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Sociologia delle comunicazioni di massa 2011-12 Introduzione alla comunicazione Prof.ssa Prof.ssa Giovannella Greco Giovannella Greco [email protected] [email protected] Università della Università della Calabria Calabria

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Sociologia delle comunicazioni di massa2011-12

Introduzione alla comunicazione

Prof.ssa Giovannella GrecoProf.ssa Giovannella [email protected]@unical.it

Università della CalabriaUniversità della Calabria

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… tutte le mille relazioni che si riflettono da persona a persona, momentanee o durevoli, coscienti o inconscie, superficiali o ricche di effetti… ci legano in modo indissolubile. In ogni attimo questi fili vengono filati, vengono lasciati cadere, ripresi di nuovo, sostituiti da altri, intessuti con altri. Qui risiedono le azioni reciproche… tra gli atomi della società, che sorreggono tutta la tenacia ed elasticità, tutta la varietà e unitarietà di questa vita così chiara e così enigmatica della società. […] Soltanto ciò che accade nel dominio dei contatti fisici e spirituali, della causazione reciproca di piacere e di sofferenza, dei discorsi e dei silenzi, degli interessi comuni e antagonistici – soltanto questo costituisce la meravigliosa indissolubilità della società, il fluttuare della sua vita con cui i suoi elementi acquistano, perdono, spostano incessantemente il loro equilibrio. […] Questi processi primari, che creano la società dall’immediato materiale individuale, sono quindi da sottoporre a una considerazione formale accanto ai processi e alle formazioni superiori e più complicate; e le particolari azioni reciproche che si offrono in queste misure non del tutto consuete all’analisi teorica devono essere esaminate come forme costitutive della società... Anzi, a questi tipi di relazione apparentemente privi di importanza sarà opportuno dedicare una considerazione tanto più approfondita quanto più la sociologia è solita trascurarli.

Georg Simmel

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PremessaDescrivendo la società come una cerchia di individui, legati l’un l’altro da varie forme di reciprocità, come dimanima dell’agire e patire (con cui questi individui si trasformano a vicenda), Simmel affida alla sociologia il compito di studiare le varie forme di relazione d’influenza reciproca tra le persone (Wechselwirkung), alcune delle quali si consolidano e mantengono nel tempo per via di quel processo di sociazione (Vergesellschaftung) che fissa in forme di comportamento durevoli le interazioni fortuite, fugaci, effimere.

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Precursore della svolta comunicativa che da qualche decennio anima il dibattito in corso nelle scienze umane e sociali, Simmel anticipa di almeno un secolo il paradigma in cui sembrano trovare oggi convergenza approcci teorici differenti che, pur nella loro eterogeneità, condividono la tesi secondo la quale la società è comunicazione.

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La società in cui viviamo oggi non è più quella descritta dai padri fondatori della sociologia.

Nel tentativo di offrirne una definizione attendibile, il pensiero sociologico contemporaneo prova a qualificarla, utilizzando:•aggettivi (globale, complessa, liquida…) •sostantivi (dell’informazione, della conoscenza, dell’immagine, dello spettacolo…) •o, più semplicemente, il prefisso “post” (post industriale, post moderna).

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Questa incertezza definitoria mostra la difficoltà di individuare quale sia il centro attorno al quale essa prende forma (ammesso che sia possibile attribuirgliene uno…).

La società contemporanea sfugge, infatti, a qualsiasi tentativo di analisi unificatrice, tanto che le interpretazioni fornite da Autori di diverso orientamento risultano molteplici e differenti, a seconda degli aspetti che vengono posti in risalto.

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Certo è che la società attuale si configura come radicalmente diversa rispetto ai modelli precedenti:•sia per ciò che riguarda i legami sociali, la natura e la qualità delle relazioni intersoggettive •sia per ciò che riguarda i confini entro cui tali relazioni prendono forma.

