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aprile 2009 Sostenibilità Urbana Trasmettere la Città Sostenibile monografia 01

TAO-01

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TAO – Transmitting Architecture Organ. Il primo numero del magazine monografico OAT. Sostenibilità urbana

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aprile 2009

Sostenibilità UrbanaTrasmettere la Città Sostenibile

monografia

01

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Direttore responsabileRiccardo Bedrone

reDazione Raffaella Lecchi ([email protected])Liana Pastorin ([email protected]) Via Giolitti, 1 - 10123 TorinoTel. +39 011546975Fax +39 011537447www.to.archiworld.it

segreteria Di reDazioneRaffaella Bucci ([email protected])

art DirectorFabio Sorano - Lorem

impaginazioneDavide Musmeci - Lorem

FotograFieMaurizio Pisani DieciCento (Lucio Beltrami, Gisella Molino, Mariateresa Dell'Aquila)

traDuzioniStudio RGE

stampaAGES Arti Grafiche SpACorso Traiano 124 - 10127 Torino

pubblicitàMaddalena Bertone ([email protected])

Web versionSimona Castagnotti

sponsor tecniciLorem (www.lorem.it)DieciCento (www.flickr.com/groups/diecicento)

Foto Di copertinaLucio Beltrami - DieciCento

Supplemento di OA Notizie periodico di informazione dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Torino - n. 1/2009

TAO n.1/2009www.taomag.net

consiglio oatRiccardo Bedrone, presidenteSergio Cavallo, vicepresidenteFelice De Luca, segretarioAdriano Sozza, tesoriere

consiglieriRoberto Albano Domenico Bagliani Giuseppe Brunetti Mario Carducci Mariuccia Cena Franco Ferrero Franco FranconeGiorgio Giani Elisabetta MazzolaGennaro Napoli Stefania Vola

direttore OATLaura Rizzi

consiglio FonDazione oatCarlo Novarino, presidenteFabio Diena, vicepresidente

consiglieriRiccardo BedroneDomenico Bagliani Maria Rosa Cena Franco FranconeMarcello La Rosa Claudio PapottiIvano PomeroGiuseppe PortoleseClaudio Tomasini

direttore Fondazione OATEleonora Gerbotto

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Indice

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Ai lettori di TAOEditoriale RIccaRdo BedRone

Contributors

Una politica per i cambiamenti climatici FaBRIzIo BaRBaso

Crisi globale: rischi e opportunità InteRvIsta a danIela Palma

PlaNYC 2030 RohIt t. aggaRwala

Processo, ascolto, sussidiarietà steFano mIRtI, sImone quadRI (Id-laB) con gIovannI oggIonI

Buenos Aires danIel gustavo chaIn

Il Pacchetto 20-20-20: la firma dei Sindaci InteRvIsta a domenIco mangone

Un modello per la trasformazione PIeR gIoRgIo tuRI

BdS 2040re-gener-a[c]tionchaLLenge all Energya green heart(h) for Torinobio-basseff-rewLa scienza come sinonimo di progresso PIeRo BIanuccI

Le parole dell’abitare manuela olagneRo

Come sarà la casa del futuro? Ci sarà una casa per tutti? cIno zucchI, FaBRIzIo accatIno

Un sinonimo di sostenibile. La sostenibilità è auspicabile e/o praticabile? PePPIno oRtoleva, matteo agnoletto

Qual è il rapporto tra architettura e democrazia? L’architettura crea democrazia? PIeRgIoRgIo tosonI, antonella PaRIgI

Torino: Laboratorio Democratico gustavo zagReBelsky

Che cosa ci fanno gli architetti dove si parla di democrazia?

Roundabout

Possibilità

Comunicazione

Democrazia

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ai lettori di tao

Cari lettori,

l’uscita del primo numero di TAO – Transmitting Archi-tecture Organ, un acronimo che si rifà esplicitamente alla fortunata titolazione del XXIII UIA World Congress 2008 di Torino – rappresenta una tappa significativa sulla strada che l’Ordine degli Architetti di Torino e la sua Fondazione stanno percorrendo per giungere ad una migliore relazione tra architetti e società.

Il 2008 è stato un anno spartiacque: il grande successo in termini di pubblico e di interesse suscitato, appunto, dal tema comunicare architettura ha indotto una più chiara per-cezione del ruolo degli architetti e tale cambiamento di atten-zione ha investito anche il modo di comunicare dell’Ordine.

Indubbiamente, infatti, “capire e farsi capire” è un com-pito prioritario per gli architetti, sempre più coinvolti, attra-verso il loro mandato sociale, nella ricerca della sostenibilità ambientale e della qualità del costruito come nella valoriz-zazione della “cultura del progetto”; ma lo è ancor più per l’OAT, impegnato da tempo a sostenere e promuovere con ferma convinzione questa visione.

Come primo passo, è stato deciso di non disperdere il ricco patrimonio di relazioni, conoscenza e informazioni accumulato durante il Congresso, e la prima uscita di TAO ne raccoglie l’eredità e lo spirito, condividendo con i lettori – che saranno architetti naturalmente, ma anche, si spera, committenti, imprenditori, amministratori, clienti, fruitori e cittadini – il frutto dei progetti nati in occasione del 2008.

TAO è un magazine monografico che uscirà tre volte all’anno, che si presenta in forma cartacea, ma è anche di-sponibile on-line, consultabile e scaricabile da tutti dal sito www.taomag.net e che si arricchirà nel tempo di nuovi con-tributi e approfondimenti, per essere quanto più possibile aggiornato sugli argomenti trattati.

Come è accaduto nelle scelte del Congresso, TAO non persegue – né potrebbe – l’approccio delle grandi riviste d’architettura, troppo spesso concentrate sul mondo delle eccellenze di moda, vere o presunte. TAO cerca di parlare agli architetti e ai cultori dell’architettura di buone pratiche, di procedimenti possibili, di obiettivi raggiungibili, di progetti concretamente innovativi in una prospettiva di invito al dialo-go, al miglioramento reciproco e al confronto tra esperienze locali e internazionali. Ma ha anche l’ambizione di staccarsi dalle riviste “di genere” edite dagli Ordini professionali, il più delle volte resoconto tardivo delle loro iniziative istituzionali: a questo provvede da tempo, tempestivamente e con sod-disfazione degli iscritti la newsletter digitale OA Notizie.

Ai lettori il giudizio sul primo numero dedicato a uno degli assi portanti dell’impegno scientifico dell’OAT, la “sosteni-bilità urbana”. Con la speranza che non facciano mancare commenti e suggerimenti.

Riccardo Bedronedirettore di TAO

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editoriale

La sostenibilità è il grande tema che ci assilla, la parola sempre presente, usata ormai in tutti i contesti possibili, spesso senza capirne la portata. Tuttavia, se esiste un caso in cui sostenibilità ha un valore davvero pregnante, è quello urbano. Le città sono luoghi di enorme consumo energetico, di convivenza e di immigrazione difficili, di tensione sociale antiproduttiva, di aspettative economiche indotte dal consu-mismo ma spesso frustrate.

Nelle città si gioca la partita più complicata, che met-te necessariamente insieme conoscenze e competenze le più diverse ma che ha bisogno di una regia consapevole e motivata per comporre con equilibrio le spinte e rispondere razionalmente ed equamente ai fabbisogni sociali.

Il primo numero di TAO è dedicato al tema della sosteni-bilità urbana, a partire dalla grande esperienza del progetto internazionale “Trasmettere la Città Sostenibile” presentato l’anno scorso al XXIII Congresso mondiale UIA.

Il valore del progetto procede dalla scelta di aver raccolto intorno al tema della sostenibilità urbana un comitato scienti-fico internazionale autorevole – e non soltanto rappresentanti politici locali troppo spesso vincolati a procedure e a tempi farraginosi – e dalla sua capacità di guidare il confronto con gli enti e le amministrazioni locali, gli esperti, i cittadini e le realtà pubbliche e private, che insistono o hanno interessi in quella parte di città di futura trasformazione rappresentata

Riccardo Bedrone

dall’area complessa di Basse di Stura, a nord di Torino. Un’area che potrebbe essere il trampolino di lancio per

l’applicazione delle direttive dell’Unione Europea in tema di salvaguardia ambientale in grado di consentire di reggere il confronto con le città che nel panorama internazionale si distinguono nell’aver accelerato quella trasformazione che, prima di essere urbana, politica, economica e sociale, deve essere di mentalità.

Una città, per essere “sostenibile”, ha bisogno di tenere in considerazione aspetti tecnici e sociali, per superare il disa-gio che procura ciò che non è più sopportabile: la difficol-tà di accesso alla casa di un numero sempre maggiore di persone, le nuove esigenze dell’abitare, che derivano dalla minore possibilità di spesa delle famiglie e dall’affermarsi di situazioni abitative non più tradizionali.

In fondo, è ciò che da tempo l’Unione Europea chiede ai paesi membri di affrontare: come vivere, lavorare e intrattene-re relazioni in luoghi urbani che sempre meno vengono per-cepiti come “democratici”, per evitare quel malessere della vita nelle città che ne mina la coesione e la competitività.

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Fabrizio accatinoNato a Torino nel 1971. Giornalista, ha lavorato per diverse testate prima di diventare direttore di cinema e radio, organizzatore di festival, ideato-re e curatore di eventi culturali, collaboratore del Museo Nazionale del Cinema. Da più di dieci anni è corrispondente da Torino per Radio Vaticana. È vicedirettore del RomaFictionFest e sceneggiatore per la testata a fumetti Dylan Dog. Per La7 è au-tore delle trasmissioni di cinema “25a ora” e “La valigia dei sogni”. Vive tra Torino e Roma.

rohit t. aggarwalaDirettore dell’Ufficio Pianificazione e Sostenibilità a Lungo Termine della Giunta Municipale di New York, incaricato della creazione ed implementazio-ne di PlaNYC, un piano di sostenibilità completo per la Città di New York. Nativo di Manhattan, NY, Rohit Aggarwala ha ottenuto i diplomi di Laurea, Specializzazione e Dottorato presso la Columbia University, così come un Master alla Queens Uni-versity in Ontario. Prima di lavorare per l’ammini-strazione Bloomberg, è stato consulente di dire-zione da McKinsey & Company.

Matteo agnolettoRicercatore in Composizione architettonica, presso la Facoltà di Architettura “Aldo Rossi” di Cesena. È stato capo redattore della rivista “Parametro”. Dal 2005 è collaboratore della sezione architettura alla Triennale di Milano, dove è stato curatore di sezione delle mostre “Good N.E.W.S.” (2006) e “Casa per tutti” (2008). E’ fondatore con Andrea Cavani e An-drea Zamboni dello studio di architettura ACZ, risul-tando tra i progettisti selezionati per la fase finale del Concorso per il complesso integrato della Stazione Alta Velocità a Bologna.

Fabrizio barbasoDirettore generale aggiunto DGTREN Commis-sione Europea.

riccardo bedrone Nato a Torino nel 1946, Riccardo Bedrone è profes-sore associato di Tecnica e pianificazione urbanisti-ca presso la II Facoltà di Architettura del Politecni-co di Torino. Presidente dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Torino, dal 2005 al 2008 ha ricoperto la carica di Presidente del 23 UIA World Congress Torino 2008. È il direttore responsabile di TAO, Transmitting Architecture Organ.

Piero bianucci Giornalista e curatore dal 1981 al 2005 del supple-mento «Tuttoscienze» de «La Stampa». Dal 2006 ne è consulente e collabora con il quotidiano to-rinese. Autore di libri di divulgazione scientifica e di opere di narrativa, collabora con la Rai e la Tv svizzera. E' docente a contratto presso l’Univer-sità di Torino nel corso di laurea in Scienze della Comunicazione. Da febbraio 2008 è presidente del Planetario di Torino.

daniel gustavo chainMinistro per lo Sviluppo Urbano di Buenos Aires. Architetto. Specializzato in Executive Development Program, Università della Pennsylvania. Ha parte-cipato al Programma di Preparazione Avanzata per il Coordinamento Generale di un Cambiamento Culturale Strategico, Forum Corp., Boston-USA. In passato è stato membro del consiglio accade-mico del Primo Corso Latinoamericano di Specia-lizzazione in Habitat e Povertà Umana; direttore dell’Istituto per la Casa della Città di Buenos Aires; consigliere nella Fondazione ‘Creer y Crecer’ e Co-ordinatore del Settore Ambiente, Sviluppo Urbano ed Infrastrutture; consigliere e vicesegretario nella Fondazione Nazionale del Premio Nazionale per la Qualità in Architettura ed Urbanistica.

id-labInteraction Design Lab, in breve Id-Lab è una so-cietà di design specializzata nel risolvere problemi di innovazione tecnologica. Per far questo meglio e più efficacemente, Id-Lab ha superato al suo in-terno le separazioni disciplinari. Designer, architet-ti, ingegneri meccanici e informatici, video maker e grafici, esperti di comunicazione, psicologia, mar-keting, economia e amministrazione collaborano fianco a fianco e sullo stesso piano.

doMenico MangoneDal 1996 esercita la professione di avvocato e rico-pre la carica di Giudice Onorario presso il Tribunale di Torino. Fin da giovanissimo si dedica alla politica, percorso che lo porta nel 2001 a ricoprire la ca-rica di Presidente della II Commissione Consiliare Permanente, relativa a urbanistica, edilizia privata, viabilità e trasporti, arredo urbano, edilizia e lavori pubblici. Attualmente è Assessore all’Ambiente del Comune di Torino e Presidente dell’Agenzia Ener-gia e Ambiente della Città.

steFano Mirti Torino 1968, progettista, laureatosi al Politecni-co di Torino con successivo dottorato presso lo stesso ateneo. Post-doc alla Tokyo University, ha insegnato alla Tama Fine Art School (2000/1), pro-fessore associato all’Interaction Design Institute Ivrea (2001/2005). Tra i soci fondatori e partner di Id-lab, dal gennaio 2007 è il direttore della scuola di design di NABA (Milano). Consulente di Tori-no World Design Capital 2008, è il responsabile del Piano dei Servizi del PGT della città di Milano (come Id-lab). Tiene una rubrica fissa: “Mirtilli” su Abitare on-line.

contributors

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Pier giorgio turiArchitetto e urbanista. Dal 1997 collabora con la Città di Torino per numerose iniziative (costituzione Urban Center e Laboratorio Città Sostenibile, del quale è coordinatore scientifico). È stato docente coordinatore del Master di Urbanistica partecipata promosso da Regione Piemonte e tutor del corso di Gestione urbana del Politecnico di Torino. Dal 2000 collabora con l'Ordine degli Architetti di To-rino sui temi sulla sostenibilità urbana, dal 2006 coordina la commissione OAT "Architettura e Città sostenibile". È Relatore generale dell'iniziativa "Tra-smettere la Città Sostenibile".

gustavo zagrebelsky Professore di Diritto costituzionale e Diritto costitu-zionale comparato alla Facoltà di Giurisprudenza e alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Sassari e di Torino. Dal 1995 al 2004, giudice della Corte costituzionale e, nel 2004, Presidente della Corte medesima. Attualmente, è rientrato alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino, dove insegna Giustizia costituzionale. Tra i saggi di maggior rilievo si segnalano Contro l'etica della verità (Laterza, 2008) e La legge e la sua giustizia (Il Mulino, 2009).

cino zucchiNato a Milano nel 1955, ha conseguito il Bachelor of Science in Art and Design al MIT e la Laurea in Architettura presso il Politecnico di Milano, dove svolge attività didattica e di ricerca. Insieme allo studio Zucchi Architetti ha progettato e realizza-to negli anni molti edifici pubblici, residenziali e commerciali, una serie di progetti di spazi pubblici, progetti per il ridisegno di aree agricole, industriali o storiche; ha partecipato a concorsi liberi e a inviti nazionali e internazionali.

antonella ParigiLaureata in Filosofia nel 1985 presso l’Università di Torino, inizia la sua attività professionale collabo-rando con diverse organizzazioni culturali, tra cui Movie Club e il Festival Cinema Giovani. In segui-to, si occupa per dieci anni di marketing e pub-blicità per multinazionali come Braun e Cinzano e nel 1994 fonda, con Alessandro Baricco e altri tre soci, la Scuola Holden, di cui è stata Direttri-ce fino al gennaio 2005. Dal luglio 2000 al 2005 è consigliere d’amministrazione del Teatro Stabile di Torino e vice-presidente della Fondazione Cir-cuito Regionale. Nel 2005 sviluppa Torino Spiritua-lità di cui attualmente è Presidente del Comitato organizzatore e nel 2006 per conto della Regione Piemonte ha dato vita al Circolo dei Lettori, che attualmente dirige.

siMone QuadriMilano 1980, laureato in Scienze del Turismo e Co-munità Locale presso l’Università Bicocca di Milano. Dal 2007 lavora in Id-Lab dove segue vari progetti; dal giugno 2008 collabora al Piano dei Servizi del PGT della Città di Milano. Assistente dei corsi di “Marketing” e “Urban design” alla scuola di design di NABA (Milano).

