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Tecniche di distensione immaginativa. Manuale di auto aiuto

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Dopo anni di lavoro psicoterapeutico mi sono convinto che potesse essere utile predisporre un metodo semplice ma fattibile per affrontare con sicurezza, determinazione, fiducia di Sé il disagio quotidiano o esistenziale. Ho eseguito e raffinato questi esercizi per anni. Il primo scopo è stato quello di renderli il più possibile semplici ed applicabili, cercando di modularmi e di rapportarmi alla persona che avevo accanto. Il secondo è stato quello di preparare la persona ad eseguire da sola gli esercizi. Il terzo scopo è stato quello di far imparare alle persone l’esercizio più opportuno da applicare in funzione dello stato emotivo e fisico che stava vivendo. La metodica è rivolto a tutti coloro che ne fossero interessati. E’ il prodotto di una lunga attività. Lo scopo di questo manuale pratico è quello di offrire uno strumento di aiuto alla persona che autonamamente apprenderà ad applicare gli esercizi dopo averli autoiregistrati con la propria voce.

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Punti di Vista

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Enrico Magni

TECNICHE DIDISTENSIONE IMMAGINATIVA

Manuale di auto-aiuto

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Prima Edizione: 2013

ISBN 9788898037117

© 2013 Edizioni Psiconline - Francavilla al MarePsiconline® Srl66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/ATel. 085 817699 - Fax 085 9432764Sito web: www.edizioni-psiconline.ite-mail: [email protected]

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I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qual-siasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimen-to in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi.

Finito di stampare nel mese di Giugno 2013 in Italia da Atena.net srl di Grisi-gnano (VI) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconli-ne® Srl)

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INDICE

Prefazione

IntroduzioneIl training autogenoIl biofeedback L’ipnosi La distensione immaginativa

L’occhio sensoriale della mente1. Primo esercizio: tensione/distensione2. Secondo esercizio: distensione 3. Terzo esercizio: calore4. Quarto esercizio: cuore 5. Quinto esercizio: respiro6. Sesto esercizio: sicurezza

Il Sé1. Forza del sé: l’albero2. Accudimento di sé: il giardiniere3. Affermazione sociale: il foro romano4. Difesa di sé: il castello medioevale5. Identità: il doppio

Il sé nascosto1. Parte nascosta: la grotta.2. Memoria: il vascello sommerso

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3. Ricerca: il navigante4. Sé ingannevole: labirinto5. Sé corporeo: lo scultore6. Sé mutevole: il cubo

Psicosomatica del sé1. Stress fi sico: sorgiva2. Stress emotivo: la spiaggia3. Eros: il camino 4. Protezione e riproduzione: il nido5. Prevenzione e cura: pulizia del parco6. Equilibrio: l’energia7. Visceri: ingegnere8. Cambiamento: il silenzio creativo

Conclusioni

Scheda diario

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PREFAZIONE

Dopo anni di lavoro psicoterapeutico mi sono convinto che potesse essere utile comporre un eserciziario semplice ma fatti-bile per affrontare con sicurezza, determinazione, fi ducia di Sé il disagio quotidiano o esistenziale.

Ho eseguito e raffi nato questi esercizi per anni. Il primo scopo è stato quello di renderli il più possibile sem-

plici ed applicabili, cercando di modularmi e di rapportarmi alla persona che avevo accanto.

Il secondo scopo è stato quello di preparare la persona ad ese-guire da sola gli esercizi.

Il terzo scopo è stato quello di far imparare alle persone l’eser-cizio più opportuno da applicare in funzione dello stato emotivo e fi sico che stava vivendo.

L’eserciziario è rivolto a tutti coloro che ne fossero interes-sati, è un nuovo metodo che si aggiunge ad altri e non mette in discussione gli altri approcci.

Non desidero addentrarmi negli ingranaggi articolati e com-plessi della neuropsicobiologia, della psicofi siologia, non è questo lo scopo, però voglio assicurare che mi sono sottoposto attivamente ad una formazione professionale articolata che va dal training autogeno, al biofeedback, all’ipnosi oltre ad altri ap-procci.

Ho svolto la mia professione per più di trent’anni nel settore del disagio psicosociale e della salute mentale presso le strutture della sanità pubblica, operando nel settore dell’infanzia, dell’a-dolescenza e degli adulti.

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Con scrupolo per anni ho seguito le impostazione rispettando la metodologia proposta dalle singole applicazioni. Poi, mi sono posto la domanda come rendere più indipendente la persona dalla tecnica e metterla nelle condizioni di prendere consapevolezza dello strumento per imparare a gestirsi.

Questo eserciziario - è scontato ed ovvio - risponde a determi-nati bisogni e non sostituisce il professionista, lo psicoterapeuta.

Gli esercizi sono stati eseguiti in ambito professionale, sono il frutto di un lavoro quotidiano e sono stati applicati direttamen-te su persone con malesseri dell’umore, disturbi psicosomatici, d’ansia generalizzata/specifi ca. È il prodotto di una lunga attività.

Lo scopo di questo manuale pratico è quello di offrire uno strumento di aiuto: il concetto di aiuto non va confuso con tera-pia.

Non è indispensabile entrare in mille spiegazioni fi siologiche e psicologiche che sottendono a queste esperienze che gli eserci-zi producono.

Di fronte a disturbi seri è indispensabile la presenza di uno psicoterapeuta, non è possibile autocurarsi.

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INTRODUZIONE

L’obiettivo principale è quello di imparare ad usare uno stru-mento, apparentemente semplice per chiunque, da applicare in determinate condizioni emotive, sociali e relazionali.

È chiaro, è scontato, è impensabile che con questa proposta si possano risolvere tutti i problemi delle persone. È impossibile. La proposta, però, può essere usata da tutti e può essere utile per affrontare situazioni che ognuno può incontrare nell’esistenza.

La prima cosa che s’impara, nell’eseguire questi esercizi, è la scoperta del corpo, della mente e come si è soggetti a certe ten-sioni sociali, personali, relazionali, lavorative, affettive.

La seconda è come gestire il malessere e scoprire delle solu-zioni.

La terza è come imparare a gestire alterazioni, fatiche, rabbie, ansie che spesso determinano un certo fastidio.

Sullo sfondo c’è la scoperta del sé e del sé nascosto portatore di disfunzioni e malesseri psichici e fi sici.

La prima parte dell’eserciziario è composta da sei stadi ideo-sensoriali che approfondiscono due mappe biopsichiche impor-tanti come quella dello schema corporeo e del vissuto corporeo che sono sistemi in connessione tra di loro e non separabili. Per poter costruire una mappa esperienziale, mentale e personale è indispensabile prendere del tempo per svolgere in modo graduale questi esercizi che vanno riprodotti e ripetuti più volte prima di passare dal primo al secondo, dal terzo al quarto, dal quinto al sesto. Questa esperienza permette di “scannerizzare”, “fotoco-piare” o tracciare una mappa mentale del corpo e del sé corporeo.

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Il primo esrecizio riguarda la fenomenologia della tensione/distensione, il secondo esercizio quello della distensione, il terzo esercizio quello del calore, il quarto quello del cuore, il quinto quello del respiro e il sesto esercizio quello della sicurezza.

Ogni esercizio è preceduto da una scheda di presentazione, di spiegazione ed è specifi cato lo scopo da raggiungere.

Nella seconda parte, avendo come base l’acquisizione degli esercizi della prima parte, si sviluppa un processo psicosenso-riale che coinvolge le funzioni corticali superiori dell’encefalo interagenti coi sistemi cognitivi ed emozionali della mente che sviluppano il sé della personalità. Questo processo avviene attra-verso la scoperta della forza del sé con la metafora fantasmatica dell’albero, con l’accudimento di sé attraverso la metafora del giardiniere, con l’affermazione sociale con la metafora del foro romano, con la difesa di sé con la metafora del castello medioe-vale.

