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 Introduzione Questo lavoro descrive un fenomeno che sembra racchiudere, a parere di chi scrive, l’insieme degli aspetti propri del corso di studi da me frequentato: quello de lle “scie nz e po liti che ”. Que st e ult ime so no car at te rizza te pro pr io da ll’ int er di sciplin ar ità , fonda me nta le per ca pir e feno me ni così am pi e co complessi, come quelli riguardanti lo studio dei fenomeni politici. Il tema che sarà trattato è quello riguardante la corruzione diffusa che investe parte delle istituzioni alla base degli ordinamenti di tutto il mondo e, in  partic olare, quella che si dete rmina nei lega mi, sempre più stretti e semp re più in vista, fra le istituzioni politiche e quelle economiche. In questo periodo la ques tione è ogge to di gran de attenzione , sopra ttutto in seguito alla recente crisi finanziaria e, poi economica, scoppiata dopo il fallimento della banca Lehman Brothers.  Negl i USA il te rmine pe r sintetiz zare qu esto fenomeno di cor ruzion e diffus a fra le varie sfere di potere è Crony Capitalism. Il Crony Capitalism è il termin e usato per definire e criticare il merc ato dei capitali emerso nella Russia di Eltsin dopo le privatizzazioni, dove intrecci tra manager e politica, incertezza delle regole, assenza di trasparenza e di tutela per azionisti e creditori hanno generato oligarchie e enormi arricchimenti, a scapito dello sviluppo e del mercato. Da allora il termine è stato usato per tutti i casi  perve rsi di intr ecci tra polit ica, banche e impr ese 1 .  Nel primo capit olo verrà dappr ima fornita una traduzione del termine ,  prova ndo anch e a definirlo meg lio, in ragione de l fatto che da poco in lette ratura ci si è occupati con precisione di questo tema. Il fenomeno verrà analizzato inoltre selezionando nello specifico i soggetti che prendono parte a questi “circoli” di corruzione che molto spesso vengono descritti come piaghe della società.  Nel seco ndo capito lo verrà messa in evidenza un’analisi econ omica del 1 D. Siniscalco (17/01/2006), La Stampa, p. 1. 1

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Introduzione

Questo lavoro descrive un fenomeno che sembra racchiudere, a parere di chi

scrive, l’insieme degli aspetti propri del corso di studi da me frequentato: quello

delle “scienze politiche”. Queste ultime sono caratterizzate proprio

dall’interdisciplinarità, fondamentale per capire fenomeni così ampi e così

complessi, come quelli riguardanti lo studio dei fenomeni politici.

Il tema che sarà trattato è quello riguardante la corruzione diffusa che

investe parte delle istituzioni alla base degli ordinamenti di tutto il mondo e, in

 particolare, quella che si determina nei legami, sempre più stretti e sempre più in

vista, fra le istituzioni politiche e quelle economiche.

In questo periodo la questione è oggeto di grande attenzione, soprattutto in

seguito alla recente crisi finanziaria e, poi economica, scoppiata dopo il fallimento

della banca Lehman Brothers.

 Negli USA il termine per sintetizzare questo fenomeno di corruzione diffusafra le varie sfere di potere è Crony Capitalism.

Il Crony Capitalism è il termine usato per definire e criticare il mercato dei

capitali emerso nella Russia di Eltsin dopo le privatizzazioni, dove intrecci tra

manager e politica, incertezza delle regole, assenza di trasparenza e di tutela per 

azionisti e creditori hanno generato oligarchie e enormi arricchimenti, a scapito

dello sviluppo e del mercato. Da allora il termine è stato usato per tutti i casi

 perversi di intrecci tra politica, banche e imprese1

. Nel primo capitolo verrà dapprima fornita una traduzione del termine,

 provando anche a definirlo meglio, in ragione del fatto che da poco in letteratura ci

si è occupati con precisione di questo tema. Il fenomeno verrà analizzato inoltre

selezionando nello specifico i soggetti che prendono parte a questi “circoli” di

corruzione che molto spesso vengono descritti come piaghe della società.

 Nel secondo capitolo verrà messa in evidenza un’analisi economica del

1 D. Siniscalco (17/01/2006), La Stampa, p. 1.

1

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fenomeno e verranno forniti alcuni dati sulla corruzione. Questa analisi mostrerà

come ormai, anche l’economia, si sia avvicinata alla ricerca di una spiegazione e di

 possibili soluzioni al problema della corruzione. In particolare verrà analizzato il

lavoro di Gary Becker e la sua analisi dei comportamenti criminali e delle possibili

scelte che lo Stato, nella condizione di repressore, potrebbe eventualmente adottare

 per contrastare tale fenomeno.

 Nel terzo capitolo verranno invece esposti due casi di Crony Capitalism, più

specificatamente, quello negli USA di Enron, e quello in Italia di Parmalat, due

autentici modelli di corruzione/compenetrazione fra sfere politiche e sfere

economiche. Verranno inoltre messe in rilievo le responsabilità e le differenze dei

soggetti istituzionali implicati nelle due vicende.

 Nel quarto capitolo verrà applicato il modello esposto da Gary Becker ai due

casi analizzati in precedenza, cercando di sottolineare le possibili soluzioni ma,

soprattutto, descrivendo come, a nove anni da tali scandali, i governi dei due paesi

in causa, si siano adeguati affinchè non vi sia un reiterarsi di tali, spiacevoli,

situazioni.

 Nell’ultima parte infine verranno esposte delle riflessioni conclusive.

Capitolo 1.

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Il Crony Capitalism: definizione e descrizione dei soggetti

partecipanti al fenomeno.

1. Cos’è il Crony Capitalism?

Il Crony Capitalism è l’espressione con accezione negativa che descrive

un’economia capitalistica in cui il successo negli affari dipende da stretti rapporti

tra ufficiali di governo e uomini d’affari. Può manifestarsi nel favoritismo della

distribuzione dei permessi legali, delle concessioni di governo, delle riduzioni delle

imposte speciali, ecc.

 Nonostante che in Italia si parli poco nello specifico di tale fenomeno,

questa espressione è stata tradotta con il termine “capitalismo degli amici” o

“capitalismo basato sulle amicizie strumentali”2. Una traduzione più appropriata

 potrebbe essere “capitalismo cronico”, in modo tale da porre l’accento sulle forme,

“perverse”, che il capitalismo può raggiungere nelle società, inducendo, sia i

 proprietari di grosse imprese, sia uomini di governo, a cercare di aumentare il

 proprio patrimonio creando situazioni illecite che, alla lunga finiscono per 

 provocare, come minor male, fallimenti di grosse imprese, ma molto spesso, anche

crolli finanziari a discapito di tanti piccoli risparmiatori.

 Nella maggior parte dei casi di frodi finanziarie che si sono susseguiti nel

corso degli ultimi anni, le classi dirigenti hanno fatto in modo, forse implicitamente,

di creare, alle suddette, un volto “poco sporco”, facendole apparire come atti illeciti

non gravissimi, o consentendo ai malfattori di ritornare alla guida di altre importanti

imprese o istituti di credito3. Questo forse perché, molto spesso, gli ideatori di

2 P. Ginsborg (2006) p. 40.3 In puglia, ad esempio, Vincenzo De Bustis ha diretto per anni la Banca del Salento(poi ribattezzata Banca 121). Tra il 1999 e il 2000 raccoglie quasi 3miliardi di eurovendendo i prodotti “ My Way” e “ For You”. Risultato: 90mila risparmiatori si

ritrovano in mano dei contratti dai quali è impossibile recedere senza rimettercitutto il capitale. Per questo, nel dicembre 2006, De Bustis verrà condannato a

3

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queste colossali truffe si trovano a ricoprire alte cariche aziendali o politiche,

quindi, posizioni sociali di rilievo, che difficilmente si possono accostare,

nell’immaginario collettivo, alla figura del delinquente.

Tante volte abbiamo assistito in Italia, nel cprso della Prima e della

“Seconda” Repubblica, al libero dispiegarsi di queste situazioni. Ad esempio uno

dei partiti italiani più rappresentativi dell’epoca contemporanea, che affondava le

sue radici addirittura a prima della creazione dell’attuale sistema partitico (il Partito

Socialista), ha pagato a caro prezzo il comportamento illecito degli allora leader ,

con la quasi totale perdita di consenso nei confronti degli italiani.

É il caso di “Mani Pulite”, la sconcertante inchiesta giudiziaria che ha

 portato alla scoperta di un imponente sistema, in cui senatori e deputati ricevevano

 bustarelle da speculatori in cambio dell’affidamento di redditizi appalti.

O ancora: il caso Parmalat, che ha coinvolto la famiglia Tanzi, le scalate

Unipol e BNL, o ancora, il caso americano della Enron. Si potrebbe citare molti

altri esempi, ma si finirebbe in un’analisi vuota che non coglie la portata profonda

di queste vicende.

 Nei successivi paragrafi verranno analizzati i siggetti che prendono parte in

questi “circoli della corruzione”, in modo tale da comprendere la realtà economica esociale del fenomeno trattato e di creare una base concettuale per l’analisi del

modello “Beckeriano” sull’economia criminale.

2. I partiti politici: dalla società ai gruppi di potere.

Come detto nel paragrafo precedente, inizierò ad analizzare la situazione dei

Teramo con decreto penale del gup Giovanno Cirillo a sei mesi per truffacontrattuale (poi convertiti in pena pecuniaria). La Consob gli infliggerà unasanzione di 144mila euro. Una sanzione rimasta solo sulla carta, a causa di unaclamorosa svista del Ministero del Tesoro, che attende più di novanta giorni previstitra la proposta della Consob e l’irrogazione del provvedimento. Inoltre De Bustis,nel 2003, in pieno scandalo finanziario per “ My Way” e “ For You”, lascia laMontepaschi di Siena, che aveva inglobato la Banca 121 e della quale era direttore

generale, e viene nominato numero uno di Deutsche Bank in Italia. G. Barbacetto,P. Gomez, M. Travaglio (2007) pp. 221-222.

4

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soggeti che prendono parte alla corruzione, cominciando, per l’appunto, con i partiti

 politici.

Comunemente, i partiti politici sono considerati come espressione delle

 preferenze e della volontà delle classi sociali nelle moderne democrazie.

Ma cos’è una democrazia? Essa è stata più volte teorizzata, ma certamente è

difficile accostare il suo aspetto reale a quello puramente teorico.

In teoria essa viene descritta facendo riferimento a otto punti:

1. libertà di costruire organizzazioni e di aderirvi;

2. libertà di espressione;

3. diritto al voto;

4. eleggibilità alle cariche pubbliche;

5. diritto dei capi politici di competere per il consenso;

6. fonti alternative di informazione;

7. elezioni libere e corrette;

8. istituzioni che rendano il governo dipendente dal voto e dalle altre

forme di preferenza politica4. 

Se ci soffermiamo anche solo su alcuni punti, notiamo che alcuni di

essi non sono rispettati a pieno nei paesi considerati democratici. Perciò

viene spontaneo chiedersi “La democrazia è qualcosa di reale o ideale?”. O

ancora “è un’utopia?”. A queste domande “esistenziali” ha dato una risposta

Robert A. Dahl, professore emerito di Scienze Politiche presso l’università

di Yale, che ci propone un modello “depotenziato”, ma incredibilmente

reale, di regime democratico, ovvero la Poliarchia.Come osserva Dahl “la Poliarchia è un regime relativamente (ma

incompletamente) democratizzato”5. 

Questa al contrario “dell’utopica” democrazia, ci permette di

comprendere in maniera empirica tutte le complessità sociali che avvengono

nei regimi democratici. Come sostiene Angelo Scivoletto (nell’introduzione

del libro del professor Dahl, tradotto in italiano) “la visione dello Stato

4

Robert A. Dahl [1986] (1973) p. 29.5 Ibidem p. 32.

5

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come organizzazione di gruppi e non di individui si va affermando anche in

società politiche diverse da quella nord americana. Nelle democrazie

europee, in particolare, alla rousseauiana “volontà generale” si va

sostituendo una visione che assimila sempre più “il bene comune” al

compromesso tra i leader dei vari gruppi politici e sociali, portatori di valori

e interessi presenti in quelle complesse organizzazioni che sono le società

industriali e post-industriali”6.

Secondo Charles E. Lindblom “il nucleo centrale della poliarchia è

costituito da un nuovo, specifico modello di comportamento richiesto da un

 particolare e complesso insieme di norme autoritarie. (…) Sono le norme

che limitano la lotta per l’autorità, specificando un processo ordinato e

 pacifico particolare che sostituisce il conflitto armato, la minaccia della

forza e altre rozze contese (…) l’aurotità massima viene nominata in

risposta di un’indicazione regolare dei desideri dei cittadini – vale a dire

attraverso le elezioni – (…) non c’è da sorprendersi se gli uomini che creano

le poliarchie preserveranno anche i sistemi di mercato (…), gli uomini non

ricercano altro che la libertà di impegnarsi nel commercio; quindi la libertà

di spostarsi, di tenere i propri beni e guadagni, di essere al sicuro daestorsioni arbitrarie”7.

In sostanza la poliarchia riflette la peculiarità delle contemporanee

democrazie occidentali, ovvero, quella di avere un sistema partitico

 profondamente influenzato dai poteri economici, in particolare, dalle grosse

imprese e dal mondo della finanza.

Ciò potrebbe derivare dal passaggio storico-politico, che si è avuto

con la progressiva scomparsa dei partiti di massa (in cui la società civileconcorreva nel finanziamento e nell’appoggio delle idee di partito),

all’emersione di nuovi partiti che, per continuare a sopravvivere, in

mancanza del suddetto appoggio, hanno bisogno di trovare nuovi

finanziatori.

Giulio Sapelli, in un suo libro, spiega che “Lindblom, ci fa notare nel

suo famoso libro, Politics and Markets, le contraddizioni che il rapporto tra

6

Ibidem p. 10.7 Charles E. Lindblom (1977) pp. 143-144-174.

6

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 politica e mercato porta con sé allorchè lo si intenda come un rapporto di

 potere e tra poteri”. “Il centro di queste contraddizioni risiede nel ruolo

svolto dall’impresa”. “Infatti in qualsiasi sistema poliarchico una vasta area

di decisioni è affidata agli imprenditori, piccoli o grandi che siano, che

operano essendo sottratti in misura più o meno grande al controllo

governativo, a differenza di quanto accadeva nell’era degli stati assoluti”.

“Una vasta sfera di decisioni, che hanno spesso pubblica rilevanza, vengono

in tal modo sottratte al controllo poliarchico, che si limita o a ratificare tali

decisioni o a emendarle attraverso la prassi della pubblica

regolamentazione”. “Questo perché tra controllo poliarchico e controllo

delle imprese c’è uno stretto rapporto che si configura come una

 predominanza deo controlli delle imprese rispetto a quelli della poliarchia”.

“I gruppi d’interesse, l’attività elettorale finanziata dagli imprenditori, sono

strumenti di influenza delle imprese sul governo, attraverso cui i controlli

 poliarchici vengono adattati ai controlli privilegiati degli imprenditori”8.

Riguardo ciò Lindblom afferma che “i fondi che passano nelle (…)

mani dei dirigenti delle imprese possono essere devoluti, senza grandi

sforzi, alle attività di partito, dai gruppi di interesse ed elettorali per  perseguire qualsiasi obiettivo i dirigenti stessi si propongono. La facilità con

cui i dirigenti possono usare dei beni delle società per sostenere questa

attività è una caratteristica della politica nelle poliarchie basate sul mercato,

che non trova nessun fondamento razionale nella teoria democratica”9.

