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STORIA CONTEMPORANEA L’OTTOCENTO Alla fine del 700 si verificano tre rivoluzioni: la rivoluzione industriale effetto dirompente sulla storia: rompe l’isolamento delle comunità locali, realizza un mercato comune a livello continentale, rende obsolete le aggregazioni statali, crea unità orizzontale sul territorio la Rivoluzione americana creazione dello Stato federale americano la Rivoluzione francese il cittadino entra a far parte della storia: integrazione verticale tra ceti sociali, idea di democrazia, idea di nazione (tentativo di risposta all’integrazione) Nel momento in cui sono entrati nella storia i concetti di nazione e democrazia, inizia il manifestarsi della contraddizione tra l’applicazione della democrazia nel quadro nazionale e la sua negazione a livello internazionale” cit. Albertini (es. colonialismo) LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE La rivoluzione industriale ha inizio in Gran Bretagna nel 700. Già a partire dal ’500 in Inghilterra si pratica la privatizzazione delle terre (enclosures). Nel frattempo sul continente europeo l’economia assume grande importanza e nasce il capitalismo mercantile, mentre l’Italia viene progressivamente occupata e perde l’indipendenza e lo splendore che aveva nel 400. I panni lana italiani vengono sostituiti dai panni lana inglesi, più rozzi ma più competitivi: l’Inghilterra può contare sulla presenza sul territorio di pecore e grandi pascoli. La maggior parte dei campi coltivati inglesi è di tipo promiscuo (agricoltura di sussistenza, non volta al commercio) e i contadini non hanno la proprietà di queste terre (affitto simbolico ai proprietari, corvées). Tra il ’500 e il ’700 si assiste a una ridefinizione del possesso, che diventa un carattere di certezza: le recinzioni diventano sempre più fitte e ai contadini vengono espropriate queste terre che rendevano poco per creare grandi pascoli destinati all’allevamento delle pecore. Si tratta di un lento processo di disboscamento che dura circa due secoli e produce: accumulazione di capitale nelle mani della borghesia agraria circolazione di capitale (reinvestimento) emarginazione di una massa sempre più imponente di contadini (yeomen) che si spostano nelle città (manodopera a basso costo per la nascente industria) Perché la Gran Bretagna? colonie grande flotta, importante per la difesa del territorio e per lo sviluppo dei commerci vie di comunicazione interne (fiumi navigabili) mentalità aperta rispetto al resto del continente costituzione che mette da parte le pastoie delle corporazioni (libera imprenditoria) attitudine imprenditoriale del ceto medio innovazioni dal punto di vista pratico religione calvinista (teoria della predestinazione) facilitazioni bancarie (prestiti) situazione di pace I settori maggiormente interessati alle innovazioni sono quelli tessile, siderurgico, dell’energia e delle comunicazioni.

Storia contemporanea

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STORIA CONTEMPORANEA

L’ O TT OC EN TO

Alla fine del ’700 si verificano tre rivoluzioni:

la rivoluzione industriale effetto dirompente sulla storia: rompe l’isolamento delle comunità locali, realizza un mercato comune a livello continentale, rende obsolete le aggregazioni statali, crea unità orizzontale sul territorio

la Rivoluzione americana creazione dello Stato federale americano

la Rivoluzione francese il cittadino entra a far parte della storia: integrazione verticale tra ceti sociali, idea di democrazia, idea di nazione (tentativo di risposta all’integrazione)

“Nel momento in cui sono entrati nella storia i concetti di nazione e democrazia, inizia il manifestarsi della contraddizione tra l’applicazione della democrazia nel quadro nazionale e la sua negazione a livello internazionale” cit. Albertini (es. colonialismo)

LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

La rivoluzione industriale ha inizio in Gran Bretagna nel ’700.

Già a partire dal ’500 in Inghilterra si pratica la privatizzazione delle terre (enclosures). Nel frattempo sul continente europeo l’economia assume grande importanza e nasce il capitalismo mercantile, mentre l’Italia viene progressivamente occupata e perde l’indipendenza e lo splendore che aveva nel ’400. I panni lana italiani vengono sostituiti dai panni lana inglesi, più rozzi ma più competitivi: l’Inghilterra può contare sulla presenza sul territorio di pecore e grandi pascoli. La maggior parte dei campi coltivati inglesi è di tipo promiscuo (agricoltura di sussistenza, non volta al commercio) e i contadini non hanno la proprietà di queste terre (affitto simbolico ai proprietari, corvées). Tra il ’500 e il ’700 si assiste a una ridefinizione del possesso, che diventa un carattere di certezza: le recinzioni diventano sempre più fitte e ai contadini vengono espropriate queste terre che rendevano poco per creare grandi pascoli destinati all’allevamento delle pecore. Si tratta di un lento processo di disboscamento che dura circa due secoli e produce:

accumulazione di capitale nelle mani della borghesia agraria

circolazione di capitale (reinvestimento)

emarginazione di una massa sempre più imponente di contadini (yeomen) che si spostano nelle città (manodopera a basso costo per la nascente industria)

Perché la Gran Bretagna?

colonie

grande flotta, importante per la difesa del territorio e per lo sviluppo dei commerci

vie di comunicazione interne (fiumi navigabili)

mentalità aperta rispetto al resto del continente

costituzione che mette da parte le pastoie delle corporazioni (libera imprenditoria)

attitudine imprenditoriale del ceto medio

innovazioni dal punto di vista pratico

religione calvinista (teoria della predestinazione)

facilitazioni bancarie (prestiti)

situazione di pace

I settori maggiormente interessati alle innovazioni sono quelli tessile, siderurgico, dell’energia e delle comunicazioni.

Nel settore tessile avviene il passaggio dalla produzione di lana a quella di cotone: il cotone ha una fibra grezza resistente alche alle imperfezioni delle prime macchine, è più diffuso a livello mondiale ed è coltivato nelle piantagioni americane a costi bassissimi grazie alla manodopera della schiavitù. Nel 1793 Whitney brevetta la macchina per sgranare il cotone e all’inizio dell’800 viene inventata la mietitrice.

Il lavoro nelle manifatture tessili si divide in quattro fasi: cardatura, filatura, tessitura, rifinitura. Le prime invenzioni che danno avvio al processo di meccanizzazione riguardano le fasi della filatura e della tessitura:

1733 spoletta volante di John Kay (un solo tessitore riesce a portare avanti il lavoro di cinque filatori)

1765 spinning jenny di Hargraves

1768 water frame di Arkwright

1779 mule jenny di Crompton

1785 telaio meccanico di Cartwright

1805 telaio jacquard

Le prime macchine hanno una parte fissa in legno ed una parte mobile in ferro, ma a poco a poco sono costruite interamente in ferro. Per la loro realizzazione serve un metallo puro che non si rompa facilmente. Il minerale di ferro viene reso puro all’interno delle fornaci, a temperature altissime e in presenza di carbone di legna, che si ottiene attraverso un processo di combustione molto lenta. Nonostante abbia costi più bassi, il carbone normale non viene utilizzato perché trasmette le impurità. Tra il 1710 e il 1730 la famiglia Darby, nel Galles, riesce a rendere puro il carbone delle miniere (carbon fossile), realizzando il coke, che da allora viene utilizzato per il processo di fusione del minerale di ferro.

1776 prima rotaia in ferro nelle miniere

1799 primo ponte in ferro sul fiume Severn

1854 prima nave in ferro (a partire dall’ultimo quarto dell’800 le navi hanno lo scafo in acciaio)

Nel corso dell’800 si hanno le invenzioni più importanti nel campo della siderurgia:

1856 convertitore Bessemen (trasforma la ghisa in acciaio)

1864 forno Martin-Siemens (rottami di ferro)

1877 convertitore Thomas- Gilsehrist (minerali di ferro della Ruhr)

Settore dell’energia (settore del vapore):

fine ‘600 pompa a fuoco di Savery

1705 pompa a fuoco di Newcomen

1769 utilizzazione del vapore da parte di James Watt

1784 superamento del processo a stantuffo e passaggio a quello rotatorio

1807 primo battello a vapore (in Gran Bretagna)

1826 primo battello a vapore in Italia

LA RIVOLUZIONE NEI TRASPORTI E NELLE COMUNICAZIONI

La rivoluzione industriale richiede anche una rivoluzione delle comunicazioni. Nel Medioevo, quando le strade romane vanno in rovina, vengono create delle piste in terra battuta, la cui manutenzione è affidata ai fondisti; le persone si spostano poco e solo a cavallo, si muovono soltanto le merci preziose (le spezie, il sale, la seta, i codici, i tappeti persiani) su carri trainati dai buoi, i ponti sono rarissimi.

Tra ’600 e ’700 le comunicazioni vengono migliorate, ma non dal punto di vista strutturale. Le vie migliori rimangono quelle d’acqua: dal 1790 al 1800 c’è il decennio della canalizzazione in Gran

Bretagna. Si ha un salto di qualità con il battello a vapore, ma è ancora molto lento; negli anni ’20 una nave attraversa l’Atlantico utilizzando il vapore per una cinquantina di ore su una trentina di giorni; nel 1833 la prima nave a vapore attraversa l’Atlantico.

La strozzatura più importante è quella su strada: ci sono stazioni di posta per i cavalli ogni 14 chilometri. Verso la fine del ’700, oltre ai carri, si utilizzano le diligenze (carreggio), ma i costi sono ancora alti.

Nel 1815 Stephenson trasporta le rotaie in ferro utilizzate nelle miniere su una strada a sé, la ferrovia, e sui carrelli farà muovere le diligenze, tranate da una locomotiva azionata da una macchina a vapore:

1825 primo tratto sperimentale Stockton-Darlington

1830 primo tratto ordinario Liverpool-Manchester

dal 1850 le ferrovie si diffondono su tutto il continente

1839 primo tratto ferroviario italiano Napoli-Portici (7 km)

1840 Milano-Monza

metà anni ’50 Novara-Torino

La ferrovia significa un cambiamento sostanziale: mette in relazione le persone; trasforma il modo di vivere degli Europei e poi di tutto il mondo; vengono meno le barriere economiche, sociali, di civiltà; dove passa la ferrovia passa la ricchezza

Se all’inizio dell’800 un cittadino di Londra spedisce una lettera a Calcutta, spera di ricevere una risposta entro due anni; a metà ’800 il tragitto si faceva in sei settimane; nel 1914 in due settimane.

Con la crescita del settore delle comunicazioni si ha anche un superamento delle barriere doganali. Non è casuale l’unificazione dell’Italia nel 1861 e della Germania nel 1870.

LA NASCITA DEGLI USA

Gli Stati Uniti hanno scelto il modello federale in contrapposizione all’esperienza europea per non ripercorrere i suoi stessi errori (conflittualità endemica).

Fino alla fine del ’700 la teoria politica, ovvero la teoria politica europea, teorizza un concetto di Stato sovrano, unitario, indivisibile e illimitato, l’unico riconosciuto come possibile Stato democratico; gli altri modelli di Stato sono ritenuti modelli deboli per via della divisione dei poteri. Coloro che dall’Europa guardano all’America faticano a considerarla un modello di Stato. James Bryce scrive The American Commonwealth: quello americano è un modello transitorio e progressivamente si passerà dalla federazione ad uno Stato unitario. Alexis de Tocqueville nel 1835 scrive La democrazia in America: l’organizzazione creata in America in realtà dà potere in particolar modo agli Stati e in futuro ci sarà un ritorno a forme di federazione.

Il modello federale viene proposto in seno alla Convenzione di Philadelphia del 1787: si dà una risposta al problema di combinare da un lato l’unità, indispensabile per la pace, dall’altro la diversità, necessaria al mantenimento dell’indipendenza dei singoli Stati.

Le 13 colonie britanniche in America sono di natura molto diversa, ma hanno in comune un’organizzazione politica informata alla Gran Bretagna. I padri pellegrini propongono di creare un’autorità politica autonoma con un ordinamento originario. La Gran Bretagna ha dei privilegi economici sulle colonie che derivano dagli Atti di navigazione e commercio, ma verso la fine del ’700 le colonie non tollerano più che la Madrepatria possa legiferare su questioni interne agli Stati e consentono che lo faccia solo nel commercio con l’estero.

La Guerra dei sette anni (1756-1763) si conclude con il Trattato di Parigi: la Gran Bretagna si trova ad avere un impero coloniale sempre più ampio da difendere e ingenti debiti di guerra da pagare. Al

contributo finanziario debbono partecipare anche le colonie, che fino ad allora hanno accettato gli Atti di navigazione in cambio della difesa del territorio garantita dalla Gran Bretagna. Dopo il 1763 non c’è più bisogno per le colonie della protezione militare da parte delle Madrepatria, che pure chiede nuovi contributi alla difesa sotto forma di tasse.

Nel 1765 si verificano le prime proteste dei coloni in occasione dell’emanazione dello Stamp Act, che afferma il diritto del Parlamento britannico a legiferare anche nel campo interno delle colonie. Da allora le colonie vedono in maniera negativa qualsiasi imposizione britannica anche nel commercio con l’estero laddove sono state prese decisioni senza il loro consenso.

Nel 1774, a seguito del Tea Act, viene presa la decisione di passare da forme di resistenza passiva (sospensione dell’acquisto di prodotti britannici) ad una resistenza armata. Non esiste ancora una mentalità unitaria: i rapporti tra colonie e Madrepatria sono più intensi di quelli fra le colonie. Dal 1775 la resistenza non sarà delle singole colonie, ma unitaria, e viene designato a guidare le truppe George Washington. Si forma una collaborazione sulla base di un futuro e di un destino in comune, un sentimento di appartenenza ad una comunità più ampia.

Nel 1776 viene redatta la Dichiarazione d’indipendenza: la prima parte tratta dei diritti dei cittadini e della facoltà di uno Stato di cambiare il proprio governo nel caso in cui non vengano garantiti questi diritti;, la seconda parte è una spiegazione delle ragioni che hanno indotto le colonie a staccarsi dalla Madrepatria; la terza parte enuncia la decisione di queste colonie di difendere insieme i principi della Dichiarazione d’indipendenza.

Nel 1778 c’è una proposta di confederazione: 13 Stati unitari che si uniscono in una lega. La confederazione ha degli organi comuni: il Congresso, che ha un potere deliberante sugli aspetti comuni alle ex colonie, e il Presidente. Non esistono un organo giudiziario e un organo esecutivo comuni: le deliberazioni posso essere applicate solo su accettazione dei singoli Stati, che non rimangono sempre fedeli ai patti. Esiste un esercito, ma non ha diritto di leva. Il bilancio degli organi comuni è costituito dai contributi dei singoli Stati sulla base di percentuali fissate, che molte ex colonie si rifiutano di pagare.

Nascono una serie di problematiche su cosa fare delle terre dell’ovest, che la Gran Bretagna voleva rimanessero agli Indiani, e sull’eliminazione delle barriere doganali, per la quale occorrono degli accordi fra gli Stati, di difficile stipulazione – il fatto di coesistere sullo stesso territorio provoca uno stato di conflittualità preoccupante.

Per trovare una soluzione al problema del rafforzamento della confederazione, nel 1786 un rappresentante virginiano propone alla sua assembla di invitare tutti gli Stati a mandare i loro delegati a Neapolis: solo cinque Stati mandano i loro rappresentanti (New Jersey, Pennsylvania, Verginia, Delaware, New York). La Convenzione e la richiesta di ridurre il potere dei singoli Stati sono un fallimento.

Nel maggio 1787 Hamilton invita a Philadelphia i delegati degli Stati per decidere il mantenimento della confederazione o il passaggio all’unione. Il 17 settembre 1787 si conclude la Convenzione e nel 1788 nasce il sistema federale americano. Benjamin Franklin viene nominato Presidente della Convenzione: egli mette freno ai contrasti tra Stati grandi e Stati piccoli, tra liberisti e protezionisti, tra democratici e conservatori. All’interno della Convenzione si scontrano due modelli: uno per l’unione (modello unitario di Hamilton), l’altro per il mantenimento della sovranità nei singoli Stati (modello pluralista di Jefferson). Entrambi i modelli partono da presupposti validi: quello di Hamilton dalla pace, quello di Jefferson dalla democrazia. Si pone fine allo scontro tra queste due fazioni con un compromesso: la creazione di due Camere, la Camera dei deputati, a rappresentanza proporzionale, e il Senato, a rappresentanza paritetica; ogni legge deve essere approvata da entrambe le Camere.

È un sistema a due livelli di potere, da una parte lo Stato federale, dall’altra gli Stati federati. C’è una divisione della sovranità; non vengono divise le competenze, ma i poteri: allo Stato federale vengono attribuiti i poteri comuni (politica estera, difesa, politica economica), la politica fiscale viene ripartita fra entrambi, il resto rimane agli Stati federati. In questo contesto giocano due fattori fondamentali: da un lato una situazione di pace – le ex colonie non devono difendersi da altri Stati – dall’altro una situazione di grande elasticità dal punto di vista del mercato del lavoro – con la colonizzazione dei territori a ovest non c’è nessun problema a trovare occupazione. Hamilton viene nominato Ministro del tesoro e cerca di rafforzare la Banca Centrale attraverso una politica economica protezionistica.

Tra il 1886 e il 1888 vengono scritti 85 articoli (51 di Hamilton, 14 di Mason, 5 di Jay) con l’intento di spiegare la nuova Costituzione agli Americani e di farla ratificare – ad essa era contrario il governatore dello Stato di New York perché avrebbe ridotto considerevolmente il potere dei singoli Stati. Secondo Hamilton, la democrazia non è sufficiente a mantenere la pace e la vera causa della guerra è la divisione fra Stati.

Nell’opera Sulla pace perpetua, Kant paragona gli individui ai popoli. Il diritto, e non la forza fisica, è il principio cardine attraverso cui risolvere le controversie. Nei rapporti tra popoli ci si limita a dare per scontato che questi rapporti debbano avvenire attraverso la guerra. Si continua a far riferimento ai maggiori teorici dei diritto internazionale (Grozio), pur essendo esso nella pratica quotidianamente non applicato. Verosimilmente esiste nell’uomo una disposizione morale per cui egli faccia riferimento al diritto. Si fa riferimento al concetto di civitas gentium: non uno Stato di popoli, ma una federazione di popoli, popoli come individui che vanno a formare lo Stato federale. È l’ultimo progetto di pace perpetua, quel processo che mira a porre le basi della pace sul diritto naturale, superiore a quello positivo dello Stato. Il vero problema è che non esiste un potere esecutivo superiore che obblighi gli Stati a seguire le decisioni prese dall’Assemblea comune.

DIRITTO POSITIVO E DIRITTO NATURALE

Nel VI secolo a.C. in Grecia si distingue tra fusis e nomos (la convinzione, l’opinione, la norma). Nel V secolo a.C. questa divisione viene trasferita sul campo politico e denota due concezioni del diritto: nomos identifica una legge destinata cambiare nel tempo e rispondente alle esigenze di uno Stato (diritto positivo), fusis identifica la legge che sta al di sopra delle altre (dritto naturale). Il dibattito fra queste due concezioni del diritto continua nel tempo, fino al giusnaturalismo e al giuspositivismo.

Nell’800 il dibattito è meno sentito, ma il XIX secolo è l’epoca della codificazione del diritto in Europa. Fino a questo momento sul continente è rimasta nel tempo un’unità del diritto, rappresentata dallo ius commune. La lex communis proviene dal XII secolo, momento del grande rinascimento giuridico che ha la sua sede principale a Bologna. I giuristi bolognesi riscoprono il Corpus iuris civilis di Giustiniano. Il loro intento risponde all’esigenza di avere un diritto comune che valga per tutto l’Impero, che sta vivendo un processo di frazionamento politico con la progressiva indipendenza di comuni e regni: si sta profilando il percorso che porterà agli Stati moderni e si sente l’esigenza di unità.

I glossatori, giuristi di grande rilievo nel panorama della storia del diritto europeo, attraverso la lettura del testo, appongono delle glosse, delle postille, dei richiami immediati per rendere comprensibile un testo di sei secoli prima. Sul lavoro dei glossatori s’innesta quello dei commentatori, che rendono immediatamente applicabile il diritto. Il corpus iuris così modificato e interpretato comincia a circolare su tutta l’Europa continentale e ad essere applicato nell’Impero, trasformandosi in ius commune. I diritti particolari vengono applicati solo dove lo ius commune non è previsto.

Nel XV secolo lo ius commune rimane sempre il diritto di riferimento: i giuristi dei grandi tribunali moderni si sono formati nelle università laddove hanno imparato lo ius commune.

L’800 rappresenta un momento di rottura con il passato: vengono codificati i diritti nazionali, mentre lo ius commune diventa suppletivo. In Gran Bretagna, dove a partire dal 1066 i Normanni creano dei grandi tribunali (le corti londinesi), vige la common law: il diritto britannico si basa sui casi precedenti, che servono a corroborare le opinioni del giudici.

Nel ’900 c’è lo scontro tra le due concezioni del diritto. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i criminali nazisti vengono giudicati dal Tribunale di Norimberga. La difesa poggia sul diritto positivo: i nazisti hanno seguito quella che era la legge dello Stato. L’accusa poggia del diritto naturale: il giudice Jackson indica questi uomini come criminale sulla base di un diritto superiore, di una legge più alta, della legge naturale che sta al di sopra della legge positiva.

All’Università di Hardenberg, Jaspers tiene un corso sulla colpa della Germania: la colpa non può essere collettiva, ma è sempre individuale. In Germania durante in nazismo sono presenti una varietà di comportamenti: le SS, chi fa finta di non vedere, che nasconde gli ebrei, i ragazzi universitari della Rosa bianca ecc.

