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1 Università degli Studi “Roma Tre” Dottorato di Ricerca in Storia dell’Italia contemporanea: politica, territorio e società XXI ciclo Tesi di dottorato I PRIMI GOVERNATORI DI ROMA: TRA CONTINUITA' CONSERVATRICE E TRASFORMAZIONE TOTALITARIA (1925-1935) Tutor: Prof. Mario Belardinelli Dottorando: Paola Starocci

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Università degli Studi “Roma Tre”

Dottorato di Ricerca in

Storia dell’Italia contemporanea: politica, territorio e società

XXI ciclo

Tesi di dottorato

I PRIMI GOVERNATORI DI ROMA:

TRA CONTINUITA' CONSERVATRICE E TRASFORMAZIONE

TOTALITARIA (1925-1935)

Tutor: Prof. Mario Belardinelli

Dottorando: Paola Starocci

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Indice

Introduzione p.1

1.Filippo Cremonesi 1.Gli inizi p.8 2.Rapporti con la Santa Sede p.20 3.Realizzare una nuova Roma p.24 4.Le dimissioni da Governatore p.37

2.Ludovico Spada Veralli Potenziani

1.Prima della nomina p.46 2.La riorganizzazione degli uffici e dei servizi del Governatorato p.51 3.Problemi finanziari e rapporti con il Governo p.62 4.Aumentano i contrasti p.66 5.Oltre Roma p.71 3.Francesco Boncompagni Ludovisi

1.Gli inizi p.76 2.Un vecchio amico:Tacchi-Venturi p.82 3.Prima della nomina a Governatore: p.86 Presidente del Banco di Roma e Sottosegretario alle Finanze 4.Boncompagni e il problema delle campagne:riformista agrario p.93 5.Costruire la Roma di Mussolini p.107 6.Gli anni del Concordato p.124 7.Problemi di bilancio del Governatorato p.144

8.Fine dell’incarico p.166

Conclusioni p.174

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Introduzione

Com’è noto1, il Governatorato di Roma fu istituito il 28 ottobre

1925 con l’emanazione del Regio Decreto n.1949. Questa misura

legislativa, nata dopo due anni di gestazione, era stata fortemente

voluta da Mussolini che coltivava l’idea di una capitale rinnovata –

elemento centrale nell’ideologia fascista- che simboleggiasse,

attraverso l’utilizzazione del mito della Roma imperiale, la rinascita e

la potenza di tutta la Nazione.

L’idea di Roma assunse, via via, il significato unificante della

realtà nazionale, delle aspettative di un intero popolo2. Di fronte al

pericolo socialista da un lato e allo scenario imperialista, Roma, nella

teoria del movimento fascista, è la nuova via offerta al mondo3. Era

necessario, però, compiere un’operazione: la Roma reale doveva

trasformarsi e sublimarsi nella Roma fascista. L’operazione compiuta

da Mussolini fu per prima cosa la fascistizzazione della Roma antica

riempiendone i simboli con i contenuti fascisti. Grande parte della

Roma pontificia verrà abbattuta, i suoi palazzi gentilizi, le sue chiese,

le case più povere per fare spazio alla Roma imperiale dove questo

“pittoresco” non troverà più spazio4.

1 Sulla storia di Roma contemporanea vedi G.Talamo, G.Bonetta, Roma nel Novecento, Bologna 1987, V.Vidotto, Roma contemporanea, Roma-Bari 2001 e V.Vidotto, La capitale del fascismo, in Roma capitale, Roma-Bari 2002 2 Sull’idea unificante di Roma dopo l’Unità d’Italia vedi F. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Bari 1951, pp.179-323. 3 G.Bottai, Roma e fascismo, in “Roma”, a.XV, n.10, p.350. 4 Mussolini dirà il 18 marzo 1932 al Senato: “Tutto il pittoresco sudicio è affidato a Sua Maestà il piccone; tutto questo pittoresco è destinato a crollare e deve crollare in nome della decenza, dell’igiene, e, se volete, anche della bellezza della capitale” Atti Parlamentari, Senato, Sessione 1929-33,Documenti, p.4875.

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Roma, dopo l’Unificazione, aveva sofferto del suo essere città in

espansione, crocevia di interessi e di richieste, città moderna, nuova

capitale del Regno. I nuovi compiti che le erano stati assegnati,

richiedevano risorse economico-finanziarie non sempre disponibili.

Fortemente indebitata, non aveva, di certo, trovato giovamento dal

quel suo grande significato simbolico che le era sempre stato

attribuito. Roma imperiale, Roma cristiana, Roma liberale e così via,

sempre troppo grande nelle aspirazioni e troppo caotica e provinciale

nel quotidiano. Ogni governo si era misurato con questa alta idea di

Roma ma non era riuscito a farne un’occasione di sviluppo.

L’istituzione del Governatorato avvenne in un tempo nel quale, in

Europa, era forte il dibattito sul ruolo rinnovato delle città-capitali.

Caracciolo5 osserva, al riguardo, che, alle dispute che precedettero

l’istituzione del Governatorato, non furono estranee le riflessioni e le

comparazioni con altre capitali europee che avevano adottato

soluzioni amministrative simili. Certo, nel caso italiano, giocarono

elementi specifici della visione mussoliniana e della realtà nazionale.

Di certo, nella scelta di mettere a capo dell’amministrazione capitolina

i nobili romani, pesarono elementi di continuità con il passato6 ma

anche nuovi interessi, nati dalle esigenze urbanistico-finanziarie della

città che richiedevano alleanze con i protagonisti del potere

economico-imprenditoriale di quegli anni7.

5 A.Caracciolo, I sindaci di Roma,Roma 1993. 6 Mussolini riprese un’usanza dello stato pontificio che poneva a capo del

Campidoglio un rappresentante dell’aristocrazia papalina. 7 Roma, dal punto di vista edilizio, aveva trovato, infatti, un nuovo impulso. A

seguito della legge del 1919 si erano applicate numerose facilitazioni e sovvenzioni

per le case popolari e per le cooperative edilizie. Un’altra legge nel 1923 aveva

stabilito l’esenzione fiscale per 25 anni per chi costruiva nuove abitazioni “purché

non di lusso”. Questo aveva rimesso in movimento l’attività edilizia della capitale.

Erano sorti importanti soggetti come le Cooperative degli impiegati e pensionati

dello Stato, la Società Generale Immobiliare, l’INA.

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La scelta di nominare Governatori i Principi romani fu dettata, in

primo luogo, dall’esigenza di includere nel fascismo quelle forze

conservatrici che detenevano il potere economico nella capitale. Le

antiche famiglie nobili e l’emergente classe borghese gestivano,

infatti, il capitale finanziario della città e la rendita fondiaria della

capitale. Il Banco di Roma, ad esempio, era stato costituito da

esponenti di quella aristocrazia nera della città che, dopo l’unità, con

lo sviluppo di vertiginosi giri di affari, avevano costruito una rete di

relazioni ed alleanze con i nuovi soggetti borghesi del potere

economico di quegli anni. Essi erano interessati alla conservazione del

nuovo assetto socio-economico che si era andato costruendo.E’

significativo ricordare che gran parte (il 50%) delle aree fabbricabili

del Comune di Roma era in mano alle famiglie aristocratiche romane8.

La scelta di Mussolini di porre ai vertici del Campidoglio i Principi-

Governatori, inoltre, sembrava in sé assolvere a quell’ esigenza di

carattere simbolico che tanto era necessario alla retorica fascista. Con

la loro ascesa al potere della città, Mussolini intendeva, poi, rinnovare

e rafforzare i rapporti tra Stato e Santa Sede che, in verità, erano

ancora irrisolti per via della Questione Romana. Imparentati con

prelati o frequentatori del Vaticano, Filippo Cremonesi prima ed i

Principi-Governatori poi saranno un segno di continuità rassicurante

rispetto al passato. La loro elezione, poi, avrebbe rappresentato la

sottolineatura del prestigio che doveva assumere la città a livello

nazionale ed internazionale, quel prestigio e quella bellezza sentiti da

Mussolini come arma di potere.

I Governatori sono stati considerati dagli storici, prevalentemente

figure di pura rappresentanza, privi di una reale autonomia, di

limitate iniziative e di scarsa capacità di governo. Ebbero una loro

idea della città o la loro idea coincise, per larga parte, con quella

8 Sull’argomento vedi V.Gorresio, Roma ieri e oggi, (1870-1970), Milano 1970.

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mussoliniana? Alcuni che avevano vissuto da giovani un serio

impegno politico, provenivano dai gruppi clerico-conservatori dei

primi anni del secolo ed avevano una formazione politica e culturale

che non si esauriva, di certo, nella cultura fascista.

Dopo poco tempo l’avvio della ricerca è uscito sull’argomento il

libro di Paola Salvatori che, seguendo la vicenda legislativa e

organizzativa, ha ricostruito la storia dell'amministrazione romana in

modo sistematico, scegliendo di focalizzare l’attenzione sull’aspetto

riguardante i rapporti del Governatorato con il potere centrale9. Non

sono ancora accessibili, infatti, le carte relative al Governatorato

custodite presso l’Archivio storico capitolino. Lo studio in questione

se affrontava la realtà governatoriale soprattutto dal punto di vista

tecnico-amministrativo, lasciava aperta la possibilità di approfondire

la figura dei Governatori, i loro rapporti con il Governo, l’articolarsi

delle loro relazioni con le altre realtà presenti a Roma, soprattutto il

Vaticano. Con la presente ricerca si è voluto, dunque, leggere le

vicende governatoriali dentro il contesto più ampio della città e del

Paese, ricercando in diverse direzioni.

Affrontando lo studio si è scelto di limitare la ricerca ai primi dieci

anni di Governatorato e ai tre Governatori Filippo Cremonesi,

Ludovico Spada Veralli Potenziani, Francesco Boncompagni Ludovisi.

Ci è sembrato infatti che questi primi anni di avvio e poi di definizione

del Magistrato di Roma appartengano ad una prima fase di

amministrazione della città, anni di precisazione dell’istituto

governatoriale, anni nei quali il fascismo, dopo una fase di ricerca del

consenso e di appoggio dei poteri forti presenti nella realtà, assunse

via via il volto della dittatura. I primi Governatori, infatti, furono i

rappresentanti del mondo imprenditoriale romano, come Cremonesi,

9 P.Salvatori, Il Governatorato di Roma. L’amministrazione della capitale durante il fascismo, Milano 2006.

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o dell’aristocrazia romana come Spada Potenziani e Boncompagni

Ludovisi che avrebbero dovuto garantire l’appoggio dei poteri

economici o del Vaticano.

Tra i tre si è scelto di dare spazio in particolare a Francesco

Boncompagni Ludovisi, al governo della città dal 1928 al 1935,

perché resse il Governatorato più a lungo degli altri e perché lo fece

negli anni importanti del riassetto urbanistico e della Conciliazione.

L’ipotesi da verificare era quanto questi uomini furono funzionari

passivi nelle mani di Mussolini e quanto, anche attraverso la loro

gestione e la loro personalità, si evidenziò un nodo di conflittualità

seppur debole tra il governo della città e lo Stato.

Mussolini, nonostante i proclami e la retorica di regime, non ebbe

un progetto globale di politica per la città di Roma e questo lo

testimonia anche la discontinuità degli aiuti finanziari che dette alla

città. Di certo egli ereditò dal passato questioni irrisolte che si

aggraveranno nel tempo, quale quella della carenza di abitazioni e,

sicuramente non le affrontò secondo una visione coerente.

Complessivamente si può affermare che il materiale

documentario a disposizione è insufficiente per formulare giudizi

esaurienti e questo ci ha spinto a cercare in molte direzioni e a

realizzare la ricerca connettendo e assemblando materiale

frammentario e di natura diversa. Si è già sottolineata la grave

lacuna di documenti sull’argomento a causa della mancata apertura

dei fondi del Governatorato conservati presso l’Archivio Capitolino,

dove abbiamo potuto consultare solo le deliberazioni dei Governatori

e i verbali della Consulta di Roma.

L’Archivio Centrale dello Stato ha fornito materiale interessante

riguardo alle relazioni tra il Governatorato ed i diversi organi dello

Stato ma anche dei Governatori con lo stesso Mussolini. Questo ha

permesso di delineare meglio la natura dei rapporti, le prese di

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posizione, i problemi. Anche le note degli informatori hanno

contribuito a questo, evidenziando la tendenza dell’opinione pubblica

nei riguardi dei Governatori.

L’Archivio Vaticano nei documenti della Segreteria di Stato e della

Nunziatura Apostolica e del fondo Boncompagni Ludovisi10 conserva -

riguardo al Governatorato di Roma- una documentazione scarsa.

Anche quella acquisita dall’Archivio del Vicariato di Roma, che ha

riversato nell’Archivio Vaticano, per gli anni del fascismo, gran parte

della propria documentazione, è di poco rilievo. Le relazioni Santa

Sede e Governo italiano, di certo, passavano ad altri livelli, anche per

la definizione delle questioni della città. Emerge, invece, con

abbondanza di documentazione, la situazione delle Congregazioni

religiose presenti a Roma, alla ricerca di garanzie per il loro futuro e

per le loro opere.

L’Archivio di Stato di Roma, nel fondo relativo alla Prefettura

(anni 1922-45), conserva una documentazione esigua che non ha

interesse particolare rispetto all’argomento della ricerca11. Cercando

gli Atti della Giunta Provinciale Amministrativa di quegli anni12, si è

verificato che presso l’Archivio di Stato sono assenti proprio quelli

relativi al decennio preso in esame dalla ricerca. Sono stati assai utili

i documenti raccolti presso l’Archivio degli Affari Esteri che ha fornito

notizie e ci ha permesso di ricostruire l’atteggiamento di

Boncompagni Ludovisi in quegli anni riguardo alla Santa Sede e al

mondo ecclesiale romano. Anche il Fondo Tacchi-Venturi ha

contributo a tracciare alcune note biografiche di Boncompagni

soprattutto negli anni della giovinezza. La ricerca delle fonti edite ha

dato risultati interessanti anche per la folta produzione di scritti dei

10 Il Fondo Boncompagni Ludovisi venne donato all’Archivio Vaticano nel 1947. 11 La documentazione riguarda in particolare l’Opera Nazionale Balilla. 12 Era Presidente della Giunta il Prefetto di Roma. Sulla Giunta Provinciale Amministrativa vedi U.Allegretti, L'istituzione della Giunta provinciale amministrativa, in "Giustizia amministrativa", Archivio ISAP,vol.II°,Milano 1990.

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maggiori protagonisti di quegli anni che parlavano soprattutto dalle

pagine di Capitolium o di altre riviste dell’epoca. Tutto questo è stato

integrato da una ricerca sulla stampa quotidiana e da un colloquio

avuto con il nipote di Francesco Boncompagni Ludovisi, figlio di

Gregorio.

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I

FILIPPO CREMONESI

1.Gli inizi

Nella storia del Governatorato di Roma gli anni di Filippo

Cremonesi, letti generalmente come anni amministrativamente senza

nuovi significati, presentano un qualche interesse perché si collocano

al termine del progressivo affermarsi del potere fascista nella città di

Roma, iniziato con la Marcia dell’ottobre ‘22, ed evidenziano elementi

di continuità e di rottura con il passato. La gestione municipale di

Cremonesi, dopo l’avvio del dicembre 1925, si colloca nel momento di

definizione dell’istituto governatoriale1 e, seppure breve, è

significativa per le contraddizioni e le connessioni socio-economiche di

quegli anni, che evidenzia con chiarezza.

Cremonesi fu uno dei due soli Governatori provenienti dal ceto

borghese (insieme a Bottai) che Mussolini mise alla guida della città

di Roma. I suoi successori, infatti, sarebbero stati i rappresentanti

delle potenti famiglie dell’aristocrazia romana legata da secoli agli

ambienti vaticani.

1 Il Governatorato, secondo il R.D.L. istitutivo n.1949 del 28.10.1925, era retto da un Governatore, assistito da due Vicegovernatori e coadiuvato da dieci Rettori. Era prevista, inoltre, una Consulta composta di 80 membri consultori, di nomina regia e ministeriale, rappresentativi delle forze economiche e sociali della città. Con il Decreto del 10 giugno 1926 si rimandò l’insediamento della Consulta e con il Decreto del 9 dicembre 1926 si sospese l’attività dei vicegovernatori e dei Rettori. Il R.D.L. 6 dicembre 1928, n.2702 ridusse il numero dei membri della consulta a 12 e dei vicegovernatori a uno, mentre si abolirono i rettori. Successivamente si andò ad una modifica più sostanziale quando, con il Testo Unico della legge comunale e provinciale del 1934, si accentuò per la capitale la dipendenza dal Ministero dell’Interno. Sul Governatorato di Roma vedi P.Salvatori, Il Governatorato di Roma, cit.

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Negli anni in cui il fascismo consolidava il suo potere e nei quali

non era ancora del tutto definita la gestione fascista del Campidoglio,

Cremonesi rappresentava l’uomo-imprenditore che con il lavoro e

l’intraprendenza aveva saputo conquistare il successo e il potere. Si

sottolineava, nella pubblicistica di regime, questa attitudine laboriosa

e tenace, tipica del “vero uomo fascista” quale ogni italiano avrebbe

potuto e dovuto essere.

L’autorevole Antonio Muñoz, Ispettore Generale delle Antichità e Belle

Arti del Governatorato e direttore della maggiori opere di

sistemazione urbanistica di Roma2, affermò al riguardo:

“Egli dette con fervore tutta la sua attività ai problemi del

rinnovamento cittadino; assistito da un ottimo segretario Alberto

Mancini, fu il primo ad interpretare fedelmente e a tradurre in atto i

grandiosi progetti del Duce per la grandezza dell’Urbe. Il popolo

simpatizzava col Cremonesi, lo chiamava con ilare familiarità Pippo

nostro; ammirava la sua costanza al lavoro, il suo buonsenso pratico

di vecchio romano che aveva saputo conquistarsi la sua alta posizione

con l’intelligenza e il lavoro”3.

Filippo Cremonesi, nato a Roma il 22 agosto 1872 da Giovanni

Battista Cremonesi e Maddalena Foglietti, proveniva da un’ agiata

famiglia romana di salda fede cattolica4 e presto, riuscì a raggiungere

alte posizioni nella politica e nel mondo finanziario. Non si hanno

notizie dei suoi studi5, ma si è a conoscenza del fatto che, molto

giovane, andò in Sudamerica e si stabilì in Cile dove si diede con

2 Tra le altre citiamo: il tratto di via dei Fori Imperiali da via Cavour al Colosseo, la via dei Trionfi con la fontana monumentale novecentesca, il Parco di Traiano. Su Muñoz vedi C.Bellanca, Antonio Muñoz : la politica di tutela dei monumenti di Roma durante il Governatorato, Roma 2003. 3 A.Muñoz, Roma di Mussolini, Parigi 1999, pp.46-47. 4 C.Fratelloni, voce F.Cremonesi, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol.XXX, Roma 1984, pp.616-618. 5 Anche nella Scheda biografica del Senato della Repubblica non risulta il suo titolo di studio mentre la professione citata è quella di banchiere. Archivio Storico del Senato, Senatori dell’Italia Fascista.

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successo ad iniziative commerciali. Questa esperienza americana lo

formò alle attività imprenditoriali e finanziarie e gli tornò utile al

rientro in Italia. Per diversi anni si occupò di commercio con l’estero6

e, sotto la Giunta Nathan, lavorò come impiegato al Comune di Roma

all’Ufficio Tasse. Il 29 agosto 1916 fondò con Giuseppe Cavalcassi

l’Istituto bancario “Cavalcassi e Cremonesi” (che si mormorava

gestisse capitali di origine ecclesiastica). La Società bancaria aveva

l’obiettivo di acquisire immobili nel centro di Roma e negli anni

immediatamente successivi alla sua costituzione comprò dal conte

Paolo Taverna alcuni edifici a via dei Bergamaschi, a via di Pietra e a

piazza di Pietra.

Cremonesi fu eletto consigliere della Camera di Commercio di

Roma7 nel 1913. Lo rimase per lungo tempo, nel dopoguerra e nei

primi anni del regime, quando si affermò l’egemonia economica e

finanziaria di nuovi soggetti nel campo delle imprese e degli affari.

Filippo Cremonesi prima di avviarsi all’impegno politico stabilì

solidi legami con la realtà imprenditoriale romana e fu anche

Presidente dell’Associazione Commerciale Industriale Agricola

Romana, fondata nel 1888 con scopi di promozione e

6 Negli anni precedenti la Prima Guerra Mondiale lavorò come Spedizioniere doganale riconosciuto dal Regio Governo e come Commissionario-Rappresentante di Ditte nazionali ed estere. “Guida Monaci”, 1911. 7 Sulla storia delle Camere di Commercio consulta E.Bidischini,L.Musci ( a cura di), Unione italiana delle Camere di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura. Guida agli archivi storici delle Camere di Commercio italiane, Roma 1996. Le Camere di Commercio, dopo l’ascesa al potere di Mussolini, furono oggetto di attenzione da parte del regime fascista che intendeva aumentare il controllo su di esse. Il governo, infatti, via via che affermerà la sua natura autoritaria, provvederà alla loro riforma facendone solo un organo burocratico. La riforma delle Camere si inserì nella nuova visione di tipo corporativo che il regime andava affermando. Nella proposta di legge preparata dal Ministero dell’economia si prevedeva, infatti, che il sistema in vigore di elezione dei Consigli delle Camere a suffragio universale venisse sostituito da un sistema di elezioni per categorie o classi. La riforma avrebbe dovuto inserire per volontà di Mussolini, attraverso la rivisitazione dell’art.44, la facoltà del Ministero della Economia Nazionale di richiamare ed eventualmente annullare le deliberazioni camerali ritenute illegittime dal Governo. La questione si era dipanata tra Capo del Governo e Ministero che non volle introdurre il cambiamento dell’articolo.

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incoraggiamento commerciale e che assunse sempre più potere negli

anni del fascismo (nel 1927 avrebbe contato 1500 iscritti)8. Questa esperienza fu assai importante nella sua vita. Da sindaco prima e da

Governatore poi egli seppe venire incontro agli interessi della classe

borghese della capitale, anche grazie agli stretti rapporti intrattenuti

con esponenti del mondo dei costruttori e degli immobiliaristi

romani9.

Nella sua carriera di finanziere fece parte della Direzione di vari

istituti di credito (fra cui la COMIT) e fu Presidente della SA

Compagnia per le opere pubbliche che gestiva importanti appalti dei

servizi municipali10.

Cremonesi intese, però, entrare nel mondo della politica ed

avviò la sua carriera nel blocco conservatore romano quale

esponente del partito nazionalista (fu fedele amico di Luigi Federzoni,

8 Nello stesso periodo in cui Cremonesi era Presidente dell’ACIAR, era Vicepresidente Francesco Boncompagni Ludovisi col quale aveva condiviso la stessa carica negli anni precedenti. Vedi Statuto e Regolamento della Associazione Commerciale Industriale Agricola Romana, Roma 1891. L’Associazione, nel maggio 1914, si adoperò per ricomporre la frattura tra liberali moderati e liberali democratici in vista delle elezioni amministrative. Sulla vicenda vedi G.Orsina, Anticlericalismo e democrazia: storia del Partito radicale in Italia e a Roma, 1901-1914, Roma 2002, pp.178 e 260. 9 Le sue conoscenze tra gli imprenditori romani furono utili al regime per i finanziamenti che garantirono nell’opera di restauro della città. La Camera di Commercio di Roma, ad esempio, finanziò nel 1926 il restauro del Tempio di Nettuno a Piazza di Pietra, sua sede. ACS, Pres.Cons.Ministri (d’ora in poi PCM),1926,b.927,f.5.2.782. 10 Vedi Marina Giannetto, I prefetti di Roma negli anni 1919-29, in M.De Nicolò (a cura), La prefettura di Roma (1871-1946), Bologna 1998. Nel periodo del Governatorato continuò ad esercitare molti incarichi: Presidente del Comitato Nazionale per le Esposizioni e per le Esportazioni italiane all’estero (fondato nel 1908), Presidente della Società di Mutuo Soccorso fra i dipendenti della S.T.A, Presidente della Giunta Esecutiva dell’Opera di Assistenza Nazionale all’Italia Redenta (fondata nel 1919), Consigliere della Banca Commerciale Triestina, Consigliere del Banco di Roma, Presidente della Società Immobiliare Vittorio Emanuele, Consigliere della Società Romana per la fabbricazione dello zucchero. Voce Cremonesi Filippo in “Guida Monaci”, 1926, p.1232.

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alle cui dimissioni da Ministro dell’Interno nel dicembre 1926, fece

seguire le proprie)11.

Cremonesi nel 1914 venne eletto consigliere comunale e

appoggiò la seconda amministrazione Colonna nella quale fu

Assessore all’Ufficio III-Imposte e Tasse. Dopo Colonna la sua

esperienza nel campo economico-finanziario gli procurò la nomina

come Assessore all’Ufficio VII-Polizia Urbana e Delegazioni, nell’

amministrazione Apolloni.

Il 26 giugno 1922 divenne sindaco di Roma e nei giorni della

marcia su Roma, consegnò le chiavi della città alle camicie nere, e

questo gli valse la fama di devoto al Duce12. Dopo lo scioglimento del

consiglio comunale elettivo, il 2 marzo 1923, e dopo le dimissioni da

Sindaco il 2 marzo dello stesso anno, dal capo del governo venne

designato Regio Commissario ed il 19 aprile fu nominato Senatore del

regno, incarico che terrà fino alla morte avvenuta nel 1942. Da regio

Commissario della città di Roma riuscì ad ottenere il pareggio del

bilancio e a dotare la città di nuove infrastrutture e di una rete di

servizi più efficiente13. Ma occorreva affrontare il problema della casa,

vero banco di prova del regime. Riguardo all’emergenza abitativa

Roma da decenni aveva tra i suoi problemi più gravi una forte

immigrazione e quello della presenza sul suo territorio di alloggi

11 Nota il commento di Italo Insolera: “Viene creato il Governatorato di Roma, dipendente direttamente dal Ministero degli interni, tenuto allora da Luigi Federzoni, amico di Cremonesi e leader di quella Unione Romana che nel 1914 aveva sconfitto Nathan ed era poi confluita nel Partito nazionale fascista. Difficile però non notare la coincidenza col fatto che Mussolini pochi giorni prima aveva assunto personalmente il Ministero degli interni, prima tenuto da Federzoni che -come abbiamo spiegato - era un grande protettore di Cremonesi”. I.Insolera, Roma fascista, Roma 2001, p.272. 12 Precedentemente erano intercorsi colloqui tra il sindaco e il capo degli squadristi fascisti, Gino Calza Bini. Sull’argomento vedi M.De Nicolò, Il Campidoglio liberale, il Governatorato, la Resistenza, in V.Vidotto, Roma Capitale, Bari 2002. Cremonesi entrò nel Partito Nazionale Fascista l’1 agosto 1922. 13 Sulla sua storia politica come sindaco prima e Regio Commissario poi vedi P.Salvatori, op.cit. pp.12-24.

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abusivi e di baracche. Cremonesi sviluppò una politica di alleanze con

l’Istituto Case Popolari -entrato in funzione nel 1903- al quale affidò

la costruzione di alloggi popolari per le classi più disagiate14. L’Istituto

nel periodo fascista intensificò la sua attività e si trovò a costruire

accanto a due altri enti: l’Istituto delle case per i dipendenti del

Governatorato15 e l’Istituto Nazionale per le case degli impiegati dello

Stato, che elaborarono il concetto di “casa economica”16, di livello

superiore a quello della casa popolare17.

Cremonesi, da Regio Commissario, entrò a far parte della

Commissione, istituita nel 1923 e presieduta dall’architetto Manfredo

Manfredi, direttore dei lavori per il completamento della fabbrica del

Vittoriano, che aveva il compito di studiare la riforma del piano

regolatore di Roma dal momento che quello del 1909 appariva

superato18. La Commissione, al termine dei lavori, elaborò la

“Variante generale” che fu completata nel 1925-2619.

In quegli anni Mussolini accentuò, in campo edilizio, una politica

di sostegno e incentivo dell’iniziativa privata con alcuni provvedimenti

statali che riguardavano il parziale sblocco dei fitti, l’esenzione

venticinquennale dell’imposta sui fabbricati, l’abolizione della tassa

14 Sull’Istituto Case Popolari e la politica di Cremonesi vedi V.Fraticelli, Roma 1914-1929. La città e gli architetti tra la guerra e il fascismo. Roma 1982. 15 Dal 1920 erano state concesse dal Comune all’Istituto Cooperativo per le case dei dipendenti comunali alcune aree fabbricabili nella città. 16 Sulla storia dello sviluppo della città e le diverse tipologie edilizie utilizzate vedi A.Clementi, F.Perego, La metropoli spontanea, : il caso di Roma : 1925-1981: sviluppo residenziale di una città dentro e fuori dal piano , Bari 1983. 17 Sulla storia ed il ruolo dell’I.N.C.I.S. vedi M.Sanfilippo,Le tre città di Roma. Lo sviluppo urbano dalle origini a oggi, Roma-Bari 1993, pag.30. 18 La Commissione era composta da Cremonesi, Manfredi, dal responsabile dell’Ufficio tecnico del Comune l’architetto Rodolfo Bonfiglietti, dagli architetti Gustavo Giovannoni e Marcello Piacentini, Guido Cipriani, Luigi Cozza, Massimo Settimi, Ghino Venturi. Sull’argomento vedi I.Insolera, Roma moderna. Un secolo di storia urbanistica, cit., pp-116-119; V.Vidotto, Roma Contemporanea,cit., pp.189-190; P.O.Rossi, Roma. Guida all’architettura moderna 1909-2000, Roma-Bari 2003, pp.39-41. 19 Sulla Variante e sul dibattito per un nuovo assetto della città vedi: I.Insolera, Roma moderna. Un secolo di storia urbanistica, cit, pp.116-119; V Fraticelli, op.cit., pp.357 sgg..V.Vidotto, Roma contemporanea, cit.pp.188-189.

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sulle aree fabbricabili, introdotta da Giolitti nel 1907. L’azione del

Governatorato di conseguenza si configurò “come mediazione tra gli

interessi della proprietà fondiaria e le spinte produttivistiche dei

gruppi imprenditoriali”20.

Cremonesi già da Regio Commissario aveva visto con favore

questa politica di sostegno all’edilizia privata e non aveva mancato di

sottolineare in una relazione presentata alla vigilia della sua nomina a

Governatore:

“E’ certo che fra tutti i modi con cui lo Stato ha inteso incoraggiare la

ripresa edilizia (esonero dalle tasse ipotecarie, di registro e bollo;

facilitazioni per l’acquisto dei terreni fabbricabili e per le provviste dei

materiali; finanziamento e aiuti diretti alla costruzione; provvidenze

riguardanti la rapida esecuzione dei lavori e la coordinazione di essi

con quelli pubblici) quello dell’esenzione dall’imposta fabbricati si è

dimostrato il più forte e il più efficace. Grazie ad esso l’attività edilizia

dei privati[…]si accresce notevolmente nel triennio 1923-1925[…]Si

avrebbe un totale per l’anno 1925 di circa 50.000 vani.[…]Tali

risultati sono davvero confortanti e dimostrano che ormai i capitali,

sia dei grandi industriali sia dei piccoli risparmiatori, si rivolgono

verso gli investimenti edilizi, che sono ancora nella nostra città i più

lucrosi e rispondono a criteri di indiscutibile utilità

sociale[…]L’accelerato ritorno della fabbricazione di questi ultimi

tempi ha condotto senza dubbio ad un miglioramento della crisi delle

abitazioni ed è facilmente prevedibile che se questo non subirà una

interruzione o un arresto, si arriverà fra non molto ad eliminare

definitivamente quella sproporzione fra la domanda e l’offerta degli

alloggi che costituisce la causa della gravissima crisi”21.

Questa relazione con la quale Cremonesi chiedeva una proroga

delle agevolazioni fiscali per le imprese edilizie, fu, in un certo senso,

20 D.Colasante, 1925-1981:la città legale.in A.Clementi, F.Perego, La metropoli spontanea, cit. 21 F.Cremonesi, L’amministrazione straordinaria del Comune di Roma nel biennio 1923-24, Roma 1924.

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il programma della sua amministrazione. Cremonesi,

nell’amministrare la città, si assunse, in modo diretto, la gestione

della politica di razionalizzazione dell’espansione urbana della città

con la creazione di un sistema nuovo di alleanze tra imprenditoria

privata e proprietari delle aree urbane che erano soprattutto

esponenti dell’aristocrazia romana, dell’alta borghesia, del mondo

ecclesiastico e delle grandi società immobiliari. L’orientamento di

separare la proprietà fondiaria dalla gestione della politica delle

costruzioni sarà, del resto, la linea prevalente della politica

governatoriale degli anni successivi. Sotto l’amministrazione

Boncompagni il nuovo Piano regolatore del 1931 assolverà questo

compito, assegnando alla programmazione politica e imprenditoriale

le decisioni di riordino e sviluppo edilizio della città22 anche attraverso

lo strumento dell’esproprio. L’esproprio già negli anni di Cremonesi

aveva preso l’avvio, ma in modo equilibrato, tanto da far scrivere a

Virgilio Testa, direttore amministrativo della V ripartizione, nella

relazione sull’attività relativa agli anni 1925-1926:

“I cospicui risultati raggiunti sono documentati nelle relazioni ufficiali

del R. Commissario e il tatto e la prudenza con cui è stata usata

l’arma dell’esproprio per indurre i possessori di aree fabbricabili a

costruire sono dimostrati dal fatto che non si è manifestato mai alcun

movimento di resistenza, che pure si aveva motivo di temere e la cui

possibilità fece sempre desistere le passate Amministrazioni elettive

dall’applicare la citata legge 1907”23

Probabilmente, proprio la lunga esperienza di Cremonesi e la

sua visione moderna dello sviluppo della città lo candidò ad essere

22 Su quest’argomento vedi M.Sanfilippo, La costruzione di una capitale…cit., pag.147. 23 ACS, Carte Virgilio Testa, scatola 25, relazione di Virgilio Testa al Segretario Generale Mancini, s.d.

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confermato alla guida del Campidoglio il 28 ottobre 1925. I quotidiani

del tempo riportarono la sua elezione con toni celebrativi e diedero

risalto all’inizio del suo incarico da Governatore24. Egli nel

telegramma di risposta alla nomina dichiarò a Mussolini la sua fedeltà

e si autodefinì un mero interprete della volontà del capo del

governo25.

Mussolini intendeva lanciare Roma come capitale della nuova

Italia fascista e ne faceva un luogo di approdo di rapporti

internazionali. Esigeva da Cremonesi efficienza e rapidità nell’eseguire

i compiti affidatigli:

“Caro Senatore, fra il 15 e il 25 aprile saranno a Roma 300 deputati

di parlamenti di tutto il mondo, per un loro congresso. Occorre che

per il 21 aprile ci sarà (sic) il Foro di Augusto pronto e la ferrovia

elettrica Roma–Ostia anche perché il programma contempla appunto

una gita al mare di Roma”26.

I lavori al Foro di Augusto erano iniziati nel 1924 con la

demolizione della Chiesa della SS. Annunziata ai Pantani, ma la

sistemazione dell’area archeologica (con la creazione di Via

dell’Impero) si sarebbe realizzata solo nel 1932. La ferrovia Roma-

24 “Il Popolo d’Italia” ,venerdì 1 gennaio 1926, descrisse lungamente la”superba cerimonia d’insediamento” del Governatore. Anno XIII.Num.1. 25 “Chiamato ad assumere per la prima volta l’altissima funzione di Governatore di Roma, invio al primo ministro capo del Governo e duce del fascismo il mio reverente saluto affermando che ogni mio atto ed intendimento sarà interprete fedele della sua volontà unicamente intesa a restaurare le nostre fulgide tradizioni e a rinnovare con la gloria di Roma la potenza d’Italia”. Telegramma dell’1 gennaio 1926. Mussolini rispose il 3 gennaio: “Ricambio cordialmente Suo cortese saluto confermando mia fiducia che V.E. interprete della volontà del Governo Nazionale, saprà, con opera solerte e sagace, dare a Roma il fasto dell’antico splendore e della nuova potenza”. ACS,PCM,1925, b.806,f.1.6.1.3580. 26 Lettera di Mussolini a Cremonesi, 26 gennaio 1925. ACS, Autografi del Duce, scatola 2.

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Ostia, invece, fu completata, ed il 21 aprile 1925 venne inaugurato

l’esercizio a trazione elettrica e il doppio binario.

Filippo Cremonesi venne nominato Governatore nell’ottobre

1925 e restò nella carica fino al dicembre 1926 (facendo seguire le

sue dimissioni a quelle del Segretario Generale, Alberto Mancini).

Negli anni da Sindaco prima e da Commissario Regio poi,

Cremonesi aveva contribuito alla riflessione sul nuovo ordinamento

della capitale, questione che si era aperta subito dopo l’Unità e che

tendeva alla ricerca di un assetto nuovo del rapporto stato-città27.

Mussolini riceveva sollecitazioni a richieste da parte di cittadini che

chiedevano un nuovo assetto amministrativo che facesse superare le

incertezze e le pastoie burocratiche dell’organizzazione post-bellica. Il

fascismo, dunque, raccolse anche le aspettative di una parte

dell’opinione pubblica che auspicava una riorganizzazione

dell’amministrazione dello stato ed una sua modernizzazione28. Di

certo raccolse il contributo di Cremonesi e dei suoi collaboratori che

durante l’amministrazione straordinaria precedente il Governatorato,

avevano elaborato e presentato proposte di riforma

dell’amministrazione comunale romana29.

Per tracciare alcune linee della storia del Governatorato di

Roma, possiamo dire che esso subì modificazioni e ripensamenti.

L’istituzione del Governatorato venne decisa nella riunione del Gran

Consiglio del 16 marzo 1923 dove Mussolini affermò che “il governo

fascista presenterà per la nuova Italia una nuova Roma Imperiale”30.

27 R.Segatori, I sindaci:storia e sociologia dell’amministrazione locale in Italia dall’unità a oggi, Roma 2003. 28 ACS, Min.Interno (d’ora in poi MI), Dir.Gen.Amm.Civ (d'ora in avanti DGAC)., Comuni, b.1907. Sulla politica di riorganizzazione di Mussolini vedi R.De Felice, Mussolini il fascista. L’organizzazione dello stato fascista (1925-1929), Torino 1995, pp.223-224 29 Regio Decreto Legge 28 ottobre 1925, n.1949. 30 B.Mussolini, Opera Omnia, XIX, p.178

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La legge31, al suo nascere, prevedeva un Governatore, due

Vicegovernatori, dieci rettori, ottanta consultori. La nomina spettava

al Ministro dell’Interno. Ma dopo i primi anni l’amministrazione venne

riformata. Il 10 giugno 1926 un decreto reale rimandò a tempo

indeterminato l’insediamento della Consulta e il 9 dicembre dello

stesso anno vennero aboliti i vicegovernatori ed i rettori. Tutto il

potere restò nelle mani del Governatore, coadiuvato da un segretario

generale. Paola Salvatori, nel suo libro sul Governatorato di Roma,

evidenzia bene come con la legge del Governatorato il bilancio della

città venne inserito nel bilancio dello stato ma questo non garantì una

maggiore disponibilità di risorse finanziarie perché nella legge non

veniva precisata la misura dei finanziamenti. Questo nodo centrale

del rapporto città-stato fa emergere una situazione di conflitto non

risolto, nonostante i proclami di Mussolini sull’importanza di Roma per

il regime. Si concorda nell’affermare che di certo non vi fu un

sostegno significativo al bilancio comunale da parte dello stato. Di

certo non commisurato alle esigenze che la capitale rappresentava. Il

fascismo al riguardo non tenne fede all’impegno che aveva dichiarato

di voler assumere nei confronti della capitale, cronicamente afflitta da

problemi di bilancio. Solo dopo il 1927, quando iniziarono le grandi

opere di ristrutturazione volute da Mussolini, il contributo fu

determinato.

Filippo Cremonesi fu figura controversa. Appassionato d’arte,

amava la terra sabina e coltivava il desiderio di soggiornarvi. Comprò,

per questo, il castello di Orvinio e si dedicò allo studio della sua

storia32. Entrò in contatto con don Agostino Zanoni, priore

dell’Abbazia di Farfa negli anni del fascismo, scienziato e pensatore.

Rimase sempre legato all’Abbazia e questo legame lo portò alla

31 Vedi P.Salvatori, op. cit.,pag.24 32 F.Cremonesi, Il castello di Orvinio, Roma 1935.

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decisione di promuovere la fondazione di un istituto di beneficenza.

Infatti, nel suo testamento, lasciò tutti i suoi beni all’Abbazia perché

realizzasse un istituto per ragazzi bisognosi33. Emerge, da alcune note

biografiche di suoi contemporanei, questa attenzione alla realtà dei

minori in condizioni di bisogno: nei primi mesi del suo Governatorato

intervenne, infatti, con alacrità nel settore dell’infanzia disagiata. "La

Civiltà Cattolica", che riportò la notizia della sua elezione, scrisse:

“Il Senatore Cremonesi era ben noto in Campidoglio. Ha sempre

professato una particolare tenerezza per l’infanzia bisognosa di cure

ed in questo campo non ha trascurato di adottare, nei limiti delle

risorse dell’erario comunale, provvidenze dirette a soccorrere tali

bisogni”34.

La sua elezione a Governatore della città si collocava in

continuità con la sua gestione municipale del passato, eppure egli

vedeva la necessità di una più decisa politica industriale che avrebbe

dovuto trasformare e modernizzare la città di Roma. Suo fu il

progetto per realizzare concretamente una direttrice industriale che,

partendo dal quartiere romano di Testaccio arrivasse fino al mare con

la creazione del porto di Ostia35.

33 Nacque per sua volontà la Fondazione "Istituto Filippo Cremonesi" che dal 1993 è divenuto una Fondazione di diritto privato, il cui Presidente è, per specifica volontà di Cremonesi, il Priore dell’Abbazia benedettina di Farfa. 34 "La Civiltà Cattolica", 1926, pag.184 Il Governatore aprì una colonia per minori ammalati di tubercolosi ad Ostia che via via ampliò. Quando le risorse finanziarie del Governatorato non bastavano si adoperava per trovare fonti di reddito non ufficiali. Nel luglio 1926 scrisse a Mussolini per ottenere l’autorizzazione a vendere, in occasione del settecentenario di San Francesco d’Assisi, cartoline artistiche con un messaggio del duce,a favore della colonia marina. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Suardo, il 31 luglio rispose a Cremonesi che il Capo del Governo consentiva la vendita delle cartoline purché “la vendita stessa non venga assolutamente fatta in luoghi pubblici e comunque in giro” ACS,PCM,1926,b.889.f.1.6.1.2793. 35 Il progetto di dotare la città di Roma di un porto marittimo era stato oggetto di attenzione anche delle amministrazioni precedenti. Nel 1904 era stato creato un Comitato pro-Roma marittima dall’ingegnere Paolo Orlando come espressione dei progetti per lo sviluppo economico del litorale ostiense. Il suo programma

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2.Rapporti con la Santa Sede

Per il fascismo la presenza di Cremonesi rappresentava anche un

ponte con il mondo vaticano oltre che con quello degli affari. Del resto

la sua nomina tranquillizzava anche la Santa Sede che a Roma

intendeva procedere con cautela nelle relazioni con il regime.

Cremonesi era fratello di quel Carlo, Arcivescovo titolare di

Nicomedia, nominato Delegato Pontificio di Pompei il 12 marzo 1926,

poi elevato al rango di cardinale da Pio XI nel concistoro del 16

dicembre 1935. Il rapporto con il fratello fu un vero sodalizio che lo

accompagnò durante tutta la sua carriera politica.

In quegli anni di avvio della Roma fascista, il mondo delle

congregazioni religiose era in fermento. Da molte parti si nutrivano

dubbi sull’effettiva disponibilità del duce verso la Chiesa di Roma e si

avevano preoccupazioni per le sorti del patrimonio immobiliare

ricostituito dalle congregazioni presenti nella città. Roma era stata,

fino al 1873, sede delle case generalizie delle diverse famiglie

religiose ed esse intendevano continuare a provvedere

all’ampliamento dei beni ecclesiastici necessari alle opere cattoliche.

La politica fascista avrebbe rispettato la proprietà ecclesiastica o

avrebbe avviato una lenta ma inesorabile riduzione delle proprietà

religiose?

Filippo Cremonesi poteva rappresentare, con le sue conoscenze

in Vaticano, un interlocutore e mediatore sensibile alle problematiche

della Chiesa. La scelta di metterlo alla guida della città era parte del

prevedeva la creazione di un porto marittimo per la capitale. Per accelerare questa realizzazioni nel 1919 era stato creato lo SMIR. Tra il 1914 e il 1919 si muovono i primi passi per la approvazione della costruzione della ferrovia Roma-Ostia, del porto e del canale navigabile. I lavori della ferrovia iniziano subito e la realizzazione del nodo ferroviario determinerà la proiezione di Roma verso il mare.

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disegno di Mussolini di ottenere il sostegno del Vaticano e porre

premesse alla risoluzione della questione romana rimasta aperta. Il

nuovo Governatore, per parte sua, era sinceramente legato agli

ambienti vaticani dove godeva di stima e familiarità alle quali

corrispondeva con cortesia.

Inviava infatti regolarmente relazioni e doni alla Segreteria di

Stato e nel momento delle dimissioni, il card. Segretario di Stato, gli

scrisse per testimoniargli la simpatia della Santa Sede. Cremonesi,

del resto, già da Commissario Regio, aveva intessuto rapporti regolari

con la Chiesa. La sua visita del 12 marzo 1923 al Vicario di Roma,

card. Pompilj viene messa in risalto dall’organo dei Gesuiti "La Civiltà

Cattolica"

“Richiesto al Vaticano se essa (la visita) verrebbe accettata…fu

risposto di sì, tanto più che l’Ec.mo card.Vicario conosce

personalmente la famiglia del Regio Commissario, purché però si

trattasse di visita privata”36.

"La Civiltà Cattolica" seguì con attenzione l’ascesa e l’attività

politica del nuovo Governatore37 e non mancò di scrivere sugli

avvenimenti più significativi della sua attività. Cremonesi, nei primi

mesi di governo della città di Roma, ripristinò l’antica usanza di

presenziare alle cerimonie religiose ufficiali della capitale. Lo stesso

giorno del suo insediamento in Campidoglio egli si recò, dopo la

cerimonia civile al Comune, nella Chiesa del Gesù, al Te Deum

presieduto dal card. Pompilj “con il quale s’intrattenne in

cordialissimo colloquio” come annota "La Civiltà Cattolica"38. In

36 "La Civiltà Cattolica", 1923, 2, p.77. La stessa rivista riporta che il 17 marzo dello stesso anno il card. Pompilj restituì la visita. 37 "La Civiltà Cattolica" non mostrò la stessa attenzione nei riguardi del successore al Campidoglio, Ludovico Spada Potenziani, che non compare mai negli articoli della rivista. 38 "La Civiltà Cattolica", 1926,1, 184.

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questo avvenimento la rivista cattolica lesse un atto di omaggio a Pio

XI, che aveva ammonito del dovere di “venerare pubblicamente

Cristo e di prestargli ubbidienza[dovere] che stringe non solo i privati

ma anche i magistrati e i governanti”39.

Cremonesi non mancava di segnalare, con molteplici gesti, la

sua devozione alla Santa Sede, adoperandosi ad esempio, perché

fossero riportati i simboli cristiani sui monumenti più importanti della

città. Fece scalpore la ricollocazione della croce al Colosseo, rimossa

dalle autorità civili cinquant’anni prima, insieme alle edicole dei santi

presenti nell’anfiteatro40, avvenimento seguito con emozione da una

grande folla di romani41. Appena nominato Governatore inviò a Pio XI

una relazione sulla sua attività da Regio Commissario, gesto di

cortesia e rispetto verso le autorità vaticane42.

Il Segretario di Stato, Cardinale Gasparri, si fece più volte,

personalmente, latore di richieste a Carlo Cremonesi perché, a sua

volta, rappresentasse al fratello Governatore le istanze delle

Congregazioni presenti con le loro case generalizie a Roma43.