Piergiorgio tosoniPiergiorgio Tosoni (1944) è professore ordinario di Composizione architettonica e urbana presso la Facoltà di Architettura 2 del Politecnico di Torino. Ha condotto analisi sul tema della casa a basso costo e dell’edilizia popolare in Italia. Ha svolto studi e ricerche sui caratteri morfologici e tipolo-gici dei tessuti storici di diverse città piemontesi: Torino, Nichelino, Moncalieri, Rivalta Torinese, Acqui Terme, Cuneo, Ivrea, che hanno costituito parte integrante di piani e di progetti urbanistici di riqualificazione e tutela dei beni culturali ambientali di quelle città.

giovanni oggioniDirettore Settore Pianificazione Urbanistica Gene-rale del Comune di Milano.

Manuela olagneroDocente di Sociologia presso l’Università degli Studi di Torino, ha condotto studi sulle élites poli-tiche e intellettuali, sui processi di terziarizzazione, sui fenomeni di diseguaglianza sociale connessi alla transizione post-fordista. Dal 2003 partecipa al network di ricerca "Monitoring Living Conditions and Quality of Life in Europe". Dal 2004 partecipa ai lavori di ricerca della Associazione Torino Inter-nazionale. Attualmente fa parte del gruppo di ricer-ca PRIN su Analisi biografica delle transizioni.

PePPino ortolevaStudioso di Storia e teoria dei mezzi di comuni-cazione, curatore di mostre, musei e programmi radiofonici. Dal 1986 ha affiancato alla sua attività un'intensa attività professionale nel campo della ricerca sulla comunicazione e della produzione culturale, prima con la società Cliomedia di Torino, poi dal 2001 con la Mediasfera di Firenze, di cui è presidente. Dal 1992 insegna Storia e teoria della comunicazione all'Università degli Studi di Torino di cui è diventato professore ordinario nel 2005.

daniela PalMaLaureata nel 1989 in Scienze Statistiche ed Eco-nomiche su temi dell'Economia Internazionale (Università degli studi di Roma “La Sapienza”). Ha conseguito nel 1995 il Dottorato di Ricerca in Ana-lisi Economica Matematica e Statistica dei Feno-meni Sociali. Ricercatrice Enea dal 1990 nelle aree dell'economia dell'innovazione e dello sviluppo sostenibile, coordina dal 1999 le attività dell'Os-servatorio Enea sull'Italia nella Competizione Tec-nologica Internazionale.

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Possibilità

sostenibilità può essere contemporaneamente un'idea, uno stile di vita, un modo di produrre

un cambiamento sostenibile a partire dalle trasformazioni urbane

la strada della sostenibilità è possibile ed è già stata intrapresa: alcuni dei modi concreti per raggiungere l’obiettivo. che è garantire una possibilità di sopravvivenza al pianeta

la sostenibilità può essere una chiave di lettura che consenta di riesaminare e reinterpretare l‘approccio alla pianificazione territoriale e al costruire

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lo sviluppo sostenibile non compromette la possibilità delle future generazioni di perdurare nello sviluppo, preservando la qualità e la quantità del patrimonio e delle riserve naturali

la possibilità di uno sviluppo sostenibile sembra indicare una contraddizione in termini, come dire che comprando le cose giuste possiamo risparmiare a fine mese

l'economia sostenibile può salvare la terra

gli indirizzi sovranazionali: cosa propone la commissione europea nell’intervento al congresso mondiale degli architetti torino 2008

l’aggiornamento del dibattito sulla sostenibilità in tempi di crisi mondiale

new york

milano

Buenos aires

torino

4 città alle prese con lo sviluppo sostenibile

crisi globale:rischi e opportunità

daniela Palma

una politica sui cambiamenti climatici

Fabrizio Barbaso

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8 — Possibilità

una politica sui cambiamenti climatici

Progetto CONCERTO

CONCERTO è un’iniziativa, nell’am-bito del nostro programma quadro europeo di ricerca, volta a promuo-vere una grande quantità di fonti di energia rinnovabile e un uso efficiente dell’energia nelle città. Dopo vent’an-ni di sostegno al settore immobiliare per lo sviluppo e la presentazione di tecnologie sostenibili, ci siamo resi conto che tali tecnologie non riesco-no ad affermarsi a sufficienza sul mer-cato. Ancora oggi, sono solo migliaia, e non milioni, le case a bassissimo impatto energetico. Ancora oggi, la stragrande maggioranza delle case in costruzione sono destinate ad avere prestazioni energetiche decisamente scarse, associate a poca comodità, scarsa attenzione per gli aspetti igie-nico-sanitari e costi energetici elevati. Case di questo tipo, attualmente, non hanno alcun senso in termini econo-mici, sebbene al giorno d’oggi siano ancora una realtà.

metà delle emissioni di gas ad effetto serra vengono create in città, dalle cit-tà. Pertanto le città del futuro dovran-no svolgere un ruolo fondamentale nel contrastare questo nostro problema climatico. L’approccio deve essere in-tegrato, a lungo termine e, soprattutto, basato sulla partecipazione dei cittadi-ni. Si tratta di un quadro complesso che può essere gestito al meglio a livello lo-cale. Le città, quindi, devono diventare i fautori preminenti dell’implementazione di politiche energetiche sostenibili, ed il loro impegno va sostenuto.

Attualmente, a livello europeo, abbia-mo già intrapreso numerose iniziative specifiche a favore delle città e del loro sviluppo energetico sostenibile. Come il Patto dei Sindaci. In breve, ciò significa che le città che decidono di aderire a tale patto si impegnano ufficialmente a raggiungere e a superare l’obiettivo di riduzione del 20% delle emissioni di CO2, attraverso lo sviluppo e l’imple-mentazione di un piano d’azione ener-getico sostenibile.

Le Città, l’Energia e la Politica sui Cambiamenti Climatici

Le città sono il fulcro dell’attuale società moderna: l’80% degli abitanti dell’Unione Europea vive in città. Nel-le città, comprese le zone periferiche, avviene l’80% del consumo finale di energia, nelle case, negli edifici adibiti ad uffici e per i trasporti.

A partire da marzo 2007, l’Unio-ne Europea ha adottato una politica energetica e sui cambiamenti climatici dagli obiettivi estremamente ambiziosi per un uso efficiente dell’energia (20%) e con obiettivi vincolanti (riduzione del 20% delle emissioni di CO2 e raggiun-gimento del 20% di energie rRinnova-bili) entro l’anno 2020.

Tali obiettivi vincolanti sono stati con-cordati dai Capi di Stato e dai Governi. Ma i cambiamenti climatici, come ben sappiamo, rappresentano un proble-ma globale, a cui va data soluzione a livello prevalentemente locale. Oltre la

le esperienze e gli indirizzi dell’unione europea in relazione a città e energia.2 luglio 2008Intervento al XXIII uIa world congress torino 2008 Fabrizio Barbaso

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Possibilità — 9

CONCERTO ha dimostrato che le comunità a zero impatto energetico e a zero emissioni di CO2 sono una cosa possibile su ben più vasta scala, e maggiormente economiche rispetto all’ottimizzazione di ogni singola casa in termini energetici e di emissioni di CO2. CONCERTO ha anche dimostrato che le case ad alte prestazioni sono una necessità assoluta per ottenere città ad alte prestazioni. Alcuni edifici aventi prestazioni estremamente scarse, a se-guito dei lavori di ristrutturazione hanno mostrato una riduzione del consumo energetico che va dall’80 all’85%.

Direttiva sulle Prestazioni Energetiche degli Edifici (EPBD)

In Europa, il 40% del consumo fi-nale di energia deriva dal settore im-mobiliare. Siamo inoltre pienamente consapevoli del fatto che nell’UE po-tremmo risparmiare, in modo econo-micamente vantaggioso, fino al 28%

dizioni, aspettative e convinzioni della popolazione locale, ecc.

Attualmente la Commissione sta of-frendo sostegno finanziario per progetti CONCERTO a 47 città in 18 Paesi euro-pei. Ma non esistono due progetti simili tra loro. Tuttavia, durante le riunioni in-dette regolarmente fra i coordinatori di CONCERTO vengono scambiati esempi di buona prassi, insegnamenti appresi a seguito di esperienze negative, ecc., con grande professionalità ed entusiasmo.

Attualmente, oltre un milione di citta-dini vivono o lavorano in case ed uffici nell’ambito delle 47 comunità CON-CERTO, con una riduzione del consu-mo energetico che va dal 50 al 70%, mentre la rimanenza proviene da fonti di energia rinnovabile. Quindi, in media, le comunità CONCERTO sono prossi-me alla neutralità per quanto riguarda le emissioni di CO2. Il fulcro di ogni sin-gola comunità CONCERTO è un gran numero di edifici ad altissime presta-zioni, molto più elevate rispetto ai re-quisiti richiesti dalla direttiva EPBD.

CONCERTO, quindi, intende per-seguire una strada diversa: invece di ottimizzare i singoli edifici a livello di costi e di prestazioni energetiche, l’ottimizzazione viene attuata su co-munità o zone più vaste della città. Il principio basilare consiste nel dimo-strare che l’ottimizzazione, nell’ambi-to di una comunità più vasta, risulta più vantaggiosa economicamente, comportando allettanti ritorni sugli in-vestimenti. L’innovazione necessaria consiste nell’integrazione di fonti di energia rinnovabile e in un uso effi-ciente dell’energia.

Ogni progetto CONCERTO deve po-ter contare su un direttore d’orchestra eccellente, nella persona del coordi-natore, e su uno spartito eccellente, il programma di lavoro. Non esistono re-gole che possano valere per tutti: ogni città, ogni comunità è diversa dalle altre. Sono necessari strumenti diffe-renti per poter affrontare i problemi e le barriere a livello di tecnologia, finan-ziamenti, quadri normativi, clima, tra-

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dell’energia consumata negli edifici entro il 2020. Questo, a sua volta, po-trebbe andare a ridurre il nostro con-sumo finale complessivo di energia dell’11% circa. Per quanto riguarda le emissioni di CO2, nell’ultima relazione del Gruppo Intergovernativo sui Cam-biamenti Climatici è stato calcolato che, a livello mondiale, circa il 30% delle emissioni di gas ad effetto serra previste nel settore immobiliare pos-sono essere evitate, con netti vantag-gi economici entro il 2030.

Ai fini di sfruttare appieno le con-siderevoli potenzialità in materia di risparmio energetico in tutta Europa, nel 2002 è stato adottato un approc-cio innovativo mirato ad edifici ad alta efficienza energetica, attraverso la Direttiva sulle Prestazioni Energeti-che degli Edifici. Il principale obiettivo di tale Direttiva è quello di promuo-vere il miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici attraverso requisiti minimi in materia di presta-zioni energetiche, certificazione delle prestazioni energetiche, così come ispezioni regolari di caldaie ed im-pianti dell’aria condizionata.

La legislazione dell’UE attualmente tutela 480 milioni di abitanti che vi-vono in circa 206 milioni di case. Ciò significa un vastissimo mercato per il settore edilizio, elettrodomestici ed apparecchiature tutelati dai requisiti minimi di efficienza richiesti dall’UE, etichette riportanti le prestazioni ed altre normative. Grazie all’implemen-tazione di tale Direttiva, si stanno creando nuovi posti di lavoro in tut-ta Europa, molti dei quali in piccole e medie imprese. Stanno emergendo nuove opportunità commerciali, ad esempio per gli architetti, in quanto sono necessari dei liberi professio-nisti per la certificazione delle pre-stazioni energetiche degli edifici, per fornire consulenze su come miglio-rarne le prestazioni energetiche e per realizzare le ispezioni su caldaie ed impianti dell’aria condizionata.

Il settore immobiliare può fornire un contributo determinante per rag-giungere l’obiettivo di ridurre del 20% il nostro consumo di energia prima-ria entro il 2020. Alla luce di quanto esposto, attualmente la Commissione sta prendendo in considerazione la possibilità di riformulare la Direttiva sulle Prestazioni Energetiche ai fini di

porre rimedio alle mancanze ancora esistenti nell’implementazione e di trarre maggiori vantaggi dall’enorme potenzialità in materia di risparmio energetico nel settore immobiliare.

Ci siamo posti degli obiettivi estre-mamente ambiziosi, per quanto ri-

guarda la suddetta riformulazione. Attualmente, la Direttiva ha un campo d’applicazione ristretto, in quanto si limita a regolamentare la nuova co-struzione o la ristrutturazione di grandi edifici, che rappresentano solo il 30% circa della totalità dei nostri edifici. Inoltre, alcuni dei requisiti sulle presta-zioni energetiche, in vari Stati Membri, non risultano ottimali a livello di costi, e non tutti i certificati emessi attual-mente sono di qualità soddisfacente.

Pertanto, in base alle esperienze maturate nell’ambito dell’attuale im-plementazione della Direttiva, sono stati individuati elementi basilari che devono essere rafforzati o ulterior-mente chiariti nella Direttiva, senza andare a modificare i requisiti fon-damentali della versione attuale. Ad esempio, una possibile opzione po-trebbe essere quella di ampliare il campo d’applicazione della Direttiva, per poter assoggettare a regolamen-tazione un maggior numero di edifici, nel momento in cui vengono realiz-

Ai fini di sfruttare appieno le considerevoli potenzialità in materia di risparmio energetico in tutta Europa, nel 2002 è stato adottato un approccio innovativo mirato ad edifici ad alta efficienza energetica

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zate grandi opere di ristrutturazione. Ulteriori possibili opzioni potrebbero consistere nel rafforzare i requisiti per i certificati sulle prestazioni energeti-che, così come per l’ispezione di cal-daie ed impianti dell’aria condiziona-ta. Tali proposte porteranno a nuove opportunità di lavoro per architetti ed altri professionisti coinvolti nella pro-gettazione, costruzione, ristruttura-zione e certificazione degli edifici.

Comunicazione

La tecnologia e la legislazione sono strumenti necessari per un cambio di rotta nel settore edilizio, ma la consa-pevolezza dei cittadini, la loro richie-sta attiva di edifici migliori e progettati in modo più intelligente, la loro com-prensione dell’importanza dell’uso dell’energia a casa e sul posto di lavoro, sono gli elementi trainanti fondamentali. Dobbiamo informare ed educare la popolazione sulle op-portunità e sui vantaggi offerti dagli

edifici a basso impatto energetico, non solo in termini di costi energetici o di un ambiente domestico più sa-lutare, ma anche per promuovere la creazione di nuovi posti di lavoro e, in generale, lo sviluppo a livello locale. Noi possiamo offrire il nostro contri-buto su scala europea, ma i cittadini devono essere convinti da professio-nisti competenti del posto. Anche in questo caso, è fondamentale che gli architetti siano in grado di consiglia-re al meglio i propri committenti e di spingere gli operatori del settore ver-so la costruzione di edifici migliori, sia in termini di benessere che di presta-zioni energetiche.

Come recentemente affermato dall’architetto Fernando Navarro, si deve sempre tenere presente che il progetto di ogni singolo edificio con-tribuisce ad aumentare le emissioni di CO2 per un lungo lasso di tempo. Solo edifici progettati in modo intelli-gente saranno in grado di contrastare tale tendenza. La società riuscirà a

porre un limite alle emissioni solo se gli architetti sapranno fare uso delle loro conoscenze e della loro buona volontà per contrastare il problema.

