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STRUMENTI DI RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE ALTERNATIVI
ALLA GIURISDIZIONE
Ringrazio la Camera civile di Vercelli, il consiglio dell’ordine di Vercelli nonché
l’avv. Cristina Cossu per l’invito a partecipare a questo seminario.
Il collega Piero Nobile ed io ci occuperemo del “fronte” giuslavoristico, in particolare
la mia relazione darà una panoramica generale degli strumenti di risoluzione
alternativi delle controversie di lavoro mentre Piero si occuperà nello specifico della
conciliazione quale rivisitata dalla legge 183/10 cd. Collegato al Lavoro.
Come si pone il diritto del lavoro rispetto agli strumenti di risoluzione delle
controversie alternativi alla giurisdizione?
La materia è storicamente problematica ed a prima vista l’atteggiamento del
legislatore potrebbe sembrare quasi “schizofrenico”: da una parte infatti il legislatore
spinge a favore di soluzioni alternative, dall’altra pone ampi limiti al ricorso alle
stesse.
La ragione di quanto precede mi pare si debba cercare nella caratteristica tipica del
diritto del lavoro, il fatto cioè di essere un diritto permeato da norme inderogabili e/o
diritti indisponibili (Grandi, Gdlri 2000, p. 367 e spec 369).
Caratteristica cui fa da riflesso una norma, l’art. 2113 c.c. che disciplina in maniera
speciale le rinuncie e transazioni poste in essere dal lavoratore.
Quindi da una parte la apertura a forme di risoluzione alternative, vedremo che il
diritto del lavoro ne prevede parecchie, dall’altra la ritrosia fondata sul timore che per
questa via si deroghi una disciplina che per lo più è inderogabile ovvero si disponga
di diritti che tali non sono.
C’è chi (Grandi, cit.) ha parlato di protezionismo “anche nella giustizia del lavoro
le ragioni del protezionismo hanno prevalso sulle ragioni della libertà”.
Non dimentichiamo un altro aspetto che non è da poco nel nostro discorso: la
giustizia del lavoro funziona tendenzialmente bene, nel senso che il processo, lo
strumento è un ottimo modello, spesso esportato ad altri contenziosi, è
ragionevolmente veloce, è amministrata da un giudice che, senza nulla togliere a
coloro che si occupano di altro, è (super) specializzato in questa materia giacchè se ne
occupa in via esclusiva ed è (era) gratuita.
Tant’è che quando si interviene per migliorare l’efficienza della giustizia del lavoro
non si interviene sullo strumento (processo) ma sull’accesso che si cerca di
disincentivare (De Angelis 2010 WP 111/2010).
Il chè da un punto di vista pratico sicuramente disincentiva il ricorso a forme
alternative alla giurisdizione, non se ne sente particolarmente il bisogno.
O meglio, gli utenti non ne sentono particolarmente il bisogno, perché il legislatore
negli ultimi anni ha fatto una serie di interventi a scopo dichiaratamente deflattivo del
contenzioso, penso ad esempio alla CERTIFICAZIONE DEI CONTRATTI DI
LAVORO, di cui agli artt. 75 e ss d. lgs. 276/03, ma penso anche alla legge 69/09 che
ha modificato la disciplina di cui agli artt. 91 e 92 cpc in tema di condanna alle spese
riducendo i casi in cui il giudice può compensare (la prassi nelle decisioni dei giudici
di lavoro era di compensare le spese in caso di soccombenza del lavoratore
sussistenza giusti motivi, ora le ragioni per la compensazione devono essere gravi e
eccezionali ed occorre motivare sul punto.
Quindi, dicevo, il diritto del lavoro offre molti strumenti alternativi alla giurisdizione
ma al contempo pone o forse poneva numerosi limiti alla possibilità di gestire
liberamente le controversie di cui all’art. 409 cpc.
A livello sistematico, la questione può essere affrontata DIVIDENDO PER
TIPOLOGIE DI STRUMENTI ALTERNATIVI
a. Strumenti individuali (transazione – art. 2113 c.c.)
b. Strumenti collettivi (accordi transattivi)
c. Strumenti terziarizzati/amministrati (conciliazioni in sedi protette, ivi
compresa art. 11 124/04, arbitrati, certificazioni, art 7 sl, arbitrato
dirigenti), all’interno dei quali ho compreso tutte le ipotesi in cui un
terzo estraneo alla controversia partecipa all’amministrazione dello
strumento alternativo
Strumenti individuali
La prima forma di rimedio alternativo alla giurisdizione può essere la transazione
fatta individualmente tra datore di lavoro e lavoratore.
