi prevedevano un'utenza dotata di una serie

di competenze che non erano del tutto scontate per gli occidentali. Ad esempio,

nel cercare la pronuncia di un carattere si doveva avere familiarità con la tavola

dei radicali; dopodiché, scopertane la pronuncia sul terzo volume dello XREMZ,

esso non forniva informazioni sul significato; lo XREMZ non era perciò utile alla

ricerca semantica. In questo senso però poteva forse essere utilizzato in

complemento ad un dizionario ordinato per pronuncia, alla maniera delle tavole

di ricerca dei caratteri che si trovano nei dizionari moderni.

Per quanto ne sappiamo, al tempo di Trigault, l'unico dizionario cinese-europeo

ordinato per pronuncia era il già citato “bello vocabolario” di Ricci e confratelli,

di cui tra l'altro non si può escludere che fosse già di per sé dotato di una tavola

per la ricerca dei caratteri. Ma pur ammettendo un siffatto uso complementare

del terzo volume dello XREMZ, rimarrebbe il problema che le sillabe

romanizzate da Trigault non coincidevano con quelle romanizzate secondo lo

standard di trascrizione ricciano (RLS).

Allo stesso modo, nel cercare la forma scritta di un carattere partendo dalla sua

pronuncia, l'utente occidentale (neofita o esperto che fosse) si sarebbe trovato

di fronte alla stessa inconveniente limitazione di informazioni: raggiunta la

pagina relativa ad una certa pronuncia, avrebbe trovato una lista di numerosi

caratteri omofoni, tra i quali avrebbe dovuto individuare quello interessato; ma

come? In alcuni casi fortunati, utilizzare i radicali come indizio semantico poteva

forse aiutare, ma la variabile era certa.

Ci si chiede quindi di nuovo: Qual'era il vero scopo dello XREMZ? Dobbiamo

spingerci a credere che sia trattato di un mero vezzo accademico del Belga e dei

suoi amici letterati? Una monumentale dimostrazione di competenza e

tecnicismo? Si potrebbe concludere che lo XREMZ fosse un'opera poco target-

oriented, oppure si potrebbe considerare l'ipotesi di un target diverso da quello

dei semplici neofiti della lingua cinese.

La terza decade del 1600 vedeva in Cina un fiorire dei rapporti tra i gesuiti e il

mondo intellettuale cinese, e il dialogo iniziato nelle decadi precedenti si

concretizzava sempre più nella produzione di testi scritti o tradotti in cinese, per

lo più di carattere scientifico e dedicati alla platea colta dei mandarini; al

contempo, sul piano dell'evangelizzazione si assisteva ad un periodo di

espansione verso regioni nuove, fatto che comportava l'esigenza di strumenti

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utili a questo scopo, come catechismi, confessionari, breviari, etc. tradotti in

cinese ad uso dei missionari.

Alla base di entrambe le attività di produzione letteraria vi erano

necessariamente l'acquisizione di competenze linguistiche e lo sviluppo di

strumenti per lo studio e la traduzione. Tra questi ultimi, i dizionari e i glossari

erano certamente i più urgenti da procurarsi.

In quanto utenti di lingue con scritture alfabetiche, e quindi con un'idea di

stretta correlazione tra il significante fonico e quello scritto, tra i “letterati

d'occidente” si stabilì fin da subito un approccio preferenziale al suono piuttosto

che alla scrittura, e fin dall'inizio decisero di ordinare i propri dizionari e glossari

secondo un ordine alfabetico.116 L'inconveniente più grande nella compilazione

di questi dizionari era probabilmente l'impossibilità di emanciparsi anche

minimamente dai collaboratori cinesi, in quanto la loro voce viva e i loro

pennelli erano le uniche chiavi capaci di aprire la porta che, in Cina, separava

suono e scrittura. Allo stesso modo, gli stessi collaboratori cinesi non avrebbero

potuto compiere le annotazioni dei suoni da soli, se non dopo aver imparato

l'uso della scrittura alfabetica. Ma questo secondo compito, a parere di chi

scrive, sembra verosimile che potesse compiersi più facilmente del primo.

Lo XREMZ, quindi, molto probabilmente non era un semplice manuale di

pronuncia per chi iniziava a studiare la lingua cinese, come invece è stato

ritenuto dalla maggioranza degli studiosi, quanto invece uno strumento

dedicato a chi aveva già raggiunto un buon livello di lingua, o addirittura a un

madrelingua stesso, che doveva cimentarsi nella compilazione di testi dove

occorreva una notazione grafica del suono. Forse lo XREMZ rappresenta

concettualmente il primo passo verso questo genere di strumenti per

l'autosufficienza nello studio della lingua.

Oltre alla valutazione dell'opera nel suo complesso, rimane il fatto che il sistema

di trascrizione proposto da Trigault era estremamente accurato dal punto di

vista dell'impostazione, fatto che probabilmente poteva corrispondere ad una

maggiore funzionalità. Ciononostante, come si potrà evincere facilmente

dall'analisi degli altri sistemi di romanizzazione, non troviamo quasi alcuna eco

116

Pur tuttavia, esistevano glossari ordinati invece per categorie semantiche, o frasari organizzati

per categorie situazionali, come si vedrà nei capitoli seguenti.

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della trascrizione di Trigault. Sembra che la sua opera fonologica non sia stata

tenuta in grande considerazione dai posteri, quantomeno non apertamente.

Questo, dopo aver avuto modo di apprezzare la qualità del suo sistema, desta

quantomeno il dubbio che ad aver determinato un così scarso riscontro

possano essere stati fattori di altro genere.

Nello specifico, ci si chiede se il suo presunto (o forse ormai provato) suicidio,

possa o meno aver rappresentato un esponente negativo alla sua opera, fatto

che tuttavia sarebbe contraddetto dagli innumerevoli elogi che continuarono a

rivolgergli i gesuiti in Cina nei loro scritti, ricordandone le altre opere e

l'intelletto in genere.

Due pagine d‟esempio tratte dallo Xiru Ermu Zi (西儒耳目资 , 1626) di Trigault. La sua

romanizzazione è presenatata in modo estremamente particolareggiato e organico nei tre

voluminosi tomi dell‟opera.

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6.0 Juan Bautista de Morales e Francisco Diaz

I due missionari spagnoli Juan Bautista de Morales (1597-1664) e Francisco Diaz

(1606-1646), furono due personalità di riferimento nei primi decenni della

presenza domenicana in Cina. Per quanto attiene a questa ricerca, destano

interesse alcune opere attribuite ai due spagnoli, nelle quali si ritrova un uso

esteso della romanizzazione.

J.B. de Morales prende i voti domenicani in giovane età e, a metà degli anni ‟20,

parte per la provincia del Santo Rosario;117 dopo aver passato alcuni anni nelle

Filippine, dove dal 1625 studia il cinese iniziando dal dialetto di Zhangzhou

(Chincheu) nei quartieri cinesi di Manila,118 nel 1633 si reca con altri confratelli in

Cina, fondando la missione domenicana nella provincia del Fujian. In seguito

all'entrata in Cina inizia a studiare il mandarino e il dialetto di Fu'an (福安).119

F.Diaz nasce nei pressi della piccola località castigliana di San Çebrian de

Mazote, in Spagna.120 Studia con i domenicani e successivamente, intorno ai 25

anni, entra a far parte dell‟ordine. Nel 1632 parte missionario per la provincia

del Santo Rosario, arrivando a Manila nel Maggio 1633. Sembra che proprio

nelle Filippine, presso i quartieri cinesi di Manila, abbia iniziato lo studio della

lingua cinese;121 nel 1634, passando per Formosa, sbarca sulle coste del Fujian

verso la fine dell‟anno, per poi raggiungere la casa domenicana di Fu‟an 福安,

117

La provincia del Santo Rosario dell‟Ordine domenicano fu fondata per l'evangelizzazione dei

"Regni d'Oriente". Dal 1587 iniziò nelle Filippine e nelle aree circostanti estendendosi nel 1602

al Giappone, arrivando nel 1626 all'isola di Formosa (Taiwan) e raggiungendo, nel 1631, le coste

sud-orientali della Cina, dove i domenicani fondarono la prima missione a Fu‟an, nella regione

del Fujian. 118

Le zone della città dove risiedevano le comunità di cinesi erano chiamate dai missionari

cattolici Binondoc e Parian; oltre a distinguersi per il carattere etnico geografico dei gruppi che

le abitavano, le due zone vedevano differenze anche nel grado di integrazione. Nel Binondoc

c‟era un‟alta percentuale di cinesi convertiti, mentre nel Parian erano tendenzialmente

mantenute le tradizioni originarie. Cfr. TWITCHETT & FAIRBANK (1978:8:II:357) 119

QUETIF & ECHARD (1719-21:II:611) 120

Francisco Diaz (o Dias, o Diez), lo si distingua dal più conosciuto omonimo (San) Francisco

Diaz del Rincon, altro domenicano arrivato in Cina circa 100 anni più tardi e ivi morto martire nel

1748; beatificato nel 1893 e quindi canonizzato nel 2000. 121

GONZALEZ (1966) al riguardo cita come fonte P. Garcia, J., O.P., (1650), Relacion de la vida y

progresos del V.P. Francisco Diez, Ms., (copia conservata presso Bib. Casanatense, MS. 1074, ff.

60-77)

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98

dove viene accolto proprio dal confratello e superiore J.B de Morales. Negli anni

a seguire Diaz si sposta da Fu‟an a Dingtou 顶头,122 fin quando alcuni conflitti

con le autorità locali e con i gesuiti lo portano ad allontanarsi dalla città.123

Nel 1638 Diaz chiede il permesso al suo Vicario provinciale, lo stesso Morales

(1597-1664) di continuare l‟opera di evangelizzazione più a nord, nella provincia

del Zhejiang; non senza perplessità, Morales gli accorda il permesso, e in

seguito partono insieme per i nuovi territori. Prima passano rapidamente per

Hangzhou 杭州, poi entrano a Suzhou 蘇州, arrivando infine a Changzhou 常州;

successivamente i due devono però tornare a Hangzhou, dove vengono ospitati

per qualche tempo da un cristiano cinese,124 presso il quale scoprono che i cinesi

convertiti dai gesuiti continuavano a offrire sacrifici agli antenati secondo la

tradizione confuciana. Sollevano il problema e ingaggiano una battaglia contro

quella che reputano “idolatria” cinese, trovandosi però prestissimo a subire, uno

dopo l‟altro, l‟espulsione e il confino a Macao a causa dei conseguenti contrasti

con le autorità del luogo affianco agli stessi gesuiti.

Nel 1640 Morales decide quindi di partire per Roma, al fine di presentare una

serie di documenti attestanti i problemi relativi al metodo di evangelizzazione

operato dai gesuiti e alla condotta dei neo-convertiti. La “questione dei riti”

nella sua dimensione formale, in quanto problema discusso dalla Santa Sede

secondo una procedura processuale, prende inizio concretamente in questi anni.

Tempo dopo, mentre Morales è già a Roma, Diaz rientra di nuovo in Cina

attraverso Formosa nel 1642, tornando a Fu‟an insieme al confratello Francesco

Fernandez de Capillas (1607-1648).125 La sua salute è però molto provata dalle

peripezie affrontate e Diaz muore nel 1646, a soli quarant‟anni, proprio mentre i

mancesi giungevano anche nel Fujian.126

122

Il villaggio si trova ad una quarantina di chilometri a sud di Fu‟an, sul corso del fiume Sai 赛 123

BALTASAR DE SANTA CRUZ & al. (1693:II:143 e ss.) 124

Alcune fonti biografiche riportano che il cinese in questione si chiamasse “Ceto”, e che fosse

stato battezzato dai gesuiti; ma la resa fonetica di questo nome non permette di ricondurlo

facilmente a nessuno dei convertiti cinesi conosciuti. 125

Domenicano, in Cina durante le persecuzioni anti-cristiane avvenute in corrispondenza

dell‟avvicendamento tra Ming e Qing, (metà anni 40‟ del 1600). 126

FERRANDO (1870:II:371-581)

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J.B. de Morales torna in Cina qualche anno dopo, nel 1649, ed è nominato

Vicario provinciale del Fujian, incarico che manterrà fino alla sua morte,

avvenuta nel 1664.

Più o meno tutte le fonti biografiche concordano nell‟attribuire a entrambi i

missionari un‟ottima padronanza del cinese Mandarino, a cui fecero seguire

anche lo studio dei dialetti locali; scrive di Diaz uno storico dell‟ordine

domenicano:

“[…]El Padre Fray Francisco se aplico luego a aprender lengua Mandarina, que consiguió

con brevedad, […]. De este estudio en que salió perfecto, leyendo corrientemente sus

libros, passó a la lengua natural de aquel partido de Fogan, y Tingteu[…].”127

Anche nelle fonti bibliografiche c‟è abbastanza accordo riguardo alla

produzione scritta dei due dominicani spagnoli. La lunga attività di Morales è

testimoniata anche dalla consistente quantità di scritti che produsse, mentre la

prematura dipartita di Diaz si riflette anche nel ristretto numero di opere ad egli

attribuite.

A Morales sono attribuiti per lo più lavori di stampo religioso, sia generalmente

riguardanti la storia della missione domenicana in Cina, sia (anzi, soprattutto)

concernenti le questioni relative ai riti cinesi, oggetto della disputa con i gesuiti.

Tra i vari titoli si ricordano un Catecismo en lengua china (catechismo in cinese

probabilmente stampato nel 1648)128 e Quaesita septemdecim proposita (Roma,

1645; le diciassette domande poste ai gesuiti riguardo alla loro politica di

evangelizzazione).129

Riguardo a Diaz, un soggiorno in Cina durato poco più di 10 anni (1635-1646) fu

forse sufficiente a raggiungere un buon livello nel parlato in uno o due dialetti;

tuttavia, abbiamo pochissime tracce della sua produzione scritta in cinese. Le

127

BALTASAR DE SANTA CRUZ & al. (1693:II:141) 128

Di questa opera, credo di aver individuato due copie manoscritte conservate presso la

biblioteca dell‟Archivio di Stato di Roma, in un insieme di documenti denominate “Carte

Ruggieri”; i due documenti constano rispettivamente di 15ff. e 11ff., entrambi recano il titolo

Shèngjiào xiào qīn jiě “聖教孝親解”. Ulteriori studi potrebbero confermare o smentire la presente

ipotesi. 129

MARTINEZ-VIGIL (1884:331)

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100

fonti bibliografiche riportano solo notizie di seconda mano,130 ma quasi tutte

concordano nell‟attribuirgli alcuni scritti, tra i quali un‟opera di stampo

catechetico dal titolo “Ki mung” o “Ky mung” scritta insieme al confratello Juan

Garçia (?-1665), indicata in latino come Doctrina Incipientium o in spagnolo

come Doctrina de Principiantes, e una traduzione in cinese del De Quatuor

Virtutibus Cardinalibus di Sant‟Agostino.131

Ma le attribuzioni che più interessano la presente ricerca sono, ovviamente,

quelle di stampo linguistico, in particolare figurano tra queste alcuni lavori di

carattere lessicografico e grammaticale. Innanzitutto, negli scritti dei domenicani

attivi in Cina nella seconda metà del 1600, compaiono numerosi riferimenti ad

una sorta di glossario che Morales e Diaz avrebbero compilato insieme, scritto al

quale si fa riferimento col nome di Cabecillas; 132 questo termine, dal significato

letterale di “capitoletti, sommari”, 133 indicava probabilmente nel gergo

dell‟epoca un tipo di dizionario o glossario breve. Di questo glossario a firma

Morales, ad oggi non si è individuato con certezza alcun esemplare.

Accanto alle Cabecillas, nelle fonti bibliografiche su Morales si ritrovano dei

generici ma frequenti riferimenti ad una grammatica (Arte de gramática de

lengua china) e un dizionario (Vocabulario Chino) di lingua cinese,134 per i quali

ugualmente non si sono trovate copie.

Esiste, tuttavia, presso la biblioteca Casanatense di Roma, un manoscritto

attribuito a Morales e catalogato con il titolo Manuale pro Missionariis in Sinas

(da qui in poi, Manuale), 135 citato anche in altre fonti relative a Diaz, che

130

QUETIF & ECHARD (1719-21:I:549) 131

Id.; cfr. anche MARTINEZ-VIGIL (1884:273) 132

Secondo QUETIF & ECHARD (1719-21:I:249), il dominicano D. Navarrete (1618-1686) in uno

dei suoi trattati storici sulla Cina (Tratado I, Praeludio 29, n.2, pag. 56) nomina l‟opera Cabecillas;

sfortunatamente, anche ad un attento esame dell‟opera di Navarrete del 1676 (Tratados

Historicos…), non mi è stato possibile reperire una tale citazione. Un riferimento importante alle

Cabecillas di Diaz e Morales dovrebbe trovarsi invece nell‟introduzione ad un dizionario

spagnolo-cinese manoscritto del domenicano Francisco Varo (1627-1687), studiato da COBLIN

(2006:15-17). Quest‟ultimo riporta il passaggio in cui Varo tesse le lodi di Diaz per il glossario di

termini di lingua parlata da lui composto. 133

Cfr. VALBUENA (1793:123) [capitulum] e LABERNIA (1848:II:333) [cabecilla]. 134

Cfr. MARTINEZ-VIGIL (1884:331); BALTASAR & al. (1693:II:436) 135

Segn. Ms. 2204, sul primo folio, reca una nota, probabilmente redatta dall‟allora prefetto

della biblioteca Gian Domenico Agnani (1733-1746), che identifica il manoscritto come la copia

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101

dovrebbe averlo scritto insieme a Morales.136 Il Manuale è suddiviso in libri,

numerati da I a IX: i libri I-V sono di contenuto religioso, consistendo di un

elenco di precetti, la spiegazione delle cerimonie e dei riti, la traduzione del

Kyrie, un catechismo e un altro frasario relativo alla liturgia; il resto del

contenuto del Manuale è di carattere linguistico, comprendendo alcune note

grammaticali (lib. IX) precedute da un ricchissimo glossario di termini di lingua

parlata (VI-VIII) raggruppati per ambito semantico. Le note grammaticali

consistono in dieci “regole”, che riempiono circa quattro pagine, e risultano

molto simili (persino uguali in alcuni passaggi) alle spiegazioni dei tipi di frasi

che si trovano nella grammatica Arte della Lengua Mandarina di Varo (1703). La

parte del glossario, invece, ricopre diverse decine di pagine, per un totale di più

di mille lemmi (parole o frasi) tradotti dallo spagnolo in cinese.137

In base alle pur lacunose indicazioni bibliografiche sulle grammatiche e i

glossari che sarebbero stati composti da Morales e Diaz, la maggior parte degli

studiosi tende ad immaginare che i suddetti lavori dovessero avere una mole

abbastanza consistente e una struttura organica e ordinata, scartando perciò

l‟ipotesi che il glossario del Manuale (seppur contente oltre 1000 lemmi) possa

essere il famoso Cabecillas.138 A parere di chi scrive, invece, non è da escludere

che nel Manuale pro Missionariis si possa identificare una copia parziale o totale

dell‟opera Cabecillas, tanto citata nelle fonti bibliografiche, ma mai individuata.

A parte quest‟ipotesi, ciò che interessa di questo documento è che in esso è

fatto un uso totale della romanizzazione, tanto che il documento è praticamente

tutto e solo romanizzato, in quanto manca totalmente dei caratteri cinesi (per i

quali, tuttavia, era stato lasciato lo spazio). La romanizzazione usata in questo

di un “Opusculum […] P. Fr. Johannis Baptistae Morales Ord. Praedicatorum” così descritto:

“Manuale pro Missionariis in Sinas, concernentibus in re tam sacra quam seculari: maximi inter

eos usus; quam per ipsus disponantur; ut facile difficillimam Mandarinorum Linguam perdiscant

aut comparant. Hanc ex laudato Patre Ceru; qui praesenti exemplari in sinis usus est…”. La copia

doveva essere quindi appartenuta al chierico minore Giuseppe Cerù (1674-1750) procuratore

generale per Propaganda Fide a Canton negli anni 1713-1721, che la regalò alla biblioteca

Casanatense il 14 Gennaio 1743. 136

GONZALES (1966) 137

Solo i primi 13 lemmi del libro VI sono italiano-cinese, e si notano “incursioni” sparse di

parole italiane, probabilmente perché la copia appartenva al lucchese Cerù. 138

Cfr. BREITENBACH in COBLIN & LEVI (2000:xxxi) [introduction]

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102

documento è abbastanza omogenea, sembra cioè possibile individuare un

sistema, e descriverlo nei suoi elementi di base.

Infine, la maggior parte dei riferimenti bibliografici concordano nell‟attribuire a

Diaz la paternità di un dizionario cinese-spagnolo, solitamente ricordato con il

titolo di Vocabulario de Letra China con la Explicacion Castellana (da qui in poi,

Vocabulario),139 di cui si cominciò a parlare fin dagli ultimi anni del XVII secolo,

quando arrivò in Europa e divenne uno strumento di studio essenziale per i

primi proto-sinologi e orientalisti che si cimentarono nello studio della lingua

cinese.140

È in questo dizionario che si riscontra l‟uso di un particolare sistema di

romanizzazione, anzi, come vedremo nei prossimi paragrafi, ci si trova di fronte

ad un‟opera in cui più sistemi sono usati parallelamente. La descrizione dei due

diversi sistemi non può prescindere dalla formulazione di alcune ipotesi sulla

genesi del dizionario, sulla sua paternità, nonché sull‟influenza da esso esercitata

nell‟ambito dei primordi della sinologia europea.

6.1 Analisi delle fonti e delle romanizzazioni

Le due fonti prese in esame, il Manuale di Morales e il Vocabulario di Diaz,

presentano entrambe un certo grado di incertezza riguardo alla paternità. Per

procedere all‟esame delle romanizzazioni utilizzate nelle due fonti, occorre al

contempo premetterne le problematiche connesse alla datazione e all‟autore, al

fine di formulare ipotesi più corrette sulla datazione e contestualizzazione dei

sistemi di trascrizione.

6.2 Il Manuale pro Missionariis

Il manoscritto del Manuale preso in esame è una fonte alfabetica senza caratteri

cinesi, e disordinata, in quanto le sillabe compaiono in ordine casuale.

139

Cfr, ad es., CORDIER (1966:III:1634) 140

Cfr. AKADEMIE DER WISSENSCHAFTEN (1710:84-88)

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103

Come si è detto, è una copia del 1743, appartenuta a (e forse realizzata da)

Giuseppe Cerù, missionario italiano di Proaganda Fide (v.supra, nota relativa);

non si può, pertanto, accertare totalmente la paternità delle romanizzazioni ivi

contenute, che potrebbero aver subito modifiche nel processo di copia. Si

consideri anche la consistente distanza temporale, di circa un secolo, esistente

tra il periodo di redazione dell‟eventuale originale (anni ‟30 del 1600) e la copia

in questione (anni ‟30 del 1700). È pur vero che la notula scritta da Agnani “ad

perpetuam memoriam” gode di una certa autorevolezza, visto che la copia fu

regalata alla biblioteca Casanatense da Cerù in persona, e deve essere stato

quindi lo stesso Cerù a fornire l‟informazione sulla paternità del Manuale,

attribuendola a Morales. Inoltre, la lingua usata per redigere il glossario

contenuto nel Manuale è lo spagnolo, quantomeno un indizio favorevole

all‟ipotesi Morales.

Golvers (1999), oltre ad assumere che il Manuale della Casanatense sia un‟opera

di Morales,141 individua anche un altro esemplare del glossario in un manoscritto

conservato alla biblioteca Asiatica della Società per le Missioni Estere di Parigi

(BAMEP),142 citando altresì in nota alcuni lemmi presenti in entrambi i manoscritti.

Le citazioni in Golvers (1999), sebbene offrano solo pochi dati, mostrano che le

romanizzazioni dei due esemplari divergono per alcuni piccoli particolari; d‟altra

parte si ha un parere autorevole riguardo alla paternità del glossario.

Al contrario, la studiosa Sandra Breitenbach, in Coblin (2000), mette in

discussione la diffusa attribuzione del Manuale a Morales, indicando invece il

domenicano Francisco Varo (1627-1687) come vero autore;143 pur tuttavia, la

sinologa tedesca non apporta alcuna motivazione a sostegno della sua

affermazione.

Resta quindi abbastanza probabile che il glossario incluso nel Manuale sia, in

tutto o in parte, uno scritto di Morales, alla cui stesura potrebbe aver

partecipato anche Diaz, forse identificabile con la fantomatica opera intitolata

Cabecillas. Riguardo, invece, alle romanizzazioni utilizzate nella copia del

Manuale esaminata, per le caratteristiche di cui si renderà conto nei paragrafi

seguenti, esse sarebbero le prime attestazioni di un filone diverso da quello

141

Cfr. GOLVERS (1999:306, 379-80, 382-383) 142

GOLVERS (1999:379-80), indica la segn. “Chine, KO 48” (lexique d’expressions) 143

COBLIN & LEVI (2000:xxxi) [introduction]

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104

portoghese-gesuita visto fin‟ora, portando alla luce un filone spostato verso

l‟ortografia ispanica.

6.3 La romanizzazione del Manuale

Innanzitutto, nella copia della Casanatense convivono diverse romanizzazioni. I

libri I-III e V-IX usano tutti la stessa romanizzazione, mentre il libro IV mostra

una situazione molto confusa, pertanto quest‟ultimo non sarà tenuto in

considerazione nella seguente analisi.

6.3.1 Grafemi iniziali del Manuale

Negli otto libri considerati (I-III, V-IX), l‟uso dei grafemi iniziali è decisamente

stabile e omogeneo; l‟inventario dei grafemi iniziali può essere descritto come

segue:

Grafemi iniziali del Manuale

Manuale

IPA Attacchi/Nuclei

ç, ç‟ /ts/, /tsh/ %

ch, ch‟ /tʃ/, /tʃh/ %

f /f/ %

g /ŋ/-/ʔ/ (-a, -e, -o, -u)

j /ʒ / %

h /x/ %

k, k‟ /k/, /kh/ %

l /l/ %

m /m/ %

n /n/ %

p, p‟ /p/, /ph/ %

s /s/ %

t, t‟ /t/, /th/ %

v /v/-/ʋ/ %

x /ʃ/ %

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105

Rispetto al set di fonemi iniziali di riferimento, si nota lo stesso grado di

corrispondenza biunivoca tra grafia e suono già osservato per lo XREMZ di

Trigault; i grafemi iniziali del Manuale sono infatti esattamente gli stessi della

romanizzazione di Trigault: 20 grafemi per 20 probabili fonemi.

6.3.2 Tipi grafici delle rime del Manuale

È sul piano delle rime che si nota la sostanziale differenza tra questa

romanizzazione e quelle precedentemente incontrate. Si osservi la seguente

tabella riassuntiva:

Tipi grafici delle rime del Manuale

V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC

-a -ai(ay); -ang; -an;

-ao

-e

-e˙

-eng; -en; -eu -eang; -eao

-y -ia;

-ie; -ie˙ -ing; -in;

-io; -iu; -iu˙

-iai(iay); -iang; -iao;

-ien; -ieu;

-iue; -iung; -iun

-iuen

-o

-o˙

-oa; -oe -oai; -oang; -oan

-oei; -oen

-u

-u˙

-ua; -ue; -ui; -ung;

-un; -uo

-uai; -uang; -uan;

-ueng; -uen; -uon

ul

Come è evidente, la novità risiede nella comparsa di un digramma -ng in coda

di sillaba per /ŋ/, al posto del grafema -m utilizzato nelle romanizzazioni

precedenti. Si vedrà in seguito che questa caratteristica tenderà a rimanere

costante in tutte le romanizzazione usate da ispanofoni.

Altra particolarità interessante è il grafo -y per /i/ costante in finale di sillaba (es.

ly, ty, chy), mentre si trova l‟allografo -i- nei casi in cui vi sia una coda (es. xin, jin)

oppure nei dittonghi (es. iang, kien, çai, nui).144

144

Escluse le rarissime occorrenze di una finale -ay o -iay

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106

La resa ul per /ɚ/ è un altro punto di contatto con Trigault, nonché un'altra

caratteristica che rimarrà costante nei sistemi spagnoli.

Alcune rime grafiche potrebbero essere interpretate come forme allografe

contestuali (es. -oang/-uang, -uan/-uon). In generale, il numero dei tipi grafici è

pari almeno a 50, compatibile con l‟inventario di riferimento di 50/55 rime

fonologiche.

6.3.3 Diacritici del Manuale

La romanizzazione è completa di tutti i diacritici presenti negli altri sistemi,

utilizzati altresì in maniera molto simile.

Il diacritico per l‟aspirazione delle iniziali, anche qui, è un gancetto ( c ), la cui

posizione risulta molto regolare: è posto sempre sull‟ultimo grafo della sillaba

(es. çinc, tac, tungc ), così da lasciare spazio agli altri diacritici sovrascritti.

Tra questi, si individuano le solite 5 marche tonali: ˉ, ˆ, `, ´, ˘, l‟ultima resa qui in

forma arrotondata ( ˘ ) e non curva ( ˇ ). I segni per i toni sono sovrascritti alle

sillabe, posizionati prevalentemente verso la parte finale, sconfinando solo in

rari casi sull‟iniziale.

Si ritrova anche nella romanizzazione del Manuale l‟uso del puntino, che ormai

sappiamo essere un diacritico per la modifica dell‟apertura vocalica. In questo

sistema, il puntino compare solo soprascritto ( ˙ ), andando a combinarsi con gli

altri diacritici in maniera abbastanza regolare, pur occorrendo alcune variazioni

libere (d‟altronde si tratta di un manoscritto): cfr. ad es. çuˊ, çú˙ e çu .

6.3.4 Ulteriori particolarità del Manuale

Come si è detto, il libro IV del Manuale impiega romanizzazioni diverse dal resto

del documento. Per la prima parte del libro IV si riscontra un sistema simile a

quello che sarà descritto in seguito come Diaz2 (v. infra), mentre nella seconda

parte del libro IV si trova un sistema ancora modificato, di apparente ispirazione

italofona.

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107

Un foglio dell‟esemplare del Manuale pro Missionariis

(ca. 1640) attribuito a Morales, conservato all

biblioteca Casanatense di Roma. Come si nota, questo

esemplare non reca i caratteri cinesi, ma solo le

romanizzazioni. Apparentemente, le colonne di destra

sono state lasciate vuote per aggiungervi

successivamente i caratteri.

6.4 Vocabulario de Letra China

Sebbene il dizionario di Diaz negli ultimi anni sia stato indirettamente oggetto

di osservazione da parte di alcuni studi,145 non è ancora stato pubblicato uno

studio omnicomprensivo, né del contenuto lessicografico, né del suo sistema di

romanizzazione.146

Del dizionario cinese-spagnolo attribuito a Diaz, le fonti bibliografiche citano

almeno quattro esemplari manoscritti:

145

In particolare, Giuliano Bertuccioli, nell‟Opera Omnia, vi fece spesso riferimento per la

romanizzazione usata da Martini nella sua grammatica, in quanto prese in considerazione la

copia conservata a Glasgow denominata “grammatica A”, riproduzione effettuata da T.S. Bayer

di un manoscritto di Mentzel originariamente conservato a Berlino, interpolandola con alcune

parti dell‟altro esemplare denominato “grammatica B”, copia Bayeriana della sezione

grammaticale contenuta nella Clavis Sinica di Mentzel. In quest‟ultimo esemplare, l‟elenco

iniziale delle sillabe di base del cinese era rieditato da Mentzel, che utilizzò la romanizzazione di

Diaz a sostituzione di quella di Martini. Inoltre, alla fine dell‟elenco compare il riferimento

esplicito al dizionario di Diaz: “[…]hac sunt voces omnes monosyllabicae Chinesium, quae in

Vocabulario Hispanico P. Duez inveniuntur[…]” 146

Nel 2005 e, più recentemente, nel 2009, lo studioso giapponese Hiroshi Ishizaki ha

pubblicato due “anteprime” del suo progetto di riedizione del dizionario di Diaz, consistente in

una trascrizione completa dell‟esemplare conservato alla Biblioteca Jagiellonska di Cracovia (cfr.

infra); negli articoli di Ishizaki compaiono osservazioni sparse sulla romanizzazione, ma lo

studioso si concentra sulla struttura generale dell‟opera e sul contenuto lessicale.

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108

1) Diccionario de Lengua Mandarina, cuyo primer author fue el R.P. Fr.

Francisco Diaz Religioso Dominico anadido despues por los RR.PP. desta

Mission de Sancto Domingo. Trasladado, emendadas algunas tonadas de

otras conforme a los diccionarios chinicos Por Fr. Antonio Diaz.

Questo esemplare è indicato come conservato in forma manoscritta

presso la Biblioteca Nazionale di Parigi. 147 Nel titolo presente nel

frontespizio compare il nome di un altro domenicano spagnolo, Antonio

Diaz,148 a cui si fa riferimento come rieditore del dizionario.

2) Vocabulario de Letra China con la Explicacion Castellana hecho con gran

propriedad y abundancia de palabras por el Padre F. Francisco Diaz de la

Orden de Predicadores ministro incansable en esto Reyno de China.149

Questa copia è indicata in tutte le fonti bibliografiche come conservata

alla Biblioteca Regia di Berlino fino alla seconda guerra mondiale, dopo la

quale molti hanno dato l‟esemplare del dizionario per disperso. In realtà

ora si trova presso la Biblioteca Jagiellonska di Cracovia; 150

147

Cfr. CORDIER (1966:III:1629); THEUNISSEN (1943) cita STREIT (1931:V:966); GONZALEZ

(1966:V:152). Tutti indicano la collocazione dell‟opera come: MS. fond chinois n. 2157;

sfortunatamente, nel catalogo del fondo cinese della Biblioteca Nazionale di Francia, a questa

collocazione corrisponde un‟altra opera, e nel catalogo non è stato possibile reperire il record

del dizionario neanche in altre collocazioni; cfr. COURANT (1910:128-129), 148

Le notizie biografiche relative ad Antonio Diaz (1667-1715), O.P., appaiono scarse e lacunose.

Era spagnolo, nato nella cittadina di Nueva, nei pressi del comune di Llanes, appartenente al

principato autonomo delle Asturie, situato nella costa spagnola settentrionale. Studiò presso il

convento di san Pablo di Valladolid, partendo per le Filippine (Provincia del Santo Rosario) nel

1699. Nel 1707 fu espulso dalla Cina in concomitanza con l‟emissione dell‟editto imperiale di

Kangxi, che egli non sottoscrisse come la maggior parte dei missionari domenicani e francescani.

Tornando in Europa passò anche per Roma, dove portò la propria testimoninza alla Santa Sede

sulla situazione delle missioni cinesi e in particolare sul problema dei riti. 149

Segn: Ms. sin. 13 150

La maggior parte delle fonti bibliografiche che riportano la collocazione fisica di qualche

esemplare parla della Biblioteca Regia, ma si tratta quasi esclusivamente di fonti precedenti alla

seconda guerra mondiale. La connessione tra i manoscritti cinesi di Berlino e la Biblioteca

Jagiellonska è stata scoperta da G. Bertuccioli nell‟analisi dei manoscritti esistenti della

grammatica cinese di Martino Martini, cfr. Bertuccioli (1998:vol.II); anche CORDIER (1966:III:1634)

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109

3) Vocabulario de Letra China con la Explicacion Castellana por el Padre Fr.

Francisco Diaz. Questo esemplare, conservato presso la Biblioteca

Vaticana, dovrebbe essere una copia del precedente, fatta fare da

Antonio Montucci (1762-1829)nel 1816.151

4) Dizionario manoscritto cinese-spagnolo, disposto in ordine alfabetico. Con

caratteri cinesi. 326 pagine; comincia per “châ ta’n, interjeccion, suspirar”.

Finisce con “xùn, metiendo tornillo…”152

Conservato presso la Biblioteca Vaticana. Pur non avendo esaminato

personalmente l‟opera, a giudicare dalla nota di Pelliot, che riporta il

primo e l‟ultimo lemma, questo esemplare dovrebbe essere riconducibile

a Francisco Diaz, ma con una romanizzazione leggermente diversa.153

Pelliot non indica il possibile autore, mentre un‟altra fonte bibliografica

collega l‟esemplare al domenicano Antonio Diaz,154 indicandolo inoltre

come una copia corrispondente all‟esemplare della Biblioteca Nazionale

di Parigi (esemplare n.1)

L‟esemplare che prendiamo in considerazione nel presente studio è il n.2, cioè il

manoscritto del dizionario attribuito a F. Diaz dal già citato titolo Vocabulario de

Letra China con la Explicacion Castellana (abbr. Vocabulario),155 conservato oggi

a Cracovia ma proveniente da Berlino. L‟esemplare reca ancora i timbri della

Biblioteca Regia Berolingia, nonché l‟annessa scheda bibliografica originale. Fu

certamente tra le mani di Christian Mentzel (1622-1701),156 del quale sappiamo

151

Cfr. CORDIER (1966:V:3909) 152

cfr. PELLIOT & TAKATA (1995:54). Qui si riporta la traduzione del record “Borgia Cinese 503” 153

Se la nota di Pelliot riporta correttamente la trascrizione della prima sillaba come cha, la

presenza di questa iniziale ch- differisce dall‟esemplare di Cracovia (n.2) e dalla copia di

Montucci (n.3) che trascrivono invece ça, con un iniziale ç-. Per considerazioni più approfondite

sulla romanizzazione, cfr. paragrafi seguenti. 154

cfr. GONZALES (1964:V:152) 155

Un ringraziamento particolare va nuovamente al Prof. Federico Masini, per avermi fornito una

copia fotostatica realizzata da lui personalmente a partire dal microfilm del manoscritto. 156

Christian Mentzel fu medico di Corte di Federico Guglielmo I nel Regno di Prussia; esperto

botanico, nonché riconosciuto come uno dei primi sinologi. Intrattenne rapporti epistolari con

referenti in Asia, dai quali ottenne materiali per lo studio della lingua e della cultura cinese.

Pubblicò solo tre opere di stampo sinologico: Sylloge Minutiarum lexici Latino-Sinico-

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110

che lo utilizzò come materiale primario per lo studio della lingua cinese, quando

non aveva altro che questo vocabolario e una o più copie della grammatica

cinese scritta dal gesuita Martino Martini.157

Il Vocabulario si compone di 598 pagine, su ognuna delle quali compaiono 12

caratteri (3 colonne per quattro righe), esclusa l‟ultima pagina che ne conta solo

5, raggiungendo così un totale approssimativo di 7169 lemmi.158 Ogni lemma è

costituito da una sillaba romanizzata per indicare la pronuncia, il carattere

cinese scritto in buona calligrafia regolare e, al di sotto, la definizione in

spagnolo, ad esempio:

Çă 雑

Misturar, mistura, cosa misturada compuestas.

Mista .|.sĕ mistura de colores .|. luón perturbar

yám gen. de cosas minudas…t’ì compuestos,

mistos, çhú , vocabulario. .|. xî in illo tempore.

Com‟è possibile notare nell‟esempio riportato, all‟interno delle definizioni

occorre frequentemente l‟indicazione di composti (per lo più bisillabici)

contenenti il lemma, sostituito graficamente dal segno “.|.”; tuttavia i composti

compaiono solo in romanizzazione, non costituendo lemmi a sé stanti, ove la

struttura generale del dizionario prevede solo lemmi monosillabici. Non è però

Characteristici , Norimbergae, 1685; De Radice Chinensium Gin-Sen, in Miscellanea curiosa sive

Ephemeridum medico-physicarum Germanicarum Academiae Naturae Curiosorum, Dec II,

Annus V, Berlino, 1687, pp. 73-79; Kurtze Chinesische Chronologia order Zeit-Register Aller

Chinesischen Kaiser…, Berlino, 1696. Tuttavia, molti dei suoi lavori, rimasti manoscritti, sono

passati dalle mani di orientalisti successivi, tra i quali spicca Bayer (v. nota successiva), che non

mancarono di rieditarli e incorporarli nelle proprie pubblicazioni, citando quasi sempre la

provenienza Mentzeliana. 157

Cfr. BAYER (1730:I:70-71) [Praefatio] e LUNDBAEK (1986:76-80), [parziale traduzione inglese

dell‟introduzione del Museum Sinicum di Bayer] 158

In realtà bisogna notare due particolari: a) Gli ultimi lemmi posti nel giusto ordine alfabetico

(ultima sillaba xun) finiscono a pagina 597, che contiene solo 9 caratteri con pronuncia xun,

quindi il numero totale dei lemmi in ordine alfabetico sarebbe 7161; b) a partire dagli ultimi 3

lemmi di pagina 597, fino a metà di pagina 598, si contano altri 8 caratteri/lemmi aggiunti fuori

dall‟ordine alfabetico, seguiti appunto dall‟annotazione del copista “Todas as Letras son 7169”.

