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Journal of Ex- ^ ^ ^ ^ t W j I ) «Perception & !»<i Musicians, a n Journal of Psy- /pitch, in «Jour- i0. jsic Perception», ìiversité Paris X, 38, pp. 547-48- r angewandte Psy- JOHN A. SLOBODA Doti musicali e innatismo 1. Il "talento" è la spiegazione migliore delle differenze individuali? Per introdurre l'argomento, si cominci con l'immaginare una situazio- ne tipica, nella quale un insegnante affida un semplice compito musicale a due bambini di cinque anni (ad esempio riprodurre col canto una melodia ascoltata in precedenza). 11 bambino A ascolta la melodia una volta e la ri- produce in modo vivido e accurato, mentre il bambino B, pur ascoltando la melodia diverse volte, ne fornisce una riproduzione esitante e imprecisa. Questo modello si ripete in una serie di prove diverse, indicando che il li- vello di musicalità dei due bambini è molto ineguale. Come si può spiega- re una simile differenza ? A questo punto, può essere normale appellarsi alla nozione di "talento" o di "dote naturale"; si può pensare che il bambino A sia dotato di talento mu- sicale, a differenza del bambino B. Si può supporre che il bambino A abbia "un'attitudine naturale" per la musica, "un'abilità innata" a rapportarsi col suono; di solito si pensa anche che tali abilità siano fisse e immutabili. Que- sto genere di rappresentazioni ingenue può determinare conseguenze prati- che; si può concludere ad esempio che il bambino A sarà in grado di trarre profitto da un'istruzione musicale, mentre il bambino B non ne sarà capace. E veramente importante comprendere che nelle prestazioni di questi due bambini non esistono elementi razionali per giustificare il ricorso a spie- gazioni in termini di "talento", anche se nessuno di loro si è impegnato in formali attività musicali fino a quel momento. Il risultato osservato è inte- ramente compatibile con una diversa rappresentazione, in base alla quale si assume che i due bambini siano ugualmente "dotati", ovvero posseggano le stesse potenzialità o attitudini per l'attività musicale. Le differenze nelle loro esecuzioni possono essere interamente attribuite a differenze struttu- rali e strategiche nelle loro modalità di elaborazione delle conoscenze in am- bito^ musicale, acquisite prima dell'esperimento. E infatti molto difficile provare l'ereditarietà di caratteristiche intel- lettive e mentali differenti. Esistono chiaramente alcuni disturbi genetici specifici che comportano gravi carenze nelle operazioni mentali richieste per un'ampia gamma di compiti, e in alcuni casi (ad esempio Chorea di Hun- tington) è stato possibile identificare quali responsabili del disturbo un sin- golo gene o un piccolo numero di geni. I ricercatori non hanno ancora sco-

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da Enciclopedia della musica, Einaudi, Vol II, Il sapere musicale

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Journal of Ex-

^ ^ ^ ^ € t W j I )

«Perception &

!»<i Musicians, a

n Journal of Psy-

/pitch, in «Jour-i 0 .

jsic Perception»,

ìiversité Paris X,

38, pp. 547-48-

r angewandte Psy-

JOHN A. SLOBODA

Dot i musicali e innatismo

1. Il "talento" è la spiegazione migliore delle differenze individuali?

Per introdurre l'argomento, si cominci con l'immaginare una situazio­ne tipica, nella quale un insegnante affida un semplice compito musicale a due bambini di cinque anni (ad esempio riprodurre col canto una melodia ascoltata in precedenza). 11 bambino A ascolta la melodia una volta e la ri­produce in modo vivido e accurato, mentre i l bambino B, pur ascoltando la melodia diverse volte, ne fornisce una riproduzione esitante e imprecisa. Questo modello si ripete in una serie di prove diverse, indicando che il l i­vello di musicalità dei due bambini è molto ineguale. Come si può spiega­re una simile differenza ?

A questo punto, può essere normale appellarsi alla nozione di "talento" o di "dote naturale"; si può pensare che il bambino A sia dotato di talento mu­sicale, a differenza del bambino B. Si può supporre che i l bambino A abbia "un'attitudine naturale" per la musica, "un'abilità innata" a rapportarsi col suono; di solito si pensa anche che tali abilità siano fisse e immutabili. Que­sto genere di rappresentazioni ingenue può determinare conseguenze prati­che; si può concludere ad esempio che il bambino A sarà in grado di trarre profitto da un'istruzione musicale, mentre i l bambino B non ne sarà capace.

E veramente importante comprendere che nelle prestazioni di questi due bambini non esistono elementi razionali per giustificare il ricorso a spie­gazioni in termini di "talento", anche se nessuno di loro si è impegnato in formali attività musicali fino a quel momento. I l risultato osservato è inte­ramente compatibile con una diversa rappresentazione, in base alla quale si assume che i due bambini siano ugualmente "dotati", ovvero posseggano le stesse potenzialità o attitudini per l'attività musicale. Le differenze nelle loro esecuzioni possono essere interamente attribuite a differenze struttu­rali e strategiche nelle loro modalità di elaborazione delle conoscenze in am­bito^ musicale, acquisite prima dell'esperimento.

E infatti molto difficile provare l'ereditarietà di caratteristiche intel­lettive e mentali differenti. Esistono chiaramente alcuni disturbi genetici specifici che comportano gravi carenze nelle operazioni mentali richieste per un'ampia gamma di compiti, e in alcuni casi (ad esempio Chorea di Hun­tington) è stato possibile identificare quali responsabili del disturbo un sin­golo gene o un piccolo numero di geni. I ricercatori non hanno ancora sco-

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perto invece alcun gene specifico che sembri accompagnarsi a livelli ecce­zionalmente elevati di abilità. Si crede in genere che il substrato neurologi­co delle abilità psicologiche complesse sia multigenico, cioè che comporti l'intervento di molti geni diversi. Nonostante alcuni ricercatori [Plomin e Thompson 1993] confidino che le nuove tecniche genetiche permetteran­no di isolare singoli geni associati ad alti livelli di Q. I . , nessuno di tali ge­ni è stato finora identificato.

D'altra parte è ampiamente dimostrato [per una rassegna esaustiva cfr. Storfer 1990] che differenti esperienze vissute nella prima infanzia posso­no avere un effetto profondo sul funzionamento cognitivo successivo. Ta­l i esperienze precoci possono avere inizio già prima della nascita, poiché il siTtemàTamv^éTTeto raggiunge un certo livello di maturità durante i l se­condo trimestre. La ricerca di Hepper [1991] ha mostrato che taluni brani musicali, fatti ascoltare al feto tramite altoparlanti situati sullo stomaco del­la madre, erano riconosciuti dai neonati quando venivano fatti riascoltare loro successivamente (come è stato provato dall'accresciuta attenzione ver­so questi brani in confronto a brani nuovi). Tale apprendimento può natu­ralmente verificarsi in modo spontaneo. Suoni di oltre ottanta decibel ven­gono normalmente uditi dall'interno dell'utero; se le madri in gravidanza cantano o suonano qualche strumento i l feto può quindi essere in grado di ascoltarli, cosi come può udire chiaramente la musica ad alto volume pre­sente nelle immediate vicinanze della madre.