In quest’ottica i partiti sono, almeno in parte, nelle mani dei

finanziatori (imprenditori, dirigenti di istituti di credito) e non al servizio

degli elettori.Scrive Ginsborg, illuminandoci in un suo recente libro “la politica

democratica è diventata sempre più dipendente dal grande o grandissimo

capitale. (…) Le competizioni elettorali moderne non si combattono a pari

livello e le spese elettorali in quasi tutte la democrazie sono aumentate

vertiginosamente senza alcun controllo. In presenza di enormi sovvenzioni

 private, il processo democratico è fortemente esposto a quello che viene

8

G. Sapelli (1994) p 46.9 Charles E. Lindblom (1977) p.205.

7

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chiamato crony capitalism un capitalismo basato sulle amicizie strumentali.

Si vincono le elezioni così da poter assegnare redditizi appalti o per 

collocare gli amici e, in molte democrazie, i familiari, in posizioni di potere

e di prestigio. Il sistema dei partiti incontra grande difficoltà a restare

immune da questi processi, né in molti paesi riesce a sviluppare anticorpi

sufficienti a resistere alla corruzione”10.

Tutto ciò viene confermato da Raffaella Coppier che sostiene che “il

legame tra politica e corruzione è tanto più forte quanto maggiori sono i

costi della politica, e in questo caso i politici possono cercare di ottenere

dagli imprenditori finanziamenti con cui sostenere le sempre più onerose

campagne elettorali, finanziamenti che devono essere ricambiati con

favoritismi da parte del politico rieletto”11.

2.1. L’impresa come gruppo d’interesse: il potere di influenzare

l’agenda politica.

A questo punto, dopo aver analizzato la questione sotto il profilo di

coloro che gestiscono le risorse pubbliche, vale a dire i partiti, la nostraattenzione non può non cadere sul ruolo svolto, nei sistemi di corruzione,

dalle aziende.

Per comprendere a pieno la funzione svolta, nel tema di tesi, dalle

aziende, mi sembra necessario inquadrare questi soggetti sotto il punto di

vista di poteri economici, che organizzano i loro interessi. Come molte

teorie e correnti sociologiche sostengono, la società, specialmente quella

industriale e post-industriale, organizza i suoi interessi configurandosi comeun insieme di gruppi che concorrono all’accaparramento di risorse, facendo

“pressione” sui decisori pubblici. È proprio per questa pressione che viene

esercitata sui leader  politici, che i gruppi d’interesse vengono anche

chiamati “gruppi di pressione” o, in inglese, lobby. 

Baumgartner e Leech hanno sostenuto che “i gruppi rappresentano

allo stesso tempo la libertà di unirsi ad altri per presentare domande ai

10

Ginsborg (2006) p. 40.11 R. Coppier (2005) p. 31.

8

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leader   politici e la minaccia che coloro che già possiedono risorse

importanti possano mobilitarsi più efficacemente di altri, rafforzando così le

disuguaglianze nel potere politico”12.

Il tema dei gruppi è anche terreno di conflitto tra due diverse visioni

dell’interesse generale. A questo proposito Fisichella sostiene che “vi è la

visione pluralista del bonum commune che assume che quest’ultimo possa

derivare dall’interazione dei gruppi, i quali perciò partecipano sia alla piena

realizzazione dell’individuo, sia alla formazione del bene comune; una

seconda visione giudica gli interessi dei gruppi e delle “associazioni

 particolari” come altrettanti ostacoli e pericoli per l’interesse generale”13.

L’intervento dei gruppi sul/i Partito/i, secondo M. Cotta, D. della

Porta e L. Morlino, può avvenire concretamente nei seguenti modi: “a

livello elettorale (ad esempio nel momento delle candidature, della

campagna vera e propria e dell’appoggio a certi candidati); a livello interno

del partito (ad esempio con la presenza di esponenti del gruppo negli organi

o nelle assemblee de partito); a livello delle dichiarazioni programmatiche

(magari attraverso informazioni e posizioni suggerite dai gruppi ai relativi

organi del partito); a livello decisionale, sia parlamentare, in aula e incommissione, che governativo (ad esempio con interventi diretti di

esponenti del gruppo su parlamentari e ministri)”14.

Questa situazione, che molto spesso viene a crearsi nei moderni

sistemi partitici, il più delle volte, porta alla creazione di clientele

strumentali. Questo fenomeno, è stato brillantemente descritto in passato da

Vilfredo Pareto, ingegnere, economista e sociologo degli inizi del XX

secolo: “abbiamo ora, sotto diversa forma, una nuova feudalità che, in parteriproduce la sostanza dell’antica. Ai tempi di questi, i signori adunavano i

vassalli per fare la guerra, e, se conseguivano vittoria, li ricompensavano

con il bottino. Oggi i politicanti, i capi dei sindacati, operano allo stesso

modo e adunano le loro truppe per le elezioni, (…) e conseguire per tal

modo utili che la parte vittoriosa si gode. (…) I privilegi di cui godevano i

12 Baumgartner e Leech (1998) p. 44.13

Fisichella (1994) p. 443.14 M. Cotta, D. della Porta, L. Morlino [2001] (2004) p. 156.

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quel tempo i nobili hanno riscontro nei privilegi finanziari, fiscali, e altri di

cui godono ora i deputati, e in piccola, ma non trascurabile parte, anche i

loro elettori”15. 

A fronte di questa breve introduzione sul tema dei gruppi

d’interesse, bisogna però capire perché, proprio le aziende, all’interno di

questo complesso sistema, sono fra i soggetti più frequentemente interessati

nel giro della corruzione.

2.2. Mercati come comunità chiuse e monopoli illegali.

Comunemente siamo portati, pensando alle teorie liberiste di Adam

Smith, a considerare il mercato come un sistema perfetto, capace di

autoregolarsi e in cui vige la concorrenza e non il monopolio. Questa

visione del mercato può essere condivisibile ma, come per la concezione

della “democrazia perfetta” descritta nel 2° paragrafo, non sempre

rispecchia la realtà.

Infatti, se le aziende ricorrono a mezzi illegali per accrescere il

 proprio capitale, ciò è perché, molto spesso, non riescono a farsi stradautilizzando gli ordinari canali d’ingresso nei mercati. Come ci fa notare

Sapelli “la protezione di comportamenti illegali gestita e regolata da

organizzazioni criminali, può essere paragonata alla creazione di un

monopolio. Esso consente di dar vita a un vero e proprio sistema fiscale di

 prelevamento metodico di regolari tributi, limitando protezionisticamente

l’accesso a nuovi potenziali imprenditori criminali. Le quote di tassazione

giungono ad essere standardizzate e costituiscono il pegno da pagare per l’ammissione al mercato regolato, che diviene in tal modo auto

amministrato e autogestito, ossia garantendo una “pace di mercato”

altrimenti impossibile da raggiungersi”16. 

E ancora “gli imprenditori, trovandosi ad agire nei

mercati in condizioni svantaggiate, richiedono l’uso della

forza per superare le barriere all’entrata e aumentare il

15

V. Pareto [1917] (1964) pp. 277-27816 M. Weber (1964) p. 623 citato da Sapelli (1994).

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proprio potere competitivo”17.

Come sostengono Della Porta e Vannucci “gli episodi di corruzione

coinvolgono almeno due attori: un attore pubblico che offre accesso

 privilegiato allo Stato e un agente privato che lo riceve, fornendo in cambio

risorse di cui dispone, in genere denaro”18.

A questo proposito mostrerò un esempio in cui si presuppone che un

attore B (individuato in un pubblico funzionario) controlla in forma

monopolistica la distribuzione di risorse che dovrebbero essere assegnate

attraverso “gare di mercato” che impegnano le imprese C, D ed E.

Queste ultime possono o decidere, tutte o in parte, di competere per 

evadere la “gara di mercato” attraverso l’offerta di premi a B, che così

distribuisce in forma monopolistica le risorse. Oppure C, D ed E possono

concordare l’erogazione di un premio per B, suddiviso tra tutti e tre, a fronte

di una consensuale ripartizione dell’utilizzo delle risorse che B controlla (e

ciò è più probabile che accada quando il rapporto con B si prevede sia non

occasionale ma continuativo e altrettanto lo sia l’erogazione delle risorse).

Come sottolineava Weber “i soggetti capitalisticamente interessati,

continuano ad essere interessati al progressivo ampliamento del mercatolibero finché alcuni di essi riescono, per via di acquisto di privilegi dal

 potere politico oppure semplicemente grazie alla forza del loro capitale, a

conquistare monopoli per il loro smercio o anche per l’acquisizione dei loro

mezzi di produzione materiali, chiudendo così a loro volta il mercato” 19. 

A volte, gli imprenditori, entrano quasi involontariamente a far parte

di questi “monopoli allargati”, non avendo altre alternative, ma soprattutto

non essendo tutelati dalle istituzioni di competenza che dovrebbero impedireil crearsi di queste situazioni di assenza di concorrenza. Ciò avviene proprio

 perché, “i controllori”, non espletano al meglio il loro dovere, oppure come

nel caso Enron, non lo fanno semplicemente perché facenti parte, anche

loro, del sistema corrotto.

17 G. Sapelli (1994) p. 32.18

D. Della Porta, A. Vannucci (1994).19 M. Weber (1964) p. 622.

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2.3. Il ruolo delle banche nel sistema della corruzione.

All’interno del quadro della corruzione, fin qui descritto, c’è bisogno

di aggiungere il ruolo svolto dal mondo della finanza e più in particolare,

dalle banche e dai grandi gruppi finanziari.

Infatti, le grosse Imprese che hanno compiuto colossali truffe

finanziarie nel corso degli anni, erano quotate in borsa. Il più delle volte la

loro situazione di bilancio era drammatica ma, nonostante tutto, hanno

continuato a tenere alto il valore del titolo in borsa, facendosi anche aiutare

dagli istituti di credito. I bilanci venivano sistematicamente truccati (come

nei casi Enron e Parmalat), ma chi avrebbe dovuto manifestare

 preoccupazione per la situazione della/e società, non si è più di tanto

allarmato. Come può uno specialista del settore non accorgersi che qualcosa

non va nei bilanci di una società, investendo capitale su di essa? Ma

soprattutto, come può un istituto tranquillizzare i risparmiatori, vendendo

loro azioni e sapendo già che queste in realtà non rispecchiano il valore

delle quotazioni? Semplice: mentendo.

Ecco che allora si unisce al quadro finora delineato, un altrosoggetto, che prende parte nel fenomeno fungendo da finanziatore sia per i

 partiti, sia per le imprese.

Questi gravi atti illeciti sono avvenuti in entrambi i casi che

verranno analizzati in seguito. Sia negli U.S.A., con Enron, che in Italia, con

Parmalat, troviamo casi in cui, le società di revisione dei bilanci e le banche,

garantivano sostanzialmente a queste due imprese, la presenza sul mercato

finanziario a danno dei risparmiatori.Riguardo al caso Enron, Paul Volcker, presidente, in passato, della

 Federal Reserve (la banca centrale degli Stati Uniti) , ha commentato “il

 predominio delle attività bancarie d’investimento ha corrotto la professione

legale e quella contabile: le loro retribuzioni erano salite a livello tale da

esercitare pressione sulle categorie professionali degli avvocati e dei revisori

dei conti”20.

20 Finacial Times (2002) p. 21.

12

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O ancora, l’ex direttore finanziario di Parmalat, Fausto Tonna,

raccontò ai magistrati che “il gruppo Parmalat otteneva spesso dalle banche

crediti non assistiti da garanzie reali o di firma. L’unica garanzia era

rappresentata dalla società che esibiva i relativi bilanci alle banche che

effettuavano le loro valutazioni. I bilanci da noi presentati alle banche, pur 

contenendo dati non veritieri, non erano sufficientemente idonei a ingannare

una persona esperta in quanto sarebbe bastato che quest’ultima confrontasse

il debito lordo con quello reale, ricavabile dai dati pubblici (tutte le

emissioni di bond sono rese pubbliche) o comunque accessibili alle banche

attraverso la Centrale Rischi, per rendersi conto delle differenze e quindi

delle falsità contenute nei bilanci medesimi (…). Nessuno ha mai

manifestato preoccupazioni. Le banche, al contrario, proponevano molto

spesso alla Parmalat le emissioni di bond sulle quali percepivano laute

commissioni, con conseguenti bonus a fine anno ai funzionari che

 partecipavano all’operazione”21.

Da notare che, tra il 2001 e il 2003, sono state vendute 130mila

obbligazioni della Parmalat, che alla fine sono risultate essere solo carta

straccia.A fronte di queste dichiarazioni, possiamo quindi concludere che è

necessario includere nelle responsabilità generali di questo tipo di vicende,

anche quella dei soggetti finanziari.

21 G. Barbacetto, P. Gomez, M. Travaglio (2007) p. 237.

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Capitolo 2.

La corruzione nell’analisi economica.

Dopo aver descritto i soggetti che prendono parte nel fenomeno denominato

Crony Capitalism, passiamo ora ad un’analisi economica dello stesso.

 Nel seguente capitolo verranno forniti alcuni dati sulla corruzione nel

mondo e verrà sottolineato che la letteratura di stampo economico, solo da pocotempo ha iniziato a studiare questo fenomeno, concentrandosi sulle possibili

soluzioni che potrebbero concorrere ad arginare il problema.

Gli economisti infatti hanno sviluppato negli anni una forte attenzione

rispetto al tema della corruzione, ritenandola sempre più un elemento di notevole

impatto sulle condizioni economiche di un paese.

In seguito verranno descritti alcuni approcci sullo studio della corruzione e

saranno elencate alcune importanti agenzie che forniscono datri sulla corruzione.

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Questi dati, a quanto afferma Raffaella Coppier “hanno permesso di

evidenziare che il fenomeno della corruzione non riguarda solo i paesi in via di

sviluppo e che anche i paesi sviluppati non ne sono immuni”22.

Infine verrà analizzata la teoria di Gary Becker della scelta di compiere un

atto criminale e la possibili misure che lo Stato Può adottare per aumentare la

deterrenza verso il fenomeno.

1. Alcuni dati sulla letteratura riguardante la corruzione.

La corruzione è uno dei fenomeni chiave a cui è associata la qualità delle

istituzioni e dai cui dipende la dinamica economica di crescita di un paese.

 Negli anni recenti l’analisi della rilevanza delle istituzioni come

determinante della crescita economica ha trovato un crescente spazio, sia a livelloteorico che. empirico e, con l’attenzione alla qualità delle istituzioni, la letteratura

attribuisce alla corruzione una importanza economica cruciale.

Il fenomeno cessa d’essere oggetto esclusivo degli studi sociologici ed entra

all’interno della moderna analisi economica.

Poiché può produrre o distorcere l’azione delle istituzioni, la corruzione è

stata sottoposta a un vaglio crescente da parte degli studiosi. Nell’agosto del 2000 è

stata fatta da Transparency International una raccolta di tutti gli articoli scientifici etutti i testi (riferiti al periodo 1990-1999) che avevano per oggetto la corruzione :

sono stati individuati 4.000 titoli di libri e giornali23.

Da questa classifica è emerso che il 74% del materiale era diretto all’analisi

dell’amministrazione pubblica, il 10% era di carattere storico, il 9% legato

all’ambito giuridico, il 2% ad analisi etnico-culturali, l’1% all’etica degli affari e

solo il 4% all’ambito economico (vedi la Figura 1).

22

R. Coppier (2005) p. 15.23 Ibidem

15

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Figura 1. Fonte: Transparency International, Global Corruption Report(2001) p. 229.