Nella terza parte dell’eserciziario, sempre con l’ausilio della tecnica di distensione, si entra nel mondo del sé nascosto con la metafora nascosta della grotta, con la metafora della memoria con il vascello sommerso, con la metafora della ricerca con il navigante, con la metafora del sé ingannevole, con il labirinto e con la metafora dello stress corporeo con lo scultore.

Nella quarta parte dell’eserciziario si affronta il disturbo psi-cosomatico e lo stress fi sico con la metafora della sorgiva, lo stress emotivo con la metafora della spiaggia, la sessualità con la metafora del camino, la protezione e riproduzione con la meta-fora del nido, la prevenzione e cura con la metafora della pulizia del parco, l’equilibrio con la metafora dell’energia e il cambia-mento con la metafora del silenzio creativo

Prima di entrare nel vivo della proposta e degli esercizi è necessario scattare una fotografi a su che cosa sia il training au-togeno, il biofeedback e l’ipnosi proprio perché è da queste tre metodologie psicoterapeutiche che prende forma la tecnica di di-stensione immaginativa.

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Il Training Autogeno

Il training autogeno è una tecnica di rilassamento che usa la suggestione. A livello etimologico suggestione deriva del sostan-tivo latino impulsus, dal verbo transitivo suggero, cioè suggerire.

Il terapeuta suggerisce una sensazione e il paziente ne è sug-gestionato. Training deriva dalla lingua inglese e signifi ca perio-do di preparazione allo svolgimento di una determinata attività: addestramento, tirocinio.

Il training autogeno è stato sviluppato negli anni trenta dallo psichiatra tedesco Johannes Heinich Schulz. I suoi studi si rifan-no all’ipnosi, che si è sviluppata all’inizio del XX secolo con gli psichiatri Bernheim, Charcot.

Questa tecnica rende le persone indipendenti dal terapeuta: con il T.A il soggetto diventa del tutto autonomo.

Il training autogeno è basato sulla correlazione tra stati psi-chici e aspetti somatici della persona. Ogni esperienza è mediata infatti dal soma. Le emozioni sono il risultato di un complesso insieme di modifi che che coinvolgono sistema nervoso perife-rico, sistema nervoso centrale, ormonale e più in generale, neu-roendocrino. Un’emozione vissuta come piacevole o spiacevole riguardante la neocorteccia, risulta verifi carsi secondariamente. Le modifi che che si producono con un adeguato allenamento of-frono un carattere di stabilità e costanza nel tempo. Il TA è prati-cato frequentemente in tutti quei casi dove l’aspetto emozionale sia centrale.

Tra le sue fi nalità c’è il controllo dello stress, dell’ansia, la ri-duzione generale della tensione emotiva e il recupero delle ener-gie. Questa tecnica, tuttavia, non è indicata per chiunque: non è adatta per i depressi ed è fortemente controindicata in caso di psicosi. Il Training autogeno è utile inoltre nella cura di ansia, insonnia, emicrania, attacchi di panico e altri. Ma anche in molti altri contesti il TA svolge un ruolo positivo: in particolare per atleti e sportivi in quanto favorisce il recupero di energie per-mettendo una migliore gestione delle proprie risorse, migliora la

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concentrazione e contribuisce al conseguimento di alte prestazio-ni. È importante sapere che nel training autogeno il rilassamento non è la cosa principale, ma è un “effetto collaterale” del mutato equilibrio psicofi sico.

Tecniche analoghe e spesso anche più sofi sticate si sviluppano in contesti diversi da quello occidentale moderno e si rifanno allo yoga indiano che data più di cinquemila anni di tradizione, in particolare lo yoga nidra e lo yoga buddhista tibetano.

La funzione principale di questa tecnica è quella di rendere i pazienti indipendenti dal terapeuta. Il termine training signifi ca addestramento. È solo addestrandosi che si raggiunge l’obiettivo prefi ssato.

Gli esercizi si attuano in tre posizioni: posizione sdraiata, in poltrona e del cocchiere a cassetta.

È molto importante la respirazione automatica o autogena per rispondere immediatamente, rilassarsi, distendersi per affronta-re con immediata reattività stimoli negativi, situazioni ansiose, scatti di ira incontrollati. L’espirazione e l’inspirazione diafram-matica producono un autogeno rilassamento; la respirazione dia-frammatica si rifà a tecniche orientali come lo yoga.

Nel training autogeno ogni fenomeno corporeo che la persona mette in atto è assolutamente autogeno e non forzato.

Il terapeuta svolge una funzione costante e continuativa nel processo di acquisizione del training autogeno.

Il training autogeno si sviluppa su due raggruppamenti di esercizi: gli esercizi inferiori e quelli superiori. Il terapeuta con-duce l’induzione, la seduta e la persona è dipendente dalle solle-citazioni verbali del terapeuta.

Gli esercizi inferiori sono composti da un pacchetto di cinque o sei esercizi; il primo si basa sulla pesantezza che produce ri-lassamento dei muscoli striati e lisci. Il secondo si basa sull’eser-cizio del calore che produce una vasodilatazione periferica che favorisce un aumento del fl usso sanguigno.

Il terzo sul ritmo del respiro produce un miglioramento della funzione respiratoria; il quarto esercizio del plesso solare favo-

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risce un aumento del fl usso sanguigno in tutti gli organi interni; il quinto esercizio produce un miglioramento della funzione car-diovascolare; il sesto esercizio della fronte fresca seda le cefalee.

Gli esercizi vanno eseguiti nell’ordine in cui il terapeuta li presenta. Gli esercizi superiori sono condotti dal terapeuta e si riferiscono alla dimensione più complessa e articolata della di-mensione psichica della singola persona.

Il Biofeedback

Il biofeedback (tradotto dall’inglese: retroazione biologica), è denominato anche biofeedback training.

È una tecnica psicoterapeutica che insegna al paziente il con-trollo volontario dei processi fi siologici non coscienti (pressione arteriosa, frequenza cardiaca, tensioni muscolari ed altro) con l’ausilio di apparecchiature di registrazione computerizzate e as-solutamente non invasive.

Le apparecchiature registrano e leggono gli stati psicofi siolo-gici della persona. Il biofeedback si fonda su presupposti psicofi -siologici che aiutano il paziente a prendere controllo dell’altera-zione dello stato psicofi sico.

L’organismo umano interagisce costantemente con l’ambiente esterno attraverso l’elaborazione di un comportamento adattati-vo. Lo stato adattivo è il risultato di processi ciclici che si pos-sono equiparare a sistemi di controllo interagenti e legati tra di loro. L’adattabilità dell’autoregolazione è automatica e non inte-ragisce con il campo di coscienza della persona. L’automatismo è regolato dal sistema neurovegetativo, endocrino ed immunitario.

Il corpo è un tutt’uno con la mente e la reciproca infl uenza dell’uno sull’altro è evidente in varie occasioni.

Il Biofeedback si è sviluppato negli Stati Uniti alla fi ne de-gli anni ’60, quando alcuni ricercatori (Miller, Brener, Snyder e Noble ed alt.) dimostrarono che è possibile controllare alcuni

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automatismi come la frequenza cardiaca, i ritmi elettroencefalo-grafi ci, la vasocostrizione cutanea.

Il Biofeedback a partire dagli anni ’70 si è diffuso anche in Europa ed in Italia.

