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STRUMENTI DI RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE ALTERNATIVI ALLA GIURISDIZIONE Ringrazio la Camera civile di Vercelli, il consiglio dell’ordine di Vercelli nonché l’avv. Cristina Cossu per l’invito a partecipare a questo seminario. Il collega Piero Nobile ed io ci occuperemo del “fronte” giuslavoristico, in particolare la mia relazione darà una panoramica generale degli strumenti di risoluzione alternativi delle controversie di lavoro mentre Piero si occuperà nello specifico della conciliazione quale rivisitata dalla legge 183/10 cd. Collegato al Lavoro. Come si pone il diritto del lavoro rispetto agli strumenti di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione? La materia è storicamente problematica ed a prima vista l’atteggiamento del legislatore potrebbe sembrare quasi “schizofrenico”: da una parte infatti il legislatore spinge a favore di soluzioni alternative, dall’altra pone ampi limiti al ricorso alle stesse. La ragione di quanto precede mi pare si debba cercare nella caratteristica tipica del diritto del lavoro, il fatto cioè di essere un diritto permeato da norme

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STRUMENTI DI RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE ALTERNATIVI

ALLA GIURISDIZIONE

Ringrazio la Camera civile di Vercelli, il consiglio dell’ordine di Vercelli nonché

l’avv. Cristina Cossu per l’invito a partecipare a questo seminario.

Il collega Piero Nobile ed io ci occuperemo del “fronte” giuslavoristico, in particolare

la mia relazione darà una panoramica generale degli strumenti di risoluzione

alternativi delle controversie di lavoro mentre Piero si occuperà nello specifico della

conciliazione quale rivisitata dalla legge 183/10 cd. Collegato al Lavoro.

Come si pone il diritto del lavoro rispetto agli strumenti di risoluzione delle

controversie alternativi alla giurisdizione?

La materia è storicamente problematica ed a prima vista l’atteggiamento del

legislatore potrebbe sembrare quasi “schizofrenico”: da una parte infatti il legislatore

spinge a favore di soluzioni alternative, dall’altra pone ampi limiti al ricorso alle

stesse.

La ragione di quanto precede mi pare si debba cercare nella caratteristica tipica del

diritto del lavoro, il fatto cioè di essere un diritto permeato da norme inderogabili e/o

diritti indisponibili (Grandi, Gdlri 2000, p. 367 e spec 369).

Caratteristica cui fa da riflesso una norma, l’art. 2113 c.c. che disciplina in maniera

speciale le rinuncie e transazioni poste in essere dal lavoratore.

Quindi da una parte la apertura a forme di risoluzione alternative, vedremo che il

diritto del lavoro ne prevede parecchie, dall’altra la ritrosia fondata sul timore che per

questa via si deroghi una disciplina che per lo più è inderogabile ovvero si disponga

di diritti che tali non sono.

C’è chi (Grandi, cit.) ha parlato di protezionismo “anche nella giustizia del lavoro

le ragioni del protezionismo hanno prevalso sulle ragioni della libertà”.

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Non dimentichiamo un altro aspetto che non è da poco nel nostro discorso: la

giustizia del lavoro funziona tendenzialmente bene, nel senso che il processo, lo

strumento è un ottimo modello, spesso esportato ad altri contenziosi, è

ragionevolmente veloce, è amministrata da un giudice che, senza nulla togliere a

coloro che si occupano di altro, è (super) specializzato in questa materia giacchè se ne

occupa in via esclusiva ed è (era) gratuita.

Tant’è che quando si interviene per migliorare l’efficienza della giustizia del lavoro

non si interviene sullo strumento (processo) ma sull’accesso che si cerca di

disincentivare (De Angelis 2010 WP 111/2010).

Il chè da un punto di vista pratico sicuramente disincentiva il ricorso a forme

alternative alla giurisdizione, non se ne sente particolarmente il bisogno.

O meglio, gli utenti non ne sentono particolarmente il bisogno, perché il legislatore

negli ultimi anni ha fatto una serie di interventi a scopo dichiaratamente deflattivo del

contenzioso, penso ad esempio alla CERTIFICAZIONE DEI CONTRATTI DI

LAVORO, di cui agli artt. 75 e ss d. lgs. 276/03, ma penso anche alla legge 69/09 che

ha modificato la disciplina di cui agli artt. 91 e 92 cpc in tema di condanna alle spese

riducendo i casi in cui il giudice può compensare (la prassi nelle decisioni dei giudici

di lavoro era di compensare le spese in caso di soccombenza del lavoratore

sussistenza giusti motivi, ora le ragioni per la compensazione devono essere gravi e

eccezionali ed occorre motivare sul punto.

Quindi, dicevo, il diritto del lavoro offre molti strumenti alternativi alla giurisdizione

ma al contempo pone o forse poneva numerosi limiti alla possibilità di gestire

liberamente le controversie di cui all’art. 409 cpc.

