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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO DIPARTIMENTO DI SCIENZE AGRARIE, FORESTALI E ALIMENTARI Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Alimentari Tesi di Laurea Il polline: tecniche di produzione e aspetti qualitativi Candidato: Samuele Colotta (Matr. 731131) Relatore: Prof. Marco Porporato Correlatore: Prof.ssa Paola Dolci Anno Accademico 2014/2015

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO

DIPARTIMENTO DI SCIENZE AGRARIE,

FORESTALI E ALIMENTARI

Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Alimentari

Tesi di Laurea

Il polline: tecniche di produzione e aspetti qualitativi

Candidato: Samuele Colotta (Matr. 731131)

Relatore: Prof. Marco Porporato

Correlatore: Prof.ssa Paola Dolci

Anno Accademico 2014/2015

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RINGRAZIAMENTI L’interesse che ho scoperto di avere verso il mondo delle api mi ha spinto a realizzare un lavoro che

avesse questo insetto come protagonista.

L’opportunità concreta di effettuare la tesi sul polline è nata grazie al tirocinio effettuato presso

Aspromiele, l’Associazione dei Produttori di miele del Piemonte. Intendo ringraziare Ermanno che, con

grande attenzione e professionalità, in pochissimo tempo mi ha permesso di entrare in contatto con

una realtà per me nuovissima, quella dell’apicoltura, e mi ha dato la possibilità di svolgere questo

studio. Ringrazio la Ditta North West Technology di Boves, in particolare Paolo Cerato, per la sua

disponibilità a seguire questo lavoro mettendo a disposizione la cella di essiccatura nella fase relativa

al processo di deumidificazione a freddo, con tutti gli accorgimenti messi in atto appositamente per

questo progetto. Ringrazio, inoltre, la Cooperativa Albifrutta di Costigliole Saluzzo per aver offerto

l’assistenza e il supporto logistico ospitando le operazioni di deumidificazione a freddo.

Copia dedicata alla Ditta North West Technology

“Una colonia d’api è senza dubbio il modo più meraviglioso che la natura

possiede di organizzare la materia e l’energia nello spazio e nel tempo”

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INDICE

1. INTRODUZIONE....................................................................................................................................1

1.1 IL POLLINE…………………………………………………………………………………………………………………………….……....1

1.2 IL GRANULO POLLINICO: CARATTERISTICHE E ASPETTO……………………..............…….3

1.3 L’IMPORTANZA DEL POLLINE PER LE API……………………………………………………………….………6

1.4 LA RACCOLTA DEL POLLINE DA PARTE DELLE API…………………………….……………….……….8

1.5 IL RUOLO DELLE API NELL’IMPOLLINAZIONE……………………………………………………….……12

2. SCOPO DELLA TESI………………………………………………………………………………………………………………………16

3. FASI DI PRODUZIONE DEL POLLINE……………………………………………………………….………..……..17

3.1 POSIZIONAMENTO DELLE TRAPPOLE………………………………………………….…..………….……….17

3.1.1 LE TRAPPOLE……………………………………………………………………………………………….………………………18

3.2 RACCOLTA…………………………………………………………………………………………………………………….…….………27

3.3 TRASPORTO IN AZIENDA…………………………………………………………………………….………………….……30

3.4 PULITURA GROSSOLANA…………………………………………………………………………………….………………31

3.5 CONGELAMENTO……………………………………………………………………………………..…………………………….32

3.6 DEUMIDIFICAZIONE………………………………………………………………………………………………………………33

3.7 PULITURA……………………………………………………………………………………………………….…………………………..36

3.8 CONFEZIONAMENTO E VENDITA………………………………………………………….………………………..37

4. PRINCIPALI SORGENTI BOTANICHE POLLINIFERE………………………….…………………….40

5. CARATTERISTICHE E COMPOSIZIONE………………………………………….………………….……………44

5.1 COMPOSIZIONE NUTRIZIONALE………………………………………………….……………………….…………44

5.1.1 ACQUA…………………………………………………………………………………………………………………………………..44

5.1.2 CARBOIDRATI……………………………………………………………………………………………….……….……………46

5.1.3 PROTEINE E AMMINOACIDI……………………..…………………………………….………….………………….49

5.1.4 LIPIDI………………………………………………….………………………………………………………………..…………………51

5.1.5 VITAMINE E CAROTENOIDI………………………………………………………..………………………………….53

5.1.6 FLAVONOIDI………………………………………………………………………………………..……….……………………..54

5.1.7 SALI MINERALI……………………….…………………………………………………………………………………………..55

5.1.8 FIBRA………………………………………..……………………………………………………………….…………………………..56

5.1.9 CONTENUTO CALORICO……………………..………………………………….………………………………………56

5.2 COLORE………………………………………………………………………………………………………………………………..……...58

5.3 pH……………………………………………………………………………………………………………………………………………………60

5.4 ASPETTO MICROBIOLOGICO…………………………………………………………………………………………..…60

6. CONTAMINANTI NEL POLLINE…………………………………………………………………………………………..64

6.1 INFESTANTI E IMPURITA’…………………………………………………………………………………………………….64

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6.2 METALLI PESANTI ED ELEMENTI RADIOATTIVI…………………………………………….………….64

6.3 PESTICIDI……………………………………………………………………………………………………………………………………..67

6.4 PRESIDI MEDICO CHIRURGICI………………………………………………………………………………….……….71

6.5 POLLINE OGM……………………………………………………………………………………………………………………………72

7. PROPRIETA’ FUNZIONALI E NUTRACEUTICHE………………………………………………………..73

7.1 DIGESTIONE E ASSIMILAZIONE…………………………………………………………………………………….….80

8. L’INFLUENZA DEI TRATTAMENTI SULLA COMPOSIZIONE…………………….………..83

9. ALCUNI DATI PRODUTTIVI E DI MERCATO……………………………………………………….……….87

10. LEGISLAZIONE…………………………………………………………………………………………………………………..………..89

11. MATERIALI E METODI……………………………………………………………………………………………..…………….91

11.1 DEUMIDIFICAZIONE A FREDDO………………………………………………………………………….…………92

11.2 ESSICCAZIONE IN FORNO…………………………………………………………………………………………………95

11.3 UMIDITA’ RELATIVA…………………………………………………………………………………………………….………96

11.4 ANALISI NUTRIZIONALE…………………………………………………………………………………………..………..97

11.5 ANALISI MICROBIOLOGICHE…………………………………………………………………………………….…….97

11.6 IDENTIFICAZIONE DI MICRORGANISMI ISOLATI DAL POLLINE……………….…….99

11.6.1 ESTRAZIONE DEL DNA………………………………………………………………………………………….……….99

11.6.2 PCR (Polymerase Chain Reaction)………………………………………………………………..………..100

11.6.3 DGGE (Denaturant Gradient Gel Electrophoresis)……………………………….…………..101

11.6.4 FASI PREPARATORIE PER IL SEQUENZIAMENTO DEL DNA………………..…………..102

12. RISULTATI…………………………………………………………………………………………………………………………………..103

12.1 UMIDITA’ RELATIVA…………………………………………………………………………………………………………103

12.2 ANALISI NUTRIZIONALE………………………………………………………………………………………….………104

12.3 ANALISI MICROBIOLOGICHE………………………………………………………………………………..………108

12.4 IDENTIFICAZIONE DEI MICRORGANISMI ISOLATI…………………………………..…………112

13. CONCLUSIONI………………………………………………………………………………………………………………..………..114

14. BIBLIOGRAFIA………………………………………………………………………………………………………………….………119

15. SITOGRAFIA……………………………………………………………………………………………………………………..……….124

16. ICONOGRAFIA………………………………………………………………………………………………………………….……..125

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1. INTRODUZIONE

1.1 IL POLLINE

Nell’antico Egitto il polline era definito come “la polvere che dà la vita” e il termine polline deriva dal

latino “pollen – inis” che significa “fior di farina”.

Il polline è la cellula riproduttiva maschile delle piante gimnosperme e angiosperme ed è oggetto della

Palinologia (dal greco pàlinos, che significa polvere fine), che è la scienza che studia il polline e le spore.