Come abbiamo già accennato, il diritto del lavoro ha una disciplina speciale in tema
di rinunce e transazioni dettata dall’art. 2113 c.c. il quale prevede l’invalidità di atti
dispositivi che abbiano ad oggetto diritti derivanti da norme inderogabili di legge o
contratto collettivo. L’invalidità deve essere fatta valere nel termine decadenziale di
sei mesi dalla cessazione del rapporto ovvero dalla sottoscrizione dell’atto se
successivo. La norma chiude specificando che le disposizioni che precedono non si
applicano nel caso in cui la conciliazione sia avvenuta in sede protetta, ossia
avvenuta in sedi in cui “la posizione del lavoratore viene ad essere adeguatamente
protetta nei confronti del datore di lavoro per effetto dell'intervento in funzione
garantista del terzo (autorità giudiziaria, amministrativa o sindacale)diretto al
superamento della presunzione di condizionamento della libertà di espressione del
consenso da parte del lavoratore, essendo la posizione di quest'ultimo adeguatamente
protetta nei confronti del datore di lavoro” ( Cass. civ., sez. Lavoro 26-07-2002, n.
11107)
Il primo elemento che si ricava dalla norma peraltro a tutti noto, è che la rinuncia e/o
la transazione individuale è una strumento alternativo valido laddove non coinvolge
diritti derivanti da norme inderogabili di legge o di contrattazione collettiva.
Diversamente la rinuncia o transazione è impugnabile e quindi la questione può
tornare in sede giurisdizionale.
Cosa si intende per diritto derivante da norma inderogabile di legge o CC?
La giurisprudenza ne da’ un’accezione piuttosto ampia
Cass. civ., sez. Lavoro 12-02-2004, n. 2734
“Con riferimento alla disciplina dettata in tema di rinunce e transazioni, di cui
all'art. 2113 cod. civ. .......... diritti di natura retributiva o risarcitoria indisponibili
da parte del lavoratore non devono ritenersi soltanto quelli correlati alla lesione di
diritti fondamentali della persona, atteso che la ratio dell'art. 2113 cod.civ. consiste
nella tutela del lavoratore, quale parte più debole del rapporto di lavoro, la cui
posizione in via ordinaria viene disciplinata attraverso norme inderogabili, salvo
che vi sia espressa previsione contraria . Ne consegue che è annullabile la
transazione riguardante diritti di natura retributiva come il compenso per il plus
orario e relativi accessori” .
Alla luce di quanto precede, è validamente rinunciabile e/o transigibile
individualmente la cessazione del rapporto di lavoro.
La giurisprudenza, infatti, ha più volte chiarito che, Cass. civ., sez. Lavoro 19-10-
2009, n. 22105 “ La transazione conclusa tra dipendente e datore di lavoro avente ad
oggetto la risoluzione del rapporto di lavoro (che) non rientra nell'ambito di
applicazione dell'art. 2113 cod. civ. in quanto, anche quando è garantita la stabilità
del posto di lavoro, l'ordinamento riconosce al lavoratore il diritto potestativo di
disporre negozialmente e definitivamente del posto di lavoro stesso, in base all'art.
2118 cod. civ.” .
Peraltro, segnalo che, come la giurisprudenza ha più volte chiarito ( Cass. civ., sez. IV
13-08-2009, n. 18285) “ Nell'ipotesi in cui la risoluzione consensuale del rapporto di
lavoro, o le dimissioni (riferibili ad un diritto disponibile del lavoratore e quindi
sottratte alla disciplina dell'art. 2113 cod. civ.) siano poste in essere nell'ambito di
un contesto negoziale complesso, il cui contenuto investa anche altri diritti del
prestatore derivanti da disposizioni inderogabili di legge o dall'autonomia
collettiva , il precetto posto dall'art. 2113 cit. trova applicazione in relazione
all'intero contenuto dell'atto (che è quindi soggetto a impugnazione), sempre che la
clausola relativa alle dimissioni non sia autonoma ma strettamente interdipendente
con le altre e che i diritti inderogabili transatti siano noti e specificati, non potendosi
desumere da una formula generica contenuta in una clausola di stile ”.
La seconda questione, molto meno scontata, riguarda il rapporto tra la disciplina di
cui all’art. 2113 c.c. e le norme generali ed in particolare l’art. 1966 il quale
sancisce la nullità della transazione avente ad oggetto diritti indisponibili (sottratti
alla disponibilità delle parti).
Ci si chiede, cioè, se la previsione di cui all’art. 2113, la quale prevede la mera
annullabilità (stante il temrine di decadenza) deroga alla disciplina generale che
prevede la nullità degli atti dispositivi di diritti indisponibili.
La dottrina sul punto si è sbizzarrita, vi è chi (De Luca Tamajo 1976) ha elaborato la
teoria dei diritti primari e secondari, dicendo che solo i secondi rientrano nella
previsione del 2113 mentre i diritti primari restano soggetti alla più favorevole
disciplina dell’art. 1966, e chi, invece, (Tosi 1999) ritiene che la disciplina speciale
del 2113 c.c. sostituisca e regolamenti in via autonoma e completa la questione della
disposizione dei diritti dei lavoratori e giustifica la meno favorevole soluzione
(annullabilità anziché nullità, decadenza breve) ocn la necessaria certezza dei rapporti
di lavoro.
