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Statuti, codici e costituzioni Introduzione Lo Statuto dei lavoratori Il lavoro minorile Lo sciopero I sindacati dei lavoratori Gli infortuni sul lavoro

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Statuti, codici e costituzioni

Introduzione

Lo Statuto dei lavoratori

Il lavoro minorile

Lo sciopero

I sindacati dei lavoratori

Gli infortuni sul lavoro

La disoccupazione

La tutela delle lavoratrici

Il lavoro nella storia

Opinioni personali

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1. L'Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.4. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. 35. La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero.36. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.

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37. La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.38. Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L'assistenza privata è libera.39. L'organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartamenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.40. Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano

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Firma della costituzione italiana

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ARTICOLO 5. Proibizione della schiavitù e del lavoro forzato 1. Nessuno può essere tenuto in condizioni di schiavitù o di servitù. 2. Nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato o obbligato-rio.*

* ad eccezione di servizio militare o servizi richiesti in caso di crisi o di calamità che minacciano la vita e il benessere della comunità o ogni servizio che faccia parte di normali doveri civili.

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1. Diritto a lavorare in ciascuno degli stati membri;2. Diritto ad una retribuzione equa;3. Diritto al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro;4. Diritto alla protezione sociale secondo le modalità specifiche di ciascun paese;5. Diritto alla libertà di associazione e alla contrattazione collettiva;6. Diritto alla formazione professionale;7. Diritto alla parità di trattamento tra uomini e donne;8. Diritto all’informazione, alla consultazione e alla partecipazione dei lavoratori;9. Diritto all’assistenza sanitaria;10. Protezione dell’infanzia e degli adolescenti;11. Diritto alle persone anziane a un tenore di vita dignitoso;12. Sostegno all’inserimento sociale e professionale delle persone disabili.

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Il lavoro è un’attività umana finalizzata alla produzione di beni e servizi necessari alla soddisfazione di bisogni individuali e collettivi; è uno dei tre fattori principali della produzione, assieme alla terra e al capitale.Il lavoro può essere classificato in base al settore di attività: produzione di materie prime, come nell'attività mineraria e nell'agricoltura; produzione industriale nel senso più lato del termine, ossia trasformazione delle materie prime in oggetti utili all'uomo; distribuzione, cioè trasferimento di oggetti utili da un luogo all'altro a seconda delle necessità umane; operazioni relative alla gestione della produzione, come contabilità e lavoro d'ufficio; e servizi, come quelli offerti da medici e insegnanti, ricercatori, pubblicitari e esperti di finanza, addetti ai trasporti, gente dello spettacolo ecc. Un'altra classificazione fa riferimento al rapporto sociale o al tipo di contratto entro il quale il lavoro si svolge: lavoro subordinato e lavoro autonomo, attività professionale ecc. Il lavoro dipendente a sua volta comprende figure diverse, dal dirigente d'impresa all'impiegato, all'operaio. A seconda del tipo di risorse umane applicate si distingue ancora tra lavoro intellettuale e lavoro manuale.

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Lo Statuto dei lavoratori è stato introdotto in introdotto in Italia con la legge n. 300 del 20 maggio 1970, in seguito a un lungo periodo di lotte sociali, per tutelare i diritti fondamentali e inviolabili dei lavoratori. La prima parte della legge tutela la libertà e la dignità dei lavoratori i quali hanno diritto di manifestare liberamente il loro pensiero nel luogo dove lavorano, hanno diritto di lavorare in un luogo che non metta in pericolo la loro salute fisica e hanno diritto a essere compensati in corrispondenza delle mansioni che effettivamente svolgono. ● La prima parte limita inoltre il ricorso alle perquisizioni personali, a impianti audiovisivi per controllare il lavoratore e vieta ogni tipo di indagine sulle sue opinioni politiche, sindacali o religiose.● La seconda parte dello statuto, in applicazione di principi generali espressi dall'art. 39 della Costituzione, tutela la libertà sindacale. Il datore di lavoro non può discriminare il lavoratore nell'assunzione, nelle mansioni, in trasferimenti, in provvedimenti disciplinari, nella retribuzione per le sue opinioni e attività sindacali. Lo statuto prevede poi che nelle aziende che hanno più di 15 dipendenti, il lavoratore che è stato licenziato ingiustamente abbia diritto a riavere il suo posto di lavoro. Se infatti il giudice al quale il lavoratore si è rivolto ritiene che il licenziamento non sia giustificato, l'imprenditore è tenuto a reintegrare il lavoratore nel suo posto e a risarcirgli i danni subiti.● La terza parte dello statuto tutela l'attività sindacale. Il lavoratore ha diritto di svolgere attività sindacale nelle associazioni sindacali e di riunirsi in assemblea nei luoghi di lavoro.

