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monografia Qualità in Architettura Architetture Rivelate 02 luglio 2009

TAO-02

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TAO – Transmitting Architecture Organ. Magazine monografico OAT. Qualità in Architettura

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monografia

Qualità in ArchitetturaArchitetture Rivelate

02 luglio 2009

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Direttore responsabileRiccardo Bedrone

reDazione Via Giolitti, 1 - 10123 TorinoTel. +39 011546975Fax +39 011537447www.to.archiworld.it

Raffaella Lecchi ([email protected])Liana Pastorin ([email protected])

segreteria Di reDazioneRaffaella Bucci ([email protected])Tel. +39 0115360513/4

art DirectorFabio Sorano - Lorem

impaginazioneDavide Musmeci - Lorem

FotograFieI materiali iconografici e le fotografie provengono dagli autori, salvo dove diversamente specificato. L’OAT è a disposizione degli aventi diritto per eventuali fonti iconografiche e fotografiche non identificate e si scusa per eventuali involontarie inesattezze e omissioni.

stampaAGES Arti Grafiche SpACorso Traiano 124 - 10127 Torino

pubblicitàMaddalena Bertone ([email protected])

Web versionSimona Castagnotti

Foto Di copertinaFabio Sorano

Supplemento di OA Notizie periodico di informazione dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Torino - n. 2/2009

Le informazioni e gli articoli contenuti in TAO riflettono esclusivamente le opinioni, i giudizi e le elaborazioni degli autori e non impegnano la redazione di TAO, né l’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Torino, né la Fondazione OAT.

TAO n.2/2009www.taomag.it

consiglio oatRiccardo Bedrone, presidenteSergio Cavallo, vicepresidenteFelice De Luca, segretarioAdriano Sozza, tesoriere

consiglieriRoberto Albano Domenico Bagliani Giuseppe Brunetti Mario Carducci Mariuccia Cena Franco Ferrero Franco FranconeGiorgio Giani Elisabetta MazzolaGennaro Napoli Stefania Vola

direttore OATLaura Rizzi

consiglio FonDazione oatCarlo Novarino, presidenteFabio Diena, vicepresidente

consiglieriRiccardo BedroneDomenico Bagliani Mariuccia Cena Franco FranconeMarcello La Rosa Claudio PapottiIvano PomeroGiuseppe PortoleseClaudio Tomasini

direttore Fondazione OATEleonora Gerbotto

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ContributorsAlla ricerca della qualità editoriale di riccardo Bedrone

EreditàQuando il 'maestro' è la foglia di fico Marco Preve e ferruccio sansa

Qualità dell'architettura, qualità della città: uno sguardo alle origini claudia conforti

Si spengono le luci intervista a luigi Prestinenza Puglisi

Quel che si direbbero gli amanti in città gianni farinetti

Abbiamo diritto alla bellezza enrico Bettini

DisseminazioneArchitetture Rivelate giorgio giani

Le Architetture Rivelate in ProvinciaLa MappaLe Architetture Rivelate a Torino

ScelteUrbanità europea e città sostenibile rosalia Marilia vesco

Un'idea di qualità intervista a francesco Burrelli, Michele d'ottavio, giorgio gallesio, ezio Pellizzetti, teresa saPey

Le dimensioni progettuali del costruire Paolo toMBesi

Odissee della qualità francesco Moschini con vincenzo d'alBa e francesco Maggione

Roundabout

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indice

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ENRICO BETTINIArchitetto, libero professionista, docente di Dise-gno e Storia dell’arte ai Licei, è promotore di “Cit-tàbella”, associazione culturale di architetti torinesi che opera in difesa della qualità architettonica e urbana.

FRANCESCO BURRELLILaureato in Ingegneria elettronica al Politecnico di Torino, coordinatore tecnico del centro studi dell’Associazione nazionale amministratori con-dominiali e immobiliari (Anaci), presidente regione Piemonte Valle d’Aosta e neo sindaco del Comune di Val della Torre.

CLAUDIA CONFORTI Insegna Storia dell’architettura alla Facoltà di Inge-gneria di Roma Tor Vergata. Autrice di studi sull’ar-chitettura del Cinquecento toscano e romano, si è occupata anche di architettura contemporanea. È autrice di numerose pubblicazioni e i suoi scritti sono stati ospitati dalle principali riviste internazionali.

MICHELE D'OTTAVIO Fotografo di reportage e architettura, è professio-nista dal 1990. Ha collaborato dal 1999 al 2004 al Progetto Periferie e per campagne di comunica-zione di Torino. Collabora con L’Espresso. È au-tore del libro fotografico 7° ad Est di Greenwich: nuovi volti di un luogo chiamato Torino (Lindau).

GIANNI FARINETTINato a Bra nel 1953. Copywriter, sceneggiatore e regista ha esordito nel 1996 con il romanzo Un de-litto fatto in casa (premio Grinzane Cavour, premier Roman di Chambéry e premio Città di Penne). L’ulti-mo suo romanzo Il segreto tra di noi (Mondadori) ha vinto l’edizione 2008/2009 del premio Via Po.

GIORGIO GALLESIO Nato a Torino nel 1946, laureato in Ingegneria ci-vile al Politecnico di Torino, è stato presidente del Collegio costruttori edili di Torino dal 2004 al 2008. Attualmente ricopre la carica di vicepresidente dell’Associazione nazionale dei costruttori edili con delega al Centro Studi. È amministratore delegato della società DE.GA.

GIORGIO GIANIArchitetto. Membro del Consiglio di coordinamen-to per il XXIII Congresso mondiale Uia - Torino 2008 e del bureau esecutivo di Umar (Union médi-terranéenne des architectes), è consigliere dell’Or-dine degli architetti di Torino e dal 2007 al 2009 assessore nella Provincia di Torino.

FRANCESCO MOSCHINIÈ docente di Storia dell’architettura e Storia dell’ar-te contemporanea presso il Politecnico di Bari, accademico nazionale di San Luca e membro dell’Aica - Associazione internazionale dei critici d’arte. È curatore di alcune collane d’architettura per le edizioni Kappa. Nel 1978 fonda la A.A.M. Architettura Arte Moderna.

EZIO PELIZZETTIÈ nato nel 1944 a Santhià, si è laureato in Chimica nel 1967 e poi in Scienze Politiche. È all’Università di Torino dal 1972 ed è professore ordinario di Chi-mica analitica. È stato membro del Senato accade-mico e dal 2004 è rettore dell’Università di Torino.

LUIGI PRESTINENZA PUGLISIArchitetto e critico di architettura, è autore di nu-merosi libri e saggi. Ha scritto testi per la Rai e svolto ricerche per il Cnr. Collabora con numerose riviste di architettura. Insegna Storia dell’architet-tura contemporanea all’Università di Roma La Sa-pienza. www.prestinenza.it

MARCO PREVENato a Torino, vive a Genova dove lavora alla re-dazione di La Repubblica e si occupa di cronaca giudiziaria. Tra le sue indagini, si segnalano le in-chieste sul G8 di Genova e sui casi di speculazione edilizia. Collabora con MicroMega e L’Espresso. È nella giunta del sindacato ligure dei giornalisti.

FERRUCCIO SANSALaureato in Legge, giornalista, nel 1996 è appro-dato a Il Messaggero; dal 2000 a La Repubblica; nel 2007 è stato inviato de Il Secolo XIX; oggi è a La Stampa. È autore di libri-inchiesta tra cui Il par-tito del cemento con Marco Preve (Chiarelettere 2008). Scrive per MicroMega.

TERESA SAPEYLaureata in Architettura a Torino, si è specializza-ta in Francia. Lavora a Madrid, dove ha fondato l’Estudio de Arquitettura Teresa Sapey nel 1990, uno studio internazionale specializzato in design d’avanguardia per case, negozi, ristoranti e ogget-tistica. Il suo ultimo lavoro è il parcheggio di plaza Cánovas a Valencia.

PAOLO TOMBESIArchitetto e dottore di ricerca all’Università della California, ha insegnato al SCI-Arc, Harvard, Yale e Politecnico di Torino. Attualmente occupa la cat-tedra in Costruzione all’Università di Melbourne. Ha ricevuto diversi premi in Australia e in Europa per progetti di ricerca. Dagli anni ’80 collabora con importanti riviste di progettazione.

ROSALIA MARILIA VESCOArchitetto, ha collaborato con la Facoltà di Architet-tura di Palermo e con diversi studi di progettazione. Dal 1997 è segretario nazionale di Europan Italia, per la quale cura le pubblicazioni e coordina gli eventi. Nel 2001 si specializza in project management.

contributors

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alla ricerca della qualità

Facile a dirsi, la qualità. Soprattutto per l’arte pubblica per eccellenza, l’architettura, e per quella contemporanea in particolare, se ne discute da anni senza raggiungere una de-finizione accettabile.

Perché è sotto gli occhi di tutti, giorno per giorno, e tutti ne sono osservatori e, inevitabilmente, critici non eruditi, per non dire sprovveduti.

Se fosse una merce qualsiasi, la qualità sarebbe il valo-re ricavabile all’incrocio tra domanda e offerta. L’idea del produttore contro il gradimento del consumatore. Ma è un prodotto dell’ingegno, cioè della creatività e della tecnica: cosa ne sarebbe dell’architettura se dovesse sottostare ai gusti correnti, del consumatore-tipo, appunto? Città invase da imitazioni dell’antico – e non si sa bene quale, dal mo-mento che non conosce gli stili, perché l’opinione pubblica è tendenzialmente antimodernista – oppure circondate da uni-vers pavillonaires di villette in stile svizzero, o mediterraneo, o hollywoodiano, colte al volo su qualche rivista di moda e poi riproposte come ‘traccia’ al progettista.

In tempi di globalizzazione e di difesa del consumatore, si è pensato bene di certificarla: la qualità dell’architettura è quella che si raggiunge attraverso un processo elaborativo standar-dizzato, sperimentato, simile ad una check-list. Con passaggi dosati, dall’idea al suo sviluppo, controlli frequenti, ritorni all’in-dietro e soggetti terzi ad osservare e ad attestare l’efficienza ed il rigore progettuale.

Ma questa è qualità di processo, non di un prodotto così lega-to alla diversificazione, alla genialità, alle capacità individuali da non essere riconducibile a nessuna forma di omologazione, in grado di farne misurare i pregi, che sono in primo luogo estetici.

A ciò si aggiunga, per rendere ancora più difficile e incerta la decifrazione della qualità in architettura, la spinta all’indivi-dualismo e la perdita di punti di riferimento collettivi – che ca-ratterizza ormai da tempo la società contemporanea in ogni

Editoriale di Riccardo Bedrone

aspetto – insieme al sopraggiungere di nuove esigenze che vengono caricate sull’architetto: il rispetto dell’ambiente, quasi che ogni ambiente non fosse stato fortemente intaccato nei suoi valori scenici dall’aggressività umana, e all’opposto la ri-cerca del massimo profitto ovvero della densificazione; il ri-sparmio energetico e la sostenibilità, cui si contrappongono le spinte al gigantismo, allo sfarzo, al richiamo esibito, che fanno a pugni con la sobrietà e il risparmio. Che ne è stato delle lezio-ni di semplicità dei ‘maestri’: less is more, oppure “l’architettura migliore è quella che non si nota”?

Negli interventi raccolti in questo numero di TAO si con-trappongono opinioni diverse, ma ugualmente stimolanti. Non offrono una definizione univoca del significato di qualità in ar-chitettura, ma tante interpretazioni. Una cosa è certa: emerge la “perdita del centro”, di un riferimento cioè, anche polemico, per il progettista come per l’osservatore colto o superficia-le – come avveniva un tempo – a scuole, a correnti, a regole fondative da cui l’estro e le capacità individuali possano trarre spunto per assumere, questa volta sì, qualità misurabili, esiti non di tentativi bizzarri e immotivati di autoglorificazione, ma di un paziente lavoro di ricerca del meglio, lento e progressivo, come è ogni avanzamento culturale.

L’OAT a suo modo, una ricerca di qualità l’ha avviata, isti-tuendo il premio “Architetture Rivelate” cui questo numero è dedicato. E se il suo conferimento non ha portato, giusta-mente, le commissioni giudicatrici che si sono succedute a codificare i requisiti della qualità da porre a fondamento dei giudizi critici, in qualche modo il loro lavoro ha sortito lo stesso effetto. Implicitamente, piuttosto che in positivo, leggendo le motivazioni (www.architetturerivelate.com) si ricava veramente un sintetico elenco di buone pratiche che hanno consentito di intravedere la qualità dei progetti premiati. Ragionando su di esse si capisce che forse la qualità non è definitivamente perduta ed è sempre percepibile.

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eredità

ciò che abbiamo ricevuto, ciò che lasceremo dopo di noi

anche in architettura esiste un'età dell'oro, un tempo mitico di qualità e armonia a cui tendono i sogni immobiliari del ceto medio e gli outlet padani. non si resiste al fascino dell'antico borgo medievale o della piazza rinascimentale: che cosa ha reso possibile la qualità di quegli spazi? grandi maestri e archi star, ordini e trattati, creatività e regole: che cosa può garantire qualità?

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Quando il 'maestro' è la foglia di fico

si spengono le luci

Quel che si direbbero gli amanti in città

Marco Preve e ferruccio sansa

claudia conforti

luigi Prestinenza Puglisi

gianni farinetti

abbiamo diritto alla bellezza

enrico Bettini

nuovi edifici come souvenirs d'égotisme per celebrare l'archi star e ottenere scorciatoie decisionali

le origini rinascimentali della ricerca della bellezza in architettura e la ricaduta sulla qualità dello spazio urbano

l'estro delle archi star ha consentito il superamento del Post-Modern, ma oggi si avverte un desiderio di quaresima in architettura

siamo sottoposti a un crescente inquinamento acustico, fattore che deve essere vincolante e decisivo per tutelare la qualità della vita

alla ricerca dell'armonia perduta, a favore di un disordine creativo

Qualità dell'architettura, qualità della città: uno sguardo alle origini

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c'è chi dice no al 'segno architettonico', che sia un complesso residenziale di lusso, un grattacielo o una chiesa. e non è solo una questione lessicale

Marco Preve e Ferruccio Sansa

Chi siete voi per dire che l’opera/prodot-to di un architetto possono essere bollati come fuori contesto, quando non addi-rittura come ecomostri? Quante volte si sente ripetere questa frase, quante volte la si intuisce dallo sguardo, da un moto di in-sofferenza. Eppure noi crediamo che ogni cittadino, libero da secondi fini, prevenzio-ni o interessi personali, possa permettersi di farlo. E per un ottimo motivo che non andrebbe mai dimenticato: “L’architettu-ra – come dice Renzo Piano – è un’arte imposta”. Poi ti può andare più o meno bene a seconda dell’architetto, dei com-mittenti, del controllo pubblico (comuni, regioni, soprintendenze) esercitato, di un percorso condiviso. Ma se ti va male? Tu che avevi la tua casetta con giardino so-leggiato, te la ritrovi oscurata da una torre di vetro cemento da 150 metri. Oppure tu che ti affacciavi alla finestra e vedevi il mare oggi ammiri un centro commerciale. O an-cora lei, signora, che dal suo balconcino vedeva la campagna fino all’orizzonte, oggi se la ritrova spezzata da un ponte tanto griffato quanto mastodontico. Beh… a tutti voi l’architettura è stata imposta. Perché chiariamo subito una cosa: è suggestivo

sentir parlare di opere d’arte di questo o quell’architetto, però un quadro, se non ci piace mica siamo costretti a vederlo tutte le mattine uscendo di casa; e se un ro-manzo lo troviamo noioso non dobbiamo per forza leggerlo ogni santo giorno quan-do usciamo di casa. Ecco perché diciamo che l’architettura è un’arte imposta. Specie oggi che viene esercitata non più per biso-gni primari, ma assai spesso per interessi di pochi. Non sempre – e neanche troppo spesso – illuminati.

E per favore, visto che qualcuno ce la impone, almeno recuperiamo un pudore lessicale ormai seppellito. Noi non siamo in grado di dire se il grattacielo che l’archi-tetto Massimiliano Fuksas vuole costruire sul mare tra Savona e Albissola contenga in sé una serie di elementi che rimandano a linee classiche rivisitate in chiave con-temporanea, rifacendosi magari a questa o quell’altra scuola o tal pensiero filosofi-co. Troviamo però leggermente offensivo che una torre alta 120 metri e destinata ad ospitare un albergo e seconde case di for-tunati e benestanti piemontesi e lombardi, costruita sul mare con una piattaforma di cemento, ecco che questa mattonata ver-

ticale l’architetto l’abbia definita “puntura di spillo”, “trasparente”, “un segno”. Perché usare queste parole? Forse perché palaz-zo non è chic, grattacielo non è politica-mente corretto e residenza di lusso urta le coscienze di sinistra?

