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Tesi di Dottorato in
STUDI ASIATICI, XXII ciclo
Facoltà di Studi Orientali
Sapienza - Università di Roma
SISTEMI DI ROMANIZZAZIONE
DEL CINESE MANDARINO
NEI SECOLI XVI-XVIII
Candidato: Emanuele Raini
Tutor: Prof. Federico Masini
Anno Accademico: 2009/2010
Ciclo di dottorato: XXII
Questo lavoro viene alla luce in un momento molto particolare,
solo grazie all’aiuto e agli insegnamenti
che i miei maestri, amici e colleghi
hanno voluto offrirmi con grande pazienza e generosità.
Al Prof. Federico Masini,
dal quale ho con titubanza ereditato
le idee e i primi dati alla base di questa ricerca,
va il mio più commosso ringraziamento di allievo.
A tutti i “compagni di studio” della Facoltà di Studi Orientali,
con i quali ho potuto intrattenere
conversazioni edificanti che tanto mi hanno aiutato,
va il mio grazie e la mia amicizia.
Alla mia famiglia,
che tutto mi ha dato e nulla mi ha chiesto in cambio,
se non di partecipare alla gioia del mio percorso.
A mia moglie il mio grazie più grande,
poiché ha saputo accettare le mie assenze
e le mie molte notti alla scrivania,
paziente e amorevole come nessuno.
Infine,
a mio figlio
che arriverà tra poco in questo mondo così grande,
dedico il mio impegno nello studio,
nella speranza di sapergli insegnare ad imparare.
i
0.0 Premesse 1
0.1 Stato attuale degli studi sull’argomento 1
PARTE I
PRESUPPOSTI E QUADRO METODOLOGICO
1.0 CONTESTO STORICO E LINGUISTICO 9
1.1 I missionari europei in Cina 9
1.2 I primi passi nello studio della lingua cinese 12
1.2.1 La lingua mandarina: il Guanhua 15
1.2.2 Origine ed evoluzione del mandarino Ming-Qing 22
2.0 ILLUSTRAZIONE FONTI E METODOLOGIA 28
2.1 Documenti (fonti) 28
2.1.1 Manoscritti e stampati 28
2.1.2 Tipologia e quantità dei dati 29
2.1.3 Presenza o assenza dei caratteri cinesi 29
2.1.4 Fonti ordinate e disordinate 29
2.2 Organizzazione dei dati e problemi metodologici 30
2.2.1 Il riferimento fonologico 30
2.2.2 Caratteristiche fonologiche degli alfabeti europei 31
2.2.2.1 Latino post-rinascimentale 32
2.2.2.2 Italiano post-rinascimentale 33
2.2.2.3 Portoghese post-rinascimentale 34
2.2.2.4 Spagnolo post-rinascimentale 36
2.2.2.5 Francese post-rinascimentale 37
2.2.2.6 Quadro riassuntivo delle
caratteristiche ortografiche europee 38
2.2.3 Il sistema fonologico del Mandarino Ming-Qing 39
2.2.4.1 Consonanti iniziali del Guanhua Ming-Qing 42
2.2.4.2 Le rime del Guanhua Ming-Qing 43
2.2.4.3 I toni del Guanhua Ming-Qing 44
2.3 Scelte redazionali di resa grafica 45
PARTE II
ANALISI DELLE ROMANIZZAZIONI: AUTORI E FONTI
3.0 Michele Ruggieri 49
3.1 La romanizzazione di Ruggieri 50
3.1.1 Grafemi iniziali della romanizzazione di Ruggieri (RES) 51
3.1.2 Tipi grafici delle rime della
ii
romanizzazione di Ruggieri (RES) 55
3.1.3 Diacritici della romanizzazione di Ruggieri (RES) 56
3.1.4 Osservazioni finali sulla
romanizzazione di Ruggieri (RES) 56
4.0 Matteo Ricci e Lazzaro Cattaneo 59
4.1 Matteo Ricci 59
4.2 Lazzaro Cattaneo 62
4.3 Innovazioni alla romanizzazione di Ruggieri/Ricci (RES) 63
4.4 La romanizzazione di Ricci/Cattaneo (RLS) 67
4.5 La romanizzazione nello Xizi Qiji (RLS) 69
4.5.1 Grafemi iniziali di XZQJ (RLS) 69
4.5.2 Tipi grafici delle rime di XZQJ (RLS) 70
4.5.3 Diacritici di XZQJ (RLS) 72
4.6 La romanizzazione RLS come standard 72
5.0 Nicolas Trigault 75
5.1 Trigault e la romanizzazione di Ricci/Cattaneo (RLS) 76
5.2 La romanizzazione dello Xiru Ermu Zi (XREMZ) 79
5.2.1 Grafemi iniziali di XREMZ 80
5.2.2 Tipi grafici delle rime di XREMZ 81
5.2.3 Diacritici di XREMZ 82
5.3 La sensibilità linguistica di Trigault
e il suo contributo epistemologico 83
5.4 Uno sforzo non ripagato 88
6.0 Juan Bautista de Morales e Francisco Diaz 97
6.1 Analisi delle fonti e delle romanizzazioni 102
6.2 Il Manuale pro missionariis 102
6.3 La romanizzazione del Manuale (Morales) 104
6.3.1 Grafemi iniziali del Manuale (Morales) 104
6.3.2 Tipi grafici delle rime del Manuale (Morales) 105
6.3.3 Diacritici del Manuale (Morales) 106
6.3.4 Ulteriori particolarità del Manuale (Morales) 106
6.4 Il Vocabulario de Letra China 107
6.5 Le romanizzazioni del Vocabulario (Diaz1, Diaz2) 116
6.5.1 La romanizzazione dei capilettera
del Vocabulario (Diaz1) 117
6.5.2.1 Grafemi iniziali di Diaz1 118
6.5.2.2 Tipi grafici delle rime di Diaz1 120
6.5.2.3 Diacritici di Diaz1 121
6.5.2.4 Ulteriori particolarità di Diaz1 121
6.5.2 La romanizzazione nelle definizioni
del Vocabulario (Diaz2) 122
6.5.3.1 Grafemi iniziali di Diaz2 123
6.5.3.2 Tipi grafici delle rime di Diaz2 124
iii
6.5.3.3 Diacritici di Diaz2 125
6.6 Considerazioni finali sulle romanizzazioni di Morales e Diaz 126
7.0 Martino Martini 129
7.1 Martini e la romanizzazione del cinese 130
7.2 La romanizzazione della Grammatica Sinica (MM1) 132
7.2.1 Grafemi inizali di MM1 135
7.2.2 Tipi grafici delle rime di MM1 136
7.2.3 Diacritici di MM1 137
7.2.4 Osservazioni finali su MM1 138
7.3 La seconda romanizzazione di Martini (MM2) 140
7.4 Brevis Relatio 141
7.4.1 Grafemi iniziali della Relatio (MM2) 142
7.4.2 Tipi grafici delle rime della Relatio (MM2) 143
7.4.3 Diacritici della Relatio (MM2) 143
7.4.4 Osservazioni finali sulla romanizzazione della Relatio (MM2) 144
7.5 De Bello Tartarico 144
7.5.1 Grafemi iniziali nel De Bello (MM2) 144
7.5.2 Tipi grafici delle rime del De Bello (MM2) 146
7.5.3 Diacritici nel De Bello (MM2) 146
7.6 Novus Atlas Sinensis 147
7.6.1 Grafemi iniziali dell’Atlas (MM2) 147
7.6.2 Tipi grafici delle rime dell’Atlas (MM2) 148
7.6.3 Diacritici dell’Atlas (MM2) 149
7.6.4 Considerazioni finali sulla romanizzazione dell’Atlas 149
7.7 Sinicae Historia Decas Prima 150
7.7.1 Grafemi iniziali della Decas (MM2) 150
7.7.2 Tipi grafici delle rime della Decas (MM2) 151
7.7.3 Osservazioni finali sulla romanizzazione della Decas (MM2) 152
7.8 Diacritici di MM2 in Golius 153
7.9 Conclusioni sul sistema di romanizzazione MM2 155
7.10 Quadro riassuntivo delle romanizzazioni
MM1 e MM2 a confronto 156
8.0 Michal Boym 159
8.1 La romanizzazione nelle opere di Boym 163
8.1.1 Grafemi iniziali di Boym 166
8.1.2 Tipi grafici delle rime in Boym 169
8.1.3 Diacritici della romanizzazione di Boym 172
8.1.4 Osservazioni finali sulle romanizzazioni di Boym 172
9.0 La romanizzazione portoghese dei
gesuiti del padroado (Intorcetta&al.) 177
9.1 Le fonti disponibili 178
9.2 La romanizzazione di Intorcetta&al. 180
9.2.1 Grafemi iniziali di Intorcetta&al. 181
iv
9.2.2 Tipi grafici delle rime di Intorcetta&al. 183
9.2.3 Diacritici di Intorcetta&al. 184
9.2.4 Osservazioni finali sulla romanizzazione Intorcetta&al. 185
10.0 Francisco Varo 187
10.1 La romanizzazione di Varo 188
10.1.1 Grafemi iniziali di Varo 188
10.1.2 Tipi grafici delle rime di Varo 190
10.1.3 Diacritici del sistema di Varo 191
10.1.4 Considerazioni finali sulla romanizzazione di Varo 193
11.0 Basilio Brollo 195
11.1 La romanizzazione del dizionario HZXY (1694) 196
11.1.1 Grafemi iniziali nello HZXY di Brollo 199
11.1.2 Tipi grafici delle rime nello HZXY di Brollo 200
11.1.3 Diacritici nello HZXY di Brollo 201
11.2 La romanizzazione del Confessionarium 204
11.3 Le romanizzazioni nel secondo dizionario di Brollo (1698) 205
11.4 Osservazioni finali sulla romanizzazione di Brollo 206
12.0 Le romanizzazioni dei missionari francofoni 209
12.1 Grafemi iniziali delle romanizzazioni francofone (confronto) 211
12.2 Tipi grafici delle rime nelle romanizzazioni francofone 213
12.3 Diacritici delle romanizzazioni francofone 216
12.4 Osservazioni finali sulle romanizzazioni francofone 217
PARTE III
CONCLUSIONI E APPENDICI
13.0 Osservazioni riassuntive sulle
romanizzazioni dei secoli XVI-XVIII 220
13.1 Il filone portoghese 220
13.2 Il filone spagnolo 228
13.3 Il filone francese 232
13.4 Sperimentazioni italiane 234
13.5 Romanizzazioni miste 237
13.6 Altre sperimentazioni 238
13.7 La babele delle romanizzazioni 244
13.8 Nota conclusiva 248
APPENDICI
Appendice I A - Tabella riassuntiva dei grafemi iniziali
dei principali sistemi di romanizzazione analizzati 250
Appendice I B - Tabella riassuntiva dei tipi grafici delle rime
dei principali sistemi di romanizzazione analizzati 253
Appendice II A - Tabella delle sillabe di base
v
di alcuni sistemi di romanizzazione a confronto,
sistemate secondo l’ordine di XREMZ 261
Appendice II B - Tabella delle sillabe di base
di alcuni sistemi di romanizzazione a confronto,
ordinate secondo il PINYIN corrispondente 285
BIBLIOGRAFIA 310
0
1
0.0 Premesse
Da circa cinquant‟anni, nello studio e nell‟insegnamento del cinese mandarino, si
fa uso di un utile strumento didattico: il Pīnyīn 拼音. Il Pinyin (lett. “combinare i
suoni”) è l‟alfabeto usato per la trascrizione fonetica della pronuncia cinese in
caratteri latini, che ha giovato considerevolmente all‟alfabetizzazione della
popolazione cinese e alla diffusione della pronuncia standard nazionale (il
Pǔtōnghuà 普通话, lett. “lingua comune”), oltre a facilitare l‟apprendimento della
lingua da parte degli stranieri. L‟attuale sistema di trascrizione è stato pianificato
e implementato per volere politico del Governo cinese; ma nella sua forma
originaria, la trascrizione fonetica della lingua cinese nacque proprio
dall‟esigenza di alcuni stranieri vissuti in Cina secoli fa, costretti ad imparare
velocemente la lingua per sopravvivere e svolgere le proprie attività.
A partire dalla fine del XVI secolo, i missionari cattolici europei si stabilirono in
Cina per fondare nuove missioni. Nell‟esigenza di acquisire velocemente la
lingua locale, cominciarono ad usare l‟alfabeto latino, nelle sue varie pronunce
nazionali, per annotare i suoni della pronuncia cinese. Non tutti lo fecero però
nello stesso modo; alcuni utilizzarono la pronuncia e l‟ortografia spagnola altri
quella portoghese, altri quella italiana, o francese o, piuttosto, mutuarono
singole ortografie da alfabeti europei diversi, convogliandole poi in sistemi di
trascrizione misti, al fine di rappresentare al meglio la pronuncia cinese. Poiché
tutti questi sistemi di trascrizione utilizzavano l‟alfabeto latino (o romano), il
termine “trascrizione” è spesso sostituito dal quasi sinonimo “romanizzazione”.
Nei due secoli successivi (XVII-XVIII), si succedettero così numerosi tentativi di
trascrivere i suoni del cinese secondo sistemi diversi, con maggiore o minore
successo e diffusione; ciò avvenne per lo più ad opera dei missionari, ma di
riflesso nacquero altre varietà di trascrizione anche presso gli intellettuali
europei interessati alla lingua del celeste impero. Successivamente, nel XIX
secolo (periodo non trattato da questa tesi), con l‟avvento in Cina dei missionari
protestanti, videro la luce ancora nuovi sistemi di trascrizione basati
maggiormente sull‟ortografia inglese, ma che di fatto gettavano le fondamenta
sui tentativi effettuati nei due secoli precedenti.
I suddetti sistemi di romanizzazione furono utilizzati in diversa misura nella
compilazione di documenti scritti, che rappresentano le fonti primarie di questa
2
ricerca. La tipologia di tali documenti è estremamente eterogenea: glossari,
frasari, dizionari, rimari, grammatiche, lettere, relazioni, opere storiche,
trascrizioni e traduzioni di testi letterari, catechismi, preghiere, confessionari,
opere geografiche e cartografiche, scritti di carattere enciclopedico, etc. Da
queste fonti è possibile estrapolare i dati per ricostruire singoli sistemi di
romanizzazione, ma l‟eterogeneità dei documenti esaminati fa sì che essi non
offrano i dati tutti nello stesso modo. Il metodo di raccolta e arrangiamento dei
dati, preliminare all‟analisi, sarà concisamente illustrato nel corso della prima
parte della tesi.
Attraverso lo studio dei primi sistemi di romanizzazione del cinese, la presente
ricerca spera di raggiungere tre scopi:
1) tratteggiare una parte della storia della didattica del cinese nel suo
periodo embrionale, coincidente con gli albori della sinologia;
2) fornire una base di dati alfabetici ordinati, utili alla ricostruzione
fonologica della pronuncia del mandarino Ming-Qing;
3) produrre un quadro di riferimento per l‟interpretazione, l‟attribuzione e,
eventualmente, la datazione approssimativa di fonti contenenti
romanizzazioni di parole cinesi.
Nella prima parte di questa tesi si tratterà in breve il contesto storico che ha
portato i missionari europei allo studio della lingua cinese e all‟utilizzo fattone
nella produzione di documenti testuali. A seguire, si introdurranno le fonti
primarie prese in esame e i presupposti teorici e metodologici preliminari alla
raccolta e all‟analisi dei dati.
Nella seconda parte si passeranno in rassegna i principali sistemi di
romanizzazione dei secoli XVI-XVIII, cercando di evidenziare similitudini e
diversità, nonché eventuali linee di evoluzione e diffusione di tradizioni differenti.
Le fonti esaminate, seppur analizzate singolarmente, saranno presentate
all‟interno di paragrafi dedicati all‟autore o agli autori che le hanno compilate.
Questo permetterà di collocare cronologicamente la nascita e l‟utilizzo di alcuni
sistemi di romanizzazione, nonché di evidenziare l‟eventuale uso da parte di uno
stesso autore di sistemi diversi in periodi diversi. Differentemente, considerando
le romanizzazioni delle singole fonti in maniera avulsa dal contesto storico e
dalle vicende personali degli utilizzatori, si perderebbero dei riferimenti
essenziali ai fini della comparazione.
3
La terza parte sarà costituita sostanzialmente da brevi osservazioni riassuntive
riguardo ai sistemi analizzati nella seconda parte.
Infine, nelle appendici, si presenteranno alcuni dati riordinati secondo vari criteri,
in tabelle comparative che li rendano fruibili per diverse finalità, per fornire un
quadro sinottico delle caratteristiche salienti di tutti i sistemi di romanizzazione
analizzati.
0.1 Stato attuale degli studi sull’argomento
I materiali linguistici prodotti dai missionari in Cina hanno destato l‟attenzione
del mondo accademico sia in Cina, sia in occidente; chiaramente, a causa del
fatto che la maggior parte di essi fu compilata in lingue europee, unitamente al
fatto che una gran quantità di questi documenti è tutt‟ora conservata nelle
biblioteche e negli archivi del vecchio continente, la fruibilità per gli accademici
occidentali è di gran lunga maggiore che non per gli studiosi cinesi. Tra questi
ultimi, il primo a studiare i sistemi di romanizzazione fu il linguista cinese Luo
Changpei (1930), concentrandosi su due opere scritte in cinese e stampate in
Cina, pertanto più facilmente reperibili lì che non in Europa, rispettivamente:
Strani esempi di scrittura occidentale (Xizi Qiji 西字奇迹, 1604, da qui in poi XZQJ)
di Matteo Ricci e Aiuto dei letterati d’occidente agli occhi e alle orecchie (Xiru
Ermu Zi 西儒耳目资, 1626, da qui in poi XREMZ) di Nicolas Trigault. Tra le opere
romanizzate stampate in Cina, queste furono tra le prime apparse, e i sistemi in
esse utilizzati dettarono lo standard della romanizzazione gesuita nel corso dei
secoli successivi. Luo (1930) ricostruisce e confronta i due sistemi di
romanizzazione, considerandoli fonti preziose per la ricostruzione della
pronuncia dell‟epoca tardo Ming.
Il sinologo e gesuita italiano Pasquale D‟Elia, si interessò ad una fonte ancora
precedente, i il Dizionario Portoghese-Cinese (Pu-Hua Cidian 葡华辞典, 1584, da
qui in poi PHCD) manoscritto da Ruggieri e Ricci intorno al 1584 (D‟Elia, 1938).
Ciò evidenziò l‟esistenza di un sistema di romanizzazione più antico, usato dai
due gesuiti italiani nei primi anni in Cina e pertanto basato sull‟ortografia
italiana, al contrario delle romanizzazioni usate successivamente da Ricci e
Trigault, basate sull‟ortografia portoghese.
4
Successivamente, il linguista e dialettologo gesuita sino-americano Yang Fumian
effettuò una comparazione delle tre opere (PHCD, XZQJ, XREMZ) già esaminate
dai due studiosi precedenti, con particolare attenzione alle informazioni
fonologiche desumibili dai tre sistemi di romanizzazione. Yang (1989) fu il primo
a sottolineare che la varietà di lingua descritta delle tre opere rifletteva una
pronuncia meridionale. La sua analisi di fonologia storica, insieme ad altri indizi
reperibili nelle testimonianze dei missionari, portarono Yang (1989) a stabilire
che il mandarino usato alla fine dei Ming aveva come dialetto di riferimento
quello di Nanchino.
Il sinologo e linguista italiano Federico Masini ha esteso l‟indagine comparativa
ad altre fonti; in Masini (2003), si trova una comparazione dei sistemi di
romanizzazione delle tre opere sopra citate (PHCD, XZQJ, XREMZ) con quelli
reperibili in altre tre opere, rispettivamente: l‟anonimo Dictionaire Chinois &
Francois (in Kircher, Chine Illustreé, 1670; da qui in poi Dictionaire), la
Grammatica Linguae Sinensis (ca.1654; da qui in poi GLS) del gesuita Martino
Martini e, infine, il manoscritto del Vocabulario de Letra China con la Explicacion
Castellana (ca. 1642; da qui in poi Vocabulario) attribuito al domenicano
Francisco Diaz. Oltre al pregio di aver realizzato la comparazione di sistemi che
coprivano un periodo di oltre 60 anni, il lavoro di Masini contiene alcune utili
appendici con tabelle di corrispondenza delle iniziali, delle rime e delle sillabe
complete.
Il sinologo e fonologo americano Weldon South Coblin, principalmente
interessato alla ricostruzione fonologica, ha confrontato le romanizzazioni in
PHCD, XZQJ e XREMZ con altre fonti alfabetiche (mongole e coreane) di epoca
Ming (Coblin, 1997-2002), analizzando poi nuove fonti alfabetiche missionarie,
in particolare la grammatica Arte de la Lengua Mandarina (ca. 1683, pubbl. 1703;
da qui in poi Arte) del domenicano Francisco Varo (Coblin, 1998-2000), facendo
eco a Luo (1930) nel sottolineare l‟importanza delle fonti alfabetiche nella
ricostruzione fonologica.
Ultimamente è comparso uno studio di carattere più complessivo, simile per
metodo e struttura alla presente tesi, ad opera della sinologa e linguista Tan
Huiying che, nell‟analisi approfondita dell‟opera di Trigault XREMZ (Tan, 2008),
ha inserito una consistente sezione dedicata al confronto della romanizzazione
di Trigault con la maggior parte dei sistemi sopra citati (PHCD, XZQJ,
5
Vocabulario, GLS, Arte), aggiungendovi le romanizzazioni di altre due fonti: la
trascrizione romanizzata della Stele di Xi‟an (in Kircher, 1667-70; da qui in poi
Stele) attribuita al gesuita Michael Boym e l‟opera Innocentia Victrix (ca. 1669,
pubbl. 1671; da qui in poi Innocentia) curata dal gesuita Antonio de Gouvea. Il
lavoro di Tan è estremamente utile, in quanto mette a confronto otto sistemi
diversi, che coprono un arco temporale di oltre un secolo (ca. 1584-1703).
Tuttavia, soffre la limitazione di aver usufruito principalmente di fonti secondarie,
riportando quindi dati già analizzati senza un riscontro sui documenti originali.
Tan, d‟altronde, è interessata all‟analisi dello XREMZ nei suoi vari aspetti,
pertanto il quadro riassuntivo sulle romanizzazioni è necessariamente una parte
accessoria, seppur ben strutturata.
Tenendo presenti gli studi esistenti sulla materia, con particolare riferimento ai
principali lavori sopra elencati, questa ricerca tenta di estendere ulteriormente la
quantità di fonti (e quindi di sistemi) da comparare, pur limitatamente al primo
periodo della presenza occidentale nella Cina Ming-Qing (XVI-XVIII secolo).
Inoltre, gli studi cui si è fatto riferimento, anche quelli più estesi (Masini, Coblin,
Tan) tendono a considerare una sola fonte per ciascun autore, mentre nel
presente lavoro si considerano preferibilmente più fonti per uno stesso autore,
al fine di delineare meglio la nascita, l‟evoluzione, la diffusione e l‟utilizzo dei
vari sistemi.
6
7
PARTE I
PRESUPPOSTI
E QUADRO METODOLOGICO
8
9
1.0 CONTESTO STORICO E LINGUISTICO
1.1 I missionari europei in Cina
Nel periodo in cui l'Umanesimo rinascimentale stava gradualmente portando
l'Europa verso l'età dei Lumi, tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo, il mondo
era diviso sotto l'egida degli imperi mercantili iberici: Spagna e Portogallo. Il
papato aveva stipulato un accordo con i governanti dei due Paesi, protettori
della fede cattolica contro gli “infedeli” (protestanti e musulmani), tramite le cui
flotte commerciali i missionari appartenenti a vari ordini potevano raggiungere
nuovi e remoti territori per stabilirvi nuove missioni; con il sistema del patronato
regio (port. padroado, spagn. padronado), il Papa concedeva agli stati tutti i
diritti di nomina ecclesiastica, delegandogli anche lo stabilimento delle missioni
all‟estero e la scelta dei missionari. I regnanti si impegnavano ad offrire
protezione e supporto economico a questi ultimi, al fine di proteggere e
diffondere la fede cattolica nelle terre più remote. Gli ordini religiosi
maggiormente coinvolti nell‟evangelizzazione delle terre dell‟Asia furono quelli
dei gesuiti (chierici regolari), dei domenicani e francescani (mendicanti)1 e degli
agostiniani (canonici regolari).
Gli agostiniani e gli ordini mendicanti erano legati all'impero spagnolo, mentre i
gesuiti dipendevano dalla corona portoghese. I missionari dei vari ordini
arrivavano perciò in Cina seguendo due distinte rotte commerciali, e
approdando a basi diverse in oriente; i missionari “spagnoli” erano infatti
impiantati a Manila, nelle Filippine, mentre i gesuiti “portoghesi” avevano una
base a Goa, in India, e si erano ritagliati un posto nella piccola colonia
portoghese di Macao, sulle coste del Guangdong.
I gesuiti giocarono un ruolo da protagonisti in Cina. I primi due membri della
Compagnia a stabilirsi nell‟entroterra furono gli italiani Michele Ruggieri e
Matteo Ricci, che gettarono le basi per la politica di evangelizzazione in quelle
terre. L‟approccio dei gesuiti alla civiltà cinese era guidato al contempo da
attitudine e da strategia: attitudine al dialogo intellettuale, al perseguimento
della conoscenza, all‟apprendimento, fattori che permisero ai gesuiti di
1 Cfr. STANDAERT (2001:287-89)
10
guadagnarsi la stima e l‟amicizia della classe colta e dei governanti; strategia di
conversione “dall‟alto”, secondo l‟idea che convertendo i funzionari e la corte,
tutto il paese avrebbe seguito l‟esempio. L‟attitudine e la strategia si
concretizzavano anche nell‟apertura verso la cultura e le tradizioni locali, alla
ricerca di valori di base comuni anche sul piano filosofico - religioso; al
contempo, l‟offerta più ghiotta dei gesuiti ai cinesi era rappresentata dal loro
sapere scientifico e tecnico, che gli permise di assurgere ad importanti cariche
governative, come la direzione del dicastero dell‟astronomia (cin. Qīntiānjiàn 钦
天监),2 spalancandogli persino le porte del palazzo imperiale in qualità di
precettori dell‟imperatore. Nel primo periodo della missione, i gesuiti pretesero
e ottennero l‟esclusiva per l‟evangelizzazione in Cina, dettando le regole anche
per gli altri missionari presenti. Questa sorta di iniziale monopolio, insieme con
la loro politica di accomodamento che sembrava troppo eterodossa ai
missionari degli altri ordini, oltre al contrasto politico dato dall‟appartenenza a
due diverse corone, generò fin da subito conflitti con i domenicani e i
francescani.
I missionari domenicani avevano un approccio alla missione diverso dai gesuiti; i
primi preferivano predicare alla gente nelle strade, piuttosto che alla corte e ai
funzionari, cui miravano invece i secondi; dei gesuiti, inoltre, non condividevano
l‟apertura ad alcuni aspetti della tradizione cinese, primo tra tutti il culto degli
antenati praticato dai confuciani, poiché a parer loro contrastavano con la
dottrina cristiana. Le divergenze di vedute dei due gruppi sfociarono in profondi
conflitti, culminati in quella lotta a colpi di reciproche accuse e difese che passò
alla storia col nome di “questione dei riti”.3
I risultati dell‟accordo di patronato regio, stipulato dal papato con i due imperi
iberici, non soddisfecero la Santa Sede che, dal secondo decennio del 1600 in
poi, anche in seguito al graduale declino del potere portoghese e spagnolo a
vantaggio di paesi come l‟Olanda e la Francia, sentì il bisogno di gestire in
modo indipendente l‟evangelizzazione delle terre di missione; a tal fine nacque
nel 1622 la congregazione di Propaganda Fide, istituto direttamente dipendente
dalla Santa Sede, atto a gestire tutto ciò che riguardasse le missioni estere.4 In
2 Ibid. p. 310-11
3 MUNGELLO (1989), passim
4 BROMILEY & BARRETT (2003:560)
11
Asia, entro certi limiti, Propaganda Fide trovò il modo per aggirare il controllo
che le due corone esercitavano sugli ordini missionari, inviando a sua volta
missionari selezionati da vari ordini, che riportassero informazioni sullo stato
della cristianità in quei paesi, e che fungessero da terza parte in causa nella
gestione della missione.
Nell‟ultimo ventennio del XVII secolo, i cambiamenti degli equilibri geopolitici
mondiali modificarono anche la composizione della missione gesuita, la quale
accolse un gruppo di gesuiti francesi, svincolati dalla sfera del patronato iberico
ormai indebolito, e direttamente dipendenti dal re di Francia. Questi ultimi
vissero per lo più a corte, ricoprendo ruoli di prestigio guadagnati grazie alle
loro conoscenze scientifiche. I gesuiti francesi entrarono in contrasto con i
confratelli portoghesi, tanto che il generale della compagnia dovette
riconoscere ai francesi una maggiore autonomia, nominando per loro uno
specifico superiore, omologo del vice-provinciale dei portoghesi.5
Inutile addentrarsi oltre nelle vicende storiche delle missioni cattoliche in Cina,
per le quali si rimanda alle opere di riferimento sull‟argomento; 6 ciò che
interessa del contesto storico pocanzi tratteggiato, è la presenza sul territorio
cinese di diversi gruppi missionari, linguisticamente caratterizzati in modo
abbastanza netto:
1) nella missione gesuita era preponderante il ruolo della lingua
portoghese, anche se gli scritti gesuiti sulla Cina erano pubblicati e
tradotti in tutte le maggiori lingue europee, prime tra tutte il latino e
l‟italiano;
2) i missionari domenicani, francescani e agostiniani privilegiavano invece lo
spagnolo, idioma in cui furono scritte e pubblicate la maggior parte delle
opere concernenti l‟attività dei missionari spagnoli in Cina;
3) i missionari di propaganda fide facevano un uso ufficiale del latino e
dell‟italiano, ma ancora più importante è il particolare che riguarda
l‟attività editoriale condotta dalla tipografia poliglotta di Propaganda,
5 MUNGELLO (1989) passim; MUNGELLO (1999:37)
6 Un quadro generale ma estremamente completo è in STANDAERT (2001); per la missione
gesuita, MUNGELLO (1989, 1999) e BROCKEY (2007)
12
istituita nel 1626, che produsse fin da subito opere a stampa in tutte le
lingue studiate nelle varie terre di missione;
4) infine, l‟arrivo dei gesuiti francesi e il crescente successo mercantile della
Francia del Re Sole, portò anche la lingua francese nel novero delle
lingue di missione usate in Cina.
Tutti i missionari, a prescindere dall‟appartenenza e dalla provenienza, convinti o
costretti a soggiornare per lunghi anni in terra cinese, dovevano
necessariamente affrontare lo studio della lingua. Le vicende storiche, dettate
dai delicati equilibri di potere che coinvolgevano i vari gruppi di missionari attivi
in Cina, vanno considerate al fine di una migliore lettura delle fonti e
un‟interpretazione più contestualizzata dei dati.
1.2 I primi passi nello studio della lingua cinese
A differenza dei mercanti, che intrattenevano rapporti saltuari con i cinesi, per lo
più attraverso l'ausilio di interpreti, per questi religiosi che decidevano di
dedicare l'esistenza alla missione e di trascorrere quindi il resto della vita fuori
dalla patria, l'apprendimento della lingua locale era in assoluto la prima e la più
fondamentale necessità; ad opera dei missionari, infatti, nascono i primi
strumenti per lo studio e la didattica del cinese, come glossari, frasari, dizionari,
etc.
Nelle fonti storiche dei vari ordini missionari coinvolti nella vicenda cinese, si
reperiscono diverse informazioni sui primi tentativi di studio della lingua, di
solito commissionati dai superiori a seguito di una selezione; per la maggior
parte, fino agli anni '80 del 1500, tutti i tentativi di addestrare dei missionari alla
lingua non ebbero esito positivo.
Fin dai primissimi anni di missione in oriente, dalle relazioni dei missionari dei
vari ordini è possibile comprendere quanta difficoltà comportasse l‟approccio
alla lingua cinese. Melchior Nugnez, gesuita, probabilmente il primo missionario
ad aver passato un periodo sulle coste della Cina continentale durante i Ming,7
7 Melchior Nuñez Barreto (1520-1571), uno dei primi gesuiti ammessi al Collegio di Coimbra.
Partì per l‟India e seguì le orme di Francesco Saverio recandosi in estremo oriente subito dopo la
13
nel 1555 spronava i confratelli all‟evangelizzazione della Cina, chiarendo le
condizioni necessarie e la via da percorrere:
[…] Ego interim veluti terra pro missionis ingressus sum explorator, ut nova nuncia
accipitur, linguae addiscendae, & cognoscendae regionis magna daretur opportunitas. […]
Nempe ut duo Societatis Patres magno animarum zelo accensi, Cantaonem duabus
instructi linguis ingrederentur […].8
Lo studio della lingua si impose fin da subito come obiettivo primario per la
preparazione della strategia missionaria in Cina. Ma l‟arduo compito mieté
subito le prime “vittime”, sebbene animate da “fervore d‟animo”. Lo stesso
Nugnez, dopo i primi esperimenti di addestramento linguistico al quale aveva
chiamato dei giovani confratelli, nel 1558 scriveva sconsolato:
[...]vedendo parimente per esperienza, che per nissuna via al presente, potriamo far frutto
alcuno nella China: determinai di lasciar un fratello di quelli che menavamo, nella città di
Cantaon; acciò imparasse la lingua Chinese. Questo fratello si domanda Stefano di Gois […]
È vero chel fratello che là lasciai s'affaticò tanto in imparar la lingua( la quale pur in sé è
assai difficile) che venne in una gran fiacchezza di testa: per il che compresi non essere
della sua restata per all'hora servito Dio Nostro Signore. Et cosi quando tornai per là del
Giapon, trovandolo mal disposto che erano sette giorni che non haveva mangiato, mi
parve necessario rimenarlo all'India meco.9
Dieci anni più tardi, nel 1669, il dominicano portoghese Gaspar Da Cruz, uno dei
primi mendicanti entrato in Cina, così sintetizzava il suo approccio allo studio
della lingua:
[…] Nam tem os Chinas letras certas no escrever , porque tudo ho que escrevem he por
figuras, i fazem letras por parte , pollo que tem muito grande multidam de letras ,
significando cada hua cousa por hua letra. […] Esta he a causa porque em toda ha China
sua morte. Entrò per due volte nel Guandong arrivando fino a Canton, trascorrendovi circa un
mese in entrambe le occasioni. 8 GAMEREN (1569:149-150)
9 TRAMEZZINO (1559:44)
14
ha muitas lingua de maneira que hua se nam entende a outra por fala […] i todos se
entendem por escritura[…]. […] direlhe q me fizesse as letras todas a .b.c. i rspodeo me q
nam podia logo assi fazellas,q eram mais de cinco mil. Cahi eu logo no q podia ser , i
pregute y lhe como chama esta letra primeira, respondeo, tiem, pregute y lhe tiem q quer
dizer, diçeme claro ho q dantes me estava escodido.10
La confusione relativa al parlato e allo scritto, a quale delle due espressioni
linguistiche andasse studiata, con la paura per l‟enorme difficoltà nella
pronuncia e nel grande numero dei caratteri; questo era il sentimento con cui i
primi missionari dovettero muovere i primi passi nello studio del cinese.
Per stabilire una data, o un periodo, in cui lo studio del cinese prende davvero
corpo con risultati tangibili, bisogna aspettare l‟ultimo ventennio del 1500,
quando iniziò la produzione di documenti linguistici descrittivi per mano tanto
dei gesuiti quanto dei missionari spagnoli. I primi contatti con i cinesi da parte
dei due gruppi di missionari avvennero in luoghi diversi: i missionari domenicani
e francescani iniziavano a conoscere i cinesi e i loro dialetti nei quartieri cinesi di
Manila, dove risiedevano comunità emigrate dal sud della Cina decenni prima,
principalmente dal Guandong e dal Fujian; i gesuiti, invece, incontravano i cinesi
nel continente, dove oltre agli abitanti locali delle zone costiere meridionali
avevano la possibilità di approcciare a cittadini provenienti anche da altre zone
del Paese. Ciò contribuì a determinare differenti strategie linguistiche
rispettivamente da parte dei gesuiti e dei missionari spagnoli.
Ciò che si ritrova fin dalle prime testimonianze, è la consapevolezza di tutti i
missionari riguardo all‟esistenza di più dialetti cinesi, fatto che ancora di più
atterriva coloro che anche solo immaginavano di dover imparare tanti idiomi,
così diversi tra loro. Fortunatamente, essi non tardarono a scoprire che esisteva
una via maestra tra tanti ripidi sentieri, che più direttamente poteva condurli alla
vetta; esisteva, cioè, un idioma privilegiato, non confinato a delle aree
geografiche circoscritte, ma diffuso in tutto l‟impero e parlato dalla classe
dominante. Lo studio di questa lingua divenne quindi il primo obiettivo dei
missionari, soprattutto di quelli che, come i gesuiti, proprio alla classe
dominante volevano parlare e rapportarsi.
10
CRUZ (1669:gjj)
15
1.2.1 La lingua mandarina: il Guanhua
Con il termine guānhuà 官话, si indica genericamente la lingua (话 huà) usata
dai funzionari (官 guān), ossia i mandarini, per comunicare tra di loro e con la
Corte. Durante gli oltre 500 anni di storia coperti dalle due dinastie Ming e Qing,
i funzionari sparsi nelle varie province dell‟Impero potevano essere destinati al
governo di zone lontane dal proprio luogo di origine, e l‟eventuale modifica
dell‟incarico poteva portare a trasferimenti. Imparare ogni volta un nuovo
dialetto locale non era impresa da poco, inoltre la società locale non era l‟unico
interlocutore dei mandarini, che dovevano comunicare parimenti con i loro
superiori e collaboratori, anch‟essi spesso provenienti da altre parti del Paese. La
nascita e l‟adozione di una lingua franca con statuto ufficiale fu quindi dettata
dalle necessità della classe dirigente, ma la sua diffusione avvenne man mano
anche presso altri strati della società.
Nelle fonti scritte cinesi, il termine Guanhua si rinviene in testi risalenti a metà
del periodo Ming, ma è ragionevole pensare che fosse in uso già all‟inizio della
dinastia.
Le prime testimonianze non cinesi sull‟esistenza di questa “lingua mandarina” si
ritrovano nelle lettere e relazioni dei missionari ed esploratori spagnoli che si
recarono a più riprese in Cina partendo dalle Filippine. L‟agostiniano spagnolo
Martin De Rada,11 già nel 1575 scriveva:
[...]ponemos quasi acada provincia dos nombres el uno es en lengua cortesana y el otro
en la lengua particular de la provincia de Hocquien.12
11
Martin De Rada (1533-1578) è stato uno dei primi agostiniani attivi nelle Filippine nonché uno
dei primi missionari spagnoli ad essere mai entrato in Cina. Nato in provincia di Navarra
Pamplona, in Spagna, il 30 giugno 1533, diventa agostiniano nel 1554. Dopo un periodo in
Messico, dove dimostra buone doti linguistiche, nel 1665 parte per le Filippine, come
accompagnatore della spedizione spagnola comandata dal conquistatore Miguel López de
Legazpi (1502-1572), dove impara anche la lingua cinese. Nel 1572 diventa il primo superiore
provinciale dell'Ordine di Sant'Agostino nelle Filippine; nel 1574 fa da interprete per un gruppo
di commercianti cinesi in visita a Manila. Successivamente, De Rada accompagna diverse
legazioni in Cina in veste di interprete, avendo modo di osservare usi e costumi dei cinesi delle
zone costiere meridionali, in particolare del Fujian. 12
RADA (1575:f.22) Ms.
16
[...]porque ninguno queno se pa bien leer y escrevir y demas desso la lengua cortesana no
puede ser governador ni Justicia porque encada provincia tienen diferente lengua a un
que todas combinan como portugues valenciano y castellano y tiene esta particulariedad
la letra de la china que como no son letras sino carateres una misma carta la leeran en
todas las lenguas de la china a un que vi cartas escritas en letra cortesana que era
diferente de la de Hocquien, pero en la una letra y en la otra leeran entrambas a dos
lenguas.13
La “lengua cortesana” di cui parla De Rada è chiaramente il Mandarino, la lingua
di corte e di governo, senza la quale era impossibile per un funzionario poter
svolgere le sue mansioni.
Anche un soldato ed esploratore spagnolo , Francisco de Duenas , nel 1580
rendeva conto della situazione linguistica dell‟impero cinese, confermando
l‟esistenza di una lingua “cortigiana”:
[…]Hay en este reyno de china quince prouincias y en cada prouincia hay lengua diferente
y es cosa dever que hay una lengua Particular que llaman la lengua manterin que es la
cortesana y esta corre por odo el reyno an la de saber por fuerça Todos los juezes porque
a ninguno daran a cargo si no la sabe y por eso la llaman lengua manterin porque a ellos
les llaman mantelines y assi todas las peticiones y escriptos que ante ellos se presentan an
de yr en esta lengua[…]14
La coscienza dell‟imprescindibilità di questa lingua ufficiale era quindi diffusa
non solo tra i missionari, ma in generale tra gli occidentali che frequentavano le
coste dell‟impero.
Anche i primi gesuiti che affrontarono lo studio della lingua cinese a Macao e in
Cina non mancarono di segnalare in modo chiaro che la varietà linguistica a cui
si dedicavano era il Mandarino, non già i dialetti locali. Alessandro Valignano
(1539-1606) visitatore delle missioni gesuite di Cina e Giappone dal 1574 al
1606, nella propria relazione del 1584 dimostra non solo di aver ben individuato
l‟esistenza di un dialetto privilegiato, ma ne sottolinea anche l‟importanza nella
strategia missionaria:
13
Ibid., f.28 14
DUEÑAS (1580), Ms.
17
Tienen también los chinas otro lenguaje, que es casi universal y común, y este es el
proprio lenguaje de los mandarines y de la corte, y es entre ellos como entre nosotros el
latín; y como aquella lengua sea propria de los mandarines, en los quales está todo el
poder y mando, como diximos, todos procuran de aprender a hablar o bien o mal esta
lengua, para poderse negociar con los mandarines. […] están dos Padres de los nuestros
ya de algunos años a esta parte aprendiendo esta lengua mandarín y van aprovechando
en ella como diremos a su tiempo; porque este es el camino, por donde podemos esperar
(quanto a lo que a nosotros toca) que aya alguna entrada en la China[…].15
I due padri impegnati ad apprendere la lingua mandarina di cui parla Valignano,
altri non erano se non Michele Ruggieri e Matteo Ricci. Il primo dei due,
Ruggieri, fu il vero pioniere della Compagnia nello studio della lingua, fu
l‟apripista per tutti i confratelli che seguirono; nonostante la totale mancanza di
informazioni su quell‟idioma, anch‟egli aveva individuato un oggetto di studio
ben preciso:
Dopo l‟havere io alcuni anni atteso nel porto di Amacano (dove negotiano i mercati
Portoghesi) ad imparare quella sorte di lingua, che chiamano mãdarina, usata da questi
Magistrati, & Cortigiani (& per una quasi infinita quantità di caratteri, tanto difficile che
gl‟istessi Cinesi vi spendono gli anni) andai alcune volte co li detti mercanti Portughesi
nella Città di Cantone […].16
Ruggieri aveva quindi ben chiaro il suo target: imparare il cinese Mandarino. A
tale scopo Valignano aveva reclutato tre o quattro cinesi, che a Macao funsero
da insegnanti prima per Ruggeri e poi per Ricci. Tuttavia, come nota il
confratello portoghese Francesco Cabral (1528-1609), anch‟egli a Macao nello
stesso periodo:
La lingua Mandarina in questo porto di Amacano, per mancamento di periti maestri,
parea molto più difficile: hora il P. Matteo che l‟ha bene imparata, & fattovi sopra
osservazioni, mi afferma che gli basta l‟animo d‟insegnarne in sei mesi a nostri fratelli (pur
15
VALIGNANO (1584), Ms. 16
FRÓIS et al. (1586:169-170)
18
che habbino ingegno, & usino diligenza) tanto, che possano intenderla, & essere intesi.
Vero è che la pronuntia è malagevole, & non si può imparare così presto.17
Nel De Christiana Expeditione, il belga Trigault, sulla base delle memorie dello
stesso Matteo Ricci, così ricorda le prime difficoltà del confratello Ruggieri
nell‟attendere allo studio della lingua cinese e della cortigiana in particolare. Di
seguito si riporta un passo tratto dall‟edizione italiana del 1622, di qualche anno
posteriore all‟originale latino:
Se‟l negotio havesse havuta tanta facilità, quanta ne prometteva, in più breve tempo si
sariano fatti maggiori progressi, ma il parlar Chinese, non solamente è assai difficile, &
intricato più di quanti habbia letto, ò udito, ma la penuria de‟ Maestri rendeva l‟opera per
sé malagevole, e più difficile; perche i Chini[…] quelli, che della China vi stavano per
mercantia, erano imperiti della lingua della Corte, e di quella d‟Europa; poiche i Mercanti
per il più parlano con la lingua del paese lor nativa, che se bene l‟intendono [la lingua
della Corte], nondimeno in quella malamente parlano[…].18
Il “mancamento di periti maestri” era scontato; non c‟è da sorprendersi che,
negli anni ‟80 del 1500, i cinesi reclutati per insegnare il Mandarino ai gesuiti in
transito a Macao non fossero docenti professionisti, bensì semplici personaggi
di estrazione più o meno colta che avevano qualche conoscenza di cinese
Mandarino. Tuttavia, non c‟è dubbio che i gesuiti sapessero fin dall‟inizio quale
fosse la lingua più utile alla loro causa. Inoltre, dalle prime testimonianze dirette
dei missionari, lettere e relazioni che venivano poi quasi sempre pubblicate, la
cognizione della differenza tra Mandarino e dialetti locali si diffuse abbastanza
presto anche in Europa; già nel 1596, il gesuita spagnolo José de Acosta, storico
e perito nelle lingue del Messico, così riassumeva le notizie raccolte dai
confratelli attivi in Cina riguardo alla lingua cinese:
[…]Questa chiamano la lingua Mandarina, la quale ricerca l'età d'un'huomo per impararla.
Et si deue auertire, che quantunque la lingua, nella quale parlano i Mandarini sia
differente dalla uolgare, che sono molte, & là si studia la Latina, come quà, ò la Greca, &
17
ibid. p.188 18
RICCI, TRIGAULT et al. (1622:114)
19
la sa solamente i letterati, che stanno per tutta la China: nondimeno quello, che si scriue
in quella s'intende in tutte le lingue.19
Negli scritti dei missionari, in riferimento a questa “lingua mandarina”, fin dal
primo periodo fu usato il termine “Guanhua”, che compare già in un dizionario
portoghese-cinese compilato da Ricci e Ruggieri intorno al 1584, dove tra i
lemmi inizianti per la lettera F, si legge: “Falla Madarin, cuõ cua cin yin, 官话正
音”.20
Sempre nel De Christiana Expeditione, vediamo come Trigault riporti la seguente,
eloquente, testimonianza:
[…] ciascheduna Provincia ha propria lingua, & un‟altra commune a tutto il Regno; che
chiamano Quonhoa, che vuol dir parlar di Corte; perciò i Magistrati (come dirò) dove
governano, sono forastieri; i quali, per non aver ad imparar la lingua della Provincia,
vaglionsi del modo del favellar della Corte; ch‟è commune a tutti, col quale i Magistrati,
non solamente trattano i negotii della Provincia, ma anco i più civili: ò sia forastiere, ò sia
nativo. Questa sola imparano i nostri[…]. I putti, le femine intendono il favellar della Corte,
superando la difficoltà con lo spesso, e continuo ragionarne.21
È da affermazioni come questa che si evince quanto il Guanhua arrivasse a
diffondersi anche oltre la ristretta cerchia dei funzionari, tanto che le donne e i
bambini di ogni provincia (a detta di Trigault) lo capivano e imparavano a
parlarlo. Anche il gesuita portoghese Alvaro Semedo (1586-1658), nella sua
relazione pubblicata nel 1642 con il titolo Imperio de la China, offrì numerose
notizie sulla situazione linguistica della Cina alla vigilia del cambio di dinastia.
Questo passaggio estratto dall‟edizione italiana della sua opera conferma la
situazione descritta dai confratelli che lo precedettero:
Il linguaggio che s‟usa nella Cina è di tanta antichità […]. E vario, perché sono varij li Regni,
delli quali hoggi si compone questa corona; & anticamente non eran suoi, mà posseduti
19
ACOSTA (1596:128) 20
“cuõ cua” è la trascrizione delle due sillabe “guan hua” secondo il sistema di Ruggieri; ( v. infra,
capitolo su Ruggieri) 21
RICCI, TRIGAULT et al. (1622:21-22)
20
da‟ Barbari[…]. Però la lingua della Cina venne ad essere una sola, che chiamiano Quonhoa,
ò lingua di Mandarini; perché essi con l‟istesso passo col quale inducevano il lor governo
in altri Regni, introducevano anche la lingua: e così hoggi corre per tutto il Paese, come il
Latino per tutta Europa[…] e se si parla perfettamente, come d‟ordinario si ode in Nankim,
lusinga l‟udito.22
Dalle osservazioni di Semedo, oltre a confermare l‟esistenza di una lingua
ufficiale, strumento politico, chiamata Guanhua dagli stessi cinesi, scopriamo
che presso la città di Nanchino, secondo il parere del gesuita portoghese, si
parlava un Guanhua corretto (“perfettamente”) e piacevole ad ascoltarsi
(“lusinga l‟udito”).
Dello stesso parere era Luis Le Comte, gesuita francese, che nella sua relazione
Nouveaux Memoirs… del 1697 scriveva:
[…] le son des paroles est assez agréable à l'oreille, sur tout dans la Province de Nankin,
où l'accent est meilleur que nulle autre part; car plusieurs y prononcent les differens tons
si finement qu'un Estranger a bien de la peiné à s'en appercevoir.23
Anche testimonianze successive, come quella inserita dal domenicano Francisco
Varo nella sua grammatica cinese (Arte) alla fine del XVII secolo, indicano la
pronuncia di Nanchino come la più corretta:
[…] Y para el açierto en esto, se a de atender al modo con que pronunçia semejantes
vocablos el Chino, no qualquier Chino, sino solos a quellos que de suio, tiene nel hablar
bien la lengua mandarina, quales son los naturales de la Prov.a de Nân kīng […] Y assi solo
se deve atender a las cabecillas, y vocabularios echos segun se habla en Nân kīng, ò Pě
kīng.24
Dalle parole di Varo si ottiene un‟altra informazione interessante, ossia che
questa lingua ufficiale, pronunciata correttamente nella zona di Nanchino, era la
22
SEMEDO (1643:43) 23
LE COMTE (1696:304) 24
VARO (1703), [BAV segn.: R.G.Oriente.III.246(int07)]
21
stessa parlata anche a Pechino (“se habla en Nân kīng, ò Pě kīng”), ulteriore
conferma dell‟entità nazionale assunta dal Guanhua.
La questione relativa a quale fosse il dialetto o l‟area linguistica di riferimento di
questa lingua franca è animatamente dibattuta in ambienti accademici cinesi,
mentre tra i linguisti e sinologi occidentali sembra esistere più accordo, proprio
in base alle affermazioni dei missionari intorno ad uno standard meridionale.
Nell‟economia della presente ricerca, non è essenziale tanto stabilire quale fosse
il dialetto di riferimento, quanto piuttosto accertare che il guanhua descritto dai
diversi missionari, in diversi periodi a cavallo tra Ming e Qing, fosse pressappoco
sempre la stessa lingua; senza questo presupposto, il confronto tra i diversi
sistemi di romanizzazione non avrebbe senso.
Le fonti che prendiamo in esame utilizzano diversi sistemi di romanizzazione per
descrivere la pronuncia di una certa varietà di cinese; se in alcuni casi, come
abbiamo visto, il riferimento ad una lingua ufficiale o “mandarina” è fatto in
modo esplicito dall‟autore stesso, in altri casi non abbiamo simili conferme
dirette.
Certo, per quanto attiene ai gesuiti, sembra che essi si siano concentrati sul
mandarino fin dall‟inizio della missione, quindi tutto lascia pensare che le
generazioni seguenti avvicendatesi nel corso del secolo XVII abbiano continuato
a studiare lo stesso idioma; ma in altri casi, dove non appaiono chiaramente
conferme dirette sul fatto che la lingua descritta fosse il mandarino, il dubbio è
lecito.
Per quanto ne sappiamo, la lingua conosciuta e descritta dai diversi autori presi
in esame poteva essere diversa a seconda delle competenze o delle scelte
dell‟autore; ad esempio, missionari residenti in province diverse conoscevano e
descrivevano dialetti diversi? O, nel caso dell‟esistenza di una lingua comune, è
possibile che essi conoscessero e descrivessero varianti diverse di questa lingua?
Il cambio di dinastia, con il subentrare al potere di un‟etnia non cinese com‟era
quella Mancese, ha determinato o meno un repentino cambiamento della lingua
comune? Le opere scritte dai missionari durante il primo periodo Qing
potrebbero aver descritto un Mandarino diverso da quello dei loro confratelli
attivi durante i Ming?
La discussione accademica su queste tematiche, sia in Cina, sia in occidente, è
iniziata nella prima metà del 1900 e si mantiene viva tutt‟oggi, specialmente in
22
relazione al lavoro condotto dalla fonologia storica nell‟ambito della
ricostruzione della pronuncia del Mandarino Ming-Qing. Nel paragrafo
seguente si dà brevemente conto delle più recenti conclusioni riguardo alla
storia del l‟evoluzione del cinese Mandarino durante le ultime due dinastie.
1.2.2 Origine ed evoluzione del Mandarino Ming-Qing
La pronuncia standard delle lingue comuni o nazionali tende ad essere
influenzata dai dialetti dei centri culturali e politici, in particolare delle capitali;
pertanto, essendo stata Pechino la capitale dell‟impero cinese dal 1267 (dinastia
Yuán 元) ad oggi, con l‟eccezione dei primi decenni della dinastia Míng (1356-
1421, periodo in cui la capitale fu posta a Nanchino), si è spesso asserito che il
dialetto di riferimento per la lingua comune sia sempre stato quello di Pechino.
C‟è da dire che nella stessa Pechino, nel corso degli ultimi otto secoli, si sono
avvicendati governi e popolazioni dalle provenienze eterogenee, pertanto
numerosi sono stati i dialetti parlati nella capitale in periodi diversi.
Ciononostante, la linguistica sinologica ha assunto l‟ipotesi dell‟origine
“pechinese” del Mandarino come verità indiscussa per lungo tempo.25
La fluttuazione della situazione linguistica nel corso dell‟ultimo millennio della
storia cinese va certamente analizzata secondo schemi piuttosto complessi; le
teorie in cui si ipotizza che uno standard linguistico possa mutare
repentinamente a seguito di un improvviso cambio del centro di potere, sono
probabilmente da accogliere con cautela. Sebbene gli sconvolgimenti socio-
politici quali lo spostamento dei centri di potere e le conseguenti migrazioni di
massa influenzino fortemente i processi di evoluzione e metamorfosi delle
lingue, questi ultimi hanno bisogno di tempo per attuarsi e affermarsi.
Numerose fonti cinesi dei secc. XV-XVIII attestano l‟esistenza di una lingua
ufficiale/nazionale (il Guanhua), usata per scopi di governo e di coesione
nazionale;26 dal punto di vista occidentale, ciò conferma quello che i missionari
osservavano nelle prime relazioni spedite in Europa. Inversamente, nonostante
le stesse fonti cinesi avvalorassero già di per sé l‟ipotesi dell‟esistenza di un
25
Cfr. COBLIN (2002a:31-32) 26
Cfr. YE (2001:21-24)
23
Guanhua Ming-Qing, l‟incontro degli studiosi cinesi con le fonti missionarie ha
offerto ad essi ulteriori prove in merito al Mandarino dell‟epoca, aprendo altresì
un nuovo filone di ricerca nella linguistica sinologica in Cina.27
Gli studiosi che, nel tracciare le linee del processo evolutivo della pronuncia del
Mandarino Ming-Qing, si sono interessati alle fonti cinesi o a quelle straniere,
hanno disposto di due punti di vista diversi per scrivere sostanzialmente la
stessa storia.
Stabilita l‟esistenza di una lingua comune, resta da capire se essa sia sempre
rimasta simile a se stessa, oppure se sia mutata nel corso dei secoli e in che
misura.
Per oltre due millenni, a partire dall‟epoca Shang-Zhou (XI-VII sec. a.C.) fino ai
Song Settentrionali (X-XI sec.), con esclusione del periodo delle dinastie del
nord e del sud (V-VI sec.) i centri politici dell'Impero furono sempre allocati nella
zona della pianura centrale cinese (Zhōngyuán 中原, o Zhōngzhōu 中洲),
appena sotto il fiume Giallo. La pronuncia dei dialetti Han parlati nella pianura
centrale ha costituito la base per le successive lingue comuni del popolo Han, in
un processo lungo e complesso, articolatosi nel corso di un millennio ed oltre. 28
Una forte differenziazione tra dialetti settentrionali e meridionali avvenne
durante il III secolo d.C., quando la dinastia dei Jin 晋 (266-420) dovette cedere
la Cina del nord alle popolazioni nomadi (che si avvicendarono al potere nel
periodo detto dei “sedici regni”, liùshí guó 十六国), ritirandosi nella zona
meridionale del Jiāng-Huái 江淮,29 e dando così inizio alla seconda fase della
dinastia, ricordata come Jin orientali (Dōng Jìn 东晋); pertanto, mentre i dialetti
settentrionali entrarono in contatto con le lingue uralo-altaiche e ne venivano
gradualmente influenzati, 30 al contempo i dialetti centro-settentrionali della
pianura centrale scesero nel sud del Paese, dove iniziò una progressiva osmosi
con gli idiomi meridionali del gruppo Wú 吴 , i quali subirono l‟influenza
27
In relazione all‟influenza delle fonti missionarie sulla linguistica cinese, cfr. LUO (1930), COBLIN
(2002a:36-37) e WANG (2007) 28
YE (2001:2-3) 29
Ossia l‟area a nord del fiume Azzurro o Chángjiāng 长江 (per antonomasia “jiāng”, cioè
“fiume”) e a sud del fiume Huái 淮; dall‟accostamento dei caratteri rappresentanti il nome dei
due fiumi deriva la denominazione Jiāng-Huái. 30
Cfr. ZHANG (1998a:77) e YE (2001:11)
24
linguistica della classe dominante proveniente dalle regioni centrali.31 La capitale
Jiànkāng 健 康 dei Jin, pressoché corrispondente all‟odierna Nanchino,
comprendeva decine di prefetture totalmente abitate da cittadini originari delle
pianure centrali, diventando gradualmente una metropoli “cosmopolita” dove
culture e lingue meridionali e centro-settentrionali andavano lentamente
fondendosi, dando vita a quello che viene solitamente definito “Mandarino
meridionale” (Nánfāng guānhuà 南方官话) e che, di fatto, è un prodotto dello
spostamento delle popolazioni Han centro-settentrionali dalla pianura centrale
verso il meridione.32
La differenza tra i due grandi gruppi linguistici del nord e del sud si rafforzò
durante il successivo secolo e mezzo, periodo di divisione dell‟impero, dominato
dalle cosiddette “Dinastie del Nord e del Sud” (Nán Běi cháo 南北朝, c.a. 420-
589).
Successivamente, con le dinastie Suí 隋 (581-618) e Táng 唐 (618-907) e il
seguente spostamento della capitale nel centro-nord (alternativamente nelle
due città di Luòyáng 洛阳 e Cháng‟ān 长安), il Mandarino dell‟area di Nanchino
e del Jianghuai (Nanfang Guanhua) ritornava nelle pianure centrali da dove era
partito, stabilendosi come standard per la lingua comune dell‟Impero. Anche
durante i Song settentrionali (Běi Sòng 北宋 , 960-1127), lo stesso idioma
continuava a fungere da lingua franca del Paese.
Nel periodo dei Song meridionali (Nán Sòng 南宋, 1127-1279), quando la
dinastia retrocesse nuovamente verso il sud a fronte dell‟invasione dei nomadi
settentrionali Jurchen (in cinese Nǚzhēn 女真 ), iniziò un altro periodo di
consolidamento e differenziazione delle pronunce settentrionali e meridionali: il
Nanfang Guanhua tornando al sud mantenne sostanzialmente le sue
caratteristiche centro-meridionali; al nord, invece, una nuova ondata di lingue
uralo-altaiche rafforzò le caratteristiche dei dialetti cinesi settentrionali.33
La dinastia mongola degli Yuán 元 (1271-1368), non solo spostò la capitale a
Pechino, nell‟estremo nord del Paese, ma impose il mongolo come lingua di
Governo. Tuttavia, la maggioranza dei funzionari Yuan non era composta da
cinesi Han, ma da appartenenti ad altre etnie straniere; la corte Yuan evitò altresì
31
ZHANG (1998a:74) 32
YE (2001:14) 33
COBLIN (2002b:533-35)
25
che i sudditi mongoli subissero un processo di sinizzazione, e i contatti
linguistici furono meno sconvolgenti di quanto avrebbero potuto essere. La
classe colta cinese continuò sostanzialmente ad utilizzare lo standard
Mandarino tramandato nei secoli precedenti.34
Dopo appena un secolo di dominazione mongola, l‟avvento della dinastia Míng
明 (1368-1644) riportò la lingua mandarina al suo status originario; nei primi
cinquant‟anni della dinastia, tra l‟altro, la capitale rimase a Nanchino, il cui
dialetto doveva essere il più rappresentativo della pronuncia mandarina corretta.
Anche lo spostamento della capitale a Pechino non sortì effetti sostanziali sullo
standard linguistico nazionale, che rimaneva radicato all‟area centro meridionale
del Jianghuai.35 Il graduale sviluppo demografico ed economico della nuova
capitale cominciò tuttavia ad innestare un lento processo di spostamento del
centro culturale verso il nord, cui nei secoli seguenti poté per gradi
accompagnarsi anche l‟affermazione e l‟aumento dell‟influenza dell‟area
settentrionale sul piano linguistico.36
Un contributo in questa direzione forse coincise anche con l‟ultimo cambio di
regime, a favore dei mancesi della dinastia Qīng 清 (1644-1912).37 La capitale
rimase a Pechino, dove l‟interazione linguistica tra il Mandarino meridionale
(Nanfang Guanhua) e i dialetti settentrionali, ebbe modo di continuare a
svolgersi. Seppure appartenenti ad un‟etnia non cinese, i regnanti Qing si
rapportarono ai cinesi in maniera differente dalla precedente dinastia forestiera
dei mongoli Yuan, partecipando ad un processo di integrazione culturale (da
alcuni definito semplicemente “sinizzazione”) che, sul piano linguistico, si
concretizzò con una situazione di multilinguismo, in cui il cinese Mandarino
continuava a giocare un ruolo fondamentale. Durante la dinastia Qing, il
mancese, il mongolo e il cinese erano tutti idiomi ufficiali indispensabili
nell‟amministrazione pubblica; 38 nel tardo XVIII secolo si diffuse anche una
politica per la quale i funzionari di una certa etnia erano tenuti a parlare nella
propria lingua madre. Ma, di fatto, nelle aree fuori dal diretto controllo della
34
ZHANG (1998a:76) 35
COBLIN (2002a:31); 36
YE (2001:14) 37
Id. 38
Cfr. CROSSLEY & RAWSKI (1993:80)
26
Corte, i funzionari non cinesi imparavano ed usavano il cinese per necessità e
convenienza;39 fin dall‟inizio della dinastia, la produzione dei documenti ufficiali
avvenne in tutti e tre gli idiomi, 40 ma la lingua parlata dagli ufficiali tendeva ad
essere il cinese, probabilmente la stessa forma di Mandarino meridionale
utilizzata nei secoli precedenti. Solo verso la metà del 1800, dopo un lungo
periodo di influenza da parte dei dialetti settentrionali, la pronuncia standard
del cinese Mandarino perse alcune caratteristiche dell‟area meridionale,
avvicinandosi e infine attestandosi sulla pronuncia standard settentrionale; il
nuovo dialetto Mandarino pechinese (Beijing Guanhua 北京官话) fu alla base
del Mandarino moderno.41
Il presupposto fondamentale sul quale si basa questa ricerca e, soprattutto, la
comparazione di numerosi e diversi sistemi di romanizzazione, è che tutte le
opere e gli autori presi in considerazione abbiano descritto più o meno la stessa
lingua. Considerato quindi che:
1) Le fonti cinesi, in tutto l‟arco di tempo che va dalla fine del XVI
all‟inizio del XVIII secolo, testimoniano l‟esistenza di una lingua nazionale
chiamata Guanhua (il Mandarino), storicamente sviluppatasi nelle zone
centro-meridionali a ridosso del fiume Azzurro, in particolare nei pressi di
Nanchino. Questo idioma dovette conservare le sue caratteristiche
meridionali durante i secoli a cavallo delle due dinastie, cedendo il passo
ad uno standard settentrionale solo a metà del XIV secolo;
2) Anche le fonti scritte dai missionari, indipendentemente dall‟ordine
di appartenenza, testimoniano l‟esistenza di una lingua nazionale nella
Cina Ming-Qing, rimarcando che essa, e non i dialetti, era l‟oggetto
primario del loro studio, in quanto permetteva di comunicare con cinesi
di varie estrazioni e provenienze. I missionari sottolineavano inoltre in più
casi che le aree dove meglio si pronunciava questo cinese Mandarino
erano quelle circostanti a Nanchino.
39
Id. 40
Ibid., p.68 41
COBLIN (2002a:32-33)
27
Pertanto, è molto probabile che le romanizzazioni presenti nelle fonti
missionarie prese in esame riflettano tutte la stessa pronuncia del cinese
Mandarino meridionale (Nanfang Guanhua) parlato nel periodo a cavallo tra
Ming e Qing. Il confronto tra i vari sistemi di romanizzazione è quindi sostenibile.
28
2.0 ILLUSTRAZIONE FONTI E METODOLOGIA
2.1 Documenti (fonti)
Come si è già accennato nell‟introduzione, le fonti primarie di questa ricerca
sono costituite da un ampio gruppo di documenti scritti in Cina dai missionari
cattolici tra la fine del XVI secolo e l‟inizio del XVIII. Per quanto possibile, si è
preferito lavorare direttamente sulle fonti originali, per lo più in riproduzione
fotostatica, tenendo comunque in considerazione i lavori di raccolta dati e
analisi effettuati da altri studiosi. Nel fruire delle fonti secondarie, pur non
discutendone l‟attendibilità, si è cercato di effettuare in prima persona un
costante riscontro sulle fonti originali.