Banalmente, il polline è una particella a contenuto proteico tramite cui le piante provvedono alla

propria riproduzione.

I granuli pollinici sono particelle microscopiche che hanno il compito di proteggere i gameti maschili

che saranno traportati all’organo femminile del fiore, detto stigma, per la fecondazione.

Il polline si sviluppa nelle antere dei fiori delle piante angiosperme, da cellule progenitrici dette sacche

polliniche; in ogni sacca si ha la formazione di un tessuto sporigeno formato da cellule madri delle

microspore, diploidi, che per meiosi producono ciascuna 4 cellule aploidi, ossia i granuli pollinici.

Nelle gimnosperme, il polline si sviluppa a livello dei microsporofilli nei microconi.

Le piante angiosperme e gimnosperme possono essere monoiche (da "mono" e "oikos" che in greco

vuol dire "casa"), dette anche ermafrodite, oppure possono essere dioiche (“due case”).

Nel primo caso i fiori dei due sessi si trovano sullo stesso individuo (fiore monoclino) oppure il fiore è

dotato sia di organi femminili che maschili (fiore diclino); nel secondo caso, ciascun individuo porta

esclusivamente fiori maschili o femminili (fiori monoclini), perciò i gameti maschili e femminili sono

prodotti da piante diverse.

La parte femminile del fiore è detta gineceo ed è costituita da uno o più pistilli ed un ovaio contenente

gli ovuli (Figura 1). Il pistillo è suddiviso in stigma e stilo. Con il termine carpello si intende una foglia

modificata che porta uno o più ovuli ed è il sito vero e proprio in cui avviene la fecondazione.

L’androceo, cioè la parte maschile del fiore, è costituito dagli stami, a loro volta formati da un filamento

e da un’antera che, come detto precedentemente, genera il polline (Figura 1). Solitamente, le antere

contengono quattro sacche polliniche, unite in due coppie (Milito, 2013).

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Figura 1 – Morfologia del fiore ermafrodita (www.funghiitaliani.it/botanica/morfologia4_fiore.html).

Una volta giunto a maturazione il granulo pollinico si disidrata, le cellule madri delle microspore

contenute nelle antere si aprono e liberano il polline in atmosfera (Guarino, 2013).

Quando il polline raggiunge lo stigma del fiore (o la goccia micropilare degli ovuli nel caso delle

gimnosperme), emette un tubetto pollinico che attraversa lo stilo e rilascia i gameti maschili aploidi

nell’ovaio, che si uniranno a quelli femminili prodotti dagli ovuli (fecondazione) con successivo sviluppo

dell’embrione (Figura 2).

Figura 2 – Granuli pollinici trasportati sullo stigma del fiore (www.sciunisannio.it).

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Le caratteristiche del fiore sono legate anche al tipo di impollinazione, entomofila o anemofila.

Nei fiori entomofili (o entomogami), gli insetti trasportano il granulo pollinico dalle antere agli stami;

il fiore ha quindi un particolare sviluppo a livello della corolla con forme, odore, colori ed altre strutture

tali da attirare l’attenzione degli insetti impollinatori. In questi fiori è ricorrente la presenza di nettàrii,

strutture posizionate in diverse pari del fiore stesso in cui si raccoglie il nettare. Quando si trovano su

organi vegetativi della pianta (ad esempio le foglie) sono definiti nettàrii extraflorali.

I fiori anemofili (o anemogami) sfruttano invece il vento come vettore del polline. Gli accorgimenti che

si sono evoluti nei fiori entomofili per attirare gli insetti non sono più necessari (i fiori sono meno vistosi

e meno profumati) e il polline è molto più abbondante e assai più leggero ed aerodinamico per

aumentare le possibilità di impollinazione.

La presenza del polline nel corso dell’anno dipende dalla specie che lo produce, dal clima locale e dalle

condizioni meteorologiche (temperatura, precipitazioni, vento, insolazione).

La sua liberazione dalle antere disidratate e in deiscenza prende il nome di antesi.

La diminuzione della umidità relativa dell’aria è uno dei fattori che determina il rilascio dei granuli

pollinici maturi, determinando la rottura della parete delle antere.

Le condizioni ideali per la liberazione del polline sono quindi costituite da giornate soleggiate, una

temperatura tra i 25 e 30 °C e un’umidità relativa dell’aria intorno al 60-70% (Ariano, 2015).

1.2 IL GRANULO POLLINICO: CARATTERISTICHE E ASPETTO

Il granulo pollinico è costituito da uno strato esterno di rivestimento che racchiude il citoplasma, da

cui trae origine il tubulo pollinico durante il processo di fecondazione (Figura 3). Il citoplasma è

racchiuso in un doppio involucro costituito da una parete interna, detta intina, di natura

pectocellulosica e da una parete esterna di sporopollenina (composta da acidi grassi, fenoli

e carotenoidi), detta esina. L´esina e l´intina costituiscono, insieme, lo sporoderma.

L’intina è simile in struttura e composizione a quella primaria di una cellula vegetale; ha un andamento

più o meno regolare ed uno spessore che varia da specie a specie. Trattiene l’exina, detta anche “pollen

kit”, costituita da carotene, polifenoli, fitosteroli, flavonoidi e vitamine liposolubili antiossidanti.

L’esina è suddivisa in due strati: uno esterno, la sexina ed uno interno a contatto con l’intina, detto

nexina (Ariano, 2015; Scala, 2007).

La sexina a sua volta è costituita da uno strato basale e da un tectum; quest’ultimo poggia sullo strato

basale mediante strutture simili a pilastri dette, columella o bacula (Figura 3).

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Possiamo affermare che l’esina è anche la parete che caratterizza morfologicamente il granulo di

polline, in quanto la sexina presenta interruzioni e sculture superficiali specifici, utili perciò ai fini del

riconoscimento delle varie specie al microscopio. Si individuano tre tipologie di superficie del granulo

pollinico: tectato, semitectato e intectato. I rilievi possono assumere diversa forma: granulata,

reticolare, striata, verrucata, gemmata, psilata, ecc. (www.arpa.emr.it).

Lo spessore dell’esina non sempre cresce all’aumentare del volume del polline (Roulston et al., 2000).

Esso cresce però all’aumentare del diametro.

Figura 3 – Morfologia del granulo di polline (a sinistra) e particolare delle pareti che lo rivestono (a destra)

(www.arpa.emr.it).

La sporopollenina dell’esina è una sostanza biologica molto resistente dotata di caratteristiche

chimiche che conferiscono al granulo pollinico una elevata resistenza alle alte temperature,

all’evaporazione e agli ambienti acidi e basici, permettendo quindi a molti pollini di mantenersi integri

anche a migliaia di anni dalla loro formazione.

Ogni granulo pollinico presenta una propria forma e dimensione (Figura 4).

Il rapporto tra asse polare ed asse equatoriale varia da meno di 0,5 a oltre 2, andando ad individuare

diverse classi di forma dei pollini:

perprolati, prolati, subprolati: l’asse polare è maggiore di quello equatoriale;

sferoidali: l’asse polare è uguale a quello equatoriale;

suboblati, oblati e peroblati: l’asse polare è minore di quello equatoriale (Ariano, 2015; Guarino, 2013; www.arpa.emr.it).

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Figura 4 – Granuli pollinici di forme e dimensioni diverse visti al microscopio elettronico a scansione

(https://it.wikipedia.org/wiki/Polline).

Dal punto di vista dimensionale i granuli pollinici possono assumere dimensioni comprese tra meno di

10 e oltre 200 micron, e sono rappresentati in classi dimensionali (Tabella 1).

Tabella 1 – Classi dimensionali e relative dimensioni del polline (www.arpa.emr.it).

Classi dimensionali Diametro maggiore (µm)

Molto piccolo < 10

Piccolo 10 - 20

Medio – piccolo 20 – 30

Medio 30 – 40

Medio - grande 40 – 50

Grande 50 – 100

Molto grande > 100

La superficie del granulo pollinico è caratterizzata da aperture attraverso cui, durante la germinazione,

il tubetto pollinico fuoriesce. Le aperture sono determinate dalla mancanza o dall´assottigliamento

dell´esina e dall´ispessimento dell´intina; esse permettono al polline di cambiare dimensioni e aspetto

in seguito a variazioni del contenuto idrico.