Lo storico Ludwig Dehio, estimatore della filosofia di Jaspers e della storiografia di Ranke, afferma che non si può fare la storia di uno Stato, ma di un sistema degli Stati. Il suo Equilibrio ed egemonia si basa su questo concetto: il sistema europeo degli Stati che va innestandosi su quello italiano va dal ’500 al ’900. In questo volume vengono formulate tre leggi. La prima legge enuncia che ci sono stati nel tempo vari tentativi di predominio da parte di alcune potenze e che sono stati tutti vanificati dall’azione degli altri Stati coalizzati per impedirne l’egemonia. La seconda legge enuncia che il segreto degli Stati coalizzati per impedire l’egemonia sta nell’aiuto che trovano nelle potenze marginali, periferiche, sia quelle insulari (Gran Bretagna, Stati Uniti), sia quelle di terra (Turchia). Col tempo queste potenze si rafforzano fino alla trasmigrazione del prestigio dal sistema europeo degli Stati a quello mondiale, mentre gli Stati europei si scontrano e si indeboliscono a vicenda. La dimensione dell’Europa non è più adeguata ai nuovi tempi: la risposta europea alla rivoluzione industriale all’ampliamento dei mercati e dei confini è il colonialismo. La terza legge enuncia che accentramento del potere, la militarizzazione della società, il carattere autocratico o liberale delle istituzioni e il conflitto fra classi dipendono dalla situazione delle relazioni internazionali.

IL CONGRESSO DI VIENNA E LA RESTAURAZIONE

Il fine del Congresso d Vienna (1815) è evitare nuove guerre; a questo scopo vengono utilizzati due mezzi complementari: quello principale è il concetto di equilibrio fra gli Stati, l’altro sono i trattati (la Santa Alleanza, il Trattato di Garanza).

Il concetto di equilibrio viene ripreso da quello inventato dalle menti creative dei diplomatici italiani a metà del ’400 in piena anarchia e inaugurato con la Pace di Lodi (1454). In questo tempo una serie di Stati si emancipano dalle grandi comunità e diventano Stati sovrani: attraversano un processo di accentramento (esercito permanente, fiscalità perfezionata), coesistono su uno stesso territorio e non riconoscono nessun ente sopra di sé.

La molteplicità di Stati sovrani non garantisce la pace, ognuno di loro vuole affermare il proprio predominio. La frantumazione non crea solo le basi per la conflittualità fra gli Stati, ma anche per la difesa comune: una delle soluzioni possibili è quella della lega per affrontare insieme i pericoli comuni (per l’Italia è la Francia di Carlo VIII).

Viene escogitato il principio della bilancia dei poteri: laddove non esiste una comunità superiore agli Stati, devono esistere dei pesi e dei contrappesi che possano frenare l’ambizione di uno di questi Stati; essi devono detenere una potenza simile perché nessuno di loro sia invogliato alla guerra. L’equilibrio dura solo una cinquantina d’anni e nel ’500 viene sostituito dal sistema europeo deli Stati: gli Stati moderni sovrani in perenne conflittualità fra loro si pongono gli stessi problemi. Nel 1713 il Trattato di

Utrecht si propone di realizzare una perfetta bilancia della potenza. Lo stesso concetto viene poi teorizzato da Campanella e da Boccalini (La bilancia politica).

Le decisioni del Congresso di Vienna:

rafforzamento degli Stati (in particolare quelli vincitori)

isolamento della Francia, dopo l’ultimo tentativo di egemonia con Napoleone

semplificazione del frazionamento politico europeo attuata da Napoleone

Su questi presupposti vengono discusse le scelte della Commissione di Statistica che deve tracciare i nuovi confini: il concetto di nazione, e soprattutto quello di nazionalità, non sono di facile applicazione perché non sono ancora delineati.

La Francia rientra nei confini ante-Napoleone (1790) e sul trono sale Luigi XVIII di Borbone. Il nuovo governo restaurato riesce a mantenere il potere (monarchia temperata), anche grazie all’intervento di collaboratori capaci: Richelieu al Congresso di Vienna chiede la parificazione della Francia agli altri Stati e al Congresso di Aquisgrana nel 1818 ottiene che essa entri all’interno del Trattato di Garanzia, nato originariamente in funzione anti-francese.

Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, sotto Giorgio III e Giorgio IV di Hannover, ottiene alcuni territori non vasti ma di enorme importanza dal punto di vista commerciale: l’isola di Malta, le isole Ionie (ex territori della Repubblica di Venezia), le isole di Trinidad (ex colonia spagnola) e Tobago (ex colonia francese), Ceylon e il Capo di Buona Speranza.

L’impero russo, guidato dallo zar Alessandro I, della dinastia Romanov, acquisisce la Finlandia dalla Svezia, la Bessarabia dall’Impero ottomano e il Granducato di Varsavia. Le sue linee di espansione sono quattro: quella mediterranea (Bosforo, Dardanelli), quella balcanica, quella caucasica e infine quella del pacifico settentrionale (Alaska, una base commerciale in California). Nel 1825 Alessandro I viene sostituito da Nicola I.

L’Impero austriaco, sotto Francesco I Asburgo, si rafforza verso sud (ex territori della Repubblica di Venezia) e verso est (ex territori della Polonia, che viene sparita fra Austria, Prussia e Russia). All’Impero austriaco viene sottratto il Belgio, che si unisce all’Olanda per formare lo stato cuscinetto dei Paesi Bassi. Ha un’influenza predominante su tutto il territorio della penisola italiana e sul territorio della Confederazione tedesca, che viene nominato a presiedere. I suoi elementi di debolezza sono la convivenza di popoli e nazionalità diversi, l’assenza di un grande esercito e una debole pressione fiscale.

Nella Confederazione germanica continua il processo di semplificazione: vengono uniti 38 stati in una sorta di alleanza con sede a Francoforte e presieduta dall’Austria. La Confederazione non ha carattere esecutivo.

La Confederazione svizzera è composta da 22 cantoni con sede a Lucerna.

La Prussia, sotto Federico Guglielmo II di Hoenzollern, viene rafforzata, sia in funzione anti-russa, sia in funzione anti-francese: mantiene i suoi territori (Pomerania, Brandeburgo e Prussia occidentale) e ne acquisisce altri a ovest (Sassonia, Vestfalia e Renania, con le città di Colonia, Treviri e Bonn) e a nord (Pomerania svedese e Bosnania, ex territorio polacco).

La Spagna rientra nei vecchi confini e perde qualche colonia, ma il Congresso di Vienna tace sull’America latina.

Il Regno di Portogallo, sotto Maria di Braganza, viene amministrato dalla Gran Bretagna fino al 1815, quando la monarchia rientra dal Brasile.

A nord, il Regno di Svezia perde la Finlandia, ma acquisisce la Norvegia, mentre il Regno di Danimarca perde la Norvegia e acquisisce l’Holstein e il Lauenburg.

Nella penisola italiana non si parla di confederazione (frazionamento politico, nessun organo comune):

Regno lombardo-veneto, regno autonomo austriaco, con un viceré in rappresentanza degli Asburgo; si diffondono sentimenti anti-austriaci, anche dal punto di vista economico (tassa sull’importazione dei prodotti austriaci, ma nessuna tassa sulle esportazioni lombarde)

Regno di Sardegna, sotto Vittorio Emanuele I di Savoia, il quale riesce ad ottenere che all’Austria non vada il Novarese con il Sempione, utile per la circolazione delle merci; quando acquisisce gli ex territori della Repubblica di Genova, devia i commerci che prima passavano da lì verso il Piemonte, anziché verso la Lombardia, mediante incentivi al rafforzamento delle vie di comunicazione (costruzione del traforo del Fréjus)

Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, sotto Maria Luisa d’Austria, alla cui morte subentrano i Borbone

Ducato di Modena e Reggio, sotto Francesco IV d’Este, legato agli Asburgo, che governa anche Massa e Carrara

Granducato di Toscana, sotto gli Asburgo-Lorena

Stato della Chiesa, che viene privato di Avignone; l’Austria mantiene due guarnigioni a Comacchio e Ferrara

Regno delle due Sicilie, che riunisce Napoli e la Sicilia sotto i Borbone; stipula un accordo con l’Austria in base al quale s’impegna a non fare riforme che vadano contro la politica austriaca

La Santa Alleanza viene stipulata il 26 settembre 1815 e vi aderiscono Austria, Russia e Prussia, legate dalla loro comune matrice cristiana. Esse si promettono assistenza e mutuo aiuto, e viene sottolineata la decisione di contrastare ogni cambiamento dello status quo all’interno del loro territorio. Non c’è nessuna clausola sulle truppe da mettere in campo o sullo status belli.

Il Trattato di Garanzia, in funzione anti-francese, viene stipulato il 20 novembre 1815 e vi aderisce anche la Gran Bretagna, oltre agli Stati della Santa Alleanza. La Gran Bretagna sceglie di occuparsi del continente solo quando c’è un pericolo di egemonia e accetta di inserire all’interno del trattato l’articolo 6, che prevede delle conferenze periodiche per affrontare problemi comuni relativi al mantenimento della pace. Le prime di queste riunioni con carattere conservatrice consentono all’Austria di frenare i moti nel Regno delle due Sicilie e alla Francia – che viene inserita all’interno dell’articolo 6 e riammessa nel sistema europeo degli Stati – di intervenire in Spagna; in seguito a tali decisioni la Gran Bretagna abbandona le riunioni.

Con la Restaurazione, c’è il ripristino dei vecchi privilegi e delle vecchie dinastie. Il rispristino non è totale: alcune modifiche fatte nel periodo napoleonico vengono mantenute, non c’è il ritorno ai vecchi privilegi feudali, non c’è il ritorno dei nobili alle cariche precedentemente assunte – tranne in Sardegna, dove si arriva al ripristino della pluralità dei tribunali – non c’è la restituzione delle terre confiscate ai legittimi proprietari e alle abbazie e monasteri. I contadini non hanno grandi motivi di malcontento, neppure la borghesia, che pure desidera una partecipazione al potere.

Cosa spinge verso la contestazione? Alle proteste politiche si aggiungono quelle economiche – come quelle del Belgio contro l’unione all’Olanda – e quelle culturali – come la diffusione del romanticismo, che non è solo letterario, ma anche politico.

Nel 1820 Hegel scrive I fondamenti della filosofia del diritto: la storia è storia di Stati che lottano per il predominio, che lo Stato più forte ha diritto a inglobare quello più debole, che il fine dell’uomo è servire lo Stato.

L’INDIPENDENZA DELL’AMERICA LATINA

Le prime idee indipendentiste si diffondono alla fine del ’700 – in particolare durante il periodo napoleonico, quando la Spagna è occupata dalla Francia, che però non riesce a prendere realmente possesso di questa zona – e in relazione a una diversificazione di intessi tra creoli (coloni spagnoli) e amministrazione spagnola: l’amministrazione cerca di portare avanti il monopolio commerciale e la fiscalità; i creoli vogliono una maggiore partecipazione all’amministrazione e più contatti con gli Indios. Nascono delle giunte che vanno a coprire il vuoto di potere lasciato e che progressivamente si dichiarano indipendenti, a partire dalla giunta di Caracas, proclamatasi indipendente nel 1811.

Quando in Spagna torna la monarchia, cerca di recuperare l’America latina: invia delle truppe per mettere fine a questi tentativi d’indipendenza e inizialmente riesce nel suo intento, tranne in Argentina – indipendente dal 1816, con Francisco Miranda e José de San Martin – da cui in seguito si staccano Paraguay e Uruguay.

Nel 1817 si ha l’indipendenza del Cile e la nascita degli Stati Uniti di Colombia (Colombia, Venezuela, Ecuador). La resistenza spagnola si concentra in Perù, dove i meticci sono a fianco degli Spagnoli. I moti del 1820-21 in Spagna aiutano l’indipendenza: i moti partono da Cadice, dove si trovano le truppe che devono partire per il Sud America.

Nel 1823 la Francia ipotizza un intervento in Sud America; l’ipotesi fa scattare la reazione di Gran Bretagna e Stati Uniti. Gli Stati Uniti riconoscono i nuovi Stati; gli Inglesi propongono un intervento congiunto, che non riesce, e avvertono la Francia che se interverrà, la Gran Bretagna agirà in difesa dell’indipendenza degli Stati. La dottrina Monroe si pone a difesa degli stati dell’America del Sud: è una dottrina più ampia concepita per difendere tutto il territorio americano dagli attacchi europei, anche contro la Gran Bretagna. Nel 1824 gli Spagnoli sono sconfitti in Perù e cade l’ultima resistenza spagnola.

Si pone il problema di cosa fare dei nuovi Stati e che forma dar loro. San Martin vuole affidare lo Stato a nobili spagnoli, con la monarchia, ma alla fine viene sceltala repubblica. Si apre un altro dibattito: mantenere l’unità come sotto la Spagna o creare degli Stati indipendenti? Se ne discute nel 1825-26 al Congresso di Panama, il contraltare del Congresso di Philadelphia: a Philadelphia nasce la federazione, a Panama vengono creati Stati nazionali, contro l’idea di Simon Bolivar.

Nel 1848 e nel 1869 ci sono due congressi panamericani: il primo, dopo la guerra messicano-americana (1846-48), è la risposta alle mire espansionistiche degli Stati Uniti, e viene portata avanti l’idea che uniti si possa resistere meglio; il secondo è la risposta all’invasione del Messico da parte di Napoleone III.

Dopo il 1808, per via dell’invasione francese, la corte portoghese si rifugia in Brasile, dove resta fino al 1820; quando ritorna in Portogallo, si verificano dei moti indipendentisti anche in Brasile. Il re ha lasciato là il figlio Don Pedro, che, senza un esercito, si allea coi ribelli e si fa proclamare imperatore: si forma un unico stato brasiliano, sotto la guida di Don Pedro.

Anche nell’America centrale hanno luogo numerose rivolte, ma qui creoli e amministrazione spagnola si alleano contro di esse. Nel 1821 il Messico diventa indipendente sotto la guida di un militare, che viene allontanato e sostituito con un governo liberale e una politica più democratica, che abolisce la schiavitù. Gli altri Stati centrali creano uno stato unitario, la Repubblica delle Province Unite (Guatemala, Nicaragua, Honduras, Salvador, Costa Rica), che si disgrega in pochi anni.

Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna sono interessati alla costruzione di un canale nella zona del Nicaragua e ne discutono al congresso del 1825, scegliendo come zona la valle del fiume San Juan. Nel frattempo la Gran Bretagna occupa l’isola di Roatan, la costa dei Mosquitos e la foce del fiume. Allora gli Stati Unti fanno un accordo col Nicaragua per ottenere una base sull’isola del Tigre, ma gli Inglesi arrivano prima

e la occupano. Si crea attrito, ma nessuno dei due Stati vuole la guerra: nel 1850 un accordo stabilisce che qualsiasi canale possa essere fatto solo in collaborazione con i due Stati e che nessuno possa conquistare terre lì intorno; non si parla però delle terre già conquistate, e continuano i contrasti. Si arriva alla costruzione del canale solo alla fine dell’Ottocento, mentre Suez, su iniziativa francese, è del 1869.

IL RISORGIMENTO ITALIANO

Nel processo di unificazione dell’Italia non c’è un solo soggetto attivo, ma una sovrapposizione di personaggi e movimenti con tempistica e modalità differenti. Esso inizia con la prima guerra d’indipendenza (1848-49), ma già negli anni ’20 ci sono persone che si attivano per arrivare a quest’obbiettivo (Mazzini, carbonari).

L’unificazione italiana è legata alla Rivoluzione francese:

il concetto di nazione viene definendosi negli anni della Rivoluzione francese e si lega al processo di acquisizione dei diritti (da sudditi a cittadini)

i primi patrioti italiani sono militari che hanno combattuto nell’esercito napoleonico

la bandiera italiana è simile a quella francese

Negli anni della Restaurazione, la penisola italiana è divisa in dieci piccoli Stati:

Regno lombardo-veneto

Stato pontificio (Lazio, Umbria, Marche, Emilia-Romagna)

Granducato di Toscana

Regno delle due Sicilie

Regno di Sardegna (Piemonte, Liguria, Sardegna; la Liguria viene unita al Piemonte con il Congresso di Vienna)

Ducato di Modena e Reggio

Ducato di Lucca

Ducato di Massa e Carrara

Ducato di Parma e Piacenza

San Marino

L’Italia è sotto l’egemonia austriaca, con l’eccezione del Regno delle due Sicilie, sotto i Borbone, a cui l’Austria propone un accordo militare, del Regno di Sardegna e dello Stato Pontificio.

Il Regno lombardo-veneto vive un regime di oppressione, ma dispone di una burocrazia efficiente, di un’industria tessile e di vie di comunicazione moderne: una situazione molto diversa rispetto a quella degli altri Stati italiani. La Lombardia ha conosciuto l’indipendenza sotto Napoleone e non accetta volentieri la dominazione austriaca.

Metternich tenta in qualche modo di venire incontro alle richieste lombarde, concedendo una certa autonomia attraverso l’instaurazione di un viceré, l’arciduca Ranieri, e di due governatori a capo di due Congregazioni, a Milano e a Venezia, e realizzando il sistema della monarchia amministrativa o consultiva: al vertice sta la Consulta di Stato, cui seguono le due Congregazioni, le Congregazioni provinciali e infine i Consigli comunali. La monarchia restaurata concede privilegi amministrativi, assegna poteri consultivi alla borghesia e patteggia con gli ambienti liberali.

Nel Regno di Sardegna si ha una restaurazione particolarmente forte, con la reintroduzione del feudalesimo e della molteplicità dei tribunali. La creazione di una Consulta di Stato dà inizio alla costituzionalità.

Il Regno di Napoli è governato da Ferdinando I di Borbone. Al Regno di Napoli viene inglobata anche la Sicilia, da cui viene cacciato Gioacchino Murat e n cui permane un sentimento di autonomia. Dopo gli

accordi presi con l’Austria, Ferdinando abolisce la Costituzione ma trova un accordo con i murattiani e mantiene in carica i funzionari scelti dal vecchio re. Il punto debole del Regno è l’economia: Ferdinando ha speso molto per tornare sul trono, deve pagare le riparazioni di guerra e deve mantenere le truppe austriache; allora mette una tassa del 5% sulle rendite, da versare attraverso i comuni.

La Chiesa – grande parte dei cui territori hanno conosciuto l’indipendenza sotto Napoleone – ritiene che al Papa debba essere riconosciuto anche il potere temporale, o verrebbe meno il suo potere spirituale. Questa decisione porta a scelte assolutistiche, come all’affidamento della pubblica amministrazione agli ecclesiastici. La Chiesa è divisa in fazioni, come quelle degli zelanti o degli innovatori.

L’opposizione alle idee monarchiche è molto piccola a causa della repressione e si riduce alle sette segrete, gruppi politicamente organizzati che vivono nella massima clandestinità; sono di tre tipi:

Carboneria, di idee liberali moderate, che chiede di passare dalla monarchia assoluta alle monarchia costituzionale; in Italia il liberalismo si sposa con il nazionalismo (lotta per l’unificazione italiana)

Adelfi e Filadelfi, seguaci dei giacobini, di idee repubblicane e democratiche

Sublimi Maestri Perfetti, di idee socialiste e sotto la guida di Buonarroti, che aveva partecipato alla Congiura degli Eguali

Queste sette tentano di dare origine ad una piccola rivolta con la speranza che il popolo poi li segua; ciò non si verifica mai perché nessuno conosce le loro vere finalità.

I moti del 1820-21

Nel biennio 1820-21 l’Europa è attraversata da moti rivoluzionari di carattere liberale, non nazionale, soprattutto nelle regioni periferiche: Spagna, Portogallo, Grecia, Regno delle due Sicilie, Regno di Sardegna.

Il Regno delle due Sicilie e il Regno di Sardegna hanno entrambi regimi oscurantisti e i moti che scoppiano al loro interno falliscono: in Sicilia il moto liberale prende la piega del separatismo siciliano, mentre a Napoli si lotta per il regime costituzionale; in Piemonte i liberali prendono contatti con il principe reggente Carlo Alberto, che li tradisce ed attua una feroce repressone nei loro confronti.

Gli unici moti vincenti sono quelli greci. Questi moti hanno carattere nazionale: l’Impero ottomano, sotto la guida del sultano, è vastissimo, dall’Africa al Medio Oriente, e i territori periferici sono quelli più autonomi e devono solo versare dei tributi al governo centrale. Nei Balcani non c’è stato nessun tentativo di assimilazione religiosa per il disprezzo nei confronti delle loro popolazioni, non ritenute degne di conoscere Allah: gli unici legami sono quelli finanziari e tributari, non vengono neppure create delle vie di comunicazione. Nel 1830 la Grecia – che può contare sulla libertà di culto, sulla sua storia e cultura, sull’importanza dell’economia e dei commerci, sul una lingua comune e sugli aiuti che vengono dalla Russia, protettrice dei Cristiani ortodossi dell’Impero – diventa indipendente dall’Impero ottomano.

Il fallimento dei moti del 1820-21 implica la necessità di cambiare strada per attuare il disegno di progressiva liberalizzazione dello Stato italiano. Molti rivoltosi sono processati e costretti. Nella formazione politica di personaggi come Mazzini questi moti rivestono una grande importanti.

Nel 1821 si riunisce la Conferenza di Lubiana, prevista dal Trattato di Garanzia, dove l’ Austria chiede che il Re di Napoli istituisca due Congregazioni (Napoli e Palermo) e conceda un’autonomia amministrativa alle province e alla Sicilia. L’Austria in questi stessi anni avanza anche una proposta di unità che non viene presa in considerazione: una lega degli Stati italiani – affinché l’Austria possa controllarli meglio.