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111

del tutto opinabile l‟osservazione di Ishizaki (2009), secondo cui il Vocabulario è

un dizionario di parole (cídiǎn 詞典) piuttosto che di caratteri (zìdiǎn 字典),159

anche se altri documenti studiati di recente potrebbero dimostrare l‟esistenza di

opere lessicografiche recanti veri e propri lemmi polisillabici già un ventennio

prima del dizionario di Diaz.160

Si potrebbe analizzare la romanizzazione usata nel Vocabulario in maniera

scevra da ogni altra considerazione sulla sua genesi e sulla struttura; tuttavia,

data l‟incerta datazione della copia presa in considerazione, nonché le lacunose

informazioni sull‟autore, sembra opportuno spendere del tempo per osservare

meglio gli indizi forniti dal dizionario, in quanto esso presenta alcune

caratteristiche che complicano sensibilmente l‟analisi. Il fatto che questo

dizionario sia passato attraverso copie e riedizioni, rende necessaria

l‟identificazione dell‟eventuale romanizzazione originaria, cercando di

distinguerla da quelle aggiunte o integrate successivamente.

In questo senso, si dovrà procedere a ritroso, partendo da tempi più recenti e

retrocedendo fino ad arrivare, auspicabilmente, ad identificare gli elementi

originari che rappresentano l‟embrione dell‟opera.

Dal momento che, in connessione ad alcuni esemplari del dizionario di Francisco

Diaz, compare la figura di un altro domenicano spagnolo, Antonio Diaz, vale la

pena considerare l‟eventuale apporto di quest‟ultimo al dizionario. Se per gli

esemplari n.1 e n.4, il riferimento ad Antonio Diaz è più o meno esplicito, così

non è per gli esemplari n.2 e n.3.

Visto che la presente analisi è condotta sull‟esemplare n.2, occorre valutare se

quest‟ultimo possa aver subito modifiche ad opera di Antonio Diaz; tuttavia,

come si è fatto presente nella breve nota biografica su questo secondo

domenicano,161 di lui sappiamo che partì per la Cina nel 1699, tornando in

Europa nel 1707. Ma, come si vedrà nei capoversi seguenti, l‟esemplare di

Cracovia (appunto il n.2) era già in Europa almeno dieci anni prima che Antonio

Diaz partisse per la Cina, in quanto Mentzel ne era in possesso fin dagli ultimi

159

cfr. ISHIZAKI (2009:1[92]) 160

V. RAINI, E., An anonymous Chinese-Portuguese Dictionary. An Analysis of its Romanization

and Lexicon, and an Attempt of Dating, (6th

EACL conference, 2009), [non pubblicato] 161

cfr. nota n.148, notizie biografiche su A. Diaz

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112

anni „80 del 1600. Pertanto, possiamo escludere qualsiasi intervento di Antonio

Diaz sull‟esemplare preso in oggetto dal presente studio.

Appare funzionale continuare l‟analisi degli interventi esterni parlando quindi di

Christian Mentzel, per verificare o escludere un suo eventuale intervento sulla

romanizzazione.162

Per mostrare i segni dell‟appartenenza a Mentzel, basta elencare alcune

particolarità del Vocabulario e fare un confronto con altri manoscritti

Mentzeliani conservati a Cracovia, tra cui un glossario intitolato Lexicum Sinico-

Characteristico (da qui in poi Lexicum) e una breve grammatica intitolata Clavis

Sinica (da qui in poi Clavis).163

Nel Vocabulario si notano alcune stranezze ed errori, che possono aiutare a

provare l‟utilizzo fattone da Mentzel come fonte; ad un semplice confronto tra il

Vocabulario e i primi lavori lessicografici di Mentzel, si nota come gli errori

presenti in questa copia del dizionario abbiano influenzato anche il Lexicum e la

Clavis. Ad esempio, nella tabella che segue sono riportati alcuni lemmi del

Vocabulario elencati sotto la pronuncia kī, dai quali si evince chiaramente un

errore di copia (o compilazione?), in quanto i caratteri e le definizioni

corrispondenti sono sfalsati di una riga:

162

cfr. nota n.156, notizie biografiche su C. Mentzel 163

Alla Jagiellonska sono conservati molti documenti appartenenti a Mentzel, originariamente

preservati a Berlino; in particolare si ricorda la Clavis sinica (Ms. sin. 14), un manoscritto di circa

130 pagine, precedute da un frontespizio a stampa, una dedica e una prefatiuncola, sempre

stampate. Si tratta di una rielaborazione della grammatica cinese di Martino Matini (v. capitolo

successivo). Questo manoscritto coincide in larga misura, per non dire totalmente, con la copia

fattane da Bayer e conservata ora a Glasgow (la “grammatica B” di Bertuccioli). Nella

prefatiuncola, Mentzel specifica la fonte di cui si è servito per compilare la tavola dei radicali

contenuta nella Clavis: “…quod Classis haec sit disposta secundum A.B.C. Dictionarii Hispanici, […]

Autor Dictionarii Hispanici autem dicitur DIATZ […]”, segue poi il titolo del dizionario,

perfettamente coincidente con quello dell‟esemplare n.2 elencato all‟inizio del presente

paragrafo; il secondo gruppo di documenti Mentzeliani che vale la pena di ricordare è raccolto

sotto il nome di Miscellanea Sinica Mentzeliana, contenente un Lexicum Sinico-Characteristico

Latino, ovvero un piccolo glossario di caratteri ordinati alfabeticamente secondo la pronuncia

romanizzata da ça a xun, per un totale di circa 50 pagine. La romanizzazione è coerente con

quella del dizionario di Diaz, che è chiaramente la fonte principale usata da Mentzel nella

compilazione del glossario.

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113

Pag. Romaniz. Cin. Def. Spagnole [agg. Latino]

p.292 kī 饑164 Hambre [agg. Famis]

id. kī 飢 Tú.|. Hambre. f. |.gó hoām niên. Ano an

Cohecha de Hambres

id. kī 譏 Carne, ut distinguitur acuero165

id. kī 基 Lastima con palabras. [agg. Afflictio

verborum, Calumnia]

p.293 kī 鶏 |.Chì. Çimiento. Fundamento & In

moralibus, ut S. Pedro de la Yglesia.

Teng.|. Coronarse el Principe por Rey

[agg. Gallus S.ul]

id. kī 畸 |. Mù. Gallina ?sapos? de comer. Tién.

^. l . Xuì. ^ . Son ranas .|. Lûng.

Gallinero -.|. Mîng Cantar do gallo.

id. kī 剞 Cossa admirable, rara, digna de

estimaçion, ya aprecio.

id. kī 奇 Abrir con cuchillo, ut letras

id. kī 箕 De uno en uno mudar se, ut de

los ?quartos?

id. kī 幾 Pó .|. Cribo, criba, espuerta de basura .

xāo .|. Fuon .|. Idem

id. kī 畸 166 Por poco, aliquis a.d.

164

Questo lemma 饑 (jī) ed il successivo 飢 (jī) sono sostanzialmente due forme allografe per la

stessa parola, col significato di “fame”. Secondo la consuetudine interna del dizionario, solo il

primo carattere avrebbe dovuto possedere una definizione completa, mentre il secondo avrebbe

plausibilmente presentato l‟indicazione “idem” oppure “ut supra”. 165

La definizione recita “Carne, ut distinguitur ?acuero?”, il cui carattere corrispondente potrebbe

essere 肌 (jī) “muscolo” (carne), che invece non compare affatto tra i lemmi del dizionario, pur

essendo un carattere abbastanza comune. Ciò lascerebbe pensare che il copista abbia

commesso l‟errore a partire da qui, saltando questo carattere, dopo avere diviso due caratteri

(饑 jī e 飢 jī) che andavano accorpati, rendendoli invece in due lemmi separati (cfr. nota

precedente). Qui come in altre definizioni si nota una “incursione” latina, della quale è difficile

stabilire la paternità. La grafia è quella che scrive (o copia) tutte le altre definizioni in spagnolo,

sensibilmente differente dalla grafia di Mentzel, che compare qua e là in annotazioni sparse;

molto probabilmente è quella del copista stesso.

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114

Se si estrapolano alcuni elementi dal Lexicum, ci si accorge di evidenti

corrispondenze con il Vocabulario; ad esempio, nel Lexicum Mentzel fa

corrispondere al carattere 奇 la traduzione “razum!” (difficile capire in quale

lingua, forse boemo, o ceco?) probabilmente connessa all‟errore nel Vocabulario

che fa corrispondere a 奇 la definizione “Abrir con cuchillo, ut letras”, in realtà

riferentesi al lemma precedente 剞 (jī, un tipo di lama), dunque “?rasoio?”.

Che le numerose annotazioni presenti in tutto il dizionario siano opera di

Mentzel, è cosa abbastanza semplice da verificare, anche solo ad un primo

confronto calligrafico. Nella tabella seguente sono riportati alcuni esempi di

comparazione tra le note presenti nel vocabolario e elementi estratti dagli altri

lavori di Mentzel, in particolare la Clavis e il Lexicum:

Diaz Vocabulario

(note)

Mentzel miscellanea sinica Cracovia

(Lexicum Sinicum, Clavis Sinica)

p.340 Kium, Vacuum

Lexicum

Kium, Vacuum

Clavis

Kium, Vacuum

p.531 Teu, Pugna

intensa

Lexicum

Teu, Pugna intensa

Clavis

Teu, Pugna intensa

p.494, Sie, Serpens Lexicum

Xe, Anguis, je t‟iao (i.e)條 ?unus? Serpens?

p.92, Chi, vermis […?]

grammatica universalis

chi, ?vermium? genera

166

Questi due lemmi, recanti il carattere 畸 (jī) che all‟epoca si considerava ancora allografo di 奇

(qí, jī) “meraviglioso, raro, strabiliante”, sono quindi una ripetizione. Tuttavia, se nel primo caso la

definizione, pur sfalsata di un posto, corrisponde al carattere (“Cossa admirable, rara…”), nel

secondo caso il carattere non corrisponde ad un‟altra definizione, neanche a cercarla sfalsata di

posto. Infatti alla seconda occorrenza del lemma 畸 segue il lemma 璣 (jī) “perla irregolare”, con

una definizione coerente “Diamante, no redondo”.

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115

Ad ogni modo, il contributo di Mentzel a questa copia del Vocabulario di Diaz

sembra consistere per lo più in annotazioni sparse e ben riconoscibili, che non

dovrebbero aver alterato o confuso la struttura generale, né tantomeno

intaccato o modificato la romanizzazione.

Chiarità l‟entità dell‟intervento di Mentzel, resta da valutare se altre persone,

prima di lui, abbiano messo mano al dizionario di Diaz modificandolo e, se sì, in

che misura ciò sia avvenuto.

È certamente possibile fare delle considerazioni sul copista, sugli eventuali

interventi di quest‟ultimo all‟interno delle definizioni, come sulla struttura intera

dell‟opera. Ad esempio, non solo si osservano numerose “intromissioni” latine

all‟interno delle definizioni spagnole, ma si nota anche che lo spagnolo usato in

tutto il dizionario è spesso “sporcato” dal portoghese, forse lingua madre del

copista. Ciò è stato notato da un altro osservatore, anonimo, che ha lasciato due

brevi note in spagnolo all‟inizio e alla fine del dizionario:

“La ortografia castellana de este diccionario es defectuosa. El copista era o un escolar

ordinario, o fraile, o hombre del vulgo. Usa a menudo de la mala abbreviatura […], mudar

de escribir embarazosas para lor que no porden muy bien el castellano.[…]”167

“En castellano deberia decir: Todas las letras son 7169. En portugues: Todas as letras saõ

7169” 168

Difficile accertare se la responsabilità di questo spagnolo scorretto sia da

attribuire al copista oppure all‟originale stesso. Certo è che il copista doveva

essere familiare anche con il latino, visto l‟utilizzo che ne fa a scopi didascalici,

creando una sorta di legenda per facilitare la lettura del dizionario con

nomenclature quali “idem” o “ut supra” o “vide”. Comunque, non sembra che

l‟apporto del copista possa aver influenzato più di tanto la romanizzazione.

167

Questo è un estratto della nota anteposta alla prima pagina del dizionario, nella quale il

nostro osservatore anonimo critica l‟ortografia spagnola del copista, indicando la presenza di

numerosi errori. 168

Questa è invece la nota di chiusura, verosimilmente dello stesso osservatore ignoto (stessa

grafia), che fa riferimento alla frase che appare sull‟ultima pagina del dizionario “Todas as letras

son 7169”. Qui, l‟attento osservatore nota un miscuglio di spagnolo e portoghese, riportando

separatamente le due forme corrette per rendere la frase nelle due lingue.

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116

Sebbene sia molto probabile che il corpo del dizionario, in particolare le

definizioni, possa fornire tutti gli indizi necessari per chiarirne la genesi e le

peripezie, le informazioni più immediate riguardo alla possibile rielaborazione

ad opera di più compilatori ed editori ci sono offerte proprio dalla

romanizzazione del Vocabulario e dalle stranezze che essa presenta.

6.5 Romanizzazioni del Vocabulario (Diaz1, Diaz2)

Nel Vocabulario di Diaz, le sillabe cinesi in forma romanizzata compaiono in due

diverse posizioni:

1) nei capilettera dei lemmi, affianco al carattere cinese di cui rappresentano

la pronuncia;

2) all‟interno del testo delle definizioni dei lemmi, ad indicare la pronuncia

di eventuali composti.

La prima particolarità che risalta è che il sistema di romanizzazione usato nei

capilettera è differente da quello usato per le pronunce dei composti all‟interno

delle definizioni; o meglio, nei capilettera compare un solo sistema di

romanizzazione, mentre nelle definizioni appaiono mescolati due diversi sistemi:

uno coerente con quello usato nei capilettera, un altro piuttosto differente. Si

osservino i seguenti esempi a scopo illustrativo:

Çái 在 Ç’ām 滄

Estar en lugar, en vivir, ser, segun que dice

exista o estar en algu lugar. La virtud çhái xáng

en cimas Consistir ut xén çháy xèu kiái la virtud

consiste en guardar los mandamientos. .|. go

esta en mi mano.

.|.hay. Mar pelagus perfundo. .|.pō olas de

mar. .|.mâng el mar alto, el Oceano. .|..|. idem.

Si nota subito che, nel primo esempio, la pronuncia çái del capolettera si

trasforma in çhái/çháy all‟interno della definizione, mentre da entrambi gli

esempi ci si accorge che una stessa rima /-aŋ/ viene resa sia con -am (ç’ām), sia

con -ang (xáng, mâng), concependo quindi una coesistenza dei due grafemi

finali -m e -ng, assolutamente improbabili all‟interno di uno stesso sistema.

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117

Il fenomeno non è limitato a pochi lemmi, bensì si riscontra per circa la metà

delle definizioni. È sembrato quindi corretto, da un punto di vista metodologico,

analizzare i due sistemi separatamente, per poi tentare delle ipotesi sulle

possibili ragioni di questo “mescolamento”.

Il sistema di romanizzazione usato nei capilettera sarà chiamato “Diaz1”, mentre

quello riscontrabile nelle definizioni sarà definito “Diaz2”.

6.5.1 La romanizzazione dei capilettera del Vocabulario (Diaz1)

Per i capilettera del Vocabulario è stata utilizzata una romanizzazione ascrivibile

al filone basato sulla pronuncia portoghese, nonostante il fatto che, negli anni a

cui si fa risalire la presunta compilazione del dizionario di Diaz (ca. 1642),

doveva esistere già una tradizione di romanizzazione del cinese su base

ispanofona, come ipotizzato nei paragrafi precedenti riguardo al Manuale pro

Missionariis, ma anche come testimoniato da alcune opere linguistiche

riguardanti i dialetti cinesi parlati nel Fujian, a Taiwan e nelle Filippine, per lo più

ad opera di missionari appartenenti ad ordini mendicanti, ma anche di gesuiti.169

Dal momento che Francisco Diaz era un frate domenicano e di nazionalità

spagnola, ci si sarebbe aspettato da parte sua l‟utilizzo di una romanizzazione

ispanofona, piuttosto che quella di ispirazione portoghese riscontrabile invece

nei capilettera del Vocabulario.

La certezza che i seguenti elementi, e solo questi, costituiscano il sistema Diaz1,

ossia la sicurezza di poter individuare tutti i suoi elementi, è data in una certa

misura dal fatto che la romanizzazione è stata adottata per i capilettera dei

lemmi. La natura del Vocabulario, trattandosi esso di un dizionario cinese-

spagnolo con un considerevole numero di lemmi (più di 7000, dai quali è

possibile estrapolare oltre 520 tipi sillabici di base), implica verosimilmente che

l‟autore abbia compilato almeno un lemma per ogni sillaba esistente al tempo,

169

Si ricordano, ad esempio, la grammatica Arte de la Lengua China (ca.1600-1650) di Juan Cobo,

agostiniano; il Bocabulario de la Lengua Sangleya (ca. 1600-1650) di Domingo De Nieva,

domenicano; il Dictionarium Sino-Hispanicum di Pedro Chirino (1604); sull‟argomento, cfr. Van

Der Loon (1966, 1967) e Kloeter (2008)

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118

sfruttando quindi tutte le iniziali, tutte le rime e tutti i diacritici previsti dalla

romanizzazione.

Questa romanizzazione usata nel 99% dei capilettera, con poche eccezioni,

somiglia in modo indubbio al sistema dello XREMZ di Trigault; ciò si riscontra

per alcune particolarità dei grafemi iniziali, ma soprattutto per i tipi grafici delle

rime. Se ne dà conto nei paragrafi a seguire.

6.5.1.1 Grafemi iniziali di Diaz1

Come osservato per la romanizzazione del Manuale di Morales, anche per i

grafemi iniziali di Diaz1 è evidente la somiglianza con XREMZ:

Grafemi iniziali di Diaz1

Diaz1 (Capilettera) IPA Attacchi/Nuclei

ç,170 ç‟ 171 /ts/, /tsh/ %

ch, ch‟ /tʃ/, /tʃh/ %

f /f/ %

g /ŋ/-/ʔ/ (-a, -e, -o, -u)

j /ʒ / %

h /x/ %

k,172 k‟ /k/, /kh/ %

l /l/ %

m /m/ %

n /n/ %

170

Due lemmi elencati insieme ad altri sotto la pronuncia çie presentano un capolettera con la

forma alternativa çhie; i due lemmi in questione sono: p.25 嗟 (jiē) e 罝 (jiē) 171

In un caso, a p.26, al posto di ç’ie compare il capolettera çh’ie, come pronuncia del lemma

(chě); in un altro caso, a p.53, per il lemma 此(cǐ) al capolettera ç’u˙ è affiancata l‟alternativa

çh’u˙. In altri sette casi, la consonante iniziale ç’- nei capilettera è affiancata da una forma

alternativa ts’-; i lemmi interessati sono: p.33, con pronuncia ç’ieu, 酋, 囚, 泅, 遒, 蝤 (tutti qiú), che

recano l‟altro capolettera ts’ieu. A p.40, invece, sotto la pronuncia ç’iu si trovano gli altri due

lemmi 徐(xú) e 邪(xié, yé), recanti il capolettera alternativo ts’iu 172

In almeno cinque casi la consonante iniziale k- del capolettera presenta la forma alternativa

c-; alcuni dei lemmi interessati sono: 干, 幹 (entrambi gān) e 奸 (jiān), che riportano due

capilettera affiancati, kan e can. Altri due casi, un po‟ strani, sono: 感 e 敢 (entrambi gǎn), che

riportano sia il capolettera kan, sia un inaspettato cam.

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119

p, p‟ /p/, /ph/ %

s /s/ %

t, t‟ /t/, /th/ %

v 173 /v/-/ʋ/ %

x /ʃ/ %

Escluse minime incongruenze e stranezze (segnalate in nota), la serie di grafemi

iniziali è praticamente identica a quella di XREMZ. Constano entrambe di 20

grafemi, in corrispondenza biunivoca con i 20 fonemi presi come riferimento.

I punti in comune più evidenti tra le iniziali di Diaz1 e quelle dello XREMZ sono:

- l‟uso di un solo grafema k- per l‟iniziale /k/ indipendentemente dalla

vocale seguente (a differenza della terna c-, k-, q- di RLS, portoghese);

- la resa grafica dell‟iniziale /ŋ/-/ʔ/ tramite il grafema g- (invece che il più

portoghese ng-); la resa di /ʒ/ con la sola j- (contro le portoghesi g-, j-);

- la presenza di una fricativa labiodentale sonora /v/ (o approssimante

/ʋ/)resa dal grafema v-, usata in modo distinto dalla vocale -u- (i due

grafi si confondono, invece, nei sistemi precedenti).

Nonostante queste strette somiglianze sul piano delle iniziali facciano già

pensare ad una connessione tra i due sistemi, esse non sono tuttavia sufficienti

a provare un legame “genetico” tra il Vocabulario di Diaz e lo XREMZ di Trigault,

giacché, come si è visto nei paragrafi precedenti, la stessa somiglianza si ritrova

anche nella romanizzazione del Manuale. Ciò che manca a quest‟ultimo, e che

invece compare nella trascrizione Diaz1, è una forte corrispondenza con XREMZ

anche per i tipi grafici delle rime, come illustrato nel paragrafo seguente.

173

Nello XREMZ, il grafema iniziale v- rivela la propria identità contrastiva sul piano fonologico,

in quanto si riscontrano caratteri con pronuncia u (es. 五, 午, 誤), opposti a caratteri con

pronuncia vu (es. 武, 舞, 誤), portando così a considerare per l‟iniziale v- un possibile valore

fricativo labiodentale sonoro quale /v/, oppure un‟approssimante labiodentale quale /ʋ/. L‟uso

del grafema v- nel Vocabulario è estremamente meno stabile e coerente di quello nello XREMZ;

si osservi, ad esempio, che il carattere 翁 (wēng) è trascritto coerentemente um in XREMZ,

mentre è reso con vm in Diaz. Ancora, per la pronuncia /ɚ/ si confronti la resa ul in XREMZ e vl

in Diaz.

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120

6.5.1.2 Tipi grafici delle rime di Diaz1

L‟inventario delle rime descritte dalla romanizzazione Diaz1, usata negli oltre

7000 lemmi del Vocabulario, è reso tramite i seguenti 56 tipi grafici:

Tipi grafici delle rime di Diaz1

V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC

-a -ai; -am; -an; -ao(-iao)

-e

-e˙

-em; -en(-ien);

-eu(-ieu)

-eam; -eao

-i/j

(y-)

-ia(ya);

-ie(ye); -ie˙(ye˙);

-im(jm); -in(jn);

-io(yo); -io˙(yo˙);

-iu; -iu˙(yu˙)

-iai; -iam; -iao;

-ien; -ieu;

-iue(jue); -ium; -iun

-iuen

-o(uo)

-o˙(uo˙)

-oa; -oe -oai; -oam; -oan

-oei(ui); -oen

-u(v-)

-u˙

-ua; -ue; -ui; -um;

-un(-iun); -uo; (-vu)

-uai; -uam; -uan;

-uei(ui); -uem; -uen(-iuen);

-uon

vl

Sebbene il set delle rime del Vocabulario risulti meno stabile (ossia con un

rapporto grafia-suono meno biunivoco) di quello dello XREMZ, prevedendo

infatti alcune grafie alternative per certe pronunce,174 non è difficile constatare

l‟alto grado di somiglianza tra i due sistemi. In entrambi i casi si ha la stessa

quantità di tipi grafici di rime, più la sillaba a “statuto speciale” ul/vl per /ɚ/.

Ma il particolare più rilevante è certamente la resa della coda di rima /ŋ/ tramite

il grafema -m, di chiara origine portoghese, coerente con le rime della

romanizzazione XREMZ e inaspettato da parte di un ispanofono, quale era Diaz.

174

Suggerite in piccolo a fianco dei capilettera principali, e qui riportate tra parentesi.

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121

6.5.1.3 Diacritici di Diaz1

Anche il sistema Diaz1 sembra dotato di tutti i diacritici già noti. La marca

dell‟aspirazione, rappresentata da un gancetto ( c ), che in Diaz è soprascritto

alla parte finale della sillaba, reso qui, per convenzione, subito dopo il grafema

iniziale.

Per quanto riguarda i toni, ne compaiono 5, annotati attraverso altrettanti segni

grafici e solitamente sovrascritti all‟ultima lettera della sillaba: ˉ, ˆ, `, ´, ˇ, simili per

aspetto e funzione a quelli degli altri sistemi già analizzati.

In relazione agli altri diacritici, anche nei capilettera del Vocabulario si fa uso del

punto soprascritto ( ˙ ) alle vocali e˙, o˙, u˙, per indicarne una variazione nel

grado di apertura. È da notare, invece, che Diaz1 non prevede l‟uso del punto

sottoscritto alla u, presente invece in XREMZ.

Non è stato possibile dare spiegazione di un altro segno, che compare spesso

ma, apparentemente, in maniera piuttosto casuale; si presenta come un

cerchietto ( ° ) soprascritto alla sillaba, e per il momento non sembra facile

individuarne l‟eventuale valore discriminante.175

6.5.1.4 Ulteriori particolarità di Diaz1

Nei capilettera del Vocabulario compaiono alcune sillabe che, oltre ad essere

romanizzate secondo un altro sistema, sembrano anche descrivere pronunce

diverse dal Mandarino. Studi più approfonditi potranno certo individuare

l‟eventuale dialetto di riferimento, intento che esula dagli scopi di questa ricerca.

Si elencano, tuttavia, alcune di queste sillabe a scopo illustrativo:

Esempi di lemmi del Vocabulario di probabile origine dialettale

gu/fu, (污, 午, 吾). jin/nin, (任, 認); kiai/guei, (街, 解);

hec, (黑); kia/que, (價, 嫁); kia/ca, (袈, 甲);

huk, (核); kiai/cay, (皆, 階, 偕, 喈); kia/quia, (迦);

175

Nemmeno ISHIZAKI (2005, 2009) sembra comprendere il significato di questo possibile

diacritico aggiuntivo, tanto da non tenerne conto nella sua trascrizione del Vocabulario,

addirittura senza farne alcuna menzione in nota.

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122

6.5.2 La romanizzazione nelle definizioni del Vocabulario (Diaz2)

La quantità delle sillabe romanizzate secondo questo secondo sistema è tale da

non poter far pensare a errori casuali; se ne compie infatti un uso sistematico

nel 40-50% delle definizioni dei lemmi; tuttavia, giacché nelle definizioni questo

sistema compare mescolato al precedente (Diaz1), per di più condividendo con

esso una grande percentuale di forme sillabiche graficamente identiche, non è

un‟operazione semplice riuscire a delineare con precisione le caratteristiche del

sistema.

Per individuare le sillabe appartenenti a questo sistema si è usato questo

principio: se in una certa definizione compare una sillaba con elementi

chiaramente estranei a Diaz1 (ad es. un grafema iniziale çh- o una coda -ng), si

considera che in quella definizione tutte le sillabe romanizzate appartengano ad

un altro sistema, in questo caso a Diaz2. Ad esempio, si rivedano i due lemmi

illustrativi proposti in apertura del paragrafo:

Çái 在 Ç’ām 滄

Estar en lugar, en vivir, ser, segun que dice

exista o estar en algu lugar. La virtud çhái xáng

en cimas Consistir ut xén çháy xèu kiái la virtud

consiste en guardar los mandamientos. .|. go

esta en mi mano.

.|.hay. Mar pelagus perfundo. .|.pō olas de

mar. .|.mâng el mar alto, el Oceano. .|..|. idem.

In entrambi compare una sillaba con coda -ng (xáng, mâng), nonché una sillaba

con iniziale çh- (çháy); poiché queste sillabe sono estranee al sistema Diaz1, e

poiché si reputa che in una stessa definizione il compilatore abbia

verosimilmente usato un solo metodo di romanizzazione, si considerano tutte le

altre sillabe che appaiono nella definizione (esclusi i capilettera) come sillabe

possibili di Diaz2.

Inoltre, chi scrive ha usufruito anche di un altro riferimento: poiché gli elementi

della romanizzazione Diaz2 che hanno richiamato l‟attenzione nelle definizioni,

in quanto differenti da Diaz1, sono altresì previsti nelle romanizzazioni

ispanofone usate da alcuni autori posteriori, tra cui Francisco Varo e Basilio

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123

Brollo (v. infra, capitoli dedicati), nella ricostruire il sistema Diaz2 si sono tenuti

presenti anche questi sistemi di romanizzazione successivi.

6.5.2.1 Grafemi iniziali di Diaz2

Secondo i suddetti criteri, è stato possibile ricostruire l‟inventario dei grafemi

iniziali della romanizzazione Diaz2 come segue:

Grafemi iniziali di Diaz2

Diaz2

(Definizioni) IPA Attacchi/Nuclei

çh, çh‟ /ts/, /tsh/ %

ch, ch‟ /tʃ/, /tʃh/ %

f /f/ %

g /ŋ/-/ʔ/ (-a, -e, -o, -u)

h /x/ %

j /ʒ/ %

k, k‟ /k/, /kh/ %

l /l/ %

m /m/ %

n /n/ %

p, p‟ /p/, /ph/ %

s

*ç176 /s/

%

(-u˙)

t , t‟ /t/, /th/ %

v /v/-/ʋ/ %

x /ʃ/ %

Come si nota, la differenza con le iniziali di Diaz1 (e quindi anche con XREMZ)

non è poi molta, consistendo sostanzialmente nel passaggio da un grafema ç- al

176

Nei successivi sistemi ispanofoni compare un grafema ç- con valore /s/, quindi si è cercato di

verificare se anche Diaz2 lo prevedesse. In alcune definizioni, dove compaiono elementi di Diaz2,

sono state reperite alcune occorrenze di sillabe çu˙, il cui grafema iniziale dovrebbe appunto

valere /s/. Tuttavia, non disponendo dei caratteri cinesi corrispondenti alle romanizzazioni, non

si può affermare con certezza a quale pronuncia facesse riferimento la sillaba çu˙, che

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124

digramma çh- per indicare la consonante iniziale con probabile valore affricato

dentale /ts/; contestualmente, il grafema ç- cambia valore, rappresentando una

probabile fricativa dentale /s/. Nonostante la presenza di quest‟ultimo grafema,

allografo di s-, anche questo sistema di iniziali gode di una buona

corrispondenza grafia-suono, con un rapporto di 20/21 grafemi per 20 fonemi.

6.5.2.2 Tipi grafici delle rime di Diaz2

Alle particolarità delle iniziali che divergono da Diaz1 e XREMZ, si aggiunge

invece una differenza sostanziale che compare nelle rime, ovvero la presenza di

un digramma finale -ng per trascrivere la finale /ŋ/, assente invece nella

romanizzazione dei capilettera del Vocabulario e nello XREMZ, dove si trova

bensì la forma portoghese -m. Il primo incontro con questo digramma -ng si è

fatto nell‟analisi del sistema del Manuale di Morales, e di esso si è detto che sarà

una costante in tutti i sistemi ispanofoni successivi.

Nella tabella seguente è descritto il sistema di rime di Diaz2, ricostruito sulla

base delle sillabe reperite nelle definizioni in base ai criteri sopra illustrati, ma

anche integrato sulla base dei sistemi spagnoli successivi (Varo, Brollo):

Tipi grafici delle rime di Diaz2 (Ricostruzione)

V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC

-a -ai; -an; -ang; -ao

-e

-e˙

-en; -eng; -eu -eang; -eao

-i

(-y)

-ia;

-ie; -ie˙; -in; -ing

-io; -iu; -iu˙

-iai; ian; -iang; -iao;

-ien; -ieu;

-iue; -iun; -iung

-iuen

-o

-o˙

-oa;

-oe; -ou

-oai; -oan; -oang

-oei; -oen

-u(v)

-u˙

-ua; -ue; -ui; -ung;

-un; -uo

-uai; -uan; -uang;

-uei;

-uen; -uon

ul(vl)

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125

Se si confronta questo inventario di rime con quello del Manuale, ci si accorge

della stretta somiglianza. Si contano 56 tipi grafici diversi, compatibili con

l‟inventario di rime fonologiche di riferimento.

6.5.2.3 Diacritici di Diaz2

Riguardo ai diacritici, anche la romanizzazione Diaz2 sembra completa. Si rileva

infatti lo spirito/gancetto come marca per l‟aspirazione, posta quasi sempre

sull‟ultima lettera della sillaba.

Sempre sul piano segmentale, ma spostandoci dalle consonanti alle rime, si

osserva la presenza del punto soprascritto ( ˙ ) alle vocali e, o, u, per indicarne

una variazione dell‟apertura, usato con le stesse modalità di tutte le

romanizzazioni precedenti.

Le marche per i toni coincidono con quelli degli altri sistemi sia nel numero che

nella forma, sono infatti riconoscibili i 5 segni grafici individuati anche nella

romanizzazione dei capilettera: ˉ, ˆ, `, , ˘, sovrascritti alla sillaba e generalmente

posizionati sulla parte finale della sillaba.

Particolare di una definizione del

Vocabulario (ca. 1640) attribuito a

Diaz. Ogni lemma presenta nel

capolettera la pronuncia romanizzata

con un sistema simile a quello di

Trigault (Diaz1), con accanto il

carattere cinese corrispondente. Nel

testo delle definizioni compaio dei

composti contenenti il carattere del

lemma, solo in romanizzazione. A

volte seguono il sistema Diaz1, simile

a XREMZ, altre,seguono un sistema

diverso (Diaz2).

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126

6.6 Considerazioni finali sulle romanizzazioni di Morales e Diaz

Le fonti prese in esame per ricostruire i sistemi di romanizzazione

potenzialmente usati dai domenicani J.B. De Morales e F. Diaz fin dagli anni ‟30-

‟40 del 1600, ossia il Manuale pro Missionariis in Sinas e il Vocabulario de Letra

China con la Explicacion Castellana, presentano una certa difficoltà nel valutare

con certezza l‟aderenza di questi esemplari agli eventuali originali degli anni ‟30-

‟40. Il Vocabulario era in Europa prima del 1690, terminem ante quem per la

datazione di questa copia; il Manuale è invece una copia effettuata trail 1713 e il

1743. La distanza temporale dall‟epoca della compilazione degli originali rende

difficile stabilire con precisione quali elementi delle romanizzazioni siano da

collegare ai domenicani spagnoli e quali, invece, siano loro estranei.

Dall‟analisi comparata di queste due fonti, tuttavia, è possibile osservare una

cosa: è convinzione di chi scrive, che Morales e Diaz, avendo vissuto a stretto

contatto ed essendo stati attivi negli stessi anni e nelle stesse zone, debbano

aver studiato ed usato uno stesso sistema di romanizzazione, che doveva essere

allora in uso tra i membri della missione domenicana. Se confrontando le

romanizzazioni del Manuale e del Vocabulario si fosse trovato che uno stesso

sistema di romanizzazione era usato in entrambe le fonti, si sarebbe potuto

ipotizzareche quel sistema, con buona probabilità, fosse quello conosciuto e

usato da Morales e Diaz.

Ma, da quanto detto nei paragrafi precedenti, si evince invece la coesistenza, in

queste due fonti, di ben tre sistemi principali diversi: Manuale, Diaz1 e Diaz2, i

quali si somigliano e differiscono in modo incrociato. Riassumendo, il Manuale

possiede un set di grafemi iniziali uguale a Diaz1, ma l‟inventario delle rime

uguale a Diaz2.

Sembra improbabile che Diaz1, molto simile alla romanizzazione dello XREMZ

del gesuita Trigault, potesse essere uno standard usato dai domenicani (anche

perché non se ne trova più traccia in alcuna altra opera domenicana successiva);

Resta quindi da valutare se un sistema, tra il Manuale e Diaz2, possa coincidere

con quello realmente usato dai due domenicani.

Allo stato attuale della ricerca non è possibile stabilirlo con certezza. Occorre

certamente consultare altri esemplari del Manuale e del Vocabulario. Si tenga

presente, ad esempio, che in Golvers (1999), le citazioni dalla copia del Manuale

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127

conservata alla BAMEP mostrano una romanizzazione diversa da quella usata

nella copia alla Casanatense; in particolare, una nota riporta che nell‟esemplare

della BAMEP compare una sillaba çhu,177 con un‟iniziale çh- che invece non

sarebbe prevista dalla copia della Casanatense.178 A seconda di quale sia la

datazione della copia del Manuale alla BAMEP, questo indizio potrebbe spostare

l‟ago della bilancia da una parte o dall‟altra.

Anche l‟analisi di altre copie del vocabolario attribuito a Diaz potrebbe certo

chiarire alcuni dubbi e ambiguità. Allo stato presente, è possibile solo

immaginare che Diaz, in quanto domenicano e spagnolo, abbia plausibilmente

utilizzato un metodo di romanizzazione conforme alle sue abitudini linguistiche;

la presenza della romanizzazione Diaz2 nelle definizioni, con l‟iniziale çh- e la

finale -ng, richiami alla grafia ispanica sarebbe coerente con il fatto che Diaz era

spagnolo e domenicano, se non fosse che questo sistema ispanico Diaz2

convive, nel Vocabulario, con il sistema Diaz1 ispirato allo XREMZ di Trigault.

177

Cfr. GOLVERS (1999:379:n.100) 178

Questo vale se si considera solo la romanizzazione dei libri I-III, V-IX; altrimenti, nel libro IV,

alcune occorrenze di iniziali çh- sono reperibili.

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128

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129

7.0 Martino Martini

Martino Martini nasce a Trento nel 1614; quando è adolescente studia in un

collegio dei gesuiti, trasferendosi a Roma nel 1632 per entrare nel noviziato

gesuita di Sant‟Andrea. Nel 1634 richiede al padre generale Muzio Vitelleschi

(1563-1645) di poter partire per le Indie, permesso che gli viene accordato

quattro anni dopo. Nel 1640 parte per la Cina, sbarcando a Macao nel 1642. Si

stabilisce a Hangzhou, spostandosi poi nel 1664 a Nanchino per ordine

dell‟allora vice provinciale Giulio Aleni (1582-1649); nello stesso anno i mancesi

rovesciano l‟impero Ming, fondando la nuova dinastia dei Qing, e Martini si

rifugia con altri confratelli alla corte meridionale della deposta famiglia

imperiale, presso Yanping (延平, Fujian), dove assiste alla conclusione della

guerra tra mancesi e cinesi, della quale scriverà nella sua De Bello Tartarico

Historia, pubblicata ad Anversa nel 1654.179

Nel 1646, in visita a Fu‟an (福安, Fujian), entra in contatto con la missione

domenicana stabilita in quella località, constatandone altresì le misere

condizioni materiali. L'occasione dà luogo a forti attriti con i missionari

mendicanti, specie in merito alle spinose questioni dei “riti cinesi”, per le quali i

due gruppi di missionari si scontravano ufficialmente già da qualche anno, dopo

che il vicario provinciale domenicano Morales, nel 1641, aveva presentato

un'interrogazione alla Santa Sede in merito, ottenendo un decreto papale a

sfavore dei gesuiti. Nel 1650, il padre provinciale Manuel Diaz (1574-1659) invia

Martini in Europa, al fine di difendere le ragioni della Compagnia presso

Propaganda Fide e di procacciare fondi e risorse per la missione. Durante il

viaggio Martini si dedica alla compilazione di molti scritti, utili a presentare le

cose della Cina al pubblico Europeo colto, tra cui potevano risiedere potenziali

sostenitori materiali e politici della missione gesuita in Cina.

Tra i vari scritti, alcuni molto consistenti, c'è una breve ma importante

grammatica della lingua mandarina, spesso ricordata con titolo di Grammatica

Sinica (da qui in poi GS), della quale Martini lascia a Batavia (oggi Giacarta, Giava)

una delle copie manoscritte durante il viaggio.

179

MARTINI (1654)

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130

Nel 1653 sbarca infine in Norvegia, dopo numerose peripezie. Nel 1654, in

Olanda, Martini conosce lo studioso olandese Jacob Golius (1596-1667), al quale

lascia un‟altra copia della sua grammatica. Quando, nel 1655, Martini

pubblicherà ad Amsterdam la sua splendida opera geografica intitolata Novus

Atlas Sinensis (da qui in poi Atlas),180 vi sarà aggiunto in appendice uno scritto di

Golius, dal titolo De Regno Catayo Addimentum (da qui in poi Additamentum).181

Nel 1654 chiede di essere ricevuto dai cardinali di Propaganda per discutere

riguardo alla questione dei riti, e riesce a difendere la strategia missionaria della

compagnia in Cina; in seguito, nel 1656, un decreto del Papa Alessandro VII darà

ragione ai gesuiti, annullando il precedente decreto sfavorevole del „45.

All‟inizio del 1655, Martini pubblica la Brevis Relatio (da qui in poi Relatio),182

scorrendo in poche pagine gli eventi salienti della missione gesuita in Cina dalla

fondazione fino a quel momento.