Le aperture possono essere semplici (se costitute da una sola apertura) o composte (ottenute dalla

confluenza di più aperture).

Si distinguono, per conformazione, due diverse tipologie di aperture semplici: i pori e i colpi. I primi

hanno forma circolare o ovale, con bordi arrotondati, mentre i secondi hanno forma allungata

(Guarino, 2013).

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Quando il granulo non presenta aperture visibili, viene definito atremo (dal greco “a - trema” cioè

senza apertura) (Ariano, 2015; Guarino, 2013). Ogni specie ha il numero di aperture, la forma e la loro

posizione propri e costanti.

1.3 L’IMPORTANZA DEL POLLINE PER LE API

Le api, attraverso il cibo, devono assumere i nutrienti essenziali alla loro vita e il polline, al pari del

nettare, riveste un ruolo fondamentale nella nutrizione.

Le api raccolgono il polline perché è essenzialmente fonte di proteine e questo motiva il suo impiego

nell’alimentazione delle larve e delle api nutrici. Contribuisce al completamento dello sviluppo

corporeo dell’ape ed è essenziale per lo sviluppo e la funzionalità di organi come il corpo adiposo, le

ovaie e le ghiandole ipofaringee; queste ultime svolgono la funzione di secernere la gelatina reale,

ossia il nutrimento della regina nel corso della sua vita e delle larve durante i primi tre giorni di vita.

Per le api sono essenziali dieci degli amminoacidi: arginina, istidina, lisina, triptofano, fenilalanina,

metionina, treonina, leucina, isoleucina, valina. Non sono perciò prodotti dall’animale, ma devono

essere assunti dal cibo.

Le api operaie iniziano a nutrirsi con rilevanti quantità di polline tra le 42 e le 52 ore dall’emergenza.

Il contenuto di polline è massimo nell’alimentazione di api operaie tra l’ottavo e il nono giorno di vita

per poi decrescere fino a livelli molto bassi in individui che hanno raggiunto il ventesimo giorno (Keller

et al., 2005).

Le api bottinatrici mostrano preferenza per determinati tipi di polline, ma nessuno studio sperimentale

è stato in grado di evidenziare se questa sia motivata dal maggiore contenuto di amminoacidi

essenziali, quindi un maggiore valore nutrizionale; potrebbe essere invece dovuta all’aspetto

qualitativo del polline oppure ad altri fattori quali, per esempio, segnali olfattivi o visivi provenienti da

esso. In base ai risultati di uno studio condotto sul polline di diverse origini botaniche, si è constatato

che le api raccoglievano pollini con diverso contenuto proteico e non solo quelli particolarmente ricchi

in proteine (Andrada et al., 2005). E’ possibile che le api non siano in grado di valutare il valore

nutrizionale del polline perché non lo consumano direttamente, ma lo trasportano all’alveare nelle

loro cestelle (Keller et al., 2005). Quindi è plausibile che la colonia regoli la quantità di polline raccolto

piuttosto che la sua qualità, al fine di garantire scorte idonee per la sua sopravvivenza. Tuttavia, il

valore biologico di ciascun polline è molto importante perché si riflette sullo stato fisiologico e sulla

longevità delle api.

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Le api raramente raccolgono polline rigorosamente uniflorale: probabilmente la colonia necessita di

un regime dietetico abbastanza vario al fine di raggiungere l’equilibrio nutrizionale.

Alcune malattie dell’alveare potrebbero dipendere proprio dall’assenza nella dieta di qualche

elemento fondamentale. Inoltre, pollini che allo stato uniflorale sono tossici per le api diventano

innocui se mescolati ad altri.

Le api ed ancor più gli altri apoidei preferiscono raccogliere polline di piante entomofile, viscoso a

causa della presenza di grassi sulla superficie dei granuli pollinici; le api domestiche non disdegnano

pollini anemofili, talora raccolti in vistosi quantitativi (Quercus, Zea, ecc.) ma più spesso come raccolti

occasionali o di ripiego (Ricciardelli D’Albore e Intoppa, 2000). I pollini di alcune piante anemofile

possono essere addirittura nocivi.

L'attività di raccolta è influenzata sia dalla presenza di sorgenti di pollini sia dalle condizioni climatiche.

Tra i fattori interni dell’alveare, quello che costituisce lo stimolo fondamentale per la raccolta è la

presenza di covata disopercolata: colonie con covata più consistente raccolgono più polline rispetto ad

altre con covata meno estesa; colonie orfane che hanno esaurito la covata cessano completamente la

raccolta, riprendendola prontamente qualora vengano immessi nell’arnia telaini con covata

disopercolata (Ricciardelli D’Albore e Intoppa, 2000).

Nel corso dell’anno, la curva ponderale di raccolta del polline segue dunque l’andamento della

deposizione della regina che, alle nostre latitudini, è più intenso in primavera, portando la famiglia al

massimo accrescimento, rallenta in estate, giungendo addirittura a sospendersi e riprende, entro certi

limiti, in autunno. La covata allevata nei mesi di settembre ed ottobre dà origine alle api destinate a

trascorrere l’inverno per condurre la colonia alla primavera successiva.

Le api, nel caso in cui si verifichi un’abbondanza di specie botaniche particolarmente pollinifere,

raccolgono quantitativi di scorte maggiori del loro reale fabbisogno. Questo fenomeno, in gran parte

dovuto all’istinto di ammassare scorte utili in periodi di carestia, determina un maggiore sviluppo della

covata e quindi un aumento del numero di api nella colonia.

Una colonia di medie dimensioni raccoglie circa 30 kg di polline l’anno (Tautz, 2009).

Si stima che nelle regioni del Centro Europa, dove le famiglie producono tra le 100.000 e le 200.000

api all’anno, ogni famiglia necessita annualmente dai 17 ai 34 kg di polline (Keller et al., 2005).

Viene stimato che, durante lo stadio larvale, un’ape consuma circa 25 milligrammi di gelatina reale;

considerando una produzione annuale di 200.000 api per colonia, la gelatina reale consumata

nell’anno è pari a cinque litri (Tautz, 2009).

Secondo keller et al. (2005), mediante apposite conversioni partendo dalla pappa reale di cui si nutre,

una larva di operaia consuma tra i 68 e i 73 mg di polline. Un’ape operaia consuma invece,

mediamente, tra i 3,4 e i 4,3 mg di polline al giorno (gli stessi autori riportano un’altra stima pari a 3,1

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mg di polline al giorno) e nella sua intera vita richiede tra i 160 e i 180 mg di polline con un contenuto

medio di azoto del 20%.

Dentro l’alveare, il polline viene conservato compresso nelle cellette in prossimità della covata,

ricoperto da un leggero strato di miele per evitare il contatto con l’aria impedendone l’ammuffimento

(Pistoia, 2010) (Figura 5).

I favi che fiancheggiano la covata possono essere anche totalmente occupati dal polline, stoccato in

modo stabile, a differenza dei favi in cui il polline circonda la covata al fine dell’alimentazione

giornaliera.

Figura 5 – Cellette con polline che circondano covata opercolata e con larve più giovani (Foto Colotta).

1.4 LA RACCOLTA DEL POLLINE DA PARTE DELLE API

La raccolta del polline è affidata alle api bottinatrici specializzate e si svolge attraverso fasi distinte che

determinano la formazione di pallottole costituite da polline agglomerato con nettare o miele.

Un’ape operaia diventa bottinatrice di nettare e polline dopo aver trascorso 21 giorni all’interno

dell’alveare eseguendo diverse mansioni.

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Il numero di api impiegato come bottinatrici è molto variabile, ed è suddiviso in diversi gruppi di

raccoglitrici di nettare e polline. In realtà, esistono soltanto pochissime bottinatrici (al massimo il 15%)

che trasportano allo stesso tempo nettare e polline (Tautz, 2009).

La maggior parte delle bottinatrici raccoglie, quindi, esclusivamente nettare oppure polline.