A livello sistematico, la questione può essere affrontata DIVIDENDO PER

TIPOLOGIE DI STRUMENTI ALTERNATIVI

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a. Strumenti individuali (transazione – art. 2113 c.c.)

b. Strumenti collettivi (accordi transattivi)

c. Strumenti terziarizzati/amministrati (conciliazioni in sedi protette, ivi

compresa art. 11 124/04, arbitrati, certificazioni, art 7 sl, arbitrato

dirigenti), all’interno dei quali ho compreso tutte le ipotesi in cui un

terzo estraneo alla controversia partecipa all’amministrazione dello

strumento alternativo

Strumenti individuali

La prima forma di rimedio alternativo alla giurisdizione può essere la transazione

fatta individualmente tra datore di lavoro e lavoratore.

Come abbiamo già accennato, il diritto del lavoro ha una disciplina speciale in tema

di rinunce e transazioni dettata dall’art. 2113 c.c. il quale prevede l’invalidità di atti

dispositivi che abbiano ad oggetto diritti derivanti da norme inderogabili di legge o

contratto collettivo. L’invalidità deve essere fatta valere nel termine decadenziale di

sei mesi dalla cessazione del rapporto ovvero dalla sottoscrizione dell’atto se

successivo. La norma chiude specificando che le disposizioni che precedono non si

applicano nel caso in cui la conciliazione sia avvenuta in sede protetta, ossia

avvenuta in sedi in cui “la posizione del lavoratore viene ad essere adeguatamente

protetta nei confronti del datore di lavoro per effetto dell'intervento in funzione

garantista del terzo (autorità giudiziaria, amministrativa o sindacale)diretto al

superamento della presunzione di condizionamento della libertà di espressione del

consenso da parte del lavoratore, essendo la posizione di quest'ultimo adeguatamente

protetta nei confronti del datore di lavoro” ( Cass. civ., sez. Lavoro 26-07-2002, n.

11107)

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Il primo elemento che si ricava dalla norma peraltro a tutti noto, è che la rinuncia e/o

la transazione individuale è una strumento alternativo valido laddove non coinvolge

diritti derivanti da norme inderogabili di legge o di contrattazione collettiva.

Diversamente la rinuncia o transazione è impugnabile e quindi la questione può

tornare in sede giurisdizionale.

Cosa si intende per diritto derivante da norma inderogabile di legge o CC?

La giurisprudenza ne da’ un’accezione piuttosto ampia

Cass. civ., sez. Lavoro 12-02-2004, n. 2734

“Con riferimento alla disciplina dettata in tema di rinunce e transazioni, di cui

all'art. 2113 cod. civ. .......... diritti di natura retributiva o risarcitoria indisponibili

da parte del lavoratore non devono ritenersi soltanto quelli correlati alla lesione di

diritti fondamentali della persona, atteso che la ratio dell'art. 2113 cod.civ. consiste

nella tutela del lavoratore, quale parte più debole del rapporto di lavoro, la cui

posizione in via ordinaria viene disciplinata attraverso norme inderogabili, salvo

che vi sia espressa previsione contraria . Ne consegue che è annullabile la

transazione riguardante diritti di natura retributiva come il compenso per il plus

orario e relativi accessori” .

 

Alla luce di quanto precede, è validamente rinunciabile e/o transigibile

individualmente la cessazione del rapporto di lavoro.

La giurisprudenza, infatti, ha più volte chiarito che, Cass. civ., sez. Lavoro 19-10-

2009, n. 22105 “ La transazione conclusa tra dipendente e datore di lavoro avente ad

oggetto la risoluzione del rapporto di lavoro (che) non rientra nell'ambito di

applicazione dell'art. 2113 cod. civ. in quanto, anche quando è garantita la stabilità

del posto di lavoro, l'ordinamento riconosce al lavoratore il diritto potestativo di

disporre negozialmente e definitivamente del posto di lavoro stesso, in base all'art.

2118 cod. civ.”   .

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Peraltro, segnalo che, come la giurisprudenza ha più volte chiarito ( Cass. civ., sez. IV

13-08-2009, n. 18285) “ Nell'ipotesi in cui la risoluzione consensuale del rapporto di

lavoro, o le dimissioni (riferibili ad un diritto disponibile del lavoratore e quindi

sottratte alla disciplina dell'art. 2113 cod. civ.) siano poste in essere nell'ambito di

un contesto negoziale complesso, il cui contenuto investa anche altri diritti del

prestatore derivanti da disposizioni inderogabili di legge o dall'autonomia

collettiva , il precetto posto dall'art. 2113 cit. trova applicazione in relazione

all'intero contenuto dell'atto (che è quindi soggetto a impugnazione), sempre che la

clausola relativa alle dimissioni non sia autonoma ma strettamente interdipendente

con le altre e che i diritti inderogabili transatti siano noti e specificati, non potendosi

desumere da una formula generica contenuta in una clausola di stile ”.

La seconda questione, molto meno scontata, riguarda il rapporto tra la disciplina di

cui all’art. 2113 c.c. e le norme generali ed in particolare l’art. 1966 il quale

sancisce la nullità della transazione avente ad oggetto diritti indisponibili (sottratti

alla disponibilità delle parti).