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Il lavoro minorile è un’espressione che indica l’impiego di minorenni nelle attività lavorative. In tutte le epoche e in tutte le società i fanciulli sono stati utilizzati per lavori propri degli adulti; l'utilizzo di manodopera minorile non fu tuttavia considerato un problema sociale fino alla rivoluzione industriale, che introdusse diversi tempi e ritmi nel lavoro, mutandone completamente l'organizzazione. Pertanto, se l'espressione “lavoro minorile” nel XIX secolo designava il ricorso in fabbrica al lavoro dei bambini, attualmente è utilizzata per definire in generale l'impiego di minori, specialmente per lavori che potrebbero interferire con la loro educazione o danneggiare la loro salute. I problemi del lavoro minorile non sono, ovviamente, limitati alle nazioni in via di sviluppo. Essi esistono ovunque vi siano situazioni di povertà e, quindi, anche in Europa e nell'America del Nord. In Gran Bretagna la Low Pay Unit, commissione creata per il controllo dello sfruttamento, ha recentemente stabilito che circa 2 milioni di minori sono stati assunti per lavori a tempo parziale: si tratta del dato più negativo dell'intera Unione Europea. Inoltre, negli ultimi anni è andata aggravandosi anche in Italia la piaga della prostituzione minorile nei centri urbani.

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I maggiori sforzi per eliminare lo sfruttamento della manodopera minorile nel mondo sono stati compiuti dall'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), fondata nel 1919 e ora istituto specializzato dell'Orga-nizzazione delle Nazioni Unite (ONU). L'organiz-zazione ha introdotto varie regolamen-tazioni sul lavoro minorile, incluse l'età minima di sedici anni per venire ammessi a qualsiasi tipo di lavoro (anche all'interno della famiglia), un'età minima maggiore per particolari lavori, visita medica obbligatoria e regola-mentazione del lavoro notturno. L'ILO non ha tuttavia il potere di imporre queste norme ai paesi membri. L'ONU stima che, all’inizio del terzo millennio, sono 375 milioni i minori utilizzati in tutto il mondo come lavorat-ori.

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Associazioni di lavoratori costituite per tutelare gli interessi dei propri iscritti e, come parte sociale, per partecipare con il governo e con i rappresentanti degli imprenditori alla definizione delle scelte su questioni di interesse pubblico relative al mondo del lavoro.Il ruolo dei sindacati dipende da vari fattori legati alla storia delle diverse realtà in cui operano. Ad esempio, nella tradizione britannica, come pure in quella tedesca e scandinava, hanno svolto un notevole ruolo di mediazione tra mondo del lavoro, governo e imprenditori, a volte partecipando direttamente alla gestione delle imprese; in altri paesi come Italia e Francia, i sindacati hanno assunto una maggiore connotazione politica e per lungo tempo sono stati uno strumento di lotta anticapitalistica e rivoluzionaria; nei regimi totalitari (ad esempio l’Italia fascista, la Germania nazista, la Spagna franchista e i paesi del Blocco orientale) i sindacati furono privi di reale autonomia e direttamente inseriti nella struttura dello stato.Negli ultimi due decenni, a partire dalla chiusura del ciclo di lotte degli anni Sessanta e Settanta, i sindacati, almeno nei paesi industrializzati, hanno assunto un ruolo più definito e omogeneo; essi sono oggi coinvolti nelle decisioni che riguardano fatti di interesse economico e sociale, partecipano all’elaborazione del diritto del lavoro, gestiscono direttamente settori della previdenza sociale, forniscono ai propri iscritti servizi di consulenza e assistenza legale.