L’analisi della giurisprudenza in materia lascia, invece, per lo meno perplessi.
Nella maggior parte dei casi mi pare che il problema non sia nemmeno sentito e
l’applicazione dell’art. 2113 venga ritenuta pacifica
Cass. civ., sez. Lavoro 26-05-2006, n. 12561
Riguardo a diritti già maturati, il negozio dispositivo integra una mera rinuncia o
transazione, rispetto alla quale la dipendenza del diritto da norme inderogabili
comporta, in forza dell'art. 2113 cod. civ., l'annullabilità dell'atto di disposizione, ma
non la sua nullità.
Addirittura talora si legge che l’art. 2113 è conforme al principio generale
sancito dall'art. 1966, secondo comma, cod. civ. in tema di nullità delle
transazioni correlate a diritti sottratti alla disponibilità delle parti, per loro natura o
per espressa disposizione di legge ( Cass. civ., sez. Lavoro 26-07-2002, n. 11107
(Ma identica Cass. civ., sez. Lavoro 27-02-1995, n. 2244 )
La nullità, viene, invece, recuperata rispetto a negozi dispositivi di diritti futuri in
quanto ritenuti in violazione di una norma inderogabile.
Cass. civ., sez. Lavoro 26-05-2006, n. 12561
Nei confronti di diritti ancora non sorti o maturati la preventiva disposizione può
comportare, invece, la nullità dell'atto, poichè esso è diretto a regolamentare gli
effetti del rapporto di lavoro in maniera diversa da quella fissata dalle norme di legge
o di contratto collettivo.
Quindi, concludendo sul punto, la transazione individuale è libera laddove non
coinvolge diritti derivanti da norme inderogabili di legge o contratto collettivo, con la
sola attenzione a non transigere insieme diritti particolari e non. Laddove sono
coinvolti diritti inderogabili, vale il principio di tutela del lavoratore di cui all’art.
2113 c.c. e quindi l’impugnabilità nel termine decadenziale dei 6 mesi, salvo che la
transazione sia stata fatta in forma protetta.
***
A mio parere parlando di diritto del lavoro non si può non accennare ad un altro
strumento alternativo alla giurisdizione, rappresentato dal contratto collettivo
quando esso assume funzione transattiva di diritti derivanti dalla legge o dallo
stesso contratto ovvero interpretativa di norme contrattuali.
La discussione sul ruolo del contratto collettivo ed il suo potere di modificare le fonti
ci porterebbe molto in là (penso, per richiamare un argomento ‘caldo’, agli accordi di
Pomigliano e Torino), su un terreno che esula dal tema del seminario di oggi.
Però ritengo opportuno affrontare brevemente anche questo aspetto perché, come a
tutti noto, il diritto del lavoro si gioca su un doppio piano, l’ordinamento di diritto
positivo, con le fonti che conosciamo ed i rimedi ‘amministrati’ di cui diremo, ma
anche l’ordinamento intersindacale, in cui il contratto collettivo è la Fonte ed
all’interno del quale si auspica vengano risolte le controversie.
Quindi, ci si può chiedere se ed entro quali limiti il contratto collettivo può essere un
valido strumento di risoluzione delle controversie alternativo alla giurisdizione.
Sul punto condivido l’opinione ben più autorevole della mia espressa dalla dottrina
maggioritaria (Tosi 1999, Grandi 2000): l’ordinamento statale ha in proposito una
posizione incoerente e miope dell’ordinamento statale.
Da una parte, infatti, vi è una forte spinta a favore della contrattazione collettiva:
sempre più spesso il legislatore interno ma anche comunitario delega a questa fonte il
compito di integrare se non addirittura creare nuove discipline (cd. diritto del lavoro
riflessivo), dall’altra, però, non concede alla fonte collettiva di amministrare le
controversie che dall’applicazione della disciplina che ha creato derivano.
L’opinione unanime esclude che il mandato al sindacato a trattare e concludere
accordi contenga implicitamente anche il mandato a transigere su diritti che dagli
accordi medesimi sono derivati
Ne deriva che il sindacato non può disporre dei diritti quesiti che derivano dal
contratto collettivo, anche se ha creato la fonte, se non previo mandato individuale
dei lavoratori (Ballestrero 1989, Tosi 1999).