Ci si chiede, cioè, se la previsione di cui all’art. 2113, la quale prevede la mera

annullabilità (stante il temrine di decadenza) deroga alla disciplina generale che

prevede la nullità degli atti dispositivi di diritti indisponibili.

La dottrina sul punto si è sbizzarrita, vi è chi (De Luca Tamajo 1976) ha elaborato la

teoria dei diritti primari e secondari, dicendo che solo i secondi rientrano nella

previsione del 2113 mentre i diritti primari restano soggetti alla più favorevole

disciplina dell’art. 1966, e chi, invece, (Tosi 1999) ritiene che la disciplina speciale

del 2113 c.c. sostituisca e regolamenti in via autonoma e completa la questione della

disposizione dei diritti dei lavoratori e giustifica la meno favorevole soluzione

(annullabilità anziché nullità, decadenza breve) ocn la necessaria certezza dei rapporti

di lavoro.

L’analisi della giurisprudenza in materia lascia, invece, per lo meno perplessi.

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Nella maggior parte dei casi mi pare che il problema non sia nemmeno sentito e

l’applicazione dell’art. 2113 venga ritenuta pacifica

Cass. civ., sez. Lavoro 26-05-2006, n. 12561

Riguardo a diritti già maturati, il negozio dispositivo integra una mera rinuncia o

transazione, rispetto alla quale la dipendenza del diritto da norme inderogabili

comporta, in forza dell'art. 2113 cod. civ., l'annullabilità dell'atto di disposizione, ma

non la sua nullità.

Addirittura talora si legge che l’art. 2113 è conforme al principio generale

sancito dall'art. 1966, secondo comma, cod. civ. in tema di nullità delle

transazioni correlate a diritti sottratti alla disponibilità delle parti, per loro natura o

per espressa disposizione di legge ( Cass. civ., sez. Lavoro 26-07-2002, n. 11107

(Ma identica Cass. civ., sez. Lavoro 27-02-1995, n. 2244 )

La nullità, viene, invece, recuperata rispetto a negozi dispositivi di diritti futuri in

quanto ritenuti in violazione di una norma inderogabile.

Cass. civ., sez. Lavoro 26-05-2006, n. 12561

Nei confronti di diritti ancora non sorti o maturati la preventiva disposizione può

comportare, invece, la nullità dell'atto, poichè esso è diretto a regolamentare gli

effetti del rapporto di lavoro in maniera diversa da quella fissata dalle norme di legge

o di contratto collettivo.

Quindi, concludendo sul punto, la transazione individuale è libera laddove non

coinvolge diritti derivanti da norme inderogabili di legge o contratto collettivo, con la

sola attenzione a non transigere insieme diritti particolari e non. Laddove sono

coinvolti diritti inderogabili, vale il principio di tutela del lavoratore di cui all’art.

2113 c.c. e quindi l’impugnabilità nel termine decadenziale dei 6 mesi, salvo che la

transazione sia stata fatta in forma protetta.

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***

A mio parere parlando di diritto del lavoro non si può non accennare ad un altro

strumento alternativo alla giurisdizione, rappresentato dal contratto collettivo

quando esso assume funzione transattiva di diritti derivanti dalla legge o dallo

stesso contratto ovvero interpretativa di norme contrattuali.

La discussione sul ruolo del contratto collettivo ed il suo potere di modificare le fonti

ci porterebbe molto in là (penso, per richiamare un argomento ‘caldo’, agli accordi di

Pomigliano e Torino), su un terreno che esula dal tema del seminario di oggi.

Però ritengo opportuno affrontare brevemente anche questo aspetto perché, come a

tutti noto, il diritto del lavoro si gioca su un doppio piano, l’ordinamento di diritto

positivo, con le fonti che conosciamo ed i rimedi ‘amministrati’ di cui diremo, ma

anche l’ordinamento intersindacale, in cui il contratto collettivo è la Fonte ed

all’interno del quale si auspica vengano risolte le controversie.

Quindi, ci si può chiedere se ed entro quali limiti il contratto collettivo può essere un

valido strumento di risoluzione delle controversie alternativo alla giurisdizione.

Sul punto condivido l’opinione ben più autorevole della mia espressa dalla dottrina

maggioritaria (Tosi 1999, Grandi 2000): l’ordinamento statale ha in proposito una

posizione incoerente e miope dell’ordinamento statale.

Da una parte, infatti, vi è una forte spinta a favore della contrattazione collettiva:

sempre più spesso il legislatore interno ma anche comunitario delega a questa fonte il

compito di integrare se non addirittura creare nuove discipline (cd. diritto del lavoro

riflessivo), dall’altra, però, non concede alla fonte collettiva di amministrare le

controversie che dall’applicazione della disciplina che ha creato derivano.