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ProspettivaNel tentativo di mettere a fuoco la comunicazione in uno scenario, come quello attuale, profondamente mutato rispetto al passato (anche recente) e fortemente caratterizzato da una crescente pervasività della tecnologia in ogni ambito della vita umana, si può fare ricorso al concetto di società mediale per evidenziare come i media siano oggi diventati “ambiente di vita” che dà forma a gran parte delle nostre esperienze cognitivo-emotive e socio-relazionali, nonché la principale agenzia di socializzazione delle giovani generazioni, anche a causa dell’implosione delle agenzie tradizionali (famiglia e scuola, innanzi tutto) che, oggi, mostrano una crisi di valori e una incapacità comunicativa quanto mai palesi.

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Le ricerche scientifiche più recenti, condotte nel nostro Paese, evidenziano come la cornice che fa da sfondo al rapporto che i giovani intrattengono con media sia caratterizzata da un insieme di elementi che, messi insieme, configurano uno scenario aperto a potenzialità e rischi del tutto inediti, tanto sul piano della comunicazione quanto su quello dell’educazione.

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• Le tradizionali agenzie di socializzazione hanno conosciuto una crisi di proporzioni mai viste prima.

• Nell’intera società si è verificato un progressivo dissolvimento di qualunque idea forte di identità e si sono affermati nuovi valori (flessibilità, adattabilità…) che evidenziano la crescente difficoltà dei giovani a inserirsi in un contesto (culturale, affettivo, lavorativo) stabile.

• L’affermazione di modelli adolescenziali (connotati, per lo più, in chiave estetica)a ogni livello e a ogni età ha contribuito a rendere ancora più confusa nei giovani la percezione del sé.

• L’instabilità tipica del mondo contemporaneo, e il senso di disorientamento e incertezza che ne deriva, hanno finito con l’accrescere l’importanza dei media (intesi come ambiente culturale) i quali, a loro volta, hanno contribuito a modificare in profondità l’esperienza del mondo delle giovani generazioni, le loro modalità d’interagire con le sue diverse realtà e con gli altri, dando vita a nuove forme di comunicazione.

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Il bisogno di comunicare, reso oggi più agevole dai media digitali che, grazie alla loro capacità di rendere vicino il lontano e lontano il vicino, consentono di comunicare senza incontrare le difficoltà e i rischi dell’esposizione in prima persona, si declina in forme diverse dal passato e con valenze anche contraddittorie che evidenziano l’emergenza di nodi esperienziali, relativi tanto alla natura e al significato della relazione sociale quanto alle pratiche di costruzione dell’identità.

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Il cambiamento di prospettiva, indotto dalla frequentazione di luoghi (territori mediali) e dall’utilizzo di strumenti (media digitali) diversi da quelli tradizionali (territori locali – gesto e parola), pone inediti interrogativi sul senso dell’azione comunicativa, e più in generale sul nostro essere nel mondo, che richiedono analisi e comprensione da parte della ricerca sociale.

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La svolta comunicativa

La comunicazione è profondamente radicata nel nostro essere nel mondo.

Qualunque siano gli strumenti (il gesto e la parola o internet) e le forme che utilizziamo per comunicare (diretta o mediata), la comunicazione non è un evento che avviene fuori di noi, ma un processo nel quale siamo profondamente implicati, in quanto esseri sociali che, attraverso una molteplicità di linguaggi, viviamo in connessione gli uni con gli altri e con l’ambiente che ci circonda.

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Oggi, le nostre possibilità d’interagire con gli altri si sono enormemente dilatate, grazie all’avvento di nuove tecnologie che stanno rapidamente trasformando il nostro ambiente e noi con esso.

Ma, nonostante le trasformazioni che la comunicazione umana ha conosciuto nel corso del tempo (e, presumibilmente, conoscerà ancora), ciò che persiste è il senso delle motivazioni profonde che hanno dato vita alle prime forme che il genere umano ha costruito per rapportarsi ai propri simili e al mondo: il dialogo e la narrazione.

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… si dialoga per organizzare insieme agli altri il proprio habitat; si racconta per conferire senso a eventi, situazioni, persone che altrimenti si disperderebbero in un universo dagli spazi e dai tempi indefiniti. La narrazione e il dialogo hanno ritmato da sempre l’esistenza umana e continuano a farlo attraverso i media vecchi e nuovi.

Agata Piromallo Gambardella

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Il dialogo

Il dialogo è la prima forma di comunicazione messa in atto dal genere umano per rispondere all’esigenza fondamentale di cooperare per sopravvivere.