La maggior parte delle esperienze di apprendimento si verifica comun­que dopo la nascita. Alcuni nostri studi sulle esperienze di vita precoci dei giovani musicisti [Howe, Davidson, Moore e Sloboda 1995; Howe e Slo-boda 19910; Sloboda e Howe 1991] hanno evidenziato che fin dalla nasci­ta la maggior parte dei genitori cantava quotidianamente per i bambini (so­prattutto all'ora di addormentarsi). Molti si impegnavano inoltre in giochi cantati, incoraggiando i bambini sia a danzare e cantare seguendo la mu­sica, sia a svolgere altri tipi di attività familiari non strutturate. Tali com­portamenti vengono considerati da molti genitori come "ordinari" e la lo­ro importanza in quanto opportunità di apprendimento può quindi essere seriamente sottovalutata [Papousek 1982].

Non si sono effettuate ricerche sugli effetti a lungo termine della stimo­lazione musicale precoce, ma esistono molti risultati a favore della stimola­zione in ambito linguistico [Fowler 1990; Whitehurst, Falco, Lonigan, Fis-chel, De Baryshe, Valdez-Menchaca e Caulfield r988]. In uno studio si chie­deva ai genitori di impegnarsi, per pochi minuti al giorno e per un periodo di qualche mese, nello svolgimento di semplici e strutturati giochi linguisti­ci interattivi con i loro bambini di uno-due anni. Si trattava ad esempio di indicare i l nome di oggetti e di chiedere ai bambini di ripeterlo. Molti ge­nitori svolgono queste attività in modo spontaneo e sono sorpresi di ̂ ap­prèndere che altri non lo fanno quasi mai. Lo studio ha evidenziato che l'im-

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pegno in queste attività ludiche da parte dei genitori favorisce sostanziali e durature acquisizioni di competenza linguistica da parte dei figli.

Da questi studi si può concludere che i bambini molto piccoli speri­mentano livelli assai ineguali di esposizione e di coinvolgimento in ambi­to musicale sulla base delle attività musicali informali nella cerchia familia­re ristretta. Già all' inizio dell'età scolare queste differenze possono con­durre a profondi dislivelli nell 'abilità di adempiere una svariata serie di compiti musicali.

Finora la discussione ha considerato i bambini come ricettori passivi di diversi livelli di stimolazione musicale, mentre essi partecipano ovviamen­te in modo attivo all'apprendimento. In seguito ad associazioni piacevoli o a esperienze di successi [Renninger e Wozniak 1985], alcuni bambini co­minceranno a ricercare stimolazioni e attività musicali preferendole ad al­tri tipi di attivTtaTrìchlederanno l'avvio o i l proseguimento dei giochi mu­sicali, si impegneranno nel canto spontaneo o nelle attività di danza e chie­deranno che alcuni brani o registrazioni vengano suonati all'infinito. In questo modo, un bambino inizia a essere considerato dall'ambiente sociale come particolarmente sensibile alla musica, coinvolto in essa e quindi "mu­sicalmente dotato".

Nonostante alcune persone preferiscano pensare che una particolare at­titudine per i suoni musicali possa essere innata in alcuni bambini, ritengo che ciò sia improbabile. L'attitudine per i l suono può essere una caratteri­stica universale degli esseri umani, se si considera la sua importanza nei pri­mi tempi di vita [Fassbender 1993]. Sembra molto più realistico pensare che le preferenze precoci si sviluppino in seguito a esperienze positive o ne­gative che inducono l'indivìduo a impegnarsi o meno in certi tipT di atti-vita. Questi fattori sono essenzialmente emotivi o motivazionali e saranno successivamente discussi in dettaglio. TTjint fcòlannc^ne"miportante com­prendere che tali esperienze positive o negative possono essere personali o passare inosservate (agli altri). Nonostante alcuni genitori siano convinti di aver trattato due fratelli allo stesso modo, essi non possono controllare ogni aspetto dell'esperienza di un figlio e non può esserci quindi la certezza che i due bambini svilupperanno gli stessi livelli di competenza musicale. Le di­namiche intrafamiliari implicano infatti che le differenze tra fratelli siano spesso molto marcate [Storfer 1990] e non c'è nulla di più ingannevole del­la presunzione che i figli abbiano vissuto le stesse esperienze nell'ambito della stessa famiglia.

Per riassumere quanto è stato fin qui trattato, si spera di aver dimo­strato come l'osservazione di due bambini che manifestano diversi com­portamenti musicali non permette di concludere che questi differiscano nel talento musicale, se per talento si intende una differenza di potenzialità ere­ditata o innata. Questo è vero indipendentemente dalla precocità del pe­riodo di osservazione del comportamento o dal tipo di comportamento os-

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servato. Tutte le "prove" di "abilità" o di "attitudine" musicale misurano l'esecuzione effettiva, non quella potenziale. Prove ben articolate possono es­sere predittive delle conquiste future, ma ciò si verifica a causa del fatto che, a una prima osservazione, i bambini che si trovano in vantaggio rispetto ad altri possono conservare tale posizione se a tutti vengono somministrate le stesse stimolazioni. Se ad esempio nel periodo r i l bambino A possiede mag­giori conoscenze del bambino B, ed entrambi apprendono lo stesso mate­riale in un certo lasso di tempo (dal periodo i al periodo 2), nel periodo 2 i l bambino A continuerà a sapere di più del bambino B.

Questa è solo una delle ragioni per le quali l'attribuire differenze di ta­lento tende a diventare una profezia che "si autoadempie". Un'altra ragio­ne riguarda l'effetto derivato dairattribuire i l "talento" a un individuo; questo incide sui pensieri e sui comportamenti dell'individuo stesso e di coloro che interagiscono con lui o con lei. Dweck [1986] e altri hanno evi­denziato come gli studenti convinti del fatto che la capacità intellettuale sia stabile non reagiscono al fallimento nelle prove scolastiche, e tendono a ri­nunciare alla risoluzione dei problemi (la tipica convinzione "non ce la fac­cio" o "non sono bravo in matematica", ecc.). Al contrario, gli studenti con­vinti che l'abilità si possa migliorare tramite l'apprendimento e lo sforzo, persistono nel compito anche quando si scontrano con un fallimento ini-

' ziale. E stato dimostrato [Vispoel e Austin 1993] che le convinzioni degli allievi circa l'abilità musicale producono analoghi effetti sulla loro volontà di persistere nella risoluzione di difficili compiti musicali.