La sua frequentazione ed amicizia con esponenti del mondo

ecclesiale era apprezzata e coinvolgeva gli stessi ambienti del

Governatorato. In occasione, ad esempio, della morte di una sorella

39 "La Civiltà Cattolica", ibidem. 40 Queste erano state erette su volontà di Benedetto XIV alla vigilia dell’Anno Santo del 1750 ed erano state rimosse dopo il 1870. Vedi V. Fantuzzi La Via Crucis al Colosseo con Giovanni Paolo II in "La Civiltà Cattolica", 2005, 2, pp.159-166, quaderno 3716. 41 "La Civiltà Cattolica", 1926, 4, p.268. 42 Filippo Cremonesi scrive al fratello Carlo: "Caro Carlo, ti prego di voler fare omaggio, in mio nome, a Sua Santità dell’unita copia della Relazione da me presentata al Governo al termine della gestione di Regio Commissario per la città di Roma". ASV, Segreteria di Stato, Stati,1926, rubrica 351. 43 Il 31 maggio 1926 Gasparri invia a Mons. Carlo Cremonesi, allora Elemosiniere Segreto del papa, la richiesta delle Francescane Missionarie di via Giusti a Roma, che intendevano regolarizzare l’acquisto di alcuni immobili da esse utilizzati, in ASV, Segreteria di Stato, 1926, rubrica 1, fasc.1.

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del defunto papa Pio X anche la stampa laica sottolineò la sua

partecipazione al lutto della famiglia Sarto44.

Non sempre, però, egli rispose alle aspettative del mondo

ecclesiastico, soprattutto quando le richieste che gli pervenivano da

parte delle Congregazioni confliggevano con gli interessi del

Governatorato. Durante l’anno 1926 si sviluppò una polemica con

l’Ordine dei Camillini. La Congregazione alla quale era affidata la

Parrocchia di S.Camillo De Lellis intendeva rientrare in possesso dei

locali dell’ex Convento della Maddalena utilizzata dalle scuole del

Governatorato. La trattativa con l’organismo capitolino non aveva

dato risultati e, dopo le dimissioni di Cremonesi, il Parroco, Padre

Nazareno Capoccetti, con un certo sollievo, scrisse a Mussolini:

"Da tre anni si discute tra il Governatorato e il Fondo Culto.

Dopo le pressioni fatte al Senatore Cremonesi da S.E. Thaon De

Revel, dal Senatore Montresor, da S.E.l’on.Rocco e soprattutto da

V.E., il Governatore di allora, Cremonesi, inviò alla Maddalena due

funzionari per un abboccamento con quelli del Fondo Culto. E infatti il

sopralluogo fu compiuto dai suddetti signori pochi giorni prima che

Cremonesi cessasse dalla carica[…]Ora che il Primo Governatore poco

benevolo a nostro riguardo, si è ritirato ed è stato chiamato da V.E. il

Principe Potenziani molto ben disposto per noi perché conosce e stima

i PP. Camillini da quando era a Rieti, ove abbiamo una Casa, noi tutti

osiamo pregare l‘E.V. onde Ella intervenga efficacemente presso il

nuovo Governatore affinché sia data tutta la parte della casa rimasta

libera dalle scuole comunali"45.

44 "La signora Maria Sarto ha fatto pervenire al Governatore di Roma una fotografia del fratello S.S.Papa Pio X munita di una dedica nella quale sono espressi al senatore Cremonesi i sensi di gratitudine della famiglia Sarto, per la partecipazione generosa ed inappuntabile presa dagli uffici del Governatorato in occasione dei funerali della scomparsa signora Anna Sarto". "Il Messaggero", 7 aprile 1926, p.6. 45 Lettera del Parroco di S.Camillo De Lellis, Padre Nazareno Capoccetti a Mussolini, 18 gennaio 1927. ACS, PCM,1927, b.1000.

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3.Realizzare una nuova Roma.

Il Governatorato di Cremonesi vide l’avvio dell’opera di

trasformazione della città, voluta da Mussolini. Furono iniziate le

prime demolizioni per risistemare la zona dei Fori e dei mercati

Traianei. Cremonesi aderì pienamente al progetto fascista, anche se

nutriva una qualche preoccupazione riguardo alla tutela dei beni

artistici interessati al piano di ridefinizione della città. In una relazione

sul nuovo Piano Regolatore espresse la sua perplessità:

"In questi quartieri di origine antica e dove abbondano le preziosità

architettoniche, non è tanto dalla distribuzione e modificazione che

deve sorgere la bellezza ed ottenere l’assetto, quanto dai restauri e

dai ripristini che in parte verranno promossi dall’Amministrazione, in

parte si spera verranno eseguiti dagli interessati. Un nuovo spirito di

rispetto per le antiche costruzioni aleggia sulla città"46.

In quegli anni si era formata una classe di architetti che

affiancava Mussolini nella sua opera riorganizzatrice della città, i

cosiddetti "sventratori di Roma"47. Egli, per parte sua, intendeva

affermare una visione dell’assetto cittadino che non sempre

corrispondeva ai desideri dei più autorevoli architetti dell’epoca, con i

quali talvolta vi erano tensioni e dissapori, tanto che egli fu accusato

a più riprese dall’architetto Giovannoni48 (che pure non era

46 Relazione di Cremonesi alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, s.d., ACS,PCM, 1927, b.1017. 47 A.Cederna, Mussolini urbanista. Lo sventramento di Roma negli anni del consenso, Torino 1979. 48 Gustavo Giovannoni (1873-1947) fu uno dei più influenti architetti nell’ambiente culturale romano. Dal 1923 partecipò a numerose commissioni di studio per lo studio della riforma del piano regolatore della città di Roma. Il suo nome è legato, tra gli altri, alla progettazione dei quartieri romani di Monte Sacro e della Garbatella. Contrario allo sventramento di Borgo elaborò per il risanamento del quartiere del Rinascimento il criterio del “diradamento” secondo il quale occorreva procedere ad abbattimenti nel senso della altezza e della densità degli edifici esistenti, cercando di non stravolgere la struttura urbanistica preesistente. Su di lui

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"sventratore") di volere una città banale perché "non è questa la

Roma auspicata dal Duce, ma una Roma di ordinaria

amministrazione, a cui bisogna sostituire concezioni di sano ed

ordinato avviamento tecnico, di più largo respiro artistico"49.

L’adesione di Cremonesi al mito fascista della Roma imperiale

non era disgiunta dall’idea di un movimento modernizzatore che la

collocasse tra le più importanti capitali europee. Ma occorreva creare

non solo monumenti e realizzazioni urbanistiche. L’idea di grandezza

doveva arricchirsi di un pensiero e di una riflessione. Doveva divenire

cultura rinnovata. Era funzionale a questo la creazione di una rivista

capitolina che ospitasse riflessioni e approfondimenti sulla città, che

creasse consenso, veicolando le informazioni considerate importanti.

Cremonesi così sentiva la funzione di Capitolium e con questo

spirito ne inaugurò il primo numero50. Nell’editoriale affermava che la

rivista voleva essere “parte integrante dell’opera di rinnovamento”

perseguita dall’Amministrazione cittadina51. Egli, del resto, dalle

pagine della rivista non mancò di far pervenire al governo proposte

riguardo alle grandi questioni nazionali, quali la "battaglia del grano".

Cremonesi, consapevole dell’importanza del suo ruolo, intuì che

il suo lavoro doveva essere sostenuto da validi collaboratori e,

nominato Governatore, confermò al suo fianco Alberto Mancini, già

vedi M.Zocca, L’urbanistica romana dal 1870 al 1945, in Unione Romana Ingegneri e Architetti, La Terza Roma, Roma 1971, p.27. 49 Lettera di Giovannoni a Mussolini, s.d. ACS,PCM,1927, busta 1031, f.7.2.464. 50 La rivista uscita nel 1925, fu ampiamente apprezzata anche dai più agguerriti oppositori di Cremonesi. Il massone Guido Laj, suo acerrimo avversario politico,ad esempio scriveva: “Non v’è dubbio che la rivista “Capitolium” sia una bella cosa, degna dei futuri destini di Roma imperiale;[...]Sappiamo che il leggerla è cosa utile a noi, sia per le notizie che porta, e sia perché rivela lo stato di spirito dei nostri reggitori” in Il problema edilizio, in “Il Mondo”, 1925, 4. 51"[…]L’esperienza ci ha mostrato più volte che molte disposizioni amministrative hanno scarso effetto pratico se non trovano nell’opinione pubblica un riconoscimento della loro opportunità, una risonanza di consenso; esse esigono una consapevole collaborazione da parte di chi si sente parte di un tutto e a questo sentimento deve informare l’opera propria", in "Capitolium", 1926, 1, pp.1-2.

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suo collaboratore negli anni del Commissariamento della città di

Roma, che venne, infatti, nominato Segretario Generale del

Governatorato l’1 gennaio 1926. Mancini, esperto conoscitore dei

problemi di gestione della città, dal 1921 aveva ricoperto la carica di

Segretario Generale ed aveva elaborato nel 1923 un memoriale nel

quale sollecitava lo Stato all’adempimento dei suoi doveri verso la

capitale. Egli vedeva Roma in due prospettive: capitale del Giovane

Regno e del Papato, ma pure metropoli in rapida espansione, idea

questa espressa nel memoriale scritto alla fine dell’anno, prima di

rassegnare le dimissioni ("Per dare a Roma assetto di capitale"), nel

quale esplicitò il fabbisogno finanziario della città da lui fissato a 85

milioni annui di spese per esercizio)52. Mancini intendeva

salvaguardare un livello di autonomia della città che la mettesse in

grado di controllare e gestire i processi di crescita e di espansione che

l’avevano investita nei primi anni del Novecento. Cremonesi pareva

concordare con questa impostazione e rilevava la necessità di definire

l’apporto dei contributi statali necessari allo sviluppo della città,

uscendo dalla consuetudine di richieste occasionali e alla selva di

contrattazioni con il governo. Roma come capitale aveva il diritto di

essere sostenuta in modo organico, nel suo compito di capitale, dallo

Stato. Cremonesi sembrò appoggiare, almeno ufficialmente, l’idea di

riforma dell’amministrazione della città espressa da Mancini e

credette alla possibilità che l’avvento del fascismo avrebbe potuto

fare di Roma una capitale moderna, significativa a livello

internazionale. Nel suo Governatorato si avvalse dell’opera di uomini

come Virgilio Testa che, in qualità di direttore amministrativo della V

Ripartizione, organo di gestione e di controllo dell’attività edilizia,

52 F. Mancini Lapenna, In Campidoglio con Alberto Mancini, Firenze 1958.

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aveva anch’egli proposto di assegnare più responsabilità ed

autonomia alla capitale, rispetto allo Stato53. L’ attività di Testa si

esplicitò nel piano di riordino dell’organizzazione amministrativa della

municipalità che fu avviato in quegli anni e che realizzò una decisa

riduzione del personale ed una contrazione delle Ripartizioni. La V

Ripartizione aveva riassorbito una miriade di uffici tecnici,

precedentemente preposti a questa attività54. La razionalizzazione

dell’amministrazione pubblica, in questo settore, corrispondeva alla

necessità di inaugurare una gestione più diretta e accorta della

politica di urbanizzazione nella città, di cui occorreva ridefinire la

realtà territoriale e l’assetto futuro. Sull’argomento è disponibile una

ricca parte di letteratura che analizza la politica di urbanizzazione.

Erano gli anni dell’elaborazione del nuovo Piano regolatore e per

questo si era costituita, nel 1923, una commissione a cui partecipava

lo stesso Cremonesi, insieme a funzionari del Comune e famosi

architetti dell’epoca55. Egli aveva cercato di riorganizzare e

regolamentare l’assetto urbanistico della capitale con la Variante

1925-1926 al Piano Regolatore del 1909. Essa, però, nel momento

dell’attuazione, era stata investita da molteplici ricorsi ed

emendamenti che ne avevano bloccato l’esecuzione. Sarebbe stata

sbloccata sotto l’amministrazione di Ludovico Spada Potenziani, suo

successore, che avrebbe esaminato in sei mesi tutti i ricorsi, avrebbe

formulato le conclusioni e avrebbe adottato la variante nella versione

definitiva.

Ma per fare grande Roma, Cremonesi pensava che occorresse

costruire anche una ritualità celebrativa, segno della presenza della

53 Associazione dei Comuni italiani, Terzo congresso internazionale della città, Parigi 28 settembre-4 ottobre 1925, La politica fondiaria dei Comuni e la sua influenza sul problema delle abitazioni, relatore Virgilio Testa, Roma 1925, p.24. 54 Sul riordino amministrativo del Governatorato vedi P.Salvatori, op. cit.,pp.21-23. 55 Erano Rodolfo Bonfiglietti, Guido Cipriani, Luigi Cozza, Gustavo Giovannoni, Manfredo Manfredi , Marcello Piacentini, Massimo Settimi, Ghino Venturi.

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Roma civile accanto alla Roma religiosa e, per questo, nutriva la

convinzione di dover dare il suo contributo intellettuale e tecnico alla

realizzazione di una nuova grande città.

In una lettera del 1926 a Mussolini non mancava di sottolineare

che

"Roma ha la consapevolezza della sua forza di attrazione quale

capitale d’Italia non meno che come sede del papato. E pertanto

vorrebbe che allo stesso modo come sono organizzati gli avvenimenti

religiosi si pensasse a una metodica valorizzazione dei sentimenti

della Patria concretandone la estrinsecazione in celebrazioni che

attirassero visitatori in Roma per la presentazione di omaggi al Re o

al Capo dello stato e per un rito di devozione verso il Milite Ignoto"56.

Molti hanno scritto sulla politica urbanistica del fascismo e sulle

gravi conseguenze che ebbe per larga parte della popolazione,

costretta a spostamenti forzati dalle proprie zone di residenza.

Politica di emarginazione delle classi meno abbienti finalizzata

all’obiettivo ultimo di riservare il centro della città ai fasti della Roma

imperiale. In quegli anni furono ampliate diverse zone del centro

storico e si costruirono alcune borgate57. Il governatore Cremonesi si

trovò a gestire l’avvio di questo programma e, con il suo spirito

pratico e imprenditoriale, si rese conto che la realizzazione della

Roma voluta da Mussolini era legata al suo risanamento politico ed

economico.

Nel luglio 1926 scrisse un’articolata relazione sui problemi della

città che raccoglieva la sue riflessioni sullo sviluppo futuro dell’Urbe e

che, nonostante il formale tributo di lode al Governo, non era scevra

56 Lettera di Cremonesi a Mussolini s.d. ACS,PCM, 1927, busta 1031, f.7.2.198. 57 Sull’argomento vedi I.Insolera, op.,cit; G.Berlinguer e P.Della Seta, Borgate di Roma, cit; F.Ferrarotti, Roma da capitale a periferia, Bari 1970

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da toni preoccupati perché egli si rendeva conto che si era ancora agli

inizi nell’affrontare i problemi più gravi:

"I provvedimenti dello Stato a favore dell’Urbe si sono concretati sino

ad oggi oltre che nella concessione di alcuni beni, anche in

determinati stanziamenti di bilancio e nel miglioramento di alcuni

servizi quali ad esempio quello della Polizia. Gli stanziamenti di

bilancio sono stati diretti più che altro a risolvere qualche problema

dell’edilizia e della archeologia. Provvedimenti invero di notevolissima

importanza e che allorquando avranno avuto la loro completa

applicazione staranno a dimostrare quale grande interessamento

abbia avuto il Governo per la capitale e quali opere grandiose esso

abbia ideato.[…]Ma né dai provvedimenti concreti, né da quelli

prevedibili per effetto del mutato indirizzo, può attendersi la soluzione

di alcuni grandi problemi che hanno una influenza diretta nella

economia della Città. Voglio alludere in particolare al problema delle

abitazioni per le classi popolari e a quello della rinascita dell’Agro

Romano[…]La costruzione delle baracche che corrisponde a

manifestazioni analoghe proprie degli agglomeramenti delle Grandi

Capitali, ha uno sviluppo maggiore in Roma che in altre città d’Italia.

Le baracche possono essere considerate come la prova di un tentativo

di liberazione di alcune famiglie contro i mali dell’eccessivo

agglomeramento degli abitati popolari. L’Amministrazione attraverso i

numerosi organi di controllo e di indagine ha potuto accertare e può

documentare che le condizioni sono veramente preoccupanti[…]Del

tutto insufficiente è quindi la costruzione di case fino ad oggi seguita,

ancorché queste rappresentino ormai un patrimonio dei più cospicui.

Necessità quindi di impiegare ancora centinaia di milioni per risolvere

il gravissimo problema, per diradare la popolazione, per sostituire i

tuguri antigienici e mortali con case sane e luminose, per abbattere le

baracche, ricondurre la popolazione a vivere civilmente"58.

Era qui espressa l’idea di continuare a lavorare fattivamente

per una città più moderna, ottenendo il risanamento di larghe zone

58 Relazione del 10 luglio 1926 di Cremonesi a Mussolini. ACS,PCM,1927, ibidem

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della città dove erano ancora presenti le gravi realtà di disagio e

povertà del passato, accresciute negli anni recenti, come il problema

dei “baraccamenti” che a Roma in quegli anni erano cresciuti in

modo preoccupante. Infatti la città aveva avuto una crescita

demografica impressionante: il suo incremento medio annuo variava

dal 30 al 37 per mille ed era dovuto per due terzi all’immigrazione59,

fenomeno che il duce non mancava di far risalire, alla crescente

ricchezza della città e al suo sviluppo industriale, che Mussolini aveva

voluto favorire60. In verità, Roma attirava soprattutto lavoratori del

settore edilizio terziario, impiegatizio o addetti al lavoro domestico ed

il suo corpo sociale si andava via via caratterizzando in tal senso;

l’espansione avveniva quindi in modo disordinato anche per la

difficoltà ad integrare la massa dei nuovi arrivati.

L’altro intervento che Cremonesi auspicava riguardava il

risanamento dell’Agro Romano. Egli ne rilevava le carenze

"Non l’opera modesta di singoli, ma quella sapientemente organizzata

e diretta da uno Stato forte e ingigantita attraverso l’impiego di

grandi capitali. Questa opera dovrebbe mirare principalmente a due

coefficienti di maggiore importanza: la estirpazione della malaria e la

irrigazione dei fondi. Sussidiariamente a queste due grandi finalità,

verranno le opere che il Ministero della Economia Nazionale e

Governatoriale già stanno intraprendendo. Il primo con i

frazionamenti della proprietà, gli appoderamenti e le trasformazioni

agrarie; il secondo con la organizzazione di tutti i servizi

pubblici[…]Se l’Urbe oltre a risolvere il problema della sua grandezza

passata presente e futura, conformemente alle opere avviate, e ai

propositi ormai stabiliti, potesse anche risolvere i due grandi problemi

del risanamento sociale delle sue classi popolari e del risorgimento

economico delle sue terre, potrebbe considerarsi all’apice di ogni

59 Gli immigrati passarono da 25.000 nel 1925 ad oltre 38.000 nel 1926. Comune di Roma. Ufficio di Statistica e Censimenti , Roma popolazione e territorio dal 1860 al 1960, Roma 1960. 60 Sull’argomento vedi M.Sanfilippo,op. cit. pag.27.

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realizzazione umana e potrebbe tramandare nei secoli la memoria dei

fatti umani, quali la storia forse non aveva mai veduto"61.

Nella relazione indicava due possibili provvedimenti da

assumere per reperire fonti finanziarie: il primo era la trasformazione

della Cassa di Risparmio di Roma rispetto alla quale vedeva la

necessità di una legge che "modificasse l’ordinamento della Cassa,

avvicinandone la sua gestione al Governatorato e in un certo modo

interessando quest’ultimo nelle sorti dell’istituto". Il secondo

provvedimento riguardava la trasformazione dell’Azienda Elettrica

che “costituisce un altro accumulamento di capitali di notevole

importanza”. Rispetto ad esso egli prefigurava il passaggio lento ma

deciso ad una privatizzazione dell’azienda municipalizzata. Affermava

"[…]Oggi si può pensare che vale meglio indirizzare ogni sforzo ad

una rinascenza economica generale ed al migliorare le condizioni di

vita piuttosto che assicurare il tenue risparmio per qualche

somministrazione di gas, acqua o luce[…] Quando l’Amministrazione

si sia garantita che i prezzi saranno applicati con giusto margine di

guadagno e nulla più, che saranno evitati indebiti arricchimenti e che

un controllo permanente sarà imposto sulle attività dei privati,

saranno in realtà raggiunte tutte le condizioni per poter

tranquillamente pensare ad un trapasso della attività municipalizzata

nelle mani dei privati"62.

Mussolini rispose

"Per la prima questione (Cassa di Risparmio) ritengo possibile ed utile

coordinare in un certo modo l’attività del Governatorato con quella

della Cassa di Risparmio poiché le due istituzioni potrebbero aiutarsi

ed integrarsi a vicenda[…]Quanto all’azienda Elettrica, io sono

favorevole –in tesi di massima- all’alienazione ai privati"63.

61 ACS, PCM,1927, busta 1031, f.7.2.198. 62 ACS, PCM,1927, ibidem. 63 Lettera di Mussolini a Cremonesi dell’11 luglio 1926. ACS,PCM, 1927,ibidem

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La riflessione del Governatore si accompagnava a richieste

sempre più pressanti ai diversi organi dello stato di finanziamenti

adeguati alle esigenze rilevate. Nell’unico anno da Governatore,

Cremonesi scrisse diverse relazioni sulla gestione capitolina, nelle

quali traspariva, seppure in maniera contenuta, la preoccupazione di

non poter contare su finanziamenti maggiori per l’esecuzione delle

opere volute dal duce, il quale, nel famoso discorso del 21 aprile

1924 in Campidoglio, aveva parlato del suo programma per Roma che

avrebbe dovuto affrontare prioritariamente i problemi della

"necessità" e della "grandezza".

Cremonesi lamentò più volte la scarsa disponibilità finanziaria

delle casse comunali, cosa che lo costringeva a rallentare il ritmo dei

lavori nella capitale. Egli scrisse, nel luglio 1926, al Ministro delle

Finanze Volpi di Misurata, evidenziando il problema dell’insufficienza

degli stanziamenti

“Non posso nascondere la dolorosa sorpresa nel constatare la

rilevante falcidia che cotesto Onorevole Ministero vorrebbe portare

alle cifre richieste da questo Governatorato[…]Si viene a limitare

grandemente l’azione di questa Amministrazione e a togliere ogni

possibilità di iniziare con la dovuta celerità il programma di

rinnovamento della città così solennemente annunciato dal Capo del

Governo"64.

Ma Mussolini, impegnato nell’obiettivo di "quota 90", volle che

la spesa pubblica per la capitale si riducesse "nei confini dei 50

milioni, e quando sarà passata la crisi si potrà risolvere il problema.

Nessuno protesterà se il ritmo dei lavori sarà rallentato[…]cinque anni

64 Lettera di Cremonesi a Volpi del 4 luglio 1926. ACS, PCM,1927, b.1031,f.7.2.464.

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che io fissai, possono diventare tranquillamente sei o dieci"65. A Volpi

scrisse

"Ho scritto a Cremonesi, dicendogli che deve accettare le falcidie

portate dalle Finanze al suo Bilancio, anche se dovrà rallentare66 un

poco. Gli ho anche consigliato disfarsi –se necessario- dell’Azienda

Elettrica Municipale, come per Milano".

Cremonesi aveva una sua idea del riassetto cittadino e degli

investimenti necessari ma l’Autorità centrale considerava le sue

pretese eccessive e inadeguate alle risorse disponibili. Iniziò così un

alternarsi di richieste e dinieghi nel quale Mussolini assunse una

posizione ambigua, non volendo, da un lato, creare dissidi e conflitti

con il Governatore, ma non intendendo neppure ridefinire i rapporti di

dipendenza politico-economica tra la capitale e lo Stato.

Cremonesi sempre nel luglio 1926 scrisse a Mussolini,

denunciando la subalternità del Comune alle esigenze dei Ministeri

"Siamo già al settimo mese di gestione e ancora si discute in linea

preventiva intorno alla impostazione delle cifre di bilancio[…]In

questo stato di cose non v’è più modo di amministrare con quella

alacrità e zelo che l’E.V.giustamente desidera[…]L’Amministrazione ha

fatto tutto il possibile per dare allo Stato le più ampie garanzie in

merito all’impiego dei contributi. Essa agisce nell’orbita tracciata dalle

autorità superiori e può dirsi sprovvista di qualsiasi autonomia, tanto

è vero che in molti casi si debbono sostenere spese per volontà

manifestata da questo o quel Ministero, nello stesso modo come

potrebbe essere manifestata a funzionari direttamente dipendenti.

Questa situazione che dovrebbe dare adito all’Amministrazione di

riscuotere la più ampia fiducia da parte d tutti gli organi dipendenti

dalle Amm.ni Statali e far trovare piena accoglienza a tutte le sue

domande, non trova invece riscontro nelle pratiche relative

65 Lettera di Mussolini a Cremonesi dell’11 luglio 1926. ACS,PCM,1927, b.1031, f.7.2.929. 66 Sottolineato nel testo. ACS, PCM, ibidem

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all’assegnazione dei fondi, le quali sono trattate come se l’Amm.ne

fosse completamente estranea alle direttive del Governo e costituisse

un ente separato e escluso dall’espletamento di un programma che

risponde agli stessi interessi statali"67.

Ma Mussolini nutriva preoccupazioni di altro livello, per il

momento di grande difficoltà economica e per le sorti incerte della

lira. Egli così scriveva al Ministro Volpi l’8 agosto 1926:

"La sorte del regime è legata alla sorte della lira. Se la lira precipita

non solo resterà praticamente annullata la mole superba di opere

legislative e politiche compiute dal regime, ma tutte le tendenze

fasciste nel mondo declineranno e saliranno di nuovo le concezioni

democratico-liberali internazionaliste[…]E’ necessario, dunque,

considerare la battaglia della lira come assolutamente

decisiva[…]Siamo peggio del ‘22, ecco la verità[…]Bisogna convincersi

che siamo dinanzi ad un fenomeno di sfiducia del mondo finanziario

internazionale nei confronti della finanza italiana"68.

D’altro canto egli non intendeva arrivare ad un aperto conflitto

col Governatore e per questo scelse di raccomandare agli organi

statali un atteggiamento conciliante almeno nella forma. In una

lettera a Domenico Bartolini, Provveditore Generale dello Stato, ad

esempio, il duce affermò:

"Egregio Commendatore, le rimetto queste note del Governatore di

Roma e la prego di volerle esaminare. Desidero che tutto quanto si

farà a Roma trovi l’assenso del Governatore"69.

67 Lettera del 4 luglio 1926 di Cremonesi a Mussolini. ACS,PCM,1927, b.1031,f.7.2.464. 68 Lettera di Mussolini a Volpi. ACS, Autografi del duce, Cass.zinco, scatola 3. 69 Lettera di Mussolini a Bartolini, 21 luglio 1926. ACS,Segr.Part.Duce (d’ora in avanti SPD),Cart.Ordinario ( d’ora in avanti CO),b.838, f.500.019.

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Il Provveditore, alla richiesta di finanziare la sistemazione di

alcune zone della città, progetto che Cremonesi aveva espresso in

una relazione allegata al bilancio preventivo 1927, avrebbe risposto in

modo negativo alle richieste, per l’impegno economico eccessivo che

avrebbe comportato la loro attuazione

"I propositi espressi in essa relazione sono certamente degni della

massima lode e considerazione, ma l’attuazione di essi a parere dello

scrivente richiederebbe un sacrificio da parte dello Stato non

indifferente ed una fortissima disponibilità di mezzi per il Comune. Il

Governatore propone la costituzione di un grande quartiere a tipo

monumentale nelle aree del Macao. Sembra allo scrivente che il

proposito sia sproporzionato ai mezzi"70 .

Nei mesi successivi la preoccupazione per la speculazione

edilizia che dilagava nei quartieri più periferici spinse il Governatore

ad inviare al Ministro della Giustizia una relazione nella quale

prospettava la necessità di disciplinare le costruzioni alla periferia

della città71. Evidentemente la politica di sostegno e facilitazione

dell’edilizia privata rischiava di sfuggire di mano all’amministrazione.

Cremonesi intese esporre un progetto di regolamentazione della

materia a carattere nazionale. Egli, partendo dall’esperienza romana,

rilevò che

"In località distanti dall’aggregato edilizio esistente si tenta in

tutti i modi di dar corso a costruzioni di tipo popolarissimo che

minacciano di compromettere seriamente il futuro sviluppo della città,

danneggiando frattanto zone panoramiche assai importanti situate

nelle sue adiacenze[…]Inutilmente l’Amministrazione si è affannata a

70 ACS, SPD,CO,ibidem. 71 Relazione di Cremonesi al Ministro della Giustizia, Rocco, novembre 1926. In allegato la relazione conteneva uno schema di decreto-legge. ACS,PCM,1927,b.1017. Tale relazione fu inviata dallo stesso Cremonesi il 9 novembre a Mussolini.

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proclamare che il regime edilizio le dà facoltà di vietare le costruzioni

fuori del Piano regolatore e che esso si varrà di tale facoltà per

impedire il sorgere di nuove borgate alla periferia[…]E’ necessario che

norme speciali vietino la lottizzazione di terreni fuori del Piano e dei

centri urbani, quando questa non sia operata d’accordo e col

permesso dell’autorità municipale, unica competente a giudicare in

quali casi e con quali cautele essa (la lottizzazione) sia possibile senza

che ne scaturisca grave danno per la collettività[…]L’adozione di

norme siffatte è reclamata dall’opinione pubblica[…]ed infatti la

Commissione Edilizia del Governatorato nella seduta del 2 novembre

1926, rilevando i gravi danni arrecati all’ambiente panoramico di

molte zone[…]quali la Pineta Sacchetti, Monteverde Nuovo,

Torpignattara, il Quadraro e altre, ha fatto voti perché disposizioni

legislative vengano sollecitamente emanate per impedire il

perpetrarsi di un inconveniente che minaccia di compromettere

irremissibilmente l’avvenire edilizio della capitale".

Il Ministro della Giustizia scrisse a Mussolini che “la proposta di

Cremonesi è da secondarsi, tuttavia, prima di concretare i

provvedimenti, sarà da vedere se non convenga limitarli, almeno in

un primo momento alle città più popolose, o addirittura alla Capitale”

e comunicò di avere interpellato anche i Ministeri dell’Interno e dei

Lavori Pubblici72.

La questione si trascinò per mesi rivelando che non vi era una

volontà politica decisa ad affrontarla. Dopo le dimissioni di

Cremonesi, sotto l’amministrazione Potenziani, Il Ministro della

Giustizia Rocco informò Mussolini che il Ministero dei Lavori Pubblici

era contrario al progetto perché “così come era stato redatto il

disegno di legge non raggiungerebbe lo scopo voluto[…]non essendo

possibile che si stabiliscano le limitazioni del progetto in tutto il

territorio[…]Bisognerebbe fissare una zona intorno all’attuale centro

abitato alla quale estendere le restrizioni in parola. Ciò peraltro non

72 Lettera di Rocco a Mussolini, 29 novembre 1926. ACS, PCM,1927,ibidem.

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riuscirebbe agevole di fare sia pure con criteri generalissimi”. Il

Ministro dei Lavori Pubblici, Giuriati, affermava inoltre che tale

materia era congiunta alla Legge 25 giugno 865 n.239

sull’espropriazione per causa pubblica la cui riforma era allo studio di

una Commissione Reale presso il Dicastero della Giustizia.

Sappiamo che, con il passare del tempo si preciserà

l’orientamento del governo fascista, e di conseguenza del

Governatorato, di favorire la costruzione privata. La questione citata

potrebbe confermare l’ipotesi che l’audacia di Cremonesi, il quale

intendeva limitare le speculazioni operate dai proprietari di aree

accrescendo l’autonomia di potere del Governatorato, pesò nel

determinare la sua sostituzione da Governatore della città.

4. Le dimissioni da Governatore.

Il primo anno del Governatorato rivelò, dunque, quanto il nuovo

assetto capitolino fosse complicato e frustrante nell’organizzazione

voluta dalla legge istitutiva. Cremonesi stesso, con il suo piglio

imprenditoriale, aveva sperimentato che si era ben lontani dall’agilità

amministrativa e dall’efficienza gestionale necessarie, problemi ai

quali si aggiungeva la scarsità delle risorse finanziarie disponibili.

Molte richieste giungevano da parte di Mussolini e poche erano le

possibilità di realizzarle73. Alcuni storici, a questo proposito,

individuano un nesso tra le dimissioni del Governatore e la situazione

giuridico-amministrativa bloccata del Governatorato, che limitava le

sue possibilità di governo della città74. Le dimissioni, di certo, si

collocarono nella revisione da parte del governo fascista

73 P.Cremonesi, op. cit.pp.27-28 74 E’ la tesi di F. Mancini Lapenna, In Campidoglio con Alberto Mancini, cit.

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dell’ordinamento governatoriale e nel ripensamento sulle cariche e

sugli uomini adatti al Magistrato della capitale75. Certo esse

contrastano con le parole pronunciate da Mussolini nel discorso di

insediamento di Cremonesi al Campidoglio, il 31 dicembre 1925, nel

quale il Capo del Governo affermava:

"Governatore, avete dinanzi a voi un periodo di almeno cinque anni

per completare ciò che fu iniziato ed incominciare l’opera maggiore

del tempo secondo"76.

E’ certo che la scelta di sostituire Cremonesi fu rapida se

consideriamo che ancora il 14 novembre 1926 questi, dopo aver

inviato un telegramma di plauso a Mussolini 77 gli indirizzava una

lettera nella quale ringraziandolo per la decisione del Consiglio dei

Ministri che assegnava nuovi fondi alla Capitale affermava che

"L’Amministrazione del Governatorato[…]riafferma la sua piena

devozione a la sua ferma volontà di dedicarsi interamente al bene di

Roma e alla realizzazione dei disegni che l’alta mente del Duce ha da

tempo formulato"78.

Ma le ipotesi sulle cause delle improvvise dimissioni da

Governatore furono anche di altro tipo. Altre interpretazioni, come

quella di Vidotto propendono per la tesi che egli sarebbe stato al

centro di conflitti fra differenti gruppi "in cui si mescolavano interessi

economici e diverse appartenenze politiche, fasciste e nazionaliste"79.

75 Il Magistrato di Roma era il gruppo dirigente del Governatorato: Governatore, due Vicegovernatori, i dieci Rettori che costituiva una sorta di Giunta municipale.Questa organizzazione verrà cambiata con decreti successivi 76 "Capitolium",1926, pag.595-599 77 "Ho appreso col più vivo compiacimento deliberazioni adottate Consiglio dei Ministri circa contributo annuo assegnato questa Amministrazione esprimo a V.E. mia profonda gratitudine per la cospicua assegnazione". Telegramma di Cremonesi a Mussolini, 9 novembre 1926. ACS, PCM, 1927, b.1017. 78 ACS, PCM, 1926, b.930, f.7.2.4160 79 V.Vidotto, in Roma contemporanea,cit, p.177.

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Probabilmente un certo malcontento popolare era arrivato alle

orecchie di Mussolini che colse questa occasione per intervenire e

sostituire il Governatore. Pesarono, di certo, anche i conflitti sorti

durante la riorganizzazione del servizi di approvvigionamento della

frutta e della verdura della capitale e l’organizzazione del commercio

della carne con la riforma del Campo Boario, servizi sotto il controllo

dell’XI Ripartizione comunale. Ci furono diverse denunce da parte di

commercianti e mediatori delle vendite della verdura e della frutta. In

un appunto del Gabinetto di Mussolini alla Direzione Generale

dell’Amministrazione Civile dell’Interno si affermava che “il servizio di

cui trattasi diede luogo, durante la gestione di S.E.Cremonesi a rilievi

e lagnanze da parte della cittadinanza"80.

Si aprì, ad esempio, pochi mesi prima delle dimissioni di Federzoni da Ministro dell’Interno, una questione tra quest’ultimo ed il Ministro dei Lavori Pubblici, Giuriati. Questi, avrebbe voluto avocare a sé quelle competenze sui trasporti pubblici che erano del Prefetto di Roma. Attraverso questo il suo Ministero avrebbe avuto, in materia di servizi pubblici, un controllo diretto sul Governatorato di Roma. Giuriati scriveva a Federzoni :"Ritengo ora opportuno, per conseguire maggiore speditezza nei rapporti col Governatorato di Roma[…]ricondurre a questo Ministero[…]le funzioni che le vecchie disposizioni delegavano al Prefetto in materia di servizi pubblici di trasporto[…]funzioni di modalità tecniche (orari, tariffe, servizi speciali, ecc.)[…]Ritengo che eliminando in Roma tale funzione intermedia del Prefetto di molto ne sarà avvantaggiata la speditezza dei miei rapporti col Governatorato". Lettera di Giuriati a Federzoni, 22 maggio 1926. Giuriati preparò, contestualmente alla comunicazione scritta, un provvedimento legislativo da presentare al Consiglio dei Ministri. Tale iniziativa suscitò l’irritazione di Federzoni (dal quale il Governatorato dipendeva ed era amico di Cremonesi ) che con telegramma dell’1 giugno 1926 scrisse a Giuriati chiedendogli d "voler soprassedere dal presentare provvedimenti all’approvazione Consiglio dei Ministri” dato che “detto provvedimento riguarda ordinamento Governatorato di Roma (che) interessa in modo particolare competenza mio Ministero". Il provvedimento fu ritirato il 2 giugno 1926 ma la questione non si appianò. Giuriati con altra lettera rimproverò a Federzoni di aver costituito, senza informarne il suo Ministero, una Commissione con il compito di studiare il passaggio di alcune competenze dallo Stato al Governatorato ed il coordinamento nei riguardi dei servizi pubblici tra le funzioni del Ministero dell’Interno e del Segretario generale del Governatorato. Il problema andava al di là, evidentemente, di una mera questione organizzativa dei trasporti e metteva in luce i conflitti tra i vari organi dello Stato sulle rispettive competenze e possibilità di controllo delle realtà locali. ACS, PCM, 1926, b.930. 80 Appunto s.n. del Gabinetto di Mussolini per la Direzione Generale dell’Amministrazione Civile. La data è il 21 dicembre 1926. ACS, PCM, 1926, ibidem

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Molte accuse riguardavano affari illeciti, o quantomeno

azzardati, di cui Cremonesi sarebbe stato protagonista per una

gestione piuttosto personalistica della cosa pubblica. Non si hanno

notizie certe su queste vicende anche se, evidentemente,

l’amministrazione Cremonesi generava sospetti e critiche da parte di

una certa parte dell’opinione pubblica81.

Riguardo all’operato del Governatore circolavano anche

indiscrezioni su presunti acquisti di immobili destinati alla

demolizione. Un informatore anonimo scriveva al proposito:

"Si attribuisce agli avversari del Senatore Cremonesi l’intenzione di

provocare nella stampa fascista intransigente attacchi all’indirizzo

dell’ex-Governatore, denunziando che egli avrebbe acquistato alcune

case nei pressi del Foro Trajano, perché destinate alla demolizione, in

modo da realizzarvi notevoli guadagni, per diritti di espropriazione"82.

Secondo alcuni egli aveva favorito un certo numero di imprese

appaltatrici, ricevendone degli utili. Tra di esse l’impresa romana del

conte Romolo Vaselli, che aveva lavorato per le amministrazioni

capitoline precedenti e gestiva l’appalto della nettezza urbana a

Roma83. Secondo altri, al contrario, queste voci sarebbero state

81 Le critiche continueranno anche negli anni successivi. Da Presidente della Croce Rossa, nel 1930, dopo aver intimato lo sfratto ad alcuni affittuari di immobili presenti in un’area destinata alla costruzione di un nuovo Convitto-Infermiere, riceve una lettera anonima:”Non le basta quanto ha rubato nel tempo del Governatorato di Roma? A che le servono le ricchezze male accumulate, se è tanto disprezzato da tutta Roma?” Verrà aperta un’inchiesta per risalire agli autori della missiva, ma senza risultato. ACS, MI, Direzione Generale Pubblica Sicurezza (d'ora in avanti DGPS), A1, 1930-31, b.24 82 Tutta l’area del Foro Traiano era nel progetto di risistemazione. Rapporto di informatore del 10 dicembre 1926. ACS, MI, DGPS, A1, 1926, b.27 83 Vaselli aveva fatto fortuna come costruttore dopo la Prima Guerra Mondiale ed

aveva acquistato la tenuta di Tor Bella Monaca dai Principi Borghese. Secondo una ricostruzione autobiografica dello stesso imprenditore, Cremonesi, oggetto di forti attacchi da parte della stampa, fu costretto a rescindere il contratto con la Ditta Vaselli. Vedi l‘autobiografia R.Vaselli, L’avventura della vita. Un secolo tra cronaca e storia nell’autobiografia dell’imprenditore romano, Roma 2002.

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diffuse ad arte per coprire una spiccata ostilità tra i due, in quanto il

potente costruttore romano avrebbe voluto inserire in alcuni affari

una ditta napoletana, la ditta Piscitelli, operazione alla quale

Cremonesi si sarebbe mostrato fortemente contrario84. Di certo, si

andò molto vicino all’apertura di un’inchiesta, anche se poi il regime

preferì mettere a tacere la questione e chiese, addirittura, il silenzio

stampa sull’intera vicenda85.

L’avvicinarsi di uno scandalo preoccupava l’ambiente Vaticano

dove Cremonesi era di casa. I rapporti degli informatori del regime si

susseguivano:

"Risulta che il Vaticano avrebbe fatto assumere riservatissime

informazioni relativamente alle cause che hanno dato luogo alle

dimissioni del Senatore Cremonesi da Governatore di Roma, anche

per conoscere se eventualmente vi fossero stati motivi riflettenti la

correttezza amministrativa del Governatore stesso, dato che la voce

pubblica sollevava dubbi al riguardo. Non si conosce esattamente il

risultato delle informazioni fatte assumere dalla Santa Sede sulle

dimissioni del Governatore; ma, nei circoli vaticani vi è chi ritiene che

l’elevazione alla porpora di Mons. Cremonesi, fratello dell’ex-

Governatore, sia irrimediabilmente compromessa, in relazione

appunto alle cause che avrebbero determinato l’allontanamento del

Un altro appalto su cui si formularono seri rilievi da parte del Ministero dei lavori pubblici e del Ministero dell’Interno riguardava l’impresa Attilio Cascioli che ottenne, il 26 novembre 1926, un appalto a trattativa privata per l’ampliamento dell’Ospizio marino di Ostia presentando un progetto giudicato poi, a lavori iniziati, del tutto inadeguato alle necessità tecniche ed alle esigenze sanitarie dell’ospizio. 84 Rapporto di un informatore che scrive: “ Negli ambienti vicini al Governatorato, specialmente fra impiegati che nutrivano simpatie per il Senatore Cremonesi, si afferma che ove la gestione di questi venisse realmente, come ne è corsa la voce, sottoposta ad inchiesta, l’ex Governatore proverebbe che l’ostilità mostrata nei suoi riguardi dal Vaselli, aveva per motivo il rifiuto da lui opposto alla intromissione in alcuni affari dei tre fratelli Piscitelli, di Napoli, protetti dal Vaselli stesso”. ACS,MI, DGPS, A1, 1926, b.7. 85 Lo scandalo venne soffocato sul nascere dal Sottosegretario agli Interni Suardo, per diretto ordine di Mussolini. I giornali ebbero il divieto di pubblicare qualsiasi notizia sull’avvenimento.Vedi C.Fratelloni, Voce Cremonesi,cit. p.617 e A.Aquarone, L’organizzazione dello stato totalitario, Torino 1965, pp.83-84.

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senatore Cremonesi dal Governatorato. Lo stesso Mons. Cremonesi,

parlando ad un amico avrebbe espresso preoccupazione: “Vedrai che

io sarò accantonato e per sempre"86.

In un altro rapporto del 4 dicembre si legge:

"Le dimissioni del Senatore Cremonesi sono state accolte in Vaticano

con grande sorpresa, ma da indiscrezioni avute da qualche bene

informato, alla Segreteria di Stato, si è avuto come una specie di

sollievo appunto perché il fratello del Senatore Cremonesi, Monsignor

Cremonesi, non gode molto la fiducia personale del Cardinale

Gasparri. Monsignor Cremonesi non parlava altro che del Senatore

suo fratello. Elogiandolo in ogni piccolo avvenimento. Anzi l’anno

passato in occasione della visita che il Senatore Cremonesi fece al

Cardinal Vicario, il fratello di lui, Monsignor, si precipitò dal Cardinale

Gasparri dicendo che egli stesso aveva consigliato al fratello la visita

e gloriandosi di essere uno di quelli che lavoravano per il

riavvicinamento fra il Vaticano e lo Stato.

Il Cardinal Gasparri non fu molto contento di questa gloriata del

Monsignore, ed infatti da quel giorno in poi mantenne relazioni assai

fredde con lui. Il pontefice in persona è rimasto di quanto gli è stato

riferito sull’Amministrazione Cremonesi,ed ha voluto ricevere l’altro

ieri lo stesso Monsignore, il quale sembra non sia rimasto molto

soddisfatto del colloquio con il Pontefice. Vi è in Vaticano un piccolo

gruppo formato da giovani Monsignori, addetti in genere agli Affari

della Segreteria del maggiordomo e del Prefetto di camera, i quali in

questi ultimi tempi conducono una campagna sorda contro il Governo

Nazionale, riferendo notizie tendenziose, che naturalmente essi

raccolgono in ambienti popolari, in case di ex popolari. E questo

riferire notizie deprimenti, giunge anche alle orecchie di alti prelati, i

quali rimangono impressionati. Ed il risultato è ottenuto, perché si

nota in Vaticano un periodo di sosta nei rapporti con lo Stato Italiano,

quasi che il Vaticano stesso non sappia come comportarsi. E questa

sosta addolora molto impiegati dell’amministrazione Vaticana, che

vivono a contatto con i prelati suddetti, e che da buoni italiani e

86 Rapporto di informatore anonimo alla Sez. Affari Generali e Riservati di Pubblica Sicurezza,3 dicembre 1926.ACS, MI,DGPS,1926,busta 113.

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simpatizzanti fascisti, vedrebbero di buon occhio una ripresa più

efficace di trattative conciliatrici fra Stato e Chiesa"87.

Un informatore scrisse l’8 dicembre 1926

"Si afferma che le dimissioni del Governatore avranno anche uno

strascico nei riguardi del fratello Monsignor Cremonesi, Elemosiniere

dei SS.PP.AA. Non appena il Governatore Cremonesi rassegnò le sue

dimissioni, egli si recò in Vaticano ove ebbe un lungo colloquio con il

fratello, colloquio che si è ripetuto nei giorni scorsi, ma che non è

avvenuto in Vaticano, ma in casa stessa del Senatore Cremonesi.

Monsignor Cremonesi avrebbe scritto anche al comune fratello

ingegnere, per avere poi un colloquio a tre, onde stabilire una linea di

difesa, nel caso che si chiedesse un’inchiesta. Ma in Vaticano,

l’intromettenza del Monsignore negli affari del fratello, non sono

veduti di buon occhio, e si cerca un pretesto per dare al Cremonesi

un posto fuori di Roma, per non avere contatti con lui, e togliere a lui

la delicatissima carica di Elemosiniere. E negli ambienti vicini al

Vaticano fra la ridda delle supposizioni e delle ipotesi, si dice che il

Cremonesi avrebbe salvato parecchi dei suoi titoli, affidandoli al

fratello che risiede in Vaticano. Il Cardinal Gasparri informato di

quanto si vocifera,crede le notizie infondate, ma non sarebbe alieno,

qualora la cosa fosse in parte od in tutto vera, di ordinare una

severissima inchiesta interna"88.

Dopo le sue dimissioni, Filippo Cremonesi scrisse al Card.

Gasparri:

"Fu un mio costante intendimento ispirare la mia attività a quelle che

io ritenni le direttive più idonee e consone ad instaurare una nuova

era di reciproca ed operante simpatia fra la civica amministrazione di

Roma e la Santa Sede che a Roma ebbe culla e di Roma fece il

potente fulcro per il glorioso trionfo della Religione cattolica[…]se

87 Lettera di informatore alla Sez.Affari Generali e Riservati di P.S., 4 dicembre 1026.ACS,MI,DGPS,1926, b.113, f.H5. 88, Lettera di informatore, 8 dicembre 1926. ACS,MI,DGPS,1926, ibidem.

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difficoltà di vario ordine impedirono talvolta che il mio volenteroso

contributo producesse i frutti che io sperai, ciò accadde col mio più

vivo rincrescimento, ed oggi, ritornando a vita privata è per me di

vivo rammarico non poter affermare di aver raggiunto a pieno lo

scopo che mi ero prefisso"89.

Anche la stampa cattolica diede rilievo all’ evento. Su "La Civiltà

Cattolica" comparve, nell’ultimo numero del 1926, un articolo nel

quale veniva riportato integralmente il comunicato ufficiale del

Governo, pubblicato dai più importanti quotidiani, che adduceva come

motivo dell’abbandono dell’incarico di Governatore le "divergenze di

indirizzo amministrativo sorte in seno al Magistrato" ed il suo

desiderio di riposo dopo "quattro anni di intenso e fruttuoso lavoro"90.