Tutte le fonti primarie prese in esame, sebbene molto diverse per tipologia e
consistenza (da poche decine a molte centinaia di pagine) hanno una
caratteristica che le accomuna: in ognuna compaiono numerose parole cinesi
(da qualche decina a molte migliaia), le cui pronunce sono rese in forma
alfabetica. Nella maggior parte di questi documenti è possibile riscontrare una
certa coerenza interna e sistematicità nelle romanizzazioni, che non appaiono
quindi casuali e istintive, permettendo bensì di individuare dei sistemi di
romanizzazione completi ed organici, potenzialmente descrivibili nei loro
elementi e nelle loro regole. A tal fine, si deve prima raccogliere i dati, cioè tutte
le parole cinesi romanizzate che compaiono in una fonte, per poi isolarne tutte
le sillabe di base.
Non tutti i documenti, però, offrono i dati nello stesso modo; nei paragrafi
seguenti sono brevemente illustrate le principali problematiche relative alla
raccolta dei dati in base alla varietà delle fonti.
2.1.1 Manoscritti e stampati
La differenza tra fonti manoscritte e stampate è abbastanza evidente: nelle
forme manoscritte, l'autore ha la libertà di rendere graficamente lettere e
diacritici nel modo che ritiene più opportuno e funzionale; al contrario, nel
periodo storico cui ci riferiamo, la stampa aveva e imponeva limiti grafici, per
motivi tecnici o economici. Mentre una fonte manoscritta, specie se originale,
riflette direttamente la resa voluta dall‟autore senza alcuna interpolazione, nel
29
passaggio tipografico da un manoscritto all‟opera stampata erano frequenti gli
errori, le sostituzioni di lettere o l‟omissione di diacritici. Pertanto, le fonti a
stampa offrono dati generalmente meno completi di quelle manoscritte.
Per tutti i documenti analizzati, quando necessario, si ipotizzano implicazioni
relative alla copiatura o alla stampa, nel tentativo di chiarire in generale il valore
e l'affidabilità della fonte, in particolare singole stranezze tipografiche.
2.1.2 Tipologia e quantità dei dati
La tipologia stessa dei documenti influisce sull'entità dei dati che vi si possono
raccogliere. È facile immaginare che un dizionario conterrà sempre un gran
numero di parole cinesi romanizzate, un glossario o un frasario ne conterranno
tendenzialmente meno; al contrario, una breve relazione scritta da un
missionario in un certo periodo della sua missione in Cina potrà certo contenere
alcune parole cinesi romanizzate, quali toponimi, nomi di persona, alcune parole
ed espressioni comuni; ma, per quante ne contenga, esse difficilmente
raggiungeranno la stessa quantità di quelle elencate da un glossario, o un
dizionario. Nel testo, completamente romanizzato, di un lungo brano letterario,
sebbene esso possa offrire un gran numero parole cinesi romanizzate, per una
questione di frequenza di occorrenza non è detto che vi appaiano tutte le
sillabe della lingua cinese, poiché alcune sillabe corrispondono a parole molto
rare.
2.1.3 Presenza o assenza dei caratteri cinesi
Tutti i documenti contengono romanizzazioni, ma non tutti i documenti
contengono i caratteri cinesi corrispondenti alle romanizzazioni. La differenza
non è da poco: se si hanno i caratteri cinesi, o se vi si può risalire, si ha più
certezza su quale grafia corrisponda a quale suono. Nel caso contrario, quando
non compaiono i caratteri cinesi, si ha bisogno di un gran numero di sillabe, per
poter descrivere correttamente gli elementi del sistema di romanizzazione.
2.1.4. Fonti ordinate e disordinate
Per alcuni documenti, la raccolta dei dati è semplificata, in quanto le sillabe di
base compaiono in maniera ordinata; ad esempio, in un dizionario cinese-
europeo ordinato alfabeticamente secondo la pronuncia romanizzata dei lemmi
30
cinesi, guardando i capilettera dei lemmi e scorrendo il dizionario si otterranno
in breve tempo tutte le sillabe di base di quel sistema. Al contrario, in un
dizionario europeo - cinese, dove i lemmi ordinati alfabeticamente saranno
quelli europei, le parole cinesi (e quindi le sillabe romanizzate) si reperiranno
sostanzialmente in un ordine sparso, quindi sarà necessario scorrere con
attenzione tutto il dizionario, estrapolando le sillabe una ad una ogni volta che
le si incontra per la prima volta. Non solo ci vorrà molto più tempo, ma non è
garantito nemmeno che compaiano tutte le sillabe di base della lingua.
2.2 Organizzazione dei dati e problemi metodologici
Inizialmente, da una fonte scritta si estraggono tutte le parole cinesi in forma
romanizzata; da queste bisogna estrapolare le singole sillabe, elencandone tutti
i tipi grafici che è possibile distinguere.
Alcune fonti offrono le parole romanizzate in forma già sillabata, ossia lasciando
uno spazio bianco tra le sillabe, che così possono essere facilmente isolate e
censite; in altre fonti, le sillabe delle parole romanizzate sono invece scritte tutte
attaccate. Qui si pone un problema metodologico nella raccolta dei dati: Come
riconoscere i confini di sillaba?
Inoltre, una volta estrapolate le sillabe, se ne devono analizzare separatamente
le grafie per le iniziali, i gruppi grafici per le rime, nonché gli eventuali segni
diacritici (aspirazione, toni, apertura vocale, etc.). Ma la corrispondenza tra grafia
e pronuncia non è lineare, e non è sempre facile capire se un certo grafo
rappresenta individualmente un valore fonologico, o se invece gioca solamente
un ruolo ortografico. Perciò, un problema nell‟organizzazione dei dati raccolti è:
Come riconoscere le grafie corrispondenti a iniziali e rime?
2.2.1 Il riferimento fonologico
I due problemi presentati si risolvono fissando dei punti di riferimento
fonologici; stabilendo, cioè, quali fossero i possibili valori fonologici sottostanti
alle grafie prese in esame.
Da una parte, le lettere alfabetiche usate nelle romanizzazioni furono mutuate
dagli alfabeti delle varie lingue europee conosciute dai missionari; le grafie
31
corrispondevano quindi a specifici valori fonologici, diversi a seconda di quale
fosse la pronuncia europea e la relativa ortografia di riferimento.
Dall‟altra, quelle stesse grafie furono usate per annotare la pronuncia cinese,
andando così a corrispondere ai fonemi di quella lingua.
Sembra altamente probabile, se non scontato, che se una certa grafia alfabetica
fu usata per annotare un certo valore fonologico del mandarino Ming-Qing,
questo valore doveva essere simile o uguale ad uno dei valori fonologici che
quella grafia rappresentava in una delle lingue europee di partenza. Pertanto,
per risolvere i due quesiti metodologici esposti più sopra, è utile aver presenti
sia i valori fonologici rappresentati dagli alfabeti europei post-rinascimentali, sia
le ricostruzioni dell‟ipotetico sistema fonologico del mandarino Ming-Qing.
2.2.2 Caratteristiche fonologiche degli alfabeti europei
I missionari vissuti in Cina durante la fine dei Ming e l'inizio dei Qing
provenivano da diversi paesi d'Europa, ognuno dei quali aveva una sua lingua
nazionale. A quel tempo, ciascuna delle lingue nazionali europee aveva già una
lunga tradizione letteraria e filologica; alcune di quelle lingue, come l‟italiano,
erano utilizzate di frequente anche al di là dei confini nazionali. Ma le lingue
effettivamente servite come mezzo di comunicazione internazionale e nelle
missioni dell‟estremo Oriente furono principalmente il latino, il portoghese e lo
spagnolo nel periodo del patronato iberico, mentre il francese cominciò ad
essere utilizzato a partire dagli ultimi decenni del XVII secolo.
Il latino era la lingua ufficiale della Chiesa, utilizzata soprattutto nei contatti
diretti tra la Santa Sede e i missionari. Ma il portoghese e lo spagnolo sono state
le lingue più usate dai missionari in oriente per comunicare all'interno delle
missioni e con i rispettivi superiori.
La lingua portoghese rimase la lingua franca della missione gesuita per più di un
secolo e mezzo, anche se la piccola popolazione del Portogallo offrì un numero
abbastanza esiguo di portoghesi alla causa gesuita, 42 portando l‟ordine ad
acquisire una composizione molto eterogenea, cosicché un gran numero di
42
STANDAERT (2001:309)
32
lingue erano effettivamente utilizzate quotidianamente tra i membri della
compagnia nelle varie missioni.
Nello stesso periodo, lo spagnolo consolidò una posizione predominante presso
gli ordini mendicanti, diffondendosi anche nelle colonie mercantili dell‟impero
spagnolo; in oriente, la lingua spagnola trovò terreno fertile specialmente nelle
Filippine.
Il portoghese fu in seguito soppiantato dal francese come lingua franca della
missione gesuita in Cina, sia a causa della diminuzione della forza coloniale
portoghese, sia per il crescente potere dell'Impero francese. La sostituzione del
portoghese col francese iniziò in Cina subito dopo l‟arrivo dei “Matematici del
Re”, i gesuiti francesi inviati da Luigi XIV; al contempo, diventava gradualmente
anche la lingua preferita dagli intellettuali europei del XVIII secolo.
Lingue minori come l‟italiano, il tedesco, il polacco o il fiammingo, godettero di
alcuni periodi di diffusione, a volte per motivi politici, a volte perché funzionali a
specifici ambiti della cultura, ma nessuno di questi idiomi ha influenzato
sensibilmente l'equilibrio linguistico delle missioni orientali. L‟italiano, a causa
dell‟alto numero di missionari provenienti dalla penisola mediterranea, ha però
conquistato di quando in quando uno spazio nelle relazioni o nella
corrispondenza missionaria che, ampiamente pubblicata per il pubblico europeo
avido di notizie, ha contribuito ad una certa “italianizzazione” delle informazioni
sull‟oriente.
Una breve panoramica sulle ortografie post-rinascimentali delle principali lingue
europee coinvolte in questo processo di romanizzazione del cinese (in quanto
lingue franche per le missioni, o in quanto lingue madri degli autori delle
romanizzazioni) può servire a raccogliere qualche indizio circa la localizzazione
dei sistemi di trascrizione. Inoltre, i valori fonologici ricoperti dalle lettere dei
vari alfabeti, ricostruibili con buona approssimazione, aiuteranno ad guadagnare
altri punti di riferimento rispetto alla pronuncia cinese descritta dalle
romanizzazioni.
2.2.2.1 Latino post-rinascimentale
L‟alfabeto del latino classico si componeva di 23 lettere: a, b, c, d, e, f, g, h, i, k, l,
m, n, o, p, q, r, s, t, v, x, y, z. Solo alcuni secoli più tardi vi si aggiunsero anche le
due lettere: j, u.
33
Grazie al fatto che la pronuncia del latino post-rinascimentale è stata
abbondantemente descritta dai filologi dell‟epoca, i valori fonologici
rappresentati dalle lettere in quel periodo sono abbastanza certi. Tra questi, per
il nostro obiettivo siamo più interessati alle seguenti caratteristiche:43
- c, k, q, allografi per /k/;
- v ed u rappresentavano sostanzialmente lo stesso suono /u/, ed è difficile
reperire nelle fonti una descrizione di v che faccia pensare alla fricativa
sonora labiodentale /v/. Probabilmente, una opposizione immaginabile
potrebbe essere u come vocale tonica /u/ mentre v come semivocale /w/;
- h rappresentava una fricativa velare sorda /x/, ma era anche usata per
rendere graficamente le varianti aspirate di altre consonanti, come in ch
per /kh/;
- x era un grafema per il gruppo consonantico /ks/.
Anche se l‟alfabeto latino rappresenta la base di tutti gli alfabeti che seguono,
alcune delle sue caratteristiche permetto facilmente di dire che la pronuncia
latina dell‟alfabeto non ha giocato un ruolo centrale nella romanizzazione del
cinese.
2.2.2.2 Italiano post-rinascimentale
Anche l‟alfabeto italiano dei secoli XVI-XVIII comprendeva 23 lettere: a, b, c, d, e,
f, g, h, i, k, l, m, n, o, p, q, r, s, t, v, x, y, z, e l‟ortografia prevedeva molti digrammi,
come ch, gh, gn, sc, etc. Tra tutte le caratteristiche della grafia italiana, è
interessante considerare le seguenti peculiarità:44
- c rappresentava sia l‟occlusiva /k/, sia l‟affricata /tʃ/. L‟ortografia voleva
che, per /k/ davanti ad a, o, u, il grafema c rimanesse invariato, ma vi
andava aggiunta la -h (ch) davanti a e, i. Mentre per /tʃ/ rimaneva c
davanti ad e ed i, ma vi andava aggiunta la -i (ci) davanti ad a, o, u;
- la situazione di g era identica a quella di c, con la sola differenza che g
rappresentava fonemi sonori invece che sordi: /g/ e /dʒ/. In epoca post-
43
ACETI (1733) passim 44
Cfr. POLITI (1614) e BARTOLI (1670) passim
34
rinascimentale, il valore /dʒ/ cominciò a cambiare nel fricativo palatale
sonoro /ʒ/ in alcuni dialetti centrali (toscano, umbro, marchigiano);
- h, era per lo più un‟iniziale muta, ovvero un‟occlusiva glottidale /ʔ/, ma
come si è visto era usata anche per modificare la c e la g, dai loro valori
affricati /tʃ/ e /dʒ/ alle occlusive velari ch /k/ e gh /g/ prima di e and i;
- il digramma gn, rappresentava la nasale palatale /ɲ/;
- k, x e y erano usate solo in parole greche o latine;
- q, valeva /k/ davanti ai dittonghi inizianti con un‟approssimante u /w/. La
sequenza dei due grafemi qu rendeva quindi il gruppo consonantico
/kw/;
- il digramma sc rappresentava una fricativa post-alveolare /ʃ/;
- v, rappresentava sia una vocale con valore /u/, sia una consonante con
valore /v/ o /υ/. Sebbene non distinti graficamente, nel periodo post-
rinascimentale l‟italiano indicava con v due fonemi diversi. In realtà, le
due forme grafiche v e u convivevano nei testi nel XVI-XVII secolo, come
varianti grafiche pressoché libere, sebbene v comparisse più
frequentemente in iniziale di parola.
Si vedrà come alcune caratteristiche della pronuncia italiana dell‟alfabeto siano
state introdotte in alcuni sistemi di romanizzazione del cinese, per lo più ad
opera di italiani.
2.2.2.3 Portoghese post-rinascimentale
La pronuncia portoghese delle lettere latine differiva dalle altre per più di una
caratteristica. L‟alfabeto era composto da un set di 24 lettere: a, b, c, ç, d, e, f, g,
h, i, k, l, m, n, o, p, q, r, s, t, u(v), x, y and z, e l‟ortografia prevedeva una serie di
digrammi, tra i quali ch, lh, nh. Le principali peculiarità della grafia portoghese
erano:45
- ç, con la cediglia, era usato per rendere un valore fricativo dentale tipo
/s/ davanti ad a e o, in complementarietà con z che rendeva sempre /s/
ma davanti a e, i, u;
45
Cfr. LEAO [LIAO] (1576, 1606, 1781) passim
35
- c, valeva /k/ davanti ad a, o e u, mentre probabilmente valeva /tʃ/ davanti
e ed i, come in italiano;
- e ed i, in molti casi convergevano a rappresentare un vocale centralizzata
/i/.
- g valeva sia /g/, sia /ʒ/. Per il valore /g/ l‟ortografia voleva che davanti a
a, o, u il grafo rimanesse g, mentre davanti a e, i andava aggiunta una h
(ghe, ghi), senza la quale valeva g /ʒ/ (ge, gi);
- h stava per la fricativa velare /x/ se precedeva una vocale. Era anche usata
per aggiungere un qualche tipo di frizione ad altri fonemi, come nel
digramma ch che rappresentava sia /kh/, sia /tʃ/, o i digrammi ph e th per
le pronunce di origine greca /ɸ/ e /θ/;
- k, per /k/, usato solo nelle parole di origine greca;
- il digramma lh occorreva davanti a vocali e rappresentava un suono tra la
semivocale /j/ e la laterale /ʎ/;
- Il digramma nh occorreva davanti a vocali e aveva probabile valore /ɲ/;
- q, come in italiano, valeva /k/ davanti ai dittonghi inizianti con
un‟approssimante u /w/. La sequenza dei due grafemi qu rendeva quindi
il gruppo consonantico /kw/. Ma la stessa sequenza poteva rendere anche
semplicemente il valore /k/;
- u and v, si opponevano probabilmente in quanto vocale /u/ e semivocale
/w/. In posizione iniziale, v aveva forse un valore approssimante
labiodentale /ʋ/. Sostanzialmente, però, si confondevano nell‟uso;
- x, rappresentava generalmente una fricativa post-alveolare /ʃ/ o
retroflessa /ʂ/. Solo in finale di arcaismi latini suonava /ks/;
- y, allografo di i per /i/;
- z, allografia di s, ç per /s/ o /z/
Molte delle caratteristiche ortografiche del portoghese appena riassunte si
ritroveranno in diversi sistemi di romanizzazione del cinese fin dai primissimi
esperimenti, fatto che determinò una certa longevità di alcune tra queste grafie
nel corso dei secoli, nonostante le trasformazioni e i cambiamenti delle grafie di
riferimento.
36
2.2.2.4 Spagnolo post-rinascimentale
Chiamato anche Castigliano, secondo le descrizioni del XVIII secolo aveva un
alfabeto di 26 lettere: a, b, c, ç, d, e, f, g, h, i, j, k, l, m, n, ñ, o, p, q, r, s, t, u, v, x, y,
z.46 Prevedeva alcuni digrammi, tra cui ch e ll. Alcune delle caratteristiche salienti
per la presente ricerca sono riassunte di seguito:
- c, valeva /k/ prima di a, o e u, mentre davanti ad i rappresentava un
valore tra l‟affricata /ts/ e la fricativa /s/;47
- ç poco usata, comunque con valore tra /s/ e /θ/ ;48
- ch, era prevalentemente la resa di /tʃ/;
- g, stava per /g/ prima delle vocali a, o e u, mentre probabilmente
rappresentava una fricativa velare sonora /γ/ prima di e ed i;
- h, era una fricativa palatale /ç/, o una fricativa alveolo-palatale /ɕ/;
- i e y, erano allografi per /i/, ma y era maggiormente usato per indicare le
semivocali nei dittonghi;
- ll, rappresentava il suono laterale /ʎ/;
- q, valeva /k/ davanti a u, che a differenza dell‟italiano (dove valeva /w/) in
spagnolo era muta. Pertanto la sequenza dei grafi qu nell‟ortografia
spagnola era un digramma per /k/;
- u e v, in spagnolo rappresentavano suoni distinti fin dal XV secolo, con i
rispettivi valori /u/ e /v/;
- x, rappresentava la fricativa velare sorda /x/ prima delle vocali, mentre
manteneva il suono /ks/ solo in posizione finale negli arcaismi latini;
- z, un valore tra la fricativa dentale /θ/ e l‟alveolare /s/.
Anche alcune di queste peculiarità dell‟ortografia spagnola confluirono nel
calderone delle romanizzazioni, specie di quelle a firma di parlanti ispanofoni,
ma rimanendo in uso anche in sistemi ispirati ad altre lingue.
46
IBARRA (1770) passim 47
Non si può comunque escludere un possible valore palatale /ç/. 48
moriano (1866) passim
37
2.2.2.5 Francese post-rinascimentale
L‟alfabeto francese era, ovviamente, molto simile agli altri alfabeti per
l‟inventario delle lettere, comprendendone 26: a, b, c, ç, d, e, f, g, h, i, j, k, l, m, n,
o, p, q, r, s, t, u, v, x, y e z, ma prevedeva alcuni digrammi e trigrammi iniziali
particolari, tra cui ts, tch, nonché l‟uso di diacritici assenti in altre ortografie
europee, come la dieresi ( ) sovrascritta ad alcune vocali e, in generale, un
complesso sistema di dittonghi e trittonghi:49
- c valeva /s/ davanti a e, i, y, in complementarietà con l‟allografo ç /s/
davanti ad a e o, in quanto opposto a c per /k/ davanti ad a, o e u;
- ch, per /ʃ/, da cui il trigramma tch per /tʃ/;
- g valeva /g/ prima di a, o, u; mentre stava per /ʒ/ prima di e;
- gn, per /ɲ/;
- h sia muta, sia con valore /x/, a seconda delle parole;
- j era un allografo di g
- k, per /k/ era usata solo nelle parole straniere;
- ts valeva /ts/, anche questa una resa peculiare del francese;
- v, approssimante labiodentale /ʋ/;
- y, allografo di i /i/, occorrendo unicamente in posizione finale di parola.
L‟ortografia francese possedeva delle particolarità che la rendevano ben
riconoscibile rispetto alle altre. Tra queste, la tendenza a rendere graficamente
fonemi vocalici semplici attraverso combinazioni complesse di più grafi (es. ou
per /o/, ai per /ɛ/-/e/) risultando in una serie di allografie (es. per /o/: ou, ots,
eau). L‟influsso sui sistemi di romanizzazione del cinese, specialmente ad opera
di francofoni, sarà evidente a partire dalla seconda metà del XVII secolo.
49
IRSON (1662) passim
38
2.2.2.6 Quadro riassuntivo delle caratteristiche ortografiche europee
Tabella riassuntiva delle caratteristiche ortografiche europee
Grafie Latino Italiano Portoghese Spagnolo Francese
c /k/ /k/ (-a, -o, -u)
/tʃ/ (-e, -i)
/k/ (-a, -o, -u)
/k/(-a, -o, -u)
/s/-/ts/ (-e, -i)
/k/ (-a, -o, -u)
/s/ (-e, -i)
ch /kh/ /k/ (-e, -i) /tʃ/ /tʃ/ /ʃ/
ç --- --- /s/ /s/ (rara)
[θ]
/s/
çh --- --- --- /ts/ ---
g /g/ /g/ (-a, -o, -u)
/dʒ/-/ʒ/ (-e, -i)
/g/(-a, o, u)
/ʒ/
/g/ (-a, -o, -u)
/ ɣ / (-e, -i)
/ʒ/
gh --- /g/ (-e, -i) /g/ (-e) raro --- ---
gn /gn/ /ɲ/ --- --- /ɲ/
gu /gu/ /gu/-/gw/ /g/ (-e, -i) /g/ (-e, -i)
h /#h/ /ʔ/ /x/ /ç/-/ɕ/ /ʔ/
/x/
j /j/ /j/ /ʒ/ /x/ /ʒ/
k /k/ /k/ /k/ /k/ /k/
lh --- --- /ʎ/ --- ---
nh --- --- /ɲ/ --- ---
q /kw/ (-u-) /kw/ (-u-) /k/-/kw/ (-u-) /k/ /k/-/kw/
s /s/ /s/ /s/ /s/ /s/
u /u/ /u/ /u/ /u/ /u/
v /u/ /v/ ([ʋ]-[w]) /u/([w]) /v/([ʋ]) /ʋ/
x /ks/ /ks/ /x/ /ç/ /ks/
y --- /i:/(ij) /i/
/j/
/i/
/j/
/i/
z --- /ts/
/dz/
/s/-/z/ /s/-/θ/ /s/-/z/
Tutti gli alfabeti di queste lingue europee potevano essere eventualmente
utilizzati per descrivere i suoni di altre lingue; il successo di questa o quella
lingua europea nell‟essere usata per la descrizione di questo o quel particolare
39
idioma esotico era, a parere di scrive, molto più connessa a contingenze umane
e a fattori politici che non alle proprie intrinseche caratteristiche linguistiche.
Questo quadro dei principali valori fonologici sostanti ai vari alfabeti europei
post-rinascimentali può aiutare sia ad individuare l‟ortografia europea di
riferimento per una certa forma romanizzata, sia a determinare i valori
fonologici cinesi descritti dalla romanizzazione; tuttavia, sebbene possa facilitare
nell‟interpretazione fonologica di singole grafie, da solo non basta ad
individuare i confini di sillaba, per i quali occorre quantomeno aver presente i
possibili tipi di struttura sillabica ammessi nel mandarino del XVI secolo. Un
quadro riassuntivo delle caratteristiche fonologiche e fonotattiche del
mandarino Ming-Qing, secondo le ricostruzioni maggiormente condivise, è
tracciato nei paragrafi seguenti.
2.2.3 Il sistema fonologico del Mandarino Ming-Qing
Sebbene i documenti romanizzati siano essi stessi delle valide fonti per la
ricostruzione fonologica del mandarino Ming-Qing, l‟utilizzo delle ricostruzioni
esistenti come riferimento teorico per analizzare nuove fonti romanizzate e
tratteggiare un quadro d‟insieme sulle romanizzazioni; una volta realizzato
questo quadro descrittivo, esso potrà, in una sorta di circolo ermeneutico,
ritornare utile anche alla stessa ricostruzione fonologica.
Esiste in Cina una lunga tradizione di studio e descrizione dei suoni della lingua,
concretizzatasi nella produzione di numerosissime opere finalizzate
all‟indicazione della pronuncia corretta dei caratteri, fin dal secondo secolo d.C.
Probabilmente in ragione della forte corrispondenza che questa lingua presenta
tra morfemi e sillabe, riscontrabile nell‟altissima percentuale di morfemi
monosillabici,50 la fonologia tradizionale cinese prende come unità di analisi la
sillaba, piuttosto che concentrarsi sui singoli fonemi.
Nell‟analisi della pronuncia dei caratteri cinesi, si distinguono tradizionalmente
tre sotto-unità, o componenti:
50
Cfr. DEFRANCIS (1989:115)
40
- Le “iniziali”, o “attacchi” di sillaba (shēngmǔ 声母 ). Nel mandarino
moderno l‟attacco di sillaba può mancare (iniziale zero, es. /an/), oppure
essere costituito da una consonante singola (es. /pan/);
- Le “rime” (yùnmǔ 韵母). La rima è la parte rimanente della sillaba tolto
l‟attacco. È composta da:
- Un nucleo, o gruppo vocalico. Nelle sillabe del mandarino moderno
il nucleo vocalico è necessariamente presente e può essere
costituito da una vocale singola (es. /a/, /i/), un dittongo
ascendente (es. /ja/, /wa/) o un trittongo (es. /jao/, /wai/).51
- Una coda. La coda può mancare (es. /pi/, /kwa/), essere costituita da
una semivocale in chiusura di un dittongo discendente (es. /aj/,
/aw/) oppure da una consonante finale, che in mandarino
moderno può essere solo /n/ o /ŋ/.
- Il “tono” (shēngdiào 声调). I toni sono curve di variazione di tonalità che
interessano la sillaba, in particolare il nucleo, tramite cui possono
distinguersi sillabe altrimenti uguali.
Oggi il mandarino possiede un inventario di 21 attacchi (shēngmǔ 声母, o
consonanti iniziali), 35 rime (yùnmǔ 韵母 ) e 4 toni (shēngdiào 声调 ). La
combinazione di attacchi e rime, con certe restrizioni, genera in cinese circa 410
tipi sillabici di base. Non tutti i tipi sillabici vengono pronunciati secondo tutti e
quattro i toni; computando i tipi sillabici “tonali” realizzati, se ne contano circa
1200.
La quantità dei costituenti della sillaba cinese, e di conseguenza il numero dei
tipi sillabici, ha subito variazioni nel corso dei secoli. Solitamente, la prima
sommaria descrizione fonologica di uno stato passato della lingua cinese
consiste pertanto nel contare il numero degli elementi di questi tre inventari:
iniziali, rime e toni.
51
In realtà la fonologia tradizionale cinese chiama “nucleo” (yùnfú 韵腹) esclusivamente la
vocale tonica, mentre analizza separatamente le semivocali all‟inizio di dittonghi e i trittonghi
come “medie” (jièyīn 介音 ) o “teste della rima” (yùntóu 韵头 ); altre teorie più recenti
considerano le semivocali in apertura dei dittonghi o dei trittonghi, ossia le “medie”, come
appartenenti all‟attacco piuttosto che alla rima. In proposito, cfr. DUANMU (2000:79 ss.) e PLAG,
HULST & RITTER (2002:485 ss.). Nel presente studio, le “medie” vengono invece considerate
parte del nucleo sillabico, quindi parte della rima.
41
Per ricostruire la pronuncia del Mandarino Ming-Qing, gli studiosi cinesi hanno
utilizzato prevalentemente fonti cinesi fino agli anni „30 del 1900, quando Luo
(1930) per primo ha integrato i risultati ottenuti dalle fonti cinesi con quelli
forniti da alcuni documenti alfabetici dei missionari europei.
Sia per la diversità delle fonti esaminate, sia per la differenza nell‟interpretazione
delle stesse fonti, le ricostruzioni effettuate dai diversi studiosi solo di rado sono
totalmente sovrapponibili; per lo più sussistono lievi differenze sull‟identità
fonologica di singoli valori, ma la maggior parte delle ricostruzioni si muove
entro la stessa gamma di variazioni, individuando più o meno la stessa quantità
di iniziali, rime e toni.
La tabella che segue illustra come fonti diverse, seppure teoricamente
descrittive di uno stesso stato di lingua, possano portare a ricostruzioni
fonologiche lievemente diverse:
Quantità delle iniziali e delle rime del MQGH secondo diverse ricostruzioni
Periodo Opera Iniziali Rime Toni Ricostr.
ca.1584 (Ruggieri-Ricci) Dizionario
Cinese-Portoghese 22
55
57 5
Yang (1989)
Coblin (1997)
1586~1612 《韵法横图》 21 58 5 vari
1587 《书文音义便考私编》 21 55 5 vari
1604 (Ricci)《西字奇迹》 21 55 5 Luo (1930)
1606 《等韵图经》 19
22 43 4
vari
Zhao (1936)
1626 (Trigault)《西儒耳目资》 20
21
50
56 5
Luo (1930)
Ye (2001)
1642 《韵略汇通》 20 50 5 vari
1654~64 《五方元音》 20 52 5 vari
ca.168? (Varo) Arte de la Lengua
Mandarina 21 56 5
Coblin
(1998, 2000)
1715~24 《音韵阐微》 21 48 5 vari
42
È possibile notare due tipi di divergenze: la prima consiste nell‟oscillazione del
numero di iniziali e di rime a seconda della fonte, e dimostra che l‟analisi di fonti
differenti può risultare nella ricostruzione di due inventari fonologici diversi per
uno stesso stato di lingua; la seconda, invece, si osserva nelle disuguaglianze di
ricostruzione anche rispetto ad una stessa fonte, logografica o alfabetica che sia.
Nei paragrafi seguenti si indicano dei valori di riferimento per il set delle
consonanti iniziali (o attacchi di sillaba, shēngmǔ 声母), per l‟inventario delle
rime (yùnmǔ 韵母) e per il sistema dei toni (shēngdiào 声调) del Mandarino
Ming-Qing.
2.2.3.1 Consonanti iniziali del Guanhua Ming-Qing
La maggior parte delle ricostruzioni concorda sul numero delle consonanti
iniziali del Mandarino Ming-Qing, stabilendolo pari a 20 (o 21 se si considera
un‟iniziale zero, /Ø/). Il set dei probabili fonemi consonantici iniziali è
sintetizzabile come segue:52
LUOGO
MODO
bilabiali labiodent. alveolari post-
alveol./
retrofl.
velari/(glott.)
occlusive non aspirate /p/ /t/ /k/
aspirate /ph/ /th/ /kh/
nasali /m/ /n/ ([ɲ])53 /ŋ/-/ʔ/54
laterali /l/
affricate non aspirate /ts/ /tʃ/-/tʂ/
aspirate /tsh/ /tʃh/-/tʂh/
fricative sorde /f/ /s/ /ʃ/-/ʂ/ /x/
sonore /v/ /ʒ/-/ʐ/
approssimanti (/ʋ/)55 /Ø/56
52
La tabella seguente si ispira a quella proposta da YE (2000:294), ma alcuni valori fonologici
sono individuati dall‟interpolazione con le ricostruzioni di COBLIN (1997). 53
Il valore nasale retroflesso /ɲ/ è indicato solo da alcuni autori (YANG 1930, ZHAO 1936), e
molto probabilmente è da interpretare come un allofono contestuale di /n/. 54
Per comodità di rappresentazione grafica, si inserisce /ʔ/ come variante di /ŋ/ nella stessa
casella (sulla stessa riga), sebbene non sia un fonema nasale bensì occlusivo.
43
Le oscillazioni più frequenti riguardano i fonemi affricati /tʃ/-/tʂ/, /tʃh/-/tʂh/ e
fricativi /ʃ/-/ʂ/ e /ʒ/-/ʐ/, per i quali è difficile stabilire univocamente il luogo di
articolazione, indicato alternativamente dai diversi studiosi come post-alveolare
o retroflesso; nella presente ricerca, per convenzione, si utilizzeranno come
riferimento i valori post-alveolari (/tʃ/, /tʃh/, /ʃ/, /ʒ/) e non quelli retroflessi. Un
altro fonema oscillante è la nasale velare /ŋ/, alla quale si sostituisce a volte
l‟occlusiva glottale /ʔ/. Infine, il fonema fricativo sonoro /v/, la cui presenza è
ipotizzata dalla maggior parte degli studiosi, è opzionalmente interpretato
come un‟approssimante labiodentale /ʋ/; quest‟ultima oscillazione è forse
leggibile in chiave diacronica, come un mutamento fonetico da /v/ verso /ʋ/.
L‟ipotetico set delle iniziali (attacchi di sillaba) del Guanhua Ming-Qing così
descritto, servirà da riferimento per l‟individuazione dei grafemi iniziali dei
diversi sistemi di romanizzazione presi in esame.
2.2.3.2 Le rime del Guanhua Ming-Qing
La ricostruzione del set di rime del Mandarino Ming-Qing presenta ipotesi
diverse, ma tutto sommato abbastanza omogenee, specialmente per quanto
riguarda il numero di elementi, che si attesta intorno a 50-55; le oscillazioni
sono invece più evidenti sull‟identità fonologica di questi elementi. Operando
una sorta di sintesi tra le varie proposte esistenti e stabilendo dei range di
riferimento, è tuttavia possibile fissare un probabile set delle rime del Guanhua
Ming-Qing come segue:
Set delle rime del Ming-Qing Guanhua (approssimativo)
/a/, /ai/, /an/, /aŋ/, /au/, /aʔ/
/ɔ/, /ɔʔ/, /oʔ/, /oi/
/ɚ/, /ʅ/, /ʅʔ/
/ɛ/, /ɛn/, /ɛŋ/, /ɛu/, /ɛʔ/
/i/, /iʔ/, /ɿ/
/ia/, /iai/, /iaŋ/, /iau/, /iaʔ/, /iɔʔ/
55
La casella contenente il fonema /ʋ/ è stata unita a quella del fonema /v/, in quanto i due
fonemi non si oppongono, ma sono interpretabili in chiave variazione diacronica come allofoni. 56
Il simbolo per l‟iniziale zero /Ø/ è stato posto in questa casella solo per comodità, dato che
non corrisponde a nessun modo né luogo di articolazione
44
/iɛ/, /iɛn/, /iɛu/, /iɛʔ/
/in/, /iŋ/
/ioʔ/, /iuŋ/
/u/, /uʔ/
/ua/, /uai/, /uan/, /uaŋ/, /uaʔ/
/uɔ/, /uɔn/, /uɔʔ/
/uɛi/, /uɛn/, /uɛŋ/, /uɛʔ/
/ui/, /uŋ/
/y/, /yɛ/, /yɛn/, /yɛʔ/, /yn/, /yʔ/
Il sistema delle rime così definito servirà da supporto per l‟individuazione dei tipi
grafici ad esse corrispondenti in ogni sistema di romanizzazione. Ciononostante,
dal momento che la quantità dei tipi grafici delle rime non necessariamente
corrisponde alla quantità delle rime fonologiche (in base al diverso grado di
aderenza alla realtà fonetica della trascrizione presa in esame), nell‟analisi degli
inventari grafici delle rime dei singoli sistemi si eviterà di indicarne i valori
fonologici; si rimanda invece, per un riepilogo delle possibili corrispondenze
grafiche-fonologiche delle rime, alle tabelle in appendice.
2.2.3.3 I Toni del Guanhua Ming-Qing
Più o meno tutte le ricostruzioni concordano sul numero di cinque, pur
rimanendo aperto il dibattito sull‟entità del loro profilo di intonazione.
Tradizionalmente, si distinguono le cinque seguenti categorie tonali:
- Yīnpíng 阴平 (“tono piano yin”; anche qīngpíng 清平 “piano-pulito”)
- Yángpíng 阳平 (“tono piano yang”; anche zhuópíng 浊平 “piano-sporco”)
- Shǎngshēng 上声 (“tono ascendente”)
- Qùshēng 去声 (“tono discendente”)
- Rùshēng 入声 (“tono entrante”)
Si terranno presenti queste cinque categorie per interpretare le marche tonali
eventualmente previste nelle romanizzazioni analizzate.
45
2.3 Scelte redazionali di resa grafica
I. Le pronunce cinesi esterne ai dati raccolti sono rese in Pinyin; ove occorra,
sono complete dei toni e seguite dai rispettivi caratteri cinesi
(es. Guānhuà 官话); negli altri casi, senza toni né caratteri (es. Beijing);
II. I valori fonologici sono espressi tramite l‟alfabeto fonetico internazionale
(IPA), chiusi tra sbarre oblique (es. /p/, /aŋ/);
III. Le pronunce delle varie romanizzazioni analizzate sono rese in corsivo; ove
occorra, complete dei toni e seguite dai caratteri cinesi (es. k’ió 去) in altri
casi, senza toni o caratteri (es. k’io, t’an, Pe kim);
IV. I diacritici sono resi secondo i seguenti criteri:
a. la cediglia ( ʖ ): compare solo a modifica della c, per la quale esiste
già il carattere composto ç
b. lo spirito aspro ( ‘ ): indica l‟aspirazione, è stato reso con
l‟apostrofo, ( „ ) posto subito dopo i grafemi iniziali (es. p’am)
c. I toni ( ‾, , ˋ , , ): in tutti i sistemi che li prevedono, sono sempre
5, resi pressoché sempre con la stesse forme grafiche.
Nell‟unificarne la resa, per le marche circonflesse si sono preferite
forme angolate (es. ô, ǒ, ê) a quelle arrotondate (es. *ȏ, *ŏ, *ȇ),
anche se la differenza non è pertinente. La posizione varia da
sistema a sistema, qui si è scelto di posizionarli sulla vocale tonica
della sillaba (es. ch’uěn)
d. il punto soprascritto ( ˙ ): nei sistemi in cui è previsto compare sulla
vocale interessata, solitamente la tonica del nucleo sillabico (es.
miė). Poiché ogni sillaba prevede una sola vocale tonica, ne deriva
che di questo diacritico è pertinente la presenza/assenza, ma non
la posizione. Pertanto, per semplificare la resa grafica ed evitare
caratteri composti, si è scelto di porre il punto soprascritto alla fine
della sillaba, in alto a destra (es. mie˙ ); (es. miė). (es. mie˙ )
e. il punto sottoscritto ( . ): Idem. È reso in combinazione con la vocale
interessata (es. pie);
f. la dieresi ( ): è stata resa come nelle fonti, cioè sovrascritta al
grafo cui si riferisce (es. ï, ü, ÿ)
46
V. Ricorre spesso nelle sillabe romanizzate la sovrapposizione di due o tre
diacritici (es. chȱ) combinati (sovrascritti) ad una lettera. Nel presente
lavoro si è scelto di non combinare mai i diacritici tra loro, e di renderli
sempre in modo separato (es. ch'ō˙), fatta eccezione per la possibilità di
combinazione con il punto sottoscritto, che non dà problemi di
composizione (es. ch'ō)
47
PARTE II
ANALISI DELLE ROMANIZZAZIONI:
AUTORI E FONTI
48
49
3.0 Michele Ruggieri
Il pugliese Michele Ruggieri nasce a Spinazzola (BA) nel 1543, consegue a
Napoli una laurea in diritto civile e canonico, esercitando per qualche tempo
come giurista nei tribunali napoletani. All‟età di 29 anni entra nel noviziato
gesuita di S. Andrea al Quirinale a Roma per essere ammesso agli studi religiosi.
Espresso il desiderio di partire per le Indie, è selezionato e ritenuto idoneo al
compito, così che nel 1578 è ordinato sacerdote e gli viene concesso di
imbarcarsi a Lisbona per Goa, dove sbarcherà nel settembre dello stesso anno.
Nel 1579, il visitatore della missione gesuita in Asia, l‟abruzzese Alessandro
Valignano (1539-1606) lo chiama a Macao per prepararsi ad entrare nel
Guangdong. Ruggieri arriva a Macao nel luglio 1579, ottenendo l‟anno
successivo il permesso dalle autorità di passare un periodo a Canton
(Guǎngzhōu 广州). Nel 1582, raggiunto a Macao dal confratello maceratese
Matteo Ricci (1653-1610) e dal bolognese Francesco Pasio (1554-1612), rientra
nel Guangdong dove i tre ottengono il permesso dal viceré della provincia di
risiedere a Zhàoqìng 肇庆, una località a nord di Canton, vicino al confine col
Guangxi. Più tardi, nel 1584, probabilmente anche a seguito di diverbi con il
visitatore Valignano, viene sollevato dall‟incarico di superiore della casa di
Zhaoqing ed è inviato nelle province più a nord per tentare di espandere l‟aerea
di evangelizzazione. Fa ritorno nel Guangdong un paio di anni più tardi, e
comincia ad adoperarsi per richiedere alla Santa Sede l‟organizzazione di
un‟ambasciata in Cina. Non trova, in quest‟ultimo periodo, appoggio o stima da
parte dei confratelli e dei superiori; nel 1588 viene rimandato in Europa, con
l‟incarico formale di riferire al Papa la situazione della missione cinese, ma in
realtà recando a sua insaputa anche un rapporto di discredito nei propri
confronti a firma dei confratelli e del Valignano. Una volta giunto a Roma,
ancora intento a cercare risorse per l‟ambasciata in Cina, le sue speranze
vengono annebbiate dalla morte del Papa, evento che non lascia spazio alla
gestione di problematiche marginali da parte della Santa Sede.
Negli anni che seguono svolge una vita ritirata, tra gli impegni religiosi
quotidiani e il tempo dedicato alla continuazione dei lavori iniziati in Cina, tra
cui la traduzione dei classici confuciani e un atlante geografico delle province
cinesi. Muore a Salerno nel 1607, senza mai aver pubblicato alcuna delle sue
50
opere sulla Cina, che restano però conservate in forma manoscritta in vari
archivi del paese.
Fu il primo gesuita a dedicarsi con successo allo studio della lingua cinese,
fungendo da “apripista” per i confratelli che lo seguirono, primo tra tutti il Ricci.
È quindi lecito pensare che durante la sua esperienza di studio nacquero i primi
strumenti di apprendimento ad uso della compagnia, e che a Ruggieri si possa
accordare il brevetto di alcuni di questi.
È innegabile l‟esistenza di documenti riguardanti la Cina scritti precedentemente
all‟arrivo di Ruggieri, ad opera di missionari agostiniani stanziati nelle Filippine
(Manila) che avevano avuto modo di avvicinare e conoscere le comunità cinesi
ivi residenti, nonché compiuto alcuni viaggi sulle coste cinesi sud-orientali,
maturando anche una certa quantità di conoscenze sulla lingua cinese; a
Ruggieri si deve tuttavia concedere il primato sui confratelli della sua
compagnia, che beneficiarono dei suoi sforzi nello studio del cinese e poterono
usufruire del suo metodo e dei materiali da egli accumulati o personalmente
compilati.
3.1 La romanizzazione di Ruggieri
Per quanto riguarda l‟invenzione del primo sistema di romanizzazione, si fa
spesso riferimento a Ruggieri accostandolo al più rinomato confratello Matteo
Ricci; l‟opinione più diffusa è che i due abbiano sviluppato insieme la prima
forma di romanizzazione, essendo stati i primi due gesuiti a stabilirsi
nell‟entroterra cinese. In realtà, come si è notato in precedenza, esistevano
forme di romanizzazione già da qualche anno, usate dai missionari spagnoli
nelle Filippine; non è neanche da escludere che gli abitanti di Macao, la cui
storia contava già qualche decade all‟arrivo di Ruggieri, avessero già sviluppato
dei mezzi di studio della lingua, anche se non abbiamo prove certe per
sostenerlo.
Certo è che prima Ruggieri e poi Ricci dovettero dedicarsi in modo molto
intensivo allo studio del cinese, necessitandone al più presto per iniziare la loro
opera di evangelizzazione; il primo passo fu quindi quello di trovare un modo
per descrivere i suoni della lingua cinese, univoco e intelligibile a entrambi. Lo
51
crearono quindi principalmente sulla base della pronuncia italiana, ed in questo
furono sicuramente i primi, se non consideriamo tutte le romanizzazioni
occasionali di nomi cinesi comparse nella letteratura europea da Il Milione di
Marco Polo in poi.
La romanizzazione italiana di Ruggieri-Ricci fu impiegata nella compilazione di
un dizionario portoghese-cinese (Pu-Han Cidian 葡漢辤典, da ora in poi PHCD)
attribuito ai due gesuiti italiani, che lo redassero nei primi anni della missione
(1580-1588), e che fu probabilmente portato in Europa dallo stesso Ruggieri nel
suo viaggio di ritorno dalla Cina nel 1588. Questo dizionario è stato analizzato
in dettaglio da Paul Yang Fu-Mien,57 che ha dedicato ampio spazio all‟analisi
della romanizzazione.
3.1.1 Grafemi iniziali della romanizzazione di Ruggieri (RES)
Yang (1989, 2001) individua ed elenca le iniziali e le rime del sistema di
romanizzazione del dizionario; per quanto concerne le iniziali, egli nota la
presenza di alcune grafie concorrenti, evidentemente ispirate alla pronuncia di
due distinti alfabeti di riferimento: quello italiano e quello portoghese. In
particolare, Yang evidenzia i seguenti casi:
Ortografia italiana:
c = /tʃ/, /tʃh/ davanti a e ed i; /k/, /kh/ davanti ad a, o ed u
sc = /ʃ/ davanti ad i
z = /ts/, /tsh/
Ortografia portoghese:
ç = /ts/, /tsh/
La compresenza di grafemi italiani e portoghesi è interpretata da Yang come
inerente al sistema di romanizzazione del PHCD, e di conseguenza egli descrive
il sistema di romanizzazione di Ruggieri attribuendogli una certa dose di
incoerenza e instabilità. Il confronto con altri documenti autografi di Ruggieri
57
YANG (1989-2001)
52
nei quali è impiegata ampiamente la romanizzazione può forse chiarire meglio
la natura di queste incongruenze.
A tal fine, si sono prese in considerazione le carte di Ruggieri conservate
all‟Archivio di Stato di Roma, consistenti in circa 40 fogli r-v comprendenti le
carte topografiche e le analisi descrittive di alcune delle province cinesi del
periodo Ming. Questi documenti sono stati studiati da Eugenio Lo Sardo, che li
ha raccolti in una pubblicazione intitolata Atlante della Cina;58 da ora in poi, per
comodità, faremo riferimento a questo insieme di documenti chiamandoli
Atlante.
Nelle carte topografiche delle province, i toponimi sono tutti romanizzati
secondo un sistema che appare molto simile a quello usato nel dizionario;
sebbene nel lavoro di Lo Sardo non compaia un‟analisi della romanizzazione,
l‟indice finale dei toponimi è stato di grande utilità per stilare la lista delle sillabe
di base ed estrapolarne i set delle iniziali e delle rime.
Nella tabella seguente sono comparati i Grafemi iniziali rispettivamente della
romanizzazione usata nel PHCD e in quella dell‟Atlante:
Grafemi iniziali del PHCD e dell‟Atlante di Ruggieri a confronto
PHCD59 ATLANTE60 IPA Attacchi/Nuclei
c
ch
q
c
ch
q
/k/, /kh/
(-a, -o, -u)
(-e, -i)
(-u-)
f f /f/ %
l l /l/ %
m m /m/ %
n n /n/
([ɲ])
%
gn gn (-i)
58
LO SARDO (1994) 59
I dati sulla romanizzazione del dizionario portoghese-cinese di Ruggieri sono estrapolati da
YANG (1989, 2001) 60
I dati sulla romanizzazione usata da Ruggieri nel suo Atlante della Cina sono estrapolati da
fac-simili delle carte originali, disponibili online sul sito dell‟Archivio di Stato di Roma. Il lavoro di
LO SARDO (1994) è stato consultato e vi si sono attinti alcuni dati altrimenti difficili da reperire
sondando le sole carte originali.
53
ng
ngh ng /ŋ/-/ʔ/
(-a, -o, -u)
(-e)
g g ([ʔ]-[ɣ])61 (-uei)
p p /p/, /ph/ %
s (ss) s, ss /s/ %
t t /t/, /th/ %
c (cc) c, cc /tʃ/, /tʃh/ (-e, -i)
c (ç, çc)
z
c
z /ts/, /tsh/
(-e, -i)
(-a, -o, -u)
v/u v/u /v/-/ʋ/ %
sc(i) sc /ʃ/ %
g g /ʒ/ (-e, -i)
h
c
g
sch
h
c
g
sch
/x/
(-a, -e, -o)
(-u)
(-u)
(-i)
Come evidenziato dalla tabella, il confronto mostra che le occorrenze
“portoghesi” presenti nella romanizzazione del PHCD sono invece assenti nel
sistema dell‟Atlante. In particolare, la presenza dell‟iniziale portoghese ç- per /ts/,
/tsh/ nel dizionario, si azzera totalmente nei toponimi dell‟Atlante; nella tabella
seguente si riportano due esempi a dimostrazione:
Carattere PHCD ATLANTE
清 çin schian 清闲 ciam cin ( 長清 distretto
prov. Shandong)
61
Sebbene non compaia nel quadro di riferimento delle consonanti iniziali del Guanhua Ming-
Qing proposta in precedenza, si dà qui conto dell‟ipotesi di YANG (1989, 2001) sul possibile
valore [ɣ] per g-. la scelta è motivate dalla possibilità che la pronuncia descritta da Ruggieri e
Ricci potesse riflettere influenze dialettali.
54
青 çie˜çie˜ mu çin 漸~木青 cin ceu (青州 città, prov.
Shandong)
Il caso concernente le iniziali ç- e c- per /ts/, /tsh/, porterebbe alla conclusioni
che i grafemi iniziali della romanizzazione usata nell‟Atlante hanno un grado di
aderenza alla pronuncia italiana maggiore di quanto non abbiano le consonati
iniziali nel PHCD, le quali mostrano invece un certo grado di interferenza della
pronuncia portoghese.
Non si può però negare che altri casi la situazione sembra invertita, come per il
caso delle due forme ngh- e ng- per /ŋ/; nel PHCD c‟è un‟alternanza delle due
forme, secondo le vocali che seguono: ng- prima di -a, -o, -u, e ngh- prima della
-e. Tale alternanza mostra una coerenza con l‟ortografia italiana, piuttosto che
con quella portoghese. Ipotizzando che la romanizzazione nell‟Atlante sia
ancora più italofona, ci si aspetterebbe che questa distinzione ortografica vi
fosse mantenuta; al contrario, sembra che l‟alternanza ng-/ngh- nell‟Atlante si
neutralizzi nel solo digramma ng-, come nell‟esempio seguente:
Carattere PHCD ATLANTE
恩
nghen cui 恩惠 ngen (恩 distretto prov. Shandong)
Bisogna però considerare il diverso peso di questi due casi ortografici. Nel
secondo caso esaminato, la coppia ng-/ngh- si neutralizza in ng-, cosicché ci si
trova comunque davanti ad un digramma esistente nella lingua italiana, seppur
usato occasionalmente in deroga alle regole ortografiche italiane; diversamente,
nel caso del grafema iniziale ç- si ha a che fare con una lettera estranea
all‟alfabeto italiano, quindi di inconfondibile provenienza straniera. Inoltre,
sillabe tipo /ŋƐ/ o /ŋƐn/, unici casi a porre il problema dell‟alternanza
ortografica, hanno una frequenza bassissima sia nel PHCD che nell‟Atlante; al
contrario, le sillabe con iniziale /ts/, /tsh/ sono abbastanza frequenti, tanto da
rendere l‟alternanza di ç- e c- decisamente significativa.
55
Pertanto, si può affermare che l‟assenza del grafema ç- (e quindi la
corrispondente presenza di c-) nella romanizzazione dell‟Atlante, rende
quest‟ultima più “italiana” rispetto alla romanizzazione del PHCD.
Sia nel caso del PHCD, sia nell‟Atlante, il numero dei grafemi iniziali è maggiore
del set dei 20/21 fonemi iniziali di riferimento; tra l‟altro, non segnalando la
distinzione tra consonanti aspirate e non aspirate, i grafemi iniziali sarebbero
dovuti essere ancora meno (calcolando che il set di fonemi escluse le aspirate
ammonterebbe a 15 elementi). In questo senso sono state pensate le numerose
allografie segnalate nella tabella.
3.1.2 Tipi grafici delle rime della romanizzazione di Ruggieri (RES)
La situazione delle rime non pone le stesse problematiche, poiché le
romanizzazioni di entrambe le opere presentano essenzialmente lo stesso set di
rime, descritto nella tabella seguente:
Tipi grafici delle rime della romanizzazione di Ruggieri
V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC
-a -ai/ay; -am; -an; -au
-e -en; -eu
-i/ij/y
(y-)
-ia/ya;
-ie/ye; -im/ym; -in/yn;
-io/yo; -iu/yu
-iai/iay; -iam; -ian;
-iau/yau;
-ien/yen; -ieu/yeu;
-iuo; -ium/yum;
-iun/yun
-iuon
-o -oi -oan
-u -ua;
-ui/uj; -um; -un; -uo
-uai; -uam; -uan;
-uei/uej;
-uem; -uen;
Si contano circa 40 tipi grafici di rime, le cui combinazioni con i grafemi iniziali
effettivamente realizzate nel sistema sono oltre 400.62 Il numero dei tipi grafici
risulta leggermente inferiore a quello di 50/55 stimato per le rime fonologiche;
62
cfr. COBLIN (1997:294-306) [Appendix]
56
stabilire il perché di questa discrepanza non è fra gli intenti di questa tesi,
poiché occorrerebbe un‟approfondita ricostruzione fonologica per valutare sia
le influenze dialettali, sia il maggiore o minore grado di aderenza della
trascrizione alla realtà fonetica descritta. Ci si limita quindi ad elencare i tipi
grafici reperibili nelle fonti esaminate.
3.1.3 Diacritici della romanizzazione di Ruggieri (RES)
Sia nel dizionario, sia nell‟Atlante compaiono spesso sillabe scritte in forma
abbreviata, nelle quali si sostituiscono le consonanti finali -m o -n con
un‟abbreviatura, resa tramite un apostrofo di elisione (es. 掌 ciam/cia‟; 拳
chiuon/chiuo‟), a volte affiancato o sostituito da una di linea curva sovrascritta
( ʔ ), (es. 年 nien/nie’/nieʔ ). Si è scelto di non indicare queste forme nella tabella
delle rime, poiché non sistematiche ma solo occasionali (anche se frequenti),
riportando solo le forme non abbreviate.
Per quanto riguarda altri diacritici, si ricorda l‟assenza totale di indicazione
dell‟aspirazione per le consonanti iniziali, come pure il mancato segnalamento
dei toni. Difficile stabilire se la mancanza di questi elementi nel sistema di
romanizzazione dipenda da una corrispondente mancata percezione di queste
caratteristiche fonologiche e prosodiche da parte di Ruggieri, oppure se sia da
interpretare come l‟evidenza di una difficoltà nel decidere come segnalare
graficamente le suddette caratteristiche.
D‟altronde, la romanizzazione italiana di Ruggieri è forse la prima attestazione di
un sistema organico e coerente per la trascrizione dei suoni del Mandarino; non
sorprendono, pertanto, le imperfezioni o le mancanze che vi si possono
riscontrare, essendo questo sistema l‟espressione di uno tra i primissimi
strumenti per la glottodidattica del Mandarino.
3.1.4 Osservazioni finali sulla romanizzazione di Ruggieri (RES)
La romanizzazione utilizzata da Michele Ruggieri, sviluppata durante i primi due
o tre anni della sua formazione linguistica, successivamente usata anche da
alcuni dei primi confratelli della missione cinese (Ricci, Pasio, etc.), è uno dei
primi mezzi con cui gli occidentali hanno facilitato lo studio del Mandarino.
Nelle sue attestazioni concrete, rappresentate dall‟uso sistematico di questa
romanizzazione nel dizionario portoghese-cinese (PHCD) e nell‟Atlante, si ritrova
57
il sistema completo, seppur con minime differenze tra le due opere;
estrapolandone gli elementi, è possibile analizzarlo e descriverlo nella sua
totalità, traendone inoltre utili informazioni sulla pronuncia della lingua studiata
e parlata da Ruggieri e i suoi confratelli durante gli anni ‟80 del 1500.
Gli studi effettuati sulle qualità fonologiche della lingua descritta da questa
romanizzazione, corroborati dalle affermazioni degli stessi missionari nelle
lettere e relazioni dell‟epoca, permettono di stabilire con buona
approssimazione che si sta trattando di una romanizzazione del Mandarino
(guanhua 官话) parlato in epoca tardo - Ming, seppur fortemente permeato di
elementi provenienti da altri dialetti, probabilmente da connettersi alla
provenienza geografica e all‟estrazione sociale dei primi insegnanti cinesi di
Ruggieri.
Lo sforzo linguistico di Ruggieri, per quanto frutto del suo personale impegno e
della sua creatività, ha probabilmente beneficiato del sub-strato bilinguistico
che doveva esistere a Macao ormai da molti anni. È noto dalla testimonianza
diretta dei missionari che esisteva un certo numero di interpreti cinesi a Macao,
che plausibilmente possedevano rudimenti di portoghese e forse altre lingue
europee, dei quali si servivano i commercianti occidentali durante le trattative
con i cinesi. Ma non si pensi che i missionari istruiti nella lingua abbandonarono
del tutto l‟ausilio degli interpreti, che continuarono invece ad offrire i loro servizi
ai missionari lungo tutto l‟arco della missione, specialmente nei primi anni:
[…] poiché se bene i Padri parlano & intendono comunemente la lingua, nondimeno i
negotij gravi & nel cospetto di Mandarini grandi, con cui è necessaria lingua più corrente,
si servono d‟Interprete.63
Non è quindi da escludere che, già prima che Ruggieri iniziasse lo studio della
lingua, qualche tipo di materiale linguistico fosse in circolazione tra i missionari
e i convertiti cinesi di Macao, e che possa essere servito da base per
l‟elaborazione dei metodi di studio dei missionari.
L‟osservazione dei successivi sistemi di romanizzazione chiarirà meglio il ruolo
del sistema di Ruggieri nel quadro generale in prospettiva diacronica. Ma il
63
GESUITI (1591:208)
58
valore del suo contributo nella storia dell‟apprendimento e dell‟insegnamento
del cinese è indiscusso, e contribuisce a far emergere la figura di Ruggieri e il
suo originale apporto alla nascita della sinologia, che in passato è stato in parte
adombrato da altre personalità (primo tra tutti il Ricci) apparse di maggiore
carisma e risonanza agli occhi di molti studiosi.
Una pagina del Pu-Han Cidian 普 汉 辞 典
(Dizionario portoghese-cinese, ca. 1684) di
Michele Ruggieri e Matteo Ricci.
La colonna di sinistra riporta i lemmi in
portoghese, la colonna di destra mostra la
traduzione cinese scritta in caratteri, la colonna
centrale ne presenta la pronuncia romanizzata
secondo il sistema italofono di Ruggieri (RES).
Particolare di una delle carte topografiche di Ruggieri conservate all‟ASR. Si notano i toponimi
romanizzati secondo lo stesso sistema di trascrizione (RES).
59
4.0 Ricci e Cattaneo
Concluso il primo decennio della missione gesuita in Cina, con la partenza di
Ruggieri (1588) e soprattutto con Ricci superiore della missione (1597), si
verificò un assestamento della strategia gesuita, sia dal punto di vista
dell‟evangelizzazione, sia da quello dell‟addestramento dei missionari destinati a
lavorare sul suolo cinese. Importanti innovazioni sul piano dello studio della
lingua in generale, e riguardo la romanizzazione in particolare, furono messe in
atto da Ricci e da alcuni altri confratelli; tra questi risalta l‟italiano Lazzaro
Cattaneo (1560-1640) che, con Ricci, fu autore di una riforma del sistema di
romanizzazione, sostituendo il primo standard di Ruggieri/Ricci basato
sull‟ortografia italiana con un nuovo standard basato su quella portoghese.
Questo standard, attraverso l‟uso nei decenni successivi e dopo un lungo
percorso di assestamento, da metà del 1600 in poi si attestò definitivamente
come romanizzazione ufficiale dei gesuiti afferenti al padroado, trovando
accoglienza anche tra i primi orientalisti e proto-sinologi europei e
sopravvivendo, sostanzialmente immutato, fino ai primi decenni del 1800.
4.1 Matteo Ricci
Matteo Ricci nasce a Macerata nel 1552, da un‟importante famiglia della città. Il
padre è un medico speziale, che vorrebbe vedere il figlio laureato in
Giurisprudenza. Per questo lo spedisce a Roma all‟età di 16 anni per studiare
presso lo Studium Urbis, l‟università capitolina che, circa un ventennio dopo la
morte di Ricci, avrebbe cambiato il suo nome in “Sapienza”.
Ma il giovane maceratese ha altri progetti; vuole diventare un religioso, vuole
farsi gesuita come i sacerdoti del collegio di Macerata presso il quale ha
trascorso l‟adolescenza e frequentato il ginnasio. All‟insaputa dei genitori entra
nel noviziato di S. Andrea nel 1571; il padre, avuta la notizia, parte per Roma con
l‟intento di dissuaderlo, ma quasi subito torna sui suoi passi e decide di non
interferire con la scelta di Matteo.
Negli anni successivi, Ricci si forma sia nella religione, sia nelle scienze; in
particolare, studia matematica, astronomia e geografia con il matematico
gesuita tedesco Cristoforo Clavio (1538-1612).
60
Nel 1578 parte per Goa, dove arriva circa sei mesi dopo, a seguito di un viaggio
piuttosto travagliato. Il confratello Michele Ruggieri, già a Macao, nel 1582 lo
chiama nella colonia portoghese per approntare l‟entrata in Cina. All‟arrivo a
Macao, Ricci dedica la maggior parte del suo tempo allo studio della lingua,
facendo certamente tesoro dell‟esperienza di studio di Ruggieri, seppur
modesta. È in questo periodo che, probabilmente, inizia a prendere corpo il
dizionario portoghese-cinese compilato a quattro mani da Ricci e Ruggieri,
come strumento linguistico indispensabile sia per lo studio che per la
sopravvivenza quotidiana.
Nel 1583 i due confratelli riescono a entrare nel Guangdong, dove fondano la
prima residenza presso Zhàoqíng 肇慶. Già in questi primi anni, la figura di
Matteo Ricci comincia a emergere rispetto a quella di Ruggieri e di tutti gli altri
confratelli che si uniranno alla missione per i tre decenni successivi, forse anche
grazie alla sua intraprendenza e alla sua produttività, ma soprattutto per la sua
attitudine al dialogo e allo scambio con la cultura cinese. Nel 1597 è nominato
superiore della missione dal padre provinciale Alessandro Valignano.
Dopo altri anni trascorsi al Sud, Ricci tenta di raggiungere la capitale in più
occasioni, riuscendovi una prima volta nel 1598, senza però ivi stabilirsi. È nel
viaggio di ritorno verso Nanchino che, insieme a Cattaneo e ad un coadiutore
cinese convertito, completa un secondo dizionario, stavolta cinese-europeo.64 Si
stabilisce definitivamente a Pechino solo nel 1601 con altri compagni; qui
dimorerà per oltre nove anni, fino alla morte, avvenuta nel maggio del 1610.65
Il gesuita di Macerata produsse una gran quantità di scritti durante tutto il
periodo della sua missione cinese. La produzione in lingue europee riguarda
soprattutto le lettere, oltre che una lunga relazione sulla missione in Cina
redatta in forma di diario, il cui originale manoscritto fu riedito e pubblicato nel
1617 dal gesuita belga Nicolas Trigault (1577-1628), nel periodo
64
Si trattava di un “Vocabularium ordine alphabetico europeorum more concinnatum et per
accentus suos digestum”, cfr. COUPLET (1686:7); e cfr. TACCHI VENTURI (1911:I:287-289), “[...] i
più vecchi della missione, et avere seco il fratello Bastiano che sapeva molto bene la lingua della
Cina, fecero un bello vocabulario, e messero in regola et ordine le cose di questa lingua; con che
da li avanti il doppio più facilmente si poteva imparare[…]” 65
DEHERGNE (1973:219)
61
immediatamente successivo alla morte di Ricci.66 Quest‟opera, conosciuta col
suo titolo latino De Christiana Expeditione Apud Sinas (da qui in poi DCEAS) o
con quello italiano Entrata nella China de’ Padri della Compagnia di Gesù,67 fu
certamente la maggiore causa della popolarità di Ricci in Europa, rimanendo la
fonte primaria sulla Cina per almeno trent‟anni.68
Gli scritti cinesi di Ricci sono numerosi e di tipologia molto eterogenea; si
ricordano, tra gli altri: il Trattato sull’Amicizia o Jiaoyou Lun 交友论 del 1595; un
trattato di mnemotecnica, lo Xiguo Jifa 西国记法, del 1595; una traduzione in
cinese dell‟Encheiridion 69 di Epitteto con alcune aggiunte di Ricci,70 intitolata
Ershiwu Yan 二十五言 o Le Venticinque Sentenze, del 1599; un mappamondo,
iniziato già nel 1584, ma revisionato più volte fino ad un‟edizione finale nel 1602,
col nome Kunyu Wanguo Quantu 坤舆万国全图; un catechismo, il Tianzhu Shiyi
天主实义, del 1603; la traduzione in cinese dei primi sei libri della geometria di
Euclide, sulla base dell‟edizione fattane da Clavio, col titolo Jihe Yuanben 几何原
本, del 1607. A queste opere maggiori, prodotte sempre con la collaborazione di
letterati cinesi convertiti, si aggiungono altri scritti in cinese di minore rilievo.