Il Biofeedback rappresenta l’informazione sulle funzioni bio-logiche di un individuo: per esempio, ogni volta che si usa la bilancia si determina un feedback diretto sul controllo del peso; oppure si stabilisce un’azione retroattiva quando si misura la feb-bre con il termometro. Il termometro informa su quanto sta avve-nendo nel corpo e gli strumenti di rilevazione sono una sorta di specchio esterno dei nostri stati interni.

Con il biofeedback è possibile rilevare, misurare le reazioni biopsichiche e, con un training specifi co con l’apparecchiatura computerizzata, è possibile indurre delle modifi cazioni psicofi -siche.

Con questa apparecchiatura è possibile registrare una serie di processi biologici quali la frequenza cardiaca, la frequenza re-spiratoria, il tono muscolare, la pressione arteriosa, l’intensità e l’attività elettrica della muscolatura, le variazioni della tempera-tura corporea, il comportamento delle onde cerebrali e non solo.

In altri termini, si può monitorizzare come il soggetto reagisce a varie situazioni, per esempio di ansia o stress e successivamen-te addestrarlo al controllo di tali reazioni.

L’apparecchiatura del biofeedback fornisce uno stimolo, un’informazione sotto il segnale acustico di un suono o di una luce oppure come stimoli associati.

Lo scopo è quello di facilitare l’auto-consapevolezza ed il controllo di alcuni parametri psicofi siologici.

È indispensabile acquisire una pratica (training) con l’appa-recchiatura per acquisire una maggiore consapevolezza e sensi-bilità alle reazioni fi siche, emotive e mentali.

Dopo un esercizio prolungato e costante si riconoscono questi segnali interni senza dover ricorrere agli indicatori strumentali. Raggiunto questo obbiettivo si cerca di integrare nella propria vita di tutti i giorni questa capacità di regolazione appresa: si può

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imparare a diminuire la contrazione muscolare, l’aumento della temperatura o la diminuzione della frequenza cardiaca.

Nell’ambito di un training di biofeedback è utile possedere l’acquisizione di alcune tecniche di rilassamento o recuperare dalla propria memoria stimoli, immagini, suoni, ricordi, condi-zioni che favoriscano il rilassamento e neutralizzino lo stimolo condizionante patogeno.

Si tratta di esercizi che, utilizzati durante il collegamento all’apparecchiatura computerizzata (che segnala i concomitanti cambiamenti fi siologici), servono per autoregolare le variazioni degli stati fi siologici ed emotivi.

Le apparecchiature di biofeedback sono evolute e poco in-gombranti: l’EMG – Elettromiografo - fornisce il feedback della tensione muscolare; quello della Temperatura misura le minime variazioni della temperatura, (di un decimo di grado o anche meno) della pelle; il GSR - Resistenza elettrica cutanea - misura il livello della sudorazione; il Pletismografo registra la frequenza e dell’intensità del ritmo cardiaco; l’ EEG - elettroencefalografo - permette di valutare le variazioni delle onde beta, alfa, theta e delta.

Il trattamento con biofeedback è suddiviso generalmente in quattro fasi: la prima fase consiste nel baseline che implica il monitoraggio di alcuni parametri signifi cativi; la seconda fase consiste nel trattamento terapeutico, un ciclo di 10 -12 sedute di un’ora una o due volte alla settimana con la presenza del terapeu-ta; la terza fase è quella della verifi ca che consiste nel confrontare i risultati fi nali con quelli iniziali (baseline).

La quarta fase è quella del follow-up che consiste nel con-frontare lo stato psicofi sico in seduta con gli strumenti psico-fi siologici di rilevazione a distanza di tempo (3-6-12 mesi) dal trattamento.

I campi di applicazione del biofeedback riguardano gli stati di stress, l’ansia, le fobie, le ossessioni, gli stati dell’umore e i disturbi/disfunzioni psicosomatiche e non solo.

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L’ipnosi

Il termine ipnotismo nasce nel 1843 e origina dal greco ypno-tikos, cioè sonnifero o addormentato. È stato coniato dal medico scozzese J.Braid. Egli lo defi nì: “uno stato particolare del sistema nervoso, determinato da manovre artifi ciali”.

Tuttavia nel 1847 ripudia il termine proposto per vari motivi. J.Braid constata che solo pochi soggetti si “addormentano” (circa uno su dieci) e che polarizzare l’attenzione su un’idea procura già eccellenti risultati per cui propose il nuovo termine monoi-deismo.

Al di là delle sterili dispute terminologiche, comunque, in tut-ta la storia del genere umano, il mistero, costituito dai movimenti e dai segnali ideomotori, è stato scoperto, dimenticato e poi nuo-vamente scoperto.

Alcuni di questi fenomeni di addormentamento sono presenti nella cultura cinese, egizia, ebraica, greca e romana.

Nel papiro di Ebers, scritto nel 1500 a.C., si descrivono rituali magici ed incantesimi che collocano il paziente in uno stato men-tale alterato al fi ne di guarirlo.

Nei templi egiziani di Iside e Serapide, così come nei templi greci dedicati ad Apollo ed Asclepio, intorno al 400 a.C., si ricer-ca la guarigione inducendo stati sonnambolici

Greci e romani praticano il sonno nel tempio per avvicinarsi alla divinità e poter così predire il futuro.

Nella mitologia greco-romana sono presenti testimonianze narrative di come gli antichi credessero alla fascinazione del son-no indotto. Medusa paralizza gli uomini che osano guardarla fi no a pietrifi carli; le sirene ammaliano i marinai con il canto per farli naufragare sulla loro isola.

I maghi persiani ed i fachiri indiani praticano una forma di autoipnosi, pretendendo di possedere, in questo stato particolare, poteri soprannaturali.

Gli indiani Chippewa praticano una sorta di ipnosi di grup-po, durante le loro pratiche di iniziazione, indotta dalle cantilene

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dello stregone, tanto che in alcuni soggetti si produce anche una forma spontanea di analgesia. Gli indiani tuttavia, pur servendosi egregiamente dell’ipnotismo, ne ignorano le leggi e le cause.

Filippo Teofrasto Bombasto Aureulus von Hohenheim, detto Paracelso (1493-1541), dal medico latino Celso (padre assieme ad Ippocrate della medicina antica e dotto in ogni ambito del sapere) studia a Basilea e successivamente Tritemio lo introduce alla occulta philosophia e pratica dell’ipnosi.

L’interpretazione mistica dei fenomeni ipnotici si ritrova an-cora alla fi ne del XVIII secolo con la fi gura del medico e reli-gioso Gassner (1734-1815) che, appellandosi a demoni e a Dio, interpreta questo fenomeno come trascendente infl usso del so-prannaturale.

Nello stesso periodo tuttavia si sviluppa una nuova dottrina del fenomeno ipnotico che è defi nita magneto-fl uidica. Il massi-mo rappresentante di questa concezione è Franz Anton Mesmer (1734-1815) medico svizzero che studia medicina a Vienna e, partendo dallo studio dei testi di Paracelso, giunge a ritenere che la causa dei fenomeni ipnotici sia il fl uido magnetico di animale.

Franz Anton Mesmer è convinto che vi sia un fl uido che dall’o-peratore si trasmette al soggetto il quale, una volta magnetizzato, può essere comunicato a chiunque si metta in contatto con lui.

Le idee e le pratiche mediche di Mesmer suscitano un tale scalpore che il Governo francese del 1784 chiede alla Reale Ac-cademia di Medicina uno studio accurato e un rapporto.

I commissari dimostrano che l’immaginazione, senza magne-tismo è in grado di produrre convulsioni, mentre il magnetismo da solo è inerte e privo di utilità. Per il mesmerismo sembra una stroncatura fatale, ma non è così perché la la relazione dell’Acca-demia di Medicina del 1825 è del tutto diversa. Dopo sei anni di studi giunge a riconoscere come reale non solo il sonnambulismo ma anche i fenomeni di chiaroveggenza.

