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1 SISTEMI ORGANIZZATIVI: SECONDA PARTE Come è nato il mondo dei progetti? Il project management nasce come disciplina all'inizio del '900 nel periodo del dopoguerra per la gestione di grossi impianti industriali e delle grosse opere di ricostruzione. In seguito, tra gli anni '70 '80 aumenta la competizione sul mercato. I processi vanno quindi gestiti con maggiore velocità e flessibilità. La gestione per progetti viene utilizzata in 3 contesti: 1. Per gestire attività su commessa con forti esigenze di personalizzazione 2. Per risolvere problematiche una tantum 3. Per innovare prodotti, processi, un’organizzazione o delle tecnologie Un progetto va guardato sotto 3 diverse prospettive: 1. Pianificare e controllare le attività 2. Organizzare e gestire le risorse umane 3. Gestire i sottosistemi che costituiscono il progetto e l’interazione tra questi Definizione di progetto: è un processo in cui risorse umane, materiali e finanziarie sono organizzate in modo nuovo per realizzare un output unico all’interno di vincoli definiti di tempo e costo. Esistono 4 tipologie di progetto: 1. Su commessa: il cliente richiede un output specifico/personalizzato 2. A catalogo: il cliente richiede un output standard 3. Cambiamento organizzativo: interventi mirati a cambiare l’organizzazione interna 4. Ricerca, innovazione tecnologica, sviluppo competenze: interventi mirati a generare opportunità tecnologiche

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SISTEMI  ORGANIZZATIVI:  SECONDA  PARTE    

Come  è  nato  il  mondo  dei  progetti?  Il  project  management  nasce  come  disciplina  all'inizio  del  '900  nel  periodo  del  dopoguerra  per  la  gestione  di  grossi  impianti  industriali  e  delle  grosse  opere  di  ricostruzione.  In  seguito,  tra  gli  anni  '70  -­‐  '80  aumenta  la  competizione  sul  mercato.  I  processi  vanno  quindi  gestiti  con  maggiore  velocità  e  flessibilità.    

La  gestione  per  progetti  viene  utilizzata  in  3  contesti:  

1. Per  gestire  attività  su  commessa  con  forti  esigenze  di  personalizzazione  2. Per  risolvere  problematiche  una  tantum  3. Per  innovare  prodotti,  processi,  un’organizzazione  o  delle  tecnologie  

Un  progetto  va  guardato  sotto  3  diverse  prospettive:  

1. Pianificare  e  controllare  le  attività  2. Organizzare  e  gestire  le  risorse  umane  3. Gestire  i  sottosistemi  che  costituiscono  il  progetto  e  l’interazione  tra  questi  

Definizione  di  progetto:  è  un  processo  in  cui  risorse  umane,  materiali  e  finanziarie  sono  organizzate  in  modo  nuovo  per  realizzare  un  output  unico  all’interno  di  vincoli  definiti  di  tempo  e  costo.  

 

Esistono  4  tipologie  di  progetto:  

1. Su  commessa:  il  cliente  richiede  un  output  specifico/personalizzato  2. A  catalogo:  il  cliente  richiede  un  output  standard  3. Cambiamento  organizzativo:  interventi  mirati  a  cambiare  l’organizzazione  interna  4. Ricerca,  innovazione  tecnologica,  sviluppo  competenze:  interventi  mirati  a  generare  opportunità  

tecnologiche  

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Un  progetto  si  suddivide  in  5  fasi:  

1. INITIATING:  identificare  il  problema  da  risolvere  e  cogliere  le  opportunità  che  si  presentano  2. PLANNING:  scrivere  il  piano  di  progetto,  individuare  le  attività  da  svolgere,  le  risorse  necessarie  ed  i  rischi  e  le  

opportunità.  Questa  fase  è  necessaria  per  evitare  di  movimentare  risorse  non  necessarie  3. EXECUTING:  effettuare  le  azioni  necessarie  per  realizzare  l’output.  Entrano  in  gioco  le  particolarità  

dell’oggetto  del  progetto  e  quelle  del  settore  di  appartenenza  4. CONTROLLING:  controllare  le  attività  e  verificare  la  loro  aderenza  al  piano  di  progetto.  Serve  a  ridurre  la  

probabilità  di  insuccesso  del  progetto.    5. CLOSING:  rilasciare  l’output  di  progetto  e  consegnarlo  a  chi  lo  gestirà.  Chiudere  il  progetto  e  farne  

conoscenza  

IL  PROJECT  MANAGEMENT  

Il  project  management  è  un  insieme  complesso  e  fortemente  interconnesso  di  differenti  aree  di  competenza.  Spesso  il  project  management  va  contro  i  principi  tradizionali  di  gestione  delle  imprese  ed  utilizza  logiche  contro-­‐intuitive.  Ogni  attività  all’interno  di  un  progetto  si  rifà  ad  un  ciclo  di  problem  solving,  per  determinare  una  soluzione  soddisfacente  nel  rispetto  dei  vincoli.    

   

I  cicli  di  problem  solving  possono  avvenire  tra  fasi  successive,  tra  parti  dell’output  o  con  altri  progetti,  attuali/futuri.  

Nei  cicli  di  problem  solving  vi  è  sempre  un  certo  grado  di  incertezza  e  si  possono  verificare  dei  ricicli.  L’incertezza  è  dovuta  al  fatto  che  non  si  conoscono  tutte  le  interdipendenze  fra  le  diverse  attività  e  non  tutti  i  vincoli  esterni  sono  esplicitati.  Questo  causa  ricicli  per  riconsiderare  la  scelta  fatta  e  modificare  la  soluzione  adottata  per  allinearla  ai  nuovi  vincoli  trovati.  Naturalmente  questo  aumenta  i  tempi  e  i  costi  di  riprogettazione.  Inoltre  possono  formarsi  complicazioni  nelle  attività  a  valle  e  la  qualità  dell’output  può  calare.  

PRINCIPI  CHIAVE  DELLA  GESTIONE  DI  PROGETTI  

 

Dal  primo  grafico  si  evince  che  variare  la  soluzione  trovata  ad  inizio  progetto  non  costa  molto  né  causa  seri  problemi,  mentre  farlo  in  corso  d’opera  comporta  costi  elevati  e  perdita  di  tempo.  Per  quanto  riguardo  l’incertezza  questa  è  maggiore  ad  inizio  progetto  e  cala  con  l’aumentare  dell’esperienza  acquisita  durante  l’implementazione  del  progetto.  Dal  secondo  grafico  si  capisce  che  l’obiettivo  principale  sia  quello  di  allargare  la  finestra  delle  opportunità.  Quali  strade  posso  seguire?  La  prima  strada  percorribile  è  quella  che  porta  alla  riduzione  dell’incertezza  grazie  all’anticipazione  dei  vincoli  (definire  in  anticipo  la  soluzione  finale  e  i  vincoli  da  rispettare).  Anticipare  i  vincoli  facilita  le  lavorazioni.  La  seconda  strada  percorribile  è  quella  che  porta  a  ridurre  gli  impatti  del  cambiamento  facendo  abbassare  la  curva  dei  tempi  e  costi  di  correzione  aumentando  la  flessibilità  di  progetto.  

   

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RIDUZIONE  DELL’INCERTEZZA  

Metodi  utilizzati  per  ridurre  l’incertezza:  coinvolgere  tutti  i  portatori  di  vincoli  e  opportunità  lavorando  in  team  e  utilizzando  momenti  di  validazione.  I  portatori  di  vincoli  sono  detti  STAKEHOLDER  e  sono  tutti  quegli  enti  come  clienti,  consulenti,  funzioni  aziendali,  vertice  aziendale,  fornitori  (e  molti  altri)  che  danno  valore  al  mio  progetto.  I  team  sono  solitamente  composti  da  un  corpo  centrale,  comprendente  gli  attori  che  lavorano  direttamente  

al  progetto  e  fanno  capo  alle  funzioni  principali  d’azienda,  e  da  una  parte  più  esterna,  chiamata  team  esteso,  che  comprende  attori  che  prendono  indicazioni  dalla  parte  più  interna.  Per  quanto  riguarda  i  momenti  di  validazione  ne  abbiamo  di  diversi.  Fra  questi  ad  esempio  abbiamo  la  design  review  nella  quale  coinvolgo  i  membri  del  core  team,  faccio  vedere  i  risultati  fin  qui  ottenuti,  lo  sforzo  per  arrivarci,  discuto  l'impostazione  del  lavoro  che  vado  a  fare  e  lo  faccio  validare.  

 

Un’altra  leva  dell’anticipazione  è  la  conoscenza.  Aumentare  la  conoscenza  all’interno  di  un  progetto  è  possibile  coinvolgendo  nel  progetto  esperti,  utilizzando  conoscenze  codificate  e  strutturate  (design  rules)  e  promuovendo  la  produzione  di  nuove  conoscenze  utilizzando  la  sperimentazione.  La  sperimentazione  viene  utilizzata  per  velocizzare  la  curva  di  

apprendimento.  Viene  usata  quando  non  è  possibile  affidarsi  ad  esperienze  passate.  Può  essere  fatta  usando  test  validativi  (convalida  delle  scelte  fatte  nelle  fasi  finali  del  progetto)  o  esplorativi  (verifica  delle  soluzioni  ipotizzate  durante  lo  sviluppo  stesso).    

 

Infine,  sempre  in  relazione  alla  sperimentazione,  si  può  applicare  la  prototipazione  esplorativa.  Questa  utilizza  prototipi  fin  dalla  fase  di  sviluppo  del  CONCEPT  è  early  prototyping,  rapid  tooling,  virtual  prototyping.  Quest’ultimo  permette  di  simulare  il  funzionamento  del  prodotto  senza  farne  la  realizzazione  fisica.  I  vantaggi  di  questa  attività  sono  la  riduzione  dei  costi  e  dei  tempi  di  realizzazione  prototipi,  minori  costi  di  modifica  e  riprogettazione  prodotto,  stimolo  alla  creatività  e  possibilità  di  scambiarsi  prototipi  attraverso  la  rete  informatica.    

L’ultima  leva  dell’anticipazione  è  l’adozione  di  un  metodo,  che  permette  di  affrontare  in  modo  sistematico  specifici  aspetti  del  progetto.  I  metodi  sono  solitamente  modelli  di  analisi  per  specifici  progetti  che  evitano  l’utilizzo  della  sola  esperienza  per  gestire  nuovi  progetti.  

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RIDUZIONE  DI  TEMPI  E  COSTI  DEGLI  INTERVENTI  CORRETTIVI  

La  leva  principale  per  la  riduzione  di  tempi  e  costi  degli  interventi  correttivi  è  la  flessibilità.  Questa  va  ad  incidere  sui  processi  coinvolti  nel  progetto,  le  risorse  e  l’architettura  dell’output  di  progetto.  Le  azioni  possibili  per  migliorare  la  gestione  dei  processi  sono  l’overlapping,  ovvero  la  sovrapposizione  temporale  delle  attività  e  le  beta-­‐release  ovvero  la  costruzione  di  prototipi/modelli  del  prodotto  finito  

da  far  testare  ai  clienti  per  raccogliere  feed-­‐back  utili  ai  fini  di  migliorare  l’output  di  progetto.    Per  quanto  riguarda  le  risorse,  più  nel  progetto  lavorano  persone  con  elevata  competenza  (overskilling)  e  con  l’utilizzo  di  tecnologie  specifiche,  più  questo  sarà  efficiente  e  flessibile.  Infine  si  può  agire  sulla  modularità  dell’output  del  progetto,  creando  un  prodotto  "componibile".  Parto  dalle  funzioni  del  prodotto  e  per  ogni  funzione  creo  un  sotto-­‐apparato  che  le  svolga.  In  fasi  avanzate  del  progetto  andrò  ad  agire  sul  singolo  modulo  in  caso  di  problemi  è  grande  vantaggio  in  termini  di  flessibilità.  La  modularizzazione  è  fondamentale  non  solo  per  i  costi  ma  permette  di  gestire  un  processo  in  overlapping  (vedi  anche  scalabilità  del  prodotto).    Per  concludere  possiamo  dire  che  sia  necessario  ricercare  la  flessibilità  solamente  in  quei  contesti  che  presentano  una  forte  turbolenza  esterna  ed  un’elevata  probabilità  di  cambiamenti  nelle  fasi  conclusive  del  progetto.  Aumentare  di  molto  la  flessibilità  comporta  costi  ingenti  a  fronte  della  riduzione  dei  costi  attesi  nel  caso  di  cambiamento.      FLESSIBILITÀ  vs  ANTICIPAZIONE    

   

   

 

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ORGANIZZAZIONE  DI  PROGETTO  

Dopo  aver  deciso  quale  soluzione  adottare  per  portare  la  mia  azienda  a  lavorare  per  progetti,  devo  ora  capire  quali  ruoli  mettere  in  campo  e  con  che  tipo  di  organizzazione.  Ovviamente  dovrò  adattare  la  struttura  organizzativa  della  mia  azienda  alle  problematiche  da  gestire  e  alle  peculiarità  del  contesto.  Le  configurazioni  possibili  sono  3:    

1. Organizzazione  funzionale  (progetto  scomposto  in  sotto-­‐progetti  assegnati  a  specifiche  funzioni  d’impresa).  Utilizzata  in  contesti  stabili,  conosco  a  fondo  il  mio  lavoro,  i  sotto-­‐progetti  hanno  presidi  funzionali.  