Tuttavia, tra questi, è di particolare interesse ai fini della presente ricerca un
libello didattico composto per dimostrare l‟uso della romanizzazione, dal titolo
Xizi Qiji 西字奇迹 (da qui XZQJ) o Il miracolo delle lettere occidentali; l‟opera,
stampata prima nel 1605 e poi nel 1606 con alcune aggiunte, è costituita da tre
66
La definizione della paternità dell‟opera è abbastanza complessa, in quanto si tratta di una
rielaborazione fatta da Trigault di un originale ricciano. Il gesuita Pietro Tacchi Venturi (1861-
1956) scoprì il manoscritto originale presso l‟archivio della Compagnia, e mise in discussione
l‟aderenza dell‟edizione di Trigault all‟originale, operando una personale ricostruzione di quello
che, secondo lui, doveva essere il testo ricciano. Cfr. TACCHI VENTURI (1911) passim 67
Titolo dell‟edizione italiana tradotta da quella latina di Trigault; la traduzione fu curata da
Antonio Sozzini, e pubblicata a Napoli da Lazzaro Scoriggio nel 1622. Bibl. TRIGAULT (1622) 68
Dagli anni ‟40 del 1600 in poi, altre relazioni importanti giunsero al ghiotto pubblico europeo,
come quella del gesuita portoghese Alvaro Semedo (1585-1658), intitolata Imperio de la China i
la cultura evangelica en él, por los religiosos de la Compañia de JESUS, del 1642, cui seguirono le
opere storiche di Martino Martini (1614-1661) e i lavori di molti altri autori, non esclusivamente
gesuiti. 69
Encheiridion (in greco Ἐγχειρίδιον "Manuale"), è un opera di Flavio Arriano (95-175), storico
greco antico, consistente in un manuale degli insegnamenti di Epitteto, il filosofo stoico di cui
Arriano era discepolo. 70
Cfr. STANDAERT (2001:605)
62
brevi storie bibliche tradotte in cinese e completamente annotate con la
pronuncia romanizzata,71 seguite da un trattato di circa undici pagine sulla
lingua e sulla scrittura, anch‟esso in cinese con romanizzazione.72 Come si dirà,
quest‟opera è la fonte più importante per ricostruire il sistema di
romanizzazione usato da Ricci nel secondo periodo del suo soggiorno in Cina.
L‟uso della romanizzazione da parte di Matteo Ricci può essere suddiviso in due
periodi: il primo, lo vede accogliere il sistema di Ruggieri, per poi cercare di
migliorarlo. Il sistema di questo periodo (1582-1598) è spesso indicato come
Ricci Early System (RES), ma più semplicemente possiamo chiamarlo sistema
Ruggieri/Ricci; il secondo, invece, vede Ricci abbandonare il sistema RES, per
idearne uno nuovo insieme a Cattaneo e altri, spesso indicato come Ricci Late
System (da qui in poi RLS) o semplicemente Ricci/Cattaneo.
4.2 Lazzaro Cattaneo
Lazzaro Cattaneo nasce a Sarzana (Genova) nel 1560, da una famiglia altolocata
del paese. All‟età di 21 anni entra nel noviziato di S. Andrea a Roma per studiare
da gesuita. Chiede di partire per le Indie e il permesso gli viene accordato;
continua perciò la sua formazione in Portogallo da dove, nel 1589, parte per
Goa. Nel 1593 arriva a Macao per prepararsi a entrare in Cina e raggiungere
Ruggieri e Ricci; inizia quindi a studiare il cinese e l'anno successivo si unisce ai
confratelli residenti a Shàoguān 韶關 (Guangdong). Nel 1598, Cattaneo
accompagna Ricci nel suo primo viaggio per entrare a Pechino; negli anni a
seguire è attivo a Nanchino, trascorrendo anche alcuni anni tra Macao e
71
Tra i testi sono inserite anche quattro illustrazioni riguardanti gli episodi biblici narrati, tratte
dall‟opera Evangelicae historiae immagine, pubblicata nel 1593 dal gesuita spagnolo Jerónimo
Nadal (1507-1580); la presenza delle immagini in stile europeo fece sì che, nel 1606, lo Xizi Qiji
fosse inserito in una raccolta di pubblicazioni artistiche in 12 volumi intitolata Chéngshì Mòyuán
程氏墨苑 o “Giardino d‟inchiostro della famiglia Cheng”, a cura di Cheng Dayue 程大約, un
intellettuale contemporaneo a Ricci. 72
Con maggiore precisione, la prima edizione del 1605, della quale è conservato un esemplare
anche presso la biblioteca Vaticana (R.G.Oriente.III.231) consisteva solo nelle tre storie bibliche;
nel 1606 Ricci aggiunse il trattato sulla lingua e scrittura e le quattro illustrazioni, regalandone
una copia a Cheng Dayue, che la ripubblicò lo stesso anno.
63
Nanchang. In seguito si sposta definitivamente a Hangzhou, dove passa l‟ultima
parte della sua vita, conclusasi nel 1640.73
È durante il viaggio del 1589, di ritorno verso Nanchino, che Cattaneo
contribuisce ad apportare delle modifiche alla romanizzazione di Ruggieri/Ricci,
aggiungendo i cinque toni e l‟aspirazione. Negli scritti dei confratelli a lui
contemporanei, in particolare in quelli di Trigault, si sottolinea la competenza di
Cattaneo in fatto di musica, nonché la sua sensibilità alle minime variazioni di
suono e pronuncia.
Le fonti dalle quali è possibile ricostruire i due sistemi di romanizzazione usati
da Ruggieri/Ricci (RES) e Ricci/Cattaneo (RLS) sono di periodi e tipologie
differenti; se ne offre una panoramica nei paragrafi seguenti.
4.3 Innovazioni alla romanizzazione Ruggieri/Ricci (RES)
La romanizzazione italofona di Ruggieri, sebbene in seguito sia stata scalzata da
un sistema più evoluto ideato da Ricci e gli altri confratelli, rimase in uso tra i
membri della compagnia anche negli anni successivi al suo ritorno a Roma.
Esistono documenti che mostrano uno stato intermedio tra le due
romanizzazioni, in cui il sistema di Ruggieri è utilizzato in una forma revisionata,
con l‟aggiunta di alcuni elementi che non compaiono nel PHCD o nell‟Atlante; è
il caso, ad esempio, di un manoscritto del Trattato Sull’Amicizia (Jiāoyǒu Lún 交
友论, da qui in poi JYL) considerato autografo di Ricci e databile intorno al
1599.74
Nel testo cinese del manoscritto, ogni carattere è annotato con la sua pronuncia
romanizzata secondo il sistema di Ruggieri; ma in questo caso, seppure non in
modo sistematico, compaiono le marche per l‟aspirazione delle iniziali e i segni
73
GOODRICH & FANG (1976:I:31-33) 74
Si tratta dell‟esemplare conservato alla British Library con segnatura Add.8803; nei ff.6-29 si
trova una copia autografa del testo originale cinese, nella sua prima versione. I ff.7-20
contengono il testo in caratteri cinesi con rispettiva romanizzazione; i ff.20-29 contengono
invece la traduzione in italiano. Da una nota di Ricci sul f. 21, “Il Padre Matteo lo manda al Padre
Geronimo Costa a Roma”, si può supporre che l‟esemplare sia la copia con la traduzione in
italiano che Ricci inviò al gesuita Costa Girolamo il 14 agosto 1599.
64
grafici per i toni, che invece mancavano totalmente nella forma originaria del
sistema Ruggieri (v. supra).
Purtroppo, del manoscritto in questione, è stato possibile analizzare solo la
copia fotostatica di un singolo foglio; tuttavia, da essa è già possibile
estrapolare alcuni dati interessanti. Innanzitutto, i grafemi iniziali appaiono simili
a quelli del sistema usato da Ruggieri nel PHCD, ma tra essi compaiono alcuni
elementi nuovi:
Confronto tra grafemi iniziali del PHCD e del JYL
Ruggieri
PHCD75
Ricci
JYL76
IPA Attacchi/Nuclei
c
ch
q
c, c‟
ch
---
/k/, /kh/
(-a, -o, -u)
(-e, -i)
(-u-)
c, cc c, c‟ /tʃ/, /tʃh/ (-e, -i)
c,
ç,
çc
z
c
(ç), ç‟
---
z
/ts/, /tsh/
(-e, -i)
(-a, -o, -u)
f f /f/ %
l l /l/ %
m m /m/ %
n n /n/ %
gn --- ([ɲ]) (-i)
ng
ngh
ng
ngh (-i-) /ŋ/-/ʔ/
(-a, -o, -u)
(-e)
g --- ([ɣ])77 (-u-)
75
I dati fonologici del dizionario portoghese-cinese di Ruggieri sono estrapolati da Yang (1983,
2001) 76
Data l‟entità del documento e la ridotta quantità di dati che se ne può trarre, non è stato
possibile ricostruire interamente il sistema di iniziali. Pertanto, le caselle della tabella
contrassegnate con tre trattini --- generalmente indicano la mancanza di un certo grafema nel
sistema, ma in questo caso si interpretino come il segno che nel foglio esaminato non si
riscontra l‟occorrenza di quel grafema.
65
Ruggieri
PHCD75
Ricci
JYL76
IPA Attacchi/Nuclei
p p /p/, /ph/ %
s (ss) s /s/ %
t t, th /t/, /th/ %
v/u --- /v/-/ʋ/ %
h
c
g
sch
h
---
---
---
/x/
(-a, -e, -o)
(-u)
(-u)
(-i-)
sc(i) --- /ʃ/ %
g g /ʒ/ (-e, -i)
Sostanzialmente, la novità rispetto al sistema RES di Ruggieri risiede
nell‟aggiunta di marche per l‟aspirazione, indicata attraverso lo spirito greco
aspro ( ‘ ) soprascritto alla sillaba, oppure tramite una h inserita dopo l‟iniziale,
generando così coppie di grafemi opposti quali ç/ç’, c/c’, t/th. Si elencano di
seguito le sillabe recanti una marca per l‟aspirazione dell‟iniziale:
thai
太
ç’u78
自
thien
天
c’iun
春
Un‟analisi completa dell‟intero manoscritto potrebbe certo consentire una
descrizione più esaustiva del suddetto sistema di opposizioni.
Riguardo ai segni grafici dei toni, i dati disponibili sono forse più che sufficienti
a dimostrarne la presenza nel sistema, giacché nella pagina del manoscritto del
JYL preso in esame si riconoscono almeno cinque segni differenti, in apparente
77
Sebbene non compaia nel quadro di riferimento delle consonanti iniziali del Guanhua Ming-
Qing proposta in precedenza, si dà qui conto dell‟ipotesi di YANG (1989, 2001) sul possibile
valore [ɣ] per g-; la scelta è motivate dalla possibilità che la pronuncia descritta da Ruggieri e
Ricci potesse riflettere influenze dialettali. 78
La segnalazione dell‟aspirazione per quest‟iniziale è probabilmente un errore, in quanto
l‟iniziale di zì 自 non doveva essere aspirata; tuttavia essa conferma l‟utilizzo di una marca
diacritica per l‟aspirazione.
66
accordo con il presunto tono del carattere a cui si riferiscono. Si elencano di
seguito le sillabe del foglio recanti una marca tonale:
c’iûn
春
chién
建
chīn
金
iê
亦
iě
易
ièu
友
gě
入
līn
陵
mîn
明
scî
時
tǎ
荅
da cui si estrapolano i segni grafici ˉ, ˆ, ´, `, ˘, in numero di cinque. Su 57 caratteri
romanizzati, nel foglio esaminato, solo 11 sillabe hanno la marca tonale, ma
l‟utilizzo appare cosciente e funzionale, anche se forse ancora in una fase di
sperimentazione.
Purtroppo, l‟esigua quantità di dati estrapolabile dal documento non permette
un analisi dei tipi grafici per le rime, che tuttavia sembrano non aver subito
modifiche sostanziali.
La romanizzazione appena vista, una sorta di upgrade del sistema di Ruggieri,
deve aver servito bene il suo scopo se, nel 1599, il Ricci la utilizzava ancora. Ricci
e i confratelli tentarono in un primo momento di usare la romanizzazione
italofona di Ruggieri come base per un sistema standard, che rendesse conto di
tutte le caratteristiche della pronuncia del Mandarino; le mancanze potevano
essere colmate e i difetti risolti, processo di revisione che probabilmente stava
avvenendo negli ultimi del XVI secolo.
In seguito, qualcosa convinse Ricci ad apportare cambiamenti maggiori, tanto
da ridisegnare un sistema di romanizzazione nuovo, spostando l‟ortografia di
riferimento dall‟italiano al portoghese.
È da notare, tuttavia, che nel DCEAS di Trigault gran parte delle romanizzazioni
sembrano aderire al sistema RES, anche se affiancate a quelle trascritte secondo
RLS, probabilmente perché il diario ricciano sul quale Trigault basò la sua opera
fu iniziato nel periodo in cui la romanizzazione usata da Ricci era ancora quella a
base italiana ideata da Ruggieri (RES).
67
Una pagina del manoscritto autografo del
Trattato sull’Amicizia di Ricci
(Jiaoyou Lun 交友论, circa 1599).
Accanto al testo in caratteri cinesi, si noti la
corrispondente romanizzazione, coerente col
sistema RES modificato da Ricci, con
l‟aggiunta di aspirazioni e toni.
4.4 La romanizzazione di Ricci/Cattaneo (RLS)
I gesuiti inviati in Cina nei primi anni della missione furono quasi tutti italiani o
portoghesi,79 ed è ragionevole pensare che la lingua più usata tra confratelli
fosse il portoghese, sebbene l‟ambiente fosse plausibilmente caratterizzato da
un multilinguismo di fatto. Probabilmente è questo il motivo che spinse i gesuiti
presenti in Cina alla fine del „500 a cambiare il modo di annotare i suoni della
lingua cinese, abbandonando la pronuncia italiana delle lettere latine e
sostituendola con l‟ortografia lusitana.
I fautori principali di questo accomodamento della romanizzazione furono
appunto Ricci e Cattaneo. Il primo, grazie all‟esperienza linguistica già
accumulata e forse anche alla consapevolezza degli equilibri politici che
interessavano la missione, fu probabilmente il promotore del passaggio ad uno
standard d‟ispirazione portoghese; il secondo, abile musicista, fu invece
l‟ideatore degli elementi grafici per marcare le differenze di suono più sottili,
quali le aspirazioni e i toni; queste innovazioni dovettero migliorare
grandemente l‟agevolezza nello studio della lingua cinese.
79
Cfr. DEHERGNE (1973:324 ss.), [Chronologie…]
68
Trigault riporta il racconto di Ricci, secondo il quale egli compilò un dizionario
con Cattaneo e col fratello Bastiano80 durante il viaggio di ritorno da Pechino a
Nanchino, un “Bello Vocabulario”:
[…]con l‟aiuto del fratello Bastiano molto perito della lingua China, e regolarono altre cose;
acciò per l‟avvenire con più facilità i nostri imparassero la lingua del paese. […]erano stati
trovati da loro alcuni accenti, & aspirazioni[…]ordinarono per regole cinque note, ò
virgolette, con le quali i nostri sapessero, che con quanti accenti ogni lor voce fosse
alterata, altrettanta fosse la varietà delle parole. A questo giovò assai il P. Cattani, perché
era intendente di musica[…] Hoggi anco si osservano le regole che scrissero questi due
compagni. 81
Riguardo l‟affermazione di Trigault, scritta intorno al 1614, del fatto che le
“regole” ideate da Ricci e Cattaneo fossero rispettate anche ai suoi giorni, è
difficile dire se egli si riferisca solamente al sistema di notazione dei toni e delle
aspirazioni, oppure al sistema di romanizzazione nella sua totalità.
Secondo quanto osservato nei paragrafi precedenti, si può notare che nel 1599,
un anno dopo il completamento del dizionario con Cattaneo, Matteo Ricci
utilizzava ancora la romanizzazione italofona di Ruggieri, parzialmente integrata
con i toni e le marche per l‟aspirazione. Se la datazione del manoscritto del JYL è
corretta, allora non potremmo escludere l‟ipotesi che anche il vocabolario
compilato da Cattaneo e Ricci sulla nave per Nanchino possa aver adottato
questo stesso sistema di romanizzazione, cioè il sistema di Ruggieri/Ricci
stabilizzato e migliorato tramite l‟aggiunta dei toni e delle aspirazioni.
Sfortunatamente, fino ad oggi, nessuno ha mai trovato un manoscritto
riconoscibile come un esemplare del “Bello Vocabulario”, perciò al momento è
impossibile chiarirne con certezza le caratteristiche.
80
Si trattava di un cinese di Macao, Zhong Mingren 鈡銘仁, battezzato col nome di Sebastianus
(secondo nome Fernandez), pertanto spesso ricordato come Zhong Baxiang 鈡 巴 相
(Baxiang=Sebastiano), nome che compare ancora sulla sua lapide a Hangzhou. Parlava
portoghese e fu inizialmente l‟interprete di Ricci; successivamente, nel 1591, fu il primo cinese
ad entrare nella Compagnia di Gesù, insieme ad un altro convertito, Huang Mingsha 黃明沙. 81
TRIGAULT (1622:279)
69
4.5 La Romanizzazione nello Xizi Qiji (RLS)
Certo è che, ad un certo punto, un nuovo sistema di romanizzazione prende vita
davvero, avvenimento innegabilmente testimoniato dallo XZQJ di Ricci, del 1606.
La romanizzazione usata in quest‟opera differisce sensibilmente da quella di
Ruggieri, sia nel sistema dei grafemi iniziali, sia in alcune particolarità del
sistema di rime nonché, ovviamente, nella presenza e nell‟uso sistematico dei
toni e dell‟aspirazione.
La qualità della fonte è buona, poiché la tecnica di stampa xilografica ha
verosimilmente permesso di riprodurre gli elementi grafici della romanizzazione
in modo più fedele all‟originale manoscritto, del quale d‟altronde non si conosce
alcun esemplare. Tuttavia, la mole ridotta dell‟opera, che ammonta ad una
trentina di pagine, riduce il numero dei dati che è possibile estrapolare. Da un
totale di circa 390 caratteri cinesi romanizzati, si ottengono circa 280 sillabe
grafiche diverse (senza contare le differenze di tono).
4.5.1 Grafemi iniziali di XZQJ (RLS)
Sebbene il numero delle sillabe di base non sia molto alto, da esse è comunque
desumibile il sistema completo dei grafemi iniziali, come descritto nella tabella
seguente:
Grafemi iniziali dello XZQJ
XZQJ IPA Attacchi/Nuclei
c, c‟
k, k‟
q, q‟
/k/, /kh/
(-a, -o, -u)
(-i/y, -e)
(-u-)
c, c‟ /ts/, /tsh/
(-e, -i/y)
ç, ç‟ (-a, -e, -o, -u, -y)
ch, ch' /tʃ/, /tʃh/
f /f/
g /ʒ/
(-e, -i)
j (-o, -u)
h /x/
l /l/ %
70
m /m/ %
n /n/ %
nh ([ɲ]) (-a, -i)
ng
g /ŋ/-/ʔ/
(-a, -o)
(-a, -u)
p, p‟ /p/, /ph/ %
s /s/ %
t, t‟ /t/, /th/ %
v /v/-/ʋ/
x /ʃ/ %
È evidente la matrice ortografica portoghese, in grafemi quali ç /ts/ e x /ʃ/, o
digrammi quali ch /tʃ/ e nh /ɲ/, estranei invece all‟ortografia italiana di Ruggieri.
In generale, si contano 26 grafemi, in numero decisamente superiore ai 20/21
fonemi iniziali di riferimento; perciò si notano alcune probabili allografie, come
c-, k-, q- per /k/, oppure g-, j- per /ʒ/; ma anche alcune omografie per fonemi
diversi, come /k/ e /ts/ che hanno una resa comune in c-, oppure /ʒ/ e /ŋ/-/ʔ/
che condividono un grafo g-.
4.5.2 Tipi grafici delle rime di XZQJ (RLS)
Per quanto riguarda le rime, invece, la raccolta dei dati presenta qualche
problema in più, in quanto la resa grafica della xilografia in alcuni casi appare
ambigua o difficilmente interpretabile; ad esempio, si riscontrano singole o rare
occorrenze di dittonghi grafici, come æ ed œ, o di grafemi “esotici” quali ω, non
sempre riconducibili ad altre forme. Considerando i dittonghi grafici come
equivalenti alle rispettive forme digrafiche (es. æ =ae) e considerando non
pertinenti i rarissimi grafi tipo ω, il set delle rime dello XZQJ è composto da
almeno 49 tipi grafici diversi (non contando separatamente le forme allografe),
come illustrato dalla tabella seguente:
Tipi grafici delle rime dello XZQJ
V Vv, vV, VC vVv, vVC vVvC
-a -ae, -ai/ay, -am, -an, -ao
-e -em, -en, -eu -eam, -eao
71
-i /y
(ii, y˙, ÿ, yi)
-ia/ya,
-ie/ye, -ie˙/ye˙,
-im/ym, -in/yn,
-io/yo, -iu/yu (iuu)
-iai, -iam, -iao,
-ien/yen, -ieu/yeu,
-iue/yue, -yum, -iun
-iuen/yuen
-o (oo),
-o˙
-oa, -oe, -om -oam, -oei, -oem
-u,
-u˙
-ui, -um, -un, -uo -uam, -uan,
-uei, -uen,
-uoe, -uon
lh
Si nota la presenza di alcune rese grafiche alternative, segnalate in due modi:
nel caso si tratti di allografie ricorrenti o complementari, sono segnalate da una
sbarra obliqua (es. -ai/ay); se invece si tratta di allografie libere con bassa
occorrenza, sono incluse tra parentesi (es. -o (-oo)).
Al confronto col sistema di Ruggieri, il set delle rime nello XZQJ presenta alcuni
tipi grafici in più, che non sempre sono riconducibili a tipi fonologici diversi. Ad
esempio, le rime -eam/-iam e -eao/-iao possono essere considerate forme
allografe, occorrenti a seguito di iniziali diverse; in questo caso, -eam ed -eao
occorrono solo dopo l‟iniziale l- /l/, il cui modo di articolazione probabilmente
può condizionare la percezione della semivocale del dittongo, dando
l‟impressione di un grado di arretratezza maggiore. In questo caso si è di fronte
ad una trascrizione più stretta, più fonetica che fonologica. Al contrario, alcune
rime del sistema Ricci/Cattaneo che non apparivano nel sistema Ruggieri, come
-em, vanno a segnalare opposizioni fonologiche pertinenti; in questo caso la
rima -em /eŋ/ compare in contrasto a -en /en/, a segnalare contestualmente
l‟opposizione tra due diversi fonemi finali /ŋ/ e /n/, della quale non si rendeva
conto nella romanizzazione di Ruggieri.
Appare, in questo sistema, la sillaba lh,82 con probabile valore /ɚ/, con un
comportamento differente dalle altre rime, in quanto non entra in combinazione
con alcuna consonante iniziale. 83 L‟indicazione separata di questa sillaba
82
Ad indicare la pronuncia di caratteri quali èr 二, ér 而. 83
Nel sistema di Ruggieri, caratteri quali èr 二, ér 而 erano invece romanizzati con la forma i, che
compariva anche come rima in altre sillabe, preceduta da varie iniziali.
72
“speciale” diviene, dalla romanizzazione di Ricci/Cattaneo in poi, una costante di
tutti i sistemi successivi, seppure con diverse forme grafiche.
4.5.3 Diacritici di XZQJ (RLS)
Si osserva innanzitutto la presenza sistematica della marca dell‟aspirazione,
rappresentata nella resa grafica della stampa originale dallo stesso spirito greco
aspro ( ‘ ) riscontrato nel manoscritto del JYL (v. supra), somigliante ad un
gancetto (simile ad una piccola “c”) soprascritto alla sillaba ( c ) in posizione
variabile; il diacritico per l‟aspirazione è qui semplificato con un apostrofo ( ‟ )
posto subito dopo la consonante iniziale.
I segni grafici per i toni, finalmente presenti sistematicamente su ogni sillaba,
sono cinque: ˉ, ˆ, ´, `, ˇ, esattamente come nel JYL. La posizione è variabile, ma
mai in corrispondenza dell‟iniziale, sono quindi sempre sovrascritti alla rima.
Appare invece qui per la prima volta il punto soprascritto ( ˙ ), diacritico che,
come si vedrà, indica una qualche variazione delle vocali del nucleo sillabico. Il
punto soprascritto è posto sopra alla grafema vocalico interessato, che in XZQJ
può essere -e, -o, oppure -u-.
Si notano inoltre alcune grafie mal interpretabili, delle quali è difficile dire se
vadano scorporate i grafi e diacritici, o se siano un tutt‟uno grafico (es. e , y, ÿ);
ad un primo esame non sembrano pertinenti né dal punto di vista fonologico,
né ortografico.
4.6 La romanizzazione RLS come standard
Come si è detto, la decisione di creare e fissare uno standard di romanizzazione
fu una scelta consapevole del superiore della missione, Matteo Ricci, dalle cui
parole sappiamo quanto tenesse ad imporre l‟uso del nuovo sistema a tutti i
confratelli, per facilitare lo studio e impedire la confusione.84
La testimonianza di Trigault del 1614, riguardo a come lo standard RLS fosse
rispettato da tutti i gesuiti in Cina, trova rare ma importanti conferme in alcuni
documenti di quegli anni. Ad esempio, la prima attestazione d‟uso del sistema
84
D‟ELIA (1939:n.526)
73
RLS dopo lo XZQJ, compare in una lettera annua scritta da Trigault nel 1612,
dove il gesuita belga usa qualche decina di parole romanizzate, complete di toni
e aspirazioni. Nel capitolo seguente, dedicato all‟uso della romanizzazione da
parte di Trigault, sono riportati numerosi esempi di parole e frasi da egli
romanizzate secondo il sistema RLS.
Anche più tardi, negli anni venti, si trovano attestazioni dell‟uso di questa
romanizzazione da parte di altri missionari; un esempio è dato dalla lettera
annua scritta nel 1623 da Alvaro Semedo,85 nella quale compaiono molte parole
cinesi in romanizzazione RLS, sebbene senza toni né aspirazioni.
Il sistema RLS di Ricci/Cattaneo fu la base per l‟affermazione di uno standard
basato sull‟ortografia portoghese caratteristico dei gesuiti inquadrati nel sistema
del padroado. La sua funzionalità, dimostrata dal largo uso che se ne fece e al
contempo dalle minime modifiche che subì, fu però messa in discussione
all‟interno della Compagnia almeno in due casi: il primo, ad opera proprio di
Trigault, primo elogiatore del sistema, che nel 1626 pubblicò una voluminosa
opera sulla pronuncia del Mandarino, in cui proponeva e illustrava un sistema di
romanizzazione basato su RLS, ma sensibilmente modificato e facilmente
distinguibile da esso. Questo suo tentativo di stabilire un nuovo standard,
tuttavia, non ebbe successo, come sarà illustrato nel capitolo dedicatogli; il
secondo tentativo, ad opera dei gesuiti francesi arrivati in Cina alla fine del 1600,
consistette nella creazione di una romanizzazione basata sull‟ortografia francese.
In questo caso, il successo del nuovo standard si concretizzò negli ambienti
francofoni con l‟abbandono di RLS, sostituito totalmente dalla romanizzazione
francese. Anche di questo sistema si darà conto nei capitoli seguenti.
Si tenga comunque presente che alcuni elementi di RLS, in particolare il sistema
di notazione dei toni, furono adottati trasversalmente da tutti i sistemi successivi,
pressoché senza modifiche.
Nei prossimi capitoli si traccerà l‟evoluzione del sistema ideato da Ricci e
Cattaneo, delle sue successive modificazioni, rendendo conto dei personaggi
che hanno contribuito alla sua sopravvivenza e propagazione e cercando, infine,
di definire la sua collocazione nella storia della romanizzazione del cinese.
85
SEMEDO (1627)
74
Due pagine dello Xizi Qiji (西字奇迹, ca. 1604). Ogni carattere cinese reca sulla destra la
corrispondente romanizzazione. Il sistema utilizzato è quello di Ricci-Cattaneo (RLS),
progenitore del filone portoghese-gesuita.
75
5.0 Nicolas Trigault
Nicolas Trigault nasce nel 1577 a Douai,86 da un facoltoso agricoltore e una
aristocratica della città. Si diploma al collegio gesuita di Anchin, dove consegue
il baccelorato in Arte, che determina la sua prima formazione in materie quali
grammatica, dialettica, retorica, aritmetica geometria, fisica e musica. A 17 anni
entra nella Compagnia di Gesù, poco dopo comincia ad insegnare retorica
all'università di Lille. Nel frattempo intraprende lo studio di numerose lingue
europee. Dopo aver manifestato il desiderio di partire per le Indie, gli viene
accordato il permesso nel 1607. Subito parte da Lisbona per Goa, da dove poi
arriva a Macao e quasi immediatamente entra nel continente. Si ferma prima a
Nanchino, poi a Hangzhou per un periodo complessivo di due anni, dopodiché
viene incaricato di tornare in Europa come procuratore per la missione.
In questo compito ottiene successi notevoli, anche grazie alla pubblicazione del
DCEAS,87 dove racconta la storia della fondazione della missione gesuita e dà
conto di molti dettagli sui costumi della Cina. I frutti più importanti della sua
opera di procuratore furono l'ottenimento dell'indipendenza amministrativa
della missione cinese da quella giapponese, nonché il supporto economico di
alcuni mecenati e benefattori.
Torna in Cina nel 1620, portando con sé nuovi missionari, un gran numero di
libri occidentali, ricchi e curiosi doni per l‟imperatore e per i mandarini, nonché
oggetti di culto di vario genere per i fedeli. In particolare, questo primo fondo
librario portato in Cina da Trigault costituì una sorta di pietra miliare per le
biblioteche dei gesuiti in Cina.
È costretto nel 1621 a rifugiarsi a Hangzhou con altri missionari, a causa della
persecuzione anti-cristiana ad opera del funzionario Shěn Què 沈榷; è in questo
periodo che scrive la lettera annua del 1621, dedicando diverse decine di pagine
alla descrizione delle prime battaglie tra mancesi e cinesi nel nord del Paese.
Più tardi gli viene affidato il compito di iniziare l'evangelizzazione delle regioni
settentrionali, in particolare si ferma alcuni mesi a Kaifeng e Xi'an; qui, nel 1625,
86
Douai si trova oggi in Francia, in precedenza apparteneva al Belgio, mentre al tempo di
Trigault si trovava nella regione delle Fiandre 87
Trigault (1615a)
76
scopre una stele cristiana incisa dai monaci e sacerdoti siriani arrivati in Cina nel
VII secolo.
Nel 1626 pubblica, con la collaborazione del funzionario convertito Wang Zheng
王徵,88 la sua opera più rappresentativa, lo Xiru Ermu Zi (西儒耳目资, da ora in
poi XREMZ), un manuale per lo studio della pronuncia dei caratteri cinesi, il cui
titolo è traducibile come Aiuto dei letterati d'occidente agli occhi e le orecchie.89
Nel 1627 partecipa insieme a tutti i suoi confratelli alla conferenza di Jiādìng 嘉
定, indetta dal vice padre provinciale Nicolò Longobardi per discutere delle
politiche di evangelizzazione da adottare in Cina.90 Nella suddetta conferenza, la
valutazione dei riti cinesi e il dibattito sulle traduzioni in cinese della
terminologia religiosa ricoprirono un posto predominante. Trigault fu uno dei
più strenui sostenitori della politica di accomodamento improntata dal Ricci,
mostrando un'attitudine marcatamente eterodossa. Nelle lettere e relazioni
successive al 1627, più di un gesuita rimarca che Trigault fu profondamente
colpito dalle problematiche insorte, fino a impegnarsi ossessivamente per
trovare delle soluzioni sia sul piano teorico che pratico.
Nel 1628 il gesuita belga fu trovato senza vita nella dimora di Hangzhou, fatto
che venne riportato dai confratelli con una certa reticenza e omissione di
particolari; alcuni indizi presenti in fonti primarie a lui contemporanee hanno
perciò suscitato in tempi recenti il sospetto che il gesuita si sia in realtà tolto la
vita.91
5.1 Trigault e la romanizzazione di Ricci/Cattaneo (RLS)
Il caso di Trigault è singolare; se si guardano le sue prime produzioni scritte
appena dopo il primo periodo passato in Cina, si nota che il primo sistema di
88
Wang Zheng, (1521-1644), o Filippo Wang; amico e collaboratore di Trigault e Terrenz
Schreck. 89
La traduzione più diffusa è, in realtà, Un aiuto agli occhi e alle orecchie dei letterati d’occidente,
ma nel corso del capitolo si spiegherà il perché di questa traduzione alternativa. BROCKEY
(2007:261) e BRANNER (2006:322) propongono una simile interpretazione. 90
Cfr. BROCKEY (2007:87 ss.) 91
BROCKEY (2002), sulla base del ms. della lettera di Andrea Palmeiro al Generale Muzio
Vitelleschi, Macao, 20 Dicembre 1629, ARSI Jap-Sin (cfr. BROCKEY, 2002:2)
77
romanizzazione con cui familiarizzò era probabilmente una forma ormai
abbastanza rodata del sistema stabilito dal Ricci e dai suoi confratelli (Cattaneo,
etc.), ossia ciò che oggi indichiamo con Ricci Late System (RLS). Le principali
fonti da cui si evince questo dato sono le due litterae annorum del 1610 e
1611,92 nonché l'opera che lo rese celebre in Europa, il DCEAS. In questi testi,
l'autore utilizza un certo numero di parole o frasi cinesi romanizzate (come nomi
propri, toponimi, appellativi sociali, proverbi, etc.).
Nella lettera del 1610, ad esempio, occorrono alcune sillabe in trascrizione,
come Hô Xám 和尚 o Nân-Cham 南昌, ma in numero estremamente limitato e
apparentemente influenzate da una cattiva resa tipografica. La comparsa di
alcuni diacritici, come i toni degli esempi appena riportati, in questo testo
avviene in maniera discontinua e in misura minima.93
Tuttavia, se nella lettera del 1610 non troviamo una descrizione accurata dei toni,
e le poche sillabe romanizzate non offrono dati sufficienti, basta leggere la
lettera dell'anno successivo, per imbatterci in un maggior numero di sillabe
romanizzate, alcune delle quali sono riportate di seguito:94
Romanizzazione Caratteri Romanizzazione Caratteri
Xí 是 Hûm vù 洪武
Liě˙ fǎ 历法 Hán lîn yuén 翰林院
Tí cám 地藏 Xām 商
Yaô 尧 Hiá 夏
Hî 羲 Foē 佛
Xí hoâm 始皇 Yâm 楊
Vû tí 武帝 T 'iēn xám t'iēn t'âm 天上天堂
T 'iēn vên 天文 tí xám sù hâm 地上苏杭
92
TRIGAULT (1615b) 93
Cfr. TRIGAULT (1615b:3-69) 94
Estratte da TRIGAULT (1615b:71-227) passim
78
Si nota la presenza dei diacritici per i 5 toni: ˉ, ˆ, `, , ˇ e dell'aspirazione,
rappresentata graficamente da uno spirito greco aspro ( ‘ ), reso qui con
l‟apostrofo ( ' ) posto dopo la consonante iniziale. Interessante anche la
presenza del puntino soprascritto ( ˙ ), che compare in tutti i sistemi da RLS in
poi, per indicare una variazione di apertura della vocale a cui è sovrapposto.
Al suo ritorno in Cina nel 1621, concluso il viaggio come procuratore in Europa,
Trigault scrive nuovamente una lettera annua, come compendio dei fatti
avvenuti in Cina e presso la missione durante l'anno precedente.95 In questa
lettera, dove compaiono romanizzati principalmente i toponimi, il missionario
utilizza ancora una trascrizione aderente allo standard ricciano, pur tuttavia non
comparendovi né toni né altri segni diacritici.
Se si confrontano le pur poche sillabe romanizzate in questi scritti con le tracce
che abbiamo di RLS e con il sistema proposto più tardi da Trigault, questa
trascrizione sembra collocarsi a metà tra i due sistemi, ma più spostata verso
RLS.
D'altronde va ricordato che Ricci e gli altri artefici del tentativo di
romanizzazione, imposero a tutti i confratelli di utilizzare quel sistema e non altri,
in modo da non generare ambiguità. Ciò significa che, verosimilmente, doveva
esistere un quadro di riferimento, un'opera o un prontuario, prodotto da Ricci e
dai suoi, che permettesse ai missionari impegnati nello studio del cinese di
imparare in modo sistematico la trascrizione corretta; essi, infatti, non potevano
certo limitarsi ad apprendere la romanizzazione casualmente, scorrendo testi
cinesi romanizzati ed estrapolando le sillabe una ad una. Deve essere invece
esistita una qualche forma più ordinata di questo sistema grafico, come un
dizionario o un rimario.
Dalle fonti Ricciane non emerge l'esistenza di un rimario vero e proprio, simile a
ciò che fu poco dopo lo XREMZ; al contrario, è ben noto il riferimento del Ricci
ad un “bello vocabulario”, di cui ancora non si è individuato un esemplare certo,
ma che probabilmente rappresentava proprio lo standard di riferimento a cui
accennavamo.
Per poter affermare l'esistenza di un vero e proprio standard ed eventualmente
tracciare un profilo completo del set sillabico utilizzato, oltre all'opera di Trigault
95
TRIGAULT (1625)
79
è necessario analizzare gli scritti prodotti dagli altri missionari gesuiti presenti in
Cina nei primi decenni del 1600; ad esempio, si trovano tracce di romanizzazioni
accostabili a quella del Ricci (XZQJ, i.e. RLS) e del Trigault pre-XREMZ anche
nelle lettere e nelle relazioni di padri come Aleni, Semedo, Sambiasi, De Ursis,
Furtado, Diaz, Palmeiro e altri confratelli attivi nello stesso periodo, ma le parole
romanizzate non appaiono mai in quantità tali da permettere una descrizione
completa della romanizzazione usata.
Ciò che però è sicuramente degno di nota, è che le occorrenze di sillabe
romanizzate nelle lettere scritte da Trigault nel 1610-11, sono tra le prime
attestazioni stampate in Europa dello standard di trascrizione ricciano, la cui
unica traccia originale rimasta è rappresentata dallo XZQJ.
Solo nel 1626, anno in cui pubblica lo XREMZ, Trigault propone un sistema di
romanizzazione leggermente modificato, il cui destino sarà però quello di non
assurgere mai al grado di standard corrente, rimanendo sostanzialmente
inutilizzato dai fratelli della compagnia; si vedrà, tuttavia, come delle eco della
romanizzazione di Trigault riaffioreranno inaspettatamente nell'opera di
missionari di altri ordini.96
Se fino ai tardi anni „20 de XVII secolo era davvero in uso uno standard ricciano,
e se davvero esistevano degli strumenti di riferimento come ad esempio
l'introvabile “bello vocabulario” di Ricci e Cattaneo, che necessità aveva Trigault
di provare a stabilire un nuovo standard, fornendo inoltre un nuovo quadro di
riferimento estremamente dettagliato e articolato? A quali esigenze rispondeva
questo suo lavoro straordinario?
5.2 La romanizzazione dello Xiru Ermu Zi (XREMZ)
Il sistema di trascrizione di Trigault come presentato nello XREMZ è descritto
nell‟opera in modo coerente e articolato, in tutti i suoi elementi. Essendo
l‟intento specifico dell‟opera, quello di illustrare le caratteristiche formali e
funzionali della romanizzazione, risulta molto semplice individuarne i grafemi
iniziali, i tipi grafici delle rime e i diacritici. Inoltre, di tutte le fonti esaminate in
96
V. infra, sul dizionario del domenicano Francisco Diaz
80
questa ricerca, lo XREMZ è sicuramente quella più studiata; perciò si è potuto far
conto su una certa quantità di fonti secondarie, in particolare Luo (1930), Ye
(2001) e Tan (2008), che presentano analisi complete del sistema di
romanizzazione di Trigault.
5.2.1 Grafemi iniziali di XREMZ
I grafemi iniziali previsti dallo XREMZ sono 20, pertanto esattamente
corrispondenti al numero dei fonemi di riferimento. Il sistema prevede anche
un‟iniziale zero, non segnalata graficamente:
Set dei grafemi iniziali dello XREMZ
XREMZ IPA Attacchi/Nuclei
ç, ç‟ /ts/, /tsh/ %
ch, ch' /tʃ/, /tʃh/ %
f /f/ %
g /ŋ/-/ʔ/ (-a, -e, -o, -u)
h /x/ %
j /ʒ/ %
k, k‟ /k/, /kh/ %
l /l/ %
m /m/ %
n /n/ %
p, p‟ /p/, /ph/ %
s /s/ %
t, t‟ /t/, /th/ %
v /v/-/ʋ/ %
x /ʃ/ %
La diminuzione del numero dei grafemi iniziali, rispetto ai sistemi
precedentemente osservati (RES, RLS) non può che indicare una tendenza a
modificare una trascrizione più stretta (più fonetica) in una trascrizione più larga
81
(più fonologica) che tenesse conto delle sole distinzioni pertinenti, senza
peraltro farsi influenzare troppo dalle regole ortografiche delle lingue europee.
I grafemi iniziali di Trigault, molto probabilmente, ben corrispondevano alla
realtà fonologica del Guanhua tardo - Ming, anche a giudicare dalla
corrispondenza con le categorie tradizionali dei suoni iniziali reperibili nelle fonti
cinesi, presi come riferimento nei capitoli introduttivi di questa ricerca.
Va segnalato che rispetto a RLS, primo sistema imparato e usato da Trigault, in
XREMZ si nota l‟abbandono di alcune grafie portoghesi, come ng(h)- per /ŋ/ e
g- per /ʒ/, in un generale tentativo di far corrispondere il più possibile un
fonema ad una sola grafia, e viceversa. Per farlo, Trigault si è mosso
agevolmente tra le varie ortografie europee da egli conosciute, scegliendo i
grafemi più adatti in un‟operazione di sintesi di grande valore scientifico.
Si vedrà più avanti che questa economia grafica nella trascrizione sarà
prerogativa dei sistemi ispanofoni, che presenteranno un set di grafemi iniziali
molto simile a quello di XREMZ.
5.2.2 Tipi grafici delle rime di XREMZ
Lo XREMZ, essendo di fatto un rimario, è organizzato in tavole di rime; pertanto
è agilmente ricostruibile l‟inventario dei tipi grafici delle rime impiegati nella
romanizzazione dell‟opera. La tabella seguente ne dà conto in modo schematico:
Tipi grafici delle rime nello XREMZ
V Vv, vV, VC vVv, vVC vVvC
-a -ai, -am, -an, -ao
-e
-e˙
-em, -en, -eu -eam, -eao
-i -ia,
-ie, -ie˙,
-im, -in,
-io, -io˙, -iu, -iu
-iai, -iam, -iao,
-ien, -ieu,
-iue, -ium, -iun
-iuen
-o
-o˙
-oa, -oe -oai, -oam, -oan,
-oei, -oem, -oen
-u
-u˙
-ua, -ue, -ui,
-um, -un, -uo, uo˙
-uai, -uam, -uan,
-uei, -uem; -uen,
82
-u -uon
ul
Al contrario di quanto osservato per i grafemi iniziali, sul piano delle Trigault
rime deve aver tenuto conto di distinzioni fonologiche alquanto sottili, talvolta
forse più fonetiche che fonologiche (probabili allografie in complementarietà
come -oa [solo dopo h-, x-] e -ua [solo dopo Ø-, k-]). Il set dei tipi grafici
previsti ammonta a 57 elementi, tutto sommato abbastanza corrispondente alla
quantità di 50/55 rime fonologiche prese come riferimento in questa ricerca.
Da notare la comparsa della forma ul per la sillaba a “statuto speciale” con
probabile valore /ɚ/, resa diversamente dai sistemi precedenti ( i in RES, lh in
RLS). Come si vedrà, anche questa particolarità ritornerà nei sistemi ispanofoni
più che in quelli a base portoghese.
5.2.3 Diacritici di XREMZ
Non si nota nulla di particolare nella descrizione che Trigault fa dei toni, che
restano pressoché invariati rispetto a RLS, nel numero di cinque: ˉ, ˆ, `, , ˇ, e
rappresentati dalle stesse marche grafiche. La quinta marca è però resa in
Trigault tramite un segno angolato ( ˇ ) invece che arrotondato ( ˘ ).
Anche la marca dell‟aspirazione rimane la stessa di RLS, resa con uno spirito
greco aspro ( ‘ ) o una specie di gancetto ( c ), con la differenza che Trigault
pone il segno dell'aspirazione sempre prima dell'iniziale (cc, cch, ck, cp, ct) ,
mentre in RLS la posizione poteva variare molto, almeno per come ci è stata
riportata dallo XZQJ. Nella presente ricerca, la posizione della marca per
l‟aspirazione è uniformata, resa con l‟apostrofo e posta convenzionalmente
dopo l‟iniziale (c’, ch’, k’, etc.)
Un'altra particolarità dello XREMZ nell'uso dei diacritici, riguarda i puntini
combinati alle vocali del nucleo. Come per le altre trascrizioni, la presenza di un
puntino sembra indicare una qualche variazione del grado di apertura della
vocale interessata; ma a differenza di tutti gli altri sistemi, dove compare solo
l'uso del punto soprascritto, nello XREMZ si rinviene anche un punto sottoscritto.
L‟assenza o la presenza di questi puntini diacritici esprimeva graficamente i
concetti definiti da Trigault shèn 甚 cì 次 e zhōng 中, traducibili a grandi linee
con “aperta”, “chiusa” e “intermedia”. Solo tre vocali: e, o, u, potevano essere
interessate da questa distinzione.
83
Esse, se pronunciate al grado di apertura shèn 甚 , suonavano nella loro
“pienezza”, per così dire; pertanto non prevedevano alcuna aggiunta di punti
diacritici, ad es.: je 熱, ko 個, su 蘇.
Con il grado di apertura cì 次, marcato dal punto soprascritto ( ˙ ), suonavano, in
qualche modo, più chiuse, es.: je˙日, ko˙ 骨, su˙ 死.
L'apertura zhōng 中, come si intende dal nome stesso, era un grado intermedio
tra shèn e cì, la cui marca era il puntino sottoscritto ( . ) e occorreva solo con la
vocale u, es.: chụ 主, hiụ 虛, xụ 殊, k'iụ 去.
Per quanto riguarda la u, non è facile stabilire il valore fonologico dei tre diversi
suoni, e gli studiosi protendono per idee differenti; l‟ipotesi più diffusa distingue
questi tre valori come u=/u/, u˙=/ɨ/-/ɿ/ ed ụ=/y/, anche se altri propongono
invece i tre valori u=/y/, u˙=/ʊ/ ed ụ=/ɿ/.97
5.4 La sensibilità linguistica di Trigault e il suo contributo epistemologico
L'opera linguistica di Trigault, come egli stesso volle sottolineare,98 è il risultato
di uno sforzo congiunto durato 2-3 decenni, suo e dei suoi confratelli (Ricci,
Pantoja, Cattaneo, etc.) e di studiosi cinesi a loro contemporanei come il già
citato Wang Zheng.
Il gesuita belga, come forse molti dei suo confratelli selezionati per le missioni
estere, dimostrava un‟ottima attitudine per le lingue. A vent'anni aveva studiato
e conosceva già almeno sei lingue: fiammingo, francese, latino, portoghese,
italiano e olandese, oltre al greco classico. È ragionevole credere che affrontò lo
studio della lingua cinese conseguendo ottimi risultati fin dai primi tempi.
Sappiamo che iniziò a studiare cinese solo dopo essere entrato in Cina, presso la
sede di Nanchino nel 1611,99 affiancato da personaggi cinesi di elevata cultura
che dovevano essere certo ferrati nella lingua ufficiale.
Oltre a poter leggere negli scritti dei suoi confratelli elogi ed apprezzamenti
verso la sua padronanza della lingua mandarina,100 nelle lettere scritte nei primi
97
Cfr. JIANG (2002) passim 98
Cfr. XREMZ, [Zixu 自序] p. 2 (二): “[…]幣會利西泰、郭仰鳳、龐順陽實始之[…]” 99
C. DEHAISNES (1861) 100
Cfr. SEMEDO (1627)
84
due anni di soggiorno in Cina è possibile notare una certa sensibilità di Trigault
verso alcune caratteristiche della lingua cinese, in particolare sul piano della
pronuncia. Nella lettera annua del 1610 si legge:
Nam Sinarum characteres longe ab Europaeis distant, neque enim alios possunt sonos
exprimere escribendo effigant. Imo sunt apud nos tres omnino abent consonantes, B. D. R.
quae apud Sinas nullum omnino habent usum, nec ullo è suis characteribus effingi
possunt. Itaque pro his sonus aliquis quam minime remotus est reponendus. Sonum dixi,
nam consonante ipsi vocalesq(ue); nostras omnino non norunt, tot enim sunt apud eos
hieroglyphici characteres, quot sunt res rerumque dictiones. Habent tamen sonos nostris
vocalibus aut consonantibus, licet non omnibus, respondentes. Praeterea duas nusquam
consonantes nulla vocali media norunt. Imo exceptis, M & N. nulla alia consonante
terminant dictionem, sed omnes in vocalem desinunt. 101
Queste poche righe rendono conto di quelle che all'epoca dovevano sembrare
le diversità fonologiche più evidenti tra la lingua cinese e le lingue europee, cioè
la mancanza di iniziali occlusive o liquide sonore e la presenza di solo due
possibili suoni in finale di sillaba.
Nel dialogo, più o meno immaginario, tra il “letterato d'occidente” e quello
cinese utilizzato dall'autore come prefazione generale allo XREMZ, diverte un
passaggio in cui Trigault ci tiene a rimarcare il suo orecchio linguistico, di fronte
al confuciano perplesso riguardo al fatto che uno straniero possa analizzare
alcuni suoni del cinese meglio dei cinesi stessi:
[…] 問曰。耳目資分之乎?〇答曰。音音字字。縷縷分之。中士曰。噫嘻。真所稱繭絲而牛
毛。敝國未之前聞者也。西儒搖首曰。不然。貴國之聲口。明明分之。即兒童弗差。旅人
之能詳辨。亦以西號定音。耳鼓之習慣。故耳。
[…] [il letterato] domanda: “...E lo Ermu Zi li distingue (questi suoni)?” Risposta: “Suono per
suono, carattere per carattere, li analizza uno dopo l'altro senza esclusione”. Il letterato
cinese dice: “Wow! Questo sì che è andare a cercare il pelo nell'uovo! Fin'ora, nessuno del
mio Paese ha però mai avvertito ciò [parlando della differenza tra due suoni molto vicini]”.
101
TRIGAULT (1615b:15)
85
Il letterato d'occidente scuote la testa e dice: “Non è così. Le bocche dei tuoi compatrioti li
differenziano chiaramente. Nemmeno ai bambini sfugge. Questo straniero sa distinguere i
dettagli, nonché fissarne il suono tramite le lettere occidentali. Ho il timpano allenato...ecco
perché li sento.”102
Sottolineare la sensibilità dell'orecchio di Trigault ai suoni esotici non serve solo
a delineare la sua personalità di intellettuale, ma aiuta anche a capire meglio le
differenze e le migliorie che il sistema di romanizzazione dello XREMZ
presentava rispetto allo standard precedente.
Secondo quanto osservato da Luo (1930) e Tan (2008), il lavoro di Trigault ha
apportato un contributo fondamentale alla fonologia cinese, oltre ad aver
introdotto numerosi nuovi concetti e termini nella linguistica cinese in generale;
tali termini sono oggi facilmente decifrabili, alla luce della fonologia moderna,
ma all'epoca erano decisamente innovativi, in quanto rappresentavano concetti
di per sé innovativi.
Evidenziare alcune delle spiegazioni teoriche presenti nello XREMZ può aiutare a
capire meglio la funzione di alcuni elementi ricorrenti in tutti i sistemi di
romanizzazione dei decenni seguenti.103 La terminologia di Trigault, sviluppata
in collaborazione con gli studiosi cinesi che lo aiutavano, ha inoltre influenzato
importanti intellettuali cinesi a lui successivi, in alcuni casi rimanendo in uso
presso gli studiosi locali fino ad oggi.104
Colpisce innanzitutto l'illustrazione iniziale dei singoli fonemi delle lingue del
mondo e, tra questi, quelli della lingua cinese. La rappresentazione dei suoni
tramite la scomposizione in fonemi costituiva una novità assoluta in Cina, dove
la fonologia classica utilizzava solo la scomposizione delle sillabe in “attacco”
(shengmu 声母) e “rima” (yunmu 韵母). Trigault introduce quindi una nozione di
fonologia occidentale pressoché sconosciuta alla Cina di allora, trasformando la
102
XREMZ, [Yiyin Shoupu], pagg. 53-54 103
Per un quadro completo dei concetti linguistici introdotti da Trigault con XREMZ, cfr. TAN,
(2006, 2008) passim 104
Tra le personalità che più hanno subito l‟influenza dell‟opera di Trigault si ricorda il fonologo,
scienziato, pittore e filosofo Fang Yizhi 方以智 (1611-1671), vissuto a cavallo delle due dinastie.
Cfr. TAN (2008:160-164); Per una riflessione sull‟osmosi avvenuta tra i concetti linguistici
occidentali e cinesi, e sul dialogo epistemologico ingaggiato dagli studiosi grazie all‟opera di
Trigault, cfr. WANG (2007).
86
tradizionale analisi prosodica in una moderna analisi fonologica. Non solo, nella
descrizione dei suoni delle lingue del mondo, in particolare nello schema grafico
denominato “tabella animata dei suoni dei diecimila paesi” (万国音韵活图),
consistente in una rappresentazione grafica a dischi concentrici, l'autore attua
un vero e proprio tentativo di alfabeto fonetico internazionale!
Interessante inoltre indagare su quali fonti, occidentali e cinesi, abbiano ispirato
questo tipo di rappresentazione a dischi concentrici.105
Uno dei termini introdotti dallo XREMZ è yuányīn 元音, che nell‟opera è il nome
generico per vocali e consonanti. Ma la definizione di Trigault va oltre: Trigault
chiama yuányīn la sostanza fonica del parlato, i suoni della voce umana, che
sono naturali ed esistenti in tutte le lingue del mondo. Ciò che i parlanti
possono cambiare è lo hào 号 (segno) del yuányīn, ovvero la rappresentazione
scritta che se ne può dare. Questa definizione è rivoluzionaria, in quanto scinde
chiaramente il piano fonetico da quello grafico. Ai tempi in cui Trigault scriveva,
questa scissione non era affatto scontata nella linguistica cinese.
Dal punto di vista etimologico, sembra che Trigault, con i suoi collaboratori
cinesi, abbia mutuato il termine yuányīn dalla terminologia musicale e poetica.
La parola già esisteva ed era usata in epoca Ming per designare il suono "puro",
"perfetto", "originario". Il termine poteva perciò essere accettato dai cinesi
meglio di altri tradotti letteralmente dalla terminologia occidentale.
Due sotto-concetti di yuányīn sono zìmíng 自鸣 “auto-sonante” (vocale) e
tóngmíng 同鸣 “con-sonante”. Trigault usa due metafore per spiegare i concetti
di zìmíng e tóngmíng. Prima li paragona rispettivamente al parlato di una
persona normale e di un balbuziente, poi a due strumenti musicali cinesi (lo xiào
e il guān). Così spiega che zìmíng (vocale) è un suono completo, mentre
tóngmíng (consonante) è incompleto (bànyīn 半声 mezzo suono).
Un altro binomio interessante proposto dal gesuita belga è quello di zì 字 e hào
号. Se yuányīn è il suono prodotto naturalmente dall'apparato fonatorio umano,
sia lo zì che lo hào sono significanti scritti. Con la differenza che zì indica i
caratteri cinesi (la scrittura logografica) e hào indica la scrittura alfabetica.
Dallo zì 字, Trigault deriva una serie di termini, principalmente zìfù 字父 (zi-
padre), zìmǔ 字母 (zi-madre) e zìzǐ 字子 (zi-figlio); le prime due sono traducibili
105
Sul sistema di rappresentazione dei suoni linguistici attraverso le “tabelle animate”, ossia i
dischi concentrici, utilizzato da Trigault, cfr. Tan (2008:48-70)
87
generalmente come: zìfù “iniziale” (attacco di sillaba) e zìmǔ “finale” (rima).
Quello di zìzǐ è un concetto più complesso, che in generale racchiude le
combinazioni di attacchi e rime. Interessante invece notare come il termine zìmǔ
字母 (rima) dia luogo ad altri composti, precisamente zìyuánmǔ 字元母 (rima-
madre), zìzǐmǔ 字子母 (rima-figlio) e zìsǔnmǔ 字孙母 (rima-nipote), per indicare
rispettivamente le rime semplici (-V), rime composte da due fonemi (-Vv, -vV, -
VC), e infine le rime di tre fonemi (-vVv, -vVC).
Una terna concettuale coniata ad hoc dal gesuita belga è quella composta dai
tre termini shèn 甚, cì 次 e zhōng 中, per indicare diversi gradi di apertura
vocalica, di cui si è spiegato l‟uso precedentemente. (v. supra)
Un‟altra dicotomia proposta da Trigault è quella composta da zhòng 重
“pesante” e qīng 轻 “leggero”, termini che ancora oggi sopravvivono nei
significati proposti dall'autore di “aspirato” e “non aspirato”. Per cinque delle
iniziali, (ç, ch, k, p, t) Trigault spiega che possono essere pronunciate con o senza
l'aspirazione, indicata da un apostrofo (ç/ç', ch/ch', k/k', p/p', t/t'), considerando
così l'aspirazione come un tratto pertinente a sé stante, che Trigault assimila al
suono dell'iniziale h [x]. Nel primo volume (譯引首譜 ) è ben spiegata la
distinzione tra consonanti non aspirate (輕 leggere) e aspirate (重 pesanti):
問曰。輕重者何。〇 答曰。重音者。自喉內強吹氣而出氣至口之外也。惟同鳴之父有之。
自鳴則無。然同鳴之中。亦有能輕而不能重者。有能重而亦能輕者。有能重而不能輕者。
重而不輕者。重德之純也。重而又輕者。重德之雜也。重而不輕曰黑 h。在同鳴之末而其
半聲惟一。故純重。而不輕。同鳴之一至五。曰則 ç者 ch 格 k 百 p 德 t。其變重。半聲有
二。故雜。試觀純重有內吹及出氣之強。雜重如克 'k 先有本半格 k 聲。後又有黑 h 純重之
強。測 'ç撦 'ch 魄 'p 忒 't 無不皆然。西法重音有號。惟純雜不同。純號曰黑 h。雜號于本
號之上。左有小鉤如 ' 。是也。
Domanda: Cosa si intende per “non aspirato” e “aspirato”? Risposta: Il suono “aspirato” si
produce espellendo con forza l'aria dalla gola fin fuori la bocca. Ciò riguarda solo le
consonanti, non le vocali. Così, tra le consonanti, alcune possono essere solo “non
aspirate”, altre possono essere sia “aspirate”, sia “non aspirate”. Ve ne sono di solamente
“aspirate”. In questo caso, si parla di “aspirazione pura”. Per quelle che possono essere sia
“aspirate” che “non aspirate”, si ha una “aspirazione composta”. La consonante
88
esclusivamente “aspirata” è la h. È l'ultima delle consonanti e genera un solo suono
iniziale. Ecco perché è una “aspirata pura”.
Le prime cinque consonanti sono ç, ch, k, p, t. Esse possono diventare “aspirate”,
generando due diversi suoni iniziali. Sono perciò “composte”. Se proviamo a guardare la
“aspirata semplice”, essa è un forte soffio dall'interno all'esterno. Le “aspirate composte”
come 'k hanno prima il suono iniziale di base k e dopo hanno la forte “aspirazione pura”
della h. Anche per 'ç, 'ch, 'k, 'p, 't vale la stessa cosa. Secondo il metodo occidentale c'è un
segno per indicare l'aspirazione, ma diverso per l'aspirazione pura e quella composta. Il
segno per l'aspirazione pura è h. Quello per l'aspirazione composta invece va sopra il
suono iniziale di base, a sinistra, come un piccolo gancetto tipo c .
106
L'associazione tra il concetto di aspirazione e il suono della lettera h è
interessante, in quanto ci dà due informazioni: la prima è che l'orecchio attento
di Trigault avvertiva lo stesso tipo di aspirazione per tutte le consonanti
occlusive e affricate; la seconda è che la pronuncia della lettera h nell'alfabeto a
cui fa riferimento Trigault doveva essere aspirata.
5.5 Uno sforzo non ripagato
Lo Xiru Emu Zi è un'opera monumentale. Tre volumi per un totale di oltre 570
pagine, migliaia di caratteri cinesi annotati con la loro pronuncia, una stampa
della prima edizione voluta e realizzata con entusiasmo da Wang Zheng, che
subito dopo cominciò con Trigault un attento e tenace lavoro di revisione e
aggiornamento, per poi culminare in una seconda edizione nella forma più
completa a noi pervenuta. Non solo, il sistema di trascrizione dello XREMZ aveva
decisamente migliorato lo standard di romanizzazione ricciano, risolvendo molti
problemi e offrendo uno strumento di studio eccellente.
Eppure, negli anni e decenni successivi alla pubblicazione di questo libro, esso
non è riuscito a imporsi come il nuovo metodo di trascrizione ufficiale, né
tantomeno ha goduto di un'esportazione verso l'Europa come invece è successo
ad altri testi scritti dai missionari in Cina. Anzi, rispetto al pubblico occidentale è
106
XREMZ, [Yiyin Shoupu 譯引首譜] p. 49 (四十九), trad. mia
89
di fatto caduto in un‟inspiegabile damnatio memoriae. Anche la risonanza
presso le successive generazioni di gesuiti in Cina è stata minima; per citare un
esempio, sorprende che Martino Martini, nella sua Brevis Relatio del 1654,
nell‟elencare i nomi e le opere di tutti i confratelli attivi in Cina fino ad allora,
non attribuisca alcuna opera a Trigault, ad eccezione di un “[…]Librum de
Computu Ecclesiastico, per quem Christiani Sinenses indagare possunt festa ac
ieiunia Romanae ecclesiae.” 107
Eppure, lo XREMZ non era passato in osservato presso i gesuiti in Cina negli
anni subito successivi alla sua pubblicazione. Nell‟opera Yuanxi Qiqi Tushuo 远西
奇 器 图说 (Spiegazioni e illustrazioni sulle strane macchine del lontano
occidente) 108 del gesuita tedesco Johan Terrenz Schreck (1576 -1630), 109
pubblicata nel 1627 insieme a quello stesso Wang Zheng che curò con Trigault
lo XREMZ, si ritrova il seguente passaggio, a spiegazione delle lettere
alfabetiche impiegate nelle illustrazioni del libro come riferimenti per le legende:
[…]乃其說則屬西文西字,雖余嚮在里中,得金四表先生為余指授西文字母字父二十五號,
刻有《西儒耳目資》一書,亦略知其音響乎。[…]號必用西字者,西字號初似難記,然正因
其難記,欲覽者怪而尋索[…]。況號止二十,形象各異,又不甚煩,不甚難乎。今將西字總
列于左,即以中字並列釋之,以便觀覽。 且欲知西字止二十號耳,可括萬音萬字之用。
a e i o u ç ch k p t j v f g l m n s x h
丫 額 衣 阿 午 則 者 格 百 德 日 物 弗 額 勒 麥 搦 色 石 黑
以上記號蓋因圖中諸器多端,須用標記,而後說中指其記號,一一可詳解耳,用之不盡不
論也。 圖之簡明易知者,則不用。
[…]Le didascalie, invece, sono in lettere occidentali, che vi sono state messe per mio volere.
Mi è stato insegnato l‟uso dei 25 segni occidentali, per le iniziali e le rime, dal signor Jin
Sibiao [Trigault]; io ne conosco un po‟ i suoni, [perché] è stato pubblicato il libro Xiru
Ermu Zi.
[…]Per chi li deve usare, i segni occidentali all‟inizio sembrano difficili da ricordare; proprio
per questo chi vuole consultare [il testo] potrebbe trovare la ricerca malagevole[…] Ma i
107
MARTINI (1654:XXXII) 108
TERENTIUS (1627:51-52)
109 Ricordato anche come Terrentius, fu prima accademico dei lincei e poi gesuita. La sua attività
di scienziato surclassa di molte misure quella di religioso
90
segni sono solo 20, di forme diverse tra loro, né tanto problematici né difficili. Elenco qui
di seguito i segni occidentali, con dei caratteri cinesi in corrispondenza a spiegazione [del
suono], per facilitare la lettura. Inoltre, sapendo questa ventina di segni, si può estenderne
l‟uso ai diecimila suoni e i diecimila segni.
a e i o u ç ch k p t j v f g l m n s x h
丫 額 衣 阿 午 則 者 格 百 德 日 物 弗 額 勒 麥 搦 色 石 黑
È necessario usare la notazione con i suddetti segni poiché [alcune] illustrazioni sono
piene di oggetti di vario tipo e, indicandone il [corrispondente] segno di notazione
all‟interno della spiegazione, essi possono essere illustrati uno ad uno. [la notazione] può
essere usata senza limitazioni. Per le immagini più semplici, invece, non occorre usarla. 110
A parlare è Wang Zheng, che riconferma il suo interesse per le “strane lettere
occidentali” che tanto lo avevano stupito al primo incontro, e che lo avevano
convinto dell‟importanza di pubblicare lo XREMZ di Trigault.
Ma non è questa l‟unica testimonianza contemporanea sul sistema di
romanizzazione del gesuita belga; si trova, infatti, un altro riferimento allo
XREMZ nell‟opera Xifang Dawen 西方答問 Domande e risposte sull’occidente di
Giulio Aleni, pubblicata nel 1637; nel capitolo denominato Xixue 西學 (scienza
occidentale) si legge:
[…]遠西又以二十三字母為主。當二十三筆法。以二十三字。互相配則成人物之名目。其用
甚活。凡萬國語音與風雨鳥獸之聲。皆可寫出。蓋貴邦先有其字。後有其音。敝邦隨聞其
音即成其字。其詳見西儒耳目資之書可覽也。
[…]Nel lontano Occidente esistono principalmente 23 lettere, vale a dire 23 segni.
Combinando le 23 lettere si formano i nomi delle persone e delle cose. Si possono
scrivere tutti i suoni di tutte le lingue del mondo, e i rumori del vento, della pioggia, degli
uccelli e delle bestie. Nel vostro Paese viene prima la scrittura e poi i suoni; nel mio Paese,
ascoltando i suoni è nata la scrittura. Si può averne un‟illustrazione leggendo
attentamente il libro “Aiuto dei letterati d'occidente agli occhi e alle orecchie”.111
110
TERENTIUS (1627:31,51-52), trad. mia 111
ALENI (1637:1:12), trad. mia
91
Questi primi riferimenti e apprezzamenti rivolti all‟opera di Trigault lasciavano
ben sperare che la nuova romanizzazione, ivi proposta, potesse assurgere a
ruolo di nuovo standard presso i membri della compagnia. Un certo alone di
mistero sembra però avvolgere questo libro, dal suo concepimento fino al suo
oblio. Innanzitutto credo sia lecito porsi almeno due domande sulla sua genesi:
1) Perché Nicolas Trigault reputava che lo standard di romanizzazione di Ricci
necessitasse di un rimodernamento?