Gli architetti devono essere soste-nuti da un ordinamento intelligente e dalla giusta volontà politica. È a que-sto punto che devono entrare in gioco i sindaci e le amministrazioni cittadine, creando le opportune condizioni nor-mative ed offrendo il giusto supporto a livello locale.

Su scala europea, possiamo offrire il massimo sostegno sia in termini di ordinamento politico che di finanzia-menti. Ma il cambiamento avrà luogo grazie a decisioni prese localmente, stimolate dal nostro comune operato in tutta Europa. Conto sugli architetti, affinché facciano in modo che possa avvenire il suddetto cambiamento. Gli architetti possono contare sulla Commissione Europea, continuando a riporre ambizioni ed a mostrare en-tusiasmo nell’ambito delle prestazioni energetiche degli edifici.

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12 — Possibilità

doManda Il protrarsi della crisi eco-nomica mondiale sta modificando l’approccio alle tematiche ambientali: dalle politiche dell’Unione Europea alla campagna elettorale di Barack Obama in tutto il mondo si chiede alle strut-ture produttive di ciascun paese di adattarsi alle esigenze ambientali. Crisi economica e riconversione produttiva sono compatibili?risPosta La crisi economica è seria e la questione climatica sempre più stringente, due fatti che, insieme, por-terebbero a pensare a una ineluttabi-lità degli eventi. È bene però rammen-tare gli aspetti “rigenerativi” delle crisi sul sistema economico. Senza andare troppo indietro nel tempo, bastereb-be infatti ricordare, pur con le dovute distinzioni, la crisi che ha coinvolto le economie industrializzate negli anni ’70 sulla scia degli shock petroliferi. Siamo passati dalla “fabbrica fordista” all’“automazione flessibile” che ha ac-compagnato non solo la razionalizza-zione energetica ma anche un’impor-

tante evoluzione dei consumi. Quel periodo è stato lo spazio d’incubazio-ne della rivoluzione dell’elettronica e dell’informatica di cui ancora oggi par-liamo. Venendo al tempo presente non possiamo non osservare come l’inizio di un percorso sia già stato segnato.

Questo lo vediamo immediatamente se guardiamo all’Unione Europea che di recente, con il suo “Pacchetto Cli-ma-Energia”, meglio noto come “Pac-chetto 20-20-20” (che prevede, entro il 2020 e per l’Europa nel suo insieme, una riduzione del 20% rispetto al 1990 delle emissioni di gas serra, una pro-

duzione del 20% della domanda finale di energia da fonti rinnovabili ed una riduzione del 20% dei consumi ener-getici) ha inteso “segnare il passo” del cambiamento definendo obblighi pre-cisi per i suoi Stati Membri. Ma questo cambiamento si è già messo in moto e, sotto il profilo del “rinnovamento” del sistema produttivo, cominciano già ad esserci studi che pongono in evidenza l’effetto “virtuoso” della re-golamentazione ambientale sui pro-cessi innovativi. Sempre con riferimento all’Unione Eu-ropea registriamo già una vocazione alle politiche per lo sviluppo di tecno-logie per la produzione di energia da fonti rinnovali nel piano di sviluppo tecnologico riflesso nel cosiddetto Set-Plan del novembre 2007. La “con-sapevolezza” del periodo di crisi può imprimere senz’altro un’accelerazione a questo disegno.d L’emergenza della crisi economi-ca non comporta rischi aggiuntivi per l’ambiente, che potrebbe essere mes-

crisi globale:rischi e opportunitàconversione produttiva, ambiente e innovazione possono essere la chiave per uscire dalla crisi intervista a Daniela Palma

Non è un caso che già diversi paesi abbiano iniziato a generare competenze tecnologiche in campo ambientale facendosi attori di questa nuova fase dell’innovazione nei sistemi industriali

Page 15: TAO-01

Possibilità — 13

so in secondo piano rispetto a neces-sità economiche e sociali di più imme-diato riscontro?r Certamente, siamo esposti a questo rischio. Né si può negare che il fronte dell’emergenza debba attivare del-le azioni che arginino nell’immediato le conseguenze prossime della crisi. Tuttavia è pur vero che si possono im-primere delle “direzioni” alle azioni che si intraprendono, quantomeno evitan-do di fare errori marchiani. In Italia, ad esempio, qualunque sia l’emergenza che si ha di fronte, e qualunque sia la portata dell’emergenza (ieri i richiami di Maastricht, oggi la crisi internazio-nale) si pensa a decurtare risorse dal mondo della conoscenza che inizia dalla formazione “primaria” per arriva-re al complesso dell’attività di ricerca. Ma questo è il vero carburante del futuro e, a dire il vero, l’hanno capito non solo i maggiori paesi industriali, ma anche gli “emergenti” (Cina, India, solo per citare i più evidenti). E non è un caso che già diversi paesi abbia-

no iniziato a generare competenze tecnologiche in campo ambientale facendosi attori di questa nuova fase dell’innovazione nei sistemi industriali. Probabilmente la crisi può rallentare, momentaneamente, questo proces-so, ma non arrestarlo, né tanto meno invertirne la rotta.d La svolta nucleare è convincente? Non è un pericoloso caso di dipen-denza energetica che si trasforma in una ancora più pericolosa dipenden-za tecnologica?r L’Italia ha accumulato fin dalla se-conda metà degli anni ’80 un defi-cit di competenza nelle tecnologie avanzate, essendo riuscita, fino a tempi non lontani, a gestire la propria competitività nell’ambito dei settori “tradizionali”. Questo di per sé non è un male. Il problema è però che il mondo va in un’altra direzione e il no-stro, che è pur sempre un paese ad industrializzazione avanzata, “consu-ma” innovazione senza “produrne”. E aggrava così i suoi conti con l’estero.

L’assenza di un adeguato “sistema nazionale d’innovazione” ci porta, paradossalmente, a peggiorare la si-tuazione. È un sistema che funziona “al ribasso”, che non riesce, perché non può per costruzione, a esprimere una domanda di risorse qualificate, dimostrando, conti alla mano, che le (poche) spese in ricerca sono spreca-te. Ma sappiamo bene che quei pochi soggetti sparuti (pubblici o privati che siano) la ricerca la fanno bene (se non meglio, se guardiamo all’efficienza, date le risorse!) dei paesi con cui è lecito il confronto. E allora che dire? Non ci può essere nessuna svolta se non si assume il senso di una politi-ca tecnologica. Siamo così destinati a comprare da tutti tutto quello che le più avanzate tecnologie energeti-che possono offrire. Il mercato delle nuove tecnologie energetiche si va sempre più conformando come un nuovo oligopolio dove chi fissa i prez-zi li impone. Ieri c’erano le Sette So-relle, domani ci saranno i nostri vicini europei. E, continuando a perdere in competitività, perderemo posti di la-voro, anziché guadagnarne, come si dovrebbe da questa nuova “opportu-nità epocale”.d C’è qualcosa che il mondo dell’archi-tettura e dell’edilizia dovrebbero fare?r L’architettura, con i suoi nuovi indirizzi nella edilizia bio-climatica e nell’urbani-stica, può certamente essere pensata come un attore “in presa diretta” di tut-to il processo di riconversione produtti-va e tecnologica di cui abbiamo parlato finora. E poiché il “senso comune” dei nuovi processi d’innovazione attenti all’ambiente vorrebbe essere quello di promuovere un’attenzione speciale per la qualità dello sviluppo, l’architettura può contribuire in un senso più ampio a progettare la direzione verso uno svi-luppo di alta qualità. Che deve essere progettato, prima ancora che realizza-to. Perché è anche di “progettazione” che i nuovi processi di innovazione si vanno sempre più alimentando.

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14 — Possibilità

PlaNYC è un piano mirato alle "barriere fisi-

che", per preservare e migliorare la qualità

di vita dei cittadini di New York per i prossi-

mi 25 anni. Tra tali barriere, sono comprese

tre sfide fondamentali che la città si ritrove-

rà ad affrontare in futuro:

1) La popolazione cittadina è in espansio-

ne. Entro il 2030, si prevede che la popo-

lazione della città sia destinata ad espan-

dersi fino ad un milione di persone.

2) Le infrastrutture cittadine stanno diven-

tando obsolete. Entro il 2030 quasi tutte

le principali reti infrastrutturali della città

avranno superato il secolo di vita.

3) L’ambiente, in città, è sempre più a ri-

schio ed ha già subito gli effetti del riscal-

damento globale, comprendenti l’aumento

del livello del mare e delle temperature.

PlaNYC è volto ad affrontare queste sfide,

suddivise in sei aree chiave: terra, acqua,

trasporti, aria, energia e cambiamenti clima-

tici. Ciascuna parte del PlaNYC contribuirà

alla realizzazione di una tabella di marcia, al

fine di ottenere una riduzione del 30% dei

gas ad effetto serra, così come un miglio-

ramento della qualità dell’aria e dell’acqua,

aumentando anche l’offerta di trasporti.

Il piano è mirato, tramite un approccio in-

terdisciplinare e globale, alle tre colonne

portanti della sostenibilità, ossia sviluppo

economico, ambiente e giustizia sociale,

grazie a 127 iniziative intraprese per mi-

gliorare l’ambiente fisico della città e per

Planyc 2030ottenere miglioramenti tangibili in tutti e

tre i citati aspetti della sostenibilità. Il pro-

cesso di pianificazione, peraltro, è stato

estremamente completo, grazie al con-

tributo di oltre 20 enti cittadini, di centi-

naia di membri del personale municipale,

di università locali ed istituti di ricerca, di

svariati gruppi di soggetti interessati e di

un Comitato Consultivo per la Sostenibili-

tà costituito da diciassette membri.

www.nyc.gov/html/planyc2030

Rohit T. Aggarwala

Territorio 1. Realizzare sufficienti alloggi per la crescente popolazione 2. Assicurare un parco a 10 minuti di distanza a piedi per tutti gli abitanti 3. Bonificare tutte le aree contaminate

Acqua 4. Sviluppo della rete idrica (sistemi di recupero) 5. Apertura del 90% delle vie d’acqua e protezione delle aree naturali

Mobilità 6. Miglioramento dei tempi di spostamento (aumento della capacità di trasporto) 7. Raggiungimento del “State of Good Repair” dei sistemi di trasporto

Energia 8. Aggiornamento delle infrastrutture energetiche per fornire energia pulita

Aria 9. Ottenere l’aria migliore fra tutte le grandi città in America

Clima 10. Riduzione delle emissioni di riscaldamento globale del 30%

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Possibilità — 15

Processo, ascolto, sussidiarietàTRE PUNTI CHIAVE

In primo luogo si deve avere un’idea

chiara, definita, pratica: un obiettivo, una

finalità. Secondo: bisogna avere tutti i

mezzi necessari al raggiungimento degli

obiettivi: conoscenza, denaro, materiali e

metodi. Terzo: aggiusta tutti i tuoi mezzi

in funzione degli obiettivi (Aristotele)

Il Piano dei Servizi per Milano nasce da

tre concetti chiave: l’ascolto della città ri-

ferito ai Nuclei di Identità Locale, l’idea di

sussidiarietà e il concetto per cui il Piano

non è un prodotto, quanto piuttosto un

processo continuo.

Per ascolto della città ci riferiamo a più

di centocinquanta incontri pubblici in

tutta Milano, a un monitoraggio costante

di tutti i mass-media rispetto a qualsiasi

tematica riferita ai servizi (pubblici e pri-

vati) per la città e all’acquisizione di tutte

le informazioni girateci dall’ufficio recla-

mi (ovviamente limitandosi a quelle che

hanno a che fare con i servizi erogati dal

soggetto pubblico).

Per sussidiarietà si intende un principio

grazie al quale il soggetto pubblico fa

in modo che singoli e gruppi possano

impegnare la propria iniziativa e respon-

sabilità, impostando ogni ambito della

propria vita come meglio credono, risol-

vendo da soli i propri problemi. In questo

modo, si uniscono il massimo di libertà,

di democrazia e di responsabilità, sia

personale che collettiva.

Infine, il terzo concetto chiave è quello riferi-

to al progetto del metodo (flusso continuo).

Tradizionalmente il piano dei servizi è in-

Stefano Mirti e Simone Quadri (Id-Lab) con Giovanni Oggioni

teso come “prodotto”, come una mappa

rigida che fissa dei vincoli riferiti ad aree

precise. Nel nostro caso, è stato proget-

tato un processo, da iterarsi continua-

mente garantendo un meccanismo di

affinamento e di miglioramento costante.

Leggi l'intero articolo su www.taomag.net

Page 18: TAO-01

16 — Possibilità

Buenos Aires mostra un certo squilibrio

nei suoi aspetti socioculturali, economi-

ci, abitativi e a livello di popolazione. Le

attuali politiche governative sono volte al

ripristino dell’equilibrio.

Una parte fondamentale della strategia

statale risiede nel consolidamento del

programma, mirato a compensare il sud-

detto squilibrio e ad ottenere una città

che sappia essere sostenibile dal punto

di vista economico, sociale, ecologico,

tecnologico e politico.

Buenos Aires è affetta da asimmetrie che

tendono a rafforzarsi fra loro.

La strategia governativa consiste nel ridare

equilibrio alla città tramite politiche riprese

dal PIANO AMBIENTALE URBANO, la le-

gislazione di riferimento per l’orientamento

delle azioni di pianificazione del territorio a

livello di equilibrio e di sviluppo urbano. Nelle

opere pubbliche, così come nelle attività pri-

vate. Tale legislazione integrata trae fonda-

mento dal concetto di sviluppo sostenibile.

Sono cinque gli slogan su cui è basato il

Piano Ambientale Urbano:

CITTÀ INTEGRATA

Inerente il collegamento di tutte le aree ur-

bane, in particolare la zona Sud, al resto

della Città. Il collegamento della città con i

fiumi che la circondano ed il collegamen-

to dell’intera Città con i propri sobborghi,

con cui forma un’unica grande metropoli

CITTÀ POLICENTRICA

In quanto consolida la gerarchia della

grande zona centrale e, contemporane-

amente, promuove una rete di centri se-

condari, comunali e limitrofi, aventi la loro

personale identità

CITTÀ PLURALISTA

La città pluralista è uno spazio in cui pos-

sono convivere tutti i ceti sociali. Offre un

habitat dignitoso ai gruppi aventi scarse

capacità economiche, ed è accessibile

alle persone aventi capacità differenziate.

CITTÀ SALUBRE

La Città deve offrire condizioni di abita-

bilità atte a garantire qualità ambientale,

infrastrutture idrosanitarie e fognarie, pre-

venzione di inondazioni ed una soluzione

per lo smaltimento dei rifiuti.