2. Organizzazione  a  task  force  (project  manager  responsabile  del  progetto  con  risorse  assegnate  a  tempo  pieno).    

3. Organizzazione  a  matrice  (project  manager  con  risorse  inserite  nelle  funzioni  aziendali)  

ORGANIZZAZIONE  FUNZIONALE  

In  un’organizzazione  funzionale  il  progetto  viene  letto  trasversalmente.  I  vantaggi  della  gestione  per  funzioni  sono:  efficienza  delle  risorse  usate;  sviluppo  specialistico  funzionale;  soluzione  organizzativa  simile  alla  prassi  normale.  Gli  svantaggi  sono:  poca  integrazione  fra  le  funzioni,  poca  visibilità  sull'output  finale,  difficile  coordinamento.    Utilizzando  questo  tipo  di  organizzazione  la  probabilità  di  realizzazione  del  progetto  è  molto  bassa.  In  questo  ambiente  ogni  funzione  svolge  i  propri  task.  Se  ha  problemi  nella  risoluzione  dei  propri  task  rischia  di  creare  ritardi  anche  

nelle  altre  funzioni.  Quando  avverrà  la  comunicazione  dei  problemi?  Un'azienda  deve  avere  un  elenco  di  progetti  per  rendere  consce  tutte  le  funzioni  sui  compiti  da  svolgere.  Poi  bisogna  definire  una  priorità  fra  i  progetti,  per  capire  a  quali  dare  la  precedenza.  Per  il  P.M.I.  l'organizzazione  funzionale  non  è  una  soluzione.  

ORGANIZZAZIONE  A  TASK  FORCE  

Nell’organizzazione  a  task  force,  dopo  aver  nominato  il  gestore  del  progetto,  questo  capisce  di  cosa  si  tratti  e  chiede  le  risorse  alle  diverse  funzioni  per  portare  a  termine  tale  compito.  Le  persone  che  entrano  in  task  force  escono  dalla  funzione  ed  entrano  nel  team  di  progetto  avendo  ora  come  capo  non  il  direttore  di  funzione  ma  il  project  manager.  Questo  ambiente  permette  una  visione  migliore  sull'intero  progetto  ma  può  creare  tensioni  in  azienda  dovute  a  scontri  tra  la  funzione  e  il  team  di  progetto  per  la  gestione  delle  risorse.  Nelle  task  force  si  crea  un  clima  orientato  all'ottenimento  del  risultato  finale,  saltano  le  gerarchie.  Un  altro  problema  di  questo  tipo  di  organizzazione  nasce  

nel  momento  in  cui  le  persone  che  hanno  lavorato  nelle  task  force  tornano  all’interno  della  funzione.  Hanno  una  visione  diversa,  non  più  gerarchica,  sono  cresciute  sotto  il  profilo  professionale  e  personale.  Fanno  fatica  a  riadattarsi  alla  vita  in  funzione.  Vantaggi:  risorse  hanno  il  focus  sul  progetto,  facilità  di  coordinamento,  orientamento  al  risultato,  assenza  di  disturbi  esterni.  Svantaggi:  problemi  nel  reperire  o  nel  rilasciare  le  risorse,  duplicazione  e  scarsa  flessibilità  delle  risorse,  distacco  dalle  funzioni.  

ORGANIZZAZIONE  A  MATRICE  

MATRICE  DEBOLE:  i  responsabili  funzionali  sanno  su  che  task  lavorare,  presidiano  le  scelte  sui  vari  lavori.  Il  p.m.  diventa  process  owner.  La  matrice  debole  entra  in  gioco  quando  il  tempo  è  una  leva  importante.  Il  responsabile  funzionale  prende  le  decisioni  sui  compiti  da  svolgere  dalle  singole  risorse.  È  l'unico  capo.  Il  process  owner  aiuta  le  funzioni  a  tenere  d'occhio  il  tempo.  Ha  poco  potere.  È  in  una  situazione  di  negoziazione  continua.  Il  process  owner  non  è  un  

capo  ma  può  influenzare  le  varie  risorse.  MATRICE  FORTE:  nel  momento  in  cui  inizia  un  progetto  ho  un  p.m.  a  gestirlo.  

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Anche  in  questo  caso  devo  dedicare  delle  risorse  al  progetto.  Non  le  tolgo  dalle  funzioni  quindi  creo  una  matrice.  Questo  tipo  di  organizzazione  viola  l'unità  di  comando  non  di  direzione.  Le  risorse  sono  autorizzate  ad  avere  relazioni  trasversali  con  il  p.m.  e  non  creano  problemi  alla  gestione  funzionale.  Il  punto  critico  sta  nel  fatto  che  la  persona  possiede  2  capi.  Deve  osservare  comandi  sia  dal  responsabile  funzionale  che  dal  p.m.  Questo  causa  spesso  rallentamenti  nei  meccanismi  di  coordinamento.  Inoltre  la  persona  deve  essere  in  grado  di  sopportare  un  "doppio  lavoro".  Questo  porta  a  semplificare  la  matrice,  preferendo  una  struttura  debole.  PER  ENTRAMBE  è  vantaggi:  efficienza  nell’utilizzo  delle  risorse  e  presidio  degli  obiettivi  di  progetto;  svantaggi:  conflitti  e  continua  negoziazione,  elevata  complessità  organizzativa,  violazione  del  principio  di  unicità  di  comando.  

COMMITTENZA  (commissionare)  DEL  PROGETTO:  è  necessario  definire  gli  obiettivi  strategici  del  progetto,  approvare  l’output,  decidere  le  risorse  da  allocare  al  progetto.    

RUOLI  DI  PROGETTO:  ci  sono  3  categorie  principali.  Ruoli  specifici  di  progetto  (project  manager,  functional  project  leader);  ruoli  di  supporto  (risk  manager,  contract  manager);  ruoli  afferenti  all’organizzazione  permanente  (responsabili  funzionali,  membri  del  team  di  

progetto).  

PROJECT  MANAGER  

A  seconda  dei  progetti  il  p.m.  copre  un  ruolo  diverso  e  fa  cose  diverse.  Possiamo  individuare  almeno  3  figure  differenti:  

1. PESO  LEGGERO:  in  questo  caso  il  project  manager  ha  responsabilità  limitata,  deve  preoccuparsi  di  monitorare  i  tempi  (matrice  debole),  preponderanza  di  funzioni  nell’organizzazione.  Ha  il  ruolo  di  facilitatore  e  sollecitatore.  Facilitatore:  lanciare  la  fase  di  pianificazione  dando  indicazioni  sulle  tempistiche  del  progetto  tramite  una  discussione.  Sollecitatore:  imprevisti  sul  piano  di  progettazione  èil  sollecitatore  (se  tenuto  informato)  spinge  gli  interlocutori  o  responsabili  a  tornare  in  carreggiata  coi  tempi.  Non  sa  chi  lavora  per  il  progetto  (non  vede  le  risorse),  conosce  solo  i  tempi.  Vede  se  le  attività  sono  state  pianificate  e  realizzate  correttamente.  È  il  responsabile  funzionale  che  gestisce  e  coordina  le  risorse  (il  PM  non  gestisce  gli  aspetti  tecnici).  

2. PESO  MASSIMO:  ha  responsabilità  sui  tempi,  costi  e  la  qualità  di  progetto.  Nel  caso  di  progetti  di  fascia  A  viene  usata  una  matrice  forte  o  task  force.  Vede  e  sa  chi  lavora  per  lui  e  negozia  con  il  responsabile  funzionale  le  risorse  a  lui  utili.  Deve  conoscere  gli  aspetti  tecnici  del  progetto,  pianificare  e  controllare  in  dettaglio  le  attività.    

3. PESO  MEDIO:  coordina,  pianifica,  negozia.  È  responsabile  di  tempi  e  costi.  Struttura  organizzativa  nella  quale  lo  si  può  trovare  è  la  matrice  mista.  

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Quali  sono  gli  attributi  che  deve  possedere  un  PM?  Un  PM  che  si  rispetti  deve  possedere  autorità  formale  e  autorità  di  merito,  opportunamente  bilanciate  secondo  il  grado  di  complessità  del  progetto  che  si  trova  a  gestire.  L’autorità  formale  dipende  dal  livello  organizzativo  occupato,  dai  poteri  a  lui  delegati  dalla  direzione,  dal  livello  gerarchico  della  committenza  a  cui  riferisce,  dal  suo  coinvolgimento  diretto  nei  sistemi  di  valutazione  delle  risorse.  L’autorità  di  merito  dipende  dalle  sue  competenze  tecniche,  da  quelle  gestionali,  dallo  stile  di  leadership.    

ALTRI  RUOLI  ALL’INTERNO  DI  UN  PROGETTO  

1. Functional  project  leader:  gestisce  un  sottoinsieme  di  attività  in  progetti  di  grandi  dimensioni  2. Risk  manager:  individua  le  possibili  problematiche  future  del  progetto;  fornisce  al  PM  le  

contromosse  per  evitare  tali  problemi;  verifica  che  tale  gestione  del  rischio  sia  coerente  con  la  specifica  tipologia  di  progetto  

3. Contract  manager:  supporta  il  PM  nella  gestione  degli  aspetti  contrattuali,  commerciali,  amministrativi  (con  clienti,  partner)  

4. Responsabili  funzionali:  gestiscono  risorse  e  attività  di  loro  competenza  nel  progetto  5. Membri  dei  team  di  progetto:  risorse  delle  funzioni  coinvolte  anche  nel  progetto  

OBS:  ORGANIZATIONAL  BREAKDOWN  STRUCTURE  

Grazie  a  questo  organigramma  conosciamo  la  struttura  di  governo,  la  tipologia  di  organizzazione  da  adottare,  le  funzioni  e  le  risorse  coinvolte  all’interno  del  progetto.  

CICLO  DI  VITA:  FASI  O  PROCESSI  DI  UN  PROGETTO  

 

RELAZIONI  TRA  FASI  

NB:  la  fase  di  INITIATING  viene  utilizzata  per  capire  se  cominciare  o  meno  un  progetto.  Questa  va  a  coincidere  con  la  fase  di  PLANNING  nel  caso  i  tempi  di  decisione  siano  molto  stretti,  altrimenti  le  due  fasi  risultano  disgiunte.  Gli  output  finali  delle  diverse  fasi  di  un  progetto  devono  essere  sequenziali  ma  NON  è  detto  che  questo  implichi  che  le  fasi  stesse  lo  siano.  Spesso  alcune  informazioni  generate  in  fasi  successive  risolvono  problemi  di  fasi  precedenti.  Le  sovrapposizioni  tra  le  fasi  possono  essere  causate  da:  natura  dei  progetti;  modalità  di  gestione  adottate;  interconnessioni  tra  fasi  logicamente  distinte.  

FASE  (PROCESSO)  DI  INITIATING  

È  la  fase  più  confusa  del  progetto.  Ha  come  output  finale  la  decisione  o  meno  di  proseguire  nel  progetto.  Il  progetto  parte  con  una  richiesta;  chi  fa  la  richiesta  o  una  persona  specializzata  (INITIATOR  interno  o  esterno  all’impresa)  crea  lo  statement  of  work,  ovvero  un  sommario  (documento)  sulle  attività  da  svolgere  nel  progetto,  gli  obiettivi  e  necessità  da  soddisfare  e  l’output  del  progetto  (il  “cosa”).    

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Successivamente  viene  definito  il  progetto  vero  e  proprio:  cosa  fare  per  concretizzare  la  richiesta?  Nel  project  charter  (documento  interno)  definisco  motivazione  e  impatti  attesi,  obiettivi  specifici  di  progetto,  macro-­‐attività  e  organizzazione,  tempi  e  costi,  analisi  dei  rischi.  Questo  documento  viene  stilato  dal  team  di  progetto  e  coordinato  dal  project  manager  o  dal  proposal  manager.  Gli  obiettivi  di  progetto  possono  essere  strategici,  ovvero  il  progetto  viene  attivato  per  motivazioni  strategiche  e  i  risultati  attesi  diventano  eredità  del  progetto.  Rispetto  ad  essi  si  valuta  l’entità  dell’investimento,  giustificando  le  risorse  assegnate  e  il  livello  di  rischio  assunto.  Possono  poi  esserci  obiettivi  specifici  come  il  raggiungimento  dello  scope,  tempi,  budget  del  progetto.  Il  committente  è  colui  che  si  occupa  di  fare  da  tramite  tra  obiettivi  strategici  e  specifici  dell’impresa.    

Gli  obiettivi  della  committenza  sono  infine  di  approvare  il  progetto,  validare  il  project  charter,  avviare  il  progetto  e  autorizzare  l’uso  delle  risorse.  Quindi  in  definitiva  il  progetto  verrà  lanciato  se  le  valutazioni  strategiche  e  l’analisi  economico-­‐finanziaria  risulterà  soddisfacente.    