2) Se davvero Trigault voleva proporre lo XREMZ come uno strumento di
riferimento per gli stranieri, come mai ha scelto di scriverlo interamente ed
esclusivamente in cinese?
Non si esclude che esistano fonti contemporanee a Trigault che aiuterebbero a
rispondere a queste domande, ma non disponendone in questa sede purtroppo
dovremo limitarci a fare delle ipotesi.
Sappiamo per certo che fino al 1622 Trigault ha continuato ad usare una
trascrizione inquadrabile nel sistema RLS, come abbiamo visto in precedenza.
Questo significa che lo studioso ha maturato l'idea e sviluppato il progetto nei
quattro anni successivi, fino alla pubblicazione nel 1626. Sebbene esistano prove
dell'impressionante velocità con la quale il gesuita sapeva produrre scritti anche
molto consistenti,112 è molto probabile che la progettazione e la stesura dello
XREMZ abbiano occupato un periodo di tempo abbastanza lungo.
A partire dal 1624 Trigault parte verso le regioni centro-settentrionali dello
Shanxi e Shaanxi per iniziarvi l'evangelizzazione; nel 1625, presso una località
nelle vicinanze di Xi'an, luogo d'origine dell'amico Wang Zheng, il gesuita
scopre una stele cristiana di epoca Tang, la cosiddetta Stele di Xi'an,113 del cui
contenuto stende la prima traduzione in latino. Non è chiaro se questa prima
analisi di Trigault contenesse anche la pronuncia traslitterata dei caratteri.
Nel 1627 Trigault scrisse una lettera al barone Florent de Montmorency,114
raccontandogli di alcuni avvenimenti degli anni precedenti e citando alcuni
112
Ad es., nel breve periodo dei pochi mesi trascorsi a Lisbona prima di partire per Goa scrive la
biografia di un padre gesuita, lunga quasi 400 pagine. Cfr. TRIGAULT (1610) 113
Spesso “stele di Sigan-fu”, in cinese Jingjiao Bei 景教碑; di cui si hanno diverse descrizioni
contemporanee e approfonditi studi successivi. Cfr. note successive 114
La lettera di Trigault a Florent de Montmorency, (Hangzhou, 13 settembre 1627) è
conservata presso la bibliothèque du collège des jésuites, ad Anversa
92
termini in cinese, per lo più toponimi. Purtroppo, chi scrive non ha potuto
esaminare il testo originale di questa lettera, ma in un libro di Henry Havret sulla
stele di Xi'an se ne trova un estratto che presenta tre toponimi: 115 Ho-nan 河南,
Xan-si 陕西 e Che-chiam 浙江; compare inaspettato un trattino ( - ) divisorio tra
le sillabe, nonché un'iniziale CH per 江, che stranamente non concorda né con
RLS (kiam), né con XREMZ (kiam). Ovviamente si tratta di osservazioni di poco
valore, fintanto che non si effettui l'analisi del testo originale, e comunque
tenendo conto che la tipologia del testo non prevedeva un rigore nella
trascrizione.
Comunque, dopo il 1622, qualcosa deve aver fatto scoccare in Trigault questa
scintilla creativa. In passato, l‟interpretazione più diffusa del titolo Xiru Ermu Zi
西儒耳目资 era “Aiuto agli occhi e le orecchie dei letterati d'occidente”,
lasciando pensare ad un intento didattico, per uno strumento finalizzato allo
studio della lingua cinese, la cui utenza sarebbe dovuta essere plausibilmente
costituita da occidentali. Eppure il testo è completamente in cinese, scritto ad un
livello linguistico non certo adatto a dei principianti. Qual‟era, quindi, la reale
funzione di quest'opera?
Forse bisogna valutare meglio il contributo degli studiosi cinesi che hanno
collaborato con Trigault, primo tra tutti Wang Zheng, il cui ruolo dev'essere
stato ben più di quello di un semplice editore o revisore. La sua partecipazione
sul piano teorico deve aver pesato non poco sulla struttura dell'intera opera, che
risulta impostata in una modalità più facilmente fruibile da un pubblico cinese
colto che da un neofito della lingua.
Lungi dall'essere un dizionario, come erroneamente indicato in molti riferimenti
bibliografici, lo XREMZ era costituito da una prima parte teorica esplicativa del
sistema di romanizzazione, il volume Yiyin shoupu 譯引首譜, cui seguivano due
volumi per due specifiche funzioni:
1) cercare un carattere cinese conoscendone la pronuncia, tramite il
secondo volume Liebian yunpu 列邊韻譜,
2) cercare la pronuncia a partire dal carattere cinese, tramite il terzo volume
Liebian zhengpu 列邊正譜.
115
HAVRET (1895:62)
93
A pensarci bene, entrambi gli utilizzi prevedevano un'utenza dotata di una serie
di competenze che non erano del tutto scontate per gli occidentali. Ad esempio,
nel cercare la pronuncia di un carattere si doveva avere familiarità con la tavola
dei radicali; dopodiché, scopertane la pronuncia sul terzo volume dello XREMZ,
esso non forniva informazioni sul significato; lo XREMZ non era perciò utile alla
ricerca semantica. In questo senso però poteva forse essere utilizzato in
complemento ad un dizionario ordinato per pronuncia, alla maniera delle tavole
di ricerca dei caratteri che si trovano nei dizionari moderni.
Per quanto ne sappiamo, al tempo di Trigault, l'unico dizionario cinese-europeo
ordinato per pronuncia era il già citato “bello vocabolario” di Ricci e confratelli,
di cui tra l'altro non si può escludere che fosse già di per sé dotato di una tavola
per la ricerca dei caratteri. Ma pur ammettendo un siffatto uso complementare
del terzo volume dello XREMZ, rimarrebbe il problema che le sillabe
romanizzate da Trigault non coincidevano con quelle romanizzate secondo lo
standard di trascrizione ricciano (RLS).
Allo stesso modo, nel cercare la forma scritta di un carattere partendo dalla sua
pronuncia, l'utente occidentale (neofita o esperto che fosse) si sarebbe trovato
di fronte alla stessa inconveniente limitazione di informazioni: raggiunta la
pagina relativa ad una certa pronuncia, avrebbe trovato una lista di numerosi
caratteri omofoni, tra i quali avrebbe dovuto individuare quello interessato; ma
come? In alcuni casi fortunati, utilizzare i radicali come indizio semantico poteva
forse aiutare, ma la variabile era certa.
Ci si chiede quindi di nuovo: Qual'era il vero scopo dello XREMZ? Dobbiamo
spingerci a credere che sia trattato di un mero vezzo accademico del Belga e dei
suoi amici letterati? Una monumentale dimostrazione di competenza e
tecnicismo? Si potrebbe concludere che lo XREMZ fosse un'opera poco target-
oriented, oppure si potrebbe considerare l'ipotesi di un target diverso da quello
dei semplici neofiti della lingua cinese.
La terza decade del 1600 vedeva in Cina un fiorire dei rapporti tra i gesuiti e il
mondo intellettuale cinese, e il dialogo iniziato nelle decadi precedenti si
concretizzava sempre più nella produzione di testi scritti o tradotti in cinese, per
lo più di carattere scientifico e dedicati alla platea colta dei mandarini; al
contempo, sul piano dell'evangelizzazione si assisteva ad un periodo di
espansione verso regioni nuove, fatto che comportava l'esigenza di strumenti
94
utili a questo scopo, come catechismi, confessionari, breviari, etc. tradotti in
cinese ad uso dei missionari.
Alla base di entrambe le attività di produzione letteraria vi erano
necessariamente l'acquisizione di competenze linguistiche e lo sviluppo di
strumenti per lo studio e la traduzione. Tra questi ultimi, i dizionari e i glossari
erano certamente i più urgenti da procurarsi.
In quanto utenti di lingue con scritture alfabetiche, e quindi con un'idea di
stretta correlazione tra il significante fonico e quello scritto, tra i “letterati
d'occidente” si stabilì fin da subito un approccio preferenziale al suono piuttosto
che alla scrittura, e fin dall'inizio decisero di ordinare i propri dizionari e glossari
secondo un ordine alfabetico.116 L'inconveniente più grande nella compilazione
di questi dizionari era probabilmente l'impossibilità di emanciparsi anche
minimamente dai collaboratori cinesi, in quanto la loro voce viva e i loro
pennelli erano le uniche chiavi capaci di aprire la porta che, in Cina, separava
suono e scrittura. Allo stesso modo, gli stessi collaboratori cinesi non avrebbero
potuto compiere le annotazioni dei suoni da soli, se non dopo aver imparato
l'uso della scrittura alfabetica. Ma questo secondo compito, a parere di chi
scrive, sembra verosimile che potesse compiersi più facilmente del primo.
Lo XREMZ, quindi, molto probabilmente non era un semplice manuale di
pronuncia per chi iniziava a studiare la lingua cinese, come invece è stato
ritenuto dalla maggioranza degli studiosi, quanto invece uno strumento
dedicato a chi aveva già raggiunto un buon livello di lingua, o addirittura a un
madrelingua stesso, che doveva cimentarsi nella compilazione di testi dove
occorreva una notazione grafica del suono. Forse lo XREMZ rappresenta
concettualmente il primo passo verso questo genere di strumenti per
l'autosufficienza nello studio della lingua.
Oltre alla valutazione dell'opera nel suo complesso, rimane il fatto che il sistema
di trascrizione proposto da Trigault era estremamente accurato dal punto di
vista dell'impostazione, fatto che probabilmente poteva corrispondere ad una
maggiore funzionalità. Ciononostante, come si potrà evincere facilmente
dall'analisi degli altri sistemi di romanizzazione, non troviamo quasi alcuna eco
116
Pur tuttavia, esistevano glossari ordinati invece per categorie semantiche, o frasari organizzati
per categorie situazionali, come si vedrà nei capitoli seguenti.
95
della trascrizione di Trigault. Sembra che la sua opera fonologica non sia stata
tenuta in grande considerazione dai posteri, quantomeno non apertamente.
Questo, dopo aver avuto modo di apprezzare la qualità del suo sistema, desta
quantomeno il dubbio che ad aver determinato un così scarso riscontro
possano essere stati fattori di altro genere.
Nello specifico, ci si chiede se il suo presunto (o forse ormai provato) suicidio,
possa o meno aver rappresentato un esponente negativo alla sua opera, fatto
che tuttavia sarebbe contraddetto dagli innumerevoli elogi che continuarono a
rivolgergli i gesuiti in Cina nei loro scritti, ricordandone le altre opere e
l'intelletto in genere.
Due pagine d‟esempio tratte dallo Xiru Ermu Zi (西儒耳目资 , 1626) di Trigault. La sua
romanizzazione è presenatata in modo estremamente particolareggiato e organico nei tre
voluminosi tomi dell‟opera.
96
97
6.0 Juan Bautista de Morales e Francisco Diaz
I due missionari spagnoli Juan Bautista de Morales (1597-1664) e Francisco Diaz
(1606-1646), furono due personalità di riferimento nei primi decenni della
presenza domenicana in Cina. Per quanto attiene a questa ricerca, destano
interesse alcune opere attribuite ai due spagnoli, nelle quali si ritrova un uso
esteso della romanizzazione.
J.B. de Morales prende i voti domenicani in giovane età e, a metà degli anni ‟20,
parte per la provincia del Santo Rosario;117 dopo aver passato alcuni anni nelle
Filippine, dove dal 1625 studia il cinese iniziando dal dialetto di Zhangzhou
(Chincheu) nei quartieri cinesi di Manila,118 nel 1633 si reca con altri confratelli in
Cina, fondando la missione domenicana nella provincia del Fujian. In seguito
all'entrata in Cina inizia a studiare il mandarino e il dialetto di Fu'an (福安).119
F.Diaz nasce nei pressi della piccola località castigliana di San Çebrian de
Mazote, in Spagna.120 Studia con i domenicani e successivamente, intorno ai 25
anni, entra a far parte dell‟ordine. Nel 1632 parte missionario per la provincia
del Santo Rosario, arrivando a Manila nel Maggio 1633. Sembra che proprio
nelle Filippine, presso i quartieri cinesi di Manila, abbia iniziato lo studio della
lingua cinese;121 nel 1634, passando per Formosa, sbarca sulle coste del Fujian
verso la fine dell‟anno, per poi raggiungere la casa domenicana di Fu‟an 福安,
117
La provincia del Santo Rosario dell‟Ordine domenicano fu fondata per l'evangelizzazione dei
"Regni d'Oriente". Dal 1587 iniziò nelle Filippine e nelle aree circostanti estendendosi nel 1602
al Giappone, arrivando nel 1626 all'isola di Formosa (Taiwan) e raggiungendo, nel 1631, le coste
sud-orientali della Cina, dove i domenicani fondarono la prima missione a Fu‟an, nella regione
del Fujian. 118
Le zone della città dove risiedevano le comunità di cinesi erano chiamate dai missionari
cattolici Binondoc e Parian; oltre a distinguersi per il carattere etnico geografico dei gruppi che
le abitavano, le due zone vedevano differenze anche nel grado di integrazione. Nel Binondoc
c‟era un‟alta percentuale di cinesi convertiti, mentre nel Parian erano tendenzialmente
mantenute le tradizioni originarie. Cfr. TWITCHETT & FAIRBANK (1978:8:II:357) 119
QUETIF & ECHARD (1719-21:II:611) 120
Francisco Diaz (o Dias, o Diez), lo si distingua dal più conosciuto omonimo (San) Francisco
Diaz del Rincon, altro domenicano arrivato in Cina circa 100 anni più tardi e ivi morto martire nel
1748; beatificato nel 1893 e quindi canonizzato nel 2000. 121
GONZALEZ (1966) al riguardo cita come fonte P. Garcia, J., O.P., (1650), Relacion de la vida y
progresos del V.P. Francisco Diez, Ms., (copia conservata presso Bib. Casanatense, MS. 1074, ff.
60-77)
98
dove viene accolto proprio dal confratello e superiore J.B de Morales. Negli anni
a seguire Diaz si sposta da Fu‟an a Dingtou 顶头,122 fin quando alcuni conflitti
con le autorità locali e con i gesuiti lo portano ad allontanarsi dalla città.123
Nel 1638 Diaz chiede il permesso al suo Vicario provinciale, lo stesso Morales
(1597-1664) di continuare l‟opera di evangelizzazione più a nord, nella provincia
del Zhejiang; non senza perplessità, Morales gli accorda il permesso, e in
seguito partono insieme per i nuovi territori. Prima passano rapidamente per
Hangzhou 杭州, poi entrano a Suzhou 蘇州, arrivando infine a Changzhou 常州;
successivamente i due devono però tornare a Hangzhou, dove vengono ospitati
per qualche tempo da un cristiano cinese,124 presso il quale scoprono che i cinesi
convertiti dai gesuiti continuavano a offrire sacrifici agli antenati secondo la
tradizione confuciana. Sollevano il problema e ingaggiano una battaglia contro
quella che reputano “idolatria” cinese, trovandosi però prestissimo a subire, uno
dopo l‟altro, l‟espulsione e il confino a Macao a causa dei conseguenti contrasti
con le autorità del luogo affianco agli stessi gesuiti.
Nel 1640 Morales decide quindi di partire per Roma, al fine di presentare una
serie di documenti attestanti i problemi relativi al metodo di evangelizzazione
operato dai gesuiti e alla condotta dei neo-convertiti. La “questione dei riti”
nella sua dimensione formale, in quanto problema discusso dalla Santa Sede
secondo una procedura processuale, prende inizio concretamente in questi anni.
Tempo dopo, mentre Morales è già a Roma, Diaz rientra di nuovo in Cina
attraverso Formosa nel 1642, tornando a Fu‟an insieme al confratello Francesco
Fernandez de Capillas (1607-1648).125 La sua salute è però molto provata dalle
peripezie affrontate e Diaz muore nel 1646, a soli quarant‟anni, proprio mentre i
mancesi giungevano anche nel Fujian.126
122
Il villaggio si trova ad una quarantina di chilometri a sud di Fu‟an, sul corso del fiume Sai 赛 123
BALTASAR DE SANTA CRUZ & al. (1693:II:143 e ss.) 124
Alcune fonti biografiche riportano che il cinese in questione si chiamasse “Ceto”, e che fosse
stato battezzato dai gesuiti; ma la resa fonetica di questo nome non permette di ricondurlo
facilmente a nessuno dei convertiti cinesi conosciuti. 125
Domenicano, in Cina durante le persecuzioni anti-cristiane avvenute in corrispondenza
dell‟avvicendamento tra Ming e Qing, (metà anni 40‟ del 1600). 126
FERRANDO (1870:II:371-581)
99
J.B. de Morales torna in Cina qualche anno dopo, nel 1649, ed è nominato
Vicario provinciale del Fujian, incarico che manterrà fino alla sua morte,
avvenuta nel 1664.
Più o meno tutte le fonti biografiche concordano nell‟attribuire a entrambi i
missionari un‟ottima padronanza del cinese Mandarino, a cui fecero seguire
anche lo studio dei dialetti locali; scrive di Diaz uno storico dell‟ordine
domenicano:
“[…]El Padre Fray Francisco se aplico luego a aprender lengua Mandarina, que consiguió
con brevedad, […]. De este estudio en que salió perfecto, leyendo corrientemente sus
libros, passó a la lengua natural de aquel partido de Fogan, y Tingteu[…].”127
Anche nelle fonti bibliografiche c‟è abbastanza accordo riguardo alla
produzione scritta dei due dominicani spagnoli. La lunga attività di Morales è
testimoniata anche dalla consistente quantità di scritti che produsse, mentre la
prematura dipartita di Diaz si riflette anche nel ristretto numero di opere ad egli
attribuite.
A Morales sono attribuiti per lo più lavori di stampo religioso, sia generalmente
riguardanti la storia della missione domenicana in Cina, sia (anzi, soprattutto)
concernenti le questioni relative ai riti cinesi, oggetto della disputa con i gesuiti.
Tra i vari titoli si ricordano un Catecismo en lengua china (catechismo in cinese
probabilmente stampato nel 1648)128 e Quaesita septemdecim proposita (Roma,
1645; le diciassette domande poste ai gesuiti riguardo alla loro politica di
evangelizzazione).129
Riguardo a Diaz, un soggiorno in Cina durato poco più di 10 anni (1635-1646) fu
forse sufficiente a raggiungere un buon livello nel parlato in uno o due dialetti;
tuttavia, abbiamo pochissime tracce della sua produzione scritta in cinese. Le
127
BALTASAR DE SANTA CRUZ & al. (1693:II:141) 128
Di questa opera, credo di aver individuato due copie manoscritte conservate presso la
biblioteca dell‟Archivio di Stato di Roma, in un insieme di documenti denominate “Carte
Ruggieri”; i due documenti constano rispettivamente di 15ff. e 11ff., entrambi recano il titolo
Shèngjiào xiào qīn jiě “聖教孝親解”. Ulteriori studi potrebbero confermare o smentire la presente
ipotesi. 129
MARTINEZ-VIGIL (1884:331)
100
fonti bibliografiche riportano solo notizie di seconda mano,130 ma quasi tutte
concordano nell‟attribuirgli alcuni scritti, tra i quali un‟opera di stampo
catechetico dal titolo “Ki mung” o “Ky mung” scritta insieme al confratello Juan
Garçia (?-1665), indicata in latino come Doctrina Incipientium o in spagnolo
come Doctrina de Principiantes, e una traduzione in cinese del De Quatuor
Virtutibus Cardinalibus di Sant‟Agostino.131
Ma le attribuzioni che più interessano la presente ricerca sono, ovviamente,
quelle di stampo linguistico, in particolare figurano tra queste alcuni lavori di
carattere lessicografico e grammaticale. Innanzitutto, negli scritti dei domenicani
attivi in Cina nella seconda metà del 1600, compaiono numerosi riferimenti ad
una sorta di glossario che Morales e Diaz avrebbero compilato insieme, scritto al
quale si fa riferimento col nome di Cabecillas; 132 questo termine, dal significato
letterale di “capitoletti, sommari”, 133 indicava probabilmente nel gergo
dell‟epoca un tipo di dizionario o glossario breve. Di questo glossario a firma
Morales, ad oggi non si è individuato con certezza alcun esemplare.
Accanto alle Cabecillas, nelle fonti bibliografiche su Morales si ritrovano dei
generici ma frequenti riferimenti ad una grammatica (Arte de gramática de
lengua china) e un dizionario (Vocabulario Chino) di lingua cinese,134 per i quali
ugualmente non si sono trovate copie.
Esiste, tuttavia, presso la biblioteca Casanatense di Roma, un manoscritto
attribuito a Morales e catalogato con il titolo Manuale pro Missionariis in Sinas
(da qui in poi, Manuale), 135 citato anche in altre fonti relative a Diaz, che
130
QUETIF & ECHARD (1719-21:I:549) 131
Id.; cfr. anche MARTINEZ-VIGIL (1884:273) 132
Secondo QUETIF & ECHARD (1719-21:I:249), il dominicano D. Navarrete (1618-1686) in uno
dei suoi trattati storici sulla Cina (Tratado I, Praeludio 29, n.2, pag. 56) nomina l‟opera Cabecillas;
sfortunatamente, anche ad un attento esame dell‟opera di Navarrete del 1676 (Tratados
Historicos…), non mi è stato possibile reperire una tale citazione. Un riferimento importante alle
Cabecillas di Diaz e Morales dovrebbe trovarsi invece nell‟introduzione ad un dizionario
spagnolo-cinese manoscritto del domenicano Francisco Varo (1627-1687), studiato da COBLIN
(2006:15-17). Quest‟ultimo riporta il passaggio in cui Varo tesse le lodi di Diaz per il glossario di
termini di lingua parlata da lui composto. 133
Cfr. VALBUENA (1793:123) [capitulum] e LABERNIA (1848:II:333) [cabecilla]. 134
Cfr. MARTINEZ-VIGIL (1884:331); BALTASAR & al. (1693:II:436) 135
Segn. Ms. 2204, sul primo folio, reca una nota, probabilmente redatta dall‟allora prefetto
della biblioteca Gian Domenico Agnani (1733-1746), che identifica il manoscritto come la copia
101
dovrebbe averlo scritto insieme a Morales.136 Il Manuale è suddiviso in libri,
numerati da I a IX: i libri I-V sono di contenuto religioso, consistendo di un
elenco di precetti, la spiegazione delle cerimonie e dei riti, la traduzione del
Kyrie, un catechismo e un altro frasario relativo alla liturgia; il resto del
contenuto del Manuale è di carattere linguistico, comprendendo alcune note
grammaticali (lib. IX) precedute da un ricchissimo glossario di termini di lingua
parlata (VI-VIII) raggruppati per ambito semantico. Le note grammaticali
consistono in dieci “regole”, che riempiono circa quattro pagine, e risultano
molto simili (persino uguali in alcuni passaggi) alle spiegazioni dei tipi di frasi
che si trovano nella grammatica Arte della Lengua Mandarina di Varo (1703). La
parte del glossario, invece, ricopre diverse decine di pagine, per un totale di più
di mille lemmi (parole o frasi) tradotti dallo spagnolo in cinese.137
In base alle pur lacunose indicazioni bibliografiche sulle grammatiche e i
glossari che sarebbero stati composti da Morales e Diaz, la maggior parte degli
studiosi tende ad immaginare che i suddetti lavori dovessero avere una mole
abbastanza consistente e una struttura organica e ordinata, scartando perciò
l‟ipotesi che il glossario del Manuale (seppur contente oltre 1000 lemmi) possa
essere il famoso Cabecillas.138 A parere di chi scrive, invece, non è da escludere
che nel Manuale pro Missionariis si possa identificare una copia parziale o totale
dell‟opera Cabecillas, tanto citata nelle fonti bibliografiche, ma mai individuata.
A parte quest‟ipotesi, ciò che interessa di questo documento è che in esso è
fatto un uso totale della romanizzazione, tanto che il documento è praticamente
tutto e solo romanizzato, in quanto manca totalmente dei caratteri cinesi (per i
quali, tuttavia, era stato lasciato lo spazio). La romanizzazione usata in questo
di un “Opusculum […] P. Fr. Johannis Baptistae Morales Ord. Praedicatorum” così descritto:
“Manuale pro Missionariis in Sinas, concernentibus in re tam sacra quam seculari: maximi inter
eos usus; quam per ipsus disponantur; ut facile difficillimam Mandarinorum Linguam perdiscant
aut comparant. Hanc ex laudato Patre Ceru; qui praesenti exemplari in sinis usus est…”. La copia
doveva essere quindi appartenuta al chierico minore Giuseppe Cerù (1674-1750) procuratore
generale per Propaganda Fide a Canton negli anni 1713-1721, che la regalò alla biblioteca
Casanatense il 14 Gennaio 1743. 136
GONZALES (1966) 137
Solo i primi 13 lemmi del libro VI sono italiano-cinese, e si notano “incursioni” sparse di
parole italiane, probabilmente perché la copia appartenva al lucchese Cerù. 138
Cfr. BREITENBACH in COBLIN & LEVI (2000:xxxi) [introduction]
102
documento è abbastanza omogenea, sembra cioè possibile individuare un
sistema, e descriverlo nei suoi elementi di base.
Infine, la maggior parte dei riferimenti bibliografici concordano nell‟attribuire a
Diaz la paternità di un dizionario cinese-spagnolo, solitamente ricordato con il
titolo di Vocabulario de Letra China con la Explicacion Castellana (da qui in poi,
Vocabulario),139 di cui si cominciò a parlare fin dagli ultimi anni del XVII secolo,
quando arrivò in Europa e divenne uno strumento di studio essenziale per i
primi proto-sinologi e orientalisti che si cimentarono nello studio della lingua
cinese.140
È in questo dizionario che si riscontra l‟uso di un particolare sistema di
romanizzazione, anzi, come vedremo nei prossimi paragrafi, ci si trova di fronte
ad un‟opera in cui più sistemi sono usati parallelamente. La descrizione dei due
diversi sistemi non può prescindere dalla formulazione di alcune ipotesi sulla
genesi del dizionario, sulla sua paternità, nonché sull‟influenza da esso esercitata
nell‟ambito dei primordi della sinologia europea.
6.1 Analisi delle fonti e delle romanizzazioni
Le due fonti prese in esame, il Manuale di Morales e il Vocabulario di Diaz,
presentano entrambe un certo grado di incertezza riguardo alla paternità. Per
procedere all‟esame delle romanizzazioni utilizzate nelle due fonti, occorre al
contempo premetterne le problematiche connesse alla datazione e all‟autore, al
fine di formulare ipotesi più corrette sulla datazione e contestualizzazione dei
sistemi di trascrizione.
6.2 Il Manuale pro Missionariis
Il manoscritto del Manuale preso in esame è una fonte alfabetica senza caratteri
cinesi, e disordinata, in quanto le sillabe compaiono in ordine casuale.
139
Cfr, ad es., CORDIER (1966:III:1634) 140
Cfr. AKADEMIE DER WISSENSCHAFTEN (1710:84-88)
103
Come si è detto, è una copia del 1743, appartenuta a (e forse realizzata da)
Giuseppe Cerù, missionario italiano di Proaganda Fide (v.supra, nota relativa);
non si può, pertanto, accertare totalmente la paternità delle romanizzazioni ivi
contenute, che potrebbero aver subito modifiche nel processo di copia. Si
consideri anche la consistente distanza temporale, di circa un secolo, esistente
tra il periodo di redazione dell‟eventuale originale (anni ‟30 del 1600) e la copia
in questione (anni ‟30 del 1700). È pur vero che la notula scritta da Agnani “ad
perpetuam memoriam” gode di una certa autorevolezza, visto che la copia fu
regalata alla biblioteca Casanatense da Cerù in persona, e deve essere stato
quindi lo stesso Cerù a fornire l‟informazione sulla paternità del Manuale,
attribuendola a Morales. Inoltre, la lingua usata per redigere il glossario
contenuto nel Manuale è lo spagnolo, quantomeno un indizio favorevole
all‟ipotesi Morales.
Golvers (1999), oltre ad assumere che il Manuale della Casanatense sia un‟opera
di Morales,141 individua anche un altro esemplare del glossario in un manoscritto
conservato alla biblioteca Asiatica della Società per le Missioni Estere di Parigi
(BAMEP),142 citando altresì in nota alcuni lemmi presenti in entrambi i manoscritti.
Le citazioni in Golvers (1999), sebbene offrano solo pochi dati, mostrano che le
romanizzazioni dei due esemplari divergono per alcuni piccoli particolari; d‟altra
parte si ha un parere autorevole riguardo alla paternità del glossario.
Al contrario, la studiosa Sandra Breitenbach, in Coblin (2000), mette in
discussione la diffusa attribuzione del Manuale a Morales, indicando invece il
domenicano Francisco Varo (1627-1687) come vero autore;143 pur tuttavia, la
sinologa tedesca non apporta alcuna motivazione a sostegno della sua
affermazione.
Resta quindi abbastanza probabile che il glossario incluso nel Manuale sia, in
tutto o in parte, uno scritto di Morales, alla cui stesura potrebbe aver
partecipato anche Diaz, forse identificabile con la fantomatica opera intitolata
Cabecillas. Riguardo, invece, alle romanizzazioni utilizzate nella copia del
Manuale esaminata, per le caratteristiche di cui si renderà conto nei paragrafi
seguenti, esse sarebbero le prime attestazioni di un filone diverso da quello
141
Cfr. GOLVERS (1999:306, 379-80, 382-383) 142
GOLVERS (1999:379-80), indica la segn. “Chine, KO 48” (lexique d’expressions) 143
COBLIN & LEVI (2000:xxxi) [introduction]
104
portoghese-gesuita visto fin‟ora, portando alla luce un filone spostato verso
l‟ortografia ispanica.
6.3 La romanizzazione del Manuale
Innanzitutto, nella copia della Casanatense convivono diverse romanizzazioni. I
libri I-III e V-IX usano tutti la stessa romanizzazione, mentre il libro IV mostra
una situazione molto confusa, pertanto quest‟ultimo non sarà tenuto in
considerazione nella seguente analisi.
6.3.1 Grafemi iniziali del Manuale
Negli otto libri considerati (I-III, V-IX), l‟uso dei grafemi iniziali è decisamente
stabile e omogeneo; l‟inventario dei grafemi iniziali può essere descritto come
segue:
Grafemi iniziali del Manuale
Manuale
IPA Attacchi/Nuclei
ç, ç‟ /ts/, /tsh/ %
ch, ch‟ /tʃ/, /tʃh/ %
f /f/ %
g /ŋ/-/ʔ/ (-a, -e, -o, -u)
j /ʒ / %
h /x/ %
k, k‟ /k/, /kh/ %
l /l/ %
m /m/ %
n /n/ %
p, p‟ /p/, /ph/ %
s /s/ %
t, t‟ /t/, /th/ %
v /v/-/ʋ/ %
x /ʃ/ %
105
Rispetto al set di fonemi iniziali di riferimento, si nota lo stesso grado di
corrispondenza biunivoca tra grafia e suono già osservato per lo XREMZ di
Trigault; i grafemi iniziali del Manuale sono infatti esattamente gli stessi della
romanizzazione di Trigault: 20 grafemi per 20 probabili fonemi.
6.3.2 Tipi grafici delle rime del Manuale
È sul piano delle rime che si nota la sostanziale differenza tra questa
romanizzazione e quelle precedentemente incontrate. Si osservi la seguente
tabella riassuntiva:
Tipi grafici delle rime del Manuale
V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC
-a -ai(ay); -ang; -an;
-ao
-e
-e˙
-eng; -en; -eu -eang; -eao
-y -ia;
-ie; -ie˙ -ing; -in;
-io; -iu; -iu˙
-iai(iay); -iang; -iao;
-ien; -ieu;
-iue; -iung; -iun
-iuen
-o
-o˙
-oa; -oe -oai; -oang; -oan
-oei; -oen
-u
-u˙
-ua; -ue; -ui; -ung;
-un; -uo
-uai; -uang; -uan;
-ueng; -uen; -uon
ul
Come è evidente, la novità risiede nella comparsa di un digramma -ng in coda
di sillaba per /ŋ/, al posto del grafema -m utilizzato nelle romanizzazioni
precedenti. Si vedrà in seguito che questa caratteristica tenderà a rimanere
costante in tutte le romanizzazione usate da ispanofoni.
Altra particolarità interessante è il grafo -y per /i/ costante in finale di sillaba (es.
ly, ty, chy), mentre si trova l‟allografo -i- nei casi in cui vi sia una coda (es. xin, jin)
oppure nei dittonghi (es. iang, kien, çai, nui).144
144
Escluse le rarissime occorrenze di una finale -ay o -iay
106
La resa ul per /ɚ/ è un altro punto di contatto con Trigault, nonché un'altra
caratteristica che rimarrà costante nei sistemi spagnoli.
Alcune rime grafiche potrebbero essere interpretate come forme allografe
contestuali (es. -oang/-uang, -uan/-uon). In generale, il numero dei tipi grafici è
pari almeno a 50, compatibile con l‟inventario di riferimento di 50/55 rime
fonologiche.
6.3.3 Diacritici del Manuale
La romanizzazione è completa di tutti i diacritici presenti negli altri sistemi,
utilizzati altresì in maniera molto simile.
Il diacritico per l‟aspirazione delle iniziali, anche qui, è un gancetto ( c ), la cui
posizione risulta molto regolare: è posto sempre sull‟ultimo grafo della sillaba
(es. çinc, tac, tungc ), così da lasciare spazio agli altri diacritici sovrascritti.
Tra questi, si individuano le solite 5 marche tonali: ˉ, ˆ, `, ´, ˘, l‟ultima resa qui in
forma arrotondata ( ˘ ) e non curva ( ˇ ). I segni per i toni sono sovrascritti alle
sillabe, posizionati prevalentemente verso la parte finale, sconfinando solo in
rari casi sull‟iniziale.
Si ritrova anche nella romanizzazione del Manuale l‟uso del puntino, che ormai
sappiamo essere un diacritico per la modifica dell‟apertura vocalica. In questo
sistema, il puntino compare solo soprascritto ( ˙ ), andando a combinarsi con gli
altri diacritici in maniera abbastanza regolare, pur occorrendo alcune variazioni
libere (d‟altronde si tratta di un manoscritto): cfr. ad es. çuˊ, çú˙ e çu .
6.3.4 Ulteriori particolarità del Manuale
Come si è detto, il libro IV del Manuale impiega romanizzazioni diverse dal resto
del documento. Per la prima parte del libro IV si riscontra un sistema simile a
quello che sarà descritto in seguito come Diaz2 (v. infra), mentre nella seconda
parte del libro IV si trova un sistema ancora modificato, di apparente ispirazione
italofona.
107
Un foglio dell‟esemplare del Manuale pro Missionariis
(ca. 1640) attribuito a Morales, conservato all
biblioteca Casanatense di Roma. Come si nota, questo
esemplare non reca i caratteri cinesi, ma solo le
romanizzazioni. Apparentemente, le colonne di destra
sono state lasciate vuote per aggiungervi
successivamente i caratteri.
6.4 Vocabulario de Letra China
Sebbene il dizionario di Diaz negli ultimi anni sia stato indirettamente oggetto
di osservazione da parte di alcuni studi,145 non è ancora stato pubblicato uno
studio omnicomprensivo, né del contenuto lessicografico, né del suo sistema di
romanizzazione.146
Del dizionario cinese-spagnolo attribuito a Diaz, le fonti bibliografiche citano
almeno quattro esemplari manoscritti:
145
In particolare, Giuliano Bertuccioli, nell‟Opera Omnia, vi fece spesso riferimento per la
romanizzazione usata da Martini nella sua grammatica, in quanto prese in considerazione la
copia conservata a Glasgow denominata “grammatica A”, riproduzione effettuata da T.S. Bayer
di un manoscritto di Mentzel originariamente conservato a Berlino, interpolandola con alcune
parti dell‟altro esemplare denominato “grammatica B”, copia Bayeriana della sezione
grammaticale contenuta nella Clavis Sinica di Mentzel. In quest‟ultimo esemplare, l‟elenco
iniziale delle sillabe di base del cinese era rieditato da Mentzel, che utilizzò la romanizzazione di
Diaz a sostituzione di quella di Martini. Inoltre, alla fine dell‟elenco compare il riferimento
esplicito al dizionario di Diaz: “[…]hac sunt voces omnes monosyllabicae Chinesium, quae in
Vocabulario Hispanico P. Duez inveniuntur[…]” 146
Nel 2005 e, più recentemente, nel 2009, lo studioso giapponese Hiroshi Ishizaki ha
pubblicato due “anteprime” del suo progetto di riedizione del dizionario di Diaz, consistente in
una trascrizione completa dell‟esemplare conservato alla Biblioteca Jagiellonska di Cracovia (cfr.
infra); negli articoli di Ishizaki compaiono osservazioni sparse sulla romanizzazione, ma lo
studioso si concentra sulla struttura generale dell‟opera e sul contenuto lessicale.
108
1) Diccionario de Lengua Mandarina, cuyo primer author fue el R.P. Fr.
Francisco Diaz Religioso Dominico anadido despues por los RR.PP. desta
Mission de Sancto Domingo. Trasladado, emendadas algunas tonadas de
otras conforme a los diccionarios chinicos Por Fr. Antonio Diaz.
Questo esemplare è indicato come conservato in forma manoscritta
presso la Biblioteca Nazionale di Parigi. 147 Nel titolo presente nel
frontespizio compare il nome di un altro domenicano spagnolo, Antonio
Diaz,148 a cui si fa riferimento come rieditore del dizionario.
2) Vocabulario de Letra China con la Explicacion Castellana hecho con gran
propriedad y abundancia de palabras por el Padre F. Francisco Diaz de la
Orden de Predicadores ministro incansable en esto Reyno de China.149
Questa copia è indicata in tutte le fonti bibliografiche come conservata
alla Biblioteca Regia di Berlino fino alla seconda guerra mondiale, dopo la
quale molti hanno dato l‟esemplare del dizionario per disperso. In realtà
ora si trova presso la Biblioteca Jagiellonska di Cracovia; 150
147
Cfr. CORDIER (1966:III:1629); THEUNISSEN (1943) cita STREIT (1931:V:966); GONZALEZ
(1966:V:152). Tutti indicano la collocazione dell‟opera come: MS. fond chinois n. 2157;
sfortunatamente, nel catalogo del fondo cinese della Biblioteca Nazionale di Francia, a questa
collocazione corrisponde un‟altra opera, e nel catalogo non è stato possibile reperire il record
del dizionario neanche in altre collocazioni; cfr. COURANT (1910:128-129), 148
Le notizie biografiche relative ad Antonio Diaz (1667-1715), O.P., appaiono scarse e lacunose.
Era spagnolo, nato nella cittadina di Nueva, nei pressi del comune di Llanes, appartenente al
principato autonomo delle Asturie, situato nella costa spagnola settentrionale. Studiò presso il
convento di san Pablo di Valladolid, partendo per le Filippine (Provincia del Santo Rosario) nel
1699. Nel 1707 fu espulso dalla Cina in concomitanza con l‟emissione dell‟editto imperiale di
Kangxi, che egli non sottoscrisse come la maggior parte dei missionari domenicani e francescani.
Tornando in Europa passò anche per Roma, dove portò la propria testimoninza alla Santa Sede
sulla situazione delle missioni cinesi e in particolare sul problema dei riti. 149
Segn: Ms. sin. 13 150
La maggior parte delle fonti bibliografiche che riportano la collocazione fisica di qualche
esemplare parla della Biblioteca Regia, ma si tratta quasi esclusivamente di fonti precedenti alla
seconda guerra mondiale. La connessione tra i manoscritti cinesi di Berlino e la Biblioteca
Jagiellonska è stata scoperta da G. Bertuccioli nell‟analisi dei manoscritti esistenti della
grammatica cinese di Martino Martini, cfr. Bertuccioli (1998:vol.II); anche CORDIER (1966:III:1634)
109
3) Vocabulario de Letra China con la Explicacion Castellana por el Padre Fr.
Francisco Diaz. Questo esemplare, conservato presso la Biblioteca
Vaticana, dovrebbe essere una copia del precedente, fatta fare da
Antonio Montucci (1762-1829)nel 1816.151
4) Dizionario manoscritto cinese-spagnolo, disposto in ordine alfabetico. Con
caratteri cinesi. 326 pagine; comincia per “châ ta’n, interjeccion, suspirar”.
Finisce con “xùn, metiendo tornillo…”152
Conservato presso la Biblioteca Vaticana. Pur non avendo esaminato
personalmente l‟opera, a giudicare dalla nota di Pelliot, che riporta il
primo e l‟ultimo lemma, questo esemplare dovrebbe essere riconducibile
a Francisco Diaz, ma con una romanizzazione leggermente diversa.153
Pelliot non indica il possibile autore, mentre un‟altra fonte bibliografica
collega l‟esemplare al domenicano Antonio Diaz,154 indicandolo inoltre
come una copia corrispondente all‟esemplare della Biblioteca Nazionale
di Parigi (esemplare n.1)
L‟esemplare che prendiamo in considerazione nel presente studio è il n.2, cioè il
manoscritto del dizionario attribuito a F. Diaz dal già citato titolo Vocabulario de
Letra China con la Explicacion Castellana (abbr. Vocabulario),155 conservato oggi
a Cracovia ma proveniente da Berlino. L‟esemplare reca ancora i timbri della
Biblioteca Regia Berolingia, nonché l‟annessa scheda bibliografica originale. Fu
certamente tra le mani di Christian Mentzel (1622-1701),156 del quale sappiamo
151
Cfr. CORDIER (1966:V:3909) 152
cfr. PELLIOT & TAKATA (1995:54). Qui si riporta la traduzione del record “Borgia Cinese 503” 153
Se la nota di Pelliot riporta correttamente la trascrizione della prima sillaba come cha, la
presenza di questa iniziale ch- differisce dall‟esemplare di Cracovia (n.2) e dalla copia di
Montucci (n.3) che trascrivono invece ça, con un iniziale ç-. Per considerazioni più approfondite
sulla romanizzazione, cfr. paragrafi seguenti. 154
cfr. GONZALES (1964:V:152) 155
Un ringraziamento particolare va nuovamente al Prof. Federico Masini, per avermi fornito una
copia fotostatica realizzata da lui personalmente a partire dal microfilm del manoscritto. 156
Christian Mentzel fu medico di Corte di Federico Guglielmo I nel Regno di Prussia; esperto
botanico, nonché riconosciuto come uno dei primi sinologi. Intrattenne rapporti epistolari con
referenti in Asia, dai quali ottenne materiali per lo studio della lingua e della cultura cinese.
Pubblicò solo tre opere di stampo sinologico: Sylloge Minutiarum lexici Latino-Sinico-
110
che lo utilizzò come materiale primario per lo studio della lingua cinese, quando
non aveva altro che questo vocabolario e una o più copie della grammatica
cinese scritta dal gesuita Martino Martini.157
Il Vocabulario si compone di 598 pagine, su ognuna delle quali compaiono 12
caratteri (3 colonne per quattro righe), esclusa l‟ultima pagina che ne conta solo
5, raggiungendo così un totale approssimativo di 7169 lemmi.158 Ogni lemma è
costituito da una sillaba romanizzata per indicare la pronuncia, il carattere
cinese scritto in buona calligrafia regolare e, al di sotto, la definizione in
spagnolo, ad esempio:
Çă 雑
Misturar, mistura, cosa misturada compuestas.
Mista .|.sĕ mistura de colores .|. luón perturbar
yám gen. de cosas minudas…t’ì compuestos,
mistos, çhú , vocabulario. .|. xî in illo tempore.
Com‟è possibile notare nell‟esempio riportato, all‟interno delle definizioni
occorre frequentemente l‟indicazione di composti (per lo più bisillabici)
contenenti il lemma, sostituito graficamente dal segno “.|.”; tuttavia i composti
compaiono solo in romanizzazione, non costituendo lemmi a sé stanti, ove la
struttura generale del dizionario prevede solo lemmi monosillabici. Non è però
Characteristici , Norimbergae, 1685; De Radice Chinensium Gin-Sen, in Miscellanea curiosa sive
Ephemeridum medico-physicarum Germanicarum Academiae Naturae Curiosorum, Dec II,
Annus V, Berlino, 1687, pp. 73-79; Kurtze Chinesische Chronologia order Zeit-Register Aller
Chinesischen Kaiser…, Berlino, 1696. Tuttavia, molti dei suoi lavori, rimasti manoscritti, sono
passati dalle mani di orientalisti successivi, tra i quali spicca Bayer (v. nota successiva), che non
mancarono di rieditarli e incorporarli nelle proprie pubblicazioni, citando quasi sempre la
provenienza Mentzeliana. 157
Cfr. BAYER (1730:I:70-71) [Praefatio] e LUNDBAEK (1986:76-80), [parziale traduzione inglese
dell‟introduzione del Museum Sinicum di Bayer] 158
In realtà bisogna notare due particolari: a) Gli ultimi lemmi posti nel giusto ordine alfabetico
(ultima sillaba xun) finiscono a pagina 597, che contiene solo 9 caratteri con pronuncia xun,
quindi il numero totale dei lemmi in ordine alfabetico sarebbe 7161; b) a partire dagli ultimi 3
lemmi di pagina 597, fino a metà di pagina 598, si contano altri 8 caratteri/lemmi aggiunti fuori
dall‟ordine alfabetico, seguiti appunto dall‟annotazione del copista “Todas as Letras son 7169”.
111
del tutto opinabile l‟osservazione di Ishizaki (2009), secondo cui il Vocabulario è
un dizionario di parole (cídiǎn 詞典) piuttosto che di caratteri (zìdiǎn 字典),159
anche se altri documenti studiati di recente potrebbero dimostrare l‟esistenza di
opere lessicografiche recanti veri e propri lemmi polisillabici già un ventennio
prima del dizionario di Diaz.160
Si potrebbe analizzare la romanizzazione usata nel Vocabulario in maniera
scevra da ogni altra considerazione sulla sua genesi e sulla struttura; tuttavia,
data l‟incerta datazione della copia presa in considerazione, nonché le lacunose
informazioni sull‟autore, sembra opportuno spendere del tempo per osservare
meglio gli indizi forniti dal dizionario, in quanto esso presenta alcune
caratteristiche che complicano sensibilmente l‟analisi. Il fatto che questo
dizionario sia passato attraverso copie e riedizioni, rende necessaria
l‟identificazione dell‟eventuale romanizzazione originaria, cercando di
distinguerla da quelle aggiunte o integrate successivamente.
In questo senso, si dovrà procedere a ritroso, partendo da tempi più recenti e
retrocedendo fino ad arrivare, auspicabilmente, ad identificare gli elementi
originari che rappresentano l‟embrione dell‟opera.
Dal momento che, in connessione ad alcuni esemplari del dizionario di Francisco
Diaz, compare la figura di un altro domenicano spagnolo, Antonio Diaz, vale la
pena considerare l‟eventuale apporto di quest‟ultimo al dizionario. Se per gli
esemplari n.1 e n.4, il riferimento ad Antonio Diaz è più o meno esplicito, così
non è per gli esemplari n.2 e n.3.
Visto che la presente analisi è condotta sull‟esemplare n.2, occorre valutare se
quest‟ultimo possa aver subito modifiche ad opera di Antonio Diaz; tuttavia,
come si è fatto presente nella breve nota biografica su questo secondo
domenicano,161 di lui sappiamo che partì per la Cina nel 1699, tornando in
Europa nel 1707. Ma, come si vedrà nei capoversi seguenti, l‟esemplare di
Cracovia (appunto il n.2) era già in Europa almeno dieci anni prima che Antonio
Diaz partisse per la Cina, in quanto Mentzel ne era in possesso fin dagli ultimi
159
cfr. ISHIZAKI (2009:1[92]) 160
V. RAINI, E., An anonymous Chinese-Portuguese Dictionary. An Analysis of its Romanization
and Lexicon, and an Attempt of Dating, (6th
EACL conference, 2009), [non pubblicato] 161
cfr. nota n.148, notizie biografiche su A. Diaz
112
anni „80 del 1600. Pertanto, possiamo escludere qualsiasi intervento di Antonio
Diaz sull‟esemplare preso in oggetto dal presente studio.
Appare funzionale continuare l‟analisi degli interventi esterni parlando quindi di
Christian Mentzel, per verificare o escludere un suo eventuale intervento sulla
romanizzazione.162
Per mostrare i segni dell‟appartenenza a Mentzel, basta elencare alcune
particolarità del Vocabulario e fare un confronto con altri manoscritti
Mentzeliani conservati a Cracovia, tra cui un glossario intitolato Lexicum Sinico-
Characteristico (da qui in poi Lexicum) e una breve grammatica intitolata Clavis
Sinica (da qui in poi Clavis).163
Nel Vocabulario si notano alcune stranezze ed errori, che possono aiutare a
provare l‟utilizzo fattone da Mentzel come fonte; ad un semplice confronto tra il
Vocabulario e i primi lavori lessicografici di Mentzel, si nota come gli errori
presenti in questa copia del dizionario abbiano influenzato anche il Lexicum e la
Clavis. Ad esempio, nella tabella che segue sono riportati alcuni lemmi del
Vocabulario elencati sotto la pronuncia kī, dai quali si evince chiaramente un
errore di copia (o compilazione?), in quanto i caratteri e le definizioni
corrispondenti sono sfalsati di una riga:
162
cfr. nota n.156, notizie biografiche su C. Mentzel 163
Alla Jagiellonska sono conservati molti documenti appartenenti a Mentzel, originariamente
preservati a Berlino; in particolare si ricorda la Clavis sinica (Ms. sin. 14), un manoscritto di circa
130 pagine, precedute da un frontespizio a stampa, una dedica e una prefatiuncola, sempre
stampate. Si tratta di una rielaborazione della grammatica cinese di Martino Matini (v. capitolo
successivo). Questo manoscritto coincide in larga misura, per non dire totalmente, con la copia
fattane da Bayer e conservata ora a Glasgow (la “grammatica B” di Bertuccioli). Nella
prefatiuncola, Mentzel specifica la fonte di cui si è servito per compilare la tavola dei radicali
contenuta nella Clavis: “…quod Classis haec sit disposta secundum A.B.C. Dictionarii Hispanici, […]
Autor Dictionarii Hispanici autem dicitur DIATZ […]”, segue poi il titolo del dizionario,
perfettamente coincidente con quello dell‟esemplare n.2 elencato all‟inizio del presente
paragrafo; il secondo gruppo di documenti Mentzeliani che vale la pena di ricordare è raccolto
sotto il nome di Miscellanea Sinica Mentzeliana, contenente un Lexicum Sinico-Characteristico
Latino, ovvero un piccolo glossario di caratteri ordinati alfabeticamente secondo la pronuncia
romanizzata da ça a xun, per un totale di circa 50 pagine. La romanizzazione è coerente con
quella del dizionario di Diaz, che è chiaramente la fonte principale usata da Mentzel nella
compilazione del glossario.
113
Pag. Romaniz. Cin. Def. Spagnole [agg. Latino]
p.292 kī 饑164 Hambre [agg. Famis]
id. kī 飢 Tú.|. Hambre. f. |.gó hoām niên. Ano an
Cohecha de Hambres
id. kī 譏 Carne, ut distinguitur acuero165
id. kī 基 Lastima con palabras. [agg. Afflictio
verborum, Calumnia]
p.293 kī 鶏 |.Chì. Çimiento. Fundamento & In
moralibus, ut S. Pedro de la Yglesia.
Teng.|. Coronarse el Principe por Rey
[agg. Gallus S.ul]
id. kī 畸 |. Mù. Gallina ?sapos? de comer. Tién.
^. l . Xuì. ^ . Son ranas .|. Lûng.
Gallinero -.|. Mîng Cantar do gallo.
id. kī 剞 Cossa admirable, rara, digna de
estimaçion, ya aprecio.
id. kī 奇 Abrir con cuchillo, ut letras
id. kī 箕 De uno en uno mudar se, ut de
los ?quartos?
id. kī 幾 Pó .|. Cribo, criba, espuerta de basura .
xāo .|. Fuon .|. Idem
id. kī 畸 166 Por poco, aliquis a.d.
164
Questo lemma 饑 (jī) ed il successivo 飢 (jī) sono sostanzialmente due forme allografe per la
stessa parola, col significato di “fame”. Secondo la consuetudine interna del dizionario, solo il
primo carattere avrebbe dovuto possedere una definizione completa, mentre il secondo avrebbe
plausibilmente presentato l‟indicazione “idem” oppure “ut supra”. 165
La definizione recita “Carne, ut distinguitur ?acuero?”, il cui carattere corrispondente potrebbe
essere 肌 (jī) “muscolo” (carne), che invece non compare affatto tra i lemmi del dizionario, pur
essendo un carattere abbastanza comune. Ciò lascerebbe pensare che il copista abbia
commesso l‟errore a partire da qui, saltando questo carattere, dopo avere diviso due caratteri
(饑 jī e 飢 jī) che andavano accorpati, rendendoli invece in due lemmi separati (cfr. nota
precedente). Qui come in altre definizioni si nota una “incursione” latina, della quale è difficile
stabilire la paternità. La grafia è quella che scrive (o copia) tutte le altre definizioni in spagnolo,
sensibilmente differente dalla grafia di Mentzel, che compare qua e là in annotazioni sparse;
molto probabilmente è quella del copista stesso.
114
Se si estrapolano alcuni elementi dal Lexicum, ci si accorge di evidenti
corrispondenze con il Vocabulario; ad esempio, nel Lexicum Mentzel fa
corrispondere al carattere 奇 la traduzione “razum!” (difficile capire in quale
lingua, forse boemo, o ceco?) probabilmente connessa all‟errore nel Vocabulario
che fa corrispondere a 奇 la definizione “Abrir con cuchillo, ut letras”, in realtà
riferentesi al lemma precedente 剞 (jī, un tipo di lama), dunque “?rasoio?”.
Che le numerose annotazioni presenti in tutto il dizionario siano opera di
Mentzel, è cosa abbastanza semplice da verificare, anche solo ad un primo
confronto calligrafico. Nella tabella seguente sono riportati alcuni esempi di
comparazione tra le note presenti nel vocabolario e elementi estratti dagli altri
lavori di Mentzel, in particolare la Clavis e il Lexicum:
Diaz Vocabulario
(note)
Mentzel miscellanea sinica Cracovia
(Lexicum Sinicum, Clavis Sinica)
p.340 Kium, Vacuum
Lexicum
Kium, Vacuum
Clavis
Kium, Vacuum
p.531 Teu, Pugna
intensa
Lexicum
Teu, Pugna intensa
Clavis
Teu, Pugna intensa
p.494, Sie, Serpens Lexicum
Xe, Anguis, je t‟iao (i.e)條 ?unus? Serpens?
p.92, Chi, vermis […?]
grammatica universalis
chi, ?vermium? genera
166
Questi due lemmi, recanti il carattere 畸 (jī) che all‟epoca si considerava ancora allografo di 奇
(qí, jī) “meraviglioso, raro, strabiliante”, sono quindi una ripetizione. Tuttavia, se nel primo caso la
definizione, pur sfalsata di un posto, corrisponde al carattere (“Cossa admirable, rara…”), nel
secondo caso il carattere non corrisponde ad un‟altra definizione, neanche a cercarla sfalsata di
posto. Infatti alla seconda occorrenza del lemma 畸 segue il lemma 璣 (jī) “perla irregolare”, con
una definizione coerente “Diamante, no redondo”.
115
Ad ogni modo, il contributo di Mentzel a questa copia del Vocabulario di Diaz
sembra consistere per lo più in annotazioni sparse e ben riconoscibili, che non
dovrebbero aver alterato o confuso la struttura generale, né tantomeno
intaccato o modificato la romanizzazione.
Chiarità l‟entità dell‟intervento di Mentzel, resta da valutare se altre persone,
prima di lui, abbiano messo mano al dizionario di Diaz modificandolo e, se sì, in
che misura ciò sia avvenuto.
È certamente possibile fare delle considerazioni sul copista, sugli eventuali
interventi di quest‟ultimo all‟interno delle definizioni, come sulla struttura intera
dell‟opera. Ad esempio, non solo si osservano numerose “intromissioni” latine
all‟interno delle definizioni spagnole, ma si nota anche che lo spagnolo usato in
tutto il dizionario è spesso “sporcato” dal portoghese, forse lingua madre del
copista. Ciò è stato notato da un altro osservatore, anonimo, che ha lasciato due
brevi note in spagnolo all‟inizio e alla fine del dizionario:
“La ortografia castellana de este diccionario es defectuosa. El copista era o un escolar
ordinario, o fraile, o hombre del vulgo. Usa a menudo de la mala abbreviatura […], mudar
de escribir embarazosas para lor que no porden muy bien el castellano.[…]”167
“En castellano deberia decir: Todas las letras son 7169. En portugues: Todas as letras saõ
7169” 168
Difficile accertare se la responsabilità di questo spagnolo scorretto sia da
attribuire al copista oppure all‟originale stesso. Certo è che il copista doveva
essere familiare anche con il latino, visto l‟utilizzo che ne fa a scopi didascalici,
creando una sorta di legenda per facilitare la lettura del dizionario con
nomenclature quali “idem” o “ut supra” o “vide”. Comunque, non sembra che
l‟apporto del copista possa aver influenzato più di tanto la romanizzazione.
167
Questo è un estratto della nota anteposta alla prima pagina del dizionario, nella quale il
nostro osservatore anonimo critica l‟ortografia spagnola del copista, indicando la presenza di
numerosi errori. 168
Questa è invece la nota di chiusura, verosimilmente dello stesso osservatore ignoto (stessa
grafia), che fa riferimento alla frase che appare sull‟ultima pagina del dizionario “Todas as letras
son 7169”. Qui, l‟attento osservatore nota un miscuglio di spagnolo e portoghese, riportando
separatamente le due forme corrette per rendere la frase nelle due lingue.
116
Sebbene sia molto probabile che il corpo del dizionario, in particolare le
definizioni, possa fornire tutti gli indizi necessari per chiarirne la genesi e le
peripezie, le informazioni più immediate riguardo alla possibile rielaborazione
ad opera di più compilatori ed editori ci sono offerte proprio dalla
romanizzazione del Vocabulario e dalle stranezze che essa presenta.
6.5 Romanizzazioni del Vocabulario (Diaz1, Diaz2)
Nel Vocabulario di Diaz, le sillabe cinesi in forma romanizzata compaiono in due
diverse posizioni:
1) nei capilettera dei lemmi, affianco al carattere cinese di cui rappresentano
la pronuncia;
2) all‟interno del testo delle definizioni dei lemmi, ad indicare la pronuncia
di eventuali composti.
La prima particolarità che risalta è che il sistema di romanizzazione usato nei
capilettera è differente da quello usato per le pronunce dei composti all‟interno
delle definizioni; o meglio, nei capilettera compare un solo sistema di
romanizzazione, mentre nelle definizioni appaiono mescolati due diversi sistemi:
uno coerente con quello usato nei capilettera, un altro piuttosto differente. Si
osservino i seguenti esempi a scopo illustrativo:
Çái 在 Ç’ām 滄
Estar en lugar, en vivir, ser, segun que dice
exista o estar en algu lugar. La virtud çhái xáng
en cimas Consistir ut xén çháy xèu kiái la virtud
consiste en guardar los mandamientos. .|. go
esta en mi mano.
.|.hay. Mar pelagus perfundo. .|.pō olas de
mar. .|.mâng el mar alto, el Oceano. .|..|. idem.
Si nota subito che, nel primo esempio, la pronuncia çái del capolettera si
trasforma in çhái/çháy all‟interno della definizione, mentre da entrambi gli
esempi ci si accorge che una stessa rima /-aŋ/ viene resa sia con -am (ç’ām), sia
con -ang (xáng, mâng), concependo quindi una coesistenza dei due grafemi
finali -m e -ng, assolutamente improbabili all‟interno di uno stesso sistema.
117
Il fenomeno non è limitato a pochi lemmi, bensì si riscontra per circa la metà
delle definizioni. È sembrato quindi corretto, da un punto di vista metodologico,
analizzare i due sistemi separatamente, per poi tentare delle ipotesi sulle
possibili ragioni di questo “mescolamento”.
Il sistema di romanizzazione usato nei capilettera sarà chiamato “Diaz1”, mentre
quello riscontrabile nelle definizioni sarà definito “Diaz2”.
6.5.1 La romanizzazione dei capilettera del Vocabulario (Diaz1)
Per i capilettera del Vocabulario è stata utilizzata una romanizzazione ascrivibile
al filone basato sulla pronuncia portoghese, nonostante il fatto che, negli anni a
cui si fa risalire la presunta compilazione del dizionario di Diaz (ca. 1642),
doveva esistere già una tradizione di romanizzazione del cinese su base
ispanofona, come ipotizzato nei paragrafi precedenti riguardo al Manuale pro
Missionariis, ma anche come testimoniato da alcune opere linguistiche
riguardanti i dialetti cinesi parlati nel Fujian, a Taiwan e nelle Filippine, per lo più
ad opera di missionari appartenenti ad ordini mendicanti, ma anche di gesuiti.169
Dal momento che Francisco Diaz era un frate domenicano e di nazionalità
spagnola, ci si sarebbe aspettato da parte sua l‟utilizzo di una romanizzazione
ispanofona, piuttosto che quella di ispirazione portoghese riscontrabile invece
nei capilettera del Vocabulario.
La certezza che i seguenti elementi, e solo questi, costituiscano il sistema Diaz1,
ossia la sicurezza di poter individuare tutti i suoi elementi, è data in una certa
misura dal fatto che la romanizzazione è stata adottata per i capilettera dei
lemmi. La natura del Vocabulario, trattandosi esso di un dizionario cinese-
spagnolo con un considerevole numero di lemmi (più di 7000, dai quali è
possibile estrapolare oltre 520 tipi sillabici di base), implica verosimilmente che
l‟autore abbia compilato almeno un lemma per ogni sillaba esistente al tempo,
169
Si ricordano, ad esempio, la grammatica Arte de la Lengua China (ca.1600-1650) di Juan Cobo,
agostiniano; il Bocabulario de la Lengua Sangleya (ca. 1600-1650) di Domingo De Nieva,
domenicano; il Dictionarium Sino-Hispanicum di Pedro Chirino (1604); sull‟argomento, cfr. Van
Der Loon (1966, 1967) e Kloeter (2008)
118
sfruttando quindi tutte le iniziali, tutte le rime e tutti i diacritici previsti dalla
romanizzazione.
Questa romanizzazione usata nel 99% dei capilettera, con poche eccezioni,
somiglia in modo indubbio al sistema dello XREMZ di Trigault; ciò si riscontra
per alcune particolarità dei grafemi iniziali, ma soprattutto per i tipi grafici delle
rime. Se ne dà conto nei paragrafi a seguire.
6.5.1.1 Grafemi iniziali di Diaz1
Come osservato per la romanizzazione del Manuale di Morales, anche per i
grafemi iniziali di Diaz1 è evidente la somiglianza con XREMZ:
Grafemi iniziali di Diaz1
Diaz1 (Capilettera) IPA Attacchi/Nuclei
ç,170 ç‟ 171 /ts/, /tsh/ %
ch, ch‟ /tʃ/, /tʃh/ %
f /f/ %
g /ŋ/-/ʔ/ (-a, -e, -o, -u)
j /ʒ / %
h /x/ %
k,172 k‟ /k/, /kh/ %
l /l/ %
m /m/ %
n /n/ %
170
Due lemmi elencati insieme ad altri sotto la pronuncia çie presentano un capolettera con la
forma alternativa çhie; i due lemmi in questione sono: p.25 嗟 (jiē) e 罝 (jiē) 171
In un caso, a p.26, al posto di ç’ie compare il capolettera çh’ie, come pronuncia del lemma
(chě); in un altro caso, a p.53, per il lemma 此(cǐ) al capolettera ç’u˙ è affiancata l‟alternativa
çh’u˙. In altri sette casi, la consonante iniziale ç’- nei capilettera è affiancata da una forma
alternativa ts’-; i lemmi interessati sono: p.33, con pronuncia ç’ieu, 酋, 囚, 泅, 遒, 蝤 (tutti qiú), che
recano l‟altro capolettera ts’ieu. A p.40, invece, sotto la pronuncia ç’iu si trovano gli altri due
lemmi 徐(xú) e 邪(xié, yé), recanti il capolettera alternativo ts’iu 172
In almeno cinque casi la consonante iniziale k- del capolettera presenta la forma alternativa
c-; alcuni dei lemmi interessati sono: 干, 幹 (entrambi gān) e 奸 (jiān), che riportano due
capilettera affiancati, kan e can. Altri due casi, un po‟ strani, sono: 感 e 敢 (entrambi gǎn), che
riportano sia il capolettera kan, sia un inaspettato cam.
119
p, p‟ /p/, /ph/ %
s /s/ %
t, t‟ /t/, /th/ %
v 173 /v/-/ʋ/ %
x /ʃ/ %
Escluse minime incongruenze e stranezze (segnalate in nota), la serie di grafemi
iniziali è praticamente identica a quella di XREMZ. Constano entrambe di 20
grafemi, in corrispondenza biunivoca con i 20 fonemi presi come riferimento.
I punti in comune più evidenti tra le iniziali di Diaz1 e quelle dello XREMZ sono:
- l‟uso di un solo grafema k- per l‟iniziale /k/ indipendentemente dalla
vocale seguente (a differenza della terna c-, k-, q- di RLS, portoghese);
- la resa grafica dell‟iniziale /ŋ/-/ʔ/ tramite il grafema g- (invece che il più
portoghese ng-); la resa di /ʒ/ con la sola j- (contro le portoghesi g-, j-);
- la presenza di una fricativa labiodentale sonora /v/ (o approssimante
/ʋ/)resa dal grafema v-, usata in modo distinto dalla vocale -u- (i due
grafi si confondono, invece, nei sistemi precedenti).
Nonostante queste strette somiglianze sul piano delle iniziali facciano già
pensare ad una connessione tra i due sistemi, esse non sono tuttavia sufficienti
a provare un legame “genetico” tra il Vocabulario di Diaz e lo XREMZ di Trigault,
giacché, come si è visto nei paragrafi precedenti, la stessa somiglianza si ritrova
anche nella romanizzazione del Manuale. Ciò che manca a quest‟ultimo, e che
invece compare nella trascrizione Diaz1, è una forte corrispondenza con XREMZ
anche per i tipi grafici delle rime, come illustrato nel paragrafo seguente.