Un'indagine dettagliata sui fattori motivazionali che intervengono nel­l'apprendimento musicale è stata intrapresa recentemente da O'Neill [1996;

<i>6r*«?,CV 1997; O'Neill e Sloboda 1997]. Sono stati osservati cinquanta allievi alla vigilia della loro prima lezione di strumento e dopo un anno dall'inizio del corso. Sono stati somministrati loro diversi test di abilità musicale e intel­lettiva e una prova di "resistenza al fallimento", durante la quale è stato impartito un compito non musicale. A un primo tentativo, i soggetti svol­gevano il compito con successo, mentre a un secondo tentativo fallivano a causa di una manipolazione sperimentale. Durante i l terzo tentativo di svol­gere i l compito, alcuni allievi intensificavano lo sforzo migliorando la loro prestazione, mentre altri rinunciavano a sforzarsi e la loro prestazione peg­giorava. I l primo tipo di allievo viene descritto come dotato di "orienta­mento al successo", mentre i l secondo come avente un "orientamento ri­nunciatario". Questi orientamenti motivazionali si sono rivelati capaci di prevedere i progressi strumentali raggiunti l'anno successivo. Al contrario, le misure dell'abilità musicale e intellettiva non hanno dimostrato altret­tante capacità predittive.

E stato provato inoltre [Brophy e Good 1970; Rosenthal e Jacobson 1968] che le convinzioni dell'insegnante circa le abilità dei propri allievi in­fluiscono sul suo comportamento verso questi ultimi. Quando un insegnante

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crede che un allievo sia dotato di molte potenzialità, sarà più probabile che gli affidi compiti impegnativi e lo incoraggi verso i l successo.

Al contrario, se un insegnante è convinto che un allievo sia dotato di scarse potenzialità, sarà più probabile che gli affidi compiti non impegna­tivi e lo incoraggi meno a nutrire aspettative elevate. Diversi studi hanno mostrato che si può migliorare la prestazione scolastica di uno studente sem­plicemente fornendo al docente informazioni apparentemente fondate (ma in verità false) a proposito delle alte potenzialità del ragazzo.

L'attribuire differenze di talento musicale, oltre a essere operazione pri­va di fondamento empirico o di giustificazione logica, può di fatto rinfor­zare e aumentare le grandi disparità nel rendimento sulle quali tale attri-buzione si fonda. Stando cosi le cose, la conclusione più coerente e peda­gogicamente più sensata è che i l talento musicale (inteso come una capacità innata e una predisposizione verso l'attività musicale), se esiste, è presen­te allo stesso modo nella maggior parte della popolazione, e non può co­munque spiegare la vastissima gamma di abilità musicali presenti nella po­polazione adulta di società industrializzate come la nostra.

Si deve ammettere che questa conclusione non è accettata da tutti i r i ­cercatori del settore; i l dibattito continua a estendersi e coloro che sono in­teressati a confrontare le posizioni alternative possono consultare la serie di commenti pubblicati in due articoli specifici [Sloboda, Davidson e Howe 1994; Howe, Davidson e Sloboda 1998] che elaborano i concetti qui som­mariamente esposti. Un'energica difesa del "talento" si può trovare in Win :

ner [1996]. Data questa conclusione, possiamo ora rivolgerci a una questione se­

condo me assai più proficua, e cioè: quali sono i meccanismi psicologici al­la base del successo musicale ? Sono questi meccanismi che, presi assieme, costituiscono "l'abilità" di una persona. Preferisco di gran lunga i l termine "abilità" rispetto a "talento" poiché i l primo non mi sembra implicare al­cuna ipotesi circa le origini di tale abilità. Quando ne sapremo di più sulla natura dell'abilità musicale saremo in posizione assai migliore per spiegar­la, predirla e svilupparla [Sloboda 1996].

2. La natura dell'abilità musicale. ,

Sebbene il termine "abilità musicale" sia meno aperto a diverse inter­pretazioni che non il termine "talento", anch'esso può tuttavia significare troppe cose. Viene suggerito ad esempio che alla base di tutti i successi ot­tenuti nella sfera musicale vi sia la presenza di qualche fattore comune o di un insieme di fattori. Come si spiega questo in relazione al fatto che esi­stono cantanti incapaci di leggere la musica, pianisti che non sanno canta­re in modo intonato, musicisti che non sanno comporre e critici musicali

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che non sanno né suonare uno strumento né comporre musica ? Tutte que­ste persone possiedono attributi comuni in virtù dei quali si può dire che siano dotati di abilità musicali ?

Molti ricercatori sostengono che esista veramente un attributo comune, quale l'abilità di "dare senso" alle sequenze musicali attraverso operazioni mentali effettuate'sul suo (sia reali sia immaginari). La locuzione "dare senso" rappresenta una sorta di analogia. Gli idiomi musicali non sono lin­guaggi, nel senso che non si riferiscono alle circostanze del mondo nello stesso modo delle lingue verbali; essi condividono comunque con le lingue verbali strutture linguistiche simili alla sintassi o alla grammatica [Lerdahl e Jackendoff 1983]. L'abilità musicale implica l'abilità di conoscere e di usa­re queste strutture nell'elaborazione mentale della mùsica. Un altro termi-rie talvolta usato per spiegare il processo di comprendere la musica è "ascol­to strutturale" {audition).

Come facciamo a sapere se e quando una persona sta "dando senso" alla musica ? Gli psicologi hanno dato dimensione operativa a tale abilità eviden­ziando diversi criteri, i l primo dei quali implica l'essere in grado di ricordare meglio la musica che si conforma alla "grammatica" di una certa cultura (ad esempio la tonalità) di quella che non vi si conforma. Esistono diverse dimo­strazioni in tal senso, e i bambini in tenera età possono già mostrare di pos­sedere questa abilità [ad esempio Deutsch 1980; Zenatti 1969]. Una situa­zione simile si può ritrovare in altre abilità, ad esempio negli scacchi; gli scac­chisti sono infatti capaci di ricordare disposizioni significative dei pezzi (gioco plausibile) meglio di altre del tutto casuali [Chase e Simon 1973].

I l secondo criterio implica che le persone capaci di "dare senso" alla mu­sica tendono a effettuare sostituzioni grammaticalmente plausibili quando viene chiesto loro di ricordare la musica che hanno appena ascoltato [Slo­boda e Parker 1985; Sloboda, Hermelin e O'Connor 1985; Oura e Hatano 1988]. Un risultato analogo in ambito linguistico è rappresentato dal fatto che le persone di rado ricordano le informazioni verbali parola per parola, ma ricostruiscono con parole loro qualcosa che abbia lo stesso significato di quanto hanno udito. Ciò suggerisce che generalmente le persone conservi­no in memoria elementi più astratti rispetto alle parole o alle note effettive.