In questi ultimi anni trascorsi ad ap-profondire con inchieste, articoli, dibat-titi, incontri, il tema della nuova ondata di cementificazione ci siamo accorti di un nuovo fenomeno: l’architetto di fama, il ‘maestro’ viene utilizzato come foglia di fico. Perché per un comitato, un’opposi-zione, un tecnico comunale diventa assai più difficile contestare, criticare, sollevare obiezioni se il progettista ingaggiato dal grande imprenditore, dalla cooperativa o dalla cordata guidata da qualche banca si chiama appunto Fuksas, oppure Botta, o ancora Bofill, Consuegra e via discorren-do. Architetti che quando sono invitati a presentare il loro progetto non ti spiegano che si tratta di un’operazione commerciale privata, non ti dicono quanto guadagne-ranno loro e quanto i committenti, ma ti sciorinano visioni del mondo e perle di saggezza, e alla fine sei convinto che sono venuti qui per fare un dono all’intera co-

Quando il 'maestro' è la foglia di fico

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munità. E così il calcestruzzo diventa ete-reo, quasi impalpabile. Eppure sempre più spesso gruppi di cittadini si battono contro casi di cementificazione e non di rado ot-tengono vittorie, a volte totali, a volte par-ziali, quando il progetto viene comunque ridimensionato. Le armi sono quelle pacifi-che di mobilitazioni che avvengono ormai anche senza il supporto dei media ufficiali. Basta un blog, un sito, una newsletter per mettere in circolazione le informazioni. Ma non c’è solo la tecnologia: ci sono anche le più classiche riunioni e i dibattiti al bar sot-to casa o nella sala parrocchiale o ancora volantini in tutti i portoni, recuperando così strumenti che oggi la politica ufficiale ha dimenticato, troppo occupata a dialogare virtualmente su Facebook e dimenticando di scendere per strada. E il fenomeno del ‘comitatismo’ tanto snobbato e vilipeso dalla politica, noi lo abbiamo conosciuto e spesso apprezzato. Non c’è egoismo né difesa di interessi particolari dietro a que-ste migliaia di persone che vogliono difen-dere il loro territorio, il paesaggio, l’ambien-te. Non è un atteggiamento di chiusura, ma anzi una scelta di rifiuto di facili arric-chimenti. Perché molti dei partecipanti op-ponendosi rinunciano a benefici immediati anche consistenti (come li possono gene-rare nuovi porti turistici, residence, centri commerciali) optando per la difesa di un bene che una volta consumato non sarà mai più rinnovabile: la qualità della loro vita. Ed è così che l’architettura diventa ormai argomento discusso dalla base, dai citta-dini, dalle associazioni. Ed accade proprio mentre dal dibattito – questa è perlomeno l’esperienza che possiamo documentare per la Liguria – è quasi del tutto assente l’Architettura con la A maiuscola, quella dell’Ordine e quella dell’Università. Ci han-no invitati studenti della facoltà di Geno-va a discutere del ruolo dell’architetto nel rapporto con la comunità, con le scelte ur-banistiche e ambientali. Hanno chiamato due giornalisti perché i loro docenti questi argomenti li evitano. Ma molti di loro biso-gna capirli perché hanno sempre il tempo contato e subito dopo le lezioni devono correre negli studi, oppure a tenersi buono qualche grande imprenditore, o ancora a convincere sindaci e assessori all’urbani-stica della necessità di una variante. Palazzo per uffici "Casa Aurora", Torino, 1987 (A. Rossi con G. Brughieri, M. Scheurer, G. Ciocca, G. Da Pozzo)

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i trattati del rinascimento erano strumenti di diffusione e di aggiornamento dei canoni di bellezza architettonici

Claudia Conforti

Qualità dell'architettura, qualità della città: uno sguardo alle origini

imporla come modello all’intera Europa. Molte ipotesi tecniche e ideologiche

relative all'architettura e alla città, ela-borate nel XV secolo, confrontandosi con la molteplicità dei casi reali, sono allora messe in crisi e costrette a rive-dere le proprie premesse concettuali. Nel Cinquecento le società europee vivono mutamenti irruenti e radicali: la diffusione della stampa ha ampliato la base interessata alla cultura e alle arti, che possono avvalersi di tecniche spe-rimentate, alle quali non occorre ne-cessariamente l’invenzione creativa ed estemporanea del singolo.

Tramite i trattati, la cultura architettoni-ca precisa e sistematizza i propri principi formali, riconducendoli a un linguaggio genericamente classicista, che assurge a fonte primaria e a garanzia di qualità del manufatto edilizio. Pertanto, la proli-ferazione dei trattati e la diffusione delle tavole che ne illustrano i principi testi-moniano l’esigenza di qualità architetto-nica avvertita da larghe fasce sociali e impugnata come arma di propaganda politica dalle signorie e dai principati. Si moltiplicano le versioni di Vitruvio che,

e fontane turbinanti di statue. È neces-sario partire da questa premessa per valutare storicamente il processo di consapevole ricerca della bellezza in ar-chitettura e la sua ricaduta sulla qualità dello spazio urbano: un’attitudine che lascia tracce ancora brucianti nel pen-siero contemporaneo.

Fin dalle prime riflessioni storiche emerge il doppio registro che ha so-printeso, a partire dal Cinquecento, la rinascita della città italiana, originata da sconfinate ambizioni di prestigio e di autoaffermazione che, inversamente proporzionali al potere e all’estensione territoriale dei minuscoli stati, trascina in irresistibili slanci edificatori i Signori della Penisola. Al servizio delle smanie costruttive e dei sogni urbanistici dei principi italiani si pongono da un lato una sofisticata elaborazione teorica, ampia-mente divulgata dai trattati, dall’altro prescrizioni giuridico-normative che, a fronte di impianti urbani medievali minu-tamente parcellizzati, orientano e disci-plinano, in conformità con lo spirito della trattatistica, la rifondazione della città italiana, in termini talmente persuasivi da

È nell’Italia del pieno Rinascimento che l’idea di città si salda indissolubilmente con l’istanza di bellezza: un connubio che in forme e modalità diverse, si ma-nifesta e si rinnova in tutta la penisola, da Trento a Messina, da Venezia a Tori-no, da Pesaro a Mantova. Nell’Italia del Rinascimento maturo la città non è più solo il rifugio da una natura insidiosa, il luogo sicuro e protetto dagli attacchi nemici: essa diventa il teatro delle son-tuose nozze tra la Magnificenza e l’Uti-le. Allora e lì, il manufatto architettonico dismette la sua natura cristallina; ces-sa di essere un oggetto perfettamente definito e in sé concluso: diventa cel-lula vivente di un sistema spaziale, che esso stesso contribuisce ad attivare, e da cui riceve ragione e senso. Da allo-ra l’edificio vive e si giustifica in quanto segmento organico di una parte di città, che tende all’opera d’arte.

Quando in Italia il potere assoluto di antico regime si guarda allo specchio, non vede un esercito agguerrito né una flotta potente, ma vede una città, con strade ampie e diritte, con piazze lastri-cate, con nobili palazzi, chiese solenni

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Incisione di Gregorio XIII circondato dalle sue fabbriche

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di bellezza, fondata sul dialogo serrato tra edificio privato e ruolo pubblico, tra funzione residenziale e fasto cerimonia-le, tra norma e licenza.

Proprio l’esuberanza di modelli ed esempi messi a disposizione dai trattati fa sì che la prassi edilizia privilegi la varia-zione sul tema, l'ingegno combinatorio piuttosto che la scrittura nuova. La cre-scente ambizione sociale vede il palazzo privato competere con le chiese e con le opere pubbliche nella qualificazione degli spazi urbani. Questi si configurano come prodotto di processi fondiari, im-mobiliari, economici e culturali comples-si e stratificati, direttamente orchestrati

della storia: i Quattro libri dell’architet-tura di Palladio (Venezia 1570) che, se cede al Vignola per la qualità grafica (le tavole sono ancora incise su legno), lo sopravanza per genialità compositiva e dispiegamento di esempi.

La divulgazione a stampa dei trattati di architettura, se denuncia una diffusa richiesta di qualità e di aggiornamento da parte di larghe fasce di committenza, abitua anche nobili e plebei ad apprez-zare l’aderenza dell’edificio a un sistema consolidato di regole riconosciute, capa-ce di coniugare scelte formali, coerenza costruttiva e rappresentatività sociale. Su queste basi si stratifica un’idea condivisa

variamente illustrate e commentate, nel 1556 sono sbaragliate dalla formidabile edizione di Daniele Barbaro, commenta-ta dalle tavole di Andrea Palladio (1508-80). Ai Libri del Serlio, un repertorio ricco quanto eterogeneo a cui attingere per formulazioni aggiornate si affianca la Regola delli cinque ordini (Roma 1562) di Jacopo Barozzi da Vignola (1507-1573). Il maggior successo editoriale di sem-pre: non un vero trattato, ma appunto una ‘regola’ per disegnare e proporzio-nare con semplicità gli ordini architetto-nici, illustrati da tavole limpide e sontuo-se, nitidamente incise su pregiato rame. Alla Regola segue il trattato più amato

Giorgio Vasari, Cosimo I de' Medici circondato dai suoi artisti, Firenze Palazzo Vecchio, salone dei Cinquecento

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emanate dai precedenti pontefici e ri-conosce la preminenza della pubblica utilità, anche in relazione alle costruzioni private, rispetto all’egoistico interesse del singolo. Con la fiorentina “legge del Comodo” la bolla romana condivide la facilitazione degli espropri e delle ven-dite forzose a vantaggio di chi intende costruire nuovi palazzi che contribuisca-no alla magnificenza della città. A questo stesso obbiettivo è finalizzato l’obbligo fatto ai privati di recintare con alti muri le aree abbandonate e gli edifici in rovi-na, in modo che dalle strade i pellegrini ricevano comunque l’immagine di una città regolata e ordinata. Immagine a cui concorrono anche le strade ampie, ten-denzialmente diritte e con gli edifici rigo-rosamente ben allineati: per conseguire questi assetti la bolla prevede espropri e adeguate demolizioni. Vistosi sono i ret-tifili aperti, grazie alla bolla gregoriana, a Roma da Sisto V Peretti (1585-90), fon-dati su una maglia stellare che conduce gli sguardi e i passi dei pellegrini dritto verso le basiliche maggiori, segnalate da obelischi e fontane. Anche a Roma, chi intenda costruire beneficiando dei vantaggi degli espropri contemplati dalla costituzione gregoriana, è obbligato dai Maestri delle Strade, che con il Camer-lengo sono preposti al rispetto della leg-ge edilizia, a fissare e a rispettare la cifra di denaro preventivata per la costruzio-ne, la data di inizio dei lavori e quella di completamento. Pena sanzioni pecunia-rie e confische.

In conseguenza della Costituzione Edilizia, a Roma la razionalizzazione delle infrastrutture (strade, acquedotti, fognature) procede di pari passo con la riduzione della frammentazione me-dievale, favorendo la fusione dei lotti, a vantaggio dei palazzi aristocratici, degli edifici pubblici, e soprattutto degli in-sediamenti religiosi degli antichi ordini mendicanti (domenicani, benedettini, francescani) e degli ordini secolari di nuova istituzione (gesuiti, teatini, ora-toriani, etc.), che monopolizzano isolati urbani sempre più estesi e che, nel cuo-re di Roma, sperimentano stupefacenti sistemi di relazioni spaziali tra città se-colare ed edilizia religiosa.

appezzamenti estesi. Il provvedimento di Cosimo pertanto è rivolto proprio a fa-vorire coloro che, aspirando a “far bello et comodo edifitio”, per raggiungere lo scopo, devono acquisire i terreni con-finanti. Il decreto impone allora la ven-dita forzosa degli appezzamenti con-tigui a vantaggio di chi vuole costruire. Quest’ultimo però è obbligato a compra-re l’intero lotto limitrofo, con tutte le case che vi insistono, e non la sola parte che gli servirebbe per la nuova costruzione. Il prezzo, stimato da tre periti nominati rispettivamente delle due parti in causa e dagli ufficiali di Monte, la magistratura preposta, viene aumentato d’ufficio del 10% a compenso dell’obbligo di vendita. L’acquirente è inoltre tenuto a comple-tare i lavori nei tempi e nei modi che ha preventivamente concordato con la ma-gistratura preposta, pena la confisca del terreno e dell’edificio in costruzione. La nuova fabbrica poi deve costare una ci-fra almeno dieci volte superiore a quella sborsata per l’esproprio.

Per questa via si inducono costruzio-ni sontuose che, per eguagliare il valore prescritto dalla legge, sono rifinite con costose cornici in pietra, statue e basa-menti bugnati; mentre i terreni acquisiti in misura esuberante rispetto al bisogno, vengono sistemati a giardini, che rendo-no più salubre e rarefatto il denso tessu-to medievale. Nella legge del Comodo la qualità architettonica e la qualità urbana sono tanto intimamente congiunte, che qualora gli aspiranti costruttori siano due, viene privilegiato quello il cui progetto edilizio consegua “maggiore ornamento alla Città”, secondo il giudizio insindaca-bile degli ufficiali di Monte.

Un provvedimento analogo per finalità e modi, viene deliberato anche a Roma alcuni decenni più tardi, nel 1574, da papa Gregorio XIII Boncompagni: esso è noto come Costituzione edilizia o, dal-le prime parole del testo, “Quae Publice Utilia”. Un complesso di ventitre norme che, oltre a costituire il presupposto giu-ridico della straordinaria fioritura della città barocca, condizionerà l’edilizia ro-mana fino al 1870.

La bolla gregoriana raccoglie e siste-matizza le delibere “ad ornatum Urbis”

dal potere, dove l’interesse del singolo deve sapersi accordare con le esigenze funzionali e le istanze simboliche della collettività, incarnata dal Principe.

La Publica Commoditas, obbiettivo conclamato delle provvidenze edilizie e urbane dell’assolutismo, condiziona in termini stringenti anche la volontà edificatoria del privato, che si misura con provvedimenti normativi espressa-mente varati nel corso del Cinquecento e messi in esecuzione da magistrature preposte. L’esigenza di ordine e di con-trollo della società, che ha nel Concilio di Trento (1545-1563) l’apice di riorga-nizzazione religiosa e sociale, coinvol-ge concretamente l’architettura e la città, dove si manifesta come istanza di razionalizzazione del tessuto urba-no: certo in funzione di un suo migliore controllo militare, economico, sociale e religioso, ma anche e soprattutto di una sua massima persuasività simbolica, fi-nalizzata all’esaltazione del potere.

Tra i più precoci ed efficaci provvedi-menti normativi che vanno in tal senso si attesta la cosiddetta ‘legge del Co-modo’ emanata il 28 gennaio 1551 da Cosimo I de’ Medici duca di Firenze. Il decreto intende favorire chi vuole “edi-ficare di nuovo palazzi, o case, o vero ampliare e riformare le già fatte”, con-tribuendo “all’ornamento et bellezza” di Firenze e delle città del dominio. A chiare lettere la legge fiorentina istitui-sce una corrispondenza biunivoca tra la qualità del singolo manufatto edilizio e la bellezza della città: un attributo che sta tanto a cuore al potere da intaccare, tramite l’esproprio, l’integrità del diritto di proprietà privata. Un diritto, fino al-lora, eccezionalmente sospeso solo in presenza di un’urgenza bellica legata alla difesa. Ma la città, lo abbiamo anti-cipato, è divenuta depositaria privilegia-ta dell’immagine del potere e della sua persuasività simbolica: per questa via essa si è tramutata in opera d’arte.