In generale le api, una volta scelto di visitare la fioritura di una determinata specie botanica,

continuano a bottinarla finché il polline di questa non è esaurito, o finché non compaiono altre specie

maggiormente appetite. Le pallottole delle api sono formate pertanto da polline quasi sempre

omogeneo. Le farfalle, invece, a differenza delle api, visitano in sequenza fiori di diverse specie, per cui

il polline di una specie può essere trasportato per molto tempo e più lontano (Figura 6) (Pacini, 2010).

0,1

Figura 6 – Sequenze di visita dei fiori dell’ape e della farfalla (Pacini, 2010).

.

Per prima cosa l’ape opera la raccolta del polline dal fiore, con modalità diverse a seconda della forma

del fiore stesso. Ad esempio, nel caso di piante anemofile, l’ape si arrampica lungo le infiorescenze e

si attacca alle antere tramite l’apparato boccale, “mordendole” per provocare la fuoriuscita del polline.

Questo andrà perciò ad aderire al capo, all’apparato boccale, ai peli delle zampe, ecc.

In altri casi, l’ape compie dei movimenti in avanti e indietro, attirando verso di sé le antere e

imbrattandosi completamente di polline.

Successivamente l’ape abbandona il fiore e, stazionando in volo sopra di questo, esegue una complessa

serie di movimenti per la formazione delle pallottole di polline.

Il tutto avviene a livello dalle zampe posteriori, morfologicamente specializzate alla raccolta e al

trasporto del polline, attraverso un sistema di setole e peli.

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L’ape, mediante le spazzole del tarso delle zampe anteriori, raccoglie il polline aderente al capo e

all’apparato boccale: questo polline, in parte già precedentemente umettato, viene continuamente

impastato con il nettare raccolto sul fiore stesso e con secrezioni salivarie contenenti enzimi, come

amilasi e catalasi, oppure con del miele rigurgitato dalla borsa melaria (riempita dall’ape prima di

iniziare il volo). La pallottola di polline viene in questo modo agglomerata e necessita a questo scopo

oltre il 10% di nettare.

Le zampe medie, nuovamente tramite le spazzole tarsali, raccolgono il polline presente sul torace e lo

mescolano a quello umido ricevuto dalle zampe anteriori. Infine, le zampe posteriori raccolgono il

polline presente sull’addome e lo uniscono a quello umido proveniente dalle zampe medie.

Il bordo inferiore della tibia delle zampe posteriori è detto pettine o rastrello, mentre il margine

superiore del basitarso è detto auricola.

Mediante un movimento di sfregamento delle zampe posteriori, il polline viene ora distaccato dalla

spazzola tarsale di una zampa con il pettine della zampa opposta. Lo sfregamento della spazzola contro

il pettine può avvenire mentre l’ape è a riposo, ma spesso anche durante il volo verso un altro fiore

della stesa specie fornitrice di polline (Frilli et al., 2001). Tale pettine è costituito da setole rigide che

passano tra le file di peli della spazzola raccogliendo il polline sotto forma di una piccola massa

compatta che cade poi sull’ auricola sottostante. Infine l’ape flette il basitarso attraverso un

movimento a pendolo che lo porta contro la tibia. Questo movimento comprime e spinge il polline,

che si trova sull’auricola, nel punto più basso della cestella. Quest’ultima si trova sulla superficie

esterna della tibia ed è munita, ai suoi margini, di peli ricurvi che trattengono il polline, il quale è inoltre

sostenuto da un pelo situato nella parte centrale della cestella, di lunghezza maggiore di quelli presenti

sul margine (Figura 7).

Man mano che viene aggiunto polline, mediante i movimenti descritti che sono ripetuti in rapida

successione, le pallottole crescono in dimensione fino ad un certo limite, raggiunto nel momento in cui

la cestella è totalmente coperta. A questo punto l’ape fa rientro all’alveare.

Mediamente, il peso di una pallottola contenuta nella cestella è pari a 7,5 mg: un’ape rientra quindi

nell’alveare con circa 15 mg di polline (Tautz, 2009).

Per raccogliere una pallottola di polline, l’ape deve visitare circa 200 fiori diversi; ogni bottinatrice

compie, approssimativamente, dieci viaggi al giorno per la raccolta del polline (Bogdanov, 2012).

Nell’alveare, la bottinatrice si libera delle pallottole staccandole tramite le zampe medie, mentre le

giovani api provvedono a stiparle nelle celle (utilizzando spesso il capo) dopo averle ulteriormente

umettate di miele.

Nel polline stoccato si avvia una fermentazione lattica che ne cambia la composizione chimica

trasformandolo nel così detto “pane d’api”.

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Figura 7 – Fasi e modalità di accumulo del polline nelle cestelle (in alto) con dettagli dello sfregamento e

della spinta del polline nella cestella (in basso) (Frilli et al., 2001).

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1.5 IL RUOLO DELLE API NELL’IMPOLLINAZIONE

Molti insetti sono i protagonisti dell’impollinazione (imenotteri, coleotteri, farfalle, mosche, ecc.), ma

le api mellifere sono gli insetti impollinatori più importanti sul pianeta. L’80% delle angiosperme viene

impollinato dagli insetti e pochi fiori dipendono unicamente da una specie di insetto.

Gli apoidei possono sia essere fedeli ad una sola specie vegetale, sia ad uno o più generi di una stessa

famiglia oppure bottinano fiori di famiglie botaniche diverse. Attualmente è di largo impiego l’uso di

distinguere i pronubi in largamente in strettamente oligolettici, quando visitano poche specie di un

solo genere botanico, largamente oligolettici, se visitano più specie di generi di una sola famiglia, e in

polilettici, se bottinano su svariate piante di famiglie diverse (l’ape domestica è insetto polilettico per

eccellenza) (Ricciardelli D’Albore e Intoppa, 2000). Complessivamente, tra i pronubi prevale la

polilessia; in Europa, a conferma di ciò, le specie oligolettiche rappresentano soltanto il 10% di tutte le

specie.

La fedeltà di un insetto ad una pianta è indice di specializzazione del rapporto tra questo e la pianta,

ma è anche un limite alla sua sopravvivenza, nel caso in cui la specie vegetale manchi o la concorrenza

di altri insetti sia forte. Al contrario, una specie polilettica sia adatta molto più facilmente alla flora,

con minor probabilità di vedere la sua sopravvivenza a rischio.

Ben 170mila specie di angiosperme sono impollinate dalle api; 40mila di esse, senza le api stesse,

avrebbero vita difficile. Addirittura il 90% degli alberi da frutto dipende dalle api mellifere (Tautz,

2009). Una colonia di api può visitare quotidianamente milioni di fiori di diverse varietà; una singola

ape può addirittura visitare 3.000 fiori in un solo giorno. Api e piante angiosperme hanno “siglato

un’alleanza” che permette di ottenere alle prime il nutrimento, essenzialmente proteico, e alle

seconde la riproduzione (Figura 8).

I fiori, non più costretti a fare affidamento al vento, bensì alle api a agli altri insetti impollinatori, hanno

ridotto quantitativamente la produzione di polline; le api, di conseguenza, hanno sviluppato strutture

e tecniche adeguate alla raccolta di questo prezioso prodotto.

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Figura 8 – Un’ape in visita al fiore per la raccolta del polline

(http://tana.francibb.it/wp-content/uploads/2014/05/ape.jpg).

Le api, legate strettamente ai fiori in questo scambio reciproco, non lasciano molto spazio agli altri

insetti impollinatori. Possiamo quindi parlare di una vera e propria concorrenza per

l’approvvigionamento del cibo sottolineando, in particolar modo, quella tra gli apoidei.

Sotto tale aspetto, negli apoidei grande importanza rivestono la mole, la quantità di peli corporei e la

lunghezza della ligula: mentre i piccoli apoidei si approvvigionano di cibo solo su fiori con corolla molto

corta, gli apoidei di grande taglia sono capaci, in virtù del loro peso, di forzare meccanicamente

l’apertura di un fiore (Ricciardelli D’Albore e Intoppa, 2000). I pronubi con ligula lunga non visitano

quindi fiori con corolla corta e viceversa. La velocità e l’abilità di un insetto a visitare più fiori in un

determinato periodo di tempo è un’altra caratteristica per essere concorrenziali, così come la

possibilità di volare per distanze più o meno brevi, oltre le quali eventuali fioriture non sono accessibili.