Un terzo criterio per "dare senso" alla musica è la capacità di giudicare correttamente se le sequenze date siano accettabili o meno in base alle re­gole riconosciute da una certa cultura. E stato dimostrato che la maggior parte dei bambini è in grado di cogliere le deviazioni più evidenti, come le dissonanze, sin dall'età di sette anni, e quelle più sottili, come le cadenze incomplete, sin dall'età di dieci anni [Sloboda 1985]. Un criterio decisivo è la capacità di identificare correttamente l'umore o l'emozione associati a un passo musicale. Vi sono anche qui le prove che questa abilita è già pre­sente a grandi linee nella maggior parte dei bambini verso i cinque anni [Pinchot-Kastner e Crowder 1990; Terwogt e Van Grinsven 1991].

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Nonostante le persone si diversifichino ampiamente nel livello di raffi­natezza raggiunto nello sviluppo della loro abilità di "dare senso" alla mu­sica, i dati finora disponibili inducono a concludere che la maggioranza del­la popolazione acquisisce sin dall'età di dieci anni una normale abilità di comprendere la'musica: Ciò non considera ovviamente né i successi otte­nuti in particoTàfrsf'éfe musicali, né l'educazione o la formazione musicale ricevuta, come è chiaramente dimostrato dalle ricerche sopra descritte.

Quest'importante conclusione va valutata attentamente, perché la mag­gior parte delle persone pensa che specifiche competenze in esecuzioni mu­sicali, quali i l cantare o i l suonare i l pianoforte, rappresentino i segni prin­cipali dell'abilità. Esse'sono infatti le competenze più spesso indicate, os­servate e verificate nell'educazione formale. Si pensa che tali evidenti competenze di esecuzione musicale si fondino di solito su competenze re­cettive acquisite in precedenza, ma rimaste "latenti". Se si considerano nuo­vamente i due ipotetici bambini del paragrafo precedente, si può notare che entrambi possono essere ugualmente "abili" (stesso livello di abilità nel "da­re senso" alla musica) pur realizzando diverse esecuzioni musicali, poiché il bambino A ha vissuto specifiche esperienze ricollegabili al cantare, men­tre i l bambino B non le ha vissute. In questo caso, un'esperienza di canto appropriata dovrebbe aiutare i l bambino B a ottenere gli stessi risultati del bambino A. D'altra parte, i l bambino B può non essere altrettanto bravo del bambino A perché non ha acquisito T'abilita" (procedimento cogniti­vo) necessaria a comprendere la musica. In quest'altro caso, un'esperien­za di canto specifica può non essere sufficiente ad aiutare i l bambino B a ottenere gli stessi risultati del bambino A, poiché i l deficit è presente a un livello più basilare. Credo che questa seconda situazione sia talvolta de­cisiva nel persuadere insegnanti e genitori che esistono differenze di "ta­lento" fra questi due bambini. L'assunto del presente paragrafo è che tali differenze dovrebbero essere più propriamente considerate come diffe­renze di abilità, che un efficace apprendimento può sensibilmente ridurre o eliminare. È solo che il tipo di apprendimento richiesto nei due casi è diverso.

Tutto quanto espresso finora non significa naturalmente che i fattori ge­netici non siano importanti nello sviluppo dell'abilità musicale e del suc­cesso. I cantanti lirici devono possedere alcuni tratti vocali caratteristici che incidono sulla risonanza e sul timbro; molto del repertorio pianistico ri­chiede un'ampia dimensione della mano e talvolta i bambini che hanno bel­le voci possono essere considerati come "dotati" anche quando la loro abi­lità musicale non è elevata. Ciò può condurre a esperienze di vita partico­lari che determinano alti livelli di abilità musicale; ma il fatto di avere una bella voce non rappresenta di per sé un segno di abilità musicale, più di quanto i l possesso di uno Stradivari non possa trasformare un violinista qua­lunque in un bravo violinista.

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3. L'acquisizione dell'abilità musicale.

Quali sono le caratteristiche della musica e l'apparato mentale dell'es­sere umano che rendono possibile alla maggior parte delle persone acqui­sire un livello basilare di abilità recettiva musicale senza ricevere un ad­destramento formale? Esiste un ampio consenso fra i teorici della musica e gli psicologi [Bregman 1990; Deutsch 1982; Huron 1991; Lerdahl 1988; Meyer 1956; Narmour 1990] circa i l fatto che gli idiomi musicali preva­lenti sono dotati di proprietà strutturali e matematiche, le quali vengono facilmente recepite dai meccanismi percettivi che formano la "struttura basilare" del cervello. Queste proprietà comprendono la ripetizione e i l raggruppamento in base all'altezza o alla durata. Le teorie contemporanee sull'apprendimento applicate alla musica (ad esempio il modello "connes-sionista" di Bharucha [1987] e Gjerdingen [1990]) hanno dimostrato co­me tali processi basilari contribuiscano alla formazione di rappresentazio­ni mentali complesse in seguito alla ripetuta esposizione a numerosi esempi musicali che condividono strutture simili. Tali rappresentazioni include­ranno la conoscenza di quanto viene indicato come scala o tonalità, tanto che le coppie di sequenze do-re-mì-fa-sol e fa-sol-la-si-do saranno ricono­sciute dal sistema come "le stesse" (entrambe sono segmenti di scala nella tonalità di do maggiore) nonostante le loro caratteristiche intervallari e fi­siche siano diverse. La complessità strutturale che i l sistema può in qual­che modo gestire è comunque funzione diretta del numero e della gamma di esempi musicali ai quali è stato esposto. Facendo un parallelismo con l'essere umano, questo si può paragonare ai diversi livelli di esperienze in­fantili discusse nel primo paragrafo di questo studio. Quanto più i l siste­ma è complesso, tanto più si rende possibile la comprensione di un'ampia

"gamma di materiale musicale. Tramite tale apprendimento un sistema ba­silare e universale viene trasformato in un sistema culturalmente determi­nato, che riflette e reagisce in modo ottimale alle stimolazioni musicali pre­senti nell'ambiente attorno all'individuo. Questo permette di spiegare per­ché le persone trovino inizialmente difficile comprendere la musica di altre culture. La maggior parte degli occidentali, ad esempio, trova difficile ri­produrre melodie di origine indiana o araba, che vengono costruite su dif­ferenti sistemi di scale.