Quindi l’ambito economico nel decennio passato era un settore non ancora

molto indagato in quanto non veniva data una grande rilevanza alla corruzione

come fenomeno economico, mentre oggi la maggior parte degli studiosi economici

è consapevole che la corruzione, come rilevato dei dati, ha un notevole impatto

sulle condizioni economiche di un paese.

Come afferma Mauro, “un paese che riduce il suo livello di corruzione

 passando da un indice di corruzione 6 a 8 (0 è il più corrotto, 10 il meno corrotto)

sperimenterà un incremento di quattro punti percentuali del tasso di investimento e

di mezzo punto percentuale nel suo tasso di crescita economica”24.

Questa maggiore consapevolezza del ruolo della corruzione nell’influenzare

le condizioni economiche di un paese è attribuibile secondo Raffaella Coppier,

anche ad altri fattori “quali una crescita del fenomeno che ha raggiunto un picco

negli anni Novanta, un incremento dei paesi democratici, un maggior peso della

libera stampa nel determinare un clima favorevole alla diffusione dell’informazione

e un processo di globalizzazione economica che ne ha amplificato la risonanza e gli

effetti internazionali”25. 

Inoltre bisogna aggiungere che la maggiore attenzione rivolta alla

corruzione è da attribuire al fatto che oggi sono disponibili su di essa dati completi

che permettono un confronto sia temporale sia tra diversi paesi (vedi il Corruption

 Perception Index, CPI, fornito da Trasparency International). Tuttavia, il primo

24

P. Mauro (1998) pp. 263-279.25 R. Coppier (2005) p. 15.

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 problema che si deve affrontare quando ci si avvicina a questo tema nell’ambito

economico è la difficoltà di definire la corruzione. Il modo più comune di definire

la corruzione è quello di un “abuso del pubblico ufficio per un guadagno privato”26.

Come afferma R. Coppier, “poiché uno dei due agenti coinvolti nella transazione fa

capo allo Stato e ad esso risponde del proprio operato, nasce l’esigenza di studiare

suo ruolo come possibile fonte, diffusore e repressore della corruzione

nell’economia in un paese”27.

Gli economisti, da Stiglizt, Dixit e altri, hanno sviluppato una teoria circa il

funzionamento del mercato e circa il ruolo che lo Stato deve svolgere in questi

mercati.

Da questa analisi che poneva in evidenza i fallimenti di mercato, ne è

scaturito un ruolo normativo assegnato al governo, ruolo di correzione di tali

fallimenti quali esternalità28, beni pubblici29, asimmetrie informative30, mancanza

dei diritti di proprietà ecc.

Il governo, nello svolgere il suo ruolo di correzione dei fallimenti di

mercato, controlla l’assegnazione di benefici (sussidi ad esempio) e l’imposizione

di costi onerosi (tassazione e imposte). La gestione di questi benefici e costi è

generalmente sotto il controllo di un pubblico ufficiale dotato spesso di un poteremonopolistico e discrezionale. Individui e imprese private che vogliano godere di

un trattamento pubblico privilegiato possono essere disposti a pagare per ottenerlo.

Si commettono perciò, atti di corruzione essenzialmente per due motivi: per 

26 A. Shleifer, R. Vishni (1993) pp. 599-617.27 R. Coppier (2005) p. 17.28 Per “esternalità” si intende quando le azioni di un individuo producono un“costo” o un “guadagno” ad un altro individuo. Ad esempio: se la mia fabbricainquina un corso d’acqua, io impongo un costo a tutti coloro che desideranoutilizzare lo stesso corso d’acqua a valle. R. Artoni [1999] (2007) p. 396.29 “Un bene pubblico” è caratterizzato da due proprietà: la “non rivalità”, (…)ovvero che il consumo del bene pubblico da parte di un individuo non riduce la

 possibilità di consumo dello stesso bene da parte di altri individui; (…) la “nonescludibilità”, (…) che si verifica quando è impossibile (o estremamente costoso)impedire a un individuo di godere della presenza del bene pubblico una volta cheesso sia stato prodotto. Ibidem p. 407.30 Le “asimmetrie informative” si verificano quando gli agenti che operano sulmercato non hanno le stesse informazioni sul bene scambiato; esistono due tipi diasimmetria informativa: “selezione avversa” (o negativa) e “azzardo (rischio)

morale”. Ibidem p. 412.

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ottenere un beneficio e/o per evitare un costo31.

2. Due approcci per la definizione economica della corruzione.

Il fenomeno della corruzione può essere studiato sia a livello di sistema, nel

quale essa si sviluppa, sia a livello individuale.

Il primo è l’approccio  funzionalista e il secondo è l’approccio di  Political 

 Economy (Rose-Ackerman, 1978). Il primo approccio sviluppatosi negli anni

Cinquanta e Sessanta, all’interno delle scienze sociali, rifiuta la corruzione come

fenomeno patologico, come ostacolo allo sviluppo economico, ma ritiene che la

corruzione abbia radici strutturali e debba essere spiegata nello sviluppo storico ed

economico di un paese: la corruzione non deve essere vista come un problema

morale, ma come una “funzionalità” del sistema sociale e politico. La corruzione

 piuttosto che da una specifica cultura politica, emerge qui come fenomeno naturale

in determinate fasi dello sviluppo economico e politico di un paese. In quest’ottica

la corruzione è “disfunzione funzionale”: infatti secondo i funzionalisti, la

corruzione ha le sue radici strutturali nello sviluppo sociale, economico e politico e

scompare quando lo sviluppo è stato raggiunto. La corruzione può avere un effetto positivo, in certe fasi del ciclo economico, permettendo agli imprenditori di

superare gli ostacoli burocratici, stimolando gli investimenti e l’attività

imprenditoriale.

Questo approccio che ha dominato durante gli anni Cinquanta e Sessanta, ha

successivamente subito notevoli critiche soprattutto per il ruolo non

necessariamente negativo attribuito alla corruzione, e inoltre, per l’idea che questa

 potesse scomparire spontaneamente con l’evolversi delle fasi di sviluppoeconomico e politico di un paese32.

Diversamente da questo approccio, quello economico della  Political 

 Economy, è basato sull’individualismo metodologico. Questo, infatti, vede la

corruzione come il risultato di un calcolo razionale che soppesa costi e benefici.

Secondo l’approccio economico singoli episodi di corruzione sono prodotti

dall’incontro di due individui che, sulla base di un calcolo di convenienza, decidono

31

R. Coppier (2005) p. .32 Ibidem p. 26.

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se ricevere o pagare una tangente (vedremo in seguito in modello sviluppato in

questo senso da Gary Backer per descrivere la “scelta di compiere un crimine”). Da

un lato il pubblico amministratore cercherà di massimizzare il proprio reddito e

dall’altro le controparti private pagheranno una tangete, se questa è più che

compensata dai benefici attesi33.

Dai lavori di Rose-Ackerman (1975, 1978) emerge una delle principali

definizioni di corruzione che analizza la transazione corrotta nell’ambito di uno

schema di  Principal Agent  (principale-agente). Perché si possa parlare di

corruzione, il corrotto deve essere l’agente di un altro individuo o di

un’organizzazione poiché l’obbiettivo della tangente è di indurlo ad anteporre i suoi

interessi personali rispetto a quelli del principale per cui lavora.

Per essere idoneo ad una transazione corrotta, chi si lascia corrompere deve

trovarsi necessariamente in una posizione di potere, creata da imperfezioni di

mercato o in una posizione istituzionale che garantisce un’autorità discrezionale.

Quindi, afferma l’autrice, per poter parlare di corruzione è necessario che vi

sia una relazione tra un soggetto delegato a prendere decisioni (agente) e il titolare

degli interessi (principale), in rappresentanza del quale egli opera.

É inoltre necessario l’intervento di una terza parte che influenzi a propriovantaggio la decisioni discrezionali dell’agente, offrendo risorse in suo possesso per 

favorire, tramite uno scambio illegale, il perseguimento degli interessi privati

dell’agente stesso, potenzialmente a discapito di quelli del principale.

Tre attori sono coinvolti nella transazione corrotta: un principale (lo Stato),

che delega il raggiungimento di alcuni obiettivi a un agente in cambio di un salario,

un agente che può non applicare le direttive del principale, e un terzo che, dietro il

 pagamento di una tangente, chiede a questi alcuni favori34

. Nella pagina seguente la Figura 2 presenta lo schema che sintetizza la teoria

di Rose-Ackerman.

33 Anche se l’approccio di Political Economy rappresenta un passo in avanti rispettoa quello funzionalista, esso stesso presenta alcuni limiti. Come notato da DellaPorta (1996), nonostante questo approccio sia molto “elegante” nella suaformulazione, questi modelli analitici presentano difficoltà nel trattare la diversitàdelle motivazioni individuali; infatti nonostante che venga inserita la variabile deicosti morali, la  Political Economy continua a considerarla come una costante e

quindi poco rilevante ai fini di un’analisi più specifica. p. 350.34 R. Coppier (2005) p. 25-26

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Figura 2. Il modello Principal-Agent di Rose-Ackerman.Fonte: R. Coppier (2005) p. 27.

3. I dati sulla corruzione: alcune importanti agenzie.

Un ulteriore problema strettamente legato alla difficoltà di definire la

corruzione è quello di misurarla. Essendo la corruzione illegale per sua natura, è

difficile da misurare in quanto si svolge sempre in maniera clandestina e in

segretezza. Cercare dunque di dare una misura quantitativa della corruzione

comporta prima di tutto individuare cosa debba essere incluso nella misurazione e

 poi cercare di quantificare ciò che si ha in mente.

Malgrado le notevoli difficoltà ci sono stati numerosi tentativi, soprattutto

negli ultimi anni, di misurare la corruzione.

Di seguito vengono riportate alcune delle fonti più frequentemente utilizzate

dai ricercatori nelle verifiche empiriche.La Business International Corporation (BI) pubblica un indice del livello di

corruzione per vari paesi. Questo indice è ottenuto dai dati raccolti attraverso una

rete di corrispondenti e di analisti sparsi nel mondo e sono stati pubblicati solo negli

anni 1981-83. Questo indice cataloga i paesi da 1 a 10 in accordo con il grado con

cui transazioni d’affari implicano corruzione o pagamenti discutibili.

Il  Political Risk Service Inc. pubblica, a partire dal 1982, un resoconto

annuale  International Country Risk Guide (ICRG) che include un indice di

20

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corruzione. Questo indice è basato sull’opinione di esperti e cerca di catturare la

facilità con cui alti funzionari pubblici chiedono pagamenti “extra” e con cui

 pagamenti illegali sono richiesti da funzionari di basso livello nella forma di

tangenti legate a licenze per importare ed esportare, controlli cambi, accertamento

fiscale, politiche protezionistiche o prestiti.

Transparency International  (TI) è un’organizzazione non governativa

finalizzata a combattere la corruzione nel mondo e misura la percezione della

corruzione nei differenti paesi. Elabora dal 1995 un indice che oggi è una media

 ponderata di 18 indagini. Il TI fornisce ogni anno il CPI (Corruption Perceptions

Index, l’indice di percezione della corruzione). Il CPI misura il livello di percezione

della corruzione nel settore pubblico in 180 paesi e territori nel mondo. Il CPI è,

come descritto nell’home page del sito ufficiale, un “survey of surveys” (studi

 basati su indagini) basato su 13 differenti indagini di esperti35.

Come si può notare dalla Figura n.3 i paesi che sono vicini allo 0 (quelli più

scuri nella mappa) sono i più corrotti, mentre quelli vicini al 10 (quelli meno scuri

nella mappa) lo sono poco. L’Italia quest’anno è al sessantatreesimo posto, dietro la

Turchia e Cuba.

Transparency International chiarisce comunque che questa graduatoria nondeve essere interpretata sostenendo che il paese con l’indice più basso sia il più

corrotto del mondo. Questi indici risultano da una valutazione soggettiva fatta da

uomini d’affari, tecnici e altri; essi non includono tutte le forme di corruzione e

coprono solo 146 paesi.

Chiaramente l’affidabilità dell’indice è fortemente correlata al numero delle

indagini disponibili per ciascun paese: la valutazione di un dato sulla base di 18

indagini sarà più affidabile rispetto a quella di un paese valutato sulla base di unnumero minore di indagini.

In più, come afferma Raffaella Coppier “il grado reale di affidabilità delle

informazioni fornite dagli intervistati è sconosciuto: gli intervistati direttamente

implicati in atti di corruzione possono avere degli incentivi a sottovalutare la loro

 partecipazione mentre coloro che non ne sono partecipi direttamente possono avere

informazioni non accurate”36. Quanto detto fin’ora riguardo all’indice, può portare

35

Transparency International (2009).36 R. Coppier (2005) p. 28.

21

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ad una distorsione dello stesso, in favore dei paesi più sviluppati che probabilmente

avranno a disposizione un numero più ampio di indagini.

Quindi paradossalmente l’indice CPI è più affidabile per i paesi tipicamente

meno corrotti.

Figura 3. Fonte: Transparency International.

Il Global Competitiveness Report Index è basato su un’indagine effettuata

sui manager d’impresa a partire dal 1996. In questa analisi 2.381 imprese di 58

 paesi rispondono alla domanda sulla corruzione fornendo un numero da 1 a 7 in

accordo con l’estensione di pagamenti illegali aggiuntivi, legati a permessi si

importazione o esportazione, licenze d’affari, controllo cambi, accertamento fiscale,

 politiche protezionistiche o richieste di finanziamenti.

Infine l’ISTAT fornisce dal 1961, nell’ambito dell’annuario giudiziario e

statistico, un dato sui delitti denunciati dall’autorità e per i quali l’autorità

giudiziaria ha intrapreso un’azione penale. I delitti in oggetto sono delitti legati alla

corruzione e in particolare riguardo le fattispecie considerate dagli articoli 314, 322

e 324 del Codice Penale.

22

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4. Il modello sulla “scelta di compiere un crimine” di Gary Becker.

Uno dei modelli più noti sull’analisi del comportamento criminale è stato

elaborato dall’economista premio Nobel per l’economia 1992, Gary Becker.

Il premio gli è stato assegnato come scritto sul sito ufficiale “per aver esteso

il dominio dell’analisi microeconomica a un ampio raggio di comportamenti e

interazioni umane, incluso il comportamento non legato al mercato”37.

Becker, attualmente docente all’università di Chicago nelle materie di

economia e sociologia, nel corso dei suoi studi, inizia una ricerca sui

comportamenti umani utilizzando strumenti propri dell’economia. Nella sua

carriera accademica, infatti, scopre la passione per la microeconomia incontrando il

 professor Milton Friedman ma, in seguito si avvicina agli studi sociologici ed anche,

fra gli altri temi, all’analisi del comportamento criminale.

Egli sostiene che alla base della decisione di commettere un crimine ci sia in

sostanza un elemento di calcolo, perciò l’atto criminale viene visto come risultato di

una decisione individuale basata su un’analisi costi-benefici, in cui il “prezzo” del

crimine gioca un ruolo rilevante.

Prima di analizzare il lavoro di Becker occorre introdurre due argomenti chestanno alla base dello stesso, ovvero, le teorie “della scelta del consumatore“ e

“l’avversione al rischio da parte dell’individuo”.

4.1. Nozioni microeconomiche di base per lo studio del modello

Beckeriano: “La scelta del consumatore”.

La teoria del comportamento del consumatore ipotizza che quest’ultimocompri dei beni per raggiungere un preciso obbiettivo: aumentare il suo benessere,

ovvero la sua soddisfazione, vale a dire, l’utilità.