Finalmente riparte con alcuni confratelli per tornare in Cina; sbarcano a Macao

oltre due anni dopo, nel 1658, e rimanendovi bloccati per molti mesi. Nel 1659,

quando lui si trova ormai in Cina, a Monaco viene pubblicata la sua Sinicae

Historia Decas Prima (da qui in poi Decas), storia della Cina dalle origini fino alla

nascita di Cristo.183

Nello stesso momento Martini torna a Hangzhou, dove concluderà la sua

esistenza nel 1661.184

7.1 Martini e la romanizzazione del cinese

Il gesuita Tridentino rappresenta un caso particolare nell'uso di differenti sistemi

di romanizzazione. Sia nella grammatica, sia nelle sue opere successive, Martini

utilizza abbondantemente parole cinesi in forma romanizzata; la prima parte

della grammatica illustra il sistema fonologico, sostanzialmente tramite un

180

MARTINI (1655a) 181

GOLIUS (1655) 182

MARTINI (1655b) 183

MARTINI (1659) 184

Le notizie bibliografiche sono tratte da DBI (2008:v.71), voce “Martino Martini”, a cura di

Masini F.

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131

elenco di tutte le sillabe di base scritte in romanizzazione, aggiungendo delle

spiegazioni su come pronunciare alcuni suoni in particolare. È quindi presente in

quest‟opera un tentativo di tracciare, e forse standardizzare, il set grafico

necessario alla trascrizione dei suoni del mandarino. Al contrario, nelle altre

opere, le sillabe romanizzate compaiono all‟occasione,occasionalmente anche se

con frequenza molto alta, e funzionali principalmente alla menzione dei nomi

storici e geografici.

È chiaro quindi che esistono delle differenze tra l‟uso della romanizzazione nella

grammatica e negli altri scritti, dipendenti innanzitutto dalla diversa natura dei

lavori interessati: essendo la grammatica un‟opera di riflessione sulla lingua, la

romanizzazione impiegata in essa è più precisa, comprendendo anche i vari

diacritici quali l‟aspirazione e i toni; di contro, gli scritti storico-geografici

successivi si limitano generalmente a dar conto in modo approssimativo della

pronuncia dei nomi occorrenti nel testo latino.

Ma le differenze non si riducono al grado di precisione fonologica: innanzitutto

avviene, ad un certo punto, una variazione della grafia europea di riferimento, in

quanto la romanizzazione della grammatica è basata sulla pronuncia

dell‟alfabeto portoghese, mentre il sistema adottato negli altri lavori utilizza la

pronuncia spagnola dell‟alfabeto; esiste inoltre una differenza nel grado di

integrazione della romanizzazione nel testo latino, in quanto la grammatica

propone le parole romanizzate in una forma del tutto distinta dal cotesto, con

l‟intento principale di rendere la reale pronuncia cinese nel miglior modo

possibile, mentre in buona parte degli altri lavori si assiste ad un‟ulteriore grado

di latinizzazione delle parole cinesi, tanto che negli scritti storici esse sono

declinate per casi secondo le regole di accordo vigenti per i sostantivi latini.

Accanto alle opere principali, esistono altri scritti di Martini nei quali il

missionario ha fatto largo uso di nomi e termini cinesi in forma romanizzata; si

tratta ovviamente della sua produzione epistolare dal 1644 in poi, della quale si

conservano esemplari importanti in vari archivi europei.185 L‟osservazione della

corrispondenza di Martini è stata utile ai fini di questa ricerca, specie riguardo

alla questione del passaggio da un sistema di trascrizione all‟altro. Dalle lettere è

185

Ibid., paragrafo [Fonti].

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132

molto evidente che il cambio di romanizzazione avviene repentinamente nel

febbraio del 1654,.186

Fino al 23 febbraio dello stesso anno, le lettere presentano esclusivamente

parole romanizzate secondo il primo sistema (portoghese), coerente con la

trascrizione usata nella Grammatica; al contrario, tutte le lettere dal 27 febbraio

1654 in poi utilizzano il secondo sistema, in accordo con le opere storico-

geografiche pubblicate da Martini in quegli anni.

In questo studio ci si riferirà pertanto alla prima forma di romanizzazione

usando la denominazione Martini1 (MM1), mentre si indicherà il sistema del

secondo periodo con Martini2 (MM2); dei due diversi sistemi di romanizzazione

si proporranno le descrizioni e il confronto, analizzando per entrambi l‟origine,

lo sviluppo e l‟eventuale influenza sui periodi successivi.

7.2 La romanizzazione della Grammatica Sinica (MM1)

Della grammatica cinese di Martini esistono alcune copie manoscritte,

riconducibili a periodi diversi a cavallo tra il XVII e XVIII secolo; fin‟ora, la

grammatica è stata studiata prendendo in considerazione le copie manoscritte

conservate tra Glasgow, Berlino e Cracovia, 187 le quali presentano fra loro

differenze interessanti, seppur sottili, per quanto riguarda la romanizzazione,

rendendo così più difficile stabilire quale fosse la modalità di trascrizione

originariamente usata da Martini.

186

precisamente si tratta della lettera del 27 febbraio 1654, scritta a Bruxelles da Martini al p. W.

Van Aelst. Consistente in una trattazione della bussola geomantica usata dagli astrologi cinesi.

Verso la fine della lettera compare la parola cinese romanizzata yekeng (yìjīng 易经), titolo del

Classico dei Mutamenti. A parere di chi scrive, questa è la prima attestazione della nuova

romanizzazione di Martini. 187

Cfr. BERTUCCIOLI (1998:II:385-464); gli esemplari in questione sono: Glasgow, Biblioteca

dell‟Università di Glasgow, segn. “Hunterian, Mss. 299, U.6.17”, (tre copie realizzate da T.S. Bayer);

Berlino, Staatsbibliothek, segn. “Libri Sinici 19”; Cracovia, Biblioteca Jagiellonska, segn.

“Mentzeliana Misc. Sinica 10”, inv. N. 2031.

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133

Recentemente, si sono invece rinvenuti due nuovi manoscritti della grammatica,

uno presso Cambrai e un altro presso Vigevano.188 Queste due nuove scoperte

hanno permesso di tracciare l‟evoluzione della Grammatica Sinica dopo il suo

arrivo in Europa, oltre a riconoscere nel secondo esemplare (Vigevano) una

copia annotata da Martini in persona, che continuò a correggere e migliorare la

grammatica durante il suo soggiorno in Europa (1653-55), come testimoniato

appunto dalle numerose note originali aggiunte sulla copia in questione.189

Questo esemplare dovrebbe quindi fornire un quadro più fedele e genuino della

romanizzazione MM1 di Martini, escludendo interventi di editori e copisti.

Confrontando questo nuovo documento con quelli di cui si era già in possesso,

la romanizzazione appare pressoché identica a quella di una delle copie

Bayeriane di Glasgow, riproduzione auspicabilmente fedele della copia lasciata

da Martini a Batavia durante il burrascoso viaggio verso l‟Europa, che potrebbe

quindi mostrare lo stadio più embrionale del testo.

Per cui, sebbene nel nuovo manoscritto l‟intervento di Martini sia evidente in

molte parti del testo, dal punto di vista della trascrizione non si notano molte

correzioni o cambiamenti, il che spinge ad identificare la romanizzazione

presente sia nella copia di Batavia che nell‟altra recentemente scoperta come la

forma originaria utilizzata da Martini.

Ad ogni modo, bisogna premettere che la Grammatica Sinica, pur essendo in

assoluto una delle prime grammatiche del mandarino mai redatte,190 ha tuttavia

la struttura modesta di un quadernetto d‟appunti o poco più; è lecito pensare

che essa sia stata compilata da Martini nei suoi primi anni in Cina, proprio sotto

forma di appunti raccolti durante il suo addestramento linguistico, e che il

missionario abbia poi deciso di sistemarla in forma più ordinata ad uso dei

188

I due manoscritti sono stati scoperti e studiati da Luisa M. Paternicò. Cfr PATERNICÒ (2008,

2010) 189

In merito, cfr. PATERNICÒ (2008:423-424) e PATERNICÒ (2010) passim 190

Si consideri però il già citato Manuale pro Missionariis attribuito a Morales, nel cui libro IX

appaiono le dieci “reglas” grammaticali che, sebbene di mole ancor più modesta della

grammatica di Martini, potrebbero essere state redatte in un periodo ancora precedente.

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134

confratelli in Cina e di alcuni intellettuali in Europa interessati alla lingua

cinese.191

Difficile stabilire con esattezza la competenza linguistica acquisita da Martini

dopo il primo periodo in Cina; sappiamo che poté fruire di numerosi testi storici

cinesi, che utilizzò come fonti per compilare la Decas, e anche che produsse

alcune opere in cinese dopo il suo ritorno Cina.192 Tuttavia, com‟è noto, questi

compiti venivano svolti dai missionari soprattutto grazie all‟aiuto di collaboratori

cinesi che, a volte, avevano anche acquisito rudimenti di lingue occidentali. Il

livello di cinese del gesuita tridentino doveva comunque essere sufficiente a

comunicare oralmente e, probabilmente, anche a leggere i classici con poco o

nessun aiuto esterno. Rimane tuttavia il fatto che la riflessione linguistica di

Martini si limita alle 15 pagine della Grammatica Sinica e non costituisce un

filone portante della sua produzione letteraria. La conoscenza linguistica era, per

Martini come per la maggioranza dei missionari ad egli contemporanei, solo un

mezzo, e non un fine; in quest‟ottica, semplice ma realistica, possono spiegarsi

non solo le incoerenze o le imprecisioni riscontrabili nelle sue opere, compresa

la grammatica, ma probabilmente anche la decisione di cambiare

romanizzazione nei lavori successivi, come proveremo ad ipotizzare in seguito.

La romanizzazione della grammatica è facilmente descrivibile, grazie al fatto che

Martini stesso procede prima all‟elenco completo delle sillabe di base e poi alla

descrizione di singoli suoni. Sia nel manoscritto di Glasgow (copia di Batavia), sia

in quello di recente ritrovamento, Martini elenca all'incirca le stesse sillabe di

base, e spiega come pronunciare alcune trascrizioni; il sistema di

romanizzazione descritto dai due esemplari è sostanzialmente identico.

Dei due esemplari scegliamo di considerare quello di Vigevano come il più

affidabile, in quanto frutto della revisione finale effettuata dall‟autore in persona,

191

Il rapporto di Martini con Kircher o con Caramuel, oltre che religiosi e scienziati anche

orientalisti e glottologi, avrebbe certo potuto stimolare l‟idea di pubblicare una grammatica

cinese, fino ad allora inesistente. 192

Intorno al 1660 pubblicò Zhenzhu lizheng (Prove dell‟esistenza di Dio), Linghun lizheng (Prove

dell‟esistenza dell‟anima), nel 1661 Qiuyou pian (Trattato sull‟amicizia), gli si attribuisce anche un

trattato contro la teoria buddista della reincarnazione (cfr. Couplet, Catalogus Patrum Societatis

Jesu…in Imperio Sinarum…, 1686)

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135

pertanto più coerente e ordinato e, sostanzialmente, unico originale autografo a

noi noto.193

7.2.1 Grafemi iniziali di MM1

Nel manoscritto della Grammatica di Martini conservato a Vigevano, al pari di

alcuni tra gli altri esemplari nominati, sono elencate dall‟autore le sillabe di base

della lingua mandarina, seguite da alcune spiegazioni sulla pronuncia; l‟autore

elenca i seguenti grafemi iniziali:

Grafemi iniziali di MM1

MM1 IPA Attacchi/Nuclei

ç, ç‟ /ts/, /tsh/

(-a, -o, -u)

c, c‟ (-e, -i)

c, c‟

/k/, /kh/

(-a, -o, -u)

k, k‟ (-e, -i)

q (-u)

ch, ch‟ /tʃ/, /tʃh/ %

f /f/ %

g /ʒ /

(-e, -i)

j (-o, -u)

h /x/ %

l /l/ %

m /m/ %

n /n/ %

ng /ŋ/-/ʔ/ %

p, p‟ /p/, /ph/ %

s /s/ %

t, t‟ /t/, /th/ %

--- /v/-/ʋ/ ---

x /ʃ/ %

193

Cfr. PATERNICÒ (2008:423)

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136

Questo set di consonanti iniziali si accorda bene con la romanizzazione

portoghese sviluppata da Ricci e Cattaneo, definita in precedenza RLS.

Differisce invece dai grafemi iniziali della romanizzazione proposta da Trigault in

XREMZ, non tenendo conto delle migliorie da essa introdotte.

Ritornano pertanto alcune allografie presenti in RLS, quali c-, k- q- per /k/,

oppure g-, j- per /ʒ /; allo stesso tempo ricompare l‟omografia che rende con c-

sia /k/ che /ts/. Addirittura, non si rileva un grafema iniziale v-, presente invece

in tutti i sistemi fin‟ora analizzati. È vero anche che, escluso lo XREMZ, l‟uso del

grafo v è abbastanza ambiguo, andandosi a confondere con il grafo u in vari

sistemi. Tendenzialmente, però, i fonologi cinesi tendono a ipotizzare la

presenza di un fonema iniziale tra /v/ e /ʋ/ nel guanhua tardo - Ming, e appare

strano che Martini non l‟abbia segnalata con un corrispondente grafema.

7.2.2 Tipi grafici delle rime di MM1

Dalle liste delle sillabe di base presenti nei vari esemplari della grammatica

esaminati, è facile estrapolare l‟inventario dei tipi grafici delle rime di MM1,

descrivibile come segue:

Tipi grafici delle rime della Grammatica Sinica

V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC

-a -ai; -am; -an; -ao

-e

-e˙

-em; -en; -eu -eam; -eao

-i

(j)

(y)

-ia; -ie; -ie˙, -im; -in;

-io; -iu

-iai; -iam; -iao;

-ien; -ieu;

-iue; -ium; -iun

-iuen

-o

-o˙

-oa; -oe; -oi; -oai; -oam; -oan;

-oei; -oen;

-u(uu)

-u˙

-ua; -ue; -ui;

-um; -un; -uo

-uai; -uam; -uan; -uei;

-uen; -uon

ul

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137

Il sistema MM1 conta quindi 53 tipi grafici di rime che si combinano con i

grafemi iniziali, più la sillaba con “statuto speciale” ul per /ɚ/ (二, 而, 尔, ecc.),

indipendente e fuori dal gioco delle combinazioni; da notare che, curiosamente,

in questo caso MM1 utilizza una forma simile a XREMZ (ul), piuttosto che a RLS

(lh).

Rispetto a RLS, tuttavia, il set di rime in MM1 risulta più stabile, con poche

allografie occasionali (si ricordino le strane rese grafiche di RLS in XZQJ).

7.2.3 Diacritici di MM1

Innanzitutto è presente la marca per l‟aspirazione, resa con lo spirito/gancetto

soprascritto alla sillaba ( c ); la posizione è molto variabile, ma in molti casi si

nota una tendenza a posizionarla sopra o subito dopo la consonante iniziale (es.

ta, çam). La marca dell‟aspirazione in MM1 è resa qui con l‟apostrofo ( „ ) posto

dopo l‟iniziale.

Riguardo agli altri diacritici sul piano segmentale, anche la Grammatica Sinica

utilizza nel testo l‟espediente del punto soprascritto ( ˙ ) alle vocali e, o, u; in

particolare, riguardo alla u, Martini ne spiega così l‟uso:

[…] Idem punctum aliquando super u˙ literam ponitur, quando syllaba in u˙ desinit, estque

tum signum quod illud u˙ pronunciandum sit cum sibilo, qui sit lingua ad dentes priores

et superiores applicata, coactoque compressione, vento per unam dentium transcire, non

aliter atque cum anser protenso collo in aliquem sibilat.194

Gli ultimi diacritici da considerare sono, ovviamente, quelli usati per i toni; come

nei sistemi fin‟ora analizzati (RLS, XREMZ, Morales, Diaz), il numero dei toni è

pari a 5, annotati attraverso altrettanti segni grafici: ˉ, ˆ, `, ´, ˇ. La notazione dei

toni appare perfettamente coerente con quella di RLS e XREMZ, non

costituendo perciò in alcun modo un elemento distintivo. Tuttavia, si vedrà

come nella diversa romanizzazione usata da Martini dopo il 1654 (MM2), la

notazione tonale sarà pressoché assente, anche se ricostruibile attraverso altre

fonti minori.

194

Il passaggio è tratto dal manoscritto di Vigevano, [§ 3, De Tonis, seu diversa earumdem

vocum apud Sinas pronunciatione]; un ringraziamento va a L.M. Paternicò per avermi fornito le

immagini digitali e la trascrizione completa dell‟esemplare da lei scoperto a Vigevano.

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138

7.2.4 Osservazioni finali su MM1

Nonostante la sua diffusione avvenne prevalentemente in forma manoscritta,195

l‟influenza della grammatica di Martini sui confratelli e sui proto-sinologi dei

secoli XVII e XVIII fu notevole.

C‟è innanzitutto da considerare il ruolo che essa ha giocato nel ribadire la

romanizzazione RLS come standard ufficiale dei gesuiti del padroado, seppur

con minime modifiche, ignorando pressoché totalmente il tentativo di

innovazione effettuato da Trigault con lo XREMZ, come già accennato in

precedenza.

Inoltre, la “matrice martiniana” contenuta nella Grammatica, si ritrova impressa

in tutti i personaggi contemporanei venuti a contatto con uno più manoscritti

della Grammatica, tra i quali gioca un ruolo centrale il gesuita belga Philippe

Couplet. Quest‟ultimo, avendo personalmente studiato sugli appunti

grammaticali di Martini, è altresì autore di alcune modifiche al manoscritto della

Grammatica di cui era in possesso; la romanizzazione della grammatica di

Martini, in seguito, diventa perciò la sua romanizzazione, quasi del tutto

coincidente con il sistema usato dai confratelli Prospero Intorcetta, Ignaçio Da

Costa e tutti gli altri autori ed editori della traduzione in latino dei classici

confuciani, di cui parleremo in seguito. Questo testimonia a favore dell‟ipotesi

che lo standard di romanizzazione Ricciano ripreso da Martini nella grammatica

si fosse imposto, fin dalla prima metà del 1600, come il sistema ufficiale di

trascrizione usato dai gesuiti in Cina.

Si può affermare che il sistema di romanizzazione basato sul portoghese usato

da Martini nella Grammatica sia il vero anello di congiunzione tra RLS e la forma

finale usata da Intorcetta e gli altri (v. infra, capitolo dedicato), soprattutto se lo

confrontiamo con altre romanizzazioni dello stesso periodo che potevano porsi

in concorrenza. Tra queste spicca certamente quella usata dal gesuita polacco

Michael Boym, dei cui scritti troviamo una cospicua raccolta nell‟opera di Kircher

195

Pare tuttavia che una copia del manoscritto di Martini sia stata stampata in una riedizione

dell‟opera di Melchisedec Thevenot, Relation de diverse voyage…, come dimostrato da Luisa

Paternicò nel suo intervento al convegno della European Association of Chinese Linguistics 2009:

“The evolution of Martino Martini’s grammar of the Chinese language, from the Grammatica

Sinica to the Grammatica Linguae Sinensis“, nel quale prova l‟esistenza di più di una copia di

THEVENOT (1696) contenente la grammatica.

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139

China Illustrata del 1667, con numerosi esempi del suo sistema di

romanizzazione. Come vedremo nel capitolo successivo, la romanizzazione di

Boym differiva per alcuni particolari da quella di Martini MM1, ma le sue

caratteristiche non sembrano essere state accolte dai confratelli, che hanno

invece sviluppato lo standard descritto nella grammatica.

Tra i proto-sinologi più influenzati dalla grammatica di Martini troviamo

sicuramente il tedesco Gottlieb Sigfried Bayer (1694-1738)196 che, in entrambe le

sue opere Museum Sinicum (1730) e Horis Sinicis (1735) pubblica delle versioni

aumentate e rivedute dei manoscritti martiniani sulla lingua cinese. 197

Nonostante egli fosse a conoscenza di altre forme di romanizzazione, in più di

un‟occasione utilizzò con cognizione la romanizzazione portoghese, in

particolare quella proposta da Martini e Couplet nella grammatica.

196

Storico, orientalista e proto-sinologo. Nel 1717 divenne professore a Lipsia, dove compilò un

catalogo dei manoscritti orientali della biblioteca comunale. Successivamente, divenuto membro

della neo-costituita Accademia di San Pietroburgo (attualmente l‟Accademia Russa delle

Scienze)dove pare che sia conservato un monumentale dizionario cinese-latino da lui compilato

(LUNDBAEK, 1986) 197

in Museum Sinicum, molte parti della Grammatica di Martini si trovano nella sezione

denominata GRAMMATICA SINICAE, liber primus (Quon hoa çu kim kiai, kiuen chi ye) De Lingua

Sinica, il cui testo latino occupa uno spazio di circa 55 pagine, seguito da 8 pagine di caratteri

cinesi provvisti di riferimenti numerati alle romanizzazioni nel testo; al liber primus segue un liber

secundus (Quon hoa çu kim kiai, kiuen chi ul) intitolato De Literatura Sinica, composto da altre

60 pagine circa, nelle quali i caratteri cinesi compaiono insieme al testo latino. Cfr. BAYER

(1730:1-88) [numerazione indipendente]; in Horis Sinicis, invece, una versione della Grammatica

Martiniana di circa 8 pagine, scritte su due colonne e senza caratteri cinesi, compare sotto il

nome di Praeceptiones de Lingua Sinica, divisa anch‟essa in due libri, rispettivamente intitolati De

Ipsa Lingua e De Scriptione. Cfr. BAYER (1735)[paginazione assente]

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140

Immagine dell‟esemplare della grammatica

di Martini conservato a Vigevano.

Particolare della lista iniziale delle sillabe di

base. (gentile concessione di L.M.Paternicò)

7.3 La seconda romanizzazione di Martini (MM2)

Il sistema di trascrizione usato da Martini nella grammatica (MM1) viene

abbandonato dal gesuita all‟inizio del 1654, a favore di una romanizzazione

leggermente diversa, che rimarrà più o meno costante in tutti gli scritti

successivi a questa data, e che abbiamo definito come MM2.

La differenza più lampante è la sostituzione del grafema di coda -m con un

digramma -ng, di probabile matrice ispanica; altre piccole differenze si

riscontrano anche nel set dei grafemi iniziali.

Inoltre, sembra opportuno notare che in tutte le opere successive al 1654, la

romanizzazione è quasi completamente priva dei diacritici per i toni; l‟unica

traccia affidabile della notazione dei toni in MM2 appare in uno scritto non di

Martini, bensì di Jacobus Golius (Gohl 1596-1667), che fu incluso nel Novus Atlas

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141

Sinensis nel 1655. Poiché sembra probabile che le trascrizioni di Golius, neofita

della lingua, furono corrette dallo stesso Martini, considereremo anche questo

scritto per meglio delineare le caratteristiche di MM2, in particolare per ciò che

riguarda i toni. Altre tracce di diacritici per i toni, rare e poco attendibili, si

ritrovano nelle poche lettere scritte dopo il ‟54; pur trattandosi di un contributo

limitato, anche i pochi dati estrapolati dalle epistole saranno considerati

nell‟analisi di MM2.

Nei paragrafi seguenti sono raccolte le descrizioni dei sotto-sistemi di

romanizzazione usati nelle singole opere post-1654, seguiti da un paragrafo

riassuntivo in cui si tenta di delineare le caratteristiche fondamentali del macro-

sistema MM2.

7.4 Brevis Relatio

La Brevis Relatio è un breve scritto in latino (circa 36 pagine in ottavo),

contenente informazioni sullo stato dell‟opera apostolica gesuita in Cina fino ai

primi anni ‟50 del 1600. È probabilmente una riduzione della relazione scritta da

Martini durante il viaggio verso l‟Europa, al fine di presentare la situazione della

missione al tribunale di Propaganda Fide, dove si trovò a difendere l‟operato

della sua compagnia nell‟estate del 1651. Le ultime 8 pagine (XVIII-XXXVI)

contengono un elenco dei titoli di libri pubblicati in cinese dai gesuiti fino al

1654; è in questa sezione che compare il maggior numero di romanizzazioni.

Data la scarsa lunghezza dello scritto, il numero di sillabe cinesi che vi

compaiono è abbastanza esiguo, si contano infatti non più di 120 parole per

poco più di 50 sillabe diverse; pertanto, sebbene sia possibile estrapolare il set

pressoché completo dei grafemi iniziali, si può invece ottenere solo una scarsa

quantità di rime, non del tutto sufficiente a descrivere esaurientemente il

sistema di romanizzazione. Tuttavia, se inserito in una tabella comparativa

insieme alle trascrizioni usate da Martini negli altri lavori, il sistema della Brevis

Relatio offre comunque interessanti spunti di riflessione.

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142

7.4.1 Grafemi iniziali della Relatio (MM2)

Il set di grafemi iniziali che è possibile ricostruire dalla Brevis Relatio appare così

costituito:

Grafemi iniziali della Brevis Relatio

Brevis Relatio IPA Attacchi/Nuclei

c

k

q

/k/, /kh/

(-o, -u)

(-i)

(-u)

c /ts/, /tsh/

(-e, -i)

ç (-e, -u)

ch /tʃ/, /tʃh/ (-e, -i, -o, -u)

f /f/ %

g /ŋ/-/ ʔ/ (-a, -u)

g /ʒ / (-e, -i)

h /x/ %

l /l/ %

m /m/ %

n /n/ %

p /p/, /ph/ %

s /s/ %

t

*th

/t/, /th/

*/th/

%

*(-ien)

--- /v/-/ʋ/ ---

x /ʃ/ %

Si contano solo 14/15 grafi, a confronto con un set consonantico di riferimento

di 20/21 elementi. Le omografie riguardano prevalentemente le coppie di

fonemi aspirati/non aspirati (es. /k/-/kh/, /t/-/th/, etc.) che, data la totale assenza

di una marca per l‟aspirazione,198 si annullano in un unico grafo (es. k, t, etc.);

un‟altra omografia si ritrova nel grafo g-, usato sia per /ŋ/-/ ʔ/ che per /ʒ/.

198

Fatta eccezione per una sola occorrenza del grafo h a seguito dell‟iniziale t-; solo in: thien 天

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143

Anche alcune allografie sussistono, come la terna c-, k-, q- per /k/, o i due grafi

c- e ç- per /ts/.

7.4.2 Tipi grafici delle rime della Relatio (MM2)

Per quanto riguarda invece il set delle rime, la Relatio offre talmente poche

sillabe che risulta difficile tracciarne una descrizione completa; si estraggono

infatti solo 28 tipi grafici:

Tipi grafici delle rime della Brevis Relatio

V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC

-a -ai/ay; -ang; -ao

-e -en; -eu; -ey

-i/y

(y-)

-in/yn; -ing; -io -iai; -iang; -iao/yao;

-ien/yen;-ieu; io/yo

-iuen/yuen

-o -oan; -oen;

-u -ue; -ui; -ung -uang; -uei/uey

È tuttavia possibile notare che questo sparuto gruppo di rime introduce già il

digramma finale -ng in sostituzione della -m utilizzata in MM1, della quale non

si rileva nessuna occorrenza. È certamente questo il primo cambiamento

sostanziale rispetto a MM1, che rende subito riconoscibili i due sistemi come

differenti.

Altre particolarità riscontrabili nel set di rime non sembrano particolarmente

rilevanti; si prende atto, in alcuni casi, di un‟interessante alternanza tra i e y in

coda a dittonghi e trittonghi, della quale è difficile ponderare la ragione, se sia

dipendente da eventuali errori tipografici, o del copista, o se si debba invece

imputare all‟abitudine ortografica dell‟autore.

7.4.3 Diacritici della Relatio (MM2)

Si è già notata l‟assenza di una marca per l‟aspirazione, escluso un caso (thien),

dove compare un grafo h a tal scopo. Salta inoltre all‟occhio la totale mancanza

di diacritici per i toni, ben delineata invece nella romanizzazione del primo

periodo (MM1).

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144

7.4.4 Osservazioni finali sulla romanizzazione della Relatio (MM2)

Se il set dei grafemi iniziali è ancora abbastanza simile a MM1, nelle rime si è già

palesata la coda -ng, caratteristica di MM2. Dal punto di vista dell‟integrazione

nel testo, si osserva che tutte le parole cinesi appaiono nella loro forma

originaria, non declinate secondo i casi del latino, compresi i nomi propri e i

toponimi.

La romanizzazione del De Bello sembra quindi collocarsi in un periodo di

transizione tra i due sistemi usati da Martini.

7.5 De Bello Tartarico

Nel De Bello Tartarico, pubblicato in latino nel 1654 ad Anversa, compaiono

numerose parole cinesi romanizzate, per lo più nomi propri e toponimi. Anche

se la mole dell‟opera è piuttosto contenuta (circa 166 pagine in ottavo), essa

rappresenta un corpus già più consistente rispetto alla Relatio; se ne ricavano

circa 135 parole cinesi romanizzate, per un totale di 112 sillabe. Da questo

corpus si sono potuti ricostruire quasi completamente i set dei grafemi iniziali e

delle rime grafiche.

7.5.1 Grafemi iniziali nel De Bello (MM2)

Le iniziali del De Bello, desumibili dalle occorrenze romanizzate nel testo, sono

così riassumibili:

Grafemi iniziali del De Bello Tartarico

De Bello IPA Attacchi/Nuclei

c, c‟

k, kh

q

/k/, /kh/

(-a, -o, -u)

(-e, -i)

(-u)

c

/ts/, /tsh/

(-i)

ç (-u)

z

ch /tʃ/, /tʃh/ (-a, -e, -i, -u)

f /f/ (-u)

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145

g /ŋ/ (-a)

h /x/ (-a,-i, -o, -u)

l /l/ %

m /m/ (-a, -i)

n /n/ (-a, -i)

p, p‟ /p/, /ph/ %

s /s/ %

t, th /t/, /th/ %

*v */v/-/ʋ/ *%

x /ʃ/ %

--- /ʒ/ ---

Rimane la terna allografica c-, k-, q- per /k/; una seconda allografia, più

interessante, vede il fonema /ts/ rappresentato dai tre grafi c-, ç-, z-. Si nota

quindi la comparsa di un grafema iniziale z-, con probabile valore /ts/, che nella

Relatio era invece reso solo con c-, e ç-; anche se si individua un‟occasionale

cooccorrenza dei grafemi iniziali ç- e z-, il primo è certo da considerarsi

eccezione in quanto occorre una sola volta (Taiçungus, Taizong 太宗).

Si segnalano anche le occorrenze di alcuni grafemi per le consonanti aspirate:

un digramma iniziale th- per /th/ usato con una certa frequenza; un digramma

kh- per /kh/, riscontrabile in soli due casi (Khiucheu, Quzhou 衢州; Thomas

Khiu199) e un grafema iniziale p’- (P’ang Achilles)200 presente in una sola sillaba.

Compaiono alcune sillabe con un grafema iniziale v- (es. vang, per wǎng 王), del

quale però è difficile stabilire l‟eventuale valore contrastivo rispetto a u-, anche

poiché alcune di queste sillabe compaiono trascritte in due modi diversi

(vang/uang, per wǎng 王).

Non è stato possibile rinvenire o individuare un grafema per la resa di /ʒ/, ma

non è da escludere che il sistema lo prevedesse.

199

Secondo il De Bello, Thomas Khiu era il “viceré” della provincia del Guangxi, convertito al

cristianesimo, originario della zona di Nanchino; cfr. MARTINI (1654:104) 200

Achille Pang, eonuco alla corte di Yongli, convertito al cristianesimo. Amico sia di Martini che

di Boym (v. capitolo seguente); cfr. MARTINI (1654:105)

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146

7.5.2 Tipi grafici delle rime del De Bello (MM2)

La quantità di rime estrapolabili dal testo del De Bello consta di circa 42 tipi

grafici, riassunti nella tabella seguente:

Tipi grafici delle rime del De Bello Tartarico

V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC

-a -ai; -an; -ang; -ao;

-au

-e -en; -eng; -eu -eao

-i

(y-)

-ya; -yang;

-ie; -in; -ing;

-io(ioo); -iu/yu

-iang; -ien; -ieu;

-iung

-iven/yuen/yven

-o -oa; -oi -oang

-u -ue; -ui; -un; -ung; -uei; -uen/ven; -uin;

-uon; -uu; -van;

-uang/vang

Al paragone con la Brevis Relatio non si riscontrano forti incongruenze, se non

per la maggiore quantità di tipi, che cominciano a delineare in modo più

completo il sistema di trascrizione, pur rimanendo in numero abbastanza basso,

rispetto alle 50/55 rime fonologiche di riferimento.

Alcuni grafi vocalici sono usati in modo promiscuo: oltre all‟allografia di i e y, il

De Bello offre anche numerosi esempi dell‟intercambiabilità di u e v; difficile

stabilire se queste rese grafiche promiscue siano emerse in fase editoriale o

fossero presenti fin dalla stesura originaria.

La presenza della coda -ng annovera senza incertezze la romanizzazione del De

Bello in MM2.

7.5.3 Diacritici nel De Bello (MM2)

Anche nel De Bello Tartarico non si trova traccia dei toni, e solo accidentalmente

appaiono “echi” di aspirazioni.

I nomi propri vengono sempre declinati in latino, mentre i toponimi appaiono

sia in forma originaria, sia declinati a seconda del contesto.

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147

7.6 Novus Atlas Sinensis

Il Novus Atlas Sinensis è certamente l‟opera a cui Martini maggiormente deve la

sua notorietà. Poco dopo essere arrivato in Europa, nel 1655, ebbe modo di

curarne personalmente l‟edizione ad Amsterdam, presso lo studio dell‟editore e

cartografo Joan Blaeu (1596-1673). La consistente mole dell‟opera permette di

ricavare un gran numero di parole cinesi in forma romanizzata (circa 4.000)201

tramite le quali è agevolmente ricostruibile il sistema di romanizzazione usato.

7.6.1 Grafemi iniziali dell’Atlas (MM2)

Grafemi iniziali del Novus Atlas Sinensis

NAS IPA Attacchi/Nuclei

c, c‟

k, k‟ *(kh)

q, q‟

/k/, /kh/

(-a, -o, -u)

(-e, -i), *raro

(-u-)

c, c‟ /ts/, /tsh/

(-e, -i/y)

ç, ç‟ (-a, -u)

ch, ch‟ /tʃ/, /tʃh/ %

f /f/ %

g /ŋ/-/ʔ/ %

j/i

g /ʒ /

(-e, -u)

(-e, -i)

h /x/ %

l /l/ %

m /m/ %

n /n/ %

*gn */ɲ/ *(solo 1 sillaba: -i)

p, p‟ /p/, /ph/ %

s /s/ %

t, t‟, *th /t/, /th/ %, *(-a, -i, -o, -u, raro)

x /ʃ/ %

201

Il database delle parole in forma romanizzata, seguite dai caratteri cinesi e pinyin

corrispondenti, mi è stato gentilmente fornito dal prof. Federico Masini, facilitandomi di gran

lunga il compito della raccolta dati.

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148

Il numero di grafemi, almeno 24, è superiore alla quantità dei 20/21 fonemi di

riferimento, il che è dovuto ad una certa quantità di allografie, più o meno

sistematiche. Le coppie di fonemi aspirati/non aspirati trovano rese grafiche

distinte. Esattamente come nella Brevis Relatio, è possibile osservare la presenza

del grafema iniziale ç- in sovrapposizione con c- per /ts/; a differenza di quanto

si riscontra nel De Bello e successivamente nella Decas, non compare un terzo

allografo z-.

In generale, il set di grafemi iniziali dell‟Atlas, come quello della Relatio, tutto

sommato non si discosta molto da quello della romanizzazione MM1 presente

nella grammatica, dalla quale differisce invece per i tipi grafici delle rime.

7.6.2 Tipi grafici delle rime dell’Atlas (MM2)

Per quanto riguarda le rime, l‟Atlas offre una quantità di sillabe abbastanza

consistente da poterne tracciare lo schema in maniera sufficientemente

dettagliata:

Tipi grafici delle rime del Novus Atlas Sinensis

V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC

-a -ai/ay;

-ang(-am); -an;

-ao; -au

-e -en; -eng; -eu -eang; -eao

-i/y -ia; -ie/ye;

-in/yn; -ing/yng;

-io/yo

-iu/yu

-iai/yai;

-iang/yang(iam);

-iao/yao;

-ien/yen; -ieu/yeu;

-iue/yue; -iun/yun;

-iung/yung

-iuen/yuen

-o -oa; -ou; -on -oai; -oan; -oang;

-oei; -oen

-u

(uu/uv/uvo/vu/úú/v‟)

-ua; -ue; -ui;

-ung(um);

-un; -uo;

-uang/vang;

-uei/uey;

-uen; -uon;

ul,lh

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149

Il set delle rime grafiche appare dotato di una buona coerenza interna; le poche

stranezze che compaiono tra i tipi grafici delle rime dell‟Atlas sono

rappresentate: 1) da una ricca serie di varianti per la sillaba con iniziale zero u,

che è resa in sei modi differenti (u, uu, uv, uvo, vu, v); 2) da rarissime occorrenze

di un grafema -m in coda di sillaba, retaggio di MM1 (un totale di tre o quattro

casi, decisamente trascurabile, data la grande quantità di dati). Le rime

interessate da questo fenomeno (-am, -iam, -um) sono considerate allografi

occasionali rispettivamente di -ang, -iang/yang, -ung, quindi non computate

come tipi singoli; 3) dalla compresenza delle due rese ul e lh per /ɚ/.

Il numero totale delle tipi di rime estrapolati dall‟Atlas è di 48, più la sillaba

“speciale” ul,lh; si tratta quindi di una quantità leggermente inferiore al set delle

50/55 rime fonologiche di riferimento.

7.6..3 Diacritici dell’Atlas (MM2)

L‟annotazione dell‟aspirazione è quasi sempre effettuata tramite l‟apostrofo ( „ )

posto dopo la consonante iniziale, eccetto rari casi in cui compare la h, quasi

esclusivamente a seguito del grafema t- (Thaiming 大明, thaitung 大同, thang 唐,

thangxan 唐山 , thienxui 天水 , thokiue 突厥 ), mentre si registra una sola

occorrenza a seguito di k- (khi 祁, khoching ~城); si tenga presente inoltre che

non tutte le sillabe per cui ci si aspetterebbe una consonante iniziale aspirata

presentano nota dell‟aspirazione.

Nemmeno l‟Atlas offre un quadro dei diacritici usati in MM2 per i toni; va però

notato che, nelle prime edizioni dell‟Atlas, sulle sillabe romanizzate comparivano

di tanto in tanto degli accenti gravi ( ` ) o acuti ( ) che, a parere di chi scrive,

sono un indizio della presenza dei toni nel manoscritto dato alle stampe. Per un

quadro dei toni di MM2, tuttavia, disporremo dell‟Additamentum di Golius,

editorialmente connesso all‟Atlas in modo diretto.

7.6.4 Considerazioni finali sulla romanizzazione dell’Atlas (MM2)

Si conclude che dall‟Atlas possiamo ottenere un quadro abbastanza completo e

attendibile del sistema MM2, pur mancando alcune distinzioni sul piano delle

rime e non rendendo conto del sistema dei toni.

Sono rarissimi i casi in cui i nomi cinesi nell‟Atlas vengono declinati,

comparendo per lo più nella loro forma originaria senza desinenze.

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150

7.7 Sinicae Historia Decas Prima

Sebbene la Decas fu l‟ultima opera ad essere pubblicata (1658), anch‟essa rivela

una forma di romanizzazione in bilico tra il sistema MM1 ed MM2, oltre ad

ulteriori rarissime eccezioni e stranezze. In questo caso, il rapporto tra la

percentuale delle eccezioni e la totalità dei dati è, rispetto all‟Atlas, leggermente

più alto, anche se il fenomeno resta comunque molto limitato.

Un fattore che va necessariamente considerato, in questo senso, è quello della

mancata possibilità dell‟autore di curare personalmente l‟edizione a stampa.

Martini, infatti, consegnò il manoscritto della Decas ai confratelli del collegio

gesuita di Monaco nel 1657, affidando loro il compito di darlo alle stampe, non

potendo attendervi personalmente a causa del suo imminente ritorno in Cina.

7.7.1 Grafemi iniziali della Decas (MM2)

Il set di iniziali della Decas è abbastanza chiaro; nella tabella seguente se ne

trova un quadro completo:

Grafemi iniziali della Decas

Decas IPA Attacchi/Nuclei

c

k

q

/k/, /kh/

(-a, -o, -u)

%

(-u)

c

z /ts/, /tsh/

(-i, -e)

(-a, -o, -u)

ch /tʃ/, /tʃh/ %

f /f/ %

g /ŋ/-/ʔ/ (-a, -u)

j /ʒ /

(-o, -u)

g (-i, -e)

h /x/ %

l /l/ %

m /m/ %

n /n/ %

p /p/, /ph/ %

s /s/ %

t /t/, /th/ %

*v */v/-/ʋ/ %

x /ʃ/ %

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151

Ritorna, tra le iniziali della Decas, il grafema z- incontrato nel De Bello, ma qui è

usato sistematicamente, in distribuzione complementare con l‟allografo c-.

Il grafo v- è impiegato frequentemente in posizione iniziale, ma si dubita del

suo valore consonantico, specialmente in casi di sillabe come v, in cui il grafo

compare da solo, pertanto rappresentando certamente un valore vocalico.

Compaiono una sola volta i digrammi ng-, kh- e th- che, non apparendo

sistematicamente, si preferisce considerare estranei al set.