Le dimissioni da Governatore non interruppero la sua carriera

che proseguì su toni minori soprattutto in campo amministrativo. Nel

1927 Cremonesi fu nominato Presidente dell’Istituto Luce, dove

rimase fino al 1928 quando assunse la Presidenza della Croce Rossa

Italiana, incarico che mantenne fino al 194091. Gli furono utili le

vecchie amicizie ecclesiastiche. Nel 1940 si parlò, infatti, della

possibilità che dovesse lasciare l’incarico e la sua vecchia amicizia con

il Padre Tacchi-Venturi92, spinse quest’ultimo a scrivere a Mussolini

89 Lettera di Cremonesi a Gasparri, 8 dicembre 1926. ASV, Segreteria di Stato, 1926, rubrica 170. A questa lettera Gasparri rispose: "Le esprimo i miei più vivi ringraziamenti per la bella lettera da Lei indirizzatami e per la nuova cortesia che con essa ha voluto usarmi”. ASV, ibidem. 90 "La Civiltà Cattolica", 1926,4, p.557. 91 Da Presidente della Società LUCE ebbe contatti con Egilberto Martire che aveva cercato di fondare un Servizio di produzione e noleggio di films educativi che desiderava venisse inquadrato nell’Istituto ma i rapporti furono difficili e vennero troncati nel 1929. Martire, infatti, avrebbe voluto autonomia e poteri dentro l’Istituto e, al proposito scrisse a Cremonesi il 5 gennaio 1927. Del resto i due avevano avuto contatti negli anni precedenti. Nel 1923, infatti, presso il Gabinetto di Cremonesi allora Regio Commissario di Roma avvenne l’incontro di Martire con Mussolini. Vedi al proposito D.Sorrentino, La Conciliazione e il fascismo cattolico: i tempi e la figura di Egilberto Martire,Brescia 1980, p.55 92 Tacchi-Venturi, gesuita, era incaricato di tenere i rapporti tra Santa Sede e Governo fascista. Fu sostenitore dell’accordo tra Chiesa e fascismo. Su questo vedi A.Riccardi, Roma "città sacra"?,Milano 1979.

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per raccomandare la nomina di Cremonesi alla Presidenza dell’Opera

Nazionale Maternità ed Infanzia: "Una scelta siffatta incontrerebbe il

plauso universale e specialmente quello del Vaticano", scrisse Tacchi-

Venturi93.

Il 20 aprile 1933 Cremonesi fu inoltre nominato Ministro di

Stato e negli anni 1936-1937 raccoglierà regolarmente rapporti di

informatori del regime fascista94.

Come Senatore95 fu nella Commissione sul disegno di legge che

riguardava l’estensione agli impiegati degli Enti Locali dei

provvedimenti di epurazione96 e continuò a dare il suo contributo alle

questioni economico-finanziarie del ventennio come membro della

Commissione Finanze nel triennio ‘39-’42, incarico che tenne fino alla

morte sopravvenuta a Roma il 7 maggio 1942.

93 Biglietto di Tacchi-Venturi a Mussolini, 19 aprile 1940. ACS, SPD, CO, 1922-1943, busta 1217,f.509693. 94 ACS, Carte Cremonesi, buste 1 e 2. Le Carte contengono una raccolta di rapporti di informatori sul mondo politico e sociale italiano per conto del senatore Cremonesi, relativi al periodo agosto 1936-agosto 1939 e gennaio-settembre 1941. Le Carte, rimaste in possesso sella segretaria di Cremonesi, Livia Schiavi, furono poi consegnate a Renzo De Felice. 95 Era stato eletto senatore il 19 aprile 1923. 96 La Commissione, oltre che da Cremonesi, era composta da Garbasso, Simonetta, Peano, Pironti, Valenzani e Vigliani. Il progetto di legge fu presentato dal Ministro dell’Interno il 2 giugno 1927. Atti Parlamentari, Legislatura XXVIII, 1° Sessione 1924-27, Documenti.

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II

LUDOVICO SPADA VERALLI POTENZIANI

1.Prima della nomina

Con le dimissioni di Cremonesi inizia la lunga schiera dei

“Governatori-Principi” che Mussolini volle alla guida del Campidoglio.

Nel 1926 il partito fascista con le leggi fascistissime aveva chiuso la

fase della legalità parlamentare della sua storia. Per molti autori1 la

periodizzazione del fascismo tiene conto di questo termine come uno

spartiacque che inaugurò una lunga serie di restringimenti delle

libertà democratiche e delle autonomie. Anche nel Governatorato

avvenne una virata verso un ruolo più subordinato e passivo della

capitale. Funzionari provenienti dalla carriera prefettizia assunsero la

direzione di incarichi municipali2 e si abolì, nel 1926, la norma per la

quale il capo dell’amministrazione municipale era invitato a

partecipare al Consiglio dei ministri ogni volta che si affrontavano

temi legati alla capitale3.

In questo periodo di svolta autoritaria, Potenziani

rappresentava per Mussolini l’uomo disposto a passare ad una fase

più rappresentativa e, forse, tranquilla, della gestione municipale. Il

1 Vedi R. De Felice, Le interpretazioni del fascismo, Bari 1969,p.166. Per l’A. il regime fascista nacque sul piano costituzionale tra la fine del dicembre ’25 e il gennaio ’26 e si perfezionò alla fine del ’26:vedi anche E.Gentile, Fascismo.Storia e interpretazione, 2002, p.20. 2 Tra i Segretari Generali che si susseguirono dal 1926 al 1935 vi furono Prefetti o Viceprefetti. Tra gli altri Domenico Delli Santi (in carica dal 31.12.1926 al 18.10.1928), Francesco Montuori (dal 26-10.1928 al 30-6-1929), Mario Rizzo (dal 16.7.5.1929 al 5.12.1930). Al riguardo vedi P.Salvatori, op. cit.p.30 e la ricerca di Alberto Cifelli, I Prefetti del Regno nel Ventennio fascista, Roma 1999. 3 R.D.L. del 2 dicembre 1926 n.2055 che modificò il R.D.L. del 28 ottobre 1925 n.1949 sul Governatorato di Roma.

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governo della città si sarebbe concentrato nelle mani del

Governatore4, seppure sotto il controllo del governo e, quindi, si

rendeva necessaria una figura meno direttamente implicata, rispetto

al precedente Governatore, negli affari e negli interessi finanziari

della capitale. Ludovico Spada Veralli Potenziani, nato a Rieti nel

1880, era erede di una famiglia principesca di origine polacca che, da

secoli, aveva amministrato il potere nella valle reatina. Ludovico fu un

uomo versatile, studioso di agronomia, disciplina a cui dedicò buona

parte dei suoi sforzi, sostenendo la ricerca per la produzione di nuove

varianti di grano che sperimentava nei suoi latifondi5. Queste sue

conoscenze in granicoltura tornarono utili al regime che intendeva

arrivare all’autonomia cerealicola dell’Italia, diminuendo le

importazioni di grano dagli Stati Uniti e dalla Russia6.

Potenziani, negli anni giovanili, si era dedicato allo sport, ed in

particolare all’aviazione così da essere, nel 1903, tra i fondatori della

Società Aeronautica Italiana e, successivamente, del Club Aviatori di

Roma, che poi si fonderanno nell’Aero Club di Roma. Erano gli anni

nei quali l’aviazione assumeva anche connotati militari (sarebbe stata

impiegata per la prima volta nella guerra di Libia). Potenziani,

Presidente dell’Aero Club, aveva offerto la propria collaborazione per

aprire una sottoscrizione per la costituzione della flotta aerea

4 Il R.D.L. del 9 dicembre 1926 n.2056 conferì al Governatore i poteri necessari per modificare l’ordinamento degli uffici del Governatorato. 5 In particolare aiutò Nazzareno Strampelli, scienziato e direttore della Cattedra Sperimentale di Granicoltura di Rieti che sosteneva l’applicazione delle leggi di Mendel alla cerealicoltura, al fine di migliorare i frumenti. Ricombinò e incrociò tra loro le specie, ottenendo più di cento diversi cultivar (culti(vated) var(iety)".Per una biografia di Nazzareno Strampelli vedi R.Lorenzetti, La “scienza del grano”: l’esperienza scientifica di Nazzareno Strampelli e la granicoltura italiana dal periodo Giolittiano al secondo dopoguerra, Roma 2000. 6 Il Principe Potenziani l’8 giugno 1924 aveva fondato L’Associazione Reatina Sementi che ottenne il riconoscimento del Ministero dell’Agricoltura, ottenendone sussidi e finanziamenti. La produzione e la distribuzione di nuovi frumenti, geneticamente puri, contribuirono alla riuscita della Battaglia del Grano lanciata da Mussolini. Per una biografia di Spada Potenziani vedi A. Di Nicola, Da Rieti a Chicago.La biografia di un realizzatore: Lodovico Spada Potenziani, Terni 2002

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d’Italia7. Uomo di mondo, concreto, pragmatico, aveva tentato

l’avventura politica presentandosi da giovane alle elezioni

amministrative8 del comune di Rieti del 19059 e riuscendo ad entrare

in Consiglio Comunale. Il padre, Giovanni, prima deputato e poi dal 4

dicembre 1890 senatore del Regno, era stato un grande sostenitore

della politica giolittiana.

Il giovane Ludovico, eletto nel 1914 alla provincia di Perugia

con il fronte nazionalista, volle tentare più tardi l’avventura

parlamentare. La sua adesione al fascismo nel ’22 seguì la parabola di

tanti che avevano militato nelle file nazionaliste. Per lui significò

anche l’adesione ad un progetto di modernizzazione del Paese che si

accompagnava alla necessaria restaurazione di un ordine sociale che

sentiva minacciato dai venti del socialismo. Egli stesso aveva

assistito, nelle sue proprietà terriere, a scioperi e manifestazioni dei

contadini e mezzadri che lavoravano per lui.

La sua storia politica si intreccia alla vicenda burrascosa della

provincia di Rieti che in quegli anni aveva scaldato gli animi di molti.

Si era, infatti, affermato, nella zona reatina, un esteso movimento di

opinione che desiderava una rivalutazione ed un nuovo sviluppo per

Rieti e la Sabina. Potenziani aveva elaborato una teoria di questo

sviluppo che poggiava su due elementi fondamentali: da un lato

l’autonomia amministrativa per la quale Rieti doveva divenire

provincia del Lazio, togliendola dall’Umbria dove era stata collocata

nel 180, dall’altro il riconoscimento e la valorizzazione della via

Salaria, direttrice del traffico economico, agricolo ed industriale che

dalle Marche e dall’Abruzzo affluiva a Rieti per dirigersi verso Roma.

Rieti, dunque, poteva diventare un nodo nevralgico dell’economia

7Si chiamava “Cento aeroplani all’esercito”e fu lanciata il 1° aprile 1912. 8 Erano le elezioni per il rinnovo di 11 dei 30 seggi comunali. 9 Per le vicende politiche di Rieti e del reatino vedi A.Di Nicola, Da Rieti a Chicago, cit.

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laziale e uscire dal suo essere realtà depressa e secondaria della

penisola italiana.

Potenziani aveva conosciuto Mussolini dopo l’alluvione che, nel

1923, aveva devastato la valle reatina e in quell’ occasione, a capo di

un Comitato per lo sviluppo del Reatino, portò al Duce le istanze di

aiuto e sostegno della zona colpita. Tutta la vita egli lavorò per

questa idea e rappresentò per il fascismo la connessione con quel

mondo di proprietari terrieri e di contadini del Centro Italia dai quali si

sollecitava il consenso. Mussolini accolse le istanze di Potenziani e,

nel 1923, separò il territorio di Rieti che, inizialmente aggregato alla

provincia di Roma, divenne autonomo nel 1927. Del resto da parte

del governo l’opportunità di riunire la Sabina alla provincia di Roma

poggiava su valutazioni di ordine politico oltre che economico e

amministrativo. In una nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri

si affermava che “l’estremo frazionamento del proprio suolo ha creato

in Sabina una numerosa classe di piccoli proprietari conservatori per

istinto. Dal punto di vista della opportunità politica, ciò potrebbe

costituire per la Capitale un prezioso elemento di neutralizzazione in

caso di elezioni10”. Con Mussolini, dunque, la Sabina tornava per

intero al Lazio dopo che, nel 1860, con l’unità d’Italia, un decreto di

Gioacchino Pepoli11 l’aveva annessa alla Provincia di Perugia.

10 Nota di anonimo s.d. su carta intestata “Presidenza del Consiglio dei Ministri-Il Sottosegretario di Stato” intitolata “Riassunto per S.E”., probabilmente di Giacomo Acerbo, allora Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, diretta a Mussolini. ACS,MI, DGAC, Comuni, busta 2010. 11 Gioacchino Napoleone Pepoli (Bologna 10 0ttobre 1825—Bologna 26 marzo 1881) fu un politico italiano, senatore del Regno. Attivo nelle rivolte del 1848, fu comandante della Guarda Civica di Bologna e contrastò l'occupazione austriaca della città. In esilio in Toscana dal 1849 al 1852, successivamente partecipò all'insurrezione delle Romagne del 1859 che portarono all'annessione della regione al Regno d'Italia.Fu poi parlamentare dalla VII alla X legislatura, ricoprendo gli incarichi di ministro dell'agricoltura, industria e commercio nel primo Governo Rattazzi (1862) e ministro plenipotenziario a Pietroburgo (1863).Vedi F.Avinzi Cagnola, Gioachino Napoleone Pepoli, s.l e s.d.

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Potenziani fu nominato Governatore di Roma il 9 dicembre

1926 e resse la carica fino al 13 settembre 192812. La stampa di

regime ne lodò le doti di fascista e amministratore13. La sua elezione

venne salutata con entusiasmo dai suoi concittadini e dagli esponenti

dei poteri locali del reatino che cercavano nel fascismo

quell’attenzione e quella valorizzazione che non avevano ricevuto dai

governi precedenti. Primo fra tutti il Podestà di Rieti, Alberto Mario

Marcucci, segretario federale del PNF, al quale Potenziani era legato

da profonda amicizia. La nomina del nuovo Governatore fu percepita

come una “nuova prova di benevolenza e considerazione concessa

alla nostra Terra nella persona di uno dei suoi figli più eletti”14.

Grande fu l’entusiasmo dei sabini per la nomina di Potenziani a

Governatore. L’Istituto Sabino per gli Studi organizzò, in onore del

Principe, il 21 aprile 1927, una grande manifestazione al Teatro

Argentina, dove parteciparono 153 delegazioni, alla presenza di

importanti rappresentanti del regime fascista15

12 In quegli anni era Presidente della Società Romana Costruzioni Meccaniche, fondata il 7 marzo 1921, dal Conte Ettore Manzolini che fabbricava armi e divenne famosa durante la Seconda Guerra Mondiale per la fabbricazione della bomba a mano denominata “Balilla”. 13 “Il Popolo d’Italia” lo definisce un “fascista del luglio 1921” (5 dicembre 1926, n.290). “Il Giornale d’Italia” scrive :”Il principe Lodovico Potenziani non è nuovo all’amministrazione della cosa pubblica. Ha fatto parte del Consiglio Provinciale e la Sabina deve a lui e al suo fervido interessamento l’organizzazione veramente mirabile che è vanto della regione. Fascista della primissima ora, ha dato al partito la sua fervida attività[---]Sportman valente e appassionato, ha organizzato e diretto numerose gare[…]Studioso di problemi sociali, ha molto viaggiato e dai viaggi ha riportato quella somma di impressioni che costituiscono quella eclettica competenza che è propria di chi molte cose ha osservato[…]Il principe Ludovico Potenziani conta circa 45 anni e usa vivere una parte dell’anno a Rieti, in Sabina, ove ha una magnifica villa che ospitò anche il Duce durante il viaggio in Sabina nel 1924”. “Il Giornale d’Italia”, 4 dicembre 1926. 14 A.Di Nicola, Da Rieti a Chicago.cit. 15 Tra gli altri erano presenti Tittoni, Federzoni, Volpi, Ciano, Belluzzo. “Il Messaggero” ne fece un ampio resoconto il 23 aprile 1927 nella “Cronaca di Roma”,p.3.

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2.La riorganizzazione degli uffici e dei servizi del Governatorato

Il compito che attendeva il nuovo Governatore non era facile. Si

trattava di rilevare una situazione problematica dal punto di vista

finanziario -in un momento di congiuntura economica- e di dar

seguito al mandato del Duce di portare a termine il lavoro di

valorizzazione della città di Roma. Sostanzialmente la sua gestione si

pose in linea con le riforme avviate da Cremonesi anche se egli

doveva, evidentemente, verificare alcune scelte, in materia di appalti,

del Governatore precedente ed in questo pesarono i dubbi ed i

sospetti che avevano provocato le dimissioni di Cremonesi.

In una lettera del Segretario Generale del Governatorato Delli

Santi a Virgilio Testa il 28 dicembre ‘26 si legge

“Egregio Com Testa per dispos. di S.E. il Governatore prego

approntare, possibilmente entro il giorno 31 corrente, un elenco delle

opere e lavori appaltati a trattativa privata durante gli anni 1925 e

1926; possibilmente indicare in margine di ognuno degli appalti il

motivo della deroga all’asta o alla licitazione privata. Cordiali saluti.

Delli Santi”16.

Per prima cosa, Potenziani continuò l’opera di riorganizzazione

degli uffici capitolini del suo predecessore, procedendo per tentativi e

cercando di migliorarne l’efficienza. Concentrò la sua azione sulla V

Ripartizione, deputata ai lavori pubblici, assai importante, da un

punto di vista strategico, per il regime, creando una Direzione Unica

dei Servizi Tecnici17, abolita poi, nel dicembre 1927, per creare due

16 Lettera di Delli Santi a Testa, 28 dicembre 1926. ACS,SPD,CO,f.509.740. Domenico Delli Santi fu Segretario Generale del Governatorato dal dicembre 1926 ad ottobre 1928. Divenne Direttore della rivista “Capitolium” dove non mancò di esaltare il progetto fascista per la città di Roma. Al riguardo vedi D.Delli Santi, L’opera del governo fascista per Roma, in “Capitolium”, 1927-28,III.pp.637-657. 17 Alla cui direzione vi era un funzionario del Ministero dei Lavori Pubblici.

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Divisioni tecniche (Edilizia e Servizi tecnologici) ed una

Sovrintendenza ai Servizi tecnici con funzioni di controllo e vigilanza,

affidata ad un alto funzionario dello Stato.

A Potenziani il Duce chiedeva, almeno ufficialmente, efficienza e

rapidità nel concludere i lavori di sistemazione di Roma ed il 13

gennaio 1927 gli comunicò le priorità di cui tenere conto secondo

precisi tempi di esecuzione. Tra le cose che stavano più a cuore, in

un’ ottica di consenso popolare, a Mussolini vi era la costruzione di

due nuovi ospedali a Monteverde

“Prima di passare alla esecuzione dei lavori del secondo tempo,

bisogna assolutamente affrontare il problema ospedaliero sul quale il

Prefetto Cotta ha richiamato la mia attenzione, problema già oggi

gravissimo e che domani potrebbe diventare insolubile. Occorre cioè

provvedere alla immediata costruzione dell’ospedale del Littorio a

Monteverde per 1300 letti, continuando i lavori che rimasero alla

fondazione (eterna fatalità delle prime pietre) e ad un tubercolosario

per altrettanti 1300 letti. Tutto ciò dovrebbe essere approntato con

spedità fascista negli anni 1927-28 e dovrebbe essere inaugurato

nell’ottobre-novembre 1928, decimo annuale della Vittoria. Così i

romani, vedrebbero che il Regime non si occupa soltanto delle cose

morte, ma anche degli uomini veri. Se necessario, bisogna quindi

ritardare qualche lavoro, pur di mandare innanzi immediatamente la

costruzione dei due ospedali nuovi, poiché i vecchi sono ormai indegni

della Capitale” 18..

18 Lettera di Mussolini a Potenziani, 13 gennaio 1927. ACS,SPD, CO, f.500.019/1, b.838. Vedi sull’argomento P.Salvatori,, op.cit.p.42. L’ospedale era stato progettato dalla Giunta Nathan nel 1903. I lavori iniziarono il 28 aprile 1919 ma per la scarsità di risorse si fermarono. Ricominciarono il 15 settembre 1927 sotto la spinta di una forte epidemia di spagnola che colpì la popolazione di Roma. Fu inaugurato sotto l’amministrazione Boncompagni il 28 ottobre 1929.

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A questa ultima richiesta Potenziani che poteva contare su un

risorse assai modeste, obbedì con riluttanza e iniziò i lavori, dopo

alcuni tentativi di debole opposizione19, solo il 15 settembre 1927.

Gli anni 1927-1928, nei quali si continuò l’opera di costruzione

della Roma mussoliniana, furono segnati dalla congiuntura

economica. Nel 1926 si era aperta una grave crisi finanziaria che si

sarebbe protratta per tutto il 1927. Una delle conseguenze più palesi

della crisi fu il rallentamento delle attività edilizie che però, seppure in

modo diverso dal passato, proseguirono costantemente.

Nonostante le evidenti difficoltà finanziarie continuava l’opera di

sventramento del centro storico -con la conseguente emarginazione

degli abitanti- sventramento che diede un nuovo assetto alla zona del

Colosseo, dei Fori e del Campidoglio.

Sotto il Governatorato Potenziani prese corpo il Progetto

dell’Architetto Armando Brasini che avrebbe dovuto regolamentare la

sistemazione del centro storico e inserirsi nella più generale attività di

risistemazione della città. L’area di 607.600 mq, era interessata da

espropri per 259.000 mq, da ricostruzioni per 124.100 mq e

sistemazioni stradali per 224.500 mq. Potenziani presentò il progetto

a Mussolini, accompagnandolo da una premessa nella quale parlava

di Roma come capitale dell’Italia imperiale fascista e come centro

della cristianità. Il Governatorato avrebbe dato un contributo diretto

di 40 milioni di lire mentre i soldi erogati dallo stato sarebbero stati

restituiti con l’alienazione delle aree di risulta20. In verità il progetto

Brasini provocò malumori e prese di distanza da parte di tecnici e

esperti del settore. I direttorii dei Sindacati Fascisti Romani degli

Ingegneri, degli Architetti e degli Artisti si riunirono per elaborare

19 Vedi,al riguardo, in P.Salvatori, op.cit.lo scambio di lettere tra Potenziani, Mussolini e il Ministro delle Finanze Volpi di Misurata a p.43 20 Mussolini il 14 aprile 1928 rispose a Potenziani:”Dò […] la mia approvazione di principio al suddetto piano regolatore e desidero che le pratiche necessarie siano alacremente condotte”. ACS, PCM, 1930-31, busta 1595.

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alcune note critiche al progetto e lo inviarono a Mussolini.

Affemavano che nel progetto mancava “lo studio di coordinamento di

comunicazioni adeguate, interne ed esterne, coordinamento che è la

base di ogni moderno studio di Piano Regolatore” ed inoltre “crea un

centro grandioso in una zona che, sia per ubicazione topografica, sia

per ragioni di ambiente è la meno adatta a consentirlo, in quanto il

nuovo centro rimarrebbe sempre imprigionato entro la fitta cerchia

dei vecchi quartieri circostanti, aggravando, anziché risolvere, il

problema del traffico”21.Queste ed altre critiche e, inoltre, la

mancanza di finanziamenti adeguati fecero prendere tempo a

Potenziani che scrisse al Capo del Governo per proporre l’istituzione

di un Comitato, composto dai rappresentanti di tutti gli Enti

interessati in materia che avrebbe dovuto studiare la questione22.

L’idea non incontrò l’approvazione del Capo del Governo e dei suoi

stretti collaboratori che non giudicarono opportuna l’istituzione di un

organismo che avrebbe sostituito i normali organi tecnici dello stato e

che veniva giudicato “pletorico”23. In verità, Mussolini temeva con

l’istituzione di tale organismo l’attribuzione di nuovo potere al

Governatorato. Il Comitato prevedeva, infatti, assieme ai

rappresentanti del Governo molti rappresentanti del Campidoglio. Era

composto da due Presidenti (un Delegato del Capo del Governo e lo

stesso Governatore) e undici membri (il Direttore Generale delle Belle

arti, il Provveditore Generale dello Stato, rappresentanti dei ministeri

21 Lettera dei Sindacati Fascisti Romani Ingegneri,Architetti,Artisti a Mussolini, s.d. ACS,PCM, 1930-31, ibidem. 22 Schema di provvedimento di legge allegato a lettera di Potenziani a Mussolini, 1 agosto 1928. ACS,PCM, 1930-31, ibidem. 23 Appunto s.n. (forse Giunta) a Mussolini del 3 settembre 1928 col quale informa il capo del governo che Potenziani vuole costituire il Comitato per la sistemazione del Centro di Roma. Lo scrivente afferma che è inopportuno sottrare un progetto così importante all’approvazione dei normali organi tecnici dello Stato e chiede che “a tali lavori non ostino i generali criteri d’ordine finanziario fissati dall’E,V.” Mussolini scrive di suo pugno sulla lettera “A miglior tempo!”. Il progetto, infatti, venne rimandato. ACS, PCM, 1930-31, ibidem

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delle Finanze, dei Lavori Pubblici e della Giustizia, rappresentanti del

Governatorato quali il Segretario Generale, il Direttore del Patrimonio,

l’Avvocato Capo, il Capo della divisione Edilizia, il Capo dell’Ufficio

Piano regolatore, il Capo dell’Ufficio Strade) dei quali sei erano

funzionari governatoriali. Mussolini decise, di conseguenza, di

rimandare a tempo da destinarsi l’esecuzione del Progetto Brasini per

la sistemazione del centro di Roma24.

In questi stessi anni si edificarono rapidamente nuove case

nelle borgate della cinta periferica della città. Alla Garbatella, tra il

1927 e il 1931, l’Istituto Case Popolari costruì gli “alberghi

suburbani”, grandi edifici con servizi comuni che dovevano ospitare

gli sfrattati dal centro25. Si definiva così il disegno della Roma di

Mussolini, con un centro maestoso e i più poveri relegati nella

periferia.

La città era assai cresciuta dal punto di vista demografico e,

conseguentemente, erano aumentate le sue necessità strutturali e

assistenziali. Il Governatorato via via dovette intervenire su settori

diversi: dalle abitazioni all’istruzione e all’assistenza sanitaria e

sociale26.

Potenziani aveva altre due priorità da affrontare: la riforma del

sistema di approvvigionamento della frutta e verdura e quella del

mercato del bestiame da macello al Campo Boario a Testaccio.

Riguardo al primo problema, durante l’amministrazione Cremonesi si

erano manifestati problemi e segnali di malcontento da parte della

24 Minuta di lettera del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Francesco Giunta a Potenziani, 16 settembre 1928. ACS,PCM, 1930-31, ibidem. 25 Una Delibera del 16 agosto 1927 aveva stabilito la concessione in mutuo di 15 milioni all’Istituto Case Popolari per la realizzazione di queste strutture. ACS, Autografi del Duce, Cassetta di Zinco, Ballatoio F.47, scatola 5 26 L’esame delle deliberazioni dei Governatori ci mostra la diversa distribuzione degli interventi del Comune e le priorità di ciascun governo. ASC, Deliberazioni dei Governatori, 1926-1935.

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cittadinanza, che si lamentava dell’aumento dei prezzi; queste

tensioni avevano contribuito, probabilmente, alla volontà di sostituire

il Governatore.

Potenziani nel mese di dicembre 1926, appena eletto, venne

investito del problema. Il Gabinetto di Mussolini informò subito la

Direzione Generale dell’Amministrazione Civile di aver ricevuto una

denuncia da parte di un esponente fascista dei mercati generali,

Emilio Chiari che formulava proposte di riorganizzazione del

commercio nei mercati stessi. Nell’appunto del Ministero dell’Interno

si pregava la Direzione di invitare “a mezzo del Prefetto, S.E. il

Governatore a prendere in esame con la maggiore attenzione,

l’importante e delicato problema, tenuto anche conto che il servizio di

cui trattasi diede luogo, durante la gestione di S.E. Cremonesi a rilievi

e a lagnanze da parte della cittadinanza”27

Immediatamente si mise in movimento un flusso di lettere e

risposte sull’argomento. Il Ministero dell’Interno, sempre a dicembre,

venne informato dal Direttore dell’amministrazione Civile che il

Governatore era stato invitato a far conoscere nel più breve tempo

possibile le sue determinazioni in merito alle proposte di Chiari. Ma il

Governatore non si pronunciò immediatamente e già il 27 dicembre

arrivò un sollecito da parte del Ministro degli Interni perché si

giungesse in tempi brevi ad una nuova regolamentazione dei mercati.

Evidentemente la questione stava molto a cuore a Mussolini che

temeva il malcontento popolare e le critiche della base del partito.

Potenziani, consapevole della delicatezza della questione e desideroso

di non fare passi falsi, fu cauto nell’introdurre cambiamenti nel

regolamento dei mercati. Ogni quindici giorni, e per tutto il 1927, il

Ministero dell’Interno interpellò il Prefetto perché relazionasse sulla

27 Lettera anonima, su carta intestata del Gabinetto di Mussolini, alla Direzione Generale dell’Amministrazione Civile, 21 dicembre 1926. ACS, MI, DGAC, Comuni, busta 2125.

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questione, sollecitando Potenziani. Il Governatore, per parte sua,

mantenne una posizione prudente, anche se non mancò di esprimere

con chiarezza, come era suo costume, la sua opinione al Prefetto che

ne riferì al Ministero dell’Interno:

“S.E.il Governatore mi ha fatto presente che all’esame del

competente Ufficio dell’Annona e più particolarmente del Comitato

Permanente Annonario trovasi tutto il problema del riordinamento del

mercato di S.Paolo; problema molto complesso e vario, giacché si

tratta di cambiare profondamente tutti gli attuali ordinamenti per

sostituirne dei nuovi[…]Nel mercato di S.Paolo regna la più grande

anarchia, ed i regolamenti sono soltanto osservati per quella parte

che è favorevole ai Commissari e trascurati invece per tutto quello

che riguarda l’Amministrazione. Per eliminare, quindi, vecchie

consuetudini inveterate e che sono le vere cause del caro-viveri,

occorre un’azione organica e molto energica; ma essa deve procedere

con opportune cautele, non potendosi correre il rischio di diminuire

l’afflusso di merci al mercato e lasciare la città senza derrate. Non si

può distruggere organismi in atto, senza avere pronti i nuovi

ordinamenti. Questi si stanno approntando e andranno, forse, al di là

di quanto lo stesso Cav.Chiari fa presente nel memoriale. A questo

punto non sarà inopportuno avvertire, scrive il Governatore, che il

predetto Cav.Chiari, il quale si atteggia a moralizzatore del mercato,

è uno dei primi a trasgredire alle norme regolamentari, tanto che fu

sospeso anche recentemente, per cinque giorni, per infrazioni al

regolamento”28.

Dopo un periodo di studio e di sperimentazione si arrivò,

finalmente, alla Deliberazione Governatoriale del 24 dicembre 1927,

che introdusse cambiamenti nel sistema di vendita delle erbe e della

frutta, riducendo il numero dei commissari Annonari incaricati

dell'approvvigionamento delle derrate e dando maggiore rilevanza ai

28 Lettera del Prefetto di Roma al Min. dell’Interno-Dir. Gen. Amm. Civ, 24 aprile 1927. ACS, MI,DGAC, Comuni, b.2125.

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due Commissari Ufficiali che rappresentavano il Governatorato ed

erano incaricati della vendita29.

Vi era poi da affrontare la riforma del mercato del bestiame da

macello al Campo Boario adiacente al quartiere romano di Testaccio.

Nel sistema di vendita delle carni, consolidatosi negli anni,

erano presenti nel mercato romano alcuni mediatori privati che con le

loro provvigioni facevano immancabilmente salire il prezzo delle carni.

Potenziani rilevò la disparità esistente tra i prezzi all’ingrosso e quelli

al minuto e decise, con solerzia, di intervenire con due delibere per le

quali si escludevano i privati dall’esercizio di funzioni nel Campo

Boario30.La riforma scatenò proteste e ricorsi da parte delle ditte che

avevano esercitato per anni le funzioni di mediazione e negoziazione

della vendita31. La questione che si trascinò più a lungo ebbe come

protagonisti i titolari della Ditta Cavalletti e Gauttieri il cui ricorso che

si indirizzò al Consiglio di Stato si trascinò fino agli anni

dell’Amministrazione Boncompagni32. La riforma del regime annonario

fu, del resto, oggetto di preoccupazione ed interventi continui da

29 Deliberazione n.8994 del 24 dicembre 1927. ACS, MI, DGAC, Comuni, ibidem. Vedi anche L.Spada Potenziani, Ventidue mesi Governatore di Roma. Novembre 1926-settembre 1928, Roma 1928, p.100 30 Delibera n.2010 e n.2011 del 2 aprile 1927. Le due delibere facevano parte di un provvedimento unico che riformava il mercato e stabiliva un unico mediatore nominato dal Governatorato: il Commissario Ufficiale che fu poi individuato nella Ditta Sodano e Ambrosio. 31 Una lettera anonima indirizzata a Mussolini l’8 dicembre 1927 diceva: “Gli stessi

provvedimenti in apparenza più utili, come quelli relativi al mercato delle carni, fanno sospettare moventi incerti ed uno sviluppo non tranquillizzante”. ACS, MI, DGAC.,Comuni, ibidem. 32 Lettera di Boncompagni al Ministero dell’Interno, 25 febbraio 1929.ACS,MI, DGAC.,Comuni, busta 2347. Boncompagni, chiamato a pronunciarsi dal Ministero dell’Interno sul ricorso della Ditta Cavalletti e Gauttieri, pur riconoscendo legittimo l’operato di Spada Potenziani, valutò che gli obiettivi previsti dalla riforma del mercato erano stati raggiunti solo parzialmente. In particolare, non era aumentata l’affluenza del bestiame nel mercato ed i prezzi erano ribassati solo per l’avvenuta imposizione dei calmieri. 32 Lettere del Gabinetto del Ministro dell’Interno alla Direzione Generale dell’Amministrazione Civile del 15 settembre, 10 ottobre, 21 ottobre ed al Prefetto di Roma del 20 dicembre e 13 gennaio 1928. ACS,MI,DGAC,Comuni, busta 2125.

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parte dell’amministrazione comunale; essa era parte integrante della

politica monopolistica e di controllo dei servizi pubblici da parte del

regime. I ricorrenti, nell’esposto, denunciavano che con le nuove

disposizioni si era creato un monopolio per la vendita del bestiame,

ma il Governatore, invitato a difendersi, in una nota a Mussolini

affermava che “i ricorrenti dimenticano che il monopolio è nella legge,

la quale consente ai Comuni l’esercizio diretto dei mercati con diritto

di privativa. E’ vano pertanto insorgere contro l’esercizio

monopolistico dei mercati, giacché esso è perfettamente conforme

alle norme legislative vigenti. E il Comune di Roma esercita tutti i

mercati con diritto di privativa come emerge dai relativi

regolamenti”33

Potenziani si trovò a fronteggiare, oltre il problema dei servizi

annonari e delle opere pubbliche, anche quello delle infrastrutture e

dei servizi della città. La rete dei trasporti era insufficiente e si cercò

di provvedere con ritocchi e cambiamenti che furono del tutto

parziali. Soprattutto si avviò un progetto di rimozione delle rotaie che

Mussolini non sopportava. Potenziani stesso manifestò perplessità

sulla riforma prevista e, prendendo ad esempio la situazione di via

Condotti e via Tomacelli che alla data dell'8 ottobre 1927 avrebbe

dovuto essere "liberate" dai binari, scrisse:

"L'anno 1927 non è stato un anno tranviariamente tranquillo. La

rimozione dei binari dalla Via Condotti e dalla Via Tomacelli ha

richiesto un rimaneggiamento di percorsi tranviari e l'istituzione di

linee di autobus, per rimediare in parte alle lacune,che venivano a

determinarsi nelle comunicazioni urbane, che hanno avuto una assai

larga e profonda ripercussione nelle consuetudini di una gran parte

della cittadinanza. Il problema fu largamente studiato in relazione ai

mezzi che si avevano disponibili al momento in cui il provvedimento

33 Lettera di Potenziani a Mussolini del 15 novembre 1927. ACS, MI,DGAC,Comuni, busta 2347.

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dovette essere preso[…]Ad ogni modo la soppressione dei binari nelle

Vie Condotti e Tomacelli ha peggiorato la rete tranviaria rispetto a

quello che era; e peggioramenti ulteriori avverrebbero qualora si

volessero allontanare i traffici da altre arterie anche oggi

eccessivamente congestionate, senza aver prima provveduto a linee

succursali destinate a convogliare diversamente le correnti di traffico,

che sono quello che sono, e che non si possono costringere a

deviazioni e sostituzioni non adatte o non corrispondenti alle

necessità"34

Anche la fornitura di energia elettrica, affidata all’azienda

municipalizzata, manifestava gravi carenze e soffriva di continui

disservizi. Potenziani tentò di impiantare un piano di riordino e di

verifica dei servizi che si rivelò ben presto inadeguato alle necessità.

In quegli anni si ridefinì, inoltre, l’organizzazione dei rapporti tra

governo centrale e governo della città, con un rafforzamento

progressivo del controllo statale. Potenziani, fascista convinto ma, per

sua natura, spirito indipendente, entrò in conflitto assai presto con gli

organismi di controllo statale e con i diversi ministeri, di cui mal

sopportava le ingerenze.

Un esempio significativo si riferisce all’anno 1927, quando il

regime fascista volle riorganizzare il sistema municipale aumentando

il proprio controllo. La svolta autoritaria aveva determinato misure

severe verso i dipendenti pubblici considerati poco fedeli al fascismo.

Il Decreto-Legge del 3 gennaio 1927 stabiliva l’eliminazione dal

servizio di quei dipendenti di comuni, province ed aziende che “per

manifestazioni compiute in ufficio o fuori dell’ufficio non diano piena

garanzia di un fedele adempimento dei propri doveri, e si pongano in

condizioni di incompatibilità con le generali direttive del Governo”35. Il

34 Vedi L.Spada Potenziani, op.cit., p.109-111 35 R.D.L. 3 gennaio 1927, n.214 ACS, MI, DGAC., Comuni, b.2195

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Governatore non applicò con significativa solerzia la direttiva statale.

Lasciò correre in molti casi e non procedette, come il regime avrebbe

voluto, all’eliminazione massiva dei dipendenti scomodi. Più tardi,

negli anni post-bellici, quando verrà deferito all’Alta Corte di Giustizia

per le sanzioni contro il fascismo, Potenziani, nella sua memoria

difensiva affermerà

“Prima di essere nominato senatore fui, per circa due anni,

Governatore di Roma. In tale carica, svolgendo un’intensa attività

amministrativa diretta allo sviluppo dell’edilizia e dei servizi pubblici

cittadini, ebbe frequenti contatti con il Governo ed in particolare con il

Ministro dell’Interno Michele Bianchi. Sia questi che il segretario del

partito fascista pretendevano che io dessi al Governatorato il

cosiddetto “tono fascista” e che le assunzioni e i licenziamenti dei

dipendenti fossero effettuati col “criterio del maggiore o minore

spirito fascista del personale”. Io non cedetti mai a simili pressioni, né

ad altre forme di invadenza del Governo o del partito nelle questioni

di amministrazione cittadina. Era naturale quindi che i miei rapporti

con il Governo ed in specie con il Michele Bianchi, da cui il

Governatorato direttamente dipendeva, divenissero, in breve volgere

di tempo, sempre più difficili. In una tempestosa udienza al Viminale,

alla presenza del segretario del partito Turati, il Ministro mi accusò

violentemente di “non avere lo spirito fascista al di sopra di qualsiasi

interesse materiale dell’Amministrazione”. Al che io dichiarai che

ponevo il mio dovere verso la città ed i miei amministrati al di sopra

di ogni considerazione politica e non avrei più avuto contatti con lui

poiché le nostre idee, in materia di diritti e doveri, erano molto

dissimili. Non ebbi ulteriori rapporti col Ministro e quella situazione

incresciosa, derivata dalla mia ribellione aperta e nota a tutti, si

trascinò ancora per qualche tempo, fino a che fui “dimissionato”

telegraficamente36.”

36 In verità Bianchi era Sottosegretario al Ministero dell’Interno dal 13 marzo 1928 e vi restò fina alla nomina a Ministro dei Lavori Pubblici il12 settembre 1929.

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3.Problemi finanziari e rapporti con il Governo

Potenziani aveva inoltrato nel marzo 1927 un’ampia relazione

con la quale aveva illustrato a Mussolini il suo progetto di esecuzione

delle opere nella città di Roma e la necessità di sostegno economico

da parte dello stato. Le opere di competenza del Governatorato e che

riguardavano la sistemazione delle aree archeologiche, le scuole, i

parchi, le strade e l’attuazione del piano regolatore prevedevano una

spesa di 1 miliardo e 260 milioni di lire. Di fronte alla preoccupante

situazione finanziaria, utilizzando alcune conoscenze americane del

passato, Potenziani si adoperò, secondo la volontà del governo, per

ottenere un prestito dagli Stati Uniti, anche se ebbe la

consapevolezza che questo sarebbe riuscito, solo in parte, a

risollevare le casse del comune, perennemente in deficit. Il prestito

ammontava a 36 milioni di dollari ed avrebbe fornito solo la metà del

denaro necessario per le opere di carattere generale37.

Rimaneva poi da trovare il resto del denaro e su questo il

Ministero delle Finanze non solo non intendeva venire in aiuto ma

chiedeva di prelevare dalla somma del prestito 120 milioni di lire per

la sistemazione degli ospedali di Roma. Il Governatore scrisse al capo

del governo per richiedere un suo interessamento sulla questione

verso il Ministro delle Finanze, Volpi

“[…]L’intero programma, che non risolve, tuttavia, tutti i

maggiori problemi della sistemazione e dello sviluppo dell’Urbe, pur

contenuti nei limiti dl piano regolatore in corso di approvazione, e che

avrebbero richiesto una somma doppia, importano una spesa di circa

un miliardo e trecento milioni per opere di carattere generale a carico

del Governatorato; 565 milioni per opere a carico delle aziende

industriali governatoriali (trasporti – energia elettrica – acquedotti); e

740 milioni per opere a carico dello Stato (costruzione dei collettori

37 Relazione del Governatore a Mussolini, 2 marzo 1927. ACS,PCM,1931-33, b.1595

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(120 milioni), Ospedali (120 milioni), metropolitana (500 milioni). Alle

due prime categorie di spese il Governatorato non potrebbe

evidentemente provvedere che con prestiti[…]Per le aziende

industriali il finanziamento dei prestiti sarebbe provveduto dalle

aziende stesse.

Per le opere di carattere generale[…]il finanziamento non

potrebbe che essere fornito dallo Stato. E su questa base- in

conformità degli intendimenti dell’E.V col volenteroso concorso di S.E.

Volpi –ho iniziato trattative. Mi sono stati, però, assegnati limiti assai

inferiori al fabbisogno suindicato. I trenta milioni di dollari per quali

sto trattando con le banche americane finanzierebbero la metà delle

predette opere di carattere generale. Provvederebbero, cioè, al

fabbisogno di un quinquennio[…]Al finanziamento del mutuo di 30

milioni provvederebbe il Governatorato, coi 50 milioni annui di

contributo assegnatogli dal Governo. Un punto mi occorre soltanto

chiarire in proposito. Ed è che nei 30 milioni di dollari predetti non

potrebbero contenersi i 120 milioni richiesti dagli Ospedali. Volerceli

far entrare sarebbe un ridurre oltre limiti di un programma organico

il predetto compito quinquennale del Governatorato, e farebbe

gravare sui 50 milioni di contributo governativo già acquisito al

bilancio del Governatorato il finanziamento dei mutui per gli Ospedali,

che né era previsto, né rientra nei suoi compiti. Sarebbe,cioè, una

una restrizione nelle disponibilità annuali del Governatorato; e ciò non

ritengo possa corrispondere agli intendimenti di V.E. nel momento in

cui con più alto animo l’E.V. intende decisamente affrontare il

problema della grandezza della capitale”38

Mussolini, però, appoggiò totalmente la richiesta del Ministro

delle Finanze. Il Sottosegretario di stato alla presidenza del Consiglio,

Suardo, scrisse infatti che “S.E.il Capo del Governo[…]pur tenendo

nel debito conto le considerazioni fatte presenti dall’E.V. per

escludere dal ricavato del prestito di 30 milioni di dollari la spesa di

120 milioni per gli Ospedali, ritiene indispensabile, in considerazione

38 Lettera di Potenziani a Mussolini, del 2 febbraio 1927. ACS, PCM, 1931-33, ibidem

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della situazione finanziaria del bilancio statale, che con detto mutuo si

provveda anche al fabbisogno per la sistemazione ospitaliera della

Capitale”39.

Il Governatore, del resto, vedeva il ricorso al prestito americano

non solo come poco risolutivo delle carenze finanziarie del comune,

ma addirittura, dannoso. Avrebbe risolto –pensava- per pochi anni

alcune esigenze di finanziamento dei lavori pubblici, ma poi, dovendo

far fronte all’estinzione del debito, avrebbe cominciato ad assorbire

tutti contributi governativi.

Scrisse il Governatore in una lettera del 31 maggio 1927, al

Ministro delle Finanze, Giuseppe Volpi di Misurata:

“Finché vi saranno le disponibilità del prestito, lo squilibrio non sarà

avvertito, ma dopo 3 o 4 anni il bilancio non sarà più in grado di

fronteggiare le spese normali. Occorrerà allora un nuovo intervento

dello Stato. Né la rivalutazione monetaria potrà per questo riguardo

portare apprezzabili vantaggi perché, se le spese diminuiranno per i

minori costi, le entrate dovranno seguire uguale diminuzione per le

necessarie riduzioni dei tributi. D’altro canto…per conseguire la

massima utilità economica del prestito, dato il suo alto costo, è

evidente che il suo impiego debba essere il più ampio e il più rapido

possibile. Esso dovrebbe in sostanza provvedere nel corso di quattro

anni ad una massa di opere economicamente corrispondenti a quelle

che si sarebbero compiute nel corso di venticinque anni40”

Del resto Potenziani non concordava sull’uso che del prestito lo

Stato avrebbe voluto fare, utilizzandolo anche per la restituzione alla

City National Bank di un precedente prestito di 5 milioni di dollari. Egli

vedeva compromessa, senza mezzi finanziari, la finalità della sua

elezione a Governatore di Roma

39 Lettera di Suardo a Potenziani del 10 marzo 1927. ACS, PCM, 1931-33, ibidem

40 ACS,SPD,CO,b.838, f.500.019/I

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“Ciò ho sentito, comunque, di dover mettere in chiaro fin d’ora a

sgravio dell’attuale amministrazione nei riguardi delle future esigenze

del bilancio41

Questa Amministrazione, all’infuori delle vaste operazioni finanziarie,

potrebbe assolvere sufficientemente il suo compito con una

integrazione al proprio bilancio di circa 120 milioni annui di cui 60

milioni di carattere ordinario per il necessario pareggio del bilancio

normale, in corrispondenza dei contributi governativi già concessi, e

60 milioni di carattere straordinario per giungere, entro un breve ciclo

di anni, a trasformare ed a migliorare la Città, scopo precipuo di

questa Amministrazione[…]Sarebbe un rallentamento nel ritmo dei

lavori in confronto del programma da realizzarsi col prestito; ma

assicurerebbe al Governatorato con un uguale complesso di contributi

del Governo, seppure in un maggior numero d’anni, un complesso di

lavori di gran lunga superiore”42.

Egli non capì che la volontà di Mussolini era un’altra, dichiarava

ufficialmente, infatti, di voler realizzare nuove opere nella città,

chiedendo al contrario al Governatore di rallentare i lavori intrapresi.

Potenziani, messo davanti alla reale volontà del duce rispose

“Mi affretto a darLe assicurazioni su quanto si è compiaciuto

comunicarmi con la Sua lettera di stamani riguardo i lavori stradali.

Terrò nel massimo conto la opportunità di ritardare l’esecuzione dei

lavori. Ciò è facile e sarà senz’altro fatto per la strada Roma-Ostia.

