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SPIRITUALITA SALESIANA Spiritualità

spiritualita salesiana - Parrocchia Don Bosco Roma VII ... · Se si ha questo amore tutto il resto si colloca al giusto posto; ... Il francescanesimo è tutto intriso di amore tenero

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SPIRITUALITA SALESIANA

Spiritualità

LA SITUAZIONE

Relativismo

La nostra società, che è fortemente razionalizzata, è dominata dall’idea di un progresso inarrestabile e della centralità della scienza, dallo sviluppo economico, dalla tecnologia, dall’impegno del produrre e del progettare . Essa è segnata dall’ideologia che viene indicata col nome di “relativismo”, che si rifà alla filosofia dell’immanenza e allo storicismo. Il relativismo non attribuisce a Dio la funzione di dare senso alla vita, anzi non ammette un Dio personale, pone al centro di tutto l’uomo e non tiene in nessun conto principi e norme morali.. Questa ideologia che oggi viene imposta in maniera dittatoriale, si estende a tutti i campi del vivere, a quello giuridico, alla conoscenza, alla morale, e ha alla sua base lo scetticismo, che nega ogni verità e l’utilitarismo, in forza del quale si ritiene buono e giusto ciò che è utile, cui si associa l’edonismo, che considera il piacere in tutte le sue forme come valore supremo della vita e ciò che la rende felice e ha come norma morale: “massimizzare il piacere e minimizzare il dolore”.

Ricerca di spiritualità

Gli uomini della nostra società, frastornati dagli altoparlanti della cultura consumistica e relativistica, sentono il disagio di un mondo non più a misura di uomo, capiscono che la vita non si riduce a produrre, a progettare, a cercare piaceri, ma implica anche altre realtà come ascoltare il mistero delle cose, contemplare la realtà, ritrovare la sintonia con la natura e con gli altri e non pochi avvertono il bisogno di qualcosa che sia diverso. Così non pochi avvertono il bisogno di qualcosa che sia diverso, e si nota una rinnovata richiesta di autenticità, di dimensione religiosa, di interiorità e libertà, che non sono soddisfatte della nostra società, di un “supplemento di anima” ,come diceva Bergson.

Questa richiesta viene chiamata “ricerca di spiritualità, e può trovare una qualche risposta in movimenti vari, che oggi pullulano in abbondanza e mostra grande vitalità e fanno proposte di “spiritualita”, che però è interpretata in modo vario

Ci sono filosofie che ritengono lo “spirito” umano contrapposto alla materia, al corpo, al materiale e intendono per spiritualità ciò che si riferisce allo spirito. Ci sono religioni che vedono “lo spirito” come parte del tutto divino, dove alla fine ritorna, liberato dal corpo. C’è una spiritualità religiosa ma non cristiana, come quella del sufismo musulmano, quella dei movimenti derivati dal cristianesimo, ma lontani dalle Chiesa e c’è la spiritualità della Chiesa cattolica..

MOVIMENTI VARI

L’occultismo

Alla protesta contro una società troppo razionale, al bisogno di scoprire ciò che è nascosto nel mistero del cosmo, alla necessità di sapere qualcosa della morte, il cui enigma permane nonostante il tentativi di nasconderla, pretende di dare risposta una schiera di maghi e di ciarlatani. Così oggi si

nota un revival di magia e astrologia, che si manifesta in vari modi, in giornali, riviste, libri dedicati a materie occulte, trasmissioni radio e televisive, e nel consulto di maghi, chiromanti, astrologi.

Le meditazioni orientali

Un fascino particolare è esercitato dalla mistica asiatica e dalle forme di meditazione orientali, che adottano antiche pratiche di concentrazione fisico- mentale e danno insegnamenti spirituali come la non violenza e la forza dell’anima. A gente insoddisfatta degli pseudo-valori occidentali, viene proposta la ricerca dell’autenticità morale e una parziale risposta alle esigenze umane. A gente che si riempie di tranquillanti, Zen e Yoga ravvivano l’energia spirituale con una disciplina sorgente di libertà. Ad una vita troppo razionale viene insegnata una saggezza intuitiva, ad una cultura estranea alla natura viene proposto un rapporto pacifico con l’universo.

Movimenti religiosi

Esiste oggi in Italia, ma molto di più in America latina, una vasta fioritura di gruppi, comunità, movimenti a carattere religioso, sorti soprattutto in seno alle chiese cristiane, come per esempio i Testimoni di Geova, i Mormoni, i Pentecostali, che rifiutano l’integrazione nelle chiese storiche. Essi rispondono al alcune esigenze non soddisfatte dalla società attuale, come sono le esigenze comunitarie e mistiche, di comunicazione, o di sicurezza affettiva dell’uomo spaventato dall’anonimato delle città.

Il New-Age

Il movimento detto “ New Age” è una reazione alla cultura contemporanea consumistica e imprenditoriale, ma ne è anche figlio. Esso è imbevuto di questa cultura e condivide molti dei suoi valori come libertà, autonomia, autenticità e simili, oggi considerati a se stanti. Attira chi ha problemi con la società e promette di soddisfare le aspirazioni spirituali della persona. Aderirvi è facile, ” non richiede più fede che andare al cinema”. Il successo è dovuto al fatto che la Nev Age è pienamente in linea con la cultura moderna relativista, ed ha un qualcosa di pseudo-religioso che è un miscuglio di elementi provenienti da fonti varie: dell’esoterismo: ( rituali, mediazione di angeli, diavoli, spiriti, alla conoscenza del divino che ognuno avrebbe in sé ) ; di antiche religioni ( culto della dea madre ), di dottrine religiose orientali di tipo panteistico, di altre religioni ( un Dio piuttosto vago , un Cristo cosmico ). L’attrattiva del movimento deriva da una certa armonia che si prova nel rivolgersi verso se stessi, dalla sensazione di essere un tutt’uno con l’universo di affondare nel grande oceano dell’essere. Si tratta di una specie di narcisismo spirituale. La New Age, che è propagandata in libri, pubblicazioni, spettacoli, ha un grande seguito; in Italia sarebbero 13 mila gli associati e 12 milioni gli adepti che si ispirano al movimento.

SPIRITUALITA’ CRISTIANA

La spiritualità cristiana non fa riferimento allo spirito umano, ma allo Spirito Santo, che non è né collegato allo spirito umano né ostile alla materia e può essere accolto o rifiutato sia dallo spirituale che dal materiale umano. Lo Spirito che viene da Dio è piuttosto in opposizione allo spirito che viene dal mondo. Uomo spirituale è così colui che vive dello Spirito Santo, mentre l’uomo materiale è quello che fonda tutto sulla sua umanità. Spiritualità cristiana è il modo di vivere la vita concreta e totale in Cristo, secondo le strade dello Spirito di Dio. E’ spirituale colui che vive veramente da seguace di Cristo. La spiritualità cristiana coinvolge tutti i credenti, essa è di una inesauribile ricchezza e ha assunto e assume nei vari luoghi e tempi forme differenti. Così nella Chiesa esistono varie spiritualità, che hanno una loro caratterizzazione specifica, ma conservano alcune caratteristiche comuni di fondo.

La prima caratteristica comune è naturalmente la sequela di Cristo, morto, risorto, vivente. Una seconda è la fedeltà costante vissuta alla Parola di Dio; una vita così vissuta dà una

pienezza di esistenza fatta di fede, speranza e amore, condotta secondo lo stile dei figli di Dio. Una terza caratteristica è la vita sacramentale. Una quarta è l’ecclesialità, mentre il rifiuto della comunità ecclesiale sarebbe fonte di equivoci. Un’altra caratteristica è l’accoglienza di tutto l’uomo e di tutti gli uomini; non si può quindi

definire cristiana una spiritualità di elite, di casta, che escluda il corpo o le attività non intellettuali. Un’altra è la misura, l’umiltà; credersi nell’unica e migliore strada possibile renderebbe difficile la

conversione che nei cristiani deve essere continua.. Un’altra caratteristica ancora è l’attenzione alla storia e alla cultura; un’autentica spiritualità non può non tener conto della realtà storica in cui si vive.

SCUOLE DI SPIRITUALITA

Nella Chiesa ci sono oggi molte scuole di spiritualità, che sono modi diversi di essere cristiani, di essere figli di Dio. Esse hanno privilegiato e sottolineato qualche elemento che dà loro il tono specifico.

Hanno il punto di partenza in una personalità particolarmente significativa, in un santo, come S. Agostino, S. Benedetto, S. Francesco. S. Teresa D’Avila, S. Giovanni Bosco; in seguito alcune volte è stato sottolineato, arricchito, modificato qualche aspetto, ci sono state delle evoluzioni o ritorni al fervore primitivo (come è avvenuto per esempio con i benedettini Cistercensi o i francescani Cappuccini ), e, dopo il Vaticano II, c’è stato in tutte le spiritualità un adeguamento alle indicazioni del Concilio.

Alcune delle varie spiritualità sono:

Spiritualità agostiniana

Nella spiritualità agostiniana l’amore è al vertice di tutto, un amore che è lo stesso sia che si applichi a Dio sia che si rivolga all’uomo. Se si ha questo amore tutto il resto si colloca al giusto posto; così i beni di questo mondo non possono costituire la felicità dell’uomo, ma devono servire ai bisogni della vita e le creature sono gradini per salire a Dio. Per l’acquisto della carità è necessaria la preghiera e la via che conduce alla carità è l’umiltà .

Spiritualità benedettina

La spiritualità benedettina pone al centro il lavoro e la preghiera. Il motto benedettino “ora et labora “ è il simbolo dell’unione dell’umano col divino, dell’attività con la contemplazione.

Francescanesimo

Il francescanesimo è tutto intriso di amore tenero e appassionato per Cristo. Nella spiritualità francescana tutto è gioioso (letizia) : la povertà, la rinunzia alle cose, l’amore per il creato, l’apertura alle gioie autentiche della vita , le avversità .

Scuola ignaziana

Al centro di questa scuola c’è il servizio amoroso di Dio, la carità “effettiva” di Dio e l’impegno perché tutte le opere siano ordinate alla sua gloria. C’è anche l’impegno per trasformare il lavoro esterno in preghiera , per trovare Dio in tutto, profittare di tutto per salire a Dio, vivere in spirito di preghiera. Un tale spirito esige la mortificazione del cuore, con rinunzia degli affetti disordinati, la mortificazione e fare nel cuore la chiusura intima che permetta di stare uniti a Dio. In questa spiritualità si insiste sull’aspetto attivistico della pietà .

Mistica teresiana

La spiritualità carmelitana di S. Teresa e di S. Giovanni della Croce che tocca il vertice della mistica cristiana, è soprattutto una scuola di raccoglimento e di unione con Dio, è carità “affettiva” di Dio. In essa deve esserci il solido fondamento di virtù perfette. Non si deve far caso ad eventuali grazie straordinarie; solo la contemplazione è il vero tesoro dell’anima; con essa ci si addentra nell’intimità divina e ci si incammina verso l’unione. E’ una sottolineatura del polo mistico della spiritualità.

Spiritualità di S. Francesco di Sales

Dio e l’uomo stanno al centro di questa spiritualità. Dell’uomo, essere libero, perfezione dell’universo, Francesco, che ha fondato un umanesimo devoto e ottimista, ha grande stima . Ogni essere umano è chiamato alla santità che è non solo un possibile stato di vita, ma la vocazione universale. Nessuno è escluso dalla vita devota, si tratta solo di armonizzare la vita esteriore con la vita interiore. L’ascesi, che è indispensabile, è una testimonianza di amore e la pietà è un fatto amabile , e si colora di ottimismo e di gioia. Sono valorizzate le “piccole virtù”, mentre non si insiste sullo straordinario.

Spiritualità attuali

Nella Chiesta c’è stata e c’è sempre un grande numero di scuole di spiritualità . Dopo il Concilio Vaticano II in esse emergono alcuni punti di forza come : a) il marcato sentimento ecclesiale e comunitario e l’ansia per l’assoluto , b ) il ritorno alle sorgenti della vita cristiana, Bibbia, liturgia e Padri, c) l’apertura e l’impegno nella vita del mondo

Spiritualità salesiana

UNA “SPIRITUALITA” DI DON BOSCO

La parola “spiritualità” non è intesa nella stesso modo da tutti, ma è possibile intenderla come termine che indica tutto ciò che è relativo alla vita del cristiano secondo lo Spirito, ossia il modo di vivere, la vita cristiana.

Come tanti santi che sono all’origine di grandi Istituzioni religiose, anche D. Bosco, ha tramandato non solo un carisma, ma anche un metodo di vita cristiana, ossia una spiritualità per i suoi seguaci e per tutta la Chiesa, anche se non può essere classificato tra i dottori e autori di spiritualità. Da metà dell’Ottocento ad oggi molti lo hanno considerato maestro della loro vita spirituale e un numero sempre crescente di uomini e donne, ragazzi e ragazze, persone di ogni ceto sociale, religiosi e laici, che sono vissuti secondo la spiritualità di Don Bosco, sono stati dichiarati beati o santi dalla Chiesa o stanno per esserlo. Tra gli altri si possono ricordare Domenico Savio, Laura Vicuna, Madre Mazzarello, Don Rua, Don Rinaldi, Don Variara, Alessandrina da Costa, Madre Morano, i martiri della Cina Vermiglia e Caravario, decine di salesiani martiri in Spagna, alcuni giovani nei campi di concentramento nazisti, ecc. .

DON BOSCO

Don Bosco è nato il 16 Agosto 1815 da famiglia di povera gente dedita al lavoro dei campi, in una borgata presso Castelnuovo d’Asti, ora Castelnuovo D. Bosco. A due anni rimane orfano di padre e cresce sotto le premurose cure della madre Margherita Occhiena, illetterata, ma donna di fede, vera educatrice dei figli nella pietà e nel lavoro. Dinamico e concreto, da ragazzo fonda fra i coetanei la “società dell’allegria” sulla base di “guerra al peccato”. Inizia gli studi piuttosto tardi, ma riesce, grazie alla vivacità d’ingegno e ad una prodigiosa memoria, a guadagnare il tempo perduto.

Entrato nel seminario di Chieri nel 1835, è ordinato sacerdote nel giugno 1841. Perfeziona gli studi di teologia morale per un triennio nel Convitto ecclesiastico di Torino, sotto la guida del Cafasso, che morì nel 1860. La sua vocazione è orientata decisamente verso l’educazione dei giovani. L’esperienza iniziale, a contatto con la gioventù reclusa nelle carceri della Generada di Torino, lo stimola ad adoperarsi per prevenire tali devianze sociali. Crea così l’Oratorio domenicale a Valdocco (1841-1844 ). Si interessa dei giovani in cerca di lavoro: da loro, un cuore amico, una casa, istruzione e protezione, assicura onesti contratti di lavoro, crea scuole professionali e laboratori. Offre uguale assistenza agli studenti. Indirizza tutti a conquistare un posto nel mondo, aiutandoli a raggiungere competenza e abilità professionali. Con arte ineguagliabile forma ciascuno secondo la sua personalità. Orienta tutti alla vita cristiana, curando molto la formazione religiosa, la frequenza ai Sacramenti, la devozione a Maria.

Cerca tra i suoi ragazzi i migliori collaboratori per la sua opera e con alcuni di essi dà origine alla Congregazione che prende il nome di San Francesco di Sales. Con Santa Maria Domenica Mazzarello fonda l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Crea poi l’Associazione dei Cooperatori salesiani, usufruendo delle forze di un incipiente laicato cattolico.

Tra mille difficoltà riesce ad incrementare il complesso delle sue opere, estendendo il suo raggio di attività anche alle missioni. Con immenso dispendio di energie fisiche e morali riesce a costruire la Basilica di Maria Ausiliatrice a Torino e il Tempio del Sacro Cuore a Roma.