7.7.2 Tipi grafici delle rime della Decas (MM2)

Dalle circa 800 parole cinesi romanizzate che compaiono nella Decas è stato

inoltre possibile estrarre i seguenti 49 tipi grafici di rime:

Tipi grafici delle rime della Decas

V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC

-a -ai/ay;

-ang(am); -an;

-ao; -au

-e -en; -eng; -eu -eang; -eao

-i/y -ia/ya; -ie/ye;

-in/yn/ijn;

-ing/yng(im);

-io/yo

-iu/yu

-iai/yai;

-iang/yang(iam);

-iao/yao;

-ien/yen; -ieu/yeu;

-iue/yue; -iun/yun;

-iung/yung(ium)

-iuen/yuen

-o -oi; -on; -ou; -oai; -oan; -oang;

-oei; -oen

-u

(uu)

-ua; -ue/ve; -ui/vi;

-ung(um);

-un;

-uo/vo

-uai;

-uang/vang(uam);

-uan; -uei; -uen;

-uon/von

ul

Come per l‟Atlas, nella Decas si riscontra la compresenza dei due grafemi finali -

m e -ng, allografi per il fonema /ŋ/ in coda di sillaba; tuttavia, le rime terminanti

in -m sono comunque da considerarsi eccezioni, per l‟esiguo numero di

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152

occorrenze. Alcuni esempi della coesistenza di questi due grafemi finali possono

essere osservati nelle tabella seguente: 202

Alcune romanizzazioni particolari nelle rime della Decas

Trascrizione Pinyin Cin.

Chamye Changyi 昌邑

Chumlien/Chunglien Zhong Lian 仲連

Chumxin Chun Shen 春申

Cumpin Kong Bin 孔斌

Cumpu Gongbu 工部

Cumsu Gong Sui 龔遂

Gaocam Aocang 敖倉

Huquam/Huquang Huguang 湖廣

Kamxo Kangshu 康叔

Kimco Jing Ke 荊軻

Limlun Linglun 滕公

Mungtienus/Mumhoeus Meng Tian 蒙恬

Pan Cum Ban Gong 伶倫

Poyang/Poyam Pu Yang 濮陽

Yumchinius Rongcheng 容成

7.7.3 Osservazioni finali sulla romanizzazione della Decas (MM2)

Nella Decas manca qualsiasi tipo di diacritico, fatta eccezione per le rarissime

occorrenze di un grafo h come marca dell‟aspirazione. Inoltre, mentre i nomi di

persona sono quasi sempre declinati, i toponimi compaiono sia in forma

originale senza aggiunta di desinenze, sia declinati secondo il contesto

Si ribadisce che, in generale, il numero di sillabe/parole della Decas recanti

stranezze nella romanizzazione è minimo rispetto a quelle che rientrano in una

forma stabile della romanizzazione MM2..

202

I dati contenuti nella tabella mi sono stati gentilmente forniti da Federico Masini e Luisa M.

Paternicò, che li hanno raccolti in vista della prossima pubblicazione del volume IV dell‟Opera

Omnia di Martini, dove sarà contenuta una traduzione integrale originale della Decas in italiano,

corredata di un esteso apparato di note e appendici.

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153

7.8 Diacritici di MM2 in Golius

Fin dalla prima edizione dell‟Atlas, nel 1655, comparivano due appendici: la

prima era uno scritto dell‟orientalista Jacob Gohl (Golius), intitolata De Regno

Catayo Additamentum (Appendice sul Regno del Cataio); la seconda era una

riedizione del De Bello Tartarico adattata al formato in quarto, che sviluppava

così solo una trentina di pagine.

Lo scritto di Golius aggiungeva prove alla dimostrazione dell‟identità tra Cataio

e Cina, tramite l‟analisi del sistema di numerazione sessagenario cinese,

cosiddetto dei “rami terrestri” (dìzhī 地支) e dei “tronchi celesti” (tiāngàn 天干),

che Golius dimostrò coincidere con quello fino ad allora conosciuto come “Ciclo

del Cataio” in uso presso i matematici persiani e turchi.

Nello scritto compare lo schema dei rami e dei tronchi, con i rispettivi nomi

cinesi in romanizzazione, i caratteri cinesi, il nome in alfabeto arabo e la

traduzione del significato in latino. Tutte le romanizzazioni cinesi recano i

diacritici dei toni, come illustrato dall‟immagine seguente: 203

Rami terrestri

çù ch’eù yìn maò xȋn sú v vȋ xīn yeù sĭo haì

子 丑 寅 卯 辰 巳 午 未 申 酉 戌 亥

Tronchi celesti

kĭa yì pìng tīng vû kì kēn sīn gín queì

甲 乙 丙 丁 戊 己 庚 辛 壬 癸

Si possono osservare cinque diversi toni: ˉ, , `, , ˘, compatibili, per non dire

identici, con quelli dei sistemi già affrontati, tra cui MM1, con la sola differenza

che la scelta editoriale nello scritto di Golius ha optato per una forma più

arrotondata dei toni con profilo curvo ( ˘ ), ( ), rispetto alle rese grafiche più

203

MARTINI (1655a:iiij)

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154

angolate ( ˇ ),( )presenti in molti manoscritti della Grammatica, o nella stampa

xilografica dello XREMZ.

Lo scritto di Golius solleva inoltre alcuni quesiti: 1) Perché i toni appaiono solo

nel suo scritto e non in quelli di Martini? La risposta che sembra più probabile

chiama in causa osservazioni di natura tipografica. Ovvero, l‟aggiunta dei

diacritici per ogni sillaba romanizzata richiedeva un ulteriore sforzo tipografico,

oltre a possibili problemi pratici di combinazione dei caratteri mobili. Se questo

sforzo poteva essere accettabile in uno scritto breve e contenente pochissime

sillabe cinesi come quello di Golius, probabilmente per uno scritto lungo e

complesso come l‟Atlas (e in piccolo anche per il De Bello) si è optato invece per

una semplificazione, magari anche legata ai costi di stampa; 2) All‟interno del De

Catayo Additamentum, compare anche la lista dei dodici segni zodiacali cinesi,

così come riportato qui di seguito: 204

Segni dello zodiaco cinese

glis vel

mus bos tigris lepus draco serpens equus ovis simia gallina canis sus

xù nieû hù t’ú lûm xĕ mà yâm heû kī kèu chū

Dovrebbe essere facile accorgersi di una stranezza, rappresentata dalla presenza

del grafema -m in coda a due sillabe (lûm, yâm). Come mai in uno scritto così

breve, probabilmente passato anche sotto il controllo di Martini, compaiono

due forme di trascrizione diverse?

Golius non conosceva il cinese, i pochi rudimenti li aveva avuti da Martini stesso

nei pochi giorni passati con lui ad Anversa. Non è da escludere che Martini

abbia regalato a Golius una copia della Grammatica, fatto che potrebbe essere

testimoniato da alcuni passaggi nel testo di Golius che sembrano citazioni fedeli

della Grammatica, si confronti ad esempio questo passaggio riguardo ai diversi

modi di pronunciare una sillaba:

[…]Ex quibus patet decem omnino diversas esse posse eiusdem vocis pronunciationes, EG.

kó: kò: kŏ: kō: kô: k’ó: k’ò: k’ŏ: k’ō: k’ô.

(Martini, manoscritto di Vigevano)

204

MARTINI (1655a:vj)

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155

[…]Ex. Gr. Simplex admodum haec monosyllaba Ko, Sinarum ore pronunciatur vel decem

modis: kō, kò, kó, kŏ, kô, k‟ō, k‟ò, k‟ó, k‟ŏ, k‟ô.

(Golius, De Catayo Additamentum)

La scelta della stessa sillaba Ko, non sembra possa essere del tutto casuale.

Quindi, se ammettiamo che Golius fosse in possesso di una copia della

grammatica, sappiamo che aveva in mano un quadro di romanizzazione (MM1)

diverso da quello dell‟Atlas e del De Bello (MM2). Possiamo ipotizzare che Golius

fece correggere a Martini una prima bozza dello scritto, alla quale

successivamente aggiunse anche la parte sui segni zodiacali, per trascrivere i

quali dovette forse far riferimento alla grammatica, non badando ad uniformare

la romanizzazione.

Le marche tonali non sono gli unici diacritici che appaiono nell‟Additamentum;

la romanizzazione nello scritto di Golius, infatti, utilizza anche il punto

soprascritto ( ˙ ), sia sulla -o, sia sulla -u.205 Ciò fa pensare che anche questo

diacritico doveva essere previsto nella romanizzazione MM2 di Martini.

7.9 Conclusioni sul sistema di romanizzazione MM2

L‟analisi delle romanizzazioni utilizzate nelle singole opere post-1654 ha rivelato

che le differenze sostanziali tra i sistemi MM1 e MM2 sono di varia natura.

Sul piano fonologico, sia del set dei grafemi iniziali, sia dei tipi grafici delle rime,

le diversità sono essenzialmente tre:

- Il fonema iniziale identificabile come /ŋ/, passa da ng- (MM1) a g- (MM2);

- La coppia di fonemi iniziali /ts/, /tsh/, in MM1 resa con le coppie di

grafemi ç/ç’- e c/c’-, ), rimane uguale in una fase intermedia di MM2

rappresentata da Relatio e Atlas, passando invece ai grafemi c-, z- in

MM2 del De Bello e della Decas;

- Il fonema /ŋ/ in coda di sillaba, passa da -m (MM1) a -ng (MM2).

205

Cfr. MARTINI (1654a:v)

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156

Sul piano dei diacritici, si è visto che la romanizzazione MM2 delle quattro opere

post-1654, apparentemente, non impiegava né il punto soprascritto ( ˙ ) per

l‟indicazione della variazione di apertura vocalica, né le marche grafiche per i

toni. Si è potuto, tuttavia, trovare traccia di questi diacritici nello scritto di Golius,

al quale è plausibile conferire uno statuto di appartenenza a MM2, in quanto

Martini stesso deve aver operato un lavoro di revisione sull‟Additamentum, date

le pressoché nulle competenze di Golius nella lingua cinese. Ciononostante è

innegabile che nelle romanizzazioni dell‟Additamentum affiorino interferenze e

stranezze di vario genere.

Sul piano prosodico, la sola differenza lampante tra MM1 e MM2 è la mancanza

dei toni nella seconda, che abbiamo però provato a ricostruire dallo scritto di

Golius, con le dovute riserve. Tuttavia, come si era osservato nel paragrafo

introduttivo, anche nelle poche lettere scritte da Martini dopo il 1654

compaiono sparuti gruppi di sillabe romanizzate recanti i diacritici per i toni; in

una certa misura si può quindi essere abbastanza certi che il sistema MM2 ne

prevedesse l‟uso, anche se nelle quattro opere analizzate esso non compare.

Questo porta alla conclusione generale riguardo alla fondamentale differenza

tra le romanizzazioni MM1 e MM2: il primo sistema, MM1, adottato in primis

nella Grammatica Sinica, era uno strumento utile a facilitare lo studio della

lingua, in particolare della pronuncia; al contrario, la romanizzazione MM2 ha

una funzione più divulgativa, in quanto usata in opere dove la perfetta

descrizione della pronuncia dei nomi cinesi non era un requisito fondamentale,

fatto dimostrato anche dall‟ulteriore grado di integrazione di MM2 nel testo,

realizzata tramite la declinazione dei nomi romanizzati secondo l‟uso latino.

7.10 Quadro riassuntivo delle romanizzazioni MM1 e MM2 a confronto

Grafemi iniziali di MM1 e MM2 a confronto (+ differenze sulla coda /ŋ/)

MM1 MM2 IPA

Grammatica Relatio Atlas De Bello Decas

ç, ç‟ ç ç, ç‟ z z

/ts/, /tsh/

c, c‟ c c, c‟ c c

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157

c, c‟ c c, c‟ c c

/k/, /kh/ k, k‟ k k, k‟ k k

q q q q q

ch, ch‟ ch ch, ch‟ ch ch /tʃ/, /tʃh/

f f f f f /f/

g g

g ---

g /ʒ /

j j/i j

h h h h h /x/

l l l l l /l/

m m m m m /m/

n n n n n /n/

ng g g g g /ŋ/-/ʔ/

g

p, p‟ p p, p‟ p, p‟ p /p/, /ph/

s s s s s /s/

t, t‟ t, th t, t‟ t, th t /t/, /th/

--- *v --- --- *v /v/-/ʋ/

x x x x x /ʃ/

Resa del fonema di coda /ŋ/

-m -ng -ng(m) -ng -ng(m) /ŋ/

Diacritici e grado di latinizzazione di MM1 e MM2 a confronto

MM1 Fino al 1653 Aspiraz. Toni Punti Latin.

Grammatica Sinica pre-1653 ( „ ) si si no

Lettere " no no no no

MM2 Dal 1654

Brevis Relatio 1654 no no no no

Atlas Sinensis 1655

( „ ), (-h-) no no 50%

Additamentum ( „ ) si si no

De Bello Tartarico “ (-h-) no no 90%

Decas Prima 1658 rara (-h-) no no 100%

Lettere post-1654 rara rari rari var.

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158

A sinistra: Pagina del De Bello Tartarico

(1655) di Martini.

Le romanizzazioni dei nomi cinesi

compaiono inserite nel testo, perlopiù

declinate secondo la flessione latina.

In basso: Particolare di una tavola

dell‟Atlas (1655) di Martini.

I toponimi romanizzati, sia nelle carte

topografiche, sia nel testo, compaiono

perlopiù nella loro forma originaria,

senza essere declinati all‟uso latino.

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159

8.0 Michal Boym

Michał Piotr Boym nasce nel 1612 a Lwow, nel sud della Polonia; il padre ricopre

l‟incarico di medico di corte al servizio del re Sigismondo III. È da lui che il

giovane Boym apprende rudimenti di medicina, chimica e botanica, negli anni

precedenti alla sua entrata nella Compagnia di Gesù, avvenuta nel 1629.206 Dopo

circa quindici anni di studi religiosi, nel 1643, si imbarca da Lisbona verso

l‟oriente, raggiungendo nel 1645 i confratelli impegnati nella missione di

Tonkino (Hanoi) in Vietnam. Dopo poco più di un anno, nel 1647, si sposta

nell‟isola di Hainan, nel sud della Cina, presso la città di Ding‟an 定安 (a sud di

Qiongzhou 琼州); Boym arriva quindi in Cina quando la presa di Pechino da

parte dei Qing (1644) è già compiuta. Torna poi per un periodo a Macao, dove

nel 1650 pronuncia i suoi voti religiosi; in seguito è inviato dall‟allora superiore

della missione Alvaro Semedo (1585-1658) nel Guangxi, in aiuto al confratello

Andreas Wolfgang Koffler (1603-1651), già in servizio presso la corte dell‟ultimo

imperatore Ming, Yongli (regn. 1646-1662), arroccata nel sud del paese dopo la

presa di Pechino.

L‟accoglienza riservata a Boym dalla deposta corte dei Ming, unita alle

conversioni al cristianesimo di alcuni membri illustri della famiglia imperiale, fa

sì che Boym sposi la causa Ming, perorando altresì il progetto di restaurazione

diventandone l‟ambasciatore presso le corti europee e la Santa Sede. A tal fine,

nel 1651 s‟imbarca da Macao per Goa, da cui poi fa ritorno in Europa via terra,

arrivando a Venezia nel 1652, dove viene ricevuto dal Doge; successivamente si

reca a Roma per conferire con il nuovo Papa, Alessandro VII (1599-1667),

appena succeduto a Innocenzo X (1574-1655). Il gesuita polacco espone la

situazione della missione e la causa della famiglia Ming a tutti i suoi interlocutori,

compreso l‟allora preposto generale della Compagnia, Goschwin Nickel (1652-

1664).

Ma la scelta sia dei regnanti europei, sia della Santa sede, sia dei vertici della

Compagnia, è di non interferire nelle vicissitudini politiche dell‟impero cinese,

specialmente dopo aver valutato gli scarsi vantaggi e i molti rischi implicati

206

PFISTER (1932-34:269-276); secondo altre fonti, la data di ingresso nel noviziato di Cracovia

sarebbe il 1631, cfr. GOODRICH (1976:I:20-22)

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160

dall‟eventuale appoggio alla dinastia sconfitta.207 Boym, fallita la sua ambasciata,

decide di tornare in Cina. Nel 1656 si imbarca da Lisbona con altri otto

confratelli, tra i quali Philippe Couplet (1623-1693) e François de Rougemont

(1624-1676); il viaggio è travagliato, la nave viene bloccata a Goa da una flotta

olandese, 208 alcuni continuano via terra, altri cercano un passaggio dalle

imbarcazioni dirette a Macao. Boym riesce così a raggiungere il Siam nel 1658,

da dove pensa di imbarcarsi per Macao; ma, da parte delle stesse autorità

portoghesi di Macao, gli giunge il messaggio di non tornare in Cina, dove

sarebbe stato respinto o imprigionato in quanto messaggero della deposta

corte Ming.

Il gesuita polacco rimane in Siam per qualche tempo, da dove poi decide di

spostarsi in Vietnam presso la missione di Tonkino, proprio in un periodo in cui

la religione cristiana è lì osteggiata e prescritta; così Boym, piuttosto che

fermarsi in clandestinità, tenta di rientrare in Cina dal confine vietnamita col

Guangxi, ma ormai le truppe mancesi presidiano ogni accesso al paese, e

l‟ingresso è impossibile. Anche un successivo tentativo di rientrare a Tonkino

fallisce, in quanto la richiesta è rifiutata dai padri gesuiti lì residenti; lo sconforto

e le peripezie concorrono a far cadere Boym in un grave stato di malattia, che

ne provoca la morte nel 1659.209

Boym ha quindi passato un periodo relativamente breve in Cina, essenzialmente

dal 1647 al 1651. Ammettendo che possa aver acquisito delle nozioni di lingua

cinese fin dal primo passaggio in Vietnam, resta comunque probabile che abbia

intrapreso il vero e proprio studio della lingua presso la sua prima destinazione

cinese, Ding‟an (Qiongzhou, Hainan). Difficile dire quale livello di competenza

nella lingua cinese possa aver raggiunto in soli quattro anni di permanenza in

Cina; c‟è da dire che almeno un compagno cinese, tale André Sin,210 rimase al

207

I gesuiti attivi nel nord del paese erano già stati accolti dalla nuova corte dei Qing, e

probabilmente questa importante garanzia concessa alla missione cinese non poteva, agli occhi

del padre generale, essere sacrificata per una causa che non apparteneva alla Compagnia. 208

PELLIOT (1935:129) 209

PFISTER (1932-34:275) 210

Di questo convertito cinese, compagno di viaggio di Boym, non si hanno molte notizie. Il suo

cognome, trascritto come Sin, è stato interpretato da alcuni (es. Pelliot, Fang) come

corrispondente a 沈 (Shěn), ma B. Szczesniak ha definitivamente accertato che il cognome esatto

fosse 鄭 (Zhèng), come testimoniato da alcune carte autografe conservate all‟ARSI, cfr.

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161

suo fianco anche tutti gli anni a seguire, consentendogli probabilmente di non

perdere la padronanza linguistica acquisita, nonché collaborando alla

compilazione delle sue opere sinologiche.

Quest‟ultime, nella misura in cui gli vengono attribuite, sono molteplici e di varia

natura;211 tuttavia, la paternità di alcuni scritti è ancora piuttosto dubbia. Molte

di queste opere sono rimaste manoscritte, altre sono state pubblicate dallo

stesso Boym ancora in vita o da altri intellettuali europei in forma postuma, non

sempre dichiarandone la reale provenienza.

La gran parte della sua opera era destinata al pubblico europeo e, pertanto,

scritta perlopiù in latino; tra le opere che hanno visto la pubblicazione si

ricordano:

1) Briefve Relation, 1654. 212 Si tratta di un resoconto sulle attività e i

progressi ottenuti dalla missione gesuita in Cina fino al 1652, incluso il

racconto delle conversioni avvenute tra i membri della corte Ming.

2) Flora Sinensis, 1656. 213 Una raccolta di informazioni riguardanti varie

specie vegetali e animali presenti in Cina, completa di illustrazioni.

3) Monumenti Sinico-Chaldaei Interpretatio, in Kircher, China Illustrata,

1667.214 Consistente nella trascrizione dell‟iscrizione presente sulla Stele di

Xi‟an,215 in caratteri cinesi, romanizzazione e traduzione letterale.

SZCZESNIAK (1935:531:n.123); del nome ci è noto solo quello di battesimo, André. Indicato

pertanto in cinese sia come 沈安德 Shen Ande, sia come Zheng Ande 鄭安德 o Zheng Andele

鄭安德肋. In origine, i compagni cinesi designati da Yongli per accompagnare Boym nella sua

ambasciata in Europa erano due: André Zheng, appunto, e un altro convertito cinese di

cognome Lo, per lo più interpretato come 羅 (Luó), battezzato col nome di Joseph (若瑟 Ruòsè);

tuttavia, Joseph Luo si ammalò e dovette rinunciare al viaggio, cfr. PELLIOT (1935:112) 211

Il lavoro più completo e approfondito sulla produzione scritta attribuibile a Boym è

certamente l‟articolo di Szczęśniak (1955), che elenca e descrive dettagliatamente tutte le

attribuzioni possibili. 212

BOYM (1654), la Briefve Relation, nella sua versione francese, ebbe quattro edizioni: due nel

1664, poi nel 1696 e nel 1730 in Thévenot (1696, 1730:II:1-14) [numerazione separata] 213

BOYM (1656), tradotta in francese in Thevenot (1664:15-30) 214

“Monumenti Sinico-Chaldaei ante mille circiter annos ab Evangelicis Christianae Legis

propagatoribus in quodam Chinae Regno, quod Xensi dicitur, erecti, et anno tandem 1625

primum insigni Christianae Legis emolumento detecti, fida, sincera et verbalis Interpretatio”, in:

Kircher, A., China illustrata…, Amsterdam, 1667, pp. 7-29

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162

4) Specimen Medicinae Sinicae, 1682.216 È un trattato di medicina tradizionale

cinese, curato dal medico e botanico tedesco Andreas Cleyer (1634-

1698), residente a Batavia. L‟opera raccoglie, senza dichiararne il vero

autore, alcuni scritti inediti di Boym, che probabilmente sarebbero dovuti

confluire in un progetto editoriale dello stesso gesuita.

5) Clavis medica ad Chinarum doctrinam de pulsibus, 1686. 217 Anche

quest‟opera tratta di medicina tradizionale cinese, in particolare del

metodo di diagnosi tramite l‟esame del polso. È un lavoro curato dal

gesuita belga Couplet, che riprende gran parte degli scritti contenuti

nell‟opera curata da Cleyer e ne ristabilisce la reale paternità.

Rimangono anche molti lavori manoscritti, conservati presso vari archivi e

biblioteche di alcuni paesi europei; tra i più importanti si ricordano:

1) Magni Cathay, pre-1652, conservato presso la biblioteca Apostolica

Vaticana (BAV),218 Un insieme di 18 carte geografiche, precedute da due

fogli comprendenti il titolo e un indice di contenuti. I capitoli che

appaiono nell‟indice non sono allegati alle mappe, né conservati nello

stesso luogo, ma la redazione dell‟indice dimostra l‟intenzione di un

progetto editoriale completo per un‟opera geografica - divulgativa.219

2) Raccolta di carte relative a Boym, delle quali molte autografe, presso

l‟Archivio Storico dei Gesuiti (ARSI).220 Tra queste, una relazione sulla Cina

intitolata Brevis Sinarum Imperii Descriptio, oltre a varie lettere cinesi

scritte dai membri della Corte Ming al Papa e al Generale della

215

Stele eretta nel 781, durante la dinastia Tang, da alcuni monaci siriani residenti in Cina in

quell‟epoca; il contenuto celebra i successi della Chiesa cristiana d'oriente in Cina. La stele fu

scoperta casualmente da alcuni lavoratori cinesi intorno al 1625, nei pressi dell‟odierna città di

Xi‟an 西安, nello Shaanxi 陝西. 216

BOYM & CLEYER (1682) 217

BOYM, CLEYER & COUPLET (1686) 218

BAV, Roma, Fondo. Borg. Cinese, sygn. 531 219

Cfr. Szczesniak (1955:525-526) 220

In particolare ricordiamo l‟insieme di documenti raccolti sotto la collocazione Jap.Sin. 77; per

un elenco completo dei documenti relativi a Boym conservati all‟ARSI, cfr. Szczesniak, 1955,

p.533

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163

Compagnia, corredate di versione romanizzata e traduzione in latino,

probabilmente ad opera di Boym.221

Questo breve elenco di opere e documenti non esaurisce la lunga lista di lavori

attribuiti a Boym, bensì riporta solo i materiali più interessanti dal punto di vista

della presente ricerca.

Agli scritti appena enumerati, si potrebbe aggiungere un insieme di documenti

che, a conoscenza di chi scrive, non sono stati ancora mai studiati

approfonditamente. Si tratta di un gruppo di 15 carte geografiche manoscritte,

raffiguranti le province dell‟impero Ming, conservate presso l‟Archivio di Stato di

Roma (ASR).222 Le carte non sembrano essere autografe, almeno a giudicare

dalla riproduzione fotostatica a colori che il presente autore ha consultato;223 ma

alcuni indizi, forniti in particolare dalla romanizzazione, lasciano credere che si

possa trattare di materiale redatto e usato da Boym nella preparazione delle

tavole geografiche del Magni Cathay.

8.1 La romanizzazione nelle opere di Boym

In tutti i documenti sopra elencati è possibile osservare una gran quantità di

parole cinesi romanizzate, ma sussistono due problemi fondamentali:

innanzitutto, non solo in opere diverse si riscontrano sistemi diversi di

romanizzazione, ma addirittura all‟interno di una stessa opera sezioni differenti

221

Per un‟analisi completa dei documenti di Boym conservati all‟ARSI, cfr. Szczesniak (1955) 222

Presso la sezione manoscritti della biblioteca dell‟ASR sono conservate delle carte “cinesi”

denominate “Carte Ruggieri”. Il nome del gruppo di documenti fa riferimento al gesuita Michele

Ruggieri (cfr. cap. dedicato ), in quanto ad egli sono attribuiti i primi 41 fogli (num. 1-80 r-v),

costituenti la sua opera geografica in seguito ricordata come Atlante della Cina, (Lo Sardo, 1995).

Le restanti carte sono riconducibili ad epoche e autori diversi; tra queste, ci sono 15 tavole

geografiche (num. 87-101) che raffigurano tutte le province cinesi ad esclusione del (Liaodong

辽东) che io attribuisco a Boym. Simile ipotesi fu formulata da Donato Tamblé, funzionario

dell‟ASR, in una nota sulle “Carte Ruggieri” in Rassegna degli Archivi di Stato, LX, (2000),1, pp.

263-265; la nota è tuttavia priva di riferimenti a supporto dell‟ipotesi. 223

L‟ASR fornisce un efficiente quanto utile servizio di riproduzione digitale per alcuni dei suoi

fondi. Le carte Ruggieri sono consultabili online, previa registrazione gratuita, all‟indirizzo:

http://www.cflr.beniculturali.it/Patrimonio/Archivi/ASRoma.php (19/11/2009)

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164

impiegano romanizzazioni differenti; inoltre, poiché la maggior parte delle

opere di Boym sono giunte a pubblicazione attraverso terzi editori e compilatori,

anche quando si è abbastanza certi della paternità del gesuita polacco, non si

può facilmente ponderare come e in che misura l‟editore sia intervenuto a

modificare la romanizzazione originale.

Pertanto, al fine di poter individuare le caratteristiche della romanizzazione di

Boym, non si può prescindere da un esame comparativo di tutte le fonti.

Di questa fase dell‟analisi non si dà conto dettagliato, per evitare inutile

dispendio di tempo e per scongiurare un appesantimento del capitolo che

potrebbe generare confusione. Ci si limita ad osservare in maniera

estremamente intuitiva che, già dopo un primo confronto tra le romanizzazioni

di tutte queste opere collegate a Boym, tra le non poche differenze, saltano

però all‟occhio alcune particolarità ricorrenti, che invece non compaiono in altri

lavori contemporanei o successivi a Boym.

Una prima caratteristica, osservata da diversi studiosi, consiste nell‟uso

frequente del grafema y, 224 alternato al grafema i in maniera apparentemente

casuale e arbitraria, a meno che la cosa non accada secondo un criterio di

difficile interpretazione che, almeno per ora, non si è evinto. Più probabilmente

si tratta di un‟abitudine ortografica di Boym.

A differenza di quanto osservato da Simon (1959), questa alternanza tra y e i

non avviene solo alla fine di dittonghi o trittonghi (es. lay, poey, quey/quei),

bensì in qualsiasi posizione (es. ly/li, tym, hym/him, cyen, kien, lien, syen, tien,

nyu, kiu).

L‟uso indifferenziato di i e y non è un elemento che compare per la prima volta

nei testi connessi a Boym; se ne è vista già l‟esistenza in RLS (XZQJ) con

analoghe caratteristiche.

Sarebbe pertanto metodologicamente scorretto, sulla base di questo solo

indizio, affermare tout-court che la romanizzazione di Boym è “quella con tante

y”; ma è lecito, invece, seguire questo indizio e sperare di trovarne altri negli

stessi contesti, che magari si ripresentino ogni volta insieme alle y già

individuate. Questo potrebbe corroborare l‟ipotesi che la romanizzazione di una

certa opera o di un gruppo di opere legate a Boym, vista la presenza di certe

224

Questa peculiarità della romanizzazione di Boym è stata evidenziata anche in SIMON

(1959:168) e TAN (2008:120)

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165

caratteristiche non osservabili in altre fonti, sia strettamente connessa col

gesuita polacco.

Delle opere elencate in precedenza, quelle che impiegano una romanizzazione

“con tante y” sono:

- L‟intera sezione romanizzata di Monumento Sinico-Chaldei Interpretatio

(da qui in poi Stele) in Kircher;

- Alcune parti di Specimen Medicinae Sinicae (da qui in poi, Specimen), in

particolare il fascicolo intitolato “Pulsibus explanatis medendi regula”;225

- La maggior parte dei documenti romanizzati conservati all‟ARSI in

Jap.Sin. 77;

- Le carte geografiche conservate sotto il nome Magni Cathay presso la

BAV;226

- Le 15 carte geografiche conservate all‟ASR;

in misura minore:

- Flora Sinensis (da qui in poi, Flora).227

Pertanto si sono analizzate più nel dettaglio tutte le suddette fonti, ma non tutte

offrono la stessa quantità e qualità di dati: le fonti manoscritte (i documenti

dell‟ARSI, le carte geografiche alla BAV e all‟ASR) o xilografate (le didascalie

225

Lo Specimen Medicinae Sinicae… si compone di cinque sezioni, divise ulteriormente in capitoli.

Non tutte le sezioni, né i capitoli all‟interno di esse, presentano la stessa romanizzazione. Sulla

base dell‟indizio delle “y”, il fascicolo che appare più compatibile è quello denominato “Pulsibus

explanatis medendi regula”, situato tra le sezioni I “De pulsibus libros quatuor è sinico translatos”

e II “Tractatus de pulsibus ab erudito europaeo collecto”. 226

Purtroppo, a causa della lunga chiusura temporanea della BAV per lavori di ristrutturazione, è

stato possibile esaminare solo le riproduzioni fotostatiche di alcuni particolari di questi

manoscritti; chi scrive, non appena le condizioni lo permetteranno, si propone di procedere ad

un‟analisi più accurata sugli originali. 227

In quest‟opera, probabilmente a causa del fatto che Boym non curò personalmente il

processo editoriale, compaiono molte stranezze nella romanizzazione. Tuttavia, le tavole

illustrate presentano in riproduzione xilografica alcune decine di sillabe romanizzate, complete

di toni e aspirazioni. Nell‟analisi della romanizzazione in Flora Sinensis, pertanto, si sono tenute

in particolare considerazione le tavole illustrate, mentre si è cercato di tralasciare alcune

stranezze nel corpo del testo evidentemente causate dall‟editore.

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166

delle illustrazioni in Flora Sinensis) potrebbero garantire maggiori informazioni

sugli elementi grafici della romanizzazione; le fonti contenenti un maggior

numero di parole romanizzate, sia manoscritte che a stampa, permettono una

più completa ricostruzione del sistema di iniziali e rime.

Nel confronto tra le romanizzazioni dei vari scritti, si sono riscontrate altre

particolarità, osservabili sia nel set di grafemi iniziali, sia in quello delle rime.

8.1.1 Grafemi iniziali di Boym

Nelle tabella seguente sono messi a confronto i set dei grafemi iniziali delle

diverse fonti:

Grafemi iniziali delle opere Boym a confronto

Stele Flora Specimen Mappe

BAV

Mappe

ASR

JapSin 77

IPA Attacchi

/Nuclei ff.

84,86

ff.

94-104

c, c‟

k, k‟

q

k

q

c

k

q

k

q

c,

k

q

k

q

c

k, k‟

q

/k/, /kh/

(-um)

%

(-u-)

c, c‟ c c c

c c c /ts/,

/tsh/

(-e-, -i/y)

ç, ç‟ ç ç ç ç ç, ç‟ (-a-, -o, -u)

ch, ch‟ --- ch ch ch ch c, c‟ /tʃ/,

/tʃh/ %

f f f f f f f /f/ %

h h h h h h h /x/ %

l l l l l l l /l/ %

m m m m m m m /m/ %

n n n n n n n /n/ %

g g g g g g g /ʒ / (-e-, -i)

ng

g --- g ng

ng

g

ng

g

ng

g /ŋ/-/ʔ/

(-a-, -e-)

(-u-, -o-)

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167

p228 p --- p p p p, p‟ /p/,

/ph/ %

s s s s s s s /s/ %

t, t‟ t t t t t, t‟ t, t‟ /t/, /th/ %

--- --- --- --- --- --- --- /v/-/ʋ/ ---

x x x x x x x /ʃ/ %

Come si evince dalla comparazione delle iniziali, le somiglianze tra le

romanizzazioni di tutte queste opere non risiedono solo nell‟alta frequenza del

grafo y; prende quindi sempre più corpo l‟ipotesi che si tratti di un sistema

comune e di uno stesso autore. Una particolarità dei grafemi iniziali contribuisce

ulteriormente a caratterizzare e distinguere questa romanizzazione da altre: si

tratta del gruppo di grafemi c-, k-, q-, nel loro probabile valore [k]. Sebbene

questo trio di grafemi sia presente anche in altri sistemi di romanizzazione, in

tutte le fonti connesse a Boym se ne riscontra un uso ortografico peculiare,

descrivibile come segue:

1) k- vale /k/ in ogni occasione, e compare in combinazione con qualsiasi

nucleo sillabico, cioè può essere seguito da qualsiasi vocale o semivocale;

2) c- vale /k/ solo nella sillaba cum, e comunque in alternativa a kum;

3) q- per /k/ solo quando seguito da un dittongo cominciante per u- (es.

quam, quei, quo), comunque in coesistenza con k- (es. kuam, kuei, kuo).229

Più in generale, in queste romanizzazioni, i tre allografi per /k/ c-, k- e q-

tendono fortemente a confluire tutti in k-, mantenendo le forme c- e q- solo in

rarissimi casi.

228

Tan Huiying elenca per la romanizzazione della Stele anche un‟iniziale p’, portando come

esempio due sillabe p’im 平 e p’an 攀, cfr. TAN (2009:119). Anche ad un attento riesame del

testo, personalmente non sono riuscito a trovare queste due sillabe, pertanto non inserisco

l‟iniziale p’ in tabella. 229

Nelle mappe dell‟ASR si riscontra anche almeno un‟occorrenza della sillaba qu, nella quale q-

è legato ad una rima con nucleo monottongale, ad esempio nella romanizzazione del carattere

孤(gū).

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168

Ci si trova in una situazione intermedia tra sistemi come RLS o MM1, dove

ognuno dei tre allografi per /k/ compare in combinazione esclusiva con

determinati nuclei sillabici,230 e altri sistemi, invece, come quello di XREMZ o

Diaz1, nei quali gli allografi c- e q- sono del tutto assenti e il valore /k/ è

rappresentato sempre e solo dal grafema k-. Questa peculiarità legata a Boym

non è riscontrabile in sistemi di romanizzazione cronologicamente precedenti

né, come si vedrà, in sistemi successivi a questo.

Non si può tralasciare un‟osservazione su una fonte in particolare, indicata come

ff. 94,104 del gruppo di documenti connessi a Boym e conservati all‟ARSI. Come

si nota dalla tabella, sebbene anche questa romanizzazione presenti la

caratteristica alta frequenza di y, tuttavia essa mostra alcune differenze con le

altre romanizzazioni esaminate; principalmente, rispetto agli altri sistemi, si

rileva l‟assenza del digramma ch-, con probabile valore /tʃ/, reso invece con il

grafema c-(seguito sempre e solo da nuclei inizianti per -i, es. cium, ciam, ciu,

cien, secondo un‟abitudine ortografica simile a quella italiana). Per le differenze,

o anomalie, che questo sistema presenta rispetto agli altri, d‟ora in poi si sceglie

di non considerarlo tra le fonti utili a ricostruire l‟ipotetico sistema di

romanizzazione di Boym.

L‟unica fonte che sembra proporre una romanizzazione corredata di marca per

l‟aspirazione sembra essere la Interpretatio della Stele di Xi‟an, in Kircher. In essa

compaiono solamente 12 sillabe recanti la marca per l‟aspirazione,231 eppure

rimane la fonte che ne fa il maggior utilizzo. Tutti gli altri documenti (eccetto i ff.

94,104 , esclusi per i suddetti motivi) praticamente non presentano affatto una

marca per l‟aspirazione.232 Come si vedrà più avanti, la trascrizione della Stele in

Kircher, pur contenendo molte stranezze e ambiguità editoriali, è anche una

delle fonti che meglio illustra la resa grafica del sistema tonale.

230

Per RLS e MM1 si hanno le seguenti regole ortografiche: con -a,-o sempre e solo c-, es. cai,

cam, cao, co, cum; con -e, -i sempre e solo k- es. kem, keu, kim; con i dittonghi inizianti per -u-,

sempre e solo q-, es. quo, quam, quei. 231

Le dodici sillabe sono: ç'an, ch'im, ch'in, c'um, k'ay, k'i, k'iu, k'o, t'ien, t'o, t'um, t'un.

Coerentemente, nella tabella non compare un grafema p’, in quanto non se ne ha nessuna

occorrenza, pur essendo probabile che fosse contemplato dal sistema di romanizzazione. 232

Si riscontra solo un‟occorrenza nel documento ff.84,86, dove compare almeno tre volte la

sillaba t’ien, l‟unica in tutto il testo a recare la marca per l‟aspirazione.

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169

Realizzando una sintesi, il set di iniziali della romanizzazione di Boym può forse

essere descritto come segue:

Sintesi dei grafemi iniziali nella romanizzazione di Boym

Boym (sintesi) IPA Attacchi/Nuclei

c, c‟

k, k‟

q

/k/, /k‟/

(-um)

%

(-u-)

c, c‟

ç, ç‟ /ts/, /ts‟/

(-e, -i/y)

(-a, -u)

ch, ch‟ /tʃ/, /tʃ‟/ %

f /f/ %

h /x/ %

l /l/ %

m /m/ %

n /n/ %

g /ʒ / (-e, -i)

ng

g /ŋ/-/ʔ/

(-a, -e)

(-u-, -o-)

p, *p‟ /p/, /p‟/ %

s /s/ %

t, t‟ /t/, /t‟/ %

--- /v/-/ʋ/ ---

x /ʃ/ %

8.1.2 Tipi grafici delle rime in Boym

Per quanto riguarda le rime, oltre ad aver escluso i ff.94,104 di Jap.Sin 77 per i

motivi già illustrati, si è stati costretti ad escludere anche le mappe denominate

Magni Cathay della BAV, in quanto la bassa qualità e la scarsa quantità delle

fotoriproduzioni di cui lo scrivente è in possesso non permettono la raccolta dei

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170

dati ad un livello accettabile, cosa che invece è stata possibile per i grafemi

iniziali.233

In generale, il confronto tra i restanti scritti presi in esame sembra rivelare un

alto grado di compatibilità sul piano delle rime. La raccolta dei dati ha

presentato un grado di difficoltà diverso a seconda della fonte presa in esame;

alcuni documenti, come Flora Sinensis, non sono stati considerati, giacché

offrivano pochi dati e mostravano una commistione di romanizzazioni. Si osservi

la tabella seguente per un quadro dei tipi grafici delle rime nelle diverse fonti:

Set dei tipi grafici delle rime nelle romanizzazioni di Boym a confronto

Stele Mappe ASR Jap.Sin. 77

ff. 84,86

Specimen

-a,

-ay,

-am, -an,

-ao

-a,

-ay,

-am, -an,

-ao, -au

-a,

-ay,

-am, -an,

-ao

-a,

-ai/ay,

-am, -an,

-ao, -au

-e,

-em, -en, -eu,

-eam, -eao,

-e,

-em, -eu,

-eam, -eao

-e,

-em, -eu,

-eam

-e,

-em, -eu,

-eam

-i/y,

-ia, -ie/ye,

-im/ym, -in/yn,

-io/yo, -iu/yu,

-iai/iay,

-iam/yam,

-iao/yao,

-ien/yen, -ieu/yeu,

-iue, -ium, -iun

-i/y,

-ia, -ie/ye,

-im/ym, -in/yn,

-io/yo,-iu/yu,

-iay,

-iam/yam,

-iao/yao,

-ien/yen, -ieu,

-iun/yun, -yum

-i/y,

-ie/ye,

-im/ym, -in/yn,

-iu/yu,

-yam,

-yao,

-ien/yen, -ieu/yeu,

-ium/yum, -yue,

-i/y,

-ia, -ie/ye,

im/ym, -in/yn,

-yo, -iu,

-iam, -iao,

-iem,

-ieu

233

Si dispone di alcune immagini che riproducono alcune delle mappe conservate alla BAV; nel

dettaglio: un‟immagine in formato JPG a colori della carta generale dell‟impero cinese,

solitamente denominata Sinarum Imperii Descriptio, in bassa risoluzione (72 dpi; dim.1824×1660

pixel), che permette la lettura chiara solo delle scritte più grandi (titolo mappa, nomi delle

province, alcune città); una seconda immagine, in formato PDF, della mappa dell‟isola di Hainan,

permette di scorgere bene tutte le consonanti iniziali dei toponimi, ma non le rime, ad eccezione

delle frequentissime e ben evidenti “y” che hanno spinto ad annoverarla tra le prime fonti

considerate.