Io personalmente ho qualche perplessità “metodologica” nel senso che, a fronte della
disinvoltura con cui si da’ per scontato che il mandato al sindacato comporti il
mandato a sottoscrivere contratti in nome e per conto dei mandanti (si veda tutta la
teorica sull’efficacia soggettiva del contratto collettivo su cui non mi soffermo perché
a tutti nota) ed a fronte dell’altrettanto, ormai, pacifica affermazione che tali contratti
possono anche essere peggiorativi rispetto alla disciplina precedente, ed addirittura si
ammette la deroga in peius ad opera di un contratto di diverso livello, quando
addirittura non si conferisce al CC il potere di derogare alla legge (contrattazione
gestionale) e quindi si ammette che per il futuro il contratto, anche di diverso livello,
possa introdurre regole peggiorative, trovo poco coerente sostenere, invece, che
assolutamente il mandato al sindacato non comporti anche implicitamente il mandato
a gestire le controversie che dal contratto derivino e quindi anche a sottoscrivere
accordi transattivi sulle controversie medesime applicabili ai singoli.
Ma tant’è.
La giurisprudenza dice chiaramente che (Cass. Lav. 11.12.1999 n. 13910) “ le
associazioni sindacali hanno la funzione di rappresentanza d'interessi collettivi e di
assistenza, nel quadro degli stessi, nei confronti dei singoli associati, con
conseguente esclusione di ogni potere di disposizione dei diritti di costoro che non
sia stato oggetto di specifico mandato. Conseguentemente, in difetto di tale mandato,
l'accordo sindacale intervenuto in sede aziendale a fini transattivi non obbliga i
lavoratori che non lo abbiano sottoscritto alle rinunzie in esso previste, né è
assimilabile alle conciliazioni sindacali menzionate dall'art. 411 cod. proc. civ., il
quale si riferisce (considerandoli vincolanti per i lavoratori in ragione delle
sufficienti garanzie di sostanziale libertà delle loro manifestazioni di volontà offerte
dalle condizioni di stipula), agli accordi che gli stessi lavoratori, sia pur con
l'assistenza dei sindacati, contraggono personalmente od a mezzo di mandatari ad
hoc muniti di potere ai sensi degli artt. 1704 cod. civ., 1708 cod. civ., 1387 cod. civ.,
1392 cod. civ.” .
***
Passo ora alla terza categoria di strumenti di risoluzione delle controversie alternativi
alla giurisdizione, si tratta di quelli che ho identificato sotto il nome di strumenti
terziarizzati/amministrati all’interno dei quali ho compreso tutte le ipotesi in cui un
terzo estraneo alla controversia partecipa all’amministrazione dello strumento
alternativo.
Come dicevo in apertura il diritto del lavoro prevede molti strumenti alternativi, che
dividerei in:
- strumenti che hanno ad oggetto sanzioni disciplinari
- strumenti in materia previdenziale
- arbitrati
ARTICOLO 7 LEGGE 300/70
Come noto, l’art. 7 legge 300/70 in tema di sanzioni disciplinari prevede la possibilità
per il lavoratore che abbia ricevuto una sanzione disciplinare di promuovere entro
20 gg un collegio di conciliazione ed arbitrato.
Se il datore di lavoro non nomina proprio membro ovvero dichiara di non
accettare il collegio entro 10 gg. la sanzione non ha effetto.
La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del Collegio. [5]
Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall'invito rivoltogli
dall'ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui
al comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro
adisce l'autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla
definizione del giudizio [6] .
E’ un arbitrato irrituale: lo ribadisce la giurisprudenza la quale afferma che
Cass. civ., sez. Lavoro 02-02-2009, n. 2576
“ Il procedimento arbitrale intentato da un lavoratore per l'impugnazione di una
sanzione disciplinare dinanzi al collegio arbitrale ai sensi dell'art. 7 della legge n.
300 del 1970, per quanto sia espressamente previsto dalla legge, riveste comunque
carattere irrituale, come tale eccezionalmente equiparabile a quello irrituale previsto
dalla contrattazione collettiva”.
“Ne consegue che la relativa decisione non è impugnabile in sede giudiziaria in
ordine alle valutazioni affidate alla discrezionalità degli arbitri (quali quelle relative
al materiale probatorio, ovvero alle scelte operate per comporre la controversia), ma
soltanto per vizi idonei ad inficiare la determinazione degli arbitri per alterata
percezione o falsa rappresentazione dei fatti, ovvero per inosservanza delle
disposizioni inderogabili di legge o di contratti o accordi collettivi” . ( Cass. civ., sez.
Unite 01-12-2009, n. 25253 ).
Come comunemente ammesso in giurisprudenza lo strumento non si applica ai
licenziamenti disciplinari. La corte costituzionale aveva esteso ai licenziamenti
disciplinari solo i commi da 1 a 3 dell’art. 7.
Ricordo che il termine dei venti giorni vale solo per promuovere la costituzione
del collegio ma non invece per adire l’autorità giudiziaria qualora il datore di
lavoro non intenda aderire.