Per semplicità, in questo modello il consumatore viene posto di fronte a due

o più panieri, composti da due tipi di beni, e ne sceglie uno. Il paniere scelto lo pone

su un “gradino” più alto nella scala delle proprie preferenze rispetto all’altro

 paniere; se è indifferente tra i due, se li ritiene ugualmente desiderabili, allora li

37 Nobel Prize.org (1992).

23

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 pone sullo stesso gradino. Nell’ordinare le preferenze nasce però, dal punto di vista

 pratico, l’esigenza di rappresentare in qualche modo, i diversi gradini di preferenze.

A tale scopo vengono utilizzate le “curve di indifferenza” (si veda la Figura 4).

Figura 4. "Le curve di indifferenza".

Fonte: Erasmo Papagni.

Come si evince dall’esempio nella figura 4, le “curve di indifferenza”

 possono essere dunque definite come il “luogo” delle combinazioni delle quantità

dei beni Vestiario e Cibo che il consumatore ritiene indifferenti. Le curve

(raffigurate come iperboli) U 1, U 2 e U 3, rappresentano i gradini di preferenze dei

vari panieri che il consumatore ha di fronte a sé.

A questo punto, sappiamo che il consumatore (se è razionale) sceglie un

 punto che massimizza la sua utilità nel punto di tangenza fra una delle curve di

indifferenza e la propria linea di bilancio (detta anche “vincolo di bilancio”)38.38 Il vincolo di bilancio corrisponde al reddito (R) del consumatore. Quest’ultimo,

24

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Ma qual è questo punto? Ci può aiutare la seguente Figura 5.

Figura 5. "La scelta del consumatore".Fonte: Erasmo Papagni.

É chiaro che, a parità di reddito, e di prezzi, i vari consumatori faranno

scelte diverse. Questo perché ogni consumatore ha proprie preferenze, diverse, in

genere, da quelle di tutti gli altri. Tuttavia, dato l’ordinamento delle preferenze,

esiste un criterio generale che ci consente di identificare la scelta. Esse avrà sempre

la caratteristica di rendere massima l’utilità del consumatore, cioè di trovarsi sulla

curva di indifferenza più alta tra quelle raggiungibili.

Il punto di tangenza (A) identifica il paniere scelto dal consumatore; esso

contiene le quantità (40 di cibo e 20 di vestiti) dei due beni che sono appunto le

quantità che il consumatore decide di acquistare col suo reddito. Qualsiasi altro

nell’impostare la sua scelta (in termini di acquisto), di beni (siano V e Crispettivamente, vestiti e cibo) sul mercato, deve distribuire la sua spesa in modotale da rispettare il seguente vincolo: R = Qv Pv + Qc Pc (dove Qv e Qc sono

rispettivamente, la quantità di vestiti e la quantità di cibo e, Pv e Pc il prezzo deivestiti e il prezzo del cibo). G. Rodano, E. Saltari [1989] (2006) p. 69.

25

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 punto della retta di bilancio (come B) darebbe al consumatore un’utilità minore,

 perché si trova su una curva di indifferenza più bassa.

Esistono ovviamente punti che darebbero al consumatore un’utilità

(soddisfazione) maggiore (come D) ma non sono raggiungibili, perché sono al di

sopra della retta di bilancio39. 

4.2. “L’avversione al rischio”.

A questo punto, dopo aver mostrato come l’individuo sceglie nel mercato,

 per migliorare la propria soddisfazione, passeremo a descrivere l’assunto di

Hirschleifer e Riley, ovvero, l’avversione dell’individuo nei confronti del rischio.

Si afferma che un “individuo è avverso al rischio allorché, dovendo

scegliere fra un reddito certo e una prospettiva (o una lotteria) che garantisca a

 parità di valore atteso, o un reddito superiore o un reddito inferiore, sceglierà il

reddito certo”40 (vedi la Figura 6 nella pagina seguente).

 

39

Ibidem pp. 80-81.40 R. Artoni [1999] (2007) p. 225.

26

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Figura 6. "L'avversione al rischio".

Fonte: Erasmo Papagni.

27

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 Nei grafici, supponiamo che un individuo guadagni 15.000 euro da un

lavoro certo, e ne ricavi da esso un’utilità pari a 13. Potrebbe però passare a

un’attività che rende 30.000 euro con probabilità del 50%, ed avere un’utilità pari a

10. L’individuo quindi, secondo questo assunto, preferirà non rischiare e mantenere

il lavoro certo.

Come vedremo, in base ai fatti accaduti nella realtà, e nella teoria di Becker,

non sempre ciò è vero, anzi molto spesso avviene proprio il contrario.

A questo punto ci si può chiedere: perché accade ciò?

Verrà data una risposta al quesito utilizzando il modello messo a punto da

Gary Becker che ha il pregio di riuscire a spiegare, in termini di calcolo alcune

dinamiche dell’agire umano con estrema semplicità, suggerendo fra l’altro delle

soluzioni che, per quanto possano risultare scontate, sono alla base di una

 prospettiva volta verso l’abbattimento radicale del fenomeno della corruzione.

4.3. “La scelta di compiere un crimine” di Gary Becker.

In Crime and punishment: An economic approach41 Gary Becker, riesce ad

elaborare una teoria economica sulla scelta criminale e, conseguentemente, della possibile scelta che lo Stato può compiere per rinforzare la legislazione e le pene

contro vari tipi di crimini.

Per quanto riguarda la “scelta di compiere un crimine”, si utilizzerà un

esempio molto semplice tratto dall’articolo di Becker.

Supponiamo che un individuo goda di un reddito legale certo pari a W e da

cui ricava un’utilità U(W). Se compie un reato può ottenere in più G e godere di

un’utilità pari a U(W + G), se non viene preso dalla polizia.Se viene scoperto, sarà punito con una multa L e la sua utilità si riddurrà a

U(W – L). Come si potrà immaginare, il crimine è un’attività incerta.

Se si definisce P, la probabilità di essere arrestati e, 1 – P, la probabilità di

farla franca, l’utilità attesa da un reato sarà:

EU = P * U(W – L) + (1 – P) * U(W + G).

41 G. Becker (1968).

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Quindi, come possiamo notare, l’individuo sarà più propenso a compiere un

crimine se:

EU > U(W).

Se l’utilità attesa del reato è maggiore dell’utilità senza il reato, l’individuo

sceglierà di commettere un reato42.

Figura 7. "La scelta di compiere un crimine".Fonte: Erasmo Papagni.

Come si evince dalla Figura 7, la scelta criminale dipende: innanzitutto dalladiversa attitudine al rischio di ciascun individuo; poi dall’utilità attesa dal crimine.

In particolare, questa utilità cresce se: si riduce la pena (L); si riduce la

 probabilità di essere arrestati (P)43; se cresce il ricavo del reato (G).

5. Il punto di vista dello Stato: come scegliere la severità della pena e la

spesa nella investigazione.

42

Ibidem p. 184.43 Se poniamo P = 0 si avrà: EU = U(W + G).

29

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Come sosteneva Becker, combattere la criminalità aumentando la

 probabilità di cattura (P) e la pena (L) presenta dei costi per la collettività quindi

occorre bilanciare benefici e costi della lotta al crimine44.

Lo Stato sceglie i valori di P e L minimizzando la perdita di benessere

sociale derivante dai reati che è data dalla somma di tre elementi:

1. danno netto sociale dei reati (D)45;

2. costi di cattura e di condanna (C);

3. costo sociale delle punizioni (S)46;

Si definisce R il numero dei reati commessi come funzione di P e di L, e Z

la perdita del benessere sociale, avremo:

Z = D + C + S.

Allora:

Z(P, L) = D(R) + C(P, R) + S(P, R, L).

La scelta di P e L rende minima la perdita di benessere sociale.

Bisogna aggiungere che, nella scelta ottimale, l’effetto repressivo della

 probabilità di cattura è maggiore di quello della severità della pena ma è anche

quello più costoso, poiché come si vede rientra nei “costi di cattura e di condanna”

e nel “costo sociale delle punizioni”.Per concludere secondo il modello di Becker, sia la scelta criminale

dell’individuo, sia le misure repressive dello Stato per impedire che vengano

commessi crimini, dipendono entrambi da due variabili: “la probabilità di essere

arrestati” e la “severità della pena”.

44 G. Becker (1968) p. 174.45 Per danno netto sociale dei reati si intende il danno causato alle vittime meno il

guadagno.46 Ad esempio le spese carcerarie. E. Papagni (2005)

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In seguito, dopo aver analizzato i casi Enron e Parmalat si cercherà di

verificare sulla base dei fatti, se gli stati in cui sono avvenute le truffe, abbiano

 preso in considerazione un incremento delle due variabili P e L per contrastare i

fenomeni di corruzione47.

Capitolo 3.

Il caso Enron.

47 In particolare: “la probabilità di essere arrestati” (P), consisterebbe nell’aumentodelle spese di investigazione (e quindi tutti i mezzi necessari per tenere sottocontrollo eventuali soggetti sensibili al fenomeno che ricoprono grossi incarichi e

quindi grosse responsabilità nell’interesse di milioni di risparmiatori); “la pena da pagare” (L) (quindi le sanzioni).

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 Nel presente capitolo verranno analizzate le vicende che si svilupparono

 pochi anni fa negli USA, con l’impresa energetica Enron, e in Italia, con il crack 

Parmalat, due delle imprese più quotate nei rispettivi paesi, che hanno causato gravi

dissesti finanziari.

Gli scenari che andremo a osservare hanno quasi dell’incredibile, e forseancora oggi ci si chiede come è stato possibile che professionisti apparentemente

qualificati, abbiamo potuto “architettare” a tavolino queste truffe colossali.

Pe ognuno dei casi verranno descritte le responsabilità dei singoli soggetti

istituzionali provando a far uscire fuori i “guasti” che si creano nei sistemi di

 governance delle grosse imprese, ma soprattutto degli stessi governi degli stati.

Successivamente verranno analizzate le differenze fra le vicende “Enron” e

“Parmalat”, terminando con l’applicazione alle stesse delle possibili scelte che loStato può utilizzare in riferimento al modello di Becker. Non solo, verranno anche

analizzati sinteticamente, gli eventuali provvedimenti che i governi dei due Stati in

questione hanno provveduto a decretare successivamente per la risoluzione del

 problema della corruzione.

Infine, verranno esposte alcune possibili soluzioni per arginare il Crony

Capitalism in tutte le sue sfaccettature e forme, senza la presunzione di trovare una

soluzione definitiva, ma provando piuttosto a fornire delle riflessioni che possano

concorrere ad aumentare maggiormente l’attenzione sul fenomeno.

1. I fatti.

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La Enron nasce nel 1985 a seguito della fusione tra la piccola Houston

 Natural Gas (fondata da Kenneth Lay, lo “storico” presidente della Enron) ed una

delle maggiori società mondiali di costruzione e gestione di gasdotti, la Internoth of 

 Nebraska.

L’attività svolta principalmente dall’impresa è, almeno in fase iniziale,

quella di estrazione, raffinazione e trasporto/distribuzione di petrolio e gas naturale.

In questi anni la Enron rileva a Houston la prima e unica società privata creata dal

giovane George W. Bush, la fallita “Arbusto”. Da questo momento in poi, si creerà

uno stretto rapporto fra Lay e Bush che nel 2001 si trasformerà in un enorme

conflitto d’interessi.

Si deve infatti ricordare che, d’ora in poi Lay, e quindi Enron, finanzierà le

campagne elettorali di George W. Bush e costituirà perciò la cosiddetta “ Houston

connection”48.

L’anno successivo alla fusione delle due società, Kenneth Lay, CEO (Chief 

 Executive Officer 49) del Huston Natural Gas, scalzava Samuel Segnar, CEO della

Internorth, assumendo la guida del nuovo gruppo, mentre a capo della presidenza

Enron vi era Richard Kinder. Nello stesso anno di nascita della Enron, con

l’emanazione dell’Order  436, la  Federal Energy Regulatory Commission (Ferc,commissione federale per la regolamentazione dell’energia), dava una forte spinta

al processo di deregolamentazione dei mercati energetici: la revisione delle regole

intensificava la concorrenza fra imprese, indebolendo la posizione delle società di

trasporto, e fra queste la Enron.

I produttori di gas naturale avrebbero potuto contrattare direttamente con gli

utilizzatori di gas naturale, senza quindi dover più stabilire contratti di fornitura con

le società di trasporto. Queste ultime, di contro, avrebbero potuto cedere la propriacapacità distributiva a tutti gli operatori che ne avessero fatto richiesta, a tariffe

stabilite e sulla base del  first-come first-served  (chi prima arriva, prima alloggia),

fino alla saturazione dei gasdotti.

A questo punto, la Enron, decide di reinventare il proprio business

48 “I dipendenti ricevettero una circolare che li invitava a contribuire alle casse delcandidato Bush, 500 euro per gli impiegati, 5.000 per i manager ”. V. Zucconi

(2002).49 L’equivalente, in Italia, dell’amministratore delegato.

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approfittando della deregolamentazione. Pian piano, sia Lay, che i vertici più alti

della Enron, iniziarono a far pressione sui politici negli U.S.A., cercando di

liberalizzare il più possibile il mercato energetico nel Nord America50.

In tre anni (1985-1988), la società decide di avviare un processo di

spostamento/diversificazione del proprio business: dalla tradizionale attività di

 produzione e distribuzione di energia, all’ ”immateriale” commercio su contratti di

approvvigionamento di elettricità, gas naturale ed acqua, proiettandosi dunque,

verso il mercato globale.

Tuttavia, i primi anni di vita della Enron non furono agevoli. Un audace

speculatore di borsa di nome Irwin Jacobs, aveva acquisito una quota del capitale

della Internorth prima della fusione, ed avanzava ora una minaccia di scalata ostile.

Per salvare la società, e anche la propria personale posizione di potere, Kenneth Lay

non esitò ad attingere al fondo pensione dei dipendenti per un ammontare di circa

230 milioni di dollari; non essendo tale somma sufficiente, ricorse anche a un forte

indebitamento.

Il 1990 è l’anno della svolta: Jeffrey Skilling dopo aver lasciato la

McKinsey & Co., viene assunto alla Enron a capo di una nuova divisione, la “Enron

Capital and Trade”, che si occuperà di commercio e operazioni finanziarie. Aquesto punto, Skilling propose una nuova idea: la creazione di una “banca del gas”

e di un nuovo modo di commerciare l’energia. Con l’ideazione di Gas Bank, la

società si poneva sul mercato come intermediario fra produttori e utilizzatori,

offrendo contratti futuri e servizi finanziari di copertura, contro il rischio che

emergeva dalla volatilità dei prezzi e dalla incertezza nelle forniture, due fenomeni

molto critici nel mercato del gas naturale51.

Come scrive Nicola Borzi, nel libro sulla storia di Enron, “il progetto“banca del gas” rappresentò una vera e propria rivoluzione per la Enron: la società

di Houston imboccava però la strada senza ritorno che l’avrebbe trasformata

radicalmente da impresa che gestiva metanodotti in un gigantesco intermediario, un

vero e proprio broker ”52  che, oltre a commerciare commodities (materie prime di

largo consumo come elettricità, gas e acqua), offriva anche vari servizi di logistica

50 N. Borzi (2002) p. 30.51

G. Farrel (2006).52 N. Borzi (2002) p. 33.

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delle risorse energetiche in tutto il mondo. “Dall’economia reale si passava

all’economia di carta”53. Infatti con la successiva creazione di “Enron Online”54 

(1999), si poté addirittura acquistare risorse o concludere contratti per forniture

energetiche in tempo reale tramite internet”. “Questo comportò di riflesso, anche un

altro tipo di evoluzione, una sorta di “selezione naturale”: insieme alla struttura

industriale, sarebbero stati accantonati i protagonisti di quell’attività”. “L’era degli

uomini della InterNorth stava per concludersi: i vecchi dirigenti sarebbero stati

rapidamente soppiantati da nuovi voraci predatori”55  ( tra cui Skilling e Fastow).