 

 

PLANNING,  EXECUTING,  CONTROLLING  

 

Obbiettivi  per  il  PLANNING:  supportare  la  fase  di  INITIATING,  creare  il  piano  di  progetto,  massimizzare  il  raggiungimento  dello  scope  tenendo  conto  di  tempi  e  costi.  Obiettivi  per  l’EXECUTING:  eseguire  il  progetto  in  modo  conforme  a  quanto  pianificato.  Obiettivi  per  il  CONTROLLING:  rilevare  scostamenti  di  tempo,  costo  o  qualità  e  in  quel  caso  ripianificare.  Le  fasi  di  PLANNING  e  CONTROLLING  sono  supportate  dai  principi  di  pianificazione  e  controllo  che  sono:    

 1. Decentramento  decisionale  e  controllo  per  allarmi  =  il  PM  delega  la  parte  delle  decisioni  più  specifiche  

relativamente  al  progetto  non  possedendo  le  capacità  per  presidiarle.  Sarà  il  team  di  progetto  ad  occuparsene  mentre  il  PM  si  occuperà  di  integrarle.  Questo  accade  soprattutto  per  progetti  di  grandi  dimensioni  nei  quali  la  quantità  di  dati  da  controllare  è  ingente.  Nel  caso  di  fuoriuscita  dai  “binari”  del  progetto  il  controllo  verrà  attivato  da  allarmi.  

2. Non  unicità  del  livello  di  dettaglio  =  le  attività  all’interno  di  un  progetto  sono  molto  varie  per  questo  è  necessario  pianificarle  e  controllarle  con  diversi  livelli  di  dettaglio.  Inoltre  il  livello  di  dettaglio  dipende  anche  dall’esperienza  dei  membri  del  team  di  progetto,  dall’orizzonte  temporale  di  pianificazione  (rolling  wave  planning  =  controllo  più  dettagliato  per  le  attività  imminenti,  meno  dettagliato  per  le  più  distanti)  e  dall’outsourcing  delle  attività.  

3. Controllo  in  feed-­‐forward  =  è  l’opposto  del  controllo  in  feed-­‐back.  Data  una  certa  situazione  con  determinate  variabili,  cerco  di  capire  come  si  comporteranno  per  anticipare  determinate  azioni.    

4. Pianificazione  e  controllo  integrati  =  grazie  ad  un  approccio  sistemico,  potrò  valutare  l’impatto  di  una  modifica  di  una  variabile  sulle  restanti.  

EXECUTING  

È  la  fase  nella  quale  si  "fa"  il  progetto.  Se  il  progetto  si  dovesse  bloccare,  il  p.m.  dopo  una  fase  di  controllo  potrebbe  generare  un  secondo  progetto  per  sistemare  la  problematica.  Tale  fase  risulta  specifica  per  progetto  e  settore  e  ha  una  bassa  reversibilità.  Richiede  l’integrazione  dei  contributi  di  tutte  le  funzioni  coinvolte,  assorbendo  la  maggior  quantità  di  risorse.  

 

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CLOSING  

La  fase  di  closing  non  è  una  milestone  ma  un    processo  strutturato  come  le  fasi  precedenti  ad  essa.  Terminato  il  progetto  sarà  il  cliente  a  decidere  se  accettare  o  meno  il  deliverable  in  base  alle  caratteristiche  concordate  e  ai  criteri  di  accettabilità.  L’output  viene  passato  a  chi  lo  dovrà  gestire,  vengono  chiuse  le  pratiche  contabili/amministrative  e  si  fa  esperienza  del  lavoro  svolto  (lessons  learned).  Il  controllo  in  feed-­‐back  non  aiuta  a  migliorare  il  progetto  in  corso  d’opera  ma  accresce  la  cultura  aziendale.  A  fine  progetto  vengono  fatte  delle  riunioni  (post  project  review)  nelle  quali  si  discute  riguardo  ai  livelli  di  qualità  raggiunti,  ai  tempi  e  costi  impiegati,  ai  rischi  corsi,  si  individuano  punti  di  forza  e  di  debolezza  dell’azienda,  si  parla  del  rapporto  con  gli  stakeholders  e  infine  si  celebra  il  successo  del  progetto.  D’altro  canto  vi  è  una  fase  (audit)  in  cui  si  valuta  la  bontà  delle  procedure/tecniche  in  uso  in  azienda  relativamente  allo  svolgimento  di  più  progetti  in  un  determinato  lasso  temporale.  

Perché  attivare  in  parallelo  più  progetti?  Perché  questo  consente  al  p.m.  di  saturare  le  risorse  in  maniera  costante  e  inoltre  a  livello  economico  anticipando  progetti  arrivo  prima  sul  mercato  con  un  nuovo  prodotto,  anticipando  i  ricavi.        

 

GESTIONE  DEI  PROGETTI:  metodi  e  strumenti  per  la  PIANFICAZIONE  e  il  CONTROLLO  di  PROGETTO  

Schema  logico  di  gestione  di  un  progetto.  In  questa  sessione  andremo  a  concentrarci  su  quelle  attività  che  mi  permettono  di  pianificare  e  controllare  in  maniera  ottimale  il  mio  progetto.  Le  dimensioni  di  analisi  più  importanti  saranno  il  tempo  e  i  costi  di  budget.    

 

 

Scope  di  progetto  =  insieme  di  prodotti,  servizi  e  risultati  che  devono  essere  forniti  come  output  di  progetto.  Per  gestire  correttamente  lo  scope,  è  necessario  realizzare  solo  e  soltanto  quanto  richiesto  dal  cliente  (interno/esterno)  in  modo  tale  da  non  incorrere  in  tempi  e/o  costi  maggiori.  Strumento  fondamentale  per  la  definizione  dello  scope  è  lo  scope  statement,  ovvero  un  documento  contente  informazioni  riguardo  a:  descrizione  degli  obiettivi  specifici  di  progetto  e  dei  fattori  motivanti  lo  sviluppo;  descrizione  tecnica  e  sistemica  della  soluzione  proposta;  descrizione  degli  output  tangibili  o  assimilabili  di  progetto  (deliverable)  e  dei  non  presenti;  criteri  che  definiscano  se  accettare  o  meno  determinati  deliverable;  vincoli  associati  al  progetto  (persone,  risorse,  attrezzature…);  parametri  di  valutazione  delle  prestazioni  raggiungibili  dal  progetto  (si  verso  il  cliente  che  internamente);  assunzioni  secondo  cui  il  progetto  sarà  pianificato/gestito;  ruoli  associati  al  progetto  e  relativi  stakeholders;  linee  guida  per  la  gestione  del  progetto  (politiche  di  outsourcing,  rapporto  col  cliente,  modalità  di  testing);  stime  di  tempi  e  costi;  strumenti  di  controllo  del  progetto;  verifiche  autorizzative  che  permettono  al  progetto  di  partire.    

Esistono  fattori  che  fanno  variare  lo  scope  di  progetto  con  ripercussioni  su  tempi  e  costi.  È  questo  il  caso  dello  scope  creep,  ovvero  il  cliente  cambia  le  sue  richieste  causando  continui  piccoli  cambiamenti  nel  progetto.  Ciò  che  crea  questa  situazione  sono  specifiche  poco  chiare,  mancati  momenti  di  congelamento  delle  specifiche  richieste  dal  cliente.  Un  altro  caso  possibile  è  quello  dello  scope  gold  plating,  nel  

quale  si  sviluppano  funzionalità  o  si  erogano  prestazioni  non  richieste  dal  cliente  alle  quali  questo  non  attribuisce  

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valore.  Le  cause  di  questo  avvenimento  sono  la  definizione  poco  chiara  delle  attività  e  la  scarsa  descrizione  dello  scope.    

Per  gestire  lo  scope  change  e  limitare  questi  fenomeni  è  possibile  seguire  questo  processo:  

 

 

WBS_WORK  BREAKDOWN  STRUCTURE  =  strumento  che  permette  di  visualizzare  quali  siano  le  attività  di  progetto,  a  diversi  livelli  di  aggregazione.    

Logiche  di  creazione  della  WBS:  

1. Per  parti  fisiche  che  costituiscono  un  certo  deliverable  2. Per  funzioni  svolte  dal  deliverable  3. Per  fasi  attraverso  le  quali  lo  si  realizza  4. Per  obiettivi  caratterizzanti  l’attività  scomposta  5. Per  rilasci  progressivi  dell’output  6. Per  area  geografica  o  spaziale  

Per  creare  una  corretta  WBS  è  necessario:  

1. Ogni  WBE  va  segmentato  secondo  una  sola  logica  di  scomposizione  (più  integrato  e  meno  ridondante)  2. La  profondità  della  WBS  varia  a  seconda  della  complessità  di  progetto  e  livello  di  dettaglio  necessario  (4/5)  3. Per  ogni  livello  ogni  WBE  va  definito  in  termini  di  responsabilità  4. Nella  WBS  devono  esserci  tutti  i  deliverable  di  progetto  (interni/esterni)  5. I  WBE  di  un  livello  della  WBS  devono  descrivere  l’intero  progetto  6. La  WBS  non  tiene  conto  dei  legami  temporali  

OBS_ORGANIZATIONAL  BREAKDOWN  STRUCTURE  =  l’organigramma  di  progetto  che  sintetizza  la  struttura  di  governo,  quella  organizzativa,  le  funzioni  e  le  risorse  coinvolte  nel  progetto.  

RAM_RESPONSABILITY  ASSIGNMENT  MATRIX  =  strumento  di  supporto  all’OBS,  alloca  le  risorse  alle  attività  e  definisce  il  loro  ruolo.  In  verticale  vedo  quali  attività  vengono  svolte  dal  singolo  attore.  In  orizzontale  vedo  chi  è  coinvolto  nella  singola  attività,  con  i  diversi  gradi  di  responsabilità  e  diversi  compiti  da  svolgere.  RASCI-­‐VS:  evoluzione  della  RACI.  ACCOUNTABLE:  responsabile  delle  attività.  Approva  l'output  e  controlla  la  qualità  (ce  ne  deve  essere  solamente  uno).  CONSULTED:  persona  che  per  fare  un'attività  deve  essere  consultata.  Supporta  i  responsabili  nelle  prese  di  decisione.  INFORMED:  persona  che  deve  essere  informata  dell'attività  in  corso  e  dei  risultati  (PM  o  responsabile  di  sotto-­‐progetto).  RESPONSIBLE:  chi  realizza  l'attività  (nel  caso  di  team  ve  ne  può  essere  più  d’uno).  Il  PM  deve  sempre  essere  informato  sulle  attività  del  progetto.  SUPPORTIVE  (supporta  lo  svolgimento  delle  attività),  VERIFIES  (controlla  che  le  attività  rispettino  criteri  di  progetto  e  standard,  sorta  di  controllo  qualità),  SIGNS  (firma  il  lavoro  svolto).  Cosa  mi  devo  chiedere  guardando  la  RAM?  In  tutte  le  attività  c'è  un  attore  che  svolge  qualcosa  per  questa  attività?  Tutte  le  attività  hanno  un  responsabile  (A)?            

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CONTROL  ACCOUNT  =  è  il  blocco  principale  per  il  processo  di  pianificazione.  È  il  blocco  di  controllo  manageriale  a  cui  è  possibile  attribuire  uno  scope  specifico  e  delle  stime  di  tempo,  costo,  rischio.  Viene  definito  incrociando  la  WBS  (WBE)  con  la  OBS  à  attività  da  svolgere  incrociate  con  risorse  allocate  a  tale  attività.  La  RAM  è  sicuramente  uno  strumento  utile  per  definire  un  CA.  Il  CA  è  un  blocco  informativo  per  la  pianificazione  di  progetto  ma  al  tempo  stesso  è  l’unità  di  analisi  principale  del  processo  di  controllo.  Aggregando  i  costi  dei  singoli  CA,  si  ottiene  il  costo  totale  di  progetto;  così  come  per  il  tempo  (ma  tenendo  conto  delle  precedenze  logiche  tra  i  pacchetti  di  lavoro)  e  il  rischio.  Chiaramente  tempi  e  costi  di  un’attività  non  sono  caratteristiche  intrinseche  di  questa,  ma  vengono  definiti  dall’incontro  tra  WBE  e  OBS.  Infatti  volendo  svolgere  la  stessa  attività  più  velocemente,  potrei  andare  ad  allocare  più  risorse  incombendo  in  

costi  maggiori.  Inoltre  allocando  più  risorse  avrò  sicuramente  bisogno  di  maggiore  coordinamento,  che  comunque  va  ad  influire  sulla  variabile  tempo  (e  poi  esistono  attività  incomprimibili  in  termini  di  tempo).    Processo  di  definizione  del  tempo  e  del  costo  di  un  CA:  Per  prima  cosa  vado  a  definire  l’output  del  CA,  quindi  lo  scope  of  work.  In  questo  modo  identifico  le  competenze  che  dovranno  avere  le  mie  risorse  e  quanto  lavoro  sarà  necessario  per  ogni  competenza.  Come  seconda  cosa  

definisco  quanti  e  quali  risorse  necessito.  Utilizzo  la  OBS  per  fare  questo.  Successivamente,  per  determinare  la  durata  effettiva  di  ogni  attività,  definisco  la  produttività  di  ciascuna  risorsa  (analisi  storica  delle  passate  performance).  Infine  devo  tener  conto  di  ciò  che  ho  scritto  prima,  ovvero  delle  diseconomie  organizzative  e  dei  vincoli  di  incomprimibilità.    La  durata  finale  sarà  data  da:  

𝐷𝑢𝑟𝑎𝑡𝑎 =  𝑅𝑖𝑠𝑜𝑟𝑠𝑎  𝑁𝑒𝑐𝑒𝑠𝑠𝑎𝑟𝑖𝑎

𝑅𝑖𝑠𝑜𝑟𝑠𝑎  𝑎𝑙𝑙𝑜𝑐𝑎𝑡𝑎 ∗ 𝑃𝑟𝑜𝑑𝑢𝑡𝑡𝑖𝑣𝑖𝑡à  

 I  costi  saranno  calcolabili  così:  

𝐶𝑜𝑠𝑡𝑜 =   𝐶𝑜𝑠𝑡𝑜  𝑔𝑖𝑜𝑟𝑛𝑎𝑙𝑖𝑒𝑟𝑜  (𝑖!