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171

-iuen/yuen -yuen -yuen

-o,

-oa, -oe, -oy

-oay, -oam, -oan,

-oen, -oey

-o,

-oa, -oe

-o,

-oa,

-oam,

-oen, -oey

-o,

-oey

-u/uu,

-ua, -ue,

-um, -un,

-uo, -uy

-uay, -uam, -uan,

-uen, -uey,

-uom, -uon

-u/uu

-ue,

-um, -un,

-ui/uy,

-uam, -uan,

-uei/uey, -uen,

-uon

-u, -uu,

-um,

-uo, -ui/uy

-uam,

-uen, -uey,

-uon

-u,

-um,

-uo,-ui/uy,

-uam,

-uem, -uen, -uey,

-uon, -uoy

lh lh lh ul(ull)/lh

Come si evince dalla tabella, la differente tipologia delle fonti, unita alle diverse

quantità di dati che da esse è possibile estrapolare, determina alcune minime

discrepanze nel set dei tipi grafici delle rime. Ma il confronto mostra anche che

le quattro fonti hanno sostanzialmente lo stesso inventario di tipi grafici.

Riguardo all‟indizio da cui siamo partiti per l‟analisi, ossia l‟alta frequenza del

grafo y, si ribadisce che i grafi i ed y, in tutti questi sistemi connessi a Boym,

sembrano essere usati del tutto promiscuamente, e non sembrano essere in

opposizione a rappresentare una differenza fonetica di qualche tipo.234 L‟ipotesi

più probabile resta che i ed y siano semplici allografi, più o meno

sistematicamente alternati secondo l‟abitudine ortografica dell‟autore di queste

romanizzazioni.

Un‟ultima osservazione, che coinvolge il piano fonologico, sul set di rime delle

romanizzazioni di Boym, compare ad opera di Tan (2009:119) e riguarda la

frequente confusione delle due consonanti finali -n /n/ e -m /ŋ/, che spesso

compaiono utilizzate in modo confuso, non solo nell‟eventuale corrispondenza

alla reale o probabile pronuncia, ma anche in quanto ad uno stesso carattere

sono fatte corrispondere due pronunce (es. per 明 (míng) si ha sia mim che min;

per 能 (néng), sia nem che nen).

234

Si è anche tentato di ipotizzare, ad esempio, un‟opposizione del tipo i /ı/ opposta a y /i/;

oppure un‟opposizione di quantità, con i /iː/ opposta a y /i/-/j/

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172

8.1.3 Diacritici della romanizzazione di Boym

Nella tabella dei grafemi iniziali, esiste un certo numero di consonanti aspirate;

ma in realtà nessuna delle fonti impiega sistematicamente la marca per

l‟aspirazione, che infatti compare sempre in modo sporadico, minimo o nullo.

Dove compare, essa è resa sempre tramite un gancetto soprascritto alla sillaba

( c ), perlopiù al grafo iniziale; per comodità, qui è stata semplificata da un

apostrofo ( ‟ ) posto dopo il grafema iniziale, in coerenza con le convenzioni

redazionali stabilite.

Giungendo a parlare dei toni, non tutte le fonti li presentano ma, dove

compaiono, sono resi pressappoco con la stessa veste grafica, coerente con i

sistemi precedentemente affrontati; nell‟Interpretatio della Stele, nelle mappe

del Magni Cathay e nelle tavole di Flora Sinensis, tre fonti di cui una stampata

caratteri mobili, l‟altra con tecnica xilografica e l‟altra manoscritta, presentano i

toni nel numero di cinque, indicati graficamente da altrettante marche

sovrapposte alla sillaba: ˉ, ˆ, ´, `, ˘ , perlopiù posizionate sulla rima.

Le posizioni dei due diacritici (aspirazione e toni) variano a seconda delle fonti;

tendenzialmente, in particolare nella Stele e nelle tavole di Flora Sinensis,

l‟aspirazione è sovrascritta al grafo iniziale della sillaba, indipendente dalla

marca tonale.

In nessuna delle fonti connesse a Boym si riscontra un uso sistematico del punto

diacritico ( ˙ ) per l‟apertura vocale.235

8.1.4 Osservazioni finali sulle romanizzazioni di Boym

A Boym sono state attribuite molte opere, alcune delle quali sono rimaste

manoscritte, altre invece sono state pubblicate, in larga parte postume; le

romanizzazioni usate in queste opere sono di varia fattezza e stabilire quale sia

l‟originario sistema usato dal gesuita polacco non è impresa immediata.

In una certa quantità di documenti ad egli connessi, si riscontrano delle

caratteristiche ricorsive nella romanizzazione che, occorrendo sempre

contemporaneamente e non essendo ascrivibili ad altri sistemi di

romanizzazione conosciuti, possono essere interpretati come elementi di un

235

Se ne trovano rarissime occorrenze nei documenti manoscritti dell‟ARSI.

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173

sistema indipendente, probabilmente strettamente relazionabile a Boym. Di

queste caratteristiche si è dato conto nei paragrafi precedenti.

Nelle opere che, pur essendo connesse direttamente a Boym, non presentano

una romanizzazione con le suddette caratteristiche, sono spesso facilmente

individuabili altri sistemi conosciuti, il cui uso è conseguenza delle modifiche

apportate da un certo curatore ad un eventuale originale boymiano (ad es.

Couplet per Clavis Medica).

In alcuni casi, sulla base della ricostruzione che si è fatta del sistema di Boym, ci

si può anche spingere a dubitare o confutare la paternità boymiana di una certa

opera, ove essa non presenti la suddetta romanizzazione. Ad esempio, Esistono

due scritti attribuiti al gesuita polacco da alcuni studiosi:236 il primo è uno scritto

romanizzato intitolato Divinae Legis Compendium; 237 il secondo, anch‟esso

romanizzato, è il famoso Dictionaire Chinois et Francois allegato all‟edizione

francese dell‟opera di Kircher China Illustrata.238 Le romanizzazioni in questi due

documenti, tuttavia, in più di una caratteristica non concordano con la

ricostruzione effettuata in questa ricerca, inducendo pertanto a dubitare delle

due anzidette attribuzioni.

Al contrario, la stessa romanizzazione di riferimento può permettere di

corroborare l‟ipotesi di un plagio ai danni di Boym, dove un‟opera ne

presentasse la sua romanizzazione. Si pensi, ad esempio, al Sylloge minutiarum

lexici Latini-Sinico-characteristici, breve glossario cinese-latino con caratteri e

romanizzazioni, compilato da Mentzel e pubblicato nel 1685;239 Mentzel non cita

Boym in alcun punto del testo, ma ad un esame del glossario ci si accorge che

esso è stato compilato sulla base della trascrizione della Stele compilata da

Boym e inclusa in Kircher. Szczesniak,240 prima di individuare le evidenze nel

contenuto del glossario, è partito da alcuni indizi presenti nella romanizzazione,

e il quadro di riferimento qui descritto conferma l‟ipotesi dello studioso. Lo

stesso si potrebbe dire di altri lavori per i quali è presunta la paternità di Boym,

236

Cfr. SZCZESNIAK (1947, 1955, 1969), a lui si devono la maggior parte delle attribuzioni a

Boym, debite o indebite che fossero. 237

KIRCHER (1667:121-128) 238

KIRCHER (1670:323-367) 239

MENTZEL (1685), in Miscellanea curiosa sive Ephemeridum… [appendice] 240

SZCZESNIAK (1955:505-506)

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174

che potrebbe essere confermata o smentita dalla ricostruzione della sua

romanizzazione che si è qui tentata; si rimanda ad altra sede uno studio siffatto,

che esula dagli intenti di questa tesi.

In conclusione, si noterà che la romanizzazione di stampo boymiano

rappresenta comunque un ramo obliquo nella discendenza del filone

portoghese-ricciano; apparendo in contemporanea con un sistema simile

utilizzato dal gesuita italiano Martini (MM1); non avrà però il uguale successo e

pari diffusione presso le generazioni future, rimanendo caratteristico dell‟autore

che ne fece uso. Anche per questo motivo, rinvenire in uno scritto la

romanizzazione di Boym implica, con un certo grado di certezza, una

connessione diretta con lui.

Particolare di una delle mappe topografiche

della Cina conservate all‟ASR. Tutti i toponimi,

accanto ai caratteri cinesi, riportano la

pronuncia romanizzata, secondo un sistema

molto compatibile alle altre romanizzazioni

rinvenibili nelle opere di Boym.

Una tavola illustrata di Flora Sinensis (1656).

Sebbene nel testo la situazione delle

romanizzazioni è abbastanza caotica, nelle

tavole illustrate compaiono i nomi dei generi

botanici scritti in caratteri e romanizzazioni.

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175

La prima pagina della trascrizione romanizzata dell‟iscrizione sulla stele di Xi‟an; la

romanizzazione e la traduzione realizzate da Boym furono inserite nell‟opera di Kircher

China Illustrata (1667). La romanizzazione è molto compatibile con quelle di altre

opere attribuite a Boym.

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176

Sopra e sotto: immagini di due delle lettere scritte da Boym e Achille Pang, destinate al Papa

nella speranza che la Santa Sede potesse dare supporto alla deposta dinastia dei Ming.

In queste carte conservate all‟ARSI si nota l‟uso di romanizzazioni diverse, seppure per minimi

particolari, che contribuiscono a complicare il quadro delle romanizzazioni connesse a Boym.

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177

9.0 La romanizzazione portoghese dei gesuiti del padroado (Intorcetta&Al.)

Nel 1664, un gesuita del padroado, il tedesco Adam Schall Von Bell (1591-1666),

dopo un‟attività di oltre 30 anni presso il dicastero dell‟astronomia, viene

destituito e condannato a morte con l‟accusa, mossa da un funzionario dello

stesso ministero di nome Yang Guangxian 楊光先 (1597-1669), di aver artefatto

il calendario ufficiale con intenti sovversivi. L‟ostilità della Corte non si limitò ad

abbattersi sui gesuiti impiegati nel calcolo del calendario, evolvendo

immediatamente in una persecuzione di tutti i missionari presenti sul suolo

imperiale; Schall in seguito scampò all‟esecuzione, ma morì in prigionia, e la

maggior parte dei missionari di ogni nazionalità e appartenenza fu confinata a

Canton, a partire dal 1665 fino al 1671.

Questo esilio, con la convivenza forzata che ne derivò, se da una parte fu un

periodo di standby per l‟attività religiosa, dall‟altra risultò invece in una fase di

grande produttività sul piano linguistico e letterario. Tra i gesuiti relegati a

Canton erano presenti Ignazio da Costa (1599-1666), Antonio de Gouvea (1592-

1677), Christian Herdtrich (1625-1684), Prospero Intorcetta (1625-1696) e

Franciscus Rougemont (1624-1676), 241 che figureranno tutti tra gli

autori/curatori di un progetto corale di traduzione dei classici confuciani,

parzialmente realizzato nel corso dei quindici anni dal 1672 al 1687.

Aldilà della produttività misurata sui prodotti editoriali, va certamente notato un

altro risvolto interessante: il periodo di forzata convivenza, se da una parte

permise di accendere un intenso dibattito su questioni religiose relative alla

missione, dall‟altra, con particolare relazione all‟intenso lavoro editoriale svolto

in gruppo dai missionari, portò questi ultimi ad uniformare le metodologie e gli

strumenti di studio della lingua, in primo luogo del sistema di romanizzazione;

non a caso, alcune delle opere realizzate da gesuiti scampati alla prigionia di

Canton, tra gli altri Gabriel de Magalhaes (1610-1677), presentano lievi

divergenze dalla romanizzazione standardizzata dei gesuiti contemporanei.

In fondo, il progetto di traduzione dei testi confuciani non era solo mirato alla

presentazione all‟Europa del pensiero tradizionale cinese, avendo bensì come

finalità principale la produzione di materiali per lo studio della lingua, che

241

Cfr. DEHERGNE (1973) passim

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178

potessero servire all‟addestramento preventivo dei missionari destinati alla

missione in estremo oriente. Pertanto, il periodo di confino a Canton fu

l‟occasione per un‟attenta e metodica riflessione linguistica.

9.1 Le fonti disponibili

Le fonti tramite cui possiamo ricostruire la romanizzazione usata dalla maggior

parte dei gesuiti del padroado durante la seconda metà del 1600 sono molte e

offrono dati di ottima qualità.

Esiste una certa quantità di fonti manoscritte, dove compaiono romanizzazioni

in forma più o meno ordinata e precisa. Tra tutte, ad offrire una gran quantità di

dati c‟è un “libro delle spese” manoscritto dal gesuita belga Rougemont, scritto

nel periodo in cui si trovava in missione a Changshu (常熟 nell‟odierno Jiangsu);

il manoscritto è stato approfonditamente studiato da Noel Golvers,242 che ha

delegato l‟analisi della romanizzazione ad Adrianus Dudink,243 il cui lavoro funge

da fonte per la presente ricerca, anche se le riproduzioni di alcune pagine del

manoscritto sono direttamente consultabili in appendice alla pubblicazione di

Golvers.244

Un‟altra fonte manoscritta riguarda Intorcetta e consiste in una lettera di circa

tre pagine che egli scrisse nel 1672, contenente dettagliate istruzioni editoriali

per l‟eventuale pubblicazione in Europa delle sue traduzioni latine dei tre classici

confuciani Daxue 大學, Lunyu 論語 e Zhongyong 中庸 (v. infra); questa lettera,

anch‟essa scoperta e studiata da Golvers, 245 offre interessanti informazioni

sull‟uso dei diacritici nella romanizzazione di Intorcetta.

Infine, sempre in appendice al già citato testo di Golvers su Rougemont, si

trovano anche quattro riproduzioni fotostatiche del manoscritto del Confucius

Sinarum Philosophus del gesuita belga Philippe Couplet (una riedizione delle

traduzioni dei classici confuciani di Intorcetta), preparato in previsione della

pubblicazione avvenuta poi nel 1687 (v.infra). Anche solo queste quattro

242

GOLVERS (1999) 243

Professore di sinologia all‟Università cattolica di Lovanio (Katholieke Universiteit Leuven) 244

GOLVERS (1999:768-769: ill. 2-3) 245

GOLVERS (2009)

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179

pagine, 246 riportano fedelmente una buona quantità di dati, sufficiente a

confermare l‟aderenza della romanizzazione di Couplet allo standard dei suoi

contemporanei.

Oltre alle fonti manoscritte, esiste un gruppo di opere stampate tramite tecnica

xilografica, che plausibilmente riproduce gli elementi grafici della

romanizzazione in modo abbastanza fedele alla forma manoscritta, offrendo

pertanto dei dati sufficientemente precisi; inoltre, contenendo anche i testi

originali in caratteri, molte delle seguenti fonti garantiscono l‟individuazione

delle corrette corrispondenze tra pronuncia e scrittura.

Tra questo gruppo di fonti xilografiche, risaltano sicuramente le già citate

traduzioni latine dei classici confuciani, compilate da Da Costa, Intorcetta e altri

confratelli e stampate in Cina con i rispettivi titoli di Sapientia Sinica (Daxue nel

1662 e Lunyu nel 1664) e Sinarum Scientia Politico-Moralis (Zhongyong, 1669).

Tutti questi lavori contengono, oltre alla traduzione latina, il testo originale a

fronte sia in caratteri cinesi, sia in romanizzazione; il sistema di romanizzazione

utilizzato è uguale in tutte e tre le opere, che offrono un‟immagine completa di

tutti gli elementi fondamentali (iniziali, rime e diacritici).

Un‟altra fonte che offre i dati in maniera simile è Innocentia Victrix,247 un‟opera

commissionata e curata dal gesuita portoghese Antonio de Gouvea (allora vice-

provinciale), consistente in una raccolta di editti promulgati dalla corte e dai

funzionari Qing in favore dei gesuiti. Anche questo lavoro, stampato con tecnica

xilografica nel 1671, accanto al testo in latino contiene un certo numero di testi

originali in cinese, sia in caratteri sia in romanizzazione. Il sistema utilizzato

sembra coincidere quasi completamente con quello di Intorcetta.

L‟ultimo gruppo di fonti è costituito da alcune opere stampate a caratteri mobili

in Europa negli ultimi tre decenni del 1600; proprio per i limiti della tecnica

tipografica con cui sono stati riprodotti, questi testi tendono a tralasciare alcuni

elementi grafici della romanizzazione, diacritici in primis. Tuttavia, contenendo

un discreto numero di parole cinesi romanizzate, se ne può trarre una certa

quantità di sillabe, abbastanza sufficiente per poter tracciare il profilo del

sistema di romanizzazione usato, anch‟esso estremamente compatibile con

quello delle altre fonti considerate.

246

GOLVERS (1999:773-776, Ill.6a,b,c,d) 247

GOUVEIA (1671)

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180

Le suddette fonti, stampate in Europa, possono essere riassunte come segue:

nel 1672 appare la Relaçam do Estado Politico e Espiritual do Imperio da China,

traduzione portoghese di un manoscritto latino del gesuita belga Franciscus

Rougemont; solo l‟anno seguente, il 1673, vede la luce la versione latina

originale pubblicata con il titolo di Historia Tartaro-Sinica Nova.248 Agli scritti

appena citati si aggiungono alcune opere edite negli anni „80 dal già citato

Couplet che, nel 1686, pubblicò prima la Tabula Chronologica Monarchiae

Sinicae (una lista dettagliata dei regnanti cinesi succedutisi dal 2952 a.C. al 1683

d.C.), poi la Clavis medica ad Chinarum doctrinam de pulsibus (una riedizione di

alcuni scritti del gesuita polacco M. Boym sulla medicina cinese) 249 e

successivamente, nel 1687, il Confucius Sinarum Philosophus.250

9.2 La romanizzazione di Intorcetta&Al.

In tutti i lavori a stampa qui considerati si riscontra un uso esteso della

romanizzazione, secondo sistemi quasi del tutto reciprocamente sovrapponibili,

e altresì concordanti col sistema ben descritto dalle fonti manoscritte e dalle

stampe xilografiche di Intorcetta e Gouvea. Pertanto, nelle pagine seguenti, non

si analizzeranno separatamente i sistemi delle singole fonti; se ne realizzerà

bensì una sintesi, utilizzando come fonti principali le opere Sapientia Sinica e

Sinarum Scientia Politico-Moralis di Intorcetta e Innocentia Victrix di Gouvea (da

qui in poi Innocentia); come fonti secondarie i due manoscritti, quello del “libro

dei conti” di Rougemont e quello del Confucius Sinarum Philosophus di Couplet

(da qui in poi Confucius).

Dove sussistessero divergenze rilevanti, se riscontrate in modo sistematico in

una certa romanizzazione, si provvederà ad evidenziarle.

248

ROUGEMONT (1673) 249

BOYM, CLEYER & COUPLET (1686) 250

INTORCETTA&al. (1687)

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181

9.2.1 Grafemi iniziali di Intorcetta&al.

Nella tabella che segue, è riassunto il set di grafemi iniziali dello standard usato

da Intorcetta e gli altri gesuiti del padroado (Intorcetta&al.) nella seconda metà

del 1600:

Grafemi iniziali della romanizzazione di Intorcetta&Al.

Intorcetta&al. IPA Attacchi/Nuclei

c, c'

/k/, /kh/

(-a, -o, -u)

k, k' (-e, -i)

q, q' (-u-)

ç, ç' /ts/, /tsh/ %

ch, ch' /tʃ/, /tʃh/ %

f /f/ %

g

j /ʒ/

(-e, -i)

(-eu, -o, -u)

h /x/ %

l /l/ %

m /m/ %

n /n/ %

(nh) ([ɲ]) (-a, -i)

ng

(ngh)251

g

/ŋ/-/ʔ/

(-a, -e, -o, -u)

(-e)

(-uei)

p, p' /p/, /ph/ %

s /s/ %

t, t' /t/, /th/ %

v /v/-/ʋ/ %

x /ʃ/ %

251

La forma allografa ngh- per /ŋ/, davanti alle rime comincianti per -e-, compare solo in

Innocentia Victrix, ma non negli scritti di Intorcetta

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182

Il grafema c- ha tendenzialmente un valore univoco /k/, a differenza di altri

sistemi di ispirazione portoghese (RLS, MM1, Boym) in cui oscillava tra /k/ e /ts/.

Questo secondo valore /ts/ è invece rappresentato univocamente dal grafema

ç-.252

I due grafemi g- e j-, quando rappresentano il probabile valore /ʒ/, si

combinano con i nuclei sillabici in modo complementare: g- (-e, -i), j- (-o, -u),

con una leggera sovrapposizione sul nucleo -e, riscontrabile nella sillaba jeu (es.

柔 róu), che però non dà origine a opposizione (in quanto non si riscontra

l‟occorrenza di una sillaba *geu).

Il digramma nh- è abbastanza raro, ma presente in più di una fonte. Nelle opere

di Intorcetta si ritrova solo nella sillaba nhi (es. 尼 ní); nel “libro dei conti” di

Rougemont compare invece nelle sillabe nham (es. 娘 niáng) e nhy (es. 倪 ní); se

lo si valuta in base alla grafia portoghese dell‟epoca, potrebbe rappresentare

una realizzazione nasale palatale tipo [ɲ], trattandosi probabilmente di una

distinzione fonetica più che fonologica.253

Come nei precedenti sistemi a base portoghese, il digramma iniziale ng- per

/ŋ/-/ʔ/ prevede la forma trigrafica ngh- quando seguito dal grafo -e, anche se

nei lavori di Intorcetta compare di rado, sostituita dal semplice digramma ng-. Il

grafema g-, in coppia con l‟allografo dominante ng-, rappresenta anch‟esso il

valore /ŋ/-/ʔ/, esclusivamente quando seguito da -uei.

Permane la terna allo grafica c-, k-, q- per /k/; il grafo q- compare quasi

esclusivamente davanti ai dittonghi comincianti per -u, ma molto raramente si

riscontra anche seguito dal solo nucleo monottongale -u (qu).

Compare in Intorcetta&al. un grafema iniziale v-, del cui valore fonologico /v/-

/ʋ/ si dubita non poco, vista la frequenza di allografie libere in sillabe quali

ven/uen, vam/uam.

252

In alcune fonti, indipendentemente dal fatto che siano manoscritte o stampate, a volte si

verifica una resa fallace di ç-, priva della cedilla e pertanto uguale a c-; dato che in nessuna delle

fonti in questione l‟evento si verifica sistematicamente, bensì solo occasionalmente, si può

considerare che tra i due grafemi non esista alcuna sovrapposizione. 253

Tuttavia va osservato che, se quando nh- è seguito da -i/y formando sillabe tipo nhi/nhy, non

si trova mai in opposizione a sillabe tipo ni/ny, quando invece è seguito da -a come in nham, si

oppone a sillabe con iniziale n-, generando coppie minime del tipo nham/nam, in cui l‟ipotesi di

nh /ɲ/ come valore fonologico è più probabile.

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183

Si nota, infine, la consueta opposizione tra consonanti aspirate e non aspirate,

segnalata con una marca della quale si daranno dettagli ulteriori nella parte

dedicata ai diacritici.

Se si pensa ai precedenti rappresentanti dello standard portoghese-ricciano, in

particolare a Martini e Boym, già ad un primo confronto dei set consonantici è

evidente che la linea di discendenza fino ad Intorcetta&al. è passata per il primo

(MM1) e non per il secondo (Boym); lo si evince almeno dai seguenti particolari:

- I tre grafemi c- k- q- per /k/, sono in complementarietà allo stesso modo

di Martini MM1, mentre in Boym si era notata una preponderanza di k-

sugli altri;

- La compresenza di g- e j- per /ʒ/, al pari di Martini MM1, che in Boym si

neutralizzava nella sola g-.

9.2.2 Tipi grafici delle rime di Intorcetta&al.

A seguire si presenta il set dei tipi grafici delle rime della romanizzazione di

Intorcetta&al., computabili nel numero approssimativo di 53:

Set dei tipi grafici delle rime della romanizzazione di Intorcetta&al.

V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC

-a -ai; -am; -an; -ao

-e

-e˙

-em; -en;

-eu

-eam;

-i

(y-)

-ia;

-ie/ye; -ie˙/ye˙

-im/ym; -in; -io;

-iu/yu; -iu˙/yu˙

-iai; -iam; -iao;

-ien/yen; -ieu/yeu;

-iue/yue; -ium/yum;

-iun/yun

-iuen/yuen

-o

-o˙

-oa;

-oe; -oi

-oai; -oam; -oan;

-oei;

-u

-u˙

-ua;

-ue;

-ui;

-um; -un; -uo; -uo˙

-uai; -uam;

-uei; -uen;

-uon

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184

lh, (ulh)254

La presenza della coda -m garantisce la matrice portoghese; stessa cosa dicasi

per il digramma portoghese lh con probabile valore /ɚ/, sillaba indipendente

che non rientra nel sistema combinatorio di iniziali e rime.

Per il resto non si notano grandi particolarità, se non la sistematica

trasformazione di i in y quando primo elemento del nucleo non preceduto da

consonante (es. ya, ym, yuen).

Anche nelle rime si nota una maggiore somiglianza a Martini MM1 che non a

Boym; si ricorda infatti che i tipi grafici delle rime nella romanizzazione del

gesuita polacco presentavano un uso peculiare del grafo y, che in Martini e in

Intorcetta&Al. non si ritrova.

9.2.3 Diacritici di Intorcetta&al.

L‟uso dei diacritici è sistematico e ben standardizzato. Si è già vista la marca per

l‟aspirazione, rappresentata da un gancetto ( c ) o uno spirito greco aspro ( ‘ )

soprascritto alla sillaba, solitamente in corrispondenza della parte iniziale.

L‟altro diacritico presente sul piano segmentale è il punto soprascritto ( ˙ ) alla

vocale tonica per una variazione di apertura. Le vocali potenzialmente

interessate sono e, o, u che, se scritte con il punto ė, o, u, corrispondono a valori

vocalici diversi, generalmente più chiusi.

Per i diacritici sul piano soprasegmentale troviamo, ovviamente, le marche tonali,

in numero pari a 5 e rese tramite i segni ˉ, ˆ, ´, `, ˘, sovrascritti alla sillaba.

Riguardo alle combinazioni grafiche dei tre diversi tipi di diacritici al di sopra

della sillaba, disponiamo di informazioni eccezionalmente precise, non solo

tratte dall‟osservazione delle stampe e dei manoscritti, bensì esposte

minuziosamente dallo stesso Intorcetta nella lettera inedita pubblicata da

Golvers. Il gesuita siciliano propone le seguenti soluzioni grafiche:255

254

La forma ulh è segnalata da Dudink nella sua analisi del manoscritto di Rougemont (cfr.

GOLVERS, 1999:677) 255

L‟immagine delle combinazioni dei diacritici così ordinata è già frutto di rielaborazione da

parte del prof. Golvers, che nel suo articolo ha provveduto ad allineare tutte le combinazioni su

una sola riga, mentre nel manoscritto originale si trovavano divise in due parti diverse della

pagina. Cfr. GOLVERS (2009:680,689).

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185

Le prime cinque coppie di segni mostrano alternativamente la forma semplice

del tono e quella con il puntino aggiunto; si nota che la posizione del puntino

varia a seconda del tono cui è aggiunto, risultando a volte soprascritto, altre

sottoscritto, altre ancora a destra o a sinistra del tono.

Le successive cinque coppie, invece, raffigurano alternativamente le

combinazioni aspirazione/tono e le stesse col puntino aggiunto; in questo caso,

risulta evidente la standardizzazione della posizione della marca per

l‟aspirazione, posizionata sempre e comunque in prima posizione a sinistra del

tono, e comunque in modo indipendente dagli altri diacritici e le loro forme

combinate.

Questa è un‟altra particolarità utile a caratterizzare il sistema di romanizzazione

che i gesuiti del padroado, in particolare il gruppo di Intorcetta&Al., adottarono

come standard nella seconda metà del 1600.

9.2.4 Osservazioni finali sulla romanizzazione Intorcetta&al.

La romanizzazione usata da Intorcetta, Da Costa, Gouvea, Rougemont, Couplet,

come da altri gesuiti del padroado negli ultimi decenni del XVII secolo,

rappresenta lo stadio più stabile e consolidato dello standard portoghese

iniziato con RLS e passato attraverso fasi di assestamento, come testimoniato

dai sistemi usati da Martini (MM1, nella grammatica) e da Boym.

In sostanza, Intorcetta e gli altri confratelli impiegarono una forma revisionata

del sistema incluso nella Grammatica di Martini (cfr. supra), dei quali alcuni di

loro avevano sicuramente fatto uso come strumento di studio.

La maturità della romanizzazione di Intorcetta&al. rispetto ai sistemi progenitori

(RLS, MM1) si concretizza in un più coerente set di grafemi iniziali, un uso più

sistematico dei diacritici per l‟aspirazione ( c ) e per l‟apertura vocalica ( ˙ ) e, in

generale, una standardizzazione ben definita delle convenzioni grafiche.

Questo stesso sistema, con poche modifiche, sopravvivrà per un secolo ed oltre;

è infatti possibile ritrovarne chiari echi nei documenti romanizzati del Collegio di

Cinesi di Napoli, ed in tutta una serie di opere sinologiche dei secc. XVIII-XIX che

adottarono questo standard gesuita-portoghese per romanizzare la pronuncia

del Mandarino.

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186

Secondo frontespizio della traduzione del

Zhongyong (中庸, 1669), contenente i nomi

dei gesuiti coinvolti nel progetto editoriale

Pagina della traduzione del Lunyu (论语,

1662). Anche qui, ad ogni carattere cinese

corrisponde la propria romanizzazione.

Pagina di Innocentia Victrix (1671), testo con

caratteri cinesi e romanizzazione. Con minime

differenze, la romanizzazione usata qui è la

stessa di Intorcett&al.

Pagina di Nouvelle Relation de la Chine (1690).

Anche in quest‟opera di Magalese, compare lo

stesso sistema di romanizzazione di

Intorcetta&al.

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187

10.0 Francisco Varo

Francisco Varo (1627-1687), spagnolo originario di Siviglia; a sedici anni diventa

domenicano e poco dopo è reclutato per partire per la provincia del Santo

Rosario da Juan Bautista de Morales, tornato in Europa a cercare nuove risorse

per la missione domenicana in Cina. Il giovane Varo arriva nelle Filippine nel

1649, iniziando a studiare cinese nei quartieri cinesi di Manila, durante il primo

anno di soggiorno. Probabilmente impara prima il Mandarino, per poi dedicarsi

anche ai dialetti fin dai primi anni trascorsi sulle coste meridionali, facendo

sicuramente tesoro dell'esperienza linguistica dei confratelli che lo hanno

preceduto, come Diaz e Morales, che egli cita in più di un'occasione come autori

di fondamentali strumenti per lo studio della lingua.256

Per quanto attiene alla sua produzione linguistica, è l'autore certo di due grandi

dizionari manoscritti: un primo portoghese-cinese completato nel 1670, del

quale oggi non rimangono copie complete; un secondo spagnolo-cinese,

completato tra la fine degli anni ‟70 e l‟inizio degli ‟80, del quale rimangono

diversi esemplari. Ma l‟opera che l‟ha reso più famoso è certamente un'estesa

grammatica del Mandarino, pubblicata nel 1704 dal francescano Pedro de la

Piñuela (1650-1704) con il titolo Arte de la Lengua Mandarina.

Sia nei dizionari che nella grammatica, tutte le parole cinesi sono riportate solo

in forma romanizzata, senza caratteri cinesi, trattandosi pertanto di documenti

alfabetici - disordinati; tutti questi lavori di Varo sono stati approfonditamente

studiati da W.S. Coblin, che ne ha realizzato o curato delle riedizioni complete,

corredate di estesi apparati critici. Dunque, pur avendo accesso a

fotoriproduzioni delle fonti originali, nel presente studio si è preferito far

riferimento agli approfonditi studi effettuati da Coblin (1998, 2006) e Coblin-Levi

(2000), in cui sono forniti esaurientemente anche tutti i dati relativi al sistema di

romanizzazione utilizzato da Varo, sia nei suoi dizionari manoscritti, sia nella sua

grammatica impressa. 257

256

Varo, introduzione del manoscritto del vocabolario spagnolo-cinese conservato a Parigi

(AMEP), cfr. COBLIN (2006:16) 257

Un‟analisi del sistema di romanizzazione di Varo estremamente approfondita si trova in

COBLIN (1998:262-267); una schematizzazione si ritrova anche in COBLIN & LEVI (2000:XV-XVI)

e COBLIN (2006:25)

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188

10.1 La romanizzazione di Varo

La romanizzazione usata da Varo è primariamente basata sulla pronuncia

spagnola; al confronto con quelle che potrebbero essere le prime attestazioni di

questo standard (Morales e Diaz2) e con i lavori di altri missionari appartenenti

ad ordini mendicanti, si nota un alto grado di compatibilità, ma con alcune

differenze che possono essere interpretate in diacronia, come fasi diverse di una

stessa linea evolutiva.258

Il sistema di romanizzazione è lo stesso per le due fonti principali prese in

esame, cioè il glossario spagnolo-cinese (di qui in avanti Glossario) e la

grammatica del 1704 (da qui in avanti Arte). Essendo il VSC manoscritto, questa

fonte mostra tutti gli elementi grafici della romanizzazione nel miglior modo

auspicabile; Coblin (2006) ricorda che del VSC esistono vari esemplari, tra i quali

egli analizza in particolare una copia conservata a Berlino (come fonte

principale)259 ed un‟altra conservata a Londra (come fonte ausiliaria). 260 L‟Arte,

invece, essendo stampata con tecnica xilografica, pur non essendo un

manoscritto garantisce una buona aderenza all‟aspetto grafico originale della

romanizzazione.

Il Glossario e l‟Arte di Varo, data la tipologia (un‟opera lessicografica e un

trattato linguistico) e anche le dimensioni notevoli, contengono una gran

quantità di dati, più che sufficiente per poter estrapolare oltre 500 tipi grafici di

sillabe (non tenendo conto dei toni), dai quali si ricostruiscono agevolmente gli

inventari dei grafemi iniziali e i tipi grafici delle rime.

10.1.1 Grafemi iniziali di Varo

I grafemi iniziali previsti dalla romanizzazione di Varo, come riscontrabile nei

suoi glossari e nella sua grammatica (Arte) possono essere riassunti come

illustrato dalla tabella seguente:

258

(v. supra, capitolo su Morales e relativa problematizzazione) 259

Cfr. COBLIN (2006:13); la copia è conservata presso la Biblioteca Nazionale di Berlino, con

segnatura “Libr. Sin. 29”; si tratta di un manoscritto di 228 pagine in spagnolo, non datato, senza

prefazioni o introduzioni. 260

Ibid.; copia conservata presso la British Library di Londra, con segnatura “Sloan 3419”;

manoscritto di 184 fogli, datato 1695, senza prefazioni o introduzioni.

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189

Grafemi iniziali della romanizzazione di Varo

Varo IPA Attacchi/Nuclei

çh, çh‟ /ts/, /tsh/ %

ch, ch‟ /tʃ/, /tʃh/ %

f /f/ %

g /ŋ/-/ʔ/ %

h /x/ %

j /ʒ / %

k, k‟ /k/, /kh/ %

l /l/ %

m /m/ %

n /n/ %

p, p‟ /p/, /ph/ %

s /s/

%

ç (-u˙)

t, t‟ /t/, /th/ %

v /v/-/ʋ/ %

x /ʃ/ %

Procedendo in ordine, si nota che il grafema ç- (esclusivamente in combinazione

con la rima -u˙) assume un probabile valore fricativo dentale /s/, in

complementarietà con l‟allografo dominante s- (che invece può combinarsi con

qualsiasi nucleo, compreso -u˙), il che è una novità rispetto ai sistemi analizzati

fin‟ora. Questa particolarità si ritroverà, in seguito, in ulteriori fonti ad opera di

altri autori che hanno utilizzato un sistema di romanizzazione simile o uguale a

quello di Varo.

Si osserva inoltre la comparsa del digramma çh- dal probabile valore /ts/, che in

precedenza si era manifestato solo nella romanizzazione secondaria usata nelle

definizioni del Vocabulario di Diaz (Diaz2).

Il grafema g- copre la gamma di valori /ŋ/-/ʔ/, per i quali in altri sistemi si hanno

le due forme ng- e g-; questo annullamento di due tipi grafici in uno è

caratteristico delle romanizzazioni spagnole, esattamente come la sintesi delle

tre forme c-, k-, q- per /k/ in un unico grafema k-, (nonostante queste

caratteristiche si siano viste anche in XREMZ).

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190

Anche in Varo compare il grafema iniziale v-, al quale Coblin (1998) attribuisce

valore /v/.261 Gli altri grafemi iniziali non presentano grandi particolarità.

10.1.2 Tipi grafici delle rime di Varo

Il set delle rime è descrivibile in modo completo, data la gran quantità di dati

disponibili nelle due fonti analizzate; la tabella seguente illustra i tipi grafici delle

rime previsti dalla romanizzazione di Varo, per un totale approssimativo di 58

elementi:

Set dei tipi grafici delle Rime della romanizzazione di Varo

V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC

-a -ai(ay);

-an; -ang;

-ao

-e

-e˙

-en; -eng; -eu -eang; -eao

-i

(-y)262

-ia(ya);

-ie(ye); ie˙;

-in; -ing;

-io;-io˙; -iu; -iu˙

-iai; -ian;263 -iang; -iao;

-ien; -ieu;

-iue; -iun; -iun˙; -iung

-iuen˙ 264

-o

-o˙

-oa;

-oe;

-oi; -on

-oai; -oan; -oang;

-oei/oey; -oen

-u

-u˙

-ua; -ue; -ui;

-ung(uung); -un; -un˙

-uo

-uai; uang; -uan;

-uei; -uen;

-uon

ul

261

Più precisamente, COBLIN (1998:263) interpreta v- /v/ e g- /w/, considerando che non

generano coppie minime, e pertanto deducendone che i due grafi rappresentino due allofoni [v]

e [w] di uno stesso fonema dominante /v/. 262

Il grafema y appare come variante libera di i, solo come ultimo elemento della sillaba 263

La rima -ian compare solo una volta nella grammatica, per la parola niân 年 (nián) “anno”,

che in tutti gli altri casi è trascritta niên. 264

Il punto diacritico ( ˙ ) che, per convenzione del presente studio è posto in alto a desta, si

riferisce qui alla vocale u della rima (i.e. -iuen).

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191

Una caratteristica dei sistemi ispanofoni sul piano delle rime è sicuramente la

presenza del digramma -ng per la coda /ŋ/ (rappresentata invece da -m nei

sistemi a base portoghese); in secondo luogo si nota anche la tendenza del

grafema i- a non essere sostituito da un allografo y-, cosa che avviene solo in

pochi casi (quando è l‟ultimo elemento del nucleo es. y, fi/fy, lay; in rarissimi casi,

dopo iniziale zero come primo elemento di un dittongo, es. ie/ye, ia/ya).

Alcuni tipi grafici possono essere accorpati e interpretati come coppie di

allografi, ad es. -iao/-eao, -iang/-eang, dove i secondi elementi di ogni coppia

compaiono solo dopo l‟iniziale l- e l‟alternanza tra -i- ed -e- dipende quindi

dalla percezione dei diversi foni in coarticolazione con diverse iniziali.

Altro particolare, la sillaba con probabile valore /ɚ/ è resa in Varo, come in altri

sistemi ispanofoni, tramite la forma ul (nei sistemi portoghesi per lo più lh).