Mentre al situazione si evolveva, Skilling venne nominato prima CFO (Chief 

 Financial Officer 56 ), e poi, CEO. Nel momento in cui la “banca del gas” prese il via,

subito si presentò il problema legato al finanziamento e alla gestione del rischio che

il progetto poneva. La soluzione, fu offerta dalla finanza. Scrive Borzi “a trovare la

mossa adeguata per rompere lo stallo in cui versava il piano Gas Bank fu Anrew

Fastow, braccio destro di Skilling. (…) Il giovane manager creò uno schema

innovativo. Il reperimento dei finanziamenti, per pagare pronta cassa l’acquisto

delle riserve di metallo alle società estrattrici, fu realizzato attraverso una rete di

“entità societarie” esterne al bilancio della Enron”57. 

Queste società erano le Special Purpose Entities (Spe, entità destinate ascopi speciali), chiamate anche col nome di “veicoli per scopi speciali” o Special 

 Purpose Vehicles (Spv)58. 

“Queste società a orologeria presentavano caratteristiche che le rendevano

estremamente attraenti agli occhi di Fastow e degli uomini della Enron. Proprio

53 Ibidem.54 Società operante nell’e-commerce (commercio elettronico).55 N. Borzi (2002) p. 33.56 Figura equiparabile, in Italia, al direttore finanziario.57 N. Borzi (2002) p. 42.58 Attraverso le Spe-Spv imprese di maggiori dimensioni possono associarsi inmaniera non stabile per portare a termine un affare predeterminato: una volta chequesto sia stato concluso, le Spe-Spv possono essere sciolte senza ulterioricomplicazioni. Il paragone con i mezzi di trasporto rende bene le caratteristiche diqueste società che vengono usate come dei taxi: quando due imprese vogliono fareaffari insieme senza essere notate gli basta “salire” su uno di questi veicoli; unavolta a bordo, possono abbassare le tendine di questa sorta di auto pubblica eorganizzare i propri scambi a riparo da occhi indiscreti; arrivati a destinazione dopo

aver saldato i reciproci conti possono lasciarsi con una semplice stretta di mano.Ibidem p. 43.

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 perché gli amministratori delle Spe-Spv potessero sciogliere a una data prefissata

senza dover sottostare a procedure burocratiche, i legislatori avevano previsto che

non fosse tenuto a inserirle nel bilancio consolidato della sua impresa chi, pur 

 possedendo fino al 97% del loro capitale, potesse dimostrare comunque di non

esercitare il controllo manageriale su di esse. Era la quadratura del cerchio: la

società di Houston avrebbe potuto condurre affari attraverso queste “entità

finanziarie” senza riportarle nei propri conti purché avesse trovato un socio disposto

a entrare in una Spe-Spv, della quale avrebbe avuto il controllo investendoci appena

il 3% del capitale”59.

Fu proprio costruendo questo castello di carte che la Enron si dirigeva verso

il tracollo. In pratica, i debiti della Enron venivano riversati nelle Spe e quindi non

apparivano nei bilanci presentati alla società di revisione. Inoltre, come spiega

Sapelli: “Enron contabilizzava non solo la quantità delle commodity, ma altresì, i

servizi resi, generalmente non valutabili con le stesse regole indiscutibili in uso per 

gli scambi di quantità fisiche”. “La loro sopravvalutazione gonfiava i profitti e

induceva alla redazione di bilanci lontani da ogni fedeltà contabile”60. “Il

meccanismo però sembrava funzionare a perfezione: nel 2001 i dirigenti avevano

intascato bonus a profusione per decine di milioni di dollari e tutto sembrava andare per il meglio”61.

“In verità come emerge dalle inchieste giudiziarie e giornalistiche, i revisori,

in questo caso l’Arthur Andersen, avevano iniziato a manifestare preoccupazioni al

consiglio d’amministrazione, riguardo ad alcune SPE. Il consiglio di

amministrazione avvertì la minaccia che incombeva, ma non diede luogo a

un’inchiesta autonoma dei revisori, come sarebbe stato dovere degli amministratori

indipendenti, ma lasciò al menagement  l’onere e la discrezionalità di svolgere icontrolli interni senza esercitare quel potere di sanzione, che probabilmente avrebbe

 potuto salvare la società e impedire l’espandersi della corruzione”62.

Ma il ciclo economico mondiale entrava in una fase di stagnazione e il

 prezzo dei titoli delle società quotate in Borsa iniziava il suo lento ma inesorabile

59 Ibidem.60 G. Sapelli (2004) p. 12.61

Ibidem p. 13.62 Ibidem.

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distacco da quelle valutazioni “isteriche” e senz’altro anomale che avevano

caratterizzati gli anni precedenti. Se le azioni di Enron e delle SPE fossero cadute

sempre più il rischio di dover svelare l’arcano diveniva ineludibile. E l’arcano era il

fatto che le SPE erano state create allo scopo di costituire un velo che evitasse

l’iscrizione a bilancio di perdite sempre più preoccupanti (superarono i cinquecento

miliardi di dollari). Ma via via il rischio dell’assunzione di future perdite sui corsi

dei titoli tecnologici e sui derivati diveniva sempre più insostenibile.

Anche il complesso d’investitori istituzionali (J.P. Morgan Chase e

Citigroup in primo luogo, mentre la Mc Arthur Foundation e il fondo pensioni degli

insegnanti dell’Arkansas esercitavano naturalmente un ruolo minore) fu interessato

da questo turbine di operazioni al confine dell’illecito e della creazione degli

incentivi all’illecito: gli investitori non solo partecipavano alla capitalizzazioni delle

SPE, ma continuavano a occultare le difficoltà in cui versava di fatto Enron dietro il

velo del non consolidamento di bilancio. Con la caduta continua del prezzo delle

azioni la situazione si fece drammatica.

L’amministratore delegato Skilling, diede le dimissioni, pur pronunciando

 parole rassicuranti dinanzi alle platee degli investitori e degli azionisti minori. Tra i

dipendenti cominciò a diffondersi il panico, mentre le voci secondo cui numerosidirigenti procedevano alle dimissioni – previa vendita d’ingenti quote di pacchetti

azionari – iniziarono a farsi sempre più insistenti. E, come emerse in seguito alle

inchieste promosse dal Congresso e dal dipartimento della Giustizia, non si trattava

di voci prive di fondamento.

In questo contesto, lo storico presidente-fondatore di Enron, Kenneth Lay,

assunse ad interim la carica di amministratore delegato e iniziò un percorso di

apparente trasparenza fondato sull’appello diretto ai dipendenti e ai dirigenti che può essere riassunto nella seguente battuta: “Qualcosa non va? Rivolgetevi

direttamente a me”. Un appello senz’altro efficace, ma che tuttavia scavalcava gli

organismi di controllo e sprofondava nel caos il delicato meccanismo di

 bilanciamento dei poteri che sempre dovrebbero esserne alla base. La conseguenza

fu una valanga di lettere anonime. Tra queste spicca la dettagliatissima missiva

scritta da Sherron S. Watkins.

Otto anni prima Sherron aveva protestato contro la gestione “creativa” delle

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SPE ed era stata per questo indotta alle dimissioni. Nel giugno 2001 era stata però

richiamata a ricoprire la carica di capo contabile di Enron, nel momento in cui la

compagnia avvertì la necessità di rimettere mano alla contabilità aziendale in modo

meno avventuroso. Ma ormai era troppo tardi. La protesta di Sherron indusse

Kenneth Lay a rivolgersi, su suggerimento dell’ufficio legale della società, a uno

studio di avvocati per procedere a un’analisi tanto della situazione della SPE quanto

dell’operato dei revisori63. 

Dagli avvocati vennero parole rassicuranti: non c’erano problemi rilevanti e

tutto andava per il meglio. Del resto la compagnia aveva nella grande società di

revisione, negli investitori istituzionali che sostenevano le SPE, nello stesso studio

legale che ora lanciava messaggi così tranquillizzanti, un interlocutore e un partner 

di fedeltà indiscussa, oltreché di prima grandezza: dunque perché dubitare?

Presto però, dubitare divenne necessario soprattutto quando le strategie di

Andrew W. Fastow, il direttore finanziario che dal 1997 aveva dato vita alla

 precaria ma rifulgente costruzione delle SPE, iniziarono a sfarinarsi come un

castello di sabbia (nell’ottobre 2002 Fastow è stato arrestato dalla Corte di Giustizia

 per i reati di falso in bilancio e appropriazione indebita). Nell’ottobre 2001 il titolo

ebbe un tracollo fortissimo e ciò segnò l’inizio della fine. Anche il fondo pensionidei dipendenti era in pericolo. Si iniziarono le operazioni per vendere le azioni, ma

il destino volle che proprio in quel periodo fossero in corso le operazioni

assembleari necessarie per consentire il passaggio da un gruppo di amministratori

del fondo a un altro e questo impose il congelamento dei conti dei dipendenti. Era

alla fine; il titolo precipitò ai suoi livelli più bassi: quindici dollari (all’inizio dello

stesso mese ne valeva trenta).

 Nel frattempo il Wall Street Journal  aveva evidenziato il fatto che ben35milioni delle perdite Enron erano imputabili alle Spe e questo dopo che gli

amministratori erano stati costretti, il 15 ottobre 2001, ad annunciare che, per la

 prima volta dopo quattro anni di folgoranti successi (“Fortune” ripetutamente

indicava in Enron la compagnia di maggior successo nel mondo!), il bilancio si

sarebbe chiuso con delle perdite.

Il tentativo di mascherare in extremis i danni attraverso una fusione con la

63 Ibidem p. 16.

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Dynegy non diede i risultati sperati. Nulla si occultò e tutto, invece, esplose: nei

giorni in cui si siglava l’accordo di massima per la fusione (che non avvenne) Enron

 bruciò due miliardi di dollari di liquidità. Era la fine: il titolo crollava a 6,99 dollari.

Il 1° dicembre 2001 il consiglio di amministrazione dichiarava il fallimento della

società, con una deliberazione che rimarrà nella storia della  governance e della

bribery (corruzione) internazionale64.

2. Le responsabilità dei partiti politici nel caso Enron.

Dopo aver ricostruito in breve, le vicende della bancarotta di Enron, si

 passerà ad analizzare le responsabilità, ormai provate, dei soggetti istituzionali, vale

a dire principalmente dei partiti e della classe politica in generale.

Senza il loro apporto l’imponente liberalizzazione dei mercati energetici,

che in modo non indifferente ha contribuito all’espansione della Enron, non avrebbe

 potuto avere luogo. Dai fatti risulta che la classe dirigente statunitense, da una parte,

e la FERC dall’altra, hanno approvato atti, sotto le pressanti dichiarazioni di

Kenneth Lay e Skilling, che negli anni hanno agevolato enormemente la crescita del

gruppo.Come ci racconta Borzi “sulla deregulation dei mercati dell’energia negli

Stati Uniti, sulle sue cause e i suoi effetti, sono stai versati fiumi d’inchiostro.

Vogliamo riportare solo qualche esempio riguardanti le pressioni dei lobbisti e dei

dirigenti texani sul parlamento e sul governo di Washington per abbattere le

 barriere che separavano la Enron dal lucroso mercato al dettaglio dell’elettricità,

quello che riguarda le forniture a tutti i piccoli clienti, dalle famiglie agli esercizi

commerciali”65

.Il 10 febbraio 1997 Kenneth Lay faceva diramare dall’ufficio stampa della

Enron un comunicato con il quale salutava come opera meritoria la presentazione

alla Camera e al Senato di disegni di legge gemelli per “modernizzare” il settore

elettrico degli Stati Uniti: “I commenti positivi dei leader  di entrambi i partiti

dimostrano il consenso crescente alla ristrutturazione del sistema obsoleto delle

regole nazionali sul mercato elettrico”. “La legislazione in discussione consentirà

64

Ibidem pp. 14-18.65 N. Borzi (2002) p. 72.

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agli stati di entrare velocemente in una nuova era di concorrenza e di possibilità di

scelta per i consumatori”66.

Il 6 Marzo seguente era la volta di Jeffrey Skilling: il manager tenne una

relazione a un convegno realizzato dal comitato per l’energia e le risorse naturali

del Senato degli USA. Il suo messaggio ai politici di Washington era semplice:

occorreva fissare una scadenza precisa entro la quale liberalizzare completamente il

mercato dell’elettricità al dettaglio, consentendo ai consumatori statunitensi di

risparmiare sulla bolletta 200 milioni di dollari al giorno, pari a un taglio dei costi

del 30-40% sulla spesa elettrica complessiva, che negli Stati Uniti all’epoca si

aggirava sui 200 miliardi di dollari l’anno.

Per ottenere questo grande risultato i parlamentari avrebbero dovuto

appoggiare i progetti di legge in materia, già presentati in entrambi i rami del

Congresso. Nella seconda metà degli anni novanta, così, il settore dell’elettricità

statunitense diventava un vero e proprio cantiere legislativo a ciclo aperto.

Si susseguivano con un ritmo incalzante norme che accelerarono la

liberalizzazione del mercato. La legge fondamentale, quel  Pubblic Utility Holding 

Company Act (legge sulle società di pubblici servizi, Puhca) che risaliva al 1935 fu

completamente emendata nelle parti che potevano frenare la competizione. Sirivisito dalle fondamenta anche un altro testo fondamentale, il  Pubblic Utility

 Regulatory Policies Act  (legge sulle politiche regolatorie dei pubblici servizi,

Purpa) del 1978.

 Nel 1992 veniva introdotto l’Energy Policy Act (Epact), la riforma del

mercato dell’energia che aprì alla concorrenza il mercato all’ingrosso. Nel 1996

l’ordine 888 della FERC, diede ai privati libero accesso alla rete di trasmissione

dell’elettricità; sempre nel 1996, il 24 aprile, un nuovo ordine della FERCintrodusse nuove tariffe sulle riserve di capacità di energia destinate alla

trasmissione sulla rete ad accesso libero, con un modello innovativo delle regole

sulla trasmissione di elettricità su connessioni “liberate” che fu salutato con

entusiasmo dalla Enron.

 Nel 1999 la Commissione federale per la regolamentazione dell’energia

emanò l’ordine 2000, il cosiddetto “Ordine del Millennio”, che dava il via alla

66 Ibidem.

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riorganizzazione della rete elettrica statunitense introducendo le Organizzazioni per 

la trasmissione di energia su scala regionale, che negli Stati Uniti significava su

 base interstatale. L’ultimo diaframma per la piena competizione era stato abbattuto.

I desideri della Enron, portati al Congresso di Washington dai lobbisti e, quando

serviva, direttamente da Lay e Skilling, avevano trovato piena soddisfazione67.

Su politici e amministratori pubblici i manager di Houston spinsero a fondo

la loro influenza, grazie a crescenti e ininterrotte iniezioni di denaro, nelle forme

consentite dalla lacunosa legge statunitense sulle attività di lobbying .

Il risultato finale fu quello di “dare la scossa” ai legislatori statunitensi e di

sensibilizzare le autorità di controllo sulle necessità delle industrie del settore”68.

Infine, occorre sottolineare il fatto che, la maggior parte della squadra di

governo di George W. Bush era fra gli azionisti della Enron, ciò dimostra

 palesemente che si era in una situazione di enorme conflitto d’interessi.