La sua pedagogia cristiana attuata con abilità di genio ed efficacia di santo, mira ad educare la gioventù con intelligente comprensione, adattamento alle esigenze, ragionevolezza, confidenza, carità, allegria, espressioni tutte della presenza costante dell’educatore.

Chiude la laboriosa vita, spesa al servizio dei giovani e della Chiesa, il 31 Gennaio 1888.

UN’ESPERIENZA RELIGIOSA

La spiritualità di Don Bosco non è istituita avendo alla base una dottrina elaborata, ma un’esperienza religiosa, Questa esperienza durante la giovinezza di Don Bosco è stata condizionata da alcune realtà.

Dalla razza piemontese, laboriosa, plasmata dalla religione. Dalla sua mamma, Margherita, donna santa, restata vedova giovane; essa governò la famiglia,

abituò i figli a una vita dura e austera, alla preghiera, alla vita cristiana, alla continua presenza di Dio. Da Don Calosso, un cappellano della zona, incontrato verso i 14 anni, che si prese paternamente

cura di lui, lo incoraggiò a confessarsi, a comunicarci a fare ogni giorno un po’ di meditazione e di lettura spirituale e divenne suo direttore spirituale. Dirà Don Bosco: “ Da quell’epoca ho cominciato a gustare che cosa sia la vita spirituale”.

Dalla vita di seminario in particolare per l’incontro di due persone importanti per la sua crescita: l’amico Luigi Comollo che lo aiutò a fare esperienze di pietà autentica e un sacerdote santo, Don Giuseppe Cafasso, che divenne suo direttore spirituale. Il giovane Bosco che si avviava al sacerdozio era intelligente e dotato di grande sensibilità, aveva raggiunto una grande maturità umana e cristiana, si era reso umile, forte e robusto, seguendo il consiglio avuto in un sogno fatto a 9 anni. Divenuto prete si donò a Cristo e a Maria con tutte le risorse fisiche, intellettuali e affettive. La sua donazione al Signore si traduceva nel servizio alle persone concrete, soprattutto ai giovani e ai poveri, ai quali consacrava tutta la vita. Il suo motto era : “Dammi le anime”, le sue libere scelte erano “per la maggior gloria di Dio”, nelle sue imprese sperimentava il favore della Vergine e il sostegno della Provvidenza divina. Lui era per Dio e Dio era per lui, come ribadiva spesso: “Dio è con noi, ci incoraggia nella vita che seguiamo”. La sua esperienza religiosa durò per tutta la vita ed egli divenne modello per chi lo incontrava.

UNA NUOVA SCUOLA SPIRITUALE

La scuola spirituale di Don Bosco è inserita in una lunga tradizione. Lui stesso aveva scelto

alcuni maestri e modelli, come S. Alfonso Maria dei Liguori, S. Filippo Neri, S. Vincenzo de Paoli. Tra loro col tempo emergerà sempre di più S. Francesco di Sales, morto nel 1622, una delle più alte figure della spiritualità cristiana. Il nome con cui è conosciuta, “spiritualità salesiana” rimanda appunto a S. Francesco di Sales e questo rimando risale a Don Bosco stesso che, quando volle che un primo gruppo di giovani stesse con lui, scelse per loro l’appellativo di “salesiani”, volle che la Congregazione che stava fondando si chiamasse “ Società di S. Francesco di Sales e che i suoi guardassero a S. Francesco di Sales , quale “pastore zelante e dottore della carità”. Le costituzioni dei Salesiani precisano che D. Bosco intendeva ispirarsi “alla bontà e allo zelo” di quel santo, privilegiandone gli atteggiamenti di amorevolezza, di gioia, di dialogo, di convivenza, di amicizia e di paziente costanza”. (art 9 ) La spiritualità salesiana di Don Bosco si riporta alla figura e alla dottrina del vescovo di Ginevra, da cui si è originata tutta una corrente spirituale imperniata essenzialmente sull’idea e la pratica della carità e dell’amore. “Nessuna spiritualità prima di lui è stata così fortemente costituita dall’idea forza dell’amore. Ciò che è veramente proprio di S. Francesco è che egli fa dell’amore, il principio, il mezzo e il fine della perfezione”. (Lemaire). Don Bosco ha preso da Francesco di Sales il meglio, ossia l’amore evangelico e su di esso ha messo ciò che gli è proprio. “ Noi possiamo dire che lo spirito di Don Bosco è lo spirito di S. Francesco di Sales, ma che la spiritualità di Don Bosco non è la medesima del santo vescovo di Ginevra. La spiritualità di Don Bosco è una spiritualità nuova, la quale ancorché appartenga alla scuola salesiana ha pertanto delle caratteristiche specifiche che le accreditano il diritto di essere considerata a parte”. ( E Valentini: “ S. F. di Sales e D. Bosco “ ) La spiritualità di Don Bosco era caratterizzata da un insieme di principi, di idee, di comportamenti e di atteggiamenti, da un modo di vita, che proponeva ai giovani e a tutti coloro che ruotavano attorno alle sue istituzioni. Tra gli altri se ne possono indicare alcuni:

Le persone umane sono create buone, ma sono segnate dalla debolezza e dal male. L’uomo è chiamato alla felicità eterna e, se coltiva la virtù, può diventare santo, come Domenico Savio, ma può anche deviare e perdersi. Egli vive sotto lo sguardo di Dio buono e giusto, ha per amico Gesù, e come modello e aiuto la Vergine Maria, Ausiliatrice dei cristiani, radiosa nella santità. Don Bosco aveva un impegno particolare per i giovani che voleva diventassero buoni cristiani e onesti cittadini, che avessero i beni terreni necessari e raggiungessero la felicità eterna. L’educazione per Don Bosco era una “questione di cuore”, il sistema era quello preventivo, le cui caratteristiche erano l’amore, la ragione, la religione. La vita cristiana era vista come una vita di azione e di unione con Dio, la pietà era sacramentaria e mariana. Egli spese la vita con carità pastorale. La spiritualità di Don Bosco è una forma di “umanesimo temperato”, frutto di un equilibrio tra il rigorismo tradizionale ai suoi tempi e la cultura umanistica classica. Egli ha mostrato sempre ottimismo nei confronti della natura umana e su quel seme di bene che è sempre presente in ogni persona, su cui

far leva. La sua spiritualità si basa sulla presenza di Cristo e dei valori della grazia che diventa un aiuto a “ fare il proprio dovere”, a farsi santo nella vita quotidiana, è caratterizzata da grande praticità, dalla ricerca degli strumenti che permettono di raggiungere il fine della santificazione, dalla concreta capacità di andare all’essenziale, di semplificare le cose, anche nelle pratiche spirituali.

UNA SPIRITUALITA IN EVOLUZIONE

Le spiritualità hanno principi di base che restano, ma sono realtà fluenti, che si evolvono.

Ciò vale anche per la spiritualità salesiana. Dalla fine del 1800 ad oggi sono avvenuti nella storia straordinari mutamenti, c’e stato il Concilio Vaticano II, è sopraggiunta la secolarizzazione, ora viviamo in un tempo di relativismo e la spiritualità salesiana è stata sollecitata ad evolversi negli anni. Quella che conosciamo oggi non è una spiritualità fissata una volta per sempre, ma una spiritualità viva che ha una storia, che ha come fonte la spiritualità di D. Bosco, ma che si attualizza di continuo nel confronto con la cultura che cambia, nell’attenzione ai segni dei tempi e seguendo le spinte della Chiesa del dopo Concilio.

Essa, restando fortemente ancorata a Don Bosco, oggi è più esattamente la spiritualità salesiana dell’inizio del terzo millennio. Una spiritualità creativa, in dialogo con la vita concreta, audace, “educativa in quanto sistema preventivo, come un progetto di valori per dare valenza alla vita quotidiana, alla dimensione sociale, ai problemi del lavoro, al mondo della tecnica, alla storia”, apostolica per essere in grado di rilanciare in particolare tra i giovani il gusto di Dio, la festa della vita, l’impegno per la storia, la responsabilità per il creato e la generosa responsabilità ecclesiale. Sue caratteristiche sono l’attenzione alla persona e al suo valore alla luce di Dio, ai bisogni materiali e spirituali, l’evidenziare il primato della dimensione religiosa con un metodo per l’azione : far leva sulle risorse spirituali per la rigenerazione delle persone. La spiritualità salesiana che, vivente Don Bosco, aveva come fonte e riferimento Don Bosco in persona, oggi non è lasciata al caso. Chi vive questa spiritualità nei vari contesti sociali ed esperti specializzati prospettano ipotesi di novità e di evoluzione Due istituzioni ufficiali studiano l’adattamento della spiritualità salesiana in un cultura che cambia: sono l’Istituto di spiritualità dell’UPS e i corsi di spiritualità dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Coloro che dirigono i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice e i loro capitoli generali ufficializzano le linee della spiritualità salesiana nel tempo che cambia.

COME CONOSCERE LA SPIRITUALITA SALESIANA

Come per ogni spiritualità, così anche per quella salesiana ci sono vari modi per conoscerla.

Se ne può avere esatta conoscenza attraverso studi appositi. Se ne può avere esperienza diretta vivendo in una delle comunità salesiane o lavorando in un’opera di D. Bosco. “ Vieni a vedere come facciamo”, diceva Don Bosco a chi gli domandava sul suo spirito e stile. Si può avere una buona conoscenza anche leggendo una delle tante biografie di Don Bosco. Ogni Salesiano poi porta in sé un’immagine di Don Bosco che si è costruita lungo gli anni, attraverso esperienze, letture, meditazioni, scelte. A volte queste immagini personali ingrandiscono o diminuiscono un tratto di D. Bosco secondo le proprie preferenze e ne lasciano altre in penombra. Così talora si sottolinea la figura di amico dei giovani, di educatore, di organizzatore, ecc. e si lasciano in ombra altri aspetti, Troviamo un profilo più autentico di Don Bosco e una presentazione più completa della sua spiritualità nelle Costituzioni dei Salesiani. Per esempio l’articolo 21 presenta Don Bosco come consacrato, apostolo, uomo spirituale. L’articolo dice esattamente: “Il Signore ci ha donato Don Bosco come padre e maestro. Lo studiamo e lo imitiamo, ammirando in lui uno splendido accordo di natura e di grazia. Profondamente uomo, ricco delle virtù della sua gente, egli era aperto alle grandi realtà terrestri; profondamente uomo di Dio, ricolmo dei doni dello Spirito Santo, viveva come se vedesse l’invisibile. Questi due aspetti si sono fusi in un progetto di vita fortemente unitario: il servizio dei giovani. Lo realizzò con fermezza e costanza, fra ostacoli e fatiche, con la sensibilità di un cuore generoso. “ Non diede passo, non pronunziò parola, non mise mano ad impresa che non avesse di mira la salvezza della gioventù… Realmente non ebbe a cuore altro che le anime” ( D. Rua ) .

Centralità della carità

AL CENTRO L’AMORE

Ogni spiritualità cristiana tiene certamente in posizione centrale l’amore, secondo l’indicazione di Gesù stesso : “Amare Dio con tutto il cuore con tutta l’anima, con tutta la mente e il prossimo come se stesso per amor di Dio”. Nella spiritualità di Don Bosco come di San Francesco di Sales l’amore ha una centralità particolare. A monte di tutto c’è l’amore di Dio verso di noi e di conseguenza il rapporto con Dio visto come amore. L’inclinazione del cuore dei due santi li conduceva a scoprire in Dio il volto dell’amore. C’e anche il “timor di Dio”, ma è concepito come l’ago che tira il filo dell’amore, come scriveva S. Francesco. Questo amore opera l’unione dell’anima con Dio nella preghiera e nella contemplazione, e stimola a conformare pienamente la volontà a Dio che si manifesta nei suoi comandamenti, nei suoi consigli, nelle sue ispirazioni. In questa conformità consiste la perfezione della vita cristiana. Chi ama Dio è spinto ad

amare il prossimo. L’amore di Dio infatti non solo comanda ma genera e infonde nel cuore umano l’amore del prossimo.

CARITA

L’amore è l’elemento centrale della spiritualità salesiana. Si tratta di quell’amore che più esattamente va denominato “carità”. Lo dice chiaramente l’articolo 10 delle Costituzioni salesiane: “ alla nostra missione corrisponde lo stile di vita e di azione che ci ha insegnato Don Bosco. Il centro dello spirito salesiano è la carità apostolica, caratterizzata da quel dinamismo giovanile, che si rivelava così forte nel nostro fondatore e alle origini della nostra Società. E’ uno slancio apostolico che ci fa cercare le anime e servire solo Dio”. Di carità parlava Don Bosco nel primo capitolo delle costituzioni da lui scritte dopo la prima metà dell’Ottocento: “Lo scopo di questa società ….. imitando le virtù del nostro divino Salvatore specialmente nella carità verso i giovani poveri” .

Oggi il termine “carità” è divenuto sinonimo di elemosina, ma per Don Bosco aveva il significato che le dà S. Paolo nella prima lettera ai Corinzi, dove scrive: “ La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” ( 1 Cor 13, 4-7 ). Carità traduce il termine greco “agape”, che è l’amore totalmente gratuito e disinteressato verso gli altri in vista unicamente del loro bene. L’”agape” è distinta dall’”eros” ( amore passione, amore di sé ) e dalla “filia” (amicizia, amore di benevolenza ).

Il suo modello assoluto è Dio solo. Soltanto Dio può amare in tale maniera e senza alcuna imperfezione. “Prima di essere una virtù particolare, anche la più eccellente, la carità è una “visione del mondo” e più ancora, perché ci fa superare, trascendere il mondo. La carità è innanzitutto Dio, il Dio di Gesù Cristo, la Santissima Trinità, il Dio vivente, personale, intelligente e potente e amore infinito. La carità è Dio che ama se stesso, nell’unità delle Tre Persone divine e gode di questo amore ineffabile, che è la beatitudine perfetta” ( J, Hausberr). La migliore immagine terrestre dell’agape è quella del sacrificio di Cristo in croce. L’umanità non può che progredire nel suo cammino verso questo insuperabile orizzonte.

La carità delle creature comincia veramente solo quando amano Dio con amore di amicizia. Essa si identifica con tale amicizia, in quanto illumina tutta la loro vita e si espande verso il prossimo. E’ un’amicizia, una preferenza incomparabile, un amore soprannaturale verso Dio con tutte le forze, su tutte le cose. Questo amore si estende a tutti coloro che Dio ama, compresi i nostri nemici. In un documento del II secolo si legge: “ Se vieni da noi la prima cosa che troverai è la conoscenza di un Padre…….tu amerai colui che ti ha amato per primo. E per amor suo, tu ne imiterai la bontà “ . ( L. Diogneto X,1-3)

Scrive Don Vigano : “ L’amore di Dio è la sorgente e la causa di tutto; l’amore del prossimo è la dimostrazione pratica e il metro sicuro per misurare il vero amore di Dio, la strada indispensabile su cui procede l’amore di carità. La passione per Dio è inseparabile dalla passione per l’uomo: in un unico movimento di carità viviamo il grande comandamento del Vangelo”.