Una colonia di api è teoricamente in grado di coprire un’area fino a 400 km quadrati attorno al proprio

nido, se teniamo conto in questa stima della distanza massima che un’ape, che abbia fatto il pieno di

energia nell’arnia, può raggiunger in volo, cioè 10 km in linea d’aria (Tautz, 2009). Le api intraprendono

voli che comportano lunghe distanze solo se necessario, cioè se hanno estremo bisogno di nettare;

infatti il dispendio energetico per raggiungere la fonte di raccolta potrebbe diventare pari all’energia

stessa da raccogliere.

Si può calcolare che nella maggior parte dei voli, le bottinatrici percorrano, volando, una distanza

dall’alveare tra i due e i quattro km.

Un altro significativo fattore concorrenziale tra i pronubi è la temperatura a cui questi iniziano la

bottinatura.

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Le api riescono a levarsi in volo quando la temperatura esterna raggiunge circa i 12°C. I bombi, che

sono in grado di volare a circa 7°C, possono approfittare di questa opportunità per visitare gli stessi

ambiti fiori in maniera del tutto indisturbata (Tautz, 2009). Altri pronubi invece (Lasioglossum,

Andrena, ecc.) entrano in attività solo a temperature superiori a 15°C (Ricciardelli D’Albore e Intoppa,

2000).

A volte sono le piante angiosperme stesse, dipendenti dall’impollinazione entomofila e anch’esse in

concorrenza tra loro, a selezionare gli insetti impollinatori: il contenuto di polline e la temperatura del

nettare possono diventare importanti criteri di qualità specifici di ogni pianta. I bombi e le api, per

esempio preferiscono i fiori a nettare a temperatura più calda, sfruttato sia come fonte di carboidrati

che di calore diretto.

L’impollinazione incrociata da parte di api e altri pronubi, che determina la fecondazione e la

conseguente formazione del frutto, può essere sfruttata dall’uomo nell’attività agricola. Gli agricoltori

possono infatti chiedere agli apicoltori la presenza delle api nei frutteti al fine di avere miglioramenti

quantitativi e qualitativi (come la pezzatura dei frutti) nella produzione frutticola (Figura 9). La legge

313/2004 “Disciplina dell’apicoltura” riconosce, infatti, l’apicoltura anche come attività finalizzata a

garantire l’impollinazione naturale.

Il servizio di impollinazione che le api assicurano globalmente alle sole coltivazioni di interesse

alimentare è pari a ben 153 miliardi di Euro l’anno e a 3.000 dollari per ettaro. Se ci riferiamo all’Europa,

il valore annuale è pari a 14,2 miliardi di Euro e per quanto riguarda l’Italia il valore dell’impollinazione

è stato calcolato in 1.500 milioni di Euro l’anno.

Fattori sia naturali che antropici possono determinare la riduzione degli apoidei. Il più rilevante dei due

è, sempre più frequentemente, l’uomo: prendendo in considerazione gli ultimi trent’anni circa il 10%

degli apoidei si è estinto e circa il 50% di essi si trova in situazioni di difficoltà (Ricciardelli D’Albore e

Intoppa, 2000).

Secondo recenti studi finanziati dalla Commissione Europea, il 9,2% delle api europee in natura è

minacciato di estinzione, mentre il 5,2% lo saranno probabilmente in un prossimo futuro.

Un‘agricoltura intensiva, basata sull’utilizzo di fitofarmaci e varietà geneticamente uniformi è la

principale minaccia e causa della loro scomparsa; si aggiungono i cambiamenti climatici, con ondate di

calore o alluvioni, la cementificazione e la frequenza degli incendi che portato alla distruzione degli

habitat delle api.

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aaa

Figura 9 – Alveari nei pressi di un frutteto a scopo di impollinazione

(www.girovagandointrentino.it/wp-content/uploads/2014/05/api_meleti).

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2. SCOPO DELLA TESI La tesi è stata sviluppata per rispondere all’esigenza dei produttori di polline di offrire un prodotto di

qualità, in conseguenza di una forte richiesta del mercato per questo prodotto, considerato un

integratore alimentare benefico per la salute, alla quale ne è conseguito un forte incremento della

produzione da parte degli apicoltori; si tende quindi a sostituire gradualmente il prodotto

tradizionalmente raccolto ed essiccato, che risulta meno attrattivo verso il consumatore, con un

prodotto che non abbia subito un processo tale da diminuirne le proprietà nutrizionali e

organolettiche.

Con questo lavoro sono state valutate le differenze qualitative tra il polline deumidificato mediante

temperature basse (prossime a quella dell’alveare) e quello essiccato con metodo tradizionale.

Analisi chimiche e microbiologiche su entrambe le tipologie di polline sono state svolte a questo scopo.

I risultati di questo lavoro sono finalizzati a fornire informazioni inerenti la qualità del prodotto finale,

utili sia ai produttori che ai consumatori finali.

Una maggiore conoscenza dell’aspetto qualitativo, in particolare nutrizionale, del polline è utile agli

apicoltori, ai consumatori, ma anche all’ambiente medico.

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3. FASI DI PRODUZIONE DEL POLLINE

La produzione di polline da parte degli apicoltori è in forte aumento negli ultimi anni, stimolata da una

notevole richiesta da parte dei consumatori. Questo prodotto si sta rilevando una nuova e ulteriore

fonte di reddito per il settore, con buoni ritorni economici.

Attualmente, una buona parte del polline che si trova sul nostro mercato è di importazione e proviene

soprattutto dalla Spagna, principale produttore europeo.

Le due principali ragioni a causa delle quali la raccolta del polline è poco diffusa nel nostro Paese sono

la scarsa conoscenza delle tecniche di raccolta e di condizionamento da parte degli apicoltori e la loro

paura di sottrarre il polline alle api, con il timore di danneggiarle e di ridurre la produzione di miele.

In questo capitolo verranno elencate e descritte le varie fasi di produzione e lavorazione di questo

prodotto; sarà dedicata attenzione sia ai metodi e alle tecnologie comunemente usati, sia alle buone

pratiche di lavorazione che dovrebbero essere seguite dagli apicoltori per garantire un prodotto di

qualità anche dal punto di vista igienico-sanitario. Essendo attività di produzione primaria, l’apicoltura

non è infatti soggetta all’obbligo di applicare il sistema HACCP (Hazard Analysis and Critical Control

Point).

3.1 POSIZIONAMENTO DELLE TRAPPOLE

La scelta della postazione e il momento in cui inserire le trappole sono condizioni di estrema

importanza al fine di determinare una raccolta di polline di qualità e in quantità abbondante.

Una valida strategia può essere quella di utilizzare postazioni su fioriture abbondanti e prolungate di

tipo monofloreale, in modo tale da avere la certezza di una raccolta di polline omogeneo (ad esempio

polline di castagno). Eventualmente, in base alle esigenze del consumatore, i pollini monofloreali

raccolti possono essere mescolati e venduti come polline di millefiori.

Tuttavia è consigliabile prediligere luoghi con un presenza di eterogeneità floreale che possa garantire

il nutrimento, in particolare dal punto di vista proteico (presenza degli amminoacidi essenziali), per la

sopravvivenza delle colonie.

Il momento più adatto per iniziare la raccolta è la primavera, quando le fioriture sono abbondanti e

l’importazione di polline da parte delle bottinatrici diventa cospicua.

Nell’Italia settentrionale la raccolta inizia normalmente dopo la fioritura del tarassaco per far sì che il

polline raccolto fino a questa fioritura sia interamente utilizzato dalla colonia per il proprio nutrimento.

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Successivamente si verificano le fioriture dell’erica, nei boschi delle zone collinari, e poi del castagno.

In tarda estate, una fioritura significativa è il rovo e in seguito, a settembre, l’edera.