CITTÀ DIVERSIFICATA

La Città deve saper essere all’altezza del-

la propria molteplicità di attività e di mo-

dalità residenziali.

www.parquecivico.buenosaires.gov.ar

Buenos airesDaniel Chaín

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Possibilità — 17

doManda Quali sono state le tappe di avvicinamento alla firma per Torino?risPosta Il Patto dei Sindaci è stato pre-sentato per la prima volta a Bruxelles nel gennaio dello scorso anno, nell’ambito della Settimana Europea dell’Energia Sostenibile e successivamente al Con-gresso Mondiale degli Architetti, tenutosi a Torino lo scorso mese di luglio. La Città vi ha aderito formalmente con una Deli-bera della Giunta Comunale del maggio 2008 ed una del Consiglio del gennaio di quest’anno. E poi Bruxelles per la sotto-scrizione ufficiale del Patto da parte delle Città Pioniere, Torino in testa.d La Commissione Europea impone l’elaborazione di un Piano d’Azione Energetico entro i prossimi 10 mesi: quali strategie metterà in campo la Cit-tà di Torino?r Il lavoro è appena iniziato e sarà certa-mente complesso, anche perché ci im-pegna nel creare una rete di contatti con altri enti coinvolti nelle tematiche energe-tiche. Penso per esempio a IRIDE, GTT, AMIAT, Agenzia Energia e Ambiente di

Torino che hanno già promosso azioni in questo campo sul territorio.Le azioni da inserire nel Piano non sono definite a priori ma saranno frutto di verifiche e confronti condivisi con sog-getti istituzionali, sociali ed economici, anche esterni alla struttura comunale, nei confronti dei quali l’Amministrazione assume un ruolo di coordinamento.Principio fondamentale è l’individua-zione di azioni concretamente realizza-bili e per le quali sono già stati reperiti fondi (contributi regionali, ministeriali, europei). Mi riferisco per esempio alla mobilità sostenibile, per la realizzazio-ne di azioni previste nel Piano Urbano della Mobilità Sostenibile della Città, ma anche alle azioni previste nel Piano triennale integrato della Città “Sosteni-bilità energetica come fattore di svilup-po”, ammesse a cofinanziamento dalla Regione Piemonte.d Il Patto tra i Sindaci è soprattutto un patto con i propri cittadini. Alcune città firmatarie, particolarmente vir-tuose, garantiscono una diminuzione

del 40% delle emissioni di CO2, inci-dendo prevalentemente su trasporti e costruzioni. E Torino?r Intendiamo proseguire sulla strada già intrapresa di disincentivazione dell’uso dell’auto privata, almeno di quelle più in-quinanti. Dal prossimo autunno, il blocco di circolazione su tutta la città potrebbe essere esteso anche ai veicoli Euro 2 diesel con più di dieci anni.Non dimentichiamoci che Torino è fra le grandi città italiane quella più teleriscal-data, con una volumetria di 40.000 me-tri cubi. Una realtà che si incrementerà e che consentirà di ridurre di molto le emissioni inquinanti in atmosfera, grazie all’eliminazione delle caldaie tradizionali. Poi c’è il fotovoltaico. Abbiamo reso disponibili incentivi economici in conto capitale, per un totale di 200.000 euro, per i cittadini che intendano dotarsi di un impianto fotovoltaico. Inoltre, grazie al progetto “10.000 Tetti FoTOvoltai-ci” dell’Agenzia Energia e Ambiente, il costo dell’impianto può essere intera-mente coperto dalle banche.

Il Pacchetto 20-20-20la firma dei sindaciIl 10 febbraio a Bruxelles oltre 400 città e la commissione europea hanno firmato il covenant of mayors Intervista a domenico mangone

Page 20: TAO-01

comunicazione

la comunicazione finalizzata alla sostenibilità è (solo) comunicazione ambientale?

Parliamo di sostenibilità. Facciamo sostenibilità: qui e ora

Per modificare gli stili di vita e rivedere l’approccio ai consumi, siano essi di energia o di suolo, per avere il coraggio di innovare in un momento di profonda e generalizzata crisi, diventano essenziali il tema dell’educazione e della comunicazione, in grado di agire come acceleratori di consapevolezza culturale e di indirizzare le scelte strategiche future

Per ottenere l’obiettivo della sostenibilità è necessario aumentare la percezione sociale del rischio

Page 21: TAO-01

l’architettura, come la comunicazione, è partecipazione, diffusione, divulgazione, educazione, trasmissione

se fino ad oggi il messaggio che emerge dalla pubblicità è quello che vuole l’uomo di successo sul fuoristrada, oggi con le comunicazioni pubblicitarie dobbiamo trasmettere un nuovo stile di vita che vede l’uomo brillante in bicicletta

sviluppo sostenibile è un ossimoro

Bds 2040

5 visioni del futuro dell’area di Basse di stura

re-gener-a[c]tion

challenge all energy

a green heart(h) for torino

bio-basse

ff-rew

un modelloper la trasformazione

Pier giorgio turi

la scienzacome sinonimo di progresso

Piero Bianucci

Il racconto di un grande progetto su un pezzo di città che è soprattutto un progetto di comunicazione di sostenibilità urbana.

Il punto di vista del comunicatore scientifico: gli obiettivi da tenere presenti quando si parla di sostenibilità

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20 — comunicazione

infrastrutture e sulla qualità dello spa-zio urbano e architettonico. Una sfida che travalica la sola dimensione tecni-ca e richiede nuovi atteggiamenti cul-turali di fronte ai grandi cambiamenti imposti dalle crisi ambientali, energe-tiche e finanziarie che caratterizzano questo particolare periodo storico.

L’iniziativa “Trasmettere la Città Sostenibile” nasce come un grande patto per affrontare il tema della so-stenibilità urbana. Il progetto, avviato nel 2006 dalla Città di Torino e dal-la Fondazione OAT, si è tradotto, in occasione del XXIII Congresso Mon-diale degli Architetti UIA Torino 2008, in un ampio protocollo d’intesa attra-verso il quale numerosi attori pubblici e privati hanno espresso la volontà di contribuire a un più equilibrato svi-luppo della città.

Alla base del progetto c’è la con-statazione che a livello nazionale e internazionale il dibattito legato alla città e alla sua architettura in termini di sostenibilità, seppur ampio e ricco di sollecitazioni, si confronta con una realtà povera di esperienze concre-te. Tuttavia, lavorare verso una città “sostenibile” – con tutta l’ambiguità di questo abusato termine – è un percorso ineludibile, che richiede condivisione di princìpi e vaste cono-scenze per delineare strategie e defi-

nire azioni efficaci nel breve, medio e lungo termine.

I temi da affrontare sono molti: dal miglioramento della qualità di vita negli spazi urbani, alla promozione di nuovi modi di costruire la città con interventi integrati sull’ambiente, sull’uso delle risorse, sulla mobilità, sui tempi, sulle

un modelloper la trasformazionel’esperienza del progetto trasmettere la città sostenibile: think global, act local Pier Giorgio Turi

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comunicazione — 21

Con questa consapevolezza è nato il progetto “Trasmettere la Città So-stenibile”, la cui regia è stata affidata a un ampio Comitato scientifico inter-nazionale composto da esperti pro-venienti da Italia, Olanda, Gran Breta-gna, Germania, Portogallo, Spagna, Canada e Grecia.

Un gruppo multidisciplinare che ha indirizzato, secondo conoscenze e punti di vista diversi, le due iniziative principali: un workshop internazionale di progettazione su una vasta area di trasformazione a nord di Torino, Bas-se di Stura, e un confronto tra città e tra architetti che, in diverse parti del mondo e in differenti condizioni, si sono misurati con il tema delle trasfor-mazioni urbane sostenibili.

Il workshop internazionale di proget-tazione sull’area di Basse di Stura si è svolto a Torino nel febbraio 2008. È stato un momento di intenso confronto tra visioni di città del futuro immaginate per un’area di studio di scala metropo-litana, vasta e complessa, da 92 parte-

cipanti provenienti da 10 paesi diversi.Le cinque visioni prodotte dal work-

shop sono state il motore comunica-tivo del confronto tra città e architetti nella sessione che si è svolta nella giornata del Congresso Mondiale UIA 2008 dedicata alla Speranza e al Futuro. Un incontro a più voci che ha visto Fabrizio Barbaso della Commis-sione Europea lanciare la notizia del Covenant of Mayors per coinvolgere le città europee verso la sostenibilità energetica e ambientale con risulta-ti significativi entro il 2020, le città di Buenos Aires, Torino, New York, Tok-yo e Milano illustrare i propri piani di sviluppo attenti alla dimensione della sostenibilità, gli architetti Carlos Lei-te e Jaime Lerner, raccontare i casi brasiliani di San Paolo e Curitiba, Mario Cucinella come testimonial del progetto “Trasmettere la Città So-stenibile”, Thomas Herzog e Michael Hopkins riflettere sui cambiamenti del modo di progettare da quando nel 1996 firmarono, insieme ad altri 40

architetti europei, la “Carta del Sole”.Gli esiti del processo avviato a

scala locale e internazionale da “Tra-smettere la Città Sostenibile” rappre-sentano oggi un possibile modello per governare il processo delle tra-sformazioni urbane a scala vasta ga-rantendo attenzione alle dimensione ambientale, energetica, sociale ed economica. Un modello che ha pro-dotto risultati con i quali confrontar-si e che ha mosso a scala locale un ampio dibattito tra amministratori, operatori, tecnici e cittadini (anche i più piccoli attraverso la partecipa-zione delle scuole), suscitando echi a scala internazionale per l’originalità dell’approccio e per la sua esportabi-lità in altre realtà urbane.

Un risultato riconosciuto dai sotto-scrittori del “patto” e che ora inten-dono rinnovarlo per avviare la vera trasformazione di Basse di Stura, ac-cogliendo una grande sfida: convertire un territorio della marginalità urbana in un esempio di “città sostenibile”.

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22 — comunicazione

Bds 2040Quale visione per Basse di Stura nel 2040? www.progettotcs.it

I numeri dell’area Basse di SturaL'area Basse di Stura oggetto del Workshop BdS2040, collocata nella zona nord della Città di Torino (Circoscrizioni 5 e 6) e delimitata dalla Tangenziale Nord di Torino, da via Reiss Romoli, dalla Superstrada Torino-Caselle e dalla “Strada dell’Aeroporto” che collega Torino con Caselle, confina con i Comuni di Venaria, Borgaro Torinese e Settimo Torinese. È una parte di città estrema-mente eterogenea per la presenza di numerose attività miste di produzione e artigianato, resi-denza e fattori di pressione (campo nomadi, orti urbani, discariche abusive, tiro a segno militare, produzione pigmenti organici, area agricola colti-vata a prato, mais e orzo…).

230.000 abitanti popolano l’area (popolazio-ne di Torino: 902.612 abitanti - dati aggiornati al 31.03.2007) 540 ettari è la superficie com-plessiva 4 km del torrente Stura interessato dal progetto 35 cascine in parte ancora attive, e di particolare interesse “la Bellacomba”, “la Nuova” e “il Canonico” che testimoniano l’antica destinazio-ne agricola dell’area dicembre 2009 chiusura della discarica destinata allo smaltimento e allo stoccaggio di rifiuti urbani 2015, 2020, 2030 e 2040 tappe del piano di recupero previsto da Amiat 140 ettari l’area da bonificare

I numeri del workshop92 partecipanti provenienti da 10 Paesi 9 membri del Comitato Scientifico Internazio-nale 14 membri del Comitato Scientifico locale 3 ospiti internazionali, 12 ospiti naziona-li, 10 tutor, 8 co-tutor, 13 eventi collatera-li al workshop e di avvicinamento al XXIII Congresso mondiale degli Architetti Torino 2008 2 sessioni al XXIII Congresso mondiale degli Architetti Torino 2008 2 mostre Trasmettere la Città Sostenibile

Trasmettere la Città SostenibileSottoscrittori del Protocollo di Intesa Città di Torino, Provincia di Torino, Regione Piemonte, Ente di gestione del Parco fluviale del Po torinese, Politecnico di Torino, Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Torino, Federazione interregionale degli Ordini degli Architetti del Piemonte e Valle d'Aosta, Collegio Costruttori Edili di Torino / ANCE Torino, SiTI Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione, Legacoop Piemonte, ATC Agenzia Territoriale per la Casa della Provincia di Torino, AMIAT Azienda Multiservizi Igiene Ambientale Torino, Collegio Edile di API Torino Relatore Generale Pier Giorgio Turi (It) Comitato Scientifico internazionale Piero Bianucci (It), Chiel Boonstra (Nl), Peter Brandon (Uk), Mario Cucinella (It), Steve

Curwell (Uk), Rymal Smith (Can), Antida Gazzola (It), Alessandro Giangrande (It), Thomas Herzog (D), Andreas Kipar (D), Luca Mercalli (It), João Antonio Nunes (P), Rafael Serra (E), Enzo Scandurra (It), Gianni Scudo (It), Alexandros Tombazis (Gr) Comitato Scientifico locale Liliana Bazzanella, Gabriele Bovo, Luigina Carere, Marisa Cortese, Gianluca Cosmacini, Egidio Dansero, Luigi Fazzari, Giovanni Ferrero, Gianfranco Fiora, Agata Fortunato, Daniela Grognardi, Sergio Jaretti, Evasio Lavagno, Patrizia Lombardi, Gino Magnoni, Giulio Mondini, Ippolito Ostellino, Roberto Pagani, Massimo Pasquero, Attilia Peano, Paolo Peris, Giuseppe Portolese, Raphael Rossi, Daniele Venneri, Sergio Viale, Carla Villari Comitato Tecnico Maria Bucci, Carlo Ceste, Elisabetta Forni, Patrizia Garrone, Silvia Giordano, Mauro Giudice, Barbara Melis, Angela Molinari, Elena Picco, Laura Schranz, Marco Valle Ospiti internazionali Rohit Aggarwala (USA), Pedro Ballesteros Torres (P), Fabrizio Barbaso (It), Carlo Alberto Barbieri (It), Rafael Bellido i Carderos Cerdanyola del Vallès (E), Erik Bichard (Uk), Virginia Bombelli (It), Benedetto Camerana (It), Daniel Chain (Ar), Sergio Chiamparino (It), Helena Coch (E), Edoardo Croci (It), Mario Cucinella (It), Juergen Fahrlaender (D), Pier Carlo Fabbio (It), Marta Francocci (It), Michael Hopkins (Uk), George Kunihiro (Jp), Carlos Leite (Br), Jaime Lerner (Br), Domenico Mangone (It), Pierre Mansat (Fr), Mauro Mazza (It), Giovanni Oggioni (It), Eduardo de Oliveira Fernandes (P), Mario Viano (It) Organizzazione Fondazione OAT

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comunicazione — 23

re-gener-a[c]tioncon strategie in grado di coinvolgere più

generazioni. Le direttrici di progetto preve-

dono: la trasformazione del “Monte Amiat”

in ecomuseo della “memoria del luogo” e

sito di produzione di energie alternative

(copertura con pannelli fotovoltaici della

discarica e utilizzo dell’energia eolica); la ri-

generazione del tessuto urbano attraverso

l’adozione di “eco-isolati” che rinnovano in

chiave bioclimatica la configurazione tradi-

zionale dell’isolato torinese; la bonifica del

suolo con strategie di fitodepurazione e

trattamento delle acque di scolo mediante

un sistema di bacini di filtrazione, connotati

come installazioni di land art.

Il gruppo coordinato da Roberto Fraternali

e Carlo Ostorero ha proposto un sistema

di reti fisico-digitali strutturato sulle cascine

esistenti che, partendo dalla cascina Fos-

sata, penetri verso nord l’area, intercettan-

do un percorso ciclabile e di navette ecolo-

giche connesso a tutti i parchi urbani. L’idea

innovativa di questo sistema deriva dall’uso

dell’idrogeno quale prodotto di scarto, già

presente sull’area, per alimentare gratui-

tamente gli autoveicoli che circoleranno

in zona, ma anche stazioni di rifornimento

per mezzi a idrogeno per l’intero ambito

urbano. La visione generale è quella della

RI-GENER-AZIONE urbanistica e sociale,

Laura Agosti, Agnese Gemma Barbieri, Mara Brunetto, Ferruccio Capitani, Sara Cardoso, Paolo Carli, Marco da Col, Alessandra de Matteis, Mina Fiore, Giada Grosoli, Paola Masuelli, Claudia Sofia Pereira Goncalves, Silvia Raule, Giuseppe Roccasalva, Pau Sanchis, Gianluca Santosuosso, Alessandro Timoteo Sassi, Juan Carlos Senn, Angioletta Voghera

TUTOR Roberto Fraternali, Carlo Ostorero

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24 — comunicazione

Il gruppo ha proposto la sfida al cam-

biamento, affrontando tre focus: il “gre-

en flow”, ovvero il verde bio-mimetico

che non si nasconde ma utilizza tecno-

logie che si comportano come la natura

(per esempio l’idrogeno dell’elettrolisi);

la “new city life”, che propone le piatta-

forme per “cyber nomadi”, ovvero Bas-

se di Stura vista come luogo di “atter-

raggio”, di breve permanenza per tutti

coloro che si spostano con una certa

frequenza; le cascine come rete di un

polo di innovazione sulle telecomunica-

zioni per la ricerca, la dimostrazione, la

produzione e la vendita, che ha come

fulcro la presenza nell’area del Ti Lab

oggi centro ricerca Telecom.