CARITA FRATERNA

Amare il prossimo in Dio non significa non amare le persone concrete. Al seguito di Don Bosco, chi s’ispira alla spiritualità salesiana si sforza di stabilire legami di amicizia con le persone che intende servire “caritatevolmente”, “ per amor di Dio”. Trova in ciò la sorgente di una qualità di vita bella e del tutto legittima. “E’ bello e gioioso vivere insieme” come fratelli e sorelle in una comunità salesiana che pratica la “carità fraterna”, in conformità ai desideri espressi da Don Bosco nell’introduzione alle Costituzioni salesiane: “ Quando nelle comunità regna questo amore fraterno, tutti i soci si amano vicendevolmente ed ognuno gode del bene dell’altro, come se fosse il proprio, quella casa diventa un paradiso e si prova la giustezza di quelle parole del salmista: “Ecco quanto è buono e soave che i fratelli vivano insieme!” ( Sl 13, 1 ). Ma appena vi domini l’amor proprio o vi siano rotture o dissapori tra i soci, quella casa diventa l’inferno”. (Introduzione Costituzioni :1875 )

CARITA PASTORALE

L’amore della spiritualità salesiana non è un amore d’istinto, facilmente esposto alla ricerca egoistica di se stesso, ma la “carità” che ha brillato fortemente in Cristo, che da lui ci è stata indicata come comandamento nuovo, che s’impara da Dio ed è infusa in noi dallo Spirito Santo ( Rm 5, 5 ). I gesti di chi ha la carità sono contrassegnati da quanto dice il 13 capitolo della prima lettera ai Corinzi: accondiscendenza, disinteresse, bontà, generosità, premura, dolcezza, comprensione, umiltà, pazienza, riconoscenza….

Dell’amore cristiano, nella spiritualità salesiana, l’elemento centrale è la carità pastorale o apostolica , ossia quell’aspetto della carità che è partecipazione alla stessa missione di Cristo e degli Apostoli allo scopo di estendere il Regno di Dio Padre: “ Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” ( Gv 25, 21 ). Essa include l’amore di Dio e l’amore dei fratelli, ai quali si vuole offrire il messaggio cristiano e la salvezza eterna: “ Cercare le anime e servire Dio solo”. Don Bosco nel 1864 in una prima stesura delle Costituzioni salesiane scriveva : “Lo scopo di questa Società, se si considera nei suoi membri, non è altro che un invito a volersi unire in spirito tra di loro per lavorare a maggior gloria di Dio e per la salute delle anime, a ciò spinti dal detto di S. Agostino: “la più divina delle cose divine è di lavorare per il bene delle anime”. (MB 7, 662 ) . Il Santo aveva come motto : “ Signore, dammi le anime, e tieniti tutto il resto”. E i Salesiani, recitando una preghiera a Maria Ausiliatrice, rinnovano ogni giorno l’impegno di “lavorare sempre alla maggior gloria di Dio e alla salvezza del mondo” .

Questa carità apostolica s’indirizza principalmente verso i giovani più poveri ed abbandonati ed “ha un’andatura speciale, giovanile…. è una carità fervida, generosa, giocosa, dinamica,… un po’ pazza, utopistica, sconcertante per la gente troppo saggia… del resto Don Bosco è stato considerato come pazzo”. (G. Aubry)

DON BOSCO HA AVUTO CARITA PASTORALE

Tutta la vita di don Bosco, giovane, adulto, anziano, è stata segnata dall’amore pastorale ed è stata spesa per la maggior gloria di Dio e per la salvezza dei giovani. Diceva: “Basta che siete giovani, perché io vi ami assai. Io per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo, per voi sono disposto anche a dare la vita”. Don Rua disse di lui: “Non diede passo, non pronunziò parola, non mise mano ad impresa che non avesse di mira la salvezza della gioventù. Veramente non ebbe a cuore altro che le anime” ( Circ 29: 1896 ) . In 47 anni di sacerdozio ha fondato tre famiglie religiose ( Salesiani. Figlie di Maria Ausiliatrice- Cooperatori). Ha costruito tre grandi chiese, ha scritto centinaia di volumi e opuscoli. Ha fondato 72 case salesiane. Ha organizzato 8 spedizioni missionarie. Ha svolto missioni diplomatiche presso la Santa Sede e il governo italiano. Ha fatto viaggi, predicazioni, ha confessato ininterrottamente, ha avuto una giornata di lavoro massacrante, che andava dalle 4, 30 alle 23, 00. E tutto ciò con una pazza fiducia, un ottimismo avvincente, una gioia strepitosa . Nella storia della Chiesa è uno dei più grandi operai del Regno di Dio, uno dei più grandi apostoli realizzatori.

TRE IN TUITI PER LA CARITA PASTORALE

La carità pastorale di Don Bosco è stata incoraggiata da tre certezze che ebbe, perché apprese per grazia e conosciute con l’esperienza: 1 Ogni uomo si può e si deve salvare. Don Bosco era certo che ogni persona umana è una libertà capace di amore, che il più umile, il più piccolo è un fratello per il quale Gesù Cristo è morto, che tutti sono chiamati alla libertà dei figli di Dio, al dialogo d’amore con Dio stesso, che vuole tutti salvi e che giungano alla conoscenza della verità.

2 Molti sono esposti a gravi pericoli che pongono in forse la salvezza. Sono ignoranti, deboli, sottoposti a mille tentazioni, smarriti. Tra di loro si trovano le persone del ceto popolare, i pagani e i giovani più abbandonati; della miseria morale di questi ultimi, Don Bosco aveva fatto esperienza visitando le carceri. Comprese subito che la sua carità apostolica doveva orientarsi in particolare verso queste categorie. 3 Per la salvezza degli uomini, Dio, che avrebbe potuto salvare tutti direttamente, “ha voluto aver bisogno di altri uomini” , di collaboratori, che chiama ad impegnarsi per la salvezza dei fratelli. Don Bosco credette alla dignità dell’impegno per il Regno di Dio, alla responsabilità di ogni intermediario umano, alla reale influenza del lavoro apostolico. Così s’impegnò con fermezza , con zelo, con gioia, affrontando rischi e sofferenze. E, col suo sorriso, fu maestro esigente. Per lui è andare contro lo spirito salesiano il tergiversare, il calcolare, il porre riserve o condizioni, il cercare consolazioni o profitti. Diceva: “ Ci riposeremo in Paradiso”. La sua era una carità pastorale dinamica.

IL MODELLO

La carità apostolica non può scaturire da un sentimento di compassione verso gli ultimi o dal desiderio di aiutare il prossimo. E’ una partecipazione alla vita stessa della Chiesa, alla sua carità apostolica, che le permette di essere strumento di salvezza, “sacramento della salvezza del mondo” ( LG 1, 48 ). Questa carità la Chiesa la riceve dal Cristo pasquale, che “ è morto per lei, per la sua santificazione, per manifestarla dinanzi a lui santa, immacolata” ( Ef 5, 25-26 ), e capace di amare.

La carità pastorale della spiritualità salesiana rimanda al Cuore di Cristo, “fornace ardente di carità” . A questo Cuore, Don Bosco si è sempre riferito, e ha invitato i suoi a riferirsi, anche se non lo ha fatto in termini teologici sviluppati. Nella prima edizione delle costituzioni del 1858 ha scritto : “ imitando le virtù del nostro Divino Salvatore, specialmente nella carità verso i giovani poveri” . In una lettera inviata ai Salesiani da Roma nel 1884 indica Gesù Cristo come modello: “Ecco il maestro della familiarità… Ecco il vostro modello”. E’ necessario guardare a Gesù modello perfettissimo presentato dai vangeli, e lasciare che Lui abiti in noi, permettendogli di continuare ad amare in noi, tramite noi stessi, il Padre suo e i fratelli.

L’articolo 2 delle costituzioni salesiane dice: “Noi salesiani di Don Bosco, formiamo una comunità di battezzati che, docili all’appello dello Spirito, intendiamo realizzare il progetto apostolico del Fondatore: essere, con stile salesiano, i segni e i portatori dell’Amore di Dio ai giovani, specialmente i più poveri”.

Questo amore spinge ad agire, come dice San Paolo: “La carità di Cristo ci spinge. ( 2 Cor 5, 14 Non si tratta del debole amore umano, ma dell’amore stesso di Dio, che porta l’apostolo, che ha una grande sete del Regno di Dio, attinta dal Cuore di Cristo, ad amare chi non sa dove andare.

Bibliografia G. Aubry : Lo Spirito Salesiano . Ed. Coop. Salesiani. F. Desramaut: Spiritualità salesiana Ed Las- Roma

Unione con Dio

LA PREGHIERA

La preghiera è il rapporto pienamente consapevole. con Dio, che parla, ascolta, ed è sempre vicino. Pregare significa dialogare con Lui da persona a persona, dargli del tu, mettersi davanti a lui faccia a faccia, cuore a cuore. E’ un colloquio di fede e di amore.

Il nostro primo interlocutore è la prima persona della Santissima Trinità. Il cristiano, sia nella lode, sia nella supplica, in definitiva si rivolge sempre a Dio Padre, principio senza principio della altre persone divine e di ogni dono partecipato alle creature. La sua preghiera, come tutta la sua vita, è sempre un andare al Padre insieme a Cristo nello Spirito. Sostanziata di adorazione e di amore filiale, animata dallo Spirito e associata al sacrificio pasquale di Gesù, essa giunge gradita al cuore del Padre e lo fa trasalire di tenerezza. Se il Padre è la meta, Gesù Cristo è “la via” (Gv 14,6). Egli associa alla propria preghiera quella della Chiesa e di tutta l’umanità. Ogni esperienza di orazione, dal balbettìo infantile alla contemplazione mistica, si compie nel suo nome. Gesù intercede per noi come mediatore; ma come persona divina è anche destinatario della nostra preghiera; “prega per noi, prega in noi ed è pregato da noi”. Già nel Nuovo Testamento si trovano preghiere rivolte a Gesù e la formula “Marana tha” (Signore vieni) appartiene al primitivo strato aramaico della tradizione neotestamentaria, come Abbà. Tutte le tradizioni liturgiche successive contengono preghiere rivolte a Cristo. Merita anche di essere ricordata, per il grande rilievo che ha nella spiritualità orientale, l’invocazione del nome di Gesù, tramandata dai monaci del Sinai, di Siria, dell’Athos. La formula viene ripetuta con frequenza facendo riferimento al battito del cuore o al ritmo della respirazione: “Gesù Cristo, Figlio di Dio, Signore, abbi pietà di me peccatore”. La nostra povertà di peccatori è avvicinata ai titoli della sua grandezza. A lui ci accostiamo come mendicanti, fiduciosi nella sua misericordia. Lo Spirito Santo ci fa dire: “Abbà, Padre!” (Rm 8,15) e “intercede per i credenti secondo i disegni di Dio” (Rm 8,27). “Unisce tutta la Chiesa all’unica preghiera di Cristo e la rivolge al Padre”. È anche il dono fondamentale che dobbiamo chiedere.

Essendo poi persona divina, è interlocutore della nostra preghiera: non solo prega in noi e per noi, ma è pregato da noi. La liturgia contiene splendide invocazioni rivolte allo Spirito, come la sequenza di Pentecoste “Vieni, Santo Spirito” e l’inno “Vieni, Spirito creatore”.

La Vergine Maria è il modello della preghiera cristiana, intesa come ascolto, contemplazione, lode, intercessione. Accompagna, quasi in un perenne cenacolo, la preghiera della Chiesa. A lei salgono sempre la lode commossa e la supplica fiduciosa. Insieme al “Padre nostro”, la preghiera più familiare è l’”Ave Maria”, costituita appunto da un saluto gioioso di lode per le meraviglie che Dio ha compiuto in lei e per mezzo di lei, dandoci Gesù, e da una supplica, perché nella sua santità interceda per noi peccatori, per le nostre attuali necessità e per il momento decisivo della morte. (Verità vi farà liberi n 967-971 )

NECESSITA DELLA PREGHIERA

L'azione fervida non dispensa forse dalla preghiera? Persone sempre occupate, la cui carità industriosa ne riempie le giornate, sono pronti a crederlo. Non hanno il tempo di pregare. Il Rettor Maggiore don Egidio Viganò (1977- 1995), araldo dell'azione pastorale salesiana, ha inteso mettere a punto le cose. Senza la preghiera, dichiarò non senza enfasi, in una lettera in cui metteva in guardia di fronte a certi eccessi carismatici, non è possibile nessuna sintesi tra la fede e la vita. E, senza questa sintesi, per noi salesiani, non

c'è (attiva) «reciprocità» tra evangelizzazione ed educazione, ne unità tra consacrazione e lavoro professionale, ne coerenza tra interiorità e attività. In termini meno astratti, senza l'afflato interiore della preghiera, il lavoro non santifica, la competenza umana non testimonia il Vangelo, gli impegni educativi non hanno nulla di pastorale e la vita quotidiana non è autenticamente religiosa. Questi asserti possono apparire eccessivi, proseguiva a dire il Rettor Maggiore, ma - precisava - perlomeno «mettono il dito sulla piaga» possibile del discepolo di don Bosco in un mondo secolarizzato. Infatti, «nella città secolare la preghiera è svalutata, l'agire porta a dimenticare l'essere». Per esortare i suoi salesiani alla preghiera, il Rettor Maggiore don Viganò invocava l'autorità di don Bosco nella sua Introduzione alle costituzioni salesiane del 1885: «La storia ecclesiastica ci ammaestra che tutti gli Ordini e tutte le Congregazioni religiose fiorirono e promossero il bene della religione fino tanto che la pietà si mantenne in vigore tra loro; e al contrario ne abbiamo veduti non pochi a decadere, altri a cessare di esistere, ma quando? Quando si rallentò lo spirito di pietà, e ciascun membro si diede a "pensare alle cose sue, non a quelle di Gesù Cristo" come di alcuni cristiani già lamentava San Paolo». La preghiera che, associando all'azione della creatura il Cristo, essere di preghiera, offre al Padre il posto che gli conviene, dovrebbe impregnare l'intera giornata del discepolo di don Bosco. ). (Desramaut : Spiritualità Salesiana - pag. 479)

ORAZIONE CONGIUNTA ALLA VITA

La preghiera salesiana, è presentata così dall’articolo 86 delle Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales: “Docile allo Spirito Santo, Don Bosco ha vissuto l’esperienza di una preghiera umile, fiduciosa e apostolica, che congiungeva spontaneamente l’orazione alla vita. Da lui impariamo a conoscere l’azione della grazia nella vita dei giovani: preghiamo per loro affinché il disegno del Padre si compia in ciascuno di essi, e preghiamo con loro per testimoniare la nostra fede e condividere la stessa speranza di salvezza. La preghiera salesiana è giocosa e creativa, semplice e profonda; si apre alla partecipazione comunitaria, è aderente alla vita e si prolunga in essa”.

Questa preghiera ha un suo nucleo caratterizzante, un cuore profondo, che va oltre le varie pratiche esterne, e va sotto la denominazione di “unione con Dio”.

L’unione con Dio è l’afla e l’omega di ogni vita spirituale. La ragione più alta della dignità umana consiste nella vocazione della persona a comunicare con Dio. Fin dal suo nascere la creatura umana è invitata al dialogo col suo Creatore, preludio della comunione con Lui….L’iniziativa di questa unione d’amore parte necessariamente da Dio, che propone alla sua creatura l’inimmaginabile meraviglia dell’alleanza d’amore con lui. In questo modo la vita spirituale della persona è guidata da Dio, informata dal suo Spirito, alimentata dalla grazia di Cristo e, al suo termine, sfocia nella piena comunione con Lui. Così concepita l’unione con Dio presenta molti aspetti, dopo l’opzione fondamentale del soggetto spirituale per il bene che, coscientemente o no, avvia un processo di unione con Dio, fino alla visione beatifica, dove finalmente, nella misura possibile, è colmata la distanza infinita che separa il Creatore da un essere creato divenuto suo figlio in e per Cristo. E’ la “vita interiore” della persona spirituale. (Spiritualità salesiana p.

624) L’unione con Dio è un’espressione classica della spiritualità, un’esperienza insostituibile di ogni vissuto cristiano. E’ la pratica della presenza di Dio, lo sforzo pacifico di rimanere alla sua presenza, di vivere con Dio, in relazione cosciente con Lui.