Il tessuto edilizio delle città toscane, frammentato in lotti medievali stretti e lunghi, oppone resistenza alla costruzio-ne dei palazzi moderni, che i trattati pre-scrivono ampi, con cortili ariosi, loggiati e giardini, e il cui insediamento esige

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dobbiamo molto alle archi star, ma il loro astro è in declino.Potranno offrire ancora buona architettura, ma oggi c'è bisogno di nuova sperimentazione, che può arrivare solo dai giovani

Intervista a Luigi Prestinenza Puglisi

si spengono le luci

DOMANDA Prestinenza Puglisi, architetto e docente, è conosciuto principalmente per un’attività costante di critica (pun-gente) dell’architettura. Alcuni suoi scritti polemizzano sulle scelte progettuali di certe amministrazioni, altri sulle compo-sizioni delle giurie dei concorsi… Come commenta la dichiarazione del Sinda-co de L’Aquila che sembrerebbe voler chiamare le archi star a rifare la città colpita dal terremoto di aprile?RISPOSTA Né male né bene. Certo si poteva pensare di chiamare a raccolta giovani talenti non particolarmente af-fermati ma di provata bravura. Il con-corso, se pulito, è sempre la scelta vin-cente. Ma la star assicura comunque uno standard di qualità. Tra incaricare del rifacimento del piano urbanistico della città un esperto di chiara fama o il tecnico locale scelto per amicizie politiche, mi sembra che non si possano avere dubbi…D Quindi lo star system produce qua-lità. Eppure qualche critica comincia a farsi sentire…R Chi oggi spara addosso allo star system lo fa con la pretesa di fare piazza pulita di

quel modo di progettare che ha invece rappresentato innovazione in campo ar-chitettonico. La critica degli accademici muove dalla convinzione dell’autonomia della disciplina, che rimpiange il passato e che mal ha sopportato di perdere incarichi a favore di quei colleghi che considera “ar-chitetti dello spettacolo”. Interpreto lo star system da due punti di vista. Quello positivo coglie i ragionamenti nuovi e profondi fatti sullo spazio e le tec-niche di composizione, che smentiscono chi li giudica antidisciplinari. È strano ve-dere che gli accademici non riescono a cogliere questo aspetto. Eppure solo per citare il Guggenheim di Bilbao, esso inter-preta le logiche di inserimento urbano dei migliori edifici barocchi. E le realizzazioni di Koolhaas sono manieriste ad un grado quasi esasperato.L’aspetto negativo dello star system lo rin-traccio invece in quel suo eccesso di for-ma, di iconicismo, che, soprattutto a parti-re dalla crisi e dalla nuova consapevolezza mondiale seguita all’attentato delle Twin Towers, è desiderabile abbandonare. Ciò di cui si è sentito il bisogno da quell’11 set-tembre 2001 è di asciugare il lessico, di

purgare gli eccessi, di ricercare una mag-giore sobrietà delle forme, che è l’aspetto più interessante dell’architettura che si sta facendo strada soprattutto tra i giovani. Si veda l’esempio sia pur paradossale del padiglione giapponese alla Biennale di Architettura di Venezia del 2008: le forme di Junya Ishigami sono oltre l’anoressia. E poi – e ciò è molto più interessante – vi è una maggiore consapevolezza politica e sociale, che tenta di andare oltre le forme per puntare diritto al cuore delle questioni, come ha mostrato il padiglione americano alla stessa biennale curato magistralmen-te da Bill Menking.In questo senso lo star system non ha più molto da dire e deve essere superato, ma i suoi effetti dureranno per molti anni, come è successo per il Post-Modern, sopravvis-suto oltre vent’anni alla sua decretata fine. È indiscutibile inoltre che Zaha Hadid, Frank Gehry, Jean Nouvel, Rem Koolhaas e Daniel Libeskind abbiano apportato un notevole contributo alla ricerca architetto-nica. È troppo semplicistico criticare le for-me bloboidali di Gehry per il museo di Bil-bao perché quell’edificio ci ha fatto capire che era possibile fare architettura in modo

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diverso; i contorcimenti linguistici di Libe-skind non possono oscurare la qualità di progetti come il Museo ebraico di Berlino del 1999; non si possono infine non consi-derare fondamentali nell’arricchimento del dibattito architettonico il contributo di Rem Koolhaas maturato dall’avanguardia per offrire nuove considerazioni su velocità e utilizzo di materiali poveri e il modo di Zaha Hadid di concepire un’architettura dinami-ca che abbraccia lo spazio.È per questi motivi che ritengo che la mi-glior opera di Gregotti, di Purini, di Botta, di Portoghesi, di Moneo non regga il confron-to con la peggio riuscita di Hadid.D Quando nasce lo star system come grup- po di professionisti a cui doversi riferire?R Zaha Hadid, Peter Eisenman, Daniel Libeskind, Frank O. Gehry, Coop Himmel- b(l)au, Bernard Tschumi e Rem Koolhaas sono i protagonisti del Decostruttivi-smo, i cui lavori sono raccolti per la prima volta nel 1988 al MoMA di New York nella mostra “Deconstructivist Ar-chitecture”, che lanciò di fatto il nuovo stile. Ma i segni del nuovo sentire ap-paiono prima, verso il 1983 se non alla fine degli anni ‘70 con la casa a Santa Monica di Gehry. “At last! Architecture is on the wing again”, per dirla come Peter Cook: dopo l’era Post-Modern afferma-tasi come accademia statica, pesante e stilisticamente confusa, l’architettura rinasce con vigore traducendo in un linguaggio di forme la complessità e le contraddizioni del mondo.Lo star system è un fenomeno che si sviluppa verso la metà degli anni ‘90 come volontà di un nuovo linguaggio architettonico. Dissolti i miti positivisti-ci del primo Novecento, si perfeziona il passaggio dalla società meccanica a quella elettronica. Si acquistano in modo definitivo due consapevolezze: l’archi-tettura è mediazione, interrelazione fra uomo e ambiente esterno; l’architettura è la dimensione attraverso cui il pensiero si proietta nello spazio, ritrovandosi nella chiarezza di un’immagine.Lo star system conservava però alcu-ni bacilli di Post-Modern riscontrabile nell’iperformalismo di Hadid, Gehry e Koolhaas. Possiamo considerare il De-costruttivismo come l’ultimo erede del

Post-Modern, o, differentemente, come la prima fase di una rinascita, come so-steneva Bruno Zevi, il quale notava che l’architettura è adesso riportata ad una dimensione spaziale che il Post-Mo-dern non aveva.Nel 1995 Rem Koolhaas pubblica “S, M, L, XL” e tra il 1997 e il 1999 vengono inaugurati gli edifici di maggior successo: il Museo Guggenheim a Bilbao di Frank O. Gehry e il Museo ebraico di Berlino di Daniel Libeskind.Gli anni dal 1999 al 2001 sono euforici: si scopre l’amore per l’architettura, per le sue nuove forme e si fa più forte la convinzione che l’architettura può dare un contributo decisivo allo sviluppo e al rinnovamento delle città, grazie anche al boom finanziario che fa sognare di poter ripetere in altri luoghi l’effetto Bil-bao, come documentano Domus e altre riviste del periodo.

Lo star system si arricchisce di nuovi riferimenti: Renzo Piano, Richard Ro-gers, Sir Norman Foster, fino a Massi-miliano Fuksas. Il 2001 segna la svolta. Il crollo delle Twin Towers fa capire al mondo che quella che era un’ipotesi di sviluppo che puntava sulla globalizzazione dei con-sumi e sulle nuove tecnologie informa-tiche non era più convincente. Lo star system non ha più capacità di incidere. Se da un lato continua la sua produzio-ne di opere eccellenti (ma prive di quel ‘fuoco’ e degli stimoli propulsivi degli esordi), dall’altro è impreparato a dare risposte convincenti per stimolare una nuova ricerca architettonica.D La critica più ricorrente è la riproduzione in serie delle loro architetture. È fondata?R Pochi architetti riescono a ricrearsi completamente. L’hanno fatto più vol-te, per esempio, Frank Lloyd Wright e Le Corbusier. E in fondo il ripetersi della cifra stilistica dell’architetto è fattore ri-

chiesto dal pubblico, che ha bisogno di riconoscere e in qualche modo di essere rassicurato in una scelta che ha elementi formali consolidati.Qualche tentativo di riconvertirsi è oggi rintracciabile in Koolhaas alla ricerca di una dimensione aniconica dell’architet-tura (ma lo sarà o si tratta di un bluff?), o in Gehry che pare con i recentissimi edifici abbandonare le lamiere a vista, o ancora Zaha Hadid che dialoga sempre più con la natura.L’innovazione e la sperimentazione non sempre producono risultati eccellenti, che resistono nel tempo. Il più delle volte è una sola l’idea che cambia la vita.Si aggiunga il fatto che le star hanno ampliato enormemente i loro studi pro-fessionali e non riescono sicuramente a seguire tutti i lavori, delegati a giovani aiutanti che acquisiscono le loro cono-scenze girando per il mondo ma fre-quentando più o meno le stesse univer-sità e gli stessi professori. A loro spetta il cosiddetto lavoro di cucina che però oramai è fatto delle stesse portate. Un po’ come è accaduto nel settore della moda, dove non è più immediatamente individuabile alla sola vista di un abito lo stilista che l’ha creato.Per effetto dell’internazionalizzazione e della globalizzazione ora tutte le ricette si somigliano.D Chi sono le archi star in Italia?R La migliore architettura italiana è espressa da Renzo Piano. Tutta la pole-mica sull’altezza del grattacielo progetta-to per Torino mi sembra sterile. Le opere possono essere modificate: pensate più alte ma realizzate più basse senza per questo modificarne gli aspetti qualitativi. La pretesa che le nuove architetture sia-no generate dal luogo in cui dovranno sorgere può essere mistificante. È inve-ce l’architettura che deve “fare luogo”: le piramidi non rispondono all’orografia dell’Egitto ma la creano nell’immagina-rio di tutti; l’architettura romana genera il luogo imponendolo alla natura circo-stante a volte con segni drastici e anche a scala inumana. Wright fa una violenza inaudita a una cascatella trasformandola nella coprotagonista di un indimenticabi-le capolavoro.

Tra incaricare del rifacimento del piano urbanistico della città un esperto di chiara fama o il tecnico locale scelto per amicizie politiche, mi sembra che non si possano avere dubbi…

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Gianni Farinetti

Quel che si direbbero gli amanti in città

Il silenzio è d’oro. Silenzio, si gira. Fate silenzio. Se n’è silenziosamente andato il compianto Alfonso. Ecco, il silenzio, ce lo siamo giocato, lo abbiamo sacri-ficato sulla pubblica piazza (piena di clacson), è diventato suo malgrado l’ul-timo degli inaccessibili lussi. E notiamo quelli che nel fine settimana scappano in montagna, in campagna, per com-mentare un tantino sbigottiti il lunedì mattino: “Madonna, c’era un silenzio impressionante lassù.” Il silenzio è il più antimoderno degli stati, il rumore invece è attuale, popolare, quel che si dice ‘un articolo che incontra’. Piace, il rumore, perché è sinonimo di vitalità, di condivisione, soprattutto è l’antido-to della odiata solitudine. A nessuno sembra più piacere la solitudine, la si teme come il peggiore dei mali, il peg-giore degli inferni – e infatti l’inferno è da sempre rappresentato come un luogo rumorosissimo zeppo di lamen-ti e demoniache vociazze. Il rumore, soprattutto se assordante, è il mesto lascito dell’epoca industriale. Rotaie, magli, sirene sono stati per più di un secolo sinonimo di libertà, entusiasmo,

progresso. Una libertà, un progresso che però ha generato un mondo di sor-di nel quale la prima a soccombere è la voce umana. A ucciderla definitiva-mente è giunto il cellulare. Nove volte su dieci qualcuno ci chiama mentre è in mezzo al traffico, allo stadio, a una manifestazione, e un bel pezzo di tele-fonata è condita da: “Scusa non sento niente.” “Sì, c’è un casino pazzesco.” “Aspetta ti richiamo.” “No, sentiamoci questa sera, ma cosa volevi dirmi?” Im-maginiamo due amanti che sussurrano frasi d’amore incollati al rovente – dopo un po’ diventa rovente – cellulare: “Ti amo.” “Anch’io, ti aspetto, ma cos’è ‘sto baccano, dove sei?” “Al ristorante con mia moglie.”

Dov’è andata a finire l’intimità? Già i decenni post boom economico ci han-no abituato a pareti esilissime dalle quali tracimano i segreti più inconfes-sabili del vicino di pianerottolo (e fin lì magari ci scappa anche una risata), ma se il vicino ci ammorba pure col volume tenuto altissimo della TV, beh, anche se civilmente contrarissimi, pensiamo a come procurarci il porto d’armi.

Architetti, urbanisti e amministratori dovrebbero tenere conto della morte del silenzio, del trionfo del fracasso. Certo è bello scendere in piazza a ma-nifestare contro il governo, è bellissi-mo, a chi piace, sballarsi una sera in discoteca, andare a una festa di paese con la banda, l’orchestra e pure la can-tante, però. Però un conto è scegliere, un conto è il rumore imposto. Non c’è più un bar, una trattoria, un autogrill senza la musica, e fosse almeno di sot-tofondo. Macché, rock duro a palla già di buon mattino. Anche la musica, nel suo insieme, viene così svilita, ridotta a un accompagnamento molesto e non richiesto. Perché si crede che il silen-zio sia noioso, spaesante, una sorta di minaccioso non luogo. Mettiamo che un sindaco volenteroso decida di rifare la pavimentazione di una strada. Qua-le materiale scegliere? Certo le solide pietre di un tempo, i cari, vecchi e tra-dizionali sampietrini, perbacco. Poi si posano le rotaie del tram e si dà il via al carosello di auto e motorini. Il risulta-to è vivere come sotto una persistente grandinata, in qualche confine di guer-

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riglia. Via Po a Torino, per dire. Una delle strade più rumorose del pianeta. Certo l’asfalto è bruttarello, incompati-bile con le buone vecchie cose di una volta, ma si potrebbe – si dovrebbe – trovare un sano compromesso tra pie-tra e rotaia del tram. I suoni non sono quasi mai contemplati nei progetti. Si pensi al mercato immobiliare: annunci che esaltano la “vista corso” a costi decisamente più brillanti degli apparta-menti con la modesta, diciamo prole-taria “vista cortile”. L’affaccio su strada è socialmente avvantaggiante, al retro, magari affacciato su un sopravvissuto giardino cittadino, si relegano i loca-li di uso modesto (che bello sarebbe attrezzare il garage come camera/stu-dio, ah!). Naturalmente il luogo privile-giato del disagio è la città. Il lavoro si concentra nelle città, soprattutto nelle grandi città che diventano giorno dopo giorno sempre più immense, scostanti, durissime. Anche il divertimento si ac-centra nelle città, appunto locali dove si va a far baldoria, così si ha la sensa-zione di non essersi persi nulla, di es-sere al centro della felicità. I suoni della

città sono confortevolmente artificiali, persino l’abbaiare di un cane ci risulta fastidioso, lugubre. Il fruscio delle fo-glie mosse dal vento è inudibile, i passi sul selciato in piena notte angoscianti (sarà un ladro? Un tossico? Scendi un po’ a vedere). E così spesso anche in vacanza. Vale anche per gli odori. Che odore ha il mare, ad esempio, e come si fa, soprattutto in Italia, a raggiungere il mare? Mettiamo una costa qualsiasi. A) trovare un parcheggio possibilmente all’ombra (scordatevelo). B) attraversa-re la pericolosissima strada costiera. C) Imbattersi in varie recinzioni, can-celli, spartitraffico, “dissuasori”, divieti di ogni genere. D) pagare quasi ovun-que per accedere alla spiaggia. E) a questo punto, novantanove su cento, ci sono dei gradini. Di cemento. Poi si guadagna l’ombrellone+sdraio in di-ciottesima fila dove ci stravacchiamo già abbastanza provati per respirare l’ascella frizzante del vicino/a di posto. Il mare è laggiù, poco invitante perché sbarrato da gente che gioca a frisbee sulla battigia (anche l’acquagym ha il suo orrore) e l’odore imperante non è

quello salmastro, sensuale del mare, ma sa di abbronzante al cocco, profu-mi, (già, c’è gente che si profuma per scendere in spiaggia), dopobarba im-piegatizi. E il rumore, naturalmente, è pure qui quello di un raduno di bambini disturbati. E mamme che gridano: “De-borah, per la miseria, esci dall’acqua, subito ho detto!”

La spiaggia libera è, come per gli al-loggi vista cortile, un luogo del quale ver-gognarci socialmente, un posto da pove-retti (sfigati in lingua corrente): “Ah, ma fin laggiù che non c’è neppure un bar? Ma ti piace veramente? Non è sporco?”

Bisogna aspettare agosto mentre gli altri sono tutti piantati sotto l’ascella del vicino per capire cosa c’è di bello, di grandioso, di vivibile nelle nostre città. L’assenza di automobili ci fa scoprire i volumi di una piazza, di un palazzo mai notato prima, di un giardino disertato. Il rumore si è spostato sulle coste, nei piano bar delle riviere e gli amanti, sen-za sgolarsi, possono dirsi quello che tutti gli amanti si dicono da millenni. O anche solo guardarsi negli occhi, in pace, in silenzio.

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più facile fraintendere, anche in archi-tettura, sia la teorizzazione sia la prassi della cosiddetta ‘globalizzazione’ che all’ancoramento ai particolari luoghi contrappone un disordine planetario frutto della separazione dai luoghi, dal-la storia, dalle tradizioni, dai linguaggi e culture autoctone. Il risultato è che anzi-ché riconoscere uno stile (una corrente di pensiero, un movimento propositivo di idee) si può riconoscere solo l’autore che si definisce da sé e per sé, in modo del tutto autoreferenziale. Il Decostrut-tivismo (Eisenman) è la logica conse-guenza di queste separazioni, del non-ordine, dell’autoreferenzialità.

Il passaggio dalla perdita dell’identi-tà dei luoghi e delle culture alla ‘perdi-ta della visione d’insieme’ è inevitabile. Preoccupati e concentrati ad esalta-re se stessi, gli architetti (non tutti per fortuna) non vedono il disegno urbano preesistente, non se ne occupano, di fatto lo negano e destinano tutto il loro impegno al loro singolo manufatto la cui presenza nella città deve essere grida-ta, assolutamente contrastante, dunque un gesto di violenza nel tessuto urbano

Un primo fattore che allontana da esiti di qualità il ‘disegno della città’ è l’eccesso di individualismo con cui troppo spesso, negli ultimi decenni, opera la categoria dei progettisti. Un individualismo che si traduce in scelte compositive e forma-li al di fuori del contesto ed anzi spes-so ‘contro il contesto’ per distinguersi il più possibile da esso. È il modo scelto per esternare la propria personalità, per differenziarla da quella di chiunque altro, per colpire e stupire l’immaginazione al-trui, per cercare di celebrare la propria persona anche sacrificando qualsiasi tentativo di rapporto con l’ambiente con cui dovrebbe dialogare. Si è passati dal linguaggio unitario che ha caratterizza-to la ‘ricerca del bello’ in ciascuna fase storica, al liberismo più sfrenato, senza limiti e regole, che non siano quelle dello spot di derivazione televisiva, del consu-mismo visivo fine a se stesso.

‘L’indifferenza’ al contesto ha come conseguenza la tendenza a propor-re modelli architettonici indifferenzia-ti, ‘validi’ cioè in qualunque contesto, trasferibili dal centro di una città alla sua periferia e anche alla sua campa-

gna circostante; trasferibili da un con-tinente all’altro perdendo certamente il rapporto con ‘l’identità dei luoghi’ e contribuendo a farla perdere ai luoghi stessi. Si è passati dalla sensibilità per l’ambiente preesistente, a partire da quello orografico-paesaggistico a quello costruito, alla sua negazione e contro ogni idea di appartenenza ad un progetto comune di città.