All’interno di un apiario, le trappole devono essere inserite nello stesso momento e ad ogni alveare al

fine di non provocare squilibri che avvantaggino le colonie a cui non viene sottratto polline, come

fenomeni di deriva delle api verso queste.

Nelle famiglie forti e produttive la trappola si lascia ininterrottamente per tutta la durata della fioritura.

Durante le fioriture di piante molto produttive dal punto di vista pollinico, come il castagno, la trappola

è inserita simultaneamente al melario e le colonie sono in grado di produrre contemporaneamente

polline e miele. La raccolta dell’uno non influisce, infatti, sulla raccolta dell’altro prodotto dell’alveare

(www.apascampania.com, 2015).

Il nomadismo permette di inseguire le fioriture più importanti, sia dal punto di vista della qualità che

della quantità di polline prodotto. Con il nomadismo è possibile produrre più polline, anche

monofloreale come quello di castagno.

Nella produzione del polline occorre effettuare un’analisi delle fonti di pericolo presenti sul territorio

nel quale si trovano gli alveari, al fine di adottare le opportune azioni preventive (Tabella 2).

Tabella 2 – Analisi delle fonti di pericolo per la produzione di polline e azioni preventive (Brajon et al., 2014).

Natura del pericolo Pericolo Origine Azioni preventive

Chimico Pesticidi

Aree di agricoltura intensiva

(es. vigneto)

Non raccogliere polline in prossimità (1,5 Km) di

aziende agricole intensive

Chimico Residui di metalli

pesanti

Materiale dei cassettini delle

trappole Usare materiale per alimenti

Biologico Muffe e micotossine Trappole Pulire le trappole prima del

loro inserimento

3.1.1 LE TRAPPOLE

Il polline viene raccolto utilizzando apposite trappole collegate agli ingressi degli alveari. La tecnica di

raccolta del polline ha subito un’evoluzione nel tempo, in base al cambiamento delle esigenze di

gestione dell’alveare e quella di migliorare la qualità del polline raccolto. Inizialmente esso veniva

prelevato manualmente dal favo; la tecnica richiedeva tempo e non poteva certamente garantire un

raccolto in elevata quantità.

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Successivamente si è sviluppata la tecnica che è attualmente utilizzata dagli apicoltori: il polline viene

raccolto mediante apposite trappole che sottraggono le pallottole alle api bottinatrici nel momento in

cui rientrano all’alveare (Figura 10).

La prima trappola di questo tipo era dotata di cassetto per la raccolta posizionato sopra il predellino e

modificava abbondantemente il punto d’accesso e il percorso delle bottinatrici per entrare

nell’alveare; il problema che sorgeva era che le api bottinatrici si disorientavano e si potevano creare

conseguenti fenomeni di deriva verso gli alveari vicini.

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Figura 10 – Batteria di alveari dotati di trappole raccoglipolline da fondo per sottrarre il polline alle api di

rientro all’alveare (Foto Colotta).

Oggi, le trappole non modificano l’ingresso dell’arnia e sono costituite essenzialmente da una griglia

forata, attraverso le cui aperture passano le bottinatrici che rientrano con il polline nelle cestelle e

sono costrette ad abbandonare il raccolto a causa del limitato diametro dei fori, pari a 5 mm. La

pallottola di polline (del diametro di circa 1-2 mm), trasportata nelle cestelle, esternamente al corpo

dell’ape, urta infatti contro il bordo del foro, si stacca e cade all’intero di un contenitore a cassetto

sottostante protetto da una rete metallica a maglia stretta per evitare che le api possano riprenderlo

(Figura 11).

La rete del cassettino, dovendo contenere un alimento, deve essere in acciaio, preferibilmente inox.

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Figura 11 – Polline raccolto nel cassettino (Foto Colotta).

Le trappole più comode hanno il cassettino raccogli polline mobile; questo permette di effettuare la

raccolta giornaliera spostando il cassettino stesso anziché l’intera trappola. Il cassettino deve poter

contenere almeno 1,5 kg di polline, quantitativo massimo che si può raccogliere da uno a tre giorni.

L’apicoltore, infatti, solitamente effettua il prelievo del polline ogni 2-3 giorni.

Il fondo aerato del cassettino è fondamentale per l’arieggiamento del polline che, appena raccolto,

risulta essere molto umido; viene così scongiurato un inizio di ammuffimento. La rete che lo costituisce

ha rete a maglie abbastanza fini in modo tale da non perdere le pallottole più piccole.

Le trappole a griglia (Figura 12) rappresentano il sistema di raccolta più comodo e meno laborioso per

l’apicoltore. In secondo luogo, ma non di minore importanza, questa tecnica non provoca alcun danno

alla colonia d’api. Infatti, in seguito alla sottrazione di polline da parte della trappola, l’importazione

all’interno dell’alveare diminuisce e la colonia reagisce aumentando la raccolta del prodotto attraverso

l’incremento del numero di bottinatrici.

Figura 12 – Api intente ad attraversare la griglia di una trappola (www.mieliditalia.it).

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E’ però necessario sottolineare che il polline non viene completamente sottratto alle api di ritorno

all’alveare. Un quantitativo considerevole riesce a passare dalla griglia senza staccarsi dalle zampe

delle api (Pistoia, 2010). Mediamente, le trappole sottraggono il 10-20% del polline.

Lo sviluppo della covata non viene di conseguenza compromesso e la raccolta potrà essere effettuata

anche per due o tre mesi senza recare alcun danno alla colonia.

Le trappole sono lasciate in posizione fino a che non si nota una diminuzione dell’importazione,

intuibile dal minor raccolto nel cassetto della trappola.

La percentuale di polline trattenuto dalla trappola può essere piuttosto variabile, ma sarà sempre

molto inferiore al 100%; una trappola a regime ha un’efficienza tra il 3% e il 25% nel corso del periodo

di raccolta (Campos et al., 2010). Inoltre, nel corso del tempo l’efficienza della trappola diminuisce

perché le api imparano ad adattarsi alla trappola riempendo meno le loro cestelle per perdere meno

polline.

La fine del periodo di raccolta può avvenire dopo la fioritura del castagno; nelle regioni del nord Italia

può altrimenti coincidere con il mese di agosto. Le trappole devono essere tolte contemporaneamente

a tutti gli alveari dell’apiario.

Conviene lasciare alle api il polline delle fioriture autunnali, in quanto è importante per garantire uno

sviluppo della colonia adeguato all’invernamento (Pistoia, 2010).

Un aspetto comune a tutte le trappole è, come detto, il diametro dei fori, troppo piccolo per consentire

il passaggio dei fuchi, i quali, al rientro in alveare, non possono entrare mentre quelli all’interno non

possono uscire, soccombendo. Diventa quindi necessario creare apposite aperture, dette “sfucatori”,

di diametro maggiore, pari a 8 mm. Esse sono poste solitamente lontano dalla griglia, ad esempio sulla

facciata laterale (Figura 13) oppure sulla parte superiore della griglia stessa (Figura 14).

Figura 13 – Fori laterali per l’uscita dei i fuchi, detti “sfucatori” (Foto Colotta).

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Il materiale, la forma e il numero di fori delle trappole sono stati studiati e provati sul campo nel corso

degli anni; è risultato conveniente l’uso di trappole in materiale plastico piuttosto che metallico, il

quale può danneggiare l’ape nel momento del suo passaggio attraverso i fori (sfrangiatura delle ali,

danni alle zampe). I fori hanno assunto sempre più comunemente forma circolare, mentre il numero

delle file di fori è piuttosto variabile da un modello di trappola a un altro.

Attraverso prove in campo si è però dimostrato che i migliori risultati quantitativi di polline raccolto si

ottengono utilizzando trappole con rete costituita da tre file di fori. Inoltre, la presenza di un davanzale

alla base di ciascuna fila è utile alle bottinatrici, sia in entrata che in uscita dall’alveare (Figura 14).

La rete raccoglipolline presenta una serie di setti in modo tale da ridurre il tempo che l'ape dedica alla

ricerca di un varco in entrata, dal momento che preferisce l’ingresso negli angoli.