Il segreto e l’originalità della spiritualità di Don Bosco sta nell’unione con Dio. La preghiera non è qualcosa che si introduce ad un certo momento o nei tempi “vuoti” della giornata, ma è il respiro dell’anima, è un’esperienza che non passa accanto, quasi parallela ad altre esperienze di impegno e di attività. La preghiera non è estranea dalla storia, dal terribile quotidiano, dai doveri di ogni giorno.

L’UNIONE CON DIO DI DON BOSCO

Chi ha studiato Don Bosco lo ha definito un santo di azione; e veramente egli fu tale. Tutta la vita di questo santo fu certamente lavoro, ma unito strettamente alla preghiera, tanto che anche i due termini “lavoro e preghiera” possono essere un suo motto distintivo. E si può asserire che il lavoro di Don Bosco fu una continua preghiera; e la preghiera fu il fondamento e l’anima del suo lavoro. I Salesiani delle origini, come Don Michele Rua, Don Paolo Albera, Don Giulio Barberis, hanno evocato e descritto la preghiera di Don Bosco come uno spirito di raccoglimento, un’unione continua, cosciente con Dio, nella trama di un vissuto vorticoso. Accostandolo, lavorando con lui, si erano convinti che egli vivesse ogni istante e ogni azione soltanto per Dio, con Dio, e che questa comunione interiore ispirasse e unificasse la sua operosa esistenza Il Sacerdote Achille Ratti, che era stato alcuni giorni a Valdocco, divenuto Papa Pio XI, raccontava ai seminaristi di Roma nel giugno del 1932: “ C’era gente che veniva da tutte le parti… chi con una cosa chi con un’altra: ed egli in piedi, su due piedi, come se fosse cosa di un momento, sentiva tutto, rispondeva a tutto e sempre in un atto di raccoglimento. Si sarebbe detto che il suo pensiero era altrove ed era veramente così, era con Dio, con spirito di unione; ma poi eccolo a rispondere a tutti; e aveva la parola esatta per tutto e per se stesso, così, proprio da meravigliare: prima infatti sorprendeva, poi meravigliava. Questa la vita di santità e di raccoglimento, di assiduità nella preghiera che il Beato menava nelle ore notturne e nelle occupazioni continue e implacabili delle ore diurne”. E in un’altra occasione lo stesso Papa diceva: “ Un ardore incessante, divorante di azione apostolica, di azione missionaria, veramente missionaria, anche tra le pareti di un’umile camera; missionaria tra la folla, tra le folle di bambini, di ragazzini, di adolescenti che continuamente lo circondavano; spirito di ardore, di azione; e con questo ardore uno spirito mirabile, veramente, di raccoglimento, di tranquillità, di calma, che non era la sola calma del silenzio, ma quella che accompagna sempre un vero spirito di unione con Dio, così da lasciare intravedere una continua attenzione a qualche cosa che la sua anima vedeva, con la quale il suo cuore si intratteneva: la presenza di Dio, l’unione a Dio. Proprio così. E con tutto ciò uno spirito eroico di mortificazione e di vera e propria penitenza… quella sua vita continuamente prodigata al bene altrui, sempre dimentica di una propria utilità, di ogni anche più scarso riposo; una vita di penitenza, non soltanto mortificata, ma di vera penitenza, a forza di essere apostolica”.

In una vita di Don Bosco, edita dalla Sei nel 1955, il Cardinal Salotti così scrive di Don Bosco. “ La preghiera per lui non importava soltanto dire l’ufficio, recitare rosari, esprimere formule liturgiche e pie giaculatorie, o celebrare ogni giorno la Santa Messa, o coltivare devozioni care al cuore di ogni credente; ma significava far tutto questo in una maniera più eccelsa, da farlo vivere interiormente e continuamente di Dio. La preghiera per lui era elevazione dello spirito, astrazione da ogni cura terrena, unione intima e profonda del suo pensiero e della sua volontà col pensiero e con la volontà stessa di Dio. In questo senso la sua vita fu tutta un assorbimento nel divino e nell’eterno, anche quando attendeva a quelle cose ordinarie, che pur sembrano così lontane da idealità spirituali. Perciò in qualunque momento si andasse a lui per consigli, sembrava che interrompesse i suoi colloqui con Dio, e che dal medesimo gli venissero ispirati i consigli e gli incoraggiamenti che dava”.

APPRESA E INSEGNATA DA DON BOSCO

La tradizione in cui si collocava Don Bosco considerava la presenza di Dio come il primo passo di ogni forma di orazione, ed era anche il punto di arrivo di una vita spirituale, intesa come intimità con Dio: dallo sforzo di mettersi alla presenza di Dio, prima di ogni pratica di pietà, ad una vita coscientemente vissuta al cospetto del Signore, in tensione di amoroso dialogo, anche in mezzo alle più disparate attività. Esercitarsi per viver nella fede, sotto gli occhi di Dio presente e per operare con lui, per lui. Molti scrittori nel tempo in cui visse Don Bosco orientavano in questo senso: Sant’Alfonso Maria dei Liguori, lo Scaramelli, il Rodriguez, il padre Luis de Granata, San Francesco di Sales. La Filotea di S. Francesco di Sales insegnava quattro modi per mettersi alla presenza di Dio: considerare attentamente che egli è in tutto e dappertutto; pensarlo particolarmente presente nel nostro cuore e nell’intimo del nostro spirito; “vivificato e animato dalla sua presenza”; considerare lo sguardo amorevole del nostro Salvatore costantemente rivolto verso di noi; raffigurarsi accanto il Signore Gesù, nella sua santa umanità, specialmente quando si è di fronte all’Eucaristia, presenza reale e non puramente immaginaria. Dalla Filotea Don Bosco aveva imparato quanta fecondità derivi dall’aspirare molto sovente a Dio con brevi ma ardenti slanci del cuore, con giaculatorie, quanto sia utile ricavare buoni pensieri e sante aspirazioni da tutto ciò che si presenta nella varietà di questa vita mortale, e come si possa trarre profitto spirituale da ogni cosa. In questa direzione Don Bosco plasmò la coscienza di sé e la percezione degli eventi e della storia umana

Nella stessa prospettiva indirizzò la formazione spirituale e morale dei giovani, come traspare continuamente dagli interventi educativi e dagli scritti. Basta leggere le Memorie dell’Oratorio e il Giovane provveduto. Don Bosco mirava, per se stesso e per gli altri a raggiungere lo stato interiore permanente che impregnasse i pensieri, unificasse gli affetti, orientasse le azioni. “ Pregare vuol dire innalzare il

proprio cuore a Dio e intrattenersi con lui per mezzo di santi pensieri e devoti sentimenti”, scriveva nell’anno 1868, nel “Cattolico provveduto” .

L’appello di Don Bosco a “darsi per tempo alla virtù”, s’intreccia con quello di “darsi tutto al Signore”, attraverso unmovimento di conversione che ingloba distacco dall’affetto al peccato e a se stesso, accettazione della realtà delle cose e delle persone, carità esercitata nella normalità quotidiana. La comunione d’amore con il Signore e il dialogo con lui si tesse nella trama delle occupazioni, della ferialità dell’esistenza vissuta con una buona dose d’entusiasmo, affrontata con spirito di sacrificio. Così diventa possibile rimanere in contemplazione di Dio anche nel vortice delle occupazioni. ( Aldo Girando)

NELLA FAMIGLIA SALESIANA

Don Bosco, era un uomo di grandi progetti e realizzazioni, ma era anche di preghiera e di profonda unione con Dio. Anche Madre Mazzarello era una donna di azione, che osava accusarsi di essere stata un quarto d’ora senza pensare a Dio.

Tanti hanno impostato il loro cammino di santità su questa profonda unificazione. La famiglia salesiana ha una larga schiera di salesiani e suore, laici e laiche, ragazzi e ragazze che hanno raggiunto vette alte di santità; molti sono già stati dichiarati santi o beati dalla Chiesa o di loro è in atto la causa di beatificazione. Di tutti si può dire che vissero costantemente uniti con Dio, nonostante il lavoro intensissimo.

Don Michele Rua, primo Rettor Maggiore dei Salesiani dopo Don Bosco, dal 1888 al 1910, era uomo di preghiera e di meditazione. Il suo confratello Giuseppe Cagliero, testimoniava : “notai in lui sempre un’unione continua con Dio, anche in mezzo alle sue molteplici occupazione”; una figlia di Maria Ausiliatrice fece questa deposizione: “ raccomandava a noi molto la preghiera e la meditazione e, più particolarmente di imparare a conversare familiarmente con Dio e di vivere così in continua unione con Dio, senza cui il lavoro non restava santificato e non viveva in noi lo spirito di Don Bosco”; e un altro confratello di Don Rua spiegava: “ la sua continua unione con Dio faceva si che ne adorasse i santissimi voleri in ogni avvenimento o lieto o triste, e che cercasse con ogni diligenza di conoscere la volontà di Dio per uniformarsi ad essa esattamente in tutte le sue imprese e azioni”.

Don Filippo Rinaldi, Rettor Maggiore dei Salesiani dal 1921 al 1931, era un sacerdote di profonda unione con Dio. Uno dei testimoni del processo apostolico affermò: “Don Rinaldi a chi loosservava dava l’impressione di un uomo in continua unione con Dio. Forse è questa sua profonda vita interiore che gli alimentava quella calma serena, dolce e mansueta, che lo rendeva sempre uguale a se stesso, sempre sanamente ottimista come Don Bosco”. E Don Vigano Rettor Maggiore dei Salesiani dal 1977 al 1995, così scriveva di Don Rinaldi: “ ha immedesimato alla massima perfezione la sua attività esterna, indefessa assorbente, vastissima, piena di responsabilità, con una vita interiore che ebbe principio dal senso della presenza di Dio… e che, un po’ alla volta, divenne attuale, persistente e viva, così da essere perfetta unione con Dio”.

Di Domenico Savio, Don Bosco stesso dice: “Il suo spirito era così abituato a conversare con Dio, che in qualsiasi luogo, anche in mezzo ai più clamorosi trambusti, raccoglieva i suoi pensieri e … sollevava il cuore a Dio”

Di Francesco Besucco, sempre Don Bosco racconta: “ Era così amante della preghiera, ed erasi ad essa cotanto abituato che… nel medesimo tempo di ricreazione non di rado si metteva a pregare e, come trasportato dai moti involontari, talvolta a scambiare i nomi dei trastulli in giaculatorie” ; e indica il “grado di elevata perfezione” che questi ingenui fervori facevano trapelare, “dimostrando quanto il suo cuore si dilettasse” nella preghiera e “quanto egli fosse padrone di raccogliere il suo spirito per elevarlo al Signore”.

Di Laura Vicina, il suo confessore Don Crestarello testimoniò: “Per me, soleva dire, pregare o lavorare è la medesima cosa; è lo stesso pregare o giocare, pregare o dormire. Facendo quello che comandano, compio quello che Dio vuole che io faccia, ed è questo che io voglio fare; questa è la mia migliore orazione…. Dovunque mi trovo, sia in classe, sia in cortile, questo ricordo (della presenza di Dio) mi accompagna, mi aiuta e mi conforta.

L’unione con Dio testimoniata dalla vita di tanti Salesiani, Figlie di Maria Ausiliatrice, laici e laiche è sempre stata presentata come fondamentale per la spiritualità salesiana. Secondo Don Vigano è “il segreto del nostro spirito”. La raccomandano continuamente le costituzioni dei Salesiani, delle Figlie di Maria Ausiliatrice, dei Cooperatori. Il regolamento di questi ultimi, per esempio, dice che il Cooperatore salesiano “innesta la sua azione nell’unione con Dio. Senza unione con Cristo, non può far niente di buono per la sua anima. Si impegna quindi generosamente nell’unione con Dio”. Nella “Carta di comunione” del 1995, il lungo articolo 20 è dedicato all’unione con Dio. L’articolo, dopo aver asserito che “Don Bosco è stato definito l’unione con Dio” e che “l’unione col Signore” è la preghiera di Don Bosco, dice che questa è una realtà che la famiglia salesiana intende approfondire, per comprendere l’intensità orante del “da mihi animas” . Asserisce poi che per S. Francesco di Sales e per D. Bosco la meta finale della preghiera era l’unione con Dio nella “vita nuova” per giungere a ripetere con verità la frase di San Paolo: “Vivo, ma non più io; è Gesù che vive in me” (Gal 2, 20). E conclude dicendo che la preghiera salesiana, che aiuta ad uscire da sé per realizzare l’unione con Dio nell’”estasi della vita e dell’azione”, sfocia nella carità, nell’azione apostolica, nella quale si concretizza, si manifesta, cresce e si perfezione. (Spiritualità Salesiana p. 628 )

ORAZIONE VITALE, LITURGIA DELLA VITA

Le salesiane hanno aperto il loro capitolo costituzionale che porta il titolo «La nostra preghiera», con questa considerazione: «Per la grazia della nostra adozione a figli, lo Spirito Santo prega in noi, intercede con insistenza per noi (cf Rm 8,26) e ci invita a dargli spazio perché possa - at- traverso la nostra voce - lodare il Padre e invocarlo per la salvezza del mondo» (art. 37a). Lo «spirito di preghiera», frutto della grazia divina, atteggiamento dell'anima abitualmente rivolta a Dio e unita a Lui, che perciò prova il gusto e il desiderio di

pregare, è naturale per il vero discepolo di don Bosco. Don Bosco stesso l'aveva ammirato a un grado raro, prima in san Luigi Gonzaga e poi nei suoi allievi Domenico Savio e Francesco Besucco. Di Domenico Savio, modello spirituale dei suoi ragazzi, aveva notato che «l'innocenza della vita, l'amor verso Dio, il desiderio delle cose celesti [ne] avevano portato la mente a tale stato che si poteva dire abitualmente assorto in Dio». Le giaculatorie nel cuore della giornata possono creare nell'anima questo stato di preghiera permanente, trasformando in preghiera ogni atto, fatto per amore del Signore. San Francesco di Sales chiamava «orazione vitale» questo tipo di comportamento: «Tutte le azioni di coloro che vivono nel timore di Dio sono delle preghiere continue, e ciò si chiama preghiera vitale». E ne dava come esempio: le mortificazioni di astinenza, l'elemosina, la visita dei malati e «tutte le analoghe buone opere». Spirito di preghiera o orazione vitale, poco importa: il discepolo di Francesco di Sales e di don Bosco, che vive, come questi due santi, di fede e di carità, associa orazione abituale e azione quotidiana. Docile all'azione dello Spirito Santo, «persevera nella preghiera» come faceva la Vergine Maria, per intensificare la sua comunione con Dio e per aprirsi a Cristo «presente nei fratelli e in ogni altra realtà», seguendo l'invito delle costituzioni rinnovate delle figlie di Maria Ausiliatrice (art. 37b). Pratica la «liturgia della vita» secondo l'espressione apparsa nel mondo salesiano con il capitolo generale speciale del 1971-1972. Quanto a loro, le salesiane assicurano che «l'impegno del "da mihi animas", fonte di sempre nuove energie, il silenzio che si fa attenzione allo Spirito, le invocazioni brevi e frequenti faranno della [loro] giornata una liturgia vissuta in semplicità e letizia come "lode perenne" al Padre» (art. 48c).(Desramaut : Spiritualità Salesiana - pag. 480)

UNIONE CON DIO OGGI

Oggi in un mondo spesso appiattito e soffocato nelle sue esigenze spirituali dall’attivismo, che

sembra aver il sopravvento sull’interiorità, in cui si privilegia il fare sull’essere, le opere sulla persona, le immediate urgenze alla esigenze del Regno di Dio, è necessario crescere nella consapevolezza del primato dell’interiorità e coltivare l’arte della vita interiore. La vita di unione con Dio è oggi particolarmente necessaria. Più si diventa persone di preghiera continua, di unione con Dio, più si è capaci di responsabilità e di apertura agli altri. Si attua così quella singolare sintesi del carisma salesiano che chiama ad essere contemplativi nell’azione. ( Pina de Core )

Perchè posso esserci una vita di unione Dio è essenziale la scelta fondamentale per il Signore, per una vita vissuta secondo la sua volontà. Serve l’amore come liberazione di ogni chiusura su di sé o su un oggetto determinato e come apertura verso Dio e Gesù Cristo. Ed è indispensabile l’umiltà, come abbandono di sé alla misericordia di Colui che ama, perché nessuno può sentirsi degno e capace di unione con Dio, e perché tutti abbiamo bisogno del suo perdono .