!!!

) ∗ 𝐷𝑢𝑟𝑎𝑡𝑎    

Il  costo  così  calcolato  tiene  conto  solo  delle  risorse  interne.  Bisognerà  poi  andare  a  sommare  tutti  i  costi  “esterni”  e  i  costi  relativi  all’acquisto  di  beni  e  servizi  per  lo  svolgimento  delle  attività.  In  conclusione  possiamo  dire  che  la  definizione  dello  scope  sia  importantissima  per  la  corretta  misura  di  tali  valori,  in  quanto  nello  scope  è  contenuta  la  quantità  di  lavoro  necessaria  al  progetto.  Anche  la  pianificazione  dell’allocazione  delle  risorse  e  la  gestione  delle  RU  impattano  notevolmente  in  questo  caso.  Una  stessa  risorsa  non  potrà  essere  impiegata  a  tempo  pieno  su  due  CA  diversi.  La  definizione  del  rischio  è  l’altra  variabile  da  tenere  in  considerazione,  in  quanto  maggiore  sarà  il  rischio  previsto,  più  attività  aggiuntive  verranno  fatte.  Il  processo  di  definizione  della  durata  e  del  costo  è  svolto  in  modo  ciclico  rispetto  alla  definizione  delle  altre  variabili  di  pianificazione.    

PIANIFICAZIONE  DEI  TEMPI  

Ha  l’obiettivo  di  definire  la  distribuzione  temporale  delle  attività  (WP)  e  delle  scadenze  (milestone).  Per  definire  la  schedule  di  progetto  è  essenziale  che  in  input  si  abbiano  stime  di  tempo  dei  control  account  più  accurate  possibili.  Le  fasi  per  definire  una  schedule  sono  le  seguenti:  

1. Definire  la  sequenza  logico/temporale  e  le  relazioni  tra  le  attività  di  progetto  tramite  le  tecniche  reticolari  e  gestire  l’incertezza  sulla  stima  dei  tempi  per  attività  nuove,  con  l’uso  di  PERT  

2. Utilizzare  il  diagramma  di  GANTT  per  stabilire  il  crono  programma  3. Verificare  la  fattibilità  del  piano  dal  punto  di  vista  delle  risorse  adoperate,  tramite  resource  levelling  4. Ottimizzare  il  piano  generato  con  il  CPM  

TECNICHE  RETICOLARI  

1. Relazioni  fine-­‐inizio  (FI)  =  l’inizio  di  un’attività  successiva  necessita  che  una  o  più  attività  precedenti  siano  terminate  

2. Relazioni  inizio-­‐inizio  (II)  =  l’inizio  di  un’attività  è  vincolata  dall’inizio  di  un’altra  3. Relazioni  fine-­‐fine  (FF)  =  due  o  più  attività  sono  vincolate  a  terminare  allo  stesso  moment  

i  =  i-­‐esima  risorsa  N  =  numero  totale  risorse  coinvolte  

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ATTIVITÀ  SUI  NODI  

• ES  =  istante  al  più  presto  in  cui  può  iniziare  un’attività  senza  mutare  la  durata  totale  del  progetto  

• EF  =  istante  al  più  presto  in  cui  può  finire  un’attività  senza  mutare  la  durata  totale  del  progetto  

• LS  =  istante  al  più  tardi  in  cui  può  iniziare  un’attività  senza  mutare  la  durata  totale  del  progetto  

• LF  =  istante  al  più  tardi  in  cui  può  finire  un’attività  senza  mutare  la  durata  totale  del  progetto  

SLACK  di  un’attività  =  quantità  massima  di  ritardo  che  un’attività  può  subire  senza  che  impatti  sulla  durata  totale  del  progetto.  

• ESi  =  MAXpred(i)(EFpred(i))  • LSi  =  LFi  –  DURATAi  • EFi  =  Esi  +  DURATAi  • LFi  =  MINsucc(i)(LSsucc(i))  • SLACKi  =  LSi  –  ESi  =  LFi  -­‐EFi  

Le  attività  di  un  progetto  possono  essere:  

• Critiche  =  se  ritarda  comporta  il  ritardo  dell’intero  progetto.  SLACK  =  0    • Non  critiche  =  ha  un  margine  di  ritardo  entro  cui  non  impatta  sull’intero  progetto.  SLACK  >  0.  Fare  sempre  

attenzione  al  valore  assoluto  dello  slack,  potrebbe  essere  sì  positivo,  ma  molto  vicino  allo  zero.  

Come  alloco  gli  SLACK  in  fase  di  definizione  delle  attività?  Posso  utilizzare  tre  metodi:  seguendo  i  flussi  di  cassa  (ritardando  esborsi  o  anticipando  incassi),  aumentando  o  diminuendo  la  propensione  al  rischio  e  valutando  il  livello  di  saturazione  delle  risorse.  Il  punto  debole  delle  tecniche  reticolari  sta  nel  calcolo  deterministico  della  durata  delle  attività.  Per  questo  è  nata  la  project  evaluation  and  review  technique,  ovvero  il  PERT.  Grazie  al  PERT,  si  integrano  le  

tecniche  reticolari  con  la  durata  probabilistica  delle  attività.  Ora  le  attività  possiedono  una  durata  attesa  e  una  deviazione  standard.  Un'attività  può  durare  “X”  +  o  -­‐  la  deviazione  standard.  Faccio  riferimento  alla  distribuzione  statistica  beta  (curva  non  simmetrica).  È  necessario  conoscere:  durata  ottimistica  (minore),  durata  pessimistica  (maggiore),  durata  più  probabile.  La  durata  ottimistica  e  la  pessimistica  non  si  potranno  mai  verificare,  probabilità  0.  I  valori  delle  durate  sono  dati  da  progetti  simili  passati,  dall’esperienza  pregressa.  Con  il  PERT  un  progetto  dura  il  

cammino  critico  più  o  meno  la  deviazione  standard  delle  attività  che  stanno  sul  cammino  critico.  Viene  introdotto  il  nuovo  concetto  di  attività  subcritica.  Un’attività  si  dice  subcritica  se  SC  =  B  –  DA  –  SL  ≥  0  altrimenti  rimane  non  critica.  Tutte  le  attività  critiche  sono  anche  subcritiche.    DIAGRAMMA  DI  GANTT    Il  diagramma  di  Gantt  è  un  utile  strumento  per  visualizzare  le  attività  di  un  progetto  con  le  relative  durate  e  sequenzialità.  I  punti  di  forza  di  questo  grafico  sono  la  semplicità,  la  leggibilità  e  l’integrabilità  con  la  WBS.  Come  aspetti  negativi  ha  che  non  vi  è  visibilità  sui  costi  delle  attività,  vi  è  una  scarsa  visibilità  degli  slack  e  dell’impatto  dei  rischi  così  come  delle  relazioni  fra  le  attività.  Il  diagramma  possiede  sull’asse  delle  ordinate  tutte  le  attività  mentre  su  quello  delle  ascisse  la  durata  di  tali  attività  con  l’indicazione  della  data  di  inizio  e  fine  dell’attività.  Oltre  alle  normali  attività  sono  rappresentate  anche  le  milestone,  ovvero  eventi  significativi/critici  per  il  progetto.  Una  milestone  può  essere  anche  un  output  tangibile  o  può  essere  alla  base  del  sistema  di  controllo  di  avanzamento  delle  attività  di  progetto.  Esistono  4  tipi  di  milestone  principali:  

1. Contrattuale  =  scadenze  definite  col  cliente/fornitore  2. Interna  =  scadenze  per  rispettare  quelle  contrattuali  3. Intermedia  =  scadenze  fittizie  per  controllare  meglio  le  attività  4. Di  interfaccia  =  scadenze  per  facilitare  la  coordinazione  dei  soggetti  coinvolti  nel  progetto  

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Nel  GANTT  le  attività  sono  contraddistinte  da  uno  SLACK  PROPRIO  e  da  uno  SLACK  TOTALE.  Lo  slack  proprio  è  il  ritardo  che  un’attività  può  subire  senza  impattare  su  nessun’altra  attività,  anche  NON  critica.  Lo  slack  totale  è  il  ritardo  che  un’attività  può  subire  senza  impattare  su  un’attività  critica  e  quindi  sull’intero  progetto.  Si  calcola  come:  slack  totale  =  slack  proprio  +  slack  proprio  di  tutte  le  attività  non  critiche  che  la  seguono  fino  al  termine  del  progetto  (nel  caso  di  più  cammini  si  considera  quello  con  la  somme  di  slack  propri  inferiore)  =  slack  proprio  +  slack  totale  dell’attività  non  critica  successiva.      RESOURCE  LEVELLING    Nella  fase  di  definizione  del  piano  temporale  è  necessario  calcolare  l’effettivo  carico  di  lavoro  attribuito  alle  diverse  risorse.  È  possibile  che  si  verifichino  casi  di  sovrallocazione  di  risorse  con  conseguente  infattibilità  del  piano.  Occorre  dunque  livellare  le  risorse  per  rendere  il  progetto  fattibile.  Quello  che  bisogna  fare  è  calcolare  la  percentuale  di  lavoro  che  ciascuna  risorsa  adopera  in  una  o  più  attività.  Cosa  fare  in  caso  di  saturazione  di  tale  risorsa?  È  possibile  intervenire  in  3  modi:  

1. Lavoro  straordinario  2. Aumentare  il  numero  delle  risorse:  ce  l'ho  all'interno  dell'azienda  o  devo  fare  outsourcing?  3. Spostare  in  avanti  o  indietro  attività  in  parallelo.  Questo  ha  un  forte  impatto  sui  tempi  e  può  causare  seri  

ritardi    PIANIFICAZIONE  DEI  COSTI    I  costi  indotti  dalle  risorse  consumate  per  svolgere  le  attività  previste  dal  Control  Account  possono  essere  stimati  in  3  modi:  

1. Stima  analitica  =  stima  dettagliata  basata  su  un’analisi  puntuale;  è  accurata  ma  lenta  2. Stima  parametrica  =  stima  basata  su  parametri  di  costo  oggettivi  e  di  uso  comune;  buon  compromesso  tra  

velocità  e  accuratezza  ma  poco  applicabile  3. Stima  analogica  =  stima  basata  su  esperienze  passate  di  progetti  simili;  molto  veloce  ma  molto  

approssimativa    CBS_COST  BREAKDOWN  STRUCTURE    Ciascun  responsabile  di  team  (per  ogni  WP)  è  in  grado,  a  partire  dalla  WBS,  di  fare  una  stima  analitica  dei  costi  per  ogni  risorsa  necessaria  (interna/esterna).  In  questo  modo  si  calcolano  i  costi  totali  di  progetto  (aggregati  per  natura  del  costo  non  per  attività).  La  CBS  riallinea  la  contabilità  di  progetto  con  la  contabilità  aziendale,  e  ad  ogni  livello  rappresenta  la  sezione  dei  costi  del  conto  economico  di  progetto  ad  un  differente  livello  di  dettaglio.  Mettendo  la  CBS  in  ordinata  e  la  WBS  in  ascissa,  e  mantenendo  fisso  l’elemento  della  CBS  (quindi  scorrendo  per  riga),  è  possibile  avere  una  visione  della  distribuzione  di  costo  sui  singoli  WP  (risorse  spese  per  una  determinata  attività).  Al  contrario,  mantenendo  fisso  l’elemento  della  WBS  e  scorrendo  per  colonna,  trovo  il  budget  di  ogni  WP  dettagliato  nelle  varie  

voci  di  costo.  Integrando  la  pianificazione  dei  tempi  e  dei  costi  si  ottiene  la  BCWS_BUDGETED  COST  OF  WORK  SCHEDULED,  molto  importante  per  determinare  non  solo  quanto  si  spenderà,  ma  anche  quando.  Per  ogni  unità  di  tempo  ho  l’andamento  dei  costi  cumulati  di  progetto.  Mi  dà  una  visione  sinottica  di  tempi  e  costi  (project  baseline  -­‐  ipotizzando  la  linearità  di  assorbimento  delle  risorse).  La  maggior  parte  dei  costi  si  concentrano  nella  fase  di  EXECUTION  (che  è  anche  la  fase  che  utilizza  e  satura  il  maggior  numero  di  risorse),  mentre  nella  fase  di  INITIATING  –  PLANNING  –  CLOSING  questi  sono  molto  più  contenuti.      