Siamo dunque agli albori della comprensione di come la conferma o la smentita delle attese elaborate all'interno di tale sistema possano condurre all'esperienza di emozione e di umore nei confronti della musica. Molte emozioni suscitate dalla musica sembrano rappresentare altrettante reazio­ni ai vari tipi di sorpresa nell'ambito della struttura armonica o ritmica [fackendoff 1991; Meyer 1956; Narmour 1991; Sloboda 1991^].

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4. Abilità esecutiva.

La discussione precedente dovrebbe aver contribuito a chiarire che suo­nare uno strumento musicale richiede l'intervento di diverse abilità e solo alcune di queste sono "musicali" nel senso appena enunciato. Le altre abi­lità possono essere definite come "tecniche". Ad esempio un pianista può essere in grado di suonare un brano difficile in modo molto veloce, unifor­me e accurato; ciò è reso possibile dalla presenza di sistemi di controllo as­sai sviluppati per l'esecuzione dei movimenti della mano e delle dita. Tali sistemi avranno richiesto molta pratica per raggiungere livelli alti e sono in­dicatori di competenza. E comunque possibile che una persona possa im­parare a suonare un brano musicale "tecnicamente" senza averlo affatto "compreso". Un'esecuzione altrettanto "tecnicamente perfetta" potrebbe essere generata con mezzi meccanici.

E ampiamente dimostrato che la "perfetta" esecuzione delle note viene ; avvertita dalla maggior parte degli ascoltatori come monotona, meccanica | e priva di interesse. Ciò che conferisce interesse a qualsiasi esecuzione mu­sicale sono sottili fluttuazioni nella durata, nel volume, nel tono e nel tim­bro che tutt'assieme costituiscono l'esecuzione espressiva. Tali fluttuazioni rappresentano ciò che distingue un'esecuzione da un'altra, ed è un valore che contribuisce a mantenere in carriera i musicisti professionisti. Se non fosse per questo potremmo far generare ai computer esecuzioni musicali perfette una volta per tutte e chiudere la maggior parte delle sale da con­certo e dei conservatori !

La ricerca recente ha reso sempre più chiaro che l'esistenza di esecu­zioni espressive costituisce la prova migliore che uh musicista comprende la musica che sta suonando. Ciò si spiega col fatto che le variazioni espressi-ve non sono mai casuali o idiosincratiche. Una serie di studi [Clarke 1988; Gabrielsson 1988; Shaffer 1981; Sloboda 1983] ha evidenziato che le mi­crovariazioni sono ordinate in un sistema, sia nello stesso musicista siaTra musicisti diversi. Molte di tali variazioni sottolineano le caratteristiche strut­turali importanti del pezzo per renderle meglio rilevabili dall'ascoltatore. La loro sistematicità dipende pertanto dal fatto che il musicista abbia compreso quali siano le strutture davvero importanti. La prova più convincente che questa comprensione è profondamente radicata in un musicista può essere fornita dal musicista stesso quando riesce a suonare la musica a prima vi­sta. Se in tale situazione egli sa esprimersi in modo appropriato, la sua com­prensione dovrebbe essere del tutto interiorizzata, mentre nel caso di un'ese­cuzione provata più volte esiste sempre la remota possibilità che gli strata­gemmi espressivi siano stati appresi "meccanicamente", senza una reale comprensione. Esistono prove dell'esistenza di un'esecuzione musicale a prima vista che è anche espressivamente appropriata [Sloboda 1983]; mol-

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to spesso essa è profondamente interiorizzata e i l musicista non è del tutto consapevole dei dettagli del proprio repertorio espressivo, ormai divenuto in­tuitivo e semiautomatico. Ciò non dovrebbe sorprenderci, poiché si tratta di un'altra ben documentata caratteristica appartenente alla competenza cognitiva. Molte persone presumono a torto che i l comportamento intuiti­vo sia innato, ma ciò si rivela un errore fra i più gravi. Qualunque abitudi­ne correttamente praticata può diventare infatti automatica.

A una valutazione superficiale può sembrare che l'assunto relativo al­la sistematicità dell'espressione sia in contraddizione con i l fatto che fra i musicisti esistono differenze interessanti. La contraddizione è comunque più apparente che reale, poiché i musicisti spesso differiscono l'uno dall'al­tro soprattutto nella distribuzione e nell'intensità degli stratagemmi espres­sivi utilizzati, piuttosto che nella loro natura. Un musicista può ad esempio raggiungere tramite sottili fluttuazioni dinamiche ciò che un altro raggiun­ge con fluttuazioni di tempo. Tali differenze fra i musicisti o nello stesso musicista in tempi diversi possono essere identificate come caratteristiche dello "stile" espressivo personale [Sloboda 1985].

Siccome l'esecuzione musicale di alto livello presenta questo duplice aspet­to tecnico-espressivo, le condizioni per lo sviluppo dei musicisti esperti de­vono permettere l'evoluzione su entrambi i fronti, e ciò è piuttosto difficile da realizzare. Molti professionisti della musica sono tecnicamente competenti, ma manca loro il raggiungimento di un alto livello di abilità espressiva. Mol­ti non professionisti hanno raggiunto invece un alto livello di intuizione espres­siva, ma non riescono a tradurre in musica le loro intuizioni a un certo livel­lo di complessità tecnica. I l musicista-maestro si configura come quel raro in­dividuo che è riuscito a sviluppare a un alto livello contemporaneamente sia le capacità tecniche sia quelle espressive. Com'è possibile questo?

5. La formazione del musicista esperto.

E stato dimostrato da un vasto numero di ricerche basate sui dati bio­grafici [Ericsson, Krampe e Tesch-Ròmer 1993; Sloboda e Howe 1991; Da­vidson, Howe, Moore e Sloboda 1996; Sosniak 1985] che la musica non rappresenta un'eccezione alla regola secondo la quale "l'esercizio fa i l mae­stro". Lo studio di Ericsson, Krampe e Tesch-Romer [1993] mostra che gli studenti di violino considerati eccellenti dai loro professori avevano in me­dia accumulato all'età di ventuno anni circa i l doppio delle ore di studio (diecimila ore) rispetto ai suonatori di medio livello (cinquemila ore). Que­sti dati sono relativi a una ricerca durante la quale ai violinisti veniva ri­chiesto di stimare retrospettivamente la media delle ore di studio settima­nali per ogni anno di vita. Per quanto riguarda l'anno in corso, tali dati era­no confermati dai diari di lavoro tenuti da tutti i partecipanti.