Ne è testimonianza la contemporanea comparsa nella storia della civilizzazione umana di due tipi di artefatti, materiali e linguistici, che sono all’origine della nostra separazione dal mondo animale.

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La comunicazione sottende sempre un dialogo, dunque la presenza di un altro e la possibilità di una risposta (Bachtin 1979). È questa la funzione caratterizzante del linguaggio:

Parlare è sempre…

rivolgersi a qualcuno e

andare incontro ad una risposta

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La nostra esperienza di parlanti è pervasa dalla dialogicità, ovvero dal nostro essere implicati in una trama comunicativa, da sempre iniziata e mai interrotta, nella quale nessuno è mai il primo a parlare: «il nostro discorso, cioè tutte le nostre enunciazioni (comprese le opere creative), è pieno di parole altrui» (Bachtin 1988, 278).

La nostra esperienza di parlanti trova la sua ragion d’essere nel legame con gli altri, nel nostro essere immersi in una infinita «catena dialogica», dove ogni anello è legato all’altro, sia a livello sincronico (nella contemporaneità) sia a livello diacronico (nella doppia proiezione verso il passato e verso il futuro).

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In altre parole…

Nessuno di noi è un «centro autosufficiente», ma esiste e si definisce attraverso il dialogo, che è anche dialogo con se stessi e con i testi che il linguaggio ha creato e sedimentato nel corso dei secoli.

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L’esistenza dell’uomo (sia quella esteriore che quella interiore) è una profondissima comunicazione. Essere significa comunicare. […] essere significa essere per l’altro e, attraverso l’altro, per sé. L’uomo non ha un territorio interiore sovrano, ma è tutto e sempre al confine, e, guardando dentro di sé, egli guarda negli occhi dell’altro e con gli occhi dell’altro.

Michael Bachtin

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… tutti i rapporti tra gli uomini, il loro comprendersi e il loro respingersi, la loro intimità e la loro freddezza sarebbero mutati in maniera incalcolabile se non esistesse il guardarsi negli occhi…

La prossimità di questa relazione è sorretta dal fatto singolare che lo sguardo rivolto all’altro e che lo percepisce è esso stesso espressivo... Nello sguardo che assume in sé l’altro si manifesta se stesso; con il medesimo atto con cui il soggetto cerca di conoscere il suo oggetto, egli si offre qui all’oggetto. Non si può prendere con l’occhio senza dare contemporaneamente: l’occhio svela all’altro l’anima che cerca di svelarlo.

Georg Simmel

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• È attraverso il dialogo che costruiamo il comune orizzonte di senso in cui siamo immersi e nel quale acquistano significato le nostre azioni.

• È sul dialogo che si fonda anche la conoscenza, intesa nella duplice accezione del «comprendere» e del «comprenderci».

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Al pari della comunicazione, la conoscenza può edificarsi solo in una dimensione relazionale, che preesiste a noi e «si perpetua in quelli che vengono dopo di noi – come è stato per noi rispetto al passato – in quanto, anche dopo l’estinzione della vita di ciascuno, di un gruppo, di una cultura, tutto ciò che è stato continua a circolare come tacita comunicazione che in genere chiamiamo ricordo, eredità spirituale, tradizione e che continua ad alimentare l’infinito albero della vita e del sapere» (Piromallo Gambardella 2001, 52-53).

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La narrazione

Se la dimensione dialogica ci consente di sopravvivere, quella narrativa ci permette di vivere, perché è attraverso la narrazione che si compie la ricerca di senso del nostro essere nel mondo, ovvero l’esperienza fondamentale della conoscenza.

La narrazione è la prima forma mediante la quale l’essere umano ha cercato di trovare risposte alle sue inquietanti domande di senso sulla propria esistenza nel mondo.

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L’origine del narrare e del narrarsi è connessa all’irruzione dell’immaginario nella storia della civilizzazione umana. Come ci ricorda Edgar Morin (1974), la nascita dell’homo sapiens è contemporanea al rito della sepoltura e alla comparsa dei primi segni pittorici nelle caverne, che proiettano l’essere umano in un’altra dimensione (immaginaria) nella quale, per la prima volta, egli può sfuggire all’angoscia della morte e dare vita alla rappresentazione simbolica della realtà.