CONTROLLO  INTEGRATO  DI  TEMPI  E  COSTI    Durante  lo  svolgimento  del  progetto  devo  sempre  tenere  d'occhio  lo  SCOPE.  Nel  momento  in  cui  avviene  uno  scostamento  devo  capire  se  sto  centrando  o  meno  lo  scope.  Scorrendo  la  WBS  capisco  se  ho  fatto  tutte  le  attività  previste.  Ne  ho  fatte  in  più  o  in  meno?  Ho  usato  più  o  meno  risorse?  La  mia  pianificazione  temporale  è  corretta?  il  BDG  dei  costi  è  corretto?  Nel  caso  qualcosa  si  fosse  discostato  dall’andamento  pianificato  rifaccio  il  ciclo  di  PLANNING  di  progetto  e  continuo  ad  aggiornarlo.  

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EARNED  VALUE  MANAGEMENT  SYSTEM    L’EVMS  è  un  metodo  utilizzato  per:  

1. Fornire  informazioni  puntuali  sull’avanzamento  del  progetto  2. Generare  indicazioni  previsionali  sul  futuro  andamento  del  progetto  3. Permettere  di  simulare  piani  di  recupero  e  di  valutarne  la  fattibilità        

L’obiettivo  finale  di  tale  metodo  è  di  monitorare  continuamente  l’andamento  del  progetto  e  generare  stime  a  finire,  aggiornando  la  data  di  chiusura  del  progetto  se  necessario.  L’EVMS  segue  4  fasi:  

1. Definizione  del  budget  tempificato  (T/C)  (BCWS)  2. Monitoraggio  Tempi  e  Costi  (ACWP)  3. Analisi  degli  scostamenti  e  definizione  di  opportuni  indici  di  prestazione  (BCWP)  4. Formulazione  di  stime  a  finire  

Per  fare  ciò  tale  metodo  utilizza  3  curve:  1. BCWS_BUDGETED  COST  OF  WORK  SCHEDULED  =  valorizza  il  lavoro  a  BUDGET  con  I  costi  a  BUDGET  2. BCWP_BUDGETED  COST  OF  WORK  PERFORMED  =  valorizza  il  lavoro  effettivamente  svolto  con  I  costi  

preventivati  a  BUDGET  3. ACWP_ACTUAL  COST  OF  WORK  PERFRORMED  =  valorizza  il  lavoro  effettivamente  svolto  con  I  costi  

realmente  sostenuti    La  curva  BCWP  viene  introdotta  perché  non  è  possibile  confrontare  l’ACWP  con  la  BCWS.  Analizzando  queste  curve  ho  un'idea  di  quanto  sia  la  mia  COST  VARIANCE  =  ACWP  –  BCWP  e  la  SCHEDULE  VARIANCE  =  BCWS  -­‐  BCWP  (tempi  =  espressi  in  euro).  Sull’asse  delle  ascisse  è  riportata  la  durata  del  progetto  mentre  su  quella  delle  ordinate  i  costi  sostenuti.  Se  per  un  determinato  istante  di  tempo  la  curva  BCWS>BCWP  il  mio  progetto  è  in  ritardo.  Al  contrario  sarò  in  anticipo.  Se  per  un  determinato  istante  di  tempo  la  curva  ACWP>BCWP  allora  il  mio  progetto  è  inefficiente.  Al  contrario  sarà  efficiente.        

Successivamente  vado  a  definire  degli  indicatori  di  performance  che  possono  essere  relativi  o  assoluti.    Relativi:  

1. CPI_COST  PERFORMANCE  INDEX  =  BCWP/ACWP;  se  >  1  indica  efficienza  2. SPI_SCHEDULE  PERFORMANCE  INDEX  =  BCWP/BCWS;  se  >  1  indica  anticipo  

Assoluti:  1. CV_COST  VARIANCE  =  BCWP  –  ACWP;  se  >  0  indica  efficienza  2. SV_SCHEDULE  VARIANCE  =  BCWP  –  BCWS;  se  >  0  indica  anticipo  (in  termini  monetari)  3. SVtempo  =  T*  -­‐  Tnow;  indica  la  varianza  di  tempo  in  termini  temporali.  T*  è  l’istante  temporale  per  cui            

BCWS(T*)  =  BCWP(Tnow)    Particolarità:  se  la  pendenza  della  BCWS  nel  tratto  considerato  è  costante  allora  SV  tempo  =  SV  (euro)  /  BCWS  periodo  (euro/unità  di  tempo).  Se  la  pendenza  cambia:  calcolo  BCWS  nel  periodo  unità  di  tempo  per  unità  di  tempo;  per  definire  i  decimali  di  SV  tempo  faccio  una  proporzione  (?).    AGGIORNAMENTO  DELLA  PIANIFICAZIONE  Dopo  aver  calcolato  gli  indicatori  sintetici  di  performance  devo  capire  quale  sarebbe  stato  l’andamento  del  progetto  

se  non  ci  fosse  stato  alcun  intervento  correttivo.  Successivamente  valuto  eventuali  azioni  correttive.  Faccio  stime  al  completamento  =  EAC_EASTIMATION  AT  COMPLETION.  Per  fare  queste  stime  devo  capire  se  i  cambiamenti  sono  dovuti  a  cause  contingenti  o  strutturali.  Problemi  contingenti:  fattori  esterni  che  hanno  impattato  sul  progetto  ma  che  si  ritiene  abbiano  terminato  il  proprio  effetto  (tempo  ridotto  di  influenza).  Le  formule  da  utilizzare  in  questo  caso  sono  le  seguenti:    

• EAC€  =  BCWS  finale  –  CV  • EAC  t  (o  SAC)  =  TEMPO  finale  –  SV  tempo  

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Problemi  strutturali:  fattori  esterni  che  hanno  impattato  sul  progetto  e  continueranno  a  farlo.  Formule:  • EAC  €  =  ACWP  +  (BCWS  finale  -­‐  BCWP)  /CPI  =  BCWS  finale  /  CPI   • EAC  t  (o  SAC)  =  TEMPO  finale  /  SPI  

Per  la  valutazione  dei  piani  di  recupero  è  possibile  considerare  le  nuove  stime  di  durata  e  di  costo  come  valori  noti  e  calcolare  quali  performance  da  qui  in  avanti  dovrebbero  essere  mantenute  (SPI  e  CPI).    

• TCPI_to  complete  CPI=  (BAC  –  BCWP)/(new  cost  –  ACWP)    • TSPI_to  complete  SPI  =  (duration  –  earned  schedule)/(new  time  –  time  now)  

È  sempre  da  tenere  in  considerazione  il  fatto  che  ci  sia  la  possibilità  di  errore  nelle  approssimazioni  usate  per  calcolare  la  percentuale  di  completamento  delle  attività  (BCWP).  La  scelta  del  metodo  di  controllo  dell’avanzamento  di  un  WP  è  essenziale.  “Una  volta  che  un  progetto  è  oltre  il  20%  del  suo  completamento,  gli  indicatori  CPI  e  SPI  non  vengono  incrementati  più  del  10%  alla  fine  del  progetto”.    GESTIONE  DEL  CAMBIAMENTO  ORGANIZZATIVO  Il  cambiamento  organizzativo  è  un  processo  nel  quale  un’organizzazione  cambia  il  proprio  assetto  per  aumentare  la  creazione  del  valore  e  accrescere  la  sua  efficacia.  Un’innovazione  è  invece  l’introduzione  di  qualcosa  di  completamente  nuovo  in  un  mercato/ambiente  in  cui  l’impresa  opera.  Il  change  management  è  un  metodo  sistematico  per  affrontare  il  cambiamento  organizzativo  e  aiutare  gli  attori  coinvolti  in  questo  processo.  È  fatto  di  strumenti  e  tecniche  volte  a  PREPARARE  l’azienda  al  cambiamento,  PIANIFICARE  e  CONTROLLARE  il  cambiamento  e  RENDERLO  EFFICACE  nel  contesto  organizzativo.  Oggigiorno  le  aziende  sono  mutevoli  e  poco  stabili  quindi  sapere  gestire  al  meglio  tutti  questi  fattori,  ed  in  particolare  l’innovazione,  può  portare  sicuramente  al  successo.  Il  primo  problema  per  le  aziende  è  capire  quando  cambiare.  Le  aziende  pro  attive  cercano  di  capire  quando  è  necessario  il  cambiamento  e  cercano  di  gestirlo.  Le  aziende  con  atteggiamento  reattivo,  subiscono  il  cambiamento  o  perdono  l'opportunità  di  cambiare.  Per  gestire  bene  il  cambiamento  è  opportuno  cogliere  i  segnali  deboli.  Spinte  al  cambiamento:  

Cosa  può  ostacolare  il  cambiamento  all’interno  di  un’azienda?  Resistenze  da  parte  degli  individui  per  motivazioni  tecniche  (ad  esempio  l’utilizzo  di  diversi  macchinari  o  metodi  di  operare  in  reparto,  quindi  mancanza  di  competenze  o  difficoltà  ad  apprenderne  di  nuove),  politiche  (legate  agli  impatti  che  i  cambiamenti  potrebbero  avere  sul  rapporto  tra  i  membri  dell’organizzazione  sia  orizzontalmente  che  verticalmente),  culturali  (predisposizioni  personali  al  cambiamento,  nuovi  modelli…).  Un’altra  cosa  che  può  

sicuramente  ostacolare  il  cambiamento  è  l’inerzia  dell’organizzazione  dovuta  agli  assetti  consolidati  e  alla  cultura  preminente.  Il  cambiamento  può  essere  di  due  tipologie  in  base  alla  intensità  del  cambiamento:    

           

 

 

                 

Difficilmente  il  cambiamento  radicale  o  quello  incrementale  da  soli  portano  al  100%  degli  obiettivi  prefissati.  Spesso  sono  necessari  entrambi  per  raggiungere  completamente  l'obiettivo  prefissato.  Qui  a  lato  vengono  riportare  le  aree  di  impatto  dei  diversi  tipi  di  cambiamento.  

 

 

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Il  successo  di  un'azienda  dipende  dalla  capacità  di  gestione  delle  attività  correnti/ricorrenti.  Nel  momento  in  cui  avviene  il  cambiamento,  le  attività  correnti  vanno  sincronizzate  con  esso  tramite  miglioramento  continuo  o  innovazione  radicale.    TEORIE  SULLA  GESTIONE  DEL  CAMBIAMENTO  Tappe  principali  nella  formazione  delle  teorie  attuali:  

• Origine  (anni  1920-­‐30):  ricerche  di  Elton  Mayo  alla  Westerne  Electric  • Anni  1940-­‐50:  ricerche  di  Kurt  Lewin  negli  USA;  ricerche  condotte  al  Tavistock  Institute  di  Londra:  Melanie  

Klein,  Alfred  Bion,  studi  sui  sistemi  sociotecnici  o Studio  delle  dinamiche  e  dei  comportamenti  interni  ai  gruppi  o Sviluppi  metodologici:  action  research  

• Anni  1960:  nasce  l’Organizational  Development  (OD)  • Anni  1980:  nascita  dei  nuovi  modelli  manageriali;  sviluppo  della  collaborative  research  

 

KURT  LEWIN  

Kurt  Lewin  eseguì  diversi  esperimenti  per  individuare  quali  fossero  i  migliori  stili  di  leadership  e  per  capire  quanto  contasse  il  coinvolgimento  e  la  partecipazione  all’interno  di  un  gruppo  lavorativo.  Quanto  conta  il  comportamento  dell'adulto  (leader)  nei  confronti  del  ragazzo?  Kurt  individua  3  stili  di  leadership:    

1. Autocratico  =  "comandante"  2. Democratico=dichiara  e  discute  le  iniziative  da  prendere  lasciando  spazio  alle  persone  con  cui  collabora  3. Laissez-­‐faire=  dichiara  le  iniziative  e  poi  lascia  fare  ai  collaboratori.    

In  particolare  Lewin  si  concentrò  sullo  studio  dell'aggressività.  Nello  stile  autocratico  c'è  il  massimo  livello  di  comportamenti  aggressivi  tra  le  persone  che  fanno  parte  del  gruppo.  Minore  nel  laissez-­‐faire  e  ancora  meno  nel  democratico.  La  conclusione  è  che  lo  stile  democratico  sia  il  migliore  dei  tre.  Nel  secondo  studio  cercò  di  capire  quali  fossero  le  modalità  appropriate  per  ottenere  comportamenti  di  cambiamento.  Fece  un  esperimento  con  i  volontari  della  croce  rossa  americana.  L’esperimento  aveva  come  tema  i  problemi  di  alimentazione  di  popolazioni  estese,  tenendo  conto  delle  abitudini  alimentari.  La  campagna  era  finalizzata  a  favorire  il  consumo  di  interiora  animali.  Kurt  seguì  2  strade:    

1. Nella  prima  riunì  i  volontari  con  un  esperto,  il  quale  fece  una  conferenza  e  dimostrando  che  tali  parti  avessero  proprietà  valide.    

2. Nella  seconda  prese  la  stessa  strada  della  prima  ma  coinvolse  le  persone  della  riunione.  La  probabilità  di  successo  aumentò  moltissimo.  