Il merito di Mesmer è di aver richiamato, per primo in Europa, l’attenzione degli studiosi sui fenomeni ipnotici.

Il noto neurologo Charcot (1835-1893), docente alla scuola

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della Salpetriere, è forse l’ultimo prestigioso medico a mantene-re alcuni punti di contatto con le tesi del magnetismo. Charcot formula una teoria sulla genesi dell’ipnosi fondata su una con-cezione energetica: ritiene che questa forma di infl usso si può esercitare solo su soggetti affetti da isteria e defi nisce l’ipnosi una sorta di nevrosi sperimentale.

Suddivide inoltre la profondità della trance in tre stadi: ca-talettica, letargica e sonnambolica. Nella prima fase il soggetto mostra una estrema plasticità muscolare e può mantenere le po-sizioni suggerite per lungo tempo, senza apparente sforzo. Nella seconda ‘sprofonda’ in uno stato stuporoso con la tendenza a non reagire a forti rumori e nemmeno a sollecitazioni corporee. Nella terza può muoversi e camminare, reagire alle sollecitazioni del terapeuta e sembrare, ad un occhio sprovveduto, sveglio.

È l’abate Faria (1776-1812), proprio mentre il mesmerismo è in auge, a respingere le concezioni legate alla predisposizione spostando l’accento sul potere di concentrazione del soggetto; è probabilmente questa la prima concezione psicologica dell’ip-nosi.

J.Braid la riprende, l’approfondisce e si convince che l’altera-zione è prodotta da un qualche meccanismo del sistema nervoso che coinvolge la concentrazione, l’attenzione e la fi ssità dello sguardo.

La scuola di Nancy, tramite le prestigiose fi gure di Bernheim (1837-1919) e di Liebault, si appropria della concezione psicolo-gica e non esita ad entrare in polemica con Charcot, dimostrando l’infondatezza delle sue argomentazioni. Bernheim sostiene, pur senza negare un possibile infl usso della predisposizione, che lo stato ipnotico è una situazione di suggestionabilità.

Bernheim defi nisce l’ipnosi uno stato particolare di coscienza che esalta la suggestionabilità senza tuttavia crearla. La sugge-stionabilità è essenzialmente la tendenza del soggetto a svilup-pare risposte che oggi defi niamo ideodinamiche (ideomotorie, ideosensoriali, ideoaffettive, ideocognitive); in altri termini l’at-titudine a subire l’effetto di una idea e ad attuarla

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Bernheim: “…una cosa è certa, che nei soggetti ipnotizzati che sono suscettibili alla suggestione, esiste una peculiare disposizio-ne a trasformare l’idea ricevuta in una azione. Nelle condizioni normali, qualsivoglia idea formulata, viene messa in discussione dalla mente. Nel soggetto ipnotizzato, invece, la trasformazione del pensiero in azione, sensazione, movimento o visione si com-pie in modo tanto rapido ed attivo che l’inibizione intellettuale non ha il tempo di agire. Quando la mente si frappone, si trova già di fronte ad un atto compiuto che viene spesso registrato con sorpresa e che viene confermato dal fatto che si dimostra reale, e non può essere impedito da alcun intervento”.

Berneheim capisce che l’ipnosi non crea la suggestione: pre-dicatori, oratori, imbonitori, avvocati sono suggestionatori che non necessitano di stati esplicitamente ipnotici per condizionare con il loro eloquio l’uditorio.

Al contrario di Charcot, Berneheim è esplicitamente avverso a ritenere l’ipnosi connessa a qualsivoglia patologia del sistema nervoso e non è d’accordo nemmeno sul concetto di tripartizio-ne, sbagliando, si oppone ai mesmeriani, che ritengono l’ipnosi idonea ad alterare la percezione del dolore e ad indurre anestesia.

Altra fi gura di rilievo nel panorama europeo di fi ne ottocento è indubbiamente quella di Janet (1859-1947) che pone l’accento su come l’ipnosi sia da intendere. Janet si avvicina alla nozione di inconscio, formulata dalla scuola ericksoniana, inteso come sede di automatismi motori e cognitivi ma scopre, indipendente-mente da Breuer e Freud, le potenzialità terapeutiche dell’ipnosi tramite la catarsi di emozioni antiche sepolte in zone non consce della mente.

In certe scuole anglosassoni si è, con qualche ragione, avan-zata la tesi che la trance sia una forma di regressione di funzio-namento dell’apparato mentale. Si sottolinea l’assopimento delle funzioni critiche ed un riemergere di modelli atavici come le al-lucinazioni, il sonno, il sogno, la fuga dalla realtà.

La teoria della regressione permette, al contrario della sottoli-neatura freudiana del ruolo del transfert, di poter spiegare lo stato

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ipnotico ottenuto contro la volontà del soggetto. Tale evento va inteso come assoggettamento causato principalmente dall’iner-zia.

Il fi siologo russo Ivan Pavlov ( 1849-1936 ) con la sua teoria dei rifl essi condizionati offre un ulteriore apporto alla compren-sione dell’ipnosi. Pavlov negli scritti “Lezioni sull’attività degli emisferi cerebrali” del 1927 e “Fisiologia dello stato ipnotico del cane” del 1932 fornisce una spiegazione su base fi siologica di questa fenomenologia. Per Pavlov, durante la trance, c’è una parziale inibizione corticale, le residue zone funzionanti, pur se non integrate con le altre aree encefaliche come nella veglia, per-mettono di spiegare e di concepire lo svolgimento delle numero-se operazioni tipiche di quello stato. Le inibizioni sono attivate, come normali rifl essi condizionati, dall’uso della parola che fun-ge da stimolo involontario condizionato. Lo stato ipnotico sorge per un fenomeno di diffusione della inibizione interna che parte da una zona del cervello particolarmente suscettibile a questo ri-fl esso condizionato.

Erickson ( 1901-1980) è indubbiamente il più importante ip-notista del XX° secolo; a Erickson si deve la rinascita dell’inte-resse per questa antica disciplina che, tuttavia, con lui muta pro-fondamente. Erickson insegna che l’osservazione è certamente l’aspetto più importante della prima fase del training ipnotera-putico.

La persona che si sottopone ad un trattamento ipnotico si deve accertare che il terapeuta sia provvisto di una formazione specifi ca e documentata. Ci sono scuole specializzate, di durata quadriennale, che formano l’ipnologo. L’ipnosi clinica non va confusa con l’ipnosi da spettacolo.

La Distensione Immaginativa

La distensione immaginativa è una tecnica che si pone lo scopo di far imparare ad affrontare e risolvere quelle tensioni

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emotive e mentali che occupano la dimensione esistenziale della persona e determinano un disagio nella quotidianità, che è fatta di relazioni, di affetti, di emozioni, di lavoro, di confl itti, di an-gosce, di tristezze e di ansie.

Per prima cosa è indispensabile distinguere e precisare che il manuale è composto da due parti fondamentali, la prima riguarda gli esercizi di base e la seconda parte quelli di approfondimento. Il manuale poi prevede un terzo capitolo riguardante altri eser-cizi che rispondono a delle tematiche specifi che. Come per tutti gli allenamenti e gli apprendimenti non è possibile iniziare con gli ultimi o con quelli che possono incuriosire, è indispensabi-le seguire la sequenza proposta. Si eseguono gli esercizi della seconda parte solo dopo quelli della prima parte e si accede a quelli della terza parte solo quando sono stati terminati i primi e i secondi esercizi.