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L’opinione unanime esclude che il mandato al sindacato a trattare e concludere

accordi contenga implicitamente anche il mandato a transigere su diritti che dagli

accordi medesimi sono derivati

Ne deriva che il sindacato non può disporre dei diritti quesiti che derivano dal

contratto collettivo, anche se ha creato la fonte, se non previo mandato individuale

dei lavoratori (Ballestrero 1989, Tosi 1999).

Io personalmente ho qualche perplessità “metodologica” nel senso che, a fronte della

disinvoltura con cui si da’ per scontato che il mandato al sindacato comporti il

mandato a sottoscrivere contratti in nome e per conto dei mandanti (si veda tutta la

teorica sull’efficacia soggettiva del contratto collettivo su cui non mi soffermo perché

a tutti nota) ed a fronte dell’altrettanto, ormai, pacifica affermazione che tali contratti

possono anche essere peggiorativi rispetto alla disciplina precedente, ed addirittura si

ammette la deroga in peius ad opera di un contratto di diverso livello, quando

addirittura non si conferisce al CC il potere di derogare alla legge (contrattazione

gestionale) e quindi si ammette che per il futuro il contratto, anche di diverso livello,

possa introdurre regole peggiorative, trovo poco coerente sostenere, invece, che

assolutamente il mandato al sindacato non comporti anche implicitamente il mandato

a gestire le controversie che dal contratto derivino e quindi anche a sottoscrivere

accordi transattivi sulle controversie medesime applicabili ai singoli.

Ma tant’è.

La giurisprudenza dice chiaramente che (Cass. Lav. 11.12.1999 n. 13910) “ le

associazioni sindacali hanno la funzione di rappresentanza d'interessi collettivi e di

assistenza, nel quadro degli stessi, nei confronti dei singoli associati, con

conseguente esclusione di ogni potere di disposizione dei diritti di costoro che non

sia stato oggetto di specifico mandato. Conseguentemente, in difetto di tale mandato,

l'accordo sindacale intervenuto in sede aziendale a fini transattivi non obbliga i

lavoratori che non lo abbiano sottoscritto alle rinunzie in esso previste, né è

assimilabile alle conciliazioni sindacali menzionate dall'art. 411 cod. proc. civ., il

quale si riferisce (considerandoli vincolanti per i lavoratori in ragione delle

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sufficienti garanzie di sostanziale libertà delle loro manifestazioni di volontà offerte

dalle condizioni di stipula), agli accordi che gli stessi lavoratori, sia pur con

l'assistenza dei sindacati, contraggono personalmente od a mezzo di mandatari ad

hoc muniti di potere ai sensi degli artt. 1704 cod. civ., 1708 cod. civ., 1387 cod. civ.,

1392 cod. civ.” .

***

Passo ora alla terza categoria di strumenti di risoluzione delle controversie alternativi

alla giurisdizione, si tratta di quelli che ho identificato sotto il nome di strumenti

terziarizzati/amministrati all’interno dei quali ho compreso tutte le ipotesi in cui un

terzo estraneo alla controversia partecipa all’amministrazione dello strumento

alternativo.

Come dicevo in apertura il diritto del lavoro prevede molti strumenti alternativi, che

dividerei in:

- strumenti che hanno ad oggetto sanzioni disciplinari

- strumenti in materia previdenziale

- arbitrati

ARTICOLO 7 LEGGE 300/70

Come noto, l’art. 7 legge 300/70 in tema di sanzioni disciplinari prevede la possibilità

per il lavoratore che abbia ricevuto una sanzione disciplinare di promuovere entro

20 gg un collegio di conciliazione ed arbitrato.

Se il datore di lavoro non nomina proprio membro ovvero dichiara di non

accettare il collegio entro 10 gg. la sanzione non ha effetto.

La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del Collegio. [5]

Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall'invito rivoltogli

dall'ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui

al comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro

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adisce l'autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla

definizione del giudizio [6] .

E’ un arbitrato irrituale: lo ribadisce la giurisprudenza la quale afferma che

Cass. civ., sez. Lavoro 02-02-2009, n. 2576

“ Il procedimento arbitrale intentato da un lavoratore per l'impugnazione di una

sanzione disciplinare dinanzi al collegio arbitrale ai sensi dell'art. 7 della legge n.

300 del 1970, per quanto sia espressamente previsto dalla legge, riveste comunque

carattere irrituale, come tale eccezionalmente equiparabile a quello irrituale previsto

dalla contrattazione collettiva”.

“Ne consegue che la relativa decisione non è impugnabile in sede giudiziaria in

ordine alle valutazioni affidate alla discrezionalità degli arbitri (quali quelle relative

al materiale probatorio, ovvero alle scelte operate per comporre la controversia), ma

soltanto per vizi idonei ad inficiare la determinazione degli arbitri per alterata

percezione o falsa rappresentazione dei fatti, ovvero per inosservanza delle

disposizioni inderogabili di legge o di contratti o accordi collettivi” . ( Cass. civ., sez.

Unite 01-12-2009, n. 25253 ).