Per il grosso degli altri lavori devo segnalarLe la necessità che non sia

lasciato trascorrere il periodo estivo, che è il più favorevole alla loro

esecuzione”43

4.Aumentano i contrasti

41 sottolineato nel testo originale 42 Il prestito fu contratto il 28 marzo 1927 con le banche J.P.Morgan &C.,e The National City Company.ACS,SPD,CO,b.838, ibidem. 43 Lettera di Potenziani a Mussolini, 1 luglio 1927. ACS, PCM, 1930-31, b.1595

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Nei ventidue mesi da Governatore, Potenziani si avvalse per le

opere pubbliche di nuove convenzioni e portò a termine la

realizzazione della Via del Mare, fortemente voluta dal Duce. Era

anche sua intenzione aiutare il risanamento e la valorizzazione delle

campagne, erogando contributi ai grandi proprietari dell’agro romano

per le bonifiche. Il Ministero dell’Economia, Giuseppe Belluzzo, si

risentì di alcune iniziative autonome prese dal Governatore con i

contributi erogati dallo Stato, e auspicò la regolamentazione

normativa dei rapporti e delle competenze sullo sviluppo dei servizi

pubblici nell’Agro Romano, al fine di stabilire un coordinamento tra le

attività che il Governatorato intendeva esplicare e l’opera svolta dal

ministero stesso. Si elaborò un Decreto Legge che stabiliva “le norme

per il controllo sulla gestione dei fondi e contributi statali da parte del

Governatorato” con la creazione di un organo di controllo “dove fosse

assicurata un’adeguata rappresentanza” del Ministero dell’Economia

stesso44.

Anche sul bilancio capitolino dell’anno 1927 il Governo espresse

delle riserve. Il Ministero dell’Economia Nazionale si pronunciò, infatti,

dopo averlo esaminato, in maniera decisamente negativa. In una

lettera del 12 dicembre 1927 al Ministero dell’Interno (con oggetto il

Governatorato di Roma-Bilancio 1927) la Direzione Generale

dell’Agricoltura del Ministero dell’Economia, scrisse

“In ordine allo stanziamento di lire 40.000, di cui all’art.102b

“Contributi per opere di bonificamento eseguite dai proprietari di terre

dell’Agro Romano” è opportuno che (tali contributi) siano chiariti[….]

Il Ministero considera non giustificate alcune spese previste, ad

esempio, sul bonificamento, per il quale già la Legge 17 luglio 1910

n.491 (art.13) stanzia fondi e per l’organizzazione e incremento dei

servizi pubblici nell’Agro Romano. Il Ministero rileva che ciò che è

44 Introduzione al Decreto-Legge del Ministero dell’Economia. ACS,MI,DGAC,Comuni, b.2001.

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stato precedentemente assegnato non è stato speso[…]inoltre, questo

Ministero, come già ha avuto occasione di significare anche

direttamente all’Onorevole Governatorato di Roma, esprime il

desiderio che in avvenire sia dato incremento coi fondi stanziati nel

proprio bilancio ai servizi pubblici in zone che appartengono al vero e

proprio Agro Romano, anziché anche in zone le quali possono essere

considerate come propaggini dell’Urbe”45.

Potenziani, dunque, imprudentemente, sembrava aver

dimostrato nella gestione dei fondi governativi una certa disinvoltura

ed autonomia che venivano giudicate come eccessive e poco

responsabili. Del resto, anche il Ministero delle Finanze aveva

giudicato negativamente il primo anno della sua gestione capitolina.

In una lettera del 12 dicembre 1927, dopo aver sottolineato “il

notevole ritardo “ della presentazione del bilancio 1927, il suddetto

Ministero rilevava un “notevole peggioramento” del bilancio capitolino

preso in esame, “in confronto a quello dell’esercizio 1926, sia per la

rilevata diminuzione delle entrate tributarie, sia per l’accennato

rilevante incremento delle spese di natura normale”46. Forse era la

risposta alle lamentele espresse dal Governatore, in modo chiaro e

deciso come era suo costume, nel 1926, a pochi mesi dalla sua

elezione

“Non posso nascondere la dolorosa sorpresa nel constatare la

rilevante falcidia che cotesto Onorevole Ministero vorrebbe portare

alle cifre richieste da questo Governatorato[…]Si viene a limitare

grandemente l’azione di questa Amministrazione e a togliere ogni

possibilità di iniziare, con la dovuta celerità, il programma di

45 Lettera della Dir.Gen.Agricoltura al Min.Interno, 12 dicembre 1927. ACS, MI,ibidem 46 Lettera del Ministero delle Finanze al Governatore del 12 dicembre 1927. ACS, MI,DGAC, Comuni, b.2001

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rinnovamento della Città così solennemente annunciato dal Capo del

Governo47”

E’ probabile che la sua tranquilla gestione si fosse rivelata

troppo audace e autonoma, almeno nell’orientamento. Anche in

ambito scolastico egli non mancò di prendere iniziative e mostrò una

volontà di riaccentrare in Campidoglio alcune competenze che erano

statali, come il servizio ispettivo nelle scuole48.

Cominciarono a aumentare le critiche di una certa parte dei

quadri capitolini e Potenziani fu oggetto di lettere anonime che

spinsero il Duce ad assumere informazioni.

Un anonimo che si firma “un fascista sul serio” scrisse al Duce

“Il Governatore, indubbia stoffa di gentiluomo è però un incapace, un

accidioso, un addormentato. Non vuole neppure la briga di firmare.

Anche in questo lo sostituisce il Segretario Generale Delli Santi.

Questi è un uomo furbo. Ha capito che ci starà poco e tira a vivere.

Ha iniziato un’epurazione, approfittando dei pieni poteri, che è

consistita nel mandare a casa qualche innocuo disgraziato. I Direttori,

vecchi e pericolosi strumenti dei passati regimi amministrativi, gente

corrotta e legata alla banda Cremonesi sono quasi tutti rimasti”49.

Dopo un’indagine riservata un informatore stilò il seguente rapporto

“Effettivamente circolano voci di stasi negli uffici del Governatorato a

proposito dei problemi che interessano la capitale. Sulle cause che

l’hanno determinata, si accenna all’impreparazione del Governatore

47Lettera di Potenziani al Ministero delle Finanze, s.d., ACS, MI,DGAC, Comuni, ibidem. 48 In una lettera del Regio Ispettorato Scolastico al Ministero dell’Interno del 31 maggio 1927 si legge al riguardo “Pare che sia nei desideri del Governatorato chiedere l’abolizione dell’ispettorato predetto”. ACS,MI, DGAC,Comuni, ibidem. 49 Lettera di anonimo alla Segreteria di Mussolini, 24 agosto 1927.ACS, SPD,CO,f.500.019,b.838

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ad affrontare le importanti questioni che attendono la soluzione e alla

mancanza dei vice-governatori, che potrebbero coadiuvarlo

nell’esame di esse. La sospensione della nomina dei vice governatori

è stata disposta con il R.Decreto legge del 9 dicembre 1926,

n°2055[…]Non consta che l’annunziata epurazione del vecchio

personale capitolino sia stata eseguita”50.

Quest’ultima affermazione confermerebbe quanto Potenziani

affermò anni dopo nella sua memoria difensiva all’Alta Corte di

Giustizia per le Sanzioni contro il Fascismo, nella quale si definì

estraneo alla politica di epurazione voluta dal Regime51.

Probabilmente scelse per una linea di prudenza e spesso di

attendismo non accettando di prendere decisioni su questioni che non

controllava completamente in tutti gli aspetti, anche perché decidere

sarebbe stato in alcuni casi appoggiare incondizionatamente i diversi

gruppi di potere della capitale. Questo atteggiamento poco

decisionista nell’eseguire gli ordini e, soprattutto, indipendente lo rese

scomodo al regime. “Il Popolo di Roma” lo attaccò duramente sul

tema della costruzione delle case52

“La morte dei villaggi abissini è segnata[…]Nel V anniversario

della Marcia su Roma tutta la zona abissina del Portonaccio vedrà la

fine[…]I baraccati infatti[…]troveranno asilo in decenti alloggi

appositamente preparati per loro dall’Istituto Case Popolari[…]I

baraccati non sono soltanto quei disgraziati che popolano i villaggi in

discorso; non bisogna dimenticare le baracche in muratura tipo quelle

di via Alba –proprietà Neroni[…]Il principe Potenziani ha dichiarato

che per ottenere la soppressione completa del male occorrerà un altro

50 Rapporto di informatore alla Segreteria di Mussolini, senza data. ACS, SPD,ibidem 51 Vedi al riguardo la Memoria Difensiva di Potenziani all’Alta Corte di Giustizia riportata a p.41 52 Il titolo dell’articolo è significativo: “Baracche e casette. Esempio ammonitore. Il Principe Potenziani ricorda? Cooperativa operaia e fascista. Contrasti”. “Il Popolo di Roma”, 25 ottobre 1927,p.4.

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anno, per dar modo all’Istituto Case Popolari di approntare tutti gli

alloggi necessari[…]Dio lo voglia![…]A tale necessità non può

corrispondere il solo Istituto Case Popolari[…]La crisi degli alloggi è

ancora gravissima[…]In queste abitazioni non possono andare

impiegati ed operai[…]S.E. il Governatore visitando con noi le

baracche in muratura di via Alba ebbe a riconoscere che erano in

tutto e per tutto degne di quelle di legno. Il principe Potenziani

ricorderà benissimo che in quella stessa occasione ci furono persone

che si offrirono per sostituire quelle baraccacce con casette

operaie53[…]Noi manifestiamo l’opinione che questo genere di casette

vada appoggiato e non ostacolato come si è fatto fin qui, anche

quando il Piano regolatore non c’entrava niente”

La prudenza del Governatore che non intendeva incentivare

l’edilizia privata veniva dunque presentata come attendismo.

Mussolini, inoltre, non mostrava di condividere sempre le scelte

del principe anche nell’individuare i suoi collaboratori, come avvenne,

ad esempio, nel caso del Commissario della Viabilità. In una lettera a

Potenziani, Mussolini scrisse in un tono da superiore gerarchico

“Le scrivo per dirle che i salvagente in via Veneto sono un errore e un

orrore. Pezze sopra un abito nuovo e perfettamente inutili! I

salvagente devono sorgere nei crocicchi, quadrivi,ecc. non lungo una

strada larghissima e dotata di amplissimi marciapiedi. Li si faccia

togliere prima che da legno si trasformino in pietra! Faccia, poi,

sapere al Signor Mario Ferrero, il cui verbale le accludo, che quando

si è Commissari di viabilità si ha soprattutto il dovere di rispettare le

ingiunzioni dei Metropolitani. E’ con sparate di simil pessimo e

cafonesco stile che si demoralizzano gli agenti dell’ordine stradale. Il

Signor Ferrero deve andare a fare il Commissario della viabilità a

Scaricalinno, non più a Roma”54.

53 Allude alla Cooperativa “Alba Nuova” che si era offerta di costruire degli alloggi nella zona e che non aveva ottenuto il permesso di edificare dal Governatorato. 54 Lettera di Mussolini a Potenziani, s.d. ACS, SPD,CO,f.500.019,b.838 i

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5.Oltre Roma

L’aspirazione del Governatore Potenziani fu quella di sollevare

Roma da una dimensione chiusa e provinciale, anche se egli non

maturò una vera visione politica a livello internazionale. La strada

intrapresa fu più quella di una rete di rapporti di tipo diplomatico

intessuti e coltivati negli anni. Significative le visite fatte e ricevute a

capi di stato, rappresentanti di governo, reali stranieri. Di particolare

rilevanza furono le visite ufficiali alla città di Roma del sindaco di New

York, James J.Walzer e del Lord Mayor di Londra, sir Georges

Blades55

Mussolini sembrava, invece, ritenere secondarie almeno alcune

iniziative di rappresentanza che il Principe non mancava di

promuovere. Potenziani aveva un tratto di mondanità che non

incontrava l’approvazione del duce. Partecipava a gare sportive,

promuoveva concerti e festeggiamenti56, con il suo stile di vita

aristocratico suscitava invidie e sospetti57. Gli stessi incontri di natura

diplomatica organizzati dal Governatore sembravano esagerati e

55 L.Spada Potenziani, Ventidue mesi Governatore di Roma. Novembre 1926-settembre 1928, Roma 1928. 56 I documenti esaminati mostrano che erano molte le occasioni sportive e mondane alle quali il Governatore partecipava, come avvenne nel settembre 1927 quando si recò a Venezia per assistere alle gare della “Coppa Schneider. Lettera della Segreteria di Mussolini alla Segreteria del Governatorato, 21 settembre 1926. ACS, SPD, CO, b.838, f.500.019/I. Alle varie manifestazioni –fu, ad esempio, il caso del concerto organizzato all’Augusteo per il 21 aprile 1927, del ricevimento in Campidoglio in onore dell’Ammiraglio Nicastro, dell’esecuzione del “Nerone” al Teatro dell’Opera- non mancava di invitare il Duce che, puntualmente declinava l’invito. Lettere di Spada a Mussolini, 11 aprile 1927, 6 luglio 1927 e 20 febbraio 1928. ACS, SPD,CO, ibidem. 57

Un anonimo scrisse a Mussolini,il 22 ottobre 1927 contro alcuni ministri e il Governatore che “sprecano il denaro publico con automobili di servitù[…]Mandi a vedere in piazza della Maddalena” Sulla lettera c’è un appunto: “a Piazza della Maddalena, al n.2, abita il Comm.Riccetti, Segretario di S.E. il Governatore” ACS, CO, ibidem.

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dissonanti con lo stile del Regime. In un resoconto del 18 luglio 1927,

il Segretario particolare del duce riferì di un episodio avvenuto prima

della visita a Roma del re d’Egitto, Fuad I:

“S.E.Potenziani. Venuto al Viminale per conferire con S.E.Suardo, ha

insistito perché fosse annunziata la sua presenza a S.E. il Capo del

Governo al quale avrebbe voluto chiedere istruzioni sui

festeggiamenti per la visita a Roma del Re d’Egitto e particolarmente

degli addobbi stradali. Riferito a S.E. questi ha testualmente risposto:

“Vuol parlarmi oggi 18 luglio del Re d’Egitto che è il Re più

paradossale che esiste sulla terra? […]Re d’Egitto? Gli dica di star

tranquillo, di star tranquillo.” (Presenti S.E.Suardo e On.Starace) 58”

Tono ben diverso da quello di Potenziani che nel suo memoriale,

parlerà di Fuad I come “dell’Augusto ospite che regge con tanto

senno l’antica terra dei Faraoni” e preparerà per lui un’accoglienza

solenne nella città59.

In politica estera egli se, indubbiamente, fu di provata fede

fascista e coltivò la speranza che il regime avrebbe generato una

nuova epoca per il paese, se ne distaccò quando il fascismo virò verso

l’alleanza con la Germania60. Potenziani da sempre vedeva per l’Italia

fascista la centralità di rapporti stabili con gli Stati Uniti. Da giovane

aveva coltivato amicizie in casa americana, amicizie che erano

tornate utili al regime, quando si ebbe la necessità di prestiti e

finanziamenti.

58 Appunto del Segretario Particolare di Mussolini, 18 luglio 1927. ACS, SPD,CO,ibidem. In Egitto in ricordo della visita ufficiale di Fuad I a Roma fu eretto nella città di Alessandria un monumento in onore d’Ismail Pascià, dono della comunità italiana in Egitto. 59 L.Spada Potenziani, op.cit. 60 Vedi su questo A. Di Nicola, Da Rieti a Chicago.La biografia di un realizzatore: Lodovico Spada Potenziani cit.

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I rapporti con la Santa Sede furono caratterizzati da un

atteggiamento di prudenza da parte della Chiesa. Probabilmente sia

la sua posizione laica sia forse la situazione coniugale del principe,

che aveva un matrimonio fallito alle spalle61, provocavano un qualche

imbarazzo negli ambienti vaticani. Egli, per parte sua, cercò sempre

di provare la sua assoluta aderenza ai valori morali che la Chiesa

cattolica intendeva difendere. Così si adoperò per la rimozione, a

Roma, di manifesti che erano ritenuti lesivi della moralità e, in una

occasione, si affrettò a tranquillizzare padre Tacchi-Venturi che “la

Prefettura di Roma, in seguito alle segnalazioni da me fattegli, ha

provocato dal Ministero dell’Interno il divieto di affissione del

manifesto stesso”62.

In passato, a dire il vero, aveva dimostrato, in qualche

occasione, un’inspiegabile rigidità, come per la situazione delle

Catacombe di S. Priscilla a Roma. Riguardo alla questione delle

catacombe tra Santa Sede e Governatorato si era aperto un

contenzioso. Il Governatore, infatti, aveva disposto la demolizione di

una casa che la Chiesa stava edificando presso le catacombe,

demolizione che avrebbe causato la rovina dell’antico arenario delle

catacombe. A nulla erano valse le rimostranze della Santa Sede. Sulla

questione era intervenuto anche il Segretario di Stato, card.Gasparri,

che aveva incaricato padre Tacchi-Venturi di sottoporre la questione a

Mussolini. Tacchi-Venturi incontrò il Capo del Governo e poi ne

scrisse, il 23 marzo 1927, a Gasparri

61 Si era sposato con Maria Papadopoli Aldobrandini nel 1903 ed aveva avuto due figli, Miriam ed un figlio maschio, Giovanni, morto subito dopo la nascita. La moglie lo abbandonò per seguire il principe siciliano Giuseppe Maria Lanza Branciforte di Trabia. Il principe ottenne il 6 aprile 1922 il divorzio a Fiume dove D’Annunzio aveva stabilito la sua reggenza del Quarnaro. 62 ASV, Segreteria di Stato, 1928, rubrica 170. Tacchi Venturi ne informò subito il segretario di Stato, card.Gasparri.

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“Eminenza, l’Ecc.mo Presidente del Consiglio dei Ministri nell’udienza

accordatami ieri sera mi assicurava che, rispetto alla questione delle

Catacombe di Priscilla in via Salaria, ammetteva ben volentieri gli

equi postulati della P.Commissione di Archeologia sacra, vale a dire

che farebbe ritirare la sospensione dei lavori intimata dal

Governatorato di Roma, ordinando che si stesse al disposto sotto il

precedente Governatore”63.

Ma ci fu ancora bisogno del suo interessamento perché un mese

dopo la situazione non era ancora risolta e Tacchi, il 28 aprile,

relazionò a Gasparri

“Eminenza, ieri sera fui ricevuto da S.E. il Capo del Governo e tra le

altre cose trattai…della persistenza del Governatorato nel volere

demolire la casa che si sta edificando alle Catacombe di S.Priscilla con

la rovina dell’antico arenario. Maggiori furono le meraviglie che dopo

la mia ultima udienza, del 22 marzo non avessero ancora avuto

termine le insistenze del Governatorato per demolire la casa condotta

tanto innanzi e rovinare quel vetusto cimitero. Avendogli io

rapidamente lumeggiato la gravità della questione e delle

conseguenze che avrebbero potuto avere in tutto il mondo civile,

l’On.Mussolini, afferrò subito, come suole, e la sodezza degli addotti

argomenti e la necessità di darci soddisfazione. E poiché io credetti di

corroborare ciò che ero venuto esponendo con leggergli[…]una non

tanto breve lettera di Mons.Belvedere nella quale si narravano quale

fosse sopra questo argomento il pensiero di Sua Santità[…]si

conchiuse che oggi stesso avrebbe mandato a chiamare il Principe

Potenziani, ieri sera assente da Roma, per ultimare e definire la

controversia secondo i legittimi desideri della S.Sede”64.

Il 29 aprile Gasparri rispose con la seguente lettera

63 ASV, Segreteria di Stato, 1927, rubrica 170. 64ASV, Segreteria di Stato, 1927, rubrica 170.

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“Ieri è pervenuta la pregiata sua di ieri la quale mi comunica, in

seguito al colloquio cui si riferisce, la sua fondata speranza di una

soluzione […]della controversia relativa all’antico arenario di

S.Priscilla. Ne portai subito la notizia a S.Santità che ne fu molto

lieto, ed espresse il suo vivo compiacimento”65.

L’anno successivo il Governatore avrebbe ceduto il posto al

successore Francesco Boncompagni Ludovisi che venne eletto il 13

settembre 192866.

65 ASV,Segreteria di Stato, 1927, rubrica 170, fasc.2 66 Spada Potenziani verrà eletto senatore il 26 febbraio 1929.

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III

FRANCESCO BONCOMPAGNI LUDOVISI

1.Gli inizi

Francesco Boncompagni Ludovisi resse il Governatorato di

Roma dal 13 settembre 1928 al 23 gennaio 1935.

La storiografia contemporanea ne sottolinea la debolezza e la

sottomissione al regime fascista; Paola Salvatori, ponendolo in linea

con il suo predecessore, afferma di Potenziani e Boncompagni che

“portati al compromesso, entrambi accettarono senza alcuna

resistenza di rivestire un ruolo puramente formale e al più

burocratico, e si guardarono bene dal formulare progetti alternativi a

quelli voluti dal duce”1. Insolera parla di Boncompagni Ludovisi come

di un solerte difensore “degli interessi dei proprietari di aree”2, e

Caracciolo definisce i governatori “figure fragili, di pura

rappresentanza, che non entrano più di tanto nei problemi correnti

del vero e proprio apparato burocratico”3. Nella biografia tracciata da

Margiotta Broglio si sottolinea da un lato l’aderenza di Boncompagni

al disegno fascista su Roma del quale fu “strumento fedele”, dall’altro

si definisce il principe come “tipico rappresentante di tutto quel

mondo, dai confini non facilmente definibili, caratterizzato

dall’aspirazione a un rinnovamento dell’antica alleanza tra trono e

altare, che contribuì a spingere decisamente il fascismo, dopo la

svolta del 3 gennaio 1925, su posizioni sempre più nette di

conservazione e reazione sociale e che svolse un ruolo fondamentale

1 P.Salvatori, op.cit.p.29. 2 I.Insolera, Roma moderna. cit., p.159 3 A.Caracciolo, I sindaci di Roma, cit.p.43

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nella realizzazione del disegno di tipica marca nazionalista e clerico-

fascista, della soluzione pattizia della questione romana”4. Riccardi ne

rivela le connessioni ed i rapporti con quel mondo cattolico

conservatore rappresentato da Egiberto Martire di cui Boncompagni fu

compagno nell’impegno politico e con il quale aveva rapporti cordiali5.

Di certo l’azione di Francesco Boncompagni Ludovisi come

Governatore di Roma si collocò negli anni di un diffuso consenso di

buona parte del mondo cattolico verso il fascismo, mondo cattolico

che non elaborò un’alternativa politica al regime, ma che via via,

negli anni Trenta, divenne più guardingo e diffidente verso il regime.

Questa diffidenza maturerà verso la fine degli anni Trenta a causa

delle leggi razziali e dell’avvicinamento di Mussolini a Hitler6.

Francesco Boncompagni Ludovisi7, Duca di Sora e Principe di

Piombino, nacque a Foligno a Villa “La Quiete” il 20 ottobre 1886 da

Laura Altieri e Ugo Boncompagni Ludovisi, che dopo la morte della

seconda moglie nel 18928 prese gli ordini sacerdotali e divenne poi

Vicecamerlengo di Santa Romana Chiesa. Ugo, conservatore, era

stato Vicepresidente dell’Unione Romana e aveva partecipato, nel

febbraio 1879, alle riunioni in casa Campello, partecipando all’ipotesi

di costituzione di un partito conservatore nazionale di ispirazione

cattolica9. Ugo, da sacerdote, mantenne sempre una posizione

contraria al movimentismo cattolico di base ed avversò

4 F.Margiotta Broglio, Boncompagni Ludovisi Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol.XI. Roma 1969, pp.709-710. 5 A.Riccardi, Roma, città sacra?, cit.pp.70-71 6 A.Riccardi, La vita religiosa, in Roma capitale a cura di V.Vidotto, cit. pp.269-321 7 Sulla famiglia vedi anche S.Palermo, Terra, città, finanza. I Boncompagni Ludovisi di Roma (1841-1896),Roma 2009 8 Ugo aveva sposato in prime nozze nel 1877 Donna Vittoria Patrizi e nel 1884 in seconde nozze Laura Altieri che morì nel 1892. Dal primo matrimonio ebbe due figle, Guendalina e Guglielmina. Dal secondo, oltre a Antonio Francesco Maria, Eleonora che divenne religiosa del S.Cuore e Teresa. 9 G.Ignesti, Il tentativo conciliatorista del 1878-1879. Le riunioni romane di casa Campello. Roma 1988

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l’associazionismo cattolico della Fuci che, in quegli anni cresceva in

modo significativo10.

Gli anni giovanili di Francesco Boncompagni furono

attraversati dalle istanze di impegno e di presenza politica nelle

vicende italiane. Nel 1908 aveva sposato Nicoletta Prinetti Castelletti,

figlia del Marchese Giulio, già Ministro dei Lavori Pubblici e degli

Esteri. Dal matrimonio nacquero quattro figli, Laura, Gregorio, Giulia

e Alberico11.

Francesco, laureatosi in Giurisprudenza nel 1910, partecipò con

entusiasmo alla Prima Guerra Mondiale dove “militò valorosamente e

ottenne una medaglia al valore e due croci di guerra”12.

Si avviò alla vita politica nel Partito Popolare e con i popolari

partecipò alle elezioni politiche del 16 novembre del 1919, in cui la

sua lista ottenne il maggior numero di voti e quattro deputati:

Francesco Boncompagni Ludovisi, Egilberto Martire, Filippo Meda e

Amanto di Fausto. Fu deputato nella XXV(1919-1921) e nella XXVI

(1921-1924) Legislatura, eletto, sempre con il Partito Popolare, nelle

elezioni del 15 maggio 192113.

Tra gli incarichi parlamentari che gli furono attribuiti vi fu, tra i

primi, la nomina a membro della Commissione Parlamentare

d’Inchiesta sulle spese di guerra che avrebbe dovuto dare

soddisfazione all’opinione pubblica indignata. La Commissione era

10 A. Riccardi, Roma città sacra?, cit. p.73. Nel testo l’Autore riporta una lettera di Mons.Boncompagni Ludovisi scritta il 10.5.1925 al Card.Pompilj nella quale il prelato afferma: “Non ci si venga a dire che l’Azione Cattolica non è asservita alla politica del partito popolare. Essa lo è, almeno per quanto riguarda ‘azione giovanile maschile. Lo si vede da un pezzo. A prescindere dagli altri nomi, quelli di D.Giulio De Rossi e del Cingolani dicono abbastanza. e questo avviene in Roma! Dove ci si vuole condurre! A quando un assesto su questa china, ad ogni titolo disastrosa?” 11 Laura nacque nel 1908 e morì nel 1975, Gregorio nacque nel 1910 e morì nel 1988, Giulia nacque nel 1914 e morì nel 1996, Alberico nacque nel 1918. 12 “La Civiltà Cattolica”, 1928,4,p.79 13 G.Talamo, Dagli inizi del secolo all’avvento del fascismo, in G.Talamo, G.Bonetta, Roma nel Novecento, cit., pp.189 e 193.

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stata istituita con legge 18 luglio 1920 n.999 ed era composta da

quindici senatori e quindici deputati. Alla Presidenza vi era

l’on.Rodinò, popolare, alla vice-presidenza l’on.Carnazza e come

segretario politico l’on.Beneduce. La Commissione era di estrema

importanza perché molte erano state le spese di guerra e l’organismo

creato aveva due ordini di facoltà: il primo era quello di “accertare gli

oneri finanziari risultanti a carico dello Stato per spese dipendenti

dalla guerra e le modalità della loro erogazione, il secondo era di

procedere alla revisione dei contratti, delle commesse, delle indennità

di requisizione e espropriazione e di proporre i provvedimenti atti a

reintegrare l’erario dei lucri indebiti o eccessivi che risultassero

accertati”14. La Commissione assai divisa, subì modificazioni durante

il suo operato che si concluse, il 29 dicembre 1922, con una Relazione

Generale articolata in diverse sotto-relazioni , approvata in Adunanza

Plenaria e trasmessa al Presidente del Consiglio e da questi al

Presidente della Camera il 4 gennaio 192315.

Boncompagni durante la sua carriera parlamentare lavorò a

temi di rilevanza politica e sociale e venne inserito, durante il

Governo Bonomi16, nella Commissione della Camera dei Deputati che

elaborò un disegno di legge riguardante i “Provvedimenti vari contro

14 Sulla Commissione e il suo mandato vedi La funzione giurisdizionale della Commissione, in Atti Parlamentari, Camera dei deputati, legislazione XXVI,Sessione 1921-23, Documenti. Vedi anche lo studio in 3 volumi di C. Crocella e F. Mazzonis (a cura), L'inchiesta parlamentare sulle spese di guerra (1920-1923), Roma 2002. 15 La Commissione era composta da quindici senatori e quindici deputati e si articolava in sei sottocommissioni. Le funzioni direttive erano sempre affidate ai deputati. All’inizio furono nominati nella Commissione i senatori Cefaly, Melodia, Bellini, Mazzoni, Cassis, Mariotti, Gioppi, Viganò, Garavetti, Cannavina, Pellerano e i deputati Rodinò, Carnazza, Mattei Gentili, Mazzolani, Squitti, Treves, Romita, Frola, De Capitani, Beneduce, Barrese, La Loggia, Merizzi, Albertelli, Venditti. A Rodinò successe come Presidente Meda, poi Carnazza, poi Mazzolani. In seguito entrarono a far parte i senatori Spirito, Torrigiani, Calisse, Agnetti e i deputati Meda, Lanza di Trabia, Bonardi, Siriani. Boncompagni Ludovisi fu eletto il 20 dicembre 1921 in sostituzione di Filippo Meda ed entrò a far parte della Sottocommissione “Armi, munizioni e mobilitazioni industriali”. La sede di lavoro era Palazzo Venezia. 16 Il Governo Bonomi restò in carica dal 4 luglio 1921 al 26 giugno 1922

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la disoccupazione17”, Commissione della quale era presidente

Francesco Coccu-Ortu18 e vicepresidente Alcide De Gasperi.

Boncompagni cominciò a distinguere la sua posizione dal

gruppo dei Popolari, votando a favore del Governo Facta nella seduta

che ne determinò la caduta19. Egli, nel corso della discussione

parlamentare, aveva sostenuto che Facta “non era riuscito a

sopprimere il fascismo non già per debolezza propria, ma perché non

era stato sostenuto adeguatamente dalla maggioranza parlamentare”

e aveva dichiarato “Io comprendo anzi che forse, tra breve tempo, la

pace all’interno possa anche venire dall’avvento dei socialisti al

potere. Però non mi pare ancora giunto questo momento”20.

Nei mesi che seguirono Francesco Boncompagni Ludovisi uscì

dal Partito Popolare ed entrò in quello nazionalista21. Fu promotore

della sezione romana dell’Unione Nazionale nell’aprile 1923 e

politicamente approdò al fascismo con la fusione nazionalista22;

rieletto deputato del “listone” nel ’24, divenne sottosegretario alle

17 Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Legislatura, Documenti, pag.1 18 Francesco Coccu Ortu era stato Ministro di Grazia e Giustizia e Culti sotto il Governo Zanardelli, in carica dal 15 febbraio 101 al 3 novembre 1903. Sotto il Governo Giolitti 3 era stato dal 29 maggio 1906 al 10 dicembre 1909 Ministro dell’Agricoltura Industria e Commercio. 19 Il Governo Facta II è stato in carica dal 1 agosto 1922 al 31 ottobre 1922 per un totale di 2 mesi e 30 giorni. 20 F.Margiotta Broglio, Boncompagni Ludovisi… cit.pag.709 21 Scrisse “Il Messaggero” in occasione della sua nomina a Governatore di Roma: “Appartenente al Partito Popolare l’onorevole Boncompagni non mancò di compiere opera serrata di critica allorché vide che il partito stesso degenerava nella peggiore demagogia. Nella seduta della Camera del 19 luglio 1922 con una franca dichiarazione egli si staccava decisamente dal partito: e fu così il primo e il solo deputato popolare che si dimise dal partito prima della Marcia su Roma”. “Il Messaggero”, martedì 11 settembre 1928, p.5. Sull’uscita di Boncompagni dal Partito Popolare vedi D.Veneruso, La vigilia del fascismo:il primo ministero Facta nella crisi dello stato liberale, Bologna 1975, pp.476,477,499. ed anche “Il Corriere della Sera”, 22 luglio 1922. 22 Sulla sua vicenda politica vedi D.Sorrentino, La Conciliazione e il fascismo cattolico: i tempi e la figura di Egilberto Martire, Brescia 1980, p. 57, F.Malgeri, Boncompagni Ludovisi Francesco in Dizionario storico del Movimento Cattolico in Italia, vol.III/1. Casale Monferrato 1981, pp.101-102. e F.Margiotta Broglio, Boncompagni,, cit.p.709

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Finanze nel 192723, fino alla nomina il 13 settembre 1928 a

Governatore di Roma. Egli fu, di certo, per la sua esperienza passata

e per la ricchezza delle relazioni costruite negli anni che lo rendevano

un riferimento significativo per molti ambienti, il più “politico” dei

Principi-governatori di Roma, conoscitore dei meccanismi istituzionali

e parlamentari. In questo senso non si può considerarlo solo come

uno dei tanti funzionari di regime, seppure di alto livello, esecutori

solerti e passivi delle volontà di Mussolini. E’ chiaro che la logica

stessa della dittatura ne cicoscrisse l’azione e lo rese debole.

Boncompagni fu un rappresentante di quel mondo cattolico

conservatore che vide nel regime fascista il possibile soggetto politico

di una nuova alleanza fra trono ed altare e che, da posizioni

conservatrici, espresse una graduale convergenza verso il regime.

Esponente dell’aristocrazia nera, legata al papato, coltivò tutta la vita

relazioni assai strette con prelati ed esponenti dell’ambiente vaticano,

anche attraverso la mediazione del padre. Il padre aveva buoni

rapporti con Mussolini al quale espresse la propria gratitudine quando

Francesco venne nominato sottosegretario alle Finanze nel luglio

1927

“Eccellenza, la nomina di mio figlio a Sotto-Segr. di It. alle

Finanze è manifestamente un segno di particolare benevolenza

dell’E.V. verso di lui e perciò vengo ad esprimerle sentite grazie.Mio

figlio è quanto abbia di più caro in questa terra, ogni cosa fatta a lui

è, nel mio pensiero, più che se fosse fatta a me. L’E.V. che la Divina

Provvidenza manifestamente ha concessa a bene della nostra cara

Patria abbia le espressioni del mio rinnovato ossequio24”

23 Fu nominato con Regio Decreto del 21 luglio 1927, dopo le dimissioni di Giuseppe Frignani, e rimase in carica fino al 9 luglio 1928. 24 Lettera di Ugo Boncompagni a Mussolini, luglio 1927. ACS,SPD,CO, b.1209,f.509.667

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Francesco Boncompagni Ludovisi, nel governo della città di

Roma, ebbe ben chiara la consapevolezza che le grandi linee politiche

passavano ad altro livello e non nel Campidoglio e che avrebbe

potuto, al massimo, fare il buon amministratore, seppure con mezzi

finanziari inadeguati. La sua personalità spiccata, il prestigio della

collocazione sociale, alcune volte, gli resero faticoso tenere questo

basso profilo e lo consigliarono ad intervenire in alcune questioni un

po’ “alla buona” utilizzando, per vie non ufficiali e riservate, le

conoscenze e le risorse familiari.

Il 21 gennaio 1929 Boncompagni venne nominato Senatore25.

Egli ricoprì la carica occupandosi più volte dei problemi agricoli. Nella

XXX Legislatura, che si avviò nel 1939, entrò a far parte della

Commissione Agricola del Senato e si dedicò con passione al suo

incarico26.. Nel gennaio 1942 presentò in aula parlamentare alcuni

Provvedimenti diretti ad incoraggiare la produzione del grano e, nel

maggio dello stesso anno presentò un progetto di riordinamento degli

enti economici dell’agricoltura e dei consorzi agrari. Questo suo

interesse per i problemi dell’agricoltura lo caratterizzò fin dalla

giovinezza.

2.Un vecchio amico:Tacchi-Venturi

Tra gli altri, fu particolarmente significativo nella sua vita, il

rapporto di amicizia e simpatia che Francesco ebbe con padre Tacchi-

Venturi, amicizia che lo accompagnò tutta la vita, anche se con

alterne vicende. Con il gesuita egli, da giovane, aveva condiviso il

gusto per gli studi umanistici ed orientalisti che già era stato di suo

25 Il relatore della proposta fu il liberale Carlo Calisse. Il 14 giugno 1929 Boncompagni chiese di essere inserito nell’Unione Nazionale Fascista del Senato dove venne iscritto il 17 giugno 1929. 26 Dal 16 maggio 1936 al 2 marzo 1939 fu membro, inoltre, della Commissione del Senato per il giudizio dell’Alta Corte di Giustizia.

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padre. Francesco coltivava, infatti, l’interesse per l’Asia, in particolare

per il Giappone, e Tacchi-Venturi, all’interno di un rapporto paterno e

confidenziale, lo aiutò più volte fornendogli documenti e consigli27.

Aveva scritto Boncompagni nel 1904

“Gentilissimo Padre, grazie delle lodi e grazie anche maggiori

delle censure fatte al mio libro nel suo articolo della Civiltà Cattolica.

Né ho dimenticato e sono per dimenticare l’interesse con cui Ella ha

assistito dal nascimento al suo licenziamento alle stampe il mio primo

lavoro, interesse che spero vorrà continuare a mostrare per il

secondo quando vi porrò mano28”

Infatti Tacchi-Venturi aveva scritto un’erudita recensione del

libro di Boncompagni “Le prime due ambasciate dei Giapponesi a

Roma (1585-1615)29, edito da Forzani e Compagno. In quell’articolo30

aveva messo in risalto l’importanza del tema trattato ed il valore delle

ricerche effettuate dal principe ed aveva sottolineato che “questa

pagina illustre nella storia di Roma sullo scorcio del secolo XVI,

pagina memoranda chi risguardi il significato dell’ambasciata,

conforme rettamente l’intesero la nazione che l’inviava e i due

27 Il profondo interesse culturale per l’Asia fruttarono al principe, nel 1933, la nomina a consigliere dell’ ISMEO, L'Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente fondato come ente morale con il Regio Decreto n. 142 del 1933. Giovanni Gentile ne fu il primo presidente, Giuseppe Tucci il vicepresidente esecutivo. 28 ARSJ, Fondo Tacchi Venturi, 1003/369, anno 1904 29 “La Civiltà Cattolica”, 1904, 3, pp.455-464. Il libro era uscito in occasione delle nozze d’oro dei nonni del Principe, don Rodolfo Boncompagni e donna Agnese Borghese e a loro era stato dedicato dall’Autore che aveva scritto “Ai miei nonni nel giorno delle nozze d’oro quest’umile primo frutto de’ miei studi dedico in segno di gratitudine e di affetto”. 30 Forzani e Compagno era la Casa Editrice del Senato. La veste tipografica del libro fu molto apprezzata da Tacchi-Venturi. Sottolineò che il volume era stato “condotto con quella finitezza e splendore d’arte tipografica, consueto merito dei lavori del Forzani” ed in nota affermò che “Tirato come è in numero di soli centoquattro esemplari non numerati, si può dire sia già divenuto un vero cimelio bibliografico, destinato a divenire più prezioso col trascorrere degli anni”. “La Civiltà Cattolica”, 1904, ivi, nota a pag.457.

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Romani Pontefici che a tanto onore l’accolsero, torna ora a rivivere,

attinta a schiettissime fonti quanto alla materia e leggiadramente

pigliata nella forma, per opera del giovane principe don Francesco

Boncompagni-Ludovisi”.

In una seconda lettera del 1906 Boncompagni scrisse al prelato

“Che Dio La rimeriti e mi faccia questa grazia, quando che sia,

di poterle mostrare, ricambiandola con altrettanti favori, la mia

gratitudine31”

Gratitudine di famiglia che anche il padre Ugo, manifestò più

volte al religioso32. Questi, del resto, considerava la famiglia

Boncompagni un aiuto prezioso per le sue ricerche storiche33

Tacchi-Venturi seguì la carriera politica e professionale del

principe e lo considerò tutta la vita un appoggio istituzionale per le

questioni ecclesiastiche.

Qualcosa si appannò negli anni tra i due, tanto che, dopo la

Seconda Guerra Mondiale, quando il principe fu deferito all’Alta Corte

di Giustizia del Senato e cercava sostegno dal Gesuita, Tacchi Venturi

intervenne solo in un secondo momento, dopo alcune insistenze.

Boncompagni, il 10 gennaio 1946, lamentava infatti di “bussare” alla

porta del gesuita e di non incontrare risposta34. In seguito l’aiuto

verrà e, in una lettera del 24 luglio 1946, Boncompagni informerà

Tacchi-Venturi che l’Alta Corte si era pronunciata favorevolmente per

31 ARSJ, Fondo Tacchi Venturi, 1004/434, Anno 1906 32 In una lettera del 9 settembre 1910, Ugo scrisse a Tacchi-Venturi manifestandogli il suo affetto e affermando che il sacerdote “è tra i pochi veri amici”. ARSJ, Fondo Tacchi Venturi, 1004/434 33 Il 15 novembre 1924 Tacchi-Venturi scrisse al Principe di Piombino per richiedergli le lettere del missionario Padre Roberto de’Nobili, congiunto dei Boncompagni, per l’Esposizione Missionaria Vaticana. ASV, Archivio Boncompagni Ludovisi, b.712.14, fasc.1. 34 ARSJ, Fondo Tacchi-Venturi, 1018/424

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il suo ricorso all’ordinanza di decadenza dalla carica parlamentare e

ne ringrazierà il vecchio amico al quale “va in larga parte il merito di

tale risultato”35

Del resto le amicizie in ambiente vaticano lo sostennero anche

nell’ultima parte della sua vita, fino alla morte che avvenne il 7

giugno 1955. Nell’ultimo periodo della sua vita, Boncompagni

Ludovisi, malato e solo, sarà oggetto di attenzione anche da parte del

card. Montini, Sostituto alla Segretaria di Stato, che lo avrebbe

raccomandato affettuosamente a padre Tacchi Venturi36 perché se ne

prendesse cura. Montini, infatti, in una lettera del settembre 1948,

informò il gesuita che il Principe Boncompagni Ludovisi mancava di

qualsiasi assistenza religiosa e, sapendo che aveva avuto sempre

grande stima per Tacchi-Venturi, lo pregava di occuparsene. Il

gesuita obbedì e Montini ne riferì al Papa che “ha mostrato vivo e

paterno interesse e ha incaricato lo scrivente di far avere all’infermo

la Benedizione del S. Padre”37. Pio XII, del resto, da Segretario di

Stato38, aveva intessuto buoni rapporti col principe che lo aveva fatto

oggetto di numerosi inviti e gesti di cortesia che si intensificarono, in

particolare, negli anni 1933-1934. Le occasioni sono molteplici: lo

scoprimento di un monumento come nel 1933, la commemorazione di

San Giovanni Bosco, tenuta dall’Ambasciatore presso la Santa Sede

Cesare Maria de Vecchi di Val Cismon in Campidoglio, alla presenza

del Capo del Governo, nel 193439 e nello stesso anno il Congresso

della Pax Romana40. In tutte queste occasioni Pacelli declinò l’invito

con cortesia.

35 ARSJ, Fondo Tacchi-Venturi, 1018/464 36 La lettera di Montini è dell’ 8 settembre 1948. ARSJ, Fondo Tacchi Venturi, 1019/274 37 ARSJ, Fondo Tacchi-Venturi, 1019/275 38 il card.Pacelli era stato nominato Segretario di Stato nel 1931, succedendo al card.Gasparri 39 ASV, Segreteria di Stato, 1934, rubrica 38ª, fasc.2 40 ASV, Segreteria di Stato, 1935, rubrica 328, prot.131349

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Sempre, comunque, il Principe si sentirà accompagnato nella

sua vita dalla presenza della Chiesa ed esprimerà gratitudine per le

amicizie fedeli che lo avevano sostenuto durante tutta la vita.

Scriverà nel 1953 a Tacchi-Venturi

“Con la malattia che da anni mi obbliga in una poltrona e con le

continue delusioni, non anelo che alla fine. Non dimentico le

numerose prove di affetto41”

3.Prima della nomina a Governatore: Presidente del Banco di

Roma e Sottosegretario alle Finanze

Il 9 febbraio 1923 Francesco Boncompagni Ludovisi assunse la

Presidenza del Banco di Roma e la conservò fino al 24 agosto 1927.

Fedele al regime, nella relazione degli azionisti del 28 settembre 1923

Boncompagni scrisse che “l’opera dell’amministrazione sarebbe stata

ispirata al senso della più alta responsabilità e al dovere di

riconoscenza verso il governo fascista”42

Ma cosa aveva preceduto la sua nomina? Il maggiore istituto

bancario del Vaticano versava in condizioni gravissime. Operazioni

finanziarie spericolate, gestioni tese a profitti personali di alcuni

amministratori, l’appoggio oneroso concesso alle imprese coloniali,

avevano messo in ginocchio l’istituto di credito che rischiava il

fallimento. Vi era stato, nel gennaio 1923, un colloquio riservato tra il

card. Gasparri e Mussolini, Capo del Governo, nel quale si chiese da

parte del Vaticano il salvataggio del Banco di Roma. Mussolini

accettò e fece intervenire la Banca di Italia che sanò le perdite del

Banco che ammontavano a 2.120.000 lire. Alcune interpretazioni

41 ARSJ, Fondo Tacchi-Venturi, 1017/38 42 E.Rossi, Il manganello e l’aspersorio, Firenze-Roma 1958, pag.62

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storiografiche motivano questo salvataggio con la volontà di Mussolini

di “mettere le mani sul Banco”43. In questo si iscriverebbe anche

l’avvento di Boncompagni Ludovisi che, nominato su proposta del

Direttore Generale della Banca d’Italia Stringher, nel 1923, sostituì il

sen. Carlo Santucci alla presidenza della banca che riportò alla

stabilità . Egli riuscì a far ritrovare al Banco la solidità del passato44.

Alcuni anni dopo, egli, divenuto Sottosegretario alle Finanze,

espliciterà in una relazione al Ministro delle Finanze Volpi di

Misurata45,, proponendo una riorganizzazione degli istituti bancari

cattolici, quella che era stata la finalità della riorganizzazione e del

sostegno alla Banca da parte del duce

“Il Banco di Roma ha avuto, o per lo meno dal pubblico gli

veniva riconosciuto, un suo carattere speciale di istituto filocattolico,

in conseguenza di che speciali interessi sia all’interno che all’esterno

erano ad esso collegati, il che, dopo la marcia su Roma, ne consigliò

al Governo Nazionale il salvataggio. Ma, mentre da un lato la politica

religiosa del nuovo regime faceva scomparire quelle antitesi che per il

passato si manifestavano anche nel campo economico, da un altro

lato alte considerazioni di ordine politico e finanziario,indussero i suoi

dirigenti a frenare quella tendenza non più contingente che del Banco

di Roma voleva fare il maggiore esponente delle forze economiche

cattoliche, portandole invece ad assumere, in un momento

particolarmente difficile, il carattere di istituto saldamente aderente al

nuovo regime. Ma ora che la nuova coscienza si è generalizzata,

43 G.De Rosa, I Conservatori nazionali: biografia di Carlo Santucci, Brescia 1962, p.113 44 Sulla sua Presidenza vedi L.De Rosa, Storia del Banco di Roma, Roma 1983. L’A. afferma che nel 1927 “nonostante la stazionarietà degli utili, che pure assicurava il 6% agli azionisti, il Banco di Roma aveva pienamente recuperato la sua solidità”. Pp.373 e seguenti. 45 Nella relazione Boncompagni esponeva un piano di realizzazione di riforma del sistema bancario finalizzato alla fusione dei diversi istituti di credito. ACS, SPD, CO, b.1209, f.509.667

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questa peculiarità scompare ed il Banco rimane un organismo

sproporzionato alle sue possibilità di azioni”46.

Il 21 luglio 1927 Boncompagni fu nominato Sottosegretario di

Stato alle Finanze ed in questa veste, esperto conoscitore della realtà

finanziaria del paese qual’era, elaborò una riforma dei tributi locali,

imposta dall’aggravarsi della situazione economica dei comuni.

Chiaramente nella sua memoria difensiva egli minimizzerà questo suo

ruolo di consulenza e parlerà di “essere rimasto sempre estraneo alla

compilazione di qualsiasi legge finanziaria del tempo e, in specie, ad

ogni e qualsiasi decisione e pratica di importanza e carattere generale

(formazioni di bilancio, gestione di tesoreria, politica monetaria,

tributaria, ecc.)”47. In realtà la sua opera da sottosegretario non fu

certo di basso profilo; egli, al contrario, ebbe un’ attività

intensissima, studiò per incarico del Ministro Volpi una riforma

daziaria e questo gli permise di entrare in contatto con Prefetti e

Podestà e di rendersi conto dell’andamento negativo delle finanze

locali dei comuni italiani.