Ogni esercizio deve essere svolto una volta al giorno lontano dal pranzo e dalla cena e assolutamente non va eseguito prima di andare a letto per dormire. L’esercizio in media occupa venti minuti circa.

È indispensabile trovare un posto adeguato, un posto tranquil-lo.

L’esercizio prima va letto, poi registrato e poi ascoltato. Questo è un passaggio importante perché chiama in causa la di-mensione del dialogo interno, del suono della propria voce, del parlare con se stessi e dell’ascolto. Sono aspetti che vanno oltre l’aspetto tecnico dell’applicazione.

La funzione dell’ascoltarsi è diffi cile, non si è abituati ad ascoltarsi, a sentire la propria voce.

La prima volta si percepisce una dissonanza tra la voce udita dal registratore e quella che si sente quando si parla. C’è una tendenza a non riconoscersi, a rifi utarsi di continuare, entrano in gioco aspetti psicologici, neurologici e sociali che sono co-muni a tutti. La società attuale pone la persona prevalentemente all’interno di un inquinamento sonoro e l’allontana dal silenzio che permette di riconoscere i suoni della propria voce. I suoni

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della voce poi sono condizionati dall’idioma territoriale o locale, dalle infl essioni specifi che che connotano la persona, a queste si assomma il condizionamento vocale indiretto del contesto fami-liare. Certi suoni, certe infl essioni, certe idiosincrasie tracciano il profi lo di una persona, ne costruiscono una fotografi a sonora.

L’ascoltarsi implica l’ascoltare sé e l’altro e gli altri. Ascoltare è in primo luogo una condizione emotiva, è la disponibilità a ri-conoscere le proprie emozioni e le emozioni dell’altro attraverso l’esito che producono nella propria sfera emotiva. L’ascolto è un continuo ed inevitabile auto-ascoltarsi che conduce a riconoscere l’altro per ciò che è: se c’è fusione e confusione di mondi non c’è ascolto.

Si può ascoltare per dare sollievo, riconoscimento, per con-fondere. Lo si può fare per produrre un cambiamento, piccolo o grande che sia, nel sistema di riferimento a cui ci si relaziona. L’ascolto non è solo una qualità collegata all’udire, che è un’a-zione legata alla percezione, ma comporta il coinvolgimento di tutta la nostra persona dal profondo.

Saper ascoltare signifi ca molte cose: apertura verso il pros-simo, curiosità, saper attendere, accettare il punto di vista e la cultura dell’interlocutore. Ascoltare, come parlare, è un modo di-namico di mettersi in relazione con la realtà che si vive.

È diffi cile fermarsi e ascoltare, dedicare se stessi e un pò del proprio tempo all’altro. Non è quasi più consentito rallentare, “sprecare” il tempo per accorgersi di chi ci è vicino. Allora anche i tempi e gli spazi del lavoro, della vita sociale, della famiglia sono scanditi da ritmi inumani che considerano come un lusso il fermarsi.

Non sono ammessi noia, ozio, tempo libero che sia libero dav-vero, anche libero di non far nulla. Se non si permette a noi stessi di fermarsi, però, non è possibile incontrare l’altro, non è possi-bile riconoscerlo e non è possibile essere riconosciuti: invece la sua, la nostra, la vostra, la mia vita nasconde segreti preziosi e basta saperli vedere.

In ogni caso, a prescindere dalle circostanze e dai ruoli, ascol-

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tare presuppone una visione dell’individuo come essere dispo-nibile a modifi carsi, concezione che a sua volta comprende una considerazione del cambiamento come processo non solo neces-sario ma inevitabile.

Prendersi uno spazio per registrare il proprio esercizio imma-ginativo è un primo passo per prendersi cura di sé, è un modo predittivo per mettersi in una posizione ipotetica di cambiamen-to.

È mettersi in una posizione di connessione con il linguaggio interno, con quel dialogare costante e continuo che è sempre pre-sente.

Le proprie reazioni emotive sono infl uenzate dal dialogo in-terno. Il dialogo interno rappresenta quella voce che sta dentro, che accompagna continuamente, con i suoi commenti, tutto quel-lo che si percepisce. Tutti parlano ogni giorno con se stessi con la propria mente. A volte l’inquietudine interiore nasce da un dialo-go interno fi nito fuori controllo.

Il modo di provare i sentimenti, le emozioni, la modalità di esprimerli, la forma particolare di essere, di presentarsi, di agire, i signifi cati rivolti a se stessi, alle persone e agli eventi, l’impor-tanza che si dà alle situazioni e la modalità con cui si affrontano le scelte che si elaborano nella vita di tutti i giorni sono tutti pat-tern di funzionamento sostanzialmente stabili che costituiscono il motivo conduttore del proprio comportamento e delle proprie interazioni. Non sempre questi pattern sono modi di vivere che procurano benessere e permettono di migliorare la qualità della vita. La conoscenza e la comprensione di questi stili individuali di “costruire” la realtà e di “essere-nel-mondo” servono per capi-re meglio il proprio funzionamento e permettono di sperimentare nuove alternative percorribili per ampliare i confi ni del proprio spazio potenziale di vita e allargare la gamma dei ruoli giocabili.

Vi sono alcuni contenuti del dialogo interiore che procurano a sé e agli altri sofferenza o disagio; questi sono dei contenuti disfunzionali con reazioni emotive esageratamente negative. Le caratteristiche dei pensieri irrazionali descrivono in modo non

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realistico gli eventi distorcendoli, sono pensieri esagerati, asso-lutistici, non aiutano a raggiungere i propri scopi, portano a rea-zioni emotive eccessivamente intense e prolungate.

I principali contenuti irrazionali sono di tipo catastrofi stico (“è terribile se mi dovesse lasciare”); di bisogni assoluti (“non posso vivere senza di te”); di giudizio globale: (“incapace, idiota, carogna…”) ; di insopportabilità (“non lo sopporto!”); di dedu-zioni arbitrarie che consistono nel trarre conclusioni in assenza di prove o in contrasto con esse e altre. L’obiettivo è quello di favorire una modalità di pensiero più “funzionale” che permetta di gestire situazioni problematiche in modo più effi cace.

I pensieri funzionali comportano invece una visione più rea-listica e spesso positiva della realtà, che ridimensiona l’impatto emotivo di certi eventi e facilita il conseguimento degli scopi. Il pensiero funzionale non implica il rifi uto di tutti gli aspetti ne-gativi di se stessi e della vita, ma una valutazione che sia meno rigida, più disposta a tenere conto di possibili alternative e più utile per raggiungere i propri obiettivi. Uno dei modi per impara-re a confutare i pensieri irrazionali è di scriverli e farsi domande: “Che prove ci sono dell’esistenza di quello che mi sta accaden-do? Qual è la cosa peggiore che potrebbe accadermi in questa situazione? Quanto è probabile che si verifi chi davvero? Se ciò si verifi casse sarebbe così terribile? Che cosa potrei fare? Cosa c’è di vero in quello che penso, quali fatti potrei avere ignorato?”

La tecnica immaginativa dell’autoinduzione permette di col-tivare e rispondere a queste domande in modo costruttivo e non cervellotico, perché favorisce la dimensione emotiva, perché permette all’occhio sensoriale della mente di muoversi nelle va-rie stratifi cazioni delle memorie e delle emozioni favorendo un dialogo tra se stessi più approfondito .

Si cambia, nonostante tutto, a dispetto di ogni resistenza, di ogni vincolo con il passato. La tecnica immaginativa dell’autoin-duzione favorisce l’ascolto come connessione di eventi del pas-sato con quelli presenti per favorire un progetto di cambiamento e di benessere.