Figura 14 – Rete raccoglipolline: tra le tre file di fori si notano i setti (verticali) e i davanzali (orizzontali); in

alto si trovano 5 fori d’uscita per i fuchi (www.letrappoledelpolline.com).

La trappola diventa anche uno strumento di monitoraggio della salute o di eventuali anomalie delle

colonie: le famiglie che raccolgono poco o pochissimo polline potrebbero essere deboli e avere

malattie, oppure potrebbero trovarsi in condizioni di orfanità o in prossimità di sciamatura.

LE TIPOLOGIE DI TRAPPOLE

Le trappole sono riconducibili a tre tipologie, a seconda del punto dell’arnia su cui vengono

posizionate:

trappole anteriori, dette anche frontali, posizionate in corrispondenza della porticina d’entrata

dell’alveare;

trappole superiori, dette anche da soffitta, posizionate tra nido e coprifavo;

trappole inferiori, dette anche da fondo, posizionate tra fondo e nido.

Le due tipologie che si sono maggiormente affermate sono quelle frontali e da fondo.

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TRAPPOLE FRONTALI

Inizialmente adattabili solo alle arnie con portichetto, ora le trappole frontali lo sono anche a quelle a

cubo.

La griglia con i fori è posizionata in corrispondenza all’entrata del nido in modo tale da non disorientare

e creare difficoltà di camminamento alle api in entrata ed uscita (Figura 15).

I fori per l’uscita dei fuchi si trovano uno per lato della trappola; devono trovarsi sul piano di

camminamento e vanno aperti alternativamente.

La trappola è adattabile ad arnie sia da 10 che da 12 telai e a qualsiasi tipo di predellino. Spesso,

attraverso un meccanismo incernierato, si può passare da una condizione di raccolta ad una in cui

questa non viene effettuata, evitando, in quest’ultimo caso, di dover rimuovere interamente la

trappola.

Il cassettino è ubicato esternamente all’alveare, specie nel caso di arnie a cubo. Ne deriva una

maggiore esposizione all’umidità ed alle intemperie; il polline potrebbe perciò essere più umido,

rendendo necessario o per lo meno conveniente operare più frequentemente la raccolta.

La trappola frontale garantisce un’ottima pulizia del polline, che risulta essere meno contaminato dalle

impurità dell’alveare.

Figura 15 – Trappola frontale (www.apascampania.com).

Trappola frontale bassa per arnia cubica o con portichetto

È la trappola più semplice poiché viene apposta sul predellino di volo, incastrata nelle guide della

porticina o bloccata con appositi fermagli o occhielli. Nessuna modifica deve pertanto essere apportata

all’arnia e il suo costo è contento.

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La struttura della trappola è in legno, le reti del cassetto di raccolta e per il vaglio del polline in acciaio

inox e la rete prendi polline in plastica alimentare. Il cassetto è caratterizzato da un volume di circa 4 l

e da una elevata superficie grigliata in acciaio inox per massimizzare l'aerazione del polline (Figura 16).

La misura massima del balconcino del fondo dell'arnia per l'applicazione della trappola è di 30 mm,

anche se risulta ottimale una misura di 27-28 mm, che permette di lasciare una distanza di 2-3 mm fra

la trappola e l'arnia. Questa caratteristica facilita le operazioni di pulizia dell'alveare senza permettere

alle api di aggirare la trappola. Nel caso in cui l'aggetto del balconcino del fondo sia inferiore ai 27 mm

sarà invece necessario applicarvi un listello per raggiungere la misura ottimale.

Figura 16 – Trappola frontale da posizionare a livello del predellino di volo (www.letrappoledelpolline.com).

Trappola frontale da parete per la raccolta del polline

La trappola è progettata per le arnie a cubo (435 x 500 mm) e si aggancia su 2 guide di scorrimento

uguali a quelle della porticina d'ingresso, ma posizionate a 50 mm dal coperchio dell'alveare.

Per applicarla all'arnia è necessario effettuare 2 o tre fori di circa 3 centimetri di diametro nella parete

anteriore, in corrispondenza della griglia raccogli polline (Figura 17). I fori sono il nuovo ingresso

dell’arnia e davanti ad essi viene collocata la trappola; la porticina consueta (inferiore) deve essere

posizionata nella posizione di chiusura.

Prima di applicare questa trappola conviene permettere alle api di adattarsi per alcuni giorni alla nuova

entrata dell'arnia.

Con questa trappola collocata in posizione rialzata, il polline raccolto è più pulito e meno umido e

consente dunque di risparmiare tempo nella pulizia e nella deumidificazione.

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err 2

Figura 17 – Arnia con fori sulla parete (a sinistra) e trappola frontale da posizionare a livello di questi (a

destra) (www.letrappoledelpolline.com).

Trappola modello Metalori

Inventata dall’apicoltore Aldo Metalori, da cui prende il nome, è una trappola raccoglipolline con la

griglia posizionata verticalmente sul predellino d’ingresso, con flusso di api in entrata ed uscita senza

differenziazione nei canali (Figura 18).

Il punto d’accesso all’alveare non viene modificato, a differenza delle prime trappole, all’epoca in

commercio, con ingresso in alto e il cassettino sopra il predellino di volo; le bottinatrici non vengono

quindi disorientate e viene inoltre impedita l’ovideposizione della farfalla tignola della cera.

La trappola è costituita da una griglia con tre file di fori circolari anziché otto (consuetudine nelle

trappole del periodo), a seguito di prove sperimentali riguardanti la quantità di polline importato dalle

api.

La trappola non si trova più completamente all’interno del portichetto dell’arnia: soltanto la griglia di

ingresso lo è ancora, mentre il cassettino di raccolta viene spostato sotto. Le arnie sono quindi

modificate realizzando una fessura nel legno del portichetto, per far sì che il polline staccato dalle

zampe delle api possa cadere nel cassettino di raccolta.

Il cassettino, più grande e più arieggiato, permette di ottenere polline esente da impurità provenienti

dalla colonia. Il polline è anche ben protetto dalle avversità atmosferiche.

La trappola esiste in più versioni. Una tra le più recenti è stata ideata per poter essere lasciare sempre

all’interno del portichetto. Girandola da un lato, infatti, la griglia si posiziona davanti all’entrata e la

trappola entra in funzione. Girandola dall’altra parte, si consente il normale passaggio delle api. Basta,

quindi, togliere il cassettino di raccolta e si ha una normale apertura di volo. La trappola può quindi

essere posizionata sempre nel portichetto, eliminando i problemi di magazzino e riducendo il lavoro

per inserirla e toglierla.

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Figura 18 – Uno dei modelli di trappola Metalori (www.artisticasettempedana.it).

TRAPPOLE DA FONDO

Queste trappole sono posizionate sotto il nido, andando a sostituire il fondo originale dell’arnia. Sono

le più apprezzate dal mondo dell’apicoltura nomade poiché non sono sporgenti e non ingombrano

(Figura 19).

L’ingresso è in posizione inferiore, senza creare confusioni alle bottinatrici; la presenza di alette

trasversali sulla griglia forata agevola il loro ingresso.

Sono necessari almeno un foro per lato, posizionati sul piano di camminamento, che fungano da

sfucatori, da aprire alternativamente.

Il cassetto con estrazione posteriore è quello più facilmente gestibile, consentendo un prelievo rapido

e senza recare disturbo alla famiglia. Esso si trova nel microclima del nido, ben isolato dall’esterno; il

polline non è quindi più esposto ad umidità ed intemperie e manterrà le sue caratteristiche inalterate

per più giorni senza correre il rischio di andare incontro ad ammuffimento.

Questo fatto non è banale perché determina una maggiore comodità per l’apicoltore che potrà gestire

l’attività di raccolta con maggiore tranquillità (specie in caso di postazioni di raccolta ubicate ad una

certa distanza) e sicurezza di trovare il prodotto edibile e quindi commerciabile.

Il polline risulta essere meno pulito rispetto a quello raccolto con trappole frontali; alcuni modelli sono

però dotati di percorsi obbligati per le api in modo tale da limitare la presenza di impurità nel

cassettino.

Le trappole da fondo hanno una struttura più complesse di quelle di tipo frontale; il loro costo è quindi

maggiore e può comportare una spesa significativa per l’apicoltore.