10.1.3 Diacritici del sistema di Varo

Per quanto riguarda i diacritici, sul piano segmentale si è già visto l‟uso della

marca per l‟aspirazione delle consonanti iniziali, resa da Varo in modo simile ad

un gancetto ( c ) o uno spirito greco aspro ( ‘ ) soprascritto agli ultimi elementi

della sillaba; qui, convenzionalmente, si è resa l‟aspirazione con un apostrofo ( „ )

posto subito dopo la consonante iniziale.

Sempre sul piano segmentale, spostandoci ai nuclei sillabici, si trova il diacritico

per l‟apertura vocalica, cioè un punto soprascritto ( ˙ ) alla vocale tonica

interessata dalla variazione di apertura. Le vocali che possono essere interessate

dal punto soprascritto sono e, o, u. Le prime due (e, o) possono recare il punto

esclusivamente quando sono l‟ultimo elemento della sillaba (es. che˙, çhie˙, lo˙,

hio˙ ), risultando in fonemi vocalici più chiusi, in opposizione alle forme senza

punto più aperte (es. çhie/çhie˙, lo/lo˙). La u, invece, può recare il punto sia

quando è in posizione finale (es. chu˙, lu˙, hiu˙ ), sia intermedia (es. sun˙, xun˙,

hiuen˙);265 nel caso della u con punto, tuttavia, il diacritico non segnala sempre

univocamente la stessa variazione, bensì indica genericamente una modifica

della vocale tonica secondo casi diversi, come spiega lo stesso Varo in un

paragrafo introduttivo dell‟Arte;266 interpretando la spiegazione descrittiva del

domenicano, per i vari casi Coblin (1998) propone i seguenti valori fonetici:

265

Per la rima -iuen˙, cfr. nota precedente 266

VARO (1703:14-16) [De las tonadas con puntillo]; cfr. anche COBLIN & LEVI (2000:43-47)

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192

- u = [y] quando segue i;

- u = [ɿ]267 quando segue una sibilante;

- u = [ʮ]268 in tutti gli altri casi.

Si ricorda inoltre che, nel sistema di Varo, il punto non compare mai sottoscritto,

come invece si trova in altri sistemi (ad es. XREMZ).

L‟ultima osservazione riguarda i diacritici soprasegmentali, specificamente le

marche tonali. Non si segnalano grandi particolarità; il numero è sempre cinque,

i segni grafici sono pressoché identici agli altri sistemi: ˉ, ˆ, ´, `, ˘, con la

particolarità che, dei due toni curvi, uno ha una forma angolata ( ˆ ), uno

arrotondata ( ˘ ). La posizione è sempre sovrascritta alla sillaba, per lo più in

corrispondenza della vocale tonica; si è altresì già segnalato che, in alcuni casi, le

marche tonali sono combinate con altri diacritici (aspirazione, punto).

Come era accaduto per Intorcetta, anche Varo offre delle interessanti note

editoriali riguardo alle combinazioni grafiche dei diversi diacritici; si è detto

infatti che questi ultimi sono tutti sovrascritti alla sillaba, ma non si è dato conto

della gerarchia nel posizionamento.

Varo parla innanzitutto della combinazione di marche tonali e marca

dell‟aspirazione, proponendo le seguenti soluzioni grafiche: ;

si nota che le combinazioni proposte prevedono che lo spirito per l‟aspirazione

sia, sostanzialmente, sempre soprascritto alla marca tonale.

La seconda annotazione riguarda la combinazione dei toni e del punto per

l‟apertura vocalica, secondo lo schema seguente: ; anche qui

le posizioni prese dal punto sono le stesse di quelle prese dallo spirito,

sovrascritte ai toni.

L‟ultima annotazione, ovviamente, descrive le combinazioni più complesse,

quelle che prevedono contemporaneamente tono, aspirazione e punto:

; la situazione non varia comunque di molto, in quanto

entrambi i diacritici segmentali vengono sovrascritti alle marche tonali.

267

Il simbolo fonetico [ɿ] (ingl.: apical dental unrounded vowel), è ormai obsoleto ma continua a

permanere nell‟uso dei sinologi; il corrispondente simbolo IPA è [z]. 268

Il simbolo fonetico [ʮ] (ingl.: apical retroflex rounded vowel), è ormai obsoleto ma continua a

permanere nell‟uso dei sinologi; il corrispondente simbolo IPA è [ʐʷ].

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193

Anche questa voluta codifica delle combinazioni dei diacritici contribuisce a

caratterizzare il sistema di Varo.

10.1.4 Considerazioni finali sulla romanizzazione di Varo

L‟uso della romanizzazione da parte del domenicano spagnolo Francisco Varo è

comodamente osservabile nella sua completezza tramite l‟analisi diretta delle

sue opere linguistiche. L‟immagine che se ne trae è quella di un sistema

estremamente stabile e coerente, che non appare improvvisato ma sicuramente

rodato dall‟uso fattone nei decenni precedenti sia dai predecessori di Varo, sia

da egli stesso.

Si tratta di un sistema largamente basato sulla pronuncia spagnola dell‟alfabeto

latino, che mostra contatti con sistemi precedenti, non esclusivamente

nell‟ambito degli ordini mendicanti; si pensi, ad esempio, ai punti di contatto sia

con il sistema XREMZ (Trigault) per i grafemi iniziali, sia con il secondo sistema

usato da Martini (MM2) per i tipi grafici delle rime (es., coda -ng), e ovviamente

la compatibilità con il sistema dei diacritici originatosi in RLS.

Chiaramente, le maggiori connessioni e il maggior grado di sovrapponibilità si

riscontrano con le romanizzazioni in altre opere di estrazione mendicante

(Morales, Diaz2), in una linea evolutiva di cui si cercherà di rendere conto nelle

osservazioni finali della presente ricerca.

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194

Due pagine della grammatica di Varo, Arte de la Lengua Mandarina (1703). La stampa

xilografica mostra perfettamente tutte le caratteristiche della romanizzazione.

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195

11.0 Basilio Brollo

Basilio Brollo (1648-1704), nasce a Gemona (Udine), entra in convento nel 1666

per diventare frate francescano minore, prendendo i voti nel 1674.

Successivamente, nel 1680, chiede di essere inviato in Cina; non appena arriva a

Canton, nel 1684, inizia a studiare il cinese, probabilmente il Mandarino.269 Negli

otto anni tra il 1692 e il 1700 risiede a Nanchino, dove compila un grande

dizionario cinese-latino ordinato per radicali, finito nel 1694; alcuni sostengono

che ne abbia poi compilato un secondo, ordinato in base alla pronuncia,

completato intorno al 1699.270

Del dizionario del 94' esistono vari esemplari conservati in vari archivi e

biblioteche d‟Europa; la copia esaminata in questa ricerca, conservata alla

Biblioteca Medicea-Laurenziana di Firenze, porta il titolo Hán çụ sī iĕ˙ 漢字西譯

(Hànzì xīyì, da qui in poi HZXY) ed è considerata autografa.271 Nello stesso luogo

si conserva anche un esemplare nel quale è riconosciuto il dizionario del '99, del

cui autore o copista non si è totalmente certi, ma molto probabilmente si tratta

di una copia realizzata da Giambattista Maoli da Serravalle (1667-1725),272

addirittura si potrebbe avanzare l‟ipotesi che si tratti di una rielaborazione

originale del primo dizionario di Brollo ad opera del Maoli, come osservato

anche da Claude Larre273 in una nota manoscritta conservata alla Mediceo-

Laurenziana.274

269

BERTUCCIOLI (1972), [“Brollo, Basilio”] in DBI 270

Ibid., p.21 271

Copia conservata alla Biblioteca Mediceo-Laurenziana di Firenze, con segnatura “Rinuccini

22”: [Basilii a Glemona] Lexicon sinico-italicum 272

L‟esemplare fa parte del fondo “Conventi Soppressi” con segnatura “S.Marco 309”, pertanto

la provenienza è il convento domenicano di San Marco. Nell‟incipit riporta: “Ab Jo Babta a

Serravalle scriptum”. 273

Claude Larre, S.I., (1919-2001), sinologo e gesuita francese. Ha trascorso circa vent‟anni in

Asia, fino al 1966, anno in cui tornò a Parigi e fondò il centro di studi sinologici “Matteo Ricci”,

oltre alla “Scuola Europea di Agopuntura” insieme al dott. Jean Schatz (m.1984). 274

Nel foglio di accompagno del manoscritto “Rinuccini 22”, tra i nomi degli utenti, al numero 7

si incontra “Claude Larre, S.I., studioso, Parigi”, che risulta aver consultato il manoscritto nei gg .

26-28 settembre 1978. Nel campo delle annotazioni si legge “confr. con S.Marco 309”; lo

studioso ha quindi consultato entrambi i dizionari manoscritti. Al foglio di accompagno è

allegata una nota manoscritta in francese dello stesso Larre, che osserva: “[…] il secondo lavoro

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196

Un altro scritto di Brollo compare inoltre pubblicato in appendice alla

grammatica di Varo (Arte, 1704), si tratta di un metodo per confessare i fedeli in

cinese (da qui in poi Confessionarium). Tutti questi documenti, ovviamente,

mostrano un esteso uso della romanizzazione. Nei due dizionari, infatti, tutti i

caratteri dei lemmi sono accompagnati dalla loro pronuncia romanizzata e, nelle

definizioni dei lemmi, compaiono esempi di frasi in sola romanizzazione; il

Confessionarium, invece, come la grammatica di Varo, omette totalmente i

caratteri cinesi, essendo completamente scritto in romanizzazione. Anche

quest‟ultimo documento, sebbene non sia manoscritto, dovrebbe rendere

l‟aspetto grafico della romanizzazione in maniera abbastanza fedele all'originale,

in quanto stampato con tecnica xilografica.

Per alcuni motivi connessi alle inerenti differenze di romanizzazione, non tutte le

fonti elencate saranno prese in esame.

11.1 La romanizzazione del dizionario HZXY (1694)

Se reputiamo autografo il manoscritto del dizionario HZXY del 1694, dobbiamo

credere che il sistema di romanizzazione in esso impiegato fosse quello

correntemente usato da Brollo; questa fonte dovrebbe essere quindi la più

fedele rispetto alle abitudini del francescano di Gemona in fatto di

romanizzazione, perciò sarà la prima fonte ad essere presa in considerazione.

Dopo l‟incipit, seguono 7 fogli di introduzione; dal secondo al quinto foglio si

trova il paragrafo “De modo scribendi et pronunciandi europeis litteris et vocibus

sinicos caracteres”, nel quale l‟autore spiega dettagliatamente non solo il proprio

sistema di romanizzazione, ma anche le differenze fra i due maggiori standard

[s.marco 309] è più che una semplice copia del precedente, è un’opera personale del Padre J.B. a

Serravalle (1), [scritta] di suo pugno[…]” e in calce: “(1) J.B. a Serravalle (?) entrò in Cina nel 1699.

cf. la nota latina al foglio 562”. Nel foglio 562 del dizionario S.Marco 309 si trova una tavola di

corrispondenze tra il calendario tradizionale cinese a ciclo sessagenario e le date del calendario

gregoriano; arrivando all‟anno 1699, corrispondente all‟anno 己卯 (jǐ mào), la grafia e il sistema

di romanizzazione cambiano, e si legge la nota latina manoscritta: “intravi in Cinas 13 8bris

[…]”,

cioè “entrai in Cina il 13 ottobre”. Sembra difficile, tuttavia, collegare questo indizio direttamente

con il summenzionato Giambattista Maioli da Serravalle (1667-1725), in quanto egli entrò in

Cina nel 1706, non nel 1699.

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197

esistenti, basati rispettivamente su spagnolo e portoghese; ne riportiamo, di

seguito, un passaggio rilevante:

“Sinensium caracterum sonus cum nobis barbariis sit, cogitatis unius Europei idiomati

litteris exprimi non facile potest; hinc non uno scribendi modo ab Europeis Missionarijs

describitur: quisque enim illo utitur, qui suo Idiomati magis affinisset; Qui Latinae loqui

proposui, Latino etiam Idiomati iuxta italorum morem, quam fieri potest magis conformi

scribendi ratione utendum arbitror; dixi quam fieri potest magis conformi; non enim

omnis Sinensium Soni vari Latinâ scriptione exprimi possunt, ut paulo infra parebit; preter

enim usitatas Latinorum Litteras necessario aliq[uando?] ab alijs nationibus

mutuanda,[…]ut sinicam pronunciationem ossequi possimus.[…] Res clarius patebit, si

prius adnotavero Hyspanorum, ve Lusitanorum discrimen in scribendis Europeo more

sinicis caracteribus[…] huius rei rationem paucis declarabo, simulque innotescet, qual??

mihi scribendum opinor.”275

Il concetto comunicato è chiaro: non è semplice esprimere il suono dei caratteri

cinesi scegliendo un solo alfabeto europeo, pertanto ognuno l‟ha fatto con

l‟ortografia che più si confaceva alla propria abitudine linguistica. L‟alfabeto

latino non è sufficiente ad esprimere la pronuncia cinese, perciò si deve, in

alcuni casi, prendere in prestito alcune lettere dall‟alfabeto di questa o quella

lingua; Brollo poi avverte che chiarirà prima le differenze di romanizzazione tra

spagnoli e portoghesi, per poi dire quale, a suo parere, è il modo migliore di

annotare i suoni cinesi. Dai passaggi successivi, si chiarisce anche un altro punto:

Brollo non sceglie tout-court uno dei due sistemi, bensì crea un sistema misto

selezionando elementi da entrambi i sistemi, motivando ad una ad una le sue

scelte.

La descrizione delle differenze tra romanizzazione spagnola e portoghese

nell‟introduzione di Brollo è particolarmente chiara riguardo alle consonanti

iniziali, ma fornisce alcune informazioni anche in ambito di rime. Il francescano

riporta una serie di esempi romanizzati secondo i due diversi sistemi, per

illustrarne le differenze principali:

275

HZXY (1694) Ms. (Rinuccini 22) [introduzione, f.3, De modo scribendi…]

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198

Hispani scribunt Lusitani vero

çhù filius çù

kái cooperire cái

jîn homo gîn

gái amor ngái

gě calamitas nghě

kuā cucurbita quā

kiàng loqui kiàm

çù mori sù˙

ùl auris lh276

Dagli esempi del francescano è possibile ricostruire una tabella delle diversità

indicate da Brollo nel modo che segue:

Differenze illustrate da Brollo tra le romanizzazioni spagnole e quelle portoghesi

Grafemi iniziali Rime o Code di rima

Spagnolo Portoghese IPA Spagnolo Portoghese IPA

çh ç /ts/ -ng -m /ŋ/

k

c (-a, -o, -u)

/k/

ul lh /ɚ/

k (-e, -i)

q (-u-)

j g /ʒ/

g

ng

(ngh) (-e) /ŋ/-/ʔ/

g (-oei)

ç s /s/

Per i grafemi iniziali f-, h-, l-, m-, n-, p-, s-, t-, l‟autore non annota differenze,

pertanto si può immaginare che, a parere di Brollo, questi grafemi fossero usati

nello stesso modo sia dagli spagnoli che dai portoghesi.

276

Ibid.

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199

11.1.1 Grafemi iniziali nello HZXY di Brollo

Detto ciò, si può passare a ricostruire il sistema di grafemi iniziali della

romanizzazione di Brollo nel dizionario HZXY, attraverso l‟analisi dei dati

contenuti nel testo intero; la descrizione che se ne dà nella tabella seguente

mostra in modo evidente la sintesi effettuata dal francescano a partire dai due

standard differenti:

Grafemi iniziali del dizionario HZXY di Brollo

HZXY IPA Attacchi/Nuclei

ç, ç‟ /ts/, /tsh/ %

ch, ch‟ /tʃ/, /tʃh/ %

f /f/ %

h /x/ %

j /ʒ/ %

k, k‟ /k/, /kh/

%

q, q‟ (-u-)

l /l/ %

m /m/ %

n /n/

(gn) ([ɲ]) (-i)

g

/ŋ/-/ʔ/

(-oei)

ng

(ngh)

%

(-e-)

p, p‟ /p/, /ph/ %

s /s/ %

t, t‟ /t/, /th/ %

*v (u-, ü-) */v/-/ʋ/ %

x /ʃ/ %

Delle consonanti iniziali contese tra le due ortografie iberiche, il francescano di

Gemona sceglie di usare la forma spagnola j- /ʒ/, accanto alle forme portoghesi

ç- /ts/ e ng(h)- /ŋ/, mentre per il fonema /k/ adotta una soluzione intermedia tra

i due sistemi, con k- (con qualsiasi nucleo sillabico) e q- (solo davanti a dittonghi

inizianti per -u-).

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200

Le due forme v-, ü- sono usate alternativamente in posizione iniziale con

probabile valore /v/-/ʋ/; dei due allografi, il secondo è certamente quello

dominante.

11.1.2 Tipi grafici delle rime nello HZXY di Brollo

Parimenti, per quanto riguarda le rime, Brollo adotta la coda spagnola -ng /ŋ/,

ma usa invece la forma portoghese lh per la sillaba /ɚ/; lo schema delle rime

della romanizzazione in HZXY è pertanto descrivibile come segue:

Tipi grafici delle rime del dizionario HZXY di Brollo

V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC

-a -ai/ay; -an; -ang;

-ao

-e

-e˙

-en; -eng; -eu -eang; -eao

-i/y (ÿ) -ia;

-ie; -ie˙

-in; -ing;

-io; -io˙; -iu; -iu˙ (iu)

-iai; -iang(yang); -iao;

-ien; -ieu;

-iue; -iun; -iun˙ (iun)

-iung

-iuen

-o

-o˙

-oa;

-oe;

-oi; -on

-oai; -oan; -oang;

-oei; -oen

-u (ü-)

-u˙ (-u)

-ua;

-ue(üue); -ui(üi);

-ung; -un;

-uo; -uo˙

-uai(üai); -uang(üang);

-uan(üan);

-uei; -uen(üen);

-uon(üon)

lh

Il set di rime della romanizzazione usata nel dizionario HZXY ammonta quindi

ad almeno 59 tipi grafici, tenendo conto dei puntini diacritici.

Al pari della romanizzazione ispanofona di Varo, si noti la particolarità delle rime

con il grafo i-, che presenta una forma allografa y- in tre casi: 1) in caso di

sillabe con iniziale zero; 2) in caso di sillabe inizianti per dittongo ascendente

(schema vV-, es. ya-); 3) in sillabe del tipo CV (con V=/i/) anche nella forma -ÿ;

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raramente l‟allografo -y compare come ultimo elemento di un dittongo

discendente (schema -Vv, es. -ay), e non si trova mai in posizione intermedia tra

consonante iniziale e vocale tonica, cioè come primo elemento di un dittongo

(schema CvV-, es. non *çye- bensì çie-).

Una caratteristica importante, poiché originale del sistema di Brollo, riguarda il

grafema -u- seguito da vocale, che presenta la forma allografa ü- con la dieresi

sovrascritta (resa in realtà quasi sempre con la maiuscola Ü-) quando l‟iniziale è

zero, grafia che potrebbe difficilmente far pensare ad un valore fricativo sonoro

/v/, quanto piuttosto all‟indicazione di un probabile valore approssimante,

labio-dentale /ʋ/ (o labio-velare /w/).

Ulteriore nota, risalta la scelta del digramma portoghese lh per il probabile

valore /ɚ/, grafema assente nei sistemi ispanofoni (dove è reso con ul).

11.1.3 Diacritici nello HZXY di Brollo

Giungendo a parlare dei diacritici, si descrivono innanzitutto quelli che

interessano il piano segmentale; nella fattispecie, si è precedentemente

osservata la marca per l‟aspirazione delle consonanti iniziali, resa con un segno

simile ad un gancetto ( c ) o un apostrofo ( „ ), solitamente posto sull‟ultimo

grafema della sillaba (es. chang).277

A seguire, si osservano i diacritici riguardanti le rime; sostanzialmente si tratta

dei punti sovrascritti ( ˙ ) o sottoscritti ( . ) alla vocale tonica della rima, per

indicarne una variazione del grado di apertura; le uniche vocali che possono

recare la marca dell‟apertura vocalica sono e, o, u, come spiega lo stesso Brollo:

[…] Insuper aliquas vocales afficiuntur puncto, et sunt ĕ ŏ ụ ; e et o, solum admittunt

punctum in quinto Tono, u, autem in omnibus quinque; […]278

Dal passaggio presentato si evince anche che i grafi -e ed -o possono

presentare il punto soprascritto ( ˙ ) solo quando pronunciate al quinto tono ( ˘ ).

Se queste due vocali (e, o) possono essere interessate solo dal punto

soprascritto, per la u ricompare per la prima volta anche il punto sottoscritto ( . ),

277

Come stabilito in precedenza, nel presente lavoro la marca dell‟aspirazione è

convenzionalmente resa da un apostrofo posto dopo la consonante iniziale (es. ch‟ang) 278

HZXY (1694) Ms. Rinuccini 22, [introduzione, f.4]

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202

usato precedentemente solo dal gesuita Trigault nel suo XREMZ. 279 Il

francescano prova a spiegarne l‟utilizzo nell‟introduzione del suo dizionario del

1694:

“ụ Afficiens vero u (supra u˙ vel infra ụ) indicat u debere Germanico, vel Gallico more

pronunciari cum aliquo sibilo; sic chū˙, porcus: ch’û, excipere: chù , Dominus, chú Columna:

ch’ǔ˙, egredi: Porro hoc u non solum habet hunc sonum sibilantem, quando est finale, et

afficitu punctu, sed etiam quandocumque vel sequitur ad i, ut kiūn, Rex, vel dictio finit in

un, ut xún, obedire, iûn, dicere; chùn, approbare:

Tandem u cum punto consonantibus ç et s post positum et finale, habet alium

differentem sonum, ut çù , filius; sù , mori; quem exprimere non valeo, aurium est enim de

sono iudicare non oculor; et linguae est cum exprimere, non manus, vel calami; quod

possum dicere est, ut fiat dentibus fere clausis, et labijs ridentibus, linguae cuspida

inferioribus dentibus applicato; caeterum haec omnia occidente[sic] Magistro, et usu, non

aiunt inutilia, ijs deficientibus parum proderunt[…]”280

Dalla spiegazione dell‟autore, non priva di ambiguità, si capisce che il grafo u

recante un punto rappresenta due suoni: 1) Il primo pronunciato alla maniera

germanica o francese, con un certo sibilo, quando in posizione finale, oppure

dopo la -i-, o nella combinazione -un; 2) Il secondo, invece, in posizione finale

dopo i grafemi ç- e s-, pronunciato con i denti quasi chiusi e le labbra

posizionate come quando si sorride, con la punta della lingua che tocca i denti

inferiori.

Colpisce il fatto che Brollo non specifichi la differenza tra punto soprascritto e

punto sottoscritto, apparentemente del tutto intercambiali, come si nota dai

seguenti esempi: chū˙ (豬 zhū, maiale), ch’û (除 chú, escludere), chù˙ (主 zhǔ,

padrone), chú (柱 zhù, colonna), ch’ǔ˙ (出 chū, uscire), kiūn (君 jūn, Re), xún (順

shùn, obbedire), iûn (云 yún, dire), chùn (准 zhǔn, approvare); secondo le

indicazioni di Brollo, in tutte queste parole la u andrebbe pronunciata “con un

sibilo” al modo francese o germanico, forse riferendosi ad un probabile valore

/y/.

279

v. supra, capitolo dedicato 280

HZXY, esemplare del 1694, (ms. Rinuccini 22), introduzione, f.5

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203

Nel caso in cui la -u segua invece i grafemi iniziali ç- o s-, essa può recare

esclusivamente il punto soprascritto, ad indicare una pronuncia che il

francescano sembra descrivere come un valore più arretrato, probabilmente tra

/ɨ/ e /ɯ/.

L‟ambiguità si estrinseca quindi in due modi: 1) per uno stesso valore fonetico, il

punto diacritico compare sia sopra, sia sotto, senza che se ne capisca la ratio; 2)

per differenti valori fonetici, il diacritico è usato nello stesso modo (soprascritto).

Ne deriva che, nel sistema di Brollo, la presenza/assenza del punto è

fonologicamente pertinente, ma non lo è la sua posizione. Si è detto che l‟unico

altro sistema in cui si rinviene il punto diacritico per l‟apertura vocalica anche in

posizione sottoscritta è quello di Trigault nello XREMZ. Tuttavia, in Trigault la

posizione è pertinente, generando opposizioni fonologiche ben chiare. Brollo

potrebbe aver in qualche modo mutuato la presenza del punto sottoscritto da

Trigault, avendo forse a disposizione lo XREMZ come fonte; ma in realtà si è

visto che ne fa un utilizzo diverso. La mancata corrispondenza tra l‟uso del

punto in XREMZ e HZXY è brevemente illustrata da questi pochi esempi:

Carattere XREMZ HZXY

于 iu iu˙

据 kiu kiu˙

損 sun sùn

Mentre nello XREMZ è ben chiaro che il punto sottoscritto alla u può occorrere

solo quando essa non è seguita da altri grafemi, ossia solo in sillabe tronche con

u come ultimo elemento, nello HZXY di Brollo non esiste questa limitazione, e si

trova il punto sottoscritto in sillabe come sụn, kiụn, dove la u è invece seguita

da una coda (-n).

L‟ultima osservazione riguarda le marche tonali, presenti nella romanizzazione

del dizionario nel numero di cinque, rispettivamente contrassegnate dai segni:

ˉ, ˆ, ´, `, ˘, solitamente sovrascritti agli ultimi grafemi della sillaba,

indipendentemente che essi siano vocali o consonanti (es. mā, mań, maňg,

manĝ); in sostanza, il sistema delle marche tonali di Brollo in HZXY non presenta

differenze con gli altri sistemi di romanizzazione analizzati.

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204

Una particolarità aggiuntiva dei diacritici in HZXY, secondo quanto detto nei

capoversi precedenti, riguarda la posizione: sia l‟aspirazione, sia i toni tendono a

concentrarsi sugli ultimi grafi della sillaba.

11.2 La romanizzazione del Confessionarium

La romanizzazione usata da Brollo nel Confessionarium è sostanzialmente

identica a quella usata da Varo nell‟Arte; la cosa non sorprende, dal momento

che entrambi gli scritti fanno parte dello stesso progetto editoriale, curato dal

francescano Pedro de la Piñuela (1650-1704), ma non si può non notare che la

romanizzazione è diversa da quella usata da Brollo nello HZXY. Si tratta infatti di

un sistema di romanizzazione basato totalmente sulla pronuncia spagnola;

anch‟esso è completo di marca per l‟aspirazione, indicazione dei toni e uso di

punti diacritici per precisare l'apertura vocalica.

È difficile dire se Brollo, nell‟eventuale manoscritto originale, abbia usato la

stessa romanizzazione o se, invece, essa sia risultata da una rielaborazione ad

opera dell‟editore o di terzi. L‟unica cosa certa è la pressoché totale omogeneità,

per quanto riguarda la romanizzazione, tra le opere di Varo e il Confessionarium:

Set delle iniziali delle romanizzazioni di Brollo (Confessionarium) e Varo a confronto

Brollo Confessionarium Varo IPA Attacchi/Nuclei

çh, çh‟ çh, çh‟ /ts/, /tsh/ %

ch, ch‟ ch, ch‟ /tʃ/, /tʃh/ %

f f /f/ %

g g /ŋ/-/ʔ/ %

h h /x/ %

j j /ʒ/ %

k, k‟ k, k‟ /k/, /kh/ %

l l /l/ %

m m /m/ %

n n /n/ %

p, p‟ p, p‟ /p/, /ph/ %

s s /s/ %

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205

ç ç (-u˙)

t, t‟ t, t‟ /t/, /th/ %

v v /v/-/ʋ/ %

x x /ʃ / %

Se si confrontano le iniziali della romanizzazione del Confessionarium con le

particolarità segnalate da Brollo riguardo alla romanizzazione spagnola, si

riscontra una totale compatibilità. In rarissimi casi si notano delle minime

discrepanze o incoerenze nell‟uso delle iniziali, ad esempio, il carattere 四 (sì,

quattro) è trascritto sempre çú˙ eccetto in un caso, dove viene trascritto sú˙,281

secondo la romanizzazione usata in HZXY; ma sarebbe azzardato interpretare

questo indizio come l‟evidenza di un elemento del testo originale sfuggito alla

correzione dell‟editore, mentre è più semplice leggere l‟incoerenza come un

banale errore, pur notandone l‟occorrenza.

Anche i tipi grafici delle rime del Confessionarium coincidono con quelli di Varo;

per uno schema delle rime di questi sistemi, si rimanda pertanto al capitolo

precedente, sulla romanizzazione di Varo.282

Infine, anche per l‟uso dei diacritici il Confessionarium risulta totalmente

aderente alla romanizzazione di Varo, comprendendo quindi una marca per

l‟aspirazione (spirito/apostrofo: c ), il punto per l‟apertura vocalica (solo

soprascritto) e le cinque marche tonali: ˉ, ˆ, ´, `, ˇ, previste nella maggior parte

dei sistemi analizzati.

11.3 Le romanizzazioni nel secondo dizionario di Brollo (1698)

Nella copia a nostra disposizione del dizionario di Brollo del 1698, la situazione

è molto complessa. Vengono usate più romanizzazioni: una principale, coerente

con l'ortografia italiana; ad essa si accostano a margine altre due o tre forme di

romanizzazione (spagnola, francese). Questo significa che chi ha copiato il

dizionario di Brollo, realizzando l'esemplare in questione, conosceva l'esistenza

281

Cfr. COBLIN & LEVI (2000:229) [f. 4b del confessionario+; il particolare non è segnalato

nell‟indice redatto da Coblin-Levi 282

v. supra

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206

di tutti questi diversi standard e, molto probabilmente, era italiano.

Considerando che il più probabile copista di questo esemplare era il

francescano italiano Giambattista Maoli da Serravalle,283 non è da escludere

l‟ipotesi che l‟annotazione di tutte le diverse forme di romanizzazione possa

essere attribuita a lui. Pertanto si è deciso di non prendere in considerazione

questa fonte che, sebbene direttamente connessa a Brollo, non offre in modo

chiaro e univoco un quadro della romanizzazione usata da quest‟ultimo.

Ci si limita ad osservare che, tra le sillabe indicate a margine e trascritte secondo

i sistemi secondari, una serie di esse rientra perfettamente nel sistema di

romanizzazione usato dal Brollo nel dizionario HZXY del 1694, un‟altra serie

coincide con quello usato nella grammatica da Varo e nel Confessionarium di

Brollo, altre sillabe sono estremamente compatibili con il sistema francofono

usato da Piñuela nell‟introduzione da egli aggiunta alla grammatica di Varo.284

Tutte le romanizzazioni indicate in questo esemplare, sia quella principale

italiana, sia quelle secondarie, presentano la marca dell‟aspirazione, i toni e un

certo uso del punto diacritico per l‟apertura vocalica. Un ulteriore analisi di

questa fonte, importante proprio per la compresenza di tutte queste diverse

romanizzazioni, potrebbe fornire molte informazioni sui vari standard di

romanizzazione utilizzati dai missionari in Cina alla fine del 1600.

11.4 Osservazioni finali sulla romanizzazione di Brollo

L‟uso della romanizzazione da parte del francescano Basilio Brollo trova una

testimonianza attendibile e particolareggiata nel dizionario manoscritto e

autografo HZXY del 1694; questa romanizzazione è estremamente caratteristica,

in quanto congeniata tramite l‟unione di elementi appartenenti tanto alla

tradizione spagnola quanto a quella portoghese. Le pagine di introduzione che

Brollo antepone al corpo del dizionario, inoltre, offrono informazioni sia sulle

scelte dei vari grafemi, sia sui possibili valori fonologici da essi rappresentati;

quanto appena detto rende questa fonte un documento estremamente prezioso

ai fini dell‟indagine storico-linguistica.

283

v. supra, paragrafo introduttivo Brollo 284

Cfr. COBLIN & LEVI (2000:xvi)

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207

Un‟altre fonte, il Confessionarium pubblicato in appendice alla grammatica di

Varo Arte de la Lengua Mandarina (1703), mostra uno scritto attribuito a Brollo

nel quali è utilizzato un sistema di romanizzazione differente, totalmente

coincidente con il sistema spagnolo usato da Varo.

Inoltre, sebbene si ritenga che il francescano Brollo negli ultimi anni del Seicento

abbia compilato un secondo dizionario cinese-latino, del quale si conservano

varie copie negli archivi europei, tuttavia ad oggi non se ne sono riconosciuti

esemplari autografi. Una delle copie più antiche dovrebbe essere quella ad

opera di Giambattista da Serravalle; questa copia, tuttavia, non è direttamente

utilizzabile per ricostruire la romanizzazione di Brollo, in quanto utilizza un

ulteriore metodo di trascrizione basato sull‟italiano, fornendo inoltre a margine

le sillabe romanizzate secondo altri sistemi.

Ritenendo la prima fonte come la più rappresentativa e caratteristica per la

romanizzazione del francescano di Gemona, se dovessero essere scoperti

documenti anonimi o non datati nei quali fosse impiegato questo sistema di

romanizzazione, si potrebbe ben ipotizzare l‟attribuzione a Brollo.

In conclusione, la romanizzazione di Basilio Brollo da Gemona è frutto di un

ottimo grado di competenza linguistica, dimostrato non solo dalla compilazione

di un‟opera lessicografica dalle dimensioni e qualità rilevanti, ma anche dalla

consapevolezza manifestata dall‟autore riguardo ai diversi sistemi di

romanizzazione usati dai suoi predecessori e contemporanei, dei quali egli attua

una personale sublimazione degna di nota.

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208

Un foglio del dizionario cinese-latino

manoscritto da Brollo, Hanzi Xiyi (汉

字西译, ca.1694). Ordinato per

radicali; ogni lemma presenta il

carattere cinese in capolettera, la sua

pronuncia romanizzata sottoscritta, la

definizione con all‟interno composti e

frasi romanizzati contenenti il

carattere del lemma.

La romanizzazione risulta essere un

mix di caratteristiche portoghesi e

ispaniche.

Due pagine del Confessionarium di Brollo, allegato alla grammatica di Varo. La romanizzazione

del Confessionarium è quindi identica a quella della grammatica (Arte), diversa dal sistema usato

nello XZQJ di Brollo. Nel progetto editoriale di Pinuela agì probabilmente anche sull‟omogeneità

delle romanizzazioni.

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209

12.0 Le romanizzazioni dei missionari francofoni

A partire dall‟arrivo in Cina dei gesuiti francesi inviati dal re di Francia Luigi XIV,

anche l‟ortografia francese iniziò ad essere usata per trascrivere le pronunce

cinesi. Inizialmente i gesuiti francesi accolsero lo standard portoghese in uso

presso i gesuiti del padroado (Intorcetta&al.), ma gradualmente lo sostituirono

con una nuova romanizzazione francofona, che si stabilizzò solo in seguito ad

un certo numero di modifiche e revisioni. In una nota contenuta nella prefazione

all‟edizione italiana della storia della Cina scritta dal gesuita francese Joseph-

Anne-Marie de Moyriac de Mailla (1669-1748), il traduttore osserva:

[…]Il Padre de Mailla si è attaccato a rendere i suoni Cinesi secondo il valore delle lettere

Francesi; ed ha avuto ragione di farlo. Ciò non ostante, è cosa molto diffìcile, che tutti i

Missìonarj Francesì, che hanno avuta l'istessa idea, si accordino fra loro sull‟ortografia di

quelle parole. […] Quella varietà d'ortografia si trova nei diversi scritti dei Missìonarj,

talchè potrebbe imbarazzare il lettore, e metterlo in dubbio[…]. 285

Esistevano quindi diverse romanizzazioni di stampo francofono, in uso in periodi

differenti. Inoltre, sebbene l‟abitudine a romanizzare il cinese tramite la grafia

francese iniziò con i gesuiti di Francia, anche presso altri missionari era

sperimentata questa possibilità.

Le fonti in cui si dispone di descrizioni analitiche di sistemi di romanizzazione

francofoni sono principalmente tre:

1) il Nouveaux memoires sur l'état présent de la Chine del gesuita francese

Louis Le Comte (1655-1728), pubblicato nel 1696; 286 nel testo, sia

nell‟edizione francese, sia nella traduzione inglese, compare una tavola

delle sillabe di base del mandarino.287 Da essa è possibile trarre un buon

numero di informazioni sulla romanizzazione di Le Comte;

285

MAILLA & al. (1777:I:141:n.1) 286

LE COMTE (1696); DU HALDE & LE COMTE (1772) 287

La tabella, nell‟originale francese (1696), ha per titolo “Recueil de tous le mots qui composent

la Langue Chinoise”, inserita tra le pp.370-1; nell‟edizione inglese (1772), la tabella si intitola “A

Listo f All the Words that form the Chinese Language”, posta ta le pp. 176-7

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210

2) la già citata grammatica Arte de la Lengua Mandarina di Varo pubblicata

nel 1703, nella cui introduzione scritta dal francescano messicano Pedro

de la Piñuela (1650-1704) si presentano delle convenzioni ortografiche

francesi alternative a quelle spagnole, per facilitare i lettori francofoni;

3) la grammatica Notitia Linguae Sinicae del gesuita francese Joseph H.M.

de Prémare (1666-1736), scritta intorno agli anni ‟20 del 1700, ma

pubblicata solo nel 1831;288 all‟inizio del testo si trova un “Omnium

Vocum Linguae Sinicae Index Generalis”, ossia una lista di tutte le sillabe

cinesi esistenti, comprese le differenze di tono, con un corrispondente

carattere cinese come esempio.

Le osservazioni sui tre sistemi di romanizzazione reperibili in queste tre fonti

principali saranno poi integrate con alcune informazioni tratte da fonti

complementari, come la Histoire de l'empereur de la Chine del gesuita francese

Joachim Bouvet (1656-1730), del 1699,289 oltre alla già citata storia della Cina di

Mailla, del 1777. Inoltre, conferme della stabilizzazione dello standard francese

nei secoli successivi si trovano sparse nelle lettere riguardanti la Cina in Lettres

edifiantes et curieuses,290 raccolta di epistole scritte dai gesuiti delle missioni

straniere, pubblicata da tra gli anni 1702-1776, tra cui figurano scritti di gesuiti

francesi attivi in Cina quali Charles Le Gobien (1653-1708) e Jean-Baptiste Du

Halde (1674-1743).

Piuttosto che procedere separatamente, si preferisce impostare l‟analisi in modo

comparativo fin dall‟inizio, confrontando direttamente i grafemi iniziali e i tipi

grafici delle rime delle tre diverse romanizzazioni, per poterne sottolineare

direttamente similarità e differenze.

Le due fonti di estrazione gesuita (Le Comte, Premare) mostreranno una

maggiore somiglianza tra le rispettive romanizzazioni, essendo probabilmente

iscrivibili in una stessa linea evolutiva; la romanizzazione di Pinuela in Varo,

invece, divergerà per alcune particolarità, non mancando però di punti di

contatto con gli altri due sistemi.

288

PREMARE (1831) 289

BOUVET (1699) 290

LE GOBIEN et al. (1702-1776)

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211

12.1 Grafemi iniziali delle romanizzazioni francofone (confronto)

Se si confrontano gli inventari dei grafemi iniziali delle tre romanizzazioni

francesi, si nota subito una certa caratterizzazione ortografica, che le distanzia

dalle romanizzazioni portoghesi e spagnole in modo abbastanza evidente:

Grafemi iniziali delle romanizzazioni francesi a confronto

Le Comte Pinuela Premare IPA

ch ch ch /ʃ/

tch tch, tch‟ tch, t‟ch /tʃ/, /tʃh/

ts ts, ts‟ ts, t‟s /ts/, /tsh/

c

k

q

k, k‟ k, k‟ /k/, /kh/

f f f /f/

h h h /h/

l l l /l/

m m m /m/

n n n /n/

ng ng ng

ngh (-e) /ŋ/-/ʔ/

g g ---

p p, p‟ p, p‟ /p/, /ph/

s s s

/s/ ss ss

t t, t‟ t, t‟ /t/, /th/

v v v /v/-/ʋ/

*g j g (-e, -i

j (-a, -e, -o, -u) /ʒ/

Le rese grafiche di tre fonemi: ch- per /ʃ/, tch- per /tʃ/ e ts- per /ts/, sono

condivise dai tre sistemi, rappresentando gli elementi di maggior distacco dalle

altre romanizzazioni sul piano dei grafemi iniziali.

Per il fonema /k/ si osserva una lieve discordanza tra la trascrizione di Le Comte

e quella delle altre fonti; forse perché il primo in ordine di tempo, Le Comte

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212

mantiene la terna allografica c-, k-, q-, osservata in molte delle romanizzazioni

analizzate, specialmente in quelle di matrice portoghese. Questa soluzione sarà

accolta anche dalla romanizzazione usata nelle Lettres Edifiantes di Le Gobien e

gli altri. Al contrario, Pinuela e Premare preferiscono l‟economia grafica della

resa unica k-, invalsa presso la maggior parte delle romanizzazioni ispanofone.