La  conclusione  è  che  il  coinvolgimento  e  la  partecipazione  sono  fondamentali  per  ottenere  buoni  risultati.    MODELLO  DI  LEWIN  

Il  modello  di  Lewin  descrive  i  momenti  topici  nella  gestione  del  cambiamento  e  si  rifà  alla  teoria  dei  campi  di  forze.  In  qualunque  azienda  se  si  trova  una  situazione  stabile  significa  che  si  è  creato  un  equilibrio  tra  spinte  a  cambiare  e  resistenze  a  cambiare.  Se  voglio  

riuscire  a  cambiare  la  situazione  esistente  (equilibrio)  devo  scongelare  (UNFREEZING).  Innanzitutto  devo  far  notare  la  necessità  di  sconvolgere  tale  equilibrio  e  poi  creare  le  condizioni  di  cambiamento.  Successivamente  avviene  la  fase  di  MOVING,  cioè  far  vedere  le  alternative  alla  situazione  attuale  (nuovi  punti  di  equilibrio),  sperimentarle  e  sceglierle.  Così  trovo  la  soluzione  che  mi  convince.  La  situazione  creata  non  è  stabile  quindi  va  congelata  (REFREEZING).  Quali  sono  le  strategie  per  scongelare  e  ricongelare  la  mia  alternativa?    

SCONGELAMENTO  

1. Creare  ansietà  2. Riferirsi  a  situazioni  “modello”  3. Sconfessare  il  modo  di  operare  attuale  4. Enfatizzare  i  benefici  del  nuovo  modo  

di  operare  

RICONGELAMENTO  

1. Cancellare  completamente  i  vecchi  sistemi  e  procedure  

2. Proceduralizzare  e  incorporare  la  nuova  soluzione  nei  sistemi  formali  

3. Nominare  un  “angelo  custode”  della  nuova  organizzazione  

4. Controllare  i  processi  e  le  prestazioni  

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IL  MODELLO  DI  ARGYRIS  E  SCHÖN  

L’organizzazione  viene  vista  come  qualcosa  che  è  capace  di  adattarsi  e  cambiare.  Un  comportamento  organizzativo  è  fondato  su  di  un  modello  di  riferimento.  Questo  crea  regole  operative  quindi  conseguenze  desiderate  o  meno:  

• Desiderate  =  confermo  il  mio  modello.    • Non  desiderate  =  parte  un  meccanismo  di  

adeguamento.  Per  lavorare  sulle  conseguenze  indesiderate  posso  usare  il  single  loop  learning,  non  mettendo  in  discussione  il  modello  di  riferimento  ma  lavorando  sulle  regole  operative  (cambiamenti  minori);  oppure  posso  usare  il  double  loop  learning,  mettendo  in  discussione  il  modello  di  riferimento  (cambiamento  radicale).    

Quali  sono  gli  aspetti  chiave  nella  gestione  del  cambiamento?  

• Ruoli  e  attori  a. Stakeholder:  chi  sono  gli  stakeholder  toccati  dal  cambiamento?  Manager  d'azienda,  le  persone  

all'interno  delle  funzioni  coinvolte  nel  cambiamento,  clienti,  fornitori…  b. Change  network:  composto  da  sponsor,  ovvero  chi  è  capace  di  vedere  quando  è  più  opportuno  far  

partire  il  cambiamento  e  stare  addosso  allo  sviluppo  di  questo,  sviluppando  la  vision,  definendo  obiettivi  e  target  e  un  piano  di  massima  (solitamente  un  manager  del  vertice  aziendale);  agenti  del  cambiamento,  coloro  i  quali  si  occupano  di  fare  azioni  continuative  nel  tempo  per  far  rispettare  la  procedura  di  cambiamento  e  mettono  in  contatto  i  diversi  sponsor  di  progetto  (team  di  lavoro  o  project  manager);  destinatari  del  cambiamento,  quelli  che  subiscono  il  cambiamento  e  con  le  loro  resistenze  al  cambiamento  possono  creare  vincoli  e  condizionare  i  risultati  finali  accettando  o  meno  le  soluzioni  proposte  

• Partecipazione,  commitment  e  leadership:  è  molto  importante  che  il  top  management  sia  in  grado  di  creare  adesione  e  partecipazione  da  parte  del  personale  e  assicuri  il  giusto  livello  di  commitment.  L’efficacia  del  cambiamento  è  data  dalla  seguente  formula  E  =  Q  x  A,  dove  Q  rappresenta  la  qualità  e  la  bontà  della  soluzione  adottata  mentre  A  il  livello  di  accettazione  e  consenso.  Il  commitment  è  la  volontà  delle  persone  di  dedicare  tempo  ed  energie  necessarie  per  raggiungere  obiettivi  di  cambiamento  e  per  superare  lo  stress  e  la  fatica  dovuti  alla  trasformazione.  L’adesione  delle  persone  al  commitment  può  essere  di  diversi  tipi:  

maliziosa,  si  fa  quello  richiesto  con  atteggiamento  di  sfida/scetticismo;  non  adesione,  rifiuta  l’innovazione  o  la  rimanda;  riluttante,  si  accetta  il  cambiamento  (passivamente)  senza  convinzione;  formale,  si  accetta  freddamente  il  cambiamento  in  quanto  necessario;  vera  adesione,  piena  adesione  ma  passiva;  commitment,  adesione  piena  e  propositiva.  Nel  grafico  qui  a  fianco  possiamo  vedere  le  3  fasi  attraverso  le  quali  il  top  

management  può  condurre  il  proprio  personale  per  facilitare  il  cambiamento  aziendale:  a. Preparazione:  prima  fase  di  avvicinamento  al  cambiamento  con  comunicazioni  informali  e  formali.  

La  conoscenza  è  limitata  così  come  il  livello  di  adesione  b. Accettazione:  il  management  deve  sviluppare  una  maggiore  conoscenza/consapevolezza  riguardo  i  

cambiamenti  che  interesseranno  l’organizzazione/funzione  coinvolta/risorse  e  in  un  secondo  momento  riguardo  ai  benefici  personali  che  ciascun  individuo  otterrà.  Alla  fine  di  questa  fase  la  maggior  parte  delle  persone  è  propensa  al  cambiamento  e  può  cominciare  la  fase  di  implementazione  

c. Commitment:  le  persone  devono  accettare  che  la  nuova  soluzione  diventerà  il  nuovo  status-­‐quo  aziendale  e  devono  fare  proprie  le  nuove  logiche  di  lavoro  in  modo  da  diventarne  loro  stessi  i  promotori  

Per  quanto  riguarda  la  leadership  abbiamo  diversi  approcci  possibili,  quello  che  conta  è  che  il  leader  si  faccia  carico  di  promuovere  e  spingere  l’azienda  al  cambiamento,  diventando  la  figura  trainante  di  tutta  l’organizzazione.  Un  primo  approccio  è  quello  top-­‐down,  nel  quale  la  direzione  definisce  obiettivi,  vision,  

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soluzioni  da  implementare  e  la  realizzazione  è  demandata  alle  funzioni/persone  interessate.  L’approccio  bottom-­‐up  prevede  che  la  direzione  indichi  gli  obiettivi  da  perseguire  e  le  funzioni/persone  interessate  definiscano  soluzioni  e  le  realizzino  assumendosene  la  responsabilità.  Infine  abbiamo  l’approccio  partecipativo  nel  quale  la  direzione  coinvolge  le  funzioni/persone  interessate  nella  definizione  della  vision  e  delle  soluzioni  (migliore  per  cambiamenti  radicali).  Come  scelgo  quale  stile  adottare?  Mi  devo  rifare  allo  stile/caratteristiche  del  management  che  conduce  il  cambiamento,  alla  cultura  e  ai  valori  aziendali,  alle  caratteristiche  del  cambiamento  da  realizzare  e  al  grado  di  innovazione  richiesto  dal  cambiamento.  

• Inerzia  organizzativa:  per  superare  l’inerzia  organizzativa  bisogna  innanzitutto  analizzare  le  resistenze  al  cambiamento.  Attraverso  questo  schema  è  possibile  confrontare  la  situazione  AS-­‐IS  e  quella  TO-­‐BE  della  mia  azienda.  Conoscendo  i  cambiamenti  che  bisogna  apportare  si  determina  quali  attività  assegnare  ai  singoli  stakeholder,  quindi  per  ogni  attore  si  analizza  il  cambiamento  richiesto  (mansione,  ruolo,  modalità  di  lavoro,  contesto).  Successivamente  si  rendono  chiari  i  benefici  ottenibili  da  tale  implementazione  e  si  evidenziano  le  possibili  resistenze  attese.  Grazie  alla  mappa  dei  livelli  di  coinvolgimento  capiamo  per  ogni  attore  quale  debba  essere  il  suo  grado  di  partecipazione  al  

progetto  e  quali  azioni  deve  svolgere  per  superare  tali  resistenze.  Infine  è  possibile  che  ci  sia  la  necessità  di  dover  cambiare  o  apportare  modifiche  a  ciò  che  si  era  pensato  in  origine.  

ANDAMENTO  DI  COMMITMENT  E  RESISTENZE  DURANTE  UN  PROGETTO  DI  CAMBIAMENTO  

Come  possiamo  vedere  dal  grafico  l’impegno  che  la  direzione  aziendale  mette  nelle  fasi  iniziali  del  progetto  è  abbastanza  alto  e  va  via  via  aumentando  fino  al  momento  di  massima  dedizione  ovvero  la  prima  implementazione  del  cambiamento  tramite  un  intervento  pilota.  Successivamente  questo  impegno  scema  nel  momento  in  cui  il  progetto  si  è  diffuso  in  azienda.  Questo  procedimento  è  errato  e  pericoloso  poiché  è  proprio  nella  fase  di  diffusione  più  forte  del  cambiamento  che  sorgono  dubbi  ed  incertezze  nel  personale  e  si  rischia  che  le  resistenze  al  cambiamento  compromettano  proprio  quest’ultimo.  Per  ridurre  le  resistenze  è  possibile  agire  attraverso  le  seguenti  azioni:    

• Preparazione  al  cambiamento:  azioni  operati  dagli  sponsor  di  progetto  come  l’allineamento  agli  obiettivi  del  cambiamento  e  la  comunicazione/formazione  lungo  tutta  l’implementazione  

• Formazione:  per  colmare  i  gap  di  competenze  e  per  sensibilizzare  il  personale  alla  nuova  organizzazione,  cultura,  gestione  

• Comunicazione:  informare  gli  stakeholder  sulle  direzioni  del  cambiamento  e  le  relative  implicazioni  • Sistemi  di  valutazione  ed  incentivazione:  coerenti  con  la  cultura  di  cambiamento  continuo  e  con  le  nuove  

logiche  di  funzionamento.  L’incentivazione  più  usata  è  quella  che  premia  le  persone  in  grado  di  seguire  il  programma  di  cambiamento  

• Azioni  specifiche:  premi  per  la  partecipazione,  proposta  di  nuove  idee  • Manipolazione  ed  imposizione:  la  prima  usata  se  il  cambiamento  aiuterà  alcuni  a  discapito  di  altri,  la  seconda  

quando  si  vede  necessaria  la  forzatura  per  cambiare  

 

 

 

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CAMBIAMENTO  RADICALE  

Il  cambiamento  radicale  è  visto  come  uno  "strappo"  con  la  situazione  esistente  (ad  esempio  un  progetto).  Le  funzioni  coinvolte  devono  sapere  cosa  fare,  vi  è  una  pianificazione.  Una  transizione  è  un  cambiamento  nel  quale  preordino/predefinisco  una  serie  di  step  per  raggiungere  l'obiettivo  finale.  Invece  la  trasformazione  è  un  

cambiamento  con  un  percorso  meno  "studiato".  I  tempi  per  un  cambiamento  radicale  sono  tendenzialmente  brevi,  è  di  tipo  sistematico,  guidato  da  una  forte  visione  strategica  e  leadership,  il  percorso  può  essere  la  transizione  o  la  trasformazione.  Nel  processo  di  cambiamento  radicale  vi  sono  2  momenti  importanti:  inizialmente  vi  è  lo  sviluppo  della  visione  strategica.  Sento  la  necessità  di  dover  cambiare,  decido  come  voglio  cambiare,  definisco  un  programma  e  preparo  il  cambiamento.  Nella  seconda  fase  avviene  la  progettazione  e  realizzazione  degli  interventi.  Devo  sviluppare  e  organizzare  strumenti  e  team  per  implementare  il  cambiamento,  progettare  la  nuova  soluzione,  valutarla,  realizzare  e  istituzionalizzare  il  cambiamento  (congelamento).  BPR=mappatura,  analisi  prestazioni,  diagnosi  processi,  ridisegno  processi.  Analizziamo  ora  più  nel  dettaglio  le  singole  fasi  del  processo.      

PERCEPIRE  IL  BISOGNO  DI  CAMBIARE  In  questa  fase  è  necessario  saper  ascoltare  i  “segnali  deboli”  del  cambiamento  e  cogliere  le  opportunità  per  innescarlo,  come  nuove  norme  e  regolamenti,  la  riprogettazione  di  una  famiglia  di  prodotti,  la  realizzazione  di  una  particolare  commessa  per  un  cliente,  l’adozione  di  un  nuovo  sistema  tecnologico.  Inoltre  è  essenziale  che  il  management  valuti  i  rischi  del  “non  cambiamento”  che  se  sottovalutati  possono  sfociare  in  una  crisi  aziendale.  Per  cogliere  i  campanelli  d’allarme  è  necessario  che  l’azienda  possieda  un  buon  sistema  di  misura  delle  prestazioni  aziendali,  faccia  benchmarking  interno/esterno,  check-­‐up  o  audit  aziendali  (consulenza  esterna  o  facilitatori).    

