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Tancredi e Ghismunda Decameron IV, I

Tancredi e Ghismunda Decameron IV, I. La struttura della novella Nella parte iniziale si distinguono un prologo con la presentazione dei due personaggi

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Tancredi e GhismundaDecameron IV, I

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La struttura della novella

Nella parte iniziale si distinguono un prologo con la presentazione dei due personaggi principali, Tancredi e Ghismunda, e un antefatto in cui si narrano gli amori della donna con un valletto, Guiscardo, e i loro incontri in una grotta sotterranea cui si accede sia dal palazzo reale, sia dalla campagna circostante. L'azione vera e propria comincia dopo una pausa in cui il narratore avvisa del cambiamento che volge in contraria una fortuna sino allora favorevole ai due amanti.

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Nuclei narrativi

L'azione si articola in quattro nuclei narrativi fondamentali: 1) Tancredi sorprende gli amori dei due giovani e fa

arrestare Guiscardo; 2) dialogo fra Tancredi e la figlia, la quale replica alle accuse

del padre con un lungo e appassionato discorso, che occupa la parte centrale e più rilevante del racconto;

3) uccisione di Guiscardo, il cui cuore è mandato da Tancredi in una coppa d'oro alla figlia, che si uccide bevendovi un mortale veleno: è questo il momento culminante della narrazione, che prelude allo scioglimento finale.

4) la conclusione, occupata dall'ultimo dialogo fra il padre e la figlia morente e dalla decisione di Tancredi di far seppellire insieme i due infelici amanti.

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I personaggi - Ghismunda

Ghismunda è un'eroina tragica, dotata di nobiltà d'animo e di appassionato carattere ma anche di fermo raziocinio. Il suo lungo discorso con cui replica alle accuse del padre è una dimostrazione serrata e coerentemente argomentata di alcune teorie fondamentali dell'ideologia boccacciana.

È un personaggio esemplare: ogni suo gesto, ogni sua parola sono infatti il risultato di una scelta, di un progetto in cui confluiscono passione e intelligenza. Perché questo personaggio (che è un modello) abbia risalto, Boccaccio introduce un antagonista, Tancredi,

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I personaggi - Tancredi

Particolare attenzione merita anche il padre, il principe Tancredi. Viene subito presentato come «signore assai umano e di benigno ingegno». Come si giustifica allora la sua crudeltà?

E inoltre: come spiegare il suo comportamento incerto e contraddittorio (ordina di uccidere Guiscardo ma fa fatica a nascondere le lacrime quando gli viene condotto davanti il prigioniero, manda il cuore dell'amante alla figlia ma piange dinanzi a lei e infine finisce per pentirsi di quello che ha fatto e fa seppellire insieme i due amanti)?

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I personaggi

La critica ha avanzato un'ipotesi di tipo psicologico: Tancredi, rimasto vedovo molto presto, concepisce, senza esserne consapevole, una passione incestuosa per la figlia: per questo, pur essendo vedova, non vuole farla sposare di nuovo e condanna a morte Guiscardo che sente come rivale. Proprio a causa di tale inconscia passione morbosa, egli è preso da sentimenti contrastanti che non riesce a dominare: di qui il carattere contraddittorio del suo comportamento.

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L'ideologia

Sul piano ideologico è fondamentale il discorso di Ghismunda, che occupa il centro della novella. I punti principali sono i seguenti:

1) è impossibile resistere al «concupiscibile disidero» e sfidare «le leggi della giovanezza» che reclama il soddisfacimento dei sensi (per cui Tancredi, che non ha voluto dare un nuovo marito a Ghismunda, restata vedova, ha commesso l'errore di opporsi alla natura);

2) è dunque problematico giudicare se l'amore per Guiscardo è peccato, ma, ammesso che lo sia (Ghismunda su ciò ha qualche dubbio), esso è pur sempre un «natural peccato», di cui Ghismunda si assume la responsabilità senza alcun pentimento;

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L’ideologia

3) inoltre, nel caso specifico, l'amore si è unito alla gentilezza d'animo dei due innamorati, e questa gentilezza va giudicata, di per sé, una «vertù»;

4) è vero che Guiscardo è di umili origini, ma ciò è dipeso dalla fortuna o dal caso che lo ha fatto nascere povero: Dio ha dato a tutti eguali possibilità e Guiscardo ha avuto il merito di svilupparle sino a diventare un uomo nobile e gentile, anzi più nobile di quanti lo sono per nascita (viene ribadita cioè la concezione borghese della nobiltà d'animo contro quella feudale della nobiltà di sangue). Come si vede, Ghismunda chiama in causa i concetti di natura e di fortuna, di nobiltà e di virtù. Rivaluta la natura e l'ingegno umano (opposto alla cieca fortuna) e pone in discussione la stessa nozione medievale di peccato, facendo coincidere virtù e gentilezza.