Per una vita di unione con Dio è inoltre necessario avere spazi di tempo quotidiano consacrati esplicitamente al dialogo con il Signore con determinate pratiche, come la meditazione della Parola

di Dio, la recita della liturgia delle Ore, la lettura spirituale, il santo Rosario, partecipare devotamente alla celebrazione dell’Eucaristia, accostarsi al sacramento della Riconciliazione, ed avere alcuni momenti forti, come i ritiri mensili e gli esercizi spirituali annuali.

Bibliografia

Capitoli Generali Costituzione Società di S.F. Sales SDB A. vari Progetto di vita Salesiani D. Bosco SDB Card. C. Salotti Il Santo Giovanni Bosco SEI Francis Desramaut Spiritualità salesiana LAS A. Vari Dizionario di mistica LEV Aldo Girando Don Bosco ci insegna a pregare

(Quaderni di spiritualità 1) UPS Pina del Core Pregare fa problema?

(Quaderni di spiritualità ) UPS

Da mihi animas cetera tolle

IL MOTTO DI DON BOSCO

Il motto: “Da mihi animas cetera tolle” fu adottato da Don Bosco fin dai primi tempi della suo impegno apostolico al servizio dei giovani. Nel 1884, quando venne confezionato lo stemma ufficiale della Società Salesiana, che porta sul lato destro un busto con S. Francesco di Sales, sul lato sinistro un cuore fiammeggiante, in cima una stella, sotto l’ancora e un boschetto sullo sfondo di alte montagne, alla base un fascio di palme e un fascio di alloro, intrecciati tra loro che abbracciano lo scudo fino al vertice, su suggerimento di Don Bosco stesso, la scritta “Da mihi animas cetera tolle” fu posta ai piedi dello scudo . Il motto è la traduzione latina di Genesi 14, 21b. Quella ufficiale italiana della Cei è : “ Dammi le persone; i beni prendili per te”, la nuova della S. Paolo è: “ Dammi le persone, e le possessioni prendile pure per te”, l’interconfessionale Abu-Ldc: “Restituiscimi i miei uomini e tieniti pure il bottino di guerra”

L’espressione si trova al termine del capitolo 14 della Genesi, dove viene raccontata l’invasione da parte di una coalizione mesopotamica della zona presso il Mar Morto. E’ detto che gli invasori razziarono “tutti i beni di Sodona e Gomorra e tutti i loro viveri e se ne andarono”, portando via prigioniero anche Lot, nipote di Abramo. Il racconto continua dicendo che si formò subito una piccola coalizione, di cui faceva parte Abramo, che poteva contare su 318 dipendenti. Abramo sorprese i razziatori di notte, ”ricuperò tutta la roba e anche Lot suo parente, i suoi beni, con le donne e il popolo” Al suo ritorno a Sodoma, il re Bela gli disse di tenersi tutto il bottino e chiese di avere solo i servi e i soldati riscattati, indicati in ebraico col termine “nefes”, che fu tradotto in latino con “animas”. Abramo rifiutò il bottino, che pure gli era dovuto, e reclamò solo quanto spettava agli alleati che erano andati con lui.

L’ESSERE UMANO

Il termine “anima “ rimanda alla visione che dell’essere umano, aveva il popolo ebraico, che veniva progressivamente illuminato della Rivelazione. La lettera agli Ebrei dice: “ Dio che nel mondo antico ha parlato molte volte e in molte maniere ai padri nei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi nel suo Figlio” ( Eb 1, 1-4). Dio ha parlato “molte volte” e “in molte maniere”, con una rivelazione progressiva e unitaria. Il rivelatore è stato sempre lo stesso Dio; le “molte volte” e le “molte maniere” sono frammenti complementari di un unico discorso a tappe, di un’unica storia, incamminata verso il compimento, che è la rivelazione “nel Figlio”. Cristo è la perfetta manifestazione di Dio e in lui la rivelazione trova il compimento. Per comprendere la visione di uomo degli Ebrei alla luce della rivelazione progressiva, è utile vedere la concezione che avevano della condizione umana dopo la morte. Nei primi tempi della sua storia, il popolo ebraico, come gli altri popoli, non ne ha avuto un’idea positiva; come appare chiaramente da asserzioni come le seguenti: “ non ci sarà né attività, né ragione, né scienza, né sapienza negli inferi, dove stai per andare” (Qo, 9,10) ; “ nel paese dell’oblio” ( Sl 88, 13); “soltanto i suoi dolori egli sente e piange sopra di sé” ( Gb 14, 22) . Più tardi la rivelazione rischiara la vita ultraterrena e allora la Bibbia afferma: “ non abbandonerai la mia vita nel sepolcro” ( Sl 16, 8 ) “ io sono con te sempre… chi altri avrò per me in cielo” ( Sl 73, 23-28 ) ; “agli occhi degli stolti parve che morissero-… ma essi sono nella pace” (Sap. 2, 24,3-8 ) . Con Gesù la rivelazione è completa. Egli dice, tra l’altro: “se uno osserva la mia parola non vedrà mai la morte”( Gv 8, 5 ); “chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6, 24) e al buon ladrone dà l’assicurazione:” oggi sarai con me nel paradiso “. (Mt 23, 43) Nella Bibbia l’uomo è visto come una realtà complessa e sfaccettata. Gli Ebrei lo consideravano come essere vivente, soggetto mondano, dotato di una scintilla divina vitale, in relazione con Dio, con gli altri, con il mondo. Lo presentavano contemporaneamente come “nefes” (= essere vivente), “basar” ( = corpo ), “ruah” ( = principio vitale ). Nel greco biblico i termini diventano : “ psyche ( = nefes ), “sarx” ( = basar), “pneuma” (ruah) .

In un secondo tempo, per l’influsso greco, l’uomo venne presentato come composto da due realtà: “psiche” ( = anima), “soma” (=corpo). Questi termini, che sottolineano la doppia realtà nell’unicità dell’essere umano, contemporaneamente spirito e corpo, qualche volta hanno fatto correre il rischio di accettare la visione di uomo che esisteva nel mondo greco, in cui l’anima aveva un’importanza primaria ed era prigioniera di un corpo, di cui si liberava con la morte e hanno fatto mettere l’accento più sull’anima che sul corpo. Oggi si cerca di rivedere con più chiarezza alla luce di tutta la Scrittura i termini che indicano l’uomo e si usa un linguaggio che fa riferimento alla persona umana.

L’ANIMA NELLA SPIRITUALIA DI D. BOSCO

La spiritualità salesiana, quella di San Francesco di Sales, come quella di Don Bosco ha sempre prestato grande attenzione all’anima e non ha trovato nessun problema a vedere l’anima distinta dal corpo. Nella vita di S. Domenico Savio D. Bosco scrive : “ Va pure, anima fedele al tuo creatore. Il cielo ti è aperto, gli angioli e i santi ti hanno preparato una grande festa; quel Gesù che tanto amasti t’invita e ti chiama dicendo: “Vieni servo buono e fedele, vieni, tu hai combattuto, hai riportato vittoria, ora vieni in possesso di un gaudio che non ti mancherà mai più: entra nel gaudio del tuo Signore””.

La spiritualità di D. Bosco ha certamente avuto stima del corpo, ma ha professato la più grande ammirazione per l’anima. In una istruzione del “Mese di Maggio” Don Bosco ha scritto : “ Dio creò il corpo con quelle belle qualità che noi in esso rimiriamo; a questo corpo ha unito un’anima che è di gran lunga più preziosa del corpo e di tutte le altre cose che vediamo nel mondo” . Il suo prezzo deriva dalla sua somiglianza con Dio, che gli ha influsso la vita con il soffio della sua bocca. La preoccupazione per la salvezza delle anime era al centro della vita di Don Bosco. Scriveva, tra l’altro: “ O cristiano, che pure hai l’anima immortale, pensa che se la salvi tutto è salvato, ma se la perdi tutto è perduto. Hai un’anima sola, un solo peccato te la può far perdere. Che sarebbe di noi e dell’anima se in questo momento Dio ci chiamasse al suo divino tribunale? Tu che leggi pensa all’anima tua, ed io che scrivo penserò seriamente per la mia”. Don Paolo Albera , che fu Rettor Maggiore dei Salesiani dal 1910 al 1921, in una lettera ai Salesiani ha scritto di Don Bosco: “Salvare le anime! Fu la parola d’ordine che egli volle impressa nello stemma della sua Congregazione, fu, si può dire, l’unica sua ragione d’essere: s’intende salvare prima l’anima propria poi quella degli altri”.

ANIMA-PERSONA

Nel XX secolo sono cambiate tante cose, il linguaggio ha avuto un’evoluzione e anche il termine “anima” ha avuto una rilettura.

E’ stato rifiutata con forza la visione ellenistica che considerava l’uomo come un composto di un’anima, principio del bene e della promozione, destinata a vivere per sempre e di un corpo principio del male e del decadimento, destinato alla fine con la morte. Anche il mondo cristiano ha subito la tentazione di seguire almeno in parte questa visione di uomo che svaluta il presente, la storia umana, il vero progresso e anche la speranza che è ridotta alla sola certezza dell’immortalità dell’anima. Questa non è certamente la visione della Rivelazione, che dice ben altro: stima l’anima e vede il corpo buono in sé e destinato a risorgere.

Oggi l’essere umano è visto come una persona creata a immagine e somiglianza di Dio, che unifica la creatura umana. E la dottrina dell’anima è ripensata in vista della persona. Questo cambiamento è anche espresso dal linguaggio attuale che col termine “anima” indica la persona, come, per esempio, si nota in espressioni correnti come : “non c’è anima viva”, in cura di anime”, ecc.

Questa visione è in linea con l’antropologia della Bibbia, in cui “l’uomo è creatura di Dio ( Gn 1, 27 s; 2, 7 ) e gode di una condizione privilegiata ( Sl 8, 6-8 ). Egli è una totalità, non un “composto” di anima e di corpo (“psiche” ( = anima), “soma” (=corpo) ): questi due termini non indicano due parti, due modi di essere di tutto l’uomo . Egli non “ha” l’anima”, ma è anima, cioè un essere vivente, non “ha” la carne, ma è carne, cioè un essere che passa e che spera. Quando perciò il corpo e l’anima si trovano nominate l’una accanto all’altra ( per es. in Sl 84, 3 ), non indicano due parti, ma due aspetti della condizione umana, oppure costituiscono due concetti equivalenti, che nella poesia ebraica si alternano per il parallelismo ( es Sl 63, 2 ) ( Diz. biblico: e. paol. pag 33 )

Anche la morte, nel linguaggio attuale, viene “detta” un modo diverso dal passato . La Conferenza episcopale tedesca scriveva nel 1994: “ La dottrina della separazione dell’anima e del corpo è compresa di frequente in una maniera dualistica, come se si trattasse di due parti della persona umana capaci di esistere totalmente indipendenti l’una dall’altra, Al contrario occorre dire che né il corpo è il solo involucro dell’anima, né l’anima è mai completamente incorporea. Benché il segreto della vita dopo la morte sia e resti un segreto di Dio, noi speriamo, confidando nella fede, che la nuova vita presso Dio è in rapporto con la maniera di vivere della sua esistenza terrestre, con l’identità della persona e in continuità con essa. Tale continuità della persona nella morte è resa possibile dal fatto che l’io personale, il suo proprio essere, il cuore della persona sussistono”. Possiamo dire che l’uomo è una persona unitaria, con un io personale, dotato di coscienza e di volontà, e un corpo che ha contatti con gli altri esseri, che con la morte l’io personale, continua a sussistere, mentre si perdono i rapporti sensibili con il mondo umano e naturale e che nell’ultimo giorno “ lo Spirito… darà la vita ai nostri corpi mortali” (Rm 8, 10). L’asserzione usuale: “nella morte le anime sopravvivono e i corpi risusciteranno alla fine dei tempi” è corretta, se è compresa in linea con l’antropologia biblica.

L’ANIMA OGGI NEL LINGUAGGIO SALESIANO

Passando dal linguaggio dell’ottocento a quello attuale si può asserire, col Rettor Maggiore dei Salesiani D. Vigano, che nella tradizione salesiana “il termine “anima” sottolinea tutti i tratti più significativi e validi della persona umana e del suo contesto sociale” (ACS 332:1989 ). E con il suo successore D. Vecchi : “ il commento migliore al significato del “da mihi animas” non è un florilegio di citazioni o aneddoti, ma la vita di Don Bosco in cui emergono: il senso della paternità di Dio e la fiducia nella grazia di Cristo Redentore che ha un bel progetto di vita per ciascun giovane, iscritto già nella sua esistenza, anche se tante volte coperto da esperienze negative; un ardente desiderio di far conoscere e gustare ai giovani questa loro possibilità, affinché avessero un vita felice, illuminata dalla fede in questo mondo e “salva” per tutta l’eternità; il darsi da fare, l’impegnare tutte le proprie forze e mezzi in questo proposito, anche quando si trattasse di un sol giovane, una sola anima” ( Strenna 1996 ) . L’anima è la persona, e nell’impegno salesiano in particolare è il giovane.

DA MIHI ANIMAS CETERA TOLLE

Nell’articolo 4 delle Costituzioni Salesiane si legge: “ Don Bosco, ispirandosi alla bontà e allo zelo di San Francesco di Sales, ci ha dato il nome di Salesiani e ci ha indicato un programma di vita nella massima “ Da mihi animas, cetera tolle “ e nell’articolo 14: “La nostra vocazione è segnata da uno speciale dono di Dio, la predilezione per i giovani: “ “Basta che siate giovani, perché io vi ami assai”. Questo amore, espressione della carità pastorale, dà significato a tutta la nostra vita. Per il loro bene offriamo generosamente tempo, doti e salute: “ Io per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo, per voi sono disposti a dare la vita” “.

Il programma è valido per tutti i Salesiani in ogni stagione della vita. Non solo per coloro che per età o per salute si trovano pieni di energia, ma anche per gli anziani e gli ammalati. La passione del “da mihi animas” significa il fuoco della carità. Essa non esprime solo nell’instancabile operosità educativa pastorale, ma si manifesta pure nella pazienza e nella sofferenza, che nella croce di Cristo assumono valenza salvifica.

UNA PROFONDA RIFLESSIONE

Il motto di Don Bosco è la sintesi della mistica e dell’ascetica salesiane e la presentazione della fisionomia di ogni autentico figlio di Don Bosco, la cui vita deve essere costituita da convinzioni profonde e dalla sequela di Cristo con uno stile obbediente povero e casto, con fede, speranza, coraggio, consegna totale alla missione, instancabile operare “per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, alla maniera del fondatore dei Salesiani. E’ un programma sul quale è opportuno riflettere spesso. E ciò che ha fatto la Congregazione Salesiana in particolare nel XXVI Capitolo Generale, che è stato celebrato nel 2008 e che ha avuto tema proprio: “ Da mihi animas, cetera tolle. “Il Capitolo Generale è “il principale segno dell’unità della Congregazione nella diversità. E’ l’incontro fraterno nel quale i Salesiani compiono una riflessione comunitaria per mantenersi fedeli al Vangelo e al carisma del fondatore e sensibili ai bisogni dei tempi e dei luoghi (Costituzioni: art 146) .... “detiene nella Società l’autorità suprema e la esercita a norma di diritto“ (art 147 ). Al Capitolo partecipano i rappresentanti di tutti i Salesiani e si raduna di norma ogni sei anni.