SVILUPPARE  LA  VISION    La  vision  aziendale  si  basa  sugli  obiettivi  di  lungo  termine  (target)  e  sui  principi  di  fondo  della  nuova  organizzazione  (modello  d’impresa).  È  specifica  per  ogni  impresa  ed  è  un  elemento  essenziale  della  leadership  del  top  management.    DEFINIRE  IL  PROGRAMMA  DI  CAMBIAMENTO  Nel  definire  il  programma  di  cambiamento  è  essenziale  definire  le  aree  di  intervento,  ragionando  per  macro-­‐processi.  Si  ottiene  così  una  soluzione  globale  del  problema  e  si  riesce  pertanto  ad  agire  su  diversi  aspetti  in  contemporanea,  dalle  strutture  ai  ruoli,  dalle  logiche  gestionali  alla  tecnologia.  In  secondo  luogo  bisogna  

definire  priorità  e  tempi  e  l’approccio  sicuramente  più  fruttuoso  è  operare  per  sequenze  di  interventi.  Meglio  evitare  di  realizzare  il  cambiamento  in  blocco,  concentrando  le  forze  su  piccole  aree  di  intervento.  Per  fare  tutto  ciò  bisogna  conoscere  le  successioni  logiche  di  intervento,  le  urgenze  in  termini  di  priorità  strategiche,  le  probabilità  di  successo  e  le  opportunità  di  contesto.  Questo  metodo  di  operare  porta  diversi  vantaggi:    

1. Semplificazione  della  gestione  operativa  dei  singoli  progetti  di  cambiamento  2. Focus  sulla  singola  area,  maggior  commitment  aziendale  3. Più  supporto  e  fiducia  grazie  al  successo  dei  primi  progetti  4. Raggiungimento  di  risultati  parziali  anche  se  non  si  completa  il  programma  totale  5. Disturbi  limitati  in  relazione  alle  attività  correnti  

 PREPARARE  IL  CAMBIAMENTO  Azioni  necessarie  per  implementare  tale  cambiamento  sono  la  comunicazione  a  tutta  l’organizzazione  con  motivazioni  annesse;  scongelamento  dello  status-­‐quo  destabilizzando  il  modello  attuale  e  creando  un  senso  di  urgenza;  sviluppo  di  una  cultura  del  cambiamento,  incoraggiando  comportamenti  creativi,  “rischiosi”,  accettazione  dell’errore,  scoraggiamento  della  passività  e  ancoramento  alle  vecchie  abitudini.        

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DEFINIRE  IL  TEAM  Per  il  project  manager  occorre  affidarsi  ad  un  manager  dotato  di  autorevolezza  nell’area  di  intervento.  Il  project  manager  opera  a  tempo  parziale  nel  progetto  quindi  sarà  necessario  che  una  parte  degli  attori  coinvolti  nel  team  di  lavoro  si  occupino  a  tempo  pieno  di  tale  progetto.  Il  team  di  riferimento  ha  il  compito  di  coinvolgere  i  manager,  i  clienti  e  altri  stakeholder  per  verificare  la  correttezza  delle  nuove  soluzioni,  prima  di  passare  alla  vera  e  propria  implementazione.  Ciò  permette  di  gestire  al  meglio  eventuali  difficoltà/vincoli  che  si  possono  presentare.      

   PROGETTARE  LA  NUOVA  ORGANIZZAZIONE  Individuare  nel  dettaglio  gli  interventi  previsti,  condividerli  preventivamente  con  gli  stakeholder  e  comunicarli  a  tutta  l’organizzazione.  Il  processo  prevedere  4  passi  principali:  

1. Analizzare  la  situazione  attuale  =  funzionamento  e  prestazioni  attuali  dell’organizzazione  con  strumenti  come  analisi  organizzativa  e  tecnologica,  check-­‐up,  benchmarking…  

a. Analisi  delle  modalità  di  operare  in  uso  (analisi  “AS  IS”)  b. Analisi  delle  prestazioni  e  individuazione  dei  “gap”  

2. Individuare  problemi  e  opportunità  3. Sviluppare  modelli  alternativi  

a. Strutture,  ruoli  e  meccanismi  organizzativi  b. Metodi  di  gestione  c. Tecnologie  d. Conoscenze,  capacità,  comportamenti  e. Sistemi  di  gestione  delle  risorse  umane  

4. Definire  le  strategie  di  implementazione  in  termini  di  tempi,  risorse,  sequenze,  coinvolgimento  del  target,  azioni  specifiche  di  supporto  

VALUTARE  L’INTERVENTO  

Prima  di  passare  all’azione,  occorre  valutarne  l’effettiva  opportunità  di  cambiamento.  Un  errore  da  evitare  sta  nel  fatto  di  pensare  irreversibile  il  percorso  di  mutazione  dell’organizzazione  cominciato.  I  due  aspetti  fondamentali  da  considerare  sono  l’impatto  economico  e  l’impatto  organizzativo.  Si  adopera  una  classica  valutazione  di  investimento.  I  criteri  per  la  valutazione  dell’investimento  sono  diversi,  qui  di  seguito  i  principali:  

1. Valutare  il  caso  base  =  in  assenza  di  cambiamento  le  prestazioni  si  deterioreranno  progressivamente  2. Valutare  i  benefici  intangibili  =  sviluppo  competenze,  capacità  innovative  3. Valutare  i  benefici  di  lungo  termine  =  considerare  lo  stato  finale  portato  dal  cambiamento  per  non  perdersi  in  

un  orizzonte  troppo  distante  4. Valutare  i  rischi  =  varianza  dei  flussi  finanziari,  probabilità  di  accadimento  di  diversi  scenari,  valutazioni  

qualitative  5. Considerare  gli  effetti  di  portafoglio  =  effetti  congiunti/sinergie  quando  tutti  i  progetti  saranno  finiti  6. Analizzare  le  opzioni  aperte  dall’investimento    

Per  quanto  riguarda  l’impatto  organizzativo  questo  ha  un  peso  pari  a  quello  economico,  in  quanto  se  non  si  riesce  ad  adattare  correttamente  l’organizzazione  al  cambiamento  si  avranno  forti  resistenze  da  parte  del  personale  con  un  forte  aumento  del  rischio  e  dei  costi.    

REALIZZARE  IL  CAMBIAMENTO  

È  necessario  procedere  con  cautela  durante  l’implementazione.  Per  questo  è  meglio  iniziare  con  un  intervento  pilota,  cioè  l’applicazione  sperimentale  del  nuovo  modello  organizzativo  a  un  ambito  specifico  e  ben  delimitato.  L’intervento  pilota  consente  di  sperimentare  la  nuova  soluzione,  concentrare  gli  sforzi  ad  un’area  delimitata  per  project  

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manager/team  di  lavoro,  aumentare  la  probabilità  di  successo  facilitando  l’introduzione  del  cambiamento.  Successivamente  si  passa  alla  diffusione  complessiva  del  nuovo  modello.      ISTITUZIONALIZZARE  IL  CAMBIAMENTO  

Momento  più  delicato  del  progetto.  È  necessario  mantenere  elevato  il  commitment  (attenzione  da  parte  della  parte  direttiva  del  management)  e  congelare/radicare  la  nuova  organizzazione.  Strumenti  per  fare  questo  sono  la  misura  e  il  monitoraggio  delle  prestazioni  e  il  passaggio  ad  una  logica  di  cambiamento  continuo.  

BPR  

“Approccio  strutturato  all’innovazione  organizzativo-­‐gestionale  orientato  al  raggiungimento  di  miglioramenti  radicali  nelle  prestazioni  tramite  il  ridisegno  dei  processi  aziendali”.  

• Cambiamento  pianificato:  insieme  di  passi  e  attività,  supportati  da  opportune  metodologie  e  tecniche  o Istituzionalizzazione  del  cambiamento  

• Miglioramenti  radicali  delle  prestazioni  (vs  miglioramento  incrementale)  • Focalizzazione  sul  ridisegno  dei  processi  aziendali  

o Approccio  multidisciplinare  e  inter-­‐funzionale  o Processi  interni  (primari  e  di  supporto)  e  processi  interaziendali  

• Innovazione  connessa  all’introduzione  o  alla  riprogettazione  dei  Sistemi  Informativi  o Progettazione  congiunta  delle  soluzioni  tecnologiche  e  gestionali  o IT  come  catalizzatore  del  cambiamento  

 IL  MIGLIORAMENTO  CONTINUO  Il  miglioramento  continuo  è  l’opposto  al  miglioramento  radicale.  Il  management  aziendale  ha  il  compito  di  individuare  e  finalizzare  gli  obiettivi  aziendali,  dando  un  indirizzo  al  miglioramento.  Il  miglioramento  continuo  non  è  circoscritto,  ma  si  diffonde  nell'intera  azienda,  toccando  diverse  funzioni  ed  aree.  I  miglioramenti  continui  sono  lenti,  avvengono  per  piccoli  passi,  un  pezzo  di  azienda  per  volta.  Cambiare,  porsi  obiettivi  di  miglioramento  evita  la  sedimentazione,  o  addirittura  il  peggioramento.  Nel  miglioramento  continuo  vi  è  il  contributo  diretto  degli  operatori.  “Un  processo  di  innovazione  focalizzato,  che  coinvolge  tutta  l’impresa  e  che  consiste  nell’adozione  di  miglioramenti  piccoli,  frequenti,  continuativi  nel  tempo,  in  modo  da  ottenere  risultati  significativi  grazie  al  loro  effetto  cumulativo”.  Il  miglioramento  continuo  ha  diversi  vantaggi  come  i  bassi  costi  di  attivazione  e  realizzazione,  la  valorizzazione  di  competenze  ed  esperienze  degli  operatori  (che  imparano  in  fretta  grazie  al  forte  coinvolgimento),  la  facilità  di  implementazione  delle  soluzioni  proposte.  Gli  svantaggi  possono  essere  rintracciabili  in  risultati  visibili  su  tempi  medio  lunghi,  il  successo  avviene  se  in  condizioni  coerenti  e  favorevoli,  in  particolare  a  livello  di  cultura  aziendale.    ORIGINI  Un  approccio  che  ha  accompagnato  lo  sviluppo  dell’industria:  

• Adam  Smith:  applicandosi  con  continuità  l’operatore  sviluppa  una  ‘maggiore  destrezza’  • Seconda  rivoluzione  industriale:  occorre  stimolare  gli  operatori  a  proporre  e  introdurre  miglioramenti  (es  

NCR,  1894);  tradizione  interrotta  dall’OSL  • Anni  1940  (negli  USA):  lancio  del  programma  Training  within  industry  (TWI);  • Dopoguerra  (in  Giappone):  il  programma  TWI  viene  esportato  in  Giappone  per  sostenere  la  ricostruzione;  

integrato  con  la  cultura  locale,  trova  piena  espressione  nel  kaizen  e  nel  TQM  • Anni  1980  (nei  Paesi  occidentali):  diffusione  del  TQM  nei  paesi  occidentali.  Sviluppo  di  studi  e  ricerche  

specifiche    CONDIZIONI  DI  SUCCESSO    

1. Chiaro  indirizzo  strategico:  cambiamento  incrementale  e  focalizzato.  Ruolo  importante  del  management  nel  definire  gli  obiettivi.  Questo  cambiamento  va  comunicato  per  ottenere  l'adesione  al  progetto  da  parte  della  direzione  manageriale  e  degli  operatori.  

a. Individuazione  degli  obiettivi  b. Comunicazione  ed  adesione  

2. Management  del  processo:  leve  per  la  gestione  del  progetto  a. Piani  di  lungo  periodo  e  milestone  b. Comunicazione  periodica  c. Coinvolgimento  del  management  

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d. Training      

3. Cultura  e  valori  aziendali:  cultura  e  valori  aziendali  congruenti  con  le  problematiche  di  gestione  del  cambiamento  continuo.  Nel  miglioramento  continuo  si  va  per  tentativi.  Provo  e  riprovo.  Cultura  di  coinvolgimento  degli  operatori  affinché  diano  il  meglio.  

a. Importanza  dei  piccoli  passi  b. Contributo  potenziale  dei  singoli  c. Tolleranza  dell’errore  

4. Modello  organizzativo  coerente:  occorre  contare  sull’autonomia  e  sulla  responsabilizzazione  delle  persone  e  delle  unità  organizzative  coinvolte  e  sulla  condivisione  di  esperienze  e  conoscenze.  

a. Struttura  piatta  b. Delega  ed  empowerment  c. Team-­‐working  d. Comunicazioni  diffuse,  anche  orizzontali  e. Incentivi  coerenti  

5. Gestione  del  cambiamento:  gestire  il  cambiamento  in  un  processo  di  miglioramento  continuo  non  ridefinisce  il  framework  aziendale,  ma  sta  nell'ottenere  sforzi  maggiori  da  parte  di  tutti  i  dipendenti  aziendali.  

a. Miglioramento  come  processo  e  non  come  evento  6. Strumenti  di  supporto:  misuro  per  poter  migliorare  cercando  di  vedere  i  risultati.

a. Misura  delle  prestazioni  b. Conoscenza  ed  uso  di  strumenti  statistici  c. Strumenti  di  problem  solving  