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Un'interpretazione psicoanalitica

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Un'interpretazione psicoanalitica

Tancredi è un uomo incline alla bontà. Come mai si sporca le mani di «sangue amoroso»? Alcuni critici, non essendo riusciti a spiegarsi il suo dramma, dicono che è un personaggio mal riuscito. Russo dice che è «un pover'uomo» e che il suo carattere consiste nel non aver carattere. Ma «sangue amoroso», io credo voglia dire sangue versato per amore: che non è solo l'amore delle due vittime, ma di lui, del padre, innanzi tutto.

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Un'interpretazione psicoanalitica

Avendo concentrato in Ghismonda tutti i suoi affetti, Tancredi reprime una carica di morbosa passione nel profondo del suo essere e non ne è consapevole. Quando scoprirà che la figlia ha un amante, un moto irreparabile di folle gelosia lo trascina in un vortice di debolezza puerile e di senile crudeltà. Finora nel Decameron l'amore non era stato analizzato come passione ma piuttosto come impulso del sesso, la cui inevitabilità si muoveva quasi sempre nel meccanismo di un gioco, accompagnata e smussata dal complice sorriso dei novellatori. Qui, nella novella di apertura, abbiamo dei personaggi di una grandezza drammatica moderna, degni di Shakespeare.

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Un'interpretazione psicoanalitica

In tutta la prima parte del racconto campeggia Ghismonda, con la pienezza di un amore di cui «fieramente s'accese» nel rigoglio dei suoi sensi maturi. Dalla sorpresa di Guiscardo, quando legge la lettera in cui la donna ha preso quell'iniziativa ch'egli non osava, fino «alla maravigliosa festa» del loro convegno, chi narra segue con la fantasia e assapora tutto il piacere di questo amore clandestino, attraverso certe grotte aperte nel monte che si trasfigurano in una misteriosa scenografia erotica, dove ogni ostacolo superato ravviva il desiderio e moltiplica il piacere.

Il consenso del narratore è intero, così come incondizionata sarà la sua pietà, quando «la fortuna invidiosa» rivolgerà tanta letizia «in triste pianto».

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Un'interpretazione psicoanalitica

Il capovolgimento dell'azione occupa tutto il secondo atto del dramma. Che cosa porta il padre alla scoperta di questi amori? Il suo stesso costume di amante inconsapevole:

Era usato Tancredi di venirsene alcuna volta tutto solo nella camera della figliuola…

Come il suo personaggio, lo stesso autore non varca la soglia di questo incestuoso sentimento inconscio. Boccaccio si sprofonda in Tancredi, aderisce alla sua situazione, lo segue con estrema cautela di linguaggio in quella visita innocente e pur dilettosamente abitudinaria, in quella sua rispettosa discrezione per i semplici svaghi della figlia, in quel suo contentarsi di dormire accanto al letto di lei, per non si sa quale (si direbbe) «nuova malizia».

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Un'interpretazione psicoanalitica

Il parallelismo tra questa azione e il furtivo procedere dei due amanti conferisce un'ambiguità estrema ad ogni suo gesto. Ma il Boccaccio si limita ad incidere un ambiguo commento («quasi come se studiosamente si fosse nascoso»). Il fatto che Tancredi assista non veduto all'amplesso dei due amanti scatena in lui forze occulte che (represso il primo impulso a reagire in un grido) si manifestano in una energia fisica pari all'intensità del mortale dolore da cui è stato ferito.

La sua reazione di fronte a Guiscardo, preso e segretamente menato al suo cospetto, rivela smarrimento e gelosia infantile. A stento non piange. Di fronte alla figlia non riuscirà più a frenare il pianto. Le dice parole che hanno sembianza di virtuosi ragionamenti: l'accusa di «gran follia», quando è tutto il suo agire che è sconvolto e irrazionale.

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Trasformazione del modello cortese

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Trasformazione del modello cortese

Del modello d'amore cortese sono rimasti nella novella alcuni elementi:

le abitudini di vita signorile che fanno da cornice alla storia; la cura con cui Ghismunda decide di tener nascosta la sua relazione con Guiscardo (« si pensò di volere avere... occultamente un valoroso amante »);

alcuni concetti e termini che la donna utilizza quando vuol dimostrare la legittimità del suo amore (per esempio: la contrapposizione tra nobili e villani).

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Trasformazione del modello cortese

Sono numerose le trasformazioni introdotte:

Il soggetto che agisce è la donna: è lei che prende in considerazione, uno per uno, gli uomini che stanno alla corte del padre e che, tra tutti, sceglie colui che le piace; è lei che escogita il modo per incontrarsi con l'amante e che s'adopera per rendere praticabile la via.