Cass. civ., sez. Lavoro 21-05-2008, n. 12958
“ L'art. 7, sesto comma, della legge n. 300 del 1970 (statuto dei lavoratori) prevede il
termine di venti giorni dall'applicazione della sanzione disciplinare per promuovere
la costituzione di un collegio di conciliazione ed arbitrato, ma non stabilisce alcun
termine per l'esercizio della facoltà, espressamente fatta salva, di adire l'autorità
giudiziaria, sicché tale esercizio non incontra il limite temporale predetto,
soggiacendo soltanto alla prescrizione ordinaria di cui all'art. 2946 cod. civ..
(Rigetta, App. Roma, 4 Ottobre 2004)” .
Omologo dell’art. 7 per il rapporto di lavoro privato è l’art. 55 del d. l.gs. 165/01 il
quale riguarda il potere disciplinare della PA.
L’art. 55 co. 3 prevede la facoltà di disciplinare tramite contratti collettivi il ricorso a
procedura di conciliazione non obbligatoria, fuori dei casi per il quali è previsto il
licenziamento.
Esiste in proposito un accordo quadro del 2001 il quale prevede la facoltà di adire un
arbitro unico.
COLLEGIO ARBITRALE DIRIGENTI
Come noto l’art. 10 legge 604/66 prevedendo che la legge stessa si applica a coloro
che rivestano la qualifica di impiegato o operaio ai sensi dell’art. 2095 c.c. esclude i
dirigenti dal suo ambito di applicazione, il chè significa che ai sensi di legge il
licenziamento del dirigente non è soggetto alla disciplina limitativa dei licenziamenti
né alla relativa tutela.
E’ altrettanto noto che alla mancanza legislativa ha supplito la contrattazione
collettiva che ha previsto la necessaria giustificatezza del licenziamento e la
possibilità di sanzionarne la mancanza con il pagamento dell’indennità
supplementare.
Trattasi nuovamente di arbitrato irrituale.
***
CONTENZIOSO PREVIDENZIALE
Altra materia in cui il legislatore ha previsto numerosi quanto inefficacia strumenti
alternativi alla giurisdizione è quello previdenziale.
Come a tutti noto, l’art. 443 cpc prevede che
Art. 443 - Rilevanza del procedimento amministrativo [1]
“[1] La domanda relativa alle controversie in materia di previdenza e assistenza
obbligatorie di cui al primo comma dell'articolo 442 non è procedibile se non
quando siano esauriti i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la
composizione in sede amministrativa o siano decorsi i termini ivi fissati per il
compimento dei procedimenti stessi o siano, comunque, decorsi 180 giorni dalla data
in cui è stato proposto il ricorso amministrativo [disp. att. 148].
[2] Se il giudice nella prima udienza di discussione rileva l'improcedibilità della
domanda a norma del comma precedente, sospende il giudizio [295] e fissa all'attore
un termine perentorio [152] di sessanta giorni per la presentazione del ricorso in
sede amministrativa.
[3] Il processo deve essere riassunto, a cura dell'attore, nel termine perentorio di
180 giorni che decorre dalla cessazione della causa della sospensione [307 c. 3, 4;
disp. att. 147 c. 2] [2] .”
In effetti esistono numerosi rimedi finalizzati ad evitare le controversie previdenziali
attraverso una loro preventiva definizione gerarchica e/o amministrativa (Art. 45 e ss
legge 88/89, Artt. legge 689/91, Artt. d. lgs. 1124/65 ED ALIIS).
Di fatto l’esperienza insegna che i richiamati strumenti non hanno alcuna funzione
effettiva atteso che capita molto raramente per non dire mai che essi vengano accolti.
L’istituto del silenzio rigetto completa il quadro rendendo i rimedi di fatto inutili.
Segnalo come curiosità, molto criticata, il fatto che il collegato lavoro non è
intervenuto in tema di controversie previdenziali.
Dicevo, la mancanza è stata dai più criticata se si pensa che le controversie
previdenziali pure costituiscono spesso oltre il 70% delle controversie pendenti avanti
ai giudici del lavoro.
***
Un’altra ipotesi di strumento alternativo recentemente introdotta riguarda la
CONCILIAZIONE MONOCRATICA ( art. 11 d. lgs. 124/04 in materia di
razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e del lavoro
modificato dall’art. 38 collegato al lavoro)
La norma, che da alcuni è stata definita “palesemente intimidatoria” (Ferraro WP
30/2005) prevede la possibilità che durante un intervento ispettivo appositamente
sollecitato o casuale, qualora emerga la possibilità di una soluzione conciliativa
della lite il funzionario convochi le parti e tenti la conciliazione. Se essa riesce,il
verbale di transazione costituisce titolo esecutivo (dopo il collegato).
Quale è il vantaggio di tale forma di conciliazione? Che cosa la rende appetibile?
I contributi vengono versati sulle somme concordate ora dalle parti per allora ed il
procedimento ispettivo si estingue.