173
Nello XREMZ, il grafema iniziale v- rivela la propria identità contrastiva sul piano fonologico,
in quanto si riscontrano caratteri con pronuncia u (es. 五, 午, 誤), opposti a caratteri con
pronuncia vu (es. 武, 舞, 誤), portando così a considerare per l‟iniziale v- un possibile valore
fricativo labiodentale sonoro quale /v/, oppure un‟approssimante labiodentale quale /ʋ/. L‟uso
del grafema v- nel Vocabulario è estremamente meno stabile e coerente di quello nello XREMZ;
si osservi, ad esempio, che il carattere 翁 (wēng) è trascritto coerentemente um in XREMZ,
mentre è reso con vm in Diaz. Ancora, per la pronuncia /ɚ/ si confronti la resa ul in XREMZ e vl
in Diaz.
120
6.5.1.2 Tipi grafici delle rime di Diaz1
L‟inventario delle rime descritte dalla romanizzazione Diaz1, usata negli oltre
7000 lemmi del Vocabulario, è reso tramite i seguenti 56 tipi grafici:
Tipi grafici delle rime di Diaz1
V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC
-a -ai; -am; -an; -ao(-iao)
-e
-e˙
-em; -en(-ien);
-eu(-ieu)
-eam; -eao
-i/j
(y-)
-ia(ya);
-ie(ye); -ie˙(ye˙);
-im(jm); -in(jn);
-io(yo); -io˙(yo˙);
-iu; -iu˙(yu˙)
-iai; -iam; -iao;
-ien; -ieu;
-iue(jue); -ium; -iun
-iuen
-o(uo)
-o˙(uo˙)
-oa; -oe -oai; -oam; -oan
-oei(ui); -oen
-u(v-)
-u˙
-ua; -ue; -ui; -um;
-un(-iun); -uo; (-vu)
-uai; -uam; -uan;
-uei(ui); -uem; -uen(-iuen);
-uon
vl
Sebbene il set delle rime del Vocabulario risulti meno stabile (ossia con un
rapporto grafia-suono meno biunivoco) di quello dello XREMZ, prevedendo
infatti alcune grafie alternative per certe pronunce,174 non è difficile constatare
l‟alto grado di somiglianza tra i due sistemi. In entrambi i casi si ha la stessa
quantità di tipi grafici di rime, più la sillaba a “statuto speciale” ul/vl per /ɚ/.
Ma il particolare più rilevante è certamente la resa della coda di rima /ŋ/ tramite
il grafema -m, di chiara origine portoghese, coerente con le rime della
romanizzazione XREMZ e inaspettato da parte di un ispanofono, quale era Diaz.
174
Suggerite in piccolo a fianco dei capilettera principali, e qui riportate tra parentesi.
121
6.5.1.3 Diacritici di Diaz1
Anche il sistema Diaz1 sembra dotato di tutti i diacritici già noti. La marca
dell‟aspirazione, rappresentata da un gancetto ( c ), che in Diaz è soprascritto
alla parte finale della sillaba, reso qui, per convenzione, subito dopo il grafema
iniziale.
Per quanto riguarda i toni, ne compaiono 5, annotati attraverso altrettanti segni
grafici e solitamente sovrascritti all‟ultima lettera della sillaba: ˉ, ˆ, `, ´, ˇ, simili per
aspetto e funzione a quelli degli altri sistemi già analizzati.
In relazione agli altri diacritici, anche nei capilettera del Vocabulario si fa uso del
punto soprascritto ( ˙ ) alle vocali e˙, o˙, u˙, per indicarne una variazione nel
grado di apertura. È da notare, invece, che Diaz1 non prevede l‟uso del punto
sottoscritto alla u, presente invece in XREMZ.
Non è stato possibile dare spiegazione di un altro segno, che compare spesso
ma, apparentemente, in maniera piuttosto casuale; si presenta come un
cerchietto ( ° ) soprascritto alla sillaba, e per il momento non sembra facile
individuarne l‟eventuale valore discriminante.175
6.5.1.4 Ulteriori particolarità di Diaz1
Nei capilettera del Vocabulario compaiono alcune sillabe che, oltre ad essere
romanizzate secondo un altro sistema, sembrano anche descrivere pronunce
diverse dal Mandarino. Studi più approfonditi potranno certo individuare
l‟eventuale dialetto di riferimento, intento che esula dagli scopi di questa ricerca.
Si elencano, tuttavia, alcune di queste sillabe a scopo illustrativo:
Esempi di lemmi del Vocabulario di probabile origine dialettale
gu/fu, (污, 午, 吾). jin/nin, (任, 認); kiai/guei, (街, 解);
hec, (黑); kia/que, (價, 嫁); kia/ca, (袈, 甲);
huk, (核); kiai/cay, (皆, 階, 偕, 喈); kia/quia, (迦);
175
Nemmeno ISHIZAKI (2005, 2009) sembra comprendere il significato di questo possibile
diacritico aggiuntivo, tanto da non tenerne conto nella sua trascrizione del Vocabulario,
addirittura senza farne alcuna menzione in nota.
122
6.5.2 La romanizzazione nelle definizioni del Vocabulario (Diaz2)
La quantità delle sillabe romanizzate secondo questo secondo sistema è tale da
non poter far pensare a errori casuali; se ne compie infatti un uso sistematico
nel 40-50% delle definizioni dei lemmi; tuttavia, giacché nelle definizioni questo
sistema compare mescolato al precedente (Diaz1), per di più condividendo con
esso una grande percentuale di forme sillabiche graficamente identiche, non è
un‟operazione semplice riuscire a delineare con precisione le caratteristiche del
sistema.
Per individuare le sillabe appartenenti a questo sistema si è usato questo
principio: se in una certa definizione compare una sillaba con elementi
chiaramente estranei a Diaz1 (ad es. un grafema iniziale çh- o una coda -ng), si
considera che in quella definizione tutte le sillabe romanizzate appartengano ad
un altro sistema, in questo caso a Diaz2. Ad esempio, si rivedano i due lemmi
illustrativi proposti in apertura del paragrafo:
Çái 在 Ç’ām 滄
Estar en lugar, en vivir, ser, segun que dice
exista o estar en algu lugar. La virtud çhái xáng
en cimas Consistir ut xén çháy xèu kiái la virtud
consiste en guardar los mandamientos. .|. go
esta en mi mano.
.|.hay. Mar pelagus perfundo. .|.pō olas de
mar. .|.mâng el mar alto, el Oceano. .|..|. idem.
In entrambi compare una sillaba con coda -ng (xáng, mâng), nonché una sillaba
con iniziale çh- (çháy); poiché queste sillabe sono estranee al sistema Diaz1, e
poiché si reputa che in una stessa definizione il compilatore abbia
verosimilmente usato un solo metodo di romanizzazione, si considerano tutte le
altre sillabe che appaiono nella definizione (esclusi i capilettera) come sillabe
possibili di Diaz2.
Inoltre, chi scrive ha usufruito anche di un altro riferimento: poiché gli elementi
della romanizzazione Diaz2 che hanno richiamato l‟attenzione nelle definizioni,
in quanto differenti da Diaz1, sono altresì previsti nelle romanizzazioni
ispanofone usate da alcuni autori posteriori, tra cui Francisco Varo e Basilio
123
Brollo (v. infra, capitoli dedicati), nella ricostruire il sistema Diaz2 si sono tenuti
presenti anche questi sistemi di romanizzazione successivi.
6.5.2.1 Grafemi iniziali di Diaz2
Secondo i suddetti criteri, è stato possibile ricostruire l‟inventario dei grafemi
iniziali della romanizzazione Diaz2 come segue:
Grafemi iniziali di Diaz2
Diaz2
(Definizioni) IPA Attacchi/Nuclei
çh, çh‟ /ts/, /tsh/ %
ch, ch‟ /tʃ/, /tʃh/ %
f /f/ %
g /ŋ/-/ʔ/ (-a, -e, -o, -u)
h /x/ %
j /ʒ/ %
k, k‟ /k/, /kh/ %
l /l/ %
m /m/ %
n /n/ %
p, p‟ /p/, /ph/ %
s
*ç176 /s/
%
(-u˙)
t , t‟ /t/, /th/ %
v /v/-/ʋ/ %
x /ʃ/ %
Come si nota, la differenza con le iniziali di Diaz1 (e quindi anche con XREMZ)
non è poi molta, consistendo sostanzialmente nel passaggio da un grafema ç- al
176
Nei successivi sistemi ispanofoni compare un grafema ç- con valore /s/, quindi si è cercato di
verificare se anche Diaz2 lo prevedesse. In alcune definizioni, dove compaiono elementi di Diaz2,
sono state reperite alcune occorrenze di sillabe çu˙, il cui grafema iniziale dovrebbe appunto
valere /s/. Tuttavia, non disponendo dei caratteri cinesi corrispondenti alle romanizzazioni, non
si può affermare con certezza a quale pronuncia facesse riferimento la sillaba çu˙, che
124
digramma çh- per indicare la consonante iniziale con probabile valore affricato
dentale /ts/; contestualmente, il grafema ç- cambia valore, rappresentando una
probabile fricativa dentale /s/. Nonostante la presenza di quest‟ultimo grafema,
allografo di s-, anche questo sistema di iniziali gode di una buona
corrispondenza grafia-suono, con un rapporto di 20/21 grafemi per 20 fonemi.
6.5.2.2 Tipi grafici delle rime di Diaz2
Alle particolarità delle iniziali che divergono da Diaz1 e XREMZ, si aggiunge
invece una differenza sostanziale che compare nelle rime, ovvero la presenza di
un digramma finale -ng per trascrivere la finale /ŋ/, assente invece nella
romanizzazione dei capilettera del Vocabulario e nello XREMZ, dove si trova
bensì la forma portoghese -m. Il primo incontro con questo digramma -ng si è
fatto nell‟analisi del sistema del Manuale di Morales, e di esso si è detto che sarà
una costante in tutti i sistemi ispanofoni successivi.
Nella tabella seguente è descritto il sistema di rime di Diaz2, ricostruito sulla
base delle sillabe reperite nelle definizioni in base ai criteri sopra illustrati, ma
anche integrato sulla base dei sistemi spagnoli successivi (Varo, Brollo):
Tipi grafici delle rime di Diaz2 (Ricostruzione)
V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC
-a -ai; -an; -ang; -ao
-e
-e˙
-en; -eng; -eu -eang; -eao
-i
(-y)
-ia;
-ie; -ie˙; -in; -ing
-io; -iu; -iu˙
-iai; ian; -iang; -iao;
-ien; -ieu;
-iue; -iun; -iung
-iuen
-o
-o˙
-oa;
-oe; -ou
-oai; -oan; -oang
-oei; -oen
-u(v)
-u˙
-ua; -ue; -ui; -ung;
-un; -uo
-uai; -uan; -uang;
-uei;
-uen; -uon
ul(vl)
125
Se si confronta questo inventario di rime con quello del Manuale, ci si accorge
della stretta somiglianza. Si contano 56 tipi grafici diversi, compatibili con
l‟inventario di rime fonologiche di riferimento.
6.5.2.3 Diacritici di Diaz2
Riguardo ai diacritici, anche la romanizzazione Diaz2 sembra completa. Si rileva
infatti lo spirito/gancetto come marca per l‟aspirazione, posta quasi sempre
sull‟ultima lettera della sillaba.
Sempre sul piano segmentale, ma spostandoci dalle consonanti alle rime, si
osserva la presenza del punto soprascritto ( ˙ ) alle vocali e, o, u, per indicarne
una variazione dell‟apertura, usato con le stesse modalità di tutte le
romanizzazioni precedenti.
Le marche per i toni coincidono con quelli degli altri sistemi sia nel numero che
nella forma, sono infatti riconoscibili i 5 segni grafici individuati anche nella
romanizzazione dei capilettera: ˉ, ˆ, `, , ˘, sovrascritti alla sillaba e generalmente
posizionati sulla parte finale della sillaba.
Particolare di una definizione del
Vocabulario (ca. 1640) attribuito a
Diaz. Ogni lemma presenta nel
capolettera la pronuncia romanizzata
con un sistema simile a quello di
Trigault (Diaz1), con accanto il
carattere cinese corrispondente. Nel
testo delle definizioni compaio dei
composti contenenti il carattere del
lemma, solo in romanizzazione. A
volte seguono il sistema Diaz1, simile
a XREMZ, altre,seguono un sistema
diverso (Diaz2).
126
6.6 Considerazioni finali sulle romanizzazioni di Morales e Diaz
Le fonti prese in esame per ricostruire i sistemi di romanizzazione
potenzialmente usati dai domenicani J.B. De Morales e F. Diaz fin dagli anni ‟30-
‟40 del 1600, ossia il Manuale pro Missionariis in Sinas e il Vocabulario de Letra
China con la Explicacion Castellana, presentano una certa difficoltà nel valutare
con certezza l‟aderenza di questi esemplari agli eventuali originali degli anni ‟30-
‟40. Il Vocabulario era in Europa prima del 1690, terminem ante quem per la
datazione di questa copia; il Manuale è invece una copia effettuata trail 1713 e il
1743. La distanza temporale dall‟epoca della compilazione degli originali rende
difficile stabilire con precisione quali elementi delle romanizzazioni siano da
collegare ai domenicani spagnoli e quali, invece, siano loro estranei.
Dall‟analisi comparata di queste due fonti, tuttavia, è possibile osservare una
cosa: è convinzione di chi scrive, che Morales e Diaz, avendo vissuto a stretto
contatto ed essendo stati attivi negli stessi anni e nelle stesse zone, debbano
aver studiato ed usato uno stesso sistema di romanizzazione, che doveva essere
allora in uso tra i membri della missione domenicana. Se confrontando le
romanizzazioni del Manuale e del Vocabulario si fosse trovato che uno stesso
sistema di romanizzazione era usato in entrambe le fonti, si sarebbe potuto
ipotizzareche quel sistema, con buona probabilità, fosse quello conosciuto e
usato da Morales e Diaz.
Ma, da quanto detto nei paragrafi precedenti, si evince invece la coesistenza, in
queste due fonti, di ben tre sistemi principali diversi: Manuale, Diaz1 e Diaz2, i
quali si somigliano e differiscono in modo incrociato. Riassumendo, il Manuale
possiede un set di grafemi iniziali uguale a Diaz1, ma l‟inventario delle rime
uguale a Diaz2.
Sembra improbabile che Diaz1, molto simile alla romanizzazione dello XREMZ
del gesuita Trigault, potesse essere uno standard usato dai domenicani (anche
perché non se ne trova più traccia in alcuna altra opera domenicana successiva);
Resta quindi da valutare se un sistema, tra il Manuale e Diaz2, possa coincidere
con quello realmente usato dai due domenicani.
Allo stato attuale della ricerca non è possibile stabilirlo con certezza. Occorre
certamente consultare altri esemplari del Manuale e del Vocabulario. Si tenga
presente, ad esempio, che in Golvers (1999), le citazioni dalla copia del Manuale
127
conservata alla BAMEP mostrano una romanizzazione diversa da quella usata
nella copia alla Casanatense; in particolare, una nota riporta che nell‟esemplare
della BAMEP compare una sillaba çhu,177 con un‟iniziale çh- che invece non
sarebbe prevista dalla copia della Casanatense.178 A seconda di quale sia la
datazione della copia del Manuale alla BAMEP, questo indizio potrebbe spostare
l‟ago della bilancia da una parte o dall‟altra.
Anche l‟analisi di altre copie del vocabolario attribuito a Diaz potrebbe certo
chiarire alcuni dubbi e ambiguità. Allo stato presente, è possibile solo
immaginare che Diaz, in quanto domenicano e spagnolo, abbia plausibilmente
utilizzato un metodo di romanizzazione conforme alle sue abitudini linguistiche;
la presenza della romanizzazione Diaz2 nelle definizioni, con l‟iniziale çh- e la
finale -ng, richiami alla grafia ispanica sarebbe coerente con il fatto che Diaz era
spagnolo e domenicano, se non fosse che questo sistema ispanico Diaz2
convive, nel Vocabulario, con il sistema Diaz1 ispirato allo XREMZ di Trigault.
177
Cfr. GOLVERS (1999:379:n.100) 178
Questo vale se si considera solo la romanizzazione dei libri I-III, V-IX; altrimenti, nel libro IV,
alcune occorrenze di iniziali çh- sono reperibili.
128
129
7.0 Martino Martini
Martino Martini nasce a Trento nel 1614; quando è adolescente studia in un
collegio dei gesuiti, trasferendosi a Roma nel 1632 per entrare nel noviziato
gesuita di Sant‟Andrea. Nel 1634 richiede al padre generale Muzio Vitelleschi
(1563-1645) di poter partire per le Indie, permesso che gli viene accordato
quattro anni dopo. Nel 1640 parte per la Cina, sbarcando a Macao nel 1642. Si
stabilisce a Hangzhou, spostandosi poi nel 1664 a Nanchino per ordine
dell‟allora vice provinciale Giulio Aleni (1582-1649); nello stesso anno i mancesi
rovesciano l‟impero Ming, fondando la nuova dinastia dei Qing, e Martini si
rifugia con altri confratelli alla corte meridionale della deposta famiglia
imperiale, presso Yanping (延平, Fujian), dove assiste alla conclusione della
guerra tra mancesi e cinesi, della quale scriverà nella sua De Bello Tartarico
Historia, pubblicata ad Anversa nel 1654.179
Nel 1646, in visita a Fu‟an (福安, Fujian), entra in contatto con la missione
domenicana stabilita in quella località, constatandone altresì le misere
condizioni materiali. L'occasione dà luogo a forti attriti con i missionari
mendicanti, specie in merito alle spinose questioni dei “riti cinesi”, per le quali i
due gruppi di missionari si scontravano ufficialmente già da qualche anno, dopo
che il vicario provinciale domenicano Morales, nel 1641, aveva presentato
un'interrogazione alla Santa Sede in merito, ottenendo un decreto papale a
sfavore dei gesuiti. Nel 1650, il padre provinciale Manuel Diaz (1574-1659) invia
Martini in Europa, al fine di difendere le ragioni della Compagnia presso
Propaganda Fide e di procacciare fondi e risorse per la missione. Durante il
viaggio Martini si dedica alla compilazione di molti scritti, utili a presentare le
cose della Cina al pubblico Europeo colto, tra cui potevano risiedere potenziali
sostenitori materiali e politici della missione gesuita in Cina.
Tra i vari scritti, alcuni molto consistenti, c'è una breve ma importante
grammatica della lingua mandarina, spesso ricordata con titolo di Grammatica
Sinica (da qui in poi GS), della quale Martini lascia a Batavia (oggi Giacarta, Giava)
una delle copie manoscritte durante il viaggio.
179
MARTINI (1654)
130
Nel 1653 sbarca infine in Norvegia, dopo numerose peripezie. Nel 1654, in
Olanda, Martini conosce lo studioso olandese Jacob Golius (1596-1667), al quale
lascia un‟altra copia della sua grammatica. Quando, nel 1655, Martini
pubblicherà ad Amsterdam la sua splendida opera geografica intitolata Novus
Atlas Sinensis (da qui in poi Atlas),180 vi sarà aggiunto in appendice uno scritto di
Golius, dal titolo De Regno Catayo Addimentum (da qui in poi Additamentum).181
Nel 1654 chiede di essere ricevuto dai cardinali di Propaganda per discutere
riguardo alla questione dei riti, e riesce a difendere la strategia missionaria della
compagnia in Cina; in seguito, nel 1656, un decreto del Papa Alessandro VII darà
ragione ai gesuiti, annullando il precedente decreto sfavorevole del „45.
All‟inizio del 1655, Martini pubblica la Brevis Relatio (da qui in poi Relatio),182
scorrendo in poche pagine gli eventi salienti della missione gesuita in Cina dalla
fondazione fino a quel momento.
Finalmente riparte con alcuni confratelli per tornare in Cina; sbarcano a Macao
oltre due anni dopo, nel 1658, e rimanendovi bloccati per molti mesi. Nel 1659,
quando lui si trova ormai in Cina, a Monaco viene pubblicata la sua Sinicae
Historia Decas Prima (da qui in poi Decas), storia della Cina dalle origini fino alla
nascita di Cristo.183
Nello stesso momento Martini torna a Hangzhou, dove concluderà la sua
esistenza nel 1661.184
7.1 Martini e la romanizzazione del cinese
Il gesuita Tridentino rappresenta un caso particolare nell'uso di differenti sistemi
di romanizzazione. Sia nella grammatica, sia nelle sue opere successive, Martini
utilizza abbondantemente parole cinesi in forma romanizzata; la prima parte
della grammatica illustra il sistema fonologico, sostanzialmente tramite un
180
MARTINI (1655a) 181
GOLIUS (1655) 182
MARTINI (1655b) 183
MARTINI (1659) 184
Le notizie bibliografiche sono tratte da DBI (2008:v.71), voce “Martino Martini”, a cura di
Masini F.
131
elenco di tutte le sillabe di base scritte in romanizzazione, aggiungendo delle
spiegazioni su come pronunciare alcuni suoni in particolare. È quindi presente in
quest‟opera un tentativo di tracciare, e forse standardizzare, il set grafico
necessario alla trascrizione dei suoni del mandarino. Al contrario, nelle altre
opere, le sillabe romanizzate compaiono all‟occasione,occasionalmente anche se
con frequenza molto alta, e funzionali principalmente alla menzione dei nomi
storici e geografici.
È chiaro quindi che esistono delle differenze tra l‟uso della romanizzazione nella
grammatica e negli altri scritti, dipendenti innanzitutto dalla diversa natura dei
lavori interessati: essendo la grammatica un‟opera di riflessione sulla lingua, la
romanizzazione impiegata in essa è più precisa, comprendendo anche i vari
diacritici quali l‟aspirazione e i toni; di contro, gli scritti storico-geografici
successivi si limitano generalmente a dar conto in modo approssimativo della
pronuncia dei nomi occorrenti nel testo latino.
Ma le differenze non si riducono al grado di precisione fonologica: innanzitutto
avviene, ad un certo punto, una variazione della grafia europea di riferimento, in
quanto la romanizzazione della grammatica è basata sulla pronuncia
dell‟alfabeto portoghese, mentre il sistema adottato negli altri lavori utilizza la
pronuncia spagnola dell‟alfabeto; esiste inoltre una differenza nel grado di
integrazione della romanizzazione nel testo latino, in quanto la grammatica
propone le parole romanizzate in una forma del tutto distinta dal cotesto, con
l‟intento principale di rendere la reale pronuncia cinese nel miglior modo
possibile, mentre in buona parte degli altri lavori si assiste ad un‟ulteriore grado
di latinizzazione delle parole cinesi, tanto che negli scritti storici esse sono
declinate per casi secondo le regole di accordo vigenti per i sostantivi latini.
Accanto alle opere principali, esistono altri scritti di Martini nei quali il
missionario ha fatto largo uso di nomi e termini cinesi in forma romanizzata; si
tratta ovviamente della sua produzione epistolare dal 1644 in poi, della quale si
conservano esemplari importanti in vari archivi europei.185 L‟osservazione della
corrispondenza di Martini è stata utile ai fini di questa ricerca, specie riguardo
alla questione del passaggio da un sistema di trascrizione all‟altro. Dalle lettere è
185
Ibid., paragrafo [Fonti].
132
molto evidente che il cambio di romanizzazione avviene repentinamente nel
febbraio del 1654,.186
Fino al 23 febbraio dello stesso anno, le lettere presentano esclusivamente
parole romanizzate secondo il primo sistema (portoghese), coerente con la
trascrizione usata nella Grammatica; al contrario, tutte le lettere dal 27 febbraio
1654 in poi utilizzano il secondo sistema, in accordo con le opere storico-
geografiche pubblicate da Martini in quegli anni.
In questo studio ci si riferirà pertanto alla prima forma di romanizzazione
usando la denominazione Martini1 (MM1), mentre si indicherà il sistema del
secondo periodo con Martini2 (MM2); dei due diversi sistemi di romanizzazione
si proporranno le descrizioni e il confronto, analizzando per entrambi l‟origine,
lo sviluppo e l‟eventuale influenza sui periodi successivi.
7.2 La romanizzazione della Grammatica Sinica (MM1)
Della grammatica cinese di Martini esistono alcune copie manoscritte,
riconducibili a periodi diversi a cavallo tra il XVII e XVIII secolo; fin‟ora, la
grammatica è stata studiata prendendo in considerazione le copie manoscritte
conservate tra Glasgow, Berlino e Cracovia, 187 le quali presentano fra loro
differenze interessanti, seppur sottili, per quanto riguarda la romanizzazione,
rendendo così più difficile stabilire quale fosse la modalità di trascrizione
originariamente usata da Martini.
186
precisamente si tratta della lettera del 27 febbraio 1654, scritta a Bruxelles da Martini al p. W.
Van Aelst. Consistente in una trattazione della bussola geomantica usata dagli astrologi cinesi.
Verso la fine della lettera compare la parola cinese romanizzata yekeng (yìjīng 易经), titolo del
Classico dei Mutamenti. A parere di chi scrive, questa è la prima attestazione della nuova
romanizzazione di Martini. 187
Cfr. BERTUCCIOLI (1998:II:385-464); gli esemplari in questione sono: Glasgow, Biblioteca
dell‟Università di Glasgow, segn. “Hunterian, Mss. 299, U.6.17”, (tre copie realizzate da T.S. Bayer);
Berlino, Staatsbibliothek, segn. “Libri Sinici 19”; Cracovia, Biblioteca Jagiellonska, segn.
“Mentzeliana Misc. Sinica 10”, inv. N. 2031.
133
Recentemente, si sono invece rinvenuti due nuovi manoscritti della grammatica,
uno presso Cambrai e un altro presso Vigevano.188 Queste due nuove scoperte
hanno permesso di tracciare l‟evoluzione della Grammatica Sinica dopo il suo
arrivo in Europa, oltre a riconoscere nel secondo esemplare (Vigevano) una
copia annotata da Martini in persona, che continuò a correggere e migliorare la
grammatica durante il suo soggiorno in Europa (1653-55), come testimoniato
appunto dalle numerose note originali aggiunte sulla copia in questione.189
Questo esemplare dovrebbe quindi fornire un quadro più fedele e genuino della
romanizzazione MM1 di Martini, escludendo interventi di editori e copisti.
Confrontando questo nuovo documento con quelli di cui si era già in possesso,
la romanizzazione appare pressoché identica a quella di una delle copie
Bayeriane di Glasgow, riproduzione auspicabilmente fedele della copia lasciata
da Martini a Batavia durante il burrascoso viaggio verso l‟Europa, che potrebbe
quindi mostrare lo stadio più embrionale del testo.
Per cui, sebbene nel nuovo manoscritto l‟intervento di Martini sia evidente in
molte parti del testo, dal punto di vista della trascrizione non si notano molte
correzioni o cambiamenti, il che spinge ad identificare la romanizzazione
presente sia nella copia di Batavia che nell‟altra recentemente scoperta come la
forma originaria utilizzata da Martini.
Ad ogni modo, bisogna premettere che la Grammatica Sinica, pur essendo in
assoluto una delle prime grammatiche del mandarino mai redatte,190 ha tuttavia
la struttura modesta di un quadernetto d‟appunti o poco più; è lecito pensare
che essa sia stata compilata da Martini nei suoi primi anni in Cina, proprio sotto
forma di appunti raccolti durante il suo addestramento linguistico, e che il
missionario abbia poi deciso di sistemarla in forma più ordinata ad uso dei
188
I due manoscritti sono stati scoperti e studiati da Luisa M. Paternicò. Cfr PATERNICÒ (2008,
2010) 189
In merito, cfr. PATERNICÒ (2008:423-424) e PATERNICÒ (2010) passim 190
Si consideri però il già citato Manuale pro Missionariis attribuito a Morales, nel cui libro IX
appaiono le dieci “reglas” grammaticali che, sebbene di mole ancor più modesta della
grammatica di Martini, potrebbero essere state redatte in un periodo ancora precedente.
134
confratelli in Cina e di alcuni intellettuali in Europa interessati alla lingua
cinese.191
Difficile stabilire con esattezza la competenza linguistica acquisita da Martini
dopo il primo periodo in Cina; sappiamo che poté fruire di numerosi testi storici
cinesi, che utilizzò come fonti per compilare la Decas, e anche che produsse
alcune opere in cinese dopo il suo ritorno Cina.192 Tuttavia, com‟è noto, questi
compiti venivano svolti dai missionari soprattutto grazie all‟aiuto di collaboratori
cinesi che, a volte, avevano anche acquisito rudimenti di lingue occidentali. Il
livello di cinese del gesuita tridentino doveva comunque essere sufficiente a
comunicare oralmente e, probabilmente, anche a leggere i classici con poco o
nessun aiuto esterno. Rimane tuttavia il fatto che la riflessione linguistica di
Martini si limita alle 15 pagine della Grammatica Sinica e non costituisce un
filone portante della sua produzione letteraria. La conoscenza linguistica era, per
Martini come per la maggioranza dei missionari ad egli contemporanei, solo un
mezzo, e non un fine; in quest‟ottica, semplice ma realistica, possono spiegarsi
non solo le incoerenze o le imprecisioni riscontrabili nelle sue opere, compresa
la grammatica, ma probabilmente anche la decisione di cambiare
romanizzazione nei lavori successivi, come proveremo ad ipotizzare in seguito.
La romanizzazione della grammatica è facilmente descrivibile, grazie al fatto che
Martini stesso procede prima all‟elenco completo delle sillabe di base e poi alla
descrizione di singoli suoni. Sia nel manoscritto di Glasgow (copia di Batavia), sia
in quello di recente ritrovamento, Martini elenca all'incirca le stesse sillabe di
base, e spiega come pronunciare alcune trascrizioni; il sistema di
romanizzazione descritto dai due esemplari è sostanzialmente identico.
Dei due esemplari scegliamo di considerare quello di Vigevano come il più
affidabile, in quanto frutto della revisione finale effettuata dall‟autore in persona,
191
Il rapporto di Martini con Kircher o con Caramuel, oltre che religiosi e scienziati anche
orientalisti e glottologi, avrebbe certo potuto stimolare l‟idea di pubblicare una grammatica
cinese, fino ad allora inesistente. 192
Intorno al 1660 pubblicò Zhenzhu lizheng (Prove dell‟esistenza di Dio), Linghun lizheng (Prove
dell‟esistenza dell‟anima), nel 1661 Qiuyou pian (Trattato sull‟amicizia), gli si attribuisce anche un
trattato contro la teoria buddista della reincarnazione (cfr. Couplet, Catalogus Patrum Societatis
Jesu…in Imperio Sinarum…, 1686)
135
pertanto più coerente e ordinato e, sostanzialmente, unico originale autografo a
noi noto.193
7.2.1 Grafemi iniziali di MM1
Nel manoscritto della Grammatica di Martini conservato a Vigevano, al pari di
alcuni tra gli altri esemplari nominati, sono elencate dall‟autore le sillabe di base
della lingua mandarina, seguite da alcune spiegazioni sulla pronuncia; l‟autore
elenca i seguenti grafemi iniziali:
Grafemi iniziali di MM1
MM1 IPA Attacchi/Nuclei
ç, ç‟ /ts/, /tsh/
(-a, -o, -u)
c, c‟ (-e, -i)
c, c‟
/k/, /kh/
(-a, -o, -u)
k, k‟ (-e, -i)
q (-u)
ch, ch‟ /tʃ/, /tʃh/ %
f /f/ %
g /ʒ /
(-e, -i)
j (-o, -u)
h /x/ %
l /l/ %
m /m/ %
n /n/ %
ng /ŋ/-/ʔ/ %
p, p‟ /p/, /ph/ %
s /s/ %
t, t‟ /t/, /th/ %
--- /v/-/ʋ/ ---
x /ʃ/ %
193
Cfr. PATERNICÒ (2008:423)
136
Questo set di consonanti iniziali si accorda bene con la romanizzazione
portoghese sviluppata da Ricci e Cattaneo, definita in precedenza RLS.
Differisce invece dai grafemi iniziali della romanizzazione proposta da Trigault in
XREMZ, non tenendo conto delle migliorie da essa introdotte.
Ritornano pertanto alcune allografie presenti in RLS, quali c-, k- q- per /k/,
oppure g-, j- per /ʒ /; allo stesso tempo ricompare l‟omografia che rende con c-
sia /k/ che /ts/. Addirittura, non si rileva un grafema iniziale v-, presente invece
in tutti i sistemi fin‟ora analizzati. È vero anche che, escluso lo XREMZ, l‟uso del
grafo v è abbastanza ambiguo, andandosi a confondere con il grafo u in vari
sistemi. Tendenzialmente, però, i fonologi cinesi tendono a ipotizzare la
presenza di un fonema iniziale tra /v/ e /ʋ/ nel guanhua tardo - Ming, e appare
strano che Martini non l‟abbia segnalata con un corrispondente grafema.
7.2.2 Tipi grafici delle rime di MM1
Dalle liste delle sillabe di base presenti nei vari esemplari della grammatica
esaminati, è facile estrapolare l‟inventario dei tipi grafici delle rime di MM1,
descrivibile come segue:
Tipi grafici delle rime della Grammatica Sinica
V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC
-a -ai; -am; -an; -ao
-e
-e˙
-em; -en; -eu -eam; -eao
-i
(j)
(y)
-ia; -ie; -ie˙, -im; -in;
-io; -iu
-iai; -iam; -iao;
-ien; -ieu;
-iue; -ium; -iun
-iuen
-o
-o˙
-oa; -oe; -oi; -oai; -oam; -oan;
-oei; -oen;
-u(uu)
-u˙
-ua; -ue; -ui;
-um; -un; -uo
-uai; -uam; -uan; -uei;
-uen; -uon
ul
137
Il sistema MM1 conta quindi 53 tipi grafici di rime che si combinano con i
grafemi iniziali, più la sillaba con “statuto speciale” ul per /ɚ/ (二, 而, 尔, ecc.),
indipendente e fuori dal gioco delle combinazioni; da notare che, curiosamente,
in questo caso MM1 utilizza una forma simile a XREMZ (ul), piuttosto che a RLS
(lh).
Rispetto a RLS, tuttavia, il set di rime in MM1 risulta più stabile, con poche
allografie occasionali (si ricordino le strane rese grafiche di RLS in XZQJ).
7.2.3 Diacritici di MM1
Innanzitutto è presente la marca per l‟aspirazione, resa con lo spirito/gancetto
soprascritto alla sillaba ( c ); la posizione è molto variabile, ma in molti casi si
nota una tendenza a posizionarla sopra o subito dopo la consonante iniziale (es.
ta, çam). La marca dell‟aspirazione in MM1 è resa qui con l‟apostrofo ( „ ) posto
dopo l‟iniziale.
Riguardo agli altri diacritici sul piano segmentale, anche la Grammatica Sinica
utilizza nel testo l‟espediente del punto soprascritto ( ˙ ) alle vocali e, o, u; in
particolare, riguardo alla u, Martini ne spiega così l‟uso:
[…] Idem punctum aliquando super u˙ literam ponitur, quando syllaba in u˙ desinit, estque
tum signum quod illud u˙ pronunciandum sit cum sibilo, qui sit lingua ad dentes priores
et superiores applicata, coactoque compressione, vento per unam dentium transcire, non
aliter atque cum anser protenso collo in aliquem sibilat.194
Gli ultimi diacritici da considerare sono, ovviamente, quelli usati per i toni; come
nei sistemi fin‟ora analizzati (RLS, XREMZ, Morales, Diaz), il numero dei toni è
pari a 5, annotati attraverso altrettanti segni grafici: ˉ, ˆ, `, ´, ˇ. La notazione dei
toni appare perfettamente coerente con quella di RLS e XREMZ, non
costituendo perciò in alcun modo un elemento distintivo. Tuttavia, si vedrà
come nella diversa romanizzazione usata da Martini dopo il 1654 (MM2), la
notazione tonale sarà pressoché assente, anche se ricostruibile attraverso altre
fonti minori.
194
Il passaggio è tratto dal manoscritto di Vigevano, [§ 3, De Tonis, seu diversa earumdem
vocum apud Sinas pronunciatione]; un ringraziamento va a L.M. Paternicò per avermi fornito le
immagini digitali e la trascrizione completa dell‟esemplare da lei scoperto a Vigevano.
138
7.2.4 Osservazioni finali su MM1
Nonostante la sua diffusione avvenne prevalentemente in forma manoscritta,195
l‟influenza della grammatica di Martini sui confratelli e sui proto-sinologi dei
secoli XVII e XVIII fu notevole.
C‟è innanzitutto da considerare il ruolo che essa ha giocato nel ribadire la
romanizzazione RLS come standard ufficiale dei gesuiti del padroado, seppur
con minime modifiche, ignorando pressoché totalmente il tentativo di
innovazione effettuato da Trigault con lo XREMZ, come già accennato in
precedenza.
Inoltre, la “matrice martiniana” contenuta nella Grammatica, si ritrova impressa
in tutti i personaggi contemporanei venuti a contatto con uno più manoscritti
della Grammatica, tra i quali gioca un ruolo centrale il gesuita belga Philippe
Couplet. Quest‟ultimo, avendo personalmente studiato sugli appunti
grammaticali di Martini, è altresì autore di alcune modifiche al manoscritto della
Grammatica di cui era in possesso; la romanizzazione della grammatica di
Martini, in seguito, diventa perciò la sua romanizzazione, quasi del tutto
coincidente con il sistema usato dai confratelli Prospero Intorcetta, Ignaçio Da
Costa e tutti gli altri autori ed editori della traduzione in latino dei classici
confuciani, di cui parleremo in seguito. Questo testimonia a favore dell‟ipotesi
che lo standard di romanizzazione Ricciano ripreso da Martini nella grammatica
si fosse imposto, fin dalla prima metà del 1600, come il sistema ufficiale di
trascrizione usato dai gesuiti in Cina.
Si può affermare che il sistema di romanizzazione basato sul portoghese usato
da Martini nella Grammatica sia il vero anello di congiunzione tra RLS e la forma
finale usata da Intorcetta e gli altri (v. infra, capitolo dedicato), soprattutto se lo
confrontiamo con altre romanizzazioni dello stesso periodo che potevano porsi
in concorrenza. Tra queste spicca certamente quella usata dal gesuita polacco
Michael Boym, dei cui scritti troviamo una cospicua raccolta nell‟opera di Kircher
195
Pare tuttavia che una copia del manoscritto di Martini sia stata stampata in una riedizione
dell‟opera di Melchisedec Thevenot, Relation de diverse voyage…, come dimostrato da Luisa
Paternicò nel suo intervento al convegno della European Association of Chinese Linguistics 2009:
“The evolution of Martino Martini’s grammar of the Chinese language, from the Grammatica
Sinica to the Grammatica Linguae Sinensis“, nel quale prova l‟esistenza di più di una copia di
THEVENOT (1696) contenente la grammatica.
139
China Illustrata del 1667, con numerosi esempi del suo sistema di
romanizzazione. Come vedremo nel capitolo successivo, la romanizzazione di
Boym differiva per alcuni particolari da quella di Martini MM1, ma le sue
caratteristiche non sembrano essere state accolte dai confratelli, che hanno
invece sviluppato lo standard descritto nella grammatica.
Tra i proto-sinologi più influenzati dalla grammatica di Martini troviamo
sicuramente il tedesco Gottlieb Sigfried Bayer (1694-1738)196 che, in entrambe le
sue opere Museum Sinicum (1730) e Horis Sinicis (1735) pubblica delle versioni
aumentate e rivedute dei manoscritti martiniani sulla lingua cinese. 197
Nonostante egli fosse a conoscenza di altre forme di romanizzazione, in più di
un‟occasione utilizzò con cognizione la romanizzazione portoghese, in
particolare quella proposta da Martini e Couplet nella grammatica.
196
Storico, orientalista e proto-sinologo. Nel 1717 divenne professore a Lipsia, dove compilò un
catalogo dei manoscritti orientali della biblioteca comunale. Successivamente, divenuto membro
della neo-costituita Accademia di San Pietroburgo (attualmente l‟Accademia Russa delle
Scienze)dove pare che sia conservato un monumentale dizionario cinese-latino da lui compilato
(LUNDBAEK, 1986) 197
in Museum Sinicum, molte parti della Grammatica di Martini si trovano nella sezione
denominata GRAMMATICA SINICAE, liber primus (Quon hoa çu kim kiai, kiuen chi ye) De Lingua
Sinica, il cui testo latino occupa uno spazio di circa 55 pagine, seguito da 8 pagine di caratteri
cinesi provvisti di riferimenti numerati alle romanizzazioni nel testo; al liber primus segue un liber
secundus (Quon hoa çu kim kiai, kiuen chi ul) intitolato De Literatura Sinica, composto da altre
60 pagine circa, nelle quali i caratteri cinesi compaiono insieme al testo latino. Cfr. BAYER
(1730:1-88) [numerazione indipendente]; in Horis Sinicis, invece, una versione della Grammatica
Martiniana di circa 8 pagine, scritte su due colonne e senza caratteri cinesi, compare sotto il
nome di Praeceptiones de Lingua Sinica, divisa anch‟essa in due libri, rispettivamente intitolati De
Ipsa Lingua e De Scriptione. Cfr. BAYER (1735)[paginazione assente]
140
Immagine dell‟esemplare della grammatica
di Martini conservato a Vigevano.
Particolare della lista iniziale delle sillabe di
base. (gentile concessione di L.M.Paternicò)
7.3 La seconda romanizzazione di Martini (MM2)
Il sistema di trascrizione usato da Martini nella grammatica (MM1) viene
abbandonato dal gesuita all‟inizio del 1654, a favore di una romanizzazione
leggermente diversa, che rimarrà più o meno costante in tutti gli scritti
successivi a questa data, e che abbiamo definito come MM2.
La differenza più lampante è la sostituzione del grafema di coda -m con un
digramma -ng, di probabile matrice ispanica; altre piccole differenze si
riscontrano anche nel set dei grafemi iniziali.
Inoltre, sembra opportuno notare che in tutte le opere successive al 1654, la
romanizzazione è quasi completamente priva dei diacritici per i toni; l‟unica
traccia affidabile della notazione dei toni in MM2 appare in uno scritto non di
Martini, bensì di Jacobus Golius (Gohl 1596-1667), che fu incluso nel Novus Atlas
141
Sinensis nel 1655. Poiché sembra probabile che le trascrizioni di Golius, neofita
della lingua, furono corrette dallo stesso Martini, considereremo anche questo
scritto per meglio delineare le caratteristiche di MM2, in particolare per ciò che
riguarda i toni. Altre tracce di diacritici per i toni, rare e poco attendibili, si
ritrovano nelle poche lettere scritte dopo il ‟54; pur trattandosi di un contributo
limitato, anche i pochi dati estrapolati dalle epistole saranno considerati
nell‟analisi di MM2.
Nei paragrafi seguenti sono raccolte le descrizioni dei sotto-sistemi di
romanizzazione usati nelle singole opere post-1654, seguiti da un paragrafo
riassuntivo in cui si tenta di delineare le caratteristiche fondamentali del macro-
sistema MM2.
7.4 Brevis Relatio
La Brevis Relatio è un breve scritto in latino (circa 36 pagine in ottavo),
contenente informazioni sullo stato dell‟opera apostolica gesuita in Cina fino ai
primi anni ‟50 del 1600. È probabilmente una riduzione della relazione scritta da
Martini durante il viaggio verso l‟Europa, al fine di presentare la situazione della
missione al tribunale di Propaganda Fide, dove si trovò a difendere l‟operato
della sua compagnia nell‟estate del 1651. Le ultime 8 pagine (XVIII-XXXVI)
contengono un elenco dei titoli di libri pubblicati in cinese dai gesuiti fino al
1654; è in questa sezione che compare il maggior numero di romanizzazioni.
Data la scarsa lunghezza dello scritto, il numero di sillabe cinesi che vi
compaiono è abbastanza esiguo, si contano infatti non più di 120 parole per
poco più di 50 sillabe diverse; pertanto, sebbene sia possibile estrapolare il set
pressoché completo dei grafemi iniziali, si può invece ottenere solo una scarsa
quantità di rime, non del tutto sufficiente a descrivere esaurientemente il
sistema di romanizzazione. Tuttavia, se inserito in una tabella comparativa
insieme alle trascrizioni usate da Martini negli altri lavori, il sistema della Brevis
Relatio offre comunque interessanti spunti di riflessione.
142
7.4.1 Grafemi iniziali della Relatio (MM2)
Il set di grafemi iniziali che è possibile ricostruire dalla Brevis Relatio appare così
costituito:
Grafemi iniziali della Brevis Relatio
Brevis Relatio IPA Attacchi/Nuclei
c
k
q
/k/, /kh/
(-o, -u)
(-i)
(-u)
c /ts/, /tsh/
(-e, -i)
ç (-e, -u)
ch /tʃ/, /tʃh/ (-e, -i, -o, -u)
f /f/ %
g /ŋ/-/ ʔ/ (-a, -u)
g /ʒ / (-e, -i)
h /x/ %
l /l/ %
m /m/ %
n /n/ %
p /p/, /ph/ %
s /s/ %
t
*th
/t/, /th/
*/th/
%
*(-ien)
--- /v/-/ʋ/ ---
x /ʃ/ %
Si contano solo 14/15 grafi, a confronto con un set consonantico di riferimento
di 20/21 elementi. Le omografie riguardano prevalentemente le coppie di
fonemi aspirati/non aspirati (es. /k/-/kh/, /t/-/th/, etc.) che, data la totale assenza
di una marca per l‟aspirazione,198 si annullano in un unico grafo (es. k, t, etc.);
un‟altra omografia si ritrova nel grafo g-, usato sia per /ŋ/-/ ʔ/ che per /ʒ/.
198
Fatta eccezione per una sola occorrenza del grafo h a seguito dell‟iniziale t-; solo in: thien 天
143
Anche alcune allografie sussistono, come la terna c-, k-, q- per /k/, o i due grafi
c- e ç- per /ts/.
7.4.2 Tipi grafici delle rime della Relatio (MM2)
Per quanto riguarda invece il set delle rime, la Relatio offre talmente poche
sillabe che risulta difficile tracciarne una descrizione completa; si estraggono
infatti solo 28 tipi grafici:
Tipi grafici delle rime della Brevis Relatio
V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC
-a -ai/ay; -ang; -ao
-e -en; -eu; -ey
-i/y
(y-)
-in/yn; -ing; -io -iai; -iang; -iao/yao;
-ien/yen;-ieu; io/yo
-iuen/yuen
-o -oan; -oen;
-u -ue; -ui; -ung -uang; -uei/uey
È tuttavia possibile notare che questo sparuto gruppo di rime introduce già il
digramma finale -ng in sostituzione della -m utilizzata in MM1, della quale non
si rileva nessuna occorrenza. È certamente questo il primo cambiamento
sostanziale rispetto a MM1, che rende subito riconoscibili i due sistemi come
differenti.
Altre particolarità riscontrabili nel set di rime non sembrano particolarmente
rilevanti; si prende atto, in alcuni casi, di un‟interessante alternanza tra i e y in
coda a dittonghi e trittonghi, della quale è difficile ponderare la ragione, se sia
dipendente da eventuali errori tipografici, o del copista, o se si debba invece
imputare all‟abitudine ortografica dell‟autore.
7.4.3 Diacritici della Relatio (MM2)
Si è già notata l‟assenza di una marca per l‟aspirazione, escluso un caso (thien),
dove compare un grafo h a tal scopo. Salta inoltre all‟occhio la totale mancanza
di diacritici per i toni, ben delineata invece nella romanizzazione del primo
periodo (MM1).
144
7.4.4 Osservazioni finali sulla romanizzazione della Relatio (MM2)
Se il set dei grafemi iniziali è ancora abbastanza simile a MM1, nelle rime si è già
palesata la coda -ng, caratteristica di MM2. Dal punto di vista dell‟integrazione
nel testo, si osserva che tutte le parole cinesi appaiono nella loro forma
originaria, non declinate secondo i casi del latino, compresi i nomi propri e i
toponimi.
La romanizzazione del De Bello sembra quindi collocarsi in un periodo di
transizione tra i due sistemi usati da Martini.
7.5 De Bello Tartarico
Nel De Bello Tartarico, pubblicato in latino nel 1654 ad Anversa, compaiono
numerose parole cinesi romanizzate, per lo più nomi propri e toponimi. Anche
se la mole dell‟opera è piuttosto contenuta (circa 166 pagine in ottavo), essa
rappresenta un corpus già più consistente rispetto alla Relatio; se ne ricavano
circa 135 parole cinesi romanizzate, per un totale di 112 sillabe. Da questo
corpus si sono potuti ricostruire quasi completamente i set dei grafemi iniziali e
delle rime grafiche.
7.5.1 Grafemi iniziali nel De Bello (MM2)
Le iniziali del De Bello, desumibili dalle occorrenze romanizzate nel testo, sono
così riassumibili:
Grafemi iniziali del De Bello Tartarico
De Bello IPA Attacchi/Nuclei
c, c‟
k, kh
q
/k/, /kh/
(-a, -o, -u)
(-e, -i)
(-u)
c
/ts/, /tsh/
(-i)
ç (-u)
z
ch /tʃ/, /tʃh/ (-a, -e, -i, -u)
f /f/ (-u)
145
g /ŋ/ (-a)
h /x/ (-a,-i, -o, -u)
l /l/ %
m /m/ (-a, -i)
n /n/ (-a, -i)
p, p‟ /p/, /ph/ %
s /s/ %
t, th /t/, /th/ %
*v */v/-/ʋ/ *%
x /ʃ/ %
--- /ʒ/ ---
Rimane la terna allografica c-, k-, q- per /k/; una seconda allografia, più
interessante, vede il fonema /ts/ rappresentato dai tre grafi c-, ç-, z-. Si nota
quindi la comparsa di un grafema iniziale z-, con probabile valore /ts/, che nella
Relatio era invece reso solo con c-, e ç-; anche se si individua un‟occasionale
cooccorrenza dei grafemi iniziali ç- e z-, il primo è certo da considerarsi
eccezione in quanto occorre una sola volta (Taiçungus, Taizong 太宗).
Si segnalano anche le occorrenze di alcuni grafemi per le consonanti aspirate:
un digramma iniziale th- per /th/ usato con una certa frequenza; un digramma
kh- per /kh/, riscontrabile in soli due casi (Khiucheu, Quzhou 衢州; Thomas
Khiu199) e un grafema iniziale p’- (P’ang Achilles)200 presente in una sola sillaba.
Compaiono alcune sillabe con un grafema iniziale v- (es. vang, per wǎng 王), del
quale però è difficile stabilire l‟eventuale valore contrastivo rispetto a u-, anche
poiché alcune di queste sillabe compaiono trascritte in due modi diversi
(vang/uang, per wǎng 王).
Non è stato possibile rinvenire o individuare un grafema per la resa di /ʒ/, ma
non è da escludere che il sistema lo prevedesse.
199
Secondo il De Bello, Thomas Khiu era il “viceré” della provincia del Guangxi, convertito al
cristianesimo, originario della zona di Nanchino; cfr. MARTINI (1654:104) 200
Achille Pang, eonuco alla corte di Yongli, convertito al cristianesimo. Amico sia di Martini che
di Boym (v. capitolo seguente); cfr. MARTINI (1654:105)
146
7.5.2 Tipi grafici delle rime del De Bello (MM2)
La quantità di rime estrapolabili dal testo del De Bello consta di circa 42 tipi
grafici, riassunti nella tabella seguente:
Tipi grafici delle rime del De Bello Tartarico
V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC
-a -ai; -an; -ang; -ao;
-au
-e -en; -eng; -eu -eao
-i
(y-)
-ya; -yang;
-ie; -in; -ing;
-io(ioo); -iu/yu
-iang; -ien; -ieu;
-iung
-iven/yuen/yven
-o -oa; -oi -oang
-u -ue; -ui; -un; -ung; -uei; -uen/ven; -uin;
-uon; -uu; -van;
-uang/vang
Al paragone con la Brevis Relatio non si riscontrano forti incongruenze, se non
per la maggiore quantità di tipi, che cominciano a delineare in modo più
completo il sistema di trascrizione, pur rimanendo in numero abbastanza basso,
rispetto alle 50/55 rime fonologiche di riferimento.
Alcuni grafi vocalici sono usati in modo promiscuo: oltre all‟allografia di i e y, il
De Bello offre anche numerosi esempi dell‟intercambiabilità di u e v; difficile
stabilire se queste rese grafiche promiscue siano emerse in fase editoriale o
fossero presenti fin dalla stesura originaria.
La presenza della coda -ng annovera senza incertezze la romanizzazione del De
Bello in MM2.
7.5.3 Diacritici nel De Bello (MM2)
Anche nel De Bello Tartarico non si trova traccia dei toni, e solo accidentalmente
appaiono “echi” di aspirazioni.
I nomi propri vengono sempre declinati in latino, mentre i toponimi appaiono
sia in forma originaria, sia declinati a seconda del contesto.
147
7.6 Novus Atlas Sinensis
Il Novus Atlas Sinensis è certamente l‟opera a cui Martini maggiormente deve la
sua notorietà. Poco dopo essere arrivato in Europa, nel 1655, ebbe modo di
curarne personalmente l‟edizione ad Amsterdam, presso lo studio dell‟editore e
cartografo Joan Blaeu (1596-1673). La consistente mole dell‟opera permette di
ricavare un gran numero di parole cinesi in forma romanizzata (circa 4.000)201
tramite le quali è agevolmente ricostruibile il sistema di romanizzazione usato.
7.6.1 Grafemi iniziali dell’Atlas (MM2)
Grafemi iniziali del Novus Atlas Sinensis
NAS IPA Attacchi/Nuclei
c, c‟
k, k‟ *(kh)
q, q‟
/k/, /kh/
(-a, -o, -u)
(-e, -i), *raro
(-u-)
c, c‟ /ts/, /tsh/
(-e, -i/y)
ç, ç‟ (-a, -u)
ch, ch‟ /tʃ/, /tʃh/ %
f /f/ %
g /ŋ/-/ʔ/ %
j/i
g /ʒ /
(-e, -u)
(-e, -i)
h /x/ %
l /l/ %
m /m/ %
n /n/ %
*gn */ɲ/ *(solo 1 sillaba: -i)
p, p‟ /p/, /ph/ %
s /s/ %
t, t‟, *th /t/, /th/ %, *(-a, -i, -o, -u, raro)
x /ʃ/ %
201
Il database delle parole in forma romanizzata, seguite dai caratteri cinesi e pinyin
corrispondenti, mi è stato gentilmente fornito dal prof. Federico Masini, facilitandomi di gran
lunga il compito della raccolta dati.
148
Il numero di grafemi, almeno 24, è superiore alla quantità dei 20/21 fonemi di
riferimento, il che è dovuto ad una certa quantità di allografie, più o meno
sistematiche. Le coppie di fonemi aspirati/non aspirati trovano rese grafiche
distinte. Esattamente come nella Brevis Relatio, è possibile osservare la presenza
del grafema iniziale ç- in sovrapposizione con c- per /ts/; a differenza di quanto
si riscontra nel De Bello e successivamente nella Decas, non compare un terzo
allografo z-.
In generale, il set di grafemi iniziali dell‟Atlas, come quello della Relatio, tutto
sommato non si discosta molto da quello della romanizzazione MM1 presente
nella grammatica, dalla quale differisce invece per i tipi grafici delle rime.
7.6.2 Tipi grafici delle rime dell’Atlas (MM2)
Per quanto riguarda le rime, l‟Atlas offre una quantità di sillabe abbastanza
consistente da poterne tracciare lo schema in maniera sufficientemente
dettagliata:
Tipi grafici delle rime del Novus Atlas Sinensis
V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC
-a -ai/ay;
-ang(-am); -an;
-ao; -au
-e -en; -eng; -eu -eang; -eao
-i/y -ia; -ie/ye;
-in/yn; -ing/yng;
-io/yo
-iu/yu
-iai/yai;
-iang/yang(iam);
-iao/yao;
-ien/yen; -ieu/yeu;
-iue/yue; -iun/yun;
-iung/yung
-iuen/yuen
-o -oa; -ou; -on -oai; -oan; -oang;
-oei; -oen
-u
(uu/uv/uvo/vu/úú/v‟)
-ua; -ue; -ui;
-ung(um);
-un; -uo;
-uang/vang;
-uei/uey;
-uen; -uon;
ul,lh
149
Il set delle rime grafiche appare dotato di una buona coerenza interna; le poche
stranezze che compaiono tra i tipi grafici delle rime dell‟Atlas sono
rappresentate: 1) da una ricca serie di varianti per la sillaba con iniziale zero u,
che è resa in sei modi differenti (u, uu, uv, uvo, vu, v); 2) da rarissime occorrenze
di un grafema -m in coda di sillaba, retaggio di MM1 (un totale di tre o quattro
casi, decisamente trascurabile, data la grande quantità di dati). Le rime
interessate da questo fenomeno (-am, -iam, -um) sono considerate allografi
occasionali rispettivamente di -ang, -iang/yang, -ung, quindi non computate
come tipi singoli; 3) dalla compresenza delle due rese ul e lh per /ɚ/.
Il numero totale delle tipi di rime estrapolati dall‟Atlas è di 48, più la sillaba
“speciale” ul,lh; si tratta quindi di una quantità leggermente inferiore al set delle
50/55 rime fonologiche di riferimento.
7.6..3 Diacritici dell’Atlas (MM2)
L‟annotazione dell‟aspirazione è quasi sempre effettuata tramite l‟apostrofo ( „ )
posto dopo la consonante iniziale, eccetto rari casi in cui compare la h, quasi
esclusivamente a seguito del grafema t- (Thaiming 大明, thaitung 大同, thang 唐,
thangxan 唐山 , thienxui 天水 , thokiue 突厥 ), mentre si registra una sola
occorrenza a seguito di k- (khi 祁, khoching ~城); si tenga presente inoltre che
non tutte le sillabe per cui ci si aspetterebbe una consonante iniziale aspirata
presentano nota dell‟aspirazione.
Nemmeno l‟Atlas offre un quadro dei diacritici usati in MM2 per i toni; va però
notato che, nelle prime edizioni dell‟Atlas, sulle sillabe romanizzate comparivano
di tanto in tanto degli accenti gravi ( ` ) o acuti ( ) che, a parere di chi scrive,
sono un indizio della presenza dei toni nel manoscritto dato alle stampe. Per un
quadro dei toni di MM2, tuttavia, disporremo dell‟Additamentum di Golius,
editorialmente connesso all‟Atlas in modo diretto.
7.6.4 Considerazioni finali sulla romanizzazione dell’Atlas (MM2)
Si conclude che dall‟Atlas possiamo ottenere un quadro abbastanza completo e
attendibile del sistema MM2, pur mancando alcune distinzioni sul piano delle
rime e non rendendo conto del sistema dei toni.
Sono rarissimi i casi in cui i nomi cinesi nell‟Atlas vengono declinati,
comparendo per lo più nella loro forma originaria senza desinenze.
150
7.7 Sinicae Historia Decas Prima
Sebbene la Decas fu l‟ultima opera ad essere pubblicata (1658), anch‟essa rivela
una forma di romanizzazione in bilico tra il sistema MM1 ed MM2, oltre ad
ulteriori rarissime eccezioni e stranezze. In questo caso, il rapporto tra la
percentuale delle eccezioni e la totalità dei dati è, rispetto all‟Atlas, leggermente
più alto, anche se il fenomeno resta comunque molto limitato.
Un fattore che va necessariamente considerato, in questo senso, è quello della
mancata possibilità dell‟autore di curare personalmente l‟edizione a stampa.
Martini, infatti, consegnò il manoscritto della Decas ai confratelli del collegio
gesuita di Monaco nel 1657, affidando loro il compito di darlo alle stampe, non
potendo attendervi personalmente a causa del suo imminente ritorno in Cina.
7.7.1 Grafemi iniziali della Decas (MM2)
Il set di iniziali della Decas è abbastanza chiaro; nella tabella seguente se ne
trova un quadro completo:
Grafemi iniziali della Decas
Decas IPA Attacchi/Nuclei
c
k
q
/k/, /kh/
(-a, -o, -u)
%
(-u)
c
z /ts/, /tsh/
(-i, -e)
(-a, -o, -u)
ch /tʃ/, /tʃh/ %
f /f/ %
g /ŋ/-/ʔ/ (-a, -u)
j /ʒ /
(-o, -u)
g (-i, -e)
h /x/ %
l /l/ %
m /m/ %
n /n/ %
p /p/, /ph/ %
s /s/ %
t /t/, /th/ %
*v */v/-/ʋ/ %
x /ʃ/ %
151
Ritorna, tra le iniziali della Decas, il grafema z- incontrato nel De Bello, ma qui è
usato sistematicamente, in distribuzione complementare con l‟allografo c-.
Il grafo v- è impiegato frequentemente in posizione iniziale, ma si dubita del
suo valore consonantico, specialmente in casi di sillabe come v, in cui il grafo
compare da solo, pertanto rappresentando certamente un valore vocalico.
Compaiono una sola volta i digrammi ng-, kh- e th- che, non apparendo
sistematicamente, si preferisce considerare estranei al set.
7.7.2 Tipi grafici delle rime della Decas (MM2)
Dalle circa 800 parole cinesi romanizzate che compaiono nella Decas è stato
inoltre possibile estrarre i seguenti 49 tipi grafici di rime:
Tipi grafici delle rime della Decas
V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC
-a -ai/ay;
-ang(am); -an;
-ao; -au
-e -en; -eng; -eu -eang; -eao
-i/y -ia/ya; -ie/ye;
-in/yn/ijn;
-ing/yng(im);
-io/yo
-iu/yu
-iai/yai;
-iang/yang(iam);
-iao/yao;
-ien/yen; -ieu/yeu;
-iue/yue; -iun/yun;
-iung/yung(ium)
-iuen/yuen
-o -oi; -on; -ou; -oai; -oan; -oang;
-oei; -oen
-u
(uu)
-ua; -ue/ve; -ui/vi;
-ung(um);
-un;
-uo/vo
-uai;
-uang/vang(uam);
-uan; -uei; -uen;
-uon/von
ul
Come per l‟Atlas, nella Decas si riscontra la compresenza dei due grafemi finali -
m e -ng, allografi per il fonema /ŋ/ in coda di sillaba; tuttavia, le rime terminanti
in -m sono comunque da considerarsi eccezioni, per l‟esiguo numero di
152
occorrenze. Alcuni esempi della coesistenza di questi due grafemi finali possono
essere osservati nelle tabella seguente: 202
Alcune romanizzazioni particolari nelle rime della Decas
Trascrizione Pinyin Cin.
Chamye Changyi 昌邑
Chumlien/Chunglien Zhong Lian 仲連
Chumxin Chun Shen 春申
Cumpin Kong Bin 孔斌
Cumpu Gongbu 工部
Cumsu Gong Sui 龔遂
Gaocam Aocang 敖倉
Huquam/Huquang Huguang 湖廣
Kamxo Kangshu 康叔
Kimco Jing Ke 荊軻
Limlun Linglun 滕公
Mungtienus/Mumhoeus Meng Tian 蒙恬
Pan Cum Ban Gong 伶倫
Poyang/Poyam Pu Yang 濮陽
Yumchinius Rongcheng 容成
7.7.3 Osservazioni finali sulla romanizzazione della Decas (MM2)
Nella Decas manca qualsiasi tipo di diacritico, fatta eccezione per le rarissime
occorrenze di un grafo h come marca dell‟aspirazione. Inoltre, mentre i nomi di
persona sono quasi sempre declinati, i toponimi compaiono sia in forma
originale senza aggiunta di desinenze, sia declinati secondo il contesto
Si ribadisce che, in generale, il numero di sillabe/parole della Decas recanti
stranezze nella romanizzazione è minimo rispetto a quelle che rientrano in una
forma stabile della romanizzazione MM2..
202
I dati contenuti nella tabella mi sono stati gentilmente forniti da Federico Masini e Luisa M.
Paternicò, che li hanno raccolti in vista della prossima pubblicazione del volume IV dell‟Opera
Omnia di Martini, dove sarà contenuta una traduzione integrale originale della Decas in italiano,
corredata di un esteso apparato di note e appendici.
153
7.8 Diacritici di MM2 in Golius
Fin dalla prima edizione dell‟Atlas, nel 1655, comparivano due appendici: la
prima era uno scritto dell‟orientalista Jacob Gohl (Golius), intitolata De Regno
Catayo Additamentum (Appendice sul Regno del Cataio); la seconda era una
riedizione del De Bello Tartarico adattata al formato in quarto, che sviluppava
così solo una trentina di pagine.
Lo scritto di Golius aggiungeva prove alla dimostrazione dell‟identità tra Cataio
e Cina, tramite l‟analisi del sistema di numerazione sessagenario cinese,
cosiddetto dei “rami terrestri” (dìzhī 地支) e dei “tronchi celesti” (tiāngàn 天干),
che Golius dimostrò coincidere con quello fino ad allora conosciuto come “Ciclo
del Cataio” in uso presso i matematici persiani e turchi.
Nello scritto compare lo schema dei rami e dei tronchi, con i rispettivi nomi
cinesi in romanizzazione, i caratteri cinesi, il nome in alfabeto arabo e la
traduzione del significato in latino. Tutte le romanizzazioni cinesi recano i
diacritici dei toni, come illustrato dall‟immagine seguente: 203
Rami terrestri
çù ch’eù yìn maò xȋn sú v vȋ xīn yeù sĭo haì
子 丑 寅 卯 辰 巳 午 未 申 酉 戌 亥
Tronchi celesti
kĭa yì pìng tīng vû kì kēn sīn gín queì
甲 乙 丙 丁 戊 己 庚 辛 壬 癸
Si possono osservare cinque diversi toni: ˉ, , `, , ˘, compatibili, per non dire
identici, con quelli dei sistemi già affrontati, tra cui MM1, con la sola differenza
che la scelta editoriale nello scritto di Golius ha optato per una forma più
arrotondata dei toni con profilo curvo ( ˘ ), ( ), rispetto alle rese grafiche più
203
MARTINI (1655a:iiij)
154
angolate ( ˇ ),( )presenti in molti manoscritti della Grammatica, o nella stampa
xilografica dello XREMZ.
Lo scritto di Golius solleva inoltre alcuni quesiti: 1) Perché i toni appaiono solo
nel suo scritto e non in quelli di Martini? La risposta che sembra più probabile
chiama in causa osservazioni di natura tipografica. Ovvero, l‟aggiunta dei
diacritici per ogni sillaba romanizzata richiedeva un ulteriore sforzo tipografico,
oltre a possibili problemi pratici di combinazione dei caratteri mobili. Se questo
sforzo poteva essere accettabile in uno scritto breve e contenente pochissime
sillabe cinesi come quello di Golius, probabilmente per uno scritto lungo e
complesso come l‟Atlas (e in piccolo anche per il De Bello) si è optato invece per
una semplificazione, magari anche legata ai costi di stampa; 2) All‟interno del De
Catayo Additamentum, compare anche la lista dei dodici segni zodiacali cinesi,
così come riportato qui di seguito: 204
Segni dello zodiaco cinese
glis vel
mus bos tigris lepus draco serpens equus ovis simia gallina canis sus
xù nieû hù t’ú lûm xĕ mà yâm heû kī kèu chū
Dovrebbe essere facile accorgersi di una stranezza, rappresentata dalla presenza
del grafema -m in coda a due sillabe (lûm, yâm). Come mai in uno scritto così
breve, probabilmente passato anche sotto il controllo di Martini, compaiono
due forme di trascrizione diverse?