I moti del 1830-31

Nel biennio 1830-31 altri moti rivoluzionari interessano l’Europa e l’Italia, soprattutto lo Stato pontificio e il Ducato di Modena e Reggio. Si tratta di moti liberali in cui iniziano ad affermarsi idee di carattere democratico. Un importante fattore dei moti è quello economico: è l’inizio della rivoluzione industriale, con tutte le sue conseguenze sociali negative che creano malcontento tra la popolazione. Anche questi moti falliscono: nel Ducato di Modena Francesco IV entra in contatto con i liberali di Ciro Menotti per mettere in atto un progetto di ampliamento, ma al momento dell’insurrezione li tradisce e Menotti viene catturato e impiccato.

Moti di carattere nazionale sono quelli che riguardano la Polonia e il Belgio, che è stato unito all’Olanda a formare i Paesi Bassi. All’interno dei Paesi Bassi esiste una contrapposizione fra gli abitanti del Belgio, valloni e fiamminghi, e gli Olandesi: gli Olandesi sono commercianti, mentre i valloni si dedicano all’industria tessile; gli Olandesi controllano i 4/5 delle cariche politiche. Nonostante i valloni non volessero inizialmente staccarsi dall’Olanda, ma solo maggiore autonomia, in seguito alla reazione spropositata degli Olandesi si arriva alla scissione.

In Polonia, spartita dal Congresso di Vienna, nasce un grande sentimento nazionale, soprattutto nella parte russa, a cui è stata concessa molta autonomia – sono creati una Dieta polacca e un esercito polacco con ufficiali polacchi e vige libertà di culto. Il moto nasce dalla media borghesia, presso cui si affermano i valori del Romanticismo. Il moto fallisce e la Russia, eliminate tutte le novità introdotte, torna ad esercitare un controllo assoluto.

Nel 1831 viene fatta una proposta simile a quella di Lubiana allo Stato della Chiesa, ma il Papa disattende l’invito, in particolare la parte che concerne la laicizzazione dell’amministrazione.

I moti sono favoriti sia da fattori religiosi – che agiscono come rafforzamento in Polonia e Irlanda, ma anche come freno nella Confederazione germanica per la diversità di religione – sia da fattori economici – la rivoluzione industriale spinge per l’allargamento dei mercati.

Alla fine degli anni ’30 si diffonde nella borghesia italiana l’idea della necessaria unità commerciale di tutta la penisola. Vi è la necessità di fissare pesi e misure. Dal 1839 si organizzano dei congressi annuali delle scienze applicate a livello italiano e nel 1841 viene chiesto l’allestimento di una mostra nazionale di prodotti nazionali; viene richiesta anche la creazione di un’associazione nazionale degli agricoltori. Cavour capisce l’importanza delle ferrovie: un passo importante nel processo di nazionalizzazione dell’Italia è la costruzione di una rete ferrovia comune e l’adozione dello scartamento ridotto. In Lombardia il malcontento nei confronti del dominio austriaco deriva anche da considerazioni economiche: la divisione doganale interna, l’eccessiva fiscalità austriaca, la tassazione contraria agli interessi lombardi.

In Inghilterra Richard Cobden è sostenitore del libero scambio e fautore di relazioni internazionali pacifiche. Dopo la promulgazione nel 1832 del Reform Act – una riforma delle circoscrizioni elettorali che dà spazio alla borghesia industriale nel governo del Paese e toglie potere alla nobiltà agricola – la pressione riformista britannica si sposta sull’abolizione delle Corn Laws, che pongono dazi sulle importazioni di grano: l’abolizione delle leggi ha come obiettivo quello di innalzare il salario reale, senza la modifica del salario nominale, ma solo attraverso la diminuzione del prezzo del cibo.

Stato unitario, federalismo, confederalismo

Mazzini ha obiettivi politici differenti rispetto a quelli dei primi liberali, per i quali l’unificazione italiana era un progetto marginale. Mazzini ritiene che l’unificazione sia un progetto assolutamente attuabile, attraverso strumenti di lotta nuovi. Egli condanna le sette segrete perché non rendono pubblici i loro ideali e creano distanza tra il popolo e le avanguardie rivoluzionarie: la prima cosa da fare è educare il popolo. Inizialmente Mazzini, pur criticandola, aderisce alla massoneria perché è

l’unica setta che lotta in quella direzione e pensa di cambiarla dall’interno. Nel 1830 il suo gruppo di carbonari viene arrestato. Dopo un anno di carcere, Mazzini sceglie l’esilio (Francia, Svizzera, Inghilterra). Oltre all’unificazione nazionale, propone ideali nuovi: la lotta contro la monarchia – l’Italia deve essere repubblicana e democratica, con suffragio universale – e la libertà dei popoli dai tiranni. Nel 1821 Mazzini fonda la Giovine Italia, ma non lotta solo per l’indipendenza italiana: pensa che tutti i popoli oppressi debbano avere il loro Stato – sostiene la causa della lotta della Grecia per l’indipendenza dall’Impero ottomano e di quella del popolo ungherese. Nel 1843 fonda la Giovane Europa, con l’obiettivo di avere un’Europa fatta di Stati nazionali, con i quali realizzare una confederazione e garantire la pace completa. Il limite di Mazzini è quello di prendere in esame la questione sociale: ciò gli aliena le simpatie delle classi popolari e confina la sua teoria in un élite. Negli anni ’30 – quando a lui si avvicina Garibaldi – Mazzini viene turbato dalla tempesta del dubbio e si chiede se sia giusto che un intellettuale possa costringere una generazione di giovani a rischiare così tanto per l’ideale dell’unificazione italiana.

Negli anni ’40 si diffondono le idee dei pensatori confederalisti o federalisti:

Vincenzo Gioberti, sacerdote piemontese, scrive nel 1843 Del primato morale e civile degli Italiani, in cui avanza la proposta di un’Italia confederata che per avere l’autorità morale necessaria debba essere guidata dal Papa. Alla morte di Gregorio XV, con l’ascesa al soglio pontificio di Pio IX nel 1846 sembra che gli ideali dell’unificazione possano essere compatibili con questi valori, ma dal 1848 si ha la svolta reazionario di Pio IX.

Cesare Balbo, piemontese, ritiene che a capo della confederazione debba esserci il Re piemontese, i Savoia. Egli individua il problema dell’unificazione italiana nell’occupazione austriaca e vuole aiutarla ad allargarsi verso est, in cambio della cessione del Lombardo-Veneto.

Carlo Cattaneo, democratico e repubblicano milanese, è favorevole a un’Italia federale. Inizialmente pensa di risolvere il problema del Lombardo-Veneto attraverso la trasformazione in senso federale dell’Impero asburgico, ma dal 1848 sposa la causa nazionale.

Carlo Pisacane deriva le sue riflessioni dal socialismo utopistico francese. Intorno al 1850 ritiene che il problema italiano sia legato a quello sociale, in particolare a quello della riforma agraria – i contadini sono una classe rivoluzionaria – e comanda la spedizione di Sapri.

Le rivoluzioni del 1848 e le guerre d’indipendenza nazionale

Nel 1848 gli eventi prendono una piega diversa. A Vienna scoppia un’insurrezione: si sollevano quasi contemporaneamente le varie etnie dell’Impero asburgico, ma in realtà non c’ è nessun collegamento. In Italia, il 17 marzo a Venezia viene proclamata la Repubblica e il 18 marzo insorge Milano (cinque giornate di Milano). Carlo Alberto progetta di ampliarsi e dichiara guerra all’Austria, mentre a Milano viene richiesto l’intervento dei Piemontesi perché si teme che la rivoluzione popolare prenda una piega repubblicana. Nella guerra contro l’Austria, il Piemonte può contare sull’aiuto dello Stato Pontificio, del Granducato di Toscana, del Regno delle Due Sicilie e dei volontari di Garibaldi, seppur questi ultimi non abbiano il consenso del Piemonte. In pochi giorni la situazione degenera ed escono allo scoperto i disegni imperialistici del Piemonte: iniziano i rovesci militari (Custoza).

A Roma viene proclamata la Repubblica romana con a capo Saffi, Armellini e Mazzini, in Toscana i democratici vanno al potere e i sovrani fuggono a Gaeta (sia Leopoldo II sia Pio IX); queste esperienze politiche durano solo pochi mesi e gli Austriaci e i Francesi ridanno il trono ai sovrani legittimi. I Piemontesi fanno un secondo tentativo e riaprono i fronti di guerra contro gli Austriaci ma vengono nuovamente sconfitti. La prima guerra d’indipendenza si conclude in maniera negativa: Carlo Alberto abdica e sale sul trono Vittorio Emanuele II. Solo Venezia resiste ma nell’agosto 1849, rimasta isolata, è costretta a cedere.

Negli anni ’50 fa la sua comparsa il piemontese Camillo Benso conte di Cavour: emerge politicamente nel Parlamento del Regno di Sardegna, dove viene eletto nel 1848, nel 1851 viene nominato Ministro dell’Agricoltura da Massimo d’Azeglio e nel 1852 forma il suo primo governo, che dura fino al 1861.

All’indomani della proclamazione del Regno d’Italia Cavour si ammala e muore. Cavour è un liberale e in campo economico ha idee liberiste. Egli intende far conoscere il problema italiano in Europa: il Regno di Sardegna partecipa alla guerra di Crimea (1853-56) – che vede contrapposti l’Impero russo e l’Impero ottomano per il controllo del Bosforo e dei Dardanelli, ma Francia e Inghilterra intervengono a favore degli Ottomani, insieme ai Piemontesi – e alla pace di Parigi (1856) Cavour prende la parola sottolineando la gravità della situazione italiana.

Nel 1857 Daniele Manin, che Cavour ha conosciuto a Parigi l’anno prima, fonda la Società nazionale (con il motto “L’Italia e Vittorio Emanuele”), cui aderiscono quanti ritengono che il Piemonte possa diventare l’artefice dell’unificazione. Ad essi si aggiungono anche i moderati, che abbandonano la pregiudiziale contraria al militarismo, e i rivoluzionari (mazziniani e repubblicani), che si rendono conto che quello piemontese è l’unico progetto realizzabile. Nel 1857 c’è anche la spedizione di Sapri, con a capo Pisacane, che si rivela un fallimento.

Nel 1858 Felice Orsini organizza un attentato a Napoleone III – principale alleato del Papa, tanto che in occasione della creazione Repubblica romana interviene nello Stato pontificio – che sfugge all’attentato, e la polizia politica di tutta Europa cerca di condannare l’intero movimento repubblicano e Mazzini. Napoleone III si rende conto del problema italiano e firma a Plombiers un accordo segreto con Vittorio Emanuele II e Cavour per sostituirsi all’Austria nel predominio italiano. L’accordo prevede la divisione dell’Italia in tre Stati sotto l’influenza francese: uno Stato sabaudo al nord, uno Stato del centro – escluso lo Stato pontificio, indipendente, con riferimento a Roma – sotto suo nipote Girolamo (sposato a Clotilde, figlia di Vittorio Emanuele II), e il mantenimento del Regno delle due Sicilie a sud con i discendenti francesi di Gioacchino Murat. In seguito all’insurrezione deli Stati centrali, la seconda guerra d’indipendenza si conclude con la pace di Villafranca tra i Francesi e gli Austriaci e l’acquisizione della Lombardia da parte del Piemonte.

Nel 1860 viene organizzata la spedizione dei Mille, organizzata dai mazziniani con l’avvallo del Piemonte. A maggio, quando la spedizione sta per partire, Vittorio Emanuele teme l’intervento di potenze straniere e, se la spedizione vada a buon fine, l’instaurazione di una repubblica nel sud con i democratici. Viene dato l’ordine di fermare le truppe garibaldine in Sardegna, che però sbarcano a Marsala senza incontrare resistenza, grazie all’aiuto dagli Inglesi. Conseguono immediatamente delle vittorie militari a Calatafimi, Palermo e Milazzo. Garibaldi si proclama dittatore dell’isola e il popolo siciliano insorge quando i garibaldini occupano le terre demaniali e non quelle dei latifondisti. In seguito allo scoppio della rivolta contadina a Bronte e all’uccisione di molti notabili, Nino Bixio fa giustizia sommaria e arresta i capi rivolta: non avviene una trasformazione sociale, ma un cambio di dirigenti. Dopo lo sbarco in Calabria, i garibaldini conquistano Napoli e sul Volturno intervengono i Piemontesi, dopo aver liberato l’Umbria e le Marche. Garibaldi arriva a Roma e i Piemontesi lo fermano a Teano, dove consegna i poteri a Vittorio Emanuele II. Nel 1861 viene proclamata il Regno d’Italia, ma mancano ancora Roma e Venezia.

Nel 1866 c’è la terza guerra d’indipendenza, che vede l’Italia e la Prussia alleate contro l’Austria. L’Italia subisce delle sconfitte a Custoza e a Lissa, ma grazie alle vittorie prussiane il Veneto viene ceduto dall’Austria alla Francia, che lo gira all’Italia.

Il completamento dell’unità italiana

Nel 1862 Garibaldi tenta di liberare Roma, ma sull’Aspromonte viene fermato dai bersaglieri italiani. Nel 1867 ci riprova, con l’intenzione di far insorgere il popolo romano e intervenire poi dall’esterno, ma viene arrestato e confinato a Caprera; da lì fugge e viene nuovamente fermato dai Francesi.

Nel 1870 scoppia la guerra franco-prussiana: la Francia viene occupata dai Prussiani, che proclamano l’Impero a Versailles, e le truppe francesi vanno via da Roma, che rimane sguarnita. I bersaglieri riescono a entrare da Porta Pia e in pochi giorni conquistano la città (presa di Roma), completando l’unificazione. Manca solo il Trentino, che diventa italiano con la Prima Guerra Mondiale.

La storiografia del Risorgimento

A partire dal 1870 vengono fatte le prime ricostruzioni storiche degli eventi da uomini politici, in occasione delle ricorrenze, giornalisti, a cui manca un’analisi obiettiva, e reduci, come i garibaldini, che lasciano la loro testimonianza scritta. Le ricostruzioni di politici e giornalisti hanno alcune caratteristiche in comune:

l’intento di far passare l’idea che tutto sia andato secondo i piani, senza sfumature

l’esaltazione di tutte le luci e l’eliminazione di tutte le ombre (Bronte)

più simili a cronache che a storia

la presenza di aneddoti

Questo fenomeno è parallelo alla monumentalizzazione, la costruzione di opere in ricordo dei personaggi del Risorgimento – non tutti quanti, viene lasciato fuori Pisacane. Nelle ricostruzioni dei garibaldini appare qualche elemento critico, come l’idea di aver combattuto per qualcosa di diverso.

Il motivo del proliferare di studi storici è il principio di nazione: conoscere bene la storia della nazione è fondamentale (“Fatta l’Italia bisogna fare gli Italiani” cit. Massimo D’ Azeglio). Queste indagini si spingono molto indietro nel tempo, perché l’Italia esiste fin dal Medioevo, nella mentalità, anche se non c’è ancora lo Stato italiano. Gli scritti storici si caratterizzano, rispetto alle altre ricostruzioni, per l’uso delle fonti dirette, anche in contrapposizione, e per lo studio degli episodi negativi, degli sconfitti. Questi studi sono finanziati dallo Stato italiano e nascono molte associazioni dedite a questa attività: l’Istituto Storico Italiano, la Rivista Storica del Risorgimento Italiano, la Società Nazionale per la Storia del Risorgimento, la Rassegna Storica del Risorgimento (1914- 2001).

Le prime opere importanti sul Risorgimento sono di Benedetto Croce, che scrive la Storia d’Europa nel Secolo XIX e la Storia d’ Italia dal 1871 al 1915, in cui compaiono 3 grandi idee:

le vicende del Risorgimento non possono essere capite se non sono inquadrate nel contesto europeo

il valore di fondo del Risorgimento è la libertà, dei popoli e nel senso più liberale, di libero scambio

il Risorgimento italiano è considerato un capolavoro, il suo risultato non era né semplice né scontato

Dopo la Prima Guerra Mondiale cominciano a circolare delle interpretazioni negative del Risorgimento. Piero Gobetti scrive La rivoluzione liberale e Risorgimento senza eroi: la tesi di fondo è che il Risorgimento è stato una rivoluzione fallita, con delle pecche nell’Italia post-unitaria e le cui colpe sono da ricercare più indietro. Cavour è un bravo tessitore, ma è cinico e non ha idealismo, mentre i democratici sono avventurieri che non raccolgono risultati.

Le critiche non emergono solo a sinistra, ma anche a destra: Alfredo Oriani nel 1892 scrive La lotta politica d’ Italia, una riflessione sulla storia italiana dal 1892 che non ha nessuna fortuna fino agli anni ’20, quando il suo autore viene esaltato dal Fascismo come pensatore di destra non liberale. Egli individua nel Risorgimento due componenti, una valoriale, dei democratici, e una pragmatica, di Cavour e Vittorio Emanuele II: la vittoria di questi ultimi porta a un’Italia priva di ideali e obiettivi, a cui serve un nuovo progetto, attraverso una politica espansionistica e coloniale.

Gaetano Salvemini, sostenitore di Cattaneo nell’immaginare un’Italia di tipo federale, che non c’è stata, vagheggia un forte decentramento amministrativo, per mantenere le caratteristiche locali e ridurre la piemontizzazione.

Gioacchino Volpe, lo storico che ha caratterizzato il Fascismo, nel 1927 scrive L’Italia in cammino, con un’Italia post-unitaria che ha smarrito la strada: nasce l’interpretazione dell’Italietta giolittiana, incapace d’imporsi. Il Fascismo si pone come obiettivo il recupero degli ideali risorgimentali, con la presa di coscienza del ruolo importante dell’Italia nel mondo.

Nel 1949 Einaudi pubblica i Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci, dove compaiono alcune riflessioni di carattere storico sul Risorgimento:

il Risorgimento è visto come una rivoluzione passiva (le masse non vennero coinvolte dai patrioti)

serviva una riforma agraria, che liberasse dal giogo dei latifondi (la colpa è da attribuire in particolare al partito d’azione, guidato da Mazzini)

ci fu un tentativo di rivoluzione borghese, ma abortì

Sereni legge, in chiave marcatamente marxista, le vicende risorgimentali come la necessità della borghesia di creare mercati più vasti.

Rosario Romeo, di stampo liberale, critica Gramsci e considera il suo approccio sbagliato: la storia non si fa con i “se” e con i “ma”, lo storico deve analizzare i fatti per quello che sono, senza preoccuparsi di come sarebbero potute andare le cose.

Nel 1960, in occasione del centenario dell’Unità d’Italia, viene ripresa la linea apologetica, anche al cinema. Il 1968 rappresenta il periodo di maggiore contestazione: vengono celebrati i perdenti del Risorgimento, come Pisacane, idealista e con poche armi.

Per Alberto Banti, il maggiore storico attuale del Risorgimento, esso non è stato un fenomeno di élite: un numero incredibile di Italiani ha contribuito a creare il mito della nazione.

L’IDEA DI NAZIONE

La base della nazione non sta nell’unità della lingua e neanche nella religione, che possono essere varie, così come i costumi e le tradizioni. Il territorio non è creato in funzione della nazione, ma è il risultato di vicende storiche che non sono collegate all’aspetto nazionale. L’etnia non è sufficiente a spiegare il concetto di nazione, perché non esiste corrispondenza tra l’aspetto fisico e quello psicologico.

In Francia alla fine del ’700 si parla di “popoli della nazione francese”, dove il concetto di nazione si sovrappone a quello di Stato. In Francia vi è anche una pluralità di lingue: la Convenzione decide di emanare leggi solo in francese e introdurre insegnanti di francese nelle province in cui si parlano altre lingue. L’istruzione primaria ha lo scopo di infondere l’amore per il Paese e preparare i ragazzi a servirlo. La nazione è vista come una grande famiglia, che quando chiama va servita, con il servizio militare o la leva obbligatoria.

Nelle piccole comunità esiste una nazionalità spontanea, con tutti gli ideali che la caratterizzano: all’interno del villaggio c’è una lingua comune, una religione comune ecc. A livello statale, invece, il Re non è più di diritto divino, ma è del popolo, e vengono unite tutte le nazionalità: è una nazionalità leggittimatrice del potere centrale, una nazionalità che viene scelta ed estesa a tutto il Paese. Le condizioni che portano alla realizzazione di questo progetto sono la presenza di un apparato burocratico accentrato, con il sistema prefettizio, e la rivoluzione industriale, in particolare delle vie di comunicazione, sviluppatesi in tempi molto brevi.

I patrioti ritengono che la nuova organizzazione europea che nascerà dall’applicazione degli Stati nazionali sarà quella definitiva: non solo si sostituirà ai vecchi ordinamenti, ma garantirà la pace fra gli Stati per il futuro. Questo progetto deve essere realizzato in assenza totale di organizzazioni sovranazionali e di limitazioni della sovranità: la condizione della democrazia e della libertà è la piena sovranità. Tuttavia, per evitare lo scoppio di conflittualità a livello internazionale – tutti gli Stati sono sovrani – occorre conciliare la diversità con l’unità, la cui condizione è proprio la limitazione della sovranità. Quella che hanno in mente i patrioti non è una solidarietà all’interno dello Stato nazionale, ma è una solidarietà più ampia, quella europea.

Mazzini, prima di fondare la Giovine Italia, è cosmopolita e individualista. Scrive il Saggio della letteratura europea: sta per finire la storia particolare delle nazioni e sta per iniziare la stria europea. Mazzini convinto che creando le condizioni per la nazionalità si riuscirà a creare una solidarietà europea. Scrive anche il saggio Dei doveri dell’uomo: l’Italia avrà un primato, la missione di creare l’unità dell’Europa.