Quindi:
- si è in presenza di una conciliazione direttamente opponibile agli istituti nei cui
confronti, unico caso, fa stato mentre normalmente vale il principio dell’ autonomia
- il versamento delle somme vale ora per allora e quindi non sono dovute sanzioni ed
il procedimento ispettivo si estingue.
Si è parlato di una forma di condono , perchè le parti decidono l’entità delle somme
dovute e vincolano l’istituto alla loro decisione nel senso che l’istituto non può
pretendere contributi se non sulle somme concordate.
Altrimenti, se la conciliazione non riesce, l’accertamento ispettivo prosegue o deve
iniziare.
***
Altre due ipotesi di strumenti pensati per evitare il contenzioso giudiziale possono
esser considerati la
Diffida accertativa per crediti patrimoniali ( Art. 12 d. lgs 124/04) nonché la
diffida di cui al successivo art. 13
La diffida accertativa dei crediti patrimoniali si riferisce a inosservanze alla
disciplina contrattuale che comportano crediti a favore dei lavoratori.
In questo caso l’ispettore diffida il datore di lavoro a pagare. Datore può promuovere
tentativo di conciliazione alla DPL, se riesce verbale altrimenti la diffida acquista
valore di accertamento tecnico con efficacia di titolo esecutivo.
Altra ipotesi è la Art. 13. - Diffida [1]
Che riguarda ipotesi di inadempimenti alle norme in materia di lavoro e legislazione
sociale ancora sanabili.
In questo caso la diffida fa sì che se il datore regolarizza la sanzione è al minimo.
***
GLI ARBITRATI
L’ultimo strumento alternativo alla giurisdizione, oggetto di un importante intervento
da parte della legge 183/10 è l’arbitrato.
L’arbitrato in materia di lavoro ha una storia lunga e complessa
Il sistema originario (art. 806 e 808 cod. proc. civ. e art. 5 L. n. 533/1973) obbediva
ad una ratio comune, la forte limitazione sia dell’arbitrato rituale che dell’irrituale in
materia di lavoro.
In quel sistema era peraltro esplicito il divieto di ricorso all’equità, alla stregua
dell’art. 808, 2° co., cod. proc. civ.; per l’irrituale il secondo comma dell’art. 5 della
legge del 1973 sanciva l’invalidità del lodo in violazione di norme inderogabili di
legge e contratto collettivo.
Esplicitamente prevista, dal codice e dalla legge, era la necessità della previsione
contrattuale (da cui il divieto di compromesso individuale) e la salvezza della via
giurisdizionale.
In sintesi, può dirsi che la disciplina dell’arbitrato era allora “blindata” da un
quadruplice precetto:
1) Divieto di compromesso individuale;
2) divieto di pronuncia secondo equità;
3) impugnabilità del lodo per violazione di norme di legge e di contratto
collettivo;
4) salvezza della via giurisdizionale.
Ad interrompere la linearità di quel sistema interviene per la prima volta la
legislazione del 1998 sulla privatizzazione del pubblico impiego (DD. Lgs. n. 80 e
378), che
a) introduce l’art. 412 ter e quater con cui ritualizza sotto il profilo procedurale
l’arbitrato irrituale;
b) abroga il secondo e il terzo comma dell’art. 5 della legge del 1973, tra cui il
disposto per cui il lodo (irrituale) era invalido se in violazione di norme di
legge e di contratto collettivo. Cosa significasse questa abrogazione
dall’angolazione dell’ammissibilità del lodo irrituale secondo equità è tuttora
oggetto di dibattito. Parlare di equità sul versante dell’arbitrato irrituale pare
comunque improprio. Sul versante del rituale intanto continuava a vigere il
divieto di equità di cui al secondo comma dell’art. 808 cod. proc. civ. (il cui
secondo comma, si ricorda, era stato introdotto dall’art. 4 della legge n.
533/1973).
L’impressione generale era quella che, nella persistenza dei limiti legali all’arbitrato
rituale in materia di lavoro, quello irrituale fosse stato sì ritualizzato, ovvero
sottoposto a vincoli dal punto di vista procedurale, ma al contempo liberalizzato,
potendo il lodo irrituale spingersi ben oltre la sponda della disposizioni inderogabili
di legge e contratto collettivo.
3. Il D. lgs. n. 40/2006, nel tentativo di razionalizzare un quadro ormai scomposto, da
un lato abroga il secondo comma dell’art. 808, che prevedeva il divieto di arbitrato
rituale secondo equità e la salvezza dell’alternativa giurisdizionale, d’altro lato
intensifica il controllo sull’irrituale, con l’inserimento nel codice di procedura civile
dell’art. 808 ter , il quale viene a sommarsi al controllo sull’ iter procedurale già
disposto dall’art. 412 ter cod. proc. civ..
Su questo scenario, in cui è già visibile un accresciuto favore verso l’arbitrato rituale
e irrituale in materia di lavoro, va collocata la novella di cui al Collegato lavoro.