 GESTIONE  DEI  PROGETTI  DI  MIGLIORAMENTO  Assume  le  sembianze  di  un  programma  (insieme  di  azioni  e  progetti),  che  si  sviluppa  in  un  lasso  di  tempo  medio  lungo  e  si  concretizza  in  miglioramenti  in  vari  temi/ambiti  di  rilevanza  aziendale.  Mobilitazione  diffusa  di  gruppi  e  persone  fino  a  far  diventare  questo  approccio  un  lavoro  abituale.  L’azienda  diventa  una  learning  organization.  La  gestione  avviene  su  3  livelli:  

1. Gestione  dei  singoli  progetti  di  miglioramento  =  substantive  process  2. Gestione  del  programma  nel  suo  insieme  =  process  management  3. Trasferimento  dell’esperienza  e  delle  buone  pratiche  tra  iniziative  e  gruppi  diversi  =  transaction  process  

ASSUNTI  DI  BASE  1. Concretezza:  partire  dalla  situazione  effettiva  e  fare  quello  che  si  riesce  veramente  a  fare.  Quantificare  e  

misurare  i  fenomeni  considerati,  procedere  per  approssimazioni  successive  e  valutare  i  risultati  conseguiti,  con  un  approccio  sperimentale  

2. Metodi  e  strumenti  semplici  3. Gruppo  di  lavoro  inter-­‐funzionale,  responsabile  dei  risultati  4. Valorizzazione  dell’apporto  di  ciascun  membro  del  team  

 IL  METODO  PDCA_PLAN-­‐DO-­‐CHECK-­‐ACT  o  RUOTA  DI  DEMING  

L’attività  di  analisi  e  proposta  si  configura  come  processo  decisionale,  comprendente  cicli  di  problem  setting  e  problem  solving:  intelligence,  design,  choice,  implementation,  review.  Le  fasi  di  questa  analisi  sono:  

• PLAN  =  analizzare  la  questione,  individuare  il  problema,  raccogliere  gli  elementi  necessari,  definire  quali  azioni  testare  (intelligence,  design,  choice)  

• DO  =  realizzare  e  testare  le  azioni/modifiche  apportate  (implementation)  • CHECK  =  valutare  i  risultati  conseguiti  (review)  • ACT  =  consolidare  e  far  diventare  prassi  standard  e  routine  il  cambiamento  

convalidato  (refreezing)    STRUMENTI  DI  SUPPORTO  (ISHIKAWA)  

1. Foglio  di  raccolta  dati:  rilevazione  sistematica  dei  dati  relativi  ad  un  problema  2. Istogramma:  rappresentazione  grafica  e  sintetica  di  quanto  osservato  3. Stratificazione:  classificazione  dei  dati  raccolti  in  sottoclassi  in  modo  da  individuare  le  variabili  esplicative  4. Diagramma  di  Pareto:  individuazione  grafica  dei  problemi  più  importanti  5. Diagramma  causa-­‐effetto:  rappresentazione  delle  cause  di  un  problema  o  prestazione  6. Diagrammi  di  correlazione  e  regressione:  individuazione  su  base  statistica  del  legame  esistente  tra  due  

variabili  

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7. Carta  di  controllo:  monitoraggio  del  comportamento  di  un  processo  nel  tempo    FOGLIO  DI  RACCOLTA  DATI  

Questo  strumento  permette  di  rilevare  in  maniera  sistematica  i  dati  rilevanti  per  descrivere  l’andamento  di  un  fenomeno  o  problema,  quantificandone  le  caratteristiche  rispetto  alle  variabili  indagate.  Passi  da  seguire:  

1. Individuare  il  fenomeno  da  studiare  2. Definire  quali  variabili  considerare  e  quali  dati  raccogliere  3. Preparare  lo  strumento  di  raccolta  (foglio  di  rilevazione)  4. Definire  le  modalità  di  raccolta  dati:  chi,  quando,  per  quanto  tempo  5. Assicurare  che  i  dati  vengano  raccolti  in  modo  corretto  6. Sintetizzare  i  dati  raccolti  (foglio  di  sintesi)  

I  dati  raccolti  devono  essere  in  numero  statisticamente  adeguato  (significatività)  e  devono  garantire  un’interpretazione  corretta  degli  aspetti  rilevanti  del  fenomeno  studiato  (rappresentatività).    

ISTOGRAMMA  Rappresenta  graficamente  ed  in  modo  sintetico  la  frequenza  di  accadimento  degli  eventi  osservati.  Nel  caso  di  variabili,  permette  anche  di  verificare  la  validità  statistica  dei  dati  a  disposizione.    

 

 

STRATIFICAZIONE  DEI  DATI  

Si  classificano  i  dati  raccolti  in  sottoclassi  per  individuare  le  variabili  esplicative  del  fenomeno.  

 

 

DIAGRAMMA  DI  PARETO  

Individua  in  forma  grafica  i  problemi  più  importanti  sui  quali  concentrare  in  maniera  prioritaria  l’attenzione.  Bisogna  ordinare  in  sequenza  decrescente  i  fenomeni  rilevati  e  valutare  se  valga  o  meno  la  legge  di  Pareto  che  afferma  che  il  20%  delle  cause  produce  l’80%  degli  effetti.  Questo  rapporto  vale  se  il  numero  di  cause  a  disposizione  è  sufficientemente  elevato.  

 

 

DIAGRAMMA  CAUSA-­‐EFFETTOApproccio  strutturato  per  evidenziare  le  cause  alla  base  di  un  problema  (“effetto”)  in  modo  qualitativo.  L’analisi  viene  svolta  come  lavoro  di  gruppo  e  permette  analisi  a  livelli  di  dettaglio  crescenti.  Per  identificare  le  diverse  possibili  cause  si  parte  da  categorie  generali  che  poi  possono  essere  disaggregate.  Ad  esempio,  nell’analisi  dei  problemi  di  produzione  spesso  si  utilizza  lo  schema  delle  6  M  (grafico  qui  a  lato,  non  è  detto  che  tale  schema  sia  appropriato  in  altri  tipi  di  contesto).  

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DIAGRAMMI  DI  CORRELAZIONE  E  REGRESSIONE  Permette  di  individuare  la  base  statistica  il  legame  esistente  tra  2  variabili.  Il  diagramma  di  correlazione  mostra  la  correlazione  tra  2  variabili  che  si  pensano  siano  l’una  influenzata  dall’altra.  L’analisi  di  regressione  permette  di  identificare  una  variabile  causa  e  l’altra  effetto  e  di  modellare  tale  relazione  grazie  al  calcolo  di  opportuni  coefficienti.                      

CARTE  DI  CONTROLLO  (SPC)  Permettono  di  monitorare  il  comportamento  di  un  processo  nel  tempo,  e  attraverso  un’analisi  regolare  dell’output  consentono  di  rilevare  eventuali  scostamenti  del  processo  dalla  sua  condizione  nominale.  Possono  essere  per  attributi  o  per  variabili.    APPROCCIO  SIX  SIGMA  Questo  approccio  ha  origine  negli  anni  ’80  negli  USA  all’interno  della  fabbrica  Motorola.  L’obiettivo  era  quello  di  ridurre  i  costi  indotti  dalle  azioni  di  correzione  sui  prodotti.  Per  fare  questo  era  necessario  aumentare  la  qualità  ed  anticipare  in  maniera  proattiva  l’insorgere  di  problemi.  In  particolare  si  puntava  al  miglioramento  dell’intero  processo  per  avere  risultati  migliori  e  più  tempestivi.  Nel  1995  questo  approccio  venne  adottato  anche  da  General  Electric  e  iniziò  a  diffondersi  a  livello  globale.        Obiettivi:  

1. Migliorare  la  qualità  dei  processi,  2. Garantire  la  soddisfazione  del  cliente  esterno/interno,  3. Realizzare  prestazioni  di  alto  livello  al  minimo  costo  e  quindi  4. Migliorare  i  risultati  economici        

Il  six  sigma  si  focalizza  sulla  misura  in  quanto  si  ritiene  fondamentale  misurare  le  caratteristiche  di  prestazioni  che  hanno  valore  per  il  cliente  e  per  l’azienda.  

• Non  si  agisce  su  quello  che  non  si  conosce  • Non  si  conosce  quello  che  non  si  misura  • Non  si  misura  quello  a  cui  non  si  dà  valore  

                                                                       

CTQ_CRITICAL  TO  QUALITY  CHARACTERISTIC  E  VARIABILITÀ  DI  PROCESSO  

Ci  sono  approcci  classici  dietro  alla  gestione  della  qualità.  La  prima  cosa  che  faccio  è  individuare  le  specifiche  e  i  valori  nominali  da  rispettare.  Per  ogni  processo  ho  una  certa  tollerabilità.  Questa  tollerabilità  ha  una  variabilità.  Più  la  variabilità  è  alta  più  vado  ad  operare  fuori  dalle  specifiche.  Confronto  la  tolleranza  di  progetto  con  la  tolleranza  naturale  del  processo  e  calcolo  la  process  capability  ratio  (tolleranza  di  progetto/tolleranza  naturale).  Il  CTQ  

considera  le  caratteristiche  del  prodotto/servizio  che  devono  necessariamente  rispettare  alcuni  criteri  per  soddisfare  il  cliente.  La  tolleranza  di  progetto  indica  un  intervallo  compatibile  con  le  esigenze  di  utilizzo  di  tali  caratteristiche  (le  caratteristiche  sono  definite  sulla  base  dell’identificazione  di  un  valore  target).  La  tolleranza  naturale  del  processo  si  misura  a  partire  dalla  sua  deviazione  standard,  che  nel  caso  di  una  distribuzione  gaussiana  incentrata  sulla  media,  è  pari  a  6  σ  (+  o  –  3 σ).  La  tolleranza  naturale  del  processo  va  confrontata  con  la  tolleranza  di  progetto.  Tanto  più  bassa  sarà  la  prima,  tanto  più  alta  sarà  la  probabilità  che  il  progetto  realizzi  output  conformi  alle  specifiche,  si  dice  che  il  processo  ha  una  process  capability  alta.  Nel  caso  di  PCR=1  si  ha  che  nello  0.27%  dei  casi  la  produzione  è  fuori  dai  limiti  di  tolleranza  naturale  e  dalle  specifiche  (vero  nel  caso  in  cui  il  processo  segua  una  gaussiana  incentrata  sulla  media).  Il  funzionamento  del  processo  si  può  deteriorare  nel  tempo  e  quindi  non  seguire  più  la  distribuzione  gaussiana  correttamente,  ma  magari  vi  può  essere  una  deriva  verso  uno  dei  limiti.  Il  six  sigma  utilizza  come  indicatore  di  process  capability  il  sigma  level,  ovvero  il  numero  di  volte  che  il  σ  del  processo  è  contenuto  nella  semi-­‐ampiezza  della  specifica.  Un  processo  per  essere  eccellente  deve  essere  di  livello  6σ.

 

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CALCOLO  DEL  SIGMA  LEVEL  DI  UN  PROCESSO  

Per  tale  calcolo  bisogna  conoscere:  

1. Unità  di  prodotto/servizio  fornite  2. Opportunità,  cioè  le  caratteristiche  richieste  dal  cliente  (CTQ)  3. Difetti,  cioè  le  opportunità  mancate  

4. 𝐷𝐼𝐹𝐸𝑇𝑇𝐼   𝑝𝑝𝑚 =   !"#$%&  !"  !"#$%%"!"#$%&  !"  !"#$à∗!"#$%&  !"  !""!#$%&'$à

∗ 1000000  

5. Confrontando  il  numero  trovato  grazie  all’equazione  e  il  relativo  valore  in  tabella,  si  determina  il  sigma  level  

IL  CICLO  DMAIC  

Un  percorso  6σ  è  articolato  in  cinque  fasi:  

1. Define  =  definizione  del  progetto  e  del  team;  impostazione  delle  attività;  definizione  del  piano  di  lavoro  

2. Measure  =  misura  degli  attuali  livelli  di  performance  del  processo  3. Analyze  =  analisi  dei  dati;  identificazione  delle  cause;  definizione  del  piano  di  azione  4. Improve  =  attuazione  delle  azioni  di  miglioramento  5. Control  =  verifica  del  miglioramento  conseguito  

Successivamente  sono  state  introdotte  altre  3  fasi:  0.  Recognize  =  messa  a  punto  della  strategia  di  intervento  6.  Standardise  =  definizione  e  codifica  delle  best  practice  7.  Integrate  =  attuazione  di  azioni  complementari  per  rendere  il  contesto  organizzativo  e  gestionale  coerente  con  le  innovazioni  introdotte    Le  fasi  1-­‐2-­‐3  possono  essere  ricondotte  al  PLAN,  la  4  al  DO,  la  5  al  CHECK  la  6  e  la  7  all’ACT.    RUOLI  NEL  SIX  SIGMA  

1. Champion:  promuove  e  supervisiona  i  progetti  per  garantire  il  conseguimento  dei  risultati  attesi  2. Master  Black  Belt:  esperti  aziendali  di  metodi  e  strumenti  six  sigma;  curano  la  formazione  delle  altre  belt  3. Black  Belt:  esperti  dedicati  a  seguire  i  singoli  progetti,  dei  cui  risultati  sono  anche  responsabili  4. Green  Belt:  persone  che  prendono  parte  allo  sviluppo  dei  singoli  progetti  

 Condizioni  di  successo:  deve  essere  date  una  grande  importanza  alla  formazione  e  ci  deve  essere  un  forte  commitment  dell’alta  direzione.