La concezione di carattere sovranazionale di Garibaldi è mutuata da Saint-Simon, che nel saggio De la réorganisation de la société européenne (1814, con Thierry), scrive che la riorganizzazione non può avvenire attraverso il ricorso all’assolutismo, alla restaurazione, ma che bisogna fare ricorso alle novità portate dalla storia, la libertà e la democrazia. Per garantire la solidarietà fra gli Stati bisogna mettere da parte la vecchia diplomazia e la politica dell’equilibrio, e adottare un nuovo punto di vista, quello di una pluralità di Stati, affinché venga affermata la democratizzazione della vita internazionale, l’appropriazione da parte dei popoli della vita internazionale. Dal punto di vista dell’applicazione pratica, le proposte istituzionali di Saint-Simon vanno perfezionate. Garibaldi rimane fedele a queste teorie anche dopo il 1848 e nel 1867, insieme a Victor Hugo, fonda la rivista Gli stati uniti d’Europa.

Gioberti è fautore dell’universalismo cristiano e, come per l’Italia, vuole fare anche dell’Europa una confederazione (“confederazione morale e civile di tutte le nazioni”): l’Europa è un tutt’uno dal punto di vista religioso e culturale, e ciò la rende simile a uno Stato nazionale. Prevede una sua unione politica sotto un unico capo, attraverso la ripresa della res publica christiana e l’uso del diritto ecclesiastico invece di quello internazionale. L’arbitrato internazionale sulle nazioni spetta al Papa, che tutti gli Stati devono riconoscere come la suprema autorità morale.

Nel 1848 Cattaneo scrive il pamphlet Sull’insurrezione di Milano: ci sarà la vera pace con gli Stati Uniti d’Europa, quando lo Stato nazionale sarà sostituito da un organismo superiore agli Stati, capace di applicare la democrazia e la libertà non solo nello Stato nazionale ma in Europa. Critica lo Stato nazionale francese, che schiaccia le libertà locali attraverso il centralismo burocratico e il sistema prefettizio: senza il decentramento politico non può esistere la libertà delle comunità locali. Per mantenere la libertà bisogna limitare lo Stato nazionale, perché lo scopo dei patrioti è liberarsi dall’assolutismo, ma ciò non porta alla pace: rimane la piena sovranità dello Stato, elemento di continuità con il passato, che passa dal monarca alla nazione.

Il 1848 è l’anno di cesura tra una concezione positiva di nazionalità aperta ed una negativa, che si chiude e si trasforma in nazionalismo.

IL PROCESSO DI UNIFICAZIONE TEDESCA

Nel 1815 la Germania è poco più che un’espressione geografica: si passa dai 350 Stati del Sacro Romano Impero alla creazione di 38 Stati, a cui si aggiungono Prussia e Austria. Al Congresso di Vienna queste entità vengono riunite nella Confederazione Germanica con sede a Francoforte, dove si riuniscono i plenipotenziari degli Stati. La Confederazione ha una Dieta con carattere solo consultivo e manca di un esercito e di una rappresentanza comuni.

Durante il periodo napoleonico tutti questi Stati sono stati invasi: l’umiliazione subita ha fatto scomparire il Sacro Romano Impero, ma ha anche prodotto una cultura che porta avanti l’idea dell’unità germanica. Nel 1832 a Hambach, nel Palatinato, si svolge una manifestazione a cui partecipano 30000 giovani liberali che inneggiano alla libertà e all’unità.

Fichte promuove la teoria dello Stato commerciale chiuso, uno Stato commerciale che ha il compito di organizzare l’economia comune, incrementare la potenza delle nazioni, eliminare i conflitti e stimolare le energie popolari tedesche. Nei Discorsi alla nazione tedesca sottolinea come la lingua, il passato e la cultura siano la prova che la Germania non è solo uno Stato unitario, ma la nazione per eccellenza. Arndt pone come obiettivo da raggiungere l’unità nazionale tedesca: la nazione è la religione del

nostro tempo. Nel 1832, Leopold Ranke riprende un’opera precedente di Berthold Niebuhr e scrive che lo sviluppo storico di un popolo avviene in funzione del suo genio nazionale: esiste un’omogeneità della nazionalità tedesca e la necessità di realizzarne l’unità politica.

A guidare il processo di unificazione è la Prussia, che nel 1815, guidata dagli Hoenzollern, esce rafforzata sa in funzione anti-francese sia in funzione anti-russa: mantiene la Pomerania, il Brandeburgo e la Prussia occidentale, e guadagna la Pomerania svedese, la Bosnania, la Sassonia, la Vestfalia e la Renania, con le città di Treviri, Colonia e Bonn. La Prussia orientale e la Prussia occidentale non sono contigue: le separano l’Assia-Kassel, l’Hannover meridionale ed altri Stati. Da questo momento i progetti della Prussia sono ricongiungere la parte occidentale con quella orientale, procurarsi uno sbocco sul Mare del Nord passando per l’Hannover, e sostituirsi all’Austria nella guida della Confederazione.

Il primo passo è la creazione di un’unione doganale della Prussia (1818), da realizzare con la riforma tariffaria di Maassen, che prevede un regime di quasi libero scambio, con protezioni doganali solo per i generi di lusso e quelli provenienti dalle colonie, senza tasse per le importazioni o i semi-lavorati – affinché possano essere lavorati ed essere facilmente esportabili. In poco tempo la Prussia inserisce all’interno dell’unione doganale un piccolo Stato che costituisce un enclave all’interno del suo territorio, e negli anni ’20 vi entrano altri piccoli Stati contigui alla Prussia.

Nel 1828 la Prussia stipula un importante accordo doganale con l’Assia-Darmstadt, che diventerà un modello per i successivi accordi con altri Stati e per la creazione dello Zollverein, la lega doganale del 1834. L’accordo prevede una tariffa esterna comune e una ripartizione dei proventi proporzionale alla popolazione dei due Stati. Una clausola prevede che entrambi gli Stati abbiano il diritto di veto sulle modifiche introdotte: dal punto di vista politico sono sullo stesso piano. La Prussia è disposta a fare sacrifici economici per ottenere vantaggi politici: l’unione doganale è la prima tappa dell’unione politica.

Nel 1828 iniziano ad allarmarsi altri Stati che rischiano di essere tagliati fuori dai commerci. La Baviera e il Wurttemberg formano una lega doganale degli Stati del sud; a loro volta anche gli Stati centrali formano una lega commerciale che passa per l’Assia-Kassel, in funzione anti-prussiana. Nel 1829 l’Assia-Kassel è in bancarotta e decide di entrare nella lega doganale prussiana: si ha il ricongiungimento doganale delle due parti della Prussia. Altri Stati seguono il suo esempio, finché nel 1834 nasce lo Zollverein, la Lega doganale tedesca, non più prussiana. Essa ha una funzione politica, perché abitua gli operatori a collaborare in un governo non ancora formalizzato, ma di fatto esistente.

Nel 1842 la Lega deve essere rinnovata e scoppiano delle tensioni riguardo al regime doganale da adottare: viene scelto il protezionismo teorizzato da Federico List nel 1833. Nel frattempo la Prussia continua nella sua azione di unificazione: costruisce delle strade che attraversano da nord a sud il territorio tedesco e nel 1847 unifica le ferrovie all’interno dello Zollverein. Nasce anche il primo giornale che si rivolge a tutta la popolazione tedesca. Gli Stati tedeschi smettono di intrattenere rapporti commerciale con l’Austria e intensificano quelli con gli Stati del nord – con cui hanno maggiore convenienza a commerciare.

Nel 1848-49 si pone l’alternativa tra la grande e la piccola Germania – che non comprende l’Austria. Viene preferita la piccola Germania: Federico Guglielmo dapprima rifiuta la corona donata dal popolo, ma la accetta quando gli viene offerta da un’assemblea di Stati.

Il processo di unificazione non è solo economico: la vera spinta all’unificazione tedesca viene dall’esercito prussiano, condotto da Bismarck.

L’ESPANSIONISMO TERRITORIALE DEGLI USA

Nel 1787 gli Sati Uniti hanno la Costituzione federale e a partire dall’800 comincia una fase di espansione: nel 1803 acquistano la Louisiana dalla Francia e nel 1819 la Florida dalla Spagna. In questo momento viene definito il confine meridionale degli Stati Uniti sul Sabine River.

Il Texas rimane spagnolo, ma nel 1824, con l’indipendenza del Messico, diventa territorio messicano e viene abolita la schiavitù. Tra gli anni ’20 e gli anni ’30 aumenta la presenza di coloni americani nella zona del Texas, finché si arriva ad avere una maggioranza di presenza americana: nel 1836 questa maggioranza decide di creare uno Stato indipendente dal Messico e di avere un regime schiavistico. Il Texas riesce nel suo intento e subito dopo chiede l’annessione agli Stati Uniti, ma gli viene rifiutata perché non c’era stato un accordo bilaterale con il Messico.

La vera ragione del rifiuto è che fino a questo momento sussiste un equilibrio tra gli Stati del nord – nei quali domina la piccola proprietà contadina, sono particolarmente vivaci dal punto di vista dell’artigianato e dell’industria, e dispongono di banche e infrastrutture – e gli Stati del sud – che vivono sul latifondo, sulla coltura del cotone, e hanno un’organizzazione sociale che si basa sulla schiavitù. Al momento della richiesta del Texas, al Senato americano siedono i rappresentanti di 13 Stati del nord e 13 Stati del sud: l’opposizione al Texas è in funzione del mantenimento dell’equilibrio, con il suo ingresso gli Stati schiavisti del sud sarebbero in maggioranza. Il Texas chiede aiuto a Francia e Gran Bretagna, che ne approfittano per stipulare accordi commerciali favorevoli; in realtà il Texas ha bisogno di aiuti economici e chiede dei prestiti.

Nel 1842 il Messico sfrutta la situazione di difficoltà del Texas per tentare di riannetterlo. A questo punto una missione diplomatica britannica propone una accordo che prevede un prestito al Texas in cambio dell’instaurazione di rapporti privilegiati dal punto di vista commerciale. Gli Stati Uniti temono che il cotone del Texas sia privilegiato al loro e che la Gran Bretagna possa esportare a basso costo in Texas togliendo loro mercato e facendo penetrare negli Stati Uniti prodotti inglesi. Poiché la Gran Bretagna ha già abolito la schiavitù negli anni ’30, gli Stati Uniti credono che succederà anche in Texas e preferiscono annetterlo, piuttosto che perderlo.

Nel 1844 c’è la richiesta d’indipendenza dal Messico della California, in cui è presente una vasta penetrazione di coloni americani. Gli Stati Uniti propongono al Messico di acquistare la baia di San Francisco e di versare un indennizzo per il Texas. Nel 1846 scoppia la guerra, che termina nel 1848 con la vittoria degli Stati Uniti: con il trattato di Guadalupe-Hidalgo ottengono la California, il New Mexico, l’Arizona, il Nevada e lo Utah.

Negli anni ’50 l’equilibrio viene mantenuto con la conquista di novi territori a ovest. Nel 1856 entra a far parte degli Stati Uniti anche il Kansas.

La guerra di secessione americana

Nel 1858 il partito repubblicano fa una battaglia contro la schiavitù e quando Lincoln diventa Presidente c’è un tentativo di secessione da parte degli Stati del sud, che dura dal 1861 al 1865. Il tentativo di secessione è dovuto a questioni di politica economica, a cui si collegano questioni di politica istituzionale: gli Stati del nord seguono una politica protezionistica – per crescere hanno bisogno di fermare l’importazione di prodotti europei – mentre quelli del sud seguono una politica libero-scambista – per vendere cotone a basso prezzo all’estero hanno bisogno che non ci siano dogane. L’ingresso del Kansas fa perdere la parità al Senato agli Stati del sud, che alla Camera dei rappresentanti sono già in minoranza per via della grande migrazione europea che fa aumentare la popolazione degli Stati del nord, che sono più rappresentati anche perché non hanno schiavi. Con Lincoln gli Stati del sud non possono più influire nelle decisioni di politica economica, oltre a rischiare l’abolizione della schiavitù.

Nel corso della lotta gli Stati del nord hanno il vantaggi della presenza di porti, banche, vie di comunicazione, ferrovie, industrie, simpatia internazionale – lottano per una causa giusta. Nel 1865 termina la guerra di secessione e si apre una fase di ricostruzione e ristrutturazione, in cui gli Stati Uniti escono dalle relazioni internazionali e si dedicano al rafforzamento interno.

L’APERTURA ALL’OCCIDENTE DI CINA E GIAPPONE

La Cina è chiusa a tutti i commerci, eccetto quelli con la Gran Bretagna attraverso la Compagnia delle Indie, ma solo a Canton e tramite il Co-Hong, l’intermediario. Nel 1833 la Gran Bretagna avoca a sé rapporti commerciali con la Cina e invia un diplomatico per stabilire contatti col governo cinese, sovrastando il Co-Hong, ma il governatore di Canton non gli concede udienza.

Tra il 1839 e il 1840, quando la Cina rende esecutive delle leggi che impediscono il commercio di oppio, iniziano degli scontri diplomatici. Agli occhi degli Inglesi questo gesto rappresenta un affronto agli interessi britannici: scoppia la guerra dell’oppio in difesa dei mercanti inglesi – il vero fine della guerra è l’apertura dei mercati cinesi ai prodotti inglesi. La guerra va dal 1840 al 1842. Il conflitto dura molto perché la Cina crede che la Gran Bretagna abbia intenzione di conquistarla, ma gli Inglesi vogliono solo l’apertura i mercati. La Gran Bretagna manda una flotta che si concentra nel sud del Paese: i Cinesi si trovano in difficoltà – la differenza tecnologica è molta ampia, la Cina si affida ancora alle giunche di guerra.

L’imperatore, che viene dalla Manciuria ed è inviso a molti, viene messo in discussione; l’esercito imperiale si divide in due: da una parte l’esercito delle province, non più sotto il controllo dell’imperatore, dall’altro l’esercito imperiale propriamente detto. Del primo l’imperatore non si fida, mentre del secondo ha bisogno a Pechino; alla fine cede e firma i Trattati di Nanchino (1842), o Trattati ineguali, che prevedono:

la diminuzione al 5% sulla protezione dei prodotti cinesi

il permesso agli Inglesi di trattare con i singoli commercianti cinesi, senza il tramite del Co-Hong

l’apertura al commercio di altri 4 porti (Shangai)

gli Inglesi non saranno più sottoposti alla giurisdizione penale cinese, ma a quella consolare britannica (extraterritorialità)

la Gran Bretagna acquista una piccola isola accanto a Canton, Hong-Kong

qualsiasi facilitazione concessa dalla Cina ad altri Stati sarà concessa anche agli Inglesi

L’imperatore cinese concede trattati simili sono concessi anche a Francia e Stati Uniti, con l’intento di metterli l’uno contro l’altro. A partire dal 1840 comincia la penetrazione cattolica in Cina, portata avanti da Matteo Ricci. Le potenze cercano di ottenere degli appoggi attorno alla Cina (Nuova Zelanda, Borneo, Hawaii), con la conseguenza di generare inevitabili scontri. In questa prospettiva lo Stato più importante come trampolino di lancio per la Cina è il Giappone.

Il Giappone è chiuso ad influenze esterne dal 1637, da quando è sotto la guida dello Shogun. L’unica possibilità di contatto con l’esterno è il porto di Nagasaki, a cui possono accedere solo gli Olandesi: attraverso questo varco penetra la cultura europea. Il Paese è attraversato dal malcontento: da una parte ci sono le élites che chiedono un’apertura verso l’Europa, dall’altra c’è chi si richiama alle tradizioni giapponesi, calpestate dallo Shogun; entrambi si rivolgono all’imperatore.

A metà ’800 gli Stati Uniti, in avvicinamento alla Cina, si presentano davanti al Giappone con una squadra navale e mandano una lettera allo Shogun, promettendo di tornare a prendere la risposta: nella lettera c’è la richiesta di aprire il mercato agli Stati Uniti. Nel 1854 lo Shogun accetta la richiesta degli Stati Uniti per evitare una guerra: a partire da questo momento si avvia un movimento contrario alla shogunato. Negli anni ’60 ci sono le prime rivolte, sedate dagli Europei.

Nel 1868 c’è la Restaurazione Meiji con il governo illuminato di Mutsuhito e la caduta dello Shogun. Il Gippone inizia a copiare dall’Europa: adotta il sistema scolastico europeo, crea un esercito, una flotta – che viene dapprima costruita in Europa e dalla fine degli anni ’80 direttamente in Giappone. Soldati e marinai sono istruiti dai migliori esperti del mondo: Inglesi per il mare, Tedeschi per la guerra, Francesi per l’amministrazione.

La rivolta dei Taiping

In Cina l’imperatore è fortemente contestato (la Triade) e c’è la volontà di sostituirlo. Scoppia la rivolta religiosa e politica dei Taiping. Viene proposta da un santone una rigenerazione della Cina che si rifaccia al confucianesimo e al cattolicesimo, ma ha il sopravvento la parte politica. I motivi di contestazione sono la crisi dell’artigianato cinese – gli stranieri vogliono essere pagati in oro, la conseguenza è il deprezzamento della moneta in argento – e il cattivo raccolto del 1851 nel sud della Cina – c’è carestia e si formano dei gruppi armati di contadini per difendere le loro terre. La rivolta porta alla creazione di una nuova statalità a Nanchino guidata dai rivoltosi: la divisione tra nord e sud indebolisce ancora di più la Cina e gli occidentali ne approfittano per allargare le zone di influenza.

L’espansione del Giappone

Dal 1873 il Giappone avvia un processo di rafforzamento militare con tendenze espansionistiche: l’obiettivo è un ampliamento di carattere difensivo dei propri territori. Il Giappone non sarebbe al sicuro senza il possesso delle isole che gli fanno da corona. Nel 1873 occupa le isole Bonin, senza interferenze da parte degli Stati Uniti, e nel 1875 le Isole Ryukyu; con la presa delle Isole Curili si completa il processo di conquista della cerchia di isole intorno al Giappone.

Il Giappone sospetta che possa provenire qualche attacco dal continente asiatico e inizia un’opera espansionistica in quella direzione, verso la Corea – ricca di risorse agricole e minerarie –ma la Cina cerca di contrapporsi. Il Giappone ipotizza la forza per conquistare la Corea ma ha paura di provocare un dissesto in quell’insieme di armamenti di cui si sta dotando: è una campagna troppo ambiziosa per l’esercito giapponese e si teme l’intervento russo. Nel 1873 si decide il reclutamento obbligatorio nell’esercito, mentre si sta costruendo una flotta a cui collabora la Gran Bretagna in funzione anti-russa. La flotta giapponese fa una dimostrazione navale davanti alla Corea e ottiene la firma dei Trattati ineguali con la Corea, costretta ad aprirsi alla penetrazione commerciale giapponese, ad abbassare le tariffe doganali e ad accettare il monopolio commerciale giapponese sul suo territorio.

Nel 1884 un partito formata da giovani coreani tenta un colpo di Stato in Corea a favore del Giappone ma non riesce. A questo punto il Giappone firma una serie di trattati con la Cina per un possibile intervento militare in Corea in caso di disordini. Nel 1894 il Giappone interviene militarmente, ma la Cina si oppone e scoppia la guerra cino-giapponese, da cui i Cinesi escono sconfitti. La Cina tenta di resistere e fa appello alla Russia, che non interviene perché frenata dall’azione diplomatica britannica.

Al momento della sottoscrizione della pace con la Cina, le acquisizioni giapponesi sono diventate eccessive: il Giappone acquista una parte della Manciuria e l’isola di Formosa. Con il suo intervento, la Russia ottiene una revisione dei trattati: la penisola mancese viene spartita con la Russia, che continua la sua penetrazione in Manciuria fino alla guerra nel 1904 con il Giappone. Quest’ultimo ne esce vittorioso perché la Russia ha problemi interni e decide di chiudere la guerra.

L’EUROPA TRA IL 1870 E IL 1890

Negli anni ’60 si completa il processo di unificazione tedesca sotto la guida prussiana: nel 1863-64 c’è la guerra contro la Danimarca, nel 1866 contro l’Austria e nel 1870 contro la Francia di Napoleone III. Nel 1870 la Germania occupa l’Alsazia-Lorena: quest’ atto viene percepito come una violazione del principio di nazionalità. In Europa si diffonde un sentimento di precarietà e si teme che la guerra posa

ritornare. Lo Stato più forte è ancora quello che può dettare legge: quanto più uno Stato diventa forte tanto più può avere successo nelle relazioni internazionali.

Uno dei fattori che fanno ritardare la guerra è l’abilità di Bismarck. Egli porta avanti un programma di ampliamento dei territori prussiani: riesce nel suo intento ma nel 1870 capisce che la Germania deve fermarsi perché è satura ed ha raggiunto quello che vuole, una posizione di preminenza in Europa. Bismarck decide di rientrare all’interno dell’equilibrio europeo: può farlo perché in questo momento gli Stati europei iniziano a rivolgersi all’esterno e intraprendono l’avventura coloniale. Bismarck adotta una politica di alleanze: l’Alleanza dei tre Imperatori con l’Austria-Ungheria e la Russia.