Come a tutti noto la norma del collegato lavoro in tema di arbitrato è stata tra quelle
che ha fatto più discutere ed è stata la causa principale del rinvio alle Camere fatto il
31 marzo dal Presidente Napolitano.
Vediamo schematicamente quali sono le novità introdotte dalla legge 183/10.
Innanzitutto non si può non rilevare il fatto che il legislatore ha previsto ben 4 forme
di arbitrato, il chè è un chiaro segnale dell’intento promozionale avuto presente.
A fronte di questa spinta verso l’arbitrato mi pare, dai primi commenti letti e dalle
chiacchierate sentite, che gli utenti siano rimasti piuttosto freddi, da una parte e
dall’altra si sente comunemente dire che l’art. 31 resterà lettera morta.
Tornando alle forme di arbitrato, l’art. 31 collegato al lavoro prevede sostanzialmente
4 arbitrati
1) Art. 412 cpc
Innanzitutto viene modificato l’art. 412 che riguardava il tentativo di conciliazione e
si prevede che in qualunque fase del tentativo o al suo termine se fallito le parti
possono dare alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale
la controversia.
Trattasi di arbitrato irrituale molto procedimentalizzato.
L’art. 412 detta infatti in maniera specifica le regole secondo le quali deve svolgersi:
- Le P devono indicare termine per il lodo, non superiore a 60 gg, oltre il quale
incarico revocato;
- Le P devono indicare le norme a sostegno delle proprie pretese e l’eventuale
richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali
dell’ordinamento e dei principi regolatori della materia, anche derivanti
da obblighi comunitari.
La possibilità di decidere secondo equità è una delle questioni che più ha fatto
discutere. Inizialmente nella versione originale la norma prevedeva il ricorso
all’equità nel solo rispetto dei principi generali dell’ordinamento. A seguito
dell’intervento del Presidente della Rep è stato aggiunto l’ulteriore rispetto dei
principi regolatori della materia anche di derivazione comunitaria.
La norma è stata letta da tutti come il tentativo di aggirare per via processuale
alcune tutele di tipo sostanziale ed in primis l’applicazione dell’art. 18 Stat. Lav.
La norma resta poco chiara ed apre la possibilità di un contenzioso ancora più aspro
di quello che lo strumento mirerebbe ad evitare.
La formula adottata appare, ripeto, foriera di gravi incertezze: cosa si deve intendere
per principi informatori della materia? In un diritto fondato su norme inderogabili si
può pensare che quasi tutti i rimedi legislativi rientrino tra i principi regolatori che
non lasciano spazio all’equità, la quale si ridurrebbe, quindi e per la verità, a ben
poco …
- Il lodo è impugnabile avanti al Tribunale lavoro ex 808 ter entro 30 gg
dalla notificazione del lodo. Il richiamo espresso all’art 808 ter porta ad
escludere che esso sia impugnabile per violazione di norme di legge o contratto
collettivo perché 808 ter non lo prevede - Art. 808-ter - Arbitrato irrituale [1] - - Le parti possono, con disposizione espressa per iscritto, stabilire che, in deroga a
quanto disposto dall'articolo 824-bis, la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale. Altrimenti si applicano le disposizioni del presente titolo.
- Il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente secondo le disposizioni del libro I:
- 1) se la convenzione dell'arbitrato è invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel procedimento arbitrale;
- 2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale;
- 3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell'articolo 812;
- 4) se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo;
- 5) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio. Al lodo contrattuale non si applica l'articolo 825.
-
- Lodo depositato presso a cancelleria del tribunale che ne dichiara l’esecutività
con decreto
2) Art. 412 ter
Arbitrato irrituale previsto dai contratti collettivi , la cui procedura, a differenza
del passato, è rimessa totalmente alla contrattazione collettiva.
3) Art. 412 quater
Arbitrato legale molto ritualizzato.
Prevede la facoltà (perché è fatta salva la facoltà di ciascuna parte di adire
l’autorità giudiziaria_ si discute se vale per tutti gli arbitrati) per ciascuna parte
di proporre la controversia avanti ad un collegio arbitrale composto da una
rappresentante per ciascuna parte ed un terzo membro arbitro.
- Chi vuole fare ricorso a questo strumento deve notificare alla controparte un
ricorso contenente la nomina dell’arbitro e l’oggetto della domanda, le ragioni
in fatto e diritto, i mezzi di prova ed il valore della domanda, nonché il
riferimento alle norme invocate a sostegno della domanda e eventualmente la
richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali
dell’ordinamento e dei principi regolatori della materia, anche derivanti
da obblighi comunitari. Controparte se accetta deve nominare proprio arbitro
e poi i due arbitri il terzo membro. Costituito il collegio la parte convenuta
entro 30 gg deve depositare presso la sede di collegio una memoria con le
difese ed eccezioni in fatto e diritto, eventuali riconvenzionali e indicazione
mezzi di prova. Attore può depositar e memoria di replica entro 10 gg. senza
modificare contenuto del ricorso e nei successivi 10 convenuto può
replicare senza modificare contenuto memoria .. Collegio fissa udienza,
tenta conciliazione, interroga le parti, ammette ed assume le prove e decide
entro 20 gg. con un lodo. E un arbitrato irrituale.