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I sindacati possono associare lavoratori dipendenti o autonomi e di solito sono organizzati per “categorie” (ad esempio metalmeccanici, tessili, chimici, scuola ecc.) divise nei settori privato e pubblico e poi riunite in “confederazioni nazionali”. Nato su basi prettamente politiche, il movimento sindacale italiano è stato per lungo tempo strettamente legato ai partiti (ad esempio la CISL, a prevalenza cattolica, alla Democrazia Cristiana; la UIL, ai partiti socialista e socialdemocratico; la CGIL, la confederazione più a sinistra, al Partito comunista e, in misura minore, ai socialisti). Analoghe ai sindacati sono le associazioni dei datori di lavoro, come ad esempio in Italia la Confindustria, la Confcommercio e la Confagricoltura.

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Astensione dal lavoro di un gruppo di lavoratori a sostegno di una rivendicazione. È attuato prevalentemente da lavoratori organizzati in sindacati e rappresenta una delle forme più importanti e incisive di lotta sindacale. In Italia lo sciopero è un diritto dei lavoratori riconosciuto dalla Costituzione. I lavoratori possono impegnarsi in uno sciopero o in altre forme di agitazione sindacale per ottenere miglioramenti delle condizioni di impiego (ad esempio salari più elevati o riduzioni dell’orario di lavoro), per impedirne un peggioramento (ad esempio, una diminuzione dei salari) o, ancora, per evitare che il datore di lavoro conduca delle azioni lesive dei diritti dei lavoratori (ad esempio, il licenziamento senza una giusta causa). Uno sciopero può essere proclamato anche per indurre un datore di lavoro a riconoscere un sindacato come legittimo rappresentante dei dipendenti nel processo di contrattazione collettiva e a siglare con questa stessa organizzazione un contratto di lavoro. In genere si ricorre allo sciopero dopo avere esperito tutti gli altri mezzi disponibili: ad esempio quando il datore ha rifiutato la composizione di una vertenza con i metodi previsti nel contratto di lavoro.Lo sciopero “generale”, in cui tutti i lavoratori di una città, di una regione o di un paese scioperano contemporaneamente, può perseguire finalità di tipo economico o politico. Con lo sciopero generale si ottiene la completa paralisi dell’attività economica dell’area interessata.

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L’infortunio sul lavoro è un avvenimento traumatico verificatosi durante l’orario di lavoro, tale da comportare una lesione o la morte del lavoratore. Tramite numerosi interventi legislativi è stata prevista un’articolata disciplina diretta a prevenire gli infortuni sul lavoro e a garantire la sicurezza e la tutela della salute sui luoghi di lavoro. L’inosservanza delle prescrizioni comporta la responsabilità civile, con il conseguente risarcimento dei danni, e penale.La normativa è finalizzata alla tutela non solo dei lavoratori dipendenti, ma di chiunque svolga la propria attività all’interno del luogo di lavoro, anche se con carattere occasionale (ad esempio un tecnico chiamato a prestare la propria attività all’interno di un cantiere). L’occasione di lavoro è intesa in senso ampio, riferita non solo alle mansioni svolte, ma a qualsiasi attività esercitata sul luogo di lavoro (si pensi agli intervalli tra un turno e l’altro) così come, entro certi limiti, anche fuori dall’ambiente lavorativo vero e proprio (si pensi agli infortuni occorsi sul tragitto percorso per recarsi sul luogo di lavoro).La responsabilità penale ricade sul datore di lavoro o sul dirigente competente e si fonda normalmente sull’omissione di controllo circa il rispetto delle misure antinfortunistiche. Il datore di lavoro ha limitate possibilità di liberarsi dalla responsabilità, dimostrando di avere adottato tutte le misure possibili per prevenire l’infortunio o di avere incaricato un preposto per il controllo della sicurezza, assegnandogli mezzi adeguati per provvedere.