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La narrazione, intesa come intreccio dei discorsi che svelano le persone l’una all’altra, può configurarsi come messa in scena di più voci (Bachtin 1988).

La dimensione dialogica, dunque, è presente anche nella narrazione.

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Comunicare è la grande sfida nella quale siamo tutti implicati anche se spesso in maniera inconsapevole: è l’esplorazione dei cammini del senso, è il ‘gioco’ inevitabile e rischioso di entrare in contatto con l’altro, di comprenderlo e di essere da lui compreso, è il comportamento di quell’«avventura di essere», di cui parla Lévinas, che bisogna continuamente oltrepassare nella «gratuità del fuori-di-sé-per-l’altro». Comunicare è uscire dal proprio magico cerchio e stabilire con gli uomini rapporti brevi o lunghi, intensi o effimeri ma il cui esito non è mai pre-definito; perciò la comunicazione è la grande avventura dell’essere: rischiosa, infinita, dal ritorno incerto.

Oggi comunicare costituisce un’avventura ancora più complessa e affascinante perché le nostre possibilità di interagire con gli altri si sono enormemente dilatate nello spazio e nel tempo, grazie soprattutto all’esplosione tecnologica che sta trasformando rapidamente il nostro habitat e noi con esso.

Agata Piromallo Gambardella

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La comunicazione in una prospettiva sociologica

Studiare la comunicazione in una prospettiva sociologica implica riflettere su uno degli ambiti fondamentali della vita sociale che, più di altri, è andato soggetto a modificazioni nell’epoca moderna e contemporanea.

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Nell’opera dei sociologi classici si possono rintracciare le categorie fondamentali (azione, relazione, interazione…) e il quadro teorico in cui è possibile comprendere la modernità e i suoi sviluppi, ovvero: l’ambiente in cui si sono prodotte le più recenti e vistose trasformazioni della comunicazione.

Tuttavia, è solo a partire dagli anni Trenta del secolo scorso che lo studio della comunicazione entra sistematicamente nella riflessione sociologica, in concomitanza all’avvento e allo sviluppo dei mass media e della cultura di massa.

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I primi tentativi di una definizione scientifica della comunicazione, prima ancora che in ambito sociologico, si possono rintracciare in altri ambiti quali, ad esempio, la psicologia, la semiotica e la linguistica, la filosofia e la critica letteraria, l’ingegneria, l’informatica e la teoria dei sistemi.

Tra le molteplici definizioni proposte, due in particolare si rivelano di maggiore utilità per l’analisi sociologica.

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1. La comunicazione consiste in un passaggio o trasferimento di informazioni da un soggetto (emittente) ad un altro (ricevente) mediante veicoli di varia natura.

2. La comunicazione consiste in una relazione sociale nel corso della quale due o più soggetti arrivano a condividere determinati significati.

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In una prospettiva sociologica, la comunicazione si configura, al tempo stesso, come:

un processo di trasferimento di informazioni codificate da un soggetto a un altro, mediante processi

bilaterali di emissione, trasmissione, ricezione, interpretazione, e una relazione sociale nel corso della

quale i soggetti implicati arrivano a condividere determinati significati

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In questa prospettiva, è importante sottolineare due aspetti:

il nesso tra il carattere di “processo” e quello di “relazione”, cioè il fatto che la comunicazione è un processo fondamentale e vitale per gli esseri umani che, attraverso azioni di relazione reciproca, costruiscono un comune orizzonte di senso;

la distinzione tra il concetto di “comunicazione” e quello di “informazione”, laddove il primo si richiama al significato originario del termine la cui radice etimologica, derivando dal verbo latino communicare (mettere in comune), allude all’idea di costruzione di una comunità, mentre il secondo, derivando dal verbo latino informare (dare forma), si riferisce al contenuto della trasmissione.

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Nell’uso attuale della parola comunicazione emerge, tuttavia, una idea alquanto diversa dal suo significato originario: prevale, infatti, il senso del trasmettere che segnala uno slittamento semantico verso il polo esterno del significato della parola, tanto che oggi è pressoché difficile parlare di comunicazione senza fare riferimento ai mezzi che ne veicolano il contenuto.