Il rifiuto quasi pregiudiziale di qualun-que ‘ordine’ nel concepire e sviluppare la creazione dell’ambiente urbano – a partire dai suoi elementi costitutivi e più fondativi – è l’humus su cui viene diffusa la teoria secondo la quale è il disordine delle cose il nuovo ‘ordine’ (Koolhaas), legittimando e dando vali-dità di principio alla casualità, all’impre-vedibilità degli interventi, all’assenza di qualunque legame tra gli interventi stessi. Il concetto di disordine urbano parrebbe derivare dalla necessità di maggior libertà inventiva ed espressio-ne creativa. In realtà si consuma così la separazione con qualsiasi legame sto-rico, ambientale, culturale.

L’assenza di tutti questi legami rende

abbiamo diritto alla bellezzal'armonia della città, data un tempo da ordine, regola e ritmo, è stata oscurata da un diffuso e autoreferenziale disordine creativo Enrico Bettini

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XVII SEC d.C.XXI SEC d.C.

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così come la tendenza della nostra so-cietà richiede: visibilità, trasmissione per immagine, apparenza, pubblicità del prodotto merceologico.

Finiscono per passare in secondo piano i fattori di natura economica e speculativa che ci allontanano dalla qualità: la rendita fondiaria (giunta a li-velli insostenibili), la parcellizzazione dei suoli spesso esasperata, le esigenze del mercato finanziario, le forti ragioni pubblicitarie del commercio, dei grandi gruppi industriali e del terziario. Inoltre, si sconta l’assenza – nella committenza dell’epoca moderna – del grande me-cenatismo illuminato, spesso presente nei secoli passati. C’è un ‘problema di cultura della committenza’ (pubblica e privata) e c’è un ‘problema di cultura dell’utenza’ che non sempre premia la qualità architettonica.

Ogni analisi sulla qualità oggi deve senz’altro fare i conti con criteri e caratte-ri di ‘sostenibilità ambientale’ nel conte-sto cittadino e oltre: aggiornamento degli standard abitativi ma anche dei servizi, del risparmio energetico, della salubrità.

Sul versante peculiare del progetto urbano e del suo disegno, per i torinesi dovrebbe essere più facile tanto il di-scorso quanto la pratica della qualità perché hanno come sicuro riferimento la loro città: esempio mondiale di qua-lità morfologica di altissimo livello e di rara estensione.

Una qualità compresa e condivisa da tutti. È importante e utile, credo, ripartire da

una riflessione su tanta preziosa eredità. Non deve (non dovrebbe) succede-

re che l’innalzamento degli standard di vita, da un lato, e le enormi possibilità inventive indotte dai nuovi materiali e re-lative moderne tecnologie – comprese quelle gestionali e di processo – com-promettano, fino a negarla, la ricerca di una cosa semplice quanto ineliminabile per il godimento estetico, per lo spirito, ma anche e soprattutto per la vita reale di tutti i giorni: ‘l’armonia’.

Abbiamo assistito per secoli (millen-ni) alle manifestazioni più eccelse della fantasia senza mai sconfessare le ra-gioni profonde dell’equilibrio, della coe-renza, dei giusti rapporti in ogni attività dell’arte e non si capisce la necessità, se non provocatoria e di corto respiro, di abbandonarle.

La bellezza di via Po, di via Garibaldi, quella di piazza S. Carlo, di piazza Ca-stello e di tutte le altre piazze e vie del-la Torino rinascimentale e barocca non sono un segreto per nessuno. È nella regolarità, nel ritmo che collega ogni di-ramazione dello spazio costruito, nella continuità morfologica, nell’appartenen-za ad una trama che ordina, scandisce e dà forma allo spazio, che lo unisce e lo raccoglie attorno a chi lo attraversa.

Si tratta di riconoscere l’universalità del valore di questi caratteri e adottarli non solo all’interno dell’oggetto archi-tettonico ma innanzitutto al suo intorno ambientale, ai ‘vuoti’, con cui stabilire un rapporto non certo di continuità identi-

taria, di copia, ma di rinnovato e sapien-te equilibrio progettuale d’insieme, di grande attenzione al dato naturale e a quello costruito.

La qualità non è – non può essere – solo efficienza energetica, dotazione di servizi, disponibilità di verde e purezza dell’aria. È anche poter soddisfare il “diritto alla bellezza” (J. Hillman). Certa-mente, una densità abitativa moderata, un sistema di mobilità pubblica concor-renziale a quella privata, una città pe-donabile e priva di eccessi di rumore, un centro storico vivo e pulsante e non solo dedicato alle banche, tutto questo ed altro ancora è necessario e pregiu-diziale all’affermazione della qualità del modo di vivere. Ma per vivere bene l’uo-mo ha bisogno di godimento estetico, di ‘bello’ che viene persistentemente – anche inconsciamente – inseguito.

La questione del bello, da quando l’Accademia non ne è più la depositaria, ha generato controverse posizioni e de-finizioni, mai concluse, comprese quelle che ne vorrebbero decretare la fine. Ma non ne è eliminabile il bisogno. L’arte, ab-bandonati i canoni classici della bellez-za, ne è alla continua ricerca con mezzi e modalità i più diversi, ma il bello non è solo abbinabile all’arte e nell’arte, alla lo-gica tutta interna della sua esplorazione. Esiste – dovrebbe sempre esistere, per vitale necessità – la ricerca del bello ap-plicato ad ogni espressione e creazione umana. Per esempio... al modo di ‘com-porre la forma’ delle città.

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disseminazione

la qualità come processo virale

Pretendere qualità dagli spazi in cui viviamo e lavoriamo è un buon modo per ottenerla. Per sapere che cosa chiedere è necessario allenare la propria capacità di giudizio. architetture rivelate ha evidenziato quasi settanta casi di architettura di qualità: una palestra a cielo aperto in continuo, costante accrescimento

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itinerari della qualità

geografia delle architetture rivelate

come partecipare

come segnalare un edificio

in Provincia

a torino

le immagini di tutte le opere premiate

le commissioni giudicatrici

architetture rivelategiorgio giani

un asterisco cattura lo sguardo del passante e segnala un edificio risolto con intelligenza e armonia

approfondimenti e informazioni

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sei anni del premio oat dedicato alla qualità del progetto e della realizzazione

Giorgio Giani

Recenti e passate esperienze ci dimo-strano che una diffusa qualità dell’am-biente costruito non si realizza attraverso le grandi opere delle archi star. Il tessuto urbano delle città e, soprattutto, delle pe-riferie è costituito da un grande numero di interventi, all’interno dei quali la qualità confinata di un ‘evento’ architettonico di grande impatto non si espande al territo-rio circostante. Anzi: crea separazione.

Separare significa che la percezione della qualità urbana si va identificando sempre più con quella delle aree storico-auliche o di limitati interventi di architettura contemporanea: la città del quotidiano ri-mane un’altra cosa, la misura della qualità non sembra riscuotere interesse e rimane soggetta a parametri di riferimento lega-ti unicamente al risparmio di tempo e di denaro. Apparteniamo a un’epoca storica che si affida sempre meno alla ‘cultura’ del progetto per costruire, che interpreta con fatica il gesto architettonico raffinato per disegno, capacità innovativa, funzio-

nalità, rispetto del contesto. Il commercio delle aree e del prodotto edilizio prescin-de dall’elaborazione progettuale: all’archi-tetto chiede, se lo chiama a progettare, una capacità gestionale dei rapporti amministrativi con l’ente titolare delle au-torizzazioni. Il resto del lavoro deve sem-plicemente garantire la vendita al minor costo di produzione possibile. Un loop che ha prodotto negli ultimi anni concor-renza spietata tra i progettisti, edificazioni spesso inadatte alla domanda reale, mas-siccio consumo di suolo: una situazione ormai insostenibile che sta portando alla crisi del sistema edilizio, delle aree urbane e del territorio nel suo complesso.

In questo processo gli architetti paiono aver abdicato al loro ruolo principale sia nel campo dell’architettura sia nel campo del disegno delle città.

Non c’è speranza, dunque? Da un’intui-zione e dal lavoro avviati circa otto anni fa con il progetto Architetture Rivelate si di-mostra che esiste uno spiraglio: esistono

esempi di architetture sconosciute, che rappresentano ‘buone pratiche’ in grado di qualificare se stesse e spesso il loro immediato intorno. Vale a dire che, no-nostante le condizioni sfavorevoli, alcuni architetti, coadiuvati da buoni committen-ti e da imprese sensibili, sono ancora in grado di fare buona architettura e di farla a beneficio collettivo.

L’intuizione è che si deve ripartire da lì, da quelle capacità e da quegli attori per rilanciare la qualità diffusa sul territorio e con essa la professione dell’architetto. Ri-partire da lì, per dimostrare che può esi-stere qualità anche per l’architettura di tutti i giorni, per quella che ognuno di noi può ottenere per la propria casa, per i luoghi pubblici o sui posti di lavoro. Questa quali-tà è possibile e la si deve pretendere.

Il premio Architetture Rivelate significa questo da sei edizioni: promuovere l’archi-tettura e il lavoro degli architetti, misurarne il talento sul campo, riconoscere le capacità espresse in un’opera realizzata, offrire al

architetture rivelate

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disseminazione — 21

pubblico una chiave di lettura, di interpreta-zione e conoscenza della qualità dell’ope-ra: chi comprende la qualità, la chiederà.

In qualche modo si tratta di un’ambizio-sa opera divulgativa e di promozione che sembra offrire buoni frutti e che in futuro vogliamo migliorare e far crescere.

Sino ad oggi sono stati privilegiati il disegno architettonico e l’attinenza del progetto agli scopi cui è destinato. Si apre per il futuro un nuovo corso. Nell’alveo delle nuove sensibilità orientate alla con-servazione e valorizzazione dell’ambiente e delle risorse naturali, vorremmo identifi-care e premiare la capacità dell’architetto di cogliere il mondo che cambia, di offri-re la sua visione di futuro, di identificare il progetto come sintesi di nuovi valori e come valore aggiunto esso stesso: il suo-lo come risorsa limitata e finita, il rappor-to con il paesaggio, il disegno della città pubblica, la filiera corta nella produzione e nell’uso della città… Una bella sfida per le prossime edizioni.

EDIZIONI 2008-2009

Sezione 'giovani' Mauro Bellora, Angelo Delli Gatti, Paolo Giordano, Alessio Gotta, Andres Javier Moncalvo, Andrea Muzio, Chiara Penco

Sezione 'intermedi'Pietro Derossi, Emilia Garda, Giuliana Piovano, Luisa Papotti, Renato Vezzari

Sezione 'decani'Giovanni Garbaccio, Giovanni Picco, Teresa Marchini Vernetti (Presidente)

EDIZIONI 2006-2007

Sezione 'giovani' Maria Claudia Casetta, Raffaele Francone, Roberta Ingaramo, Alessandra Leone, Emilio Melgara, Diego Romaldi, Ivano Talmon

Sezione 'intermedi'Franco Fusari, Guido Montanari, Sergio Jaretti Sodano, Elena di Rovasenda, Valerio Sticca

Sezione 'decani' Alessandro Caimi, Paride Strobino, Gian Pio Zuccotti (Presidente)

EDIZIONI 2004-2005

Sezione 'giovani' Elena Bonifacio, Federica Castiglioni, Manuela Martelli, Andrea Morino, Elena Neirotti, Silvia Prodam Tich, Aurelia Vinci

Sezione 'intermedi'Roberto Lombardi, Luciano Re, Giuseppe Serra

Sezione 'decani'Giorgio Baggio, Giovanni Battista Gardano, Elio Luzi, Mario Federico Roggero (Presidente), Giuseppe Varaldo

GIURIE PREMIO I componenti della giuria, che ha durata biennale, sono nominati dal Consiglio OAT con votazione palese.

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Le Architetture Rivelate in Provincia

2007

Stabilimento OMESVia Nazioni Unite 20, Collegno ProgettoJacopo Testa, Andrea VegliaAnno di realizzazione2004

Centro Direzionale Hitech Systems srlStrada Caselle 63, LeinìProgettoMarco VerrandoAnno di realizzazione2007

Edificio multipiano "NEXT TO"Via Torino 36, IvreaProgettoMariangela Angelico, Antonio Cinotto, Anna Maria Gillio, Luca Marraghini, Anna Menaldo (FFWD architettura)Anno di realizzazione2005

Torre per uffici Consorzio Industriale CollegnoPiazza Maestri del Lavoro, CollegnoProgetto Vanja Frlan, Maarten Jansen, Carlo Bagnasacco, Enrico FinottiAnno di realizzazione2002

Sinagoga di CarmagnolaVia Bellini 9, CarmagnolaProgettoFranco Lattes, Paola ValentiniAnno di realizzazione2004

2005

Centro di conservazione e restauro della Reggia di Venaria RealePiazza della Repubblica, VenariaProgetto architettonico Derossi Associati (Pietro Derossi, Paolo Derossi, Davide Derossi)Restauro Giorgio FeaAnno di realizzazione2002

2004

Chiesa della Confraternita di Santa Croce Piazza Alfieri, BeinascoProgetto Domenico BaglianiAnno di realizzazione2000

Centro Commerciale "La Certosa" Ipermercato CarrefourVia Spagna 10/12, CollegnoProgettoAntonio Besso MarcheisAnno di realizzazione2003

Manica lunga del Castello di RivoliPiazza Mafalda di Savoia, RivoliProgettoAndrea BrunoAnno di realizzazione2000

Complesso teatrale ex Fonderie Limone Via Pastrengo, MoncalieriProgettoFranco Fusari, Marina Gariboldi, Sergio Manzone, Giovanni Oggioni, Giulia SartiAnno di realizzazione2003

2006

Restauro, risanamento conservativo e ampliamento fabbricato rurale "Cascina Losa"Strada Poirino 104, PineroloProgettoMarco Giovanni Aimetti, William Cattanea, Paolo Chiappero, Luca BarberoAnno di realizzazione2006

Recupero di edifici rurali e annessa abitazione "Cascina Raviola"Strada Costagrande 180/A, PineroloProgettoGuido DroccoAnno di realizzazione1990

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Area Centrale di Collegno Comparto F3Corso Francia 32, CollegnoProgettoSergio PorcelliniAnno di realizzazione2003

Planetario Museo dello SpazioVia Osservatorio, Pino TorineseProgettoLoredana Dionigio, Giancarlo GonnetAnno di realizzazione2007

Casa TurigliattoPratiglioneProgettoIvano PomeroAnno di realizzazione2007

Edificio residenzialeVia Sacco e Vanzetti, OrbassanoProgettoGiuseppe Servetti, Mirella GiacottoAnno di realizzazione2008

2009

Atelier FleuristeStrada Andezeno 52, ChieriProgettoStefano PujattiAnno di realizzazione2008

2008

Da Autofficina a Studio professionaleVia Volta 13, Settimo TorineseProgettoAndrea Morino, Massimo MartinelliAnno di realizzazione2007

Restauro ruderi del castello abbaziale di Sant'Ambrogio di Torino con inserimento di struttura ricettiva e riscoperta originario accesso alla Sacra di San MicheleSant'Ambrogio di Torino ProgettoLauretta Musso, Michele Ruffino, Carlo Vinardi, Gianfranco Vinardi, Maria Grazia Vinardi, Luciano Re, Barbara Vinardi, Flaviana Di Carlo, Monica Fantone, Giuseppe Dell'Aquila (LSB Architetti Associati), Gian Luca Forestiero (Studioata), Manuel Ramello, Mauro ParisAnno di realizzazione2007

Casa RossaVia Risorgimento 8, Trofarello ProgettoRaimondo GuidacciAnno di realizzazione2007

Nuova sede Schreder SpAVia Valdellatorre 131, CaseletteProgettoOscar BattagliottiAnno di realizzazione2008

Allestimento del museo dell'abbazia di NovalesaBorgata San Pietro 4, NovalesaProgettoMichele Bonino, Subhash Mukerjee, Francesco SantulloAnno di realizzazione2009

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CORSO VITTORIO EMANUELE II

CORSO PESCHIERA

CORSO REGINA MARGHERITA

CORSO GROSSETO

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CORSO VITTORIO EMANUELE II

CORSO PESCHIERA

CORSO REGINA MARGHERITA

CORSO GROSSETO

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TORINO 1 Ampliamento di abitazione unifamiliare 5 Ex Arsenale Militare, Cortile del Maglio 6 Sopraelevazione palazzina per uffici

per ampliamento sede ILTI Luce 7 Ospedale Evangelico Valdese

Ristrutturazione e ampliamento10 Sopraelevazione11 Casa Garavoglia12 Cappella feriale Parrocchia Santi Apostoli13 Università del Dialogo e Piazza dei Popoli SER.MI.G.14 Teatro Gobetti

Restauro, ristrutturazione e ampliamento16 Restauro della casa di "Monsù Pingon"17 Casa privata18 Stadio delle Alpi19 Recupero di Villa Gualino20 Padiglione Settore "E" in Villa Gualino21 Palazzo per uffici "Gualino"22 Sede del Monte dei Paschi di Siena24 Gruppo rionale fascista

"Giovanni Porcù del Nunzio"25 Edificio per abitazioni26 Palazzo per uffici "Casa Aurora"27 Iveco customer support center28 Restauro e recupero funzionale

di Palazzo Bricherasio29 Restauro e riuso dell'Archivio di Stato30 M.B.C. Molecular Biotechnology Center33 Edificio per uffici34 Casa Operaia per la Michelin35 Manifattura di Moncalieri36 Cinema Ideal37 Palazzo della Moda Torino Esposizioni38 Rettilario39 Chiesa del Santissimo Redentore40 Residence Du Parc41 Casa del Teatro Ragazzi e Giovani42 Edificio residenziale43 Ristrutturazione e sopraelevazione

di edificio residenziale47 Edificio residenziale-commerciale48 Recupero ex stabilimento Carpano