Come comunemente ammesso in giurisprudenza lo strumento non si applica ai

licenziamenti disciplinari. La corte costituzionale aveva esteso ai licenziamenti

disciplinari solo i commi da 1 a 3 dell’art. 7.

Ricordo che il termine dei venti giorni vale solo per promuovere la costituzione

del collegio ma non invece per adire l’autorità giudiziaria qualora il datore di

lavoro non intenda aderire.

Cass. civ., sez. Lavoro 21-05-2008, n. 12958

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“ L'art. 7, sesto comma, della legge n. 300 del 1970 (statuto dei lavoratori) prevede il

termine di venti giorni dall'applicazione della sanzione disciplinare per promuovere

la costituzione di un collegio di conciliazione ed arbitrato, ma non stabilisce alcun

termine per l'esercizio della facoltà, espressamente fatta salva, di adire l'autorità

giudiziaria, sicché tale esercizio non incontra il limite temporale predetto,

soggiacendo soltanto alla prescrizione ordinaria di cui all'art. 2946 cod. civ..

(Rigetta, App. Roma, 4 Ottobre 2004)” .

 

Omologo dell’art. 7 per il rapporto di lavoro privato è l’art. 55 del d. l.gs. 165/01 il

quale riguarda il potere disciplinare della PA.

L’art. 55 co. 3 prevede la facoltà di disciplinare tramite contratti collettivi il ricorso a

procedura di conciliazione non obbligatoria, fuori dei casi per il quali è previsto il

licenziamento.

Esiste in proposito un accordo quadro del 2001 il quale prevede la facoltà di adire un

arbitro unico.

COLLEGIO ARBITRALE DIRIGENTI

Come noto l’art. 10 legge 604/66 prevedendo che la legge stessa si applica a coloro

che rivestano la qualifica di impiegato o operaio ai sensi dell’art. 2095 c.c. esclude i

dirigenti dal suo ambito di applicazione, il chè significa che ai sensi di legge il

licenziamento del dirigente non è soggetto alla disciplina limitativa dei licenziamenti

né alla relativa tutela.

E’ altrettanto noto che alla mancanza legislativa ha supplito la contrattazione

collettiva che ha previsto la necessaria giustificatezza del licenziamento e la

possibilità di sanzionarne la mancanza con il pagamento dell’indennità

supplementare.

Trattasi nuovamente di arbitrato irrituale.

***

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CONTENZIOSO PREVIDENZIALE

Altra materia in cui il legislatore ha previsto numerosi quanto inefficacia strumenti

alternativi alla giurisdizione è quello previdenziale.

Come a tutti noto, l’art. 443 cpc prevede che

Art. 443 - Rilevanza del procedimento amministrativo [1]

“[1] La domanda relativa alle controversie in materia di previdenza e assistenza

obbligatorie di cui al primo comma dell'articolo 442 non è procedibile se non

quando siano esauriti i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la

composizione in sede amministrativa o siano decorsi i termini ivi fissati per il

compimento dei procedimenti stessi o siano, comunque, decorsi 180 giorni dalla data

in cui è stato proposto il ricorso amministrativo [disp. att. 148].

[2] Se il giudice nella prima udienza di discussione rileva l'improcedibilità della

domanda a norma del comma precedente, sospende il giudizio [295] e fissa all'attore

un termine perentorio [152] di sessanta giorni per la presentazione del ricorso in

sede amministrativa.

[3] Il processo deve essere riassunto, a cura dell'attore, nel termine perentorio di

180 giorni che decorre dalla cessazione della causa della sospensione [307 c. 3, 4;

disp. att. 147 c. 2] [2] .”

In effetti esistono numerosi rimedi finalizzati ad evitare le controversie previdenziali

attraverso una loro preventiva definizione gerarchica e/o amministrativa (Art. 45 e ss

legge 88/89, Artt. legge 689/91, Artt. d. lgs. 1124/65 ED ALIIS).

Di fatto l’esperienza insegna che i richiamati strumenti non hanno alcuna funzione

effettiva atteso che capita molto raramente per non dire mai che essi vengano accolti.

L’istituto del silenzio rigetto completa il quadro rendendo i rimedi di fatto inutili.

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Segnalo come curiosità, molto criticata, il fatto che il collegato lavoro non è

intervenuto in tema di controversie previdenziali.

Dicevo, la mancanza è stata dai più criticata se si pensa che le controversie

previdenziali pure costituiscono spesso oltre il 70% delle controversie pendenti avanti

ai giudici del lavoro.

***

Un’altra ipotesi di strumento alternativo recentemente introdotta riguarda la

CONCILIAZIONE MONOCRATICA ( art. 11 d. lgs. 124/04 in materia di

razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e del lavoro

modificato dall’art. 38 collegato al lavoro)

La norma, che da alcuni è stata definita “palesemente intimidatoria” (Ferraro WP

30/2005) prevede la possibilità che durante un intervento ispettivo appositamente

sollecitato o casuale, qualora emerga la possibilità di una soluzione conciliativa

della lite il funzionario convochi le parti e tenti la conciliazione. Se essa riesce,il

verbale di transazione costituisce titolo esecutivo (dopo il collegato).