La discarica diventa invece il luogo per

una stazione di produzione di energia

solare attraverso l’installazione di un

sistema di pannelli fotovoltaici, i terri-

tori contaminati saranno bonificati e i

suoli inquinati, ricoperti da terreno fer-

tile, potranno essere coltivati e utilizzati

per produrre biomasse. Tutta l’energia

prodotta viene destinata alle aree circo-

stanti, in tal modo si ambisce a raggiun-

gere l’indipendenza energetica locale.

challenge all energyAndrea Bossolono, Sandro Coccoi, Alessandra De Matteis, Loredana Di Nunzio, Lazhar Djilani, Valentina Ferretti, Raffaella Gerboni, Sergio Gomez, Massimiliano Manfren, Federico Margelli, Valentina Marino, Javier Moreno, Cristina Pellerino, Alessandro Piccioni, Costanza Profumo, Silvia Rossi, David Manuel Sampaio Pereira, Carlo Spinelli, Wey Yu

TUTOR Roberto PaganiCO-TUTOR Elisabetta Forni, Silvia Giordano

Page 27: TAO-01

comunicazione — 25

Il gruppo guidato da Alessandro Giangran-

de ha strutturato la proposta in “fuochi” –

corrispondenti a temi progettuali complessi

– coniugando un metodo di visioning con

l’approccio Strategic Choice.

I principali temi individuati sono stati: la

connessione, a sud, con il resto della cit-

tà; la riqualificazione del waterfront dello

Stura e il circuito delle cascine, al centro;

a nord, oltre la tangenziale, il tema del

parco agricolo - energetico.

Una particolare attenzione è stata riservata

sia al sito della discarica Amiat, che sarà tra-

sformato in un centro di ricerca sulle energie

rinnovabili, sia all’ex discarica Rifometal, che

diventerà la sede di un impianto che sfrutte-

rà in modo innovativo l’energia solare.

La riqualificazione progressiva della disca-

rica trasformerà il Monte Amiat in luogo di

escursioni: la realizzazione di un “percorso

dei cinque sensi”, dove le persone potran-

no godere del canto degli uccelli, del colo-

re e del profumo dei fiori ecc. rappresen-

terà una vittoria definitiva sui rifiuti. Infine,

un’attività per la produzione e il commercio

di prodotti realizzati con materiali di riciclo

sarà collocata all’interno dell’edificio occu-

pato attualmente dagli uffici Amiat.

a green heart(h) for torinoDavide Catenazzi, Barbara Cavallet, Milena de Mattei, Freddy Rolando Diaz, Tiziana Di Carlo, Federica Emanuel, Stefania Giannuzzi, Aurelia Lain, Ines Fonseca Leite, Julian Paloma, Marina Pelfini, Matteo Puttilli, Barbara Sembianti, Eduardo Jorge Silva Costa Pinto

TUTOR Alessandro GiangrandeCO-TUTOR Antonio Caperna, Alessia Cerqua, Patrizia Garrone

Page 28: TAO-01

26 — comunicazione

considerando le sostenibilità economi-

ca, sociale, ambientale, energetica e

della mobilità.

Si affianca un programma di comuni-

cazione che considera differenti target

durante tutte le fasi, sino all’ipotetica

realizzazione.

Al tema del riutilizzo dei terreni bonificati,

il progetto risponde con la costituzione

di un impianto integrato e convertibile

per la produzione di energia sull’attua-

le discarica, l’estensione delle superfici

dedicata a bio-massa e la realizzazione

di un distretto produttivo-commerciale-

artistico del riciclaggio.

Riccardo Balbo - con E. Bichard e S.

Curwell - parte da un processo di ri-ne-

goziazione e condivisione delle risorse

e dei vincoli dell’area, in opposizione a

pregiudizi e stereotipi, basandosi sulla

teoria delle resilienze come volano di ri-

generazione urbana.

Il gruppo ha costruito delle proposte che

hanno carattere di precisione e chiarez-

za, che pur non definendo delle forme

compiute (l’arco temporale conside-

rato non lo consente), propone visioni

realistiche integrate di un programma-

progetto che traccia le nuove funzioni

pensate per il futuro di Basse di Stura,

bio-basseMauro Bellora, Francesco Bombardi, Marta Bottero, Ignacio Choza, Daniela Ciaffi, Giorgio Ciarallo, Marco Daghero, Elena Alda Ferrari, Sebastiao Ferreira De Almedia Santos, Tommaso Paolo Longo, Cristina Marietta, Maurizio Melgara, Diana Isabel Molina Sosa, Alessandra Oppio, Daniel Paül Agustí, Chiara Penco, Nirmala Salkic, Filipa Serra, Matteo Tabasso, Paolo Zeppetella, Cinzia Zugolaro

TUTOR Riccardo Balbo, Erick Bichard, Steve CurwellCO-TUTOR Giulia Baù, Domenico Polimeni

Page 29: TAO-01

Francine Amsler, Luisa Ballari, Claudia Bernardo Coelho, Clara De Andres, Alberta De Luca, Valentina Dessì, Andrea Esposito, Filippo Giau, Alberto Graglia, Elena Hartog, Alessandro Mazzotta, Milena Misia, Andres Javier Moncalvo, Davide Musmeci, Alberto Rosso, Raquel Santos, Elisabetta Vitale Brovarone

TUTOR Mauro Berta, Gianluca CosmaciniCO-TUTOR Barbara Melis

Un futuro per Basse di Stura è possibile solo

se i prodotti di scarto della società saranno

considerati come nuove materie prime.

L'area diviene quindi l’occasione per inver-

tire il processo espulsivo degli scarti dalla

città, ridando alla città vivibilità dello spazio

urbano ed energia prodotta attraverso il fo-

tovoltaico, il solare termico, l'heat-storage,

l’idrogeno. L’Amiat non cesserà del tutto

le proprie attività nei prossimi tre anni, per

passare gradualmente ad una più innova-

tiva gestione dei rifiuti e ad una crescente

politica di riciclo, con l’obiettivo di riutilizzare

l’80% dei rifiuti. Il verde e l’acqua sono assi

ordinatori delle indicazioni progettuali. Tre le

linee di sviluppo: Eco-Distretto per la rac-

colta, l’elaborazione e la trasformazione dei

materiali riciclati; Eco-Ponte per superare

le barriere ecologiche e fisiche e riconnet-

tere le parti nord e sud del territorio; Area

Eco-Industriale per ridefinire il confine tra

il tessuto urbano della zona industriale di

Borgaro Torinese e il paesaggio agricolo.

Al centro del parco è previsto un canale per

la fitodepurazione delle acque e per il con-

trollo delle esondazioni. Il paesaggio della

discarica diviene motore fisico di migliora-

mento del sistema della mobilità e occasio-

ne per il disegno di percorsi tra i segni agri-

coli e le preesistenze storiche del territorio.

ff-rew

comunicazione — 27

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28 — comunicazione

Comunicare il progetto per la nuova destinazione delle Basse di Stura signi-fica prima di tutto occuparsi di aspetti che riguardano la società, la politica, l’economia, il modello di sviluppo della storia recente e la filosofia dell’ambiente che sceglieremo per il futuro.

C’è però anche un aspetto che tocca la comunicazione scientifica in quanto si tratta di parlare ai cittadini di ecologia, produzione e uso dell’energia, gestione delle risorse, tecnologie per il riciclaggio e la gestione dei rifiuti.

Possiamo per convenzione far na-scere la comunicazione scientifica con l’opera di Galileo Galilei, che polemica-mente Italo Calvino considerava il più grande scrittore italiano, e individuare un ampio periodo che dal Seicento, passando per l’Illuminismo e il Positivi-smo, arriva al 1945, quando esplode la prima bomba atomica.

Fino ad allora l’equazione scienza =progresso non era mai stata messa in discussione presso il grande pubbli-co. Da quel momento il problema delle

responsabilità etiche della scienza in-comincia. Tuttavia l’idillio tra scienza e pubblico, mediato dai divulgatori e da un nuovo strumento come la Tv molto più penetrante della carta stampata, conti-nua ancora sotto la spinta di conquiste spettacolari come l’esplorazione dello spazio e la scoperta dei meccanismi

biologici fondamentali pilotati dal DNA. Ma verso la metà degli anni Ottanta, e

specialmente dopo l’incidente nucleare di Cernobyl, la percezione positiva della scienza si incrina più profondamente e monta la diffidenza dei cittadini, alimen-tata anche dall’affiorare di polemiche, errori e posizioni diversificate in seno

alla comunità scientifica, con una con-seguente crisi di prestigio e credibilità che minaccia di travolgere i ricercatori.

Se guardiamo ai temi scientifici più importanti emersi negli ultimi tempi, non si vede in sostanza nessun suc-cesso ottenuto dai comunicatori, che non sono riusciti a far comprendere i termini della questione energetica, il ruolo degli OGM, l’illusione della tera-pia Di Bella contro il cancro, il signi-ficato delle ricerche su clonazione e cellule staminali, il problema di gestire i rifiuti o di costruire le ferrovie ad alta velocità. Per adesso i sondaggi Euro-barometro dicono che hanno ancora una buona immagine le nanotecnolo-gie, ma già si avvertono i primi segni di deterioramento, direttamente propor-zionali al diffondersi delle conoscenze su questo settore della ricerca.

Gli insuccessi nella comunicazione scientifica più recente pongono un in-terrogativo: come si formano le opinioni in tema di scienza e tecnologia?

Il formarsi di un’opinione risulta dalla

la scienzacome sinonimo di progressocome comunicare le trasformazioni urbane e la sostenibilità Piero Bianucci

Dopo l’incidente nucleare di Cernobyl la percezione positiva della scienza si incrina e monta la diffidenza dei cittadini, alimentata anche da polemiche, errori e posizioni diversificate in seno alla comunità scientifica

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comunicazione — 29

confluenza di molti fattori: la prepara-zione scolastica, i mezzi di comunica-zione, impulsi emotivi, le conoscenze e le pseudo-conoscenze più o meno consapevoli che ognuno di noi porta dentro di sé, i pregiudizi, l’influsso di opinion leader socialmente prossimi, come il proprio medico di base o il vi-cino di casa al quale viene riconosciuto prestigio culturale, sociale, economico.

Le ricerche sociologiche ci dicono che in questo mix che concorre a for-mare un’opinione il peso dei media è assai inferiore a quanto comunemente si crede: i media riescono di solito a raf-forzare atteggiamenti e credenze, ma non a cambiarli (Wolf).

L’informazione tecnico-scientifica spot – dicono gli studi sociologici sul campo – conta poco perché si perde nel rumore di fondo. Riesce a influire soltanto una copertura a tappeto at-tuata simultaneamente da vari media. E in generale, fa notare Alan Mazur, più un tema controverso è coperto dai media, più si accentuano nel pubbli-

co gli atteggiamenti negativi, mentre l’opposizione decresce quando la co-pertura diventa meno intensa, come è facile verificare pensando alle oscil-lazioni dell’opinione pubblica riguardo alle centrali nucleari, agli Ogm, agli in-ceneritori / termovalorizzatori.

Sembra, in definitiva, che le perso-ne siano più condizionate dalla quan-

tità della copertura mediale che dal suo contenuto, e che il pubblico sia affetto da uno strutturale preconcetto “conservatore” per cui in situazioni di incertezza preferisce scegliere ciò che conosce piuttosto che avventurarsi nel nuovo. Di qui il successo del “principio di precauzione”, che di per sé non do-vrebbe avere senso in quanto preclu-de a priori la conoscenza, impedendo

una scelta responsabile basata sui fatti verificati, come vorrebbe invece il me-todo scientifico.

Stabilito dunque che i media non sono poi tanto potenti, occorre rilevare che è in atto una rivoluzione coperni-cana nell’acquisizione di informazioni scientifiche: perde punti la fonte televi-siva (anche se influisce ancora sul 44% del pubblico europeo) mentre sale la ricerca attiva di informazioni tramite In-ternet e anche sui libri (National Scien-ce Board, Science and Engineering Indicators, 2002).

Forzando un po’ le cose, si può dire che perde colpi la comunicazione scien-tifica top-down e dalle grandi emittenti al pubblico di massa, mentre si rafforza la comunicazione scientifica interattiva, che si avvale della forza emersa dalla te-oria delle reti: come sappiamo, tra ogni abitante della terra e tutti gli altri ci sono in media solo sei gradi di interposizio-ne, e ciò spiega l’epidemica diffusione non solo dei virus informatici ma anche delle conoscenze buone, meno buone

Sembra che le persone siano più condizionate dalla quantità della copertura mediale che dal suo contenuto

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30 — comunicazione

(non della loro semplice acquisizione). Questo modello appare tanto più ne-cessario in un paese come l’Italia nel quale, prima ancora che trasmettere no-zioni corrette, è necessario sgombrare il campo da false informazioni, pregiudizi e convinzioni di origine emotiva.

Il caso Basse di Stura esige di ri-definire il concetto di rifiuti; situare storicamente quelle discariche come una fase di sviluppo acritico, ma forse

tare il classico modello “forte” a imbuto (o “idraulico”) della divulgazione scien-tifica: da un lato gli scienziati, in mezzo i comunicatori, dall’altro lato i cittadini nei quali “travasare” nuove conoscen-ze e nuovi valori. Più conveniente ed efficace sembra invece un modello debole, basato sull’informazione inte-sa come riduzione dell’incertezza, sul dialogo e sul cambiamento come frut-to dell’interpretazione dei dati appresi

e pessime immesse su Internet.Nel caso della nuova destinazione

delle Basse di Stura, qualunque essa sia (parco energetico, land art, documento storico dell’era affluente o altro ancora), è evidente che la comunicazione potrà puntare sui valori del miglioramento della qualità della vita e dell’uscita da un modello di sviluppo che indubbiamente ha prodotto molti guasti.

Non sembra però opportuno adot-

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energia, che può crescere quasi senza limite, anche utilizzando i flussi di ori-gine solare (che sono pari a circa 10 mila volte l’attuale consumo energetico del pianeta, ma hanno il problema di essere dispersi e quindi a bassa inten-sità, mentre noi siamo abituati all’alta intensità energetica dei combustibili fossili e nucleari). Dobbiamo dunque muoverci verso una società del sapere condiviso che sfugga alle strettoie ter-modinamiche implicite nei concetti di sostenibilità e decrescita.

La sfida è trasmettere questo mes-saggio culturale di fondo, nella cui cor-nice si situa anche, come un piccolo tassello, la nuova destinazione delle Basse di Stura. Ricordando che nel farlo dovremo avere ben presenti quat-tro obiettivi: trasparenza (non si tratta di manipolare opinioni), chiarezza (che in questo caso è sinonimo di demo-crazia), semplicità (non semplificazio-ne), brevità e profondità (ricordiamoci che dietro ogni parola che usiamo c’è una visione del mondo).

Questo accumulo di informazioni (bit) introduce una variabile radicalmente nuova nella storia umana: il mondo ora è fatto, oltre che di materia ed energia, di bit immateriali. La materia è un siste-ma chiuso: solo il riciclaggio ci salverà. Per l’energia fossile e nucleare vale lo stesso discorso. Ma non per l’energia solare che alimenta i flussi della bio-

sfera, dell’acqua, dell’aria. Da questo punto di vista la Terra è un sistema aperto: importa fotoni solari pregiati e restituisce (effetto serra permetten-do) fotoni termici degradati. Infine i bit, l’informazione, sono qualcosa di qua-litativamente diverso da materia ed

inevitabile, della società affluente; e poi di volgere in positivo espressioni deboli (sostenibilità) e con connota-zioni negative (decrescita, a-crescita), mostrando che il nuovo modello so-ciale non è un arretramento ma un progresso. In questa direzione va, per fare un esempio, lo slogan dell’asso-ciazione “Vado al minimo”: “Spreco meno, vivo meglio”.

Anche nello sviluppo acritico per-seguito dai paesi industrializzati nell’ultimo mezzo secolo è possibi-le, e probabilmente doveroso, rico-noscere un aspetto positivo. È vero che siamo vissuti e stiamo ancora vivendo molto al di sopra delle nostre possibilità a spese di risorse limitate come l’energia fossile e nucleare o le materie prime. Ma è anche vero che è stata questa grande abbuffata a portare all’accumulo di una enorme quantità di conoscenza che ora indu-ce il mondo occidentale a cambiare (positivamente) verso un modello di sviluppo più saggio.