- Il lodo è impugnabile entro 30 gg. al tribunale lavoro ai sensi dell’art. 808 ter,
quindi nuovamente si esclude l’impignazione per violazione norme di legge e
contratto collettivo. Altrimenti viene depositato in cancelleria e con decreto
dichiarato esecutivo.
E’ discutibile l’utilità, anche perchè toglie un grado di giudizio.
Una norma che soprattutto per il contenzioso di poco valore atteso che il compenso
degli arbitri è per il presidente il 2% e per gli altri 1% del valore della causa. Arbitri
sono professori universitari esperti in materie giuridiche e avvocati cassazionisti.
4) Art. 31 comma 10
Trattasi della norma che più ha fatto discutere. Essa prevede la possibilità per le parti
individuali di pattuire clausole compromissorie sulle materie di cui all’art. 409 cpc
se previsto da AI o CC delle OS comparativamente più rappresentative.
- La clausola compromissoria deve essere certificata a pena nullità
- Non può esser pattuita prima della scadenza del periodo di prova o dopo che
siano decorsi almeno 30 gg. dalla stipula del contratto di lavoro in tutti gli altri
casi (quindi anche contratto a termine)
- Non può avere ad oggetto la risoluzione del contratto.
In assenza di AI o CC entro 12 mesi, il Ministro lavoro convoca le parti per
promuovere l’accordo e in caso di fallimento entro 6 mesi con decreto, tenuto conto
di quanto emerso dal confronto con le parti, individua in via sperimentale e fatta salva
la possibilità di deroga da parte di AI o CC le modalità di attuazione e piena
operatività del comma 10.
Preciso che sebbene la norma non lo dica chiaramente, attesa la perdurante vigenza
dell’art. 5 legge 533/73, il quale prevede che
Art. 5 - (Arbitrato irrituale) Nelle controversie riguardanti i rapporti di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile l'arbitrato irrituale è ammesso soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero dai contratti e accordi collettivi. In quest'ultimo caso, ciò deve avvenire senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l'autorità giudiziaria. [1] [1] Nonché il rinvio fatto dal comma 10 agli artt. 412 e 412 quater, i quali prevedono il
primo implicitamente ed il secondo esplicitamente la facoltà di adire la via
giurisdizionale, il rimedio arbitrale di cui al comma 10 deve intendersi alternativo e
non esclusivo .
La previsione ha lasciato tutti molto perplessi perché si lascia “carta bianca” ad un
soggetto che dovrebbe essere del tutto estraneo ed in fatti il Presidente della rep
aveva evidenziato anche questo passaggio come problematico ma è rimasto.
La versione definitiva è stata rielaborata a seguito del messaggio del Presidente, il
quale aveva rilevato che “ La introduzione nell'ordinamento di strumenti idonei a
prevenire l'insorgere di controversie ed a semplificarne ed accelerarne le modalit à di definizione pu ò risultare certamente apprezzabile e merita di essere valutata
con spirito aperto: ma occorre verificare attentamente che le relative disposizioni
siano pienamente coerenti con i princ ì pi della volontariet à dell'arbitrato e della
necessit à di assicurare una adeguata tutela del contraente debole ” ed aveva
precisato che “Sulla base di tali indicazioni, non pu ò non destare serie perplessit à la previsione del comma 9 dell'art. 31, secondo cui la decisione di devolvere ad
arbitri la definizione di eventuali controversie pu ò essere assunta non solo in
costanza di rapporto allorch é insorga la controversia, ma anche nel momento della
stipulazione del contratto, attraverso l'inserimento di apposita clausola
compromissoria: la fase della costituzione del rapporto è infatti il momento nel
quale massima è la condizione di debolezza della parte che offre la prestazione di
lavoro”.
Quindi, a seguito dell’intervento dell’art. 31abbiamo
1) rafforzamento della previsione contrattuale che autorizza il ricorso all’arbitrato:
la previsione non è solo, come dice l’art. 5 della legge del 1973, di contratto
collettivo, ma di contratto di livello interconfederale o stipulato da sindacati
selezionati, in quanto comparativamente più rappresentativi o maggiormente
rappresentativi;
2) nella prevista possibilità dell’equità, seppure temperata dal rispetto dei principi
generali e regolatori della materia;
3) nella proceduralizzazione dell’irrituale amministrato o guidato (art. 412 e 412
quater.