La situazione di indebitamento dei comuni era di lunga data. Nel

1919 un decreto reale aveva messo a punto dei provvedimenti

finanziari a favore degli enti locali. Il Decreto decretava che la “Cassa

dei depositi e prestiti era autorizzata a concedere ai comuni mutui

speciali per metterli in grado di far fronte a deficienze di bilancio

accertate e accertabili al 31 dicembre 191848”. Nel 1921 il Ministro

Finanze Soleri aveva presentato un Disegno di legge sul

“Riordinamento della finanza locale” e in esso parlava di un “indice di

disagio sempre crescente in cui vennero a trovarsi le provincie e i

46Relazione di Boncompagni al Ministro Volpi inviata il 29 marzo 1928. ACS, SPD,CO,ibidem. Sulla vicenda dell’accorpamento delle Banche cattoliche vedi G.Rossini, Il Movimento Cattolico nel periodo fascista, Roma 1966, pp.75-113. 47 F.Boncompagni Ludovisi, Memoria difensiva,cit. 48 Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Legislatura XXV, Documenti, Sessione 1921-1921, p.279. Roma 1921

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comuni”. Egli nella relazione allegata al disegno di legge fornì i dati

dei mutui concessi dalla Cassa. Nella relazione il Comune di Roma in

particolare aveva nei primi dieci mesi del 1921 ottenuto prestiti per

105.700.000 di lire. I prestiti erano serviti a coprire per 82.800

milioni le deficienze di bilancio, per 19.100 milioni le spese del caro-

viveri, per 3.800 milioni gli aumenti di stipendio del personale. Il

tono della relazione era assai preoccupato. Le spese suddette erano

in crescendo:

“Impressionante è invece il crescendo verificatosi negli ultimi

anni nell’ammontare di mutui concessi per fronteggiare la maggiore

spesa per indennità caro-viveri, l’aumento di stipendio e le deficienze

di bilanci. Basti dire che le concessioni di siffatti prestiti nel 1920,

furono cinque volte maggiori di quelle decretate nel 1919 e nel 1921

a loro volta doppie di quelle decretate nel 1920 e quindi decuple di

quelle del 191949”.

Ma le cose negli anni seguenti di certo non migliorarono.

Boncompagni, analizzando, dunque, questo problema, segnalò in una

lettera a Volpi il 31 dicembre 1927 le sue preoccupazioni e la

necessità di “pronti ed energici provvedimenti” e per questo venne

incaricato di elaborare proposte di riforma finanziaria in accordo con il

sottosegretario agli Interni, Suardo50. A seguito di tale incarico

proseguì i suoi studi e richiese ai Prefetti copia dei bilanci preventivi

del 1927 e del 1928 per i principali Comuni. Esaminò in particolare

alcune situazioni altamente critiche come quelle dei comuni di Rimini

e di Caserta, dove la eccessiva pressione fiscale aveva creato

malcontenti tra la popolazione ed aveva suscitato una gran quantità

di ricorsi. Si avvalse, inoltre, dei dati raccolti dalla Direzione Generale

49 Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Legislatura XXVI, Documenti, Sessione 1921-1923. 50 Relazione di Boncompagni a Volpi, 29 marzo 1928.ACS,SPD,CO,b.1209,f.509.667

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delle Imposte Dirette, pubblicati nel 1925, di informazioni della

Direzione Generale delle Imposte Dirette e dei memoriali delle

Presidenze delle due Federazioni degli Enti Autarchici. Al termine del

lavoro di analisi, il 29 marzo 1928, Boncompagni inviò al Ministro

Volpi una relazione con alcune proposte di riforma tributaria che

intendeva fossero, preliminarmente, portate all’attenzione di

Mussolini, prima di procedere alla trattazione dell’argomento con

Suardo. Egli sapeva bene che la materia trattata era “questione di

alta importanza” che andava risolta in conformità agli indirizzi politici

del Governo. Egli affrontò l’argomento con questa consapevolezza e

la relazione mostra lo studio attento e la competenza con la quale il

principe eseguì l’incarico ricevuto. Boncompagni, analizzando i bilanci

dei comuni italiani, ne verificò la disomogeneità, l’arretratezza

nell’impostazione finanziaria e per questo evidenziò la necessità di

introdurre correttivi adeguati ai tempi nuovi ed alle mutate condizioni

dell’economia nazionale. Egli osservava che “la criticità della

situazione non è determinata solo dai disavanzi ma anche, e forse

più, dal fatto che le spese non si vanno adeguando alle nuove

condizioni dell’economia privata”. Oltre questo, rispetto al passato,

era in aumento la pressione fiscale che al contrario “deve essere

contenuta in limiti possibili”51. Egli si fece l’idea, che lo accompagnò

poi anche nel governo di Roma, che non bastava aumentare la

pressione fiscale per risolvere i problemi finanziari di bilancio degli

enti locali.

Boncompagni scrisse

51 ACS,SPD,CO, b.1209, ibidem

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“A mio avviso non basterà limitarsi ad un contenimento delle

spese ma si dovrà anche riformare tutto il complesso sistema delle

entrate.52”

Il riordino in materia finanziaria doveva prevedere un controllo

più efficace del Governo sugli Enti Locali per limitare la

sperequazione, le differenze, l’arbitrio nell’imposizione fiscale. Egli

propose al riguardo un organo di controllo centrale che”deve avere un

capo, non può essere acefalo”:

“La funzione del controllo dovrebbe essere quindi squisitamente

politica e perciò il di lui capo dovrebbe essere membro del Governo.

Che questo capo sia il Ministro dell’Interno o quello delle Finanze, o

un Sottosegretario alle dirette dipendenze di S.E. il Capo del Governo

è questione che esorbita dalla mia competenza53”.

Egli non vedeva questo controllo come una mortificazione

dell’autonomia locale, anzi guardava all’Inghilterra come un modello

di amministrazione, soprattutto come scelta di equilibrio e giustizia

nella creazione dei tributi comunali. Apprezzava il Self Government

inglese che non consentiva ai Municipi di imporre ai cittadini un

tributo che la legge non avesse dichiarato obbligatorio per il Comune.

Egli affermava

“quanto sia più sano il concetto amministrativo del Self

Government che pur ha una base etica e politica più solida e

tradizionale dell’Autarchia dei nostri Enti. La degenerazione della

funzione amministrativa presso di noi si è ormai così inveterata da far

ritenere non essere possibile sradicarla senza l’intervento di una alta

52 Relazione al Ministro Volpi, già citata. ACS,CO, b.1209, ibidem 53 Relazione di Boncompagni a Volpi, 29 marzo 1928..ACS,SPD,CO, b.1209,f.509.667

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Autorità che abbia tutto il prestigio e tutto il potere di un membro del

Governo.

La stessa Inghilterra (cito sempre il paese classico dell’autonomia

locale) ha ritenuto necessario creare il Local Government Board

attraverso il quale lo Stato esercita una larga ingerenza sugli atti

delle Parrocchie, dei borghi e delle contee. A più forte ragione questo

controllo appare imporsi presso di noi specialmente dopo il nuovo

ordinamento politico amministrativo che è stato dato alla Nazione”.

E’ credibile l’ipotesi che questa proposta abbia ispirato il

regolamento legislativo del Governatorato approvato con Regio

Decreto n.1945 il 29 luglio 1928 che all’art.20 istituì una commissione

speciale interministeriale per il controllo sui bilanci e sui piani delle

opere della città di Roma.

Volpi, letta la relazione, rispose a Boncompagni:

“Caro Boncompagni, ho dato una prima lettura al progetto

denso di dati, di pensiero e di proposte molto serie. Su alcuni

elementi potremo parlare, perché ho idee un po’ diverse, ma nel suo

assieme, come tu ben dici, è un ottima impostazione del problema.

Ne parlerò anche in Consiglio dei Ministri ma dopo più precisamente

col Capo del Governo”54

La relazione incontrò, invece, il favore di Mussolini a cui

Boncompagni l’aveva mandata in copia il 20 luglio 1928. Mussolini

dopo averla letta scrisse al principe:

“Caro Boncompagni, ho letto i suoi interessanti e profondi studi

sul dazio-consumo, finanze locali, etc. E’ mio convincimento che la

“cinta chiusa” sia un relitto medievale e che il Regime non può

fermarsi paralizzato dinanzi a tale relitto”55

54 Risposta di Volpi a Boncompagni scritta a mano alla fine della lettera del sottosegretario . ACS, CO, b.1209,ibidem. 55 ACS,CO, b.1209, ibidem

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Probabilmente proprio la competenza del principe in campo

finanziario pesò in modo determinante nella scelta di Mussolini di

affidare a Boncompagni il Governatorato della città. Dopo i primi due

Governatori occorreva avviarsi in modo deciso verso la realizzazione

di una Roma fascista senza esposizione debitoria e si stava

precisando il rapporto città-stato con una netta riaffermazione del

controllo centrale.

Il 13 settembre 1928 Boncompagni lasciò l’incarico ministeriale

e si avviò a ricoprire la carica di Governatore di Roma. Della sua

nomina già si parlava da anni, addirittura dopo il Governatorato

Cremonesi alla successione del quale sembrava il più favorito. In un

rapporto riservato della Questura si legge: “Nel campo aristocratico

romano si nota una attività vivissima per fare una campagna pro-

Boncompagni Ludovisi a Governatore di Roma”56

Non si hanno notizie del perché, in quel momento, gli si preferì

Spada Potenziani. Forse la sua nomina venne solo rimandata.

4.Boncompagni e il problema delle campagne:riformista agrario

Boncompagni dopo la nomina a Governatore di Roma si trovò

ad affrontare diversi problemi emergenti per la città di Roma e per il

suo territorio. Il primo riguardava la situazione dell’ Agro romano. Egli

vi lavorò con tenacia e competenza. Del resto, fin dagli anni giovanili,

Boncompagni Ludovisi, impegnato nella conduzione delle sue tenute

agricole, si era dedicato con passione allo studio dell’economia

agraria, ed aveva elaborato, alcune linee di politica agraria animate

56 ACS,DGPS, 1926, b. 5. Lettera senza data e senza firma col timbro “Direzione Generale P.S.-Ufficio Riservato” registrata al protocollo il 2 dicembre 1926.

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da una visione moderna ed alternativa sia alla gestione statica sia al

progetto socialista della riorganizzazione della terra. Probabilmente

questa sua lunga esperienza giocò, tra altre valutazioni, a favore della

sua nomina57.

La condizione delle campagne intorno a Roma era sempre stata

caratterizzata da una grande estensione del latifondo, con terre

malsane, colpite dalla malaria e dalla siccità. Da parte dei governi che

si erano susseguiti dopo l’unità d’Italia vi era stata la preoccupazione

costante per la risoluzione del problema ma le diverse politiche

agrarie non erano riuscite a cambiare la struttura arretrata e

improduttiva delle campagne italiane. Ma qual’era la situazione

nazionale?

A partire da una posizione marxista, Emilio Sereni58 nella sua

analisi della proprietà terriera in Italia pubblicata nel 194659 ha

evidenziato le trasformazioni di quegli anni ed il passaggio avvenuto

nei primi decenni del Novecento, da un’agricoltura gestita dalle grandi

famiglie nobili a quella in mano a banche e capitali borghesi. Egli

parla di “una progressiva subordinazione della terra al capitale”60,

attraverso un processo inizialmente di compromesso e poi di

compenetrazione tra le forze del grande capitale e quelle delle

grandi famiglie nobili. In effetti, agli inizi degli anni Venti, ci fu una

lenta mutazione delle forme e della ripartizione sociale della proprietà

terriera in Italia. Da un’indagine statistica effettuata dallo stesso

57 Scrisse “Il Messaggero”: “Giovanissimo intraprese esperimenti di bonifica nella tenuta di Tor Mancina (Monterotondo) e questo fin dal 1910 quando le bonifiche nell’Agro Romano avevano scarsi fautori[…]Egli conduce e dirige direttamente le proprie vaste aziende agrarie nell’Agro Romano, che sono oggetto di ammirazione da parte dei competenti per la organicità delle bonifiche effettuatevi, e che nella loro imponente complesso di oltre 30.000 ettari rappresentano una attività notevole nell’economia nazionale”. “Il Messaggero”, martedì 11 settembre 1928, cit. 58 Emilio Sereni (Roma 13 agosto 1907 – Roma 20 marzo 1977) fu giornalista, partigiano, politico e scrittore italiano. 59 E.Sereni, La questione agraria nella rinascita nazionale italiana, Roma 1946. 60 E.Sereni, op.cit.pag.108

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Sereni si rilevava che il totale della proprietà nobiliare in Italia in

quegli anni, era di tre milioni d’ettari, a fronte degli 11 milioni 272

mila in mano a banche e capitalisti borghesi, dei quattro milioni di

proprietà di Enti vari e dei cinque milioni 980 mila di contadini medi e

piccoli. Ma nella campagna romana seguitava a dominare la grande

proprietà. Molte erano le famiglie nobili proprietarie di grandi tenute

che le gestivano a coltivazione estensiva e pascolo61.

Di certo l’esperienza di Boncompagni, maturata in materia

agricola e le sue idee su di un nuovo assetto ambientale parvero utili

al regime che intendeva cavalcare una idea di cauto riformismo e di

modernità. Del resto occorreva contrastare l’avanzata socialista nelle

campagne, il suo presentarsi come una forza di difesa dei diritti dei

contadini e come speranza di cambiamento dei rapporti di potere

della realtà agraria italiana.

Le linee fondamentali della politica agraria fascista furono due:

la bonifica agraria e la battaglia del grano62. In quegli anni si stagliò

l’opera e la figura di Arrigo Serpieri, scienziato e dirigente tecnico e

politico, Presidente del Segretariato per la Montagna dal 1919 al 1935

e nel 1923, Sottosegretario di Stato per l'Agricoltura63

Egli, di idee liberiste, non appoggiava completamente la linea di

Mussolini che aveva voluto mantenere il latifondo ed avviare con la

Battaglia del Grano una cultura estensiva del territorio. Serpieri era

sostenitore della piccola proprietà agraria a gestione imprenditoriale.

Contrario al latifondo, tentò di combatterlo con il decreto 753 del 18

61 Questa situazione continuò anche negli anni dopo la guerra. Sull’argomento v.A.Caracciolo, Le agitazioni per le terre dei contadini di Roma in “Rinascita”,n.4,1950,pp.213-214. 62 Sull’argomento vedi il libro P. A. Faita, La politica agraria del fascismo: i rapporti fra le classi rurali, le scelte produttive, in AA. VV, IRRSAE Piemonte,Progetto storia, Torino 1995 63 Su Serpieri vedi P. P. D'Attorre, A. De Bernardi, Studi sull'agricoltura italiana: società rurale e modernizzazione,Roma 1994 e C.Desideri, L’amministrazione dell’agricoltura, 1910-1980, Roma 1981 ed ancora F. Marasti, Il Fascismo rurale. Arrigo Serpieri e la bonifica integrale, Roma 2001

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maggio 1924 minacciando l'esproprio ai latifondisti che non avessero

trasformato le loro fattorie in moderne aziende. Serpieri nutrì

simpatie per il socialismo di Turati e Prampolini e considerò prioritario

l’impegno per l’ emancipazione ed il miglioramento sociale dei

contadini. Egli auspicava, inoltre, la modernizzazione dell’agricoltura

(minacciata dalla crescita dello sviluppo industriale), attraverso la

nascita di imprese agricole nuove ed efficienti.

Il Testo Unico di cui alla Legge 30/12/1923 n. 337, studiato dal

Serpieri nel suo breve periodo di sottosegretariato, ne corresse gli

errori, introducendo il fondamentale principio della correlazione tra

bosco ed agricoltura montana, a sostegno di una economia rurale

agevolata dalle indispensabili opere ed infrastrutture per

l'insediamento umano. Tornato al Ministero dell'Agricoltura come

Sottosegretario, dal 1929 al 1935, egli potè‚ unificare la materia

facendo approvare quello che può essere considerato il suo

capolavoro di tecnico e di legislatore, cioè il Testo Unico sulla bonifica

integrale (Legge n. 215 del 13/2/1933). Essa era espressione di un

nuovo concetto di base che consisteva nell’affermazione secondo la

quale la bonifica non si esauriva con l’esecuzione del prosciugamento,

ma andava coordinata da un lato con la sistemazione del territorio e

dall’altro, dove vi era la possibilità, con la produzione di forza

motrice, con l’irrigazione e con l’apertura di strade di collegamento, in

modo da mettere in comunicazione i comprensori con i centri abitati,

dotandoli di acqua potabile e di energia elettrica, oltre ad una vasta

opera di rimboschimento.

Dalla documentazione esaminata si rileva che Boncompagni

Ludovisi s’inserì nell’acceso dibattito sulla “terra ai contadini” che

infiammava e determinava gran parte della propaganda politica negli

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anni postbellici. Da un’analisi di alcuni suoi discorsi, pronunciati in

pubbliche occasioni, egli sembra inserirsi in una linea di cauto

riformismo e di modernizzazione per giungere a quel cambiamento

che la realtà delle campagne italiane e delle lotte contadine

sollecitava e che il Partito Popolare tentò di interpretare.

In un discorso pronunciato l’11 novembre 1919 nella Sede

dell’Associazione Commerciale Industriale Agricola Romana, egli, poco

prima dell’appuntamento elettorale del 16 novembre, volle presentare

il suo programma elettorale riguardo all’agricoltura64- Dall’analisi del

discorso pronunciato emergono elementi interessanti sia riguardo alle

linee principali del suo pensiero sia sul suo modo di porsi come

politico concreto e realista, a partire dall’esperienza della sua vita

personale e familiare.

Egli, innanzitutto,si presentava agli uditori “da agricoltore” e

riferendosi alla “quotidiana esperienza dell’azienda rurale” affermava

di essere divenuto familiare a “quella complicata e delicata impresa

che è la produzione agricola ed a quella vita, difficilmente penetrabile,

che è la vita della terra”. Egli intendeva portare il suo contributo alla

vita politica italiana e affermava di essere “uno che crede superiori a

tutte le ideologie i minuti insegnamenti della realtà vissuta,

soprattutto in quanto vanno a mettere capo in grandissima parte, alla

terra65.”

Boncompagni da ruralista convinto nella sua esposizione

sottolineava che il problema vero della produzione italiana era

essenzialmente un problema agricolo e che “socialmente ed

economicamente l’agricoltura rimane […]la base di tutta la nostra vita

economica e sociale”. Egli affermava:

64 F.Boncompagni Ludovisi, La politica agraria nell’ora attuale. Discorso programma pronunziato il giorno 11 novembre 1919 nella sede dell’Associazione Commerciale Industriale Agricola Romana, Roma 1919 65 F.Boncompagni Ludovisi, op.cit.pag.4

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“Dall’incremento della nostra agricoltura dipende la soluzione di

due gravi problemi uno economico, l’aumento cioè della produzione;

l’altro sociale, l’impiego della esuberante popolazione rurale[…]In

Italia, purtroppo, il latifondo ricopre una vasta superficie[…]Un gran

passo si potrebbe dire di aver fatto, se da queste sterminate

estensioni di terreno riuscissimo a ricavare le derrate che difettano, e

per cui tanta parte della nostra scarsa disponibilità di oro vada ad

aumentare la ricchezza di altre Nazioni; e se riuscissimo altresì ad

assorbirvi tutta, o gran parte almeno della mano d’opera agricola”66

Egli vedeva come centrale, dunque, la bonifica del latifondo -

problema assai dibattuto all’epoca- bonifica dalla quale sarebbe

derivata la produzione delle derrate necessarie al Paese.

Boncompagni, nella sua esposizione, affrontando il problema della

“terra ai contadini”67, da conservatore illuminato, intendeva mettere

in guardia da facili soluzioni di quotizzazione che, senza un piano

globale di risanamento delle campagne, non avrebbe potuto garantire

un vero sviluppo dell’agricoltura ed una duratura ricchezza ai

contadini.

Ma quali erano i suoi riferimenti culturali e politici? E’

interessante notare come, nel suo discorso, il principe citi alcuni tra i

maggiori studiosi in materia economico-agraria quali Jacini68,

66 F.Boncompagni Ludovisi, op.cit.pag.6 67 Nel dibattito politico sul latifondo erano state avanzate, tra le altre, soluzioni anche da parte dello stesso Serpieri, che prevedevano la divisione il latifondo in appezzamenti di terra, affidandolo a contadini in grado di lavorarlo con profitto. Boncompagni al riguardo cita nel suo discorso alcuni slogans della campagna elettorale. In particolare, da più parti, si rimproverava ai contadini del Lazio e del Mezzogiorno l’incapacità di lavorare le terre e si prospettava la possibilità di affidarle a contadini del Nord Italia. 68 Stefano Jacini (Casalbuttano, 20 giugno 1826 – Milano, 25 marzo 1891) è stato un politico e economista italiano. Liberista di impostazione, Dal 1881 al 1886 fu presidente della commissione d'inchiesta sulle condizioni dell'agricoltura in Italia, e pubblicò un voluminoso rapporto, tutt'ora noto col nome Inchiesta Jacini. Egli chiedeva la riduzione delle spese militari e sgravi fiscali per l'agricoltura. Vedi S.Jacini, Atti della Giunta per l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola, Roma 1883 e A.Caracciolo, L’inchiesta agraria Jacini, Torino 1973

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Valenti69, Nitti70 e Azimonti71, Essi, di diversa formazione politica,

erano sensibili ai problemi sociali e aperti ad una nuova impostazione

della politica agraria. Rispetto al latifondo, essi “ci dicono che il

latifondo non è dovuto a colpa degli uomini, ma in gran parte alle

infelici condizioni del suolo, del clima e di tutto l’ambiente: deficienza

di acqua potabile ed irrigua, insufficiente rete stradale”72

Boncompagni che diffidava delle facili semplificazioni elettorali e

delle rigide impostazioni ideologiche, riteneva necessario affrontare il

problema del latifondo eliminando, con realismo e competenza

tecnica, quelle che per lui erano le vere cause di questo male: malaria

e siccità.

69 Ghino Valenti, maceratese, è considerato dagli storici dell’agricoltura il maggior economista agrario italiano fra Otto e Novecento. Insegnò Economia politica nelle Università di Modena, Padova e Siena e ebbe diversi incarichi al Ministero dell'agricoltura lavorando alla organizzazione del Catasto agrario. Scrisse numerosi saggi riuniti nei “Principi di scienze economiche” del 1906 e negli “Studi di politica agraria” del 1914. Uno dei suoi testi più importanti fu "Teoria del valore" del 1890 che costituisce una sorta di "summa" delle conoscenze e dei dibattiti di teoria economica in Italia. Egli segue le teorie di Smith, di Ricardo, di Marx, di Lassalle e affronta il problema sul valore in chiave politico-sociale: "La limitazione quantitativa dei beni è pertanto la causa di ogni disuguaglianza economica e sociale...; è la causa così dell'opulenza come della miseria; è la causa dei monopoli così come delle crisi; è la causa insomma dell'eterna lotta tra poveri e ricchi". Egli vedeva necessario l’intervento dello stato, a differenza di una interpretazione liberista ma questo intervento deve essere orientato intelligentemente alla promozione di una equa ricchezza. Bollettino-INEA, n.1,gennaio-febbraio 1997 70 Francesco Saverio Nitti (Melfi 19 luglio 1868 – Roma 20 febbraio1953),fu meridionalista e studioso di economia agraria con particolare riferimento alla sua terra, la Basilicata. 71 Eugenio Azimonti, Professore di tecnica agraria e meridionalista (Cerro Maggiore, Milano, 31 dicembre 1878 – Roma, 18 aprile 1960), ricoprì un posto di grande rilievo nel movimento di rinascita e di progresso del Mezzogiorno d’Italia che vedeva in Giustino Fortunato, Umberto Zanotti Bianco, Antonio De Viti De Marco, Manlio Rossi-Doria, nonché nel Giornale d’Agricoltura della Domenica e nell’Unità di Gaetano Salvemini le sue voci più autorevoli. Di chiara fede socialista, collaborò con Serpieri e la sua attività fu tesa a liberare l’agricoltura del mezzogiorno dalla nomea di immobilità e inefficienza che le veniva attribuita dimostrando, coi fatti, che dietro la sua arretratezza si celavano fattori ben più seri della sola sfaticataggine contadina. Vedi E.Azimonti, Il Mezzogiorno agrario qual è. Relazioni e scritti ( a cura di G.Fortunato), Bari 1919. 72 F.Boncompagni Ludovisi, La politica agraria nell’ora attuale, cit. p.7

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La prima causa da lui individuata era la malaria. Affermava che

“dove infierisce la febbre non è lecito pretendere che gli uomini si

adattino a vivere; non è possibile trattenere le braccia per il lavoro”.

Lo Stato aveva esteso la pratica della chinizzazione

“[…]Ma tale profilassi si è mostrata insufficiente a debellare il

male dalle radici. Altri paesi, e specialmente l’America e l’Inghilterra

ci hanno superato in questa lotta, sia facendo grandi opere idrauliche

sia praticando su larga scala la petrolizzazione73 delle acque

stagnanti; sono esempi da imitare[…]Spetterà poi agli agricoltori di

far seguire alla bonifica idraulica compiuta dallo Stato, quella agraria,

perché soltanto così si raggiungerà la completa bonifica igienica.

Domata la febbre, resa possibile agli uomini la dimora sul latifondo,

rimarrà da sormontare l’altro grave ostacolo, la siccità”.

Riguardo poi alla siccità

“Per l’Agro Romano questo ostacolo non spaventa: la giacitura

geografica assicurando una distribuzione di piogge non troppo

infelice, basterà rompere con potenti aratrici le zone in cui affiora il

tufo per ottenere una buona coltivazione. Ma nel Mezzogiorno e nelle

Isole, dove per sette ed otto mesi continui le piogge difettano

assolutamente, viene a mancare la condizione necessaria alla vita

vegetativa, l’umidità […]Per ovviare a così grave condizione di cose,

occorre che lo Stato incoraggi sul serio od esegua direttamente tutti

quegli impianti per irrigazione che saranno possibili: laghi artificiali,

bacini montani, sollevamento a mezzo dell’energia elettrica dei più

esigui corsi d’acqua e delle vene sotterranee; e là dove, non sia

possibile effettuare in nessun modo l’irrigazione, vorrei si

esperimentasse il sistema americano del dry-farm74, adottato con

tanto successo dai francesi in Tunisia ed Algeria”

73 Sistema di bonifica, sperimentato in Italia da Giuseppe Ceresole, docente all’Università di Padova, consistente nello stendere un sottile strato di petrolio sulle acque stagnanti così da impedire alla larve di zanzara di risalire alla superficie. 74 E’ una tecnica agronomica che sostituisce l’irrigazione. Si applica bene ai terreni aridi e in caso di siccità. Consiste nell’impedire di far evaporare l’umidità già

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Ancora una volta egli guardava all’esperienza estera come ad

un modello da riprendere anche in Italia.

Boncompagni considerava indispensabile l’intervento dello Stato

che avrebbe dovuto incoraggiare seriamente o eseguire direttamente

tutti gli impianti di irrigazione possibili. Ma lo Stato non era stato

all’altezza del suo compito e per questo il programma che

Boncompagni illustrava prevedeva nella riforma la creazione di

Camere Agrarie:

“Al potere centrale, spesso assente, sempre lontano, talora

impotente, sempre disinteressato ed irresponsabile soggetto ad

influenze estranee, si sostituiscano organi regionali competenti

responsabili e direttamente responsabili. Per ciò patrocino la

creazione di camere agrarie regionali elettive, con rappresentanza

paritetica di datori di lavoro e lavoratori, autarchiche, con larghi

poteri amministrativi e consultivi”75

Di fronte alla situazione critica nella quale ci ritrovava egli

criticava la politica dello Stato liberale e sottolineava che la bonifica

dell’Agro “ha fatto scarsi progressi[…]E ciò non è dovuto ripeto ad

insufficienza della legislazione, ma a colpa dello Stato che non

provvide a far rispettare la legge, né dai cittadini né dagli stessi suoi

organi. Vi sono proprietari dell’agro che ignorano i confini dei loro

latifondi e che forse non vi si recarono mai. Contro costoro, che

disconoscono la funzione sociale della proprietà e non la assolvono, si

doveva far sentire tutto il rigore della legge; d’altra parte, lo Stato fu

inadempiente per le opere che erano di sua spettanza.”

presente nel terreno per le piogge precedenti, sarchiando frequentemente il terreno. 75 Boncompagni Ludovisi, op.cit.pag.13

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Egli sottolineava in diversi passaggi del discorso la

responsabilità dei proprietari inadempienti ai quali “va tolta la terra

purché si abbia la certezza che la terra passi in mani che la rendano

veramente più produttiva”76.

Riguardo alla ridistribuzione della proprietà terriera,

Boncompagni affermava:

“Accanto alla piccola proprietà ed al piccolo agricoltore potrà

coesistere la grande unità culturale e la complessa moderna direzione

tecnica, giacché è principio ammesso ormai da tutti gli economisti

che, per arrivare al massimo rendimento, si deve attuare

l’industrializzazione dell’agricoltura, il che è solo possibile nelle grandi

aziende. Ivi soltanto è applicabile il largo impiego di tutta la tecnica

nuova ed il più vasto e complesso turno di culture specializzate ad

altissima resa”77

Nel suo progetto un posto centrale aveva l’istituzione di scuole

agricole e di campi sperimentali per adeguare le conoscenze agricole

alla realtà del Mezzogiorno svincolandole dai sistemi di coltivazione in

uso, adatti solo per il Nord del Paese.

La proposta di creare le Camere si inseriva nel dibattito politico

dell’epoca sulle rappresentanze agrarie. La produzione agraria in

Italia usciva dal conflitto mondiale profondamente mutata. Emergeva

l’esigenza di creare delle nuove rappresentanze agrarie ed i governi

succedutisi dopo la guerra si erano impegnati ad elaborare proposte

di riordino della materia. Nel 1919, sotto il governo Orlando, il

Comitato Tecnico dell’Agricoltura78 elaborò un progetto passato

all’esame degli Enti competenti. Probabilmente per le dimissioni del

Governo Orlando nel giugno 1919 il progetto non venne mai alla luce.

76 Boncompagni Ludovisi, op.cit.pag.12 77 Boncompagni Ludovisi, op.cit.pag.13 78 Il Comitato tecnico dell’Agricoltura era stato creato con decreto luogotenenziale del 31 dicembre 1915 n.1968.

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Nel progetto si era affrontato lo studio di uno schema per l’istituzione

delle Camere agrarie, progetto che verrà ripreso dal governo Giolitti.

Il Ministro dell’Agricoltura il popolare Micheli79, il 20 giugno 1921,

presentò infatti alla Camera un disegno di legge su “ le

Rappresentanze agrarie e arbitrato agricolo”. Micheli, nella relazione

introduttiva al disegno di legge, ne ravvisava la necessità perché,

dopo la guerra e le sue pesanti conseguenze sull’economia agricola,

era nata l’esigenza di “nuovi orientamenti economici e sociali[…]Il

bene supremo della produzione della terra, cioè essenzialmente della

produzione degli alimenti, deve essere, oggi più che mai curato, con

ogni possa[…]Una piena ed autorevole rappresentanza degli interessi

dell’agricoltura e delle classi agricole, deve essere data al Paese80”.

Nel testo si proponeva l’istituzione delle Camere Regionali di

Agricoltura che avrebbero dovuto occuparsi tra l’altro “dello studio dei

problemi economico-sociali attinenti all’agricoltura[…], di prendere

iniziative per promuovere il miglioramento dei rapporti fra le classi

agricole; […]agevolare l’efficace applicazione delle leggi comunque

interessanti le classi agricole[…]promuovere le iniziative aventi lo

scopo di realizzare il bonificamento agrario ed igienico[…]ed ogni

forma di redenzione delle terre[…]81. Le Camere dell’Agricoltura erano

state pensate sulla base dell’esperienza di altri paesi europei. Micheli

citava l’esperienze della Prussia, della Francia e della Spagna. In

Italia esse avrebbero dovuto essere elettive e gli elettori sarebbero

stati suddivisi in cinque categorie: proprietari grandi e medi, affittuari

grandi e medi, piccoli proprietari, piccoli affittuari, mezzadri e coloni,

lavoratori salariati. Non si ha notizia di approvazione del disegno di

legge suddetto.

79 Su Micheli vedi l’introduzione di M. Belardinelli, Dall’intransigenza al governo 1891-1925,a cura di C.Pelosi, Brescia 1978 80 Relazione di Micheli introduttiva al disegno di legge n.290. Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Legislatura XXVI, Sessione 1921, Documenti, pp.1-39 81 Ibidem

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La passione per una riforma della situazione agraria segnerà

l’attività politica di Boncompagni anche negli anni successivi. Da

parlamentare nel 1922, in un discorso alla Camera pronunciato il 5

maggio82 egli riprese i contenuti del 1919 e ribadì la necessità di

affrontare il problema del latifondo individuando ed eliminando le

cause che lo avevano determinato:

“Né i trapassi di proprietà né lo spezzettamento varranno a

realizzare la trasformazione. Ne abbiamo una prova sotto gli occhi.

Nella zona dei latifondi nessuno saprebbe distinguere la terra che

appartiene all’ente pubblico, all’Università agraria, alla cooperativa, al

piccolo o grande proprietario; tutta presenta gli stessi caratteri, tutta

si confonde nello stesso monotono grigio!”

Il suo pensiero, rispetto al passato, si era arricchito ed

articolato in un progetto politico che intendeva affrontare il problema

in modo complessivo. Nella riforma proposta egli parlava della

bonifica delle paludi, della riorganizzazione del sistema idrico ma

anche delle strade da aprire, dei magazzini e delle case per i

contadini. E fra le priorità ricompariva la proposta di creare un

sistema colturale nuovo “del quale non abbiamo tracciato finora

neppure le linee direttive[…]La legge, tal qual è, pecca di

generalizzazione e di mancanza di piani e di metodo”. Egli arrivava a

dire che “la trasformazione agraria è di essenza nettamente

sperimentale, solo a costo di esperimenti e riprovando, si riesce a

determinare l’indirizzo da dare ai nuovi sistemi di coltura”.

Atteggiamento questo da proprietario terriero appassionato alla

materia che rivendicava il diritto di dire la sua dopo che “a

quest’opera dedicai i migliori anni e le migliori energie”83

82 F.Boncompagni Ludovisi, Trasformazione del latifondo e colonizzazione interna, Roma 1922 83 F.Boncompagni Ludovisi, op.cit.pag.4

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Nel discorso del 1922 si faceva riferimento alle esperienze degli

Stati Uniti e dell’Inghilterra dove “si falcidiano senza pietà oggi tutte

quelle spese che non si reputano di sicuro e immediato rendimento.

Rammentate le conclusioni a cui è giunta quella commissione

presieduta da Sir Enrich Geds la quale ha risolutamente radiato dal

bilancio inglese milioni e milioni dedicati appunto alla trasformazione

delle terre.”

La sua concezione organica e articolata dell’intervento dello

Stato in materia agricola, prevedeva finanziamenti e investimenti che,

a prima vista, avrebbero potuto sembrare eccessivi rispetto alle

possibilità di bilancio. Ma Boncompagni, da esperto conoscitore,

sapeva bene che una politica agraria efficace avrebbe dovuto

prevedere interventi su diversi fronti. Il 10 marzo 1927 il principe

scrisse una lettera a Mussolini per spiegargli il perché di un discorso

da lui pronunciato il giorno prima e che aveva suscitato accese

reazioni in Parlamento84. Il 9 marzo quando era in discussione il

bilancio annuale dello stato, nell’affrontare il problema della

situazione boschiva italiana e dei possibili stanziamenti, Boncompagni

aveva proposto una spesa di settanta milioni di lire. La sistemazione

dei boschi rientrava nella sua visione della riorganizzazione del

territorio e della sua visione d’insieme di esso.

La proposta aveva suscitato proteste ed opposizioni negli altri

deputati. Ne era stato informato lo stesso Mussolini al quale

Boncompagni decise di chiarire i termini della questione. La lettera,

attraverso un’appassionata autodifesa, rivela la chiarezza del progetto

del principe che era certo delle ricadute positive che lo stanziamento

avrebbe avuto sulle future spese statali. La lettera rivela, altresì,

84 F.Boncompagni Ludovisi, Sulla conservazione e ricostruzione del patrimonio boschivo nazionale. Discorso pronunciato alla Camera dei Deputati nella tornata del 9 marzo 1927, discutendosi il bilancio della economia nazionale, Roma 1927

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quella schiettezza di rapporto che caratterizzerà sempre le relazioni

tra Boncompagni e il duce:

“Non si può pensare oggi a spendere l’enorme somma di 70

milioni!...mi si obbietta. Io rammento a V.E. che le montagne

rappresentano un terzo del territorio nazionale. E questo terzo del

nostro territorio se ne sta andando in malora, a centinaia d’ettari

l’anno, perché le pioggie portano al piano la poca terra che ricopre le

montagne. Quanto si spende per curare –e parlo soltanto dal punto di

vista agrario e fondiario –i due terzi del territorio nazionale che non

sono montagna?...Quanto si spende, ad esempio, per la Santa

Battaglia del Grano?’[...]Quanto si spende per prosciugare le nostre

paludi, per trasformare i latifondi italiani?..Certamente centinaia di

milioni!...Ma se si tiene conto di tutto ciò, a mio modesto avviso, non

mi pare si possa considerare non benenvolmente la mia proposta, di

spendere cioè 70 milioni all’anno, per salvare l’altro terzo del nostro

territorio![...]Ma poi io sostengo che questa spesa [...]è apparente e

non reale [...]perché ormai tutti in Italia sono concordi

nell’ammettere che non solo per parare alle alluvioni occorre iniziare i

rimedi del monte, ma anche tutti ormai riconoscono che il

prosciugamento di una palude diventa lavoro di Sisifo se i lavori al

piano non si fanno procedere dai lavoro di sistemazione e di

rimboschimento delle montagne del corrispondente bacino

imbrifero[...]Tra pochi anni, 5/10, avremo subito un 10/15 milioni di

economia nel Bilancio dei Lavori Pubblici perchè i danni delle alluvioni

e i costi per le bonifiche diminuiranno: fra 30/40 anni l’economia per

questi capitoli sorpasserà certamente 70 milioni! [...]Non presenterò

nessun ordine del giorno perché non voglio fare dell’esibizionismo, né

voglio, sia pure per un minuto, far prolungare al Governo la

discussione del Bilancio”85

Del resto Boncompagni tutta la vita si occupò di curare le sue

proprietà agricole e aderire ai diversi progetti di bonifica previsti dal

governo. Anche durante il suo mandato governatoriale non mancò di

85 Lettera di Boncompagni a Mussolini dell’11 marzo 1927. ACS, SPD,CO,b.1209, ibidem.

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occuparsi di questo eseguendo, per conto dello Stato, lavori di

bonifica nelle sue Tenute. Si dedicò in particolare alla Tenuta di

Procoio Vecchio per la cui bonifica il 31 marzo 1930 chiese un mutuo

di 2.666.000 di lire al Ministero Agricoltura e Foreste. Al contratto

vennero applicate le agevolazioni fiscali previste dall’art.24 del T.U.

10 novembre 1905 n.647 per le opere di bonificamento agrario. Nel

1953 il Ministero dell’Agricoltura confermò le agevolazioni fiscali

perché tutte le opere previste risultarono eseguite86. Boncompagni si

trovò a difendere la proprietà di Procoio opponendosi nel 1928 al

Prefetto di Roma che aveva deciso con decreto del 6 ottobre 1928

n.64601 la costituzione obbligatoria di un grande Consorzio nel cui

perimetro cadeva la tenuta del principe87.

5.Costruire la Roma di Mussolini.

E’ questo è il compito che Boncompagni Ludovisi ereditò dai

suoi predecessori quando venne eletto Governatore della città, il 13

settembre 1928. C’era, in questo senso, la volontà ferma del duce e

c’era il desiderio di corrispondervi con solerzia da parte del

Governatore che ne fece l’oggetto delle sue preoccupazioni. In un

lungo ed articolato discorso, pronunziato il 10 settembre 1930 ai

Consultori, il principe illustrò la sua idea di governo della città che

poggiava, innanzitutto, sul pareggio di bilancio che ottenne a due

anni dalla sua nomina e sul miglior rendimento del personale

dell’amministrazione comunale. Due obiettivi che cercherà di

perseguire negli anni di gestione capitolina. Dal punto di vista

dell’organizzazione dell’apparato municipale, con la gestione

86 Lettera del Ministro dell’Agricoltura all’Ufficio Atti Pubblica Amministrazione, 15 gennaio 1953. ACS, Ministero Agricoltura e Foreste-Dir. Gen. Miglioramenti Fondiari, Div.Agro Romano e Pontino. b.304, Fasc.542. 87 Richiesta di Boncompagni al Ministro dell’Economia Nazionale, 12 dicembre 1928. ACS, MI, DGAC,Comuni, b.2282.

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Boncompagni, si tornò infatti ad una maggiore articolazione degli

uffici, tenuto conto delle nuove esigenze della città88.

Durante il suo mandato si insediò la prima Consulta capitolina.

Essa era stata istituita con la Legge 6 dicembre 1928 n.2702, che

aveva previsto alcune “Modifiche all’ordinamento del Governatorato di

Roma”89. La Consulta era presieduta dal Governatore che aveva il

potere di convocazione. Il parere della Consulta era obbligatorio sul

bilancio preventivo, sul conto consuntivo, per l’applicazione di tributi,

nei piani regolatori per la esecuzione di opere di qualsiasi natura,

nell’assunzione diretta dei pubblici servizi..

L’assetto giuridico dell’organismo municipale si precisò meglio

poi con il T.U. della Legge Comunale e Provinciale, approvato con

R.D. del 3 marzo 1934 n.383. Il Testo legislativo disponeva che la

nomina dei Consultori fosse effettuata dal Prefetto, su terne

designate dalle associazioni sindacali riconosciute, che

rappresentavano le attività produttive prevalenti nelle singole

circoscrizioni comunali. La nomina era poi perfezionata da un Decreto

del Ministro dell’Interno, di concerto con quello delle Corporazioni,

essendo la Consulta stata concepita come diretta emanazione

dell’organizzazione corporativa dello Stato.

Il 20 luglio 1930 si inaugurarono i lavori della Consulta di Roma

che tenne la sua prima seduta il 28 luglio. Nel nuovo organismo erano

88 Il 21 aprile 1924 Mussolini ricevendo in Campidoglio la cittadinanza romana aveva presentato il suo progetto di sistemazione della città di Roma e lo aveva articolato in due tipologie di interventi, l’una tesa a risolvere i problemi della “grandezza” della città e l’altra i problemi della “necessità”. 89 L’art.1 recitava “Il Governatorato di Roma è retto ed amministrato da un Governatore, coadiuvato da un vice-governatore che lo sostituisce in caso di assenza o di legittimo impedimento. Ha, inoltre, una Consulta, denominata Consulta di Roma e composta di 12 membri”. I membri erano nominati su proposta del Ministro dell’Interno, di concerto con il Ministro per le Corporazioni. Essi duravano in carica quattro anni e potevano essere confermati.

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rappresentate le più significative realtà del mondo del lavoro, delle

imprese, della cultura90.

Il principe, nel discorso ai Consultori appena eletti, sottolineò che la sua azione nei primi due anni di amministrazione della città, aveva riguardato sì le opere di “grandezza” realizzate, ma soprattutto

il miglioramento dei servizi e delle infrastrutture della città:

“Sorvolerò deliberatamente su quella che, direi, è la parte più

appariscente della recente attività del Governatorato riguardante le

imponenti opere compiute e in corso di esecuzione per la

restaurazione monumentale della Città[….]perché a me sembra

necessario richiamare la vostra attenzione su tutto quel complesso di

opere, a cui abbiamo dato le nostre maggiori cure, che portano una

immediata e diretta utilità a tutta la cittadinanza e soprattutto alle

classi più umili, alle quali il Fascismo vuole sia preminentemente

rivolta la tutela e l’ausilio delle pubbliche amministrazioni. In due anni

il complesso delle opere di restaurazione monumentale ha impegnato

intorno ai 70 milioni, mentre per le altre opere pubbliche e per il

miglioramento di istituti e servizi, si è destinata una spesa di circa

mezzo miliardo. E tra queste opere e quelle di grandezza, ci siamo

preoccupati di mantenere una giusta proporzione evitando di cadere

in eccessi di grandiosità leggera e di grettezza miope”91

90 Di essa facevano parte: il prof. Alessandro Bacchiani (Vice-direttore de “Il Giornale d’Italia”), il dott. Giuseppe Bastianelli medico (Professore Ordinario all’Università “La Sapienza”), l’arch.Clemente Busiri Vici, l’on.Luigi Capri Cruciani (Presidente della Confederazione Fascista degli Agricoltori) che sarà presto sostituito dall’on.Cesare Serono, il conte Nestore Carosi Martinozzi (esperto di economia, docente all’Istituto di Scienze economiche e commerciali di Roma e Commissario Straordinario negli anni 26-27 alla Camera di Commercio e Industria di Roma), l’ing.Lino de Stefani (Commissario dell’ATAG dal 1929 al 1936), il rag.Giacomo Ferretti banchiere e Deputato alla Camera(consigliere della Cassa di Risparmio di Roma e condirettore centrale della Banca Commerciale Italiana). il dott. Riccardo Moretti (medico), il sen. Corrado Ricci, l’on. Amilcare Rossi deputato alla Camera (Associazione Nazionale Combattenti), l’avv.Carlo Scotti, il sig. Giovanni Viola. 91 ACS,SPD,CO,b.838, f.500.019/I

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Il 10 settembre 1934 terminò il mandato la prima Consulta e l’8

marzo 1935 venne costituita la nuova92.Tra le priorità da affrontare

c’era, inoltre, quella dell’istruzione e della costruzione di nuove

scuole, fino ad allora del tutto insufficienti e costrette a doppi e tripli

turni. In verità il problema del forte incremento degli iscritti alle

scuole elementari aveva resa necessaria una seria politica di sostegno

che si era sviluppata per tutti gli anni Venti. Nella scuola elementare,

ad esempio, gli alunni erano passati da 48.300 nel 1925 a 63.000 nel

1929.93 Mussolini intendeva arrivare in tempi brevi ad una nuova

riorganizzazione della città. Egli guardava all’esperienza di altre

importanti città europee, in particolare tedesche, per trovare soluzioni

e idee. Nel 1929 mandò Boncompagni in Germania “per rendersi

conto, con una breve visita in incognito, del funzionamento di alcuni

pubblici servizi”94. Il Governatore partì il 2 agosto per Berlino dove

rimase una settimana. Al ritorno inviò una relazione a Mussolini nella

quale riferì in modo puntuale dei pubblici servizi della città:

92 Membri della seconda Consulta erano l’ing.Guido Vitali, il sig.Mario Varagnoli (tipografo al “Lavoro Fascista”, squadrista legionario della Marcia su Roma, iscritto al PNF dal 1921), il sig.Filippo Filippini Lera (combattente, agricoltore, già Vice-Presidente della Federazione Agricola di Roma, membro del Direttorio del Sindacato Fascista Propietari e Affittuari di Roma,iscritto al PNF dal 1920), il sig.Spartaco Stefanelli (bracciante agricolo alla Azienda Bonifiche di Maccarese), il sig.Giacinto Pagano (commerciante), il sig.Mario Carletti (impiegato di concetto), il sig.Giuseppe Ceccarelli (pubblicista ed esperto di studi romani in rappresentanza dei professionisti ed artisti), l’arch.prof.Vincenzo Fasolo (Professore Ordinario nella Reale Scuola di Architettura), il prof.Giuseppe Cardinali (esperto di antichità romane), il dott.prof. Roberto Alessandri (Ordinario di Clinica Chirurgica), l’avv.Domenico Leva, la sig.ra Clotilde Giacchi-Mazzitelli (infermiera volontaria e ispettrice alla Croce Rossa). Nei mesi precedenti era morto il sen. Corrado Ricci, membro della prima Consulta, e Boncompagni aveva chiesto al Ministro dell’Interno di soprassedere sulla sua sostituzione proponendo di attendere l’imminente rinnovo generale dei membri. ACS,MI,Dir. Gen. Amm. Civ., Div.AA.GG.e RR.Podestà e Consulte Municipali, b.251 93 Il 1 gennaio 1934 le scuole del Governatorato passeranno alle dipendenze dello Stato. 94 Appunto di anonimo per Mussolini,15 luglio 1929. ACS,SPD,CO, b. 842, ibidem..