Quale è il vantaggio di tale forma di conciliazione? Che cosa la rende appetibile?

I contributi vengono versati sulle somme concordate ora dalle parti per allora ed il

procedimento ispettivo si estingue.

Quindi:

- si è in presenza di una conciliazione direttamente opponibile agli istituti nei cui

confronti, unico caso, fa stato mentre normalmente vale il principio dell’ autonomia

- il versamento delle somme vale ora per allora e quindi non sono dovute sanzioni ed

il procedimento ispettivo si estingue.

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Si è parlato di una forma di condono , perchè le parti decidono l’entità delle somme

dovute e vincolano l’istituto alla loro decisione nel senso che l’istituto non può

pretendere contributi se non sulle somme concordate.

Altrimenti, se la conciliazione non riesce, l’accertamento ispettivo prosegue o deve

iniziare.

***

Altre due ipotesi di strumenti pensati per evitare il contenzioso giudiziale possono

esser considerati la

Diffida accertativa per crediti patrimoniali ( Art. 12 d. lgs 124/04) nonché la

diffida di cui al successivo art. 13

La diffida accertativa dei crediti patrimoniali si riferisce a inosservanze alla

disciplina contrattuale che comportano crediti a favore dei lavoratori.

In questo caso l’ispettore diffida il datore di lavoro a pagare. Datore può promuovere

tentativo di conciliazione alla DPL, se riesce verbale altrimenti la diffida acquista

valore di accertamento tecnico con efficacia di titolo esecutivo.

Altra ipotesi è la Art. 13. - Diffida [1]

Che riguarda ipotesi di inadempimenti alle norme in materia di lavoro e legislazione

sociale ancora sanabili.

In questo caso la diffida fa sì che se il datore regolarizza la sanzione è al minimo.

***

GLI ARBITRATI

L’ultimo strumento alternativo alla giurisdizione, oggetto di un importante intervento

da parte della legge 183/10 è l’arbitrato.

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L’arbitrato in materia di lavoro ha una storia lunga e complessa

Il sistema originario (art. 806 e 808 cod. proc. civ. e art. 5 L. n. 533/1973) obbediva

ad una ratio comune, la forte limitazione sia dell’arbitrato rituale che dell’irrituale in

materia di lavoro.

In quel sistema era peraltro esplicito il divieto di ricorso all’equità, alla stregua

dell’art. 808, 2° co., cod. proc. civ.; per l’irrituale il secondo comma dell’art. 5 della

legge del 1973 sanciva l’invalidità del lodo in violazione di norme inderogabili di

legge e contratto collettivo.

Esplicitamente prevista, dal codice e dalla legge, era la necessità della previsione

contrattuale (da cui il divieto di compromesso individuale) e la salvezza della via

giurisdizionale.

In sintesi, può dirsi che la disciplina dell’arbitrato era allora “blindata” da un

quadruplice precetto:

1) Divieto di compromesso individuale;

2) divieto di pronuncia secondo equità;

3) impugnabilità del lodo per violazione di norme di legge e di contratto

collettivo;

4) salvezza della via giurisdizionale.

Ad interrompere la linearità di quel sistema interviene per la prima volta la

legislazione del 1998 sulla privatizzazione del pubblico impiego (DD. Lgs. n. 80 e

378), che

a) introduce l’art. 412 ter e quater con cui ritualizza sotto il profilo procedurale

l’arbitrato irrituale;

b) abroga il secondo e il terzo comma dell’art. 5 della legge del 1973, tra cui il

disposto per cui il lodo (irrituale) era invalido se in violazione di norme di

legge e di contratto collettivo. Cosa significasse questa abrogazione

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dall’angolazione dell’ammissibilità del lodo irrituale secondo equità è tuttora

oggetto di dibattito. Parlare di equità sul versante dell’arbitrato irrituale pare

comunque improprio. Sul versante del rituale intanto continuava a vigere il

divieto di equità di cui al secondo comma dell’art. 808 cod. proc. civ. (il cui

secondo comma, si ricorda, era stato introdotto dall’art. 4 della legge n.

533/1973).

L’impressione generale era quella che, nella persistenza dei limiti legali all’arbitrato

rituale in materia di lavoro, quello irrituale fosse stato sì ritualizzato, ovvero

sottoposto a vincoli dal punto di vista procedurale, ma al contempo liberalizzato,

potendo il lodo irrituale spingersi ben oltre la sponda della disposizioni inderogabili

di legge e contratto collettivo.

3. Il D. lgs. n. 40/2006, nel tentativo di razionalizzare un quadro ormai scomposto, da

un lato abroga il secondo comma dell’art. 808, che prevedeva il divieto di arbitrato

rituale secondo equità e la salvezza dell’alternativa giurisdizionale, d’altro lato

intensifica il controllo sull’irrituale, con l’inserimento nel codice di procedura civile

dell’art. 808 ter , il quale viene a sommarsi al controllo sull’ iter procedurale già

disposto dall’art. 412 ter cod. proc. civ..