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Perché si è verificato tale cambiamento di senso?

Le ragioni possono essere rintracciate nella prospettiva, più ampia, del rapporto che lega comportamenti sociali a comportamenti linguistici, facendo di questi ultimi lo specchio del mutamento dei primi.

In questa prospettiva, possiamo osservare che le pratiche sociali del comunicare hanno assunto, nella postmodernità, una importanza sconosciuta alle età precedenti, e ciò vale ancora di più se prendiamo in considerazione la componente tecnologica dei problemi posti da tali pratiche; anzi, è proprio il legame sempre più stretto con la tecnologia che può spiegare il fenomeno dello spostamento verso il polo esterno del significato del termine (nel cui tratto originario prevaleva, invece, quello interno).

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Viviamo nell’epoca del simultaneo, nell’epoca della giustapposizione, nell’epoca del vicino e del lontano, del fianco a fianco, del disperso. Viviamo in un momento in cui il mondo si sperimenta, credo, più che come un grande percorso che si sviluppa nel tempo, come un reticolo che incrocia dei punti e che intreccia la sua matassa.

Michel FoucaultMichel Foucault

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Il processo di interazione interpersonale di massa (Boccia Artieri 2009) che si sta strutturando attorno ai media digitali rende possibile uno stato di connessione continua tra persone, cose e fatti, sintetizzabile nell’espressione always on.

Da questa capacità di “tenersi assieme”, nella duplice accezione di tenere in relazione le molteplici parti di sé (Jedlowski 1994) e di tenersi in potenziale e costante connessione con altri e con altro (Greco 2008), emergono una idea di relazione sociale e una corrispondente idea di persona che possono essere intese, entrambe, come una rete di nessi che prende forma all’interno di questo contesto conversazionale connesso.

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La condizione di mediazione comunicativa si presenta oggi come una condizione stabile nelle nostre vite, ma in modo molto diverso rispetto al passato. I media sono percepiti e vissuti non solo come tecnologie ma come ambienti, veri e propri luoghi nei quali fare esperienza quotidiana, in grado di dare forma all’habitus cognitivo dell’individuo e strutturare relazioni sociali, con la capacità di trattare le variabili dello spazio e del tempo che ci consente di produrre forme comunicative istantanee e differite, permanenti e volatili.

Giovanni Boccia Artieri

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Emerge una duplice natura della relazione sociale le cui forme attuali tendono a svilupparsi, al tempo stesso, “in riferimento a” e “in connessione con” (Donati 1983; Archer 2003).

Questa duplice natura della relazione sociale si accompagna e si lega a nuove pratiche di costruzione dell’identità che, attraverso forme crescenti di autonarrazione pubblica (Castells 2009), nuove forme di negoziazione e di messa in scena (Goffman 1959, 1961), oggi si mostra in equilibrio problematico fra attività off line e attività on line, e tra ciò che è pubblico e ciò che è privato (Boccia Artieri 2010).

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Il neologismo publicy (de Kerckhove 2005), forma contratta dei due termini inglesi “public” e “privacy”, allude alla commistione tra una dimensione pubblica e una privata, propria di molte forme di comportamento del nostro tempo e tipica forma comunicativa della Rete.

È in atto una ristrutturazione della distinzione tra pubblico e privato (boyd 2007) cui corrisponde una analoga ridefinizione della cultura emozionale (Turnaturi 2000).

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La cultura emozionale è una categoria centrale nella sociologia delle emozioni che, facendo riferimento all’«insieme di norme, convenzioni, linguaggi che regolano la formazione e l’espressione delle emozioni all’interno dei diversi contesti sociali», allude al «diverso significato e senso che viene attribuito alle emozioni e alle loro espressioni a seconda delle diverse culture» (Turnaturi 2000, 103).

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Sul tema del cambiamento della cultura emozionale, alcune analisi avanzano l’ipotesi di un passaggio da uno stato emotivo caldo ad uno freddo nel quale le emozioni, divenute al tempo stesso oggetto di studio e di consumo, acquisiscono nella postmodernità un significato altro rispetto alle connotazioni dell’età premoderna e moderna (Illouz 2004).