L'inversione dei ruoli femminile/maschile ha un corrispettivo nella forma del racconto: l'uomo, Guiscardo, pronuncia una sola, convenzionale battuta; il lettore lo conosce quasi esclusivamente attraverso il punto di vista e le parole della donna, che ne celebra le qualità.

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Trasformazione del modello cortese

Tancredi, che è presentato all'inizio della vicenda come un buon signore (« fu signore assai umano e di benigno ingegno ») e al quale spetta, feudalmente, il diritto di punire in quanto signore e padre, posto di fronte all'occasione più difficile in cui mostrare la sua virtù, non appare all'altezza della situazione:

a. diventa crudele, contraddicendo la fama di sovrano benigno in cui era vissuto;

b. dà segni di smarrimento, si abbandona al pianto, assume un comportamento « femminile » che la figlia stessa gli rinfaccia;

c. infine maschera con ragioni d'onore (tipiche del codice di comportamenti di una società feudale) la gelosia, che è la vera ragione del suo sentirsi offeso.

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Un altro esempio di analisi dei personaggi

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Tancredi

Il fatto che gli argomenti di Tancredi siano pretestuosi non significa che essi non corrispondano perfettamente ai pregiudizi effettivi di una classe. Egli identifica la virtù con l'onestà tradizionale, che esclude per la donna il rapporto extraconiugale; e biasima poi la «vilissima condizione» del giovane amante, che non si conviene, pur ammessa la libertà del rapporto, alla «nobiltà» della figlia. In questo senso Tancredi, a differenza di Ghismonda, è anche incolto, ignora le regole cortesi del proprio ambiente.

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Ghismunda

La risposta di Ghismonda pur rifacendosi nei moduli esteriori alle teorie sull'amore e sulla nobiltà d'animo (diffuse dalla lirica provenzale e stilnovistica), nella sua sostanza è polemicamente nuova, perché allarga a tutti un’etica propria di aristocrazie intellettuali. Quello che conta innanzi tutto nel suo discorso è l'accento messo sulla sostanza carnale dell'uomo: la legittimazione del «concupiscibile disidero», sul quale, quasi cavalcantianamente, insiste Ghismonda, finisce col postulare una sostanziale democrazia della natura e del sesso.

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Non vengono certo negate le differenze sociali, che sono però rinviate ai casi della fortuna, né quelle economiche, che sono attribuite alla scarsa riconoscenza dei signori; viene riaffermata la nobiltà d'animo, ed abbozzata una teoria storica sull'origine della nobiltà: tutto questo non sembra nuovo, può essere verificato da testi ormai canonici. Resta però essenziale, come punto di partenza, un'universale uguaglianza delle forze naturali.

Questa sostanziale uguaglianza di base legittima la libertà amorosa.

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Ghismunda e Francesca

Come Francesca da Rimini, anche Ghismonda è un'intellettuale, che conosce i propri testi e sa teorizzare, razionalizzare, quello che lei stessa chiama il proprio «natural peccato», seguito è vero da una dubitativa («se peccato è...»): peccato non più punibile, da Dio e dagli uomini, se realizzato senza «vergogna» di altri.

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Ghismunda e Francesca

E mentre Francesca insiste sull'ineluttabilità dell'amore («Amor, ch'a nullo amato amar perdona»), sulla propria fragilità di donna rispetto alla virtù dell'amante («mi prese del costui piacer sì forte...»), sul carattere di destino del proprio peccato e lo rinvia a un principio trascendente (Amore), Ghismonda, invece, rovescia gli argomenti, legittima la propria scelta consapevole, ed estende poi il proprio caso a una legge più generale, a un impulso all'amore che viene a tutti dalla Natura.

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Ghismonda è inflessibile nei princìpi e rigorosa nell'analisi filosofica: ma assume come persona la responsabilità di tale filosofia.

Mentre Francesca tende a giustificare il proprio peccato (e a mistificare la sua coscienza di peccatrice) ricorrendo ai testi di un dibattito ideale utilizzato in modo aristocratico, Ghismonda assume e difende il suo «natural peccato», opponendo alla falsa nobiltà del padre la dignità di una morale alla quale si attiene con fermezza.

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Ghismonda «prima» difende la sua fama con «vere ragioni», «poi» esprime la sua passione per il «molto amato cuore», e attua il suo proposito vivendo con tragica ritualità il proprio suicidio. Quel «poi» e quel suicidio isolano la grandezza di Ghismonda: ma il «prima» e le sue ragioni, rese più efficaci da quella grandezza, rimangono esemplari. Perciò molte figure femminili, nel Decameron, anche se socialmente meno elevate e intellettualmente meno consapevoli, le seguiranno.