Golius non conosceva il cinese, i pochi rudimenti li aveva avuti da Martini stesso
nei pochi giorni passati con lui ad Anversa. Non è da escludere che Martini
abbia regalato a Golius una copia della Grammatica, fatto che potrebbe essere
testimoniato da alcuni passaggi nel testo di Golius che sembrano citazioni fedeli
della Grammatica, si confronti ad esempio questo passaggio riguardo ai diversi
modi di pronunciare una sillaba:
[…]Ex quibus patet decem omnino diversas esse posse eiusdem vocis pronunciationes, EG.
kó: kò: kŏ: kō: kô: k’ó: k’ò: k’ŏ: k’ō: k’ô.
(Martini, manoscritto di Vigevano)
204
MARTINI (1655a:vj)
155
[…]Ex. Gr. Simplex admodum haec monosyllaba Ko, Sinarum ore pronunciatur vel decem
modis: kō, kò, kó, kŏ, kô, k‟ō, k‟ò, k‟ó, k‟ŏ, k‟ô.
(Golius, De Catayo Additamentum)
La scelta della stessa sillaba Ko, non sembra possa essere del tutto casuale.
Quindi, se ammettiamo che Golius fosse in possesso di una copia della
grammatica, sappiamo che aveva in mano un quadro di romanizzazione (MM1)
diverso da quello dell‟Atlas e del De Bello (MM2). Possiamo ipotizzare che Golius
fece correggere a Martini una prima bozza dello scritto, alla quale
successivamente aggiunse anche la parte sui segni zodiacali, per trascrivere i
quali dovette forse far riferimento alla grammatica, non badando ad uniformare
la romanizzazione.
Le marche tonali non sono gli unici diacritici che appaiono nell‟Additamentum;
la romanizzazione nello scritto di Golius, infatti, utilizza anche il punto
soprascritto ( ˙ ), sia sulla -o, sia sulla -u.205 Ciò fa pensare che anche questo
diacritico doveva essere previsto nella romanizzazione MM2 di Martini.
7.9 Conclusioni sul sistema di romanizzazione MM2
L‟analisi delle romanizzazioni utilizzate nelle singole opere post-1654 ha rivelato
che le differenze sostanziali tra i sistemi MM1 e MM2 sono di varia natura.
Sul piano fonologico, sia del set dei grafemi iniziali, sia dei tipi grafici delle rime,
le diversità sono essenzialmente tre:
- Il fonema iniziale identificabile come /ŋ/, passa da ng- (MM1) a g- (MM2);
- La coppia di fonemi iniziali /ts/, /tsh/, in MM1 resa con le coppie di
grafemi ç/ç’- e c/c’-, ), rimane uguale in una fase intermedia di MM2
rappresentata da Relatio e Atlas, passando invece ai grafemi c-, z- in
MM2 del De Bello e della Decas;
- Il fonema /ŋ/ in coda di sillaba, passa da -m (MM1) a -ng (MM2).
205
Cfr. MARTINI (1654a:v)
156
Sul piano dei diacritici, si è visto che la romanizzazione MM2 delle quattro opere
post-1654, apparentemente, non impiegava né il punto soprascritto ( ˙ ) per
l‟indicazione della variazione di apertura vocalica, né le marche grafiche per i
toni. Si è potuto, tuttavia, trovare traccia di questi diacritici nello scritto di Golius,
al quale è plausibile conferire uno statuto di appartenenza a MM2, in quanto
Martini stesso deve aver operato un lavoro di revisione sull‟Additamentum, date
le pressoché nulle competenze di Golius nella lingua cinese. Ciononostante è
innegabile che nelle romanizzazioni dell‟Additamentum affiorino interferenze e
stranezze di vario genere.
Sul piano prosodico, la sola differenza lampante tra MM1 e MM2 è la mancanza
dei toni nella seconda, che abbiamo però provato a ricostruire dallo scritto di
Golius, con le dovute riserve. Tuttavia, come si era osservato nel paragrafo
introduttivo, anche nelle poche lettere scritte da Martini dopo il 1654
compaiono sparuti gruppi di sillabe romanizzate recanti i diacritici per i toni; in
una certa misura si può quindi essere abbastanza certi che il sistema MM2 ne
prevedesse l‟uso, anche se nelle quattro opere analizzate esso non compare.
Questo porta alla conclusione generale riguardo alla fondamentale differenza
tra le romanizzazioni MM1 e MM2: il primo sistema, MM1, adottato in primis
nella Grammatica Sinica, era uno strumento utile a facilitare lo studio della
lingua, in particolare della pronuncia; al contrario, la romanizzazione MM2 ha
una funzione più divulgativa, in quanto usata in opere dove la perfetta
descrizione della pronuncia dei nomi cinesi non era un requisito fondamentale,
fatto dimostrato anche dall‟ulteriore grado di integrazione di MM2 nel testo,
realizzata tramite la declinazione dei nomi romanizzati secondo l‟uso latino.
7.10 Quadro riassuntivo delle romanizzazioni MM1 e MM2 a confronto
Grafemi iniziali di MM1 e MM2 a confronto (+ differenze sulla coda /ŋ/)
MM1 MM2 IPA
Grammatica Relatio Atlas De Bello Decas
ç, ç‟ ç ç, ç‟ z z
/ts/, /tsh/
c, c‟ c c, c‟ c c
157
c, c‟ c c, c‟ c c
/k/, /kh/ k, k‟ k k, k‟ k k
q q q q q
ch, ch‟ ch ch, ch‟ ch ch /tʃ/, /tʃh/
f f f f f /f/
g g
g ---
g /ʒ /
j j/i j
h h h h h /x/
l l l l l /l/
m m m m m /m/
n n n n n /n/
ng g g g g /ŋ/-/ʔ/
g
p, p‟ p p, p‟ p, p‟ p /p/, /ph/
s s s s s /s/
t, t‟ t, th t, t‟ t, th t /t/, /th/
--- *v --- --- *v /v/-/ʋ/
x x x x x /ʃ/
Resa del fonema di coda /ŋ/
-m -ng -ng(m) -ng -ng(m) /ŋ/
Diacritici e grado di latinizzazione di MM1 e MM2 a confronto
MM1 Fino al 1653 Aspiraz. Toni Punti Latin.
Grammatica Sinica pre-1653 ( „ ) si si no
Lettere " no no no no
MM2 Dal 1654
Brevis Relatio 1654 no no no no
Atlas Sinensis 1655
( „ ), (-h-) no no 50%
Additamentum ( „ ) si si no
De Bello Tartarico “ (-h-) no no 90%
Decas Prima 1658 rara (-h-) no no 100%
Lettere post-1654 rara rari rari var.
158
A sinistra: Pagina del De Bello Tartarico
(1655) di Martini.
Le romanizzazioni dei nomi cinesi
compaiono inserite nel testo, perlopiù
declinate secondo la flessione latina.
In basso: Particolare di una tavola
dell‟Atlas (1655) di Martini.
I toponimi romanizzati, sia nelle carte
topografiche, sia nel testo, compaiono
perlopiù nella loro forma originaria,
senza essere declinati all‟uso latino.
159
8.0 Michal Boym
Michał Piotr Boym nasce nel 1612 a Lwow, nel sud della Polonia; il padre ricopre
l‟incarico di medico di corte al servizio del re Sigismondo III. È da lui che il
giovane Boym apprende rudimenti di medicina, chimica e botanica, negli anni
precedenti alla sua entrata nella Compagnia di Gesù, avvenuta nel 1629.206 Dopo
circa quindici anni di studi religiosi, nel 1643, si imbarca da Lisbona verso
l‟oriente, raggiungendo nel 1645 i confratelli impegnati nella missione di
Tonkino (Hanoi) in Vietnam. Dopo poco più di un anno, nel 1647, si sposta
nell‟isola di Hainan, nel sud della Cina, presso la città di Ding‟an 定安 (a sud di
Qiongzhou 琼州); Boym arriva quindi in Cina quando la presa di Pechino da
parte dei Qing (1644) è già compiuta. Torna poi per un periodo a Macao, dove
nel 1650 pronuncia i suoi voti religiosi; in seguito è inviato dall‟allora superiore
della missione Alvaro Semedo (1585-1658) nel Guangxi, in aiuto al confratello
Andreas Wolfgang Koffler (1603-1651), già in servizio presso la corte dell‟ultimo
imperatore Ming, Yongli (regn. 1646-1662), arroccata nel sud del paese dopo la
presa di Pechino.
L‟accoglienza riservata a Boym dalla deposta corte dei Ming, unita alle
conversioni al cristianesimo di alcuni membri illustri della famiglia imperiale, fa
sì che Boym sposi la causa Ming, perorando altresì il progetto di restaurazione
diventandone l‟ambasciatore presso le corti europee e la Santa Sede. A tal fine,
nel 1651 s‟imbarca da Macao per Goa, da cui poi fa ritorno in Europa via terra,
arrivando a Venezia nel 1652, dove viene ricevuto dal Doge; successivamente si
reca a Roma per conferire con il nuovo Papa, Alessandro VII (1599-1667),
appena succeduto a Innocenzo X (1574-1655). Il gesuita polacco espone la
situazione della missione e la causa della famiglia Ming a tutti i suoi interlocutori,
compreso l‟allora preposto generale della Compagnia, Goschwin Nickel (1652-
1664).
Ma la scelta sia dei regnanti europei, sia della Santa sede, sia dei vertici della
Compagnia, è di non interferire nelle vicissitudini politiche dell‟impero cinese,
specialmente dopo aver valutato gli scarsi vantaggi e i molti rischi implicati
206
PFISTER (1932-34:269-276); secondo altre fonti, la data di ingresso nel noviziato di Cracovia
sarebbe il 1631, cfr. GOODRICH (1976:I:20-22)
160
dall‟eventuale appoggio alla dinastia sconfitta.207 Boym, fallita la sua ambasciata,
decide di tornare in Cina. Nel 1656 si imbarca da Lisbona con altri otto
confratelli, tra i quali Philippe Couplet (1623-1693) e François de Rougemont
(1624-1676); il viaggio è travagliato, la nave viene bloccata a Goa da una flotta
olandese, 208 alcuni continuano via terra, altri cercano un passaggio dalle
imbarcazioni dirette a Macao. Boym riesce così a raggiungere il Siam nel 1658,
da dove pensa di imbarcarsi per Macao; ma, da parte delle stesse autorità
portoghesi di Macao, gli giunge il messaggio di non tornare in Cina, dove
sarebbe stato respinto o imprigionato in quanto messaggero della deposta
corte Ming.
Il gesuita polacco rimane in Siam per qualche tempo, da dove poi decide di
spostarsi in Vietnam presso la missione di Tonkino, proprio in un periodo in cui
la religione cristiana è lì osteggiata e prescritta; così Boym, piuttosto che
fermarsi in clandestinità, tenta di rientrare in Cina dal confine vietnamita col
Guangxi, ma ormai le truppe mancesi presidiano ogni accesso al paese, e
l‟ingresso è impossibile. Anche un successivo tentativo di rientrare a Tonkino
fallisce, in quanto la richiesta è rifiutata dai padri gesuiti lì residenti; lo sconforto
e le peripezie concorrono a far cadere Boym in un grave stato di malattia, che
ne provoca la morte nel 1659.209
Boym ha quindi passato un periodo relativamente breve in Cina, essenzialmente
dal 1647 al 1651. Ammettendo che possa aver acquisito delle nozioni di lingua
cinese fin dal primo passaggio in Vietnam, resta comunque probabile che abbia
intrapreso il vero e proprio studio della lingua presso la sua prima destinazione
cinese, Ding‟an (Qiongzhou, Hainan). Difficile dire quale livello di competenza
nella lingua cinese possa aver raggiunto in soli quattro anni di permanenza in
Cina; c‟è da dire che almeno un compagno cinese, tale André Sin,210 rimase al
207
I gesuiti attivi nel nord del paese erano già stati accolti dalla nuova corte dei Qing, e
probabilmente questa importante garanzia concessa alla missione cinese non poteva, agli occhi
del padre generale, essere sacrificata per una causa che non apparteneva alla Compagnia. 208
PELLIOT (1935:129) 209
PFISTER (1932-34:275) 210
Di questo convertito cinese, compagno di viaggio di Boym, non si hanno molte notizie. Il suo
cognome, trascritto come Sin, è stato interpretato da alcuni (es. Pelliot, Fang) come
corrispondente a 沈 (Shěn), ma B. Szczesniak ha definitivamente accertato che il cognome esatto
fosse 鄭 (Zhèng), come testimoniato da alcune carte autografe conservate all‟ARSI, cfr.
161
suo fianco anche tutti gli anni a seguire, consentendogli probabilmente di non
perdere la padronanza linguistica acquisita, nonché collaborando alla
compilazione delle sue opere sinologiche.
Quest‟ultime, nella misura in cui gli vengono attribuite, sono molteplici e di varia
natura;211 tuttavia, la paternità di alcuni scritti è ancora piuttosto dubbia. Molte
di queste opere sono rimaste manoscritte, altre sono state pubblicate dallo
stesso Boym ancora in vita o da altri intellettuali europei in forma postuma, non
sempre dichiarandone la reale provenienza.
La gran parte della sua opera era destinata al pubblico europeo e, pertanto,
scritta perlopiù in latino; tra le opere che hanno visto la pubblicazione si
ricordano:
1) Briefve Relation, 1654. 212 Si tratta di un resoconto sulle attività e i
progressi ottenuti dalla missione gesuita in Cina fino al 1652, incluso il
racconto delle conversioni avvenute tra i membri della corte Ming.
2) Flora Sinensis, 1656. 213 Una raccolta di informazioni riguardanti varie
specie vegetali e animali presenti in Cina, completa di illustrazioni.
3) Monumenti Sinico-Chaldaei Interpretatio, in Kircher, China Illustrata,
1667.214 Consistente nella trascrizione dell‟iscrizione presente sulla Stele di
Xi‟an,215 in caratteri cinesi, romanizzazione e traduzione letterale.
SZCZESNIAK (1935:531:n.123); del nome ci è noto solo quello di battesimo, André. Indicato
pertanto in cinese sia come 沈安德 Shen Ande, sia come Zheng Ande 鄭安德 o Zheng Andele
鄭安德肋. In origine, i compagni cinesi designati da Yongli per accompagnare Boym nella sua
ambasciata in Europa erano due: André Zheng, appunto, e un altro convertito cinese di
cognome Lo, per lo più interpretato come 羅 (Luó), battezzato col nome di Joseph (若瑟 Ruòsè);
tuttavia, Joseph Luo si ammalò e dovette rinunciare al viaggio, cfr. PELLIOT (1935:112) 211
Il lavoro più completo e approfondito sulla produzione scritta attribuibile a Boym è
certamente l‟articolo di Szczęśniak (1955), che elenca e descrive dettagliatamente tutte le
attribuzioni possibili. 212
BOYM (1654), la Briefve Relation, nella sua versione francese, ebbe quattro edizioni: due nel
1664, poi nel 1696 e nel 1730 in Thévenot (1696, 1730:II:1-14) [numerazione separata] 213
BOYM (1656), tradotta in francese in Thevenot (1664:15-30) 214
“Monumenti Sinico-Chaldaei ante mille circiter annos ab Evangelicis Christianae Legis
propagatoribus in quodam Chinae Regno, quod Xensi dicitur, erecti, et anno tandem 1625
primum insigni Christianae Legis emolumento detecti, fida, sincera et verbalis Interpretatio”, in:
Kircher, A., China illustrata…, Amsterdam, 1667, pp. 7-29
162
4) Specimen Medicinae Sinicae, 1682.216 È un trattato di medicina tradizionale
cinese, curato dal medico e botanico tedesco Andreas Cleyer (1634-
1698), residente a Batavia. L‟opera raccoglie, senza dichiararne il vero
autore, alcuni scritti inediti di Boym, che probabilmente sarebbero dovuti
confluire in un progetto editoriale dello stesso gesuita.
5) Clavis medica ad Chinarum doctrinam de pulsibus, 1686. 217 Anche
quest‟opera tratta di medicina tradizionale cinese, in particolare del
metodo di diagnosi tramite l‟esame del polso. È un lavoro curato dal
gesuita belga Couplet, che riprende gran parte degli scritti contenuti
nell‟opera curata da Cleyer e ne ristabilisce la reale paternità.
Rimangono anche molti lavori manoscritti, conservati presso vari archivi e
biblioteche di alcuni paesi europei; tra i più importanti si ricordano:
1) Magni Cathay, pre-1652, conservato presso la biblioteca Apostolica
Vaticana (BAV),218 Un insieme di 18 carte geografiche, precedute da due
fogli comprendenti il titolo e un indice di contenuti. I capitoli che
appaiono nell‟indice non sono allegati alle mappe, né conservati nello
stesso luogo, ma la redazione dell‟indice dimostra l‟intenzione di un
progetto editoriale completo per un‟opera geografica - divulgativa.219
2) Raccolta di carte relative a Boym, delle quali molte autografe, presso
l‟Archivio Storico dei Gesuiti (ARSI).220 Tra queste, una relazione sulla Cina
intitolata Brevis Sinarum Imperii Descriptio, oltre a varie lettere cinesi
scritte dai membri della Corte Ming al Papa e al Generale della
215
Stele eretta nel 781, durante la dinastia Tang, da alcuni monaci siriani residenti in Cina in
quell‟epoca; il contenuto celebra i successi della Chiesa cristiana d'oriente in Cina. La stele fu
scoperta casualmente da alcuni lavoratori cinesi intorno al 1625, nei pressi dell‟odierna città di
Xi‟an 西安, nello Shaanxi 陝西. 216
BOYM & CLEYER (1682) 217
BOYM, CLEYER & COUPLET (1686) 218
BAV, Roma, Fondo. Borg. Cinese, sygn. 531 219
Cfr. Szczesniak (1955:525-526) 220
In particolare ricordiamo l‟insieme di documenti raccolti sotto la collocazione Jap.Sin. 77; per
un elenco completo dei documenti relativi a Boym conservati all‟ARSI, cfr. Szczesniak, 1955,
p.533
163
Compagnia, corredate di versione romanizzata e traduzione in latino,
probabilmente ad opera di Boym.221
Questo breve elenco di opere e documenti non esaurisce la lunga lista di lavori
attribuiti a Boym, bensì riporta solo i materiali più interessanti dal punto di vista
della presente ricerca.
Agli scritti appena enumerati, si potrebbe aggiungere un insieme di documenti
che, a conoscenza di chi scrive, non sono stati ancora mai studiati
approfonditamente. Si tratta di un gruppo di 15 carte geografiche manoscritte,
raffiguranti le province dell‟impero Ming, conservate presso l‟Archivio di Stato di
Roma (ASR).222 Le carte non sembrano essere autografe, almeno a giudicare
dalla riproduzione fotostatica a colori che il presente autore ha consultato;223 ma
alcuni indizi, forniti in particolare dalla romanizzazione, lasciano credere che si
possa trattare di materiale redatto e usato da Boym nella preparazione delle
tavole geografiche del Magni Cathay.
8.1 La romanizzazione nelle opere di Boym
In tutti i documenti sopra elencati è possibile osservare una gran quantità di
parole cinesi romanizzate, ma sussistono due problemi fondamentali:
innanzitutto, non solo in opere diverse si riscontrano sistemi diversi di
romanizzazione, ma addirittura all‟interno di una stessa opera sezioni differenti
221
Per un‟analisi completa dei documenti di Boym conservati all‟ARSI, cfr. Szczesniak (1955) 222
Presso la sezione manoscritti della biblioteca dell‟ASR sono conservate delle carte “cinesi”
denominate “Carte Ruggieri”. Il nome del gruppo di documenti fa riferimento al gesuita Michele
Ruggieri (cfr. cap. dedicato ), in quanto ad egli sono attribuiti i primi 41 fogli (num. 1-80 r-v),
costituenti la sua opera geografica in seguito ricordata come Atlante della Cina, (Lo Sardo, 1995).
Le restanti carte sono riconducibili ad epoche e autori diversi; tra queste, ci sono 15 tavole
geografiche (num. 87-101) che raffigurano tutte le province cinesi ad esclusione del (Liaodong
辽东) che io attribuisco a Boym. Simile ipotesi fu formulata da Donato Tamblé, funzionario
dell‟ASR, in una nota sulle “Carte Ruggieri” in Rassegna degli Archivi di Stato, LX, (2000),1, pp.
263-265; la nota è tuttavia priva di riferimenti a supporto dell‟ipotesi. 223
L‟ASR fornisce un efficiente quanto utile servizio di riproduzione digitale per alcuni dei suoi
fondi. Le carte Ruggieri sono consultabili online, previa registrazione gratuita, all‟indirizzo:
http://www.cflr.beniculturali.it/Patrimonio/Archivi/ASRoma.php (19/11/2009)
164
impiegano romanizzazioni differenti; inoltre, poiché la maggior parte delle
opere di Boym sono giunte a pubblicazione attraverso terzi editori e compilatori,
anche quando si è abbastanza certi della paternità del gesuita polacco, non si
può facilmente ponderare come e in che misura l‟editore sia intervenuto a
modificare la romanizzazione originale.
Pertanto, al fine di poter individuare le caratteristiche della romanizzazione di
Boym, non si può prescindere da un esame comparativo di tutte le fonti.
Di questa fase dell‟analisi non si dà conto dettagliato, per evitare inutile
dispendio di tempo e per scongiurare un appesantimento del capitolo che
potrebbe generare confusione. Ci si limita ad osservare in maniera
estremamente intuitiva che, già dopo un primo confronto tra le romanizzazioni
di tutte queste opere collegate a Boym, tra le non poche differenze, saltano
però all‟occhio alcune particolarità ricorrenti, che invece non compaiono in altri
lavori contemporanei o successivi a Boym.
Una prima caratteristica, osservata da diversi studiosi, consiste nell‟uso
frequente del grafema y, 224 alternato al grafema i in maniera apparentemente
casuale e arbitraria, a meno che la cosa non accada secondo un criterio di
difficile interpretazione che, almeno per ora, non si è evinto. Più probabilmente
si tratta di un‟abitudine ortografica di Boym.
A differenza di quanto osservato da Simon (1959), questa alternanza tra y e i
non avviene solo alla fine di dittonghi o trittonghi (es. lay, poey, quey/quei),
bensì in qualsiasi posizione (es. ly/li, tym, hym/him, cyen, kien, lien, syen, tien,
nyu, kiu).
L‟uso indifferenziato di i e y non è un elemento che compare per la prima volta
nei testi connessi a Boym; se ne è vista già l‟esistenza in RLS (XZQJ) con
analoghe caratteristiche.
Sarebbe pertanto metodologicamente scorretto, sulla base di questo solo
indizio, affermare tout-court che la romanizzazione di Boym è “quella con tante
y”; ma è lecito, invece, seguire questo indizio e sperare di trovarne altri negli
stessi contesti, che magari si ripresentino ogni volta insieme alle y già
individuate. Questo potrebbe corroborare l‟ipotesi che la romanizzazione di una
certa opera o di un gruppo di opere legate a Boym, vista la presenza di certe
224
Questa peculiarità della romanizzazione di Boym è stata evidenziata anche in SIMON
(1959:168) e TAN (2008:120)
165
caratteristiche non osservabili in altre fonti, sia strettamente connessa col
gesuita polacco.
Delle opere elencate in precedenza, quelle che impiegano una romanizzazione
“con tante y” sono:
- L‟intera sezione romanizzata di Monumento Sinico-Chaldei Interpretatio
(da qui in poi Stele) in Kircher;
- Alcune parti di Specimen Medicinae Sinicae (da qui in poi, Specimen), in
particolare il fascicolo intitolato “Pulsibus explanatis medendi regula”;225
- La maggior parte dei documenti romanizzati conservati all‟ARSI in
Jap.Sin. 77;
- Le carte geografiche conservate sotto il nome Magni Cathay presso la
BAV;226
- Le 15 carte geografiche conservate all‟ASR;
in misura minore:
- Flora Sinensis (da qui in poi, Flora).227
Pertanto si sono analizzate più nel dettaglio tutte le suddette fonti, ma non tutte
offrono la stessa quantità e qualità di dati: le fonti manoscritte (i documenti
dell‟ARSI, le carte geografiche alla BAV e all‟ASR) o xilografate (le didascalie
225
Lo Specimen Medicinae Sinicae… si compone di cinque sezioni, divise ulteriormente in capitoli.
Non tutte le sezioni, né i capitoli all‟interno di esse, presentano la stessa romanizzazione. Sulla
base dell‟indizio delle “y”, il fascicolo che appare più compatibile è quello denominato “Pulsibus
explanatis medendi regula”, situato tra le sezioni I “De pulsibus libros quatuor è sinico translatos”
e II “Tractatus de pulsibus ab erudito europaeo collecto”. 226
Purtroppo, a causa della lunga chiusura temporanea della BAV per lavori di ristrutturazione, è
stato possibile esaminare solo le riproduzioni fotostatiche di alcuni particolari di questi
manoscritti; chi scrive, non appena le condizioni lo permetteranno, si propone di procedere ad
un‟analisi più accurata sugli originali. 227
In quest‟opera, probabilmente a causa del fatto che Boym non curò personalmente il
processo editoriale, compaiono molte stranezze nella romanizzazione. Tuttavia, le tavole
illustrate presentano in riproduzione xilografica alcune decine di sillabe romanizzate, complete
di toni e aspirazioni. Nell‟analisi della romanizzazione in Flora Sinensis, pertanto, si sono tenute
in particolare considerazione le tavole illustrate, mentre si è cercato di tralasciare alcune
stranezze nel corpo del testo evidentemente causate dall‟editore.
166
delle illustrazioni in Flora Sinensis) potrebbero garantire maggiori informazioni
sugli elementi grafici della romanizzazione; le fonti contenenti un maggior
numero di parole romanizzate, sia manoscritte che a stampa, permettono una
più completa ricostruzione del sistema di iniziali e rime.
Nel confronto tra le romanizzazioni dei vari scritti, si sono riscontrate altre
particolarità, osservabili sia nel set di grafemi iniziali, sia in quello delle rime.
8.1.1 Grafemi iniziali di Boym
Nelle tabella seguente sono messi a confronto i set dei grafemi iniziali delle
diverse fonti:
Grafemi iniziali delle opere Boym a confronto
Stele Flora Specimen Mappe
BAV
Mappe
ASR
JapSin 77
IPA Attacchi
/Nuclei ff.
84,86
ff.
94-104
c, c‟
k, k‟
q
k
q
c
k
q
k
q
c,
k
q
k
q
c
k, k‟
q
/k/, /kh/
(-um)
%
(-u-)
c, c‟ c c c
c c c /ts/,
/tsh/
(-e-, -i/y)
ç, ç‟ ç ç ç ç ç, ç‟ (-a-, -o, -u)
ch, ch‟ --- ch ch ch ch c, c‟ /tʃ/,
/tʃh/ %
f f f f f f f /f/ %
h h h h h h h /x/ %
l l l l l l l /l/ %
m m m m m m m /m/ %
n n n n n n n /n/ %
g g g g g g g /ʒ / (-e-, -i)
ng
g --- g ng
ng
g
ng
g
ng
g /ŋ/-/ʔ/
(-a-, -e-)
(-u-, -o-)
167
p228 p --- p p p p, p‟ /p/,
/ph/ %
s s s s s s s /s/ %
t, t‟ t t t t t, t‟ t, t‟ /t/, /th/ %
--- --- --- --- --- --- --- /v/-/ʋ/ ---
x x x x x x x /ʃ/ %
Come si evince dalla comparazione delle iniziali, le somiglianze tra le
romanizzazioni di tutte queste opere non risiedono solo nell‟alta frequenza del
grafo y; prende quindi sempre più corpo l‟ipotesi che si tratti di un sistema
comune e di uno stesso autore. Una particolarità dei grafemi iniziali contribuisce
ulteriormente a caratterizzare e distinguere questa romanizzazione da altre: si
tratta del gruppo di grafemi c-, k-, q-, nel loro probabile valore [k]. Sebbene
questo trio di grafemi sia presente anche in altri sistemi di romanizzazione, in
tutte le fonti connesse a Boym se ne riscontra un uso ortografico peculiare,
descrivibile come segue:
1) k- vale /k/ in ogni occasione, e compare in combinazione con qualsiasi
nucleo sillabico, cioè può essere seguito da qualsiasi vocale o semivocale;
2) c- vale /k/ solo nella sillaba cum, e comunque in alternativa a kum;
3) q- per /k/ solo quando seguito da un dittongo cominciante per u- (es.
quam, quei, quo), comunque in coesistenza con k- (es. kuam, kuei, kuo).229
Più in generale, in queste romanizzazioni, i tre allografi per /k/ c-, k- e q-
tendono fortemente a confluire tutti in k-, mantenendo le forme c- e q- solo in
rarissimi casi.
228
Tan Huiying elenca per la romanizzazione della Stele anche un‟iniziale p’, portando come
esempio due sillabe p’im 平 e p’an 攀, cfr. TAN (2009:119). Anche ad un attento riesame del
testo, personalmente non sono riuscito a trovare queste due sillabe, pertanto non inserisco
l‟iniziale p’ in tabella. 229
Nelle mappe dell‟ASR si riscontra anche almeno un‟occorrenza della sillaba qu, nella quale q-
è legato ad una rima con nucleo monottongale, ad esempio nella romanizzazione del carattere
孤(gū).
168
Ci si trova in una situazione intermedia tra sistemi come RLS o MM1, dove
ognuno dei tre allografi per /k/ compare in combinazione esclusiva con
determinati nuclei sillabici,230 e altri sistemi, invece, come quello di XREMZ o
Diaz1, nei quali gli allografi c- e q- sono del tutto assenti e il valore /k/ è
rappresentato sempre e solo dal grafema k-. Questa peculiarità legata a Boym
non è riscontrabile in sistemi di romanizzazione cronologicamente precedenti
né, come si vedrà, in sistemi successivi a questo.
Non si può tralasciare un‟osservazione su una fonte in particolare, indicata come
ff. 94,104 del gruppo di documenti connessi a Boym e conservati all‟ARSI. Come
si nota dalla tabella, sebbene anche questa romanizzazione presenti la
caratteristica alta frequenza di y, tuttavia essa mostra alcune differenze con le
altre romanizzazioni esaminate; principalmente, rispetto agli altri sistemi, si
rileva l‟assenza del digramma ch-, con probabile valore /tʃ/, reso invece con il
grafema c-(seguito sempre e solo da nuclei inizianti per -i, es. cium, ciam, ciu,
cien, secondo un‟abitudine ortografica simile a quella italiana). Per le differenze,
o anomalie, che questo sistema presenta rispetto agli altri, d‟ora in poi si sceglie
di non considerarlo tra le fonti utili a ricostruire l‟ipotetico sistema di
romanizzazione di Boym.
L‟unica fonte che sembra proporre una romanizzazione corredata di marca per
l‟aspirazione sembra essere la Interpretatio della Stele di Xi‟an, in Kircher. In essa
compaiono solamente 12 sillabe recanti la marca per l‟aspirazione,231 eppure
rimane la fonte che ne fa il maggior utilizzo. Tutti gli altri documenti (eccetto i ff.
94,104 , esclusi per i suddetti motivi) praticamente non presentano affatto una
marca per l‟aspirazione.232 Come si vedrà più avanti, la trascrizione della Stele in
Kircher, pur contenendo molte stranezze e ambiguità editoriali, è anche una
delle fonti che meglio illustra la resa grafica del sistema tonale.
230
Per RLS e MM1 si hanno le seguenti regole ortografiche: con -a,-o sempre e solo c-, es. cai,
cam, cao, co, cum; con -e, -i sempre e solo k- es. kem, keu, kim; con i dittonghi inizianti per -u-,
sempre e solo q-, es. quo, quam, quei. 231
Le dodici sillabe sono: ç'an, ch'im, ch'in, c'um, k'ay, k'i, k'iu, k'o, t'ien, t'o, t'um, t'un.
Coerentemente, nella tabella non compare un grafema p’, in quanto non se ne ha nessuna
occorrenza, pur essendo probabile che fosse contemplato dal sistema di romanizzazione. 232
Si riscontra solo un‟occorrenza nel documento ff.84,86, dove compare almeno tre volte la
sillaba t’ien, l‟unica in tutto il testo a recare la marca per l‟aspirazione.
169
Realizzando una sintesi, il set di iniziali della romanizzazione di Boym può forse
essere descritto come segue:
Sintesi dei grafemi iniziali nella romanizzazione di Boym
Boym (sintesi) IPA Attacchi/Nuclei
c, c‟
k, k‟
q
/k/, /k‟/
(-um)
%
(-u-)
c, c‟
ç, ç‟ /ts/, /ts‟/
(-e, -i/y)
(-a, -u)
ch, ch‟ /tʃ/, /tʃ‟/ %
f /f/ %
h /x/ %
l /l/ %
m /m/ %
n /n/ %
g /ʒ / (-e, -i)
ng
g /ŋ/-/ʔ/
(-a, -e)
(-u-, -o-)
p, *p‟ /p/, /p‟/ %
s /s/ %
t, t‟ /t/, /t‟/ %
--- /v/-/ʋ/ ---
x /ʃ/ %
8.1.2 Tipi grafici delle rime in Boym
Per quanto riguarda le rime, oltre ad aver escluso i ff.94,104 di Jap.Sin 77 per i
motivi già illustrati, si è stati costretti ad escludere anche le mappe denominate
Magni Cathay della BAV, in quanto la bassa qualità e la scarsa quantità delle
fotoriproduzioni di cui lo scrivente è in possesso non permettono la raccolta dei
170
dati ad un livello accettabile, cosa che invece è stata possibile per i grafemi
iniziali.233
In generale, il confronto tra i restanti scritti presi in esame sembra rivelare un
alto grado di compatibilità sul piano delle rime. La raccolta dei dati ha
presentato un grado di difficoltà diverso a seconda della fonte presa in esame;
alcuni documenti, come Flora Sinensis, non sono stati considerati, giacché
offrivano pochi dati e mostravano una commistione di romanizzazioni. Si osservi
la tabella seguente per un quadro dei tipi grafici delle rime nelle diverse fonti:
Set dei tipi grafici delle rime nelle romanizzazioni di Boym a confronto
Stele Mappe ASR Jap.Sin. 77
ff. 84,86
Specimen
-a,
-ay,
-am, -an,
-ao
-a,
-ay,
-am, -an,
-ao, -au
-a,
-ay,
-am, -an,
-ao
-a,
-ai/ay,
-am, -an,
-ao, -au
-e,
-em, -en, -eu,
-eam, -eao,
-e,
-em, -eu,
-eam, -eao
-e,
-em, -eu,
-eam
-e,
-em, -eu,
-eam
-i/y,
-ia, -ie/ye,
-im/ym, -in/yn,
-io/yo, -iu/yu,
-iai/iay,
-iam/yam,
-iao/yao,
-ien/yen, -ieu/yeu,
-iue, -ium, -iun
-i/y,
-ia, -ie/ye,
-im/ym, -in/yn,
-io/yo,-iu/yu,
-iay,
-iam/yam,
-iao/yao,
-ien/yen, -ieu,
-iun/yun, -yum
-i/y,
-ie/ye,
-im/ym, -in/yn,
-iu/yu,
-yam,
-yao,
-ien/yen, -ieu/yeu,
-ium/yum, -yue,
-i/y,
-ia, -ie/ye,
im/ym, -in/yn,
-yo, -iu,
-iam, -iao,
-iem,
-ieu
233
Si dispone di alcune immagini che riproducono alcune delle mappe conservate alla BAV; nel
dettaglio: un‟immagine in formato JPG a colori della carta generale dell‟impero cinese,
solitamente denominata Sinarum Imperii Descriptio, in bassa risoluzione (72 dpi; dim.1824×1660
pixel), che permette la lettura chiara solo delle scritte più grandi (titolo mappa, nomi delle
province, alcune città); una seconda immagine, in formato PDF, della mappa dell‟isola di Hainan,
permette di scorgere bene tutte le consonanti iniziali dei toponimi, ma non le rime, ad eccezione
delle frequentissime e ben evidenti “y” che hanno spinto ad annoverarla tra le prime fonti
considerate.
171
-iuen/yuen -yuen -yuen
-o,
-oa, -oe, -oy
-oay, -oam, -oan,
-oen, -oey
-o,
-oa, -oe
-o,
-oa,
-oam,
-oen, -oey
-o,
-oey
-u/uu,
-ua, -ue,
-um, -un,
-uo, -uy
-uay, -uam, -uan,
-uen, -uey,
-uom, -uon
-u/uu
-ue,
-um, -un,
-ui/uy,
-uam, -uan,
-uei/uey, -uen,
-uon
-u, -uu,
-um,
-uo, -ui/uy
-uam,
-uen, -uey,
-uon
-u,
-um,
-uo,-ui/uy,
-uam,
-uem, -uen, -uey,
-uon, -uoy
lh lh lh ul(ull)/lh
Come si evince dalla tabella, la differente tipologia delle fonti, unita alle diverse
quantità di dati che da esse è possibile estrapolare, determina alcune minime
discrepanze nel set dei tipi grafici delle rime. Ma il confronto mostra anche che
le quattro fonti hanno sostanzialmente lo stesso inventario di tipi grafici.
Riguardo all‟indizio da cui siamo partiti per l‟analisi, ossia l‟alta frequenza del
grafo y, si ribadisce che i grafi i ed y, in tutti questi sistemi connessi a Boym,
sembrano essere usati del tutto promiscuamente, e non sembrano essere in
opposizione a rappresentare una differenza fonetica di qualche tipo.234 L‟ipotesi
più probabile resta che i ed y siano semplici allografi, più o meno
sistematicamente alternati secondo l‟abitudine ortografica dell‟autore di queste
romanizzazioni.
Un‟ultima osservazione, che coinvolge il piano fonologico, sul set di rime delle
romanizzazioni di Boym, compare ad opera di Tan (2009:119) e riguarda la
frequente confusione delle due consonanti finali -n /n/ e -m /ŋ/, che spesso
compaiono utilizzate in modo confuso, non solo nell‟eventuale corrispondenza
alla reale o probabile pronuncia, ma anche in quanto ad uno stesso carattere
sono fatte corrispondere due pronunce (es. per 明 (míng) si ha sia mim che min;
per 能 (néng), sia nem che nen).
234
Si è anche tentato di ipotizzare, ad esempio, un‟opposizione del tipo i /ı/ opposta a y /i/;
oppure un‟opposizione di quantità, con i /iː/ opposta a y /i/-/j/
172
8.1.3 Diacritici della romanizzazione di Boym
Nella tabella dei grafemi iniziali, esiste un certo numero di consonanti aspirate;
ma in realtà nessuna delle fonti impiega sistematicamente la marca per
l‟aspirazione, che infatti compare sempre in modo sporadico, minimo o nullo.
Dove compare, essa è resa sempre tramite un gancetto soprascritto alla sillaba
( c ), perlopiù al grafo iniziale; per comodità, qui è stata semplificata da un
apostrofo ( ‟ ) posto dopo il grafema iniziale, in coerenza con le convenzioni
redazionali stabilite.
Giungendo a parlare dei toni, non tutte le fonti li presentano ma, dove
compaiono, sono resi pressappoco con la stessa veste grafica, coerente con i
sistemi precedentemente affrontati; nell‟Interpretatio della Stele, nelle mappe
del Magni Cathay e nelle tavole di Flora Sinensis, tre fonti di cui una stampata
caratteri mobili, l‟altra con tecnica xilografica e l‟altra manoscritta, presentano i
toni nel numero di cinque, indicati graficamente da altrettante marche
sovrapposte alla sillaba: ˉ, ˆ, ´, `, ˘ , perlopiù posizionate sulla rima.
Le posizioni dei due diacritici (aspirazione e toni) variano a seconda delle fonti;
tendenzialmente, in particolare nella Stele e nelle tavole di Flora Sinensis,
l‟aspirazione è sovrascritta al grafo iniziale della sillaba, indipendente dalla
marca tonale.
In nessuna delle fonti connesse a Boym si riscontra un uso sistematico del punto
diacritico ( ˙ ) per l‟apertura vocale.235
8.1.4 Osservazioni finali sulle romanizzazioni di Boym
A Boym sono state attribuite molte opere, alcune delle quali sono rimaste
manoscritte, altre invece sono state pubblicate, in larga parte postume; le
romanizzazioni usate in queste opere sono di varia fattezza e stabilire quale sia
l‟originario sistema usato dal gesuita polacco non è impresa immediata.
In una certa quantità di documenti ad egli connessi, si riscontrano delle
caratteristiche ricorsive nella romanizzazione che, occorrendo sempre
contemporaneamente e non essendo ascrivibili ad altri sistemi di
romanizzazione conosciuti, possono essere interpretati come elementi di un
235
Se ne trovano rarissime occorrenze nei documenti manoscritti dell‟ARSI.
173
sistema indipendente, probabilmente strettamente relazionabile a Boym. Di
queste caratteristiche si è dato conto nei paragrafi precedenti.
Nelle opere che, pur essendo connesse direttamente a Boym, non presentano
una romanizzazione con le suddette caratteristiche, sono spesso facilmente
individuabili altri sistemi conosciuti, il cui uso è conseguenza delle modifiche
apportate da un certo curatore ad un eventuale originale boymiano (ad es.
Couplet per Clavis Medica).
In alcuni casi, sulla base della ricostruzione che si è fatta del sistema di Boym, ci
si può anche spingere a dubitare o confutare la paternità boymiana di una certa
opera, ove essa non presenti la suddetta romanizzazione. Ad esempio, Esistono
due scritti attribuiti al gesuita polacco da alcuni studiosi:236 il primo è uno scritto
romanizzato intitolato Divinae Legis Compendium; 237 il secondo, anch‟esso
romanizzato, è il famoso Dictionaire Chinois et Francois allegato all‟edizione
francese dell‟opera di Kircher China Illustrata.238 Le romanizzazioni in questi due
documenti, tuttavia, in più di una caratteristica non concordano con la
ricostruzione effettuata in questa ricerca, inducendo pertanto a dubitare delle
due anzidette attribuzioni.
Al contrario, la stessa romanizzazione di riferimento può permettere di
corroborare l‟ipotesi di un plagio ai danni di Boym, dove un‟opera ne
presentasse la sua romanizzazione. Si pensi, ad esempio, al Sylloge minutiarum
lexici Latini-Sinico-characteristici, breve glossario cinese-latino con caratteri e
romanizzazioni, compilato da Mentzel e pubblicato nel 1685;239 Mentzel non cita
Boym in alcun punto del testo, ma ad un esame del glossario ci si accorge che
esso è stato compilato sulla base della trascrizione della Stele compilata da
Boym e inclusa in Kircher. Szczesniak,240 prima di individuare le evidenze nel
contenuto del glossario, è partito da alcuni indizi presenti nella romanizzazione,
e il quadro di riferimento qui descritto conferma l‟ipotesi dello studioso. Lo
stesso si potrebbe dire di altri lavori per i quali è presunta la paternità di Boym,
236
Cfr. SZCZESNIAK (1947, 1955, 1969), a lui si devono la maggior parte delle attribuzioni a
Boym, debite o indebite che fossero. 237
KIRCHER (1667:121-128) 238
KIRCHER (1670:323-367) 239
MENTZEL (1685), in Miscellanea curiosa sive Ephemeridum… [appendice] 240
SZCZESNIAK (1955:505-506)
174
che potrebbe essere confermata o smentita dalla ricostruzione della sua
romanizzazione che si è qui tentata; si rimanda ad altra sede uno studio siffatto,
che esula dagli intenti di questa tesi.
In conclusione, si noterà che la romanizzazione di stampo boymiano
rappresenta comunque un ramo obliquo nella discendenza del filone
portoghese-ricciano; apparendo in contemporanea con un sistema simile
utilizzato dal gesuita italiano Martini (MM1); non avrà però il uguale successo e
pari diffusione presso le generazioni future, rimanendo caratteristico dell‟autore
che ne fece uso. Anche per questo motivo, rinvenire in uno scritto la
romanizzazione di Boym implica, con un certo grado di certezza, una
connessione diretta con lui.
Particolare di una delle mappe topografiche
della Cina conservate all‟ASR. Tutti i toponimi,
accanto ai caratteri cinesi, riportano la
pronuncia romanizzata, secondo un sistema
molto compatibile alle altre romanizzazioni
rinvenibili nelle opere di Boym.
Una tavola illustrata di Flora Sinensis (1656).
Sebbene nel testo la situazione delle
romanizzazioni è abbastanza caotica, nelle
tavole illustrate compaiono i nomi dei generi
botanici scritti in caratteri e romanizzazioni.
175
La prima pagina della trascrizione romanizzata dell‟iscrizione sulla stele di Xi‟an; la
romanizzazione e la traduzione realizzate da Boym furono inserite nell‟opera di Kircher
China Illustrata (1667). La romanizzazione è molto compatibile con quelle di altre
opere attribuite a Boym.
176
Sopra e sotto: immagini di due delle lettere scritte da Boym e Achille Pang, destinate al Papa
nella speranza che la Santa Sede potesse dare supporto alla deposta dinastia dei Ming.
In queste carte conservate all‟ARSI si nota l‟uso di romanizzazioni diverse, seppure per minimi
particolari, che contribuiscono a complicare il quadro delle romanizzazioni connesse a Boym.
177
9.0 La romanizzazione portoghese dei gesuiti del padroado (Intorcetta&Al.)
Nel 1664, un gesuita del padroado, il tedesco Adam Schall Von Bell (1591-1666),
dopo un‟attività di oltre 30 anni presso il dicastero dell‟astronomia, viene
destituito e condannato a morte con l‟accusa, mossa da un funzionario dello
stesso ministero di nome Yang Guangxian 楊光先 (1597-1669), di aver artefatto
il calendario ufficiale con intenti sovversivi. L‟ostilità della Corte non si limitò ad
abbattersi sui gesuiti impiegati nel calcolo del calendario, evolvendo
immediatamente in una persecuzione di tutti i missionari presenti sul suolo
imperiale; Schall in seguito scampò all‟esecuzione, ma morì in prigionia, e la
maggior parte dei missionari di ogni nazionalità e appartenenza fu confinata a
Canton, a partire dal 1665 fino al 1671.
Questo esilio, con la convivenza forzata che ne derivò, se da una parte fu un
periodo di standby per l‟attività religiosa, dall‟altra risultò invece in una fase di
grande produttività sul piano linguistico e letterario. Tra i gesuiti relegati a
Canton erano presenti Ignazio da Costa (1599-1666), Antonio de Gouvea (1592-
1677), Christian Herdtrich (1625-1684), Prospero Intorcetta (1625-1696) e
Franciscus Rougemont (1624-1676), 241 che figureranno tutti tra gli
autori/curatori di un progetto corale di traduzione dei classici confuciani,
parzialmente realizzato nel corso dei quindici anni dal 1672 al 1687.
Aldilà della produttività misurata sui prodotti editoriali, va certamente notato un
altro risvolto interessante: il periodo di forzata convivenza, se da una parte
permise di accendere un intenso dibattito su questioni religiose relative alla
missione, dall‟altra, con particolare relazione all‟intenso lavoro editoriale svolto
in gruppo dai missionari, portò questi ultimi ad uniformare le metodologie e gli
strumenti di studio della lingua, in primo luogo del sistema di romanizzazione;
non a caso, alcune delle opere realizzate da gesuiti scampati alla prigionia di
Canton, tra gli altri Gabriel de Magalhaes (1610-1677), presentano lievi
divergenze dalla romanizzazione standardizzata dei gesuiti contemporanei.
In fondo, il progetto di traduzione dei testi confuciani non era solo mirato alla
presentazione all‟Europa del pensiero tradizionale cinese, avendo bensì come
finalità principale la produzione di materiali per lo studio della lingua, che
241
Cfr. DEHERGNE (1973) passim
178
potessero servire all‟addestramento preventivo dei missionari destinati alla
missione in estremo oriente. Pertanto, il periodo di confino a Canton fu
l‟occasione per un‟attenta e metodica riflessione linguistica.
9.1 Le fonti disponibili
Le fonti tramite cui possiamo ricostruire la romanizzazione usata dalla maggior
parte dei gesuiti del padroado durante la seconda metà del 1600 sono molte e
offrono dati di ottima qualità.
Esiste una certa quantità di fonti manoscritte, dove compaiono romanizzazioni
in forma più o meno ordinata e precisa. Tra tutte, ad offrire una gran quantità di
dati c‟è un “libro delle spese” manoscritto dal gesuita belga Rougemont, scritto
nel periodo in cui si trovava in missione a Changshu (常熟 nell‟odierno Jiangsu);
il manoscritto è stato approfonditamente studiato da Noel Golvers,242 che ha
delegato l‟analisi della romanizzazione ad Adrianus Dudink,243 il cui lavoro funge
da fonte per la presente ricerca, anche se le riproduzioni di alcune pagine del
manoscritto sono direttamente consultabili in appendice alla pubblicazione di
Golvers.244
Un‟altra fonte manoscritta riguarda Intorcetta e consiste in una lettera di circa
tre pagine che egli scrisse nel 1672, contenente dettagliate istruzioni editoriali
per l‟eventuale pubblicazione in Europa delle sue traduzioni latine dei tre classici
confuciani Daxue 大學, Lunyu 論語 e Zhongyong 中庸 (v. infra); questa lettera,
anch‟essa scoperta e studiata da Golvers, 245 offre interessanti informazioni
sull‟uso dei diacritici nella romanizzazione di Intorcetta.
Infine, sempre in appendice al già citato testo di Golvers su Rougemont, si
trovano anche quattro riproduzioni fotostatiche del manoscritto del Confucius
Sinarum Philosophus del gesuita belga Philippe Couplet (una riedizione delle
traduzioni dei classici confuciani di Intorcetta), preparato in previsione della
pubblicazione avvenuta poi nel 1687 (v.infra). Anche solo queste quattro
242
GOLVERS (1999) 243
Professore di sinologia all‟Università cattolica di Lovanio (Katholieke Universiteit Leuven) 244
GOLVERS (1999:768-769: ill. 2-3) 245
GOLVERS (2009)
179
pagine, 246 riportano fedelmente una buona quantità di dati, sufficiente a
confermare l‟aderenza della romanizzazione di Couplet allo standard dei suoi
contemporanei.
Oltre alle fonti manoscritte, esiste un gruppo di opere stampate tramite tecnica
xilografica, che plausibilmente riproduce gli elementi grafici della
romanizzazione in modo abbastanza fedele alla forma manoscritta, offrendo
pertanto dei dati sufficientemente precisi; inoltre, contenendo anche i testi
originali in caratteri, molte delle seguenti fonti garantiscono l‟individuazione
delle corrette corrispondenze tra pronuncia e scrittura.
Tra questo gruppo di fonti xilografiche, risaltano sicuramente le già citate
traduzioni latine dei classici confuciani, compilate da Da Costa, Intorcetta e altri
confratelli e stampate in Cina con i rispettivi titoli di Sapientia Sinica (Daxue nel
1662 e Lunyu nel 1664) e Sinarum Scientia Politico-Moralis (Zhongyong, 1669).
Tutti questi lavori contengono, oltre alla traduzione latina, il testo originale a
fronte sia in caratteri cinesi, sia in romanizzazione; il sistema di romanizzazione
utilizzato è uguale in tutte e tre le opere, che offrono un‟immagine completa di
tutti gli elementi fondamentali (iniziali, rime e diacritici).
Un‟altra fonte che offre i dati in maniera simile è Innocentia Victrix,247 un‟opera
commissionata e curata dal gesuita portoghese Antonio de Gouvea (allora vice-
provinciale), consistente in una raccolta di editti promulgati dalla corte e dai
funzionari Qing in favore dei gesuiti. Anche questo lavoro, stampato con tecnica
xilografica nel 1671, accanto al testo in latino contiene un certo numero di testi
originali in cinese, sia in caratteri sia in romanizzazione. Il sistema utilizzato
sembra coincidere quasi completamente con quello di Intorcetta.
L‟ultimo gruppo di fonti è costituito da alcune opere stampate a caratteri mobili
in Europa negli ultimi tre decenni del 1600; proprio per i limiti della tecnica
tipografica con cui sono stati riprodotti, questi testi tendono a tralasciare alcuni
elementi grafici della romanizzazione, diacritici in primis. Tuttavia, contenendo
un discreto numero di parole cinesi romanizzate, se ne può trarre una certa
quantità di sillabe, abbastanza sufficiente per poter tracciare il profilo del
sistema di romanizzazione usato, anch‟esso estremamente compatibile con
quello delle altre fonti considerate.
246
GOLVERS (1999:773-776, Ill.6a,b,c,d) 247
GOUVEIA (1671)
180
Le suddette fonti, stampate in Europa, possono essere riassunte come segue:
nel 1672 appare la Relaçam do Estado Politico e Espiritual do Imperio da China,
traduzione portoghese di un manoscritto latino del gesuita belga Franciscus
Rougemont; solo l‟anno seguente, il 1673, vede la luce la versione latina
originale pubblicata con il titolo di Historia Tartaro-Sinica Nova.248 Agli scritti
appena citati si aggiungono alcune opere edite negli anni „80 dal già citato
Couplet che, nel 1686, pubblicò prima la Tabula Chronologica Monarchiae
Sinicae (una lista dettagliata dei regnanti cinesi succedutisi dal 2952 a.C. al 1683
d.C.), poi la Clavis medica ad Chinarum doctrinam de pulsibus (una riedizione di
alcuni scritti del gesuita polacco M. Boym sulla medicina cinese) 249 e
successivamente, nel 1687, il Confucius Sinarum Philosophus.250
9.2 La romanizzazione di Intorcetta&Al.
In tutti i lavori a stampa qui considerati si riscontra un uso esteso della
romanizzazione, secondo sistemi quasi del tutto reciprocamente sovrapponibili,
e altresì concordanti col sistema ben descritto dalle fonti manoscritte e dalle
stampe xilografiche di Intorcetta e Gouvea. Pertanto, nelle pagine seguenti, non
si analizzeranno separatamente i sistemi delle singole fonti; se ne realizzerà
bensì una sintesi, utilizzando come fonti principali le opere Sapientia Sinica e
Sinarum Scientia Politico-Moralis di Intorcetta e Innocentia Victrix di Gouvea (da
qui in poi Innocentia); come fonti secondarie i due manoscritti, quello del “libro
dei conti” di Rougemont e quello del Confucius Sinarum Philosophus di Couplet
(da qui in poi Confucius).
Dove sussistessero divergenze rilevanti, se riscontrate in modo sistematico in
una certa romanizzazione, si provvederà ad evidenziarle.
248
ROUGEMONT (1673) 249
BOYM, CLEYER & COUPLET (1686) 250
INTORCETTA&al. (1687)
181
9.2.1 Grafemi iniziali di Intorcetta&al.
Nella tabella che segue, è riassunto il set di grafemi iniziali dello standard usato
da Intorcetta e gli altri gesuiti del padroado (Intorcetta&al.) nella seconda metà
del 1600:
Grafemi iniziali della romanizzazione di Intorcetta&Al.
Intorcetta&al. IPA Attacchi/Nuclei
c, c'
/k/, /kh/
(-a, -o, -u)
k, k' (-e, -i)
q, q' (-u-)
ç, ç' /ts/, /tsh/ %
ch, ch' /tʃ/, /tʃh/ %
f /f/ %
g
j /ʒ/
(-e, -i)
(-eu, -o, -u)
h /x/ %
l /l/ %
m /m/ %
n /n/ %
(nh) ([ɲ]) (-a, -i)
ng
(ngh)251
g
/ŋ/-/ʔ/
(-a, -e, -o, -u)
(-e)
(-uei)
p, p' /p/, /ph/ %
s /s/ %
t, t' /t/, /th/ %
v /v/-/ʋ/ %
x /ʃ/ %
251
La forma allografa ngh- per /ŋ/, davanti alle rime comincianti per -e-, compare solo in
Innocentia Victrix, ma non negli scritti di Intorcetta
182
Il grafema c- ha tendenzialmente un valore univoco /k/, a differenza di altri
sistemi di ispirazione portoghese (RLS, MM1, Boym) in cui oscillava tra /k/ e /ts/.
Questo secondo valore /ts/ è invece rappresentato univocamente dal grafema
ç-.252
I due grafemi g- e j-, quando rappresentano il probabile valore /ʒ/, si
combinano con i nuclei sillabici in modo complementare: g- (-e, -i), j- (-o, -u),
con una leggera sovrapposizione sul nucleo -e, riscontrabile nella sillaba jeu (es.
柔 róu), che però non dà origine a opposizione (in quanto non si riscontra
l‟occorrenza di una sillaba *geu).
Il digramma nh- è abbastanza raro, ma presente in più di una fonte. Nelle opere
di Intorcetta si ritrova solo nella sillaba nhi (es. 尼 ní); nel “libro dei conti” di
Rougemont compare invece nelle sillabe nham (es. 娘 niáng) e nhy (es. 倪 ní); se
lo si valuta in base alla grafia portoghese dell‟epoca, potrebbe rappresentare
una realizzazione nasale palatale tipo [ɲ], trattandosi probabilmente di una
distinzione fonetica più che fonologica.253
Come nei precedenti sistemi a base portoghese, il digramma iniziale ng- per
/ŋ/-/ʔ/ prevede la forma trigrafica ngh- quando seguito dal grafo -e, anche se
nei lavori di Intorcetta compare di rado, sostituita dal semplice digramma ng-. Il
grafema g-, in coppia con l‟allografo dominante ng-, rappresenta anch‟esso il
valore /ŋ/-/ʔ/, esclusivamente quando seguito da -uei.
Permane la terna allo grafica c-, k-, q- per /k/; il grafo q- compare quasi
esclusivamente davanti ai dittonghi comincianti per -u, ma molto raramente si
riscontra anche seguito dal solo nucleo monottongale -u (qu).
Compare in Intorcetta&al. un grafema iniziale v-, del cui valore fonologico /v/-
/ʋ/ si dubita non poco, vista la frequenza di allografie libere in sillabe quali
ven/uen, vam/uam.
252
In alcune fonti, indipendentemente dal fatto che siano manoscritte o stampate, a volte si
verifica una resa fallace di ç-, priva della cedilla e pertanto uguale a c-; dato che in nessuna delle
fonti in questione l‟evento si verifica sistematicamente, bensì solo occasionalmente, si può
considerare che tra i due grafemi non esista alcuna sovrapposizione. 253
Tuttavia va osservato che, se quando nh- è seguito da -i/y formando sillabe tipo nhi/nhy, non
si trova mai in opposizione a sillabe tipo ni/ny, quando invece è seguito da -a come in nham, si
oppone a sillabe con iniziale n-, generando coppie minime del tipo nham/nam, in cui l‟ipotesi di
nh /ɲ/ come valore fonologico è più probabile.
183
Si nota, infine, la consueta opposizione tra consonanti aspirate e non aspirate,
segnalata con una marca della quale si daranno dettagli ulteriori nella parte
dedicata ai diacritici.
Se si pensa ai precedenti rappresentanti dello standard portoghese-ricciano, in
particolare a Martini e Boym, già ad un primo confronto dei set consonantici è
evidente che la linea di discendenza fino ad Intorcetta&al. è passata per il primo
(MM1) e non per il secondo (Boym); lo si evince almeno dai seguenti particolari:
- I tre grafemi c- k- q- per /k/, sono in complementarietà allo stesso modo
di Martini MM1, mentre in Boym si era notata una preponderanza di k-
sugli altri;
- La compresenza di g- e j- per /ʒ/, al pari di Martini MM1, che in Boym si
neutralizzava nella sola g-.
9.2.2 Tipi grafici delle rime di Intorcetta&al.
A seguire si presenta il set dei tipi grafici delle rime della romanizzazione di
Intorcetta&al., computabili nel numero approssimativo di 53:
Set dei tipi grafici delle rime della romanizzazione di Intorcetta&al.
V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC
-a -ai; -am; -an; -ao
-e
-e˙
-em; -en;
-eu
-eam;
-i
(y-)
-ia;
-ie/ye; -ie˙/ye˙
-im/ym; -in; -io;
-iu/yu; -iu˙/yu˙
-iai; -iam; -iao;
-ien/yen; -ieu/yeu;
-iue/yue; -ium/yum;
-iun/yun
-iuen/yuen
-o
-o˙
-oa;
-oe; -oi
-oai; -oam; -oan;
-oei;
-u
-u˙
-ua;
-ue;
-ui;
-um; -un; -uo; -uo˙
-uai; -uam;
-uei; -uen;
-uon
184
lh, (ulh)254
La presenza della coda -m garantisce la matrice portoghese; stessa cosa dicasi
per il digramma portoghese lh con probabile valore /ɚ/, sillaba indipendente
che non rientra nel sistema combinatorio di iniziali e rime.
Per il resto non si notano grandi particolarità, se non la sistematica
trasformazione di i in y quando primo elemento del nucleo non preceduto da
consonante (es. ya, ym, yuen).
Anche nelle rime si nota una maggiore somiglianza a Martini MM1 che non a
Boym; si ricorda infatti che i tipi grafici delle rime nella romanizzazione del
gesuita polacco presentavano un uso peculiare del grafo y, che in Martini e in
Intorcetta&Al. non si ritrova.
9.2.3 Diacritici di Intorcetta&al.
L‟uso dei diacritici è sistematico e ben standardizzato. Si è già vista la marca per
l‟aspirazione, rappresentata da un gancetto ( c ) o uno spirito greco aspro ( ‘ )
soprascritto alla sillaba, solitamente in corrispondenza della parte iniziale.
L‟altro diacritico presente sul piano segmentale è il punto soprascritto ( ˙ ) alla
vocale tonica per una variazione di apertura. Le vocali potenzialmente
interessate sono e, o, u che, se scritte con il punto ė, o, u, corrispondono a valori
vocalici diversi, generalmente più chiusi.
Per i diacritici sul piano soprasegmentale troviamo, ovviamente, le marche tonali,
in numero pari a 5 e rese tramite i segni ˉ, ˆ, ´, `, ˘, sovrascritti alla sillaba.
Riguardo alle combinazioni grafiche dei tre diversi tipi di diacritici al di sopra
della sillaba, disponiamo di informazioni eccezionalmente precise, non solo
tratte dall‟osservazione delle stampe e dei manoscritti, bensì esposte
minuziosamente dallo stesso Intorcetta nella lettera inedita pubblicata da
Golvers. Il gesuita siciliano propone le seguenti soluzioni grafiche:255
254
La forma ulh è segnalata da Dudink nella sua analisi del manoscritto di Rougemont (cfr.
GOLVERS, 1999:677) 255
L‟immagine delle combinazioni dei diacritici così ordinata è già frutto di rielaborazione da
parte del prof. Golvers, che nel suo articolo ha provveduto ad allineare tutte le combinazioni su
una sola riga, mentre nel manoscritto originale si trovavano divise in due parti diverse della
pagina. Cfr. GOLVERS (2009:680,689).
185
Le prime cinque coppie di segni mostrano alternativamente la forma semplice
del tono e quella con il puntino aggiunto; si nota che la posizione del puntino
varia a seconda del tono cui è aggiunto, risultando a volte soprascritto, altre
sottoscritto, altre ancora a destra o a sinistra del tono.
Le successive cinque coppie, invece, raffigurano alternativamente le
combinazioni aspirazione/tono e le stesse col puntino aggiunto; in questo caso,
risulta evidente la standardizzazione della posizione della marca per
l‟aspirazione, posizionata sempre e comunque in prima posizione a sinistra del
tono, e comunque in modo indipendente dagli altri diacritici e le loro forme
combinate.
Questa è un‟altra particolarità utile a caratterizzare il sistema di romanizzazione
che i gesuiti del padroado, in particolare il gruppo di Intorcetta&Al., adottarono
come standard nella seconda metà del 1600.
9.2.4 Osservazioni finali sulla romanizzazione Intorcetta&al.
La romanizzazione usata da Intorcetta, Da Costa, Gouvea, Rougemont, Couplet,
come da altri gesuiti del padroado negli ultimi decenni del XVII secolo,
rappresenta lo stadio più stabile e consolidato dello standard portoghese
iniziato con RLS e passato attraverso fasi di assestamento, come testimoniato
dai sistemi usati da Martini (MM1, nella grammatica) e da Boym.
In sostanza, Intorcetta e gli altri confratelli impiegarono una forma revisionata
del sistema incluso nella Grammatica di Martini (cfr. supra), dei quali alcuni di
loro avevano sicuramente fatto uso come strumento di studio.
La maturità della romanizzazione di Intorcetta&al. rispetto ai sistemi progenitori
(RLS, MM1) si concretizza in un più coerente set di grafemi iniziali, un uso più
sistematico dei diacritici per l‟aspirazione ( c ) e per l‟apertura vocalica ( ˙ ) e, in
generale, una standardizzazione ben definita delle convenzioni grafiche.
Questo stesso sistema, con poche modifiche, sopravvivrà per un secolo ed oltre;
è infatti possibile ritrovarne chiari echi nei documenti romanizzati del Collegio di
Cinesi di Napoli, ed in tutta una serie di opere sinologiche dei secc. XVIII-XIX che
adottarono questo standard gesuita-portoghese per romanizzare la pronuncia
del Mandarino.
186
Secondo frontespizio della traduzione del
Zhongyong (中庸, 1669), contenente i nomi
dei gesuiti coinvolti nel progetto editoriale
Pagina della traduzione del Lunyu (论语,
1662). Anche qui, ad ogni carattere cinese
corrisponde la propria romanizzazione.
Pagina di Innocentia Victrix (1671), testo con
caratteri cinesi e romanizzazione. Con minime
differenze, la romanizzazione usata qui è la
stessa di Intorcett&al.
Pagina di Nouvelle Relation de la Chine (1690).
Anche in quest‟opera di Magalese, compare lo
stesso sistema di romanizzazione di
Intorcetta&al.