Per il range di valori /ŋ/-/ʔ/, i tre sistemi adottano prevalentemente il digramma

ng-, con alcune differenze: Le Comte e Pinuela ammettono ng- davanti a

qualsiasi vocale, mentre Premare raccoglie l‟abitudine ortografica di aggiungervi

una h per “indurire” la g davanti alla vocale -e, ottenendo un allografo ngh-, in

complementarietà con ng-. Sia Le Comte, sia Pinuela, prevedono invece un

allografo g- con rara occorrenza (davanti a -u), in Le Comte esclusivamente

davanti alla rima -uei (guei); è interessante notare che dove Le Comte e Pinuela

pongono g-, in Premare non compare alcuna iniziale (ouei), il che fa protendere

per un interpretazione fonologica di g- più spostata verso /ʔ/ che verso /ŋ/.

In Pinuela e Premare si nota una particolare allografia, con /s/ rappresentato da

s- e ss-, la cui ragion d‟essere è di difficile interpretazione.

Per il suono /ʒ/ si ha solo la j- in Pinuela e la coppia allografica j-, g- in Premare.

In Le Comte, stranamente, nella tabella non compaiono sillabe né con iniziale j-,

né con iniziale g-. Nel testo, tuttavia, si rinvengono alcune occorrenze di sillabe

gim, ad esempio in gim-sem (rénshēng 人生, “Ginseng”), lasciando pensare che

il valore /ʒ/ dovesse trovare la veste grafica g- nella romanizzazione di Le Comte.

L‟ultimo particolare da sottolineare riguarda l‟evidente differenza tra Le Comte e

gli altri due autori, risiedente nella totale assenza delle consonanti aspirate che,

al contrario di quanto accade in Pinuela e Premare, non sono distinte

graficamente da quelle non aspirate; ciò dipende certamente dalla diversa

tipologia delle tre fonti e dalla conseguente funzione della romanizzazione

ricoperta in ognuna di esse. Anche nelle Lettres Edifiantes, la romanizzazione

non distinguerà le aspirate, data la natura divulgativa degli scritti. Il set di

grafemi iniziali di Le Comte si ritrova altresì identico in Bouvet (1699).

I grafemi iniziali dei tre sistemi sono, per concludere, totalmente compatibili;

due di essi, Pinuela e Premare, coincidono pressappoco col numero di 20/22, in

accordo con il set di iniziali di riferimento, mentre la romanizzazione di Premare

presenta un numero leggermente più basso, per l‟anzidetta mancanza della

segnalazione delle aspirate.

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213

12.2 Tipi grafici delle rime nelle romanizzazioni francofone

La caratterizzazione francofona, se già evidente nei grafemi iniziali, nelle rime si

fa ancora più palese. Il primo motivo è la presenza di un gran numero di rime,

con un alta percentuale di allografie causata dalle molte rese grafiche dei gruppi

vocalici attraverso complesse combinazioni di grafi.

Nelle rime si evidenziano anche alcune differenze dei tre sistemi, più lampanti in

Pinuela, che si distanzia a causa di una serie di rese molto particolari; in Le

Comte e Premare, invece, le differenze possono essere lette in chiave evolutiva.

Le tre tabelle seguenti presentano gli inventari dei tipi grafici delle rime dei tre

sistemi:

Tipi grafici delle rime di Le Comte

V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC

-a -ai/ay/aï;

-an; -am; -ao(au)

-eam; -ean

-ï/y

-i

(y-)

-ia/ya;

-ie/ié/ïe;

-in; -im;

-io/ïo;

-iu/ïu

-iai/yai;

-iam/yam; -iao(iau)/ïao;

-ien/ïen; -ieou/ïéou;

-ioum;

-iuè/ïué; -ïum; -iun/ïun

-iuen/ïuen;

(ieuen)

-e/é -en; -em;

-eou/éou;

-o

-ou

-oa; -oe/oé; -oi;

-on

-ouè; -oui/ouï;

-oum; -oun ;-ouo;

-oai; -oan; -oam;

-oei; -oen;

-ouan; -ouam; -ouaon;

-ouen;

-oum; -ouon

-u -uè; -ui; -un;

-uoué

-uei; -uén;

-uouai; -uouam;

-uouei; -uouen

lh

Le rime del mandarino, in Le Comte, sono rese attraverso un gran numero di tipi

grafici, pari almeno a 63; tale quantità supera di gran lunga le 50/55 rime

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214

fonologiche di riferimento. Questo porta ad individuare facilmente molte forme

allografe, alcune prettamente dettate da abitudini ortografiche (es. -o/ou per il

probabile valore /o/, o -e/è per /e/, o -oai/uouai per /wai/), altre probabilmente

giustificabili come rese fonetiche di allofoni causati dalla coarticolazione con le

iniziali (es. -iao/eao). Per le sillabe inizianti per /j-/, è prevista la trasformazione

del grafo i in y- o ï (es. ye, yam, ïao, ïo).

La forma grafica per la coda /ŋ/ è la -m di stampo portoghese, segno del fatto

che Le Comte dovette assorbire prima la romanizzazione dei gesuiti del

padroado, sulla base della quale sviluppò in seguito questa sua variante francese.

Ultimo particolare, la resa lh per /ɚ/, anch‟essa retaggio della romanizzazione di

stampo lusitano.

Tipi grafici della romanizzazione di Pinuela (in Varo)

V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC

-ǎ;

-ǎi;

-ais;

-aus/aux;

-as

-ai; -ao; -ane; -ans

-e -eou;

-ene; -ens

-eao; -eans;

-is (ys)

-ius

-iǎi; -iais; -ias;

-ie;

-ine;

-iǒ;

-iuǎi; -iune

-iao; -ians;

-iene; -ieou;

-iuene; -iuons

-iuen

-o;

-ǒ;

-ǒu

-os;

-ots;

-ous

-ouys; -ons; -oai; -oans;

-oei;

-oine;

-ouone

-us

-un -uai; -uǎi; -uans;

-uei;

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215

I tipi grafici delle le rime usati da Pinuela sono di certo i più originali, e forse i

più strettamente aderenti all‟ortografia francese. Se ne contano almeno 53,

compatibili con la quantità di riferimento di 50/55 rime fonologiche. La

particolarità più evidente è certamente rappresentata dalla resa delle due code

/n/ e /ŋ/, rispettivamente rese dai digrammi -ne e -ns, in modo coerente

all‟abitudine ortografica francese. Si nota inoltre la presenza di un grafo finale -s

(non preceduto da n, bensì da vocali) la cui natura è prettamente ortografica e

non rappresenta alcuna coda fonologica. Non sembra che queste particolarità

siano state accolte da altri missionari francofoni contemporanei o successivi a

Pinuela.

Anche nella romanizzazione del francescano messicano si riscontra un certo

numero di probabili allografie,291 alcune delle quali anche molto diverse tra loro

(es. -o/os/ots/aus/aux per /o/-/ɔ/, oppure -iais/ie/ye per /je/). Nella

romanizzazione di Pinuela non è, infine, indicata una resa grafica per /ɚ/.

Tipi grafici delle rime di Premare

V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC

-a -ai;

-an; -ang; -ao;

-eao;

-i

(y-)

-ia;

-ie/ye;

-in/yn; -ing/yng

-io; -iou;

-iu/yu

-iai/yai;

-iang/yang; -iao/yao;

-ien/yen; -ieou/yeou;

-iong/yong;

-iue/yue; -iun/yun

iuen/yuen

-e -ei; -en; -eng;

-eou;

-eueng

-o

-ou

-oa;

-ong

-oua; -oue; -oui;

-ouo;

-oai; -oan; -oang;

-oei;-oen;

-ouai;

-ouan; -ouang

291

I dati fonologici relativi a Pinuela sono tratti da Coblin & Levi (2000:xvi); le osservazioni sulle

allografie si basano pertanto sulle ricostruzioni fonologiche effettuate nel suddetto studio, oltre

che in accordo con il quadro ortografico del francese post-rinascimentale presentato nei capitoli

introduttivi di questa tesi.

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216

-oüe; -oüe -ouei; -ouen

-u -üe; -un -uei; -uen

eull

Delle tre fonti, la grammatica di Premare è certamente quella che descrive la

lingua in modo più organico; rispetto alla romanizzazione di Le Comte, quella in

Premare sembra godere di maggiore coerenza interna, testimoniata da un

minor numero di allografie.

Le due code /n/ e /ŋ/ sono rappresentate in modo simile alle romanizzazioni

spagnole, rispettivamente dai grafemi -n e -ng. È questo un altro cambiamento

che si trova in Premare rispetto a Le Comte. In realtà, Premare non è il primo a

introdurre questa modifica: nella già citata opera di Bouvet, Histoire de

l'empereur de la Chine (1699), alla coda -m della romanizzazione di Le Comte si

era già sostituita la coda -ng.

Per le sillabe senza consonante iniziale, inizianti per /i-/ o /j-/, si riscontra un

allografo y- molto produttivo.

Infine, il probabile fonema /ɚ/ trova in Premare una resa eull, dissimile dai

sistemi precedentemente analizzati, ma più vicina all‟abitudine ispanofona (ul)

che a quella portoghese (lh).

12.3 Diacritici delle romanizzazioni francofone

In Le Comte non si riscontrano diacritici fonologici di alcun tipo, né per

l‟aspirazione, né per i toni; va notato, tuttavia, che nella sua opera si introduce

per la prima volta, seppure in modo occasionale, il trattino orizzontale ( - ) a

divisione delle sillabe di alcune parole (es. Ham-tcheu, per Hangzhou 杭州),

particolare che si ritrova poi sistematizzato nella romanizzazione usata in Lettres

edifiantes da Le Gobien e gli altri, sostanzialmente uguale a quella di Le Comte

anche in tutti gli altri elementi.

Nelle romanizzazioni di Pinuela e Premare è prevista una marca per l‟aspirazione

che, similmente agli altri sistemi, è resa tramite un gancetto ( c ) in Pinuela e un

apostrofo ( „ ) in Premare. Riguardo alla posizione, la differenza sta nel fatto che

Pinuela, come Varo, pone il gancetto (o spirito) sopra gli ultimi grafi della sillaba,

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217

mentre Premare posiziona l‟apostrofo dopo il primo grafo della sillaba (es. t’a,

t’cha, t’sa), non sovrascrivendolo bensì interponendolo tra i primi due grafi.

Per quanto riguarda i punti diacritici, soprascritti o sottoscritti, incontrati negli

altri sistemi, in queste tre romanizzazioni non ce n‟è traccia. In Le Comte si trova

invece la dieresi soprascritta alla i ( ï ), che sembra indicarne il valore

semivocalico /j/. In Premare, la dieresi interessa invece la u ( ü ), probabilmente

per un valore centrale /ʉ/, o posteriore non arrotondato /ɰ/.

I toni sono chiaramente indicati nella tabella delle sillabe in Premare; se ne

contano cinque, resi tramite le marche: ˉ, ˆ, ´, `, ˘. Nell‟illustrare la sua

romanizzazione francese, Pinuela non fa esplicita menzione dei toni, ma non fa

neanche distinzioni con la forma di notazione del sistema ispanofono, per cui si

presume che anche nella variante francese fossero utilizzate le stesse marche

tonali usate da Varo, sostanzialmente uguali anche a quelle di Premare.

12.4 Osservazioni finali sulle romanizzazioni francofone

Il Memoires di Le Comte introdusse per la prima volta una romanizzazione

francofona; nelle opere successive dei gesuiti francesi, questa forma di

romanizzazione subì modifiche e aggiustamenti: Bouvet (1699) mantenne i

grafemi iniziali di Le Comte e modificò leggermente le rime; Premare (172?),

conservò le rime simili a Bouvet e apportò aggiustamenti ai grafemi iniziali.

Le romanizzazioni di Le Comte e Bouvet, essendo impiegate in opere di stampo

divulgativo, non necessitavano di segnalare le pronunce cinesi con precisione e

rigore fonologico, tralasciando tutta una serie di distinzioni, quali le aspirazioni e

i toni. Il rigore di trascrizione era invece necessario per Pinuela nella grammatica

di Varo e per Premare nel suo trattato sulla lingua; nei sistemi di romanizzazione

di queste due opere, specialmente in Premare, compaiono infatti le rese

grafiche di tutte le distinzioni fonologiche pertinenti.

La variante francese di Pinuela, tuttavia, non ebbe gran diffusione, forse perché

il pubblico cui era rivolta la grammatica di Varo era in prevalenza ispanofono,

oltre al fatto che il francescano introdusse la romanizzazione francese

esclusivamente per illustrare alcune pronunce; ma la romanizzazione principale

impiegata nell‟opera era comunque quella spagnola.

La creazione e l‟impiego di uno standard francese contribuì a distinguere e

distanziare ancora di più i gesuiti francesi da quelli del padroado, avvicinandoli

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218

invece ad altri gruppi missionari a prevalenza francofona come le Missions

Etrangères de Paris (MEP), attive in Cina fin dagli ultimi anni del XVII secolo.

Particolare della tavola delle sillabe

cinesi contenuta nel Memoires di Le

Comte. Ogni casella contiene una

sillaba di base in forma

romanizzata; in basso, al centro, si

legge “328”, che secondo Le Comte,

era il numero totale delle sillabe

cinesi.

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219

PARTE III

CONCLUSIONI E APPENDICI

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220

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221

13.0 Osservazioni riassuntive sulle romanizzazioni dei secoli XVI-XVIII

L‟inquadramento dei vari gruppi missionari nel sistema bipolare del patronato

regio porta spesso a distinguere semplicisticamente tra missionari della corona

portoghese (gesuiti) e missionari della corona spagnola (agostiniani, domenicani,

francescani). Tuttavia, la realtà dell‟afflusso missionario in Cina era di per sé

molto più variegata, specialmente dalla metà del 1600 in poi.

La situazione linguistica, di pari passo con la varietà delle nazionalità presenti

nelle missioni cinesi, lungi dall‟essere scindibile in due gruppi nettamente

caratterizzati (portoghese come lingua franca dei gesuiti del padroado; spagnolo

come lingua franca dei missionari del padronado), doveva anch‟essa essere assai

complessa e dinamica.

Studiando le romanizzazioni in uso presso le missioni cattoliche in Cina tra „500

e „700, ci si accorge che esse traevano ispirazione dagli alfabeti delle lingue

europee più conosciute e parlate dai membri delle missioni, variando e

modificandosi a seconda delle contingenze, ma principalmente in base alle

esigenze concrete degli utenti cui erano destinate.

Vi furono missionari della corona spagnola che trascrissero in portoghese;

gesuiti del padroado portoghese che romanizzarono secondo l‟uso italiano;

sempre tra i gesuiti, dopo aver definito uno standard portoghese, vi fu chi tentò

di modificarlo, creando una romanizzazione originale e trasversale, e chi

dichiaratamente cambiò a favore dell‟ortografia spagnola; altri missionari,

estranei al sistema del patronato regio, preferirono rimodellare i sistemi di

romanizzazione su altre lingue, come il francese, o l‟italiano, per andare incontro

alle proprie esigenze e a quelle del pubblico a cui indirizzavano i loro scritti.

È possibile, in questa continua rivoluzione delle romanizzazioni, tracciare delle

linee di discendenza, per individuare alcune correnti o tradizioni e stabilire se e

quando si siano mai affermate come standard.

13.1 Il filone portoghese

A parere di chi scrive, il primato cronologico della presenza portoghese in Asia e

in particolare a Macao, ha fatto sì che le prime rese alfabetiche delle pronunce

cinesi fossero basate sulla pronuncia e sull‟ortografia lusitana.

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222

Probabilmente, nella comunità mista di cinesi e occidentali presente a Macao,

l‟interscambio linguistico aveva portato alla compilazione di qualche glossario,

frasario, etc. Senza contare che, per certo, esistevano interpreti cinesi, o

portoghesi (tra i convertiti o tra i mercanti) che potevano aver sviluppato anche

qualche tipo di competenza didattica.

Negli scritti dei missionari del padronado spagnolo entrati in Cina alla fine del

1500, come le relazioni di Gapar da Cruz (1520-1570), Martin De Rada (1533-

1578) e Juan Gonzales De Mendoza (1540-1617), ci si aspetterebbe di trovare

alcuni elementi che caratterizzano le romanizzazioni spagnole dei decenni

successivi; fra queste, si potrebbe pensare di riscontrarvi la caratteristica più

palesemente differente dalle romanizzazioni portoghesi: la resa -ng per la coda

nasale /ŋ/. Eppure né in Da Cruz (1569), né in De Rada (1575), né in Mendoza

(1585), compaiono mai parole cinesi con una coda -ng; anzi, tutte e tre le opere

impiegano la grafia -m in modo simile all‟uso portoghese. Per illustrare la

suddetta particolarità, si prenderanno d‟esempio tre passi, rispettivamente degli

scritti dei tre missionari, nei quali compaiono le trascrizioni dei nomi delle

province cinesi:

[…]La primeira [provincia] que esta da hada da india he ha provincia de Cãtão, ha cabeça

desta provincia he ha cidade de Cãtão, da qual toma denominaçam ha p[ro]vincia.[…]

Outra provincia se chama Cãsi[…]como esta provincia sei a mayor q ha de Cantão[…]. La

outra p[ro]vincia se chama Fuque, ha sua cabeça se chama Fucheo.[…] La outra p[ro]vincia

se chama Chaqueã, de que he cabeça grãde cidade d[e] Omquo[…] em q entra ha cidade

de Liapoo[…] Ha outra provincia se chama Xuteasim, cuia cabeça he ha grade cidade de

Paquim.[…] Ha outra p[ro]vincia se chama de Chilim: cuia cabeça he ha grande cidade de

Namquim. […] Ha outra provincia se chama Sançi[…]outra provincia se chama Quichio[…]

outra se chama Fuquom. Ha outra Quinsi. Ha outra Uinam. Ha outra Siquam. Ha outra se

chama Siensi[…].292

(Da Cruz)

Este Reyno de taybin todo lo que se comprehende dentro dela muralla yadicha, y aquel

Rio grande ylamar se rreparte en quinze provinçias que ellos llaman /çe/ De las quales las

292

CRUZ (1569:c-cjj)

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223

dos se goviernan por audiençias 223artic, pacquiaa y lamquiaa. Es pacquiaa o, pacquin

donde el rrey rreside y governase por su audiençia. Y lamquiaa, o, Namquin era el

assiento de los Reyes antiguamente y ansi sequedo tambien con governaçion de

audiençia. Y quiere dezir pacquiaa, corte del norte, y lamquiaa, corte del sur, porque las

çiudades prinçipales dentrambas ados provinçias que son, sunthien y, yinthien, estan una

con otra norte sur y esta la una dela otra trezientas y quarenta leguas. Las otras trez e

provinçias que llaman. Pochinsi son governadas por virreyes. Y començando a contar

desde pacquiaa que es la caveçera y esprovinçia cuyos terminos llegan ala muralla ya

dicha tiene hazia el oriente la provinçia de santon, o, suaton, que llega a la mar y tambien

a la muralla porque la çerca comiença desde la mar y a la parte del occidente de pacquiaa

esta, Sançij, o, Suansay y luego Siamsay en la qual provinçia feneçe la çerca o muralla

despues de aver passado desde la mar alli seiscientas leguas y de siamsay hazia el

sudueste esta susuan cuyos terminos hazia el poniente llegan alrrio grande que arriba

diximos, y desde susuan hazia el medio dia esta Cuychiu . Y luego onlam, o, onnam, que

es lo ultimo De taybin hazia el medio dia Y tiene hazia el poniente las lagunas grandes de

donaçe el rrio arribadixo, y unas grandes sierras y de la parte del medio dia llega çerca de

la mar pordonde entiendo que por alli es tierra aspera y despoblada la costa de la mar

pues no ponen aver por alli gente que more. Desde Onam hazia el oriente esta la

provinçia de cuansy, o, cuynsay, que aunque llega çerca de la costa tam poco llega a la

mar, luego sobre la misma mar esta la de cuanton, o, cuintan do estan poblados los

portugueses y prosigiendo hazia el oriente sobre la costa esta la provinçia de fuquien, o,

Hocquien adonde 223artic fuymos y mas adelante esta chetcan en la qual Rebuelbe

lacosta hazia el norte y en cima della, namquim, o, lamquiaa. Y luego la ultima en la costa

santon que arriba diximos. Y estas son las provinçias que çercan toda taybin y quedan

mediterraneas tres provinçias que son, Holam, Oucun, y. Cansay. Esta Holam çercada de

las provinçias de pacquiaa, Santon, Lamquiaa, Oucun, y, Sançij, y viniendo desde olam

hazia, cuansij esta en medio, Oucun, casi al sudueste y desde Oucun hazia hocquien esta

cansay en medio quasi al sudueste. Ponemos quasi acada provinçia dos nombres el uno

es en lengua cortesana y el otro en la lengua particolar de la provinçia de Hocquien.293

(De rada)

293

RADA (1575:f.22r) Ms.

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224

[...]Llamanse las Provincias: Paguya, Foquiem, Olam, Cyncay, Susuam, Tolanchia, Cansay,

Oquiam, Aucheo, Honan, Xanton, Quicheu, Cequeam, Susuam.294

(Mendoza)

Sebbene le romanizzazioni usate dai tre missionari possano essere state il frutto

di estemporanee rese grafiche congeniate dagli autori, si deve comunque

considerare l‟ipotesi anche l‟ipotesi inversa, cioè che esse riflettessero dei veri

sistemi di trascrizione in uso presso i missionari dell‟impero spagnolo. La

romanizzazione di De Rada, tra l‟altro, potrebbe verosimilmente essere stata

codificata in un sistema, visto che il suo confratello Mendoza racconta che De

Rada aveva compilato un dizionario ed una grammatica della lingua cinese:

[…]començaron con gran cuidado y estudio a aprender su lengua, la qual supo el

provincial [Martin De Rada] en pocos dias, y tambien que hizo en ella arte y

bocabulario.295

Bisogna quindi ipotizzare che almeno le romanizzazioni di De Rada fossero

espressione di un sistema organico. Comunque, in nessuno di questi scritti

compare mai la coda ispanofona -ng, e nemmeno la diffusa assimilazione in k-

dei grafemi iniziali c-, q- per /k/.

Oltre al probabile sostrato di romanizzazioni portoghesi occasionali realizzate a

Macao, un altro incentivo all‟uso della grafia lusitana risiede probabilmente nella

nazionalità di Da Cruz che, essendo portoghese, preferì chiaramente trascrivere i

suoni cinesi secondo la sua abitudine ortografica, probabilmente corroborata

dalle consuetudini vigenti di Macao. Come pioniere dei resoconti sulla Cina, Da

Cruz fu certo un riferimento per i missionari che volevano tentare l‟entrata in

Cina e che nell‟opera del domenicano portoghese potevano trovare utili

informazioni di base sullo stato del Paese. È possibile quindi ipotizzare che

l‟opera di Da Cruz abbia dato un imprinting riguardo alla trascrizione dei nomi

cinesi che, per un certo tempo, furono resi con la grafia lusitana anche dai

missionari arrivati sulle caravelle spagnole.

294

MENDOZA (1585:17) [corsivo mio] 295

MENDOZA (1585:154)

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225

Curiosamente, i primi veri missionari del padroado portoghese, i gesuiti Michele

Ruggieri e Matteo Ricci, optarono invece per una romanizzazione italiana, che

rimase in uso per i primi anni della missione. Ma si è già osservato che anche in

questa romanizzazione italofona (RES) comparivano alcuni grafemi estranei alla

grafia italiana (ad es. l‟iniziale ng- per /ŋ/-/ʔ/) chiaramente mutuati da quella

portoghese.

Si presume che solo verso l‟inizio del „600 l‟ortografia di riferimento sia cambiata

a favore del portoghese, in un progetto di standardizzazione del sistema di

romanizzazione. La prima fonte scritta che ci ha permesso di ricostruire questo

nuovo standard portoghese, creato da Ricci e confratelli (RLS), e lo XZQJ del

1604. La romanizzazione contenuta in questo scritto rappresenta il punto di

partenza del vero e proprio standard portoghese usato dai gesuiti del padroado;

se ne ritrovano tracce nelle lettere e nelle relazioni scritte dai membri della

Compagnia fin dagli ultimi anni del „500.

Nel 1626, il tentativo di Trigault di rimodellare questo sistema di romanizzazione

avrebbe potuto segnarne una svolta netta, un cambiamento abbastanza

consistente; ma, come si è detto, la romanizzazione proposta da Trigault non ha

riscosso il successo sperato. La romanizzazione portoghese RLS è quindi

sopravvissuta più o meno immutata, subendo una serie di lievi modifiche che ne

hanno generato alcune varianti personali, come quelle che si ritrovano nella

romanizzazione MM1 di Martino Martini (Grammatica) e nelle opere di Michal

Boym.

Di queste due ultime varianti, la prima (MM1) è risultata essere la più vincente,

grazie alla diffusione della esile, ma fondamentale, grammatica del gesuita

tridentino; la grammatica passò per le mani di molti confratelli e intellettuali

europei, garantendo l‟affermazione del sistema di trascrizione in essa contenuto.

Non che le opere di Boym non abbiano avuto una certa diffusione, ma la natura

specificamente linguistica e didattica della grammatica di Martini ne ha

decretato il primato sul sistema di Boym, congeniato invece per un uso più

divulgativo (e quindi meno preciso).

Tra i gesuiti che più contribuirono a diffondere e migliorare la grammatica di

Martini, con la romanizzazione in essa impiegata, si è parlato del belga Philippe

Couplet; egli fu certamente il degno rappresentante di tutti quei gesuiti del

padroado attivi in Cina nella seconda metà del „600, che probabilmente mossero

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226

i primi passi nello studio della lingua proprio grazie agli appunti grammaticali di

Martini. Fra questi, il siciliano Prospero Intorcetta e il portoghese Antonio de

Gouvea, insieme a molti altri confratelli attivi negli stessi anni, attuarono la

definitiva affermazione della versione stabilizzata di RLS, secondo cui

romanizzarono tutte le opere xilografiche più importanti della missione gesuita

in Cina, tra cui le traduzioni latine dei classici confuciani e alcuni trattati sulla

questione dei riti.

Sebbene la presente ricerca si fermi ai primissimi anni del 1700, alcune brevi

note sulla sopravvivenza della romanizzazione portoghese nei decenni

successivi possono chiarirne la longevità e la diffusione anche presso i non

missionari.

Si pensi, ad esempio, all‟orientalista francese Etienne Fourmont (1683-1745), che

compilò alcune opere sinologiche con particolare attenzione alla lingua.

Nonostante egli fosse di nazionalità e lingua francese, Fourmont dichiarò di

preferire la romanizzazione portoghese a tutte le altre, impiegandola infatti in

modo sistematico nei suoi scritti.

Nell‟opera Réflexions critiques del 1735, l‟autore sottolineava l‟esistenza di vari

standard regionali per la romanizzazione del cinese, spiegando i motivi della sua

scelta:

Les différentes façons d'écrire le Chinois reviennent au même, Hoam, Hoan, Hoang,

pourroient n'être que le même nom; le premier écrie à la Portuguaise, le sécond écrit à la

Françoise, le troisiéme écrit a l'Allemande. Il est bon quelque fois de les avoir des trois

façons, l'une donne à l'autre la clarté qui y manqueroit; mais on doit sçavoir que l'Ecriture

ou Orthographe Portugaise est la commune & absolumem la plus commode. [...] Tout est

écrit à la Portugaise & parfaitement juste, soit dans la Liste du Père Couplet, soit dans

celle du Missionnaire Etranger: dans la Liste laissee par M. Hoange, tout est à la Françoise ,

& par une suite, avec les ambiguitez dont on vient de parler. Il faut encore avertir qu'à la

22 Race, M. Hoange écrit Táa thsine, & que pour thsine il devoit écrire thsin, ce qui devient

la prononciation de plusieurs monosyllabes Chinois; de même dans cim par m ou à

l'Allemande ng : M. Hoange , quoique Chinois, étant né dans la Province de Fokien , nous

donne souvent deces ne pour m, en quoi il y a deux fautes, celle d'écrire n pour m , &

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227

celle de prononcer l'n sonnante pour un m qui ne l'est point; ainsi il écrivoit les Kines pour

les Kims, ce qui est une espece de solœcisme.296

Fourmont, quindi, pur essendo madrelingua francese, riconosceva le ambiguità

ortografiche che la propria lingua poteva generare, pertanto decidendo di non

adottare la romanizzazione francofona in uso presso altri. La stessa convinzione

è espressa ripetutamente dall‟autore, nelle opere successive. Questo breve

passaggio di Meditationes Sinicae del 1737, ribadisce quanto già affermato due

anni prima:

Vocabula omnia Sinica consonâ constant & vocali. Consonâ incipiunt vocali desinunt.

Vocalis eaque unica censentur quaecumque post consonam litterae, ai, ei, ui, oi, oei, uon,

&c. ulh quod hic legis, scribitur quoque lh. Um, si quod est, dicitur pro vum, en, in, un, non

raro confunduntur, ut apud Germanos i & u Gallicum. […] Haec repetenda ut Sectionum a

nobis rationem discas, in quibus Sinas & Orthographiam Lusitanicam sequimur.297

Nella Grammatica Duplex del 1742, Fourmont opera ulteriori osservazioni sui

vari sistemi di romanizzazione, sostenendo che lo standard portoghese sia il più

idoneo, in quanto facilmente comprensibile a tutti gli studiosi in seguito alla

lunga tradizione di utilizzo e alla sua versatilità:

[...]Quam ob causam, ut de ea quam sequemur Pronunciatione certus sis, tametsi variarum

gentium alphabethis efferri possint vocabula sinica, verbi gratia, Italico, Germanico, Gallico,

&c. tamen cum Riccio, Martinio, Kirkero, Mullero, Bayero, missionariis plaerisque, uno

verbo, doctis sere omnibus, scriptura linguae mandarinicae accomodatior visa nulla sit

quam Lusitana; tene hoc primum, eidem nos Pronuciationi, & in Meditationibus

adhaesisse, & in hac Grammatica, atque in ipsis deinceps Dictionariis adhaesuros.

[...]utilitati serviendum omnium & cum hîc Lusitanorum consuetudinem non solum

antiquissimam atque usitatissimam, sed etiam facillimam ac promptissimam se cuti sint

Docti omnes, eam (quod & Bayerus) amandatis caeteris, unam nos quoque & in

Meditationibus Sinicis conservavimus & in hoc Libro conservabimus.298

296

FOURMONT (1735:II:422-423) 297

FOURMONT (1737:37) 298 FOURMONT (1742:2,6)

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La romanizzazione portoghese, così come tramandata dagli ultimi gesuiti del

padroado, oltre ad essere stata scelta e conservata da orientalisti e proto-

sinologi come Fourmont, sembra essere rimasta in uso anche presso le missioni

cinesi, anche oltre la sfera d‟influenza gesuita. Una testimonianza della

sopravvivenza dello standard portoghese, in forma pressoché identica a quella

usata da Intorcetta&al. alla fine del „600, si ritrova nei lavori linguistici del

missionario lazzarista Joaquim Afonso Gonçalves (1781-1834),299 seppur con una

notazione dei toni leggermente modificata.

Inoltre, nei materiali linguistici compilati nella prima metà del 1800 presso il

Collegio dei Cinesi di Napoli, 300 si rinviene un sistema di romanizzazione

portoghese quasi del tutto sovrapponibile a quello usato in Cina dai gesuiti del

padroado.

Ulteriori studi potranno certamente approfondire meglio il rapporto tra le

romanizzazioni portoghesi nate ed evolutesi nella Cina tardo-Ming e inizio-Qing

e quelle utilizzate in Europa nei due secoli successivi.

Non si sbaglia, però, ad affermare che il filone portoghese delle romanizzazioni

del mandarino godette di una longevità innegabile, potendo altresì vantare un

primato cronologico rispetto agli altri standard regionali concorrenti.

13.2 Il filone spagnolo

Quando è possibile rinvenire le prime forme di romanizzazione in cui è

riconoscibile una matrice ispanofona? Se procediamo, come nel paragrafo

precedente, al tentativo di individuare alcune caratteristiche ortografiche

peculiari (quali la presenza della coda -ng, o della resa di /k/ tramite il solo

grafema iniziale k-, o la presenza di un grafema iniziale ç- per /s/, etc.),

possiamo forse trovare le prime tracce di trascrizioni ispanofone intorno agli

anni ‟90 del 1500. Tuttavia, la fonte di cui parliamo è sicuramente poco ideale al

nostro scopo, giacché rappresenta sicuramente delle pronunce non mandarine,

299

In particolare, cfr. la grammatica Arte China; Gonçalves (1828:1-75) [sez. Alphabeto China] 300

Fondato dal missionario Matteo Ripa (1682-1746), il Collegio de‟ Cinesi di Napoli nacque per

preparare i giovani cinesi al sacerdozio, in modo che potessero poi tornare come missionari

nella loro patria; ma anche di preparare gli italiani che dovevano partire missionari per le Indie.

Vi si insegnava il cinese e altre lingue orientali, e divenne gradualmente una vera e propria

scuola interpreti.

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229

bensì afferenti ai dialetti meridionali (Minnan). Si fa qui riferimento all‟opera del

missionario domenicano spagnolo Juan Cobo (1546-1592), intitolata Beng Sim

Po Cam - Espejo rico del claro corázón,301 traduzione spagnola del libro cinese

del XIV secolo Mingxin baojian 明心寶鑑. Nel testo compaiono alcune sillabe

terminanti con una coda -ng; sfortunatamente, ne compaiono molte di più

terminati in -m, pertanto è difficile stabilire se la differenza di trascrizione fosse

motivata da una differenza fonologica del dialetto descritto, oppure se non si

trattasse semplicemente di due varianti libere. Continuando questa breve

digressione sulle romanizzazioni dei dialetti, si dispone di importanti fonti

lessicografiche relative ai dialetti del Fujian,302 tra le quali figurano il dizionario

cinese-spagnolo (Dictionarium Sino-Hispanicum)303 del gesuita andaluso Pedro

Chirino (1558-1635), datato 1604, e un vocabolario anonimo cinese-spagnolo

(Bocabulario de la lengua Sangleya) databile nel trentennio 1608-1648.304 In tutte

queste fonti si riscontrano code -ng, oltre a code -n e -m; il che indica due cose:

1) nella descrizione dei dialetti Minnan, la coesistenza di tre code indicava

distinzioni fonologiche; 2) nelle romanizzazioni di stampo ispanofono era

contemplata la possibilità di un grafema di coda -ng fin dai primi anni del „600.

Putroppo, molte fonti di usate per ricostruire un filone spagnolo di

romanizzazione del mandarino sono di difficile datazione, perciò è complicato

stabilire con precisione il periodo in cui un certo sistema ha cominciato ad

affermarsi. Ad esempio, le fonti che in questa ricerca hanno portato a ipotizzare

l‟esistenza di uno standard spagnolo sono principalmente il Manuale di Morales

e il Vocabulario di Diaz, ma si è già discusso ampiamente riguardo ai problemi

di datazione e attribuzione che circondano questi scritti domenicani. In sostanza,

si tende a collocare queste due fonti negli anni ‟40 del 1600, ma non

disponendo di esemplari originali accertati, non si può essere sicuri che le

romanizzazioni contenute nelle copie esaminate possano risalire a quel periodo.

Sfogliando pazientemente altri scritti pubblicati negli stessi anni, si possono

però reperire alcune sillabe cinesi romanizzate, che offrano qualche indizio utile;

specialmente se si tratta di opere scritte da religiosi spagnoli, o da confratelli dei

301

COBO (1592) Ms. 302

Cfr. MASINI (2000); VAN DER LOON (1966-1967); Klöter, in ZWARTJES & al. (2009:303-330) 303

Conservato in forma manoscritta presso la Biblioteca Angelica di Roma 304

VAN DER LOON (1967:104)

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missionari dominicani e francescani attivi in Cina, è ragionevole pensare che le

sillabe cinesi romanizzate reperibili in queste opere fossero basate sulle lettere, i

resoconti e gli altri scritti compilati dai missionari sul territorio, essendo quindi

indicativi del tipo di romanizzazione in uso a quel tempo presso la missione. Ad

esempio, l‟opera Historia de la Provincia del Sancto Rosario de la Orden de

Predicadores, 305 fu compilata da due domenicani spagnoli residenti nelle

Filippine: Diego Francisco Aduarte (1566-1635),306 che la iniziò nel 1607-8 e

Domingo Gonzales (1574-1647),307 che la completò e pubblicò nel 1640. In essa

è possibile individuare alcuni nomi cinesi romanizzati recanti una coda -ng (un

toponimo, Hayteng e un nome di persona, Tiongong o Tiengong).308 Chiaramente,

la sola occorrenza di due sillabe non può bastare a provare che, in quel periodo,

la romanizzazione ispanofona trovata in Morales e Diaz2 fosse già diffusa anche

oltre la cerchia ristretta dei missionari del padronado spagnolo in Cina; ma

l‟occorrenza di una coda -ng rimane comunque un indizio a favore di una

datazione dello standard ispanofono alle prime decadi del „600.

Per coerenza con quanto detto nei capitoli precedenti, si mantiene qui l‟ipotesi

che le romanizzazioni usate nel Manuale e nel Vocabulario (Diaz2), possano

considerarsi risalenti alla prima metà del 1600.

Ciononostante, si ricorda che tra i due sistemi sussistono delle lievi differenze,

prevalentemente sul piano dei grafemi iniziali. In particolare, in Morales si trova

un grafema iniziale ç- usato per /ts/, che in Diaz2 è invece reso tramite çh-

(mentre ç- è in Diaz2 un allografo di s- per /s/). Queste differenze potrebbero

essere interpretate come variazioni in chiave diacronica. Come si è detto, la

romanizzazione Diaz2 nel Vocabulario corrisponde al sistema usato dal

domenicano Francisco Varo nelle sue opere linguistiche (Glossari e Grammatica

Arte), il che lascia pensare che la romanizzazione nel Manuale di Morales possa

rappresentare uno stadio precedente; pur tuttavia, rimane il problema della

datazione dell‟esemplare esaminato (una copia di Cerù del 1732), che abbassa

drasticamente ogni soglia di certezza.

305 ADUARTE & GONZÁLEZ,(1640) 306

WELSH (1907:A) [voce “Diego Francisco Aduarte”] 307

BALTASAR DE SANTA CRUZ & al. (1693:158) 308

ADUARTE & GONZÁLEZ,(1640:118,289)

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231

È possibile cercare altri indizi che corroborino l‟ipotesi appena presentata, ossia

una linea di discendenza Morales>Diaz2>Varo? Pur coscienti delle poche prove

certe a supporto di questa teoria, si può cercare un “appiglio” in un altro

sistema di romanizzazione, estraneo ai missionari spagnoli, del quale si è parlato

nei capitoli precedenti.

Il sistema in questione è quello usato dal gesuita Martino Martini a partire dal

1654 in poi, qui chiamato convenzionalmente MM2. Di essa si è detto che,

rispetto alla romanizzazione della grammatica (MM1) sembra aver modificato

alcuni grafemi secondo l‟uso spagnolo. La dichiarazione di Martini riguardo al

cambio di romanizzazione non è del tutto esplicita, il gesuita non dice di

passare dal “sistema” portoghese al “sistema” spagnolo; però, in più occasioni,

indica la scelta di sostituire alcuni grafemi portoghese con altri spagnoli. Ad

esempio, nell‟Atlas (1655), Martini annota:

Quod ad vocabulorum pronunciationem attinet, notandum omnia quae per che scribe,

more Hispanico pronuncianda, vel ut Hetrusci c ante i vel e vocals, eodem modo

Hispanice haec littera ç cum auricular dici debet, vel fere ut z Italorum. Ubicumque supra

litteram hanc notam vides c, pro spiritu aspero Graecorum erit: aliquando aliqua per j

Hispanicum scribe, haec pronuncianda ut Itali Gi & Ge, sive Hispanico more: quae per K ut

Itali Che & Chi suum, ac si esset Qua et Qui, reliqua ut jacent. Licet autem saepe idem

nobis nomen occurrat, apud Sinas diversissima est signification, ac character, nam multos

characters, & paucas habent voces, multasque unisonantes. Multa ego per ng scribe, quae

alii per M, ut peking, alii pekim scripsere, quia M in qualibet syllaba aperto ore

pronuntiandum est, ut a Lusitanis fiery solet, alias Sinica pronuntiatio minime

exprimitur.309

I riferimenti alla grafia ispanica sono molteplici, pur non chiamando in causa un

vero e proprio “sistema” ispanico. Anche nella prefazione "ad lectorem" della sua

Sinicae Historiae decas prima (1659), Martini rimarca le proprie scelte sulla resa

grafica:

309

MARTINI (1655a:13) [praefatio]

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232

Quod ad vocabulorum pronunciationem attinet; omnia quae per ch scribo, more

Hispanico sunt efferenda. Multa quoque per ng scribo, quae alij per m expressere, uti

Peking; ubi alij Pekim posuere. Nam hac litera m apud Sinas in fine syllabarum ore aperto,

ut à Lusitanis efferri solet; alioqui Sinica pronunciatio haud quamquam exprimeretur, quae

potiùs in ng, quam m finitur.310

Sembra improbabile che Martini abbia deciso in modo indipendente di

adeguare la romanizzazione precedente alla pronuncia spagnola, non se ne

capirebbe la ragione, vista la sua appartenenza ai gesuiti del padroado e le sue

competenze da madrelingua (italiano e forse tedesco); invece, le sue parole

potrebbero indicare che standard diversi dal portoghese, compresi sistemi

ispanofoni esistevano già dalla prime fasi della presenza europea in Cina. Il

cambiamento più evidente, ovviamente, è rappresentato proprio dalla presenza

della coda -ng, a sostituzione della -m portoghese.