L'accumulo di informazioni introduce una variabile nuova nella storia umana: il mondo ora è fatto, oltre che di materia ed energia, di bit immateriali. La materia è un sistema chiuso: solo il riciclaggio ci salverà

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democrazia

la polis democratica è un’entità essenzialmente politica

l’architettura è per tutti, l’architettura ci riguarda

Il termine democrazia e l’aggettivo democratico non sono comunemente legati a concetti fisici. ma è democratico un luogo pubblico che non permette l’accessibilità e il godimento del suo spazio a tutti? la piazza è democratica? anche quando è solcata da parate militari?

anche quando si riesce a dimostrare che una grande opera è innocua, utile e necessaria le comunità interessate possono sempre replicare con una domanda imbarazzante: "d'accordo, ma perché proprio qui?"

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se la maggioranza delle persone desiderasse un governo antidemocratico, la democrazia cesserebbe di esistere. tuttavia se si opponesse cesserebbe di essere democrazia in quanto andrebbe contro alla volontà della maggioranza.

un fattore chiave in una democrazia è la presenza, all'interno di una nazione, di una cultura democratica

le città e le case contemporanee hanno nuovi abitanti, con nuove esigenze e nuovi modi di abitare

esperimenti di architettura e democrazia, a torino

che ci fanno gli architetti a Biennale democrazia?

5 appuntamenti a torino dal 21 al 26 aprile 2009

la casa del futuro

la sostenibilità

la democrazia

cino zucchi

matteo agnolettoPiergiorgio tosoni

Fabrizio accatino

Peppino ortoleva

antonella Parigitorino: laboratorio democratico

gustavo zagrebelsky

le parole dell’abitare

manuela olangero

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34 — democrazia

In un recente scritto sull’imparare la democrazia1 Zagrebelsky indicava nel-la “cura delle parole” uno dei contenuti minimi necessari all’ethos democra-tico. Tanto più equa la distribuzione delle parole e tanto maggiore la pre-cisione e univocità dei significati, tante più garanzie di sfuggire a inganni e so-praffazioni. Quando la politica si con-verte in azioni di policy le parole usate devono calarsi su oggetti dai significati stabili e condivisi.

Si potrebbe dire che i nuovi bisogni e modi di abitare che stanno svilup-pandosi nelle nostre città, legati alla fine di una formazione sociale che aveva riprodotto, nella domesticità abitativa, la stabilità del lavoro e del-la famiglia, sottopongono le politiche abitative a un severo test di validità e attendibilità delle parole con cui rac-contano se stesse, le loro pratiche e i loro destinatari.

La declinazione convenzionale della questione abitativa come emergenza, disagio e povertà, pur continuando a

essere adatta a evocare lo svantag-gio di chi non ha una casa o vi abita senza il comfort sufficiente, non riesce più a contenere la pluralità e la diffor-mità dei bisogni connessi a nuovi modi di abitare che si affermano negli ultimi dieci-quindici anni2. Questi nuovi biso-gni non segnalano né una privazione, né un’incapacità, ma nascono da un mis-matching tra cambiamenti di ritmo del corso di vita, da un lato, e da rigidità e inerzie dell’offerta abitativa dall’altro e sono raccolti a fatica dalla grammatica, prevalentemente classificatoria, delle politiche, in cui ad esempio non figura-no, o ci stanno appena entrando, termi-ni come stress o rischio abitativo3.

Si può parlare di stress quando le difficoltà dell’abitare siano addebita-bili all’esercitarsi di una pressione che diventa troppo forte per essere sop-portata, da individui e famiglie, a con-dizioni immutate; oppure quando, pur in presenza di capacità e autonomia individuale, non si riesce a raggiunge-re il traguardo abitativo desiderato.

Si considerino situazioni in cui sia difficile o costoso uscire da precedenti sistemazioni abitative non più compa-tibili con una nuova situazione (anziani che vivono soli in case troppo grandi o disabili alle prese con insuperabili barriere architettoniche) o persone che coabitano in spazi ristretti (immigrati a ridosso dell’arrivo; famiglie che cre-scono, ma rimangono intrappolate in alloggi troppo piccoli). Si tenga conto degli alti costi dell’accesso alla casa per quella popolazione (come giovani coppie con lavoro precario) che do-vrebbe poter stare “leggera” sul territo-rio. Si pensi poi anche a madri o padri soli con figli piccoli, in transito da una precedente ad una futura sistemazione abitativa, ricercata come più adeguata alla nuova forma di convivenza, ma tale da non richiedere un investimento eccessivo e di lunga durata.

Vi è poi un repertorio di situazioni rubricabili sotto la categoria del rischio abitativo, che ha a che fare con la pro-babilità di una perdita, o di una dimi-

le parole dell’abitarenuovi bisogni, nuovi modi, nuove categorie richiedono maggiore validità e attendibilità alle parole delle politiche abitative Manuela Olagnero

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democrazia — 35

nuzione dell’equilibrio su cui si reggeva un precedente assetto abitativo. Si può perdere l’alloggio in cui si abita (perché costa troppo mantenerlo, perché non si è solvibili con la banca che ha ero-gato il mutuo, perché non si riesce a pagare l’affitto richiesto dal proprieta-rio o a comprare l’alloggio di cui si era affittuari), ma anche si può mancare il turno o l’occasione per entrarci (strut-turalmente l’accesso alla casa richiede lunghi tempi di attesa, titoli per compe-tere nelle liste pubbliche o nelle prefe-renze dei privati, capitale sociale)4.

Vi è infine una classe di richieste nel segno di una domanda di casa indiriz-zata a “usare” la città senza che ci si viva stabilmente: lavoratori mobili, stu-denti pendolari, personale impegnato in stage, persone costrette a lunghi sog-giorni in città diverse dalla propria per curare familiari ammalati, ecc. Tutti co-storo inseguono una soluzione abitativa provvisoria, ma spesso diversa dal “re-sidence” o dalla camera ammobiliata.

Per mettere ordine in questa scena affollata di difficoltà e connesse richie-ste di soluzioni, non basta, da parte delle politiche pubbliche, la semplice catalogazione di bisogni tipici, attribui-bili ad altrettanto gruppi amministrati-

vamente definiti (tradizionalmente figu-re come l’inquilino sfrattato, l’immigrato senza tetto, l’anziano povero).

Occorre innanzitutto un lessico più preciso che introduca, attraverso le necessarie specificazioni temporali (di fase della vita o di durata nella condi-zione, ecc.), l’idea che molte criticità abitative siano connesse a transizioni biografiche o a congiunture esterne. In tutti questi casi la casa non si con-figura né come destinazione finale di un percorso di investimento privato né come risultato “straordinario” di una redistribuzione della quota residua di alloggi sottratti al mercato, ma come un ponte, pensato, progettato (e ma-gari anche dotato di regole concorda-te tra pubblico e privato), per soste-nere il passaggio da una congiuntura all’altra nel corso della vita.

L’idea della residenza temporanea combina adeguatamente la indifferi-bilità di specifici bisogni con l’aspet-tativa che essi si risolvano, sotto il controllo e la capacità progettuale dei soggetti coinvolti, entro un intervallo di tempo limitato.

Ovviamente questi bisogni abitativi non possiedono la capacità di comuni-care allarme sociale, o di imporre una

scala di priorità all’agenda degli inter-venti pubblici, che è invece tipica delle situazioni di grave disagio o povertà. Essi tuttavia mostrano che la solvibi-lità economica o la capacità di tenere sotto controllo gli eventi della vita non bastano a rendere i soggetti coinvol-ti del tutto impermeabili all’ansia, alla sfiducia o anche al deperimento delle risorse “iniziali”.

Alle politiche abitative giunge dun-que la richiesta non solo di modulare risposte progettate per intercettare bisogni che variano nel tempo, ma anche di impedire che, lasciata com-pletamente sola a muoversi nei labirinti del mercato, la provvisorietà dei biso-gni abitativi possa trasformarsi in pre-carietà della vita.

1. G. Zagrebelsky, Imparare democrazia, Einaudi, Torino, 2007.2. Quello dell’emergenza e della povertà abitati-ve è un terreno che si sta estendendo a seguito dei processi di precarizzazione della vita di vasti segmenti della popolazione (A. Tosi, Nuove po-vertà abitative e nuovi requisiti di efficacia per le politiche della casa, in “Questione giustizia”, n. 1, 2008, pp.115-124).3. Si vedano le voci stress e rischio in M. Olagnero, G. Cavaletto, a cura di, Transizioni biografiche. Glos-sario minimo, Libreria Stampatori, Torino, 2008. 4. M. Olagnero, La questione abitativa e i suoi di-lemmi, in “Meridiana”, n. 62, 2008.

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come sarà la casa del futuro? ci sarà una casa per tutti?

36 — democrazia

Intervista a cino zucchi e Fabrizio accatino

Cino ZucchiSe la natura fosse così buona con

noi, l’architettura non avrebbe ragione di esistere: essa nasce infatti come ri-paro dalle inclemenze metereologiche dell’ambiente in cui viviamo.

Il mito della capanna primitiva de-scritto da Vitruvio come scaturigine dell’architettura contiene in nuce tut-ta l’ambivalenza che fonda la modi-fica dell’ambiente naturale da parte dell’uomo. L’originaria necessità di protezione diventa coscienza del pro-prio potere; ma essa contiene ancora l’angoscia che Madre natura distrug-ga il nostro operato come un’onda del mare un castello di sabbia. Da sem-pre riti propiziatori accompagnano in varia forma la fondazione di città, e la paura del crollo strutturale affianca da sempre l’aspirazione dell’architettura a sconfiggere la forza di gravità e a plasmare la topografia del pianeta.

Pochi giorni fa in Dubai per una giuria di concorso ho potuto guardare con i miei occhi due “meraviglie” del mon-

do contemporaneo: il grande aculeo verticale del Burj Dubai e lo sconfina-to complesso di isole artificiali di Palm Jumeirah; ambedue cantieri avanzati congelati improvvisamente dalla crisi finanziaria, in uno stato di “vita sospe-sa” che potrebbe facilmente prendere risvolti inquietanti o drammatici. Essi rappresentano bene l’ambizione dei nuovi soggetti che plasmano il terri-torio mondiale e al contempo l’estre-ma fragilità del suo equilibrio. La sfida ambientale di questo secolo legherà la necessità di dare un ambiente ade-guato a milioni di persone inurbate e la capacità di imparare dall’esperien-za (e dagli errori) della storia delle città europee e mondiali.

Come sarà la città del futuro? Qual-che anno fa, invitato a Singapore ad un forum mondiale sull’argomento, avevo con successo parlato di un “urbanista giardiniere” che sappia agire sulla città e sui territori esistenti piuttosto che rifondarli ex novo come pensava di fare il pensiero moder-

no; un urbanista che conosca l’arte dell’innesto, del diradamento, della coltivazione, dell’irrigazione, del tem-po: la città non si crea né si distrug-ge come una macchina, ma piuttosto cresce e si modifica come un giardi-no, il cui ecosistema sopravvive alla durata delle singole essenze. In que-sto senso gli edifici e la città debbono essere “sostenibili”; ma prima di tutto deve esserlo il nostro stile di vita. I danni sull’ambiente prodotti dall’aereo privato di uno star architect che opera nel nuovo mondo possono essere di svariati ordini di grandezza superiori ai pretesi benefici del suo progetto; e il costo energetico di produzione di un pannello solare di silicio a celle non ripaga per molti molti anni i risparmi da esso creati.

La parola “sostenibile” è diventata oggi uno slogan troppo facile: apre ogni porta ma non è mai definita in maniera rigorosa. Abbiamo oggi stru-menti raffinati di calcolo, ma i principi di un ambiente integrato sono for-

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democrazia — 37

a ribadire uno status. Al contrario, la realtà fuori dalla finestra ci raccon-ta di un numero impressionante di case fatiscenti, mal coibentate, non isolate acusticamente. Nelle periferie (ma non solo) sopravvivono monoliti ciclopici come i complessi di Stra-hov a Praga, o il “serpentone” del Nuovo Corviale a Roma: vie Gluck che avranno senz’altro assecondato qualche avanguardia architettonica del momento ma che appaiono oggi ruderi da “Pianeta delle scimmie”, monumenti a un funzionalismo vellei-tario e fuori dal tempo. Dopo decenni trascorsi a edificare “macchine per abitare” ci siamo ritrovati – secondo la profezia anni Settanta dell’architet-to radicale Lloyd Kahn – dentro “am-bienti che solo le macchine, o gente simile a macchine, vorrà abitare”.

Potrà sembrare una modesta bat-taglia di retroguardia, eppure imma-gino gli appartamenti di domani simili a quelli del presente, adeguati però ai requisiti minimi di comfort e decoro che è giusto pretendere a Duemila inoltrato. Immagino un futuro senza piani governativi straordinari per l’edi-lizia: solo ordinaria amministrazione, ma di qualità. Immagino anni in cui non saremo più costretti a considera-re il meglio sul mercato edifici costru-iti secoli fa, quando ancora “si face-vano le cose per bene”. E se proprio devo aggiungerci del mio, immagino appartamenti composti da materiali modellabili nelle forme e nei colori, abitazioni di cui sarà possibile modi-ficare struttura interna e tinte con un semplice tocco, senza affrontare lun-ghe e disagevoli ristrutturazioni. Ma-gari con perimetri caratterizzati non più da angoli ma da curve, modellati sul suo occupante e non viceversa. Mi accontenterei. Drogati da decenni di positivismo architettonico e scien-tifico, abbiamo inseguito i sogni di Campanella e di Calvino ma abbiamo finito per risvegliarci dentro un incubo di Le Corbusier.

inorganico, capace – per mezzo delle sue nuove tecnologie – di inghiottire e stritolare i suoi stessi abitanti. Fu una visione talmente choccante che l’editore ne rifiutò la pubblicazione, lasciando il manoscritto nel cassetto per più di un secolo, ben oltre quel 1960 fino a cui aveva osato spingersi la fantasia del suo autore.

La metropoli e i suoi edifici non sono oggi tanto diversi da come li descris-se Verne 150 anni fa. Per questo sor-rido quando leggo di sogni naïf come le case-palafitta di Jacque Fresco, progettate “per tornare ad abitare il mare”. E provo un vago senso di noia al pensiero che la domotica consente oggi di attivare luci, impianti di riscal-damento e finestre con un semplice sms. In campo abitativo, le utopie e le soluzioni d’avanguardia restano a tutt’oggi patrimonio di pochi, anzi po-chissimi. Il critico d’arte del New York Times Alastair Gordon – nel suo libro “Spaced Out”, uscito l’anno scorso – parlava di un “futuro dei super-ricchi”, descrivendo alla perfezione il nostro presente: solo chi ha risorse fuori dal-la media può permettersi tecnologie da sfizio, gadget utili principalmente

se gli stessi della sapienza antica, in un’epoca dove le risorse erano po-che, costose, difficili da ottenere.

Ogni utopia, ogni previsione futura ci tranquillizza per il suo carattere al con-tempo “dogmatico” e “irresponsabile”; ma i frammenti delle utopie passate hanno costruito per strati e frammen-ti sovrapposti l’ambiente in cui oggi viviamo sulla base dei valori che ogni società si dà nell’instante del suo farsi. La crisi odierna porterà forse più ragio-nevolezza, più modestia, ma anche la necessità di distinguere tra l’eros im-mediato di un rendering e di uno slo-gan e la seduzione più profonda delle città che conosciamo e amiamo.

Fabrizio Accatino“Parigi nel XX secolo” è un piccolo

libro della metà dell’Ottocento che ri-leggo spesso. È un romanzo storico del futuro che possiede una straordi-naria forza anticipatrice, un centinaio di pagine in cui Jules Verne disegnò la sua utopia negativa di megalopoli. Illuminata dal demone della neonata elettricità, la capitale francese si tra-sfigurava attraverso gli occhi dello scrittore, trasformandosi in un moloch

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un sinonimo di sostenibile. la sostenibilità è auspicabile e/o praticabile?

38 — democrazia

Intervista a matteo agnoletto e Peppino ortoleva

ziale e della proliferazione formale ad effetto avvertite tra le cause della di-struzione del territorio, il progetto d’ar-chitettura supera l’inadeguatezza delle immagini urbane ricorrenti con il po-sizionamento di impianti architettonici alternativi, configurati nella sintesi tra la megaforma e l’invariabilità tipologica.