187
10.0 Francisco Varo
Francisco Varo (1627-1687), spagnolo originario di Siviglia; a sedici anni diventa
domenicano e poco dopo è reclutato per partire per la provincia del Santo
Rosario da Juan Bautista de Morales, tornato in Europa a cercare nuove risorse
per la missione domenicana in Cina. Il giovane Varo arriva nelle Filippine nel
1649, iniziando a studiare cinese nei quartieri cinesi di Manila, durante il primo
anno di soggiorno. Probabilmente impara prima il Mandarino, per poi dedicarsi
anche ai dialetti fin dai primi anni trascorsi sulle coste meridionali, facendo
sicuramente tesoro dell'esperienza linguistica dei confratelli che lo hanno
preceduto, come Diaz e Morales, che egli cita in più di un'occasione come autori
di fondamentali strumenti per lo studio della lingua.256
Per quanto attiene alla sua produzione linguistica, è l'autore certo di due grandi
dizionari manoscritti: un primo portoghese-cinese completato nel 1670, del
quale oggi non rimangono copie complete; un secondo spagnolo-cinese,
completato tra la fine degli anni ‟70 e l‟inizio degli ‟80, del quale rimangono
diversi esemplari. Ma l‟opera che l‟ha reso più famoso è certamente un'estesa
grammatica del Mandarino, pubblicata nel 1704 dal francescano Pedro de la
Piñuela (1650-1704) con il titolo Arte de la Lengua Mandarina.
Sia nei dizionari che nella grammatica, tutte le parole cinesi sono riportate solo
in forma romanizzata, senza caratteri cinesi, trattandosi pertanto di documenti
alfabetici - disordinati; tutti questi lavori di Varo sono stati approfonditamente
studiati da W.S. Coblin, che ne ha realizzato o curato delle riedizioni complete,
corredate di estesi apparati critici. Dunque, pur avendo accesso a
fotoriproduzioni delle fonti originali, nel presente studio si è preferito far
riferimento agli approfonditi studi effettuati da Coblin (1998, 2006) e Coblin-Levi
(2000), in cui sono forniti esaurientemente anche tutti i dati relativi al sistema di
romanizzazione utilizzato da Varo, sia nei suoi dizionari manoscritti, sia nella sua
grammatica impressa. 257
256
Varo, introduzione del manoscritto del vocabolario spagnolo-cinese conservato a Parigi
(AMEP), cfr. COBLIN (2006:16) 257
Un‟analisi del sistema di romanizzazione di Varo estremamente approfondita si trova in
COBLIN (1998:262-267); una schematizzazione si ritrova anche in COBLIN & LEVI (2000:XV-XVI)
e COBLIN (2006:25)
188
10.1 La romanizzazione di Varo
La romanizzazione usata da Varo è primariamente basata sulla pronuncia
spagnola; al confronto con quelle che potrebbero essere le prime attestazioni di
questo standard (Morales e Diaz2) e con i lavori di altri missionari appartenenti
ad ordini mendicanti, si nota un alto grado di compatibilità, ma con alcune
differenze che possono essere interpretate in diacronia, come fasi diverse di una
stessa linea evolutiva.258
Il sistema di romanizzazione è lo stesso per le due fonti principali prese in
esame, cioè il glossario spagnolo-cinese (di qui in avanti Glossario) e la
grammatica del 1704 (da qui in avanti Arte). Essendo il VSC manoscritto, questa
fonte mostra tutti gli elementi grafici della romanizzazione nel miglior modo
auspicabile; Coblin (2006) ricorda che del VSC esistono vari esemplari, tra i quali
egli analizza in particolare una copia conservata a Berlino (come fonte
principale)259 ed un‟altra conservata a Londra (come fonte ausiliaria). 260 L‟Arte,
invece, essendo stampata con tecnica xilografica, pur non essendo un
manoscritto garantisce una buona aderenza all‟aspetto grafico originale della
romanizzazione.
Il Glossario e l‟Arte di Varo, data la tipologia (un‟opera lessicografica e un
trattato linguistico) e anche le dimensioni notevoli, contengono una gran
quantità di dati, più che sufficiente per poter estrapolare oltre 500 tipi grafici di
sillabe (non tenendo conto dei toni), dai quali si ricostruiscono agevolmente gli
inventari dei grafemi iniziali e i tipi grafici delle rime.
10.1.1 Grafemi iniziali di Varo
I grafemi iniziali previsti dalla romanizzazione di Varo, come riscontrabile nei
suoi glossari e nella sua grammatica (Arte) possono essere riassunti come
illustrato dalla tabella seguente:
258
(v. supra, capitolo su Morales e relativa problematizzazione) 259
Cfr. COBLIN (2006:13); la copia è conservata presso la Biblioteca Nazionale di Berlino, con
segnatura “Libr. Sin. 29”; si tratta di un manoscritto di 228 pagine in spagnolo, non datato, senza
prefazioni o introduzioni. 260
Ibid.; copia conservata presso la British Library di Londra, con segnatura “Sloan 3419”;
manoscritto di 184 fogli, datato 1695, senza prefazioni o introduzioni.
189
Grafemi iniziali della romanizzazione di Varo
Varo IPA Attacchi/Nuclei
çh, çh‟ /ts/, /tsh/ %
ch, ch‟ /tʃ/, /tʃh/ %
f /f/ %
g /ŋ/-/ʔ/ %
h /x/ %
j /ʒ / %
k, k‟ /k/, /kh/ %
l /l/ %
m /m/ %
n /n/ %
p, p‟ /p/, /ph/ %
s /s/
%
ç (-u˙)
t, t‟ /t/, /th/ %
v /v/-/ʋ/ %
x /ʃ/ %
Procedendo in ordine, si nota che il grafema ç- (esclusivamente in combinazione
con la rima -u˙) assume un probabile valore fricativo dentale /s/, in
complementarietà con l‟allografo dominante s- (che invece può combinarsi con
qualsiasi nucleo, compreso -u˙), il che è una novità rispetto ai sistemi analizzati
fin‟ora. Questa particolarità si ritroverà, in seguito, in ulteriori fonti ad opera di
altri autori che hanno utilizzato un sistema di romanizzazione simile o uguale a
quello di Varo.
Si osserva inoltre la comparsa del digramma çh- dal probabile valore /ts/, che in
precedenza si era manifestato solo nella romanizzazione secondaria usata nelle
definizioni del Vocabulario di Diaz (Diaz2).
Il grafema g- copre la gamma di valori /ŋ/-/ʔ/, per i quali in altri sistemi si hanno
le due forme ng- e g-; questo annullamento di due tipi grafici in uno è
caratteristico delle romanizzazioni spagnole, esattamente come la sintesi delle
tre forme c-, k-, q- per /k/ in un unico grafema k-, (nonostante queste
caratteristiche si siano viste anche in XREMZ).
190
Anche in Varo compare il grafema iniziale v-, al quale Coblin (1998) attribuisce
valore /v/.261 Gli altri grafemi iniziali non presentano grandi particolarità.
10.1.2 Tipi grafici delle rime di Varo
Il set delle rime è descrivibile in modo completo, data la gran quantità di dati
disponibili nelle due fonti analizzate; la tabella seguente illustra i tipi grafici delle
rime previsti dalla romanizzazione di Varo, per un totale approssimativo di 58
elementi:
Set dei tipi grafici delle Rime della romanizzazione di Varo
V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC
-a -ai(ay);
-an; -ang;
-ao
-e
-e˙
-en; -eng; -eu -eang; -eao
-i
(-y)262
-ia(ya);
-ie(ye); ie˙;
-in; -ing;
-io;-io˙; -iu; -iu˙
-iai; -ian;263 -iang; -iao;
-ien; -ieu;
-iue; -iun; -iun˙; -iung
-iuen˙ 264
-o
-o˙
-oa;
-oe;
-oi; -on
-oai; -oan; -oang;
-oei/oey; -oen
-u
-u˙
-ua; -ue; -ui;
-ung(uung); -un; -un˙
-uo
-uai; uang; -uan;
-uei; -uen;
-uon
ul
261
Più precisamente, COBLIN (1998:263) interpreta v- /v/ e g- /w/, considerando che non
generano coppie minime, e pertanto deducendone che i due grafi rappresentino due allofoni [v]
e [w] di uno stesso fonema dominante /v/. 262
Il grafema y appare come variante libera di i, solo come ultimo elemento della sillaba 263
La rima -ian compare solo una volta nella grammatica, per la parola niân 年 (nián) “anno”,
che in tutti gli altri casi è trascritta niên. 264
Il punto diacritico ( ˙ ) che, per convenzione del presente studio è posto in alto a desta, si
riferisce qui alla vocale u della rima (i.e. -iuen).
191
Una caratteristica dei sistemi ispanofoni sul piano delle rime è sicuramente la
presenza del digramma -ng per la coda /ŋ/ (rappresentata invece da -m nei
sistemi a base portoghese); in secondo luogo si nota anche la tendenza del
grafema i- a non essere sostituito da un allografo y-, cosa che avviene solo in
pochi casi (quando è l‟ultimo elemento del nucleo es. y, fi/fy, lay; in rarissimi casi,
dopo iniziale zero come primo elemento di un dittongo, es. ie/ye, ia/ya).
Alcuni tipi grafici possono essere accorpati e interpretati come coppie di
allografi, ad es. -iao/-eao, -iang/-eang, dove i secondi elementi di ogni coppia
compaiono solo dopo l‟iniziale l- e l‟alternanza tra -i- ed -e- dipende quindi
dalla percezione dei diversi foni in coarticolazione con diverse iniziali.
Altro particolare, la sillaba con probabile valore /ɚ/ è resa in Varo, come in altri
sistemi ispanofoni, tramite la forma ul (nei sistemi portoghesi per lo più lh).
10.1.3 Diacritici del sistema di Varo
Per quanto riguarda i diacritici, sul piano segmentale si è già visto l‟uso della
marca per l‟aspirazione delle consonanti iniziali, resa da Varo in modo simile ad
un gancetto ( c ) o uno spirito greco aspro ( ‘ ) soprascritto agli ultimi elementi
della sillaba; qui, convenzionalmente, si è resa l‟aspirazione con un apostrofo ( „ )
posto subito dopo la consonante iniziale.
Sempre sul piano segmentale, spostandoci ai nuclei sillabici, si trova il diacritico
per l‟apertura vocalica, cioè un punto soprascritto ( ˙ ) alla vocale tonica
interessata dalla variazione di apertura. Le vocali che possono essere interessate
dal punto soprascritto sono e, o, u. Le prime due (e, o) possono recare il punto
esclusivamente quando sono l‟ultimo elemento della sillaba (es. che˙, çhie˙, lo˙,
hio˙ ), risultando in fonemi vocalici più chiusi, in opposizione alle forme senza
punto più aperte (es. çhie/çhie˙, lo/lo˙). La u, invece, può recare il punto sia
quando è in posizione finale (es. chu˙, lu˙, hiu˙ ), sia intermedia (es. sun˙, xun˙,
hiuen˙);265 nel caso della u con punto, tuttavia, il diacritico non segnala sempre
univocamente la stessa variazione, bensì indica genericamente una modifica
della vocale tonica secondo casi diversi, come spiega lo stesso Varo in un
paragrafo introduttivo dell‟Arte;266 interpretando la spiegazione descrittiva del
domenicano, per i vari casi Coblin (1998) propone i seguenti valori fonetici:
265
Per la rima -iuen˙, cfr. nota precedente 266
VARO (1703:14-16) [De las tonadas con puntillo]; cfr. anche COBLIN & LEVI (2000:43-47)
192
- u = [y] quando segue i;
- u = [ɿ]267 quando segue una sibilante;
- u = [ʮ]268 in tutti gli altri casi.
Si ricorda inoltre che, nel sistema di Varo, il punto non compare mai sottoscritto,
come invece si trova in altri sistemi (ad es. XREMZ).
L‟ultima osservazione riguarda i diacritici soprasegmentali, specificamente le
marche tonali. Non si segnalano grandi particolarità; il numero è sempre cinque,
i segni grafici sono pressoché identici agli altri sistemi: ˉ, ˆ, ´, `, ˘, con la
particolarità che, dei due toni curvi, uno ha una forma angolata ( ˆ ), uno
arrotondata ( ˘ ). La posizione è sempre sovrascritta alla sillaba, per lo più in
corrispondenza della vocale tonica; si è altresì già segnalato che, in alcuni casi, le
marche tonali sono combinate con altri diacritici (aspirazione, punto).
Come era accaduto per Intorcetta, anche Varo offre delle interessanti note
editoriali riguardo alle combinazioni grafiche dei diversi diacritici; si è detto
infatti che questi ultimi sono tutti sovrascritti alla sillaba, ma non si è dato conto
della gerarchia nel posizionamento.
Varo parla innanzitutto della combinazione di marche tonali e marca
dell‟aspirazione, proponendo le seguenti soluzioni grafiche: ;
si nota che le combinazioni proposte prevedono che lo spirito per l‟aspirazione
sia, sostanzialmente, sempre soprascritto alla marca tonale.
La seconda annotazione riguarda la combinazione dei toni e del punto per
l‟apertura vocalica, secondo lo schema seguente: ; anche qui
le posizioni prese dal punto sono le stesse di quelle prese dallo spirito,
sovrascritte ai toni.
L‟ultima annotazione, ovviamente, descrive le combinazioni più complesse,
quelle che prevedono contemporaneamente tono, aspirazione e punto:
; la situazione non varia comunque di molto, in quanto
entrambi i diacritici segmentali vengono sovrascritti alle marche tonali.
267
Il simbolo fonetico [ɿ] (ingl.: apical dental unrounded vowel), è ormai obsoleto ma continua a
permanere nell‟uso dei sinologi; il corrispondente simbolo IPA è [z]. 268
Il simbolo fonetico [ʮ] (ingl.: apical retroflex rounded vowel), è ormai obsoleto ma continua a
permanere nell‟uso dei sinologi; il corrispondente simbolo IPA è [ʐʷ].
193
Anche questa voluta codifica delle combinazioni dei diacritici contribuisce a
caratterizzare il sistema di Varo.
10.1.4 Considerazioni finali sulla romanizzazione di Varo
L‟uso della romanizzazione da parte del domenicano spagnolo Francisco Varo è
comodamente osservabile nella sua completezza tramite l‟analisi diretta delle
sue opere linguistiche. L‟immagine che se ne trae è quella di un sistema
estremamente stabile e coerente, che non appare improvvisato ma sicuramente
rodato dall‟uso fattone nei decenni precedenti sia dai predecessori di Varo, sia
da egli stesso.
Si tratta di un sistema largamente basato sulla pronuncia spagnola dell‟alfabeto
latino, che mostra contatti con sistemi precedenti, non esclusivamente
nell‟ambito degli ordini mendicanti; si pensi, ad esempio, ai punti di contatto sia
con il sistema XREMZ (Trigault) per i grafemi iniziali, sia con il secondo sistema
usato da Martini (MM2) per i tipi grafici delle rime (es., coda -ng), e ovviamente
la compatibilità con il sistema dei diacritici originatosi in RLS.
Chiaramente, le maggiori connessioni e il maggior grado di sovrapponibilità si
riscontrano con le romanizzazioni in altre opere di estrazione mendicante
(Morales, Diaz2), in una linea evolutiva di cui si cercherà di rendere conto nelle
osservazioni finali della presente ricerca.
194
Due pagine della grammatica di Varo, Arte de la Lengua Mandarina (1703). La stampa
xilografica mostra perfettamente tutte le caratteristiche della romanizzazione.
195
11.0 Basilio Brollo
Basilio Brollo (1648-1704), nasce a Gemona (Udine), entra in convento nel 1666
per diventare frate francescano minore, prendendo i voti nel 1674.
Successivamente, nel 1680, chiede di essere inviato in Cina; non appena arriva a
Canton, nel 1684, inizia a studiare il cinese, probabilmente il Mandarino.269 Negli
otto anni tra il 1692 e il 1700 risiede a Nanchino, dove compila un grande
dizionario cinese-latino ordinato per radicali, finito nel 1694; alcuni sostengono
che ne abbia poi compilato un secondo, ordinato in base alla pronuncia,
completato intorno al 1699.270
Del dizionario del 94' esistono vari esemplari conservati in vari archivi e
biblioteche d‟Europa; la copia esaminata in questa ricerca, conservata alla
Biblioteca Medicea-Laurenziana di Firenze, porta il titolo Hán çụ sī iĕ˙ 漢字西譯
(Hànzì xīyì, da qui in poi HZXY) ed è considerata autografa.271 Nello stesso luogo
si conserva anche un esemplare nel quale è riconosciuto il dizionario del '99, del
cui autore o copista non si è totalmente certi, ma molto probabilmente si tratta
di una copia realizzata da Giambattista Maoli da Serravalle (1667-1725),272
addirittura si potrebbe avanzare l‟ipotesi che si tratti di una rielaborazione
originale del primo dizionario di Brollo ad opera del Maoli, come osservato
anche da Claude Larre273 in una nota manoscritta conservata alla Mediceo-
Laurenziana.274
269
BERTUCCIOLI (1972), [“Brollo, Basilio”] in DBI 270
Ibid., p.21 271
Copia conservata alla Biblioteca Mediceo-Laurenziana di Firenze, con segnatura “Rinuccini
22”: [Basilii a Glemona] Lexicon sinico-italicum 272
L‟esemplare fa parte del fondo “Conventi Soppressi” con segnatura “S.Marco 309”, pertanto
la provenienza è il convento domenicano di San Marco. Nell‟incipit riporta: “Ab Jo Babta a
Serravalle scriptum”. 273
Claude Larre, S.I., (1919-2001), sinologo e gesuita francese. Ha trascorso circa vent‟anni in
Asia, fino al 1966, anno in cui tornò a Parigi e fondò il centro di studi sinologici “Matteo Ricci”,
oltre alla “Scuola Europea di Agopuntura” insieme al dott. Jean Schatz (m.1984). 274
Nel foglio di accompagno del manoscritto “Rinuccini 22”, tra i nomi degli utenti, al numero 7
si incontra “Claude Larre, S.I., studioso, Parigi”, che risulta aver consultato il manoscritto nei gg .
26-28 settembre 1978. Nel campo delle annotazioni si legge “confr. con S.Marco 309”; lo
studioso ha quindi consultato entrambi i dizionari manoscritti. Al foglio di accompagno è
allegata una nota manoscritta in francese dello stesso Larre, che osserva: “[…] il secondo lavoro
196
Un altro scritto di Brollo compare inoltre pubblicato in appendice alla
grammatica di Varo (Arte, 1704), si tratta di un metodo per confessare i fedeli in
cinese (da qui in poi Confessionarium). Tutti questi documenti, ovviamente,
mostrano un esteso uso della romanizzazione. Nei due dizionari, infatti, tutti i
caratteri dei lemmi sono accompagnati dalla loro pronuncia romanizzata e, nelle
definizioni dei lemmi, compaiono esempi di frasi in sola romanizzazione; il
Confessionarium, invece, come la grammatica di Varo, omette totalmente i
caratteri cinesi, essendo completamente scritto in romanizzazione. Anche
quest‟ultimo documento, sebbene non sia manoscritto, dovrebbe rendere
l‟aspetto grafico della romanizzazione in maniera abbastanza fedele all'originale,
in quanto stampato con tecnica xilografica.
Per alcuni motivi connessi alle inerenti differenze di romanizzazione, non tutte le
fonti elencate saranno prese in esame.
11.1 La romanizzazione del dizionario HZXY (1694)
Se reputiamo autografo il manoscritto del dizionario HZXY del 1694, dobbiamo
credere che il sistema di romanizzazione in esso impiegato fosse quello
correntemente usato da Brollo; questa fonte dovrebbe essere quindi la più
fedele rispetto alle abitudini del francescano di Gemona in fatto di
romanizzazione, perciò sarà la prima fonte ad essere presa in considerazione.
Dopo l‟incipit, seguono 7 fogli di introduzione; dal secondo al quinto foglio si
trova il paragrafo “De modo scribendi et pronunciandi europeis litteris et vocibus
sinicos caracteres”, nel quale l‟autore spiega dettagliatamente non solo il proprio
sistema di romanizzazione, ma anche le differenze fra i due maggiori standard
[s.marco 309] è più che una semplice copia del precedente, è un’opera personale del Padre J.B. a
Serravalle (1), [scritta] di suo pugno[…]” e in calce: “(1) J.B. a Serravalle (?) entrò in Cina nel 1699.
cf. la nota latina al foglio 562”. Nel foglio 562 del dizionario S.Marco 309 si trova una tavola di
corrispondenze tra il calendario tradizionale cinese a ciclo sessagenario e le date del calendario
gregoriano; arrivando all‟anno 1699, corrispondente all‟anno 己卯 (jǐ mào), la grafia e il sistema
di romanizzazione cambiano, e si legge la nota latina manoscritta: “intravi in Cinas 13 8bris
[…]”,
cioè “entrai in Cina il 13 ottobre”. Sembra difficile, tuttavia, collegare questo indizio direttamente
con il summenzionato Giambattista Maioli da Serravalle (1667-1725), in quanto egli entrò in
Cina nel 1706, non nel 1699.
197
esistenti, basati rispettivamente su spagnolo e portoghese; ne riportiamo, di
seguito, un passaggio rilevante:
“Sinensium caracterum sonus cum nobis barbariis sit, cogitatis unius Europei idiomati
litteris exprimi non facile potest; hinc non uno scribendi modo ab Europeis Missionarijs
describitur: quisque enim illo utitur, qui suo Idiomati magis affinisset; Qui Latinae loqui
proposui, Latino etiam Idiomati iuxta italorum morem, quam fieri potest magis conformi
scribendi ratione utendum arbitror; dixi quam fieri potest magis conformi; non enim
omnis Sinensium Soni vari Latinâ scriptione exprimi possunt, ut paulo infra parebit; preter
enim usitatas Latinorum Litteras necessario aliq[uando?] ab alijs nationibus
mutuanda,[…]ut sinicam pronunciationem ossequi possimus.[…] Res clarius patebit, si
prius adnotavero Hyspanorum, ve Lusitanorum discrimen in scribendis Europeo more
sinicis caracteribus[…] huius rei rationem paucis declarabo, simulque innotescet, qual??
mihi scribendum opinor.”275
Il concetto comunicato è chiaro: non è semplice esprimere il suono dei caratteri
cinesi scegliendo un solo alfabeto europeo, pertanto ognuno l‟ha fatto con
l‟ortografia che più si confaceva alla propria abitudine linguistica. L‟alfabeto
latino non è sufficiente ad esprimere la pronuncia cinese, perciò si deve, in
alcuni casi, prendere in prestito alcune lettere dall‟alfabeto di questa o quella
lingua; Brollo poi avverte che chiarirà prima le differenze di romanizzazione tra
spagnoli e portoghesi, per poi dire quale, a suo parere, è il modo migliore di
annotare i suoni cinesi. Dai passaggi successivi, si chiarisce anche un altro punto:
Brollo non sceglie tout-court uno dei due sistemi, bensì crea un sistema misto
selezionando elementi da entrambi i sistemi, motivando ad una ad una le sue
scelte.
La descrizione delle differenze tra romanizzazione spagnola e portoghese
nell‟introduzione di Brollo è particolarmente chiara riguardo alle consonanti
iniziali, ma fornisce alcune informazioni anche in ambito di rime. Il francescano
riporta una serie di esempi romanizzati secondo i due diversi sistemi, per
illustrarne le differenze principali:
275
HZXY (1694) Ms. (Rinuccini 22) [introduzione, f.3, De modo scribendi…]
198
Hispani scribunt Lusitani vero
çhù filius çù
kái cooperire cái
jîn homo gîn
gái amor ngái
gě calamitas nghě
kuā cucurbita quā
kiàng loqui kiàm
çù mori sù˙
ùl auris lh276
Dagli esempi del francescano è possibile ricostruire una tabella delle diversità
indicate da Brollo nel modo che segue:
Differenze illustrate da Brollo tra le romanizzazioni spagnole e quelle portoghesi
Grafemi iniziali Rime o Code di rima
Spagnolo Portoghese IPA Spagnolo Portoghese IPA
çh ç /ts/ -ng -m /ŋ/
k
c (-a, -o, -u)
/k/
ul lh /ɚ/
k (-e, -i)
q (-u-)
j g /ʒ/
g
ng
(ngh) (-e) /ŋ/-/ʔ/
g (-oei)
ç s /s/
Per i grafemi iniziali f-, h-, l-, m-, n-, p-, s-, t-, l‟autore non annota differenze,
pertanto si può immaginare che, a parere di Brollo, questi grafemi fossero usati
nello stesso modo sia dagli spagnoli che dai portoghesi.
276
Ibid.
199
11.1.1 Grafemi iniziali nello HZXY di Brollo
Detto ciò, si può passare a ricostruire il sistema di grafemi iniziali della
romanizzazione di Brollo nel dizionario HZXY, attraverso l‟analisi dei dati
contenuti nel testo intero; la descrizione che se ne dà nella tabella seguente
mostra in modo evidente la sintesi effettuata dal francescano a partire dai due
standard differenti:
Grafemi iniziali del dizionario HZXY di Brollo
HZXY IPA Attacchi/Nuclei
ç, ç‟ /ts/, /tsh/ %
ch, ch‟ /tʃ/, /tʃh/ %
f /f/ %
h /x/ %
j /ʒ/ %
k, k‟ /k/, /kh/
%
q, q‟ (-u-)
l /l/ %
m /m/ %
n /n/
(gn) ([ɲ]) (-i)
g
/ŋ/-/ʔ/
(-oei)
ng
(ngh)
%
(-e-)
p, p‟ /p/, /ph/ %
s /s/ %
t, t‟ /t/, /th/ %
*v (u-, ü-) */v/-/ʋ/ %
x /ʃ/ %
Delle consonanti iniziali contese tra le due ortografie iberiche, il francescano di
Gemona sceglie di usare la forma spagnola j- /ʒ/, accanto alle forme portoghesi
ç- /ts/ e ng(h)- /ŋ/, mentre per il fonema /k/ adotta una soluzione intermedia tra
i due sistemi, con k- (con qualsiasi nucleo sillabico) e q- (solo davanti a dittonghi
inizianti per -u-).
200
Le due forme v-, ü- sono usate alternativamente in posizione iniziale con
probabile valore /v/-/ʋ/; dei due allografi, il secondo è certamente quello
dominante.
11.1.2 Tipi grafici delle rime nello HZXY di Brollo
Parimenti, per quanto riguarda le rime, Brollo adotta la coda spagnola -ng /ŋ/,
ma usa invece la forma portoghese lh per la sillaba /ɚ/; lo schema delle rime
della romanizzazione in HZXY è pertanto descrivibile come segue:
Tipi grafici delle rime del dizionario HZXY di Brollo
V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC
-a -ai/ay; -an; -ang;
-ao
-e
-e˙
-en; -eng; -eu -eang; -eao
-i/y (ÿ) -ia;
-ie; -ie˙
-in; -ing;
-io; -io˙; -iu; -iu˙ (iu)
-iai; -iang(yang); -iao;
-ien; -ieu;
-iue; -iun; -iun˙ (iun)
-iung
-iuen
-o
-o˙
-oa;
-oe;
-oi; -on
-oai; -oan; -oang;
-oei; -oen
-u (ü-)
-u˙ (-u)
-ua;
-ue(üue); -ui(üi);
-ung; -un;
-uo; -uo˙
-uai(üai); -uang(üang);
-uan(üan);
-uei; -uen(üen);
-uon(üon)
lh
Il set di rime della romanizzazione usata nel dizionario HZXY ammonta quindi
ad almeno 59 tipi grafici, tenendo conto dei puntini diacritici.
Al pari della romanizzazione ispanofona di Varo, si noti la particolarità delle rime
con il grafo i-, che presenta una forma allografa y- in tre casi: 1) in caso di
sillabe con iniziale zero; 2) in caso di sillabe inizianti per dittongo ascendente
(schema vV-, es. ya-); 3) in sillabe del tipo CV (con V=/i/) anche nella forma -ÿ;
201
raramente l‟allografo -y compare come ultimo elemento di un dittongo
discendente (schema -Vv, es. -ay), e non si trova mai in posizione intermedia tra
consonante iniziale e vocale tonica, cioè come primo elemento di un dittongo
(schema CvV-, es. non *çye- bensì çie-).
Una caratteristica importante, poiché originale del sistema di Brollo, riguarda il
grafema -u- seguito da vocale, che presenta la forma allografa ü- con la dieresi
sovrascritta (resa in realtà quasi sempre con la maiuscola Ü-) quando l‟iniziale è
zero, grafia che potrebbe difficilmente far pensare ad un valore fricativo sonoro
/v/, quanto piuttosto all‟indicazione di un probabile valore approssimante,
labio-dentale /ʋ/ (o labio-velare /w/).
Ulteriore nota, risalta la scelta del digramma portoghese lh per il probabile
valore /ɚ/, grafema assente nei sistemi ispanofoni (dove è reso con ul).
11.1.3 Diacritici nello HZXY di Brollo
Giungendo a parlare dei diacritici, si descrivono innanzitutto quelli che
interessano il piano segmentale; nella fattispecie, si è precedentemente
osservata la marca per l‟aspirazione delle consonanti iniziali, resa con un segno
simile ad un gancetto ( c ) o un apostrofo ( „ ), solitamente posto sull‟ultimo
grafema della sillaba (es. chang).277
A seguire, si osservano i diacritici riguardanti le rime; sostanzialmente si tratta
dei punti sovrascritti ( ˙ ) o sottoscritti ( . ) alla vocale tonica della rima, per
indicarne una variazione del grado di apertura; le uniche vocali che possono
recare la marca dell‟apertura vocalica sono e, o, u, come spiega lo stesso Brollo:
[…] Insuper aliquas vocales afficiuntur puncto, et sunt ĕ ŏ ụ ; e et o, solum admittunt
punctum in quinto Tono, u, autem in omnibus quinque; […]278
Dal passaggio presentato si evince anche che i grafi -e ed -o possono
presentare il punto soprascritto ( ˙ ) solo quando pronunciate al quinto tono ( ˘ ).
Se queste due vocali (e, o) possono essere interessate solo dal punto
soprascritto, per la u ricompare per la prima volta anche il punto sottoscritto ( . ),
277
Come stabilito in precedenza, nel presente lavoro la marca dell‟aspirazione è
convenzionalmente resa da un apostrofo posto dopo la consonante iniziale (es. ch‟ang) 278
HZXY (1694) Ms. Rinuccini 22, [introduzione, f.4]
202
usato precedentemente solo dal gesuita Trigault nel suo XREMZ. 279 Il
francescano prova a spiegarne l‟utilizzo nell‟introduzione del suo dizionario del
1694:
“ụ Afficiens vero u (supra u˙ vel infra ụ) indicat u debere Germanico, vel Gallico more
pronunciari cum aliquo sibilo; sic chū˙, porcus: ch’û, excipere: chù , Dominus, chú Columna:
ch’ǔ˙, egredi: Porro hoc u non solum habet hunc sonum sibilantem, quando est finale, et
afficitu punctu, sed etiam quandocumque vel sequitur ad i, ut kiūn, Rex, vel dictio finit in
un, ut xún, obedire, iûn, dicere; chùn, approbare:
Tandem u cum punto consonantibus ç et s post positum et finale, habet alium
differentem sonum, ut çù , filius; sù , mori; quem exprimere non valeo, aurium est enim de
sono iudicare non oculor; et linguae est cum exprimere, non manus, vel calami; quod
possum dicere est, ut fiat dentibus fere clausis, et labijs ridentibus, linguae cuspida
inferioribus dentibus applicato; caeterum haec omnia occidente[sic] Magistro, et usu, non
aiunt inutilia, ijs deficientibus parum proderunt[…]”280
Dalla spiegazione dell‟autore, non priva di ambiguità, si capisce che il grafo u
recante un punto rappresenta due suoni: 1) Il primo pronunciato alla maniera
germanica o francese, con un certo sibilo, quando in posizione finale, oppure
dopo la -i-, o nella combinazione -un; 2) Il secondo, invece, in posizione finale
dopo i grafemi ç- e s-, pronunciato con i denti quasi chiusi e le labbra
posizionate come quando si sorride, con la punta della lingua che tocca i denti
inferiori.
Colpisce il fatto che Brollo non specifichi la differenza tra punto soprascritto e
punto sottoscritto, apparentemente del tutto intercambiali, come si nota dai
seguenti esempi: chū˙ (豬 zhū, maiale), ch’û (除 chú, escludere), chù˙ (主 zhǔ,
padrone), chú (柱 zhù, colonna), ch’ǔ˙ (出 chū, uscire), kiūn (君 jūn, Re), xún (順
shùn, obbedire), iûn (云 yún, dire), chùn (准 zhǔn, approvare); secondo le
indicazioni di Brollo, in tutte queste parole la u andrebbe pronunciata “con un
sibilo” al modo francese o germanico, forse riferendosi ad un probabile valore
/y/.
279
v. supra, capitolo dedicato 280
HZXY, esemplare del 1694, (ms. Rinuccini 22), introduzione, f.5
203
Nel caso in cui la -u segua invece i grafemi iniziali ç- o s-, essa può recare
esclusivamente il punto soprascritto, ad indicare una pronuncia che il
francescano sembra descrivere come un valore più arretrato, probabilmente tra
/ɨ/ e /ɯ/.
L‟ambiguità si estrinseca quindi in due modi: 1) per uno stesso valore fonetico, il
punto diacritico compare sia sopra, sia sotto, senza che se ne capisca la ratio; 2)
per differenti valori fonetici, il diacritico è usato nello stesso modo (soprascritto).
Ne deriva che, nel sistema di Brollo, la presenza/assenza del punto è
fonologicamente pertinente, ma non lo è la sua posizione. Si è detto che l‟unico
altro sistema in cui si rinviene il punto diacritico per l‟apertura vocalica anche in
posizione sottoscritta è quello di Trigault nello XREMZ. Tuttavia, in Trigault la
posizione è pertinente, generando opposizioni fonologiche ben chiare. Brollo
potrebbe aver in qualche modo mutuato la presenza del punto sottoscritto da
Trigault, avendo forse a disposizione lo XREMZ come fonte; ma in realtà si è
visto che ne fa un utilizzo diverso. La mancata corrispondenza tra l‟uso del
punto in XREMZ e HZXY è brevemente illustrata da questi pochi esempi:
Carattere XREMZ HZXY
于 iu iu˙
据 kiu kiu˙
損 sun sùn
Mentre nello XREMZ è ben chiaro che il punto sottoscritto alla u può occorrere
solo quando essa non è seguita da altri grafemi, ossia solo in sillabe tronche con
u come ultimo elemento, nello HZXY di Brollo non esiste questa limitazione, e si
trova il punto sottoscritto in sillabe come sụn, kiụn, dove la u è invece seguita
da una coda (-n).
L‟ultima osservazione riguarda le marche tonali, presenti nella romanizzazione
del dizionario nel numero di cinque, rispettivamente contrassegnate dai segni:
ˉ, ˆ, ´, `, ˘, solitamente sovrascritti agli ultimi grafemi della sillaba,
indipendentemente che essi siano vocali o consonanti (es. mā, mań, maňg,
manĝ); in sostanza, il sistema delle marche tonali di Brollo in HZXY non presenta
differenze con gli altri sistemi di romanizzazione analizzati.
204
Una particolarità aggiuntiva dei diacritici in HZXY, secondo quanto detto nei
capoversi precedenti, riguarda la posizione: sia l‟aspirazione, sia i toni tendono a
concentrarsi sugli ultimi grafi della sillaba.
11.2 La romanizzazione del Confessionarium
La romanizzazione usata da Brollo nel Confessionarium è sostanzialmente
identica a quella usata da Varo nell‟Arte; la cosa non sorprende, dal momento
che entrambi gli scritti fanno parte dello stesso progetto editoriale, curato dal
francescano Pedro de la Piñuela (1650-1704), ma non si può non notare che la
romanizzazione è diversa da quella usata da Brollo nello HZXY. Si tratta infatti di
un sistema di romanizzazione basato totalmente sulla pronuncia spagnola;
anch‟esso è completo di marca per l‟aspirazione, indicazione dei toni e uso di
punti diacritici per precisare l'apertura vocalica.
È difficile dire se Brollo, nell‟eventuale manoscritto originale, abbia usato la
stessa romanizzazione o se, invece, essa sia risultata da una rielaborazione ad
opera dell‟editore o di terzi. L‟unica cosa certa è la pressoché totale omogeneità,
per quanto riguarda la romanizzazione, tra le opere di Varo e il Confessionarium:
Set delle iniziali delle romanizzazioni di Brollo (Confessionarium) e Varo a confronto
Brollo Confessionarium Varo IPA Attacchi/Nuclei
çh, çh‟ çh, çh‟ /ts/, /tsh/ %
ch, ch‟ ch, ch‟ /tʃ/, /tʃh/ %
f f /f/ %
g g /ŋ/-/ʔ/ %
h h /x/ %
j j /ʒ/ %
k, k‟ k, k‟ /k/, /kh/ %
l l /l/ %
m m /m/ %
n n /n/ %
p, p‟ p, p‟ /p/, /ph/ %
s s /s/ %
205
ç ç (-u˙)
t, t‟ t, t‟ /t/, /th/ %
v v /v/-/ʋ/ %
x x /ʃ / %
Se si confrontano le iniziali della romanizzazione del Confessionarium con le
particolarità segnalate da Brollo riguardo alla romanizzazione spagnola, si
riscontra una totale compatibilità. In rarissimi casi si notano delle minime
discrepanze o incoerenze nell‟uso delle iniziali, ad esempio, il carattere 四 (sì,
quattro) è trascritto sempre çú˙ eccetto in un caso, dove viene trascritto sú˙,281
secondo la romanizzazione usata in HZXY; ma sarebbe azzardato interpretare
questo indizio come l‟evidenza di un elemento del testo originale sfuggito alla
correzione dell‟editore, mentre è più semplice leggere l‟incoerenza come un
banale errore, pur notandone l‟occorrenza.
Anche i tipi grafici delle rime del Confessionarium coincidono con quelli di Varo;
per uno schema delle rime di questi sistemi, si rimanda pertanto al capitolo
precedente, sulla romanizzazione di Varo.282
Infine, anche per l‟uso dei diacritici il Confessionarium risulta totalmente
aderente alla romanizzazione di Varo, comprendendo quindi una marca per
l‟aspirazione (spirito/apostrofo: c ), il punto per l‟apertura vocalica (solo
soprascritto) e le cinque marche tonali: ˉ, ˆ, ´, `, ˇ, previste nella maggior parte
dei sistemi analizzati.
11.3 Le romanizzazioni nel secondo dizionario di Brollo (1698)
Nella copia a nostra disposizione del dizionario di Brollo del 1698, la situazione
è molto complessa. Vengono usate più romanizzazioni: una principale, coerente
con l'ortografia italiana; ad essa si accostano a margine altre due o tre forme di
romanizzazione (spagnola, francese). Questo significa che chi ha copiato il
dizionario di Brollo, realizzando l'esemplare in questione, conosceva l'esistenza
281
Cfr. COBLIN & LEVI (2000:229) [f. 4b del confessionario+; il particolare non è segnalato
nell‟indice redatto da Coblin-Levi 282
v. supra
206
di tutti questi diversi standard e, molto probabilmente, era italiano.
Considerando che il più probabile copista di questo esemplare era il
francescano italiano Giambattista Maoli da Serravalle,283 non è da escludere
l‟ipotesi che l‟annotazione di tutte le diverse forme di romanizzazione possa
essere attribuita a lui. Pertanto si è deciso di non prendere in considerazione
questa fonte che, sebbene direttamente connessa a Brollo, non offre in modo
chiaro e univoco un quadro della romanizzazione usata da quest‟ultimo.
Ci si limita ad osservare che, tra le sillabe indicate a margine e trascritte secondo
i sistemi secondari, una serie di esse rientra perfettamente nel sistema di
romanizzazione usato dal Brollo nel dizionario HZXY del 1694, un‟altra serie
coincide con quello usato nella grammatica da Varo e nel Confessionarium di
Brollo, altre sillabe sono estremamente compatibili con il sistema francofono
usato da Piñuela nell‟introduzione da egli aggiunta alla grammatica di Varo.284
Tutte le romanizzazioni indicate in questo esemplare, sia quella principale
italiana, sia quelle secondarie, presentano la marca dell‟aspirazione, i toni e un
certo uso del punto diacritico per l‟apertura vocalica. Un ulteriore analisi di
questa fonte, importante proprio per la compresenza di tutte queste diverse
romanizzazioni, potrebbe fornire molte informazioni sui vari standard di
romanizzazione utilizzati dai missionari in Cina alla fine del 1600.
11.4 Osservazioni finali sulla romanizzazione di Brollo
L‟uso della romanizzazione da parte del francescano Basilio Brollo trova una
testimonianza attendibile e particolareggiata nel dizionario manoscritto e
autografo HZXY del 1694; questa romanizzazione è estremamente caratteristica,
in quanto congeniata tramite l‟unione di elementi appartenenti tanto alla
tradizione spagnola quanto a quella portoghese. Le pagine di introduzione che
Brollo antepone al corpo del dizionario, inoltre, offrono informazioni sia sulle
scelte dei vari grafemi, sia sui possibili valori fonologici da essi rappresentati;
quanto appena detto rende questa fonte un documento estremamente prezioso
ai fini dell‟indagine storico-linguistica.
283
v. supra, paragrafo introduttivo Brollo 284
Cfr. COBLIN & LEVI (2000:xvi)
207
Un‟altre fonte, il Confessionarium pubblicato in appendice alla grammatica di
Varo Arte de la Lengua Mandarina (1703), mostra uno scritto attribuito a Brollo
nel quali è utilizzato un sistema di romanizzazione differente, totalmente
coincidente con il sistema spagnolo usato da Varo.
Inoltre, sebbene si ritenga che il francescano Brollo negli ultimi anni del Seicento
abbia compilato un secondo dizionario cinese-latino, del quale si conservano
varie copie negli archivi europei, tuttavia ad oggi non se ne sono riconosciuti
esemplari autografi. Una delle copie più antiche dovrebbe essere quella ad
opera di Giambattista da Serravalle; questa copia, tuttavia, non è direttamente
utilizzabile per ricostruire la romanizzazione di Brollo, in quanto utilizza un
ulteriore metodo di trascrizione basato sull‟italiano, fornendo inoltre a margine
le sillabe romanizzate secondo altri sistemi.
Ritenendo la prima fonte come la più rappresentativa e caratteristica per la
romanizzazione del francescano di Gemona, se dovessero essere scoperti
documenti anonimi o non datati nei quali fosse impiegato questo sistema di
romanizzazione, si potrebbe ben ipotizzare l‟attribuzione a Brollo.
In conclusione, la romanizzazione di Basilio Brollo da Gemona è frutto di un
ottimo grado di competenza linguistica, dimostrato non solo dalla compilazione
di un‟opera lessicografica dalle dimensioni e qualità rilevanti, ma anche dalla
consapevolezza manifestata dall‟autore riguardo ai diversi sistemi di
romanizzazione usati dai suoi predecessori e contemporanei, dei quali egli attua
una personale sublimazione degna di nota.
208
Un foglio del dizionario cinese-latino
manoscritto da Brollo, Hanzi Xiyi (汉
字西译, ca.1694). Ordinato per
radicali; ogni lemma presenta il
carattere cinese in capolettera, la sua
pronuncia romanizzata sottoscritta, la
definizione con all‟interno composti e
frasi romanizzati contenenti il
carattere del lemma.
La romanizzazione risulta essere un
mix di caratteristiche portoghesi e
ispaniche.
Due pagine del Confessionarium di Brollo, allegato alla grammatica di Varo. La romanizzazione
del Confessionarium è quindi identica a quella della grammatica (Arte), diversa dal sistema usato
nello XZQJ di Brollo. Nel progetto editoriale di Pinuela agì probabilmente anche sull‟omogeneità
delle romanizzazioni.
209
12.0 Le romanizzazioni dei missionari francofoni
A partire dall‟arrivo in Cina dei gesuiti francesi inviati dal re di Francia Luigi XIV,
anche l‟ortografia francese iniziò ad essere usata per trascrivere le pronunce
cinesi. Inizialmente i gesuiti francesi accolsero lo standard portoghese in uso
presso i gesuiti del padroado (Intorcetta&al.), ma gradualmente lo sostituirono
con una nuova romanizzazione francofona, che si stabilizzò solo in seguito ad
un certo numero di modifiche e revisioni. In una nota contenuta nella prefazione
all‟edizione italiana della storia della Cina scritta dal gesuita francese Joseph-
Anne-Marie de Moyriac de Mailla (1669-1748), il traduttore osserva:
[…]Il Padre de Mailla si è attaccato a rendere i suoni Cinesi secondo il valore delle lettere
Francesi; ed ha avuto ragione di farlo. Ciò non ostante, è cosa molto diffìcile, che tutti i
Missìonarj Francesì, che hanno avuta l'istessa idea, si accordino fra loro sull‟ortografia di
quelle parole. […] Quella varietà d'ortografia si trova nei diversi scritti dei Missìonarj,
talchè potrebbe imbarazzare il lettore, e metterlo in dubbio[…]. 285
Esistevano quindi diverse romanizzazioni di stampo francofono, in uso in periodi
differenti. Inoltre, sebbene l‟abitudine a romanizzare il cinese tramite la grafia
francese iniziò con i gesuiti di Francia, anche presso altri missionari era
sperimentata questa possibilità.
Le fonti in cui si dispone di descrizioni analitiche di sistemi di romanizzazione
francofoni sono principalmente tre:
1) il Nouveaux memoires sur l'état présent de la Chine del gesuita francese
Louis Le Comte (1655-1728), pubblicato nel 1696; 286 nel testo, sia
nell‟edizione francese, sia nella traduzione inglese, compare una tavola
delle sillabe di base del mandarino.287 Da essa è possibile trarre un buon
numero di informazioni sulla romanizzazione di Le Comte;
285
MAILLA & al. (1777:I:141:n.1) 286
LE COMTE (1696); DU HALDE & LE COMTE (1772) 287
La tabella, nell‟originale francese (1696), ha per titolo “Recueil de tous le mots qui composent
la Langue Chinoise”, inserita tra le pp.370-1; nell‟edizione inglese (1772), la tabella si intitola “A
Listo f All the Words that form the Chinese Language”, posta ta le pp. 176-7
210
2) la già citata grammatica Arte de la Lengua Mandarina di Varo pubblicata
nel 1703, nella cui introduzione scritta dal francescano messicano Pedro
de la Piñuela (1650-1704) si presentano delle convenzioni ortografiche
francesi alternative a quelle spagnole, per facilitare i lettori francofoni;
3) la grammatica Notitia Linguae Sinicae del gesuita francese Joseph H.M.
de Prémare (1666-1736), scritta intorno agli anni ‟20 del 1700, ma
pubblicata solo nel 1831;288 all‟inizio del testo si trova un “Omnium
Vocum Linguae Sinicae Index Generalis”, ossia una lista di tutte le sillabe
cinesi esistenti, comprese le differenze di tono, con un corrispondente
carattere cinese come esempio.
Le osservazioni sui tre sistemi di romanizzazione reperibili in queste tre fonti
principali saranno poi integrate con alcune informazioni tratte da fonti
complementari, come la Histoire de l'empereur de la Chine del gesuita francese
Joachim Bouvet (1656-1730), del 1699,289 oltre alla già citata storia della Cina di
Mailla, del 1777. Inoltre, conferme della stabilizzazione dello standard francese
nei secoli successivi si trovano sparse nelle lettere riguardanti la Cina in Lettres
edifiantes et curieuses,290 raccolta di epistole scritte dai gesuiti delle missioni
straniere, pubblicata da tra gli anni 1702-1776, tra cui figurano scritti di gesuiti
francesi attivi in Cina quali Charles Le Gobien (1653-1708) e Jean-Baptiste Du
Halde (1674-1743).
Piuttosto che procedere separatamente, si preferisce impostare l‟analisi in modo
comparativo fin dall‟inizio, confrontando direttamente i grafemi iniziali e i tipi
grafici delle rime delle tre diverse romanizzazioni, per poterne sottolineare
direttamente similarità e differenze.
Le due fonti di estrazione gesuita (Le Comte, Premare) mostreranno una
maggiore somiglianza tra le rispettive romanizzazioni, essendo probabilmente
iscrivibili in una stessa linea evolutiva; la romanizzazione di Pinuela in Varo,
invece, divergerà per alcune particolarità, non mancando però di punti di
contatto con gli altri due sistemi.
288
PREMARE (1831) 289
BOUVET (1699) 290
LE GOBIEN et al. (1702-1776)
211
12.1 Grafemi iniziali delle romanizzazioni francofone (confronto)
Se si confrontano gli inventari dei grafemi iniziali delle tre romanizzazioni
francesi, si nota subito una certa caratterizzazione ortografica, che le distanzia
dalle romanizzazioni portoghesi e spagnole in modo abbastanza evidente:
Grafemi iniziali delle romanizzazioni francesi a confronto
Le Comte Pinuela Premare IPA
ch ch ch /ʃ/
tch tch, tch‟ tch, t‟ch /tʃ/, /tʃh/
ts ts, ts‟ ts, t‟s /ts/, /tsh/
c
k
q
k, k‟ k, k‟ /k/, /kh/
f f f /f/
h h h /h/
l l l /l/
m m m /m/
n n n /n/
ng ng ng
ngh (-e) /ŋ/-/ʔ/
g g ---
p p, p‟ p, p‟ /p/, /ph/
s s s
/s/ ss ss
t t, t‟ t, t‟ /t/, /th/
v v v /v/-/ʋ/
*g j g (-e, -i
j (-a, -e, -o, -u) /ʒ/
Le rese grafiche di tre fonemi: ch- per /ʃ/, tch- per /tʃ/ e ts- per /ts/, sono
condivise dai tre sistemi, rappresentando gli elementi di maggior distacco dalle
altre romanizzazioni sul piano dei grafemi iniziali.
Per il fonema /k/ si osserva una lieve discordanza tra la trascrizione di Le Comte
e quella delle altre fonti; forse perché il primo in ordine di tempo, Le Comte
212
mantiene la terna allografica c-, k-, q-, osservata in molte delle romanizzazioni
analizzate, specialmente in quelle di matrice portoghese. Questa soluzione sarà
accolta anche dalla romanizzazione usata nelle Lettres Edifiantes di Le Gobien e
gli altri. Al contrario, Pinuela e Premare preferiscono l‟economia grafica della
resa unica k-, invalsa presso la maggior parte delle romanizzazioni ispanofone.
Per il range di valori /ŋ/-/ʔ/, i tre sistemi adottano prevalentemente il digramma
ng-, con alcune differenze: Le Comte e Pinuela ammettono ng- davanti a
qualsiasi vocale, mentre Premare raccoglie l‟abitudine ortografica di aggiungervi
una h per “indurire” la g davanti alla vocale -e, ottenendo un allografo ngh-, in
complementarietà con ng-. Sia Le Comte, sia Pinuela, prevedono invece un
allografo g- con rara occorrenza (davanti a -u), in Le Comte esclusivamente
davanti alla rima -uei (guei); è interessante notare che dove Le Comte e Pinuela
pongono g-, in Premare non compare alcuna iniziale (ouei), il che fa protendere
per un interpretazione fonologica di g- più spostata verso /ʔ/ che verso /ŋ/.
In Pinuela e Premare si nota una particolare allografia, con /s/ rappresentato da
s- e ss-, la cui ragion d‟essere è di difficile interpretazione.
Per il suono /ʒ/ si ha solo la j- in Pinuela e la coppia allografica j-, g- in Premare.
In Le Comte, stranamente, nella tabella non compaiono sillabe né con iniziale j-,
né con iniziale g-. Nel testo, tuttavia, si rinvengono alcune occorrenze di sillabe
gim, ad esempio in gim-sem (rénshēng 人生, “Ginseng”), lasciando pensare che
il valore /ʒ/ dovesse trovare la veste grafica g- nella romanizzazione di Le Comte.
L‟ultimo particolare da sottolineare riguarda l‟evidente differenza tra Le Comte e
gli altri due autori, risiedente nella totale assenza delle consonanti aspirate che,
al contrario di quanto accade in Pinuela e Premare, non sono distinte
graficamente da quelle non aspirate; ciò dipende certamente dalla diversa
tipologia delle tre fonti e dalla conseguente funzione della romanizzazione
ricoperta in ognuna di esse. Anche nelle Lettres Edifiantes, la romanizzazione
non distinguerà le aspirate, data la natura divulgativa degli scritti. Il set di
grafemi iniziali di Le Comte si ritrova altresì identico in Bouvet (1699).
I grafemi iniziali dei tre sistemi sono, per concludere, totalmente compatibili;
due di essi, Pinuela e Premare, coincidono pressappoco col numero di 20/22, in
accordo con il set di iniziali di riferimento, mentre la romanizzazione di Premare
presenta un numero leggermente più basso, per l‟anzidetta mancanza della
segnalazione delle aspirate.
213
12.2 Tipi grafici delle rime nelle romanizzazioni francofone
La caratterizzazione francofona, se già evidente nei grafemi iniziali, nelle rime si
fa ancora più palese. Il primo motivo è la presenza di un gran numero di rime,
con un alta percentuale di allografie causata dalle molte rese grafiche dei gruppi
vocalici attraverso complesse combinazioni di grafi.
Nelle rime si evidenziano anche alcune differenze dei tre sistemi, più lampanti in
Pinuela, che si distanzia a causa di una serie di rese molto particolari; in Le
Comte e Premare, invece, le differenze possono essere lette in chiave evolutiva.
Le tre tabelle seguenti presentano gli inventari dei tipi grafici delle rime dei tre
sistemi:
Tipi grafici delle rime di Le Comte
V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC
-a -ai/ay/aï;
-an; -am; -ao(au)
-eam; -ean
-ï/y
-i
(y-)
-ia/ya;
-ie/ié/ïe;
-in; -im;
-io/ïo;
-iu/ïu
-iai/yai;
-iam/yam; -iao(iau)/ïao;
-ien/ïen; -ieou/ïéou;
-ioum;
-iuè/ïué; -ïum; -iun/ïun
-iuen/ïuen;
(ieuen)
-e/é -en; -em;
-eou/éou;
-o
-ou
-oa; -oe/oé; -oi;
-on
-ouè; -oui/ouï;
-oum; -oun ;-ouo;
-oai; -oan; -oam;
-oei; -oen;
-ouan; -ouam; -ouaon;
-ouen;
-oum; -ouon
-u -uè; -ui; -un;
-uoué
-uei; -uén;
-uouai; -uouam;
-uouei; -uouen
lh
Le rime del mandarino, in Le Comte, sono rese attraverso un gran numero di tipi
grafici, pari almeno a 63; tale quantità supera di gran lunga le 50/55 rime
214
fonologiche di riferimento. Questo porta ad individuare facilmente molte forme
allografe, alcune prettamente dettate da abitudini ortografiche (es. -o/ou per il
probabile valore /o/, o -e/è per /e/, o -oai/uouai per /wai/), altre probabilmente
giustificabili come rese fonetiche di allofoni causati dalla coarticolazione con le
iniziali (es. -iao/eao). Per le sillabe inizianti per /j-/, è prevista la trasformazione
del grafo i in y- o ï (es. ye, yam, ïao, ïo).
La forma grafica per la coda /ŋ/ è la -m di stampo portoghese, segno del fatto
che Le Comte dovette assorbire prima la romanizzazione dei gesuiti del
padroado, sulla base della quale sviluppò in seguito questa sua variante francese.
Ultimo particolare, la resa lh per /ɚ/, anch‟essa retaggio della romanizzazione di
stampo lusitano.
Tipi grafici della romanizzazione di Pinuela (in Varo)
V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC
-ǎ;
-ǎi;
-ais;
-aus/aux;
-as
-ai; -ao; -ane; -ans
-e -eou;
-ene; -ens
-eao; -eans;
-ǐ
-is (ys)
-ius
-iǎi; -iais; -ias;
-ie;
-ine;
-iǒ;
-iuǎi; -iune
-iao; -ians;
-iene; -ieou;
-iuene; -iuons
-iuen
-o;
-ǒ;
-ǒu
-os;
-ots;
-ous
-ouys; -ons; -oai; -oans;
-oei;
-oine;
-ouone
-us
-ǔ
-un -uai; -uǎi; -uans;
-uei;
215
I tipi grafici delle le rime usati da Pinuela sono di certo i più originali, e forse i
più strettamente aderenti all‟ortografia francese. Se ne contano almeno 53,
compatibili con la quantità di riferimento di 50/55 rime fonologiche. La
particolarità più evidente è certamente rappresentata dalla resa delle due code
/n/ e /ŋ/, rispettivamente rese dai digrammi -ne e -ns, in modo coerente
all‟abitudine ortografica francese. Si nota inoltre la presenza di un grafo finale -s
(non preceduto da n, bensì da vocali) la cui natura è prettamente ortografica e
non rappresenta alcuna coda fonologica. Non sembra che queste particolarità
siano state accolte da altri missionari francofoni contemporanei o successivi a
Pinuela.
Anche nella romanizzazione del francescano messicano si riscontra un certo
numero di probabili allografie,291 alcune delle quali anche molto diverse tra loro
(es. -o/os/ots/aus/aux per /o/-/ɔ/, oppure -iais/ie/ye per /je/). Nella
romanizzazione di Pinuela non è, infine, indicata una resa grafica per /ɚ/.
Tipi grafici delle rime di Premare
V Vv; vV; VC vVv; vVC vVvC
-a -ai;
-an; -ang; -ao;
-eao;
-i
(y-)
-ia;
-ie/ye;
-in/yn; -ing/yng
-io; -iou;
-iu/yu
-iai/yai;
-iang/yang; -iao/yao;
-ien/yen; -ieou/yeou;
-iong/yong;
-iue/yue; -iun/yun
iuen/yuen
-e -ei; -en; -eng;
-eou;
-eueng
-o
-ou
-oa;
-ong
-oua; -oue; -oui;
-ouo;
-oai; -oan; -oang;
-oei;-oen;
-ouai;
-ouan; -ouang
291
I dati fonologici relativi a Pinuela sono tratti da Coblin & Levi (2000:xvi); le osservazioni sulle
allografie si basano pertanto sulle ricostruzioni fonologiche effettuate nel suddetto studio, oltre
che in accordo con il quadro ortografico del francese post-rinascimentale presentato nei capitoli
introduttivi di questa tesi.
216
-oüe; -oüe -ouei; -ouen
-u -üe; -un -uei; -uen
eull
Delle tre fonti, la grammatica di Premare è certamente quella che descrive la
lingua in modo più organico; rispetto alla romanizzazione di Le Comte, quella in
Premare sembra godere di maggiore coerenza interna, testimoniata da un
minor numero di allografie.
Le due code /n/ e /ŋ/ sono rappresentate in modo simile alle romanizzazioni
spagnole, rispettivamente dai grafemi -n e -ng. È questo un altro cambiamento
che si trova in Premare rispetto a Le Comte. In realtà, Premare non è il primo a
introdurre questa modifica: nella già citata opera di Bouvet, Histoire de
l'empereur de la Chine (1699), alla coda -m della romanizzazione di Le Comte si
era già sostituita la coda -ng.
Per le sillabe senza consonante iniziale, inizianti per /i-/ o /j-/, si riscontra un
allografo y- molto produttivo.
Infine, il probabile fonema /ɚ/ trova in Premare una resa eull, dissimile dai
sistemi precedentemente analizzati, ma più vicina all‟abitudine ispanofona (ul)
che a quella portoghese (lh).
12.3 Diacritici delle romanizzazioni francofone
In Le Comte non si riscontrano diacritici fonologici di alcun tipo, né per
l‟aspirazione, né per i toni; va notato, tuttavia, che nella sua opera si introduce
per la prima volta, seppure in modo occasionale, il trattino orizzontale ( - ) a
divisione delle sillabe di alcune parole (es. Ham-tcheu, per Hangzhou 杭州),
particolare che si ritrova poi sistematizzato nella romanizzazione usata in Lettres
edifiantes da Le Gobien e gli altri, sostanzialmente uguale a quella di Le Comte
anche in tutti gli altri elementi.
Nelle romanizzazioni di Pinuela e Premare è prevista una marca per l‟aspirazione
che, similmente agli altri sistemi, è resa tramite un gancetto ( c ) in Pinuela e un
apostrofo ( „ ) in Premare. Riguardo alla posizione, la differenza sta nel fatto che
Pinuela, come Varo, pone il gancetto (o spirito) sopra gli ultimi grafi della sillaba,
217
mentre Premare posiziona l‟apostrofo dopo il primo grafo della sillaba (es. t’a,
t’cha, t’sa), non sovrascrivendolo bensì interponendolo tra i primi due grafi.
Per quanto riguarda i punti diacritici, soprascritti o sottoscritti, incontrati negli
altri sistemi, in queste tre romanizzazioni non ce n‟è traccia. In Le Comte si trova
invece la dieresi soprascritta alla i ( ï ), che sembra indicarne il valore
semivocalico /j/. In Premare, la dieresi interessa invece la u ( ü ), probabilmente
per un valore centrale /ʉ/, o posteriore non arrotondato /ɰ/.
I toni sono chiaramente indicati nella tabella delle sillabe in Premare; se ne
contano cinque, resi tramite le marche: ˉ, ˆ, ´, `, ˘. Nell‟illustrare la sua
romanizzazione francese, Pinuela non fa esplicita menzione dei toni, ma non fa
neanche distinzioni con la forma di notazione del sistema ispanofono, per cui si
presume che anche nella variante francese fossero utilizzate le stesse marche
tonali usate da Varo, sostanzialmente uguali anche a quelle di Premare.
12.4 Osservazioni finali sulle romanizzazioni francofone
Il Memoires di Le Comte introdusse per la prima volta una romanizzazione
francofona; nelle opere successive dei gesuiti francesi, questa forma di
romanizzazione subì modifiche e aggiustamenti: Bouvet (1699) mantenne i
grafemi iniziali di Le Comte e modificò leggermente le rime; Premare (172?),
conservò le rime simili a Bouvet e apportò aggiustamenti ai grafemi iniziali.
Le romanizzazioni di Le Comte e Bouvet, essendo impiegate in opere di stampo
divulgativo, non necessitavano di segnalare le pronunce cinesi con precisione e
rigore fonologico, tralasciando tutta una serie di distinzioni, quali le aspirazioni e
i toni. Il rigore di trascrizione era invece necessario per Pinuela nella grammatica
di Varo e per Premare nel suo trattato sulla lingua; nei sistemi di romanizzazione
di queste due opere, specialmente in Premare, compaiono infatti le rese
grafiche di tutte le distinzioni fonologiche pertinenti.
La variante francese di Pinuela, tuttavia, non ebbe gran diffusione, forse perché
il pubblico cui era rivolta la grammatica di Varo era in prevalenza ispanofono,
oltre al fatto che il francescano introdusse la romanizzazione francese
esclusivamente per illustrare alcune pronunce; ma la romanizzazione principale
impiegata nell‟opera era comunque quella spagnola.
La creazione e l‟impiego di uno standard francese contribuì a distinguere e
distanziare ancora di più i gesuiti francesi da quelli del padroado, avvicinandoli
218
invece ad altri gruppi missionari a prevalenza francofona come le Missions
Etrangères de Paris (MEP), attive in Cina fin dagli ultimi anni del XVII secolo.
Particolare della tavola delle sillabe
cinesi contenuta nel Memoires di Le
Comte. Ogni casella contiene una
sillaba di base in forma
romanizzata; in basso, al centro, si
legge “328”, che secondo Le Comte,
era il numero totale delle sillabe
cinesi.
219
PARTE III
CONCLUSIONI E APPENDICI
220
221
13.0 Osservazioni riassuntive sulle romanizzazioni dei secoli XVI-XVIII
L‟inquadramento dei vari gruppi missionari nel sistema bipolare del patronato
regio porta spesso a distinguere semplicisticamente tra missionari della corona
portoghese (gesuiti) e missionari della corona spagnola (agostiniani, domenicani,
francescani). Tuttavia, la realtà dell‟afflusso missionario in Cina era di per sé
molto più variegata, specialmente dalla metà del 1600 in poi.
La situazione linguistica, di pari passo con la varietà delle nazionalità presenti
nelle missioni cinesi, lungi dall‟essere scindibile in due gruppi nettamente
caratterizzati (portoghese come lingua franca dei gesuiti del padroado; spagnolo
come lingua franca dei missionari del padronado), doveva anch‟essa essere assai
complessa e dinamica.
Studiando le romanizzazioni in uso presso le missioni cattoliche in Cina tra „500
e „700, ci si accorge che esse traevano ispirazione dagli alfabeti delle lingue
europee più conosciute e parlate dai membri delle missioni, variando e
modificandosi a seconda delle contingenze, ma principalmente in base alle
esigenze concrete degli utenti cui erano destinate.
Vi furono missionari della corona spagnola che trascrissero in portoghese;
gesuiti del padroado portoghese che romanizzarono secondo l‟uso italiano;
sempre tra i gesuiti, dopo aver definito uno standard portoghese, vi fu chi tentò
di modificarlo, creando una romanizzazione originale e trasversale, e chi
dichiaratamente cambiò a favore dell‟ortografia spagnola; altri missionari,
estranei al sistema del patronato regio, preferirono rimodellare i sistemi di
romanizzazione su altre lingue, come il francese, o l‟italiano, per andare incontro
alle proprie esigenze e a quelle del pubblico a cui indirizzavano i loro scritti.
È possibile, in questa continua rivoluzione delle romanizzazioni, tracciare delle
linee di discendenza, per individuare alcune correnti o tradizioni e stabilire se e
quando si siano mai affermate come standard.
13.1 Il filone portoghese
A parere di chi scrive, il primato cronologico della presenza portoghese in Asia e
in particolare a Macao, ha fatto sì che le prime rese alfabetiche delle pronunce
cinesi fossero basate sulla pronuncia e sull‟ortografia lusitana.
222
Probabilmente, nella comunità mista di cinesi e occidentali presente a Macao,
l‟interscambio linguistico aveva portato alla compilazione di qualche glossario,
frasario, etc. Senza contare che, per certo, esistevano interpreti cinesi, o
portoghesi (tra i convertiti o tra i mercanti) che potevano aver sviluppato anche
qualche tipo di competenza didattica.