Centro enogastronomico Eataly49 Ingresso Cappella del SER.MI.G.52 Fondazione Mario Merz Centro Culturale e Museale53 Palazzo Leonardo55 Villa Unifamiliare56 Casa-Studio Mastroianni57 Hotel Santo Stefano58 Nuovi Uffici Comunali Divisione Lavoro

Recupero ex Officina Meccanica62 Un ufficio che fa bene all'ambiente in San Salvario65 Isolato ex CEAT67 Palestra di arrampicata sportiva

BEINASCO 2 Chiesa della Confraternita di Santa Croce

CARMAGNOLA 9 Sinagoga di Carmagnola

CASELETTE66 Nuova sede Schreder SpA

CHIERI63 Atelier Fleuriste

COLLEGNO 3 Centro Commerciale "La Certosa"

Ipermercato Carrefour 8 Torre per uffici Consorzio Industriale Collegno44 Stabilimento OMES50 Area Centrale di Collegno Comparto F3

IVREA46 Edificio multipiano "NEXT TO"

LEINÌ45 Centro Direzionale Hitech Systems Srl

MONCALIERI23 Complesso teatrale ex Fonderie Limone

NOVALESA68 Allestimento del museo dell'abbazia di Novalesa

ORBASSANO61 Edificio residenziale

PINEROLO31 Restauro, risanamento conservativo

e ampliamento fabbricato rurale "Cascina Losa"32 Recupero di edifici rurali

e annessa abitazione "Cascina Raviola"

PINO TORINESE51 Planetario Museo dello Spazio

PRATIGLIONE60 Casa Turigliatto

RIVOLI 4 Manica lunga del Castello di Rivoli

SANT'AMBROGIO DI TORINO59 Restauro ruderi del castello abbaziale

di Sant'Ambrogio di Torino con inserimento di struttura ricettiva e riscoperta originario accesso alla Sacra di San Michele

SETTIMO TORINESE54 Da Autofficina a Studio professionale

TROFARELLO64 Casa Rossa

VENARIA 15 Centro di conservazione e restauro

della Reggia di Venaria Reale

PROVINCIA 35%

TORINO 65%

NUOVA COSTRUZIONE 62%

RESTAURO 38%

TERZIARIO 16%

SCUOLA / SANITÀ / SPORT 7%

RESIDENZIALE 30%

INDUSTRIA 9%

CULTURA 21%

CULTO 7%

COMMERCIO 10%

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CORSO VITTORIO EMANUELE II

CORSO PESCHIERA

CORSO REGINA MARGHERITA

CORSO GROSSETO

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CORSO VITTORIO EMANUELE II

CORSO PESCHIERA

CORSO REGINA MARGHERITA

CORSO GROSSETO

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CORSO CASALE

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TORINO 1 Ampliamento di abitazione unifamiliare 5 Ex Arsenale Militare, Cortile del Maglio 6 Sopraelevazione palazzina per uffici

per ampliamento sede ILTI Luce 7 Ospedale Evangelico Valdese

Ristrutturazione e ampliamento10 Sopraelevazione11 Casa Garavoglia12 Cappella feriale Parrocchia Santi Apostoli13 Università del Dialogo e Piazza dei Popoli SER.MI.G.14 Teatro Gobetti

Restauro, ristrutturazione e ampliamento16 Restauro della casa di "Monsù Pingon"17 Casa privata18 Stadio delle Alpi19 Recupero di Villa Gualino20 Padiglione Settore "E" in Villa Gualino21 Palazzo per uffici "Gualino"22 Sede del Monte dei Paschi di Siena24 Gruppo rionale fascista

"Giovanni Porcù del Nunzio"25 Edificio per abitazioni26 Palazzo per uffici "Casa Aurora"27 Iveco customer support center28 Restauro e recupero funzionale

di Palazzo Bricherasio29 Restauro e riuso dell'Archivio di Stato30 M.B.C. Molecular Biotechnology Center33 Edificio per uffici34 Casa Operaia per la Michelin35 Manifattura di Moncalieri36 Cinema Ideal37 Palazzo della Moda Torino Esposizioni38 Rettilario39 Chiesa del Santissimo Redentore40 Residence Du Parc41 Casa del Teatro Ragazzi e Giovani42 Edificio residenziale43 Ristrutturazione e sopraelevazione

di edificio residenziale47 Edificio residenziale-commerciale48 Recupero ex stabilimento Carpano

Centro enogastronomico Eataly49 Ingresso Cappella del SER.MI.G.52 Fondazione Mario Merz Centro Culturale e Museale53 Palazzo Leonardo55 Villa Unifamiliare56 Casa-Studio Mastroianni57 Hotel Santo Stefano58 Nuovi Uffici Comunali Divisione Lavoro

Recupero ex Officina Meccanica62 Un ufficio che fa bene all'ambiente in San Salvario65 Isolato ex CEAT67 Palestra di arrampicata sportiva

BEINASCO 2 Chiesa della Confraternita di Santa Croce

CARMAGNOLA 9 Sinagoga di Carmagnola

CASELETTE66 Nuova sede Schreder SpA

CHIERI63 Atelier Fleuriste

COLLEGNO 3 Centro Commerciale "La Certosa"

Ipermercato Carrefour 8 Torre per uffici Consorzio Industriale Collegno44 Stabilimento OMES50 Area Centrale di Collegno Comparto F3

IVREA46 Edificio multipiano "NEXT TO"

LEINÌ45 Centro Direzionale Hitech Systems Srl

MONCALIERI23 Complesso teatrale ex Fonderie Limone

NOVALESA68 Allestimento del museo dell'abbazia di Novalesa

ORBASSANO61 Edificio residenziale

PINEROLO31 Restauro, risanamento conservativo

e ampliamento fabbricato rurale "Cascina Losa"32 Recupero di edifici rurali

e annessa abitazione "Cascina Raviola"

PINO TORINESE51 Planetario Museo dello Spazio

PRATIGLIONE60 Casa Turigliatto

RIVOLI 4 Manica lunga del Castello di Rivoli

SANT'AMBROGIO DI TORINO59 Restauro ruderi del castello abbaziale

di Sant'Ambrogio di Torino con inserimento di struttura ricettiva e riscoperta originario accesso alla Sacra di San Michele

SETTIMO TORINESE54 Da Autofficina a Studio professionale

TROFARELLO64 Casa Rossa

VENARIA 15 Centro di conservazione e restauro

della Reggia di Venaria Reale

PROVINCIA 35%

TORINO 65%

NUOVA COSTRUZIONE 62%

RESTAURO 38%

TERZIARIO 16%

SCUOLA / SANITÀ / SPORT 7%

RESIDENZIALE 30%

INDUSTRIA 9%

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Le Architetture Rivelate a Torino

Restauro della casa di "Monsù Pingon" Via della Basilica 13ProgettoFederico de Giuli, Franco FusariAnno di realizzazione2003

Casa privata Via Bricherasio 12ProgettoSergio Hutter Progetto arredi Toni CorderoAnno di realizzazione1972

Stadio delle Alpi(demolito) Progetto architettonicoSergio Hutter, Toni Cordero Collaborazione E. di Rovasenda, A. De la Pierre, M. GaravogliaAnno di realizzazione1990

2004

Ampliamento di abitazione unifamiliare Strada Val San Martino 41 ProgettoPaolo Albertelli, Mariagrazia AbbaldoAnno di realizzazione2002

Ex Arsenale Militare, Cortile del Maglio Via Borgo Dora Progetto Pio Luigi Brusasco, Giovanni Torretta, Adriana Comoglio, Claudio PerinoAnno di realizzazione2001

Sopraelevazione palazzina per uffici per ampliamento sede ILTI LuceVia Pacini 53Progetto Walter Camagna, Andrea Marcante, Massimiliano CamolettoAnno di realizzazione2002

Ospedale Evangelico Valdese Ristrutturazione e ampliamentoVia Silvio Pellico 28Progetto Giorgio De Ferrari, Vittorio Iacomussi, Claudio Germak, Osvaldo Taurini, Agostino De FerrariAnno di realizzazione2001

2005

Sopraelevazione Via Baretti 46ProgettoGino BeckerAnno di realizzazione1962

Casa GaravogliaCorso Galileo Ferraris 63 AProgettoCarlo Alberto Bordogna Anno di realizzazione1950

Cappella feriale Parrocchia Santi Apostoli Via Togliatti 35ProgettoGiorgio Comoglio Anno di realizzazione2005

Università del Dialogo e Piazza dei Popoli SER.MI.G.Piazza Borgo Dora 61ProgettoGiorgio Comoglio Collaboratori Eraldo Comoglio, Pierluigi BolognesiAnno di realizzazione2003

Teatro Gobetti Restauro, ristrutturazione e ampliamento Via Rossini 8ProgettoLuca Deabate, Marina DeabateAnno di realizzazione1999

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Palazzo per uffici "Casa Aurora"Corso Emilia 3ProgettoAldo Rossi con G. Brughieri, M. Scheurer, G. Ciocca, G. Da PozzoAnno di realizzazione1987

Iveco customer support center Lungo Stura Lazio 12ProgettoMaire Engineering - Marco ViscontiPartner di progetto Roberto Gabetti, Aimaro Oreglia d'IsolaAnno di realizzazione2001

2006

Restauro e recupero funzionale di Palazzo BricherasioVia Teofilo Rossi angolo Via LagrangeProgettoMaria Pia Dal Bianco, Giorgio Campanino, Pier Massimo Cinquetti, Mario RonchettaAnno di realizzazione1995

Restauro e riuso dell'Archivio di StatoVia Piave 21ProgettoGiorgio RaineriAnno di realizzazione1983-2006

M.B.C. Molecular Biotechnology CenterVia Nizza 52ProgettoLuciano PiaAnno di realizzazione2006

Sede del Monte dei Paschi di SienaVia Mazzini 14/16ProgettoDomenico Morelli, Vittorio Defabiani Anno di realizzazione1984

Gruppo rionale fascista "Giovanni Porcù del Nunzio"Corso Giambone 2ProgettoMario Passanti, Paolo PeronaAnno di realizzazione1938

Edificio per abitazioniCorso Tassoni 34ProgettoAugusto RomanoAnno di realizzazione1958

Recupero di Villa Gualino Viale Settimio SeveroProgetto1975-2005: Maria Carla Lenti, Gian Pio Zuccotti (capogruppo)1975-1986: Giuseppe Abbate, Franco Corsico 1986-1992: Gianfranco FasanaAnno di realizzazione2005

Padiglione Settore "E" in Villa Gualino Viale Settimio SeveroProgettoMaria Carla Lenti, Gian Pio ZuccottiAnno di realizzazione2004

Palazzo per uffici "Gualino"Corso Vittorio Emanuele II 8ProgettoGino Levi Montalcini, Giuseppe Pagano PogatschnigAnno di realizzazione1930

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Edificio residenzialeVia Palladio 5ProgettoEdoardo ComoglioAnno di realizzazione1991

Ristrutturazione e sopraelevazione di edificio residenzialeCorso Marconi 35Progetto Giovanni Torretta, Gianfranco Casotto Collaboratore Claudio PerinoAnno di realizzazione1995

Edificio residenziale-commercialePiazza Derna 215ProgettoMario Vay Anno di realizzazione1987

2007

Chiesa del Santissimo RedentorePiazza Giovanni XXIIIProgettoLeonardo Mosso, Nicola MossoAnno di realizzazione1957

Residence Du ParcCorso Massimo D'Azeglio 21ProgettoLaura Petrazzini CollaboratoreCorrado Levi Anno di realizzazione1971

Casa del Teatro Ragazzi e GiovaniCorso Galileo Ferraris 266ProgettoAgostino Magnaghi, Francesco Barrera, Carlo Fucini, Luc PlamondonAnno di realizzazione2005

Edificio per ufficiVia Giolitti 18/20 e Via Pomba ProgettoGino Becker, Josef RosentalAnno di realizzazione1960

Casa Operaia per la MichelinVia Treviso 55ProgettoMario Passanti, Paolo PeronaAnno di realizzazione1939

Manifattura di MoncalieriCorso Moncalieri 421ProgettoMario Passanti, Paolo PeronaAnno di realizzazione1952

Cinema IdealCorso Beccaria 4ProgettoOttorino AloisioAnno di realizzazione1939

Palazzo della Moda Torino EsposizioniCorso Massimo D'Azeglio 15ProgettoEttore Sottsass SeniorAnno di realizzazione1938

RettilarioParco MichelottiProgettoEnzo VenturelliAnno di realizzazione1960

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Recupero ex stabilimento Carpano Centro enogastronomico EatalyVia Nizza 230ProgettoGustavo Ambrosini, Cristiana Catino, Paola Gatti, Carlo Grometto, Mauro Penna (Negozio Blu Architetti Associati), Giovanni Bartoli Collaboratore Maurizio Bussone (Negozio Blu Architetti Associati)Anno di realizzazione2007

Ingresso Cappella del SER.MI.G.Piazza Borgo Dora 61ProgettoEraldo Comoglio, Giorgio ComoglioAnno di realizzazione2002

2008

Fondazione Mario Merz Centro Culturale e MusealeVia Limone 24ProgettoGiovanni Fassiano, Cesare Roluti Consulenza artistica Mariano BoggiaAnno di realizzazione2005

Palazzo LeonardoVia Pianezza 289ProgettoAlessandro Amirante, Enrico FopAnno di realizzazione2005

Villa UnifamiliareStrada Val Pattonera 48ProgettoAlfredo BalmativolaAnno di realizzazione2004

Casa-Studio MastroianniStrada Antica di Cavoretto 26ProgettoEnzo VenturelliAnno di realizzazione1954

Hotel Santo StefanoVia della Basilica angolo Via Porta PalatinaProgettoRoberto Gabetti, Aimaro Oreglia d'Isola, Franco FusariAnno di realizzazione2005

Nuovi Uffici Comunali Divisione Lavoro Recupero ex Officina MeccanicaCorso Ferrucci 128ProgettoSergio Manzone, Marina GariboldiAnno di realizzazione2007

Un ufficio che fa bene all'ambiente in San SalvarioVia Baretti 9ProgettoIsabelle Toussaint, Iolanda Romano, Matteo RobiglioAnno di realizzazione2007

2009

Isolato ex CEATIsolato compreso tra Corso Regio Parco e Via Pisa ProgettoAlberto Rolla, Vittorio NeirottiAnno di realizzazione2007

Palestra di arrampicata sportivaVia Braccini 4ProgettoErica Ribetti, Silvia ZanettiAnno di realizzazione2008

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scelte

chi domanda, chi progetta, chi realizza: sono tutti complici

non sarà mai colpa soltanto dell'architetto, non sarà mai merito soltanto del principe, non sarà sola responsabilità dell'impresa: la qualità delle opere di architettura e di trasformazione del territorio è il risultato di infinite scelte tra funzione e estetica, ambiente e paesaggio, sicurezza, flessibilità ed efficienza. stretti nelle maglie delle regole e dei condizionamenti, nessuno si senta escluso

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un'idea di qualità

la qualità in architettura è rispetto del luogo, dell'ambiente e dell'uomo, è una questione di metodo a cui deve essere associato un valore

francesco Burrelli

Michele d'ottavio

giorgio gallesio

teresa sapey

ezio Pellizzetti

urbanità europea e città sostenibile

odissee della qualità

rosalia Marilia vesco

francesco Moschini con vincenzo d'alba e francesco Maggiore

le dimensioni progettuali del costruire

Paolo tombesi

europan ha 20 anni: sperimentazioni e realizzazioni per un'identità sociale

la cultura architettonica italiana tra valori di riferimento e specifiche posizioni teoriche

È forse arrivato il momento di decretare la morte almeno temporanea dell'autore architettonico, facendola coincidere con la coltivazione strategica di un pubblico appassionato (e spassionato) di lettori di edifici

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32 — scelte

europan dalle prime esperienze sul tema della casa alle problematiche della sostenibilità. il risultato delle riflessioni a partire dalle proposte dei giovani progettisti europei

Rosalia Marilia Vesco

Per il lettore che non conosce questa esperienza, Europan è un programma di concorsi, a cadenza biennale, che si svolgono in simultanea in più di venti paesi europei. Una tipologia concorsua-le unica che consente di occuparsi delle città europee su temi comuni utilizzando una delle risorse più ricche del panorama professionale: i giovani.

Prima di Europan, venti anni fa, si svi-lupparono in Francia i concorsi di PAN (Plan Architecture Nouvelle), promossi dal Ministère des Travaux Publics fran-cese, e, dato il successo dell’esperi-mento, il Ministro francese volle coin-volgere i primi 9 paesi, tra i quali l’Italia, a costituire la Federazione Europan. Si inaugura così un nuovo modo di affron-tare la qualità urbana.

Europan infatti non è solo un sistema di concorsi ma un progetto di ricerca che coniuga la necessità di intervenire su aree particolarmente sensibili a quella di trovare nuove soluzioni per migliorare la qualità urbana. Ogni edizione conta me-diamente più di 60 siti in concorso e non esiste un'edizione di concorso che non trovi origine dalle riflessioni sui risultati

urbanità europea e città sostenibile

Dighe di Begato, concorso Europan 10

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scelte — 33

dell'edizione precedente. Questo meto-do di lavoro, che coinvolge tutti i paesi organizzatori, con l’ausilio di un Comitato Scientifico Europeo, ha consentito negli anni di sperimentare idee innovative sul tema dell’abitare.