Su questo scenario, in cui è già visibile un accresciuto favore verso l’arbitrato rituale

e irrituale in materia di lavoro, va collocata la novella di cui al Collegato lavoro.

Come a tutti noto la norma del collegato lavoro in tema di arbitrato è stata tra quelle

che ha fatto più discutere ed è stata la causa principale del rinvio alle Camere fatto il

31 marzo dal Presidente Napolitano.

Vediamo schematicamente quali sono le novità introdotte dalla legge 183/10.

Innanzitutto non si può non rilevare il fatto che il legislatore ha previsto ben 4 forme

di arbitrato, il chè è un chiaro segnale dell’intento promozionale avuto presente.

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A fronte di questa spinta verso l’arbitrato mi pare, dai primi commenti letti e dalle

chiacchierate sentite, che gli utenti siano rimasti piuttosto freddi, da una parte e

dall’altra si sente comunemente dire che l’art. 31 resterà lettera morta.

Tornando alle forme di arbitrato, l’art. 31 collegato al lavoro prevede sostanzialmente

4 arbitrati

1) Art. 412 cpc

Innanzitutto viene modificato l’art. 412 che riguardava il tentativo di conciliazione e

si prevede che in qualunque fase del tentativo o al suo termine se fallito le parti

possono dare alla commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale

la controversia.

Trattasi di arbitrato irrituale molto procedimentalizzato.

L’art. 412 detta infatti in maniera specifica le regole secondo le quali deve svolgersi:

- Le P devono indicare termine per il lodo, non superiore a 60 gg, oltre il quale

incarico revocato;

- Le P devono indicare le norme a sostegno delle proprie pretese e l’eventuale

richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali

dell’ordinamento e dei principi regolatori della materia, anche derivanti

da obblighi comunitari.

La possibilità di decidere secondo equità è una delle questioni che più ha fatto

discutere. Inizialmente nella versione originale la norma prevedeva il ricorso

all’equità nel solo rispetto dei principi generali dell’ordinamento. A seguito

dell’intervento del Presidente della Rep è stato aggiunto l’ulteriore rispetto dei

principi regolatori della materia anche di derivazione comunitaria.

La norma è stata letta da tutti come il tentativo di aggirare per via processuale

alcune tutele di tipo sostanziale ed in primis l’applicazione dell’art. 18 Stat. Lav.

La norma resta poco chiara ed apre la possibilità di un contenzioso ancora più aspro

di quello che lo strumento mirerebbe ad evitare.

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La formula adottata appare, ripeto, foriera di gravi incertezze: cosa si deve intendere

per principi informatori della materia? In un diritto fondato su norme inderogabili si

può pensare che quasi tutti i rimedi legislativi rientrino tra i principi regolatori che

non lasciano spazio all’equità, la quale si ridurrebbe, quindi e per la verità, a ben

poco …

- Il lodo è impugnabile avanti al Tribunale lavoro ex 808 ter entro 30 gg

dalla notificazione del lodo. Il richiamo espresso all’art 808 ter porta ad

escludere che esso sia impugnabile per violazione di norme di legge o contratto

collettivo perché 808 ter non lo prevede - Art. 808-ter - Arbitrato irrituale [1] -   - Le parti possono, con disposizione espressa per iscritto, stabilire che, in deroga a

quanto disposto dall'articolo 824-bis, la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale. Altrimenti si applicano le disposizioni del presente titolo.

- Il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente secondo le disposizioni del libro I:

- 1) se la convenzione dell'arbitrato è invalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano dai suoi limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel procedimento arbitrale;

- 2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi stabiliti dalla convenzione arbitrale;

- 3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell'articolo 812;

- 4) se gli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti come condizione di validità del lodo;

- 5) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio. Al lodo contrattuale non si applica l'articolo 825.

-  

- Lodo depositato presso a cancelleria del tribunale che ne dichiara l’esecutività

con decreto

2) Art. 412 ter

Arbitrato irrituale previsto dai contratti collettivi , la cui procedura, a differenza

del passato, è rimessa totalmente alla contrattazione collettiva.

3) Art. 412 quater

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Arbitrato legale molto ritualizzato.

Prevede la facoltà (perché è fatta salva la facoltà di ciascuna parte di adire

l’autorità giudiziaria_ si discute se vale per tutti gli arbitrati) per ciascuna parte

di proporre la controversia avanti ad un collegio arbitrale composto da una

rappresentante per ciascuna parte ed un terzo membro arbitro.