Annovereare tout-court la romanizzazione MM2 nel filone ispanico sarebbe un

azzardo; tuttavia, è innegabile che MM2 mostra molti punti di contatto con le

romanizzazioni ispaniche, specialmente con il sistema presente nel Manuale di

Morales. Se le somiglianze non fossero casuali, bensì dettate da una reale

coscienza di Martini riguardo alle romanizzazioni spagnole a lui precedenti e

contemporanee, MM2 rappresenterebbe non solo un ramo trasversale del filone

spagnolo, ma anche un indizio a favore dell‟ipotesi che la romanizzazione del

Manuale sia precedente a quella Diaz2 del Vocabulario e a quella usata da Varo

nell‟Arte e nei glossari.

Il sistema di romanizzazione del domenicano Varo è indiscutibilmente

riconoscibile come uno standard ispanico, affermatosi presso la missione

domenicana in Cina. Che si tratti di una romanizzazione spagnola, non lo si

deduce solo dalla nazionalità di Varo, ma dalla esplicite affermazioni presenti

nei suoi scritti:

Esta advertençia perteneçe a explicar el modo de escrivir esta lengua, la qual careçe de

algunas letras de nro abeçedario, qe son b.d.r. La q. Y c. Se a reduçido a k., por la major

propiedad en la escritura, y assi los terminos que segun nra pronunçiaçion comiençan con

310 MARTINI (1659:A5) [ad lectorem]

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q. O con c., a la qual no se sigue h., los escrivimos con k. Vg., kō kū etc. Ningun vocablo ai

en esta lengua qe començe en las vocales a., e., ni acabe en otras consonantes que no

sean ng., n., l. Todos los demas acaban en una de las sinco vocales. En los vocabularios de

los Padres de la Compa se hallavan muchos vocablos que acaban en m.; mas nosotros

devemos escrivirlos, y hablarlos, como si acabasen en ng. Y la razon es, porqe los PP.

s

Portugueses pronunçian la m finale abertos los labios como ng; mas la pronunçiaçion de

los Castellanos no es assi, por lo qual se deve escrivir, y hablar, come queda notado.[...]

[…] Y esta divesidad a naçido por la diversidad de naçiones, las quales escriven, y an

escrito cada una según la natural suia y propia; lo que hasta a qui se a explicado es lo mas

propio y genuino para los Espagnoles.311

Questa romanizzazione spagnola si ritrova, in forma semplificata (senza toni né

aspirazioni), anche negli scritti di altri missionari spagnoli, che la impiegarono

nelle loro relazioni e in altri scritti di carattere divulgativo, a partire dagli ultimi

decenni del 1600. Tra questi, i trattati storici del domenicano Domingo

Fernandez Navarrete (1610-1689), pubblicati nel 1676, sono costellati di parole

cinesi romanizzate secondo il sistema ispanofono.312

Per la grande diffusione di queste ultime opere, più che della grammatica di

Varo, lo standard spagnolo di romanizzazione si diffuse anche presso i non

missionari, seppur nella sua forma più divulgativa e semplificata.

13.3 Il filone francese

Come si è fatto presente nel capitolo ad esse dedicato, le romanizzazioni

francesi nacquero abbastanza tardi, dopo l‟arrivo in Cina dei gesuiti di Luigi XIV.

Il primo autore di questo nuovo sistema francofono di romanizzazione fu il

gesuita francese Le Comte, secondo cui il vecchio standard portoghese non era

adatto per il nuovo pubblico francofono a cui erano destinati gli scritti suoi e dei

suoi confratelli francesi; questo un primo motivo per la modifica della

romanizzazione. Un altro motivo era forse rappresentato dalla voglia o necessità

di affrancarsi e distinguersi dai gesuiti del padroado, con i quali intercorrevano

rapporti controversi.

311 VARO (1703) [ad lectores]; Coblin & Levi (2000:15-16) 312

Cfr. NAVARRETE (1676)

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234

Dal primo tentativo di Le Comte nel 1696, a cui va riconosciuto non solo il

primato cronologico ma anche una certa attenzione nel generare e descrivere il

sistema di trascrizione in modo organico, la romanizzazione francofona passò

alcune fasi di revisione e modifica, trovando una nuova e ancor più organica

forma nel sistema usato dal gesuita Joseph Prémare nella sua grammatica

(Notitia Linguae Sinicae) scritta intorno al 1720.

Come si è detto, oltre a diventare la romanizzazione preferita da tutti i

missionari francofoni, questo sistema francese sopravvisse più o meno nella

stessa forma, durante tutti secoli XVIII e XIX, tanto da essere stata utilizzata

dall‟orientalista francese Jean-Pierre Abel Rémusat (1788-1832) in tutte le sue

opere sinologiche, compresa quelle linguistiche. Ad esempio, in Élémens de la

grammaire chinoise,313 la romanizzazione francese di Prémare è impiegata da

Rémusat con minime modifiche (ad es., l‟uso della h come marca

dell‟aspirazione al posto dell‟apostrofo „ ). Lo stesso Prémare sottolinea:

L‟ouvrage du P. Prémare en particulier est celui qu‟on a le plus souvent mis à contribution

non pas seulement parce que la Notitia linguae sinicae étant un livre inédit il pou voit être

plus convenable de faire revivre ce travail d‟un compatriote enveloppé dans un injuste

oubli[…].314

La stessa romanizzazione francese, specialmente la varietà di Prémare, fu

adottata anche dai missionari e dai maggiori sinologi europei del XIX e XX

secolo, come i gesuiti e sinologi francesi Henri Havret (1848-1902) e Seraphin

Couvrer (1835-1919), quest‟ultimo principale autore della romanizzazione

francofona usata all‟EFEO (École française d'Extrême-Orient), praticamente

identica al sistema di Prémare.315 Altri eminenti studiosi quali Henri Cordier

(1849-1925), in tutte le sue opere utilizzò la stessa romanizzazione francofona,

che divenne uno standard estremamente diffuso anche presso gli studiosi non

francesi. La più importante e prestigiosa rivista di studi sinologici, T’oung Pao,

tra i cui primi editori figura proprio Cordier, utilizzò questa romanizzazione

313

RÉMUSAT (1822) [in particolare le pp. 24-34] 314

PRÉMARE (1822:xviij) 315

Cfr. EFEO (1902)

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235

francese come standard editoriale per tutto l‟inizio del XX secolo, adottando i

sistemi più moderni (prima Wade-Giles, poi Pinyin) sono in tempi molto recenti.

13.4 Sperimentazioni italiane

Escludendo le antiche romanizzazioni occasionali reperibili nel Milione di Marco

Polo, basate per lo più sulla pronuncia italiana, il primo vero sistema fortemente

influenzato dalla pronuncia italiana fu quello di Michele Ruggieri (RES), che lo

impiegò prima nel dizionario portoghese-cinese compilato con Ricci (PHCD) e

poi nel suo Atlante della Cina. Questa stessa romanizzazione italofona continuò

ad essere utilizzata da Ricci e i confratelli anche successivamente al ritorno di

Ruggieri in Italia; se ne ha un esempio nel manoscritto autografo del Jiaoyou

Lun (Trattato sull‟Amicizia) di Ricci, dove si nota uno stadio più evoluto della

romanizzazione RES, alla quale Ricci e Cattaneo avevano già aggiunto le marche

per l‟aspirazione e i toni; la stessa romanizzazione si ritrova nelle lettere e

relazioni dei gesuiti in Cina alla fine del „500, specialmente per quanto riguarda

la trascrizione dei toponimi cinesi.

La romanizzazione italofona di Ruggieri-Ricci, soppiantata dal nuovo sistema

portoghese di Ricci-Cattaneo (RLS), fu in seguito studiata ed apprezzata dal

gesuita e sinologo italiano Pasquale D‟Elia, che ne tentò una rielaborazione e la

propose come standard italiano per la romanizzazione del cinese.316

Nel corso di tutto il 1600 non si assistette né all‟impiego di questa, né

all‟ideazione di altre romanizzazioni italofone. Almeno fino agli ultimi anni ‟90, o

ai primi anni del 1700, quando alcuni missionari italiani di Propaganda Fide

tornarono a prendere alcuni elementi dell‟ortografia italiana come riferimento

per nuovi sistemi di romanizzazione. Questi, per limitazioni di tempo e

mancanza di fonti sufficienti, non sono stati inclusi nell‟analisi della presente

ricerca, ma se ne dà qui di seguito un brevissimo resoconto.

Si è parlato del dizionario cinese-latino del francescano Basilio Brollo, è si è

detto dell‟idea diffusa nelle fonti bibliografiche riguardo all‟esistenza di due

diversi dizionari, uno ordinato per radicali, l‟altro ordinato per pronuncia. Del

primo, ordinato per radicali, si conserva a Firenze un esemplare del 1694, che

impiega una romanizzazione mista di elementi portoghesi e spagnoli. Al

316

Cfr. D‟ELIA (1933, 1938)

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236

contrario, per il dizionario ordinato secondo la pronuncia, l‟esemplare più

vecchio sembra essere una copia appartenuta al missionario francescano

italiano Giambattista Maioli da Serravalle, conservata anch‟essa a Firenze. Si è

notato che probabilmente Maioli non fu il copista o il compilatore del dizionario,

in quanto egli arrivò in Cina solo nel 1706, mentre alcune prove interne lasciano

pensare ad una datazione precedente, intorno al 1699, dell‟esemplare in

questione.

Ora, nel capitolo su Brollo si è tralasciato di dire che, alla fine del 1699, o

all‟inizio del 1700, un altro francescano italiano era arrivato in Cina per

Propaganda Fide; era Carlo Orazi da Castorano (1673-1755), che rimase in Cina

per oltre trent‟anni, durante i quali fu impegnato nel lavoro di evangelizzazione,

e mosse aspre critiche e si oppose strenuamente alla politica missionaria gesuita.

Orazi fu infatti un personaggio centrale nella diatriba della Questione dei Riti;

ma al contempo fu anche il compilatore di scritti linguistici di pregio, seppure

poco studiati, tra i quali figura un grande dizionario latino-italiano-cinese

(Dictionarium latino-italico-sinicum),317 al quale è annessa una grammatica della

lingua cinese (Grammaticam seu Manductio ad Linguam Sinicam);318 la datazione

che compare nei due esemplari conosciuti del dizionario di Castorano è

abbastanza tarda, risalendo al 1732. Si deve però notare che la romanizzazione

usata nel vocabolario e nella grammatica di Castorano, coincide perfettamente

con la romanizzazione principale utilizzata nella copia del dizionario di Brollo

datata 1699. Non si vuole affermare, senza aver effettuato studi approfonditi,

che l‟esemplare del secondo dizionario di Brollo sia in realtà una rielaborazione

di Castorano, né che la datazione del 1699 sia sbagliata; ci si limita ad osservare

che la romanizzazione italiana compare in questa fonte in modo identico a

come fu usata da Castorano nel suo vocabolario.

Carlo Orazi, per la sua posizione nella Questione dei Riti, fu pubblicamente

attaccato dai gesuiti in uno scritto intitolato Informatio Pro Veritate, pubblicato

con tecnica xilografica a Pechino nel 1717.319 Si fa presente che, alla Biblioteca

Apostolica Vaticana, è conservata una copia di quest‟opera, sicuramente

appartenuta a Orazi da Castorano, completamente annotata a mano da

317

Il dizionario è conservato in due copie manoscritte presso la BAV 318

Cfr. CORDIER (1966:III:1658) 319

GESUITI (1717)

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237

quest‟ultimo che, a margine di ogni pagina, scrisse le sue osservazioni per

confutare e contrastare le accuse rivoltegli dai gesuiti; è curioso osservare come,

tra le annotazioni manoscritte, compaiano spesso delle correzioni di Castorano

alle romanizzazioni portoghesi dei gesuiti che, evidentemente, il missionario

francescano reputava scorrette. In queste correzioni, ovviamente, la

romanizzazione da egli impiegata è la stessa del suo Vocabolario sopra indicato.

La medesima romanizzazione ricompare identica ancora in un'altra fonte, ossia

nel libro IV dell‟esemplare del Manuale pro missionariis conservato a Roma,

appartenuto al missionario italiano Giuseppe Cerù, che lo donò alla biblioteca

Casanatense nel 1743.

La romanizzazione che ricorre in tutte queste fonti è una trascrizione a forte

base italofona, pur prevedendo elementi di altre ortografie europee; il suo

reperimento in diversi scritti dell‟inizio del 1700 dimostra che in questo periodo,

forse a seguito del gran numero di missionari italiani inviati in Cina da

Propaganda, un nuovo standard italofono era in uso presso quelle missioni.

Questa romanizzazione, che necessiterebbe di essere analizzata

approfonditamente in tutte le fonti in cui essa è rinvenibile, ad una prima

osservazione non sembra avere rapporti di discendenza diretta con il sistema

italiano ideato da Ruggieri alla fine del „500, con il quale condivide certamente

molte caratteristiche, ma probabilmente determinate solo dal fatto che

l‟ortografia di riferimento, cioè quella italiana, era la stessa.

13.5 Romanizzazioni miste

Si vuole qui, con una breve nota, ricordare che alcuni sistemi di romanizzazione

analizzati in precedenza possono difficilmente essere annoverati in un solo

filone di romanizzazione, in quanto contengono elementi e caratteristiche

trasversali.

Si ricordano, in particolare, il sistema presentato da Trigault in XREMZ (1626) e

quello di Brollo del 1694 (HZXY); entrambi i sistemi di romanizzazione sono stati

congegnati sulla base di sistemi esistenti, ma modificati volontariamente

nell‟intento di rendere meglio i suoni della pronuncia cinese.

Per quanto riguarda Trigault, nell‟opera Xiru Ermu Zi, egli non fa menzione

specifica di altre romanizzazioni di riferimento, ammettendo genericamente che

la tradizione di usare l‟alfabeto per annotare la pronuncia cinese era stata

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238

iniziata decenni prima dai suoi confratelli: Ricci, Cattaneo e Pantoja. 320 Non

accenna all‟esistenza di un‟ortografia europea di riferimento, né tantomeno alle

differenze fra vari sistemi; ma la sua introduzione di una “Tavola dei suoni dei

diecimila Paesi”, può far pensare che il suo sia stato un tentativo di rendere i

suoni del cinese attraverso una romanizzazione più “universale” possibile, che

potesse servire lo scopo indipendentemente dalla lingua madre dell‟utente.

Comunque, al di là di simili speculazioni, difficilmente confermabili da prove

interne all‟opera, la romanizzazione di Trigault è stata generalmente inquadrata

dagli studiosi come un anello della storia delle romanizzazioni portoghesi. In

questo studio, si intende invece affermare la convinzione che il sistema di

Trigault sia da considerarsi come una digressione dalla linea di discendenza dei

sistemi portoghesi, un ramo divergente che, tra l‟altro, non ha prodotto

discendenza.

Diversamente, la romanizzazione di Brollo, è da considerarsi “figlia” di due

tradizioni diverse, ossia quella portoghese e quella spagnola, dalle quali il

francescano del Friuli ha tratto gli elementi per il suo cocktail ortografico. Più

che una digressione da una qualche linea evolutiva, per la romanizzazione di

Brollo si può parlare di un‟osmosi tra due filoni differenti. Anche nel caso di

Brollo, però, ci si trova di fronte ad un binario cieco, che non sembra aver avuto

diffusione né discendenza.

13.6 Altre sperimentazioni

Oltre ai sistemi coniati dai missionari in Cina, con l‟inizio della produzione di

opere sinologiche da parte di intellettuali europei non missionari, si assistette

alla nascita di sporadiche forme di romanizzazione localizzate. I vari studiosi

avevano spesso coscienza degli esperimenti effettuati dai loro colleghi, e ne

facevano menzione nei propri scritti.

Ancora Fourmont, nella Grammatica Duplex dava conto di alcune

romanizzazioni che si ritengono interessanti anche ai fini di questa ricerca:

320

[…]敝会利西泰、郭仰凤、庞顺阳实始之。; cfr. TRIGAULT (1626:I:1) [introduzione 自序]

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[…]ex Alphabetho suo Anglico Нуda y ex suo Germanico Bayerus ex suo Galli è

Missionariis nostris nonnulli ut Premarus, voces Sínicas exprimere ac repraesentare

conati[…]321

Oltre al già citato Prémare e alla sua romanizzazione francese, gli altri due

personaggi nominati da Fourmont meritano almeno qualche capoverso che

accenni al loro contributo originale.

Il primo dei due personaggi è l‟orientalista inglese Thomas Hyde (1636-1703),

che fu bibliotecario di Oxford (Bodleian Library) della quale compilò un grande

catalogo delle opere a stampa,322 il terzo dall‟apertura della biblioteca (1602),

grazie al quale si è ben coscienti delle collezioni ivi conservate nel XVII secolo.

Hyde, a soli diciotto anni, era già edotto in lingue orientali quali arabo, ebraico,

persiano e siriaco, alle quali seguirono negli anni anche il turco e il malese;

venne in contatto con la lingua cinese dal 1685, grazie all‟arrivo in Inghilterra del

gesuita cinese Michael Alphonsius Shen Fuzong (沈福宗, m.1691), che giunse

nel 1682 al seguito di Philippe Couplet e probabilmente fu in assoluto il primo

cinese a studiare in Europa.323 Shen, dopo aver visitato l‟Italia e la Francia, si

stabilì per un periodo di circa tre anni (1685-1688) in Inghilterra, dove ebbe

modo di fare la conoscenza di Hyde ad Oxford.

Una parte dei carteggi tra Hyde e Shen è contenuta in un‟opera postuma

intitolata Syntagma Dissertationum,324 nella quale è possibile scoprire che il

gesuita cinese utilizzava il sistema di romanizzazione usato da Intorcetta,

Couplet e dagli altri gesuiti del padroado alla fine del 1600, sistema che anche

Hyde dovette apprendere da Shen e da altri materiali posseduti dalla biblioteca.

Ciò non toglie che l‟orientalista inglese, in alcune altre opere, propose delle

romanizzazioni rese secondo un sistema diverso, né portoghese, né spagnolo,

né francese, bensì inglese.

Pur esimendoci dall‟analizzare le caratteristiche del sistema inglese di Hyde, che

pure non si trova descritto in modo organico dall‟autore, ma solo impiegato in

321 FOURMONT (1742:2,6) 322

Catalogus impressorum librorum bibliothecæ Bodlejanæ in academia Oxoniensi : curâ &

operâ Thomæ Hyde è Coll. Reginæ Oxon. Protobibliothecarii, 1674 323

FANG (1988:364-365) 324

HYDE & SHARPE (1767)

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240

alcuni scritti, non si può non sottolineare che esso debba essere considerato il

primo esperimento di romanizzazione anglofona del cinese mai tentato, oltre un

secolo prima l‟arrivo in Cina dei missionari protestanti anglosassoni, che a loro

volta furono artefici di più conosciuti e diffusi sistemi di romanizzazione

(Morrison, Marshman, etc.).

Valutare l‟eventuale connessione tra il tentativo di romanizzazione anglofona di

Hyde e le successive romanizzazioni inglesi dei protestanti esula dagli obiettivi

di questa tesi, ma non si può escludere che esista un qualche tipo di

collegamento.

Di seguito: Due immagini della romanizzazione anglofona di Thomas Hyde,

tratte dall‟opera postuma Syntagma dissertationum (1767)

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241

L‟altro personaggio nominato da Fourmont nel passo pocanzi citato è

l‟orientalista tedesco T. S. Bayer (1694-1738), al quale si è già accennato nei

capitoli su Martini e Diaz. Secondo Fourmont, Bayer sarebbe stato l‟autore di

una romanizzazione tedesca, della quale si vuole qui dare brevemente conto.

Nell‟opera sinologica “regina” di Bayer, Museum Sinicum, 325 nella sezione

Grammaticae Sinicae, l‟autore elenca le sillabe del cinese mandarino presenti

nella grammatica di Martino Martini, della quale aveva avuto modo di visionare

e copiare alcuni esemplari manoscritti, e poi scrive la seguente annotazione:

[...]Haec elementa scripsimus secundum Lusitanicam et Hispanicam pronunciationem.

Ludovicus de Comitibus tabulam dedit Gallico accomodatam ori: Thomas Hyde Sinica ut

Anglus suis descripsit litteris: nos ante id tempus Germanicam pronunciationem, quasi

iure quodam nostro, induximus. Nunc sententiam mutavimus. Efferri enim illa elementa

vix possunt litteris Europaeis, ac ne vix quidem, adeo istius sermonis ratio ab ore nostro

refugit. Aequum est igitur, ut Lusitanicum et Hispanicum scribendi morem utcumque

325

BAYER (1730)

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242

sequamur, quia in Missionariorum scriptis receptus est, ne moleste seduli, nihil tamen

agamus.

IV. Non inutile erit, scire, quem in modum Lusitani et Hispani haec pronuncient.

an et on efferuntur pronunciatione inter utramque vocale media: sic etiam ao et au, ut sit

sonus aliquis medius.

ç Hispanico more effertur. Ludovicus de Comitibus scripsit tha, thao326

pro ça, çao.

c ante e et i, ut apud Germanos et plerosque alios, exceptis Italis.

ch ut apud Italos c ante e et i, et apud Germanos fere ut tsch; Ludovicus de Comitibus

scripsit tcha, tchai pro cha, chai.

g ante e et i ut dsch, adspiratione in gutture formata: in fine g est durum, ut apud

Germanos.

y et i ante consonantem et vocalem aliam, eodem fere modo, ut de g diximus, efferuntur,

sed ore magis clauso et sibilante, sic yue fere ut gue.

ku et qu non differunt: perinde est, si kua, kue, kuon, an qua, que, quon scribas.

n ante g tamquam unica littera pronunciatur.

m in fine ut ng ore aperto, ut g liquidis exprimatur

u cum puncto, ut Gallicum u, sed ut sibilum anseris imiteris lingua ad angustias dentium

inferiores et superiores applicata.

x ut sch Germanorum.

h fortiter effertur dura aspiratione, ut proxime absit a k.

ciue, hiuen, hium et eiusmodi alia nequaquam ut si sillaba enuncianda sunt.327

Il passo appena citato dimostra la competenza di Bayer in materia di lingua

cinese, almeno dal punto di vista teorico; il prot-sinologo tedesco aveva letto e

conosceva bene tutta la produzione letteraria riguardante la lingua cinese che

era stata prodotta fino a quel momento. Questo comporta anche che egli fosse

ben cosciente delle differenti romanizzazioni esistenti, delle quali cita gli autori,

tra i quali anche Hyde per l‟inglese.

326

Qui Bayer mostra un po‟ di confusione, dal momento che la romanizzazione di Le Comte non

presenta alcuna iniziale th-. Al contrario, Le Comte scriveva ts- al posto del grafema iberico (per

lo più portoghese, non spagnolo come afferma Bayer) ç-; solo nella prima edizione di Le Comte,

si riscontrano anche rarissime occorrenze di un grafema iniziale tç-. 327

BAYER (1730:I) [sez. Grammaticae Sinicae, Liber primus, pp. 7-9 (numerazione indipendente)]

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243

Di sé, afferma di voler rispettare le romanizzazioni portoghesi e spagnole

contenute nelle opere dei missionari, ma anche di aver reso la pronuncia cinese

attraverso la grafia tedesca. In realtà, sia in Meseum Sinicum, sia in un‟altra sua

opera sinologica intitolata De Horis Sinicis, 328 egli tende ad utilizzare

diffusamente una romanizzazione di estrazione portoghese-gesuita; anche la

romanizzazione ispanica a cui fa riferimento, altro non è che la variante di

Trigault che abbiamo chiamato Diaz1, usata nei capilettera del Vocabulario, e

che Bayer dovette conoscere dal manoscritto Mentzeliano della Clavis Sinica

conservato a Berlino. Lo stesso Bayer, qualche anno dopo, scriveva così in Horis

Sinicis:

Scriptae sunt omnes Hispano tum consuetudine et ita pronunciari debent. Nam licet

Ludoviciis de Comitibus easdem voces Gallica ratione scribendi edidit tamen malui in his

praeceptionibus Hispanicam rationem retinere qua plerique inde a prima sacra missione

uti consueverunt Quomodo autem haec pronuntiari debeant Thomas Нуdus non uno loco

praecepit et sciunt qui eam linguam noverunt. Non tamen valde ad usum est haec recte

pronunciare, nес disci nisi vocis praecepto potest, itaque praetermitto.329

L‟orientalista tedesco ribadiva che, a suo parere, la maniera ispanica di

trascrivere il cinese era la migliore, pur non sapendo che ciò che lui pensava

ispanico era solo un sistema trasversale basato su quello dello XREMZ di

Trigault.

Ad ogni modo, ciò che interessa è la sua affermazione riguardo ai suoi

esperimenti di romanizzazione tedesca. Nelle due opere citate, l‟unico punto

dove si rinvengono delle occorrenze di romanizzazione tedesca è il saggio

Sinorum de Eclipsi Solis incluso in Horis Sinicis;330 in queste 40 pagine, Bayer

utilizza una forma di romanizzazione evidentemente differente dagli standard

missionari già noti. Grafemi iniziali di tre o quattro grafi tipo sch- per /ʃ/ o tsch-

per /tʃ/, e la presenza di una coda -ng sono le principali caratteristiche distintive

di questa trascrizione. Non essendo, tuttavia, il sistema di Bayer descritto in

328

BAYER (1735) 329

BAYER (1735) [sez. Praeceptiones de Lingua Sinica, numerazione pagine assente] 330

BAYER (1735:1-40) [numerazione pagine indipendente]

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modo organico dall‟autore, è difficile darne una esposizione completa partendo

dalle poche sillabe offerte dal testo suddetto.

Ciò che è invece degno di nota, è l‟omissione di un certo particolare da parte di

Bayer, ovvero che egli non fu il primo a tentare una romanizzazione tedesca;

infatti, prima di lui, il già citato Christian Mentzel incluse nei suoi scritti alcune

sillabe romanizzate secondo la grafia germanica. Almeno nei manoscritti

conservati a Cracovia, specialmente nella sezione Grammatica Martinio

Cupletiana inserita nella Clavis Sinica, si ritrovano delle note di Mentzel sulla

pronuncia di alcuni suoni cinesi, esplicate attraverso l‟alfabeto tedesco.

Queste sporadiche e, per quanto è possibile giudicare dalle fonti disponibili, non

sistematiche romanizzazioni tedesche non sembrano aver goduto di grande

diffusione, restando varianti personali di alcuni tra i primi sinologi tedeschi, ai

quali erano spesso noti tutti i vari sistemi di romanizzazione sviluppati dai

missionari in Cina.

Particolare della romanizzazione tedesca di Bayer, in Horis Sinicis

13.7 La babele delle romanizzazioni

Oltre alle suddette sperimentazioni anglofone e germanofone, altre particolari

commistioni o varianti di romanizzazioni si osservano perfino nelle fonti

missionarie, che solitamente risultano essere più competenti e coerenti rispetto

agli scritti dei non missionari, amatori sì della lingua, ma privi dell‟esperienza

diretta sul campo.

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Molti scritti dei missionari del XVII secolo presentano spesso sillabe romanizzate

in modo abbastanza inusuale, alla luce delle altre fonti di cui si è parlato nel

corso di questa ricerca. Alcune volte, ciò è probabilmente dipeso da un uso

promiscuo delle caratteristiche provenienti da diverse romanizzazioni, altre volte

è semplicemente da variazioni personali e quasi casuali. Seguono qui alcuni

esempi tratti da fonti missionarie del 1600, allo scopo principale di ribadire la

complessità dell‟ambito di ricerca affrontato.

Il gesuita portoghese Alvaro Semedo, nelle litterae ex regno sinarum del 1622,

da poco giunto in Cina dopo un breve periodo di studio della lingua, utilizzò

una romanizzazione portoghese con pochissime bizzarrie, probabilmente

dovute solo alla conversione dal manoscritto alla forma stampata. Il paragone

con la romanizzazione della littera di Trigault del 1621, grosso modo

corrispondente per data e luogo di redazione, non mostra infatti differenze

sostanziali.

Lo stesso Semedo, nella sua lunga relazione scritta nel 1640, 331 dopo oltre 20

anni di permanenza in Cina e di studio della lingua, utilizzò invece una

romanizzazione con insolite caratteristiche, tra cui l‟uso sistematico della h per

indicare l‟aspirazione:

- [...] con varios instrumentos Matematicos, a que llaman Quon Siam thai (观象台)

(fol.79)

- [...] de modo resulto entre ellos esta sentencia. Ti yo Thien Thum si yeu sin vai (地

狱天堂?有?外): esto vale La gloria i el infierno estan dentro del coracon. (fol.125)

- [...] tiene en medio la divisa de su oficio, llamada Phu cu... (fol.175)

- [...] a que los Chinas llaman, Thu Quon (土官), que vale, Mandarin de la tierra...

(fol.195)

- [...] Dangungoay, adonde de aquel numero de Bautizados le tocaron 3110. Passado

el Fontes a visitar la Provincia de Thin hoa, fallecio el Regio... (fol.332)

Come si può notare dai suddetti esempi, come da altre 50 e più occorrenze

dello stesso tipo, sembra che Semedo abbia sostituito l‟apostrofo/spirito per

l‟aspirazione ( „ ) dei sistemi di Ricci e Trigault con la h, evidenziando i possibili

331 SEMEDO (1642) Ms.

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influssi di altri sistemi di romanizzazione, non necessariamente in uso per il

cinese mandarino.

In effetti, la h come marca per l‟aspirazione è scarsamente usata in altre fonti

che descrivono il mandarino, mentre è ampiamente utilizzata nella

romanizzazione di molti dialetti cinesi, nonché nella romanizzazione della lingua

vietnamita. L‟ultimo esempio del testo di Semedo appena proposto, reperibile

nel f.332 della relazione, è tratto da un passaggio riguardante proprio i

confratelli di Semedo stanziati in Vietnam, e la parola romanizzata Thin hoa

indica il nome della provincia del Vietnam ove essi erano attivi.

Del fatto che il grafo h per l‟aspirazione fosse una caratteristica nella trascrizione

del vietnamita nella prima metà del 1600, si trova conferma nel Dictionarium

Annamiticum Lusitanum et Latinum del 1651, compilato dal gesuita francese

Alexandre de Rhodes (1593-1660), indicato come l‟inventore della

romanizzazione della lingua vietnamita; nell‟appendice grammaticale del

dizionario, intitolata Linguae Annamiticae seu Tunkinensis Brevis Declaratio,

leggiamo questa spiegazione:

H, est valde in usu, & bene aspiratur praecipue in principio dictionis cum omnibus

vocalibus ut, ha aperire or, & post, k, ut khá, docet & equivalet χ Graeco, sic etiam post, p,

ut, pha, miscere: &valet idem quod, φ, Graecum: sic quoque post, t, ut tha, parcere: &

sonat ut θ Graecum: habet igitur haec lingua tre aspiratas sicuti lingua Gaeca, & satis

aspirantur: adhibemus etiam,h, post, c, ut cha, Pater, & aequivalet, cia, Italo, ut supra

diximus in litera c: sic & post, g, ut ghe, crista, ghi, notare sicut Itali & c, adhibemus etiam

simul cum[…]332

La lettera h era quindi utilizzata per aggiungere una certa frizione ad alcune

consonanti. Un altro interessante documento che prova questo uso della h sia

per le romanizzazioni del cinese, sia per il vietnamita è costituito da una

versione annotata della preghiera del “Padre Nostro” tradotto in cinese, con la

trascrizione latina e la pronuncia romanizzata di tre lingue: cinese, giapponese e

vietnamita. Questo documento è stato scritto dal gesuita Andrea Palmeiro del

332

RHODES (1651:4-5) [appendice, numerazione pagine indipendente]

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247

1632,333 e costituisce un‟importante testimonianza sull‟uso della romanizzazione

all‟inizio del XVII secolo. Di seguito, sono elencati alcuni esempi di sillabe

romanizzate:

LATIN JAP. IDEO. CHIN. VIET.

Mensis tsuki 月 yüẽ thám

Aer fuki 風氣 khĩ khi

Caput cascira 頭 thèu Laù334

Questi esempi potrebbero indicare una possibile osmosi tra i sistemi di

romanizzazione del cinese e del vietnamita in uso all‟epoca.

Se perfino gli stessi missionari rischiavano di mischiare diversi sistemi o di creare

varianti personali poco stabili, figuriamoci cosa succedeva negli scritti degli

intellettuali europei che si affacciavano stentatamente allo studio del cinese e

della Cina in genere.

Nelle opere proto-sinologiche della seconda metà del XVII secolo si può

osservare come la coesisteza di diversi standard di romanizzazione potesse

generare confusione tra i non esperti della lingua, portando spesso ad un uso

promiscuo di sillabe provenienti da diverse romanizzazioni. In tal senso appare

esemplare l‟opera di Athanasius Kircher China Illustrata, nella quale compaiono

spesso trascrizioni diverse per uguali parole, derivanti dalle differenze tra le

romanizzazioni presenti nelle varie fonti consultate e citate dall‟autore. Per

esempio, nella prima edizione di China Illustrata, del 1667, i nomi delle province

cinesi sono trascritti talvota secondo il sistema MM2 usato da Martini nell‟Atlas,

talvolta secondo la trascrizione portoghese in uso nella missione gesuita (RLS).

Kircher non fa affatto menzione di queste differenze, né nella prefazione

dell‟opera, né nel capitolo dedicato alla lingua cinese, dimostrando la natura

prettamente compilativa del suo lavoro.

Molti potrebbero essere gli esempi di questa confusione dilagante tra i “non

addetti ai lavori”, ma si sceglie qui di citare solo un breve passo tra tutti, che ben

333 Questo documento è stato scoperto all‟ARSI e recentemente studiato dal sinologo italiano

Paolo De Troia, che ringrazio per avermi fornito una copia digitale del documento. 334 Uso questo artificio per rendere lo strano grafo nel documento, che appare come una L

corsiva maiuscola e sbarrata.

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esprime l‟imbarazzo di un editore del XVIII secolo costretto a maneggiare così

tanti sistemi di trascrizione diversi, tra i quali non era semplice stabilire le

corrispondenze o effettuare conversioni. Il brano che riportiamo è tratto dalla

Histoire générale des voyages, un compendio del 1746 che raccoglie annotazioni

storiche e geografiche scritte dai viaggiatori in tutto il mondo:

[…]Dans une si grande incertitude, on s'eft crû obligé de conserver la plupart décès noms

comme ils sont écrits dans les Auteurs originaux, en réduisant seulement quelques lettres

à la valeur de celles qui rendent le même son, dans la Langue où cette Collection est

publiée. Si l'on croit quelquesois avoir découvert le véritable nom , l'avis qu'on en donne

dans une Note devient une règle à laquelle on ne cesse pas de s'attacher. Au reste, ce

qu'on entend par la réduction des lettres, deviendra sensible dans un seul exemple. Les

François écrivent Chine: or pour le prononcer de même, les Anglois écrivent Shin, les

Allemands Schin , les Italiens Scin & les Portugais Xin. Ainsi pour réduire cette syllabe à la

prononciation Angloise , dans toutes fortes de mots y il faut employer le Sh ; & pour la

réduire à la prononciation Françoise il faut mettre Ch ou Sch. Ceux qui ont quelque

connoissance des différentes Langues de l'Europe n'ont pas de peine à se familiariser avec

ces transformations, mais ceux qui n'ont pas les mêmes lumières font exposés à bien des

méprises fur l'identité des Places; & c'eft un inconvénient néanmoins qui ne peut être

évité.335

13.8 Nota conclusiva

La presente ricerca ha tentato di tracciare le linee generali per una storia delle

romanizzazioni del cinese. L‟analisi si è concentrata sulle fonti scritte compilate

dai missionari cattolici in Cina tra la fine del 1500 e l‟inizio del 1700, documenti

in cui è possibile rinvenire un certo numero di sistemi di trascrizione ideati in

modo scientifico, costituiti in modo organico e utilizzati in modo sistematico. I

limiti di tempo imposti dal progetto di ricerca non hanno permesso di indagare

il periodo immediatamente successivo a quello indicato, costituito da tutto il

XVIII e l‟inizio del XIX secolo.

335

PRÉVOST (1746:vii-viii)

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249

Si ritiene, tuttavia, che nel periodo esaminato si sia svolta la fase più creativa

della fucina delle romanizzazioni, durante la quale furono forgiati i primi

strumenti necessari alla didattica del cinese; tutto ciò che venne in seguito,

senza voler negare contributi originali e innovazioni, consistette nel continuo

tentativo di rielaborare e migliorare ciò che era stato creato in precedenza.

Esperimenti di romanizzazioni ispirate a tutte le maggiori ortografie europee,

alla fine del 1600, si erano già compiuti; nei decenni e secoli seguenti, alcuni

prodotti di questi esperimenti furono sviluppati, altri caddero nell‟oblio,

rispondendo sia alle esigenze di utenti parlanti lingue diverse, sia ai

cambiamenti subiti nel tempo dalla lingua cinese.

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250

Appendice I A - Tabella riassuntiva dei grafemi iniziali dei principali sistemi

di romanizzazione analizzati

La tabella seguente mostra gli inventari dei grafemi iniziali dei sistemi più

organici tra quelli organizzati. Si possono notare somiglianze e divergenze,

insieme ad alcune particolarità peculiari di alcuni sistemi.

I valori fonologici di riferimento maggiormente interessati da rese grafiche

differenti sono sicuramente: /ts/, /tsh/; /ŋ/-/ʔ/; /ʒ/; /k/, /kh/; /n/, [ɲ].

Ad esclusione dei sistemi francofoni, ove compaiono gruppi consonantici

assenti in altri sistemi, la maggior parte degli inventari di grafemi iniziali

presenta caratteristiche tutto sommato molto comuni; pertanto, minime

differenze possono essere indicative ai fini dell’attribuzione di un testo

romanizzato a questo o quell’autore.

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253

Appendice I B - Tabella riassuntiva dei tipi grafici delle rime dei principali sistemi

di romanizzazione analizzati

La comparazione degli inventari dei tipi grafici delle rime reperibili nei sistemi più

organici tra quelli organizzati aiuta a stabilire alcuni punti di riferimento utili.

Ad esempio, il grafema di coda -m risulta essere una prerogativa dei sistemi gesuiti e

lusitano foni, anche se lo si ritrova in Le Comte e nella sua prima romanizzazione

francese (in quanto nata dallo standard portoghese dei confratelli). La coda -ng, invece,

rivela una natura ancora più trasversale, comparendo nelle romanizzazioni di missionari

ispanici (Diaz, Morales, Varo), ma anche italiani (Martini, Brollo) o francesi (Premare),

per di più appartenenti a ordini religiosi diversi (mendicanti, gesuiti, francescani).

Le particolarità relative alla maggiore o minore occorrenza di un certo grafema (es. la

-y- di Boym) possono, altresì, essere evidenziate tramite la sinossi proposta, fornendo

ulteriori riferimenti per l’eventuale attribuzione di una romanizzazione a questo o

quell’autore.

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261

Appendice II A - Tabella delle sillabe di base di alcuni sistemi di romanizzazione a

confronto, sistemate secondo l’ordine di XREMZ

La tabella seguente presenta l’inventario completo delle sillabe romanizzate di dieci

sistemi diversi, quelli per cui è stato possibile raccogliere il maggior numero di sillabe,

con la certezza che facessero parte tutte dello stesso sistema. Fonti problematiche (es. il

Manuale di Morales) per le quali si fatica a provare con sicurezza l’appartenenza ad un

certo autore o un certo periodo, sono state escluse dalla tabella, in quanto la

ricostruzione dell’inventario di sillabe sarebbe stata necessariamente artificiosa e

probabilmente fuorviante.

Le sillabe sono state qui arrangiate secondo l’ordine alfabetico dell’inventario di

XREMZ (Trigault), che tra tutti è sicuramente il sistema più facilmente descrivibile e

più completo.

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g

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kao

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ki

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ku

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q

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ku

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Ap

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Ap

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285

Appendice II B - Tabella delle sillabe di base di alcuni sistemi di romanizzazione a

confronto, ordinate secondo il PINYIN corrispondente

La seguente tabella contiene essenzialmente gli stessi dati della precedente, ordinati

però secondo la trascrizione PINYIN. Costituisce così uno strumento di una certa

praticità: se si vuol sapere come un certa pronuncia fosse trascritta in questo o quel

sistema, basta cercare la pronuncia nella colonna del PINYIN e consultare le

corrispondenze sulla stessa riga.

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Ap

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dic

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I B

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be d

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i di ro

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ispon

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304

PIN

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Ap

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ch

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ch

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ch

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chin

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& naturelle. Avec vne methode aisée pour profiter de la lecture des bons

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