Il Rettor Maggiore dei Salesiani Don Pascual Chàves Villanueva prima del 26° capitolo, nell’estate del 2006, in una lettera inviava a tutti i Salesiani, in cui, tra l’altro, scriveva: “Il tema del CG26 risulta fortemente provocante e stimolante. Il “ Da mihi anima, cetera tolle” porta il confratello e la comunità alla sorgente dell’essere consacrati, in particolare al cuore della missione, che altro non è che essere totalmente presi da Dio così da diventare sua presenza trasfigurante tra i giovani. La passione per Dio e la passione per l’umanità, che la vita consacrata si sente oggi chiamata a suscitare, trova nel programma di Don Bosco del “da mihi animas” una perfetta traduzione salesiana” ( ACG: luglio-settembre 2006 )

In quella lettera Il Rettor Maggiore faceva sul motto salesiano le seguenti riflessioni:

DA MIHI ANIMAS

“Il “ da mihi animas” pone al centro della vita del consacrato salesiano il senso della paternità di Dio, le ricchezze della morte e risurrezione di Cristo e la potenza dello Spirito Santo, che sono donate a ogni giovane. Nello stesso tempo sollecita in lui l’ardente desiderio di far conoscere e gustare ai giovani queste loro possibilità, perché abbiano una vita felice, illuminata dalla fede in questo mondo, e l’abbiano salva per l’eternità. Lo spinge a darsi da fare, a impegnare tutte le forze e tutti i mezzi, anche quando si tratta di un solo giovane, di una sola anima”.

Per D. Bosco la prima parte del motto “ da mihi animas” esprime lo zelo per la salvezza delle anima. In un frammento della sua storia dell’anima del 1854, Don Bosco confessa il suo segreto circa la finalità dell’ azione : “ Quando mi sono dato a questa parte di sacro ministero intesi consacrare ogni mia fatica alla maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime, intesi di adoperarmi per fare dei buoni cittadini in questa terra, perché fossero poi un giorno degni abitatori del cielo”. L’articolo 21 delle Costituzioni dice di Don Bosco : “Egli non fece passo e non pronunziò parola che non avesse di mira la salvezza dei giovani… Realmente non ebbe a cuore altro che le anime.”

Questo zelo per la salvezza delle anime si concretizza oggi in particolare nell’urgenza di evangelizzare e nella necessità di convocare vocazioni alla vita consacrata salesiana.

E’ prioritario che la Congregazione scelga principalmente di assumere il compito dell’evangelizzazione nel campo dell’educazione. D’altra parte, là dove vengono assunti compiti diretti nell’evangelizzazione, non si può non educare; in particolare non è possibile per i Salesiani una catechesi senza educazione.

Perché l’opera salesiana continui è necessaria la presenza di laici impegnati nell’educazione ed evangelizzazione dei giovani, e, perché il carisma vada avanti, è indispensabile che ci sia un nucleo forte e significativo di salesiani sia sacerdoti che coadiutori.

CETERA TOLLE

Il “cetera tolle” motiva il consacrato salesiano a prendere le distanze dal “ modello liberale” di vita oggi in voga. L’attribuzione della crisi alla cultura imperante, cioè a fattori quali il secolarismo, il consumismo, l’edonismo, non è sufficiente. La vita consacrata storicamente nasce come proposta alternativa, movimento contro-culturale, contestazione e ripresa della fede in situazione di stallo. E’ la debolezza di motivazioni e di identità di fronte al mondo che oggi la rende fragile.

Per Don Bosco “cetera tolle” significa il distacco da quanto può allontanare da Dio e dai giovani. Per noi si concretizza oggi in particolare nella povertà evangelica e nella scelta di andare incontro ai giovani più “poveri”, abbandonati, pericolanti”, essendo sensibili alle nuove povertà e collocandoci nelle nuove frontiere dei loro bisogni.

CG 26

Sui temi del motto “ da mihi animas cetera tolle”, i Salesiani hanno tenuto il ventiseiesimo Capitolo generale della Congregazione, dal 23 Febbraio al 12 Aprile 2008 Nel presentarne gli Atti, il Rettor Maggiore ha detto , tra l’altro: “Il motto: “da mihi anima cetera tolle” può essere compreso pienamente conoscendo la vita e l’opera del nostro amato Padre e Fondatore Don Bosco. Si tratta infatti di un progetto personale di vita, che viene espresso come preghiera personale. Esso deve essere interpretato alla luce della dedizione apostolica, della creatività pastorale, del lavoro instancabile, in una parola della mistica apostolica di Don Bosco, ma anche delle rinunce affrontate, delle numerose difficoltà superate, degli impegni sostenuti da Don Bosco, della sua ascetica. Il soggetto implicito di questo motto è Don Bosco, il primo nucleo “ripartire da Don Bosco” lo rende manifesto e lo pone a fondamento di tutto il resto.

Il “da mihi animas” si traduce nell’impegno di evangelizzare i giovani, specialmente i più poveri. Infatti la passione apostolica di Don Bosco e del salesiano si esprime immediatamente nella capacità di cogliere le urgenze dell’evangelizzazione e di operare perché a tutti sia fatto dono di Gesù Cristo e del suo Vangelo. Nell’azione evangelica trasmettiamo la passione apostolica anche ai laici, alle famiglie e soprattutto ai giovani; ad essi in particolare abbiamo il coraggio di proporre la vita consacrata salesiana, al seguito di Gesù sui passi di Don Bosco, non come una possibilità di realizzazione personale tra altre, ma come una chiamata di Dio.

Il “cetera tolle” ci rende disponibili a lasciare tutto ciò ci impedisce di andare là dove ci sono le più gravi necessità dei giovani: le nuove frontiere della missione salesiana. Il Vangelo e buona notizia per i poveri e viene proclamata da poveri. I bisogni più impellenti dei giovani sono le povertà materiali, ma anche quelle affettive, culturali, spirituali; esse ci chiamano ad una disponibilità radicale e al lasciare da parte tutto il resto. Le povertà dei giovani ci chiedono anche di essere solidali con loro, di condividere con loro una vita semplice e povera, di mettere a loro disposizione le risorse che abbiamo.-

Le sfide della post-modernnità ci chiamano a superare la frammentazione della nostra via e della nostra cultura. Per questo il tema del CG26 ci deve aiutare a vivere in grazia di unità, ossia a cogliere il dono dell’unificazione della nostra vita, ad assumere il programma di vita spirituale e pastorale di Don Bosco come criterio di unità, a tradurlo operativamente nelle nostre scelte personali e comunitarie” Il Rettor Maggiore ha presentato le conclusioni del CG26 come una carta di navigazione verso il Giubileo del 2015, secondo centenario della nascita di Don Bosco . Ha detto: “Eccomi qui, carissimi confratelli, a consegnarvi il frutto di questo CG 26, di cui siete stati protagonisti. Vi consegno sì un documento, che sarà come la nostra carta di navigazione per il sessennio 2008-2014, ma vi consegno soprattutto lo spirito del CG 26. Esso ha voluto essere un’intensa esperienza pentecostale per un profondo rinnovamento della nostra vita e missione. Esso rappresenta dunque per tutti i Salesiani la piattaforma di lancio verso il grande Giubileo del 2015”. .

Santità

DUE SIGNIFICATI DEL TERMINE “SANTITA”

Come molti altri termini, quello di “santità” presenta molteplici aspetti. Nel suo significato corrente, la santità è lo stato di un santo o di una santa riconosciuti come tali dalla Chiesa cattolica. Gli agiografi da tempo si sono premuniti dall’usare questo vocabolo nei loro scritti prima dell’annunzio ufficiale della canonizzazione dei loro eroi. Parlare di santità sembra avviare al culto, a rischio di ritardare la procedura di canonizzazione. Ma nella cattolicità del XX secolo, un altro significato è entrato nel linguaggio ordinario, per influsso degli studi biblici. Propriamente parlando solo Dio è santo, santità equivale dunque a divino, la santità è lo stato di ciò che proviene da Dio. Il Nuovo Testamento conosce solo questo significato. Da esso deriva un’idea sommaria di santità cristiana. La santità dei cristiani esige da loro la rottura con il peccato e i costumi pagani . ( 1 Ts 4, 3 ). Essi devono agire “ con la santità che viene da Dio, non con la

sapienza della carne” ( 2 Cor 1.12 ) . I cristiani, “afferrati da Cristo” cercano “la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione”. ( Fil 3, 10-14 ) ( Desramaut : Spiritualità salesiana pag 555 )

VOCAZIONE UNIVERSALE ALLA SANTITA

Il Signore Gesù, maestro e modello divino di ogni perfezione, a tutti e a ciascuno dei suoi discepoli di qualsiasi condizione ha predicato quella santità di vita, di cui egli stesso è autore e perfezionatore: «Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste» (Mt 5,48) Mandò infatti a tutti lo Spirito Santo, che li muova internamente ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente, con tutte le forze (cfr Mc 12,30), e ad amarsi a vicenda come Cristo ha amato loro (cfr. Gv 13,34; 15,12). I seguaci di Cristo, chiamati da Dio, non a titolo delle loro opere, ma a titolo del suo disegno e della grazia, giustificati in Gesù nostro Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Essi quindi devono, con l'aiuto di Dio, mantenere e perfezionare con la loro vita la santità che hanno ricevuto. Li ammonisce l'Apostolo che vivano « come si conviene a santi » (Ef 5,3), si rivestano «come si conviene a eletti di Dio, santi e prediletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di dolcezza e di pazienza » (Col 3,12) e portino i frutti dello Spirito per la loro santificazione (cfr. Gal 5,22; Rm 6,22). E poiché tutti commettiamo molti sbagli (cfr. Gc 3,2), abbiamo continuamente bisogno della misericordia di Dio e dobbiamo ogni giorno pregare: « Rimetti a noi i nostri debiti » (Mt 6,12) È dunque evidente per tutti, che tutti coloro che credono nel Cristo di qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità e che tale santità promuove nella stessa società terrena un tenore di vita più umano. Per raggiungere questa perfezione i fedeli usino le forze ricevute secondo la misura con cui Cristo volle donarle, affinché, seguendo l'esempio di lui e diventati conformi alla sua immagine, in tutto obbedienti alla volontà del Padre, con piena generosità si consacrino alla gloria di Dio e al servizio del prossimo. Così la santità del popolo di Dio crescerà in frutti abbondanti, come è splendidamente dimostrato nella storia della Chiesa dalla vita di tanti santi .( Lumen gentium 40 )

MISURA ALTA DELLA VITA ORDINARIA

E in primo luogo non esito a dire che la prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità. …. Occorre riscoprire, in tutto il suo valore programmatico, il capitolo V della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, dedicato alla « vocazione universale alla santità ». Se i Padri conciliari diedero a questa tematica tanto risalto, non fu per conferire una sorta di tocco spirituale all'ecclesiologia, ma piuttosto per farne emergere una dinamica intrinseca e qualificante. La riscoperta della Chiesa come « mistero », ossia come popolo « adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito », non poteva non comportare anche la riscoperta della sua « santità », intesa nel senso fondamentale dell'appartenenza a Colui che è per antonomasia il Santo, il « tre volte Santo » (cfr Is 6,3). Professare la Chiesa come santa significa additare il suo volto di Sposa di Cristo, per la quale egli si è donato, proprio al fine di santificarla (cfr Ef 5,25-26). Questo dono di santità, per così dire, oggettiva, è offerto a ciascun battezzato. Ma il dono si traduce a sua volta in un compito, che deve governare l'intera esistenza cristiana: «Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione» (1 Ts 4,3). È un impegno che non riguarda solo alcuni cristiani: «Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità». Ricordare questa elementare verità, ponendola a fondamento della programmazione pastorale che ci vede impegnati all'inizio del nuovo millennio, potrebbe sembrare, di primo acchito, qualcosa di scarsamente operativo. Si può forse « programmare » la santità? Che cosa può significare questa parola, nella logica di un piano pastorale? In realtà, porre la programmazione pastorale nel segno della santità è una scelta gravida di conseguenze. Significa esprimere la convinzione che, se il Battesimo è un vero ingresso nella santità di Dio attraverso l'inserimento in Cristo e l'inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all'insegna di un'etica minimalistica e di una religiosità superficiale. Chiedere a un catecumeno: « Vuoi ricevere il Battesimo? » significa al tempo stesso chiedergli: « Vuoi diventare santo? ». Significa porre sulla sua strada il radicalismo del discorso della Montagna: « Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste » (Mt 5,48). Come il Concilio stesso ha spiegato, questo ideale di perfezione non va equivocato come se implicasse una sorta di vita straordinaria, praticabile solo da alcuni « geni » della santità. Le vie della santità sono molteplici, e adatte alla vocazione di ciascuno. ….È ora di riproporre a tutti con convinzione questa « misura alta » della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione. È però anche evidente che i percorsi della santità sono personali, ed esigono una vera e propria pedagogia della santità, che sia capace di adattarsi ai ritmi delle singole persone. Essa dovrà integrare le ricchezze della proposta rivolta a tutti con le forme tradizionali di aiuto personale e di gruppo e con forme più recenti offerte nelle associazioni e nei movimenti riconosciuti dalla Chiesa. ( Novo Millennio ineunte 30-31 )

NELLA TRADIZIONE SALESIANA

La tradizione salesiana è stata marcata, successivamente, dai due significati della parola santità. Don Bosco parlava spesso di “santità” . Diceva che Dio vuole tutti santi, anzi che è sua volontà che tutti diventino santi; che chi desidera fare la volontà di Dio desidera diventare santo; che di per sé la santità non è complicata , anzi è facile, che la santità non è tristezza . “E’ volontà di Dio che ci facciamo tutti santi; è assai facile riuscirvi; è un gran premio preparato in cielo per chi si fa santo”. Questa asserzione di Don Bosco fu la scintilla che spinse Domenico Savio, poi canonizzato dalla Chiesa, a diventare santo. Don Bosco si attendeva tutto dal Signore nella preghiera e nei sacramenti, soprattutto dalla penitenza e dall’Eucaristia. . Tuttavia era anche convinto che la santità non è concessa agli addormentati, ai semplici gaudenti e tanto meno ai viziosi, pensava che la santità richiede sforzi vigorosi, che assieme alle virtù, la generano. Nella tradizione salesiana si continuerà a parlare di santità, ma sembra che i successori immediati di Don Bosco abbiano sottolineassero piuttosto la “santità” dei santi canonizzati. E abbiamo raccomandato ai loro religiosi con forza la ricerca della “perfezione”, che era richiesta dal loro stato. Saranno necessari gli insegnamenti del Vaticano II per sentire di nuovo inviti salesiani alla santità per tutti . Dopo il Concilio nella Congregazione salesiana si sono sempre più succeduti gli inviti a quella sanità che Giovanni Paolo II dice essere “ la misura lata della vita cristiana ordinaria”. All’inizio del terzo millennio per i Salesiani e le Salesiane la “santità” è come nella Chiesa delle origini, quella dei fedeli di Gesù, detti “santi” perché figli di Dio Padre e fratelli o sorelle in Cristo , ai quali il Vangelo traccia un programma di imitazione di Gesù di per sé terribilmente esigente. ( idee tratte da : Desramaut : Spiritualità salesiana pag 555 ss )

UNA MOLTITUDINE DI SANTI

Nella “Carta di comunione della Famiglia Salesiana” è scritto: “Dio ha mostrato un grande amore verso la Famiglia Salesiana di Don Bosco arricchendola con la santità. Sacerdoti, laici e consacrati, giovani ed adulti della Famiglia, membri impegnati in educazione e in evangelizzazione, costruttori del quotidiano e apostoli chiamati all`eroismo del martirio trovano ricchezza di ispirazione tra i nostri Santi. É ammirevole ciò che la grazia dello Spirito Santo opera nei cuori di coloro che lo accolgono e si rendono a Lui disponibili! Diffondendo il suo amore spinge alla carità perfetta e all’unione sempre più profonda tutti coloro che accolgono il suo dono La comunione che intendiamo realizzare come Famiglia ha nella santità, ricercata con costanza, l`aspetto più ricco della nostra condivisione. (C.c.f.s art. 38) Nella larga schiera di seguaci di Don Bosco che sono “santi” perché figli di Dio e che si impegnano per vivere nell’imitazione di Cristo, molti si sono particolarmente distinti e, o sono già stati canonizzati dalla Chiesa, o sono sulla via della canonizzazione.