Il primo Europan nel 1989 si occupava dell’alloggio in termini sperimentali, con specifico riferimento all’alloggio sociale, nel quale potessero adottarsi nuove so-luzioni sia in termini tecnologici, che di-stributivi, che d’uso.

Sono stati i primi progetti vincitori a fornire ad Europan lo spunto per esten-dere il tema dall’alloggio all’isolato, dal quartiere alla città.

Oggi Europan è uno dei concorsi più attesi dai giovani progettisti europei, ma anche dai giovani progettisti di tutto il mondo che desiderano confrontarsi sui temi urbani delle città europee.

I ‘concorsi europei per nuove architet-ture’ attraggono non soltanto gli archi-tetti, ma anche professionisti di diverse discipline, ampliando quindi il contributo che i progetti apportano nell’analisi ur-bana. Uno dei traguardi raggiunti che si poneva Europan all’inizio della sua espe-

rienza era proprio quella di combinare la progettazione architettonica con la mul-tidisciplinarietà.

Un’altra interessante esperienza con-seguente ai concorsi di Europan è la possibilità che diversi progetti, anche a forte valenza sperimentale, hanno tro-vato la loro realizzazione, dimostrando quanto valore può derivare da un pro-getto che attraversa una fase di ricerca così approfondita.

La Francia è naturalmente capofila, avendo già, dai concorsi di PAN, avviato numerose opere soprattutto nel settore residenziale pubblico.

Ruolo mantenuto anche in Italia, sep-pur con tempistiche variabili, dall’opera di finanziamento dei programmi di edi-lizia residenziale sperimentale da parte

del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, direzione generale per le poli-tiche abitative (ex Comitato per l’edilizia residenziale).

In questa programmazione hanno an-che creduto gli enti per l’edilizia sociale che continuano a pensare ad Europan come ad un utile strumento per avvici-narsi sempre di più ai bisogni dell’abita-re contemporaneo.

Oltre agli esempi di realizzazioni con fondi statali, non sono mancati esempi di autonomia locale, anche in partena-riato con i privati, che, partendo dalla qualità dei risultati di Europan fanno emergere applicazioni di progettazione sostenibile come è il caso, per esempio, del gruppo di progettazione di Sabrina Cantalini e Gianluca Mondaini nella città di Seregno (Europan 6).

Venti anni fa non si parlava ancora di sostenibilità come emergenza e neces-sità, e comunque, la stessa era intesa come evoluzione delle forme di risparmio energetico, casa bioclimatica, ecc. Euro-pan, un po’ precorrendo i tempi, è giun-ta gradatamente all'individuazione di un concetto che comprende la sostenibilità

Europan non è solo un sistema di concorsi, ma un progetto di ricerca che coniuga la necessità di intervenire su aree particolarmente sensibili a quella di trovare nuove soluzioni per migliorare la qualità urbana

Progetto vincitore Europan 9 Erice

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e che, in più, ne definisce la valenza. Da tantissimi anni infatti si parla di ‘urbanità’.

L’urbanità europea è la chiave con cui definire le criticità degli ambienti ur-bani. Progettare l’urbanità significa ri-vitalizzare un luogo e far sì che in esso l’abitante possa ritrovarsi, possa avere una qualità di vita e soprattutto avere un'identità sociale.

L’urbanità non può tuttavia essere un concetto locale. Ancor più adesso deve essere definito attraverso le diverse cul-ture (ma poi non così diverse) che carat-terizzano l’Europa nella sua interezza.

I cittadini dei Paesi europei ancora non vivono come europei ma i risultati di Europan, i dati sulla partecipazione, ci dimostrano che invece i giovani profes-sionisti pensano ad un ambiente urbano comune. Europan ha sempre creduto sulla necessità di scambio della visione di urbanità che gli architetti hanno ed è per questo che stimola la formazione di gruppi provenienti da diversi Paesi.

In un momento così difficile Europan non perde di vista il percorso e gli obiet-

tivi. I progetti e le problematiche che di volta in volta sono posti dalle ammini-strazioni sono uno stimolo a continuare la ricerca in quest’ambito mettendo in discussione, se necessario, metodologie e sperimentando nuovi percorsi tematici, ma anche procedurali.

Spesso le città europee chiedono ad Europan un progetto ‘sostenibile’, ma ogni città interpreta in modo diverso questa richiesta. Compito di Europan è quindi quello di indicare, attraverso una chiara definizione di sottotemi, il per-corso progettuale da seguire per poter raggiungere diversi obiettivi: migliorare la qualità di vita, stimolare il confronto, offrire ai giovani progettisti la possibilità di realizzare il loro progetto, dimostrare ai promotori dei siti in concorso che la qualità dei risultati che si ottengono de-termina delle grandi economie a scala locale contribuendo a favorire un’archi-tettura partecipata.

A titolo esemplificativo la nona edi-zione di Europan ha affrontato in modo diretto le questioni legate alla sosteni-

bilità. Attraverso la ricerca delle aree al livello europeo è emersa una notevole diversità nella determinazione di pro-blematiche che necessitavano di una soluzione sostenibile. Situazioni di de-grado funzionale si sono combinate a situazioni di degrado sociale, degrado paesaggistico e degrado infrastrut-turale. Tra i siti italiani di questa nona edizione diversi, per esempio, hanno affrontato il rapporto tra città e natura, tra città e paesaggio. È il caso di Erice, in provincia di Trapani, in Sicilia, di Fi-renze o di Pistoia.

Le aspettative programmatiche da par-te dei promotori dei siti sono state attese e hanno rivelato la sensibilità a questi temi da parte dei giovani progettisti europei.

I due architetti spagnoli Eugenio Gonzalez e Beatriz Fierro, vincitori sul sito di Erice, hanno colto gli aspetti sensibili dei luoghi mettendo in rela-zione diretta le residenze e il territorio, tenendo conto del bisogno naturale e vitale dell’uomo di apprezzare il luogo in cui vive, ripensando la morfologia

Progetto vincitore Europan 9 Pistoia

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Un momento di riflessione per l’orga-nizzazione nazionale, che, per questa de-cima edizione, ha scelto di affrontare un tema molto sensibile alle problematiche della sostenibilità. Tra le diverse candida-ture è stato selezionato il caso di Geno-va. Un solo sito, segnale molto forte per quelle città che negli anni non hanno sa-puto valorizzare gli esiti del concorso, ma anche un segno di impegno, da parte di Europan, a sostegno di quelle città come Genova che sembrano credere molto in questa esperienza concorsuale. Il quartie-re Begato ha una storia. Una storia fatta di persone, di famiglie che hanno necessità di un alloggio. Di abitanti (alcuni) che con il tempo hanno trovato una dimensione di vita piacevole, che si sono ‘affezionati’ a Begato, malgrado la sua storia fatta di degrado e di assenza. Il tema della casa laddove non esiste ancora l’idea di città.

Ma oggi si è risvegliata la volontà di fare ‘città’ a Begato ed Europan sta pro-vando ad offrire il suo contributo metten-do in campo le migliori risorse offerte dai giovani progettisti Europei.

città di Pistoia. L'alta percentuale di verde, pari a circa il 90% dell'area d'intervento, si distribuisce uniformemente su tutta la superficie. Non avremo più il giardino o il tradizionale parco pubblico recintato di ottocentesca memoria, ma un'intera area urbana che adotta il valore di sostenibili-tà del territorio e la cultura del paesaggio come il valore primo di sviluppo. Saranno privilegiati i percorsi pedonali e ciclabili, favoriti dalla distribuzione omogenea delle funzioni. 42 ‘cromosomi vegetali’ saran-no i generatori del nuovo parco urbano. I nuovi segni urbani primari, disegnando la topografia del luogo, ridefiniscono, attra-verso le nuove funzioni, questo ‘territorio periurbano’, luogo prossimo al ‘non-luo-go’, soglia fra città e campagna.

Il percorso dell’urbanità prosegue con il concorso Europan 10. Un'edizione mol-to particolare perché Europan ha festeg-giato il suo ventennale, sia al livello euro-peo che nazionale. Il 6 e 7 marzo 2009 a Roma si sono incontrati tutti i sostenitori di Europan e i giovani architetti per cele-brare insieme questa occasione.

originaria tipica di Erice come ‘cortile urbano’. Una consistente porzione di spazi intermedi (cortili) facilitano la pri-ma transizione tra costruito e ambiente naturale, grazie all’apertura verso il pa-esaggio circostante.

Il progetto vincitore, del team capitanato dall’architetto Federico Bargone, (S)piag-ge d’Arno, propone il recupero ambientale e la ridefinizione del rapporto tra l’area di intervento e le sponde del fiume utilizzan-do l’acqua come elemento di connessione tra ambito naturale e costruito.

Nasce così a Firenze l’idea di un parco fluviale che ‘invade’ la città in continuità con il parco delle Cascine, ed elemento generatore di spazi urbani che si sviluppa-no dal fiume attraverso il disegno di per-corsi pedonali in una successione di pontili in legno tra la tipica vegetazione ripariale, percorsi di collegamento tra le nuove ar-chitetture, anch’esse facenti eco a pano-rami fluviali, ai canneti, alla palafitta.

Vita e sostenibilità del territorio sono an-che i cardini guida che gli architetti Lapo Ruffi e Antonio Monaci propongono per la

Progetto vincitore Europan 9 Pistoia

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Definire con una sola parola qualità nell’ambito delle costruzioni è sicuramen-te molto arduo e forse poco comprensibi-le soprattutto ai non addetti ai lavori.

Il concetto di costruzione a nuovo e restauro delle abitazioni dalla fine de-gli anni ‘70 ad oggi ha subito una lunga evoluzione, soprattutto per la spinta delle normative europee che hanno costretto il governo italiano a recepirle, emetten-do decreti legislativi che tracciano l’anno zero sulle nuove costruzioni e dettano delle regole per il restauro.

Le norme sulla sicurezza, in particola-re, hanno stravolto il modo di pensare, progettare e costruire finora utilizzato poiché è cambiata la sensibilità dei pro-gettisti, dei costruttori e, anche se in mi-sura minore, del cittadino.

Abbiamo intrapreso la strada giusta ma prima di raggiungere la qualità si de-vono stabilire parametri oggettivi, trac-ciabili e verificabili nel tempo per tutelare gli investimenti, sempre maggiori, neces-sari per costruire case più confortevoli, meglio esposte, più sicure e che consu-mino meno energia possibile.

È di qualità quella costruzione che ha

nalmente, nonché ai futuri abitanti delle zone in trasformazione, in modo da dare gli strumenti per capire l’intervento edilizio e urbanistico ed evitare di sprecare il de-naro, in alcuni casi anche pubblico, stan-ziato ed investito.

Per approfondire il tema del costo della qualità sarebbe necessario un convegno apposito e uno studio pa-rametrizzato così da fornire dati reali e concreti, utilizzabili e confrontabili an-che dai cittadini.

Ogni abitazione è unica e pertanto va studiata all’interno del contesto nel quale è inserita e va valorizzata proprio per le sue caratteristiche e particolarità.

Molti professionisti e costruttori ope-rano invece come se utilizzassero una fotocopiatrice o una modalità ‘copia-incolla’, non solo nell’analisi delle diverse unità immobiliari, ma anche nella fase della costruzione.

Il professionista deve studiare ed ana-lizzare i dati verificando i vincoli esistenti e quindi proponendo soluzioni mirate ed adeguate al singolo caso, con i giu-sti compromessi tra qualità e costi da sostenere. È però necessario investire

il minor dispendio di energia, ha i migliori servizi tecnologici, quindi è cablata, cioè rispetta le normative sulla sicurezza, uti-lizza i migliori materiali ed è certificata da professionisti attenti all’efficienza ener-getica, sensibili e rispettosi dell’ambiente nel limitare lo spreco delle risorse.

La qualità del vivere urbano è un con-cetto difficile da definire in quanto buo-na parte del patrimonio esistente è stato costruito in periodi nei quali il rapporto tra spazi verdi e spazi costruiti era sicu-ramente sproporzionato. Pertanto solo poche abitazioni – e per lo più site in zone prestigiose della città – rispondono alle caratteristiche qualitative richieste; altre zone magari dotate di considerevoli aree verdi sono però prive di servizi tecnici suf-ficienti e l’aspetto energetico è trascurato.

Si stanno effettuando dei buoni restauri (ATC) e buone riqualificazioni dei quartieri (via Artom ed altri) utilizzando metodi cor-retti, anche se il risultato dell’eccellenza resta ancora lontano. La predisposizione di seminari informativi e un’opera costan-te di sensibilizzazione e aggiornamento potrebbero fornire le nozioni necessarie a quanti volessero impegnarsi professio-

abbiamo chiesto a cinque professionisti di spiegare il concetto di qualità attraverso la particolare lente del loro lavoro e delle esperienze personali. il risultato è un coro unanime: investire di più per realizzazioni tecnologicamente all'avanguardia ed esteticamente piacevoli. Perché la qualità sia per tutti

un'idea di qualità

Francesco BurrelliPresidente regionale anaci

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di più per costruire meglio, consenten-do così di risparmiare sui futuri costi di manutenzione.

Credo che il cittadino consapevole non possa pretendere da un serio professio-nista una costruzione di una ‘casa pas-siva’ tecnologicamente avanzata, sicura, esposta rispetto ai punti cardinali come la piramide di Cheope, senza tenere in con-to la possibilità di una spesa pari a 2000-2500€ circa al metro quadro (il prezzo medio di mercato). È tempo di realizzare abitazioni nelle quali vivere in modo più si-curo e confortevole e con un minore spre-co di energia, in un contesto generale di qualità decisamente più elevata.

Ed ecco che tutto ciò diventa possibi-le solo se si smetterà di pensare al co-struire ‘fai da te’ e si sceglierà invece di rivolgersi ai migliori specialisti nell’ambito della casa per consulenze, progettazioni e realizzazioni.

Non considero il concetto di qualità da un punto di vista materiale o estetico: lo considero piuttosto una questione di me-todo, che passa attraverso la mediazione e la composizione dei diversi interessi di chi progetta e di chi fruisce dell’opera ar-chitettonica. Se la mediazione funziona, ovvero se tutti gli attori sono soddisfatti, allora l’architettura sarà bella e buona.

A questo mi pare giusto sommare l’idea di durata nel tempo: un’architettura di qua-lità sarà apprezzata, usata, curata e dure-vole. A questo proposito mi viene in mente lo Stadio delle Alpi di Torino: progettato per i mondiali 1990, ora è stato già abbattuto. Quale qualità ha potuto esprimere?

Poiché è sempre possibile scattare belle foto di brutta architettura, come fotografo mi pongo naturalmente un pro-blema di verità. Nella mia ricerca di og-gettività ultimamente sto sperimentando un nuovo modo di fotografare: con la collaborazione di un amico sospendo la macchina fotografica a un pallone aero-statico ad altezze e punti di vista diversi. Il risultato è sorprendente e letteralmente ‘mai visto’. Con questa tecnica ho esplo-rato Venaria dall’alto, la Reggia, il suo in-

torno urbano, il fiume che nel loro insieme rappresentano davvero un esempio di qualità urbana, di mobilità a misura d’uo-mo. È un modello del passato, tanto che i grandi centri commerciali lo imitano. Ma ciò che rende quel luogo di una qualità speciale è il fatto che è vissuto veramen-te, non solo negli orari commerciali.

Un esempio di qualità urbana oggi? Piazza della Falchera a Torino. La qualità dell’ambiente costruito si può ottenere se il pubblico, se i fruitori sono esigenti. Se non lo sono, chi propone un progetto o un piano può fare quello che vuole e normalmente i committenti hanno scar-sa conoscenza di questi temi, oppure sono fortemente condizionati da inte-ressi di tipo economico. Quindi i fruitori finali sono, nello stesso tempo, ostacolo e condizione per una buona architettura, a seconda che esprimano una corretta domanda di qualità dello spazio.

Da questo punto di vista la fotografia come strumento di indagine e di cono-scenza può essere d’aiuto, nonostante la competizione con i migliori software di ricostruzione virtuale sia diventata oggi davvero dura.

Michele D'Ottavio fotografo

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ci si perdeva, senza il muro ci si trova o ritrova, si è costruito uno spazio, che è diventato un luogo.

Place Vendôme è un salotto, ma è uno spazio, Place Des Vosges è un luogo, è vissuto, usato: ecco l’utilitas. Sceglierei quest’ultima per vivere o lavorare.

Prendiamo l’esempio di Piazza Solferi-no a Torino: è uno spazio che si attraversa, si usa per parcheggiare ed è via di scorri-mento per auto; più che una piazza è un monumento (vi troneggia il monumento a Ferdinando di Savoia, Duca di Genova).

È stata una piazza con la presenza dei due “gianduiotti” durante i giochi olim-pici: la gente ci andava, ci si incontrava; rimossi i “gianduiotti” tornerà come pri-ma? Magari con un parcheggio interrato: ma solo questo, oppure la futura presen-za di una stazione di metropolitana ci può suggerire qualche riflessione? È una scelta prima di tutto culturale; forse val la pena di pensarci.

