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Teologie di Bruno

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ISTITUTO NAZIONALE DI STUDI SUL RINASCIMENTO (I.N.S.R.) Palazzo Strozzi, Firenze (III° p.) Merc. 25/03/09, h. 16,15/17,45, Seminario della Prof. ssa Nicoletta Tirinnanzi (Università di Chieti) TEOLOGIE DI BRUNO

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ISTITUTO NAZIONALE DI STUDI SUL RINASCIMENTO (I.N.S.R.) Palazzo Strozzi, Firenze (III° p.)

Merc. 25/03/09, h. 16,15/17,45, Seminario della Prof. ssa Nicoletta Tirinnanzi (Università di Chieti)

TEOLOGIE DI BRUNO

Giordano Bruno procede inizialmente con una commistione di testi ficiniani, in seguito, invece, si distacca dal modello ficiniano: vengono aboliti i vari livelli di spiritualità ammessi da Marsilio Ficino per approdare ad un’unica sostanza, spirituale e materiale insieme. Ritroviamo, in Bruno, influssi di Origene (cfr. Origene, De principiis). A Bruno interessa il modello di Origene al fine di valorizzare tutti i livelli di spiritualità e di varietà, che era invece condannata come “sciocchezza” nella Teologia platonica di Ficino; ciò che Ficino condanna, per Bruno, è invece esplicazione della potenza divina. La libertà, in Bruno, è espressione della potenza umana, e non un segno della provvidenza divina (cfr. G. Bruno, De umbris, 1582). L’uomo, per Bruno, non appartiene alla verità assoluta, ma al campo della explicatio divina: una traccia della verità è per Bruno recuperabile nella mente umana. Nelle Omelie sulla Genesi di Origene è presente lo stesso concetto: la mente è il luogo in cui si rispecchia l’immagine di Dio. La mente corrisponde all’uomo interiore delle Lettere di S. Paolo. L’uomo, per Origene, non vede Dio non per colpa dell’uomo, ma per il fatto che Dio è assolutamente invisibile; tale concetto si ritrova anche in Agostino. La mente è quindi l’unico luogo in cui è possibile recuperare l’immagine di Dio, è la mente che è stata fatta ad immagine di Dio, non l’uomo corporeo. Così Origene stigmatizza l’ingenuo antropomorfismo di chi interpreta alla lettera le Scritture. In De la causa, principio et Uno (1584), Bruno riafferma tale concetto origeniano, in cui si ironizza sull’ingenuità di un interlocutore, Gervasio, che ordina un crocifisso immenso, capace di esprimere l’infinita grandezza di Dio. Per Bruno l’uomo vive sotto due ombre, quella delle tenebre, di coloro che imprigionano la propria mente, e quella della luce, di coloro che aspirano alla conoscenza. L’anima umana è direzionata quindi dalla volontà umana: sono gli stessi concetti presenti nel De principiis di Origene. L’anima governa il corpo, afferma Bruno in piena sintonia con Origene e con l’epistolario paolino. Bruno si richiama esplicitamente ai teologi per ciò che concerne l’ “uomo esteriore”, condannato come verità e contrapposto all’ ”uomo interiore”, cioè alla mente. L’uomo esteriore è soggetto ai principi di generazione e corruzione, l’uomo interiore, grazie alla mente, può avvicinarsi a Dio: la mente è lo specchio, sia pure imperfetto, dato lo scarto tra la natura umana e quella divina, dell’assoluta necessità di Dio. Le ombre, pertanto, per Bruno, non duplicano la “vanitas”, ma si avvicinano progressivamente a Dio, sia pure per una strada impervia. Da Platone a Origene, a S. Paolo, a Ficino, in parte a Cusano (De conjecturis), in parte a Bruno, troviamo testi analoghi, anche se con le dovute differenze, che evidenziano due poli, con le varie sfumature. A differenza di Platone, che nega le idee degli accidenti, delle realtà infime, la teologia di Bruno, schierandosi a fianco dei teologi, le ammette. Bruno, in proposito, si schiera decisamente a fianco dei teologi, contro l’interpretazione platonica di Ficino. (cfr. M. Ficino, Teologia platonica, cap. XXXIV, allegato in fotocopia),per il quale è impossibile giungere alla verità dalle realtà esterne, infime, che presentano livelli diversi. Bruno rifiuta anche la necessità, affermata dalla dialettica platonica del Filebo e del Parmenide, di ascendere alla verità attraverso una necessaria gerarchia di gradazioni. In questo caso Bruno si avvicina anche a Tommaso e nel De umbris tenta una conciliazione tra filosofia e teologia. Bruno presenta, nella molteplicità delle vicissitudini umane e della libertà di scelta, un principio di ordine etico, come si evince nella prima parte de De gli eroici furori (1585), in cui, citando esplicitamente Origene, mette in primo piano il binomio fra teologia e filosofia (cfr. V° “Dialogo”): si cerca un connubio tra le due, sottolineando il modo in cui un filosofo, come Plotino, abbia parlato come un teologo, ed un teologo quale Origene abbia parlato come un filosofo. E’ quindi possibile una “teologia filosofica” o una “filosofia teologica”. L’ “alleanza” tra filosofia e teologia si rompe nel Sigillus Sigillorum (Inghilterra, 1583), in cui Bruno definisce negativamente la teologia, sempre esposta ai pericoli del fanatismo e dell’illusione: la teologia è qui contrapposta alla filosofia. Alla base di queste riflessioni, Bruno è sicuramente influenzato dalle guerre di religione del suo tempo. Tale cambiamento è riscontrabile non solo nei contenuti, ma anche nello stile, come si evince dalla cupa atmosfera già presente nel Proemio al Sigillus Sigillorum. Bruno riprende qui la favola di Esopo “La rana ed il topo”: la rana offre al topo il suo aiuto per attraversare un corso d’acqua e suggerisce al topo di legarsi al suo dorso per maggior sicurezza, ma la rana, invidiosa del topo, si immerge, ed il topo annega. Il sorcio che tenta di nuotare è per Bruno l’immagine di coloro che, con il nuovo metodo memotecnico, di pichiana memoria, tentano di arrivare alla conoscenza. Bruno lancia un messaggio, al lettore: quello di una civiltà che ormai volge al tramonto, il Rinascimento; il tema apocalittico è quindi qui

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chiamato costantemente in causa da Bruno. Il tempo del singolo appare qui inevitabilmente intrecciato al tempo della civiltà: è così fortemente recuperata la dimensione sociale, più che individuale. Bruno lancia, su questa base, la necessità imminente di una riforma.