Sono persone come Don Bosco, Maria Domenica Mazzarello, Domenico Savio, familiari dello Spirito di Cristo in un mondo ordinario, discreti profeti di una nuova umanità, che annunziano con semplicità il mondo avvenire, uomini e donne che hanno trasformato in luce il grigiore dei giorni, in amore la routine dei doveri ripetuti giorno dopo giorno, settimana dopo settimana. La loro esistenza invita ad uscire dalla mediocrità per ritrovare l’ardimento degli inizi e sussurra che il Vangelo non è pura utopia. Tra di loro ci sono anche dei martiri che hanno testimoniato la fedeltà al vangelo in circostanze tra le più drammatiche che si possano immaginare. (vedi: Desramaut : Spiritualità salesiana - pag 554 )

SANTI- BEATI-VENERABILI-SERVI DI DIO

SANTI

san Giovanni Bosco, sacerdote (data di canonizzazione: 1934) san Giuseppe Cafasso, sacerdote (1947) santa Maria D. Mazzarello, vergine (1951) san Domenico Savio, adolescente (1954) san Leonardo Murialdo, sacerdote (1970) san Luigi Versiglia, vescovo, martire (2000) san Callisto Caravario, sacerdote, martire (2000) san Luigi Orione, sacerdote (2004) san Luigi Guanella , sacerdote

BEATI

beato Michele Rua, sacerdote (1972)

beata Laura Vicuňa, adolescente (1988) beato Filippo Rinaldi, sacerdote (1990) beata Maddalena Morano, vergine (1994) beato Giuseppe Kowalski, sacerdote (1999) beato Francesco Keşy, laico, e 4 compagni martiri (1999) beato Pio IX, Papa (2000) beati Giuseppe Calasanz, sacerdote, e 31 compagni martiri (2001) beato Luigi Variara, sacerdote (2002) beato Artemide Zatti, religioso (2002) beata Maria Romero Meneses, vergine (2002) beato Augusto Czartoryski, sacerdote (2004) beata Eusebia Palomino, vergine (2004) beata Alessandrina M. da Costa, laica (2004) beato Alberto Marvelli, laico (2004) beato Bronislao Markiewicz, sacerdote (2005) beato Enrico Saiz Aparicio, sacerdote, e 62 compagni martiri (2007) beato Zeffirino Namuncurá, adolescente (2007) beati F Kesy e 4 compagni martiri beati E.S. Apricio e 62 compagni , martiri

VENERABILI

ven. Andrea Beltrami, sacerdote. Il Decreto super virtutibus è del 5 dicembre 1966. ven. Teresa Valsè Pantellini, vergine. Il Decreto super virtutibus è del 12 luglio 1982. Vice postulatore: suor Giuliana Accornero. ven. Dorotea Chopitea, laica. Il Decreto super virtutibus è del 9 giugno 1983. Vice postulatore: don Victor Marco. ven. Vincenzo Cimatti, sacerdote. Il Decreto super virtutibus è del 21 dicembre 1991. Vice postulatore: don Gaetano Compri. ven. Simone Srugi, religioso. Il Decreto super virtutibus è del 2 aprile 1993. ven. Rodolfo Komorek, sacerdote. Il Decreto super virtutibus è del 6 aprile 1995. E' in corso il processo sul miracolo. Vice Postulatore: don Reinaldo Barbosa de Oliveira.

ven. Margherita Occhiena, laica (Italia). Il Decreto super virtutibus è del 23 ottobre 2006 ven. Maria Troncatti, fma (Ecuador),il decreto super virtutibus è dell'8 novembre. È in corso il processo sul miracolo. Vice postulatore: suor Giuliana Accornero.

SERVI DI DIO

Giuseppe Quadrio, sacerdote sdb (Italia), consegnata il 31 luglio 1997. Vice postulatore: don Pio Baschirotto. Relatore: P. Ols Daniel OP. É in corso il processo sul miracolo. Laura Meozzi, fma (Polonia), Positio consegnata il 9 maggio 1999. Vice postulatore: suor Giuliana Accornero. Relatore p. Fokcinski Hieronim, S.I. Attilio Giordani, laico (Italia), Positio consegnata l'8 maggio 2001. Vice postulatore: don Rino Germani. Relatore: mons. Gutierrez Gomez José Luis. Augusto Hlond, cardinale (Polonia). Positio consegnata il 22 ottobre 2008. Vice postulatore: p. Marian Burniak, SC (collaboratore: don Stanislao Zimniak). Relatore: p. Eszer Ambrosius, O.P. Elia Comini, sacerdote sdb (Italia). Il decreto di validità degli Atti della "Inchiesta diocesana" è del 1 ottobre 2004. Vice postulatore: don Rino Germani. Relatore: p. Bove Cristoforo O.F.M. Francesco Convertini, sacerdote sdb (India). Il decreto di validità degli Atti della "Inchiesta diocesana" è del 19 giugno 2006. Vice postulatore: don Nicola Lo Groi (collaboratore: don Luciano Colussi). Relatore: P.Bove Cristoforo O.F.M.. Antonio Lustosa de Almeida, vescovo (Brasile). Il decreto di validità degli Atti della "Inchiesta diocesana" è del 2 maggio 2003. Vice postulatore: don Raimundo Benevides Gurgel (collaboratore: don Antonio da Silva Ferreira). Relatore: p. Ols Daniel, O.P. Ignazio Stuchly, sacerdote sdb (Repubblica Ceca). Il decreto di validità degli Atti della "Inchiesta diocesana" è del 29 novembre 2002. Vice postulatore: don Pavel Cap.. Relatore: p. Fokcinski Hieronim, S.I. Ottavio Ortiz, vescovo (Perù). Il decreto di validità degli Atti della "Inchiesta diocesana" è del 3 ottobre 2003. Vicepostulatore: don Cosme Robredo. Relatore: mons. Gutierrez Gomez José Luis.

Giuseppe Augusto Arribat, sacerdote sdb (Francia). Il decreto di validità degli Atti della "Inchiesta diocesana" è del 25 giugno 2004. Vice postulatore: don Morand Wirth. Relatore: mons. Gutierrez Gomez José Luis. Stefano Ferrando, vescovo (India). L'apertura del Transunto è del 28 novembre 2006. Vice postulatore: suor Filomena Mathew SMMHC. Carlos Crespi Croci, sacerdote sdb (Ecuador). L'inizio della "Inchiesta diocesana" è dell' 8 dicembre 2006. L'apertura del Transunto è del 29 gennaio 2008. Vice postulatore: don Luciano Bellini. István Sándor, coadiutore sdb (Ungheria). L'inizio della Inchiesta diocesana 24 maggio 2006. L'apertura del Transunto è del 29 gennaio 2008. Vice postulatore: don Johannes Szöke. José Vandor, sacerdote sdb (Cuba). La conclusione della "Inchiesta diocesana" è del 10 agosto 2008. Vice postulatore: don Rafael Giordano (collaboratore: don Gino Roccaro). Matilde Salem, laica (Siria). L'inizio della "Inchiesta diocesana" è del 20 ottobre 1995. Vice postulatore: don Munir El Ra'i. Jan Swierc, sacerdote sdb e 8 compagni (Polonia). L'inizio della "Inchiesta diocesana" è del 17 settembre 2003. Vice postulatore: don Michal Szafarski. Costantino Vendrame, sacerdote sdb (India). L'inizio della "Inchiesta diocesana" è del 19 agosto 2006. Vicepostulatore: don Barnes Lister Mawrie. Oreste Marengo, vescovo (India). L'inizio della "Inchiesta diocesana" è del 12 aprile 2007. Vicepostulatore: don Joseph Puthenpurakal. Carlo Della Torre, sacerdote sdb (Thailandia). Il "nulla osta" della Santa Sede per l'inizio della Causa è del 14 luglio 2003. Vice postulatore: Joseph Banchong Santisukniran. Andrej Majcen, sacerdote sdb (Slovenia). Il "nulla osta" della Santa Sede per l'inizio della Causa è del 5 novembre 2008. Titus Zeman, sacerdote sdb (Slovacchia). Anna Maria Lozano, hh.ss.cc. (Colombia).

ALCUNI SANTI E BEATI

DOMENICO SAVIO

La morte ma non peccati Domenico nacque il 2 Aprile 1842 a S.Giovanni di Riva, presso Chieri, in provincia di Torino. Cresciuto in una famiglia ricca di valori, fin da piccolo impressionò moltissimo per la sua maturità umana e cristiana. Attendeva il sacerdote fuori dalla Chiesa, anche sotto la neve, per servire alla santa Messa. Era sempre allegro. Aveva preso con serietà la vita, tanto che - ammesso a soli sette anni alla Prima Comunione - tracciò in un quadernetto il suo progetto di vita: "Mi confesserò molto sovente e farò la comunione tutte le volte che il confessore me lo permetterà. Voglio santificare i giorni festivi. I miei amici saranno Gesù e Maria. La morte ma non peccati". Incontra Don Bosco - va all'Oratorio A 12 anni incontra don Bosco e gli chiede di essere ammesso nell'Oratorio di Torino, perché desiderava ardentemente studiare per diventare sacerdote. Don Bosco, stupito, gli disse: “Mi sembra che ci sia buona stoffa”. “Io sarò la stoffa: lei sia il sarto, allora”, aveva risposto Domenico. Accolto all’Oratorio gli chiese di aiutarlo a "farsi santo". Mite, sempre sereno e lieto, metteva grande impegno nei doveri di studente e nel servire in ogni modo i compagni, insegnando loro il Catechismo, assistendo i malati, pacificando i litigi... Ai compagni, appena arrivato all'Oratorio, diceva: "Sappi che noi qui facciamo consistere la santità nello stare molto allegri". Procuriamo "soltanto di evitare il peccato, come un grande nemico che ci ruba la grazia di Dio e la pace del cuore, di adiempere esattamente i nostri doveri". La Compagnia dell'Immacolata Fedelissimo al suo programma, sostenuto da un'intensa partecipazione ai sacramenti e da una filiale devozione a Maria, gioioso nel sacrificio, fu da Dio colmato di doni e carismi. L'8 Dicembre 1854, proclamato il dogma dell'Immacolata da Pio IX, Domenico si consacrò a Maria e cominciò ad avanzare rapidamente nella santità. Nel 1856 fondò con alcuni amici dell’Oratorio la "Compagnia dell'Immacolata" per un'azione apostolica di gruppo.

"...nessuno supera il bel cuore e la bell'anima di Savio Domenico" Mamma Margherita disse a don Bosco: "Tu hai molti giovani buoni, ma nessuno supera il

bel cuore e la bell'anima di Savio Domenico". E spiegò: "Lo vedo sempre pregare, restando in chiesa anche dopo gli altri; ogni giorno si toglie dalla ricreazione per far visita al SS.mo Sacramento... Sta in chiesa come un angelo che dimori in Paradiso".

Morì a Mondonio il 9 Marzo 1857. Don Bosco ne scrisse la biografia, e piangeva ogni volta che la rileggeva. I suoi resti mortali si venerano nella Basilica di Maria Ausiliatrice. La sua festa si celebra il 6 Maggio. Pio XI lo definì un “piccolo, anzi grande gigante dello spirito”. E' patrono delle mamme in attesa, e per sua intercessione si registrano ogni anno un numero sorprendente di grazie. Fu beatificato a Roma il 5 marzo 1950 da Pio XII e canonizzato il 2 giugno 1954 da Pio XII

LUIGI VERSIGLIA

Fu accolto dodicenne da don Bosco Luigi Versiglia nacque a Oliva Gessi, in provincia di Pavia, il 5 Giugno 1873. Fin da piccolo serviva alla messa, tanto che la gente lo prospettava sacerdote, ma Luigi non voleva sentirne parlare, perché desiderava fare il veterinario. Fu accolto dodicenne da don Bosco, che lo affascinò a tal punto da fargli cambiare idea. Nel 1888, poco dopo la morte del santo, Luigi fu molto colpito dalla cerimonia di consegna del crocifisso a sette missionari e decise di diventare salesiano, con la speranza di andare in missione. Presa la laurea in filosofia, fu ben presto pronto per l’ordinazione sacerdotale, che avvenne nel 1895. Maestro dei novizi a soli 23 anni a Genzano di Roma Don Rua lo nominò maestro dei novizi a soli 23 anni a Genzano di Roma, cosa che fece per dieci anni con bontà, fermezza e pazienza. Richiesti con insistenza dal vescovo di Macao, nel 1906 sei salesiani, arrivarono in Cina, guidati da don Versiglia. Realizzarono così una ripetuta profezia di don Bosco.

Cina: vescovo della missione di Shiuchow Stabilita a Macao la "casa madre" salesiana, si aprì anche la missione di Heungchow. Don Luigi animò il territorio alla maniera di don Bosco, costituendo una banda musicale apprezzatissima, aprì orfanotrofi e oratori. Nel 1918 i salesiani ricevettero dal Vicario apostolico di Canton la missione di Shiuchow, e il 9 gennaio 1921 don Versiglia ne fu consacrato Vescovo. Saggio, instancabile e povero, viaggiava in continuazione per visitare e incoraggiare i confratelli e i cristiani del territorio. Al suo arrivo i villaggi erano in festa, soprattutto i bambini. Un vero pastore Fu un vero pastore, tutto dedito al suo gregge. Diede al Vicariato una solida struttura con un seminario, case di formazione, progettando egli stesso varie residenze e ricoveri per anziani e bisognosi. Curò con convinzione la formazione dei catechisti. Scrive nei suoi appunti: “Il missionario che non sia unito a Dio è un canale che si stacca dalla sorgente”. “Il missionario che prega molto, farà anche molto”. Come don Bosco era un esempio di lavoro e temperanza. Intanto in Cina la situazione politica era diventata molto tesa, soprattutto nei confronti dei cristiani e dei missionari stranieri. Iniziarono le persecuzioni. Martirio Il 13 febbraio 1930, insieme a don Caravario, il vescovo è a Shiuchow per la visita pastorale nella missione di Linchow. Li accompagnano anche alcuni ragazzi e ragazze, che hanno studiato a Shiuchow. Il 25 febbraio un gruppo di pirati di orientamento bolscevico ferma la barca del vescovo, cercando di prendere le ragazze. Il vescovo e don Caravario lo impediscono con tutte le loro forze. Vengono picchiati con forza e infine fucilati. Prima di essere uccisi riuscirono a confessarsi a vicenda. Il loro ultimo respiro fu per le anime della loro amata Cina. Paolo VI li ha dichiarati martiri nel 1976, Giovanni Paolo II li ha beatificati nel 1983 e canonizzati il 1° ottobre 2000

DON MICHELE RUA

“Noi due faremo tutto a metà” Michele Rua nacque a Torino il 9 Giugno 1837. Ultimo di 9 figli, perse il padre all’età di otto anni. Studiò dai Fratelli delle Scuole Cristiane fino alla terza elementare. Avrebbe dovuto iniziare a lavorare nella Regia Fabbrica d’Armi di Torino, dove il padre era operaio, ma don Bosco - che la domenica confessava nella sua scuola - gli propose di continuare gli studi da lui, assicurandogli che alle spese ci avrebbe pensato la Provvidenza. Un giorno don Bosco distribuiva ai suoi ragazzi delle medagliette. Michele era l’ultimo della fila e arrivò tardi, ma si sentì dire: “Prendi Michelino!”. Il prete però non gli stava dando niente, ma soggiunse:“Noi due faremo tutto a metà”, e così realmente fu. Diventa collaboratore stretto come il primo 'salesiano' Collaboratore della Compagnia dell’Immacolata con Domenico Savio, fu un allievo modello, apostolo tra i compagni. Don Bosco gli disse: “Ho bisogno di aiuto. Ti farò indossare la veste dei chierici, sei d’accordo?”. “D’accordo!”, rispose. Il 25 marzo 1855 nella cameretta di don Bosco fece, nelle mani del fondatore, i voti di povertà, castità e obbedienza. Era il primo salesiano. Inizia a lavorare sodo: insegna matematica e religione; assiste in refettorio, nel cortile, nella cappella; a tarda sera copia in bella calligrafia le lettere e le pubblicazioni di don Bosco, e infine studia per diventare sacerdote. Aveva solo 17 anni! Gli viene affidata anche la direzione dell’oratorio festivo San Luigi. La mamma sostituisce Mamma Margherita Nel novembre del 1856 muore mamma Margherita. Michele andò a trovare sua madre: “Mamma vuoi venirci tu?”. La signora Giovanna Maria venne, e anche in questo la famiglia Rua fece a metà con la famiglia Bosco. Rimase a Valdocco 20 anni. Nel 1858 accompagna don Bosco dal Papa Pio IX per l’approvazione delle regole, e al ritorno gli viene affidata la direzione del primo oratorio a Valdocco. Il 28 Luglio del 1860 fu ordinato sacerdote.