A questo proposito Vittorio Zucconi scrisse per “La Repubblica” nel 2002: “

Dagli anni 80, quando proprio la Enron rilevò a Houston,

comprandola a prezzi d'affezione, la prima e unica società privata creata dal

giovane Bush, la fallita "Arbusto" (bush, in spagnolo), il cavo si è irrobustito, fino a

diventare un cordone ombelicale.Il presidente e fondatore, Kenneth Lay, intuì molto presto che puntare su

quel giovanotto scapestrato, ma di eccellente famiglia avrebbe dato frutti succosi e

la Enron divenne la sponsor, l'amica, la massima elemosiniera delle sue ambizioni

 politiche.

Lo aiutarono a diventare governatore del Texas e, appena eletto, George

Bush cambiò le leggi del suo Stato esattamente come la Enron chiedeva fossero

cambiate.Quando il figlio dell'ex presidente decise di puntare alla Casa Bianca, la

Enron fu di nuovo al suo fianco, contribuendo quasi 800 mila dollari, un milione di

euro, alla sua campagna e diventando, come scrive uno studio nonpartisan sulle

elezioni del 2000, "il patron numero uno del candidato repubblicano". I dipendenti

ricevettero una circolare che li "invitava" a contribuire alle casse del candidato

Bush, 500 euro per gli impiegati, 5.000 per i managers.

67

Ibidem p. 73.68 Ibidem.

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E soldi arrivarono anche all'attuale ministro della giustizia John Ashcroft,

che proprio ieri dovuto rendere noto di volersi tirare fuori dall'inchiesta disposta dal

suo presidente, perché in presenza di un conflitto di interessi.

Così, mentre la California conosceva black out elettrici perché non era più

in grado di pagare i prezzi da riscatto chiesti dalla Enron, il presidente rifiutava di

intervenire per calmierare il mercato e quindi danneggiare gli amici di Houston. E

la riconoscenza di Bush non si è fermata qui.

 Nel suo team di governo, gli "Enron Men" sono molti e in posizioni chiave.

Sono ex dipendenti Enron il rappresentate commerciale internazionale di Bush,

Robert Zoellick, il presidente del partito repubblicano Racicot, il sottosegretario alla

difesa responsabile per l'Esercito, White, mentre il principale collaboratore e

consigliere di Bush, Karl Rove, il Richelieu della Casa Bianca, possedeva 500 mila

euro in azioni della società.

Questi molti "occhi di riguardo" alla Casa Bianca hanno permesso alla

Enron di nascondere ai dipendenti, agli azionisti, alla Sec, le reali situazioni di

 bilancio”69.

3. Le responsabilità dei revisori e delle bache d’investimento.

 Nel caso Enron, anche la società incaricata a redigere i bilanci di revisione

contabile, la Arthur Andersen, è stata riconosciuta complice, e quindi colpevole,

della truffa organizzata dalla Enron. C’è da premettere che in un’economia di

mercato in cui le società attingono al risparmio di milioni di risparmiatori per 

finanziare il loro sviluppo, la veridicità dei bilanci gioca un ruolo essenziale. Ilruolo delle società di certificazione è precisamente quello di fornire il necessario

“timbro” di qualità che garantisca ai risparmiatori l’acquisto di quel particolare

 prodotto che consiste nelle azioni emesse da una società.

Oggi la certificazione è svolta da società private in regime di concorrenza.

Com’è stato notato da molti le norme sulle società di revisione erano (e sono ancora

in Europa) caratterizzate da un’intrinseca debolezza in quanto hanno operato finora

69 V. Zucconi (2002).

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in conflitto d’interesse, potendo offrire servizi di consulenza alle stesse società di

cui certificavano i bilanci: la tentazione di chiudere un occhio (o anche due) a fronte

d’irregolarità contabili era quindi insito nel disegno normativo delle società di

revisione70. 

Anche Sapelli ce lo fa notare sostenendo che “i controlli tipici della balance

of powers anglosassone non scattarono. I revisori, per esempio non insistettero nella

loro analisi e di fatto si adeguarono ai voleri del management (…) tutto proteso alla

valorizzazione del titolo della compagnia  sui mercati borsistici”71.

Tuttavia, anche le banche d’investimento furono complici del circolo

vizioso innescatosi con l’utilizzazione delle Spe.

Contribuirono alla capitalizzazione di queste ultime e fecero in modo di

occultare le condizioni di difficoltà in cui era la Enron.

Capitolo 4.

Il caso Parmalat.

1. I fatti.

Il caso Parmalat ha fatto esplodere anche in Italia la consapevolezza dei

 pericoli interni in una struttura di governo delle imprese non trasparente.

Si parla spesso del caso Parmalat in relazione al caso Enron; in realtà si

tratta di vicende ben diverse.

70

L. Guiso (2002) www.lavoce.info.71 G. Sapelli (2002) p. 14.

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 Non c’è dubbio infatti che il caso Parmalat, prima ancora di essere un

esempio di cattiva  governance, ovvero di inefficacia dei sistemi di governo delle

imprese adottati internazionalmente per difendere i cittadini risparmiatori e

azionisti, si configuri come un vero e proprio episodio criminale. Ci troviamo di

fronte, cioè, ad una serie di pratiche di occultamento di dati finanziari reali, che ha

visto decine di persone impegnate per moltissimi anni a falsificare i bilanci e a

truffare i risparmiatori.

Come afferma Sapelli: “Il punto è che ci troviamo di fronte a un gruppo di

imprese che già alla fine degli anni ottanta versava in una crisi industriale assai

grave”72. Infatti, i tre pm milanesi, Francesco Greco, Carlo Nocerino ed Eugenio

Fusco, che hanno indagato sul caso, scoprono durante gli interrogatori che Parmalat

era fallita da almeno quindici anni.

Agli inizi degli anni Sessanta a Collecchio nasce l’azienda “Dietalat”

ribattezzata in seguito, “Parmalat S.p.a.”. Tra il 1973 e il 1983 l’azienda vede

aumentare il proprio fatturato da 10milioni di euro a oltre 249milioni. Questo grazie

a una duplice intuizione del patron Callisto Tanzi, che ha iniziato a utilizzare

contenitori di cartone Tetrapak per la vendita del latte e a servirsi della tecnologia

UHT, un sistema di conservazione che lascia inalterate qualità proteiche e i saliminerali del prodotto73.

L’impresa era entrata in crisi una prima volta nel 1986, in seguito al disastro

nucleare di Chernobyl che aveva fatto crollare le vendite di latte. Allora Parmalat

era un’azienda relativamente piccola.

In quel periodo, in più, stava finanziando il network  televisivo Odeon Tv

(società presto fallita), voluto fortemente da Ciriaco De Mita (DC) per contrastare la

crescita delle reti Fininvest di Silvio Berlusconi, che invece era legato, comefinanziatore, a Bettino Craxi (PSI).

In questo contesto, s’innesca lo stretto legame tra Tanzi e De Mita, ovvero,

il legame tra il partito di riferimento del secondo e l’azienda del primo. Infatti, De

Mita fa da tramite tra Tanzi e il Monte Paschi di Siena, che concede prima a

Parmalat un prestito-ponte di 120 miliardi, poi la fa approdare in Borsa chiedendo

una mano al finanziere Giuseppe Gennari. Il gruppo di Collecchio (dove era nata

72

G. Sapelli (2004) p. 79.73 www.borsaitaliana.it.

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l’azienda) non aveva tre anni consecutivi di bilanci certificati che gli potevano

 permettere di quotarsi.

Ma il problema viene aggirato facendo acquistare la maggioranza di

Parmalat Spa dalla Finanziaria Centro Nord (FNC) di Gennari, che è già in borsa, e

contemporaneamente cedendo le quote della FNC alla Coloniale, la finanziaria della

famiglia Tanzi.

L’operazione viene perfezionata nel secondo semestre del 1990, quando la

FNC annuncia un aumento di capitale in Borsa e cambia il nome in Parmalat

Finanziaria.

I debiti di Parmalat, quindi, vengono ripianati dagli investitori che

acquistano le azioni sul mercato in un collocamento curato dalla Banca Akros del

finanziere Gianmario Roveraro (sequestrato e ucciso nel luglio 2006).

 Nel 1993 c’è un secondo aumento di capitale, che permette alla Parmalat

Finanziaria di rilevare le quote di Parmalat Spa ancora in mano a Tanzi e quelle

detenute dalla Banca Akros di Roveraro. Ma i soldi raccolti in Borsa non bastano al

gruppo per riprendersi74.

 Nel 1996 è necessaria una seconda ricapitalizzazione sempre con l’aiutodelle banche.

La situazione, anche se il gruppo appare in piena espansione e continua ad

acquistare imprese, è disperata. Da allora i falsi in bilancio diventano sistematici.

Essendo quotata in Borsa, Parmalat doveva presentare le cosiddette “quattro

trimestrali”, vale a dire gli atti fondamentali di comunicazione finanziaria per il

mondo degli investitori e per il mercato.

Ebbene, ogni tre mesi, tutte le volte che si doveva rispondere a questiappuntamenti, si procedeva a verificare le criticità passive e a correggerle con dei

falsi contabili che avevano come strumento fondamentale la società Bonlat.

L’operazione consisteva nell’ascrivere tali passività al bilancio di Bonlat

imputandole come costo che, nella costruzione di transazioni infragruppo (ossia tra

Bonlat e Parmalat holding), era ricoperto con un’operazione attiva che consentiva di

scrivere a libro, fittiziamente, dei ricavi.

74 G. Barbacetto, P. Gomez, M. Travaglio (2007) p. 235.

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La società compensava le perdite tramite falsificazioni vere e proprie che

venivano scientemente perseguite di volta in volta con sconcertante regolarità. Si

falsificavano le fatture e si fingevano i ricavi75.

Bonlat era una società off-shore76 , ossia costruita in modo da poter 

consentire falsificazioni contabili. Aveva sede alle Isole Cayman, nel Mar delle

Antille, dove, alle società che lì hanno la loro sede legale è consentito non redigere

 bilanci ma, semplici prospetti.

Già nel 1998, a quanto pare, Parmalat aveva costituito due società off-shore:

la Curcastle e la Zirpa. Nel 1999 si decise di agire con più determinazione: ed ecco

la costituzione di Bonlat.

Le operazioni di falsificazione dovevano anche sostenere il titolo in borsa ed

eludere le analisi di bilancio promosse dagli investitori, così da poter accedere ai

finanziamenti tramite bond 77 . Questi capitali consentivano di acquisire denaro senza

emettere azioni che avrebbero compromesso il controllo sulla società della famiglia

Tanzi (detentrice del 51%).

Il caso Bonlat ha pure un altro interessante risvolto. Come afferma Sapelli

“l’alterazione dei bilanci diveniva un problema che coinvolgeva l’intero gruppo

d’imprese e, credo, che non poteva non essere condiviso da un’estesa corte didirigenti”. “Le falsificazioni erano pertanto falsificazioni di gruppo, perché solo in

questo modo era possibile impedire che da un controllo incrociato emergessero

delle incongruenze e si svelasse il nodo della falsificazione”78.

Attraverso la falsificazione contabile di Bonlat si occultavano delle perdite e

ciò implicava che la falsificazione dell’intera contabilità, anche quella del rapporto

75 G. Sapelli (2004) p. 81.76 Le società off-shore sono imprese fittizie create in centri finanziari con un livellodi imposte molto basso, che di solito si trovano su isole (dette “paradisi fiscali”).Queste società sono spesso usate per nasconderne il beneficiario o il proprietario.77 Il bond  (o obbligazione) è un titolo di credito. È un prestito concessodall’investitore all’emittente del bond : uno Stato, un Governo, un’OrganizzazioneInternazionale o una società privata. Quando emette un bond l’emittente si impegnaa: restituire il capitale scritto sul titolo alla scadenza del prestito; effettuare una seriedi pagamenti periodici (cedole) calcolate in base a un tasso s’interesse prestabilito.La differenza fondamentale tra un bond  e un’azione consiste nel fatto chel’investimento azionario ha dei rendimenti incerti; al contrario, quando un emittenteemette un’obbligazione si impegna formalmente a ripagarne il capitale a scadenza e

gli interessi periodici. www.fineco.it.78 G. Sapelli (2004) p. 82.

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con le banche italiane ed estere, soprattutto di una di quest’ultime (Bank of 

America), avrebbe avuto un ruolo decisivo nell’intera vicenda. Il tutto veniva

artificialmente prodotto sui computer aziendali, che divennero in tal modo i

contenitori delle prove delle falsificazioni e che per questo furono distrutti non

appena prese avvio l’inchiesta giudiziaria.

Di tali falsificazioni finora non si sono ritrovate tracce contabili, tanto è

stata precisa l’opera di distruzione del materiale informatico. E si trattava di

operazioni delle più elementari. Tutto costruito utilizzando carte intestate fasulle e

moduli fittizi.

É evidente che una simile opera di falsificazione doveva poter contare su

una rete di protezione che andava ben oltre il perimetro amministrativo

dell’azienda. I massimi dirigenti non potevano essere i soli artefici di un

meccanismo tanto complesso.

Tuttavia, come spiega Sapelli “le posizioni finanziarie iscritte nei bilanci

della Bonlat divennero insostenibili, perché inesigibili a fronte dell’esposizione in

bond  che dovevano essere rimborsati e per il cui rimborso non si disponeva di

capitali, pur avendo iscritto a bilancio ingenti somme di liquidità”79.

A questo punto venne creato il “Fondo Epicurum” che, come spiegato inseguito dagli interrogatori, non consentiva di rendere liquidi i capitali ivi collocati e

quindi costituiva un ostacolo al rimborso dei bond .

“Innescato ormai il circolo non virtuoso, divenne necessario creare

artificialmente sempre nuovo denaro, oppure distrarlo dalle finalità giuridicamente

stabilite dalle regole contabili e dalle leggi. Si ricorse in tal modo al deposito

fiduciario regolato dal diritto nordamericano. Attraverso la Parmalat Finance

Corporation, si ponevano su conti fiduciari statunitensi, diversi milioni di euro chevenivano consolidati nel bilancio di gruppo”80. Come si vedrà in seguito, però,

questi soldi in realtà non esistevano, poiché legati a un complesso sistema di

finanziamenti fittizi attuati fra aziende di proprietà della famiglia Tanzi (società

Coloniale, Sata SRL, Bonlat).

Le operazioni di falsificazione e di distrazione finanziaria continuarono fino

a che il meccanismo si inceppò: a causa di un esposto presentato nel dicembre 2003

79

Ibidem pp. 83-84.80 Ibidem p. 84.

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da un’associazione di consumatori in occasione di un mancato rimborso di un bond

di 150milioni di euro. La Consob81 avviò un’inchiesta sulla Parmalat.

“Dalla relazione trimestrale del 2002 risultava che il gruppo disponeva di

una liquidità assai consistente, a fronte della quale l’impossibilità di rimborsare i

 bond appariva inspiegabile. Anzi, era la stessa emissione di nuovi bond, di fronte a

tanta liquidità, ad apparire ingiustificabile. Dall’inchiesta cominciò a trapelare la

verità: la grande massa di liquidità del gruppo era concentrata presso la Bonlat e,

via via, tutte le altre pedine della complessa macchina finanziaria criminale vennero

alla luce: il Fondo Epicurum, le liquidità fittiziamente depositate sui conti di Bank 

of America e via dicendo”82. 

Come ci raccontano gli autori del libro-inchiesta “Mani Sporche” “la sera

del 17 dicembre 2003 un funzionario di medio livello della Bank of America di

 New York infila 4 fogli nel fax per rispondere a una richiesta di notizie appena

giunta da Maurizio Bianchi, partner milanese della Grant Thornton, la società di

revisione della Parmalat. Questa, su sollecitazione della Consob, vuole conoscere

l’esatto ammontare dei fondi depositati da Parmalat a New York”83.