Uno dei principali ostacoli alla quali-tà architettonica, per quanto riguarda le opere pubbliche, oggi in Italia è il forte squilibrio tra domanda e offerta nei sevizi di progettazione: troppo sovente il prezzo offerto prevale sugli altri elementi di giu-dizio. La progettazione di qualità richiede un giusto compenso, senza il quale molti bravi architetti rinunciano a competere.

Nel privato la cultura del progetto sta crescendo sempre più; cresce nel mer-cato la domanda di qualità; soprattutto oggi lo avvertiamo per via della grave congiuntura economica che stiamo at-traversando; la domanda è pigra, va stimolata e questo lo si fa proponendo qualità e innovazione.

Qualità è un termine cui va associato un valore, uno standard perché abbia un si-gnificato concreto.

Nelle costruzioni, per semplificare, possiamo parlare di qualità architettoni-ca e di qualità tecnica. Siamo chiamati ad interpretare in chiave moderna il ca-pitolato degli antichi Romani, fatto di tre parole, lasciatoci da Vitruvio: una costru-zione doveva corrispondere a tre requisi-ti: firmitas, venustas, utilitas: essere soli-da, bella, servire all’uso. Il mondo di oggi, almeno un problema in più ce l’ha: deve fare i conti con alcuni miliardi di tonnella-te di gas serra.

Una costruzione è bella se viene per-cepita come tale da chi la frequenta, da chi la osserva. Poi c’è una qualità nor-mativa: una costruzione è di qualità se rispetta i protocolli, per esempio ITACA.

I nostri re erano attenti alla qualità ur-bana; basti pensare alla realizzazione di corsi come Vittorio Emanuele II, Re Um-berto e Galileo Ferraris, sovradimensio-nati per le carrozze trainate da cavalli, nel progettarli, oltre ad aver voluto dare un segno della maestà della corte, avevano avuto la lungimiranza di pensare ad un uso più trafficato della viabilità cittadina.

Non voglio citare esempi: farei torto a tanti architetti antichi e moderni che ci hanno donato opere di qualità.

Voglio però dire che troppo sovente facciamo coincidere la vetustà con la venustà. Soffriamo spesso di un com-plesso: ciò che è vecchio è bello, co-munque bisogna conservare la memoria storica. Dobbiamo forse avere più corag-gio, rinunciare a ciò che non è di pregio, demolire non è sempre il contrario di costruire, si fa architettura anche sottra-endo, non solo aggiungendo. Pensiamo al muro di Berlino: divideva, con il muro

Alla fine degli anni ‘90 è stato approvato dall’Università di Torino un Piano edili-zio di sviluppo decennale, che riassume diverse elaborazioni delle istanze cultu-rali e operative provenienti dall'interno dell'Ateneo e dal territorio.

Guidano l'assunzione delle decisioni l’esigenza di razionalizzazione delle sedi e degli impieghi, la ricerca della massi-ma utilizzabilità, sicurezza, flessibilità e di una coerente risposta ai bisogni di tutti gli utenti ma anche il desiderio di costrui-re socialità, luoghi e spazi di aggregazio-ne: tutto questo applicando i più moderni criteri di sostenibilità ambientale.

Più specificamente, l’idea dell’Uni-versità è quella di creare diversi poli di specializzazione didattica, in città e nella cintura. Il campus, non è più uno spazio fisico chiuso e concentrato su se stesso, ma uno spazio aperto, integrato e diffu-so in un ambito urbano che lega l’attività didattica istituzionale dell’Università al tessuto sociale, economico e culturale dei quartieri in cui si radica, con lo scopo di allargare i confini stessi del quartiere, fornendo linfa vitale per la crescita e lo sviluppo dell’intera città.

In questa ottica, l’opera di maggiore prestigio e importanza del nostro Piano è il futuro complesso delle Facoltà di Giurisprudenza e di Scienze Politiche, presso l'area ex-Italgas che, con l’annes-sa residenza universitaria, rappresenterà il motore di un rinnovamento urbano di grande significato.

Con questo progetto l’Università degli Studi di Torino si propone di coniuga-re le esigenze proprie di spazi didattici con la naturale tendenza ad esprimere le eccezionali capacità propulsive che il mondo universitario ha sempre avuto nei confronti delle dinamiche urbane.

Giorgio Gallesiovicepresidente nazionale ance

Ezio Pellizzettirettore università degli studi di torino

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un confronto fra le due città rispondo che è come confrontare una donna sabauda con una giapponese, non saprei cosa dire, forse niente è meglio. A Torino amo l´odore del Po, il grignolino, la nebbia e la neve. A Madrid il rumore, la vida en las calles, i pavimenti dei bar ricoperti dal-le briciole delle tapas e l´odore di siga-rette. Per me Torino è come i disegni a tinta china di Fornasetti, in bianco e nero su fondo bianco immacolato. Madrid è l´odore nauseabondo che scorre nell’are-na quando il torero ha ferito a morte il toro e aspetti che cada come un masso stremato. Certo, sia Torino che Madrid hanno voluto servirsi dell’opera di Filip-po Juvarra. Torino è la città delle facciate come quinte di teatro e Madrid dei palco-scenici, degli spazi interni, delle stazioni e dei miei parcheggi, del mio lavoro.

La qualità non ha sinonimi, se no non è qualità. Certamente luoghi di qualità ur-bana del presente sono i luoghi del flusso, del passaggio come le gallerie, le stazioni, gli aeroporti e evidentemente i parcheggi. Nel passato certamente lo erano le piazze ed i mercati, le trading room dove sempre l’uomo ha cercato l’uomo per vendere, confrontarsi e scambiare.

Per me è molto difficile parlare di ar-chitettura in senso astratto e quindi di qualità perché io ‘faccio’ architettura, non ‘chiacchiero’ sul tema, né traggo conclusioni astratte e filosofiche.

Il mio contatto quotidiano con il proget-to, con il cliente, con la realtà del cantiere, la ricerca perenne del materiale e quin-di della materia mi obbligano a vedere il mondo con un occhio cinico e pratico.

Ad ogni modo se devo rispondere a che cosa è per me la qualità non posso non citare Alessandro Baricco che sostie-ne che “Chiedersi che cosa è una cosa, significa chiedersi che strada ha fatto fuori di se stessa, che tracce ha lasciato”.

Per me la qualità è allora rispetto. Ri-spetto del luogo, della natura e dell´uomo.Per me l´architetto contemporaneo ha perso questo rispetto e quindi è diventa-to un ‘macellaio’.

Io sono un macellaio dello spazio. E l’ambiente è il mio campo di intervento. E smettiamo di ammanierare il nostro vocabolario con parole sofisticate e ri-cercate come sostenibilità, eco design; di parole non si vive ma di fatti si. Co-struiamo un mondo dove il rispetto sia la base del nostro pensiero architettonico, dove il voi viene prima dell’io, del Dio Ego che ci ha condotti alla putrefazione e de-composizione della professione.

Ho studiato a Torino, ma lavoro da anni a Madrid. A chi mi chiede se è possibile

Il nuovo insediamento infatti trasforma una zona, una volta industriale, in un nuovo quartiere culturale, con spazi a verde, piazze e luoghi aperti in grado di assicurare continui scambi fra studenti e popolazione, rappresentando, dunque, un nuovo punto focale per la città e un forum culturale per lo scambio di espe-rienze accademiche e sociali.

Il progetto prende in carico le istanze espresse dalla Città di Torino in relazione ad aspetti funzionali ed estetici, all’impatto ambientale e paesaggistico, alla relazione tra il fiume Dora e l’ambiente costruito cir-costante, divenendo scelta di qualità.

Il tetto, quasi una ‘lanterna urbana’, sarà l’elemento caratteristico per eccel-lenza: la sua forma e l’illuminazione not-turna renderanno riconoscibile il ‘polo universitario’ nel panorama di Torino. La passerella pedonale sul fiume Dora, inoltre, insieme alla sistemazione delle sponde fluviali, completerà l'insediamen-to generale e modificherà radicalmente le caratteristiche urbane di quest'area.

L’uso razionale dell'energia, tramite la passività dell’edificio (di cui è parte la grande copertura), l’impiego di macchine di tipo ecologico in grado di garantire alti rendimenti e cospicui risparmi gestionali rispetto ai sistemi tradizionali, la cura del benessere ambientale e la biocompa-tibilità, consentono all’edificio di ambire ad ottenere la certificazione ambientale, dando un decisivo contributo di atten-zione alle politiche ambientali da parte dell’Università di Torino.

Teresa Sapeyarchitetto

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un'analisi per mettere in evidenza la multidimensionalità logica del progetto contemporaneo: realizzare bene lo stesso edificio richiede sforzi diversi a seconda di dove si fa

Paolo Tombesi

mo di due cose: la prima è che, sovente, at-tività critiche alla riuscita ultima del disegno non hanno un loro sottoprogetto e progetti-sta precipui ma vengono delineate per ‘tra-duzione’ o ‘approssimazione’ di altri progetti funzionali. La seconda è che molto di rado il progetto dell’architettura (qui associato di-rettamente al contributo dell’architetto) si fa carico del coordinamento concettuale dei sopracitati compiti previsionali.

Questo crea due tipi di problemi. Il primo è quello dell’adattamento ambientale del lavoro alle condizioni di contorno: senza piani precisi di definizione, risposta o pre-venzione progettuale, si supplisce alle ca-renze strutturali dell’industria abbassando il livello delle aspettative e accontentandosi, in un certo senso, di un prodotto qualitati-vamente inferiore a quanto concepibile e/o realizzabile nel migliore dei mondi possibili. Il secondo è che la mancanza di un pro-getto ‘coordinante’ fa sì che le frizioni tra dimensioni di lavoro o istanze progettuali di natura diversa diventino un fatto naturale e culturalmente metabolizzabile.

L’idea alla base del mio lavoro è che, senza nulla voler togliere all’importanza dei protocolli tecnici, c’è comunque bisogno di

Da molti anni cerco di capire che cosa significhi progettare ‘bene’, ovvero tecno-logicamente, un edificio, aldilà di dibattiti formali, prescrizioni normative e sostegni mediatici. Con il tempo, sono arrivato alla conclusione che uno dei limiti principa-li all’analisi rigorosa del potenziale e degli esiti del progetto sia da trovare nella sua associazione privilegiata con l’architettura intesa come professione liberale. Mi spie-go meglio. Ancora oggi vige l’ipotesi del progetto come un’attività socialmente con-centrata e concettualmente distinta dalla costruzione, cui viene invece attribuito un ruolo esecutivo piuttosto che propositivo, subordinato, anche se spesso solo formal-mente, al controllo dell’agenzia tecnica. Tuttavia la progettazione edilizia copre un dominio molto più ampio e socialmente eterogeneo di quello generalmente ascrit-to all’architetto e risulta limitante sorvolare su un tale particolare.

Nel momento in cui considerassimo il progettare secondo il lessico generico (e cioè come un’attività tesa a riconoscere e risolvere problemi di ordine concettuale, organizzare risorse e strutturare informa-zione, cui, sulla base di condizioni e regole

esplicite, è dato determinare un corso di eventi preciso o precisabile), la mappa del progetto edilizio andrebbe quasi a coprire quella del processo realizzativo. Questo perché le quattro funzioni normative del primo – e cioè ‘immaginare’, ‘simulare per decidere’, ‘pianificare’ e ‘comunicare per istruire e controllare’ – informano dall’inter-no almeno cinque ambiti di lavoro: 1) formu-lazione dello scopo edilizio; 2) produzione delle parti; 3) assemblaggio della costruzio-ne; 4) definizione e controllo della struttura del progetto; 5) definizione e controllo del funzionamento dell’edificio (figura 1).

Evidenziare lo status progettuale di tutto il contesto del processo edilizio è utile per capire che, al fine di sviluppare compiu-tamente un progetto, una serie di compiti previsionali (non necessariamente collegati a prestatori d’opera tradizionali o comun-que specifici) deve essere portata a termine durante il suo ciclo di sviluppo. Ed è qui che spesso casca l’asino. Infatti, analizzando da questo particolare punto di vista la pro-duzione edilizia corrente in Italia (parados-salmente anche e soprattutto quella colta, dove cioè il capitale simbolico del progetto prevale su altre dimensioni), ci accorgerem-

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le dimensioni progettuali del costruire

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un lavoro di analisi ‘altro’, a priori, che metta in evidenza la multidimensionalità logica del progetto contemporaneo. Recentemente ho lavorato con un gruppo di studenti della I Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino a un programma di ricerca, spon-sorizzato dal governo italiano, che si pro-poneva di articolare e valutare nel dettaglio la strutturazione di determinate esperienze architettoniche di grande profilo in Europa. L’intento era duplice: in primo luogo mo-strare che realizzare bene lo stesso tipo di edificio richiede sforzi diversi e diversamen-te concentrati a seconda di dove si fa. In se-condo luogo, volevamo provare a definire e raccontare in che modo decisioni prese in ambiti progettuali funzionalmente circo-scritti intervengono sul resto del progetto nonché sui risultati ultimi del lavoro.

Tale analisi è stata organizzata sulla base di una nozione di progetto allargata, strut-turata per numerosi sottosistemi, ognuno dei quali descrivibile attraverso le sue ca-ratteristiche tecnologiche salienti, le logiche introduttive di tali caratteristiche, i livelli di innovazione associabili, le necessità di svi-luppo del dettaglio o di coordinamento con l’esterno e i soggetti decisionali coinvolti.

Per ciascuno degli edifici selezionati è stato prodotto un ritratto tecnico conse-guente, graficizzabile per mezzo di cate-gorie e valori assegnabili in modo euristico, che hanno reso possibile la quantificazione del peso relativo di varie decisioni nell’eco-nomia dell’intero processo di sviluppo dell’edificio. Ciò ha consentito di creare rappresentazioni diagrammatiche tanto inusuali quanto esaustive, che suggeri-scono collegamenti tra scelte progettuali di diverso tipo e il raggiungimento di deter-minate prestazioni, la gestione del rischio, il controllo dei costi, il rispetto dei tempi e così via (figura 2a e 2b).

Analizzando tali diagrammi si arriva a una serie di conclusioni riguardo la qualità del progetto edilizio. La prima è che que-sta non può essere perseguita semplice-mente attraverso il disegno dell’architettu-ra dell’edificio. Occorre, piuttosto, entrare nel merito dei collegamenti e del rapporto prestazionale tra i vari sottoprogetti, anche i meno esposti, nonché in quello relativo all’efficacia ultima delle risorse investite. La seconda conclusione è che valutare og-gettivamente tale rapporto e tale efficacia è non solo possibile all’interno di un quadro

variegato come quello del processo edilizio, ma anche utile per suggerire modifiche fu-ture alla rete di relazioni interna al sistema di lavoro. La terza conclusione è che, nel momento in cui questo tipo di approccio ‘tecnologico’ venisse applicato alla pratica del progetto (e a quella della professione all’interno di questo), meriti e responsabili-tà dei singoli attori potrebbero venire fuori in modo inequivocabile, a prescindere da sforzi pubblicistici, revisioni dei conti e en-tentes cordiales.

L’eloquenza di tali metodi di analisi ne determina quindi anche la fragilità politica. D’altra parte è proprio questo che dovrebbe spingere ad intraprendere tali strade. Per-ché la discussione sulla qualità possa avere un seguito, è necessario arrivare ad una let-tura clinica del quadro industriale esistente, abbandonando pudicizie professionali e partendo anche dall’assunzione motivata di responsabilità. Come ho suggerito più volte (di rimando a Roland Barthes), è forse arrivato il momento di decretare la morte almeno temporanea dell’autore architetto-nico, facendola coincidere con la coltivazio-ne strategica di un pubblico appassionato (e spassionato) di lettori di edifici.

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Figura 1

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DECISIONI CON IMPATTO SULLAPRESTAZIONE TECNICA DELL'EDIFICIO

Commissione Finanziamento

Programma Forma e spazio

Prestazioni e specifiche Materiali e sistemi edilizi

Produzione e fabbricazione Assemblaggio ed erezione

Cantierizzazione Verifiche e collaudi

Iter di approvazione Controllo e gestione del progetto

Acquisizione conoscenze tecniche progettazione

Acquisizione conoscenze tecniche costruzione

Sviluppo del disegno Coordinamento del lavoro

Relazioni contrattuali Uso dell’edificio

Manutenzione Variazione nel tempo

ABCDEFGHIJKLM

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Figura 2a

Grafici a radar della Casa da Musica Porto, PortogalloProgetto Rem Koolhaas, OMA/ARUP Londonimpresa di costruzione J.V. Somague /Mesquita1999-2005

I grafici riportati fanno emergere alcune considerazioni interessanti sul processo di sviluppo dell’edificio. Per esempio, il grado di innovazione introdotto dalle soluzioni tecnologiche prescelte, descritto dall’andamento del primo radar, è elevato nelle dimensioni legate al progetto della forma, mentre quelle tecniche sono piú convenzionali, fatta eccezione per l’assemblaggio della struttura dell’edificio.Il dato che emerge dal confronto tra il primo grafico e il secondo, relativo all’impatto delle scelte sul progetto, è la difficoltà riscontrata nel fabbricare e produrre le sue parti, difficoltà dovuta perlopiù alla necessità di adattare sistemi costruttivi tradizionali alla complessità del disegno architettonico. Gli altri quattro grafici diventano significativi se analizzati in termini comparativi, poichè il loro andamento permette di leggere chiaramente le ripercussioni di determinate scelte in ambiti diversi, oppure la loro assenza.