La Russia non conosce i moti dell’Ottocento, ma aiuta l’Austria a sedare i disordini interni e fa fallire i tentativi prussiani della piccola Germania. Esce dal 1848 in posizione centrale e lo zar Nicola I intraprende una politica di potenza in direzione dei Balcani, che sono sotto l’Impero ottomano: scoppia la guerra di Crimea. A fianco della Turchia si schierano la Gran Bretagna, che non vuole che il Bosforo e i Dardanelli siano sotto controllo della Russia protezionista, la Francia, che ha interessi commerciali e cerca l’alleanza della Gran Bretagna anche in altri scenari, e verso la fine del conflitto anche l’Austria. L’ingresso dell’Austria fa venire meno l’interesse russo e lo zar si ritira.

Nel 1873 vengono stipulati due trattati: uno austro-russo, cui aderisce anche la Germania, e uno russo-tedesco. La Russia e l’Austria aspirano entrambe ad un’influenza nei Balcani: nel 1875 scoppia la guerra balcanica, che si conclude nel 1878 con il Trattato di Santo Stefano e il Trattato di Berlino. La Russia tenta nuovamente di occupare l’intera penisola balcanica a partire dalla Romania, ma viene fermata dall’Inghilterra e dall’Austria. L’alleanza si sfalda e Bismarck cerca di ricostituirla. Nel 1881 l’alleanza viene ricostituita attraverso una serie di accordi bilaterali e nel 1882 Bismarck riesce ad aggiungere anche l’Italia a questa serie di trattati. L’Italia si sente defraudata dalla Francia – la Tunisia è diventata colonia francese – ma è fortemente in contrasto anche con la Russia e con l’Austria per quanto riguarda i Balcani, e in particolar modo con l’Austria per la questione dei territori irredenti. L’alleanza creata da Bismarck mira ad isolare la Francia per il timore di un suo tentativo di revanche: la Francia non dichiarerà mai guerra alla Germania se rimane sola. Il nuovo imperatore Guglielmo II conduce una politica estera opposta a quella di Bismarck e fa cadere l’alleanza con la Russia.

La Germania è lo Stato militarmente più potente in Europa. La flotta tedesca non è molta forte seppur la Germania si affacci su due mari. Per quanto riguarda l’economia, è la forza emergente dell’Europa: nel 1870 raggiunge la Gran Bretagna nella produzione di carbone; i settori più importanti sono la siderurgia, l’industria meccanica e quella chimica.

La Gran Bretagna è l’altro grande Paese europeo. Non è legato ad altri Stati da alleanze perché vuole essere libera. Ha la migliore flotta del mondo – che costituisce una forza sia militare sia economica – ma un esercito limitato, perché si rifiuta di mettere in atto il servizio militare obbligatorio. Oltre all’industria, un’altra importante risorsa britannica è il capitale, la forza finanziaria, il fatto che lo Stato investa grandi capitali nel mondo. Le materie assenti in Gran Bretagna vengono prese nelle colonie e poi ridistribuite a livello internazionale.

La Francia, seppur sconfitta, dal punto di vista del numero dei soldati è molta vicina alla Germania: c’è solo una differenza di tattiche strategiche. È vivo un forte nazionalismo di carattere difensivo e anti-tedesco che vuole recuperare l’Alsazia-Lorena. Non ha subito grossi danni dalla guerra franco-prussiana dal punto di vista dell’economia: la sua economia continua a essere una delle migliori del mondo, ma non è veloce quanto quella tedesca.

L’Italia ha appena raggiunto l’unità, è una potenza con un buon andamento demografico e territoriale, ma dal punto di vista economico è alquanto arretrata. È uno Stato fragile e ancora molto diviso all’interno: è attanagliato dalla questione meridionale, dal tentativo di rendere coeso un territorio formato da un numero cospicuo di Stati diversi e dalla frattura fra laici e cattolici – che non partecipano per lungo tempo alla vita politica italiana per i fatti di Roma.

L’Austria-Ungheria è un impero plurietnico: non riesce a trovare un modo per rafforzare il proprio esercito e teme di trovarsi di fronte a disordini interni per un aumento delle tasse. Ha grandi obiettivi di espansione.

La Russia è una grandissima potenza demografica con 75 milioni di abitanti, ma solo una parte di questa popolazione è strutturata per l’esercito. I suoi motivi di debolezza sono la mancanza di modernizzazione delle armi e delle vie di comunicazione.

Se la Germania riesce nel suo intento di mantenere l’equilibrio in Europa, ciò è dovuto al fatto che, da una parte, le potenze europee si rivolgono all’esterno senza trovare ostacoli, dall’altro, gli Stati Uniti hanno appena terminato la guerra di secessione e sono impegnati in un’opera di ricostruzione. La maggiore preoccupazione proviene da un altro settore: il Giappone.

Alla fine dell’800 emergono delle voci favorevoli alle prime integrazioni di carattere pacifistico: nel 1887 Pratt costituisce l’Unione Lombarda per la Pace e l’Arbitrato Internazionale; nel 1889 si apre il I Congresso internazionale dei delegati delle associazioni pacifistiche; nel 1889 nasce anche l’Unione interparlamentare; nel 1899 e nel 1907 hanno luogo le Conferenze della pace a L’Aia.

Tali conferenze e associazioni si basano su questo concetto: se si vuole mantenere la pace servono due presupposti, la progressiva diminuzione delle armi fino al disarmo e l’arbitrato – un complesso di tribunali dove tutti gli Stati siano rappresentati e che possa garantire la pace attraverso l’applicazione di un diritto.

Nel 1901 Angell scrive The Great Illusion.

I BALCANI E IL CASO DELL’ARMENIA

Alcuni territori iniziano a sollevarsi contro la dominazione ottomana, autoritaria e opprimente. I primi ad ottenere l’indipendenza durante il periodo napoleonico sono i Serbi, ma già nel 1813 l’Impero ottomano revoca le concessioni fatte in precedenza e dopo il Congresso di Vienna riprende la lotta per l’indipendenza. Nel 1826 con la Convenzione di Ackerman viene creato un piccolo principato indipendente.

In Moldavia e Valacchia, i Rumeni considerano l’inizio del processo d’indipendenza il 1821, quando l’Impero ottomano sostituisce i gabellieri greci con quelli rumeni. Le Chiese rumena, bulgara e serba cercano di sganciarsi da quella greca.

La Russia entra per cercare di avere un’influenza a favore di Moldavia e Valacchia – zone di produzione del grano – e ottiene con il Trattato di Adrianopoli del 1829 che in Moldavia e Valacchia vengano creati due principati pseudo-autonomi nel 1830.

Nel frattempo la Serbia riesce ad avere un’autonomia dagli Ottomani, ma deve mantenere guarnigioni turche su suo territorio e deve pagare delle imposte al sultano.

Nel 1830 il processo di indipendenza dei Paesi balcanici è ormai pienamente avviato. Il Consiglio imperiale diventa Consiglio dei Ministri (le Porte), a capo dei quali stanno i Visir (il Gran Visir è a capo del Ministero degli Affari generali). Nel 1838 vien promulgato un atto in cui si garantisce la vita e la proprietà a tutti i cittadini dell’Impero ottomano a prescindere dalla religione, ma non viene mai applicato.

Nel 1848 in Romania, dove i due principi stanno governando in collaborazione con un’assemblea formata dai boiari, i nobili proprietari fondiari, e dalle alte cariche ecclesiastiche, avvengono dei moti. La Russia interviene in Moldavia e Valacchia nel 1853: ne nasce una guerra con gli Ottomani e la Gran Bretagna interviene a difendere l’Impero ottomano per paura che la Russia possa arrivare agli stretti. La guerra si chiude con la Conferenza di Parigi (1856): la Romania riesce ad avere una reale

indipendenza. L’Impero turco avvia nuove riforme: un prescritto da parte del sultano è l’unico modo per partecipare alla Conferenza di Parigi. Il sultano garantisce la vita, la proprietà e la libertà religiosa. Oltre a queste garanzie si chiede ai cittadini di non esprimere giudizi negativi nei confronti dei cittadini non musulmani e si permette a tutti l’accesso ai pubblici uffici e alle scuole. Si hanno forti poteste da due settori: da una parte, il settore nazionalista, per il quale c’è stata un’ingerenza indebita delle potenze occidentali nell’Impero ottomano; dall’altra, il settore fondamentalista, che reclama il diritto esclusivo di esercitare le libertà politiche da parte della Umma, la comunità dei credenti. Queste opposizioni portano a due massacri, in Libano (cristiani maroniti) e in Siria: le popolazioni fino ad allora sottomesse cominciano a reclamare l’applicazione dei loro diritti.

Anche nella parte austriaca dei Balcani, in Croazia, si stanno muovendo delle nazionalità, a partire dall’azione di Luigi Gai, che recupera uno dei dialetti e lo rende lingua croata, crea una biblioteca, una società editrice, delle opere in croato, ponendo le premesse per la nascita di un nazionalismo croato.

Nel 1875 si solleva l’Erzegovina, subito dopo la Bosnia, e la Russia interviene nuovamente. Il Trattato di Santo Stefano prevedeva la creazione di una grande Bulgaria, ma il progetto viene respinto in una conferenza internazionale guidata da Bismarck. Nel 1878 viene stipulato il Trattato di Berlino; in una clausola la Russia pretende dalla Romania la Bessarabia. L’articolo 72 prevede una sorta di tutela internazionale per l’applicazione dei diritti civili e politici. A partire da questo trattato si rafforzano le opposizioni all’Impero ottomano.

Dal 1878 gli Armeni, fino ad allora sottomessi al patto fra Impero e non musulmani – difesa, sicurezza, vita e proprietà a patto di tasse e sottomissione – in seguito alle nuove riforme che concede il sultano chiedono di essere protetti dai soprusi dei Curdi. Le rivendicazioni non vengono ascoltate, il sultano scioglie il Parlamento ma le proteste continuano. Non c’è più la volontà di sottomissione da parte di questi Paesi e nascono le prime società segrete, anche in Russia.

Nel 1885 nasce il primo partito armeno, che chiede l’autonomia e si basa sulla volontà di creare una coscienza nazionale armena. Le proteste armene culminano le 1894 in sommosse e rivolte aperte contro la doppia tassazione e contro i soprusi, chiedendo la possibilità di avere armi per difendersi. L’Impero ottomano risponde col massacro: la repressione di 22 giorni sfocia in qualcosa di più. Viene formata una Commissione d’inchiesta per verificare la responsabilità degli avvenimenti: essa viene attribuita agli Armeni che si sono rivoltati, e le potenze occidentali non intervengono.

Nel 1895 riprendono i moti: a Istanbul c’è la prima manifestazione pubblica di una minoranza sottomessa. Gli Armeni fanno un corteo ma non riescono a portare le loro rivendicazioni direttamente al sultano perché il corteo viene bloccato e si scatena un nuovo massacro.

Nel 1896 finiscono i massacri, che si sono perpetuati anche dopo che gli Armeni hanno chiesto la tregua. La Gran Bretagna comincia a penare che sia l’ora di far cadere l’Impero ottomano e spartirsi il territorio, ma non interviene per via dell’opposizione russa.

Nel 1897 c’è il tentativo della Grecia di annettere Creta, ma viene sconfitta in 11 giorni. La Macedonia è un crogiuolo di nazionalità. Nei Balcani si vede una nuova frontiera in seguito all’allargamento dei nuovi Stati nazionali. I piccoli Stati che si stanno per formare nei Balcani cercano a loro volta di creare una ambito territoriale più vasto.

Gli occidentali, che hanno vissuto i moti nazionalistici del ’48, non ritengono tuttavia che gli Slavi possano avere nazionalità. Tra il 1880 e 1890 l’Austria-Ungheria riesce a tenere a bada queste nazionalità, anche con l’aiuto di Bismarck. Nel 1891, a ridosso della Triplice Alleanza, l’Austria riesce a raggiungere un accordo con la Serbia: i due Stati si promettono neutralità reciproca in caso di guerre. L’Austria ottiene che il sovrano della Serbia prometta di non firmare nessun atto o accordo con altri Stati se non previo favore dell’Austria.

Il principe a capo della Romania è un Hoenzollern; egli cerca di sostituirsi alla Russia, che però ha un’influenza sulla Bessarabia. Vengono stipulati degli accordi di neutralità in caso di guerra tra Romania e Austria.

L’Austria ha un’influenza predominante anche in Bulgaria. Sul trono c’è Alessandro di Battenberg, nipote dello zar; egli non riesce a contrapporsi al parlamento bulgaro, che vuole liberarsi della presenza russa sul suo territorio e l’abdicazione di Alessandro. Il Parlamento rifiuta il sostituto proposto dai Russi; diventa principe Ferdinando di Sassonia-Coburgo, tedesco, ufficiale ungherese, molto legato all’Austria

Nel 1903 in Serbia c’è una sollevazione popolare contro il ripristino degli Obrenovic; sul trono sale la dinastia dei Karadordevic. La Serbia è il fulcro di un nuovo Stato di carattere panslavista: spinge alla sollevazione di tutte le altre popolazioni dell’Impero ottomano o sotto il controllo austro-ungarico, come la Bosnia-Erzegovina. La risposta austro-ungarica è l’annessione nel 1908.

Nel 1908 scoppia la rivolta dei Giovani Turchi. Il Partito Unione Progresso si basa su due elementi fondamentali: mettere fine alla teocrazia e passare al periodo di laicità dello Stato, e instaurare un regime di carattere liberal-democratico. L’anno dopo c’è la controrivoluzione: i fondamentalisti non accettano la scomparsa della teocrazia e i nazionalisti si fanno portavoce dei principi del panturchismo – superiorità della razza turca, gli altri popoli devono staccarsi dall’Impero – e del turanismo – unione di tutti i popoli di lingua turca, come l’Azerbaijan, con in mezzo l’Armenia. Viene formato un Parlamento e nel 1909 gli Armeni si sollevano contro la rivoluzione nazionalista, ma vengono nuovamente massacrati senza l’intervento straniero.

Subito dopo la guerra italo-turca, scoppiano le guerre balcaniche del 1912 e del 1913. I Paesi balcanici approfittano delle difficoltà dell’esercito per chiedere riforme in difesa delle popolazioni cristiane della Macedonia. Si crea un’alleanza, voluta dalla Russia, tra Grecia, Serbia e Bulgaria, che in tre settimane riescono a vincere contro i Turchi; ma la vittoria non risolve i problemi. Si scontrano i nazionalismi: la Bulgaria non accetta le proposte di compromesso della Russia e torna in guerra con la Serbia e la Grecia. Anche la Romania entra nel conflitto contro la Bulgaria, sconfitta in sei settimane. La Grecia ottiene parte della Macedonia e le isole dell’Egeo, la Serbia e la Grecia si allargano.

Nasce il principato dell’Albania, ma si scoppiano nuovi conflitti sui confini (zona dell’Epiro). In questo momento la crisi balcanica è al centro della crisi europea.

Nel 1914 viene nominata una nuova Commissione: il sultano accetta gli osservatori occidentali che obbligano l’Impero ottomano ad adottare delle riforme in Armenia. La Turchia capisce di essere debole a chiede aiuto alla Germania, che invia un ispettore militare per lavorare al rafforzamento dell’esercito turco non solo dal punto di vista della preparazione, ma anche delle infrastrutture.

Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, i Turchi possono sbarazzarsi degli Armeni, perché nessuno si interessa più della loro situazione. Gli Armeni rispondono alla chiamata turca, ma le cose precipitano a partire dalla sconfitta che i Turchi ricevano dalla Russia nel gennaio 1915 durante il tentativo di marciare verso l’Azerbaijan. I Turchi ritengono gli Armeni responsabili del fallimento e nel febbraio, durante una riunione segreta dei Giovani Turchi, viene deciso un piano di sterminio della popolazione armena. Il programma prevede di:

mettere fuorilegge le associazioni armene

confiscare le armi

istigare la violenza

usare le forze armate

sterminare gli uomini sotto i 50 anni, i preti e i maestri

permettere la conversione di donne e bambini

sterminare le famiglie dei fuggiaschi e non metterle in comunicazione con loro

licenziare i funzionari armeni

sterminare gli Armeni nell’esercito

condurre le operazioni in diversi luoghi

vigilare sulla segretezza di queste norme

Nell’aprile cominciano i rastrellamenti e a maggio viene promulgata la legge temporanea di deportazione. Nel maggio 1915 viene emanato un nuovo atto temporaneo di espropriazione e confisca, rimasto in vigore fino al 1920.

IL N OV EC EN TO

LA I GUERRA MONDIALE

Nella I Guerra Mondiale si riconoscono due tematiche fondamentali: il passaggio dal sistema europeo al sistema mondiale degli Stati; la crisi, il declino degli Stati sovrani nazionali che si erano affermati nel corso dell’800. Tra la fine del secolo XIX e l’inizio del XX, lo sviluppo delle forze produttive dovuto alla rivoluzione industriale fa sì che le dimensioni degli Stati nazionali, nella loro chiusura dovuta all’adozione della via protezionistica, costituiscano un ostacolo al pieno impiego delle loro risorse. Comincia una nuova gara selettiva fra gli Stati: non è più una gara europea, ma è mondiale. In questo quadro emergono gli Stati che hanno una maggiore potenza a livello mondiale. La risposta a questa sfida è l’imperialismo, l’espansionismo.

La Germania arriva tardi alla spartizione dei territori: alla fine dell’800 è lo Stato che ha una maggiore potenza e sviluppo economico industriale e non accetta di essere relegata a potenza di secondo piano. All’avvio della I Guerra Mondiale, la Gran Bretagna occupava a livello coloniale 28 milioni di chilometri quadrati di territori per un totale di 375 milioni di abitanti; la Germania ne occupava 3 milioni per un totale di 12 milioni di abitanti. La Germania doveva scegliere se rinunciare a essere una potenza mondiale o se adottare una politica estera aggressiva.

La I Guerra Mondiale accelera le tendenze già in corso, come l’accentramento del potere (preminenza dell’esecutivo sul legislativo), la priorità degli aspetti militari e la maggiore presenza dello Stato nell’economia.

Il 28 giugno 1914 c’è la causa scatenante della guerra con l’attentato di Sarajevo in Bosnia: uno studente bosniaco uccide l’erede al trono d‘Austria-Ungheria, l’arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie. Il governo asburgico attribuisce la responsabilità politica dell’attentato alla Serbia: da tempo esistevano tensioni tra la Serbia e l’Austria.

Il 23 luglio l’Austria invia un ultimatum alla Serbia: la Serbia risponde garbatamente all’Austria, accettando tutti punti dell’ultimatum tranne quello che prevede un’intromissione di funzionari austriaci nell’inchiesta sul complotto: ciò andrebbe contro la sua sovranità, sarebbe una violazione della costituzione. L’Austria si ritiene insoddisfatta e il 28 luglio dichiara guerra alla Serbia. Il giorno dopo la Russia mobilita il proprio esercito; la Germania, alleata dell’Austria in forza della Triplice Alleanza, invia un ultimatum alla Russia intimando la sospensione della mobilitazione. La Russia non fa marcia indietro e il 1° agosto la Germania dichiara guerra alla Russia. Lo stesso giorno la Francia, che ha con la Russia un’alleanza militare. molita le proprie forze armate. La Germania risponde con un nuovo ultimatum indirizzato alla Francia. al quale segue la dichiarazione di guerra, non avendo la Francia adempiuto a quanto c’era nell’ultimatum. La Germania invade il Belgio per muovere l’attacco alla Francia. Il Belgio era neutrale. L’invasione è giustificata dalla Germania con un ultimatum al Belgio nel qualche chiede la possibilità di passare dal suo territorio avendo avuto notizia di un imminente attacco dalla Francia attraverso il Belgio. Il Belgio non accetta l’ultimatum e la Germania procede invadendo il Belgio per portare l’attacco alla Francia. L’invasione del Belgio provoca una reazione da parte della Gran Bretagna per ragioni ideali e motivi pratici – il Belgio sta al di là della Manica. La Gran Bretagna ha rapporti tesi con la Germania e dichiara guerra prendendo spunto dall’invasione del Belgio.

In Germania da tempo esiste il piano Schlieffen, dal nome del tedesco che ha elaborato questo piano di guerra nella previsione in cui la Germania debba impegnarsi su due fronti contrapposti: la Francia da una parte, la Russia dall’altra. Il piano prevede che la Germania debba portare subito l’attacco contro la Francia, da abbattere rapidamente per spostare poi l’impegno contro la Russia, che si pensa disponga di notevoli risorse ma sia più lenta a muoversi.

In Europa molti pensano che la guerra sarà breve; non manca chi ritiene che la guerra possa essere persino utile come freno dei contrasti sociali. All’interno dei vari Stati si ha una mobilitazione patriottica. Anche i socialisti nei vari Paesi si astengono da una dura opposizione. Una ferma opposizione alla guerra viene da parte del papato, prima da parte di Pio X, che tuttavia muore una volta scoppiata la guerra, e poi da parte di Benedetto XV, che non perde occasione per esprimere la sua condanna nei confronti della guerra.

Le potenze dell’Intesa vedono la guerra come una reazione all’aggressività e all’espansionismo tedesco, come scontro tra democrazia liberale e autoritarismo, come guerra per l’indipendenza dei popoli e per l’affermazione del principio di nazionalità. Gli imperi centrali, e in particolare la Germania, vedono invece la guerra come una risposta a un tentativo di strangolamento e alla negazione di una posizione congrua nel contesto internazionale. Si ha un grande spiegamento di forze con l’impiego di molti uomini, nuove possibilità sono offerte dagli sviluppi nei mezzi di trasporto, e le armi sono più progredite, temibili, micidiali.

Inizialmente i Tedeschi ottengono successo in direzione della Francia: il governo francese lascia Parigi di fronte all’avanzata tedesca e si trasferisce a Bordeaux. Nel frattempo i Tedeschi sconfiggono i Russi nella battaglie di Tannenberg e dei Laghi Masuri.