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Condizione delle persone che, pur essendo idonee a svolgere un'attività lavorativa e desiderose di lavorare, non trovano un'occupazione. La disoccupazione è un problema molto serio, causa di povertà e di frustrazione psicologica. Per questo motivo, il tasso di disoccupazione viene utilizzato come una misura del benessere dei lavoratori oltre che come indicatore della utilizzazione delle risorse umane.Gli economisti distinguono quattro tipi di disoccupazione: "frizionale", "stagionale", "strutturale" e "ciclica".La disoccupazione frizionale si ha quando i lavoratori in cerca di impiego non lo trovano immediatamente: durante la ricerca vengono considerati disoccupati. L'ammontare della disoccupazione frizionale dipende dalla frequenza con la quale i lavoratori cambiano lavoro e dal tempo impiegato per trovarne uno nuovo. La disoccupazione stagionale si verifica quando le industrie hanno un calo di produzione in un certo periodo dell'anno, come il settore edilizio durante l'inverno; essa aumenta inoltre alla fine dell'anno scolastico, quando un gran numero di studenti e laureati cerca lavoro.

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La disoccupazione strutturale nasce dallo squilibrio tra il tipo di lavoratori richiesto dai datori di lavoro e le persone in cerca di occupazione. Il progresso tecnologico, per esempio, impone nuove specializzazioni in molti settori, rendendo inadeguati i lavoratori che ne siano privi. Lo stabilimento di un'industria in crisi può chiudere o trasferirsi in un'altra zona, licenziando quei dipendenti che non accettano di trasferirsi; d'altro canto, persino i lavoratori più qualificati possono restare disoccupati, se non c'è sufficiente domanda per il loro tipo di professionalità. Se poi i datori di lavoro reclutano il personale secondo principi discriminatori di sesso, razza, religione, età o provenienza, la disoccupazione può aumentare anche in presenza di una forte richiesta di manodopera.La disoccupazione ciclica viene determinata da una generale carenza di offerta di lavoro, causata da un calo della domanda di beni. Quando il ciclo economico tende verso il basso, la domanda di prodotti e servizi cade, provocando ondate di licenziamenti.

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La disoccupazione ha assunto dimensioni preoccupanti negli anni Novanta non solo in Italia ma anche nell’Unione Europea. Il mercato del lavoro in Italia è caratterizzato dai seguenti aspetti:► Un più basso tasso di occupazione rispetto ai Paesi dell’UE.In Italia nel 2004 il tasso di occupazione (tra i 15 e i 64 anni) era pari al 57,4% (nel Mezzogiorno 46,1 %). Le forze lavoro erano circa 24 milioni (di cui 2 milioni in cerca di occupazione). Gli occupati complessivi erano 22.500.000 (13.500.000 maschi e 9.000.000 femmine) dei quali il 65% occupati nel terziario, il 30% nell’industria e il 5% nel primario.► In particolare sono bassi i tassi di occupazione femminile e di lavoratori tra i 55 e i 64 anni di età. Nel 2004 il tasso di occupazione femminile era pari al 45% (lontano dal 60% fissato dal Consiglio Europeo per il 2010).► Elevato tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno. Nel 2004 il tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno era del 15% rispetto all’8% di disoccupazione nazionale

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Disoccupazione nell'Unione Europea (%)Dato non disponibile (—)* Dicembre 2000** Gennaio 2001