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“Sono lieto di poter affermare che nell’insieme Roma non cede

al paragone di Berlino,e che, grazie all’impulso dell’Eccellenza Vostra,

la Capitale d’Italia ha raggiunto nel complesso dei servizi pubblici un

livello in generale pari, talvolta al di sopra, assai raramente al

disotto della Capitale Germanica. Per quanto riguarda l’Assistenza

Sociale abbiamo decisamente il vantaggio. Così si può dire per

l’Illuminazione Pubblica. Siamo pari per il Traffico. Prescindendo dalla

Metropolitana, che a noi manca, siamo superiori per il Servizio

Tranviario[…]Quanto all’Annona, Berlino si è spogliata più

risolutamente d’ogni bardatura di guerra. Ma la pulizia e l’igiene e

l’attrezzatura tecnica dei Mercati Generali e del Mattatoio, lasciano a

desiderare: poco o nulla le Autorità di preoccupano dell’andamento

dei prezzi. Quanto alla Nettezza urbana, mentre per quella stradale

non siamo inferiori,quella domiciliare appaga più l’occhio a Berlino,

poiché i rifiuti vengono raccolti non in sacchi, ma in recipienti metallici

tutti uguali e vengono poi trasportati con carri speciali.Ma in sostanza

il pubblico è meglio servito a Roma, dove le spazzature vengono

asportate dal domicilio giornalmente[…]Vengo ora ai Giardini ed alle

Case Popolari, che formano nella mia memoria un insieme che m’ha

davvero colpito. Qui Berlino è decisamente superiore a

Roma[…]Aiuole di rose bellissime e di altri fiori dai colori smaglianti

cingono tutto intorno le linde abitazioni, che con un forte concorso del

Comune, si vengono costruendo per i tranvieri e per altre categorie di

lavoratori.Queste case non troppo alte (generalmente tre piani)

semplicissime nel disegno architettonico, si allineano lungo strade

larghissime[…]Queste dimore, inondate d’aria e di luce, debbono

influire beneficamente sul fisico e sul morale di coloro che le abitano.

Purtroppo tali case soddisfano solo in parte il bisogno grande di

abitazioni in Berlino, che conta 230.000 persone senza casa:ed io non

so se un’Amministrazione Comunale possa a lungo sostenere l’onere

di quelle abitazioni e di quei giardini. Però io penso che anche

noi[…]dovremo tendere verso quell’ideale, facendo strade molto

larghe, non incoraggiando case popolari a eccessiva altezza, lasciando

terreno sufficiente a disposizione delle case[…]”95

95 Lettera di Boncompagni a Mussolini, 20 agosto1929.ACS,SPD,CO, b.842, ibidem.

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Sotto l’amministrazione Boncompagni si ampliò la rete stradale

della città con uno sviluppo di trenta chilometri ed entrò in vigore, l'1

gennaio 1930, la riforma della rete dei trasporti pubblici che divideva

la città in tre zone concentriche, dall'estrema periferia al centro, e che

prevedeva la progressiva eliminazione dei mezzi a rotaie96. Mussolini,

al riguardo, scriveva al Governatore nell’aprile del ‘30

“Occorre, nei prossimi mesi primaverili ed estivi concretare

l’attività del Governatorati in queste direzioni: a)baracche, case

convenzionate,case ultra economiche; b)nettezza urbana. Ma

soprattutto la sistemazione delle strade, colla relativa eliminazione

delle rotaie che hanno oramai un aspetto sempre più anacronistico.

Bisogna che per il 28 ottobre tutte le strade entro l’anello, siano

perfettamente sistemate97”

Occorreva procedere velocemente alla trasformazione della città

ed a Boncompagni era stata affidata la redazione definitiva del nuovo

Piano Regolatore di Roma, elaborato da una Commissione che il

Governatore presiedeva98, Piano che verrà definitivamente approvato

il 6 luglio 1931. La Commissione era composta da illustri

rappresentanti delle realtà culturali di Roma, famosi architetti,

dirigenti ministeriali e comunali, rappresentanti dei sindacati degli

ingegneri e architetti99. Il principe godeva la stima del mondo della

cultura romana ed in particolare incontrava i favori di Antonio

96 Sulla riforma vedi P.Salvatori, op.cit. pp.62-64. 97 Lettera di Mussolini a Boncompagni, 29 aprile 1930. ACS, SPD, CO, b.842, f.500.019/I. 98 La Commissione lavorò sei mesi dal 14 aprile 1930 al 28 ottobre dello stesso anno. Sull’argomento vedi I.Insolera, Roma moderna.., cit. pag.128 99 Ne facevano parte gli architetti Armando Brasini, Marcello Piacentini, Cesare Bazzani l’archeologo Roberto Paribeni, Muñoz, Maccari, Salatino, Bianchi. Sull’argomento vedi I.Insolera, op.cit.pag.129

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Muñoz100 che disse di lui: “dedicò tutto se stesso all’alto

compito[...]con preciso e militare senso del dovere, interprete sicuro

della volontà del Duce”101. E riferendosi alle riunioni della

Commissione per il Piano Regolatore rivelava:

“Il dibattito si faceva un po’ vivo, ma subito interveniva a

placarlo l’arguzia sempre pronta del Principe Boncompagni, fiorita e

signorile anche quando punge”102

Il Piano rispondeva alla volontà di Mussolini che voleva

realizzare la sua Roma imperiale, ma anche rispondere alla necessità

di dimensionare la città al forte aumento della popolazione che era

arrivata circa a un milione di persone e che, nei 25 anni successivi, si

prevedeva sarebbe raddoppiata. La Variante Generale 1925-1926 che

lo aveva preceduto aveva previsto, tra l’altro, molti sventramenti nel

centro storico e la costruzione di una realtà industriale nella zona sud

di Roma dove si iniziò la costruzione di un porto fluviale103. Il Piano

del 1931 prevedeva una utilizzazione intensiva dei suoli soprattutto

verso est, dove erano previste palazzine e grandi edifici. Il Piano

introduceva nuovi tipi edilizi di lusso come ville e villini o più modesti

come le case a schiera anche se centrale restava l’edilizia di tipo

intensivo e popolare. Del resto il Principe aveva esperienza nel

settore edilizio.

Boncompagni era stato, infatti, durante il 1928 presidente

dell’Istituto Nazionale Case Impiegati dello Stato e, arrivato al

100 Antonio Muñoz (1884-1960) fu nel Governatorato Boncompagni Direttore alle Antichità e Belle Arti del Governatorato. 101 A.Muñoz, Roma di Mussolini, Milano 1935, p.77 102 A.Muñoz, op.cit.ibidem 103 Vedi C.M.Travaglini, Tra Testaccio e l’Ostiense. I segni di Roma produttiva. Un paesaggio urbano e un patrimonio culturale per la città in “Roma moderna e contemporanea”,XIV,2006,1-3,pp.343-380 e R.D’Errico, C.M. Travaglini, Territorio, popolazione e proprietari nell’area Ostiense, in “Roma moderna e contemporanea”,2004,1-2,pp.11-47

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Campidoglio, aveva avviato una politica di costruzione servendosi in

particolare dell’edilizia convenzionata104. Il duce considerava una priorità

su tutte quella di risolvere il problema delle case, e ne fece l’oggetto

di un colloquio con Boncompagni Ludovisi, nel 1928105“Propongo che

si costruiscano –in modo che siano abitabili prima del 30 giugno

1930106 venti isolati, in venti punti diversi della città, ognuno dei quali

contenga su sei piani compreso il pianterreno, cinquanta alloggi di

due camere da letto, una stanzetta cucina, un ripostiglio e un cesso.

Sarebbero ogni isolato trecento famiglie collocate. Moltiplicate per

venti, sono seimila famiglie,cioè da trenta a quarantamila persone

alloggiate. Case solide, ma nude, salvo l’essenziale”

Questa preoccupazione venne ribadita in una lettera scritta da

Mussolini al Governatore il 12 dicembre 1928:

“Caro Governatore le venti case (a 6 piani) super o strapopolari

(per un totale di 6000 quartieri di tre stanze l’uno più il cesso-

ripostiglio) sono oramai la mia ossessione. Poiché il 30 giugno 1930 si

avvicina. Vero è che si può costruire rapidamente, come a Trieste, ma

cominciare bisogna”107”

Il giorno seguente il Governatore rispose:

“Ringrazio V.E. per la lettera di ieri, che sta a provarmi ancora

una volta come stia a cuore all’Eccellenza Vostra lo sviluppo e la vita

di Roma.La costruzione di 18 o 20 mila vani popolarissimi sta in cima

a tutti i miei pensieri; anzitutto perché a me sta enormemente a

cuore di utilmente servire V.E. a risolvere un problema non lieve e poi

104 Si permetteva alle imprese private di costruire case popolari fornendo forme di sostegno economico. Uno di realizzatori più importanti fu l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni. Vedi sull’argomento V.Fraticelli, Roma 1914-1929, cit.p.340 e seguenti 105 G.Cipriani, L’opera edilizia dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni, in “Opere Pubbliche”, anno III, nn.4-5, aprile e maggio 1933, p.172 106 Data fissata per lo sblocco dei fitti dal R.D.L. 3 giugno 1928, n.1155. 107 ACS,SPD,CO,b.838, f.500.019/I

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anche perché sarebbe per me un vero affanno il non poter mantenere

la promessa fatta di arrivare al 30 giugno 1930 con il pareggio

raggiunto nel bilancio case! Sto trattando col prof. Calza Bini108 e cogli

altri. E mi auguro di poter presentare fra una diecina di giorni un

programma organico e sufficientemente concreto”.

I primi anni di gestione Boncompagni furono caratterizzati,

dunque, dallo sforzo di arrivare alla soluzione dell’emergenza

abitativa, in sintonia col volere del duce che aveva parlato dei

problemi della “necessità”. Del resto già da anni con l’avvio della

ristrutturazione fascista della città con gli sventramenti e con il forte

flusso di immigrati dalle campagne verso la città, il problema della

casa era stato tra le priorità delle amministrazioni capitoline. Tanta

gente si rivolgeva a Mussolini con suppliche e richieste di aiuto. Del

resto la politica paternalista ed autoritaria del regime intendeva

ornarsi di gesti emblematici dell’interesse del fascismo per la

popolazione romana. In una lettera del 1927 il Ministero dell’Interno

interpellò il Presidente dell’Istituto Case Popolari sull’opportunità o

meno di trasmettere alla Presidenza dell’Istituto tutte le suppliche

ricevute da Mussolini perché la Presidenza ne tenesse conto o le

facesse oggetto di “qualche provvedimento che si rendesse possibile

di adottare anche subito in via del tutto eccezionale”109.Era un modo

gentile di saggiare il margine di manovrabilità dell’Istituto. Il

Presidente, Calza Bini, rispose

“[…]Devo confermare la impossibilità da parte di questo Istituto

di disporre di un numero di alloggi adeguato al crescente fabbisogno

dei senza tetto. Sta per iniziare una nuova ripresa di intensa attività

edilizia da parte dell’Istituto, ma essa sarà soprattutto destinata,

108 Alberto Calza Bini (1881-1957) fu Presidente dell’Istituto Case Popolari e Segretario del Sindacato Nazionale Fascista Architetti. 106 ACS, MI, DGAC,Comuni, b.2325. Lettera del Direttore Generale del Direzione Generale dell’Amministrazione Civile del Ministero dell’Interno del 6 agosto 1927 al Presidente dell’Istituto Case Popolari

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d’accordo col Governatorato, alle demolizioni di Piano Regolatore, agli

sbaraccamenti e agli alloggi in vendita di tipo economico. Data

l’attuale situazione è impossibile prevedere quando l’Istituto potrà

iniziare nuove costruzioni per affittare alloggi agli aspiranti comuni.

Tuttavia, migliorate le condizioni generali, codesto Ministero, potrà

trasmettere le domande che appaiono veramente meritevoli di

speciale attenzione, conservando, se crede le altre per aiutare

autorevolmente l’azione di questo istituto per lenire le gravi

condizioni presenti”110

Mussolini sapeva benissimo che non vi era possibilità di

assegnazioni di case proprio per la sua politica di concentrare tutte le

risorse disponibili nella realizzazione della nuova Roma eppure,

attraverso la Direzione Generale dell’Amministrazione Civile del

Ministero dell’Interno, non mancò di rivolgersi anche al

Governatorato, inoltrando elenchi di famiglie. Alle ripetute note del

Ministero il Governatorato rispose sempre la stessa cosa, che l’Istituto

non aveva appartamenti disponibili e che “quando verranno accettate

le domande per concessione di alloggio, questo Governatorato non

mancherà di raccomandare che la richiesta, relativa alle famiglie

elencate, venga esaminata con particolare attenzione.111” Risulta

evidente come si scelse per un rimbalzo di responsabilità che aveva il

fine solo di dilazionare la soluzione del problema.

Nel 1929 l’Istituto annunciò la costruzione di ottomila vani

popolari che accesero le speranze di migliaia di famiglie disagiate.

Moltissime richieste, lettere, suppliche si riversarono sull’Istituto che

fu costretto a diramare un comunicato per chiarire che “le costruzioni

110 Risposta di Calza Bini al Ministero dell’Interno del 16 agosto 1927. ACS, MI, DGAC,Comuni, ibidem. 111 Lettere del Governatorato di Roma al Ministero dell’Interno del 10 ottobre e del 30 ottobre 1927. ACS, MI,DGAC, Comuni, ibidem.

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stesse hanno, in parte, una destinazione già stabilità in relazione agli

impegni assunti dall’Istituto per sbaraccamenti, sfollamenti ecc.”112

Nuovamente il Ministero dell’Interno fece sentire la sua

pressione sull’Istituto pur prendendo atto che “la situazione, riguardo

alla possibilità di assegnazione di alloggi[…]rimaneva immutata, a

causa degli impegni assunti col Governatorato e della difficoltà

incontrata per nuovi finanziamenti[…]sarebbe particolarmente grato

alla S.V. se volesse far seguito alla lettera succitata, facendo

conoscere se domande dirette a S.E. il Capo del Governo, per

assegnazione di alloggi e che appaiono meritevoli di speciale

attenzione, possano segnalarsi a codesto Istituto, con possibilità di

accoglimento.”113. In quello stesso mese di agosto Boncompagni fece

pervenire a Mussolini una relazione dettagliata sul “fabbisogno di case

per il popolo”.In essa esplicitò il suo pensiero sottolineando gli effetti

della crisi economica

“Nel novembre 1928[…] io proponevo all’E.V. che il

Governatorato, invece di continuare a spendere nel dare somme

ingentissime all’Istituto delle Case Popolari, cercasse, dando dei

premi per ogni vano costruito, di riportare l’iniziativa privata ad

interessarsi delle costruzioni[…] Fin dal primo momento tenni ben

distinto le due categorie di cittadini, cui provvedere: famiglie modeste

e famiglie povere. Provvidi alle prime con le così dette case

convenzionate, affidandole a imprese private, premiate dal

Governatorato con 1000 lire a vano, vincolate a un certo costo di

costruzione, una certa misura di affitto per 5 anni[…]Questa parte del

programma è ancora in attuazione e per il 30 giugno 1930 avremo

13.000 vani, con un onere di 13 milioni per il Governatorato, per

provvedere al fabbisogno della gran massa –e non della più derelitta-

poiché non è da escludere che al 30 giugno 1930 vi siano anche

112 Circolare del Ministero dell’Interno, 13 maggio 1929. ACS, MI, DGAC, Comuni, ibidem. 113 Lettera del Ministero dell’Interno a Calza Bini, 6 agosto 1929. ACS, MI, DGAC., Comuni, ibidem.

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famiglie operaie che[…]si vengano a trovare in situazioni dolorose per

la ricerca affannosa di un alloggio. Riservai l’altra parte del

programma –cioè le costruzioni ultrapopolari per i poveri- per quegli

inquilini che purtroppo da molti proprietari sono considerati

indesiderabili anche per la loro numerosa figliolanza- all’Istituto per le

Case popolari, sia pur con maggiori concorsi finanziari, poiché ritenni

e ritengo necessari i sacrifici della collettività, la quale come provvede

agli infermi poveri, deve concorrere a rendere possibile un’abitazione

igienica ai più derelitti, anche per la loro elevazione morale. Chiesi in

novembre all’Istituto 6000 vani; me ne furono promessi 12.000; ma

fino ad oggi, non solo si deve vedere il principio di attuazione, ma

non si sa quando potrà vedersi, non essendo ancora firmata,

nonostante la mia insistenza la convenzione[…]In attesa che l’Istituto

Case Popolari possa riprendere, come sarebbe desiderabile, la sua

vera funzione, ritengo che il Governatorato debba senz’altro

provvedere con altri mezzi agli alloggi veramente popolari.Mi

propongo di acquistare alla periferia aree,di un prezzo medio di L.15

a 20 al mq.e di costruirvi casette, che abbiano carattere provvisorio,

di pochi piani, perché nella casa del povero l’aria, la luce, il sole

debbono circolare rapidament, per riparare il difetto di mezzi e

abitudini igieniche. Casette collocate su ampie strade alberate e

completate da locali per lo svolgimento di opere assistenziali (asili,

palestre, dispensari,ecc.)[…]mentre una famiglia per due camere agli

Alberghi della Garbatella deve pagare 250 lire al mese, e poi

affrontare la rilevante spesa del ristorante, le dette case per il loro

costo esiguo, potranno[…]essere affittate comodamente per 70 lire al

mese”114

Naturalmente la risposta di Calza Bini al Ministero dell’Interno

mise in rilievo che “la situazione riguardo alla possibilità di assegnare

alloggi a coloro che per un motivo o per l’altro non possono aspirare a

quelli del libero mercato, rimane, purtroppo, da tempo immutata; il

nostro Istituto, infatti, per far fronte agli impegni contratti col

Governatorato di Roma in dipendenza ai mutui concessi, non solo non

114 Lettera di Boncompagni a Mussolini, 23 agosto 1929. ACS, SPD, CO, b.842, f.500.019/I.

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può disporre degli sfitti che man mano si vanno verificando, ma sarà

forse costretto a mettere a disposizione del Governatorato stesso le

ultime costruzioni che ha potuto eseguire con gli stanziamenti previsti

nell’ultimo bilancio. A questo è da aggiungere che le serie difficoltà

sin d’ora incontrate per procurarsi nuovi finanziamenti non hanno

consentito la preparazione di un programma costruttivo che valga a

mettere a disposizione dei bisognosi un numero, sia pure limitato, di

alloggi, almeno per qualche tempo. Sembra però che queste difficoltà

si vadano appianando e io non mancherò di avvertire a tempo

opportuno codesto On.le Ministero delle possibilità che i nuovi

finanziamenti avranno delineato”.115

Evidentemente questa lettera non fu sufficiente a placare

l’insistenza di Mussolini che in questo modo affermava la natura dei

rapporti gerarchici con gli organismi dello Stato, in stato di

subordinazione assoluta ai suoi voleri ma anche elargitori di benefici

“a pioggia”, di tono paternalistico, vere casse di compensazione della

pressione autoritaria esercitata sulla popolazione. La questione si

dipanò anche nei mesi successivi con liste di richiedenti la casa

girate dalla Presidenza del Consiglio all’Istituto Case Popolari che

mostrò un’apertura nell’accoglimento di qualche domanda,

accoglimento che “sarebbe molto facilitato se il Governatorato di

Roma, nella eventuale sospensione del proprio programma di

demolizioni, potesse lasciare per il momento a disposizione di questo

istituto gli alloggi attualmente liberi e per esso riservati” Ma Mussolini

non intendeva certo rallentare il suo programma di demolizioni.

Continuò, invece, a richiedere alloggi per quelli che gli inoltravano

richieste. La stessa edilizia convenzionata era ostacolata dalla

prudente concessione di licenze. L’amministrazione capitolina in

115 Risposta di Calza Bini al Ministero dell’Interno, 29 ottobre 1929. ACS,MI,DGAC,Comuni, b.2325.

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assenza dei piani particolareggiati di attuazione del Piano regolatore

di Roma, aveva scelto un’atteggiamento di prudenza verso le imprese

di costruzione. La Consulta capitolina faceva da cassa di risonanza

degli interessi degli imprenditori. Nella seduta del 28 aprile 1932,

quando vi era all’ordine del giorno il Piano regolatore, i Consultori

chiesero al Governatore di concedere più rapidamente licenze ai

costruttori, ma Boncompagni rispose che “quando si lasciò mano

libera nelle costruzioni, con un piano regolatore non ancora

approvato, si dovettero constatare altri e forse più gravi

inconvenienti”. E poi aggiunse che “entro sei mesi i piani

particolareggiati saranno approvati”116.

I problemi della “necessità” erano strettamente condizionati da

quelli della “grandezza”, non solo in subordine rispetto ad essi ma da

essi determinati. L’idea di fare grande Roma riportandola ai fasti

dell’Impero produsse, infatti, conseguenze gravi per la popolazione

che subì gli sventramenti e gli spostamenti nei quartieri periferici e

nelle borgate117. Mussolini, al riguardo, dettò a Boncompagni

l’agenda dei lavori da eseguire in modo dettagliato118. Il controllo

sullo stato di avanzamento dei lavori e sulla loro rapidità era costante

e non mancarono richieste di chiarimenti al Governatore da parte

della Presidenza del Consiglio, come per i lavori di allargamento di via

Appia Nuova appaltati alla Ditta Vaselli. Si fece notare che gli operai

impiegati erano troppo pochi e si ingiunse alla Ditta di aumentarne il

numero119.

116 ASC,Verbali della Consulta, Seduta del 28 aprile 1932. 117 Sullo sviluppo della politica urbanistica del fascismo esiste una approfondita letteratura che ha evidenziato i problemi e le conseguenze del progetto di Mussolini. Vedi sull’argomento e sulle borgate G.Berlinguer-P.Della Seta, Borgate di Roma, Roma 1960, F.Ferrarotti, Roma da capitale a periferia, Bari 1974, L.Benevolo, Roma oggi, Bari 1977, I.Insolera, Roma moderna,cit. 118 Lettera di Mussolini a Boncompagni, s.d. (probabilmente del dicembre 1929) ACS, MI,DGAC.Comuni, b.2325. 119 ACS, SPD, CO, b.838, f.500.019/I.

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121

Via via che il principe si addentrava nei problemi della capitale

si sviluppavano conflitti con i diversi apparati statali. Al contrario, il

rapporto col Duce si mantenne costantemente in forma di rispetto

reciproco.

La realizzazione della grande Roma imperiale fu perseguita con

tenacia da Boncompagni, che si trovò a fare i conti con molteplici

interessi ed esigenze. La demolizione di parte degli edifici storici della

città confliggeva, fra l’altro, con gli interessi delle grandi famiglie

nobili che intendevano salvaguardare le proprietà immobiliari. Si aprì,

ad esempio, una questione spinosa con i principi Colonna quando fu

chiaro che, secondo il Piano Regolatore del 1931, il loro Palazzo

Massimo in via Tor de’ Specchi sarebbe stato soggetto a parziale

demolizione. Il Ministero dei Lavori Pubblici respinse in parte il ricorso

presentato dai Colonna e si pronunciò per un taglio dell’edificio,

ridotto rispetto al Piano Regolatore. Altra diatriba interessò gli

interessi delle imprese che gestivano gli appalti del comune di Roma.

Si ripresentò la questione già affrontata dalle precedenti

amministrazioni, dell’esposto della Ditta Puricelli120 contro gli appalti

delle imprese Vaselli, Tudini, Federici e Talenti. Il principe riuscì

sempre a dimostrare, di fronte alla accusa di presunte irregolarità e di

supposti utili illeciti, la correttezza della gestione municipale121. Il

clima che si respirava negli ambienti del Governatorato era, però,

avvelenato da sospetti, delazioni ed interessi privati, che

Boncompagni seppe fronteggiare con accortezza e prudenza. Del

resto nella gestione degli appalti, ogni volta che il ritmo accelerato dei

lavori voluti da Mussolini richiedeva procedure rapide Boncompagni si

mosse sempre con l’appoggio degli organi ministeriali preposti

120 La Società Puricelli passerà sotto il controllo dello stato attraverso l’IRI che ne comprerà quasi tutte le azioni. Lettera dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale al Ministero dell’Interno , 19 maggio 1936. ACS, MI, DGAC,Comuni, b.2512. 121 ACS,SPD,CO, ibidem.

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122

all’autorizzazione delle trattative con le Ditte. Per tutto l’anno 1928

Boncompagni ottenne l’autorizzazione del Ministero dell’Interno per

l’affido a ditte di diversi appalti per opere ad Ostia. Evidentemente

questa procedura era favorita tacitamente da Mussolini anche se non

sempre incontrava il pieno consenso da parte dei ministeri

competenti. In una nota della Direzione Generale

dell’Amministrazione Civile del Ministero dell’Interno si “frena”

l’utilizzo frequente della procedura d’urgenza utilizzata

dall’Amministrazione capitolina:

“Questo Ministero ha finora concesso,nei casi in cui codesto

Governatore ne ha fatto richiesta, l’autorizzazione a concedere a

trattativa privata appalti di opere o di servizi; desidera, tuttavia, far

presente all’E.V. come sia suo intendimento che anche il

Governatorato si discosti il meno possibile dalla norma generalmente

osservata dalle pubbliche Amministrazioni dell’asta pubblica che,

mentre elimina qualsiasi dubbio di particolari preferenze, pone in

grado l’Amministrazione di stipulare i propri contratti in base ad

offerte selezionate e migliorate attraverso l’esperimento della

pubblica gara[…]Devesi far presente che potendosi nel valutare

l’estremo dell’urgenza, prescindere dall’esaminare la convenienza

della contrattazione, questo Ministero non può dispensarsi dal

ricorrere al parere di organi tecnici di specifica competenza e, quindi,

deve,necessariamente, rivolgersi al Ministero dei LL.PP.

Conseguentemente, l’istruttoria delle varie domanda non sempre può

essere espletata con la sollecitudine richiesta[…]Poiché la deroga di

cui trattasi,mentre priva il Governatorato dei vantaggi che potrebbe

assicurargli l’esperimento della pubblica gara, non risolve, con

apprezzabili risultati, data l’inderogabile necessità di sottoporre i

singoli provvedimenti al parere di organi tecnici, la questione

dell’urgenza, questo Ministero prega l’E.V. di impartire precise

istruzioni perché alla eccezionale forma di contrattazione prevista dal

capoverso dell’articolo 15 del regolamento legislativo 29 luglio 1928,

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123

n.1945, si ricorra nei soli casi nei quali risulti assolutamente

indispensabile”122.

La prudenza era consigliata anche dall’esperienza del passato

quando, con l’Amministrazione Cremonesi, si era probabilmente fatto

ricorso in modo giudicato eccessivo alla trattativa privata con alcune

ditte. Boncompagni ereditava, dunque, una situazione complicata con

appalti già affidati in passato e doveva muoversi tra l’esigenza di

terminare i lavori iniziati, i rilievi forniti dai Ministeri competenti,il

pericolo di nuovi scandali. Nel 1929, infatti, scoppiò il caso

dell’Impresa Attilio Cascioli che aveva ottenuto da Cremonesi, il 26

novembre 1926, alla fine dunque del suo mandato, l’appalto per i

lavori di ampliamento dell’Ospizio marino di Ostia. Il progetto di

esecuzione lavori era stato bloccato, a lavori iniziati, perché giudicato

inadatto alle esigenze tecniche e sanitarie delle opere. Nel 1929 di

fronte alla necessità di riprendere l’opera, il Ministero dell’Interno

scriveva a Mussolini che “Iniziati i lavori si accertava che il progetto

non rispondeva alle necessità tecniche ed alle esigenze sanitarie

dell’Ospizio per cui se ne sospendeva l’esecuzione e si disponeva lo

studio di un nuovo progetto. Detto nuovo progetto, presentato alcuni

mesi dopo, prevede importanti variazioni[…]Avendo le innovazioni

proposte riportata l’approvazione dell’Ufficio d’Igiene, il

Governatorato invitava l’impresa Cascioli a riprendere i lavori in base

al nuovo progetto”.La vicenda era continuata con una contrattazione

tra l’amministrazione comunale e la Ditta allo scopo di ottenere

condizioni più vantaggiose. Il Ministero dell’interno aveva formulato

dei rilievi sulla nuova ipotesi di accordo e si andò avanti tra ipotesi di

rescissione del contratto e richieste di miglioramento delle condizioni

di appalto. Alla fine Boncompagni consigliò di accettare le nuove

122 Lettera del Ministero dell’Interno-Dir.Gen.Amm.Civile, anonimo, a Boncompagni, 27 novembre 1928. ACS. MI, DGAC,Comuni,b.2162.

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124

condizioni perché ”le nuove migliorate proposte dell’impresa

Cascioli[…]possono ritenersi accettabili non solo perché, nel

complesso, eque ma anche perché si verranno ad evitare vertenze di

esito molto dubbio e gravi per l’amministrazione”123

In particolare si rileva che durante l’anno 1930 il Governatorato

fu costretto a ricorrere spesso alla trattativa privata per la

sistemazione delle strade della città. In particolare i lavori

riguardarono la zona sud della città e la cittadina di Ostia. L’eccezione

divenne la regola e si procedette all’incarico diretto a Ditte esecutrici

dei lavori anche per il rifacimento stradale della via Aurelia, mentre

per il centro storico (Via Boncompagni Ludovisi, via Ancona, via

Piemonte, via Calabria, via Quintino Sella) si preferì la licitazione

privata.

Occorreva fornire continuamente dati e statistiche a Mussolini

che controllava ogni segmento della vita civile. Nel 1931 emerse il

problema assai rilevante dei disoccupati che aumentava

progressivamente. Il Governatorato ne promosse un censimento che

si tenne il 21 aprile 1931. Il numero assai alto di persone senza

lavoro (28.741) contrastava con le cifre fornite dalla Cassa Nazionale

per le Assicurazioni Sociali che aveva pubblicato una rilevazione sui

disoccupati a Roma nello stesso anno124e che non aveva calcolato,

però, i disoccupati delle categorie impiegatizie e dei professionisti.

6.Gli anni del Concordato

123 Lettera di Boncompagni alla Dir.Gen.Amm.Civile del Ministero dell’Interno, 29 marzo 1929. ACS. MI, DGAC.,Comuni,ibidem. 124 La Cassa Nazionale delle Assicurazioni Sociali aveva calcolato, sulla base del numero dei lavoratori che richiedevano la sua assistenza, il numero dei disoccupati al 31 dicembre 1930 che risultavano essere 7510 persone. I dati erano stati pubblicati in un dossier “Disoccupazione nella Provincia di Roma” nel 1931. ACS, SPD,CO,b.838, f.500.019/I.

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125

Il mondo cattolico aveva salutato con simpatia l’elezione del

nuovo Governatore della città. “La Civiltà Cattolica” diede risalto

all’avvenimento ed uscì con un articolo nel quale scrisse una breve

biografia del Principe125. Egli rappresentava garanzia di appoggio alla

politica vaticana ed al rispetto di quei valori e di quella posizione che

la Chiesa intendeva salvaguardare nella società civile romana.

Dall’inizio del suo mandato era stato fatto oggetto di molte richieste

di aiuto da parte delle realtà ecclesiali presenti a Roma, che lo

consideravano un anello di congiunzione con il fascismo. Lo stesso

Tacchi Venturi, nel caso di un parroco romano, Don Giuseppe Ercole,

che perorava la costruzione di “cappellette necessarie” per i bisogni

del culto nella zona Portuense, gli chiese di sostenere la presenza

della Chiesa nelle nuove realtà periferiche della città di Roma.

Boncompagni, nell’ottobre 1928, rispose al Gesuita, spiegando che

non aveva la possibilità di far ricadere nuovi oneri di spesa sulle casse

comunali ma che, allo stesso tempo, assicurava il suo appoggio:

“Esaminata la disponibilità attuale dei fondi per spese

facoltative e quella che si presume potrà verificarsi in avvenire, si è

costatata l’assoluta impossibilità del Governatorato di addossarsi

l’onere per la costruzione di edifici destinati al culto, onere per il

quale le disposizioni di legge vigenti escludono la competenza delle

Amministrazioni locali. Tengo tuttavia ad assicurarla che vedrò con

molta simpatia l’attività che altri Enti si prefiggano di svolgere per il

raggiungimento dello scopo suindicato, e che non mancherò

eventualmente di appoggiare le loro iniziative con un contributo

finanziario commisurato alle disponibilità di bilancio126”

125 Scrisse la rivista cattolica: “Discende da nobile ed antica famiglia che ebbe nella storia del papato i due Pontefici Gregorio XIII e Gregorio XV”. “La Civiltà Cattolica”, 1928, 4, p.79 126 ARSJ, Fondo Tacchi Venturi, 1009/303.

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126

Rispetto al Concordato, Mussolini, preoccupato di ulteriori ritardi

dell’accordo ne aveva sottolineato il carattere del tutto nazionale:

“Può dirsi che per il Vaticano la questione non è di carattere

internazionale ma semplicemente bilaterale cioè da regolare fra Stato

italiano e Santa Sede. Il che è giusto dal punto di vista della storia e

della logica. Evita pericolosi interventi e inutili complicazioni[…]

Nessun nodo vi fu mai nella storia che non sia stato sciolto o dalla

forza o dalla pazienza o dalla saggezza: così è della Questione

Romana127”

Si giunse alla firma degli accordi del Laterano l’11 febbraio

1929, dopo una lunga serie di trattative. A livello romano esso

introduceva numerose questioni di ordine pratico da definire in tempi

rapidi, mentre si impiantavano le relazioni diplomatiche con le relative

cerimonie di rappresentanza128. Occorreva anche impostare le

relazioni di natura ordinaria. Da parte italiana vi erano poca chiarezza

ed anche un certo impaccio, come nel caso della prima uscita dal

Vaticano del Papa Pio XI, il 25 luglio 1929, per una processione

eucaristica in Piazza S. Pietro. Il Ministero della Guerra scrisse al

Segretario particolare di Mussolini, Beer, per chiedere se la forza

pubblica italiana prevista fosse da considerarsi tutta in servizio di

ordine pubblico o anche in servizio d’onore verso il papa. Mussolini

fece sapere che era tutta in servizio di ordine pubblico129.

L’avvenimento suscitò un grande interesse e molti politici e

127 Nota di Mussolini per il foglio d’ordini del Partito fascista del 2 ottobre 1927.ACS, Autogr. Duce, Cass. Zinco, scatola 6 128 Ad un anno dalla firma del Concordato si tenne in Vaticano una colazione offerta al Governo alla quale parteciparono numerosi ministri e sottosegretari e, per parte vaticana, il card.Gasparri, il Sostituto Segretario di Stato, card.Ottaviani e numerosi prelati. In questa occasione Boncompagni non poté partecipare perché ammalato. 129 Lettera del Ministero della Guerra a Adolfo Beer del 19 luglio e risposta di Beer del 20 luglio 1929. ACS, PCM,1928-30, b.1166.

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127

rappresentanti di governo si rivolsero alla Presidenza del Consiglio dei

Ministri per avere i biglietti di entrata. L’unica via per ottenerli era

rivolgersi al Padre Tacchi-Venturi al quale Beer scrisse il 17 luglio

chiedendo “di volermi far conoscere in qual modo e per quale via

questa Presidenza potrebbe richiedere i biglietti desiderati, qualora

non riesca possibile alla S.V.Rev.ma far pervenire direttamente a

questo Ufficio un certo numero di biglietti per i diversi posti”130.

Boncompagni, forse con una certa ingenuità, inviò a Beer

alcuni quesiti sull’organizzazione della piazza e sottopose alla

valutazione di Mussolini “l’opportunità di predisporre[…]tribune per le

Autorità civili e militari -ciò che [il Governatorato] farebbe a totali sue

spese- e di mettere a disposizione delle predette Autorità le finestre

della Scuola municipale di Piazza Rusticucci. Prima però di provvedere

in tal senso gradirebbe conoscere se sia fondata la voce giuntagli che

le Alte Autorità civili e militari non presenzieranno alla cerimonia di

cui trattasi”. Mussolini rispose che nessuno del Governo avrebbe

presenziato alla cerimonia131.. La Santa Sede, per parte sua, volle

fare della processione un atto esclusivamente religioso e proibì la

presenza di giornalisti o operatori cinematografici anche ribadendo,

simbolicamente, i confini della propria autorità spirituale e la volontà

di non ingerenze in questo campo.132 Boncompagni per un verso si

fece interprete delle istanze del mondo religioso cattolico, per un altro

esibì con il capo del Governo un certo distacco sulle diverse

questioni. E’ vero che il Concordato costringeva i diversi attori politici

130 Lettera di Beer a Tacchi-Venturi del 17 luglio 1929. ACS, PCM,ibidem 131 La frase “Non presenzieremo” è scritta di pugno da Mussolini sulla lettera di Boncompagni a Beer del 18 luglio 1929. ACS, PCM, ibidem. 132 L’unico fotografo ammesso all’interno della Basilica di S.Pietro fu Fedeli della Città del Vaticano. “L’Osservatore Romano” pubblicò il 24 luglio in prima pagina un comunicato del Governatorato della Città del Vaticano :”Per espressa volontà del S.Padre non sarà permesso tanto nell’interno dello Stato della Città del Vaticano quanto nella Piazza di S.Pietro, che possa essere ripreso a scopo di riproduzione cinematografica lo svolgimento della Processione Eucaristica che avrà luogo giovedì 25 corrente”.

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128

e amministrativi della città a misurarsi di nuovo con le consuetudini di

rappresentanza del passato, coscienti che queste potevano rivestire

un significato simbolico più pregnante di prima. Questo fu il caso

dell’invito rivolto dai Padri Filippini al Governatore di Roma perché

partecipasse alla cerimonia di offerta di un calice votivo di argento, a

nome di Roma, a S.Filippo Neri. Boncompagni intuì l’importanza di

porsi in continuità con i suoi predecessori e attraverso il Segretario

particolare chiese il permesso a Mussolini:

“Il Governatore di Roma segnala che gli sono pervenute

premure dai Padri Filippini affinché, anche quest’anno, egli intervenga

personalmente alla cerimonia dell’offerta a nome di Roma, nel giorno

26 maggio, del calice votivi d’argento a S.Filippo Neri, secondo la

tradizione ripresa dall’ex-Governatore Cremonesi e continuata dal

Principe Potenziani che, peraltro, l’anno scorso, a causa della sua

assenza da Roma, si fece rappresentare dal vice-governatore.

Riferendosi a quanto in proposito ebbe occasione di accennare

qualche tempo fa a V.E, il Governatore fa presente che, dati i

precedenti, l’eventuale sua assenza alla cerimonia quest’anno,

specialmente dopo il Concordato con la Santa Sede, potrebbe forse

dar luogo a sfavorevoli momenti. Ciò stante, sarebbe d’avviso di fare

l’offerta del calice come negli anni scorsi, intervenendo

personalmente” 133

Dopo la firma degli accordi del Laterano, il Ministero dei Lavori

Pubblici nominò una Commissione governativa, presieduta dall’Ing.

Luigi Cozza, Presidente del Consiglio Superiore dei Lavoro Pubblici,

che il 2 agosto 1929, presentò una relazione finanziaria di carattere

interno e riservato “Per le proposte ed il Coordinamento dei vari lavori

da eseguire in dipendenza del trattato fra la Santa Sede e l’Italia”. La

Commissione aveva lavorato speditamente ed aveva necessità di

133 Mussolini scrisse a mano sulla lettera “Può andare”. Appunto per Mussolini, senza firma, del maggio 1929. ACS, SPD, CO, b.63.

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129

concludere i lavori e di giungere ad una quantificazione dell’onere

finanziario della manovra complessiva. Nella Relazione di agosto, il

Ministero dei Lavori Pubblici si assumeva l’esecuzione e

l’organizzazione di buona parte dei lavori mentre, per quanto

riguardava le espropriazioni e la esecuzione dei lavori strettamente

connessi con il Piano Regolatore di Roma nei pressi del Vaticano,

aveva delegato a provvedervi il Governatorato di Roma.

La Commissione statale aveva preso in esame e aveva

deliberato su diverse questioni importanti. La prima riguardava la

nascente Ambasciata italiana preso la Santa Sede. Essa avrebbe

trovato la sua collocazione sulla Via Flaminia, presso la cosiddetta

Villa di Papa Giulio di proprietà del Cav.Jandolo. La seconda questione

era la consegna alla Santa Sede di Villa Barberini a Castel Gandolfo,

sede estiva del Papa. La Villa Barberini sarebbe stata espropriata con

una spesa per il Governo italiano di 5 milioni di lire. Altre decisioni

riguardavano la costruzione della stazione ferroviaria all’interno della

Città del Vaticano e il relativo allacciamento con la rete ferroviaria

statale. E’ interessante notare che la Commissione diede

un’interpretazione estensiva delle norme del Trattato, riguardo

all’onere finanziario dell’Italia. Per esempio proponeva al capo del

Governo di aggiungere nel preventivo, la spesa per l’acquisto delle

vetture del treno pontificio. Venivano affrontati, poi, i problemi

tecnici, riguardo la dotazione di acqua per la Città del Vaticano ed i

collegamenti ed impianti per i servizi telegrafici e telefonici.Un

capitolo importante fu quello relativo alla costruzione di nuovi edifici e

alla riallocazione degli uffici statali, fino ad allora situati presso edifici

ceduti alla Santa Sede. Si parlava del Palazzo di S.Calisto, gli edifici

annessi alla Basilica dei SS.Apostoli, alla Chiesa di S.Andrea della

Valle e di S.Carlo ai Catinari. Altre spese riguardavano l’esproprio e la

sistemazione dei locali dell’ex Ospedale di Trinità dei Pellegrini,

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130

proprietà degli Ospedali Riuniti, dove avrebbero trovato collocazione

gli Uffici Finanziari sfrattati. Erano previste, inoltre, altre

espropriazioni di immobili da cedere, in virtù del Trattato, alla Santa

Sede e alcuni lavori di risistemazione della zona intorno a San Pietro.

La spesa complessiva prevista dell’intera operazione era di 100

milioni di lire da suddividersi nei quattro esercizi finanziari 1929-

1933134

E’ interessante rilevare, inoltre, che la Commissione statale

aveva previsto un margine, seppure ridotto, di autonomia del

Governatorato di Roma nel condurre eventuali trattative colla Santa

Sede. Si legge, infatti, nella relazione presentata:

“La Commissione ha preso poi notizia che da parte del

Governatorato di Roma è in via di completamento lo studio del nuovo

piano regolatore del quartiere adiacente alla Città del Vaticano nel

quale venne opportunamente tenuto conto del nuovo stato di cose fra

cui della divisata apertura da parte del Vaticano di un nuovo accesso

ai Musei presso la Piazza Risorgimento, onde risulta opportuno il

previsto allargamento dell’angolo tra la detta Piazza e la via Leone IV

con la parziale demolizione del fabbricato che ora determina un

notevole restringimento dell’angolo stesso. La Commissione ha anche

preso notizia che della parte risultante di tale fabbricato come di

quelle risultanti dai fabbricati lungo la via di Porta Angelica[...]sono

state avanzate proposte per l’acquisto da parte della Santa Sede; ma

la Commissione[...]ritiene che tutto ciò debba formare

esclusivamente oggetto di trattativa fra la Santa Sede ed il

Governatorato135”

Nel Concordato, all’art. 45, era stata prevista, per predisporne

l’esecuzione la nomina di una Commissione mista di ambedue le

134 Commissione Mista per le proposte ed il coordinamento dei vari lavori da eseguire in dipendenza del Trattato fra la Santa Sede e l’Italia-Relazione sul fabbisogno finanziario, 2 agosto 1929. ASMAE, Affari Politici (1919-1930), Santa Sede, b.2, p.19 135 ASMAE, Affari Politici, ibidem

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131

parti. Lo Stato italiano ne mise a capo il Ministro della Giustizia

Alfredo Rocco. Il Trattato, invece, non aveva previsto un organo di tal

genere.

Il 30 agosto 1930, il Segretario di Stato, Card.Gasparri, aveva

fatto sapere in una nota all’Ambasciatore italiano presso la Santa

Sede, De Vecchi di Val Cismon, che auspicava la creazione di una

Commissione tecnica Italia-Santa Sede per trattare alcune questioni

concrete di attuazione del trattato. Le questioni erano relative alla

Città del Vaticano e zone prospicienti ed riguardavano anche

l’approvvigionamento idrico, gli accessi alla Città del Vaticano ed altre

questioni minute. La Segreteria di Stato aveva fatto sapere, inoltre,

di gradire tra i funzionari governativi presenti nella Commissione,

alcuni uomini considerati fedeli alla Chiesa come il Conte Luigi Cozza,

Presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, già in rapporti

consolidati sia col Governatorato di Roma che con il Governatorato

della Città del Vaticano. Le persone delegate dal Vaticano erano gli

ingegneri Momo, De Rossi, Castelli e Mons. Gaetano Malchiodi.

Il Ministro dei Lavori Pubblici, Michele Bianchi, si irritò della

proposta e, in una lettera, il 21 settembre 1929, scrisse al Ministro

degli Esteri, Grandi che lo aveva informato, giocando sull’equivoco

della commissione Rocco:

“In relazione al telespresso col quale codesto On. Ministero

porta a conoscenza di questo dei Lavori Pubblici la proposta fatta

dalla Segreteria di Stato di S.Santità alla R.Ambasciata presso la

S.Sede affinché sia nominata una Commissione mista per la

sistemazione di varie materie interessanti il Trattato Lateranense, si

fa preliminarmente osservare che esiste già una Commissione

interstatale, presieduta da S.E. l’On. Rocco, cui è demandato il

compito di curare di pieno accordo la attuazione del Trattato

predetto, mentre per la effettuazione delle opere e dei compiti che in

dipendenza dello storico Accordo incombono alla Amministrazione

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132

Italiana è stato di recente creato un apposito consesso del quale fa

parte anche un rappresentante di codesto Ministero.Ciò premesso, si

rileva che, ove ora si decidesse di far luogo alla nomina di una nuova

Commissione per la sistemazione delle materie cui la Segreteria di

Stato di S.Santità accenna, essa dovrebbe anzitutto essere paritetica

e dovrebbe, inoltre[...]avere un carattere esclusivamente tecnico-

amministrativo, con l’assenza, quindi, di ogni legale il quale non

potrebbe trovare, in concreto, alcun compito specifico da assolvere,

ritenendosi che tutte le questioni giuridiche rientrino nelle attribuzioni

della già esistente Commissione interstatale”136.

Grandi, per tutta risposta, comunicò al Ministro Bianchi, la

volontà di Mussolini che desiderava andare incontro al desiderio della

Santa Sede:

“Per quanto riguarda la speciale Commissione di cui al

telespresso N.6097 di questo Ministero, trattasi di Commissione per la

quale la Santa Sede ha manifestato, dopo la ratifica degli Accordi

Lateranensi, il desiderio che venisse costituita, e per la quale S.E.il R.

Ambasciatore presso la S.Sede comunicò a quella Segreteria di Stato,

per espresso incarico di S.E. il Capo del Governo, l’adesione del Regio

Governo”137

Si lavorò, quindi alla definizione della Commissione ed al

riguardo la Segreteria di Stato fece sapere al Conte de Vecchi di Val

Cismon, che avrebbe gradito una prima convocazione, fatta dal

Gr.Uff. Rag. Cesare Oreglia, presso il Ministero dei Lavori Pubblici,

nella quale decidere le successive sedi di lavoro. La Santa Sede si

diceva disponibile ad ospitare presso la Città del Vaticano gli incontri,

qualora la cosa si fosse ritenuta conveniente. Dal materiale consultato

sulla Commissione si evince una lunga storia di contrasti e di

patteggiamenti, quasi una guerra di posizione tra la Santa Sede ed il

136 Lettera di Bianchi a Grandi, 21 settembre 1929. ASMAE, Affari Politici, ibidem 137 Il Telespresso n.6647 di Grandi a Bianchi è datato 5 ottobre 1929. ASMAE, Gabinetto del Ministro (1923-1943), b.3

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133

Governo italiano. Tutto era importante da conquistare, i membri

designati, chi convocava, dove, la stesura dei verbali.

La Commissione si riunì otto volte e poi i lavori furono interrotti

per sopravvenute divergenze tra i Delegati e mai più ripresi o conclusi

ufficialmente. Le divergenze, dopo anni di lavoro, riguardavano in

particolare la regolare consegna degli immobili al Vaticano, con il

continuo spostamento delle date. In seguito a questo, con nota del 9

novembre 1933, i rappresentanti vaticani comunicarono che tutto

quello che era stato deciso in commissione era da rimettere in

discussione e che si consideravano sollevati dall’incarico:

“[…]Avendo riferito quanto sopra al Sommo Pontefice, S.Santità

ha autorizzato i suoi Delegati a rendere noto ai Delegati del Governo

Italiano che Egli è profondamente sorpreso e contristato di una simile

situazione, per la quale, tra l’altro, malgrado le proroghe concesse, e i

dati affidamenti non si è addivenuti ancora alle consegne degli stabili,

con pregiudizio di notevoli interessi della S.Sede, e soprattutto poi

per aver messo la S.Sede nella impossibilità di costruire l’Ateneo

Romano Lateranense, ritardandosi così a tutt’oggi di oltre tre anni,

l’apertura di un Corso Superiore di Studi Ecclesiastici che interessa

Roma, l’Italia e molti altri Paesi138”

Di certo nell’applicazione del Trattato Lateranense il

Governatorato era relegato ad un ruolo marginale, interpellato solo ai

fini della risoluzione dei problemi concreti di difficile definizione, come

la consegna dei locali dello stato alla Santa Sede. Questo

adempimento comportava spesso lo sfratto di famiglie senza altre

risorse abitative. Il problema era rilevante e Boncompagni, al

138 Telespresso n.1031 di Suvich al Ministero dell’Interno, 11 dicembre 1933 con cui inoltra la dichiarazione della Delegazione Vaticana del 9 novembre 1933. ASMAE, Affari Politici (1931-1945), Santa Sede, b.12

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134

riguardo, era pressato da richieste da parte dei diversi organi

ministeriali, in particolare dal Ministero degli Esteri che, a sua volta,

aveva chiesto proroghe alla Santa Sede nel completamento della

consegna139.