- Chi vuole fare ricorso a questo strumento deve notificare alla controparte un

ricorso contenente la nomina dell’arbitro e l’oggetto della domanda, le ragioni

in fatto e diritto, i mezzi di prova ed il valore della domanda, nonché il

riferimento alle norme invocate a sostegno della domanda e eventualmente la

richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali

dell’ordinamento e dei principi regolatori della materia, anche derivanti

da obblighi comunitari. Controparte se accetta deve nominare proprio arbitro

e poi i due arbitri il terzo membro. Costituito il collegio la parte convenuta

entro 30 gg deve depositare presso la sede di collegio una memoria con le

difese ed eccezioni in fatto e diritto, eventuali riconvenzionali e indicazione

mezzi di prova. Attore può depositar e memoria di replica entro 10 gg. senza

modificare contenuto del ricorso e nei successivi 10 convenuto può

replicare senza modificare contenuto memoria .. Collegio fissa udienza,

tenta conciliazione, interroga le parti, ammette ed assume le prove e decide

entro 20 gg. con un lodo. E un arbitrato irrituale.

- Il lodo è impugnabile entro 30 gg. al tribunale lavoro ai sensi dell’art. 808 ter,

quindi nuovamente si esclude l’impignazione per violazione norme di legge e

contratto collettivo. Altrimenti viene depositato in cancelleria e con decreto

dichiarato esecutivo.

E’ discutibile l’utilità, anche perchè toglie un grado di giudizio.

Una norma che soprattutto per il contenzioso di poco valore atteso che il compenso

degli arbitri è per il presidente il 2% e per gli altri 1% del valore della causa. Arbitri

sono professori universitari esperti in materie giuridiche e avvocati cassazionisti.

4) Art. 31 comma 10

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Trattasi della norma che più ha fatto discutere. Essa prevede la possibilità per le parti

individuali di pattuire clausole compromissorie sulle materie di cui all’art. 409 cpc

se previsto da AI o CC delle OS comparativamente più rappresentative.

- La clausola compromissoria deve essere certificata a pena nullità

- Non può esser pattuita prima della scadenza del periodo di prova o dopo che

siano decorsi almeno 30 gg. dalla stipula del contratto di lavoro in tutti gli altri

casi (quindi anche contratto a termine)

- Non può avere ad oggetto la risoluzione del contratto.

In assenza di AI o CC entro 12 mesi, il Ministro lavoro convoca le parti per

promuovere l’accordo e in caso di fallimento entro 6 mesi con decreto, tenuto conto

di quanto emerso dal confronto con le parti, individua in via sperimentale e fatta salva

la possibilità di deroga da parte di AI o CC le modalità di attuazione e piena

operatività del comma 10.

Preciso che sebbene la norma non lo dica chiaramente, attesa la perdurante vigenza

dell’art. 5 legge 533/73, il quale prevede che

Art. 5 - (Arbitrato irrituale)   Nelle controversie riguardanti i rapporti di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile l'arbitrato irrituale è ammesso soltanto nei casi previsti dalla legge ovvero dai contratti e accordi collettivi. In quest'ultimo caso, ciò deve avvenire senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l'autorità giudiziaria. [1] [1]   Nonché il rinvio fatto dal comma 10 agli artt. 412 e 412 quater, i quali prevedono il

primo implicitamente ed il secondo esplicitamente la facoltà di adire la via

giurisdizionale, il rimedio arbitrale di cui al comma 10 deve intendersi alternativo e

non esclusivo .

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La previsione ha lasciato tutti molto perplessi perché si lascia “carta bianca” ad un

soggetto che dovrebbe essere del tutto estraneo ed in fatti il Presidente della rep

aveva evidenziato anche questo passaggio come problematico ma è rimasto.

La versione definitiva è stata rielaborata a seguito del messaggio del Presidente, il

quale aveva rilevato che “ La introduzione nell'ordinamento di strumenti idonei a

prevenire l'insorgere di controversie ed a semplificarne ed accelerarne le modalit à di definizione pu ò risultare certamente apprezzabile e merita di essere valutata

con spirito aperto: ma occorre verificare attentamente che le relative disposizioni

siano pienamente coerenti con i princ ì pi della volontariet à dell'arbitrato e della

necessit à di assicurare una adeguata tutela del contraente debole ” ed aveva

precisato che “Sulla base di tali indicazioni, non pu ò non destare serie perplessit à la previsione del comma 9 dell'art. 31, secondo cui la decisione di devolvere ad

arbitri la definizione di eventuali controversie pu ò essere assunta non solo in

costanza di rapporto allorch é insorga la controversia, ma anche nel momento della

stipulazione del contratto, attraverso l'inserimento di apposita clausola

compromissoria: la fase della costituzione del rapporto è infatti il momento nel

quale massima è la condizione di debolezza della parte che offre la prestazione di

lavoro”.

Quindi, a seguito dell’intervento dell’art. 31abbiamo

1) rafforzamento della previsione contrattuale che autorizza il ricorso all’arbitrato:

la previsione non è solo, come dice l’art. 5 della legge del 1973, di contratto

collettivo, ma di contratto di livello interconfederale o stipulato da sindacati

selezionati, in quanto comparativamente più rappresentativi o maggiormente

rappresentativi;

2) nella prevista possibilità dell’equità, seppure temperata dal rispetto dei principi

generali e regolatori della materia;

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3) nella proceduralizzazione dell’irrituale amministrato o guidato (art. 412 e 412

quater.