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L'articolo 37 della Costituzione descrive i termini di una difficile convivenza: quella fra tutela e parità nel lavoro femminile. Da una parte, infatti, statuisce il principio paritario, secondo cui la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore, mentre dall'altra ribadisce la necessità dell'intervento protettivo, affermando che le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione. La donna lavoratrice ha ricevuto una particolare tutela dalla legge 9 dicembre 1977, n. 903 o legge sulla "parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro". Questa legge contempla disposizioni che in parte risultano completamente nuove e inedite e in parte modificano - nel senso che migliorano o dovrebbero migliorare - altri precedenti provvedimenti a favore della donna, cercando, comunque, in ogni caso, di dare una più precisa e più concreta attuazione ai principi stabiliti dalla nostra Costituzione.

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L'art. 1 della legge n. 903 del 9/12/1977 vieta qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l'accesso al lavoro in qualunque settore o ramo di attività. L'imprenditore non potrà in alcun modo fare riferimento al sesso sia direttamente che indirettamente a mezzo stampa o con altra forma pubblicitaria che indichi come requisito professionale l'appartenenza all'uno o all'altro sesso. In applicazione di questa legge, un datore di lavoro non potrà più richiedere di assumere un uomo invece di una donna o viceversa, a eccezione dei settori moda, arte e spettacolo, quando cioè l'appartenenza a un determinato sesso sia essenziale alla natura del lavoro. Quindi tutti i lavori sono aperti alle donne. Se, tuttavia, sono particolarmente pesanti, sono consentite, dalla stessa legge, delle eventuali deroghe, cioè delle eccezioni, a mezzo dei contratti collettivi (onde evitare abusi)Ci si domanda comunque: quando la donna avrà, concretamente, la possibilità di individuare, di motivare e quindi di denunciare eventuali discriminazioni del sesso che indubbiamente si presenteranno mascherate e in numero rilevante?

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L'art. 2 afferma: <La lavoratrice ha diritto alla stessa retribuzione del lavoratore quando le prestazioni richieste sono uguali o di pari valore>. In questo modo viene ribadito il principio della 'parità salariale' sancito dalla Costituzione. Occorre sottolineare che, qualora questo principio venga violato, la lavoratrice potrà ricorrere al pretore del lavoro (art.15). E' pure vietata qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda l'attribuzione delle qualifiche, delle mansioni, e la progressione nella carriera. Pertanto alla donna non devono più essere attribuite qualifiche o mansioni che fino a ieri erano riservate a lei sola, e per tutto l'arco della sua attività lavorativa non le devono essere riservati piani di carriera o possibilità di avanzamento professionale diversi - e più limitati - di quelli riservati fino ad oggi agli uomini. In particolare per evitare che la funzione materna punisca la sua carriera di lavoratrice, la legge stabilisce che le assenze obbligatorie per la maternità vengono considerate come attività lavorativa ai fini della carriera (oltre che ai fini dell'attività di servizio). 

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La legge 9 gennaio 1963, n. 7 ha introdotto il principio del <divieto di licenziamento a causa di matrimonio> per tutte le imprese private, con esclusione, di quelle addette ai servizi familiari e domestici. Sono quindi nulli i licenziamenti intimati a causa del matrimonio, se attuati nel periodo intercorrente dalla richiesta di pubblicazione matrimoniale sino ad un anno dopo la celebrazione delle nozze, a meno che il licenziamento non avvenga per giusta causa, per cessazione dell'attività dell'azienda, per scadenza del termine del contratto a tempo determinato o durante il periodo di prova. Infatti, il licenziamento a causa di matrimonio è contrario ai principi delle nostre leggi e, in particolare, della nostra Costituzione che assicura a tutti i cittadini il diritto alla formazione della famiglia e della donna lavoratrice l'adempimento della sua essenziale funzione di madre (articoli 2, 29 e 31). Inoltre la libertà di contrarre matrimonio costituisce un diritto inviolabile della persona umana. Qualora il licenziamento avvenga nonostante il divieto della legge questo viene considerato nullo e, pertanto, la lavoratrice ha diritto alla retribuzione sino al momento della sua riassunzione. Le dimissioni per matrimonio della lavoratrice devono essere approvate, entro un mese dall'ufficio del lavoro. Il ruolo di capo-famiglia, alla stessa stregua del marito, emerge dalla legge che estende alla donna lavoratrice il diritto di chiedere, al posto del marito, l'assegno per il nucleo familiare