In particolare certe esperienze degli anni Sessanta del secolo scorso, dal San Rocco di Aldo Rossi, il cui rigo-rismo formale è prescelto per “rico-noscere la preminenza tipologica nel discorso dell’abitazione”, alle esercita-zioni compiute dagli studenti di Oswald Mathias Ungers a Berlino, dimostrano per prime la coincidenza tra l’architet-tura della grande dimensione e il dise-gno della città, chiarendo altresì una netta distinzione di significato con la megastruttura, concepita per essere un modello urbano in contrapposizio-ne alla città. L’impianto della grande casa a corte in questo caso è soggetto a cambiamenti di contenuto rispetto ai modelli storici noti, per essere consi-

la nascita di nuove periferie non soltan-to nelle grandi città, ma specialmente nei comuni di piccole e medie dimen-sioni. Un fenomeno sul quale non si è ancora sufficientemente indagato per dimostrare il fallimento di pratiche progettuali, che, interessate a inutili formalismi, hanno affidato il progetto della città a speculatori immobiliari e ad amministrazioni pubbliche inadatte ad intraprendere un discorso politico adeguato sul tema. Questa crisi con-giunta del territorio e della città è af-frontabile con azioni correttive, attuate non solo mediante opportune scelte politiche, tecniche ed economiche, ma riconoscendo all’architettura un ruolo chiave nei processi di gestione della crisi: in quanto disciplina regolamenta-ta e autonoma, essa fonda le proprie specifiche modalità d’intervento sull’in-dividuazione e la successiva ripetibilità di dispositivi formali identificabili, sup-portati dal progetto metodologico per agire operativamente.

A fronte della dispersione residen-

Matteo AgnolettoIl progetto come mezzo indispensa-

bile per il disegno della città agisce da strumento critico e articola il procedi-mento della ricerca: constatato il fatto rilevante della crisi della città, quale ad esempio è la crescita incontrollata della popolazione responsabile di una sproporzionata domanda di abitazioni, che consuma irreversibilmente la di-sponibilità di territorio, l’articolazione del progetto lavora in questa realtà per modificarla, chiarendo al contempo il proprio originale campo di ricerca. In mancanza di programmi pianificatori fondati su regole compositive effica-ci, che direttamente nell’architettura della città avrebbero dovuto trovare il proprio significato, la città è diventata la causa primaria della crisi ecologica globale. Gli insediamenti urbani diffusi, concepiti durante le fasi di quell’espe-rienza altamente negativa della piani-ficazione italiana attuatasi negli ultimi trent’anni mediante lo strumento del piano particolareggiato, hanno favorito

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democrazia — 39

Temo che un problema del genere, tra l’altro, tocchi ora la parola demo-crazia: nata come idea dirompente e minoritaria, si è imposta nel corso di un secolo e mezzo al punto che oggi tutti (o quasi) si definiscono democra-tici; gli antidemocratici, come i cattivi, sono sempre gli altri. Temo anche che la confusione tra idee e valori, nel sen-so che dicevo prima, sia un pericolo grave per una vita politica trasparente. Nessuno lo aveva capito meglio di Ge-orge Orwell, come dimostrano i Princì-pi della Neolingua posti in appendice a “1984” prevedeva un’involuzione terribile del linguaggio, sempre più fat-to di parole banali e di giudizi semplici e unanimi (buono o cattivo, o peggio buono e “sbuono”) e quindi incapace di esprimere autentiche idee.

Sostenibile, mi sembra, appunto, più che un’idea un valore generico e comune. Nessuno vuole, almeno a pa-role, azioni o realtà insostenibili; quello su cui ci si può dividere, e ci si divide realmente, è la definizione concreta di ciò che sostenibile lo è davvero. Il pro-blema non è mai l’idea, sono sempre i criteri di applicazione. E qui ci troviamo di fronte a un altro ostacolo. Non si può

derato come esemplare di una regola generale, che individua nel progetto metodologico l’atto d’intervento nella città per mezzo di forme architettoni-che date, come accade ad esempio nei superblocchi viennesi di Karl Ehn. La ragione del progetto metodologico è dunque una forma che si può defini-re giustificata, in quanto ricollocabile in una serie di modelli analoghi. Ogni sua parte assume una precisa motivazio-ne: la grande corte assurge un ruolo strategico nel tessuto urbano dandosi come segno riconoscibile, eludendo con il controllo formale del progetto la frantumazione causata da singoli inter-venti parzializzati. La proprietà accu-mulatrice e quindi non espansiva della megaforma, che già Fernand Pouillon aveva individuato quale soluzione defi-nitiva e apodittica con il Climat di Algeri realizzato intorno alla piazza delle 200 colonne, interagisce alla scala urbana contrastando la deriva dello spreco di suolo e intervenendo come un se-gno netto e unitario, mentre alla scala architettonica si esprime con proprie intrinseche regole compositive, co-stringendo lo spazio chiuso e lo spazio aperto ad una reciproca correlazione.

Peppino OrtolevaCi sono parole che sintetizzano delle

idee, altre che esprimono dei valori. Non è assolutamente la stessa cosa. Sociali-smo, nazionalismo, dodecafonia, relati-vità, sono idee: una delle prove che lo sono davvero sta nel fatto che dividono le persone, che trovano dei sostenitori e degli avversari. “Io non sono venuto a portare la pace ma la spada”, dice Cristo nel vangelo di Matteo; se il cristianesimo fosse riassumibile nella sola parola “amo-re” non avrebbe potuto dirlo. Quando diciamo parole come bontà o libertà, la cosa non funziona allo stesso modo che per le idee, quelle vere: attorno a concetti del genere le controversie non nascono sui princìpi, semmai sulla loro applicazio-ne. Quello che per me è buono, per te può non esserlo, e così via.

definire ciò che è sostenibile, davvero, se non caso per caso. Anche perchè la sostenibilità non è un attributo di un oggetto in sé, ma del suo rapporto con il contesto, con un quadro sistemico: e ciò vale per un oggetto in senso pro-prio come per un progetto urbanistico, o anche per una norma giuridica (un problema gravissimo della democrazia italiana, che continua a importare istitu-ti altrui senza curarsi della loro relazio-ne con il resto del sistema, e continua a produrre disastri, dalle authority alle primarie). Questo potrebbe sembrare il pregio maggiore del concetto: la sua umiltà, la sua concretezza; ma è anche l’insidia maggiore che esso contiene: come sempre, l’umiltà è uno stile che può nascondere le possibili diversità dietro un mistificante “in fondo siamo tutti d’accordo”.

Non ci sono sinonimi per sostenibile, ed è ovvio; non ci sono sinonimi perfetti in generale, ma tanto meno per paro-le che hanno implicazioni complesse. C’è piuttosto un campo semantico. Io associo sostenibile a praticabile (che mette in gioco non solo una situazio-ne, ma dei comportamenti), a respon-sabile. E soprattutto a possibile.

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qual è il rapporto tra architettura e democrazia?l’architettura crea democrazia?

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Intervista a antonella Parigi e Piergiorgio tosoni

Antonella ParigiNella città la cultura, assieme al

commercio e all’abitare, costituiscono il sogno che ha spinto milioni di per-sone ad abbandonare la campagna e li ha spinti a vivere uno sull’altro, in certi casi. Il far coesistere in pochi chilometri quadrati popoli di naziona-lità differenti e, nello stesso tempo, garantire loro lo sviluppo di un’idea di comunità, è lo sforzo che l’architettura deve compiere nelle nostre metropoli, diventate megalopoli, ormai.

Se la democrazia è uno dei bersagli da centrare per vincere la complessa battaglia della mondializzazione, l’ar-chitettura dovrebbe essere una delle frecce, o almeno dovrebbe “prendere la mira” in quella direzione. È vero: sia-mo tutti soli, e il nostro tempo è pieno di cattivi presagi, ma potrei definire un’architettura democratica quella che ci fa sentire meno soli. Progettare quartieri o città vivibili e rispettose del-le esigenze e delle tensioni abitative dei singoli è la direzione. Ecco perché

i luoghi della cultura diventano molto spesso una forza magnetica per av-vicinare il maggior numero possibile di persone, abbattendo le differenze sociali: perché creano comunità, mo-menti di aggregazione libera.

È vero: un gesto democratico dell’architettura è quello di garantire una casa per tutti, ma non basta, è un gesto a metà. Il gesto completo è che in questa casa sia previsto anche un cuore pulsante, motore attorno al quale si sviluppa la vita. L’architettura può certamente esse-re d’aiuto nel facilitare la creazione di spazi sociali, nella costruzione di interventi urbani che sappiano con-centrare nella città i caratteri migliori dell’arte e dell’espressione umana, come i musei, ad esempio, o certe piazze conviviali.

Interpellare la comunità come parte attiva nel processo di progettazione, ascoltare le richieste del cittadino di quartiere come interazione con la real-tà locale è, ad esempio, una buona

messa in pratica del concetto di ar-chitettura democratica. Persino nelle città medievali si riunivano gruppi di cittadini attorno ai nuovi progetti ur-banistici, uno di essi fu Dante che fece parte della commissione di Firenze sulla pianificazione dell’allargamento della città. Questo non vuol dire che l’architetto sia spodestato o che si debbano trascurare i calcoli struttu-rali, ma significa che la progettazione non può escludere la conoscenza, l’esperienza e i singoli bisogni locali. Un luogo da riqualificare o da costrui-re è prima di tutto memoria storica di chi l’ha vissuto.

Piergiorgio TosoniDefinire in modo univoco qual è

il rapporto tra architettura e demo-crazia presuppone che si assumano definizioni relativamente semplifi-cate delle due parole “architettura” e “democrazia” e questo espone a parecchi rischi, ma forse è un dato inaggirabile. Supponiamo quindi

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che sia soddisfacente pensare che architettura voglia dire l’insieme di pratiche che concorrono, o hanno concorso, all’instaurazione di spazi per la vita degli uomini; democrazia sia il quadro politico entro cui si in-scrive un insieme di norme giuridiche e di procedure che regolano la vita di una comunità di cittadini, norme e procedure volte al soddisfacimen-to dei bisogni e all’attuazione degli ideali di quella comunità. Se questa definizione semplificata è accettabile un’architettura è democratica quan-do la si costruisce e la si vive nel pie-no rispetto del senso civile di questo termine; questo non implica un giudi-zio di qualità sull’architettura stessa e di fatto viviamo “democraticamente” molti spazi realizzati nel passato da società che con i nostri principi demo-cratici avevano pochi contatti, o forse nessuno. E questo vivere democra-ticamente l’architettura credo voglia dire sentirla come un ingrediente im-portante della propria cultura e della propria memoria soggettiva e socia-le. Non è quindi l’architettura in quan-to tale che può creare democrazia: è se mai una condizione democratica

che crea i presupposti perché il pa-trimonio costruito si ponga come va-lore condiviso. C’è poi una questione riferita al tempo; i tempi degli uomini e delle società sono incredibilmente brevi rispetto ai tempi delle città e delle costruzioni. Le eredità costruite si inscrivono in tempi lunghi, che ne modificano percezione e significato, anche profondamente, e nessuno può dire preventivamente che spazi e case erette all’insegna della parte-cipazione e della democraticità delle scelte possano continuare a testimo-niare questi intenti in contesti politi-camente e culturalmente diversi.

E una seconda questione è in-vece riferita al potere e al fatto che dietro ogni atto di costruzione sono presenti risorse economiche e finan-ziarie molto rilevanti. Molti grattacieli newyorchesi hanno al piano terreno public space confortevoli e vivibili; si vedono baby sitter con i bimbetti, gruppetti di anziani che chiacchiera-no, persone che si riposano in am-bienti di grande qualità architettonica e i controlli sono discreti: basta non avvicinarsi agli ascensori che por-tano ai piani dove si decidono, o si

sono decisi fino a qualche tempo fa, i destini dell’economia mondiale. Può quindi venire spontaneo, passeggian-do per Manhattan, chiedersi che cosa significhi questa fantastica Camelot della modernità, e cercare di capire perché c’è il Terzo mondo, anche sen-za andare in Burkina Faso.

In un dato momento è ineludibile per un progettista capire qual è la dimensione etica del suo operare e, in quel dato momento, sono le co-ordinate del clima sociale in cui vive a offrirgli la possibilità di orientare le sue scelte in un senso o in un altro, verso la condivisione delle domande degli esclusi o verso l’acquiescenza alle velleità dei potenti. Ma poi sono gli uomini e le società a essere più o meno capaci di democrazia: gli spazi non favoriscono né escludo-no in modo deterministico questa dimensione del vivere civile; posso-no testimoniare in modo più o meno evidente le ideologie di cui sono figli, ma poi le comunità che li vivono pos-sono, almeno fino a un certo punto, trasformarne il significato, agire sulla loro presentificazione, sul loro modo di essere letti e vissuti.

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la prima edizione di Biennale democrazia a torino Gustavo Zagrebelsky

torino: laboratorio democratico

La Città di Torino e il Comitato Ita-lia 150, in occasione delle celebrazioni per il centocinquantenario dell’Unità d’Italia nel 2011, promuovono una se-rie di progetti, destinati a rinnovarsi ad anni alterni a partire dalla primavera 2009 e raccolti sotto il segno di Bien-nale Democrazia.

Tale intento nasce dalla considera-zione dell’intera vicenda risorgimen-tale, quale unificazione nazionale non solo statal-territoriale interamente rea-lizzata, ma anche etico-politica, ancora sempre da perseguire come compito. La via di questa seconda dimensione dell’unificazione politica è storicamen-te rappresentata dalla democrazia, una forma di vita politica basata sulla dotazione di diritti e doveri civili e politi-ci uguali per tutti i cittadini, il cui eserci-zio deve confluire nella vita comune.

Come, anzi più di ogni altra forma di governo, la democrazia è sempre imperfetta rispetto ai suoi ideali ed è sempre esposta all’involuzione oligar-chica, al rovesciamento demagogi-

co delle parti e alla copertura di altre “-crazie”. In tutti questi casi, le forme della democrazia, cioè le sue procedu-re, vengono svuotate e rese disponibili

a favore di sostanze, cioè di poteri, non democratici.

Per questo, anche quando le isti-tuzioni della democrazia si sono af-fermate e i diritti democratici si sono diffusi, la democrazia vive in condizio-ni problematiche di insicurezza che la configurano non come un compito svolto una volta per tutte, ma sempre da svolgere e riconsiderare.

Biennale Democrazia mira, nella mi-

sura del possibile, a colmare un vuoto che deriva da una percezione infonda-ta dei caratteri della democrazia stes-sa, come forma di governo di cui tutti i popoli sarebbero capaci spontanea-mente, cioè in ottemperanza a impulsi naturali. Di fronte alle sfide e alle crisi della democrazia, si risponde spesso con la richiesta di “più democrazia”, e non anche di “migliore democrazia”, cioè di una partecipazione ai proble-mi comuni più larga, più consapevole, più informata e più responsabile, so-prattutto nel momento in cui la comu-nità nazionale si trova ad affrontare le sfide portate, in misura crescente, dal multiculturalismo e dalla forza della tecnologia, cioè dalla convivenza di esseri umani appartenenti a tradizioni culturali diverse e dalla sfida che lo svi-luppo della tecnica, come dimensione totalizzante delle società sviluppate del nostro tempo, muove alla stessa natu-ra politica dell’umana convivenza.

Biennale Democrazia vuole esse-re soprattutto uno strumento per la

La promozione della democrazia come habitus implica la diffusione, anche nella pratica, di modelli comportamentali basati, a titolo d’esempio, sulla definizione e assunzione pratica di criteri di giustizia validi in generale

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formazione e la diffusione di una cul-tura della democrazia che si traduca in pratica democratica, all’altezza dei problemi del momento presente.

Essa concentrerà le sue iniziative in una triplice attività di diffusione e ap-profondimento dell’etica democrati-ca: come habitus dei cittadini, come rispetto delle regole comuni e come consapevolezza dei caratteri della de-mocrazia, quale ideale politico.