Ma la banca statunitense risponde che la Bank of America NY non ha alcun

rapporto con Bonlat e l’estratto conto del 6 marzo 2003 è falso e non proviene dailoro uffici.

“L’epitaffio sul colosso di Collecchio giace incustodito per tutta la notte

negli uffici della Grant Thornton, in Largo Augusto 7 a Milano. Poi al mattino

Bianchi lo spedisce alla Consob e alle procure di Milano e Parma. (…) In un attimo

tutto diventa chiaro. Quella che Parmalat sta patendo da mesi non è una semplice

crisi finanziaria: è una truffa, la più grande truffa degli ultimi cent’anni visto che

coinvolge oltre 130mila risparmiatori. Un sistema corrotto fino al midollo ha permesso a Tanzi e ai suoi uomini di falsificare documenti, bilanci, estratti conto,

senza mai alcun allarme.

81 L’attività della Consob ha come obbiettivi la tutela degli investitori e l’efficienza,la trasparenza e lo sviluppo del mercato mobiliare. Le sue funzioni si sono

 progressivamente sviluppate nel tempo in relazione sia all’esigenza di estenderel’ambito della tutela del risparmio che al progressivo evolversi del mercatofinanziario e della legislazione in materia. www.consob.it.82

G. Sapelli (2004) p. 87.83 G. Barbacetto, P. Gomez, M. Travaglio (2007) p. 233.

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Revisori dei conti, società di rating, banche, Consob, Bankitalia, magistrati,

 politici: nessuno è intervenuto per tempo”84.

 Nella pagina successiva si può osservare una tabella che descrive

 brevemente la vita di Parmalat e i debiti che aveva accumulato con le bache italiane

ed estere.

84 Ibidem p. 234.

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2. Le responsabilità nel caso Parmalat.

Qui di seguito, come fatto per il caso Enron si analizzeranno le varie

responsabilità dei soggetti istituzionali anche per il caso che ha riguardato la

multinazionale “Parmalat”.

Come afferma Sapelli “anche nel caso Parmalat è crollato un sistema di

 potere, ma l’impresa non è fallita e non è stata eliminata dal mercato come invece

dovrebbe accadere in un sistema politico-economico equo e non colluso.

A tale riguardo è sufficiente ricordare come i presidenti di importanti istituti

e fondazioni bancarie parmensi fossero legati da una rete di storiche relazioni al

gruppo Parmalat, e come la loro stessa promozione sociale potesse contare anche

sulle relazioni intrattenute dall’impresa con i partiti, attraverso una stupefacente

opera di equilibrio tra le forze politiche che negli anni ottanta dominavano la

 politica italiana. Un intreccio che sarebbe proseguito anche nel decennio

successivo, in una logica di apparentamento bipartisan.

Anche Parmalat quindi, proprio come Enron, deve la sua ascesa a precise

 protezioni politiche”85. 

Sulla scorta di ciò che è stato affermato da Sapelli, c’è effettivamente darilevare lo stretto rapporto che legava il patron dell’azienda, Callisto Tanzi,

all’onorevole De Mita, facente parte del partito che proprio negli anni Ottanta

dominava la scena politica: la Democrazia Cristiana (DC).

Tanzi infatti come detto precedentemente, era stato spinto proprio da De

Mita a buttarsi nell’affare “Odeon TV” e proprio con l’aiuto di De Mita era riuscito

 più volte a salvare l’azienda dalla crisi, con l’appoggio di banche anch’esse legate

al politico democristiano. Non solo, lo stesso salvataggio dell’azienda dopo il crack ,dimostra come ci sia un diffuso legame affettivo da parte della politica in generale,

rispetto alla stessa.

Passiamo ora ad analizzare cosa non è funzionato nei controlli interni

all’impresa ed esterni ad essa.

Per quanto riguarda i controlli interni, in Italia prima della recente riforma

del diritto societario, tutte le società quotate e non quotate in Borsa avevano

85 G. Sapelli (2004) pp. 88-89.

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l’obbligo di affiancare al consiglio di amministrazione il collegio sindacale nelle

vesti di controllore. Il collegio sindacale esercita un potere di controllo non solo sui

 bilanci e sulla loro formazione, ma anche sull’architettura organizzativa della

società o sul gruppo di società.

 Nulla di tutto questo, però, sembra sia avvenuto nel caso del gruppo

Parmalat. Dunque: il collegio sindacale non ha svolto il proprio ruolo.

Anche i mebri del consiglio di amministrazione non hanno agito al meglio.

Pare, infatti, che non si è proceduto alla separazione tra presidente e

amministratore delegato, per affidare al primo la responsabilità degli organi di

controllo. In altre parole, come spiega Sapelli “un rapporto di tipo familiare o di

sudditanza alla proprietà assoluto e indiscusso pare abbia spinto alcuni

amministratori e addirittura alcuni presidenti di società del gruppo, a firmare a

scatola chiusa atti societari di cui essi non avevano la benché minima idea del

contenuto”86.

Gli organi di controllo, in definitiva, quando esistevano non agivano.

Infine, anche il ruolo delle società di revisione è finito sotto inchiesta.

Alcuni dirigenti di una di queste società, che per lunghi anni ha proceduto al

controllo dei bilanci del gruppo, sono stati arrestati.Il caso “Parmalat”, però, ha chiamato in causa anche i sovra controlli esterni

alla società e al gruppo: innanzitutto la Consob (l’equivalente italiana della SEC),

che dovrebbe verificare tutte le comunicazioni date al mercato e operare affinché vi

siano meno asimmetrie informative possibili tra imprese, azionisti e risparmiatori.

Quale che sia, il giudizio sull’operato della Consob in questo frangente non può che

essere profondamente preoccupato. Il “macroregolatore” ha clamorosamente

manifestato tutta la sua debolezza nel caso Parmalat.Infatti, quando ha iniziato a indagare sulla multinazionale di Collecchio, era

già troppo tardi.

Infine, passiamo ora ad analizzare il ruolo svolto dalle banche nella vicenda

italiana.

Abbiamo visto come negli anni successivi al crack della Parmalat, siano

stati messi sotto accusa amministratori di importanti istituti di credito, nonché

86 Ibidem p. 90.

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l’allora governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio.

“La Banca d’Italia deve occuparsi della stabilità e quindi della tutela del

risparmio, pittosto che della difesa delle banche come organizzazione. La sua

azione e quindi rivolta agli istituti bancari e non alle imprese”87.

In una celebre audizione parlamentare del 27 gennaio 2004, il governatore

Fazio sostiene che, dalla legge bancaria del 1936 a oggi, nessun italiano ha mai

 perso una sola lira dei suoi depositi. Sempre, quando gli istituti di credito sono stati

travolti da fallimenti o sono stati sul punto di saltare, è intervenuta la Banca d’Italia

a imporre alleanze e salvataggi, tutelando il risparmio. In realtà ciò è vero solo in

 parte. Negli ultimi vent’anni le famiglie italiane hanno cambiato il modo di mettere

al riparo i loro soldi. Su consiglio delle banche, hanno cominciato a investire. E così

tra il 2001 e il 2003, 130mila obbligazionisti della Parmalat e 35mila della Cirio, si

ritrovavano in mano carta straccia88. 

In più, come afferma nell’interrogatorio Fausto Tonna, ex direttore

finanziario della Parmalat “nei prospetti informativi di tutti i bond emessi da

Parmalat vi è un divieto al pubblico. I bond dovevano invece essere collocati presso

investitori istituzionali e banche. Pertanto, se parte di questi bond sono finiti nelle

mani di investitori privati, la responsabilità è solo delle banche”89.C’è da aggiungere che, erano le stesse banche a proporre molto spesso alla

Parmalat l’emissione di bond sulle quali percepivano abbondanti commissioni, con

conseguenti bonus a fine anno ai funzionari che partecipavano all’operazione.

3. Le misure prese dopo Enron e Parmalat: confronto fra le leggi

italiane e statunitensi.

87 Ibidem p. 92.88

G. Barbacetto, P. Gomez, M. Travaglio (2007) p. 221.89 Ibidem p. 237.

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A questo punto, dopo aver esaminato a fondo i due casi, ci avviamo ad

osservare quali misure abbiano preso gli stati, in cui le vicende pocanzi descritte

sono accadute, per cercare di non permettere il perpetuarsi di tali crimini in futuro.

Iniziamo con gli Stati Uniti. Dopo lo scandalo Enron nonostante lo stretto

legame fra Washington e l’azienda texana, le reazioni legislative furono clamorose:

il 30 luglio 2002 fu emanato il Sarbanes-Oxley Act , che introduceva sanzioni

severissime per colpire false informazioni e frodi nella gestione delle società

commerciali. Vediamo il contenuto della legge nello specifico.

Il Sabanes-Oxley Act , così denominato in quanto derivante dalla

combinazione della Serbanes Bill e della Oxley bill , prevede modifiche normative

in materia di consulenza e di revisione contabile delle società quotate in borsa.

Le modifiche riguardano:

1. la creazione di un board 90  indipendente che si occupi del

monitoraggio delle società di revisione;

2. la separazione dell’attività di consulenza da quella di revisione;

3. la certificazione da parte del senior corporate management 91dellaveridicità del bilancio annuale e delle relazioni finanziarie della

società quotata;

4. la piena discluosure (trasparenza) delle transazioni off-balance

 sheet 92 e di altre obbligazioni che possano influenzare e mistificare

le condizioni finanziarie della corporation;

5. la concessione di maggiori finanziamenti alla SEC93.

A tal proposito, Eugenio Occorsio scriveva tre anni fa su  Repubblica “ilSerbanesOxley Act è la più dura legge nella storia per reati finanziari. Pene

durissime (…) (multe che arrivano a 5 milioni di dollari per gli individui e, 25

90 Per board si intende una commissione o un comitato.91 Il Senior Corporate Management  comprende presidente, amministratoredelegato, direttore generale, segretario generale, ecc.92 Le transazioni off-balance sheet  sono caratterizzate dal fatto che non rientranonel bilancio delle attività dell’impresa e quindi, possono favorire la non trasparente

visione delle reali condizioni finanziarie di un’impresa quotata in borsa.93 www.irtop.com.

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milioni di dollari per le società) (…) e galera fino a trent’anni per chiunque

manipoli i bilanci delle società a danno dell’erario, degli azionisti, della comunità

dei risparmiatori. (…) Bernie Ebbers, capo della Worldcom, sta scontando una

condanna per 22 anni, Martha Stewart è appena uscita dopo tre anni di carcere per 

insider trading , Kennet Lay è addirittura morto d’infarto nel luglio 2006 dopo

essere stato riconosciuto colpevole di truffe sul bilancio della Enron che

l’avrebbero portato ad una condanna di decine di anni”94.

Quindi, a fronte di quanto finora riportato, si può affermare che il governo

degli Stati Uniti, dopo il collasso di Enron, abbia dato una forte risposta alle frodi

finanziarie, ciò anche in relazione alle variabili prima analizzate nel modello di

Becker (in particolare: maggiori controlli, e quindi, maggiore “probabilità di essere

arrestati” (P), e poi, maggiori “multe o pene” (L), che come abbiamo visto sono da

considerare fra la più dure mai esistite, aventi perciò una forte carica repressiva).

 Naturalmente, come sostiene Becker, l’adozione di tali misure ha

comportato imponenti costi sociali. Infatti come sostiene Occorsio “la legge è

accusata di aver provocato smisurati aggravi dei costi a carico delle aziende perché

introduce (come abbiamo visto) l’obbligatorietà di istituire un nuovo board  con

funzioni di vigilanza e impone tali e tanti adempimenti da rendere obbligatorial’assunzione di decine di costosi avvocati”95.

In particolare, i costi sociali sono stati aumentati in entrambe le variabili

“beckeriane”, rafforzando sia la pena/multa, sia i mezzi per aumentare la probabilità

di essere arrestati (concessione di maggiori finanziamenti alla SEC).

In Italia, pochi mesi prima del Sarbanes-Oxley Act  (luglio 2002), veniva

introdotta una riforma dei reati societari: il decreto legislativo 11 aprile 2002, n°61,

caratterizzata da una straordinaria indulgenza per la criminalità economica, con unaffievolimento della reazione penale nei confronti delle falsità nei bilanci e nelle

comunicazioni sociali spinta sino al limite della depenalizzazione di fatto.

Riduzione generalizzata dei livelli sanzionatori, accorciamento dei termini

di prescrizione, ulteriormente accentuato, a pochi anni di distanza, dalla riforma

introdotta con la legge ex-Cirielli96, ampio ricorso alla procedibilità a querela,

94 E. Occorsio (2007) www.larepubblica.it.95

Ibidem.96 L. 5 dicembre 2005, n. 251.

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 postergazione97 dell’intervento penale all’effettiva verificazione di un danno

 patrimoniale per i soci e i creditori e, soprattutto, l’inserimento di soglie di

 punibilità quantitative per le false comunicazioni sociali, sono solo alcune delle più

significative novità di una riforma che si muoveva tutta nel segno di una accentuata

"patrimonializzazione" e "privatizzazione" della tutela penale, con tendenziale

emarginazione delle esigenze di protezione degli interessi generali del mercato e dei

risparmiatori.

In questo clima paradossale esplose lo scandalo Parmalat, che rese

finalmente evidente, a un’opinione pubblica giustamente allarmata dalla gravità

delle conseguenze degli illeciti societari, l’"insostenibile leggerezza" della politica

di contrasto alla criminalità economica seguita dal legislatore italiano degli ultimi

anni98.

A poco valeva sottolineare – come frequentemente si è udito affermare in

quei giorni, a cominciare dall’allora capo del governo Silvio Berlusconi – che la

riforma dei reati societari non poteva essere tacciata di responsabilità alcuna

nell’esplosione dello scandalo Parmalat, in quanto la radice del dissesto rimontava a

 patologie gestorie verificatesi in anni sicuramente antecedenti.

Il punto, evidentemente, era ben altro, e cioè che la riforma rendevastraordinariamente più difficile perseguire penalmente gli autori di quelli e di

consimili reati, tanto sul piano sostanziale – per la quantità e la complessità dei

requisiti introdotti dal legislatore per la punibilità di tali illeciti – quanto sul piano

 processuale , per aver trasformato l’esercizio dell’azione penale e il conseguente

accertamento giudiziario in una sorta di disperata corsa a ostacoli contro una

 prescrizione sempre più incombente e inesorabile99.

Il caso Parmalat segnò dunque, un punto di svolta, reso manifesto dai primicenni di risposta legislativa, concretizzatasi nell’iniziale disegno di legge

governativo per la tutela del risparmio, presentato nel febbraio 2004100. Sotto il

97 La “postergazione” si ha quando uno o più creditoti, senza rinunciare al credito, permettono che il loro credito sarà soddisfatto solo dopo l’integrale soddisfazionedegli altri creditori che assumono, per effetto di ciò, un carattere di privilegioindiretto.98 L. Foffani (2006) www.lavoce.info.99

ibidem100 Atti camera, 16 febbraio 2004, n. 4705

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 profilo sanzionatorio risaltava l’accantonamento della linea “morbida” nei confronti

degli illeciti societari.