C. Lasch ha parlato, a tale proposito, di ritirata emotiva (1984).

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Il riserbo e l’indifferenza reciproci – i presupposti spirituali delle cerchie più ampie – non sono mai avvertiti più fortemente nei loro effetti sull’indipendenza dell’individuo che nella più densa confusione delle metropoli, dove la vicinanza e l’angustia dei corpi rendono più sensibile la distanza psichica. Ed è solo l’altra faccia di questa libertà il fatto che a volte non ci si senta da nessuna parte così soli e abbandonati come nel brulichìo della metropoli: qui come altrove, non è detto affatto che la libertà dell’uomo si debba manifestare come un sentimento di benessere nella sua vita affettiva.

Georg Simmel

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Simmel descrive con grande efficacia la trasformazione dell’esperienza dell’individuo nella modernità, ponendo l’accento su:

• la spersonalizzazione della maggior parte delle relazioni sociali che accompagna il procedere della modernità; • l’atrofia della sensibilità e della capacità di percepire la differenza qualitativa tra le cose, fedele riflesso dell’economia monetaria;• l’ampliamento del raggio d’azione dell’individuo e la sua crescente dipendenza da apparati tecnici sovra-individuali; • il modo in cui la tecnologia, incorporata in oggetti di uso quotidiano, esonerando l’individuo da sforzi, competenze e gesti precedentemente richiesti, intervenga a modificare il significato stesso dell’esperienza.

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Premesso che l’esperienza assume significati differenti a seconda dei contesti storico-sociali in cui prende forma, la radice etimologica del termine (dal latino ex-periri) indica, al tempo stesso, un “venire da” e un “passare attraverso”.

Esperienza è, pertanto, sia ciò da cui la persona proviene, sia ciò che la persona attraversa: in quanto tale, il termine allude al senso di un vissuto e di un sapere, situato e parziale, che appartiene alla persona e la caratterizza nella sua singolarità (Greco, Ponziano 2010).

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L’analisi simmeliana della vita moderna nelle metropoli, anticipando di almeno un secolo temi e problemi della comunicazione nella postmodernità, ipotizza un processo di progressiva intellettualizzazione dell’esperienza, descritto come un meccanismo di difesa contro i ritmi frenetici e il surplus di stimoli posti dalla vita metropolitana che induce l’individuo ad affidarsi alla parte «più adattabile» delle sue forze interiori, ma «meno sensibile» e «più lontana» dagli strati profondi della personalità.

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Le grandi trasformazioni, strutturali e culturali che segnano il passaggio dalla modernità alla postmodernità intervengono, inevitabilmente, a trasformare l’esperienza dell’individuo, anche a causa della dissonanza venutasi a creare tra le cose (sempre più colte) e le persone (sempre meno capaci).

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… l’individuo è ridotto ad una quantité négligeable, ad un granello di sabbia di fronte a un’organizzazione immensa di cose e di forze che gli sottraggono tutti i progressi , le spiritualità e i valori, trasferiti via via dalla loro forma soggettiva a quella di una vita puramente oggettiva.

Occorre appena ricordare che le metropoli sono i veri palcoscenici di questa cultura che eccede e sovrasta ogni elemento personale. Qui, nelle costruzioni e nei luoghi di insegnamento, nei miracoli e nel comfort di una tecnica che annulla le distanze, nelle formazioni della vita comunitaria e nelle istituzioni visibili dello Stato […] la vita è costituita sempre più di… contenuti e rappresentazioni impersonali, che tendono a eliminare le colorazioni e idiosincrasie più intimamente singolari; così l’elemento più personale, per salvarsi, deve dar prova di una singolarità e una particolarità estreme: deve esagerare per farsi sentire, anche da se stesso.

Georg Simmel

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La crescente mediatizzazione che l’esperienza tende ad assumere nella postmodernità si colloca nel solco di quel processo di trasformazione dell’esperienza che prende avvio nell’epoca moderna, nell’incessante mutamento delle forme della vita sociale, che Simmel (1918) ha preconizzato descrivendo la modernità come crisi permanente, ovvero come “epoca del divenire perpetuo”.