Caterina Mauro, Politecnico di Torino

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scelte — 43

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DECISIONI CON IMPATTO SULLAPRESTAZIONE TECNICA DELL'EDIFICIO

Commissione Finanziamento

Programma Forma e spazio

Prestazioni e specifiche Materiali e sistemi edilizi

Produzione e fabbricazione Assemblaggio ed erezione

Cantierizzazione Verifiche e collaudi

Iter di approvazione Controllo e gestione del progetto

Acquisizione conoscenze tecniche progettazione

Acquisizione conoscenze tecniche costruzione

Sviluppo del disegno Coordinamento del lavoro

Relazioni contrattuali

ABCDEFGHIJKLM

N

OPQ

Figura 2b

Grafici a radar del Sage Gateshead Music Centre Newcastle upon Tyne, Regno UnitoProgetto Foster and PartnersMain contractor Laing O’Rourke 1997-2002

I grafici riportati permettono di evidenziare alcune interazioni tra le scelte processuali e i risultati conseguiti: soluzioni progettuali ad alto contenuto di innovazione talvolta sviluppano risultati di livello inferiore a quelli attesi (per esempio la definizione formale e spaziale dell’edificio); soluzioni più convenzionali, per l’ambiente socio-industriale che dà origine al processo, sono al contrario garanti di alti livelli prestazionali sia dell’edificio che del processo realizzativo (ad esempio la definizione del pannello committente e la scelta delle strategie di finanziamento). Da tali grafici riassuntivi si deduce che non è sempre verificata la relazioni biunivoca che lega alti livelli di innovazione ad un incremento prestazionale dell’edificio e/o del processo.

Thierry Duclos, Politecnico di Torino

Page 46: TAO-02

44 — scelte

Il binomio o, per meglio dire, la contrap-posizione antico/moderno in architettura sottende, quasi sempre, un giudizio fata-listico sulla qualità dell’opera del passato rispetto a quella del presente.

Le origini di questo contrasto posso-no già rintracciarsi nel Dizionario storico di Architettura di Quatremère de Quincy dove si può notare come venga dedicato ampio spazio alla definizione di 'antico' trascurando quasi del tutto il 'moderno', nonostante, in quel secolo, la diffusione delle teorie piranesiane avesse suscita-to un vasto dibattito internazionale. Pro-prio nel Settecento, con l’Illuminismo, si inizia a chiarire e razionalizzare il signi-ficato di antico/moderno giungendo ad una definizione dei termini simile a quel-la che intendiamo ancora oggi. Quindi, se lo sguardo verso il passato da un lato è condotto con scetticismo e rigore, dall’altro assume connotati più empirici in quanto, soprattutto in materia d’arte, diventa didascalicamente sinonimo di bello e di qualità.

Se fino al XIX secolo si è trattato principalmente di confrontare o con-trapporre lunghi periodi di ideazione e

produzione architettonica, in cui ogni esperienza stilistica poteva sedimentar-si all’interno di una determinata geogra-fia e cultura, con il Novecento i rapporti e i contrasti teorici assumono valenze tanto ricche e inedite quanto tragiche e infeconde. Nella storia italiana il mo-mento in cui l’architettura è chiamata alla sua trasformazione è emblemati-

camente rappresentato dall’unificazio-ne d’Italia. È allora che il nuovo Stato deve insieme affrontare sia il problema di realizzare fisicamente i servizi di cui è carente, sia quello di elaborare una sua propria immagine ed entità nella com-pagine europea. Nell’urgenza con cui si ponevano i problemi da affrontare e nella carenza di piani che controllas-

se esiste il senso della qualità deve esistere anche il senso della possibilità

Francesco Moschini con Vincenzo D’Alba e Francesco Maggiore

odissee della qualità

Franco Purini, “Parete”, 1976, particolare

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sero e indirizzassero i nuovi interventi edilizi, il territorio italiano è abban-donato alla più bieca speculazione in tutte le città, compresa Roma, che, in quanto capitale, avrebbe dovuto fisi-camente rappresentare il nuovo Stato. I nuovi interventi si susseguono in modo caotico ed episodico e non si portano a termine i piani elaborati. Da un lato

manca nell’Italia post-unitaria un’idea forte di città, quale si era espressa fino al concetto tardo barocco di con-tinuità tra città, architettura e natura, dall’altro la nuova classe dirigente, nell’assenza di un programma, tenta di imporre alle culture locali la propria dottrina architettonica con maggiore arroganza e violenza di quella espres-

sa dai più rispettosi piani napoleonici. Di conseguenza la difficoltà a pensare la città nella sua interezza e comples-sità sposta l’obiettivo sulla costruzione del singolo manufatto architettonico che diventa contrappeso fisico rispetto al degrado di interi quartieri urbani. Al singolo edificio architettonico è quindi affidato il compito di rappresentare i nuovi valori.

Bisognerà attendere la lezione del Movimento Moderno per rendere final-mente funzionali questi edifici, spesso intrappolati in eclettici schemi decorati-vi. Il Movimento Moderno presta al sin-golo edificio una particolare attenzione, lo riconduce da un passato in cui anoni-mamente continuava a vivere ad un pre-sente nel quale deve contribuire a dare risposte a precise esigenze funzionali. Il singolo manufatto diventa laboratorio, luogo della ricerca e della sperimenta-zione, prototipo esso stesso per la co-struzione della città moderna.

Oltre alle problematiche legate alla progettazione, nascono con il Nove-cento nuove questioni di tipo tecnocra-tico. Infatti la separazione tra momento amministrativo-gestionale e momento storico-critico, produce inevitabili feno-meni di deterioramento e degrado del patrimonio pubblico. Ma al più grave at-teggiamento di chi non si identifica nelle opere pubbliche si aggiunge il non rico-noscere in esse le notevoli proposizioni dell’architettura moderna. Moderno e antico non sono infatti categorie astrat-te e immutabili del pensiero, ma espres-sioni concrete di mutevoli condizioni storiche, culturali e sociali delle quali l’architettura è testimonianza. È ne-cessario comprendere che il moderno richiede le medesime cure e attenzione che in genere sono riservate all’antico.

Mai come nel Novecento il rapporto che l’architettura ha avuto con la quali-tà ha assunto aspetti così controversi. Questo appare da subito paradossale se si tiene in considerazione il fatto che la statica e la tecnologia, proprio nel secolo scorso, hanno indubbiamente esteso i loro rispettivi saperi fino a defi-nire una vera e propria rivoluzione nella teoria e pratica architettonica. Al tem-

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Grattacielo Pirelli, Milano, 1958 (Arch. Gio Ponti 1891-1979 con Pier Luigi Nervi, 1955-1958)

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perdere il rigore e la classicità dei due esempi precedenti.

Il rapporto con la qualità che il seco-lo scorso ha intessuto non può quindi che partire dai rivoluzionari e inesora-bili presupposti strutturali e tecnologici. Per questo il conflitto tra la dimensione architettonica e ingegneristica diventa nel Novecento ancora più manifesto ma contemporaneamente assume aspetti esemplari. A tal proposito si può ricorda-re la collaborazione tra Sergio Musmeci e Ludovico Quaroni e tra Pier Luigi Nervi e Gio Ponti per riaffermare una simbio-si tra figure professionali e una sintesi disciplinare come vera testimonianza e garanzia dell’architettura.

Eppure se da un lato possono elen-carsi architetture in grado di assumere un valore obiettivo, dall’altro non man-

teriali diventa il territorio su cui fondare una modernità riconoscibile nei suoi aspetti più rigorosi e razionali. Basta pensare a due icone del dopoguerra come la Farnsworth House di Ludwig Mies van der Rohe e la Glass House di Philip Johnson per chiarire i termi-ni della sperimentazione ufficiale che la critica architettonica prende come riferimento. Tuttavia la straordinarietà del Novecento risiede in una poliedrica ricerca che non manca quindi di con-traddirsi. Infatti sullo stesso versante geografico di Mies van der Rohe e di Johnson, ma su un piano di ricerca dia-metralmente opposta, si trova l’opera di Louis I. Kahn. La Fisher House del 1960 è l’esempio di come la leggerezza e la trasparenza possano ridefinirsi nella pesantezza e opacità senza per questo

po stesso è altrettanto evidente come i cambiamenti apportati alla costruzio-ne abbiano trovato, proprio a causa di una tempestiva messa in crisi della tradizione, impreparati sul piano tecni-co e teorico tanto i progettisti quanto i costruttori. La conquista di un’autono-mia da parte della 'struttura' è il pun-to fondamentale da cui si diramano le numerose declinazioni dell’architettura moderna e contemporanea. È su que-ste considerazioni che si fondano i più interessanti antagonismi progettuali del Novecento non solo italiano.

I binomi struttura/involucro o costru-zione/decorazione diventano i capisaldi di una teoria architettonica direttamen-te collegata al progresso delle strutture in cemento armato e in acciaio. La ca-pacità espressiva di questi 'nuovi' ma-

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Quartiere Gallaratese, Milano, 1968-1972 (Arch. Carlo Aymonino)

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guerra ad oggi in particolare in merito al disegno. Il disegno è stato, infatti, in questo periodo, l’elemento di maggior riconoscibilità e rappresentatività del-la cultura architettonica italiana, una sorta di 'marchio di qualità' per il suo essere sempre stato considerato come momento di grande concentrazione teorica e non come sola promessa di architettura. È stato un modo, quello di disegnare, per i migliori architetti italia-ni, di svincolarsi dalla pura e semplice dimensione professionale per alludere a nuovi e diversi scenari possibili per l’ar-chitettura, per i luoghi, per il paesaggio. Il debito che il progetto contemporaneo ha nei confronti del disegno di architet-tura, che pure si tenta di banalizzare nella definizione liquidatoria di architet-tura disegnata, è notevole ed agisce a tutte le scale del progetto, dall’anoni-mo edificio, che ormai non può più non confrontarsi con i dubbi e le inquietudini emerse da queste elaborazioni, fino ai più recenti progetti teorici.

È possibile dunque parlare di una 'qua-lità' della cultura architettonica italiana, sia rispetto ai valori cui fa riferimento, sia rispetto alle diverse posizioni teori-che che ogni architetto tende a rappre-sentare. A tale linea di ricerca, in Italia, possono essere ricondotte le poetiche di architetti che si sono posti l’obiettivo di definire il ruolo di strumento teorico del disegno. Le memorie figurative di Carlo Aymonino, le analogie grafiche e autobiografiche di Aldo Rossi, la voca-zione storico-geometrica del G.R.A.U., i frammenti storici di Paolo Portoghesi, le tassonomie oniriche di Franco Purini, la visionarietà artigianale di Umberto Riva, rappresentano le poetiche grafiche più significative di un’opera alternativa in grado di costituire contemporaneamen-te un luogo parallelo e contrapposto all’ortodossia professionale.

Si tratta di un discorso parziale, ma che in qualche modo contiene in sé al-cuni elementi del dibattito sviluppatosi in Italia sul ruolo e sulla possibilità dell’ar-chitettura e dei suoi protagonisti di inci-dere e condizionare lo sviluppo edilizio attraverso la qualità del 'patrimonio ar-chitettonico' contemporaneo.

viene tradotta nel linguaggio materia-le, coloristico e formale della costru-zione. L’abbandono di un’aspirazione metafisica si traduce nella concretezza visionaria di ogni elemento. Le archi-tetture di Scarpa e Ridolfi, al di là del loro valore artigianale, comprendono un universo grafico che descrive il sin-golare tentativo di far coincidere fino in fondo progettazione e realizzazione del manufatto architettonico. In entrambi il continuo intrecciarsi tra artigianato, arte e architettura rappresenta il riferimen-to per una comprensione più ampia di quella 'professione del fare' che sottin-tende alla qualità creativa e professio-nale. A partire da questi due maestri è possibile intraprendere un discorso sull'architettura italiana e sull’evoluzione che questa ha avuto dal secondo dopo-

cano altrettanti esempi di opere con-trassegnate da formalismi e manierismi direttamente tradotti dalle ricerche più alte del panorama contemporaneo.

L’aspirazione alla qualità e alla per-fezione non è solo dimostrata da un modo di operare strettamente collega-to ad una ricerca d’avanguardia ma, al contrario, come nell’opera di Kahn, da uno sguardo rivolto tanto al passato quanto alla tradizione artigianale. In tal senso Mario Ridolfi e Carlo Scarpa, nel-la loro ricerca parallela e per certi versi coincidente, mirano a riqualificare attra-verso una produzione del dettaglio gli atteggiamenti più sterili della modernità. Un esasperato controllo geometrico e un'impareggiabile capacità compositi-va definiscono i termini di un lavoro in cui ogni forma di trascendenza teorica

Aldo Rossi, “Progetto per un Municipio con piazza....., AR 75 ”

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Qualità dell’architettura qualità della vita a cura di Anna Marotta

Celid, 2008 pp. 308 | € 30,00 ISBN 978-88-7661-789-8

L’idea di questo volume nasce con la Giornata di studi “Qualità dell’architettura, qualità della vita”, organizzata dal Dipartimento di Scienze e Tecniche per i Processi d’Insediamento del Poli-tecnico di Torino in collaborazione con la Regione Piemonte. La Giornata ha avuto il suo momento centrale nell’incontro fra l’ospite d’onore, Massi-miliano Fuksas, e gli studenti. Per approfondire gli spunti di riflessione emersi, coinvolgendo tutte le discipline e gli esperti inte-ressati, si sono raccolti in questo libro i contributi di alcuni fra i più qualificati docenti e professio-nisti italiani del settore. La qualità in architettura è analizzata nelle sue varie dimensioni – proget-to del nuovo; progetto dell’esistente (dunque recupero, restauro, valorizzazione); immagine, percezione e comunicazione; città, territorio e ambiente; aspetti tecnologici; aspetti economi-co-sociali – ognuna interpretata nell’ottica del suo concreto rapporto con la qualità della vita. Si riuscirà a raggiungere un’autentica consape-volezza del legame fra buona architettura e mi-gliore qualità di vita? Come ogni dibattito serio, il volume offre alcune risposte, ma propone anche nuove, stimolanti domande.

Anna Marotta è professore ordinario di Disegno al Politecnico di Torino, dove insegna, nella II Facol-tà di Architettura e nella III Facoltà di Ingegneria, nel corso di laurea in Ingegneria del Cinema e dei Mezzi di Comunicazione di Massa.

Maledetti architetti di Tom Wolfe

Bompiani, Tascabili, 2001 pp. 144 | € 7,50 ISBN 45249082

Tom Wolfe, che negli anni ‘60 fu il padre ricono-sciuto del nuovo ‘giornalismo d’opinione’, tratta in questo libro il motivo della “perdita della qualità della vita” in America sotto il profilo dell’architettura: un’arte idealmente contrapposta sia all’ambiente naturale, sia all’urbanistica come scienza sociale. Lo scatolone di vetro è il comune risultato delle diverse tendenze architettoniche degli ultimi cin-quant’anni. Gli architetti europei, sbarcati in America negli anni ‘30, esercitarono sugli americani un vero e proprio colonialismo intellettuale.I principali imputati sono Gropius, il celebre archi-tetto tedesco che fondò il Bauhaus e Le Corbusier, massimo teorico del Razionalismo. Nacque l’Inter-national Style, che ispirò alcune decine di palazzi di vetro, cemento e ferro, pressoché identici, privi di colore e linee curve. Ora la gente in quegli edifici tri-sti e scomodi non vuole più abitare, ma le soluzioni proposte dall’architettura postmoderna si limitano a riflettere e deformare i fantasmi degli anni ‘30. “Nuo-vi scatoloni di cristallo rivestiti di lastre specchianti in modo da riflettere gli edifici vicini, anch’essi scato-loni di cristallo, e distorcere così quelle noiose linee rette, facendole sembrare curve.”

Tom Wolfe, giornalista e saggista statunitense, è nato a Richmond (Virginia) nel 1931. Wolfe è uno degli interpreti più originali della realtà americana contemporanea. Tra le sue opere Il falò delle vani-tà, La stoffa giusta e Un uomo vero.

La città come opera d’arte di Marco Romano

Giulio Einaudi editore, Vele, 2008 pp. 114 | € 9,00 ISBN 9788806192563

La città europea è da sempre l’ambiente della nostra civitas democratica. Quello dove i cittadi-ni si riconoscono come tali, dove sono cresciuti i diritti umani e le libertà. Per questo i muri dell’ur-bs sono stati immaginati con la pretesa di offrire una prospettiva di eternità nella quale radicare le nostre speranze terrene e riconoscerci piena-mente come cittadini. Il degrado delle periferie europee, i cui abitanti sono privati della loro ap-partenenza alla civitas, è uno dei disastri del No-vecento. L’Europa è stata capace di risollevarsi dalle sbandate per i totalitarismi, salvata dall’antica radice democratica della civitas, ma non sem-bra ancora avviata a rigenerare con altrettanta consapevolezza la consolidata figura dell’urbs. Senza alcuna nostalgia tradizionalista, Marco Ro-mano ci invita a riscoprire il linguaggio consolidato attraverso i secoli nella sfera estetica della città. Quel linguaggio che non è soltanto una declina-zione artistica tra le tante, ma il solo modo con il quale la civitas esprime il sentimento della propria cittadinanza e il riconoscimento della dignità dei suoi cittadini.

Marco Romano ha insegnato Estetica della cit-tà nelle Università di Venezia, Palermo, Genova, Milano e all’Accademia di Architettura di Mendri-sio. Delle sue molte opere, Einaudi ha pubblicato L’estetica della città europea (1993 e 2005).

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