Il 6 settembre i Francesi contrattaccano e riescono a spingere i Tedeschi su una linea più arretrata dopo una settimana di combattimenti. I Tedeschi non riescono a reagire: falliscono il piano tedesco e l’idea di guerra di movimento. Alla fine di novembre gli eserciti sono arrestati su un lungo fronte dal Mare del Nord al confine svizzero. Dalla guerra di movimento si passa alla guerra di logoramento.

L’allargamento continua e nell’agosto del 1814 il Giappone dichiara guerra alla Germania, in seguito al trattato del 1902 con la Gran Bretagna, e s’impadronisce delle colonie tedesche in Estremo Oriente. In novembre la Turchia, legata alla Germania da un trattato segreto, interviene a fianco degli imperi centrali. Nel maggio del 1915 l’Italia interviene a fianco dell’Intesa. In settembre la Bulgaria interviene a fianco degli imperi centrali. Intervengono a fianco dell’Intesa anche il Portogallo (marzo 1916), la Romania (agosto 1916), la Grecia (giugno 1917) e gli Stati Uniti (aprile 1917). Il conflitto si estende agli imperi coloniali: ci sono battaglie nei continenti extra-europei. Si tratta effettivamente di una guerra mondiale quale mai si è vista.

In un primo tempo l’Italia all’inizio resta neutrale. Dal 1882 l’Italia è legata all’Austria-Ungheria e alla Germania dalla Triplice Alleanza. La Triplice è un accordo di tipo difensivo e l’Italia non viene consultata prima dell’inizio della guerra. In Italia si accende presto un dibatto tra interventisti e neutralisti: interventi sono gli irredentisti (che desiderano che l’Italia abbia i territori irridenti d Trentino e Trieste), alcuni sindacalisti rivoluzionari, i nazionalisti e i liberali di destra (tra i quali Salandra, Presidente del Consiglio, e Sonnino, Ministro degli Esteri dall’ottobre del 1914). Neutralisti sono Giolitti e i liberali giolittiani (che ritengono l’Italia impreparata e pensano che riceverà dei compensi per la sua neutralità), il mondo cattolico, i socialisti e i settori dell’industria. I neutralisti hanno un maggior peso nella società e in Parlamento: numericamente sono la maggioranza. Gli interventisti sono più chiassosi e ciò li fa sembrare più forti di quanto siano in realtà. Fin dall’inizio l’Italia non è nettamente schierata a fianco della Germania.

Mussolini, socialista e direttore dell’Avanti, nell’autunno del 1914 passo tra gli interventisti anti-tedeschi, ritenendo che la Germania sia un pericolo per il quale bisogna entrare in guerra a fianco dell’Intesa e collaborare per sopraffarla. Mussolini viene destituito dalla direzione dell’Avanti e cacciato dal partito. Nel novembre fonda Il popolo d’Italia, che si vale di finanziamenti francesi.

Il 26 aprile 1915 con l’avvallo del Re, Salandra e Sonnino firmano il Patto di Londra con l’Intesa, in base al quale l’Italia entrerà in guerra a fianco dell’Intesa e in caso di vittoria otterrà il Trentino, il Sud-Tirolo fino al Brennero, la Venezia-Giulia, l’Istria esclusa Fiume, parte della Dalmazia, il bacino carbonifero di Adalia in Turchia ed eventuali altri compensi in campo coloniale. All’Intesa non costa

nulla promettere dei compensi all’Italia dai territori dei vinti. Il Patto di Londra resta segreto al Parlamento. Ai primi di maggio Giolitti si pronuncia in favore delle trattative con l’Austria. Salandra rassegna le dimissioni ma il Re le respinge mostrando fiducia in lui. Nel frattempo si svolgono delle manifestazioni di piazza da parte degli interventisti, dando vita alle “radiose giornate di maggio”.

Il 20 maggio la Camera approva la concessione dei pieni poteri al governo col voto contrario dei soli socialisti. Il 24 maggio l'Italia entra in guerra. A questo punto anche i socialisti si astengono dal praticare una dura opposizione: formula “né aderire, né sabotare”. L’Italia si trova presto impegnata in una guerra di trincea.

Alla metà del 1915 c’è una situazione di stallo, con molti morti. Nel 1915 gli unici successi significativi sono ottenuti dagli Austro-Tedeschi contro i Russi, costretti ad abbandonare parte della Polonia, e contro la Serbia, che viene invasa.

Il 1916 è un anno di grandi offensive militari: c’è l’offensiva tedesca contro la piazzaforte francese di Verdun, la controffensiva inglese sulla Somme, ma non portano a risultati decisivi. In giugno c’è l’offensiva austriaca contro l’Italia: la Strafexpedition, la spedizione punitiva contro l’Italia che è passata al campo avverso. L’Italia non subisce perdite territoriali, ma nel Paese è presente una viva impressione: cade il governo Salandra, nasce il governo di Paolo Boselli, governo di coalizione nazionale comprendente varie forze politiche esclusi i socialisti. In maggio c’è la battaglia navale dello Jutland tra la flotta inglese e quella tedesca: questa battaglia blocca ulteriormente la situazione perché i Tedeschi da questo momento si fanno più prudenti. In giugno c’è un’offensiva da parte russa con il recupero dei territori perduti. In agosto interviene la Romania a fianco dell’Intesa ma viene sconfitta.

In seguito alla guerra si diffonde il malcontento, si hanno episodi di diserzione e qualche caso di ribellione, nonostante la severa disciplina che punisce questi episodi. Si fa uso dei gas, dei nuovi mezzi di comunicazione, di automezzi corazzati, di aeroplani, di sottomarini. Anche l’agricoltura e l’organizzazione risentono della guerra. I governi s’impegnano nella propaganda. Per tutti questi elementi gli storici hanno parlato di guerra totale.

Il 1917 è un anno di svolta. In aprile entrano in guerra gli Stati Uniti contro la Germania. In agosto a Torino c’è un’insurrezione, che viene repressa con dei morti. Anche all’interno dell’Impero austro-ungarico sono presenti tensioni a causa delle diverse nazionalità. Il 1° agosto il papa Benedetto XV emana una nota ai capi delle potenze belligeranti nella quale esprime una durissima condanna della guerra e fa proposte di pace. Il Papa non giudica la guerra solo dal punto di vista morale, ma afferma che è anche inutile perché incapace di risolvere i problemi internazionali; nella nota avanza un progetto di soluzione della guerra, ma la nota non produce gli effetti sperati. In ottobre c’è l’episodio di Caporetto: Austriaci e Tedeschi sfondano le linee italiane e penetrano nel Friuli; Diaz sostituisce Cadorna al comando supremo dell’esercito italiano, che esprime una valida resistenza e riesce a controbattere. Viene chiamata anche la leva del 1899 per dare nuova forza all’esercito. Venne formato un nuovo governo presieduto da Vittorio Emanale Orlando.

In gennaio del 1918 Wilson presenta i suoi 14 punti: abolizione della diplomazia segreta, libertà di navigazione, eliminazione delle barriere doganali, riduzione degli armamenti, reintegrazione del Belgio, restituzione dell’Alsazia e della Lorena alla Francia, rettifica dei confini italiani secondo il principio i nazionalità ecc. L’ultimo punto prevede la nascita di un organismo internazionale con compiti di tutela della pace: la Società delle Nazioni. Nel marzo la Russia, dopo aver firmato un armistizio con gli imperi centrali, stipula la pace di Brest-Litovsk (3 marzo). La pace è particolarmente dura: ha il ruolo di indurre gli imperi centrali a impregnarsi contro di esse le forze dell’Intesa. Agli inizi del 1918 la situazione tra le due parti in guerra è piuttosto di equilibrio. Da fine marzo si ha un rinnovato impegno tedesco in direzione della Francia, ingaggiando anche le forze rese disponibili dopo l’abbandono della Russia.

In giugno viene un attacco austriaco sul Piave ma viene respinto. Alla fine di luglio c’è l’inizio del definitivo contrattacco dell’Intesa. A questo punto si sente il peso dell’auto degli Stati Uniti. Alla fine di settembre cede la Bulgaria, in ottobre l’Impero turco e l’Austria-Ungheria. L’Italia sconfigge l’Austria nella battaglia di Vittorio Veneto e il 3 novembre viene firmato l’armistizio di Villa Giusti. In Germania l’Imperatore fugge e l’11 novembre i delegati del governo provvisorio firmano l’armistizio di Rethondes. In Germania, Austria e Ungheria nascono degli Stati repubblicani.

Nel gennaio del 1919 a Versailles si aprono i lavori della conferenza di pace. Alla conferenza di pace partecipano 32 Paesi, con l’esclusione dei vinti, ma le potenze principali sono quattro: Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia e Italia. La Francia, sotto la presidenza di Clemenceau, vuole l’annichilimento della potenza tedesca e un risarcimento da parte della Germania. La Gran Bretagna e gli Stati Uniti sono soddisfatti dell’esito della guerra ma sono contrari all’annientamento della Germania per motivi di equilibrio. L’Italia viene presto relegata in posizione marginale.

Il 28 giugno viene concluso con la Germania il trattato di Versailles, che i Tedeschi chiamano diktat perché viene loro imposto senza la possibilità di dire la propria. Esso prevede la restituzione alla Francia dell’Alsazia-Lorena, alla Polonia dell’Alta Slesia, di una striscia della Pomerania e della Posnania (un corridoio polacco che termina con Danzica, città libera), viene stabilita la perdita delle colonie e viene inoltre deciso che la Germania dovrà pagare le riparazioni di guerra, ridurre le forze armate e smilitarizzare la zona del Reno, che sarà presidiata per 15 anni da truppe inglesi, francesi e belghe. Il 10 settembre viene conclusa la Pace di Saint-Germain con l’Austria, che subisce una notevole riduzione del proprio territorio. Il 27 novembre vene stipulato il trattato di Neuilly con la Bulgaria, cui viene imposto la cessione di alcuni territori. Il 4 giugno del 1920 è la volta del trattato del Trianon con l’Ungheria, che perde dei territori, viene condannata al pagamento di riparazioni e alla limitazione delle proprie armate.

Le cause della I Guerra Mondiale

Freud, nelle sue considerazioni sulla guerra, scrive che la I Guerra Mondiale ha due peculiarità: è una guerra totale – coinvolge tutto il mondo, tutti i ceti sociali, non è una guerra di eserciti, ma di popoli, una guerra che chiede agli Stati di mettere in campo tutte le risorse disponibili – e decreta la fine dell’illusione positivistica – l’800 presuppone che il principio di nazionalità pacificherà le relazioni internazionali, che il progresso della scienza, della democrazia, della cultura, della civiltà costituirà una garanzia contro il ripresentarsi delle guerre.

In campo storiografico, si scontrano due interpretazioni: la prima sostiene che la causa della guerra sia stata l’aggressività, il militarismo e l’espansionismo della Germania di Guglielmo II e della sua alleata Austria-Ungheria, che la I Guerra Mondiale sia lo scontro tra tendenze liberal-democratiche da una parte e burocratico-assolutistiche dall’altra, e che la I Guerra Mondiale sia fatta per applicare l’autodeterminazione dei popoli; l’altra tendenza sostiene che la causa della guerra sia l’atteggiamento della Francia e della Gran Bretagna che ostacolano qualsiasi possibilità espansiva della Germania e quindi creano una sorta di accerchiamento degli imperi centrali.

La Germania di Guglielmo II è certamente un Paese aggressivo. Nel 1891 la Lega Pangermanistica proclama l’espansione dello Stato tedesco su due linee: quella all’interno del continente, dei Paesi in cui si parla tedesco (Austria-Ungheria, Olanda, Lussemburgo, Boemia, Estonia, Lettonia), e quella verso l’esterno, di stampo economico. L’influenza tedesca in Asia Minore (Baghdad), nell’America del Sud e in certe parti dell’Africa (Marocco, Africa centrale) si va a scontrare con presenze preesistenti, quella francese e quella inglese. Nel 1898 c’è un primo accordo tra Germania e Gran Bretagna per dividersi le colonie di Belgio e Portogallo: la parte a sud del Mozambico e dell’Angola con la foce dello Zambesi alla Gran Bretagna, quella a nord alla Germania. L’accordo non viene applicato, ma tra il 1913 e 1914 questo accordo viene ripreso: la Gran Bretagna è favorevole a dare una possibilità di espansione alla Germania, contrariamente alla Francia. Quest’accordo, che doveva preludere a un altro accordo per la conferimento del Congo belga alla Germania, decade perché la Francia blocca il progetto.

Per portare avanti una politica di questo tipo alla Germania serve un grande esercito: l’esercito tedesco diventa ben presto il più potente d’Europa. Viene rafforzata anche la flotta tedesca: nel 1898 viene messo in atto un programma di aumento del numero di navi da guerra (22 navi tedesche contro le 147 britanniche). In due anni le navi tedesche diventano 50; nel 1912 la Germania arriva ad avere due terzi delle navi da guerra britanniche. Questa politica viene percepita come militarista, espansionistica ed aggressiva.

A partire dal 1913 la Germania comincia a votare i crediti necessari per l’aumento delle forze militari (crediti di guerra), sulla base di una assunto militare: il Pano Schlieffen prevede che la Germania dovrà combattere su due fronti, quello francese e quello russo.

In seguito all’adozione del Piano Joffre, il piano militare francese difensivo, anche la Francia vota i crediti di guerra e aumenta il servizio di leva obbligatorio da un anno a tre anni. In questo momento l’Austria-Ungheria si è indebolita in seguito alle guerre balcaniche: nel 1914 non ha ancora provveduto a migliorare il suo esercito. Lo stesso vale per la Russia: la Duma promette di approvare i crediti di guerra scaglionandoli in tre anni. Il Belgio capisce che la sua neutralità potrebbe essere violata e ricostruisce l’esercito. Vengono formati anche un esercito olandese e un esercito svedese. Solo la Gran Bretagna e l’Italia non fanno niente: in Gran Bretagna il Parlamento non è d’accordo al rafforzamento militare perché sarebbero tolti dei finanziamenti all’economia, la vera potenza inglese; l’Italia sa di dover ristrutturare l’esercito ma non ha i fondi per farlo.

Considerare la I Guerra Mondiale come lo scontro tra tendenze liberal-democratiche e burocratico-assolutistiche non è esatto – la Russia non è una potenza liberal-democratica – e nemmeno che essa sia fatta per l’auto-determinazione dei popoli – nei Balcani l’autodeterminazione dei popoli non è conclamata: non si tratta di nazionalità, ma di nazionalismo; il principio nazionalistico poi non vale per le colonie.

La seconda interpretazione storiografica, quella dell’accerchiamento, è vera, ma si tratta di un’altra lettura di origine tedesca. Fisher scrive nel 1965 “Assalto al potere mondiale”: la I Guerra Mondiale è lo scontro fra gli imperialismi nella nuova prospettiva mondiale, come esigenza dei mercati e capitali diversi, gli Stati sono diventati troppo piccoli e hanno bisogno di nuovi spazi. La I Guerra Mondiale è la ridefinizione degli equilibri fra gli Stati nel momento di passaggio dal sistemo europeo al sistema mondiale degli Stati.

Quelle che vengono definite come le cause della I Guerra Mondiale sono in realtà motivi di scontro sopiti che vengono riportati alla luce con lo scontro fra gli imperialismi e che da soli non avrebbero mai portato alla guerra: sono le cause occasionali.

Gli Stati europei, comportandosi secondo la regola dell’equilibrio degli Sati, vedono che la Germania si comporta come una potenza egemonica e intervengono nel contrapporsi insieme ad essa: emblematiche sono le due crisi marocchine. Nel 1905 la Germania decide di intervenire in Marocco opponendosi al fatto che la Francia possa rafforzarsi e chiede la convocazione di una conferenza internazionale per decidere gli spazi. Durante la Conferenza di Algeciras le ragioni della Germania vengono sostenute solo dall’Austria-Ungheria e gli altri Stati bloccano il tentativo espansionistico tedesco. Nel 1911 la Francia occupa Fez e la Germania manda un incrociatore ad Agadir per indicare di essere disposta a una guerra. Gli altri Stati cercano una soluzione diplomatica pur contrastando la volontà tedesca di espandersi in Marocco: la Germania chiede che le venga dato il Congo francese in cambio, ma solo una piccola parte le viene concessa.

Dopo il 1913 e le guerre balcaniche, la Germania e l’Austria-Ungheria credono che non ci siano più spazi di espansione se non attraverso una guerra. A questo punto entrano in gioco altri fattori: il fattore militare, con i crediti di guerra; i giornali, che fomentano l’opinione pubblica, rassegnandola al fatto che la guerra scoppierà.

Le strategie della I Guerra Mondiale

La I Guerra Mondiale comincia come una guerra breve (guerra di sfondamento), ma ben presto si trasforma in una guerra di chiusura (guerra di logoramento), infine diventa una guerra di diversione, con il tentativo di introdurre qualche novità che possa far pendere la bilancia da una parte o dall’altra (lo sfondamento del fronte greco a Salonicco e l’ingresso di nuovi Sati nella guerra).

La guerra lunga comporta per l’Italia la concessione delle terre ai contadini per guadagnare il loro appoggio, una maggiore partecipazione dello Stato nell’economia, l’aumento delle imposte e l’uso della tecnologia per creare consenso.

Le battaglie più importanti sono quelle di dissanguamento, come Verdun nel 1916, che ha portato a tantissimi morti, ma a nessun risultato evidente per entrambe le parti. Nel 1917 si ha la battaglia delle Fiandre, nel 1918 la battaglia di San Quintino, con la Francia e la Gran Bretagna che vogliono vincere la guerra prima che gli Americani riescano ad avere un peso determinante.

Il blocco economico iniziato dalla Gran Bretagna è inviso a tutti i paesi neutrali e anche agli Stati Uniti, portando quasi ad una rottura tra i due Stati, fino a quando non vengono colpite anche le navi americane dai Tedeschi, che passano alla guerra sottomarina. La Germania pensa di distruggere la flotta in sei mesi e in effetti reca grandissimi danni alla Gran Bretagna, ma porta anche all’ingresso degli Stati Uniti nella guerra. L’ingresso degli Stati Uniti, il 2 aprile 1917, può essere visto come il passaggio dal sistema europeo al sistema mondiale degli Stati.

La I Guerra Mondiale non risolve il problema degli equilibri e del passaggio dal sistema europeo a quello mondiale: l’Europa non è più il centro del mondo, ma gli Stati europei non si accorgono del cambiamento e pensano che si possa riprendere con le vecchie strategie e le vecchie politiche.

LA SOCIETÀ DELLE NAZIONI

L’Europa si presenta alla guerra come il centro del mondo dal punto di vista industriale e finanziario, ma ne esce perdendo il suo ruolo egemonico. Nel 1917 non ci sono solo le due rivoluzioni russe (quella liberale e quella leninista) e la Caporetto italiana, ma nell’aprile c’è anche l’ingresso degli Stati Uniti in guerra. Alla fine della I Guerra Mondiale Dehio scrive che non si tratta più ricostruire l’ordine europeo, ma di costruire un ordine mondiale.

Gli Stati europei con il Trattato di Versailles affermano come principio cardine della storia futura l’autodeterminazione dei popoli, ma il principio dell’equilibrio non è più sufficiente a mantenere la pace: allora nasce la Società delle Nazioni, costituendo una grande rivoluzione nell’ambito delle relazioni internazionali; d’ora in poi esse non si baseranno più solo sul rapporto fra gli Stati, ma su un diritto internazionale che sarà considerato l’interesse comune. Si tratta della formalizzazione di una serie di progetti utopistici che si hanno a partire dal ’600 in Europa e che prevedevano la creazione di un’associazione di Stati, un’assemblea di rappresentanti, con il potere di redimere le controversie e garantire la pace; chi non avesse seguito le decisioni dell’assemblea, sarebbe stato sanzionato – si era pensato alla creazione di un esercito internazionale, oppure solo a sanzioni economiche o morali.

La Società della Nazioni non è un’invenzione solo di Wilson, ma è anche il frutto dell’incontro di due filoni di pensiero: quello francese (Léon Bourgeois) e quello inglese (Lord Robert Cecil). La Società è formata da un’assemblea, all’interno della quale ogni Stato ha diritto di voto e di veto e le cui deliberazioni devono essere prese all’unanimità, e un consiglio. Alla Società non partecipano né gli Stati sconfitti (Germania), né la Russia e gli Stati Uniti. La Società non ha un potere esecutivo. Bourgeois chiede di creare un esercito internazionale per mettere in pratica le decisioni della Società, ma gli viene rifiutato: le decisioni trovano applicazione nella buona volontà degli Stati.

Già nel 1918 Luigi Einaudi avanza una critica alla Società della Nazioni che si basa sulle osservazioni che riguardano il dogma della sovranità dello Stato e la necessità di superare la sovranità assoluta degli Stati. È il primo a sottolineare il fatto che la Società sarà uno strumento dietro cui potranno muoversi i fautori della guerra: crea una falsa illusione, dà false speranze e impedisce di trovare i mezzi adatti che porteranno alla pace. Einaudi scriverà la stesa cosa dopo la II Guerra Mondiale criticando l’ONU, che costituisce una riproposizione degli stessi limiti contenuti nella Società delle Nazioni, lasciando intatta la sovranità assoluta degli Stati. Secondo Einaudi, la I Guerra Mondiale, che aveva come scopo l’unificazione europea, rappresenta un fallimento.