Una delle questioni più tormentate, emblematica dei rapporti

tra gli organi di Governo, fu quella della zona di San Calisto in

Trastevere. Gli edifici in questione, situati in Via della Paglia e in Via

Venezian, erano abitati da 54 famiglie che vennero sfrattate perché le

loro abitazioni dovevano essere riconsegnate all’Amministrazione

Vaticana dei Sacri Palazzi, perché compresi nel concordato

Lateranense. Le famiglie avevano scritto a Mussolini chiedendo una

proroga dello sfratto od una sistemazione alternativa. Il Governatore

interessato della questione scrisse al Ministero degli esteri

“Devo far presente –come già è stato fatto noto al Ministero dei

LL.PP. –che non riesce assolutamente possibile a questo

governatorato di provvedere allo alloggio delle cinquantaquattro

famiglie abitanti nella zona di S.Calisto (Via della Paglia e Via

Giacomo Venezian) e da sfrattare prossimamente per far luogo alla

consegna della zona medesima alla S.Sede. Questo Governatorato,

infatti, ha già messo a disposizione tutti gli alloggi disponibili per

provvedere alle necessità dipendenti da esecuzione di lavori o da

consegna di immobili nell’interesse della S.Sede, e precisamente è

stato provveduto alla sistemazione di ottanta famiglie (3/5 vani) e si

stanno ora consegnando altre diciassette abitazioni per le famiglie già

occupanti gli stabili demaniali nella detta zona di S. Calisto. Le altre

poche disponibilità sono del tutto insufficienti per le esigenze dei

lavori di piano regolatore in corso. Né può provvedersi alla immediata

costruzione di altre casette economiche, non avendo questa

139 Lettera del Ministero degli Affari Esteri alla Santa Sede, 12 novembre 1930. ACS, MI, DGAC,Comuni, b.2325.

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135

amministrazione alcun fondo da destinare a tale scopo, a meno che lo

Stato non intenda assumere a suo carico la relativa spesa140.”

La documentazione esaminata rivela un rimando di

responsabilità tra gli Esteri, gli Interni, i Lavori Pubblici, la Prefettura

ed il Governatorato al quale, in ultima istanza, si delegava la

soluzione del caso. Il Ministero dei lavori Pubblici aveva infatti scritto

in una nota al Ministero dell’Interno:

“[…]Il mio ministero non ha alcun modo di provvedere esso in

via diretta –non avendo, come è noto, alcun alloggio da concedere;

ciò posto se il Governatorato di Roma[…] non presterà il suo valido

aiuto nella faccenda, la questione dovrà rimanere insoluta anche nel

caso di una concessione di proroga da parte dello Stato della Città del

Vaticano e non sarà possibile dare esecuzione all’art.13 del Trattato

se non eseguendo senz’altro gli sfratti forzosi dei cennati inquilini

(oltre 200 persone) e lasciando ad essi la cura di trovarsi un ricovero,

cosa che si renderà indubbiamente assai difficile, data la persistente

crisi delle abitazioni”141

Boncompagni, dopo diverse lettere di richiesta di sostegno da

parte dello Stato, scrisse al Ministero degli Esteri che lo aveva

nuovamente sollecitato a “voler riesaminare la possibilità di

ricoverare[…]le famiglie di cui si tratta, evitando loro la penosa

consegna di uno sfratto forzoso”142

La risposta di Boncompagni rivela una certa irritazione da parte

del Governatore che non si sente compreso nelle sue difficoltà:

140 Lettera di Boncompagni al Ministero degli Affari Esteri,7 ottobre 1930. ACS,MI, DGAC,Comuni. ibidem. 141 Lettera del Ministro dei Lavori Pubblici, Di Crollalanza al Ministero degli Affari Esteri, 21 novembre 1930. ACS, MI.DGAC,Comuni, ibidem. 142 Lettera del Ministero degli Esteri a Boncompagni, 4 dicembre 1930. ACS,MI, DGAC,Comuni, ibidem.

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“[…]Questo Governatorato (il quale non ha mancato in replicate

circostanze di dare concreta prova del suo sincero spirito di

collaborazione) non si sarebbe fatto ripetere l’invito a provvedere ad

una sistemazione delle 54 famiglie che dovranno essere sfrattate

nella zona di San Callisto, qualora avesse avuto la menoma possibilità

di intervenire efficacemente allo scopo.Ma poiché, al contrario, tale

possibilità assolutamente non sussiste, mi vedo costretto –seppur con

rammarico- a ripetere quanto già scrissi con mie precedenti lettere

del 17 e del 19 ottobre u.s. al ministero dei LL.PP.: e cioè di non

essere questa Amministrazione in grado di procurare un qualsiasi

alloggio alle 54 famiglie[…]mentre già con vero sacrificio e a scapito

di casi veramente pietosi e meritevoli di riguardi non rifiutò il proprio

concorso e provvide alla sistemazione di altre 17 famiglie che

appunto nella detta zona dimoravano”143

Ma la riconsegna dei locali non era il solo problema. Si apriva,

poi, il capitolo dell’applicazione pratica delle norme concordatarie

rispetto alle istituzioni ecclesiali presenti nel territorio della città e tale

applicazione esigeva, da parte delle autorità civili, attenzione, rigore

ma anche tatto.

Si è già accennato al recupero, da parte del Vaticano, degli

immobili utilizzati precedentemente dallo Stato, problema che si

aggiunse a quello di dover riaffidare giuridicamente alle

Congregazioni, in applicazione dell’art.29 del Concordato, molti beni

ecclesiastici fino ad allora intestati a cittadini o società italiane. Ma a

questo si intrecciò anche il problema di dover procedere ad espropri e

demolizioni di immobili religiosi, in vista dell’attuazione del Piano

regolatore. Non era certo facile gestire tale situazione. Dalla

documentazione in possesso dell’Archivio Centrale dello Stato e

dell’Archivio Segreto Vaticano molti documenti che riguardano le

Congregazioni o altre istituzioni religiose danno la misura della

143 Lettera di Boncompagni al Ministero degli Affari Esteri, 22 dicembre 1930. ACS,MI, DGAC,Comuni,ibidem.

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137

preoccupazione del mondo ecclesiastico romano che intendeva

difendere con fermezza i propri diritti.

Boncompagni dovette affrontare il problema delle Congregazioni

religiose e delle loro proprietà immobiliari nella città, dove erano

collocate le Case Generalizie degli Ordini religiosi. La Santa Sede era

intenzionata a non fare concessioni oltre quelle regolate dal

Concordato ed incaricò l’Opera per la Preservazione della Fede di

gestire ogni trattativa con il Governo che voleva procedere ad

espropri e compravendite per liberare spazi nella città. Del resto la

politica vaticana a Roma era piuttosto quella di incrementare la

propria presenza fra la gente, nei quartieri e nelle borgate di nuova

formazione, accompagnando e non ostacolando lo sviluppo della città

fascista144. Boncompagni, che aveva sempre tenuto una linea

coerente di rispetto e cortesia verso la Santa Sede, cercò di attuare

una politica di mediazione e di aggiustamento con le diverse realtà

cattoliche e, seppure applicando senza incertezze le disposizioni

governative, concesse largamente l’indennità di esproprio alle

Congregazioni interessate. Divenne, per questo, un riferimento per gli

ambienti vaticani che gli rivolsero richieste e gli sollecitarono

soluzioni. Ad esempio, quando si aprì il problema con i Padri

Redentoristi, residenti a Via Merulana, che nel nuovo piano regolatore

avrebbe dovuto essere allargata proprio nel punto dove i religiosi

avevano la loro casa, Boncompagni, interpellato sulla questione, si

impegnò personalmente e rassicurò i Padri che sarebbero stati

“risarciti adeguatamente”145 per la demolizione e per la successiva

ricostruzione del proprio istituto. Altre volte le questioni presentavano

risvolti diplomatici come quella che riguardò i Monaci Benedettini

Camaldolesi di San Gregorio al Celio che chiedevano, in vista di una

144 Nel 1932 era Cardinale vicario del papa, a Roma, il card. Marchetti Selvaggiani che aveva sostituito il card.Pompilj e che restò in carica fino al 1951. 145 ASV, Segr.Stato, 1928, rubrica 170, fascicolo 6

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138

nuova sistemazione dell’area, la liberazione e la restituzione dell’ex

Monastero di San Gregorio, occupato da istituzioni fasciste. Della

questione si era interessato anche il Card. Primate di Ungheria che

aveva chiesto aiuto alla Legazione di Ungheria in Italia. La richiesta

era arrivata sul tavolo del Governatore di Roma che l’aveva inviata al

Ministero degli Affari Esteri, che non accolse la richiesta spiegando, in

termini di ordine pratico, che i locali erano occupati da scuole e

istituzioni fasciste che non avevano sistemazioni alternative.146

Boncompagni fu, comunque, un riferimento per il mondo

cattolico romano. Durante i fatti del ’31 la sua posizione appare

defilata anche a causa di un grave problema familiare che lo colpì

proprio quell’anno147. La moglie, Nicoletta Boncompagni Ludovisi

mori il 2 marzo di malattia e grande fu il cordoglio del mondo

cattolico per la sua perdita. Le riviste cattoliche la ricordarono con

146 Nota diplomatica dell’Ufficio Affari con la Santa Sede alla Legazione di Ungheria, 19 novembre 1930. ASMAE, Affari Politici (1919-1930), Santa Sede, b.9 147 Egli scrisse a Mussolini, nello stesso giorno della morte della moglie, presentandogli le sue dimissioni da Governatore perché troppo provato dal dolore. Lettera di Boncompagni a Mussolini del 2 marzo 1931. ACS, CO, b.1209, f.509.667

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139

affetto148 ed anche la stampa italiana riportò l’avvenimento con

attenzione149.

Nell’anno 1932 si infittì la corrispondenza tra il Governatore ed

il Segretario di Stato, Pacelli, che si scambiarono in quell’anno visite

ufficiali di cortesia.

La Santa Sede seguiva lo sviluppo della città accompagnandone

l’espansione nella periferia e, negli anni 1931-1933, attraverso la

Pontificia Opera per la Preservazione della fede e la provvista di

nuove chiese in Roma150, procedette all’acquisto di terreni di proprietà

di Società immobiliari151e di privati152 per la costruzione di luoghi di

culto nelle zone di nuovo insediamento della popolazione. Il principe

148 In particolare ne citiamo due che permettono di cogliere interventi di sostegno dei Boncompagni a opere cattoliche: “La Civiltà Cattolica” il 21 marzo scrisse: “Nelle prime ore del 2 marzo, nella clinica di S.Stefano Rotondo, rendeva l’anima a Dio la principessa Niocletta Boncompagni Ludovisi di Piombino, nata Prinetti Castelletti, consorte del Governatore di Roma[....]Largo fu il compianto per l’immatura perdita, essendo la principessa universalmente apprezzata per le elette qualità di intelligenza e di coltura, e soprattutto per le virtù di sposa e di madre esemplare e per l’inesauribile carità che la spingeva ad accorrere con l’opera e col consiglio ovunque fosse un dolore da lenire o un’indigenza da sollevare. “La Civiltà Cattolica”,Anno 82,1931,vol.I, Quaderno 1934,pag.555. “Il Bollettino Salesiano” commemorando la principessa scriveva: “Una crudele malattia la spense a quarant'anni quando la vita pulsava ancora per Lei col suo più fervido ritmo. Donna di alte virtù s'era acquistata bella fama in Roma per l'opera assidua, premurosa di assistenza e di carità alle classi più povere, all'infanzia derelitta e alle Istituzioni che hanno cura della gioventù più miserevole[...] Memore delle antiche relazioni passate fra il Beato D. Bosco e la patrizia famiglia Boncompagni, la pia Principessa, unitamente al Principe consorte, fu di una benevolenza squisita verso le Opere Salesiane, specialmente quelle fiorenti in Roma. 1 Maggio 1931, IX , 5 149 In particolare “Il Messaggero” ne stilò un ricordo articolato e affettuoso il 3 marzo 1931. 150 La Pontificia Opera venne costituita il 5 agosto 1930 con il Motu Proprio di Papa Pio XI “In Allocutionis habita”. 151 Ad esempio ciò avvenne a viale Romania dove aveva alcune proprietà la Società Generale Immobiliare di lavori di utilità e dove la Pontificia Opera acquistò terreni il 28 luglio 1931, a via Laurentina dalla Società Laurentina Immobiliare il 24 agosto 1933, dalla Società Anonima Industriale a San Pancrazio il 18 settembre 1933. ACS, MI, Dir.Gen.Affari di Culto, b.407. 152 Ad esempio alla contrada Malabarba e Pratalatella fuori Porta Maggiore l’1 dicembre 1931,a Centocelle l’11 dicembre 1931,nel quartiere Savoia il30 dicembre 1932, a via Cassia il 6 giugno 1933, a Primavalle il 29 gennaio 1933,a Ponte Mammolo il 31 dicembre 1933. ACS, MI, Dir.Gen.Affari Culto, ibidem

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140

era, seppure all’interno di rapporti rigidamente controllati dal

governo, un riferimento significativo negli ambienti ecclesiali. E’ fuor

di dubbio che fosse considerato con simpatia e che la Santa Sede,

attraverso di lui, intendesse far pervenire a Mussolini -in modo

indiretto e con cortesia- la ferma intenzione di inserirsi in modo

puntuale nei nuovi quartieri voluti dal governo fascista. In una lettera

a Mussolini il Governatore Boncompagni riferì che

“Stamane, recatomi per disposizione della Presidenza del

Consiglio dei Ministri alla cerimonia nella Basilica di S.Paolo, mentre

ero con le altre Autorità nella Sacrestia, in attesa dell’inizio della

funzione, il Nunzio con mia viva sorpresa mi ha pregato di recarmi

presso il Santo Padre che desiderava vedermi prima di scendere nella

Basilica. Mi è parso difficile esimermi e quindi ho seguito il Nunzio.

Sono stato così introdotto dal papa, che mi ha intrattenuto pochi

minuti, durante i quali con molta cortesia mi ha esternato il Suo

compiacimento per le trasformazioni operate dal Regime in Roma,

accennandomi tra l’altro di aver visitato stamani la nuova Chiesa nel

popolare quartiere della Garbatella”153

153Probabilmente la chiesa inaugurata alla Garbatella fu quella di S.Francesco Saverio a piazza Damiano Sauli, poi eretta parrocchia da Papa Pio XI l’1 maggio 1933. Il Papa aveva proclamato S.Francesco Saverio patrono delle missioni nel 1927. Lettera di Boncompagni a Mussolini, s. d. ACS, SPD,CO,b.63. La cerimonia a San Paolo era la presa di possesso della basilica da parte del Vaticano, dopo gli Accordi Lateranensi. Alla presa di possesso volle intervenire personalmente Pio XI: “[…]Si ha il pregio di trasmettere la qui nota della Nunziatura Apostolica, in data oderna, facendo presente che S.E.il Nunzio Apostolico ha lasciato intendere che il Pontefice desidererebbe prendere personalmente possesso della Basilica di San Paolo il 30 corrente”. Lettera su carta intestata “Gabinetto del Ministro Affari Esteri” (forse scritta dal Capo Gabinetto, Pellegrino Chigi) a Mussolini, 26 giugno 1930. ASMAE, Gabinetto del Ministro (1923-1943), b.837.

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141

La familiarità di cui godeva Boncompagni negli ambienti vaticani

gli aveva consentito, inoltre, di trovare soluzioni a problemi, forse

ingenuamente considerati di scarsa importanza politica, senza dover

passare per il Governo o per gli ambienti diplomatici.

Nell’anno 1933, proprio a causa di iniziative personali prese dal

Principe, si giunse a un momento di irrigidimento con le autorità

governative fasciste. Il caso fu la controversia che si accese con la

Santa Sede su due vie adiacenti piazza San Pietro, via del Sant’Uffizio

e via della Sagrestia, che la Santa Sede considerava come un

prolungamento della sua proprietà. Intendeva, infatti, chiuderle con

cancelli, adducendo motivi igienici e di sicurezza, nonostante le vie

suddette fossero di dubbia attribuzione. Sembra che sulla questione

fossero intercorsi contatti diretti tra il Governatorato di Roma e la

Santa Sede senza interessare i competenti organi statali che

trattavano tutta la materia concordataria. In un telespresso

all’Ambasciatore d’Italia presso la S.Sede, De Vecchi di Val Cismon, il

Sottosegretario agli Esteri Suvich informava che “Dal Governatorato

di Roma è pervenuta a questo Ministero la lettera documentata della

quale unisco copia circa una interpretazione da parte della Città del

Vaticano del disposto dell’art.15 del Trattato lateranense[…]e si

pensava che una tale situazione non potesse essere sanata mercè il

semplice scambio di note progettato dal Governatore della città del

Vaticano, nei termini degli schemi annessi alla comunicazione del

Governatorato di Roma154”. Nella risposta al Sottosegretario

l’Ambasciatore proponeva di trattare la questione per via diplomatica,

dandole così il risalto politico che aveva per il Governo italiano e

affermava preoccupato:

154 Telespresso n.61 del Sottosegretario Suvich all’Ambasciatore De Vecchi, 1 febbraio 1933. ASMAE, Affari Politici (1931-1945),Santa Sede,b.12

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142

“[…]Rinnovo la osservazione già più volte fatta che i continui

contatti diretti fra gli organi decentrati dello Stato ed i mille agenti

autorizzati o meno della Santa Sede e della stessa Città del Vaticano,

rischiano di portare a conseguenze anche gravi, create magari di

sorpresa dagli elementi dubbi ed infidi dei quali si tratta e che si

presentano alle nostre autorità in lusinghiera veste italiana.Mi sembra

importante che lo Stato sbarri tutti questi cunicoli e queste vie di

avvicinamento per costringere la Santa Sede a passare sempre per la

porta grande [...] La apposizione dei cancelli[...]è senza dubbio uno

dei molti atti che il Governatorato della Città del Vaticano, organo da

ignorare politicamente quanto più è possibile perché superfluo alla

Santa Sede ma finora certamente ostile al Regime, ha compiuto in

forma non precisamente corretta. Qualora si creda di accedere al

desiderio espresso dai richiedenti per un non necessario atto di

cortesia, vi si acceda con tutte le cautele e con scambio di note

diplomatiche fra la Santa Sede ed il Regio Governo, non già fra la

Città del Vaticano ed il Governatorato di Roma. La Città del Vaticano

dovrebbe essere, quanto possibile, ignorata”155.

Il problema interessò direttamente Mussolini perché sembrava

un allargamento indebito della Chiesa rispetto a quanto era stato

stabilito col Concordato e portava a conseguenze che “escono da quei

limiti di semplicità sotto i quali essa è stata prospettata” come gli

scrisse Pasquale Sandicchi, Direttore Generale per i trattati, gli atti,

gli affari con la Santa Sede presso il Ministero degli Affari Esteri.

Sandicchi esprimeva una certa irritazione per l’intervento autonomo

di Boncompagni verso la Santa Sede:

“Quando già scambi di vedute erano intercorsi al riguardo, il

Governatorato di Roma ha informato della cosa questo Ministero,

155, Telespresso n.3891, 2 febbraio 1933 dell’Ambasciatore De Vecchi di Val Cismon al Ministro degli Affari Esteri. ASMAE, Affari Politici, ibidem

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143

rendendosi conto delle ragioni di ordine superiore che potrebbero

anche in questa contingenza aver maggiore valore delle altre.

Escluso che quelle vie possano essere ritenute “adiacenze” ai termini

del Trattato Lateranense, e tenuto fermo che sotto nessuna forma e

per nessuna ragione debba essere ceduto suolo nazionale alla Santa

Sede, oltre quello fissato dal Trattato Lateranense, e accennato alla

scorrettezza compiuta dal Governatorato della Città del Vaticano col

costruire i due cancelli, Sua Eccellenza De Vecchi propone che qualora

si voglia accedere al desiderio del Vaticano, per un non necessario

atto di cortesia, si proceda con ogni cautela a mezzo di scambio di

note diplomatiche.

L’Ufficio pensa subordinatamente che la soluzione di trattare la

questione in via diplomatica sia da preferirsi. Mentre, infatti, non

vede l’opportunità di trattative dirette fra il Governatore della Città

del Vaticano e il Governatorato di Roma non è persuaso che

l’estemporaneità della concessione possa costituire nella fattispecie

sufficiente garanzia per noi”156

A conclusione della questione il Governo deciso a trovare un

punto di accordo con la Santa Sede inviò, attraverso il Ministero degli

Affari Esteri, una nota alla Nunziatura Apostolica:

“Il R.Governo nel desiderio di venire incontro alla analoga richiesta

della Santa Sede, motivata da ragioni di igiene e di morale, non ha

difficoltà che siano mantenuti, in via provvisoria, e fermi restando il

diritto inerente alla sovranità territoriale dell’Italia e quelli del

Governatorato di Roma, due cancelli in ferro, per la chiusura durante

la notte delle Vie della Sacrestia e del Santo Uffizio[…]In relazione al

carattere della concessione, il Governo Italiano è sempre libero di

chiedere che le vie stesse restino, all’occorrenza, aperte anche di

notte, ed altresì la rimozione in qualunque tempo dei cancelli

anzidetti e la rimessa in pristino[…]Nel caso che la Santa Sede

concordi con quanto sopra, la presente nota e quella con la quale la

Nunziatura Apostolica prenderà atto della comunicazione e darà

156 Lettera di Sandicchi a Mussolini del 9 febbraio 1933 sulla quale Mussolini scrisse di suo pugno “Approvo punto di vista De Vecchi”. ASMAE, Affari Politici (1931-1945), Santa Sede, b.12

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144

notizia del consenso della Santa Sede, costituiranno al riguardo un

accordo perfetto tra le due Parti”157.

7. Problemi di bilancio del Governatorato

La situazione finanziaria delle casse comunali era da tempo

compromessa e si aggravò ulteriormente, a partire dal 1930. C’è da

dire che tutto il panorama internazionale era gravato dalla pesante

crisi economica e che il 1932 fu l’anno in cui la congiuntura negativa

toccò livelli elevatissimi e, a ragione, fu definito l’anno più nero della

crisi per gli europei, le cui conseguenze si manifestarono

pesantemente in Italia.

A livello comunale, a Roma, si verificò quello che Potenziani

aveva temuto: le entrate comunali vennero in buona parte assorbite

dal pagamento del debito americano158. D’altra parte la realizzazione

delle opere volute dal Regime richiedeva maggiori oneri finanziari.

Contro le antiche intenzioni di Boncompagni si aumentò la pressione

fiscale e si ricorse a prestiti e finanziamenti che aumentarono

l’indebitamento.

Aumentò la disoccupazione e si costruì la Roma delle borgate.

Nel 1929 il Governatorato effettuò un censimento dei baraccati dalla

quale emerse che a Roma esistevano 6.506 baracche con 7.716

famiglie, per un complesso di 31.137 persone. Il 60% dei capi

famiglia erano operai generici, specializzati e muratori, il 12% erano

dipendenti di enti pubblici e privati e tra questi spazzini, tranvieri,

ferrovieri, pensionati, uscieri, fattorini, cantonieri, infermieri, custodi,

fuochisti. Tra i conducenti vi erano carrettieri, vetturini ma anche

chauffeur. Anche gli esercenti erano rappresentati con 234 capi

157 Nota verbale del Ministero degli Affari Esteri alla Nunziatura Apostolica, 6 aprile 1933. ASMAE, Affari Politici, ibidem. 158 P.Salvatori, op.cit., pag.48

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145

famiglia. Ed erano presenti rappresentanti delle forze armate come

agenti di Pubblica Sicurezza, guardie, sottufficiali. Il delegato del

Governatore per i servizi assistenziali, Raffaello Ricci159, che

presiedeva l’Ufficio Assistenza Sociale nell’illustrare il censimento

scrisse al Capo del Governo:

“Tenendo presenti le categorie sopraccennate ed anche altre, è

consentito dedurre una conseguenza di notevole importanza politica e

sociale, che, cioè, i baraccati non rappresentano tutti un basso fondo

sociale, nel significato peggiore della parola. Ciò è anche confermato

dal fatto che, pur prevalendo un eccessivo agglomerato di persone,

molte baracche specialmente quelle in muratura sono tenute con un

certo ordine e nettezza. Assodate in tal modo le qualità sociali della

gran maggioranza dei baraccati, ne riesce confermata, sotto tutti i

rapporti, l’opportunità del programma di V.E. per le casette a

costruzione rapidissima” 160

Boncompagni inoltrò a chi? i dati del censimento sulla

situazione dei baraccati facendone occasione per presentare alcune

proposte a livello abitativo. Partendo dal numero delle baracche

passato in un anno da 6.506 a 5800 egli affermava di aver contato

per la loro graduale eliminazione sul concorso dell’Istituto Case

Popolari dato che “le case convenzionate non possono infatti risolvere

il problema per questa parte più miserevole della popolazione.

L’Istituto delle Case Popolari, malgrado ogni suo sforzo, non è riuscito

ancora a trovare i mezzi necessari[…] Egli pertanto prevedeva “il

159 L’Ufficio di Assistenza Sociale del Governatorato, il cui fondo conservato presso l’Archivio Storico Capitolino non è ancora accessibile agli studiosi fu costituito nel 1928 e soppresso nel 1935. Si occupò di lotta all’accattonaggio, prevenzione antitubercolare, l’assistenza scolastica e alle famiglie degli sfrattati. E’ citato in L. Francescangeli, Fonti archivistiche per la storia dell’amministrazione comunale dopo il 1870 nell’Archivio Storico Capitolino, in M. De Nicolò (a cura di), L’amministrazione comunale di Roma, cit., pp. 259-323. 160 ACS,MI, DGAC,Comuni, b.2162.

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146

diretto intervento dell’Amministrazione del Governatorato, con la

costruzione di qualche lotto di casette di minimo costo”.

Il secondo problema da fronteggiare era quello degli sfratti

forzosi “che si vanno eseguendo dall’autorità giudiziaria ad istanza dei

privati, sfratti che, per quanto possano limitarsi, svolgendo un’azione

persuasiva verso i proprietari di case, aumenteranno inevitabilmente

con la prossima cessazione del regime vincolistico”. Il passaggio al

regime libero degli affitti preoccupava grandemente il Governatore

per la ricaduta che avrebbe avuto sulle famiglie sfrattate dai

proprietari. In questo senso la sua politica facilitò anche appalti a

Società costruttrici per l’edificazione e l’ampliamento dei quartieri

della periferia della città come nel caso della Società Anonima

Valorizzazione Industriale Terreni Tuscolani incaricata di costruire un

nuovo quartiere su un terreno di sua proprietà tra la via Tuscolana e

i viali del Mandrione. La soluzione di affidare ad imprese private la

costruzione di case economiche per i ceti medio-bassi, al fine di

garantirne condizioni di vita decorose, ne avrebbe rafforzato il

consenso verso il regime161.

Ma esisteva la realtà delle classi più povere e degli sfrattati a

seguito dell’attuazione del piano regolatore.

Una soluzione prospettata dagli uffici del Governatorato per

fronteggiare il problema della casa era la costruzione di “casette

rapide” per un totale di 1000 vani “di cui verrebbe assicurata la

disponibilità entro il 30 giugno 1930.” Il modello prospettato era

“quello brevettato Pater162, secondo un modello che è stato già

costruito a Monteverde e, visitato dai tecnici più esperti, anche del

Ministero dei Lavori Pubblici, è stato giudicato idoneo e conveniente,

per un costo medio di 5000 lire a vano per casette a due piani e 4700

161 Sulla politica abitativa del regime vedi P.Salvatori,op.cit.,pp.51-60 162 Dal nome dell'architetto Dario Pater. Queste case erano prefabbricate con pareti costruite con un impasto di truciolato di legno e cemento

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147

lire a vano per casette a tre piani.163”La soluzione portò alla nascita di

borgate, separate dalla città, spesso prive anche dei servizi

essenziali.

Nonostante il parere contrario del Ministero dell’Interno,

Boncompagni fu autorizzato a procedere alla costruzione delle casette

rapide che egli vedeva comunque, come “certamente inadeguate per

recare un contributo appena sensibile alla soluzione del problema dei

baraccati e degli sfrattati” ma come l’unica soluzione attuabile in poco

tempo.

Se il problema della casa era di estrema gravità, non era

migliore la situazione dei servizi pubblici, in particolare, acqua e

energia elettrica. Dopo faticose trattative nacque nel 1937 la Società

Governatoriale Elettricità ed Acque, ed altrettanto faticosamente,

Boncompagni ottenne dalla Romana Gas un ampliamento della zona

di distribuzione nella città164. Il rapporto con le Aziende di servizi fu

oggetto delle prime riunioni della Consulta che a partire dalla seduta

del 28 luglio 1930 affrontarono il problema. Da subito, infatti, la

priorità all’ordine del giorno delle riunioni fu la regolamentazione dei

rapporti con le Società esercenti i pubblici servizi. Occorreva

ripensare tutto il sistema delle convenzioni e degli incarichi ed in

questo Boncompagni sembrava tenere una linea di rigore e di

controllo per limitare al massimo aggravi del Bilancio capitolino. Non

era favorevole all’estensione del sistema degli appalti quanto,

piuttosto, ad un controllo più accorto da parte dell’amministrazione

pubblica sulle diverse Società. E’ interessante,al riguardo, tener conto

dei lavori della Consulta nei momenti più significativi del primo

quinquennio di esercizio.

163 Lettera di Boncompagni a Mussolini, 19 dicembre 1929. ACS,MI, DGAC,Comuni, b. 2162. 164 Sui servizi pubblici nelle borgate vedi P.Salvatori, op.cit., pp.61-65

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148

Il primo problema fu, dunque, quello della Società Romana del

Gas che negava l’obbligo di estendere la canalizzazione del gas ai

nuovi quartieri della città165. Il problema con la Società si affrontò

anche nelle sedute degli anni 1931-1932 fino ad arrivare alla stipula

di una nuova convenzione il 20 febbraio 1933 con la Deliberazione

n.738 della Consulta di Roma166. Se è vero che le condizioni della

stessa favorivano in qualche modo la Società, che aveva ottenuto un

lungo appalto per cinquant’anni, è anche vero che Boncompagni non

aveva altre possibili alternative per la fornitura del servizio. Aveva

affidato nel 1930 ad una Commissione della Consulta l’incarico di

studiare l’uso di possibili fonti alternative di energia da destinare

all’uso domestico167. La Commissione aveva il mandato di esaminare

il dissidio sorto fra la Società del Gas e il Governatorato circa la

determinazione del prezzo del gas. Nella seduta del 2 ottobre 1930 il

Consultore Moretti propose, in alternativa al gas, l’attribuzione del

riscaldamento all’Azienda elettrica che, però, attraverso il Direttore,

l’ing.Piccioni fece sapere che i costi dell’energia elettrica non

sarebbero stati né pari né inferiori a quelli del gas.

La seduta del 26 novembre fu assai difficile. Si affrontò il gravoso

problema della crisi economica in atto che aveva pesanti risvolti per

la vita della città. Il 20 novembre 1930 era entrato in vigore il Regio

Decreto n.1491, che recava norme relative alla riduzione degli

stipendi e delle competenze accessorie al personale dello Stato, delle

opere nazionali, degli enti parastatali e delle associazioni sindacali.

165La Consulta espresse all’unanimità “1)che il Governatore possa e debba richiedere alla Società Romana del Gas l’estensione delle canalizzazioni per il servizio del gas indistintamente a tutti i quartieri della città; 2)che in caso di rifiuto della Società, il Governatorato sia libero di provvedere nel modo che ritenga migliore alla tutela degli interessi cittadini avendo presente che è ormai scaduto il termine contrattuale stabilito per il regime di monopolio del servizio a favore della Società”. ASC, Consulta di Roma,Verbali, seduta del 2 ottobre 1930. 166 Sull’argomento vedi P.Salvatori, op.cit.pag.62. 167 Erano membri della Commissione Scotti, De Stefani e Serono.

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149

Questa riduzione delle entrate si riversava pesantemente sulle

famiglie e sul loro potere di acquisto dei beni di prima necessità.

Aumentavano poi i prezzi delle derrate e delle merci in genere e

cresceva il malcontento popolare. Si temevano manifestazioni di

piazza ed il Ministero dell’Interno telegrafò ai Prefetti e al Questore di

Roma:

“Raccomandasi che in occasione prossime feste siano intensificati

tutti servizi di vigilanza anche in relazione avvenuta riduzione stipendi

et salari stop. Vigilanza dovrà essere specialmente esercitata sui

mercati e altri luoghi affluenza pubblico allo scopo impedire qualsiasi

incidente”168

ed il governo mise in programma due provvedimenti ad effetto:

abbassare il costo dei biglietti del tram e della tariffa unitaria

dell’elettricità. Si colpiva, come al solito, l’autonomia finanziaria dei

comuni, riducendone le entrate, senza ripensare la complessiva

situazione economico-finanziaria del Paese.

Questi provvedimenti avrebbero avuto, infatti, una ricaduta negativa

sui bilanci già in rosso degli enti locali. Boncompagni nel discorso ai

Consultori rivelò la sua preoccupazione al riguardo, affermando che

per l’Azienda tranviaria “la diminuzione del prezzo dei biglietti potrà

portare un minore introito e quindi una perdita di oltre 30 milioni.

Quanto all’energia elettrica, il prezzo attuale, se al lordo è il

quadruplo, tolte le nuove tasse si riduce a poco più del doppio di

quello dell’anteguerra; ed una diminuzione di 10 centesimi sulla

tariffa unitaria avvantaggia, in media, ciascun consumatore di sole

L.25 all’anno, mentre cagiona al Governatorato una perdita di un

milione e mezzo. Queste considerazioni sono state fatte presenti alle

168 Telegramma del Ministero dell’Interno ai Prefetti del Regno e Questore di Roma, 22 dicembre 1930.ACS,MI, DGAC.,Comuni, b.611.

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150

superiori Autorità le quali, pur rendendosi conto del pregiudizio e

disagi che ne deriva al bilancio del Governatorato, hanno giudicato

necessari i ribassi nella misura sopraccennata, che rispetto ai biglietti

autotranviari costituisce per la cittadinanza un beneficio medio

notevolmente superiore al 10%”. Boncompagni aggiunse che

“riteneva doveroso porre in chiaro che l’Amministrazione ha

pienamente valutato le conseguenze che dette riduzioni per i trasporti

autotranviari e per l’energia elettrica apporteranno al bilancio

governatoriale, ed il pregiudizio che ne potrà derivare al pareggio di

bilancio”169.

Nei mesi successivi la situazione dell’Azienda tranviaria si aggravò e

raggiunse gli 80 milioni di debito. Nella seduta del 7 agosto 1931 si

ripropose in modo deciso la situazione del suo bilancio ed il

Consultore Santamaria, incaricato di illustrare la situazione, affermò

che la causa del decifit era tutta da attribuire alle riduzioni dei biglietti

applicate dall’1 dicembre 1930; occorreva correre ai ripari cercando,

però, di non provocare reazioni contrarie nella popolazione e, di

conseguenza, censure da parte del Governo. Si adottò una misura di

compromesso. Si decise di usare “tariffe prevalentemente

proporzionali alla lunghezza del percorso” che permettessero un

incremento di introiti. Questa vicenda mette ancora una volta in luce

il ridotto margine di decisione dell’amministrazione capitolina, troppo

debole e passiva rispetto all’autorità statale della quale non sempre

condivideva le decisioni.170.

Boncompagni doveva decidere anche rispetto a questioni

lasciate aperte dal suo predecessore, quale quella della Centrale del

Latte. I produttori avevano rivolto a Mussolini la richiesta di poter

costruire e gestire, tramite il loro Consorzio Laziale Produttori, una

169 ASC, Consulta di Roma,Verbali, seduta del 26 novembre 1930. 170 ASC, Consulta di Roma,Verbali, seduta del 7 agosto 1931.

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151

Centrale del Latte per l’approvvigionamento della capitale. Potenziani,

negli ultimi mesi di permanenza al Governatorato, aveva deliberato di

concedere al Consorzio il permesso per l’attuazione, ma

Boncompagni, scriveva il Presidente del Consorzio, Eligio Maoli “non

credette opportuno, per un eccesso di delicatezza, ratificare tale

concessione data la sua qualità di produttore e socio del Consorzio

stesso e indisse una pubblica gara per la concessione della Centrale

del Latte[…]Qui a Roma non esiste una vera centrale; esiste bensì un

apposito stabilimento gestito dal Governatorato[…]Il detto

Stabilimento dovrebbe essere affidato a questo Consorzio”171

Sulla questione intervenne personalmente Mussolini che fece

sapere al Governatore di essere convinto che “la gestione della

centrale predetta dovrebbe passare ai produttori172. Boncompagni

obbedì, e la questione si risolse l’anno seguente con la stipula di una

convenzione tra il Governatorato di Roma e il Consorzio che diveniva

il gestore della nuova Centrale nata dal precedente Stabilimento del

latte173.

Ma non sempre il Governatore si adeguò immediatamente alla

volontà del regime. La difficoltà della situazione lo portò a prendere

alcune volte posizioni diverse dagli organi ministeriali competenti.

Dai documenti esaminati si delinea, a partire dal 1931, un rapporto

non sempre lineare e sintonico con il Governo. Sono varie le questioni

nelle quali Boncompagni, seppure nei limiti dei suoi poteri e con molti

cedimenti alla volontà del regime, espresse chiaramente una visione

diversa delle cose e dei rapporti di forze nella città. Non sempre,

171 Lettera del Presidente del Consorzio Laziale Produttori Latte, Eligio Maoli a Mussolini, 2 luglio 1930. ACS, SPD,CO,b.838, f.500.019/I 172 Appunto della Segreteria di Mussolini per il Comm.Di Lullo, 14 luglio 1930. ACS, SPD,CO,b.838, f.500.019/I. 173 Consorzio Laziale Produttori Latte S.A.-Concessionaria della Centrale del Latte-Roma, Il latte nell’Agro Romano. La Centrale del Latte di Roma, Milano 1934.

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152

inoltre, utilizzò metodologie di intervento usuali e permesse dal

regime.

Dalla documentazione trovata si evince che nei mesi luglio-

dicembre 1931 vi fu tutta una serie di rilievi o, almeno, di richieste di

chiarimenti che Mussolini indirizzò al Governatore. La prima riguardò

l’esposto della Ditta Puricelli al Sottosegretario per l’Interno. La Ditta

lamentava un’irregolarità negli appalti per la pavimentazione delle

strade della Capitale in favore delle ditte Vasselli, Tudini e Talenti.

Boncompagni rispose che il Governatorato già era vincolato da appalti

alle ditte in questione e che “trattasi non di nuovi contratti, ma di

proroga di quelli vigenti; onde non sarebbe stato possibile far luogo a

gare chiamando a concorrere altre Ditte”174

Significativa fu la vicenda dell’assunzione di personale avventizio per

il Governatorato. Era l’anno 1931 e la tensione con la Chiesa cattolica

per i fatti relativi all’Azione Cattolica era alta. Il regime era guardingo

e aveva intensificato i controlli sul personale. In particolare il regime

teneva sotto controllo l’Azienda Tranviaria del Governatorato per la

diffusione tra i tranvieri dell’Associazione cattolica “Apostolato della

Preghiera” che si riteneva anti-fascista e sovversiva. L’Apostolato,

retto dal gesuita padre Aloisi Masella, contava, su 6000 tranvieri del

Governatorato, 3000 iscritti175. Si temeva il forte proselitismo

dell’Associazione che si diffondeva anche in altre realtà cittadine e

istituzionali.176 Il controllo sui dipendenti e sulle nuove assunzioni si

fece più stretto. Ma l’atteggiamento di Boncompagni fu, in un certo

senso, in controtendenza.

174 Lettera di Boncompagni alla Direzione Generale dell’Amministrazione Civile del Ministero dell’Interno, 22 luglio 1931. ACS,SPD,CO,b.838, ibidem. 175 Rapporto della Divisione Polizia Politica alla Divisione Affari Generali e Riservati del Ministero dell’Interno del 17 dicembre 1930. ACS,MI,DGPS,Affari Generali e Riservati, Associazioni, b.1912-45. 176 In particolare si aveva notizia della diffusione tra i dipendenti della Manifattura Tabacchi, della Ditta Coen, del Poligrafico dello Stato. ACS,MI,ibidem.

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153

Dato che il Governatorato di Roma aveva necessità di assumere

personale provvisorio per lavori di contabilità straordinaria,

Boncompagni utilizzò per il reperimento una prassi del tutto inusuale:

fece pubblicare un comunicato sui giornali nel quale richiedeva

aspiranti all’incarico. Questo provocò una richiesta di chiarimento da

parte di Mussolini. In un appunto non firmato (presumibilmente della

Segreteria del duce) si legge:

“S.E.il C.del G. letto l’unito comunicato è rimasto sorpreso che,

in un momento come questo, sia stato diramato un comunicato del

genere e non si rende conto come il Governatorato per assumere “in

servizio temporaneo un limitatissimo numero di impiegati d’ordine

avventizio” sia ricorso alla Stampa anziché agli uffici di

collocamento”177

Boncompagni rispose difendendo la sua scelta

“Circa l’unito comunicato diramato ai giornali, e le ragioni per le

quali il Governatorato non ha ravvisato, in questa occasione, di

rivolgersi piuttosto agli uffici di collocamento, mi onoro far presente

quanto appresso.

Il numero degli impiegati da assumere è, per ora, di una diecina; per

quanto si tratti di avventizi la loro assunzione potrà avere una certa

stabilità, per effetto delle disposizioni che l’Amministrazione pensa di

adottare, con la riforma d’organico in studio, nei riguardi del

personale contrattuale a ferma temporanea.

Agli uffici di collocamento, giusta le vigenti disposizioni, gli enti

pubblici devono rivolgersi per quanto riguarda l’assunzione di

lavoratori manuali: nel caso si tratta di impiegati d’ordine.

Le modalità adottate per tale assunzione –come è detto nel

comunicato- rispondono alla necessità:

a) di fare una scelta comparativa fra gli aspiranti: e ciò anche al fine

di assicurare il rispetto dei titoli di prefernza previsti dalla legge

177 Appunto s.n.del 28 settembre 1931. ACS,CO,b.838, f.500.019/I.

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154

(invalidi ed orfani di guerra e per la causa nazionale, benemerenze di

guerra,ecc.). Gli Enti interessati avevano per il passato mosso

doglianze in proposito al Governatorato;

b) di evitare, in quanto possibile, favoritismi che –a torto od a

ragione- sono stati lamentati quando il Governatorato ha avuto

occasione di assumere personale, sia pure provvisorio, per chiamata

diretta.

Va notato che, con la riforma d’organico in corso, tutto il personale

contrattuale a ferma temporanea verrà reclutato per concorso178”.

Le relazioni con i poteri dello stato, ed in particolare con il

Ministero delle Finanze, negli anni del mandato di Guido Jung179, si

fecero via via più faticose ed il principe, in molti casi, entrò nel merito

di questioni delicate con una sua idea ed un suo progetto. Le vicende

successive rivelano in filigrana, a partire da diverse problematiche

circoscritte, questo atteggiamento di disagio e, a volte, di rifiuto delle

decisioni statali, vissute come poco rispettose dei diritti e della dignità

dell’Amministrazione capitolina.

Boncompagni, nelle relazioni di accompagnamento dei bilanci

preventivi annuali inviati al Ministero delle Finanze, espresse più volte

il suo disappunto per l’esiguità delle risorse che il Governatorato

aveva a disposizione. Egli lasciò trapelare, altresì, un certo disagio

per i controlli e le richieste di chiarimento degli organi governativi sui

suoi programmi di spesa. Del resto anche dai verbali delle discussioni

della Consulta capitolina emerge la preoccupazione per la crisi

178 Appunto di Boncompagni a Mussolini del 29 settembre 1931. ACS,SPD,CO, b. 838, ibidem. 179 L’economista Guido Jung, palermitano, di origine ebreo-tedesca, era proveniente dal partito nazionalista siciliano. Fu nominato Ministro delle Finanze il 20 luglio 1932 dopo il Ministro Mosconi. La sua adesione al fascismo non risulta essere un caso isolato. Secondo l’interpretazione storiografica di De Felice, molti ebrei furono portati verso i partiti socialmente e politicamente più impegnati ed avanzati o che, almeno, apparivano tali, come ad esempio il partito nazionalista, la cui naturale confluenza fu nel nuovo partito fascista. Vedi sull’argomento R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino 2000, p. 23 e M.Sarfatti, Gli ebrei nell'Italia fascista, Einaudi,Torino 2000

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economica in atto. L’Agenzia delle Imposte applicò un aumento della

pressione fiscale che toccava troppo pesantemente gli interessi delle

imprese presenti nella città. Su questo si concordò una linea

“morbida” e in Consulta si raccomandò che “[…]per la tassa

sottosuolo si seguano criteri di moderazione”180.

Sul bilancio preventivo per il 1932 gli erano stati fatti dei rilievi

da parte del Ministero che considerava eccessive alcune richieste e,

per questo, il 29 novembre 1931 il Governatore scrisse una relazione

per il Sottosegretario di Stato per l’Interno, nella quale espose la

situazione preoccupante delle casse comunali private di alcune

entrate fisse. Per effetto della Riforma della Finanza Locale181, infatti,

il complesso delle risorse finanziarie capitoline veniva depauperato di

circa 10 milioni di lire annue. La legge sarebbe entrata in vigore l’1

gennaio 1932. Scrisse Boncompagni:“Al momento dell’abolizione dei

dazi di consumo, la Capitale era l’unica città d’Italia autorizzata a

riscuotere il dazio stesso su alcune voci (categoria IX) che davano un

provento anche superiore ai 10 milioni. A Roma, con la riforma della

Finanza locale, è venuto meno un provento che nessun’altra città ha

perduto e pel quale nessun compenso è stato predisposto182”

Inoltre, continuava il Governatore, alcune misure del governo,

come l’aumento del quinto dell’imposta sul valore locativo, erano da

considerarsi come improvvide, “data la elevatezza dei fitti di Roma”.

Di fronte alla preoccupante situazione finanziaria del Comune, il

principe, richiamando un colloquio con Mussolini che lo aveva

rassicurato su un eventuale aiuto economico del Governo, era

sinceramente meravigliato dell’atteggiamento del Ministro delle

180 Intervento del Consultore Rizzo nella Seduta del 20 dicembre 1930. ASC,Verbali della Consulta, seduta del 20 dicembre 1930. 181 Regio Decreto 14 settembre 1931 n.1175 182 ACS,MI, DGAC,Comuni, b.2363.

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Finanze, Jung, che sembrava non tenere in considerazione le analisi

del Governatore:

“Ora l’Amministrazione del Governatorato, che sa di avere

preparato un bilancio studiato onestamente fin nei minimi particolari

col criterio della massima parsimonia, dichiara:

1°) Che non vede la possibilità di compiere il miracolo di far uscire

dalle inesistenti pieghe del proprio bilancio (fra entrata e uscita) altri

17 milioni; e che pertanto il voler mettersi su questa strada non

costituirebbe che un artificio che sarebbe smentito in pieno dalla

realtà:

2°) Che, nonostante che i tagli di spesa proposti dalla Finanza

apparentemente non incidano in modo diretto sulle opere pubbliche e

di piano regolatore, essi – in effetti – si ripercuoteranno proprio su

queste[…]

3°) Che, nonché parlare di tagli nel Bilancio del Governatorato,

occorre prendere in considerazione nuovi oneri, delineatisi dopo la

formazione del bilancio stesso

4°) Che, pertanto, la questione va riportata sul suo terreno reale, che

è quello inizialmente, a moltissime riprese e con insistenza fatto

presente dal Governatorato. Occorre cioè reintegrare il Governatorato

dell’ammontare dei dazi sulla categoria IX° che, per effetto della

riforma della Finanza Locale, esso ha perduto senza compenso. E’

noto a V.E. che il presupposto per l’attuazione del piano regolatore

era il seguente: che ai 30 milioni di contributo statale (che si inizierà

con l’esercizio 1933-1934) il Governatorato potesse aggiungere, per

suo conto, almeno altri 20 milioni. Ora è certo che un impoverimento

di finanza di ben 10 milioni annui[… ]non potrà che incidere sugli

stanziamenti destinati a quelle opere di piano regolatore, per le quali,

con lungo e amorevole studio, il Governatorato aveva attrezzato la

propria finanza183”.