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La tecnica immaginativa dell’autoinduzione, per poter giova-re, necessita di un esercizio costante, necessita di una preparazio-ne e di un allenamento psicosensoriale per favorire gli automa-tismi spontanei che si manifestano con immagini, con pensieri funzionali nuovi, con illuminazioni emotive sul proprio stato di malessere.

È importante allenarsi ascoltandosi, anche per fare in modo che il suono della voce interna corrisponda alla voce esterna e stabilendo una buona forma tra il sentito e il parlato si sviluppa un processo innovativo del sé.

Presto potrebbe essere realtà la possibilità, mediante opportu-ni strumenti, di “ascoltare” il monologo interiore di un individuo, senza che questo proferisca parola. Il risultato potrebbe essere estremamente utile, per esempio, per aiutare i pazienti colpiti da una disabilità nelle aree del linguaggio. Infatti, in un’attuale ri-cerca svolta all’Università di Berkeley a San Francisco, il prof. Robert Knight si è convinto, attraverso ricerche, che esistono prove, anche se limitate, che la percezione e l’immaginazione possano essere abbastanza simili nel cervello; l’importante è sco-prire, comprendere la relazione tra i suoni e la registrazione che ne fa il cervello, così è possibile sintetizzare il suono che la per-sona sta realmente pensando, o scrivendo.

Per quanto riguarda l’esatta localizzazione di questi processi, si ritiene che nella trasformazione dell’informazione acustica in rappresentazioni fonetiche e prelessicali, rivesta un ruolo fonda-mentale il giro temporale superiore posteriore.

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L’OCCHIO SENSORIALE DELLA MENTE

Il primo esercizio è importante perché, per la prima volta, la persona prova a vivere un’esperienza particolare con il proprio corpo-mente-emozione ed è abbastanza ovvio che si senta emo-zionata e per certi versi a disagio quando lo applica.

Il primo disorientamento consiste nel registrare il testo dell’e-sercizio. Il risultato non è immediato, servono delle prove, poi superata una certa incertezza, la lettura del testo appare scorre-vole e piacevole.

Il secondo disorientamento riguarda l’ascolto della registra-zione della propria voce che si fatica a riconoscere. C’è una diffe-renza tra la voce registrata e quella ascolta, la differenza è dovuta a una condizione dell’apparato uditivo che coinvolge la fi sica e la fi siologia del suono. Il suono si propaga attraverso due mezzi: l’aria e la materia; quando si riascolta la propria voce registrata il mezzo di conduzione è l’aria, quando ci si ascolta mentre si parla il conduttore è l’apparato osseo. In sostanza la differenza è determinata da fattori fi sici del suono.

A livello psicologico sentire la propria voce differente da come “se la si sente” è come vedersi ad uno specchio che deforma l’im-magine rifl essa. Il riconoscere il tratto deformato dell’immagine (troppo grasso, troppo magro oppure troppo alto o troppo basso) permette di prendere coscienza del proprio aspetto, così ascol-tarsi permette di sintonizzare la voce interna con quella esterna. È un modo per conciliare il dialogo interno con quello esterno, è un riconoscersi. Il tono, la modulazione, l’infl essione del suono vocale sono un’impronta della propria identità personale, sociale

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ed etnica. Ascoltare la propria voce, interiorizzarla, accettarla è il primo

passo per conoscere un parte di sé che non è stata mai considerata e che favorisce il riconoscimento attraverso le infl essioni dei toni o delle pause, dello stato emozionale e mentale di quel momento. Ascoltare “le voci”del sé è utile proprio per prendere conoscenza di se stessi, delle proprie parti nascoste ed è anche un piacere intellettivo nel cogliere le sfumature, le differenze che si mani-festano nei diversi contesti, permette di rileggere nel presente frammenti di comportamenti avvenuti in altri contesti, in altre scene del teatro dell’esistere.

L’occhio sensoriale della mente è la metafora che ricompa-re nei vari esercizi e svolge una funzione di accompagnamento nell’esecuzione. L’occhio sensoriale è quella funzione mentale che permette di vedere, sentire, udire, muovere la mente-corpo o il corpo-mente prima che una sensazione o un’emozione si manifesti. L’occhio sensoriale della mente accompagna gli atti, gli eventi, le emozioni, le azioni del corpo-mente; con l’occhio sensoriale della mente è possibile, allenandosi, costruire delle mappe emozionali, cognitive, sensoriali e motorie in grado di far affrontare situazione ritenute impossibili o angoscianti come par-lare in pubblico, sostenere degli esami, esprimere con fermezza le proprie opinioni, scalare una montagna, nuotare e altre cose.

Nel suo ultimo lavoro, L’occhio della mente, il neurologo e scrittore Oliver Sacks, descrive e analizza con minuziosità come l’occhio mentale sia fondamentale per affrontare situazioni lega-te a determinate diffi coltà, non solo neurologiche e psicologiche, ma anche sociali.

Sviluppando l’occhio sensoriale della mente, è possibile spe-rimentare nuovi percorsi dell’esistere, trovare delle soluzioni inaspettate, fare delle scelte sempre rimandate. Guardare le cose del mondo con un altro occhio, è scoprire dentro di sé quelle parti di sé inascoltate.

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1. Primo esercizio: tensione/distensione

Questo primo esercizio si modula su due livelli: uno attivo e l’altro passivo. Il primo esercizio è l’unico che necessita di una funzione attiva. La parte attiva è funzionale per costruire un’im-pronta nella memoria immediata, per ricalcare una sensazione e per stimolare l’apparato sensomotorio.

La parte passiva è funzionale a ‘rivivere’, a risentire, ad ascol-tare le sensazioni sensomotorie. È come se si fotocopiasse, ‘scan-nerizzasse’ la mappa mentale, sensoriale del corpo e della mente. Il processo rievocativo mette in atto una serie di meccanismi psi-cofi siologici della memoria, dell’attenzione, dell’immaginazione che spesso sono silenti nello stato attivo.

L’altro dato che si riscontra nel primo esercizio è quello della respirazione. La respirazione si divide in due fasi: inspirazione ed espirazione. Quando si inspira bisogna buttare l’aria nella pancia gonfi andola come un palloncino in modo di far lavorare la base dei polmoni che sono più capienti dell’apice, infatti i pol-moni assomigliano ad una piramide; con l’espirazione si svuota tutta l’aria che si è depositata e si libera il palloncino; tutto questo serve a portare più ossigeno all’encefalo (cervello) attraverso il sangue.

La fenomenologia della tensione/distensione è una manifesta-zione esistenziale che coinvolge la dimensione vitale della per-sona quando è in uno stato attivo o passivo. Prendersi uno spazio mentale per provare ad ascoltare questa dimensione permette di cogliere come si vive la dimensione psicologica, sociale ed af-fettiva.

Imparare ad ascoltarsi è il risultato di un percorso. Si parte a sperimentare le sensazioni del corpo-mente, dell’u-

nità della persona da una condizione che ogni persona vive nella quotidianità che è quella della contraddizione teso/disteso.

La mente-corpo vive questa condizione prima ancora di na-scere, da quando è nel liquido amniotico il corpo-mente vive questo stato, prima ancora di respirare; infatti è possibile cogliere

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nel nascituro lo stato tensivo del tono muscolare e la sua dinami-cità psicosensoriale che è la base di come la persona svilupperà la propria esistenza. Imparare a distinguere la differenza che inter-corre tra tensione e distensione permette di cogliere, con l’adde-stramento dell’ascolto, come mai in determinate circostanze, in determinati momenti si è tesi o distesi. Il corpo-mente o mente-corpo sono un’unità inscindibile e inseparabile. Comunichiamo col corpo oltre che con la parola, comunichiamo con i visceri oltre che con la ragione, la ragione è corpo il corpo è ragione. Le mani dell’artista sono mani che pensano, le mani tese, fredde, molli, fl accide, ruvide sono mani che comunicano.