IL NAZISMO

Il Meinkumpf (La mia battaglia) è il testo nel quale Hitler espone inequivocabilmente le proprie idee: esse si fondano sul razzismo e sulla concezione della superiorità della razza ariana, che vede negli ebrei i primi nemici; è presente anche l’idea della necessità di uno spazio vitale della Germania verso est. Questo test non mette sufficientemente in guardia contro il pericolo costituito da Hitler: si pensa da parte di molti che egli non metterà mai in atto i propri progetti.

Nel 1923 Hitler compie un tentativo di colpo di stato a Monaco, in un momento particolarmente drammatico per la Germania, che versa in una situazione di gravissima difficoltà economica, spingendo persone come Hitler e Ludendorff a tentare un’azione di forza; il complotto viene represso.

Fino al 1929, del resto, il partito nazional-socialista è poca cosa: è un movimento di stampo nazionalistico che fa uso della violenza ma ha scarso seguito e ottiene pochi voti alle elezioni. Nel 1929 scoppia la grande crisi economica mondiale e si assiste a una radicalizzazione della politica, con una crescita dei favori verso le ali estreme: i nazisti trovano un terreno più fertile per la loro causa e nelle elezione del settembre 1930 fanno un balzo in avanti. Con il peggioramento della crisi economica cresce il numero degli aderenti al partito nazista e aumentano le violenze e gli scontri, con parecchi morti.

Nel marzo 1932 si tengono le elezioni per la presidenza della Repubblica. Viene rieletto Hindenburg, ma Hitler, che è uno dei candidati, ottiene molti voti. Per il governo è difficile avere una maggioranza stabile. Nel luglio e nel novembre 1932 si tengono due successive elezioni politiche nelle quali i nazisti risultano il primo partito.

Il 30 gennaio 1933 Hitler ottiene incarico di guidare il nuovo governo, nel quale i nazisti hanno 3 ministeri su 11. I conservatori pensano di utilizzare il nazismo e di poterlo tenere sotto controllo. Nonostante le violenze e le forme improprie di pressione, Hitler è andato formalmente al potere legalmente, con il consenso non solo popolare, ma anche dell’esercito, della burocrazia e degli industriali. In poco tempo egli distrugge la Repubblica di Weimar e costituisce un regime totalitario.

Il 27 febbraio 1933 la sede del parlamento subisce un incendio, per il quale viene arrestato un comunista olandese semi squilibrato. Prendendo spunto da questo incendio viene condotta una grande repressione contro il partito comunista e vengono adottate eccezionali misure limitative della libertà.

Nelle elezioni del 5 marzo 1933 i nazisti ottengono il 44% dei voti. Il parlamento appena eletto approva una legge che conferisce al governo pieni poteri, compreso il potere di legiferare e, se necessario, di scostarsi dalla costituzione o di modificala. Presto i partiti e i sindacati vengono sciolti. In luglio una legge proclama che il partito nazional-socialista è l’unico partito legittimo. In novembre si tiene una nuova consultazione elettorale su lista unica.

Nel 1933 viene firmato il concordato tra la Germania e la Santa Sede. La chiesa di Pio XI mira a tutelarsi di fronte al regime nazista, che ha caratteri tutt’altro che cristiani. Il regime nazista, da pare sua, può mirare a fini di consolidamento attraverso il concordato. Questo concordato non viene presto rispettato da Hitler e i cristiani vanno incontro a persecuzioni.

Nella notte tra il 30 e il 31 luglio 1934 (“notte dei lunghi coltelli”) reparti delle SS, squadre di difesa della nuova milizia creata da Hitler, massacrano i dirigenti delle SA, reparti d’assalto che sono stati il braccio armato del nazismo e che ora Hitler teme.

Nell’agosto del 1934, alla morte di Hindenburg, Hitler diventa capo dello Stato e unitamente continua ad essere cancelliere: nasce il terzo Reich, ossia il terzo impero, dopo il Sacro Romano Impero e quello fondato nel 1871.

Il nazismo, da una parte, usa sistematicamente la violenza, dall’altra cerca di promuovere il consenso procedendo all’organizzazione della gioventù e della cultura, facendo uso dei mezzi di comunicazione di massa, della radio. Su tutto prevale il capo, Hitler, capo dello Stato, del Governo e del nazismo. Viene condotta un’azione contro gli ebrei attraverso una propaganda antisemita, ma non solo: nel settembre 1935 le Leggi di Norimberga tolgono agli ebrei la parità dei diritti e proibiscono matrimoni tra ebrei e non; al di là delle leggi, si verifica una crescente emarginazione di fatto degli ebrei. La notte tra il 9 e il 10 novembre è la “notte dei cristalli”, così chiamata per le vetrine infrante dei negozi di ebrei. A II Guerra Mondiale iniziata, la soluzione finale, che prima prevedeva solo la deportazione degli ebrei, ora ne implica lo sterminio. L’azione nazista per la difesa della razza colpisce non solo gli ebrei: si procede anche alla soppressione dei malati mentali, alla sterilizzazione per i portatori di malattie ereditarie, vengono perseguitate varie minoranze o religiose o culturali. Per il nazismo la razza occupa un posto centrale, come per il fascismo italiano la cosa più importante è lo Stato.

È presente anche un’opposizione al nazismo, ma rimane debole perché efficacemente combattuta dal nazismo stesso: l’opposizione viene soppressa con spietatezza e con prontezza attraverso un vasto apparato repressivo, e non riesce a far sentire la sua forza. Nel marzo 1937 il papa Pio XI promulga l’enciclica Mit brennender Sorge, scritta in tedesco perché si capisse meglio in Germania, ma il governo tedesco cerca d’impedirne la diffusione; opposizioni al nazismo sono presenti anche in ambito protestante.

Con il nazismo l’economia tedesca ha una sensibile ripresa: si verifica una crescita produttiva e una diminuzione della disoccupazione. In politica estera Hitler riporta la Germania al ruolo di protagonista attivo con comportamenti spregiudicati, favorito dal consenso che viene attivamente promosso dalla propaganda. Già negli anni ’20 si erano manifestate tendenze autoritarie in Europa: l’avvento del nazismo dà ulteriore impulso a queste tendenze.

Nella riunione di Stresa vengono confermati gli accordi di Locarno e ci si pronuncia a sostegno dell’indipendenza dell’Austria, mentre l’Unione Sovietica prende misure difensive. Hitler rimilitarizza la Renania di propria iniziativa contro il parere dei suoi generali, i quali temono la reazione delle altre potenze, ma non c’è: la Società delle Nazioni esprime solo la sua condanna. Nel 1936 scoppia la guerra civile spagnola, nella quale l’Italia e la Germania aiutano i franchisti. L’Austria vene annessa all’Impero tedesco (“Anschluss”). Hitler mira anche all’annessione dei Sudeti. Il primo ministro inglese Chamberlain si adopera per trovare una soluzione di compromesso. Alla fine di settembre 1938 a Monaco si svolge un incontro dei rappresentanti delle potenze europee (Francia, Gran Bretagna, Italia e Germania) e viene accettato un progetto di annessione alla Germania del territorio dei Sudeti.

La Gran Bretagna e la Francia allestiscono una rete di alleanze in opposizione all’aggressività tedesca per difendere la Polonia: Hitler da lungo tempo ha indicato come spazio vitale per la Germania i territori verso est. Intano si avvia quel processo di avvicinamento tra Italia e Germania. Nel maggio 1939 Hitler assicura verbalmente a Mussolini che non ci sarà ancora guerra per due o tre anni. Il 1° settembre 1939 le truppe tedesche invadono la Polonia dando così l’avvio alla II Guerra Mondiale.

LA II GUERRA MONDIALE

Il 1° settembre 1939 le truppe tedesche invadono la Polonia. Il 3 settembre la Gran Bretagna e la Francia dichiarano guerra alla Germania. L’Italia proclama la non belligeranza, non la neutralità: l’Italia non è neutrale, ma è legata alla Germania, soprattutto dal Patto d’Acciaio. L’Italia però è impreparata per affrontare la guerra e per questo rimane inizialmente fuori, proclamando la propria non belligeranza, il che significa che l’Italia è schierata ma per il momento non partecipa direttamente alla guerra.

La guerra scoppia con l’attacco tedesco alla Polonia, che ben presto viene occupata dai Tedeschi. L’Unione Sovietica s’impadronisce delle regioni orientali della Polonia, secondo le clausole segrete del patto Ribbentrop-Molotov (23 agosto 1939). Il 30 novembre l’Unione Sovietica attacca la Finlandia per questioni di rettifica dei confini: la Finlandia deve cedere, tuttavia resta indipendente.

Nell’aprile 1940 la Germania attacca la Danimarca e la Norvegia che soccombono. Fino al maggio del 1940 in Occidente non si combatte la guerra: Gran Bretagna e Francia hanno già dichiarato guerra alla Germania ma la situazione resta ferma, tanto che c’è chi ha parlato di “strana guerra”. Nel maggio del 1940 la Germania invade Belgio, Olanda e Lussemburgo; punta sulla Francia, così come era avvenuto all’inizio della I Guerra Mondiale.

La Francia, da tempo, temendo la Germania, aveva costruito una linea di fortificazioni al confine tra Francia e Germania: la linea Maginot. Ma questa linea si mostra insufficiente e viene aggirata dalla Germania. Le difese francesi vengono sfondate e i Tedeschi riescono ad avanzare. Un corpo di spedizione inglese e molti militari francesi e belgi vengono chiusi in una sacca e a Dunkerque riescono ad imbarcarsi per trovare rifugio oltremanica. I Tedeschi avanzano ancora ed entrano a Parigi. In Francia, divenuto Presidente del Consiglio Philippe Petain, cerca l’armistizio con la Germania, mentre da Londra De Gaulle invano incita a continuare la lotta a fianco degli alleati. L’armistizio tra Francia e Germania viene firmato il 22 giugno a Rethondes, nella stessa cittadina dove i Tedeschi avevano dovuto firmare l’armistizio alla fine della I Guerra Mondiale. Parte della Francia si trova sotto occupazione tedesca, parte costituisce la Repubblica di Vichy. In Francia ha fine la Terza Repubblica, nata nel 1870. Il Parlamento affida a Petain il compito di elaborare una nuova costituzione. La Repubblica di Vichy occupa la parte centro-meridionale della Francia. Il governo di Vichy si riduce a una posizione di subalternità nei confronti della Germania, un esempio di regime collaborazionista nei confronti della Germania nazista.

Nel giugno del 1940 entra in guerra l’Italia. L’Italia è ancora debole militarmente, ma Mussolini vuole entrare in guerra. Sono i successi della Germania a far sì che Mussolini voglia l’ingresso dell’Italia nella guerra. La Germania ha ottenuto già notevoli successi e la sua marcia prosegue. A Mussolini pare che la fine della guerra sia imminente, e abbia certamente come vincitrice la Germania. Mussolini afferma cinicamente che basta avere qualche migliaio di morti da sbattere sul tavolo della pace. L’Italia porta l’attacco alla Francia, che è già vinta e sta per firmare l’armistizio con la Germania: nonostante la Francia sia sulla via della sconfitta, l’Italia riesce a vincere con scarsi risultati, mostrando la sua inefficienza. Mussolini, pensando che la guerra finirà presto, vuole condurre una guerra parallela a quella tedesca, cercando di mettere mano su altri territori per mettere meglio il piede vanti in vista delle decisioni che verranno prese poi alla fine della guerra. Ma la flotta italiana subisce sconfitte nel Mediterraneo e falliscono le iniziative italiane in Africa settentrionale e in Grecia. Nell’aprile 1941 c’è la caduta dell’Africa orientale italiana. L’Italia non è in grado di condurre una guerra parallela e la Germania interviene con proprio successo e vantaggio.

Dal maggio 1940 intanto in gran Bretagna è a capo del governo Churchill, sostenitore di un orientamento intransigente nei confronti della Germania, della necessità di continuare la guerra fino alla vittoria. Hitler progetta l’invasione della Gran Bretagna con la cosiddetta Operazione Leone Marino. A partire dall’estate del 1940 e per tre mesi sono portati attacchi aerei dalla Germania contro

il territorio inglese, che viene sottoposto a terribili bombardamenti, ma la Gran Bretagna resiste e oppone una valida difesa. I Tedeschi non riescono a piegarla e rinunciano.

Nel giugno 1941 la Germania attacca l’Unione Sovietica con l’Operazione Barbarossa. I Russi vengono colti impreparati dall’attacco tedesco. Si dispiega la propaganda sovietica contro il tradimento della Germania. I Tedeschi ottengono successi. Prende parte all’operazione anche un corpo di spedizione italiano. In dicembre si ha la controffensiva sovietica. I Sovietici esprimono una valida resistenza, aiutati anche dall’inverno russo. Gli Italiani si trovarono mal equipaggiati di fronte all’inverno russo.

Intanto gli Stai Uniti sono sempre più favorevoli alla Gran Bretagna. Nel marzo del 1941 negli Stai Uniti viene approvata la legge “affitti e prestiti”, in base alla quale vengono forniti materiali facendo credito ai Paesi europei in guerra contro la Germania. Il 14 agosto 1941 Roosevelt e Churchill s’incontrano su una nave al largo dell’isola di Terranova: frutto dell’incontro è la Carta Atlantica, con la condanna dei regimi fascisti e l’indicazione di una serie di principi per un ordine democratico internazionale, principi come la rinuncia all’uso della forza nei rapporti internazionali, l’autodecisione dei popoli, il rispetto della sovranità popolare nella scelta delle forme di governo, la cooperazione internazionale, la libertà dei mari, il diritto di accesso ai commerci e alle materie prime.

Il 7 dicembre 1941 il Giappone attacca la flotta statunitense a Pearl Harbor nelle Hawaii. È un attacco aereo improvviso che causa gravi danni alla flotta statunitense, senza alcuna preventiva dichiarazione di guerra. Dal settembre 1940 il Giappone è legato a Germania e Italia dal Patto Tripartito. Nel luglio del 1941 il Giappone ha invaso l’Indocina francese e gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno reagito con il blocco delle esportazioni verso il Giappone: il Giappone si è sentito strangolare, ma ottiene successi nell’area del Pacifico.

Fra il 1942 e il 1943 avviene la svolta nel conflitto. Ci sono sconfitte giapponesi e vittorie americane. Viene ridimensionata la minaccia dei sommergibili tedeschi nelle rotte atlantiche grazie a radar perfezionati, armi più efficaci e una migliore organizzazione. La resistenza sovietica riesce a controbattere: i Tedeschi pongono l’assedio a Stalingrado ma devono arrendersi, subendo un duro colpo anche sul piano ideale. Anche in Africa la guerra volge a favore degli Anglo-americani. Gli Alleati discutono sulle strategie da seguire: Stalin desidera un secondo fronte nel nord Europa per alleggerire la pressione sull’Unione Sovietica, Churchill invece vuole uno sbarco nell’Europa meridionale. Prevale la tesi inglese e il 10 luglio 1943 si ha lo sbarco delle truppe anglo-americane in Sicilia. Il 25 luglio in Italia cade il Fascismo. L’8 settembre viene reso noto l’armistizio che l’Italia ha firmato pochi giorni prima con gli Alleati. In ottobre l’Italia è riconosciuta dagli Alleati come cobelligerante.

Nel novembre-dicembre 1943 si tiene la conferenza di Teheran che vede riuniti Churchill, Roosevelt e Stalin. Si decide l’apertura di un nuovo fronte. Nel giugno 1944 ha inizio lo sbarco in Normandia (Operazione Overlord), con grandissimo spiegamento di uomini e mezzi da parte degli Alleati. Lo sbarco in Normandia ha successo, portando alla liberazione della Francia. Nell’ottobre del 1944 alla Conferenza di Mosca Churchill e Stalin abbozzano una divisione delle sfere d’influenza nei Balcani. Nel febbraio 1945 Churchill, Roosevelt e Stalin s’incontrano a Yalta dove vengono prese alcune decisioni su cosa accadrà quando verrà vinta la guerra: la Germania verrà divisa in quattro zone di occupazione e verrà denazificata; i popoli dei Paesi liberati potranno esprimersi mediante elezioni sul regime da adottare; in Polonia il governo nascerà da un accordo fra la componete comunista e la componente filo-occidentale.

La Germania intanto è venuta a trovarsi in posizione di difesa e perde i suoi alleati: Romania e Bulgaria (che vengono occupate dall’Unione Sovietica), Finlandia, Ungheria. La Germania subisce duri bombardamenti aerei. Il 30 aprile 1945 Hitler si suicida. Il 7 maggio c’è la resa incondizionata da parte della Germania. Nel luglio del 1945 si tiene la Conferenza di Potsdam circa l’Europa, i trattati di pace e la Germania. La Germania dovrà subire un disarmo, un’epurazione e l’abolizione delle leggi naziste.

Continua la guerra solo il Giappone, che però soccombe dopo l’episodio dello sganciamento delle due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. È il Presidente degli Stai Uniti Truman a voler usare questa nuova arma; viene preventivamente informato anche Stalin, che sottovalutava il potenziale di quell’arma. Il 2 settembre il Giappone firma la resa. La guerra è finita, è costata 50 milioni di morti, ha coinvolto in grande misura le persone, molti sono stati i bombardamenti sulle città, è stata una guerra dai contenuti ideologici. Durante la guerra si ha la peggiore esecuzione degli ebrei da parte del nazismo con i campi di concentramento e le camere a gas. Ci sono stati regimi collaborazionisti, ma è presente anche il movimento di resistenza, attivo contro l’occupazione nazista dove questa è in atto.

In Italia il 25 luglio 1943 si ha la caduta del Fascismo, si ha una drammatica riunione del Gran Consiglio del Fascismo nella notte tra il 24 e il 25 luglio. Mussolini è messo in minoranza e sfiduciato dal Gran Consiglio. Viene convocato dal re, viene invitato a dimettersi e viene arrestato. Il re nomina capo del governo Badoglio. Si hanno manifestazioni di esultanza e molti pensano che la guerra finirà per l’Italia. L’8 settembre viene reso noto l’armistizio. Il Paese si trova nella confusione. Il re e il governo riparano a Brindisi, mentre i Tedeschi accrescono il loro impegno e la loro presenza in Italia. Il 12 settembre Mussolini viene liberato dai Tedeschi da Campo Imperatore sul Gran Sasso, dove è stato portato. Mussolini viene convinto o addirittura costretto dai Tedeschi a mettersi a capo della Repubblica Sociale Italiana (“repubblica” in opposizione alla monarchia e “sociale” in opposizione agli operai che hanno tradito il Fascismo) o Repubblica di Salò (dal nome del luogo dove ha sede la capitale, sul Lago di Garda) nella parte dell’Italia occupata dai Tedeschi. Si sviluppa la resistenza, si ricostituiscono i partiti, nasce il Comitato di Liberazione Nazionale.

Nel marzo 1944 Togliatti con la “svolta di Salerno” propone un governo di unità nazionale mettendo da parte le pregiudiziali contro il re e Badoglio. Il 24 aprile 1944 nasce il primo governo di unità nazionale guidato da Badoglio. Nel giugno 1944 Umberto, figlio di Vittorio Emanuele III, assume la luogotenenza generale del regno. Nasce un nuovo governo di unità nazionale presieduto da Ivanoe Bonomi. Si fa sempre più aspra la lotta tra partigiani e Tedeschi. Nell’autunno del 1944 il fronte si ferma su quella che viene chiamata la linea gotica, tra Rimini e La Spezia. Nell’inverno 1944-1945 si hanno difficoltà per la Resistenza, ma nella primavera del 1945, con l’aiuto degli Alleati, arriva il successo definitivo. Il 25 aprile il Comitato di Liberazione Nazionale lancia l’ordine dell’insurrezione generale. Mussolini viene catturato e il 28 aprile viene fucilato.

IL SECONDO DOPOGUERRA

La II Guerra Mondiale segna un momento di svolta nella storia contemporanea, provocando un’accelerazione di quei processi in corso nell’ultimo secolo: integrazione economica a livello europeo e mondiale, fine del sistema europeo degli Stati. La divisione degli Stati europei indebolisce l’Europa: il processo di unificazione europea inizia proprio dopo la II Guerra Mondiale, entrando nell’orizzonte dei governi, nel programma dei partiti, nelle aspirazioni dell’opinione pubblica.

Il piano Briand (1929) è un progetto di unificazione europea, ma è prematuro: viene presentato all’Assemblea della Società delle Nazioni ed ha l’appoggio del cancelliere tedesco Stresemann, ma il contesto non è adatto all’idea (crisi economica, avvento del fascismo e del nazismo). Nel 1945 la situazione è cambiata: l’Europa è stremata dal punto di vista economico e politico, non è più il centro del mondo e all’interno del nuovo sistema mondiale emergono gli USA e l’Unione Sovietica (sistema bipolare), con la divisone del mondo sotto sfere d’influenza.

La II Guerra Mondiale non è stata persa dalla Germania, ma dell’Europa nel suo complesso. In questo momento ogni Stato cerca di ottenere dalla pace i maggiori guadagni possibili, ma ci si rende conto che il sistema degli Stati non può reggere più, e la decolonizzazione fa parte di questo processo. Dopo l’imperialismo, la nuova risposta al passaggio al sistema mondale è l’integrazione europea. La politica è sempre più lenta dell’economia e nel 1945 l’Europa ricostruisce gli Stati nazionali sovrani.