“Cavallo di battaglia della nuova politica di rigore avrebbe dovuto essere

l’introduzione di un delitto di “nocumento al risparmio”, contrassegnato da una

 pena draconiana (reclusione da tre a dodici anni) e da contorni normativi

assolutamente indefiniti: un’autentica mostruosità giuridica, peraltro puramente

simbolica e concretamente inapplicabile (oltre che palesemente incostituzionale),

che nascondeva dietro l’apparente mano dura nei confronti della criminalità

economica la reale volontà di non toccare la nuova disciplina del falso in bilancio e

degli altri reati societari, che difatti da questo primo progetto governativo non

venivano minimamente sfiorati.

Si trattava tuttavia di un’iniziativa politicamente debole e di corto respiro,

 ben presto sovrastata, nel successivo e tormentato iter parlamentare della

riforma,dal tentativo di costruire una soluzione politica bipartisan al problema di

fornire nuove tutele giuridico-istituzionali agli interessi dei risparmiatori-

investitori”101.

Il nodo del falso in bilancio giunse ben presto al pettine e fu proprio su

questo scoglio – oltre che sui ben noti problemi riguardanti la nomina e i poteri delgovernatore della Banca d’Italia – che si arenò definitivamente il testo unificato

della legge per la tutela del risparmio votato dalla Camera nel maggio 2004, che

avrebbe comportato una significativa “ riforma della riforma”102.

Il consenso inizialmente raggiunto in sede di commissioni parlamentari

riunite venne difatti ben presto travolto dalla constatazione, assolutamente

ineccepibile dal punto di vista dei fautori della riforma dei reati societari del 2002,

che una svolta così radicale e clamorosa sarebbe equivalsa ad una sorta di implicitaammissione, da parte del legislatore, che l’unico scopo perseguito con la precedente

normativa fosse quello di cancellare con un “ colpo di spugna” (provocando

l’effetto di una sorta di amnistia occulta) i procedimenti penali per i falsi in bilancio

commessi in epoca anteriore al 2002 e non ancora giudicati con sentenza

101 L. Foffani (2006) www.lavoce.info.102

Commissioni riunite VI (Finanze) e X (Attività produttive, commercio eturismo), seduta del 5 maggio 2004.

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definitiva103.

Si è giunti così, nel 2005, al varo definitivo della legge per la tutela del

risparmio (legge 28 dicembre 2005, n. 262), approvata dalla sola maggioranza.

Dal punto di vista penalistico, come afferma Foffani “la montagna ha

 partorito un topolino: nessuna significativa riforma sostanziale, se non un generico

e indiscriminato aumento delle pene previste per gli illeciti penali e amministrativi

dei testi unici bancario e finanziario.

La legge conferma, nelle sue linee fondamentali, l’assetto normativo uscito

dalla riforma dei reati societari del 2002, aggiungendo nulla più che un modesto

ritocco delle norme chiave sul falso in bilancio, che si traduce in un insignificante

aumento della pena massima prevista per la contravvenzione di false comunicazioni

sociali ex articolo 2621 c.c. (da un anno e mezzo a due anni di arresto) e nella

 previsione di nuove sanzioni amministrative (peraltro in gran parte inapplicabili)

 per l’omonimo delitto di cui all’articolo 2622 c.c.; la novità della prevista

introduzione della fattispecie di “nocumento di risparmio” viene nettamente

ridimensionata e trasformata in una mera circostanza aggravante di quest’ultimo

delitto”104.

Ancora oggi però, in Italia, non si è riusciti a formulare una nuova legge per la tutela del risparmio. Il legislatore dovrà fornire senza dubbio una risposta

importante al fine di dare finalmente al nostro paese una disciplina penale ,

societaria ed economica ispirata a serietà ed equilibrio e al passo con le più

avanzate esperienze europee.

In particolare, la richiesta di sanzioni “adeguate , efficaci e proporzionate”

contro la falsità nei bilanci e nelle comunicazioni sociali, nell’interesse dei soci e

dei terzi, è già stata solennemente enunciata dalla Corte di Giustizia delle ComunitàEuropee, con una fondamentale sentenza del 3 maggio 2005105, che – ben lungi dal

salvare nella sostanza le scelte operate dal legislatore italiano del 2002 – afferma al

 più alto livello della giurisprudenza europea una serie di esigenze di tutela rilevanti

 per l’ordinamento comunitario – in materi a di trasparenza e veridicità

dell’informazione societaria – alla quale il nostro legislatore è chiamato finalmente

103 L. Foffani (2006) www.lavoce.info.104

Ibidem.105 CGCE, Grande Sezione, 3 maggio 2005, C – 387/02, C – 391/02 e C – 403/02.

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a dare adeguata e tempestiva soddisfazione.

Si deve sottolineare però, che provvedimenti come “ lo scudo fiscale”

 porteranno all’impunità anche per i reati di falso in bilancio. Ciò sembra essere

confermato anche da Mario Sensini che afferma “il pagamento della sanzione del

5% per il rientro o la regolarizzazione dei capitali e dei patrimoni illeciti all’estero

renderà non punibili anche alcuni reati penali ,fiscali e societari, compreso il falso

in bilancio”106.

 Non solo, anche la bozza di legge del processo breve, attualmente in

discussione, porterebbe addirittura proprio Callisto Tanzi ad uscire pulito dalla

vicenda Parmalat.

A questo punto, dopo aver mostrato un quadro alquanto dettagliato della

questione penale dei reati economici in Italia, si può concludere, con cognizione di

causa, che il governo italiano non ha per niente puntato su nessuna delle due

variabili analizzate nel modello di Becker.

Bisogna perciò sottolineare le differenze fra le misure prese negli Usa dopo

Enron, e in Italia dopo Parmalat, prima fra tutte il fatto che Parmalat è stata salvata

mentre ciò non è accaduto per Enron. “ Mentre la vicenda della compagnia di

Houston si conclude con la distruzione dell’impresa in virtù delle leggi di mercato,nel caso Parmalat, invece, l’impresa viene risparmiata e al tempo stesso si procede

all’immediata carcerazione dei suoi dirigenti”107. Vediamo perché ciò è accaduto.

La legislazione italiana sulle grandi imprese in crisi ha sempre preferito

 proiettarsi verso un aiuto concesso dallo Stato. Infatti, fu approvata d’urgenza nel

1979, la cosiddetta “legge Prodi sull’amministrazione straordinaria delle grandi

imprese in crisi” (legge 95) che prevedeva la pura continuazione dell’attività delle

imprese insolventi in vista di un “miracolo” da attendere per anni a spese deicreditori. E’ stata abrogata nel 1999 , dopo un lungo contenzioso con le istituzion

europee, che a più riprese avevano condannato l’Italia per la violazione delle regole

sugli aiuti di stato alle imprese, e sostituita con una normativa più flessibile,

comunemente definita “Prodi-bis” (decreto legislativo 270).

La normativa del 1999 si applica alle imprese con almeno duecento

dipendenti e prevede alternativamente:

106

M. Sensini (2009) www.corrieredellasera.it.107 G. Sapelli (2004) p. 89.

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• la cessione dei complessi aziendali dell’impresa insolvente: in attesa

di trovare un acquirente vengono mantenuti in attività per un periodo

massimo di un anno;

• la ristrutturazione economica e finanziaria dell’impresa insolvente,

da completare entro un periodo massimo di due anni. Quale

obbiettivo debba essere perseguito viene deciso al termine di una

fase di analisi che dura da due a cinque mesi. Se nessuno dei due

obbiettivi sembra ragionevolmente raggiungibile (quando ad

esempio l’attività distrugge irrimediabilmente ricchezza, sì che non è

ragionevole sperare di trovare acquirenti), l’impresa viene dichiarata

fallita108.

 Nel 2004, dopo il crollo di Parmalat, verrà emanato con decreto un

 provvedimento che mira all’accelerazione dei tempi della procedura descritta nella

normativa del 1999: il cosiddetto “ decreto Parmalat”109.

Ecco dunque spiegato come il legislatore italiano ha sempre preferito il

salvataggio dell’impresa anche a costo di provocare grossi costi sociali.

Conclusioni.

A fronte dell’analisi sulla corruzione fin qui trattata, occorre cercare di

teorizzare alcune possibili soluzioni al problema del Crony Capitalism.

108

L. Stanghellini (2004) www.lavoce.info.109 Ibidem.

60

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Si proverà, a tal proposito, di scovare, per ognuno dei soggetti implicati,

nelle vicende di corruzione fra sfere economiche e sfere politiche, le ragioni e gli

ambienti sociali che portano tali individui a commettere crimini economici contro

un’ampia fetta della società.

Innanzi tutto, le banche dovrebbero eliminare ogni forma di conflitto di

interesse dovuto all’attività di raccolta del risparmio presso il pubblico e all’attività

di finanziamento alle imprese, comprese l’emissione e il collocamento dei titoli.

Secondo Sapelli “sarebbe sufficiente attivare nelle banche come nelle

imprese, efficaci sistemi di controllo incrociato e di bilanciamento dei poteri.

 Naturalmente anche le pressioni sulla clientela per acquistare prodotti finanziari di

ogni genere ad alto rischio andrebbero sanzionate implacabilmente o prevenute

attraverso procedure di auto regolazione gestite dalle banche medesime in modo

trasparente e diffuso in tutta la catena organizzativa”110.

Perciò, in definitiva, per quanto riguarda gli istituti di credito, sarebbe più

auspicabile una maggiore trasparenza e un controllo interno soprattutto nei

confronti dei cosiddetti stakeholders111.

Per quanto concerne invece, il ruolo delle imprese, sono proprio queste

spesso a causare il mal funzionamento dei mercati. Come sostengono Raghuram eZingales “sono i capitalisti che hanno più da perdere all’espandersi del libero

mercato. Per questo esercitano la loro influenza per impedire l’adozione di regole e

leggi che ne permettano lo sviluppo corretto e per ottenere sussidi e protezioni dai

governi. Contrastare gli interessi costituiti, salvare il capitalismo dai capitalisti,

significa perciò rafforzare la consapevolezza che il mercato è il mezzo migliore per 

 promuovere la crescita e ridurre la povertà”112.

Come è noto, un mercato libero per funzionare correttamente necessita diuna infrastruttura di leggi e di regole . ”Il problema è che nessuno ha gli incentivi

giusti per sostenere politicamente queste infrastrutture. Tutti beneficiano dei

mercati competitivi, ma nessuno trae profitti dal renderli o mantenerli tali. Ironia

vuole che chi ha maggiormente da perdere dal promuovere il libero mercato siano

110 G. Sapelli (2004) pp. 93-94.111 Per  stakeholders si intende: l’insieme dei soggetti che hanno un interesse neiconfronti di un’organizzazione e che con il loro comportamento possono

influenzarne l’attività. In questo caso i clienti.112 R.Raghuram, L.Zingales (2003) www.lavoce.info.

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 proprio i capitalisti”113.

La conclusione al problema sollevato da Raghuram e Zingales appare

 piuttosto interessante, “per salvare il capitalismo, la soluzione è di trasformare le

élite, da nemiche dei mercati a loro sostenitrici; far vedere loro che le opportunità

offerte da un mercato competitivo compensano più che mai il danno arrecato

dall’accresciuta competizione. La verità è che l’apertura dei mercati internazionali

dei beni e dei capitali ha allineato gli interessi delle élite con quelli del mercato.

Quando la competizione viene da una diversa giurisdizione che le élite locali non

 possono influenzare, non c’è nessun vantaggio nel cercare di soffocarla distorcendo

il mercato interno. Al contrario, sotto la minaccia della competizione internazionale,

le imprese vogliono un’infrastruttura efficiente che permetta di competere ad armi

 pari”114.

In conclusione: il libero scambio di beni e capitali è il meccanismo più

importante per promuovere mercati più efficienti e più competitivi.

A fronte di quanto sostenuto da Raghuram e Zingales, c’è però da

aggiungere, a mio avviso, una nota molto importante.

 Nel momento in cui le grandi imprese agiscono in tutto il mondo (da

multinazionali), sfruttando quindi il mercato globale, nasce il bisogno, soprattuttoda parte dei risparmiatori o degli investitori, della creazione di un sistema di regole

globalmente riconosciuto.

A sostegno di questa visione, Sapelli commenta “ se le società si

mondializzano perché l’economia diventa globale, allora anche le regole, tutte le

regole che caratterizzano la trasparenza delle transazioni interne ed esterne alle

 popolazioni degli attori economici, devono essere globali. (…) Ciò di cui abbiamo

 bisogno, infatti, è un insieme di regole e procedure “globali” che valgano cioè dauna parte all’altra dell’ oceano, in una commistione crescente fra diritto privato di

ascendenza romana e tedesca e diritto della common law da un lato e fra regole

contabili europee e regole contabili anglosassoni dall’altro, poiché solo le aree di

non integrazione possono favorire gli occultamenti e le incomprensioni che

incentivano l’elusione e la frode”115.

113 Ibidem.114

Ibidem.115 G.Sapelli (2004) pp. 21-22.

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Infine, per quanto riguarda la politica, c’è da segnalare un imminente

 bisogno di tagliare l’ormai consolidato “cordone ombelicale” esistente fra gli

interessi economici forti e i partiti, che rende questi ultimi “regolatori in conflitto

d’interesse”.

I partiti, come già accennato nel capitolo 1, hanno sempre più bisogno di

finanziamenti privati per le campagne elettorali. Se un tempo ci si lamentava del

finanziamento pubblico ai partiti, ora lo si fa anche per quello privato.

C’è da dire che forse il problema è un po’ più complesso di quanto sembri,

in quanto questi fenomeni, appaiono scaturire, invece, da una crisi interna ai partiti

stessi.

Molti giudicano i cambiamenti avvenuti nel modo di fare politica come un

inevitabile percorso cui si doveva approdare nel corso della storia dei partiti politici,

e in particolare di quelli europei116.

Si assiste, infatti, a una propensione verso i modelli americani di

competizione politica, caratterizzati proprio da enormi spese, e quindi

finanziamenti, per le campagne elettorali.

Il tentativo di imitare ciò che culturalmente non appartiene al contesto

italiano, non porta a niente di costruttivo poiché, appropriarsi forzatamente dimodelli sociali lontani da quelli europei (questi ultimi caratterizzati per esempio

dalle lotte di classe), vuol dire solo perdere del tempo prezioso nella ricerca di una

soluzione a noi più appropriata.

É indubbio che cercare di riappropriarsi dei desideri dei cittadini, rendendoli

 partecipi realmente e non riducendoli a meri individui che hanno solo la facoltà

scegliere quale migliore prodotto elettorale sia più conveniente ma, soprattutto,

efficiente.Quale antidoto più potente ai crimini verso migliaia di cittadini commessi da

 parte di chi dovrebbe rappresentarli ci sarebbe, se non quello di avere una

 popolazione informata, cosciente e impegnata nell’azione politica?

Solo dei cittadini con una buona cultura ma, soprattutto dotati di un forte

senso civico, possono più di tutti far pressione sulla politica sovrastando qualunque

interesse forte, e denunciando, quindi, eventuali abusi.

116 Vedi O. Massari (2004) pp. 8-10.

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In definitiva, la partecipazione attiva alla vita politica dei cittadini è uno

strumento fondamentale per costringere, chi governa, a dare conto più agli interessi

diffusi che a quelli particolari di gruppi ristretti.

Su tale punto, concludo citando un grande pensatore liberale dell’Ottocento,

Benjamin Constant, che alla fine del suo intervento nel 1819 esortò i cittadini a

esercitare una vigilanza attiva e costante sui loro rappresentanti e ammonì in tono

 profetico “il rischio della moderna libertà è che, assorbiti nel godimento della nostra

indipendenza privata e nel perseguimento dei nostri interessi particolari, rinunciamo

con troppa facilità al nostro diritto di partecipazione al potere politico”117.

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