Apre la prima casa salesiana fuori da Torino Don Bosco gli scrive un biglietto: “Tu vedrai meglio di me l’Opera salesiana valicare i confini dell’Italia e stabilirsi nel mondo”. Don Rua apre la prima casa salesiana fuori da Torino a Mirabello. Pochi anni dopo torna a Valdocco e sostituisce e assiste don Bosco in tutto. Nel novembre del 1884 papa Leone XIII nomina don Rua vicario e successore di don Bosco, che morirà nelle sue braccia quattro anni dopo. La regola vivente, paterno e amorevole Don Rua, già considerato la regola vivente, diventa paterno e amorevole come don Bosco. Affronta e supera numerose difficoltà nel governo della congregazione. Consolida le missioni e lo spirito salesiano. Morì il 6 Aprile 1910, a 73 anni. Con lui la Società era passata da 773 a 4000 salesiani, da 57 a 345 Case, da 6 a 34 Ispettorie in 33 paesi. Venerabile il 26 giugno 1953; beatificato il 29 ottobre 1972 da Paolo VI che disse : “Ha fatto della sorgente un fiume”.

MARIA MADDALENA MORANO

Incontra Don Bosco Maddalena Caterina Morano nasce a Chieri, in provicia di Torino, il 15 Novembre del 1847. A otto anni perde il padre Francesco e inizia ad aiutare la madre nel lavoro. Riprende gli studi grazie allo zio sacerdote. La maestra la nomina aiutante delle più piccole. Intanto incontra per la prima volta don Bosco, che si trovava di passaggio a Buttigliera d’Asti. Maddalena è portata all’insegnamento, e a 17 anni consegue il diploma di insegnante. Diventa insegnante

A 19 anni inizia a insegnare a Montaldo Torinese: lo farà con diligenza e competenza per quattordici anni, guadagnandosi il rispetto e la stima di tutto il paese. Maddalena si consiglia col suo direttore spirituale e, dopo aver comprato una casa alla madre con i suoi risparmi, va a parlare con don Bosco, che la indirizza a Mornese, dove Madre Mazzarello la accoglie festante. Con Madre Mazzarello Fu subito messa ad insegnare. Nel 1880 si consacra a Dio con i voti perpetui, e chiede al Signore la grazia "di rimanere in vita finché non abbia completato la misura della santità". Nel 1881, sotto richiesta dell’arcivescovo di Catania, Maddalena viene inviata a dirigere la nuova opera di Trecastagni, dove servivano tre maestre. Per quattro anni dirige, insegna, lava, cucina, è catechista ma soprattutto testimone, tanto che cominciano a bussare le ragazze: "vogliamo essere come lei!". Dopo una pausa di un anno a Torino, dove dirige la casa FMA di Valdocco, viene rimandata in Sicilia come visitatrice, direttrice e maestra delle novizie. Sicilia Ha il compito di fondare nuove case e di formare suore sante. Volgendo costantemente "uno sguardo alla terra e dieci al Cielo", apre scuole, oratori, convitti e laboratori in ogni parte dell'isola. Sorgono nuove numerose vocazioni, attratte dal suo zelo apostolico e dal clima comunitario che si crea intorno a lei. Il suo molteplice apostolato è apprezzato e incoraggiato dai Vescovi. A Catania le affidano l'intera Opera dei catechismi, la fondazione di nuovi oratori e il Convitto dell’Istituto Magistrale. Devotissima di san Giuseppe e di Maria Ausiliatrice, che la guidarono nelle nuove fondazioni, riuscì ad inculturare fedelmente il carisma di don Bosco e il Sistema Preventivo. La morte Minata da un'affezione tumorale, il 26 marzo 1908 suor Morano muore a Catania. Alla sua morte, nel 1908, le case della Sicilia sono 18, le suore 142, le novizie 20, le postulanti 9. Nella stessa città dov’era morta, Giovanni Paolo II la proclamò beata il 5 novembre 1994. La sua salma è venerata ad Alì Terme (Catania). Venerabile il 1 settembre 1988, beatificata il 5 novembre 1994 da Giovanni Paolo II

LUIGI VARIARA

Arriva a Valdocco quattro mesi prima che Don Bosco morisse Luigi Variara nasce a Viarigi in provincia di Asti il 15 gennaio 1875 da una famiglia profondamente cristiana. Il padre Pietro aveva ascoltato don Bosco nel 1856, quando era giunto in paese per predicare una missione. Decise così di condurre Luigi a Valdocco perché continuasse i suoi studi. Il Santo morirà quattro mesi dopo. Ma la conoscenza che il piccolo Luigi ne fece fu sufficiente a segnarlo per tutta la vita. Con Don Beltrami...e guarda alle missioni Terminato il ginnasio, egli chiese di farsi salesiano. Entrò in noviziato il 17 Agosto 1891. Variara fece gli studi di Filosofia a Valsalice, dove conobbe don Andrea Beltrami, che lo colpì per la gioia con cui affrontava la sua malattia. Nel 1894 don Unia, il celebre missionario dei lebbrosi di Agua de Dios, era a Valsalice per scegliersi un chierico che si occupasse dei giovani lebbrosi. Tra i 188 compagni che avevano la stessa aspirazione, fissando il suo sguardo su Variara, disse: "Questo è mio". Ad Agua de Dios Luigi giunse ad Agua de Dios il 6 Agosto 1894. Il lazzaretto comprendeva 2000 abitanti, di cui 800 lebbrosi. Appena arrivato divenne l’anima di tutti i ricoverati, particolarmente dei fanciulli. Organizzò una banda musicale, animando i malati di un insperato clima di festa. Nel 1895 morì don Unia e Luigi restò solo con don Crippa. Fonda la Congregazione :"Figlie dei SS. Cuori di Gesù e Maria" Nel 1898 fu ordinato sacerdote. Si rivelò presto un ottimo direttore di spirito. Nel 1905 concluse la costruzione dell’“Asilo don Unia”, un internato capace di ospitare fino a 150 orfani e lebbrosi, e di garantire loro l’apprendimento di un lavoro e il futuro inserimento nella società. Ad Agua de Dios, presso le Suore della Provvidenza, era sorta l'Associazione delle Figlie di Maria, un gruppo di 200 ragazze. Egli era il loro confessore. Individuò nel gruppo alcune chiamate alla vita religiosa. Nacque l'ardito progetto - cosa unica nella Chiesa - di un Istituto che permettesse di accettare anche malate di lebbra. Ispirandosi alla spiritualità di don Beltrami, sviluppò il carisma

salesiano vittimale e fondò la Congregazione delle "Figlie dei SS. Cuori di Gesù e Maria", che oggi conta 600 religiose. Esemplare nell'obbedienza Per questa fondazione ebbe molto da soffrire per l’incomprensione della gente e di alcuni superiori, che credettero bene di allontanarlo da Agua de Dios più volte. Come don Bosco fu esemplare nell’obbedienza. Di fronte alla calunnia non pronunciava parola. Era credibile perché era obbediente. Don Rua da Torino lo incoraggiava. Morì lontano dai suoi diletti ammalati, come l'obbedienza aveva voluto. Ora riposa ad Agua de Dios, nella cappella delle sue Figlie. Beatificato il 14-4-2002

JOSE' CALASANZ E 31 COMPAGNI

Guerra di Spagna Era il 1936 e il 1939 la Spagna fu sconvolta da una drammatica e sanguinosa guerra civile: un conflitto che si caricò di accesi antagonismi ideologici. Ne fece le spese anche la Chiesa spagnola che subì, soprattutto ad opera delle forze anarchiche e miliziane, una violenta persecuzione. Furono massacrati migliaia di sacerdoti, religiosi, religiose e laici solo perché cristiani. Tra questi anche numerosi membri della famiglia salesiana: 39 Sacerdoti, 22 Chierici, 24 Coadiutori, 2 Figlie di Maria Ausiliatrice, 4 Salesiani Cooperatori, 3 Aspiranti Salesiani e 1 Collaboratore laico; 95 in tutto. Furono iniziate tre cause distinte di martirio, che poi divennero due: per il gruppo di Valencia – 32 martiri – con a capo don Giuseppe Calasanz, e per i due gruppi di Siviglia e di Madrid – 63 martiri – con a capo don Enrico Saiz Aparicio. Il primo gruppo è stato beatificato l’11 marzo 2001 insieme agli altri martiri della diocesi di Valencia, per gli altri due gruppi è già pronto il decreto di martirio.. Don Giuseppe Calasanz Marqués (1872-1936) nacque ad Azanuy. Nel 1886 vide a Sarrià don Bosco ormai stanco e sofferente. Divenne salesiano nel 1890, sacerdote cinque anni

dopo. Fu segretario di don Rinaldi e in seguito superiore dell’Ispettoria del Perù-Bolivia. Rientrato in Spagna diventò Ispettore della Terraconense (Barcellona – Valenza). Uomo di cuore e gran lavoratore, si preoccupò fin dall’inizio della salvezza dei suoi confratelli. Fu catturato assieme ad altri salesiani mentre presiedeva a Valencia gli Esercizi Spirituali. Venne ucciso in viaggio da un colpo di fucile alla testa. Sacerdoti: José Batalla Parramón (1873-1936), José Bonet Nadal (1875-1936), Jaime Bonet Nadal (1884-1936), Antonio María Martín Hernández (1885-1936), Sergio Cid Pazo (1886-1936), Juan Martorell Soria (1889-1936), Julio Junyer Padern (1892-1938), Recaredo de los Ríos Fabregat (1893-1936), Francisco Bandrés Sánchez (1896-1936), Julián Rodríguez Sánchez (1896-1936), José Otín Aquilué (1901-1938), José Castell Camps (1901-1936), José Giménez López (1904-1936), Alvaro Sanjuán Canet (1908-1936), José Caselles Moncho (1907-1936). Coadiutori: José Rabasa Bentanachs (1862-1936), Angel Ramos Velázquez (1876-1936), Gil Rodicio Rodicio (1888-1936), Jaime Buch Canals (1889-1936), Agustín García Calvo (1905-1936), Eliseo García García (1907-1936), Jaime Ortiz Alzueta (1913-1936). Chierici: Miguel Domingo Cendra (1909-1936), Félix Vivet Trabal (1911-1936), Pedro Mesonero Rodríguez (1912-1936), Felipe Hernández Martínez (1913-1936), Zacarías Abadía Buesa (1913-1936), Javier Bordas Piferrer (1914-1936). Collaboratore laico: Alexandro Planas Saurí (1878-1936). Figlie di Maria Ausiliatrice: Maria Carmen Moreno Benítez (1885-1936, vicaria ispettoriale, fu direttrice e confidente della Beata Suor Eusebia Palomino che le profetizzò il martirio), Maria Amparo Carbonell Muñoz (1893-1936).

Il decreto di martirio è stato pubblicato il 20 dicembre 1999; beatificati l'11 marzo 2001 da Giovanni Paolo II.

ALESSANDRINA MARIA DA COSTA

Vivace, scherzosa e affettuosa e molto ricercata dalle compagne Alessandrina Maria da Costa nasce il 30 Marzo 1904 a Balasar in Portogallo. Venne educata cristianamente dalla mamma, insieme alla sorella Deolinda. Alessandrina rimase in famiglia fino a sette anni, poi fu inviata a Póvoa do Varzim in pensione presso la famiglia di un falegname, per poter frequentare la scuola elementare che a Balasar mancava. Tornata a Balasar lavora come contadina. E' vivace, scherzosa e affettuosa e molto ricercata dalle compagne. per salvare la purezza...paralisi totale A 14 anni salta dalla finestra nel giardino di casa sua, per salvare la purezza insidiata dalla passione di alcune persone male intenzionate. Cinque anni dopo, la lesione contratta nella caduta si trasforma in paralisi totale, che la costringe a letto per oltre 30 anni. Il carisma salesiano vittimale Viene curata dalla sorella maggiore. Chiede la grazia della guarigione, ma la Madonna le concede l’accettazione delle sofferenze e il desiderio di soffrire per la salvezza delle anime. Il carisma salesiano vittimale, che si sviluppa con don Beltrami, don Czartoryski, don Variara e suor Eusebia, ispira anche Alessandrina. Si offre come vittima a Cristo per la conversione dei peccatori e per la pace nel mondo: "Non ho altro fine che dare gloria a Dio e salvargli anime". Per quattro anni (1938-1942), superando l’abituale paralisi, scende dal letto, e per 182 volte rivive la passione di Cristo tutti i venerdì, lungo tre dolorosissime ore. Chiede e ottiene da Pio XII la consacrazione del mondo al Cuore Immacolato di Maria (31 ottobre 1942). 13 anni con nessun alimento all'infuori della comunione quotidiana Dal 27 marzo 1942 alla morte, 13 anni e 7 mesi, non ingerisce più alcuna bevanda né alimento di sorta, all'infuori della comunione quotidiana. Questo fatto inspiegabile fu verificato scientificamente da diversi medici, a volte anche in maniera umiliante per Alessadrina. Fu una grandissima mistica. In unione continua con Gesù nei Tabernacoli di tutto il mondo, ricevette estasi e rivelazioni. Diventa Cooperatrice

Il Signore volle che il suo secondo direttore spirituale fosse un salesiano, don Umberto Pasquale, che raccolse il suo prezioso diario. Accettò allora di diventare Cooperatrice. Diceva: "Sento un'unione grande con i Salesiani e con i Cooperatori di tutto il mondo. Quante volte fisso il mio attestato di appartenenza e offro le mie sofferenze, unita a tutti loro, per la salvezza della gioventù! Amo la Congregazione. L'amo tanto e mai la dimenticherò né in terra né in cielo". Migliaia di persone giungevano al suo letto per ricevere conforto dalle sue parole. Il 13 ottobre 1955 morì a Balasar, dove ora è sepolta, rivolta verso il tabernacolo. Folle di pellegrini si recano a visitarla. Giovanni Paolo II la beatificò il 25 aprile 2004. Venerabile il 21 dicembre 1995; beatificata il 25 aprile 2004 da Giovanni Paolo II

( A cura di Don Ebraico Dal Covolo )