Durante la Resistenza, in seguito alla distruzione totale dell’Europa, qualcuno comincia a pensare che sarebbe più semplice creare gli Stati Uniti d’Europa. Ovunque in Europa di sono progetti di unificazione: Europa federale, Europa confederale, associazione di Stati. Altiero Spinelli, insieme a Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, scrive il Manifesto di Ventotene: critica allo Stato nazionale pienamente sovrano, a cui si addebitano non soltanto il fattore della conflittualità endemica, ma anche la degenerazione politica all’interno; l’unificazione è ormai diventata una necessità storica completamente realizzabile e bisogna creare un movimento che possa portare all’unità europea; la nuova linea di divisione tra partiti reazionari e conservatori non è più tra coloro che vogliono maggiore o minore democrazia, o socialismo, o libertà, ma passa attraverso coloro che vogliono una limitazione degli Stati sovrani – e inseriscono la loro prospettiva in quel canale – e coloro che pretendono di applicare quei principi all’interno dello Stato nazionale sovrano.

Nasce l’ONU, ma manca di esecutivo e gli Stati mantengono la loro sovranità assoluta. Viene creato l’UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration), con il compito di aiutare i Paesi liberati appena finita la guerra nel periodo di transizione; l’UNRRA non dà aiuti ai paesi vincitori e alla fine del 1946 viene smantellata, nel momento di maggior crisi.

Le conferenze dei Paesi vincitori della guerra si svolgono a Teheran (novembre-dicembre1943), Yalta (febbraio 1945) e Potsdam (luglio 1945). Durante la conferenza di Yalta si parla anche della Polonia: non si può uscire dalla guerra con una Polonia annichilita e si pensa allo slittamento della Polonia dal suo territorio precedente verso ovest di 2-300 km.

A Potsdam – a cui partecipa Truman, perché Roosevelt è morto nell’aprile 1945 – si discutono le condizioni della Germania. La Francia propone lo smembramento della Germania e la sua riduzione ad un’economia di sussistenza, con l’eliminazione delle industrie maggiori. I Sovietici vogliono annientare la Germania, ma gli occidentali capiscono che occorra risollevarla. Le riparazioni di guerra saranno ritirate dagli Stati all’interno dello loro zona di occupazione.

Dopo la II Guerra Mondiale la Germania è la grande posta in gioco dell’equilibrio bipolare: è al centro dell’Europa, è divisa in quattro zone d’occupazione e in due sfere di influenza (“la cortina di ferro”), è neutrale e facilmente occupabile e deve essere rafforzata perché rappresenta il confine orientale verso l’Unione Sovietica. In Germania giungono folate di rifugiati politici dalla Polonia e dall’Unione Sovietica.

Nel marzo 1947 viene steso il Trattato di Dunkerque, un trattato militare franco-britannico in funzione anti-tedesca. Nel marzo del 1948 viene stipulato il Patto di Bruxelles, che comprende Francia, Gran Bretagna e i Paesi del Benelux. Nel 1954 viene creata l’Unione Europea Occidentale, unione di difesa militare di cui fanno i parte gli Stati del Patto di Bruxelles insieme all’Italia e alla Germania.

LA GUERRA FREDDA

L’espressione “guerra fredda” è stata coniata da Dehio prima della I Guerra Mondiale con riferimento alle tensioni fra la Germania e la Gran Bretagna (“guerra asciutta”). Il termine si riferisce alla pratica di raggiungere pacificamente i propri fini, che non sono di natura difensiva ma offensiva; raggiungerli significa ottenere qualcosa che è normalmente ottenibile solo con le armi. Si accelerano i piani di armamento, ma sempre con la speranza di non ricorrere alle armi, che devono far sembrare all’avversario così spaventoso lo scoppio di una guerra da fargli abbandonare le sue posizioni; non è certo che l’avversario si arrenda (un’offensiva pacifica porta sempre con sé il rischio di una guerra).

Qualcuno sostiene che la guerra fredda sia iniziata il 2 luglio 1947, quando Molotov abbandona la conferenza di Parigi che doveva decidere della partecipazione dell’Unione Sovietica al piano Marshall. Negli anni in cui si prospetta la possibilità di una nuova guerra, gli alleati cercano di deviare l’aggressività della Germania sull’altro.

I problemi tra l’Unione Sovietica e gli atri alleati iniziano già durante la II Guerra Mondiale. Nell’agosto 1939 vengono firmati a scopo difensivo gli accordi Molotov-Ribbentrop tra Unione Sovietica e Germania. All’interno del patto di non aggressione viene inserito un protocollo segreto che aggiunge una serie di clausole: spartizione della Polonia; influenza predominante dell’Unione Sovietica su Lettonia, Estonia e Finlandia; Lituania alla Germania e Bessarabia rumena all’Unione Sovietica.

Stalin vuole recuperare alcuni dei territori sottratti all’Unione Sovietica tra il 1917 e il 1918 e nel novembre 1940 viene stipulato un nuovo accordo tra Germania e Unione Sovietica per spartirsi il mondo, nel momento in cui sembra che la Germania stia per vincere la guerra. L’Unione Sovietica chiede la zona a sud di Baku, il Bosforo e i Dardanelli, l’accesso al Mar Baltico, influenza su Polonia, Finlandia, Romania, Bulgaria, Ungheria, Grecia, Jugoslava (gli Stati che dopo la guerra faranno da cerniera, da cintura di sicurezza contro l’espansionismo dell’Unione Sovietica). Questi accordi non sono conosciuti dall’Inghilterra ma qualcosa trapela, suscitando la diffidenza britannica e francese nei confronti dell’Unione Sovietica.

Nel momento in cui viene attaccata dalla Germania, l’Unione Sovietica chiede l’apertura di un nuovo fronte sulla costa atlantica per alleggerire l’attacco. All’apertura del fronte atlantico – che verrà aperto solo il 16 giugno 1944 – gli alleati preferiscono altre azioni dilatorie (apertura dei fronti in Africa e Italia). Churchill spiega il suo rifiuto con giustificazioni militari: l’apertura di un secondo fronte sulla costa atlantica sarebbe spiazzata via dall’urto tedesco, e la sconfitta significherebbe perdere armamenti importanti e lasciare sul continente solo l’Unione Sovietica, che nelle trattative di pace avrebbe avuto influenza sugli Stati centrali. Roosevelt invece è dell’idea di aprire un secondo fronte, altrimenti solo l’Unione Sovietica sarebbe rimasta a combattere, permettendole, nell’eventualità della vittoria, di avere un peso rilevante in sede di pace; inoltre, se non si fosse intervenuti subito, ci sarebbe voluti anni per rientrare in Europa. L’apertura di un secondo fronte aiuta l’avanzata veloce dell’Unione Sovietica verso il centro dell’Europa.

Nel 1945 la guerra fredda fa un salto di qualità: Truman va al potere al posto di Roosevelt, che mirava ad una collaborazione per il dopoguerra, e si procede alla spartizione in zone di influenza tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Nel 1947 si completa l’opera di sovietizzazione dei paesi della cintura di sicurezza: non è sufficiente ricostruire dei partiti favorevoli all’Unione Sovietica ma occorre creare una fratture con l’Europa occidentale, contaminata dal modello americano.

Nel febbraio 1947 il governo Attlee decide di abbandonare la sua zona di influenza in Grecia e Turchia, sostituita da quella americana: il 12 marzo, secondo la dottrina Truman, vengono inviati uomini e aiuti militari in Grecia e Turchia. La dottrina Truman è parte della politica economica americana nelle zone d’influenza e ne garantisce la sicurezza e l’autonomia. Il 5 giugno viene approvato il piano Marshall per rispondere alla crisi economica e finanziaria che attraversava tutta l’Europa tra il 1945 e il 1947: nell’ottica degli Stati Uniti significa crisi della produzione, chiusura delle fabbriche, inflazione, scioperi, disordini politici e sociali, avanzata del comunismo.

Nell’immediato dopoguerra, mentre tutti gli Stati si stanno riformando e rafforzando, in Europa rimane il problema aperto della Germania, divisa in quattro zone di occupazione. Nella Ruhr viene creata un’autorità internazionale che ha il compito di gestire il carbone e l’acciaio tedeschi in quella zona; la Francia riesce ad ottenere che dalla Ruhr le vengono inviate le materie prime. La Saar ha uno statuto speciale provvisorio e gode di una certa indipendenza. Le prime politiche attuate nei confronti della Germania che miravano al suo annichilimento vengono abbandonate. A partire dal maggio 1945 Stalin sostiene che la Germania non debba essere divisa, mentre Americani e Inglesi pensano che, lungi dall’aver come obiettivo una neutralizzazione della Germania, occorra rinforzarla perché costituisce un grande vuoto di potere al centro dell’Europa che può essere occupato da altri. In questa situazione sia gli Stati Uniti sia la Gran Bretagna cominciano a entrare in un’ottica nuova, quella di considerare la Germania non un nemico ma un alleato (nel 1946 Stati Uniti e Gran Bretagna rinunciano alle riparazioni); la Francia fatica a entrare in questa prospettiva.

Nel 1948 gli analisti sottolineano che la guerra sia vicina: a febbraio si verificano i fatti della Cecoslovacchia che rafforzano il sospetto occidentale nei confronti dell’Unione Sovietica, a marzo il blocco di Berlino e a giungo il grande blocco di Berlino. Quest’ultimo significa spezzare qualsiasi comunicazione tra Berlino ovest, americana, e Berlino est, sovietica. Le zone di occupazione americana e inglese si riuniscono nel 1946; ad esse si unisce anche quella francese nel 1947. Quando Berlino sta per cedere, la reazione americana è il ponte aereo, che riesce a rifornire la città. Il blocco di Berlino rafforza il sospetto verso l’Unione Sovietica, ma è a sua volta frutto del sospetto da parte sovietica: il blocco è la reazione alla ratifica da parte della Francia degli Accordi di Londra, che prevedono la creazione di uno Stato tedesco.

Nel 1950 la Francia cerca di staccare anche politicamente la Saar dalla Germania, che chiede di poter avere una produzione maggiore di materie prime dall’autorità internazionale della Ruhr. La Francia è contraria alle richieste tedesche sulla Ruhr, ma è in minoranza. In Francia al governo c’è Schumann, uomo di frontiera, nato in Lorena, cittadino tedesco fino alla fine della I Guerra Mondiale e poi cittadino francese, interessato alla riconciliazione franco-tedesca. Schumann pensa che l’unico modo per superare l’impasse è trovare una soluzione costruttiva, non costrittiva, che porti la Germania alla parità con gli altri Stati. L’idea viene da Jean Monnet: i punti decisivi sono il carbone e l’acciaio, grandi fonti di energia che stanno alla base dell’imperialismo tedesco. Egli lega il problema franco-tedesco alla creazione di una comunità europea sia dal punto di vista economico che politico, attraverso un’integrazione per settori di carattere funzionalistico, con la CECA come apripista alla federazione.

Il 28 aprile 1950 Monnet redige un memorandum che verrà modificato e sarà alla base del piano Schumann, presentato all’Assemblea Nazionale francese il 9 maggio (che diventa la giornata dell’Europa). Il progetto viene accettato da sei stati: Francia, Germania, Italia, Paesi del Benelux. Viene accolto con favore anche dagli Stati Uniti, che criticano solo la possibilità che questo progetto possa diventare un grande cartello europeo. Nel giugno 1950 viene convocata una conferenza a Parigi e il rappresentante italiano è Paolo Emilio Taviani, scelto da Sforza e De Gasperi proprio perché non è un tecnico e non è legato agli ambienti siderurgici protezionistici. La firma del trattato si ha il 18 aprile 1951 e nel 1952 entra in funzione.

Nel 1950 viene anche creata l’Unione Europea dei Pagamenti all’interno dell’OECE. Sforza chiede che l’OECE non sia limitata ai 5 anni del piano di erogazione Marshall, ma che rimanga nel tempo.

Parallelamente al processo che porta alla creazione della CECA, c’è quello che non porta alla CED, la Comunità Europa di Difesa. La Germania, che rappresenta il confine orientale dell’Occidentale, non ha esercito ed è occupato: si pone il problema della sua difesa. Nel 1948 Adenauer ottiene che gli Stati europei diano una garanzia alla difesa dello Germania e le truppe inglesi e americane restano sul territorio tedesco. Nell’agosto 1949 esplode la prima bomba atomica sovietica: la bomba atomica americana non garantisce più la sicurezza europea (“ombrello atomico”). I Tedeschi si chiedono se gli Stati Uniti sarebbero disposti a usare la loro bomba a diesa dell’Europa con la prospettiva di essere a loro volta colpiti dalla bomba sovietica. Nei programmi di difesa a medio termine dell’Europa della NATO era stata inserita una frase che diceva che la bomba atomica americana sarà utilizzata, ma la fase viene modificata dopo lo scoppio di quella sovietica: la bomba atomica potrebbe essere utilizzata. Truman fa una dichiarazione in cui dice di essere pronto a utilizzare l’atomica, ma questa decisione deve essere presa a seconda del contesto e gli europei sono titubanti. Si pensa che la lotta per la Germania verrà fatta sulla base delle armi convenzionali perché le atomiche si annullavano. Sull’Elba aumentano le truppe sovietiche e si pensa di rafforzare il confine, ma Schumann dice che la Francia non sarebbe stata d’accordo a partecipare ad un’assemblea di difesa con anche la Germania.

Il 25 giugno 1950 scoppia la Guerra di Corea, che a Postdam era stata divisa in due zone d’influenza che hanno prodotto la creazione di due Stati agli antipodi dal punto di vista economico e sociale, uno legato agli Stati Uniti e uno all’Unione Sovietica. Si verifica una attacco da parte delle forze nord-coreane contro quelle del sud per riunificare il Paese. L’attacco non viene percepito nella sua reale consistenza e si diffonde il timore di un attacco sovietico – in realtà il maggior sostenitore della Corea

del nord è la Cina, dove Mao è appena salito al potere. Si teme un attacco sovietico contro l’Occidente e lo stato delle difese tedesche comincia a preoccupare sempre di più. L’ONU dà il consenso all’intervento americano.

Il 15 settembre 1950 viene riunita la NATO a New York e durante le giornate di questa riunione emerge la proposta americana di coinvolgimento dal punto di vista finanziario e militare alla difesa dell’Europa, ed una maggiore partecipazione dell’Europa alla propria difesa (“self help”), con la creazione di 60 divisioni europee, di cui 10 tedesche – si prevede la creazione di contingenti tedeschi, ma non di capi di stato maggiore tedeschi. La Francia blocca questa iniziativa, ma la sua posizione di chiusura viene meno molto velocemente: la Francia sta anche chiedendo aiuti agli Americani per la difesa del suo impero coloniale (guerra di Indocina). Jean Monnet propone, tramite Pleven, di creare un esercito europeo, e quindi l’inserimento di contingenti tedeschi all’interno dell’esercito europeo, integrato al livello più basso possibile – battaglioni di nazionalità omogenea

Nel febbraio 1951 viene convocata un’assemblea per la difesa a Parigi, a cui partecipano cinque Stati, con l’esclusione dei Paesi Bassi e della Gran Bretagna (la Gran Bretagna vuole mantenere intatta la sua sovranità nazionale e adotta lo schema dei tre cerchi: alleanza con gli Stati Uniti; Commonwealth; integrazione europea). Gli Stati Uniti sono contrari perché considerano la CED uno strumento dilatorio. Le difficoltà che la CED incontra nella sua approvazione rispetto alla CECA sono evidenti: il livello economico è marginale, mentre le difese compiono un salto di qualità, con la messa in comune di una maggiore sovranità e dell’esercito, ma ciò è fatto solo per necessità, per la sopravvivenza. Gli organi della CECA sono l’Alta autorità, il Consiglio dei ministri, un’Assemblea comune e una Corte di giustizia, mentre il progetto della CED prevedeva un Commissariato e un’Assemblea.

Fino a questo momento gli Stati europei vogliono l’integrazione, ma il loro ruolo è ambiguo: spetta a loro ratificare, ma con ciò minano le basi della loro esistenza e limitano il proprio potere, e solo in condizioni disperate. Quando muore Stalin nel 1953 le prospettive cambiano, vengono meno i motivi della contrapposizione, ci sono segnali di distensione. La CED non è più urgente e alla Francia serve un esercito per la guerra in Indocina, non può lasciare che vada a integrare quello europeo. L’Assemblea Nazionale francese affosserà definitivamente il progetto nell’agosto 1954.

IL PROCESSO D INTEGRAZIONE EUROPEA

Nonostante il fallimento della CED si raggiungono alcuni risultati: in un rapporto provvisorio del luglio 1951 si esplicita che le delegazioni hanno raggiunto il massimo di collaborazione a cui si poteva arrivare, ma sorgono alcune problematiche, come il bilancio, quale sia composizione delle forze e a quale livello, chi comandi l’esercito. Altiero Spinelli nell’agosto 1951 invia un promemoria in funzione della creazione federale degli Stati Uniti d’Europa e collega il processo settoriale d’integrazione europea in corso al suo progetto politico, un progetto costituzionale: per fare l’Europa bisogna partire dalla politica e incaricare un’assemblea costituente di creare le basi degli Stati Uniti d’Europa.

Nell’ottobre del 1973 scoppia la guerra del Kippur (quarta guerra arabo-israeliana), provocando uno shock petrolifero. L’OPEC diminuisce la produzione di petrolio e il prezzo del petrolio quadruplica. Nel corso del 1974 il prezzo del petrolio decuplica. In Europa si assiste a un aumento dell’inflazione, i consumi rallentano, si entra in piena crisi economica. Il debito pubblico cresce in maniera notevole. In questo scenario diventa difficile salvaguardare quello che si è già ottenuto in materia di integrazione europea. L’unione doganale non viene abolita ma messa in discussione con misure di carattere tecnico.

Nel dicembre 1974 viene convocato un vertice a Parigi e si stabilisce l’obiettivo delle elezioni dirette del Parlamento europeo e dell’istituzione dei Consigli di capi di Stato e di governo, vengono fissati i fondi regionali per le regioni più povere.

Alla conferenza di Helsinki del 1975 i paesi dell’Europa occidentale e orientale dichiarano di riconoscersi reciprocamente e di non ingerire nelle questioni degli altri Stati.

A partire dal 1976 in America e dal 1977 in Europa l’economia comincia funzionare e avviene la ripresa economica. Nel 1978 si raggiunge un risultato importante con la creazione del Sistema Monetario Europeo: si stabilisce di creare una moneta nuova (moneta virtuale) che si chiama ECU, il cui valore viene fissato facendo una media del valore di tutte le monete dell’Europa tenendo presente il peso delle diverse economie; una volta fissatone il valore, viene stabilito il valore delle altre monete in rifermento ad esso. La banda di oscillazione in cui possono fluttuare i valori delle monete rispetto all’ECU è tra – e + 2,25%; dopo il caso italiano, la banda di oscillazione si allarga (– e + 6%). Rimane fuori solo la Gran Bretagna. Dal 1979 lo SME diventa operativo.

Nel 1979 ci sono le prime elezioni del Parlamento europeo. Nell’articolo 128 dei Trattati di Roma si prevede che un giorno ci sarà la possibilità di elezioni dirette dei cittadini. Tra il 1978 e il 1979 c’è una grande raccolta firma del Movimento Federalista Europeo. Si tratta di un evento epocale: i cittadini europei vengono informati dalla stampa su cosa sta succedendo in Europa.

In seno al Parlamento europeo Spinelli ingaggia una battaglia trasversale sul bilancio, ma è costretto alla resa perché il Parlamento non dispone dei poteri necessari. Occorre scrivere un nuovo trattato e cambiare le istituzioni.

Nella primavera del 1980 Spinelli scrive una lettera ai Parlamentari europei invitando tutti quanti gli interessati a parlare di riforme istituzionali a riunirsi al Crocodile. All’interno del Parlamento si forma una commissione istituzionale per elaborare un nuovo progetto di trattato: il Trattato per l’Unione Europea. La commissione è presieduta da Mauro Ferri e il 14 febbraio 1984 il Parlamento approva il trattato, noto come Trattato Spinelli. Il Consiglio Europeo non si esprime. In questi anni in Europa sono al potere Margaret Thatcher, che si oppone totalmente a ogni tipo di riforma, Mitterrand, europarlamentare socialista che quando sale al potere s’interessa a questa causa, ed Helmut Kohl, cancelliere tedesco democristiano.

Il Consiglio europeo si riunisce nel giugno 1984 a Fontainebleau e chiede all’irlandese Dooge di guidare una commissione per le riforme istituzionali. Nel giugno 1985 a Milano si riunisce il Consiglio europeo per decidere cosa fare del comitato Dooge: la Gran Bretagna, la Danimarca e a Grecia sono contrari, i Paesi del Benelux sono favorevoli, mentre l’Italia è indecisa. È allora necessario demandare a una conferenza intergovernativa il compito di elaborare un nuovo trattato, e il Governo italiano lancia la proposta rivoluzionaria di decidere a maggioranza: con 7 voti a favore e 3 contro, si inaugura una conferenza intergovernativa per procedere ad una riforma dei Trattati di Roma. Viene redatto l’Atto Unico Europeo, la prima grande riforma dal 1957, approvata nel 1986 ed entrata in vigore nel 1987. Esso prevede il completamento del mercato europeo, l’aumento delle materie in cui il Consiglio potrà decidere a maggioranza anziché all’unanimità, l’aumento delle competenze del Parlamento europeo che prevedono procedure di parere sull’argomento conforme al Consiglio e cooperazione con esso (su tutte le altre il Parlamento non ha potere), l’aumento delle competenze comunitarie (sanità, ambiente).

Negli stessi ani la Comunità passa da 10 a 12 membri con l’ingresso della Spagna e del Portogallo. La Grecia, la Spagna e il Portogallo facevano richiesta di entrare nella comunità fin dagli anni ’60 richiesta, ma mancava loro un requisito: erano dittature, non erano Paesi democratici.