Il primo esercizio permette di fotografare come mai il mio corpo-mente si muove dentro questo interstizio contraddittorio di teso/disteso.

A questo punto si è pronti per iniziare a leggere, registrare l’esercizio e poi applicarlo.

Nello scritto che va letto e registrato compaiono delle parente-si, le parentesi indicano il tempo di pausa e non vanno assoluta-mente lette. Le pause permettono di articolare la lettura.

Allo stesso modo sono inserite delle linee di interruzione den-tro le quali compare una scritta maiuscola che indica il tono della voce - TONO ALTO -, questo permette di modulare il tono della voce. Le pause, indicate con i secondi, il tono, indicato con il trattino e la maiuscola, permettono di modulare il testo per regi-strare un’impronta sonora dinamica e personalizzata.

Mi distendo, sono (pausa, 3s) in un posto (pausa, 2s), tran-quillo (2s), piacevole e rilassante, un posto che conosco (2s), che mi serve per trovare la mia concentrazione e la mia distensione (3s) adesso (3s) faccio un lungo respiro profondo, inspiro l’aria, - TONO BASSO - uno, due, - TONO NORMALE - butto fuori tutta l’aria, con la pancia, molto bene.

Faccio un altro respiro profondo, uno, due (2s), butto fuori l’aria che è all’interno (3s), adesso respiro normalmente (3s).

Adesso vado a sentire (2s) la contrazione della mano destra,

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stringo fortemente la mano destra formando un pugno, mi sof-fermo sulla sensazione di tensione della mano destra; la mano destra - TONO ALTO - si tende, si tende, - TONO NORMALE - e poi (2s) - TONO BASSO - si distende, si rilascia. - TONO NOR-MALE – Mi fermo su questo passaggio - TONO ALTO - dalla tensione (2s), - TONO NORMALE - alla distensione (2s).

Va bene (2s), continuo a visitare questa situazione di tensione e di distensione, del mio corpo e della mia mente. Vado adesso a sentire la contrazione dell’avambraccio destro (3s).

L’avambraccio destro si - TONO ALTO - tende, - TONO ALTO - tende, - TONO NORMALE - si tende, e poi si (2s) disten-de, - TONO NORMALE - e si rilascia. Mi fermo sulla sensazione di distensione, di rilasciamento.

Adesso vado a sentire la contrazione del bicipite destro, come se stessi facendo braccio di ferro (2s). Il bicipite destro si - TONO ALTO - tende, si tende (2s) fortemente (2s), e poi, si rilascia (3s). Faccio un bel respiro, profondo (3s). Fuori tutta l’aria che c’è all’interno (3s).

Insieme alla sensazione di rilasciamento, provo anche la sen-sazione (2s) di distensione (2s) e di caldo (2s), di distensione e di caldo (2s). Adesso, vado a sentire (2s) la contrazione (2s) della spalla destra. La spalla destra si - TONO ALTO - contrae, - TONO NORMALE - si tende, si tende, poi si distende. Il brac-cio destro è disteso (2s), il respiro è lento (2s) e regolare (2s), il corpo si distende.

Adesso vado a sentire la contrazione (2s) dei muscoli del mio collo, i muscoli del mio corpo, si - TONO ALTO - tendono, si tendono, fortemente, fortemente e poi (2s) si (2s) distendono, si rilasciano (2s). Faccio un lungo, respiro, profondo (3s). Trovo tutta l’aria che sta all’interno (3s).

Adesso vado a sentire la contrazione dei muscoli della fronte, i muscoli della fronte si - TONO ALTO - contraggono, si tendo-no, - TONO NORMALE - si tendono (2s), li distendo, - TONO BASSO – li rilascio, - TONO NORMALE – si tendono e si rila-sciano, lentamente, piano, lentamente.

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Adesso, vado a sentire le mie palpebre (2s), le palpebre si - TONO ALTO - contraggono, si tendono, - TONO NORMALE - si contraggono fortemente, come se vedessi un punto nero davanti, si tendono (2s) e poi si (2s) distendono.

È una sensazione profonda di distensione (2s), di rilascia-mento (2s).

Vado a sentire adesso la contrazione dei muscoli delle labbra, i muscoli delle labbra superiori e inferiori si (2s) - TONO ALTO - contraggono (2s), - TONO NORMALE - si tendono (2s).

Il corpo si (2s) distende, la sensazione di distensione (2s) del mio corpo (2s) si rilascia.

Adesso vado a sentire la contrazione dei muscoli della mia spalla sinistra (2s), - TONO ALTO - si contraggono (2s), si - TONO NORMALE - tendono, e poi si rilasciano.

Faccio un respiro profondo, uno, due, butto fuori tutta l’a-ria (2s). Adesso vado a sentire la sensazione di contrazione (2s) del bicipite sinistro, il bicipite sinistro - TONO ALTO – si (2s) - TONO NORMALE – contrae (2s), poi si distende, - TONO BAS-SO - si rilascia (3s), - TONO NORMALE - si tende e si rilascia.

Adesso proseguo, vado a sentire la sensazione di contrazione, nel mio avambraccio sinistro, il mio avambraccio sinistro si (2s) tende (2s), tende (2s), e poi si (2s) distende.

Adesso vado a sentire la contrazione della mano sinistra, fac-cio un pugno forte, la mano sinistra si (2s) contrae, molto bene, così, si - TONO ALTO - tende, - TONO NORMALE - fortemente, benissimo, sento la contrazione (2s), e poi adesso distendo, len-tamente, lascio andare la mano sinistra, la distendo (2s).

Adesso vado a sentire la contrazione dei muscoli, del dia-framma, che vanno verso l’interno; i muscoli del diaframma si - TONO ALTO - tendono (2s), - TONO NORMALE - si tendono.

Faccio un lungo respiro profondo (3s), poi vado all’interno (2s), il corpo di distende (2s) si rilascia (2s), si tende (2s), si rilascia.

La coscia destra, alzo la gamba destra, alzo su, alzo la gamba destra su, così (2s) mi soffermo attentamente sulla sensazione di

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contrazione, di tensione della gamba destra. Adesso lentamente mi soffermo proprio nel sentire la sensa-

zione di passaggio tra tensione e distensione (2s), si tende (2s), si rilascia.

Adesso viene la contrazione (2s) del (2s) polpaccio destro (2s) il polpaccio destro si - TONO ALTO – contrae (2s), si tende (3s), - TONO NORMALE - poi si (2s) distende. Vado adesso a sentire la - TONO ALTO - contrazione (2s) - TONO NORMALE - del piede destro.

Il piede destro si contrae (2s), si - TONO ALTO - tende, - TONO NORMALE - si tende (2s), e poi (2s) si (2s) distende.

Faccio un altro respiro profondo (3s), tranquillo (3s). In que-sto stato di distensione (2s) profonda (3s), aumenterà la sensa-zione (3s) di calma e di sicurezza (4s), la sensazione di calma e di sicurezza (4s). Faccio un altro respiro profondo (4s).

Adesso vado a sentire la contrazione (2s) dei muscoli della coscia sinistra, alzo in verticale, molto bene, diritto (3s), mi sof-fermo su questa tensione (2s), sulla contrazione (2s).

Il muscolo si contrae (2s), si - TONO ALTO - tende (2s), si tende - TONO NORMALE - e adesso la ripongo lentamente (2s).