L’anno seguente Boncompagni tentò una riorganizzazione degli

uffici capitolini. In particolare, aveva previsto un incremento ed un

decentramento del personale addetto all’esazione delle imposte. La

183 ACS,MI, DGAC,Comuni, ibidem

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manovra aveva un costo, seppur contenuto che pesava nella

previsione del bilancio 1933.

Dopo le eccezioni sollevate dal Ministero delle Finanze si

sviluppò una fitta corrispondenza tra il Governatore e il Ministero

dell’Interno, che era stato sentito sulla questione. Boncompagni

scrisse:

“La maggiore spesa nel personale civile addetto al servizio

delle imposte di consumo deriva dall’applicazione della deliberazione

n°1562 del 12 marzo 1932, che si allega in copia, e dipende dal

nuovo ordinamento dato al Servizio stesso per ottenere un

notevolissimo incremento nel gettito dell’imposta. Infatti una buona

parte della maggiore entrata di 14 milioni prevista per tale imposta

nel bilancio 1933 rispetto al 1932 è affidata a questo nuovo

ordinamento.… Per tale motivo questa Amministrazione è costretta ad

insistere nel maggior stanziamento di spesa rilevato dal Ministero

delle Finanze, altrimenti bisognerebbe ridurre la previsione

dell’entrata relativa all’imposta di consumo, con un notevole risultato

passivo per il bilancio184”.

Nella relazione che accompagnava il bilancio Boncompagni fece

riferimento anche alle maggiori spese che ricadevano sulle finanze del

Governatorato “per gli oneri del servizio dei mutui contratti”. Si

rilevava che, a confronto con il 1932, i risultati complessivi

presentavano un peggioramento nel bilancio straordinario ed un

miglioramento per quello che riguardava l’ordinaria amministrazione.

La situazione del bilancio era sempre più grave. Nel 1932, con

l’entrata in vigore della Legge sulla Finanza Locale, si era decisa una

tassa per l’occupazione di suolo pubblico anche per le Aziende dei

pubblici servizi comunali e non. Boncompagni, pressato dalle

184 Lettera di Boncompagni al Ministero dell’Interno. ACS, MI, DGAC;Comuni, b.2364.

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necessità economiche del Comune e da uomo di legge qual’era, si

pronunciò per un’applicazione rigida della norma e questo

atteggiamento gli attirò il malcontento e le proteste delle Aziende che

gestivano i pubblici servizi.

Tra tutte le Aziende, la più contraria al pagamento della nuova

tassa, risultò la Società Telefonica Tirrena che presentò un esposto

contro il Governatore, dichiarando di non dover corrispondere la tassa

richiesta perché esonerata da norme precedenti che prevedevano per

le Aziende municipali il diritto di attraversare il territorio comunale

con i propri materiali185. Boncompagni reclamava la riscossione della

tassa e per questo presentò il quesito sulla legittimità della sua

richiesta alla Commissione Centrale per la Finanza Locale del

Ministero dell’Interno che si espresse con un parere favorevole alla

sua tesi186

Nel 1933 si aprirono diversi contenziosi conseguentemente

all’applicazione della norma sull’imposta di consumo per le Aziende.

Queste, colpite dalle nuove tasse comunali, ritenevano legittimo

ricorrere secondo i gradi di giudizio previsti dalla Legge. Molti ricorsi

indirizzati al Prefetto di Roma, pervenivano al Governatorato per

l’istruttoria: il Governatore era dell’opinione di non potersi

ammettere, in questo caso, l’ordinario ricorso gerarchico che

consentiva, in secondo grado, di appellarsi al Prefetto. La motivazione

addotta per l’inammissibilità del ricorso al Prefetto era che

l’Amministrazione capitolina non era subordinata a quest’ultimo. Il

Governatorato e la Prefettura, secondo la visione del Governatore che

invocava la legge istitutiva del Governatorato erano entrambi

dipendenti dal Ministero dell’Interno, ma senza un rapporto

185 Le norme giuridiche invocate dalla Società Telefonica erano gli articoli 4 e 5 del R.decreto 3 maggio 1903 n.196 per il quale si permetteva alle Aziende il passaggio o l’appoggio di fili telefonici sul suolo comunale senza oneri economici. 186 Il pronunciamento della Commissione avvenne il 18 maggio 1934. ACS,MI, DGAC,Comuni, b. 2660

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gerarchico. Boncompagni, sulla questione, chiese chiarificazioni al

Ministero delle Finanze ed al Ministero dell’Interno che furono, in un

certo senso, costrette ad affrontare la questione dopo i numerosi

solleciti del Governatore che scriveva al Ministero dell’Interno il 29

luglio 1933:

“Con lettera n.3137 del 27 marzo u.s. questa Amministrazione

sottoponeva a codesto On.le Ministero la questione relativa alla

competenza prefettizia in materia di ricorsi in grado d’appello

concernenti l’applicazione dell’Imposta di Consumo. Successivamente

in data 26 giugno p.p. veniva sollecitata una risposta in merito in

quanto continuavano –come continuano tuttora- a pervenire per

l’istruttoria numerosi ricorsi indirizzati a S.E. il Prefetto di Roma e si

riteneva pertanto necessario conoscere quale fosse in ordine alla

questione suddetta l’avviso di codesto On.le Ministero.

Non essendo fino ad ora stato dato alcun riscontro alle citate lettere

mi permetto di interessare nuovamente la cortesia di codesto On.le

Ministero perché ove nulla oppongasi voglia compiacersi di favorire

con la maggiore sollecitudine possibile le istruzioni richieste”187

La diatriba si dipanò durante tutto l’anno 1933, continuò nel

1934 e rivelò, seppure in modo cifrato e lieve, una diversa

valutazione nel gestire il rapporto autorità centrale-enti locali. Alla

fine, pronunciatosi a seguito del parere di una Commissione costituita

sulla questione in oggetto, il Ministero delle Finanze scelse una

posizione diplomatica ma sostanzialmente accentratrice affermando

che:

“Dopo ampia discussione, la Commissione, rileva che le disposizioni

vigenti si prestano all’accoglimento di una e di altra tesi. Tenuto

conto, però, che nel dubbio non conviene privare i contribuenti di un

grado di giurisdizione, la Commissione manifesta l’avviso che, fino a

187 ACS, MI, DGAC,Comuni, b. 2660

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quando non sarà provveduto diversamente al riguardo, debbasi

continuare a seguire il procedimento in atto188”

Il problema dei ricorsi, dunque, impegnò lungamente

Boncompagni che ne fece una questione di principio e che ne

considerò il valore istituzionale. Meraviglia la tenacia del Governatore

nel difendere la sua tesi e, probabilmente, attraverso queste

questioni rispetto ai grandi problemi che attraversavano la vita del

Paese, passava, anche senza troppa consapevolezza, l’esigenza di

affermare una seppur limitata autonomia rispetto all’invadenza del

regime nelle pieghe della vita politico-amministrativa.

La politica ferma del Governatore aprì altri fronti di dissenso a

partire dalla richiesta di riscossione di altri tributi, come l’obbligo di

versare al comune un contributo integrativo di manutenzione stradale

che Boncompagni estese ai commercianti e i pubblici esercenti di

Roma e che suscitò numerose polemiche e proteste da parte della

Confederazione Nazionale Fascista dei Commercianti189 o come la

tassa per l‘occupazione del sottosuolo stradale, delle gallerie

sotterranee e per la costruzione delle gallerie stesse. La tassa colpiva

le Ditte e le Società che eseguivano i lavori nel sottosuolo stradale e

che avrebbero dovuto pagare una quota fissa ad inizio lavori. Il

Ministero delle Finanze stabilì le tariffe da corrispondere, esonerando

dal versare il contributo le ditte che avevano lavorato nelle gallerie

costruite prima dell’ 1 gennaio 1932, in coerenza con l’entrata in

vigore del Testo Unico di Legge per la Finanza Locale. Il Governatore,

preso atto della disposizione governativa, dichiarò di non accettare la

limitazione temporale nell’applicazione della norma, che avrebbe

188 Lettera a Boncompagni s.n. e s.d. ACS,MI, DGAC,Comuni, ibidem 189 Minuta di lettera del Ministero dell’Interno-Direz.Generale Amministrazione Civile al Gabinetto di Mussolini. 23 novembre 1929. ACS, MI, DGAC,Comuni, b.2177.

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escluso la maggior parte delle gallerie romane. Egli affermava in una

nota indirizzata al Ministero delle Finanze il 20 luglio 1932:

“Fermo il principio dell’irretroattività della tassazione, non

sembra rispondere a criteri di equità il fatto che per una medesima

concessione, accordata in un medesimo tempo, si debbano seguire

due diversi criteri di applicazione, quando il contributo di costruzione

è un semplice parziale corrispettivo del diretto beneficio di cui l’utente

va a usufruire, beneficio che è identico sia per l’utente che immette il

cavo in una galleria costruita di recente sia che l’immissione avvenga

in gallerie costruite anteriormente. E ciò senza rilevare il grave danno

economico che deriverebbe al Governatorato per la limitazione sopra

cennata. Infatti mentre le gallerie costruite prima dell’entrata in

vigore della Legge hanno uno sviluppo complessivo di circa m.40.000,

i manufatti costruiti dopo il 1 gennaio 1932, o ancora in costruzione,

misurano m.3000 circa190”

Il conflitto evidenziava come, a fronte delle ingenti perdite nelle

entrate comunali per l’introduzione della Legge sulla Finanza, il

Governatorato intendeva incassare altri contributi nel modo più largo

possibile.

Fu anche il caso dell’applicazione dell’imposta sul valore locativo

che all’entrata in vigore prevedeva una riduzione del 12% sul valore

degli immobili

Nell’esporre la situazione finanziaria, nel bilancio preventivo per

il 1935, il Governatore entrava in una importante controversia che

era iniziata due anni prima tra il Governatorato, l’Amministrazione

Civile del Ministero dell’Interno, il Capo della Polizia ed il Ministero

delle Finanze; essa riguardava le spese che il Campidoglio avrebbe

dovuto corrispondere allo Stato riguardo agli agenti di Pubblica

Sicurezza che operavano nella capitale191. Boncompagni non riteneva

190 ACS, MI, DGAC,Comuni,b.2521 191 ACS,MI, DGAC, Comuni, ibidem

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di doversi assumere il contributo economico nella misura

comunicatagli dalle Finanze. Del resto, i costi dello stipendio e del

mantenimento degli agenti erano in progressivo aumento anche per

l’incremento delle unità di Polizia impegnate nella capitale.

Per l’anno 1932, il Ministero dell’Interno aveva disposto un

sconto della somma, limitando la quota a cinque milioni di lire e

Boncompagni non intendeva incrementarla. Del resto, era stato lo

stesso Mussolini a suggerire la riduzione della spesa per la Polizia

Metropolitana:

“S.E.il Capo del Governo…in un colloquio recentemente

concessomi ha dichiarato di ritenere che all’indicato fabbisogno di 18

milioni annui si possa provvedere nel modo seguente: a)riducendo a

cinque milioni annui il contributo per la Polizia metropolitana a carico

del Governatorato; b)aumentando di un centesimo e mezzo per

ettowatt-ora l’imposta sul consumo dell’energia elettrica; col quale

aumento potrà presumibilmente ottenersi un maggior gettito di otto

milioni di lire all’anno192”

Dal 1932 al 1935 si era dipanata una vicenda fatta di lunghe

trattative tra gli organi interessati. Nella relazione per il bilancio

preventivo del 1933, Boncompagni aveva deciso di attestarsi ancora

sulla quota dei cinque milioni perché non aveva avuto indicazioni

diverse dal Ministero dell’Interno, interpellato per chiarimenti sulla

questione. E’ evidente che il Governatore cercava in ogni modo di

ritagliare disponibilità finanziarie per il Comune di Roma, attanagliato

dalle necessità di spesa ordinarie e straordinarie.

Il Ministero delle Finanze sollecitò un versamento più

consistente e la questione si trascinò tra controversie e solleciti fino a

che si risolse nel novembre 1934 con un pronunciamento del

192 ACS,MI, DGAC,Comuni, b. 2363

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Ministero dell’Interno. Il Governatore, nelle sue lettere, lamentava

una gestione dell’affare troppo centralistica e, ripercorrendone la

storia, ricordava che di autorità il R.Decreto 15 marzo 1934 (con il

quale si approvava il bilancio per l’esercizio 1934) aveva aumentato il

contributo per la P.S. a carico del Governatorato giunto a 11 milioni di

1,5 milioni senza sentire l’Amministrazione Capitolina. Questo veniva

sentito come profondamente ingiusto da Boncompagni che

rivendicava una norma stabilita di concerto col Governatorato, che

determinasse in modo chiaro e costante il contributo. Egli

rivendicava la necessità di una concertazione fra gli organi

competenti che sapesse affrontare in modo concreto e realistico la

questione:

“Ciò è del resto in armonia col disposto dell’art.16 del R.D.L. 18

ottobre 1925 n.186, che istituì il Corpo Speciale di polizia per la

Capitale, ed anche coll’art.37 del R.D.L.28 ottobre 1925, n.1949, il

quale prescrive che con Decreto Reale, su proposta del Ministro per

l’Interno, di concerto con quello per le Finanze, sentito il Governatore,

saranno stabilite le norme per la ripartizione delle spese fra gli Enti

interessati193

Il Governatore interpellò sulla questione il Ministro dell’Interno,

ottenendone, però, una risposta negativa. Le lettere intercorse tra gli

organismi statali e capitolini lasciano trapelare una certa tensione nei

rapporti tra Governatorato e organi centrali. Il principe non intese

cedere ma il Governo riaffermò il suo potere.

Un altro importante impegno di spesa riguardò la preparazione

della ricorrenza dei dieci anni dalla Marcia su Roma.

Per il decennale Boncompagni fece nel ’31 un piano di opere da

realizzare che ammontava ad una spesa di 60 milioni di lire. Le opere

193 ACS, MI, DGAC,Comuni, b. 2521

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si riferivano alla sistemazione del Campidoglio e dei Fori Imperiali fino

al Colosseo. Per l’esecuzione dei lavori, il Governatorato decise

inizialmente di fare ricorso ad un mutuo di 45 milioni di lire e ad una

apertura di credito col Banco di Roma di 15 milioni. Si ingrandiva, di

conseguenza, l’indebitamento, già piuttosto consistente. Inoltre la

Cassa Depositi e Prestiti che erogava parte del mutuo chiedeva, a

garanzia, un vincolo sulla sovrimposta fondiaria che il Governatore

avrebbe dovuto applicare negli esercizi 1933-1937194. Oltre questo, il

2 luglio 1932, si deliberò l’accensione di un ulteriore mutuo di 35

milioni con il Monte de’ Paschi di Siena (che assorbiva l’apertura di

credito precedente) per completare il finanziamento delle opere del

Piano Regolatore da eseguirsi nel decennale della Marcia su Roma.

Buona parte del denaro ricevuto era destinato agli espropri inerenti la

definizione del tracciato della nuova arteria fra Piazza Venezia e il

Colosseo.195

Boncompagni si rese conto, ben presto, della difficoltà di far

fronte agli impegni presi. I contributi promessi dallo Stato

ritardavano, mentre le spese del Comune aumentavano. In una

lettera del 14 febbraio 1934 si fa riferimento ai ritardi di versamento

da parte del Ministero delle Finanze dei contributi per le opere da

realizzare e che servivano ad ammortizzare il debito. Boncompagni

lamentò il ritardo nell’erogazione delle somme e declinò ogni

responsabilità verso l’Istituto mutuante. Anzi, con lettera del 16

marzo 1934, indirizzata al Ministero dell’Interno,dopo aver ricevuto

dall’Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale la richiesta del

194 La consistenza complessiva dei debiti fece prudentemente dilazionare le rate di restituzione che vennero portate da cinque a dieci anni. ACS, MI, DGAC,Comuni, ibidem. 195 L’arteria prenderà inizialmente il nome di Via dell’Impero e poi, quello definitivo di Via dei Fori Imperiali. Governatorato di Roma, Verbali dei decreti e delle Deliberazioni del Governatore-Apertura di Credito con il Monte de’ Paschi di Siena per l’esecuzione di opere del Piano Regolatore, estratto n.4532 del 2 luglio 1932. ACS, MI, DGAC,Comuni, ibidem

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versamento degli interessi di mora, ribadì che “l’onere di tali interessi

è derivato esclusivamente dall’inosservanza, da parte dei competenti

organi statali dell’impegno assunto di pagare alla scadenza convenuta

direttamente all’Istituto anzidetto la prima annualità della quota di

contributo statale per l’attuazione del Piano Regolatore di Roma” 196.

La questione si risolse negativamente per il Governatore perché il

Ministero dell’Interno comunicò che, dopo aver sentito le Finanze, “i

rapporti tra la Finanza e l’Istituto mutuante devono intendersi limitati

al pagamento della quota di contributo ad esso Istituto anziché al

Governatorato. A carico di quest’ultimo restano senza possibilità di

rivalsa verso lo Stato, tutti gli altri obblighi contrattuali, compreso il

pagamento degli interessi di mora”197.

Nel medesimo anno il Governatore volle portare a chiarimento

una questione che si trascinava da mesi senza che il governo la

affrontasse direttamente e che riguardava la corresponsione della

paga al personale avventizio iscritto ai Fasci Giovanili di

Combattimento. Sembra di capire che il Governatore avvertiva di non

essere ormai sostenuto in modo pieno dai poteri centrali e non

voleva prestare il fianco a manovre di siluramento. Il Governatorato

aveva disposto che ai dipendenti assunti in qualità di avventizi

venissero corrisposti, ordinariamente, soltanto i due terzi dello

stipendio previsto, mentre il Ministero dell’Interno aveva richiesto che

il personale avventizio iscritto ai Fasci di Combattimento, fosse

retribuito con lo stipendio intero. Boncompagni non mancava di far

notare con lettera al Ministero dell’Interno del 2 maggio 1933 che

“Applicando la norma (corresponsione della retribuzione

ordinaria) indicata da codesto On.Ministero con la citata nota 9

196 Lettera di Boncompagni al Ministero dell’Interno. ACS, MI, DGAC,Comuni. ibidem. 197 ACS, MI, DGAC, Comuni, ibidem

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maggio 1932, in favore degli avventizi iscritti ai fasci giovanili di

combattimento si verificherebbe una ingiustificata disparità di

trattamento economico . Poiché a tutt’oggi non è pervenuta in

argomento alcuna comunicazione si interessa nuovamente la cortesia

di codesto On.Ministero affinché voglia compiacersi di dare in materia

le disposizioni che riterrà del caso, alle quali questa Amministrazione

non mancherà di uniformarsi198”

Boncompagni, evidentemente, sulla questione non intendeva

inimicarsi i sindacati che difendevano le altre categorie di lavoratori,

come i dipendenti dell’Industria e della Milizia Volontaria per la

Sicurezza Nazionale. Intendeva anche affermare una sua eticità dei

rapporti e della gestione amministrativa del Campidoglio,

distaccandosi dalla logica di regime che ne faceva solo una

valutazione politica e di opportunità. Egli sembrava, comunque,

contare sull’appoggio di Mussolini che teneva il Ministero dell’Interno

e che si fece carico presso le Finanze delle istanze del Governatore.

8. Fine dell’incarico

Da Governatore Boncompagni fu provato anche da vicende

familiari difficili che probabilmente pesarono sul suo agire di uomo

pubblico. Uno dei quattro figli, Gregorio, era oggetto di vigilanza da

parte di informatori del regime, perché considerato di dubbia

moralità, dedito al gioco e alle donne, in mano agli usurai199

Gregorio era presidente del Real Moto Club e si era

fidanzato,nel 1932, con una nipote del Senatore Agnelli a Torino, ma

198 ACS,MI, DGAC, Comuni, b.2373 199 Lettera di informatore anonimo alla Segreteria di Mussolini, 31 dicembre 1934.ACS,SPD,CR, b.81

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il fidanzamento era stato rotto per volontà del nonno della ragazza200.

Nel 1934 si susseguirono rapporti su di lui che veniva descritto come

debole di carattere:

“Nei circoli mondani e sportivi della capitale si raccolgono

notizie d apprezzamenti molto sfavorevoli sulla condotta del

Presidente del Real Moto Club, Principe Gregorio Boncompagni

Ludovisi[...]Molti ritengono che tutto ciò sbocchi quanto prima in un

clamoroso scandalo e si chiedono se le superiori gerarchie siano

edotte di questa situazione, osservando che il crollo finanziario e

morale del giovane principe comprometterebbe sia il prestigio

dell’importante organismo sportivo di cui è a capo, sia l’eminente

posizione politica del padre che è il Governatore di Roma201”

Per sistemare la vicenda Francesco elaborò una soluzione:

Gregorio si sarebbe dimesso dal Moto Club e, affidato alle cure del

senatore Trampolini, sarebbe andato a risiedere a Ferrara per

impratichirsi in materia di bonifica. Mussolini era d’accordo con la

soluzione anche perché desiderava mettere a tacere una questione

che iniziava ad essere ingombrante per il regime che aveva bisogno

di presentarsi come integerrimo nei suoi uomini e nelle sue attività.

Boncompagni, per l’aiuto ricevuto, avrebbe dimostrato la sua

gratitudine a Osvaldo Sebastiani, segretario particolare di Mussolini, il

21 giugno 1934:

“Caro Commendatore malgrado che le mie angosce di padre

siano oggi non inferiori a quelle di ieri , io voglio dirle[…]che non

potrò mai dimenticare la bontà d’animo che Ella mi mostrò in tutti

200 Lettera del Prefetto di Torino a Sebastiani, 15 gennaio 1932. Egli scriveva:”Il Senatore stesso [Agnelli] si è recato giorni fa dal Principe Boncompagni Ludovisi a restituirgli l’anello di fidanzamento donato dal giovane alla giovane e ciò, a causa delle informazioni e delle constatazioni fatte sul temperamento e sulle abitudini del fidanzato”. ACS, SPD,CR,ibidem. 201 Lettera di informatore alla Segreteria di Mussolini, 19 giugno 1934.ACS,SPD,CR, ibidem

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questi giorni. Grazie, grazie con tutto il cuore! In questi giorni –

certamente i più duri e i più disperati della mia vita- la sua bontà

d’animo ha rappresentato l’unica luce in tanto sconforto202”

Non si sa se queste ed altre controversie pesarono nella

decisione di sollevare Boncompagni Ludovisi dall’incarico di

Governatore. Più probabilmente, nonostante egli godesse della stima

di Mussolini, quest’ultimo era insoddisfatto delle resistenze citate di

Boncompagni e considerava ormai conclusa l’esperienza di

amministrazione del principe desiderando orientarsi verso una

gestione più “politica” del Governatorato, affidandolo ad un esponente

del governo di provata fiducia; si proponeva così di controllare

maggiormente il Campidoglio. Il successore di Boncompagni fu,

infatti, Giuseppe Bottai. Mussolini stesso comunicò la sua decisione al

Governatore con una lettera del 24 gennaio 1935:

“Caro Boncompagni, dopo tanti anni di attività intensa dedicata

all’Urbe io penso che non le sia eccessivamente penoso accettare il

normale cambio della guardia. Il Governatore Boncompagni resta

legato alle grandi trasformazioni di Roma. Guardando indietro io

credo che Ella ha il diritto di esser contento ed anche fiero, poiché

Roma ha cambiato il volto ed è tornata imperiale non soltanto nelle

linee delle sue strade.

Ella sarà nominato Ministro di Stato. Ciò è il pubblico riconoscimento

dei meriti che Ella si è acquistati nell’Amministrazione della

Capitale203”

201Lettera di Boncompagni a Sebastiani, 21 giugno 1934. ACS, SPD,CR, ibidem 203 ACS, SPD,CO, b.1209, f.509.667. La stampa cattolica diede notizia delle dimissioni del Governatore in modo assai stringato. “La Civiltà Cattolica” scriveva:” Con un altro decreto furono accettate le dimissioni da Governatore di Roma presentate dal Principe Boncompagni che è stato nominato Ministro di Stato, un riconoscimento delle benemerenze acquistatesi durante la sua amministrazione. A succedergli è stato incaricato l’on. Bottai”.”La Civiltà Cattolica”, 2 febbraio 1935, anno 86, 1935,vol.1, p.314.

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Lo stesso giorno Boncompagni rispose a Mussolini con parole

commosse, ringraziandolo per la nomina a Ministro e dicendosi

orgoglioso di “essere stato un fedele strumento nella grande opera di

ricostruzione di Roma che l’E.V. sta realizzando”204.

Dopo la sostituzione con Bottai, Boncompagni si dedicherà,

prevalentemente, all’attività agricola nella sua tenuta di Pescia

Romana, dove era consuetudine che la sua famiglia passasse una

parte dei mesi estivi, accumulando nel frattempo incarichi presso

varie Associazioni ed enti. Nel novembre 1935 fu nominato, per

volontà del Duce, Vicepresidente dell’Associazione Italica Gens,

federazione nata dall’Associazione Nazionale Per Soccorrere I

Missionari Italiani per l’aiuto ai migranti. Nel settembre 1937 divenne

Presidente dell’Ente per il cotone dell’Africa italiana205. Il 13 aprile

1938 salì alla Presidenza dell’Istituto Italiano di Credito Fondiario206.

Mantenne sempre buoni rapporti con Mussolini, ma col passare degli

anni essi si raffreddarono207. Il principe probabilmente aveva la

speranza segreta di essere richiamato ad incarichi più politici e meno

rappresentativi. In una lettera del 18 novembre 1935 aveva scritto a

Mussolini:

204 ACS, SPD,CO, b. 1209, ibidem. 205 Lettera di Boncompagni a Mussolini del 17 settembre 1937. ACS, SPD,CO, b.1209, ibidem. 206 Lettera di ringraziamento di Boncompagni a Mussolini del 13 aprile 1938. ACS, SPD,CO, b. 1209, ibidem. 207 Nel 1936 Boncompagni aveva chiesto udienza al Duce che gliela concesse per il 2 dicembre per poi rinviarla al 18 dello stesso mese. Boncompagni si dispiacque del rinvio e scrisse al Segretario particolare, Sebastiani: “Caro Commendatore, ricevetti iersera il Suo telegramma. Avevo chiesto udienza un mese fa non per chiedere favori ma perché avevo ritenuto mio dovere di mettere al corrente S.E. il Duce di un fatto occorsomi. Ma ormai che tanto è passato, quanto avrei voluto esporre ha perduto per S.E. il Capo ogni interesse e quindi rinuncio all’udienza perché mi sembra più opportuno di non disturbarlo”.

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“Duce, dal giorno che lasciai il Governatorato io dedicai

interamente la mia attività alle mie bonifiche208. E non appena si

delineò la minaccia dell’assedio economico, mi adoperai, sforzando ed

adattando ai più urgenti nostri bisogni la produzione delle mie

aziende, a che queste contribuissero il più efficacemente possibile al

successo della lotta. Visti i risultati già ottenuti ho tratto il

convincimento che in tal modo l’opera mia sia per riuscire non inutile

al Paese. Data però la gravità del momento, sento il dovere di fare

presente all’Eccellenza Vostra che, qualora V.E. credesse più utile

l’opera mia in altro campo, io sono sempre pronto a servire in

qualsiasi posto, anche soprattutto in quelli considerati dalla massa

come i più umili: perché qualsiasi posto è bello quando in esso si può

servire Vostra Eccellenza e l’Italia209”

Mussolini, però, non intendeva chiamarlo per ulteriori incarichi

di governo e in un appunto autografo sulla lettera citata scrisse: “Dire

a Boncompagni che ho letto con molto interesse. Se darà grande

sviluppo all’agricoltura sarà molto utile tutto ciò””210

Il principe sperava, altresì, che la sua fedeltà al regime gli

avrebbe permesso di ottenere soddisfazione per le richieste che gli

stavano a cuore o comunque di poter ricevere un trattamento di

particolare attenzione da parte del capo del governo ma non fu

sempre così. Quando ad esempio rivolse al Duce la richiesta di

208 Per questa attività Boncompagni lavorò in concessione dallo stato.Era previsto, infatti, che i proprietari potessero bonificare a loro spese zone agricole individuate dallo Stato e che poi avessero un rimborso dallo stato, rateizzato in trenta anni. Alcuni documenti testimoniano che il Principe avesse eseguito lavori nella zona del bacino di Burano in sinistra del Chiarone (Grosseto) e che con atti notarili successivi vendesse le rate del rimborso statale a diversi enti. Il primo atto di vendita risale al 15 febbraio 1934 e fu stipulato tra Boncompagni e l’Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale il cui Presidente era Giuseppe Bottai. L’Istituto aveva deliberato di acquistare da Boncompagni le annualità di contributo statale. Altre compravendite, sempre per lavori di bonifica eseguiti nel Bacino del Burano, furono stipulati tra Boncompagni e l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni (14 gennaio 1935), l’Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale (20 luglio 1935), ,l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni (31 gennaio 1936).ACS,Min.Agricoltura e Foreste, Cessioni crediti verso lo stato, b. 20, f.81 209 ACS,SPD,CO,b.1209, f.509.667 210 ACS,SPD,CO, ibidem

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ottenere il permesso di importazione per due macchine trebbiatrici

dagli Stati Uniti per risolvere il calo della mano d’opera, ottenne una

risposta negativa. Mussolini sulla base di un esposto presentato da

alcuni contadini fece mettere l’attività agricola del Principe sotto

sorveglianza211 . Alcuni mesi più tardi, però, inviò un telegramma a

Boncompagni felicitandosi per il suo lavoro di bonifica nell’Agro

Romano212 a Maccarese.

La stima che pure Mussolini aveva verso il principe non impedì

al capo del governo di procedere a verifiche frequenti dell’ operato di

Boncompagni.

Negli anni seguenti la corrispondenza tra il principe e Mussolini

continuò, anche se in modo rarefatto, come testimoniano alcune

lettere dei primi anni Quaranta nelle quali Boncompagni alterna

richieste ad espressioni di cortesia. L’ultima in ordine cronologico

risale al 1943 ed in essa si vede un Boncompagni dedito alla cura

delle sue tenute e desideroso di restare in disparte. Egli scrive:

“Duce, quando fui ricevuto da Voi mi accoglieste in maniera

molto affettuosa dicendomi che mi rimproverate di non farmi mai

vedere; al che risposi che non avrei potuto prendere io l’iniziativa di

venire a disturbare e che, nel caso, sarebbe stato a Voi di

chiamarmi[…]Soprattutto in questo momento non potrei accettare

alcun incarico. Preferisco continuare nella mia opera modesta di

211 Avviò, nel 1937, un’indagine sulla tenuta di Procoio Vecchio a 25 Km. da Roma, vicino Riano. I contadini lamentavano che la tenuta era pressoché incolta e pertanto richiedevano che fosse ceduta a mezzadria alle famiglie coloniche più bisognose, L’indagine per ordine del Ministro per l’Agricoltura e le Foreste, Rossoni, venne eseguita da un Ispettore Agrario Compartimentale del Lazio che nel maggio 1937 stilò un rapporto sullo stato della proprietà sostanzialmente positivo. Lettera di Rossoni al Segretario Particolare di Mussolini, Osvaldo Sebastiani, 10 maggio 1937 con annesso rapporto. ACS, SPD, CO, b. 1209, ibidem 212 “Ho letto con grande interesse relazione su Azienda Maccarese e su risultati primo anno della necessaria opera di risanamento. Approvo pienamente i criteri seguiti, specialmente per quanto riguarda la sistemazione a mezzadria dell’azienda. Desidero elogiarvi ed associo nell’elogio il vostro immediato collaboratore, dott.Ronchi”. Telegramma di Mussolini a Boncompagni che era presidente dell’azienda Maccarese, 22 maggio 1938. ACS, SPD, CO, b. 1209, ibidem.

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bonificatore ove credo di poter servire più utilmente il nostro paese in

guerra” 213

Dopo la liberazione di Roma, Boncompagni fu deferito all’Alta

Corte di Giustizia per le Sanzioni contro il fascismo. Boncompagni

fece un’accorata autodifesa della sua condotta durante il regime ma il

30 ottobre 1944 fu emessa l’ordinanza di decadenza da senatore e la

revoca fu eseguita con un’altra ordinanza del 24 luglio 1946. La

difesa si compose di molte testimonianze e di una memoria difensiva

nella quale Boncompagni ripercorse la sua azione politica durante il

regime e mise in rilievo il basso profilo della sua azione che definì

quella di un buon amministratore della città di Roma. Egli si attribuì la

paternità delle opere più importanti realizzate nella città di Roma: via

dell’Impero, via dei Trionfi, Via del Mare, Circo Massimo e Mole

Adriana e, nel contempo, sostenne di essere riuscito a realizzare il

pareggio di bilancio.

Poté contare, come è già stato detto, sulla testimonianza di

padre Tacchi Venturi, che aveva sollecitato più volte. Testimoniò a

suo favore anche il Segretario Generale, Mario Rizzo, che lo aveva

affiancato negli anni della gestione capitolina. Il Segretario,

giustificando la subalternità di Boncompagni, parlò chiaramente delle

gravi difficoltà finanziarie nelle quali versava il Governatorato “il cui

bilancio aveva subito poco rassicuranti sbandamenti che la prudente

amministrazione, per superarli, non vedeva altra via che quella di

conseguire un notevole aumento dell’annuo contributo da parte dello

Stato, cosa, invece, sulla quale non era da farsi alcun

assegnamento”214

213 Lettera di Boncompagni a Mussolini, 29 giugno 1943. ACS, SPD.,CO, b. 1209, ibidem. 214 ACS, Alta Corte di Giustizia per le sanzioni contro il fascismo, b.6

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Altre importanti testimonianze di aiuto gli vennero dal Generale

Guido Accame215, dall’agente rurale Giuseppe Faraoni e dal

Comandante americano, Donovan, Brigadiere generale e dei Servizi

Strategici che testimoniarono del coraggio del Principe che aveva dato

loro rifugio nelle sua Tenuta di Pescia Romana.

215 Accame dichiarò all’Alta Corte di Giustizia

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Conclusioni

A conclusione di questo lavoro si è raggiunta una

definizione più chiara di quello che è stato il Governatorato di Roma1,

base per ulteriori approfondimenti. La ricerca ci ha permesso di

evidenziare come il Governatorato sia stato una realtà debole: debole

di fronte al potere del Governo centrale e la sua volontà politica.

La ricostruzione biografica dei primi tre governatori, la loro

azione politico-amministrativa ed anche le ragioni della loro scelta e

del loro licenziamento, ci hanno permesso di acquisire elementi

chiarificatori su quel periodo di consolidamento del regime fascista

che corrisponde al primo decennio del Governatorato. Furono anni di

ricerca e rafforzamento di consenso da parte di Mussolini che, con la

scelta dei Governatori alla guida della città di Roma, se da un lato

volle stabilire alleanze precise con i "poteri forti" dell’epoca (essi

infatti erano legati agli ambienti economici ed ecclesiastici di cui

Mussolini voleva l'appoggio), dall’altro volle trasmettere all’opinione

pubblica un’ immagine non aggressiva della sua azione politica,

rassicurandola con il suo porsi in continuità con il passato. Il primo

Governatore, Filippo Cremonesi, ad esempio, era uomo già

ampiamente conosciuto, con una fitta rete di rapporti sia negli

ambienti vaticani che imprenditoriali della città e, cosa assai

importante, conosceva bene l’amministrazione capitolina ed i suoi

meccanismi essendo stato, negli anni, funzionario prima, poi

assessore, quindi sindaco e commissario regio di Roma.

1 Sulle vicende amministrative della città tra gli altri: M.Caravale, Le leggi speciali per Roma dell’Ottocento in M.De Niccolò (a cura di ), L’amministrazione comunale di Roma, Bologna 1996; A.Caracciolo, Roma capitale. Dal risorgimento alla crisi dello Stato liberale, Roma 1956; Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Comitato di Roma, Roma nell’età giolittiana. L’amministrazione Nathan, Roma 1986; G.Talamo, G.Bonetta, Roma nel Novecento.op.cit..

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I Governatori-Principi furono scelti in continuità con la

tradizione storica, spesso utilizzata nel periodo liberale. Infatti dal

1870 si erano avvicendati come sindaci di Roma esponenti di

importanti famiglie nobili, quali, tra gli altri, Filippo Doria Pamphili,

Emanuele Ruspoli, Leopoldo Torlonia, Onorato Caetani, Prospero

Colonna.2 Continuità dunque con la tradizione di porre a capo della

città personalità importanti per censo e fama.

Mussolini concepiva gli anni di avvio del Governatorato come

una fase tranquilla, di gestione burocratica della città. Sarà diverso

dopo il gennaio del ‘35 quando egli, con il precisarsi della sua politica

espansionistica e della forma autoritaria del suo Governo, vide la

necessità di assicurare a Roma una gestione più “politica” e mise alla

guida del Campidoglio, Giuseppe Bottai.

Nella scelta dei primi Governatori che provenivano tutti dal

Partito nazionalista Mussolini, di certo, tenne anche conto del ruolo

significativo del nazionalismo romano assai radicato nella città di

Roma.

Mussolini, inoltre, seppe individuare in ognuno di essi quelle

risorse fatte di relazioni e competenze di cui il regime aveva

bisogno.

Dall’approfondimento delle vicende e delle personalità di

Cremonesi, Potenziani e Boncompagni è emerso come essi volevano

una città moderna, centro di affari e di investimenti, snodo di rapporti

commerciali. La loro visione della città era sorretta dalla speranza che

finalmente Roma con Mussolini avrebbe potuto liberarsi

definitivamente dai mali cronici che la avevano afflitta fin dal passato.

In misura diversa, presero coscienza via via di non poter esercitare

2 Doria Pamphili fu sindaco dal dicembre 1870 al marzo 1871; Emanuele Ruspoli dal novembre 1877 al luglio 1880; Leopoldo Torlonia dal maggio 1882 al dicembre 1887; Onorato Caetani dal dicembre 1990 al novembre 1992; Prospero Colonna dal dicembre 1999 all’ottobre 1904 e poi dal luglio 1914 al giugno 1919.

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un effettivo governo. I Governatori, la cui idea di Roma coincise, per

larga parte, con quella mussoliniana (anche se non si esaurì nella

cultura del regime) si resero conto che per poterla realizzare

occorrevano investimenti e aiuti da parte dello Stato. Potevano

contare, al contrario, su poche risorse economiche e su una scarsa

autonomia decisionale. Divenne loro chiaro il ruolo del tutto

marginale del Governatorato e, nonostante tutti i tentativi di trovare

accordi o di difendere i programmi di gestione, incontrarono assai

spesso il rifiuto delle Autorità ministeriali e, in qualche caso, una

decisa opposizione (che Mussolini avallò).

La vicenda dei Governatori, in un certo senso, esprime bene la

realtà complessa di quegli anni, anni di una crisi economica

gravissima, anni di conflitti interni al regime fascista avviato

speditamente verso la forma autoritaria della dittatura, anni di

ricomposizione della questione romana con il Vaticano.

Il loro licenziamento, motivato ufficialmente da cause diverse,

venne deciso quando essi manifestarono la volontà di difendere gli

interessi della città di Roma dalle ragioni superiori del governo. La

loro rimozione, forse, fu accelerata dal profilarsi di qualche scandalo

che li riguardava, fosse personale o familiare. Nell’ottica moralista del

Regime, sempre alla ricerca del consenso, c’era la necessità di avere

sempre ai posti di comando uomini sui quali non si potesse dire nulla

di negativo.

I risultati ottenuti con questo studio potranno essere la base di

ulteriori ricerche che coprano gli anni successivi del Governatorato. Di

certo, anche nel periodo seguente a quello trattato, il problema della

città non si risolse. Le difficoltà evidenziate nel passato rimasero

senza soluzione e si aggraveranno negli anni successivi alla guerra.

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A.Caracciolo, I sindaci di Roma, Roma 1993 L’A. ricostruisce alla vigilia delle elezioni comunali di Roma del 1993, la serie storica dei sindaci, a partire dal 1870. Il loro avvicendarsi riassume le contraddizioni dei poteri di una città, gravata dal peso delle proprie funzioni simboliche e di rappresentanza. Interessante la lettura che l’A. dà delle elezioni del sindaco, nel corso della storia della città post-unitaria: il fattore determinante appare sempre la personalità del candidato e la sua collocazione sociale e familiare.

F.Buttarelli, Il principe Ludovico Spada Veralli Potenziani Alemanni, Rieti 1995

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VIII

Il libro traccia la storia della famiglia del Principe-Governatore e di Villa Potenziani a Rieti. Scritto con l’ intento di celebrare la figura di Ludovico espone la tesi che il principe non fu mai una “eminenza grigia” di Mussolini pur rappresentando, tuttavia, un costante punto di riferimento per le decisioni politiche del Duce. Il libro riveste motivo di interesse per le notizie biografiche sul secondo Governatore di Roma.

M.De Nicolò (a cura di), L’amministrazione comunale di Roma., Bologna 1996 La ricerca promossa dalla cattedra di Storia del Diritto Italiano dell’Università “La Sapienza” di Roma e dall’IRSIFAR offre i punti di riferimento essenziali per una storia dell’amministrazione comunale di Roma, proponendo lavori di ricostruzione ed indagine di fonti legislative, documentarie ed a stampa. Assai utile per le informazioni che fornisce, considera il Governatorato come un’ emanazione diretta e uno strumento servile del Ministero dell’Interno.

A.Di Nicola, Da Rieti a Chicago, la biografia di un realizzatore, Ludovico Spada Potenziani, Rieti 2002 Il volume è stato realizzato, per iniziativa del Comune di Rieti, dal giornalista Di Nicola che ha voluto ricordare, a trent’anni dalla scomparsa, il principe Spada Potenziani. E’ assai utile la ricostruzione storica della sua vita e del suo impegno politico per la città di Rieti e per la valle reatina, neoprovincia d’Italia in quegli anni. P. Salvatori, Il Governatorato di Roma. L’amministrazione della capitale durante il fascismo, Milano 2006 Qui vengono ricostruite le vicende amministrative della città durante il fascismo ed analizzati l’organizzazione capitolina ed i rapporti di potere tra la capitale e lo stato. Esaminando i diversi Governatori ed i problemi che questi incontrarono nella costruzione della città moderna. L’A. mette in risalto la debolezza del Governatorato sotto le dirette dipendenze del capo di governo e lo sviluppo caotico della Roma fascista che il potere municipale non riesce a controllare.

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IX

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X

F.Cremonesi, Filippo Cremonesi sindaco, Commissario regio, Governatore di Roma nei suoi manifesti ai cittadini romani: 1922-1926, Roma 1927 D.Delli Santi, L’opera del governo fascista per Roma, in “Capitolium”, 1927-28, pp.637-656 Brevi appunti sull’attività svolta dal Governatorato nel 1927. Memoriale di S.E. il Principe Ludovico Spada Potenziani Governatore di Roma, in “Capitolium”, 1927-28, pp.533-571 L.Spada Potenziani, Ventidue mesi Governatore di Roma. Novembre 1926-settembre 1928, Roma 1928. G.Escalar, Assistenza sanitaria del Governatorato nell'Agro Romano, in "Capitolium",1929, pp. 463-479 L’Azienda Gas della Società Romana del Gas: passato, presente e avvenire, Roma 1930 R.Vuoli, Il Governatorato di Roma e le sue recenti modifiche, in Studi di diritto pubblico in onore di O.Ranelletti, Padova 1930

A.Avallone, Sull’organizzazione amministrativa della città di Roma, in Atti del 2 Congresso Nazionale di Studi Romani, vol.II, Roma, 1931, pp.734-747. C.Camoglio, L’Azienda elettrica del Governatorato nel decennale della Marcia su Roma, Roma 1932 Istituto Centrale di Statistica del Regno d’Italia, 7° Censimento generale della popolazione: 21 aprile 1931, Roma 1933-36 Governatorato di Roma, Bilancio di previsione dell’entrata e della spesa per l’esercizio finanziario 1933, Roma 1932 B.Biagi, Roma di Mussolini in “Politica Sociale”fasc.XI, marzo 1933

A.Bianchi, Le vicende e le realizzazioni del piano regolatore di Roma capitale, Roma 1934

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XI

Consorzio Laziale Produttori S.A., Il latte nell’Agro Romano.La Centrale del latte di Roma, Milano 1934 F.Cremonesi, Il castello di Orvinio, Roma 1935. A.Muñoz, Roma di Mussolini, Milano 1935 Roma, in Enciclopedia Italiana Treccani, XXIX, pp.589-928, Milano 1936 AA.VV. Roma,onde Cristo è romano, Roma 1937 G.Bardet, La Rome de Mussolini, Parigi 1937 M.Piacentini, A. Spaccarelli, Dal Ponte Elio a San Pietro, in ‘Capitolium’, 1937, pp.5-26 E.Bodrero, Roma e il fascismo, Roma 1939

Z.Boeche, Il problema finanziario del Governatorato, in Atti del 2° Congresso Nazionale di Studi Romani,cit pp. 600-607. L.Bortone, Mito e storia di Roma durante il fascismo, in “Palatino”, a.XI, n.4, pp.407-408. G.Bottai, Roma e fascismo, in “Roma, n.10, pag.350. G.Bottai, Roma nella scuola italiana, in Quaderni di Studi Romani, VI, Roma 1939 G.Bottai, La funzione di Roma nella vita culturale e scientifica della nazione, Ibidem, VII, Roma 1940 G.Bottai, Diario 1935-1944, a cura di Giordano Bruno Guerri, Milano 1982 M.Piacentini,., Memoria sugli studi e sui lavori per l’accesso a S.Pietro, Roma 1944 Uffici Propaganda, Brevi cenni sulla organizzazione e sulle attività del Governatorato di Roma, Roma, s.d.

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XII

M.Piacentini, Le vicende edilizie di Roma dal 1870 ad oggi, Roma 1952 M.Piacentini,., La sistemazione dei Borghi per l’accesso a San Pietro, in ‘Architettura, Rivista del Sindacato Nazionale Fascista Architetti’, fascicolo speciale, Urbanistica della Roma Mussoliniana, 1936, pp.21-53 M.Piacentini,., La Roma di Mussolini, Roma R.Ricci, Baracche e sbaraccamenti, in “Capitolium”,1930, pp.142-149

Periodici

"Capitolium" (1925-1935) "Critica fascista" (1924-1935) "Giustizia Amministrativa" (1990) "Il Corriere della Sera" (1922) "Il Messaggero" (1925-1935) "Il Popolo d’Italia" (1926, 1928, 1935) "La Civiltà Cattolica" ( 1925-1935)" "La Nuova Antologia" (1919-1935) "L’Osservatore Romano" (1926, 1928, 1929,1931,1935) "Guida Monaci" (1918-1925) "Rinascita" (1950) "Roma" (1926, 1928) "Roma moderna e contemporanea" (1999, 2000,2004,2006)

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XIII

Fonti inedite

ACS =Archivio Centrale dello Stato

MI, DGAC =Ministero dell’Interno,Direzione Generale Amministrazione Civile

MI, DGPS =Ministero dell'Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza

MI, Affari di Culto MAF, Dir.Gen.Bon.Int. =Ministero dell'Agricoltura e delle

Foreste, Direzione Generale Bonifica Integrale

MAF,DGMF = Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste, Direzione Generale Miglioramenti Fondiari

PCM =Presidenza del Consiglio dei Ministri

SPD,CO =Segreteria particolare del Duce, Carteggio Ordinario

SPD,CR =Segreteria particolare del Duce, Carteggio Riservato

Carte Cremonesi Carte Testa Carte Volpi Autografi del Duce Alta Corte Giustizia Sanzioni contro il fascismo

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XIV

Archivio di Stato di Roma Prefettura di Roma ASC =Archivio Storico Capitolino, Roma Deliberaz. Governatori Consulta di Roma,-Verbali ASV =Archivio Segreto Vaticano Segreteria di Stato Archivio Nunziatura Apostolica Archivio Boncompagni Ludovisi Carte Pio XI ARSJ =Archivio Compagnia di Gesù,

Roma Fondo Tacchi-Venturi ASMAE =Archivio Storico Ministero Affari

Esteri Affari Politici Gabinetto del Ministro Archivio Grandi Carte Suvich Archivio Storico Vicariato di Roma Archivio Fondazione Gentile Archivio Storico del Senato,

Senatori dell’Italia Fascista.