Negli scritti dei missionari del padronado spagnolo entrati in Cina alla fine del
1500, come le relazioni di Gapar da Cruz (1520-1570), Martin De Rada (1533-
1578) e Juan Gonzales De Mendoza (1540-1617), ci si aspetterebbe di trovare
alcuni elementi che caratterizzano le romanizzazioni spagnole dei decenni
successivi; fra queste, si potrebbe pensare di riscontrarvi la caratteristica più
palesemente differente dalle romanizzazioni portoghesi: la resa -ng per la coda
nasale /ŋ/. Eppure né in Da Cruz (1569), né in De Rada (1575), né in Mendoza
(1585), compaiono mai parole cinesi con una coda -ng; anzi, tutte e tre le opere
impiegano la grafia -m in modo simile all‟uso portoghese. Per illustrare la
suddetta particolarità, si prenderanno d‟esempio tre passi, rispettivamente degli
scritti dei tre missionari, nei quali compaiono le trascrizioni dei nomi delle
province cinesi:
[…]La primeira [provincia] que esta da hada da india he ha provincia de Cãtão, ha cabeça
desta provincia he ha cidade de Cãtão, da qual toma denominaçam ha p[ro]vincia.[…]
Outra provincia se chama Cãsi[…]como esta provincia sei a mayor q ha de Cantão[…]. La
outra p[ro]vincia se chama Fuque, ha sua cabeça se chama Fucheo.[…] La outra p[ro]vincia
se chama Chaqueã, de que he cabeça grãde cidade d[e] Omquo[…] em q entra ha cidade
de Liapoo[…] Ha outra provincia se chama Xuteasim, cuia cabeça he ha grade cidade de
Paquim.[…] Ha outra p[ro]vincia se chama de Chilim: cuia cabeça he ha grande cidade de
Namquim. […] Ha outra provincia se chama Sançi[…]outra provincia se chama Quichio[…]
outra se chama Fuquom. Ha outra Quinsi. Ha outra Uinam. Ha outra Siquam. Ha outra se
chama Siensi[…].292
(Da Cruz)
Este Reyno de taybin todo lo que se comprehende dentro dela muralla yadicha, y aquel
Rio grande ylamar se rreparte en quinze provinçias que ellos llaman /çe/ De las quales las
292
CRUZ (1569:c-cjj)
223
dos se goviernan por audiençias 223artic, pacquiaa y lamquiaa. Es pacquiaa o, pacquin
donde el rrey rreside y governase por su audiençia. Y lamquiaa, o, Namquin era el
assiento de los Reyes antiguamente y ansi sequedo tambien con governaçion de
audiençia. Y quiere dezir pacquiaa, corte del norte, y lamquiaa, corte del sur, porque las
çiudades prinçipales dentrambas ados provinçias que son, sunthien y, yinthien, estan una
con otra norte sur y esta la una dela otra trezientas y quarenta leguas. Las otras trez e
provinçias que llaman. Pochinsi son governadas por virreyes. Y començando a contar
desde pacquiaa que es la caveçera y esprovinçia cuyos terminos llegan ala muralla ya
dicha tiene hazia el oriente la provinçia de santon, o, suaton, que llega a la mar y tambien
a la muralla porque la çerca comiença desde la mar y a la parte del occidente de pacquiaa
esta, Sançij, o, Suansay y luego Siamsay en la qual provinçia feneçe la çerca o muralla
despues de aver passado desde la mar alli seiscientas leguas y de siamsay hazia el
sudueste esta susuan cuyos terminos hazia el poniente llegan alrrio grande que arriba
diximos, y desde susuan hazia el medio dia esta Cuychiu . Y luego onlam, o, onnam, que
es lo ultimo De taybin hazia el medio dia Y tiene hazia el poniente las lagunas grandes de
donaçe el rrio arribadixo, y unas grandes sierras y de la parte del medio dia llega çerca de
la mar pordonde entiendo que por alli es tierra aspera y despoblada la costa de la mar
pues no ponen aver por alli gente que more. Desde Onam hazia el oriente esta la
provinçia de cuansy, o, cuynsay, que aunque llega çerca de la costa tam poco llega a la
mar, luego sobre la misma mar esta la de cuanton, o, cuintan do estan poblados los
portugueses y prosigiendo hazia el oriente sobre la costa esta la provinçia de fuquien, o,
Hocquien adonde 223artic fuymos y mas adelante esta chetcan en la qual Rebuelbe
lacosta hazia el norte y en cima della, namquim, o, lamquiaa. Y luego la ultima en la costa
santon que arriba diximos. Y estas son las provinçias que çercan toda taybin y quedan
mediterraneas tres provinçias que son, Holam, Oucun, y. Cansay. Esta Holam çercada de
las provinçias de pacquiaa, Santon, Lamquiaa, Oucun, y, Sançij, y viniendo desde olam
hazia, cuansij esta en medio, Oucun, casi al sudueste y desde Oucun hazia hocquien esta
cansay en medio quasi al sudueste. Ponemos quasi acada provinçia dos nombres el uno
es en lengua cortesana y el otro en la lengua particolar de la provinçia de Hocquien.293
(De rada)
293
RADA (1575:f.22r) Ms.
224
[...]Llamanse las Provincias: Paguya, Foquiem, Olam, Cyncay, Susuam, Tolanchia, Cansay,
Oquiam, Aucheo, Honan, Xanton, Quicheu, Cequeam, Susuam.294
(Mendoza)
Sebbene le romanizzazioni usate dai tre missionari possano essere state il frutto
di estemporanee rese grafiche congeniate dagli autori, si deve comunque
considerare l‟ipotesi anche l‟ipotesi inversa, cioè che esse riflettessero dei veri
sistemi di trascrizione in uso presso i missionari dell‟impero spagnolo. La
romanizzazione di De Rada, tra l‟altro, potrebbe verosimilmente essere stata
codificata in un sistema, visto che il suo confratello Mendoza racconta che De
Rada aveva compilato un dizionario ed una grammatica della lingua cinese:
[…]començaron con gran cuidado y estudio a aprender su lengua, la qual supo el
provincial [Martin De Rada] en pocos dias, y tambien que hizo en ella arte y
bocabulario.295
Bisogna quindi ipotizzare che almeno le romanizzazioni di De Rada fossero
espressione di un sistema organico. Comunque, in nessuno di questi scritti
compare mai la coda ispanofona -ng, e nemmeno la diffusa assimilazione in k-
dei grafemi iniziali c-, q- per /k/.
Oltre al probabile sostrato di romanizzazioni portoghesi occasionali realizzate a
Macao, un altro incentivo all‟uso della grafia lusitana risiede probabilmente nella
nazionalità di Da Cruz che, essendo portoghese, preferì chiaramente trascrivere i
suoni cinesi secondo la sua abitudine ortografica, probabilmente corroborata
dalle consuetudini vigenti di Macao. Come pioniere dei resoconti sulla Cina, Da
Cruz fu certo un riferimento per i missionari che volevano tentare l‟entrata in
Cina e che nell‟opera del domenicano portoghese potevano trovare utili
informazioni di base sullo stato del Paese. È possibile quindi ipotizzare che
l‟opera di Da Cruz abbia dato un imprinting riguardo alla trascrizione dei nomi
cinesi che, per un certo tempo, furono resi con la grafia lusitana anche dai
missionari arrivati sulle caravelle spagnole.
294
MENDOZA (1585:17) [corsivo mio] 295
MENDOZA (1585:154)
225
Curiosamente, i primi veri missionari del padroado portoghese, i gesuiti Michele
Ruggieri e Matteo Ricci, optarono invece per una romanizzazione italiana, che
rimase in uso per i primi anni della missione. Ma si è già osservato che anche in
questa romanizzazione italofona (RES) comparivano alcuni grafemi estranei alla
grafia italiana (ad es. l‟iniziale ng- per /ŋ/-/ʔ/) chiaramente mutuati da quella
portoghese.
Si presume che solo verso l‟inizio del „600 l‟ortografia di riferimento sia cambiata
a favore del portoghese, in un progetto di standardizzazione del sistema di
romanizzazione. La prima fonte scritta che ci ha permesso di ricostruire questo
nuovo standard portoghese, creato da Ricci e confratelli (RLS), e lo XZQJ del
1604. La romanizzazione contenuta in questo scritto rappresenta il punto di
partenza del vero e proprio standard portoghese usato dai gesuiti del padroado;
se ne ritrovano tracce nelle lettere e nelle relazioni scritte dai membri della
Compagnia fin dagli ultimi anni del „500.
Nel 1626, il tentativo di Trigault di rimodellare questo sistema di romanizzazione
avrebbe potuto segnarne una svolta netta, un cambiamento abbastanza
consistente; ma, come si è detto, la romanizzazione proposta da Trigault non ha
riscosso il successo sperato. La romanizzazione portoghese RLS è quindi
sopravvissuta più o meno immutata, subendo una serie di lievi modifiche che ne
hanno generato alcune varianti personali, come quelle che si ritrovano nella
romanizzazione MM1 di Martino Martini (Grammatica) e nelle opere di Michal
Boym.
Di queste due ultime varianti, la prima (MM1) è risultata essere la più vincente,
grazie alla diffusione della esile, ma fondamentale, grammatica del gesuita
tridentino; la grammatica passò per le mani di molti confratelli e intellettuali
europei, garantendo l‟affermazione del sistema di trascrizione in essa contenuto.
Non che le opere di Boym non abbiano avuto una certa diffusione, ma la natura
specificamente linguistica e didattica della grammatica di Martini ne ha
decretato il primato sul sistema di Boym, congeniato invece per un uso più
divulgativo (e quindi meno preciso).
Tra i gesuiti che più contribuirono a diffondere e migliorare la grammatica di
Martini, con la romanizzazione in essa impiegata, si è parlato del belga Philippe
Couplet; egli fu certamente il degno rappresentante di tutti quei gesuiti del
padroado attivi in Cina nella seconda metà del „600, che probabilmente mossero
226
i primi passi nello studio della lingua proprio grazie agli appunti grammaticali di
Martini. Fra questi, il siciliano Prospero Intorcetta e il portoghese Antonio de
Gouvea, insieme a molti altri confratelli attivi negli stessi anni, attuarono la
definitiva affermazione della versione stabilizzata di RLS, secondo cui
romanizzarono tutte le opere xilografiche più importanti della missione gesuita
in Cina, tra cui le traduzioni latine dei classici confuciani e alcuni trattati sulla
questione dei riti.
Sebbene la presente ricerca si fermi ai primissimi anni del 1700, alcune brevi
note sulla sopravvivenza della romanizzazione portoghese nei decenni
successivi possono chiarirne la longevità e la diffusione anche presso i non
missionari.
Si pensi, ad esempio, all‟orientalista francese Etienne Fourmont (1683-1745), che
compilò alcune opere sinologiche con particolare attenzione alla lingua.
Nonostante egli fosse di nazionalità e lingua francese, Fourmont dichiarò di
preferire la romanizzazione portoghese a tutte le altre, impiegandola infatti in
modo sistematico nei suoi scritti.
Nell‟opera Réflexions critiques del 1735, l‟autore sottolineava l‟esistenza di vari
standard regionali per la romanizzazione del cinese, spiegando i motivi della sua
scelta:
Les différentes façons d'écrire le Chinois reviennent au même, Hoam, Hoan, Hoang,
pourroient n'être que le même nom; le premier écrie à la Portuguaise, le sécond écrit à la
Françoise, le troisiéme écrit a l'Allemande. Il est bon quelque fois de les avoir des trois
façons, l'une donne à l'autre la clarté qui y manqueroit; mais on doit sçavoir que l'Ecriture
ou Orthographe Portugaise est la commune & absolumem la plus commode. [...] Tout est
écrit à la Portugaise & parfaitement juste, soit dans la Liste du Père Couplet, soit dans
celle du Missionnaire Etranger: dans la Liste laissee par M. Hoange, tout est à la Françoise ,
& par une suite, avec les ambiguitez dont on vient de parler. Il faut encore avertir qu'à la
22 Race, M. Hoange écrit Táa thsine, & que pour thsine il devoit écrire thsin, ce qui devient
la prononciation de plusieurs monosyllabes Chinois; de même dans cim par m ou à
l'Allemande ng : M. Hoange , quoique Chinois, étant né dans la Province de Fokien , nous
donne souvent deces ne pour m, en quoi il y a deux fautes, celle d'écrire n pour m , &
227
celle de prononcer l'n sonnante pour un m qui ne l'est point; ainsi il écrivoit les Kines pour
les Kims, ce qui est une espece de solœcisme.296
Fourmont, quindi, pur essendo madrelingua francese, riconosceva le ambiguità
ortografiche che la propria lingua poteva generare, pertanto decidendo di non
adottare la romanizzazione francofona in uso presso altri. La stessa convinzione
è espressa ripetutamente dall‟autore, nelle opere successive. Questo breve
passaggio di Meditationes Sinicae del 1737, ribadisce quanto già affermato due
anni prima:
Vocabula omnia Sinica consonâ constant & vocali. Consonâ incipiunt vocali desinunt.
Vocalis eaque unica censentur quaecumque post consonam litterae, ai, ei, ui, oi, oei, uon,
&c. ulh quod hic legis, scribitur quoque lh. Um, si quod est, dicitur pro vum, en, in, un, non
raro confunduntur, ut apud Germanos i & u Gallicum. […] Haec repetenda ut Sectionum a
nobis rationem discas, in quibus Sinas & Orthographiam Lusitanicam sequimur.297
Nella Grammatica Duplex del 1742, Fourmont opera ulteriori osservazioni sui
vari sistemi di romanizzazione, sostenendo che lo standard portoghese sia il più
idoneo, in quanto facilmente comprensibile a tutti gli studiosi in seguito alla
lunga tradizione di utilizzo e alla sua versatilità:
[...]Quam ob causam, ut de ea quam sequemur Pronunciatione certus sis, tametsi variarum
gentium alphabethis efferri possint vocabula sinica, verbi gratia, Italico, Germanico, Gallico,
&c. tamen cum Riccio, Martinio, Kirkero, Mullero, Bayero, missionariis plaerisque, uno
verbo, doctis sere omnibus, scriptura linguae mandarinicae accomodatior visa nulla sit
quam Lusitana; tene hoc primum, eidem nos Pronuciationi, & in Meditationibus
adhaesisse, & in hac Grammatica, atque in ipsis deinceps Dictionariis adhaesuros.
[...]utilitati serviendum omnium & cum hîc Lusitanorum consuetudinem non solum
antiquissimam atque usitatissimam, sed etiam facillimam ac promptissimam se cuti sint
Docti omnes, eam (quod & Bayerus) amandatis caeteris, unam nos quoque & in
Meditationibus Sinicis conservavimus & in hoc Libro conservabimus.298
296
FOURMONT (1735:II:422-423) 297
FOURMONT (1737:37) 298 FOURMONT (1742:2,6)
228
La romanizzazione portoghese, così come tramandata dagli ultimi gesuiti del
padroado, oltre ad essere stata scelta e conservata da orientalisti e proto-
sinologi come Fourmont, sembra essere rimasta in uso anche presso le missioni
cinesi, anche oltre la sfera d‟influenza gesuita. Una testimonianza della
sopravvivenza dello standard portoghese, in forma pressoché identica a quella
usata da Intorcetta&al. alla fine del „600, si ritrova nei lavori linguistici del
missionario lazzarista Joaquim Afonso Gonçalves (1781-1834),299 seppur con una
notazione dei toni leggermente modificata.
Inoltre, nei materiali linguistici compilati nella prima metà del 1800 presso il
Collegio dei Cinesi di Napoli, 300 si rinviene un sistema di romanizzazione
portoghese quasi del tutto sovrapponibile a quello usato in Cina dai gesuiti del
padroado.
Ulteriori studi potranno certamente approfondire meglio il rapporto tra le
romanizzazioni portoghesi nate ed evolutesi nella Cina tardo-Ming e inizio-Qing
e quelle utilizzate in Europa nei due secoli successivi.
Non si sbaglia, però, ad affermare che il filone portoghese delle romanizzazioni
del mandarino godette di una longevità innegabile, potendo altresì vantare un
primato cronologico rispetto agli altri standard regionali concorrenti.
13.2 Il filone spagnolo
Quando è possibile rinvenire le prime forme di romanizzazione in cui è
riconoscibile una matrice ispanofona? Se procediamo, come nel paragrafo
precedente, al tentativo di individuare alcune caratteristiche ortografiche
peculiari (quali la presenza della coda -ng, o della resa di /k/ tramite il solo
grafema iniziale k-, o la presenza di un grafema iniziale ç- per /s/, etc.),
possiamo forse trovare le prime tracce di trascrizioni ispanofone intorno agli
anni ‟90 del 1500. Tuttavia, la fonte di cui parliamo è sicuramente poco ideale al
nostro scopo, giacché rappresenta sicuramente delle pronunce non mandarine,
299
In particolare, cfr. la grammatica Arte China; Gonçalves (1828:1-75) [sez. Alphabeto China] 300
Fondato dal missionario Matteo Ripa (1682-1746), il Collegio de‟ Cinesi di Napoli nacque per
preparare i giovani cinesi al sacerdozio, in modo che potessero poi tornare come missionari
nella loro patria; ma anche di preparare gli italiani che dovevano partire missionari per le Indie.
Vi si insegnava il cinese e altre lingue orientali, e divenne gradualmente una vera e propria
scuola interpreti.
229
bensì afferenti ai dialetti meridionali (Minnan). Si fa qui riferimento all‟opera del
missionario domenicano spagnolo Juan Cobo (1546-1592), intitolata Beng Sim
Po Cam - Espejo rico del claro corázón,301 traduzione spagnola del libro cinese
del XIV secolo Mingxin baojian 明心寶鑑. Nel testo compaiono alcune sillabe
terminanti con una coda -ng; sfortunatamente, ne compaiono molte di più
terminati in -m, pertanto è difficile stabilire se la differenza di trascrizione fosse
motivata da una differenza fonologica del dialetto descritto, oppure se non si
trattasse semplicemente di due varianti libere. Continuando questa breve
digressione sulle romanizzazioni dei dialetti, si dispone di importanti fonti
lessicografiche relative ai dialetti del Fujian,302 tra le quali figurano il dizionario
cinese-spagnolo (Dictionarium Sino-Hispanicum)303 del gesuita andaluso Pedro
Chirino (1558-1635), datato 1604, e un vocabolario anonimo cinese-spagnolo
(Bocabulario de la lengua Sangleya) databile nel trentennio 1608-1648.304 In tutte
queste fonti si riscontrano code -ng, oltre a code -n e -m; il che indica due cose:
1) nella descrizione dei dialetti Minnan, la coesistenza di tre code indicava
distinzioni fonologiche; 2) nelle romanizzazioni di stampo ispanofono era
contemplata la possibilità di un grafema di coda -ng fin dai primi anni del „600.
Putroppo, molte fonti di usate per ricostruire un filone spagnolo di
romanizzazione del mandarino sono di difficile datazione, perciò è complicato
stabilire con precisione il periodo in cui un certo sistema ha cominciato ad
affermarsi. Ad esempio, le fonti che in questa ricerca hanno portato a ipotizzare
l‟esistenza di uno standard spagnolo sono principalmente il Manuale di Morales
e il Vocabulario di Diaz, ma si è già discusso ampiamente riguardo ai problemi
di datazione e attribuzione che circondano questi scritti domenicani. In sostanza,
si tende a collocare queste due fonti negli anni ‟40 del 1600, ma non
disponendo di esemplari originali accertati, non si può essere sicuri che le
romanizzazioni contenute nelle copie esaminate possano risalire a quel periodo.
Sfogliando pazientemente altri scritti pubblicati negli stessi anni, si possono
però reperire alcune sillabe cinesi romanizzate, che offrano qualche indizio utile;
specialmente se si tratta di opere scritte da religiosi spagnoli, o da confratelli dei
301
COBO (1592) Ms. 302
Cfr. MASINI (2000); VAN DER LOON (1966-1967); Klöter, in ZWARTJES & al. (2009:303-330) 303
Conservato in forma manoscritta presso la Biblioteca Angelica di Roma 304
VAN DER LOON (1967:104)
230
missionari dominicani e francescani attivi in Cina, è ragionevole pensare che le
sillabe cinesi romanizzate reperibili in queste opere fossero basate sulle lettere, i
resoconti e gli altri scritti compilati dai missionari sul territorio, essendo quindi
indicativi del tipo di romanizzazione in uso a quel tempo presso la missione. Ad
esempio, l‟opera Historia de la Provincia del Sancto Rosario de la Orden de
Predicadores, 305 fu compilata da due domenicani spagnoli residenti nelle
Filippine: Diego Francisco Aduarte (1566-1635),306 che la iniziò nel 1607-8 e
Domingo Gonzales (1574-1647),307 che la completò e pubblicò nel 1640. In essa
è possibile individuare alcuni nomi cinesi romanizzati recanti una coda -ng (un
toponimo, Hayteng e un nome di persona, Tiongong o Tiengong).308 Chiaramente,
la sola occorrenza di due sillabe non può bastare a provare che, in quel periodo,
la romanizzazione ispanofona trovata in Morales e Diaz2 fosse già diffusa anche
oltre la cerchia ristretta dei missionari del padronado spagnolo in Cina; ma
l‟occorrenza di una coda -ng rimane comunque un indizio a favore di una
datazione dello standard ispanofono alle prime decadi del „600.
Per coerenza con quanto detto nei capitoli precedenti, si mantiene qui l‟ipotesi
che le romanizzazioni usate nel Manuale e nel Vocabulario (Diaz2), possano
considerarsi risalenti alla prima metà del 1600.
Ciononostante, si ricorda che tra i due sistemi sussistono delle lievi differenze,
prevalentemente sul piano dei grafemi iniziali. In particolare, in Morales si trova
un grafema iniziale ç- usato per /ts/, che in Diaz2 è invece reso tramite çh-
(mentre ç- è in Diaz2 un allografo di s- per /s/). Queste differenze potrebbero
essere interpretate come variazioni in chiave diacronica. Come si è detto, la
romanizzazione Diaz2 nel Vocabulario corrisponde al sistema usato dal
domenicano Francisco Varo nelle sue opere linguistiche (Glossari e Grammatica
Arte), il che lascia pensare che la romanizzazione nel Manuale di Morales possa
rappresentare uno stadio precedente; pur tuttavia, rimane il problema della
datazione dell‟esemplare esaminato (una copia di Cerù del 1732), che abbassa
drasticamente ogni soglia di certezza.
305 ADUARTE & GONZÁLEZ,(1640) 306
WELSH (1907:A) [voce “Diego Francisco Aduarte”] 307
BALTASAR DE SANTA CRUZ & al. (1693:158) 308
ADUARTE & GONZÁLEZ,(1640:118,289)
231
È possibile cercare altri indizi che corroborino l‟ipotesi appena presentata, ossia
una linea di discendenza Morales>Diaz2>Varo? Pur coscienti delle poche prove
certe a supporto di questa teoria, si può cercare un “appiglio” in un altro
sistema di romanizzazione, estraneo ai missionari spagnoli, del quale si è parlato
nei capitoli precedenti.
Il sistema in questione è quello usato dal gesuita Martino Martini a partire dal
1654 in poi, qui chiamato convenzionalmente MM2. Di essa si è detto che,
rispetto alla romanizzazione della grammatica (MM1) sembra aver modificato
alcuni grafemi secondo l‟uso spagnolo. La dichiarazione di Martini riguardo al
cambio di romanizzazione non è del tutto esplicita, il gesuita non dice di
passare dal “sistema” portoghese al “sistema” spagnolo; però, in più occasioni,
indica la scelta di sostituire alcuni grafemi portoghese con altri spagnoli. Ad
esempio, nell‟Atlas (1655), Martini annota:
Quod ad vocabulorum pronunciationem attinet, notandum omnia quae per che scribe,
more Hispanico pronuncianda, vel ut Hetrusci c ante i vel e vocals, eodem modo
Hispanice haec littera ç cum auricular dici debet, vel fere ut z Italorum. Ubicumque supra
litteram hanc notam vides c, pro spiritu aspero Graecorum erit: aliquando aliqua per j
Hispanicum scribe, haec pronuncianda ut Itali Gi & Ge, sive Hispanico more: quae per K ut
Itali Che & Chi suum, ac si esset Qua et Qui, reliqua ut jacent. Licet autem saepe idem
nobis nomen occurrat, apud Sinas diversissima est signification, ac character, nam multos
characters, & paucas habent voces, multasque unisonantes. Multa ego per ng scribe, quae
alii per M, ut peking, alii pekim scripsere, quia M in qualibet syllaba aperto ore
pronuntiandum est, ut a Lusitanis fiery solet, alias Sinica pronuntiatio minime
exprimitur.309
I riferimenti alla grafia ispanica sono molteplici, pur non chiamando in causa un
vero e proprio “sistema” ispanico. Anche nella prefazione "ad lectorem" della sua
Sinicae Historiae decas prima (1659), Martini rimarca le proprie scelte sulla resa
grafica:
309
MARTINI (1655a:13) [praefatio]
232
Quod ad vocabulorum pronunciationem attinet; omnia quae per ch scribo, more
Hispanico sunt efferenda. Multa quoque per ng scribo, quae alij per m expressere, uti
Peking; ubi alij Pekim posuere. Nam hac litera m apud Sinas in fine syllabarum ore aperto,
ut à Lusitanis efferri solet; alioqui Sinica pronunciatio haud quamquam exprimeretur, quae
potiùs in ng, quam m finitur.310
Sembra improbabile che Martini abbia deciso in modo indipendente di
adeguare la romanizzazione precedente alla pronuncia spagnola, non se ne
capirebbe la ragione, vista la sua appartenenza ai gesuiti del padroado e le sue
competenze da madrelingua (italiano e forse tedesco); invece, le sue parole
potrebbero indicare che standard diversi dal portoghese, compresi sistemi
ispanofoni esistevano già dalla prime fasi della presenza europea in Cina. Il
cambiamento più evidente, ovviamente, è rappresentato proprio dalla presenza
della coda -ng, a sostituzione della -m portoghese.
Annovereare tout-court la romanizzazione MM2 nel filone ispanico sarebbe un
azzardo; tuttavia, è innegabile che MM2 mostra molti punti di contatto con le
romanizzazioni ispaniche, specialmente con il sistema presente nel Manuale di
Morales. Se le somiglianze non fossero casuali, bensì dettate da una reale
coscienza di Martini riguardo alle romanizzazioni spagnole a lui precedenti e
contemporanee, MM2 rappresenterebbe non solo un ramo trasversale del filone
spagnolo, ma anche un indizio a favore dell‟ipotesi che la romanizzazione del
Manuale sia precedente a quella Diaz2 del Vocabulario e a quella usata da Varo
nell‟Arte e nei glossari.
Il sistema di romanizzazione del domenicano Varo è indiscutibilmente
riconoscibile come uno standard ispanico, affermatosi presso la missione
domenicana in Cina. Che si tratti di una romanizzazione spagnola, non lo si
deduce solo dalla nazionalità di Varo, ma dalla esplicite affermazioni presenti
nei suoi scritti:
Esta advertençia perteneçe a explicar el modo de escrivir esta lengua, la qual careçe de
algunas letras de nro abeçedario, qe son b.d.r. La q. Y c. Se a reduçido a k., por la major
propiedad en la escritura, y assi los terminos que segun nra pronunçiaçion comiençan con
310 MARTINI (1659:A5) [ad lectorem]
233
q. O con c., a la qual no se sigue h., los escrivimos con k. Vg., kō kū etc. Ningun vocablo ai
en esta lengua qe començe en las vocales a., e., ni acabe en otras consonantes que no
sean ng., n., l. Todos los demas acaban en una de las sinco vocales. En los vocabularios de
los Padres de la Compa se hallavan muchos vocablos que acaban en m.; mas nosotros
devemos escrivirlos, y hablarlos, como si acabasen en ng. Y la razon es, porqe los PP.
s
Portugueses pronunçian la m finale abertos los labios como ng; mas la pronunçiaçion de
los Castellanos no es assi, por lo qual se deve escrivir, y hablar, come queda notado.[...]
[…] Y esta divesidad a naçido por la diversidad de naçiones, las quales escriven, y an
escrito cada una según la natural suia y propia; lo que hasta a qui se a explicado es lo mas
propio y genuino para los Espagnoles.311
Questa romanizzazione spagnola si ritrova, in forma semplificata (senza toni né
aspirazioni), anche negli scritti di altri missionari spagnoli, che la impiegarono
nelle loro relazioni e in altri scritti di carattere divulgativo, a partire dagli ultimi
decenni del 1600. Tra questi, i trattati storici del domenicano Domingo
Fernandez Navarrete (1610-1689), pubblicati nel 1676, sono costellati di parole
cinesi romanizzate secondo il sistema ispanofono.312
Per la grande diffusione di queste ultime opere, più che della grammatica di
Varo, lo standard spagnolo di romanizzazione si diffuse anche presso i non
missionari, seppur nella sua forma più divulgativa e semplificata.
13.3 Il filone francese
Come si è fatto presente nel capitolo ad esse dedicato, le romanizzazioni
francesi nacquero abbastanza tardi, dopo l‟arrivo in Cina dei gesuiti di Luigi XIV.
Il primo autore di questo nuovo sistema francofono di romanizzazione fu il
gesuita francese Le Comte, secondo cui il vecchio standard portoghese non era
adatto per il nuovo pubblico francofono a cui erano destinati gli scritti suoi e dei
suoi confratelli francesi; questo un primo motivo per la modifica della
romanizzazione. Un altro motivo era forse rappresentato dalla voglia o necessità
di affrancarsi e distinguersi dai gesuiti del padroado, con i quali intercorrevano
rapporti controversi.
311 VARO (1703) [ad lectores]; Coblin & Levi (2000:15-16) 312
Cfr. NAVARRETE (1676)
234
Dal primo tentativo di Le Comte nel 1696, a cui va riconosciuto non solo il
primato cronologico ma anche una certa attenzione nel generare e descrivere il
sistema di trascrizione in modo organico, la romanizzazione francofona passò
alcune fasi di revisione e modifica, trovando una nuova e ancor più organica
forma nel sistema usato dal gesuita Joseph Prémare nella sua grammatica
(Notitia Linguae Sinicae) scritta intorno al 1720.
Come si è detto, oltre a diventare la romanizzazione preferita da tutti i
missionari francofoni, questo sistema francese sopravvisse più o meno nella
stessa forma, durante tutti secoli XVIII e XIX, tanto da essere stata utilizzata
dall‟orientalista francese Jean-Pierre Abel Rémusat (1788-1832) in tutte le sue
opere sinologiche, compresa quelle linguistiche. Ad esempio, in Élémens de la
grammaire chinoise,313 la romanizzazione francese di Prémare è impiegata da
Rémusat con minime modifiche (ad es., l‟uso della h come marca
dell‟aspirazione al posto dell‟apostrofo „ ). Lo stesso Prémare sottolinea:
L‟ouvrage du P. Prémare en particulier est celui qu‟on a le plus souvent mis à contribution
non pas seulement parce que la Notitia linguae sinicae étant un livre inédit il pou voit être
plus convenable de faire revivre ce travail d‟un compatriote enveloppé dans un injuste
oubli[…].314
La stessa romanizzazione francese, specialmente la varietà di Prémare, fu
adottata anche dai missionari e dai maggiori sinologi europei del XIX e XX
secolo, come i gesuiti e sinologi francesi Henri Havret (1848-1902) e Seraphin
Couvrer (1835-1919), quest‟ultimo principale autore della romanizzazione
francofona usata all‟EFEO (École française d'Extrême-Orient), praticamente
identica al sistema di Prémare.315 Altri eminenti studiosi quali Henri Cordier
(1849-1925), in tutte le sue opere utilizzò la stessa romanizzazione francofona,
che divenne uno standard estremamente diffuso anche presso gli studiosi non
francesi. La più importante e prestigiosa rivista di studi sinologici, T’oung Pao,
tra i cui primi editori figura proprio Cordier, utilizzò questa romanizzazione
313
RÉMUSAT (1822) [in particolare le pp. 24-34] 314
PRÉMARE (1822:xviij) 315
Cfr. EFEO (1902)
235
francese come standard editoriale per tutto l‟inizio del XX secolo, adottando i
sistemi più moderni (prima Wade-Giles, poi Pinyin) sono in tempi molto recenti.
13.4 Sperimentazioni italiane
Escludendo le antiche romanizzazioni occasionali reperibili nel Milione di Marco
Polo, basate per lo più sulla pronuncia italiana, il primo vero sistema fortemente
influenzato dalla pronuncia italiana fu quello di Michele Ruggieri (RES), che lo
impiegò prima nel dizionario portoghese-cinese compilato con Ricci (PHCD) e
poi nel suo Atlante della Cina. Questa stessa romanizzazione italofona continuò
ad essere utilizzata da Ricci e i confratelli anche successivamente al ritorno di
Ruggieri in Italia; se ne ha un esempio nel manoscritto autografo del Jiaoyou
Lun (Trattato sull‟Amicizia) di Ricci, dove si nota uno stadio più evoluto della
romanizzazione RES, alla quale Ricci e Cattaneo avevano già aggiunto le marche
per l‟aspirazione e i toni; la stessa romanizzazione si ritrova nelle lettere e
relazioni dei gesuiti in Cina alla fine del „500, specialmente per quanto riguarda
la trascrizione dei toponimi cinesi.
La romanizzazione italofona di Ruggieri-Ricci, soppiantata dal nuovo sistema
portoghese di Ricci-Cattaneo (RLS), fu in seguito studiata ed apprezzata dal
gesuita e sinologo italiano Pasquale D‟Elia, che ne tentò una rielaborazione e la
propose come standard italiano per la romanizzazione del cinese.316
Nel corso di tutto il 1600 non si assistette né all‟impiego di questa, né
all‟ideazione di altre romanizzazioni italofone. Almeno fino agli ultimi anni ‟90, o
ai primi anni del 1700, quando alcuni missionari italiani di Propaganda Fide
tornarono a prendere alcuni elementi dell‟ortografia italiana come riferimento
per nuovi sistemi di romanizzazione. Questi, per limitazioni di tempo e
mancanza di fonti sufficienti, non sono stati inclusi nell‟analisi della presente
ricerca, ma se ne dà qui di seguito un brevissimo resoconto.
Si è parlato del dizionario cinese-latino del francescano Basilio Brollo, è si è
detto dell‟idea diffusa nelle fonti bibliografiche riguardo all‟esistenza di due
diversi dizionari, uno ordinato per radicali, l‟altro ordinato per pronuncia. Del
primo, ordinato per radicali, si conserva a Firenze un esemplare del 1694, che
impiega una romanizzazione mista di elementi portoghesi e spagnoli. Al
316
Cfr. D‟ELIA (1933, 1938)
236
contrario, per il dizionario ordinato secondo la pronuncia, l‟esemplare più
vecchio sembra essere una copia appartenuta al missionario francescano
italiano Giambattista Maioli da Serravalle, conservata anch‟essa a Firenze. Si è
notato che probabilmente Maioli non fu il copista o il compilatore del dizionario,
in quanto egli arrivò in Cina solo nel 1706, mentre alcune prove interne lasciano
pensare ad una datazione precedente, intorno al 1699, dell‟esemplare in
questione.
Ora, nel capitolo su Brollo si è tralasciato di dire che, alla fine del 1699, o
all‟inizio del 1700, un altro francescano italiano era arrivato in Cina per
Propaganda Fide; era Carlo Orazi da Castorano (1673-1755), che rimase in Cina
per oltre trent‟anni, durante i quali fu impegnato nel lavoro di evangelizzazione,
e mosse aspre critiche e si oppose strenuamente alla politica missionaria gesuita.
Orazi fu infatti un personaggio centrale nella diatriba della Questione dei Riti;
ma al contempo fu anche il compilatore di scritti linguistici di pregio, seppure
poco studiati, tra i quali figura un grande dizionario latino-italiano-cinese
(Dictionarium latino-italico-sinicum),317 al quale è annessa una grammatica della
lingua cinese (Grammaticam seu Manductio ad Linguam Sinicam);318 la datazione
che compare nei due esemplari conosciuti del dizionario di Castorano è
abbastanza tarda, risalendo al 1732. Si deve però notare che la romanizzazione
usata nel vocabolario e nella grammatica di Castorano, coincide perfettamente
con la romanizzazione principale utilizzata nella copia del dizionario di Brollo
datata 1699. Non si vuole affermare, senza aver effettuato studi approfonditi,
che l‟esemplare del secondo dizionario di Brollo sia in realtà una rielaborazione
di Castorano, né che la datazione del 1699 sia sbagliata; ci si limita ad osservare
che la romanizzazione italiana compare in questa fonte in modo identico a
come fu usata da Castorano nel suo vocabolario.
Carlo Orazi, per la sua posizione nella Questione dei Riti, fu pubblicamente
attaccato dai gesuiti in uno scritto intitolato Informatio Pro Veritate, pubblicato
con tecnica xilografica a Pechino nel 1717.319 Si fa presente che, alla Biblioteca
Apostolica Vaticana, è conservata una copia di quest‟opera, sicuramente
appartenuta a Orazi da Castorano, completamente annotata a mano da
317
Il dizionario è conservato in due copie manoscritte presso la BAV 318
Cfr. CORDIER (1966:III:1658) 319
GESUITI (1717)
237
quest‟ultimo che, a margine di ogni pagina, scrisse le sue osservazioni per
confutare e contrastare le accuse rivoltegli dai gesuiti; è curioso osservare come,
tra le annotazioni manoscritte, compaiano spesso delle correzioni di Castorano
alle romanizzazioni portoghesi dei gesuiti che, evidentemente, il missionario
francescano reputava scorrette. In queste correzioni, ovviamente, la
romanizzazione da egli impiegata è la stessa del suo Vocabolario sopra indicato.
La medesima romanizzazione ricompare identica ancora in un'altra fonte, ossia
nel libro IV dell‟esemplare del Manuale pro missionariis conservato a Roma,
appartenuto al missionario italiano Giuseppe Cerù, che lo donò alla biblioteca
Casanatense nel 1743.
La romanizzazione che ricorre in tutte queste fonti è una trascrizione a forte
base italofona, pur prevedendo elementi di altre ortografie europee; il suo
reperimento in diversi scritti dell‟inizio del 1700 dimostra che in questo periodo,
forse a seguito del gran numero di missionari italiani inviati in Cina da
Propaganda, un nuovo standard italofono era in uso presso quelle missioni.
Questa romanizzazione, che necessiterebbe di essere analizzata
approfonditamente in tutte le fonti in cui essa è rinvenibile, ad una prima
osservazione non sembra avere rapporti di discendenza diretta con il sistema
italiano ideato da Ruggieri alla fine del „500, con il quale condivide certamente
molte caratteristiche, ma probabilmente determinate solo dal fatto che
l‟ortografia di riferimento, cioè quella italiana, era la stessa.
13.5 Romanizzazioni miste
Si vuole qui, con una breve nota, ricordare che alcuni sistemi di romanizzazione
analizzati in precedenza possono difficilmente essere annoverati in un solo
filone di romanizzazione, in quanto contengono elementi e caratteristiche
trasversali.
Si ricordano, in particolare, il sistema presentato da Trigault in XREMZ (1626) e
quello di Brollo del 1694 (HZXY); entrambi i sistemi di romanizzazione sono stati
congegnati sulla base di sistemi esistenti, ma modificati volontariamente
nell‟intento di rendere meglio i suoni della pronuncia cinese.
Per quanto riguarda Trigault, nell‟opera Xiru Ermu Zi, egli non fa menzione
specifica di altre romanizzazioni di riferimento, ammettendo genericamente che
la tradizione di usare l‟alfabeto per annotare la pronuncia cinese era stata
238
iniziata decenni prima dai suoi confratelli: Ricci, Cattaneo e Pantoja. 320 Non
accenna all‟esistenza di un‟ortografia europea di riferimento, né tantomeno alle
differenze fra vari sistemi; ma la sua introduzione di una “Tavola dei suoni dei
diecimila Paesi”, può far pensare che il suo sia stato un tentativo di rendere i
suoni del cinese attraverso una romanizzazione più “universale” possibile, che
potesse servire lo scopo indipendentemente dalla lingua madre dell‟utente.
Comunque, al di là di simili speculazioni, difficilmente confermabili da prove
interne all‟opera, la romanizzazione di Trigault è stata generalmente inquadrata
dagli studiosi come un anello della storia delle romanizzazioni portoghesi. In
questo studio, si intende invece affermare la convinzione che il sistema di
Trigault sia da considerarsi come una digressione dalla linea di discendenza dei
sistemi portoghesi, un ramo divergente che, tra l‟altro, non ha prodotto
discendenza.
Diversamente, la romanizzazione di Brollo, è da considerarsi “figlia” di due
tradizioni diverse, ossia quella portoghese e quella spagnola, dalle quali il
francescano del Friuli ha tratto gli elementi per il suo cocktail ortografico. Più
che una digressione da una qualche linea evolutiva, per la romanizzazione di
Brollo si può parlare di un‟osmosi tra due filoni differenti. Anche nel caso di
Brollo, però, ci si trova di fronte ad un binario cieco, che non sembra aver avuto
diffusione né discendenza.
13.6 Altre sperimentazioni
Oltre ai sistemi coniati dai missionari in Cina, con l‟inizio della produzione di
opere sinologiche da parte di intellettuali europei non missionari, si assistette
alla nascita di sporadiche forme di romanizzazione localizzate. I vari studiosi
avevano spesso coscienza degli esperimenti effettuati dai loro colleghi, e ne
facevano menzione nei propri scritti.
Ancora Fourmont, nella Grammatica Duplex dava conto di alcune
romanizzazioni che si ritengono interessanti anche ai fini di questa ricerca:
320
[…]敝会利西泰、郭仰凤、庞顺阳实始之。; cfr. TRIGAULT (1626:I:1) [introduzione 自序]
239
[…]ex Alphabetho suo Anglico Нуda y ex suo Germanico Bayerus ex suo Galli è
Missionariis nostris nonnulli ut Premarus, voces Sínicas exprimere ac repraesentare
conati[…]321
Oltre al già citato Prémare e alla sua romanizzazione francese, gli altri due
personaggi nominati da Fourmont meritano almeno qualche capoverso che
accenni al loro contributo originale.
Il primo dei due personaggi è l‟orientalista inglese Thomas Hyde (1636-1703),
che fu bibliotecario di Oxford (Bodleian Library) della quale compilò un grande
catalogo delle opere a stampa,322 il terzo dall‟apertura della biblioteca (1602),
grazie al quale si è ben coscienti delle collezioni ivi conservate nel XVII secolo.
Hyde, a soli diciotto anni, era già edotto in lingue orientali quali arabo, ebraico,
persiano e siriaco, alle quali seguirono negli anni anche il turco e il malese;
venne in contatto con la lingua cinese dal 1685, grazie all‟arrivo in Inghilterra del
gesuita cinese Michael Alphonsius Shen Fuzong (沈福宗, m.1691), che giunse
nel 1682 al seguito di Philippe Couplet e probabilmente fu in assoluto il primo
cinese a studiare in Europa.323 Shen, dopo aver visitato l‟Italia e la Francia, si
stabilì per un periodo di circa tre anni (1685-1688) in Inghilterra, dove ebbe
modo di fare la conoscenza di Hyde ad Oxford.
Una parte dei carteggi tra Hyde e Shen è contenuta in un‟opera postuma
intitolata Syntagma Dissertationum,324 nella quale è possibile scoprire che il
gesuita cinese utilizzava il sistema di romanizzazione usato da Intorcetta,
Couplet e dagli altri gesuiti del padroado alla fine del 1600, sistema che anche
Hyde dovette apprendere da Shen e da altri materiali posseduti dalla biblioteca.
Ciò non toglie che l‟orientalista inglese, in alcune altre opere, propose delle
romanizzazioni rese secondo un sistema diverso, né portoghese, né spagnolo,
né francese, bensì inglese.
Pur esimendoci dall‟analizzare le caratteristiche del sistema inglese di Hyde, che
pure non si trova descritto in modo organico dall‟autore, ma solo impiegato in
321 FOURMONT (1742:2,6) 322
Catalogus impressorum librorum bibliothecæ Bodlejanæ in academia Oxoniensi : curâ &
operâ Thomæ Hyde è Coll. Reginæ Oxon. Protobibliothecarii, 1674 323
FANG (1988:364-365) 324
HYDE & SHARPE (1767)
240
alcuni scritti, non si può non sottolineare che esso debba essere considerato il
primo esperimento di romanizzazione anglofona del cinese mai tentato, oltre un
secolo prima l‟arrivo in Cina dei missionari protestanti anglosassoni, che a loro
volta furono artefici di più conosciuti e diffusi sistemi di romanizzazione
(Morrison, Marshman, etc.).
Valutare l‟eventuale connessione tra il tentativo di romanizzazione anglofona di
Hyde e le successive romanizzazioni inglesi dei protestanti esula dagli obiettivi
di questa tesi, ma non si può escludere che esista un qualche tipo di
collegamento.
Di seguito: Due immagini della romanizzazione anglofona di Thomas Hyde,
tratte dall‟opera postuma Syntagma dissertationum (1767)
241
L‟altro personaggio nominato da Fourmont nel passo pocanzi citato è
l‟orientalista tedesco T. S. Bayer (1694-1738), al quale si è già accennato nei
capitoli su Martini e Diaz. Secondo Fourmont, Bayer sarebbe stato l‟autore di
una romanizzazione tedesca, della quale si vuole qui dare brevemente conto.
Nell‟opera sinologica “regina” di Bayer, Museum Sinicum, 325 nella sezione
Grammaticae Sinicae, l‟autore elenca le sillabe del cinese mandarino presenti
nella grammatica di Martino Martini, della quale aveva avuto modo di visionare
e copiare alcuni esemplari manoscritti, e poi scrive la seguente annotazione:
[...]Haec elementa scripsimus secundum Lusitanicam et Hispanicam pronunciationem.
Ludovicus de Comitibus tabulam dedit Gallico accomodatam ori: Thomas Hyde Sinica ut
Anglus suis descripsit litteris: nos ante id tempus Germanicam pronunciationem, quasi
iure quodam nostro, induximus. Nunc sententiam mutavimus. Efferri enim illa elementa
vix possunt litteris Europaeis, ac ne vix quidem, adeo istius sermonis ratio ab ore nostro
refugit. Aequum est igitur, ut Lusitanicum et Hispanicum scribendi morem utcumque
325
BAYER (1730)
242
sequamur, quia in Missionariorum scriptis receptus est, ne moleste seduli, nihil tamen
agamus.
IV. Non inutile erit, scire, quem in modum Lusitani et Hispani haec pronuncient.
an et on efferuntur pronunciatione inter utramque vocale media: sic etiam ao et au, ut sit
sonus aliquis medius.
ç Hispanico more effertur. Ludovicus de Comitibus scripsit tha, thao326
pro ça, çao.
c ante e et i, ut apud Germanos et plerosque alios, exceptis Italis.
ch ut apud Italos c ante e et i, et apud Germanos fere ut tsch; Ludovicus de Comitibus
scripsit tcha, tchai pro cha, chai.
g ante e et i ut dsch, adspiratione in gutture formata: in fine g est durum, ut apud
Germanos.
y et i ante consonantem et vocalem aliam, eodem fere modo, ut de g diximus, efferuntur,
sed ore magis clauso et sibilante, sic yue fere ut gue.
ku et qu non differunt: perinde est, si kua, kue, kuon, an qua, que, quon scribas.
n ante g tamquam unica littera pronunciatur.
m in fine ut ng ore aperto, ut g liquidis exprimatur
u cum puncto, ut Gallicum u, sed ut sibilum anseris imiteris lingua ad angustias dentium
inferiores et superiores applicata.
x ut sch Germanorum.
h fortiter effertur dura aspiratione, ut proxime absit a k.
ciue, hiuen, hium et eiusmodi alia nequaquam ut si sillaba enuncianda sunt.327
Il passo appena citato dimostra la competenza di Bayer in materia di lingua
cinese, almeno dal punto di vista teorico; il prot-sinologo tedesco aveva letto e
conosceva bene tutta la produzione letteraria riguardante la lingua cinese che
era stata prodotta fino a quel momento. Questo comporta anche che egli fosse
ben cosciente delle differenti romanizzazioni esistenti, delle quali cita gli autori,
tra i quali anche Hyde per l‟inglese.
326
Qui Bayer mostra un po‟ di confusione, dal momento che la romanizzazione di Le Comte non
presenta alcuna iniziale th-. Al contrario, Le Comte scriveva ts- al posto del grafema iberico (per
lo più portoghese, non spagnolo come afferma Bayer) ç-; solo nella prima edizione di Le Comte,
si riscontrano anche rarissime occorrenze di un grafema iniziale tç-. 327
BAYER (1730:I) [sez. Grammaticae Sinicae, Liber primus, pp. 7-9 (numerazione indipendente)]
243
Di sé, afferma di voler rispettare le romanizzazioni portoghesi e spagnole
contenute nelle opere dei missionari, ma anche di aver reso la pronuncia cinese
attraverso la grafia tedesca. In realtà, sia in Meseum Sinicum, sia in un‟altra sua
opera sinologica intitolata De Horis Sinicis, 328 egli tende ad utilizzare
diffusamente una romanizzazione di estrazione portoghese-gesuita; anche la
romanizzazione ispanica a cui fa riferimento, altro non è che la variante di
Trigault che abbiamo chiamato Diaz1, usata nei capilettera del Vocabulario, e
che Bayer dovette conoscere dal manoscritto Mentzeliano della Clavis Sinica
conservato a Berlino. Lo stesso Bayer, qualche anno dopo, scriveva così in Horis
Sinicis:
Scriptae sunt omnes Hispano tum consuetudine et ita pronunciari debent. Nam licet
Ludoviciis de Comitibus easdem voces Gallica ratione scribendi edidit tamen malui in his
praeceptionibus Hispanicam rationem retinere qua plerique inde a prima sacra missione
uti consueverunt Quomodo autem haec pronuntiari debeant Thomas Нуdus non uno loco
praecepit et sciunt qui eam linguam noverunt. Non tamen valde ad usum est haec recte
pronunciare, nес disci nisi vocis praecepto potest, itaque praetermitto.329
L‟orientalista tedesco ribadiva che, a suo parere, la maniera ispanica di
trascrivere il cinese era la migliore, pur non sapendo che ciò che lui pensava
ispanico era solo un sistema trasversale basato su quello dello XREMZ di
Trigault.
Ad ogni modo, ciò che interessa è la sua affermazione riguardo ai suoi
esperimenti di romanizzazione tedesca. Nelle due opere citate, l‟unico punto
dove si rinvengono delle occorrenze di romanizzazione tedesca è il saggio
Sinorum de Eclipsi Solis incluso in Horis Sinicis;330 in queste 40 pagine, Bayer
utilizza una forma di romanizzazione evidentemente differente dagli standard
missionari già noti. Grafemi iniziali di tre o quattro grafi tipo sch- per /ʃ/ o tsch-
per /tʃ/, e la presenza di una coda -ng sono le principali caratteristiche distintive
di questa trascrizione. Non essendo, tuttavia, il sistema di Bayer descritto in
328
BAYER (1735) 329
BAYER (1735) [sez. Praeceptiones de Lingua Sinica, numerazione pagine assente] 330
BAYER (1735:1-40) [numerazione pagine indipendente]
244
modo organico dall‟autore, è difficile darne una esposizione completa partendo
dalle poche sillabe offerte dal testo suddetto.
Ciò che è invece degno di nota, è l‟omissione di un certo particolare da parte di
Bayer, ovvero che egli non fu il primo a tentare una romanizzazione tedesca;
infatti, prima di lui, il già citato Christian Mentzel incluse nei suoi scritti alcune
sillabe romanizzate secondo la grafia germanica. Almeno nei manoscritti
conservati a Cracovia, specialmente nella sezione Grammatica Martinio
Cupletiana inserita nella Clavis Sinica, si ritrovano delle note di Mentzel sulla
pronuncia di alcuni suoni cinesi, esplicate attraverso l‟alfabeto tedesco.
Queste sporadiche e, per quanto è possibile giudicare dalle fonti disponibili, non
sistematiche romanizzazioni tedesche non sembrano aver goduto di grande
diffusione, restando varianti personali di alcuni tra i primi sinologi tedeschi, ai
quali erano spesso noti tutti i vari sistemi di romanizzazione sviluppati dai
missionari in Cina.
Particolare della romanizzazione tedesca di Bayer, in Horis Sinicis
13.7 La babele delle romanizzazioni
Oltre alle suddette sperimentazioni anglofone e germanofone, altre particolari
commistioni o varianti di romanizzazioni si osservano perfino nelle fonti
missionarie, che solitamente risultano essere più competenti e coerenti rispetto
agli scritti dei non missionari, amatori sì della lingua, ma privi dell‟esperienza
diretta sul campo.
245
Molti scritti dei missionari del XVII secolo presentano spesso sillabe romanizzate
in modo abbastanza inusuale, alla luce delle altre fonti di cui si è parlato nel
corso di questa ricerca. Alcune volte, ciò è probabilmente dipeso da un uso
promiscuo delle caratteristiche provenienti da diverse romanizzazioni, altre volte
è semplicemente da variazioni personali e quasi casuali. Seguono qui alcuni
esempi tratti da fonti missionarie del 1600, allo scopo principale di ribadire la
complessità dell‟ambito di ricerca affrontato.
Il gesuita portoghese Alvaro Semedo, nelle litterae ex regno sinarum del 1622,
da poco giunto in Cina dopo un breve periodo di studio della lingua, utilizzò
una romanizzazione portoghese con pochissime bizzarrie, probabilmente
dovute solo alla conversione dal manoscritto alla forma stampata. Il paragone
con la romanizzazione della littera di Trigault del 1621, grosso modo
corrispondente per data e luogo di redazione, non mostra infatti differenze
sostanziali.
Lo stesso Semedo, nella sua lunga relazione scritta nel 1640, 331 dopo oltre 20
anni di permanenza in Cina e di studio della lingua, utilizzò invece una
romanizzazione con insolite caratteristiche, tra cui l‟uso sistematico della h per
indicare l‟aspirazione:
- [...] con varios instrumentos Matematicos, a que llaman Quon Siam thai (观象台)
(fol.79)
- [...] de modo resulto entre ellos esta sentencia. Ti yo Thien Thum si yeu sin vai (地
狱天堂?有?外): esto vale La gloria i el infierno estan dentro del coracon. (fol.125)
- [...] tiene en medio la divisa de su oficio, llamada Phu cu... (fol.175)
- [...] a que los Chinas llaman, Thu Quon (土官), que vale, Mandarin de la tierra...
(fol.195)
- [...] Dangungoay, adonde de aquel numero de Bautizados le tocaron 3110. Passado
el Fontes a visitar la Provincia de Thin hoa, fallecio el Regio... (fol.332)
Come si può notare dai suddetti esempi, come da altre 50 e più occorrenze
dello stesso tipo, sembra che Semedo abbia sostituito l‟apostrofo/spirito per
l‟aspirazione ( „ ) dei sistemi di Ricci e Trigault con la h, evidenziando i possibili
331 SEMEDO (1642) Ms.
246
influssi di altri sistemi di romanizzazione, non necessariamente in uso per il
cinese mandarino.
In effetti, la h come marca per l‟aspirazione è scarsamente usata in altre fonti
che descrivono il mandarino, mentre è ampiamente utilizzata nella
romanizzazione di molti dialetti cinesi, nonché nella romanizzazione della lingua
vietnamita. L‟ultimo esempio del testo di Semedo appena proposto, reperibile
nel f.332 della relazione, è tratto da un passaggio riguardante proprio i
confratelli di Semedo stanziati in Vietnam, e la parola romanizzata Thin hoa
indica il nome della provincia del Vietnam ove essi erano attivi.
Del fatto che il grafo h per l‟aspirazione fosse una caratteristica nella trascrizione
del vietnamita nella prima metà del 1600, si trova conferma nel Dictionarium
Annamiticum Lusitanum et Latinum del 1651, compilato dal gesuita francese
Alexandre de Rhodes (1593-1660), indicato come l‟inventore della
romanizzazione della lingua vietnamita; nell‟appendice grammaticale del
dizionario, intitolata Linguae Annamiticae seu Tunkinensis Brevis Declaratio,
leggiamo questa spiegazione:
H, est valde in usu, & bene aspiratur praecipue in principio dictionis cum omnibus
vocalibus ut, ha aperire or, & post, k, ut khá, docet & equivalet χ Graeco, sic etiam post, p,
ut, pha, miscere: &valet idem quod, φ, Graecum: sic quoque post, t, ut tha, parcere: &
sonat ut θ Graecum: habet igitur haec lingua tre aspiratas sicuti lingua Gaeca, & satis
aspirantur: adhibemus etiam,h, post, c, ut cha, Pater, & aequivalet, cia, Italo, ut supra
diximus in litera c: sic & post, g, ut ghe, crista, ghi, notare sicut Itali & c, adhibemus etiam
simul cum[…]332
La lettera h era quindi utilizzata per aggiungere una certa frizione ad alcune
consonanti. Un altro interessante documento che prova questo uso della h sia
per le romanizzazioni del cinese, sia per il vietnamita è costituito da una
versione annotata della preghiera del “Padre Nostro” tradotto in cinese, con la
trascrizione latina e la pronuncia romanizzata di tre lingue: cinese, giapponese e
vietnamita. Questo documento è stato scritto dal gesuita Andrea Palmeiro del
332
RHODES (1651:4-5) [appendice, numerazione pagine indipendente]
247
1632,333 e costituisce un‟importante testimonianza sull‟uso della romanizzazione
all‟inizio del XVII secolo. Di seguito, sono elencati alcuni esempi di sillabe
romanizzate:
LATIN JAP. IDEO. CHIN. VIET.
Mensis tsuki 月 yüẽ thám
Aer fuki 風氣 khĩ khi
Caput cascira 頭 thèu Laù334
Questi esempi potrebbero indicare una possibile osmosi tra i sistemi di
romanizzazione del cinese e del vietnamita in uso all‟epoca.
Se perfino gli stessi missionari rischiavano di mischiare diversi sistemi o di creare
varianti personali poco stabili, figuriamoci cosa succedeva negli scritti degli
intellettuali europei che si affacciavano stentatamente allo studio del cinese e
della Cina in genere.
Nelle opere proto-sinologiche della seconda metà del XVII secolo si può
osservare come la coesisteza di diversi standard di romanizzazione potesse
generare confusione tra i non esperti della lingua, portando spesso ad un uso
promiscuo di sillabe provenienti da diverse romanizzazioni. In tal senso appare
esemplare l‟opera di Athanasius Kircher China Illustrata, nella quale compaiono
spesso trascrizioni diverse per uguali parole, derivanti dalle differenze tra le
romanizzazioni presenti nelle varie fonti consultate e citate dall‟autore. Per
esempio, nella prima edizione di China Illustrata, del 1667, i nomi delle province
cinesi sono trascritti talvota secondo il sistema MM2 usato da Martini nell‟Atlas,
talvolta secondo la trascrizione portoghese in uso nella missione gesuita (RLS).
Kircher non fa affatto menzione di queste differenze, né nella prefazione
dell‟opera, né nel capitolo dedicato alla lingua cinese, dimostrando la natura
prettamente compilativa del suo lavoro.
Molti potrebbero essere gli esempi di questa confusione dilagante tra i “non
addetti ai lavori”, ma si sceglie qui di citare solo un breve passo tra tutti, che ben
333 Questo documento è stato scoperto all‟ARSI e recentemente studiato dal sinologo italiano
Paolo De Troia, che ringrazio per avermi fornito una copia digitale del documento. 334 Uso questo artificio per rendere lo strano grafo nel documento, che appare come una L
corsiva maiuscola e sbarrata.
248
esprime l‟imbarazzo di un editore del XVIII secolo costretto a maneggiare così
tanti sistemi di trascrizione diversi, tra i quali non era semplice stabilire le
corrispondenze o effettuare conversioni. Il brano che riportiamo è tratto dalla
Histoire générale des voyages, un compendio del 1746 che raccoglie annotazioni
storiche e geografiche scritte dai viaggiatori in tutto il mondo:
[…]Dans une si grande incertitude, on s'eft crû obligé de conserver la plupart décès noms
comme ils sont écrits dans les Auteurs originaux, en réduisant seulement quelques lettres
à la valeur de celles qui rendent le même son, dans la Langue où cette Collection est
publiée. Si l'on croit quelquesois avoir découvert le véritable nom , l'avis qu'on en donne
dans une Note devient une règle à laquelle on ne cesse pas de s'attacher. Au reste, ce
qu'on entend par la réduction des lettres, deviendra sensible dans un seul exemple. Les
François écrivent Chine: or pour le prononcer de même, les Anglois écrivent Shin, les
Allemands Schin , les Italiens Scin & les Portugais Xin. Ainsi pour réduire cette syllabe à la
prononciation Angloise , dans toutes fortes de mots y il faut employer le Sh ; & pour la
réduire à la prononciation Françoise il faut mettre Ch ou Sch. Ceux qui ont quelque
connoissance des différentes Langues de l'Europe n'ont pas de peine à se familiariser avec
ces transformations, mais ceux qui n'ont pas les mêmes lumières font exposés à bien des
méprises fur l'identité des Places; & c'eft un inconvénient néanmoins qui ne peut être
évité.335
13.8 Nota conclusiva
La presente ricerca ha tentato di tracciare le linee generali per una storia delle
romanizzazioni del cinese. L‟analisi si è concentrata sulle fonti scritte compilate
dai missionari cattolici in Cina tra la fine del 1500 e l‟inizio del 1700, documenti
in cui è possibile rinvenire un certo numero di sistemi di trascrizione ideati in
modo scientifico, costituiti in modo organico e utilizzati in modo sistematico. I
limiti di tempo imposti dal progetto di ricerca non hanno permesso di indagare
il periodo immediatamente successivo a quello indicato, costituito da tutto il
XVIII e l‟inizio del XIX secolo.
335
PRÉVOST (1746:vii-viii)
249
Si ritiene, tuttavia, che nel periodo esaminato si sia svolta la fase più creativa
della fucina delle romanizzazioni, durante la quale furono forgiati i primi
strumenti necessari alla didattica del cinese; tutto ciò che venne in seguito,
senza voler negare contributi originali e innovazioni, consistette nel continuo
tentativo di rielaborare e migliorare ciò che era stato creato in precedenza.
Esperimenti di romanizzazioni ispirate a tutte le maggiori ortografie europee,
alla fine del 1600, si erano già compiuti; nei decenni e secoli seguenti, alcuni
prodotti di questi esperimenti furono sviluppati, altri caddero nell‟oblio,
rispondendo sia alle esigenze di utenti parlanti lingue diverse, sia ai
cambiamenti subiti nel tempo dalla lingua cinese.
250
Appendice I A - Tabella riassuntiva dei grafemi iniziali dei principali sistemi
di romanizzazione analizzati
La tabella seguente mostra gli inventari dei grafemi iniziali dei sistemi più
organici tra quelli organizzati. Si possono notare somiglianze e divergenze,
insieme ad alcune particolarità peculiari di alcuni sistemi.
I valori fonologici di riferimento maggiormente interessati da rese grafiche
differenti sono sicuramente: /ts/, /tsh/; /ŋ/-/ʔ/; /ʒ/; /k/, /kh/; /n/, [ɲ].
Ad esclusione dei sistemi francofoni, ove compaiono gruppi consonantici
assenti in altri sistemi, la maggior parte degli inventari di grafemi iniziali
presenta caratteristiche tutto sommato molto comuni; pertanto, minime
differenze possono essere indicative ai fini dell’attribuzione di un testo
romanizzato a questo o quell’autore.
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253
Appendice I B - Tabella riassuntiva dei tipi grafici delle rime dei principali sistemi
di romanizzazione analizzati
La comparazione degli inventari dei tipi grafici delle rime reperibili nei sistemi più
organici tra quelli organizzati aiuta a stabilire alcuni punti di riferimento utili.
Ad esempio, il grafema di coda -m risulta essere una prerogativa dei sistemi gesuiti e
lusitano foni, anche se lo si ritrova in Le Comte e nella sua prima romanizzazione
francese (in quanto nata dallo standard portoghese dei confratelli). La coda -ng, invece,
rivela una natura ancora più trasversale, comparendo nelle romanizzazioni di missionari
ispanici (Diaz, Morales, Varo), ma anche italiani (Martini, Brollo) o francesi (Premare),
per di più appartenenti a ordini religiosi diversi (mendicanti, gesuiti, francescani).
Le particolarità relative alla maggiore o minore occorrenza di un certo grafema (es. la
-y- di Boym) possono, altresì, essere evidenziate tramite la sinossi proposta, fornendo
ulteriori riferimenti per l’eventuale attribuzione di una romanizzazione a questo o
quell’autore.
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261
Appendice II A - Tabella delle sillabe di base di alcuni sistemi di romanizzazione a
confronto, sistemate secondo l’ordine di XREMZ
La tabella seguente presenta l’inventario completo delle sillabe romanizzate di dieci
sistemi diversi, quelli per cui è stato possibile raccogliere il maggior numero di sillabe,
con la certezza che facessero parte tutte dello stesso sistema. Fonti problematiche (es. il
Manuale di Morales) per le quali si fatica a provare con sicurezza l’appartenenza ad un
certo autore o un certo periodo, sono state escluse dalla tabella, in quanto la
ricostruzione dell’inventario di sillabe sarebbe stata necessariamente artificiosa e
probabilmente fuorviante.
Le sillabe sono state qui arrangiate secondo l’ordine alfabetico dell’inventario di
XREMZ (Trigault), che tra tutti è sicuramente il sistema più facilmente descrivibile e
più completo.
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285
Appendice II B - Tabella delle sillabe di base di alcuni sistemi di romanizzazione a
confronto, ordinate secondo il PINYIN corrispondente
La seguente tabella contiene essenzialmente gli stessi dati della precedente, ordinati
però secondo la trascrizione PINYIN. Costituisce così uno strumento di una certa
praticità: se si vuol sapere come un certa pronuncia fosse trascritta in questo o quel
sistema, basta cercare la pronuncia nella colonna del PINYIN e consultare le
corrispondenze sulla stessa riga.
Ap
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dic
e I
I B
- T
abella d
elle s
illa
be d
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di alc
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i si
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i di ro
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atque inde characterum linguae Sinicae omnium ... lectio & intellectio ... :
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libros mere Sinicos, facto, Lutetiae Parisiorum: Chez Musier le Père ...
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pureté de la langue françoise,: Contenant plusieurs traitez. De la bonne
prononciation, de l'orthographe, de l'arte d'ecriture, du stile epistolaire, des
regles de la belle conuersation, dee etymologies, & d'vne critique generale
& naturelle. Avec vne methode aisée pour profiter de la lecture des bons
liures, & vne liste des autheurs les plus celebres de nostre langue. A Paris,
Chez Pierre Bavdovin le fils, au bout du Pont-Neuf, proche la grand'Porte
des Augustins à l'image sainct Augustin
ISHIZAKI, H., 2005. DiazのVocabularioについては、筆者は以前、版本や書物の成
立、注音特徴などについて論じたことがある(石崎博志「Francisco Diazの『漢
語・スペイン語辞典』について」『中国語学』第252号 pp.92-110, 2005年10月)。
まず、こちらを参照して下さい
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varios svcessos, y cosas singulares de otros reynos y diferentes
navegaciones ; añadense los decretos pontificios y proposiciones calificadas
en Roma para la mission Chinica y vna Bula de N.M.S.P. Clemente X en
fauor de los missionarios, Madrid: Imprenta Real por Iuan Garcia Infançon
a costa de Florian Anisson, mercader de libros.
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