Sloboda Doti musicali e innatismo 5 i 9

Sosniak [1985], in uno studio su ventiquattro pianisti americani di alto livello, ha evidenziato che nessuno di loro presentava segni di abilità ecce­zionale all'inizio della formazione. La maestria si è sviluppata gradualmen­te nel corso dei primi anni di addestramento musicale. La nozione che il successo ottenuto molto precocemente sia i l normale precursore della mae­stria dell'adulto trova poco fondamento nei protocolli di ricerca empirica. La figura del "bambino prodigio" può rappresentare l'eccezione piuttosto che la norma.

Davidson, Howe, Moore e Sloboda [1996] hanno ampliato questi con­cetti, rilevando dati empirici da diverse categorie di giovani musicisti, dai più abili ai meno abili. I loro dati hanno mostrato che il livello di progres­so raggiunto (misurato con punteggi derivati da analisi oggettive) era inte- £ ^ , < ^ t ^ ramente in funzione del numero di ore dedicate all'esercitazione. Una con­vinzione diffusa tra gli insegnanti riguarda i l fatto che i bambini "dotati" possano raggiungere un certo livello esecutivo esercitandosi meno rispetto ai bambini "non dotati". I dati ottenuti da questi studi confutano radical­mente quest'idea. I musicisti abili raggiungono livelli esecutivi maggiori per­ché si esercitano di più ! Ad esempio, all'età di dodici anni gli allievi più abi­li "sTeiercTfivano Ih media centoventi minuti al giorno, mentre quelli meno abili si esercitavano in media solo quindici minuti al giorno. Questo indica che in termini di studio esiste una differenza dell'ottocento per cento fra i musicisti migliori e quelli peggiori. Non c'è da meravigliarsi se gli studenti definiti "abili" erano cosi bravi!

Non è molto facile per una persona giovane accumulare diecimila ore di esercizio da quando comincia a studiare uno strumento (di solito all'età di sei­sette anni) ai ventun anni. Per evidenziare la mole di lavoro che questo im­plica, si può affermare che al fine di accumulare diecimila ore di pratica è necessario impegnarsi due ore al giorno per quattordici anni. In realtà, la curva di studio del "musicista esperto" prevede inizialmente quindici-tren­ta minuti al giorno fino ad arrivare a quattro-sei ore all'età di ventun anni. Per i giovani studenti le attività di esercitazione non sono sempre gratifi­canti di per sé, e perfino nel caso dei musicisti giovani più abili è spesso ne­cessario un supporto da parte dei genitori o anche una supervisione diretta affinché essi svolgano regolarmente gli esercizi [Davidson, Howe, Moore e Sloboda 1996; Sloboda e Howe 1991].

La qualità della relazione del bambino con le figure adulte più impor­tanti, i genitori e gli insegnanti, sembra invece un fattore decisivo dell'im­pegno a lungo termine nello studio della musica. I genitori di coloro che han­no successo nella carriera musicale sono caratterizzati da un alto livello di coinvolgimento nella vita musicale dei loro figli. Inoltre gli allievi ricordano i primi insegnanti soprattutto per la loro abilità di rendere piacevoli le le­zioni, piuttosto che per le loro competenze tecniche. Essi comunicavano in­sieme il loro amore per la musica e la loro simpatia per l'allievo. I l calore per­

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520 I l musicista

sonale sembra infatti rappresentare una caratteristica importante di questi insegnanti. Gli approcci critici, quejli tendenti al confronto o quelli orien­tati al successo sembrano non rivelarsi efficaci, almeno nei primi stadi dell'ap­prendimento [Davidson, Sloboda, Moore e Howe 1998].

Naturalmente i l semplice ammontare delle ore di esercitazione costitui­sce una misura piuttosto grossolana da un punto di vista psicologico, poiché la qualità dell'apprendimento dipenderà sia da cosa viene fatto sia da quan­to viene fatto durante l'esercitazione. Esiste purtroppo una scarsa quantità di risultati empirici attendibili circa i l modo di apprendere dei musicisti [i dati disponibili sono stati raccolti da Hallam 1997]. Un risultato evidente è rappresentato dal fatto che, quando si esercitano, i musicisti esperti presta­no maggiore attenzione agli elementi strutturali. L'esecuzione espressiva si ricollega infatti puntualmente ai dettagli strutturali di una composizione, e un esercizio che evidenzi la consapevolezza dei fattori strutturali è più in­cline a promuovere lo sviluppo di un repertorio espressivo appropriato.

6. Emozione e motivazione.

È stato ampiamente dimostrato che per l'impegno musicale esistono due tipi di motivazione. Una di queste può essere definita "intrinseca" e si svi­luppa in seguito a esperienze intensamente piacevoli in ambito musicale (di tipo sensuale, estetico o emozionale) che conducono a un profondo impe­gno personale in questo settore. L'altra motivazione può essere definita "estrinseca" ed è relativa al successo. In questo caso si tende soprattutto al 7à^gluhglméhfò"di ceFfi obiettivT(ad esempio: approvazione da parte dei genitori, identificazione con modelli emergenti in quel ruolo, successo nel­la competizione) piuttosto che a concentrare la propria attenzione sulla mu­sica in quanto tale. In ogni individuo è presente l'unione di entrambe le motivazioni, ma è stato dimostrato che sottolineare troppo precocemente i l raggiungimento del successo può inibire la motivazione intrinseca. In al­tri termini, i bambini possono divenire molto ansiosi rispetto al giudizio de­gli altri a proposito della loro esecuzione, e di conseguenza non riuscire a prestare la giusta attenzione alle stimolazioni musicali che permettono lo­ro di attivare profondamente la sensibilità estetica ed emozionale. Tutta la musica diventa quindi fonte di ansietà.

Questa conclusione viene confermata da uno studio sulle memorie au­tobiografiche [Sloboda 1990], nel quale a persone adulte, musicisti e non, è stato chiesto di ricordare eventi collegati alla musica relativi ai primi die­ci anni di vita. Per stimolare i l ricordo sono state poste loro diverse do­mande, come: in che luogo si è verificato l'evento, di quale tipo di evento la musica faceva parte, con che persone essi si trovavano, quale significato attribuivano all'esperienza. Le centotredici "storie" ottenute in questo mo-

Sloboda Doti musicali e innatismo 521

do sono state classificate lungo due assi; uno si ricollegava al significato "in­terno" dell'evento, attribuito alla musica in sé, l'altro al significato "ester­no", attribuibile al contesto. I l valore di ciascuna dimensione poteva esse­re positivo, neutro o negativo.