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L'art. 2110 c.c., le leggi 26 agosto 1950, n. 860, 9 gennaio 1963, n.7, la l. 30 dicembre 1971, n. 1204 (che hanno modificato e completato le leggi precedenti del 1929 e del 1934) e la l. 9 dicembre 1977, n. 903, hanno cercato di conciliare le esigenze della donna madre con quelle della donna lavoratrice (art. 37 Cost.).Si noti che la funzione familiare deve essere preminente a quella lavorativa. La legge, pertanto detta norme a tutela della donna durante il particolare periodo della gravidanza, del puerperio e considera pure l'ipotesi dell'aborto.L'aborto legale è considerato una malattia prodotta dallo stato di gravidanza e, pertanto, dà diritto all'assistenza sanitaria ed economica ovvero alla conservazione del posto (non dà, invece, diritto all'astensione dal lavoro, sia "obbligatoria che "facoltativa", prevista per la gravidanza e per il puerperio). Le disposizioni più importanti, a tutela delle lavoratrici gestanti e puerpere, sono quelle qui di seguito elencate: ● Divieto assoluto di adibirle a lavori pesanti, pericolosi e insalubri; a sollevamento pesi senza alcun limite e anche in presenza di mezzi meccanici (durante il periodo della gestazione e sino a 7 mesi dopo il parto).

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● Concessione di un periodo di "astensione obbligatoria" dal lavoro, onde evitare danni all'organismo della madre e del nascituro. Questo periodo è, normalmente, di due mesi precedenti la data presunta del parto e di tre mesi dopo il parto. Tale periodo può essere ulteriormente anticipato, durante la gestazione, per i lavori gravosi o pregiudizievoli; per concessione dell'ispettorato del lavoro in casi particolari (ad esempio, gravi complicazioni della gestazione, documentate da certificato medico ecc.)● Concessione di una periodo di "astensione facoltativa" dal lavoro. La lavoratrice, trascorso il periodo di astensione obbligatoria, ha il diritto di assentarsi dal lavoro per un periodo di 6 masi, anche non continuativi, entro il primo anno di vita del bambino. Durante questo periodo le sarà conservato il posto. La lavoratrice ha diritto, altresì, ad assentarsi dal lavoro durante le malattie del bambino di età inferiore ai 3 anni, previa presentazione di certificato medico.● Per quanto concerne il trattamento economico, la lavoratrice ha diritto a un'indennità giornaliera di maternità pari all'80% della retribuzione, per tutto il periodo di astensione obbligatoria. A partire dal 1° gennaio 1973, la lavoratrice ha diritto, altresì, a una indennità giornaliera pari al 30% della retribuzione, per tutto il periodo di assenza facoltativa. Queste indennità decorrono dall'inizio del periodo di assenza (secondo certificato medico di gravidanza) e sono anticipate dal datore di lavoro e rimborsate dall'Inps.

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Le donne, nel corso degli anni, si sono ritagliate molti spazi nel mondo del lavoro, grazie alla loro professionalità ed alla loro adattabilità alle mutevoli condizioni del mercato. Tranne casi rari, si può affermare che le donne si trovano in ogni settore professionale, anche se in misura più o meno consistente. Non ci si deve, però, far trarre in inganno. Infatti, sebbene le donne ottengano un posto di lavoro, in genere si tratta di un'occupazione di basso rango: un lavoro noioso e ripetitivo, con uno scarso livello di responsabilità. Lo scatto professionale, di solito, è riservato ai colleghi. Nei centri decisionali, continuano a sedere gli uomini, nonostante la scelta possa essere effettuata anche nei confronti di una donna. Il problema, spesso, consiste nel fatto che per quanto concerne la qualifica di top manager, non esistono dei criteri specifici. Ossia la chiamata avviene nominalmente, e colui che effettua tale scelta, la fa sulla base delle proprie preferenze, piuttosto che in riferimento a delle regole ben precise.