Vado a sentire la contrazione del polpaccio (2s) sinistro (2s), il polpaccio sinistro - TONO ALTO - si tende (2s), si tende. - TONO NORMALE - e poi - TONO ALTO - si (2s) - TONO NOR-MALE - distende (3s), si rilascia.

Adesso vado a sentire la sensazione di contrazione del piede sinistro. Il piede sinistro si - TONO ALTO- tende (2s), - TONO NORMALE - si tende, e poi si (3s) distende. Mi soffermo (4s) con l’occhio sensoriale della mia mente (3s) sulla sensazione di distensione (3s), di rilasciamento (2s) del mio corpo (4s).

Il corpo è disteso (2s) e rilasciato, (4s) il corpo è disteso (2s) e rilasciato (4s).

Adesso con l’occhio sensoriale della mia mente (2s) andrò a risentire (2s) le sensazioni di (2s) tensione (2s) e di distensione.

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SECONDA PARTESolo (2s) con l’occhio sensoriale della mia mente (2s) vado a

risentire le sensazioni di tensione e di distensione (3s).Adesso vado a sentire la sensazione (2s) di contrazione della

mano destra (3s), senza muoverla, senza fare il pugno, solo con l’occhio sensoriale della mia mente (2s) vado a sentire, - TONO ALTO – vedere (2s), - TONO NORMALE - sentire (3s), la mano destra che - TONO ALTO - si contrae (3s) e poi - TONO BASSO- si distende (3s), - TONO NORMALE - si rilascia (3s).

Nella mia mente si forma (3s) questa sensazione (2s) di di-stensione, (4s) di calma (4s), molto bene (4s). Adesso faccio un lungo respiro - TONO ALTO - profondo (4s). - TONO NORMALE - Adesso vado a sentire (2s), sempre con l’occhio sensoriale del-la mia mente (3s), la contrazione (2s) dell’avambraccio destro; l’avambraccio destro si – TONO ALTO - contrae (3s), si tende (3s),- TONO NORMALE - poi - TONO ALTO - si (3s) - TONO BASSO – distende (3s), - TONO NORMALE - si rilascia (4s).

Adesso (2s), sempre con l’occhio sensoriale della mia mente (3s), vado a sentire la contrazione (2s) del bicipite destro (2s). Il bicipite destro si - TONO ALTO - contrae (3s), si - TONO NOR-MALE – tende (3s) e poi si (2s) distende.

Molto bene (4s), il mio corpo è disteso e rilasciato (2s), tran-quillo (3s), sensazione di calma (3s); il corpo e la mente si di-stendono (4s).

Adesso vado a sentire la contrazione (3s), sempre con l’oc-chio sensoriale della mia mente (2s), dei muscoli della spalla destra (3s).

I muscoli della spalla destra si - TONO ALTO - contraggono (2s), si tendono (3s) - TONO NORMALE - e poi si - TONO BAS-SO - distendono (2s), - TONO NORMALE - si rilasciano (4s). Adesso (4s) vado a sentire la contrazione (2s) dei muscoli del collo (2s), i muscoli del collo si - TONO ALTO – contraggono (2s) - TONO NORMALE - si tendono (2s), e poi si (3s) rilasciano.

Adesso vado a sentire (3s) la calma della mia mente (2s), la contrazione dei muscoli della fronte (3s). I muscoli - TONO

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ALTO - si (2s) contraggono (3s), si tendono - TONO BASSO – e poi si distendono (2s). - TONO NORMALE - Faccio un lungo re-spiro profondo (2s), un altro respiro profondo. (3s) Adesso vado a sentire la contrazione (3s) dei muscoli delle palpebre. I muscoli delle palpebre - TONO ALTO - si (3s) contraggono (3s), - TONO NORMALE - si tendono (3s), e poi si (2s) - TONO BASSO – di-stendono (3s), - TONO NORMALE – rilasciano (3s).

Adesso vado a sentire la contrazione dei muscoli delle labbra. I muscoli delle labbra (2s) si tendono (3s), si tendono, e poi si - TONO BASSO - distendono.

- TONO NORMALE - Faccio un respiro profondo (2s), - TONO BASSO - lento e regolare.

- TONO NORMALE - Adesso vado sentire la contrazione sem-pre con l’occhio sensoriale della mente dei muscoli della spalla sinistra.

I muscoli della spalla sinistra si (2s) contraggono (3s), e poi si (2s) distendono. Adesso faccio un lungo respiro profondo (2s). Con l’occhio sensoriale della mente vado a sentire la contrazio-ne (4s) del bicipite sinistro (3s).

I muscoli del bicipite sinistro si contraggono (2s), si tendono, e poi - TONO ALTO - si (2s) -TONO NORMALE – distendono (2s), si rilasciano.

Molto bene (2s). Adesso vado a sentire (2s) la contrazione (3s) dell’avambraccio sinistro. I muscoli (2s), si contraggono (3s), si (3s) tendono (3s) e poi si (3s) distendono (3s), si rilasciano.

Adesso (3s), vado a sentire sempre (2s), la contrazione della mano sinistra (3s).

La mano sinistra - TONO ALTO – si - TONO NORMALE – contrae (3s), si tende, e poi si (2s) distende (2s), si rilascia.

Faccio un lungo respiro profondo (2s), profondo, il mio corpo è disteso (2s), rilasciato, disteso (2s), rilasciato (4s).

Adesso vado a sentire la contrazione (2s) dei muscoli del dia-framma (2s). I muscoli del diaframma si tendono (2s), - TONO BASSO - si tendono, - TONO NORMALE - e poi si distendono.

Sempre con l’occhio sensoriale della mia mente (3s) vado a

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sentire la contrazione (2s) della coscia destra. I muscoli della coscia destra si tendono (3s), e poi si (2s) distendono.

Adesso vado a sentire la contrazione dei muscoli del polpac-cio destro (2s). I muscoli del polpaccio destro - TONO ALTO – si tendono (2s), - TONO NORMALE - e poi si (2s) - TONO BASSO - distendono. - TONO NORMALE - Sempre con l’occhio senso-riale della mia mente (3s) vado a sentire la contrazione (2s) del piede destro (2s). Il piede destro si -TONO ALTO - contrae (2s), si tende (2s), - TONO NORMALE - e poi si (2s) distende.

Faccio un respiro profondo (3s), butto fuori tutta l’aria che sta all’interno (2s). Adesso vado a sentire (3s) la contrazione dei muscoli del polpaccio (2s) sinistro della coscia sinistra.

I muscoli della coscia sinistra si contraggono (3s), si tendono (3s), e poi - TONO ALTO - si - TONO NORMALE - distendono.

Adesso vado a sentire sempre con l’occhio sensoriale della mia mente (2s) la contrazione del polpaccio di sinistro (2s). Il polpaccio di sinistra si contrae (2s), si - TONO ALTO - tende (3s), e poi si (2s) - TONO NORMALE - distende.

Adesso vado a sentire (2s) la contrazione del piede sinistro (3s). Il piede si - TONO ALTO - contrae (2s), - TONO NORMA-LE - si tende (3s) e poi si (2s) distende.

Adesso mi soffermo (2s) attentamente (2s) con l’occhio sen-soriale della mente sulla distensione (2s), sul rilasciamento (2s), del corpo (2s).

Tutte le volte che rifarò questo primo esercizio (2s), sempre di più aumenterà lo stato di distensione (3s) e rilasciamento men-tale (2s) e corporeo (3s), aumenterà sempre di più lo stato (2s) di tensione (2s), di calma (2s) mentale e poi (2s) del corpo. Stop.

2. Secondo esercizio: distensione

Come per il primo esercizio occorre registrare il testo e poi ascoltarlo.

Il secondo esercizio è esclusivamente di tipo evocativo del

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