Molti dei musicisti riferivano esperienze precoci profonde e intensa­mente positive al fattore "interno" degli eventi musicali, i l quale sembra­va avere i l potere di elevarli oltre il normale stato di coscienza. Una giova­ne donna, ad esempio, ha riportato quanto segue:

Avevo sette anni e stavo partecipando a una cerimonia mattutina a scuola. La musica faceva parte della cerimonia. Ero con i miei amici Karen, Amelia, Jenny, Al-lan. La musica era un duetto per clarinetto, classica, probabilmente di Mozart. Ero stupita dalla bellezza del suono. Era liquido, risonante, vibrante. Era come se mi riempisse tutta di brividi. Mi sentivo come se quello fosse un momento importan­te. L'ascolto della musica mi ha indotto dapprima a imparare il flauto dolce, e in se­guito a soddisfare la mia ambizione di suonare il clarinetto. Suonare il clarinetto ha cambiato la mia vita; continuare a raccogliere carta straccia e risparmiare per com­prare il mio clarinetto; incontrare amici nella banda della contea... Tutte le volte che sento suonare il clarinetto mi ricordo la carica di questa prima esperienza...

Altri , più spesso i non musicisti, rievocavano avvenimenti dove la mu­sica non tornava alla mente per la sua importanza in sé, ma per i l contesto a essa collegato, che spesso era connotato da ansietà, umiliazione oimba-razzo. Siccome viene richiesto di suonare davanti agli altri, l'essere critica­to e deriso rappresentano vissuti comuni. Quasi ovunque, nel pubblico a cui espongo questi risultati, una gran parte di non musicisti riconosce solo le esperienze che ritiene abbiano contribuito ad allontanarli dalla musica persuadendoli che essi non erano "musicali". In quasi nessuno di questi ca­si le persone sono state in grado di sperimentare la musica come fonte di si­gnificato positivo.

L'analisi delle frequenze relative alle sottocomponenti delle storie ha evidenziato l'esistenza di tre fattori statisticamente correlati alle esperien­ze interne positive:

1) l'evento si è verificato a casa, in chiesa o in una sala di concerto, piut­tosto che a scuola;

2) l'evento si è verificato mentre i l bambino stava ascoltando piuttosto che suonando;

3) i l bambino era solo, con la famiglia o con gli amici piuttosto che con l'insegnante.

In ogni caso, queste condizioni sembrano essere collegate all'assenza eli 1^, aspettative nei confronti del bambino o di valutazione delle sue prestazio- <» t

ni, alla presenza di un ambiente rilassante e non esigente dove al bambino non si avanzano particolari richieste. Tale ambiente è probabilmente neces­sario affinché la musica manifesti i suoi effetti più potenti sugli individui.

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522 Il musicista

Queste esperienze infantili "centrali" profondamente positive sembra­no essere fondamentali nello sviluppo dell'abilità musicale per due ragioni. Primo: esse sono tanto piacevoli che spesso i bambini si dedicano ad attività musicali nella speranza di riviverle; secondo: esse sembrano strettamente connesse alla comprensione personale delle strutture musicali che rappre­sentano elementi cruciali per l'espressività dell'esecuzione. Sloboda [19910] ha mostrato che gli ascoltatori di musica adulti identificano molti dei loro

r momenti di massima intensità nella risposta emozionale con strutture musi­cali piuttosto specifiche, quali appoggiature o mutamenti basati sull'enar­monia. Queste strutture influiscono sulle aspettative dell'ascoltatore. Se du­rante l'ascolto non si è sperimentata la "deliziosa" sorpresa di una modula­zione enarmonica, è difficile comprendere come aggiungervi efficacemente l'espressività esecutiva appropriata per esaltarne l'effetto sugli ascoltatori (tale espressività può esprimersi validamente con un leggero rallentamento che ritarda e sottolinea l'attacco di un accordo inatteso). L'esperienza deve precedere l'esecuzione; i bambini che si concentrano emotivamente sull'ese­cuzione e su altri fattori estrinseci piuttosto che sulla musica in se stessa pos­sono non essere in grado di costruire i legami fra struttura ed emozione che rappresentano le basi di uno spontaneo suonare espressivo.

Sembra che la nostra società, e in particolare il nostro sistema scolasti­co, siano strutturati in modo da favorire ansia e incertezza piuttosto che amore per la musica. Per ovviare a tale stato di cose è forse necessario riva­lutare il principio che, nella sfera musicale più che altrove, le esperienze emo­zionali profonde e il divertimento sono non meno importanti e validi del du­ro lavoro e del buon risultato tecnico. Una delle ragioni per cui molti bam­bini sembrano considerare la musica come un'attività essenzialmente femminile può risiedere nel forte condizionamento maschile contro l'espres­sione emozionale, già pienamente strutturato sin dall'età di sei-sette anni nella maggior parte delle culture a sfondo maschilista. Uno dei risultati inat­tesi dello studio di Sloboda e Howe riguarda i l grande senso di sollievo e di sicurezza provato in particolare da alcuni ragazzi quando hanno potuto fre­quentare una scuola di musica specializzata, dove la musica era vista final­mente come un'attività normale per i giovani maschi, e dove potevano evi­tare lo scherno e l'incomprensione dei loro pari [Howe e Sloboda zyyib].

Se le esperienze scolastiche rappresentano per molti bambini forti ini­bitori della musicalità, si può forse comprendere i l motivo per cui pochi di loro raggiungono alti livelli di abilità nell'esecuzione. I bambini che hanno successo possono avere vissuto precoci esperienze fortunate, relazioni mu­sicali gratificanti piuttosto che negative, ed essere stati incoraggiati all'au­tonomia e alla sensibilità musicale. E utile ricordare che molti eccellenti musicisti hanno ricevuto una scarsa formazione o non l'hanno ricevuta af­fatto (si veda ad esempio la dettagliata descrizione di Collier [1983! circa l'acquisizione delle competenze jazzistiche da parte di Louis Armstrong,

Sloboda Doti musicali e innatismo 523

riassunta e commentata da Sloboda [1991/p]) e che molti giovani sviluppa­no una considerevole competenza nella musica leggera e pop, pur avendo ricevuto poco o nessun aiuto da parte dei loro insegnanti di formazione clas­sica. In molte culture, specialmente nelle tradizioni non occidentali, la di­stribuzione del successo musicale nella popolazione è molto più uniforme di quanto non lo sia nelle culture industrializzate moderne. In quelle cul­ture la partecipazione ad attività musicali è spesso più radicata nella vita quotidiana e nel lavoro della comunità piuttosto che essere considerata come qualcosa di separato o di speciale [Blacking 1976].

É stato dimostrato infine che i bambini sono molto consapevoli delle as­sociazioni fra i diversi tipi di musica e l'identità sociale di gruppo. Le scuo­le insegnano spesso agli allievi che la musica classica è superiore agli idiomi popolari e folkloristici con i quali essi si identificano più naturalmente e dei quali hanno maggiore esperienza. Gli allievi possono quindi rifiutare la mu­sica classica come troppo "intellettuale", oppure lasciarsi intimidire dalla ri­chiesta di abbandonare ciò che sembra loro comodo e familiare prima di po­tere produrre musica "accettabile". La maggior parte degli insegnanti è con­sapevole del fatto che un allievo possa presentarsi come incompetente nell'ora di canto, e nello stesso giorno unirsi ad altri con competenza ed entusiasmo in un'informale attività di "canto libero" nell'autobus della scuola.