La promozione della democrazia come habitus implica la diffusione, an-che nella pratica, di modelli comporta-mentali basati, a titolo d’esempio, sulla definizione e assunzione pratica di cri-teri di giustizia validi in generale; sulla cura e la messa in comune dei diversi talenti di cui ogni individuo è dotato; sullo spirito del dialogo e dell’ugua-glianza; sulla apertura, curiosità e di-sponibilità alla “contaminazione” nei riguardi delle identità culturali diverse; sull’atteggiamento critico nei confron-ti delle proprie assunzioni di partenza e sulla capacità di apprendimento da

quelle altrui; sull’atteggiamento spe-rimentale, disposto ad apprendere dai propri errori; sull’assunzione delle responsabilità che conseguono all’ap-

plicazione del principio maggioritario, tanto da parte di chi sta con la mag-gioranza quanto da parte di chi risulta minoranza; sull’atteggiamento altru-istico e sull’onestà comunicativa, at-traverso una speciale attenzione alla precisione, alla comprensibilità, al ca-rattere non violento e non suggestivo del linguaggio impiegato.

L’esigenza di rispetto delle regole comuni sarà oggetto di un programma

diffusivo, rivolto non solo a sollecitare la presa di coscienza del valore della legalità, come condizione-base di una vita civile, politica e amministrativa il più possibile liberata da prepotenze, inganni, favoritismi e ingiustizie, ma anche a promuovere la partecipazione e il controllo, circa il corretto uso dei poteri pubblici e privati, incidenti sulla vita collettiva dei cittadini.

La democrazia come ideale politi-co sarà l’oggetto di un programma di lezioni e conferenze dedicate innanzi-tutto alle dottrine democratiche, alla storia delle loro realizzazioni, dei loro fallimenti e tradimenti, ai problemi e alle sfide di fronte ai quali essa si trova nel mondo contemporaneo, con l’atten-zione rivolta non solo alla dimensione immediatamente politica della demo-crazia. Tutti gli aspetti della vita col-lettiva, infatti, si prestano e richiedono di essere presi in considerazione dal punto di vista della democrazia: a tito-lo d’esempio, i caratteri delle strutture urbane e architettoniche e le maniere di viverle; i modi di organizzazione del lavoro e la tutela dei lavoratori, le istitu-zioni culturali, a iniziare da quelle sco-lastiche; i sistemi di informazione e co-municazione; i rapporti che si dicono “di genere”; i modi di convivenza inte-rindividuale. La democrazia è diffusiva di sé; la si può cercare in tutti i rapporti sociali e la si può trovare usando tutti i mezzi della comunicazione sociale: non solo quindi lezioni e conferenze, ma anche spettacoli cinematografici, teatrali e musicali ai quali ci si rivolgerà ugualmente, non solo per raggiungere un pubblico il più vasto possibile, ma anche per toccare uno spettro di te-matiche il più ampio possibile.

Questo programma si svilupperà ne-gli anni e il periodo di tempo interme-dio non sarà un tempo passivo e muto, poiché sarà dedicato a promuovere esperienze e riflessioni diffuse capil-larmente nel tessuto della città e della regione, così come una teoria e una pratica democratiche richiedono.

Biennale Democrazia mira a colmare un vuoto che deriva da una percezione infondata dei caratteri della democrazia stessa, come forma di governo di cui tutti i popoli sarebbero capaci spontaneamente, cioè in ottemperanza a impulsi naturali.

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L’Ordine degli Architetti di Torino, attraverso la sua Fondazione, è or-goglioso di partecipare alla diffusione della cultura locale, promuovendo l'ar-chitettura come disciplina al servizio della qualità della vita.

Ma gli architetti sono “pratici” e con-sapevoli dell’urgenza di passare dalle parole ai fatti, dalla teoria alla pratica. E si tratta della pratica di tutti i giorni, o, me-glio, del “praticare” strade, spazi pubbli-ci e privati che a volte ci appaiono ostili e potremmo dire “non democratici”.

Ecco il motivo per cui gli architetti occupano uno spazio a Biennale De-mocrazia. Perché le parole che circo-leranno servano a fermarsi sul nostro quotidiano, sugli spazi fisici della città, sul diritto alla casa e sulla richiesta di luoghi d’abitazione che rispondano a nuove esigenze, nuove famiglie, nuovi nomadi, con la convinzione che an-che una riflessione sull’evoluzione dei modi di abitare la città, il social hou-sing, le nuove forme di partecipazione dei cittadini/utenti alla definizione delle proprie esigenze, una nuova qualità dello spazio residenziale e collettivo, il valore dello spazio pubblico come luogo in cui si esprime la democrazia urbana, possa essere portatrice di un utile contributo.

Di che cosa parliamo quando par-liamo di democrazia? Ci si aspetta – giustamente - lezioni di saggi, emeriti, costituzionalisti, … a declinare il termi-ne “democrazia” ad un pubblico atten-to, capace di cogliere le sfumature e comprendere le citazioni da Platone a Aristotele, da Polibio a Erodoto.

Il Prof. Zagrebelsky presiede questa prima edizione di Biennale Democra-zia, una tappa importante del percor-so di avvicinamento che Torino sta compiendo verso il 150° anniversario dell’Unità nazionale che ricorrerà nel 2011. Ricco e autorevole l’elenco dei relatori, che presenterà le forme mu-tevoli che la democrazia ha assunto dall’antica Atene fino ai giorni nostri (democrazia rappresentativa, costi-tuzionale, assembleare, referendaria, deliberativa, telematica, dei sondaggi), con doverose riflessioni sul ruolo della politica e sui possibili rapporti tra po-litica e magistratura, e un omaggio a Norberto Bobbio per parlare del futuro della democrazia.

che cosa ci fanno gli architetti dove si parla di democrazia?

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titolo sezione — 45

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46 — Roundabout

La città fragile di Beppe Rosso e Filippo TariccoPostfazione di Marco Revelli

Bollati Boringhieri 2008pp. 96 | € 12,00ISBN 978-88-339-1861-7

Da un acclamato spettacolo teatrale: la metropoli vista dagli zingari, le prostitute e i barboni.

Zingari romeni scappati dal loro villaggio in fiam-me e accampati alla periferia di una metropo-li; ragazze albanesi rapite di casa e gettate sui marciapiedi; italiani che vanno in rovina e sono costretti a defecare in strada. Vite consumate nella violenza di uno spazio aperto con i tenta-tivi di abitarlo, i gesti quotidiani e il bisogno di ritrovare una dignità e un’ironia per stemperare il dramma. Tre racconti in cui la città fragile si sovrappone alla città di sempre collocandosi al centro della narrazione, e la vita, quella più vera e umana, prende la parola al di sopra e dentro il brusio metropolitano.

Beppe Rosso, attore, regista e autore teatrale, negli anni Ottanta fonda la compagnia Granbadò Produzioni Teatrali e collabora stabilmente con il Laboratorio Teatro Settimo. Come drammaturgo scrive e allestisce con il Teatro Stabile di Torino una serie di testi che affrontano il disagio del vivere contemporaneo: Camminanti, la Trilogia dell’Invisi-bilità, Fantasmi d’Acciaio.

Filippo Taricco, autore teatrale, ha curato un vo-lume sulla punteggiatura per la collana «Holden Maps», collaborato con Radio 3 Rai e scritto nu-merosi testi allestiti da acti Teatri Indipendenti e dal Teatro Stabile di Torino.

Roundabout

L’emanazione dei decreti legislativi 192/05 e 311/06 sul rendimento energetico nell’edilizia ha definitivamente imposto il contenimento dei con-sumi energetici come requisito fondamentale della progettazione edilizia. Il volume si propone come strumento di progetto: di ogni requisito energetico citato si forniscono definizione, parametri presta-zionali, valori imposti e ambiti di applicazione.In appendice al volume si riporta un’analisi del-le leggi regionali in recepimento della direttiva 2002/91/CE.Il CD allegato contiene i testi integrali del decreto legislativo 192/05 (così come modificato e integra-to dal decreto 311/06), le parti delle leggi finanzia-rie 2007 e 2008 dedicate al risparmio energetico in edilizia, e i correlati decreti ministeriali attuativi.

Vincenzo Corrado, ingegnere, professore asso-ciato di Fisica tecnica ambientale presso il Poli-tecnico di Torino, è membro del gruppo di lavoro ministeriale incaricato della redazione dei regola-menti nazionali per l’applicazione del decreto le-gislativo 192/05.

Simona Paduos, architetto, dottoranda di ricerca in Innovazione tecnologica per l’ambiente costrui-to presso il Politecnico di Torino.

L’esperienza della Città di Torino sul tema del re-cupero e della rigenerazione urbana attraverso lo sviluppo di programmi complessi, strumenti volti all’integrazione della dimensione fisica con quel-la sociale del progetto urbanistico. Il Programma di Recupero Urbano di via Artom rappresenta un esempio paradigmatico di questo approccio, dove ai consistenti interventi urbanistici ed edilizi (tra cui la spettacolare demolizione di due edifici) sono sta-te affiancate azioni di accompagnamento sociale, finalizzate a sviluppare e a consolidare le relazioni con il territorio. L’informazione e la comunicazione sugli interventi previsti, la mediazione dei conflitti, la gestione di strumenti partecipativi, la promozione dello sviluppo economico e della relazione tra gli attori locali e quelli istituzionali sono le linee guida su cui si sviluppa l’attività di accompagnamento so-ciale, per costruire uno sviluppo locale condiviso e capace di guardare al futuro.Il volume è integrato da un CD che contiene alcuni video, realizzati nel corso del progetto, che com-pletano i contenuti del libro.

Federico Guiati, architetto e dirigente della Coope-rativa Sociale “Biloba”, ha sviluppato la professio-ne negli ambiti dell’accompagnamento sociale ai programmi complessi, della gestione di processi partecipativi e dello sviluppo locale territoriale.Ha seguito tutto il percorso di accompagnamento del PRU di via Artom ed è stato responsabile del cantiere sociale di via Artom dal 2001 al 2007.

Rigenerazione urbana e accompagnamento socialeIl caso di via Artom a Torinoa cura di Federico Guiati

Celid 2008pp. 156 | € 25,00ISBN 978-88-7661-799-7

La nuova legislazione sull’efficienza energetica degli edificiRequisiti e metodi di calcolodi Vincenzo Corrado e Simona Paduos

Celid 2008pp. 192 | € 33,00ISBN 978-88-7661-788-1

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Roundabout — 47

www.iisd.org

Sito del canadese International Institute for Sustai-nable Development, importante organizzazione non governativa che persegue gli obiettivi della sosteni-bilità promuovendo processi di negoziazione interna-zionali. Molto interessante la sezione Media, che offre la possibilità di contattare esperti su temi specifici.

www.lifegate.it

LifeGate è la piattaforma per il mondo eco-cultu-rale, nata per diffondere valori, consapevolezza, rispetto dell’uomo e dell’ambiente. Attraverso un network e progetti concreti, promuove i concetti di People, Planet e Profit, propone un nuovo modello economico in cui convivono profitti, rispetto per l’ambiente e attenzione per il sociale.LifeGate ha creato un network di comunicazione (radio, portale internet, magazine) per lo sviluppo e la diffusione del mondo dell’eco-cultura e offre alle aziende servizi di Corporate Social Responsibility per un nuovo modo di fare impresa secondo ele-vati standard etici, sociali e ambientali.

www.seri.at

Il Sustainable Europe Research Institute (SERI) è un “serbatoio di idee” per esplorare le opzioni di sviluppo sostenibile nelle società europee. Nato nel 1999, è un istituto virtuale basato su internet. Sotto lo slogan “Providing knowledge for better decision” (“Offrire conoscenza per decidere me-glio”) l’Istituto persegue una vasta visione della sostenibilità, dal punto di vista empirico a quello degli indirizzi politici.

www.economiaepolitica.it

Rivista indipendente di critica della politica econo-mica che offre un punto di vista alternativo sulle più importanti decisioni politico-economiche che si sono imposte recentemente: privatizzazioni e deregolamentazioni, aumento della flessibilità del mercato del lavoro, politiche monetarie e di bilancio restrittive, contrazione dello stato sociale, e molte altre. Grande attenzione a contemperare la duplice esigenza dell’approfondimento scientifico e della chiarezza e accessibilità del linguaggio dall’altro.

www.wupperinst.org

Il Wuppertal Institute for Climate, Environment and Energy si occupa di ricerca su ecologia e relazio-ni tra ecologia, economia e società. Il sito internet soddisfa la mission di comunicare i risultati delle ricerche a differenti gruppi di interlocutori, parlando loro nel loro proprio linguaggio. Molto interessante la newsletter quindicinale.

www.worldwatch.org

È il sito del Worldwatch Institute fondato da Lester Brown, istituto di ricerca indipendente riconosciuto dagli opinion leader per il valore delle sue analisi incentrate su temi critici a scala mondiale. La sua mission è promuovere la ricerca e la circolazione delle idee per costruire una società ecologicamen-te sostenibile che vada incontro ai bisogni umani. Pubblica una newsletter quindicinale.

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con homevent® recupero dell’umidità e risparmio energetico

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hoval: pioniere nella ventilazione domestica controllata

La ventilazione domestica controllata in relazione al concetto “CasaClima” proposto in Alto Adige è un tema di grande attuali-tà per tutta Italia. Gli edifici di moderna concezione sono costruiti in modo da consentire un maggiore isolamento. Il vantaggio: il risparmio energetico. Lo svantaggio: l’eccessiva tenuta dei ser-ramenti impedisce il ricambio d’aria, questo causa il deteriora-mento del clima interno e la formazione di batteri, muffe, funghi e sostanze nocive. Hoval HomeVent® risolve efficacemente questi problemi. Si trat-ta di un apparecchio per la ventilazione domestica controllata con recuperatore entalpico, che assicura una migliore qualità dell’aria e costi energetici contenuti.La tecnologia Hoval per la ventilazione domestica controllata è oggi utilizzata anche su larga scala: rispetto a un sistema di con-dizionamento dell’aria centralizzato, gli apparecchi HomeVent® possono essere adattati alle specifiche esigenze delle singole unità abitative.

Hoval HomeVent® pone nuovi standard- La regolazione dell’umidità dell’aria (con il recupero dell’umidi-

tà) aumenta il comfort;- Grazie al suo principio costruttivo l’apparecchiatura HomeVent®

aumenta l’energia recuperata dall’aria in uscita (livello di messa a disposizione di calore: circa 150% invece del 90%);

- Non si crea condensa, non è quindi necessaria l’installazione di un condotto per la condensa e ciò elimina la trasmissione di cattivi odori;

- Il nuovo recuperatore di calore non gela, non è quindi necessa-rio un preriscaldamento con un captatore posato nel terreno;

- È un’apparecchiatura di ventilazione che può essere utilizzata in diverse situazioni d’incasso (non si crea condensa, silenzia-tore per le vibrazioni integrato nel ventilatore).

Il principio dell’assorbimentoL’entalpia fornisce la dimensione del livello energetico dell’aria. Se, come fatto fino a oggi, si utilizza solamente il calore sensi-bile dell’aria da trattare, si perde una notevole quantità di ener-gia contenuta nell’umidità espulsa. Con l’utilizzo della tecnica d’assorbimento, ben conosciuta nella tecnica di processo per il trasporto selettivo dell’umidità, un recuperatore di calore può trasformarsi in recuperatore d’entalpia. E il risultato si traduce in un calore record disponibile che oscilla attorno al 110-150%.

Struttura e funzionamento di un recuperatore di calore a entalpiaUn rotore viene incorporato in un corpo estraibile e comandato tramite un motore a corrente continua EC. Il rotore è costituito da una matrice in alluminio simile a una struttura a nido d’ape rivestita da uno strato assorbente. Tramite innumerevoli e pic-coli canali, l’aria ambiente è separata dall’umidità (molecole di vapore acqueo) e dal calore e immessa nuovamente nell’am-biente. Questa tecnica è ineccepibile dal punto di vista igienico, in quanto non si ha più acqua di condensa contenente sostanze in essa solubili. Lo strato assorbente è inoltre ricoperto con un secondo strato antibatterico. Guarnizioni speciali, una camera doppia di lavaggio dell’aria e la disposizione del ventilatore, evi-tano il passaggio dell’aria da trattare proveniente dall’ambiente nella condotta dell’aria per da reimmettere nei locali.

Hoval Italia S.r.l.Via Per Azzano S. Paolo, 26/2824050 Grassobbio (BG) ItaliaT +39 035525069 www.hoval.it

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