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Nell'antichità e nel Medioevo il lavoro, e in particolare quello manuale, era svolto prevalentemente in condizioni servili. Molti lavoratori erano cioè schiavi, appartenenti a un proprietario, o servi, assoggettati cioè a un signore e sottomessi a corvè (giornate di lavoro gratuito obbligatorio). La liberazione del lavoro dal vincolo feudale fu una delle condizioni fondamentali dello sviluppo del capitalismo.In seguito alla rivoluzione industriale, dal XIX secolo la maggior parte dei lavoratori fu impiegata nelle fabbriche in attività sempre più standardizzate. Gli operai dell'industria erano sostanzialmente indifesi contro lo sfruttamento (orari di lavoro prolungati, disciplina di fabbrica) e privi di protezione dalle conseguenze di malattie, invalidità e disoccupazione. Nei primi decenni del XIX secolo, la crescente riflessione sui guasti sociali prodotti da un mercato del lavoro inumano e incontrollato portò a campagne di opinione contro gli abusi più gravi come il lavoro minorile e alla nascita di un movimento politico che aveva nel suo programma la difesa delle condizioni di vita dei lavoratori: il socialismo. I lavoratori organizzati in partiti politici, sindacati, cooperative, società di mutuo soccorso acquistarono una notevole forza, che permise loro di ottenere importanti conquiste sul piano economico, sociale e politico. Le legislazioni del lavoro sviluppatisi nei paesi industrializzati durante il XX secolo attestano il successo delle moderne organizzazioni dei lavoratori.

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Purtroppo, contrariamente ai pari diritti sanciti dalla nostra Costituzione, ci troviamo ancora oggi in una società maschilista, nella quale le donne occupano generalmente ruoli di secondaria importanza. L’articolo 37 della Costituzione dice che la donna lavoratrice ha gli stesi diritti dell’uomo lavoratore. Ma la realtà è molto diversa. Alcuni posti di lavoro o alcune cariche pubbliche sono da sempre “in mano” agli uomini e per questo, nell’opinione pubblica ma non in quella della legge, sono come intoccabili per le donne.I posti di lavoro più prestigiosi e più importanti sono in mano agli uomini basti pensare al nostro governo: nel parlamento italiano la percentuale di donne è molto inferiore rispetto a quella degli uomini senza parlare poi di cariche come Capo del Governo o dello Stato che (almeno in Italia ma come in gran parte dei paesi dell’UE) le donne non hanno mai occupato. Esistono poi lavori considerati “di serie B” (nel senso che in genere comportano minori responsabilità e una paga minore ma ugualmente importanti) come maestre, hostess o collaboratori scolastici ecc. che sono principalmente esercitati da donne. Tra l’altro, cosa da non trascurare, è che la donna dedica molto più tempo alla famiglia e ai figli rispetto agli uomini e quindi sono quasi sempre “obbligate” a scegliere lavori part-time che, comunemente, sono impieghi di minore valore.

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Quindi mentre per gli uomini le strade per la scelta di un lavoro sono aperte verso tutti i campi, per le donne sono limitate a certi lavori nonostante esse abbiano gli stessi diritti degli uomini.L’articolo 1 della nostra Costituzione afferma che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Ma l’Italia è uno degli stati con la più bassa occupazione e con la più alta disoccupazione dell’intera Unione Europea. Questo vuol dire che non vengono date abbastanza possibilità di posti di lavoro ai lavoratori italiani.

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1CSTMarco ZaniniEnrico GiacominAlessandro MuscarellaFabrizio ForteSasha GallioAlessio Zocchi