Esistono forti pressioni sociali provenienti dal gruppo dei pari, che in­ducono a conformarsi alla norma e a nascondere un potenziale interesse per la musica vissuto come "diverso" [Finnas 1987]. Gli insegnanti dovrebbe­ro quindi far conoscere la musica attraverso i l repertorio riconosciuto co­me proprio dagli allievi, piuttosto che porsi in opposizione ad esso.

7. Dal bambino abile all'adulto abile.

La maggior parte di quanto è stato discusso finora riguarda lo sviluppo dell'abilità musicale dall'infanzia all'adolescenza, ma molti adolescenti pro­mettenti non raggiungono mai livelli superiori di eccellenza musicale. Al­cuni di questi sono emarginati "contenti", individui che hanno molti altri interessi e competenze e non sono disposti a raggiungere i l livello di impe­gno richiesto per una carriera musicale da professionista; sono contenti di rimanere al livello di abili dilettanti. Per altri i l processo di emarginazione è parte del processo di sviluppo di autoconsapevolezza e d'autonomia; essi comprendono che l'investimento dei genitori per farli sviluppare ih ambi­to musicale è sempre stato considerevolmente superiore al loro e che essi non hanno mai realmente raggiunto un impegno autonomo nella musica. Un terzo gruppo [descritto in dettaglio da Bamberger 1986] è composto da coloro che sperimentano una difficile transizione dai modelli non riflessivi e intuitivi tipici del pensiero musicale infantile ai modelli più analitici e au-

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5^4 Il musicista

tocritici che caratterizzano il pensiero adulto, dove ciò che prima sembra­va facile sembra ora "cadere a pezzi" e diventare problematico.

Fra coloro che proseguono la formazione ad alti livelli, i musicisti piti eccellenti sembrano aver raggiunto i livelli più alti di impegno e di autodi­sciplina. Nello studio di Ericsson, Krampe e Tesch-Ròmer [1993] i violi­nisti migliori erano coloro che si esercitavano regolarmente ogni mattina al­la stessa ora, che trascorrevano più tempo durante i l giorno a dormire o a "fare pisolini", particolarmente nel pomeriggio (il riposo era indubbiamen­te necessario in seguito alla faticosa attività d'esercitazione) e trascorreva­no meno tempo in attività di svago.

Uno studio di Manturszewska [1990] suggerisce che un ulteriore requi­sito della transizione verso la maturità musicale è rappresentato dall'esistenza di una relazione "maestro-allievo" profonda e significativa, instaurata con un professionista più anziano e rispettato, che coincide molto spesso con l'in­segnante di strumento. Anche a questo livello relativamente progredito la relazione non implica solamente lo sviluppo della tecnica e dell'abilità ese­cutiva; si tratta invece di un rapporto che richiede un coinvolgimento per­sonale e spesso conduce a un'amicizia duratura. L'esistenza di un "mento­re" più anziano e molto più introdotto nel settore è stata osservata anche in molti altri ambiti dell'attività creativa e professionale e rappresenta un ele­mento spesso presente ai livelli più alti di successo. Lo sviluppo di tali rela­zioni sembra dipendere in parte dalla stabilità della relazione fra lo studen­te e i suoi genitori [Butler 1993]; dove i genitori sono stati ipercritici e po­co incoraggianti, gli studenti tendono a essere timorosi dei loro insegnanti e proiettano su di loro i l ruolo di "genitori punitivi", secondo una modalità che inibisce la possibilità di sviluppo di relazioni salutari con un "mentore".

8. Conclusioni.

Si confida nel fatto che questo testo abbia fornito le basi di possibili ri­sposte alle domande che si rivolgono frequentemente agli psicologi. Le dif­ferenze individuali, persino all'interno delle famiglie, sono facilmente spie­gabili come differenze d'esperienza, che possono condurre sia a diverse mo­tivazioni sia a diversi risultati nell'apprendimento. Nessuna famiglia può fornire lo "stesso" ambiente a due figli, mentre i l semplice fatto che un fi­glio si dedichi alla musica può condurre l'altro a non farlo.

E impossibile predire con sicurezza i l successo musicale di un dato bam­bino in base al suo comportamento all'età di cinque anni. Molto dipende dal­le circostanze nelle quali la musica viene presentata e da come i genitori e gli insegnanti gestiscono la sua relazione con la musica. Nonostante possa esi­stere una correlazione statistica fra i l successo precoce e quello più avanza­to, non si dovrebbe ricondurla a una relazione causale deterministica.

Sloboda Doti musicali e innatismo 525

Si può affermare con certezza che esiste un insieme di circostanze ca­paci di favorire i l raggiungimento di alti livelli d'eccellenza. Tali circostan­ze sono rappresentate dalle precoci e spesso casuali esperienze musicali all'in­terno della propria cultura; dalle opportunità di impegnarsi in attività mu­sicali nell'ambito di un ambiente divertente e rilassante, che non presenti particolari aspettative di prestazione; dal precoce incoraggiamento da par­te dei genitori e degli insegnanti verso l'impegno in attività musicali, pur rispettando l'autonomia e le curiosità del bambino; dal raggiungimento di un equilibrio fra le attività tecniche e quelle espressive; da un impegno sem­pre maggiore in termini di tempo investito nelle esercitazioni, e infine dal­l'aspirazione al successo, nel contesto di una relazione "maestro-allievo" in­coraggiante e duratura.

I l quadro qui presentato contraddice tre miti culturali profondamente radicati. I l primo è rappresentato dalla convinzione che il successo musica­le dipenda dalla preesistenza di un raro "talento" ereditario. Abbiamo in­vece cercato di dimostrare che esso si forma sulla base di un'attitudine con­divisa da quasi tutti gli esseri umani. I l secondo mito si riferisce al concet­to che l'eccellenza musicale si sviluppi internamente all'individuo, tramite uno sforzo solitario. Gli studi qui riportati evidenziano la natura sociale dello sviluppo musicale, nel quale i l successo di uno rappresenta i l risulta­to dello sforzo di molti. I l terzo mito è relativo al pregiudizio che il lavoro e il piacere siano separati. Gli elementi di prova qui riassunti suggeriscono che se durante gli anni di apprendimento non si raggiunge e non si conser­va un profondo piacere nei confronti della musica, non verranno mai rag­giunti i vertici dell'esecuzione espressiva.

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