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Figura 19 – Trappola da fondo (Foto Colotta).

3.2 RACCOLTA

La prima raccolta del polline può essere effettuata a partire dal giorno successivo al posizionamento

delle trappole. Successivamente, i cassettini vanno svuotati, di norma, giornalmente o a distanza di 48

ore tra una raccolta e la successiva; qualora le condizioni atmosferiche siano sfavorevoli, si può operare

anche a distanza di 72 ore. Il clima più o meno umido determina la possibilità di posticipare o meno la

raccolta: in Italia settentrionale è quindi consigliato effettuare la raccolta entro le 48 ore.

Oltre alla situazione meteorologica, l’apicoltore deve organizzare la gestione della fase di raccolta in

base alla distanza dell’apiario: mentre un apiario poco distante può essere visitato quotidianamente,

in uno più lontano sarà conveniente effettuare l’operazione ogni 48 ore, per ovvi motivi di risparmio

economico e di tempo.

Il polline è molto igroscopico: assorbe con grande facilità umidità dall'ambiente.

Ciò comporta problemi:

aderenza delle palline di polline (la successiva vagliatura viene resa impossibile);

ammuffimento.

Le fonti di umidità sono l'ambiente esterno, le condizioni climatiche e la stessa arnia in cui l'umidità,

derivante dalla respirazione delle api e dalla loro attività di concentrazione del nettare, raggiunge

potenzialmente anche dal cassettino del polline.

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Tuttavia, il posizionamento delle trappole a 15-20 cm d’altezza dal suolo limita gli accumuli di umidità;

allo stesso scopo risulta importante avere un buon soleggiamento in apiario ed erba corta, tagliata

frequentemente.

I cassettini vengono estratti dalla trappola, il polline in essi contenuto viene controllato visivamente

(Figura 20) e svuotato in secchi di plastica o acciaio inox; possono essere anche utilizzate grandi

cassette forate ricoperte da una zanzariera per evitare contaminazioni da altro materiale e favorire

l’essiccamento (Brajon et al., 2014).

Le caratteristiche dei contenitori usati per il trasporto del polline in laboratorio sono:

facilità di pulizia e lavabilità;

evitare la compressione del prodotto;

permettere l’areazione del prodotto;

essere impilabili;

economicità.

Il polline che presenta caratteristiche qualitative non idonee alla lavorazione e al consumo (ad esempio

pallottole compatte, con inizio di ammuffimento e fermentazione) non deve essere raccolto.

Durante questa fase l’apicoltore può eliminare manualmente corpi estranei, api morte o altri insetti

(ad esempio formiche e forbicine) rilevati con un’ispezione visiva; potrebbe già effettuare una vera e

propria pulitura grossolana utilizzando due reti escludi regina incrociate (che fungono da setaccio)

(Figura 21). Tuttavia, questa fase viene solitamente condotta in azienda, specialmente se i quantitativi

sono rilevanti (www.apascampania.com, 2015).

Nella raccolta del polline occorre effettuare un’analisi delle fonti di pericolo per il polline, al fine di

adottare le opportune azioni preventive (Tabella 3).

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Tabella 3 – Analisi delle fonti di pericolo per la raccolta del polline e azioni preventive (Brajon et al., 2014).

Natura del pericolo Pericolo Origine Azioni preventive

Biologico Muffe

Cassettino della trappola (polline residuo e legno

stesso)

Pulire bene le trappole;

Aumentare la frequenza della raccolta;

aumentare la distanza dal suolo;

vegetazione minima o assente sotto gli alveari

Biologico Muffe e micotossine Covata calcificata Scartare gli alveari ammalati

Biologico Batteri e virus

patogeni Umana

(manipolazione) Buone prassi igieniche

Biologico

Batteri e virus patogeni

Muffe

Contenitori Pulire bene i contenitori

Chimico-fisica Residui di metalli e

vernice Leva e rete

Non raschiare il polline con la leva

La quantità di polline che si ricava in un anno da una colonia attraverso l’impiego della trappola è in

media di 2-3 Kg, che corrispondono, calcolando un rendimento del 10%, a 20-40 kg portati in arnia.

Questa è in effetti la quantità necessaria a coprire il fabbisogno di polline di una colonia di medie

dimensioni.

Secondo alcuni, calcolando un rendimento delle trappole un po’ più alto, ossia del 20%, calcolano un

quantitativo di polline raccolto annualmente da una famiglia tra 1,1 e 40,4 kg (Campos et al., 2009).

Secondo altri, il raccolto medio giornaliero per ogni trappola è pari a 80-100 g di polline fresco mentre

il raccolto annuo medio per ogni trappola corrisponde a 4-5 kg di polline fresco (Pistoia, 2010).

Il quantitativo di polline che può essere raccolto varia in base all’ambiente di raccolta, alla lunghezza

del periodo in cui si lasciano le trappole e alla forza delle famiglie a cui queste sono applicate.

Pertanto, i raccolti possono oscillare, nell’arco di una stagione, da un minimo di 1,5 kg a famiglia ad un

massimo di 9,2 kg a famiglia (medie europee).

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Figura 20 – Apicoltore intento a raccogliere polline in un apiario (www.cadalaisna.it).

Figura 21 – Utilizzo di reti escludi regina incrociate per una vagliatura grossolana in apiario

(www.apascampania.com).

3.3 TRASPORTO IN AZIENDA

I contenitori contenenti il polline vengono caricati sui veicoli (ad esempio furgoni) e coperti con teli o

coperte che impediscano contaminazioni fisiche, proteggano dalla polvere e favoriscano la

traspirazione. Il polline viene portato in azienda per le fasi successive della lavorazione.

Nel trasporto del polline in azienda occorre effettuare un’analisi delle fonti di pericolo presenti nel

mezzo di trasporto, al fine di adottare le opportune azioni preventive (Tabella 4).

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Tabella 4 – Analisi delle fonti di pericolo per il trasporto del polline e azioni preventive (Brajon et al., 2014).

Natura del pericolo Pericolo Origine Azioni preventive

Chimico-fisica Polvere Ambientale Coprire con teli o

coperte

Biologico Muffe e micotossine Ambientale (umidità)

Effettuare rapidamente il trasporto così che il

polline non assorbi umidità dall’ambiente

Biologico Batteri e virus

patogeni Veicolo di trasporto

Pulizia e igiene del veicolo

3.4 PULITURA GROSSOLANA

Come detto precedentemente, la pulitura grossolana o prevagliatura del polline può avvenire in

apiario, mediante setacci, ma avviene solitamente in azienda ed è svolta utilizzando vagli con maglie

di diametro pari a 3,5-4 mm (Figura 22).

Attraverso questa fase, l’apicoltore elimina i corpi estranei di maggior grandezza: api morte o parti del

loro corpo, altri insetti, particelle di legno appartenenti alle trappole, foglie.

Presso le aziende apistiche di maggiori dimensioni viene impiegata una macchina vagliatrice costituita

da una rete oscillante in acciaio inox che setaccia il polline facendo rimanere sulla sua superficie retata

metallica i corpi estranei, nonché blocchi di polline costituiti da pallottole troppo umide (figura 22). I

residui rimasti sulla superficie retata della macchina vagliatrice vengono aspirati ed eliminati.

Il polline vagliato è raccolto in un secchio per alimenti da 20 l posto nella parte sottostante del

vagliatore. Riescono a sfuggire al vagliatore le formiche e gli altri elementi di dimensione uguale o

inferiore al polline. La pulitura grossolana è utile per eliminare fin da subito elementi contaminanti che

altrimenti sarebbero presenti nelle fasi successive e potrebbero determinare un abbassamento della

qualità igienico sanitaria del prodotto.

Nella pulitura grossolana del polline occorre effettuare un’analisi delle fonti di pericolo legate ad una

sua errata manipolazione, al fine di adottare le opportune azioni preventive (Tabella 5).

Tabella 5 – Analisi delle fonti di pericolo per la pulitura grossolana del polline e azioni preventive

(Brajon et al., 2014).

Natura del pericolo Pericolo Origine Azioni preventive

Biologico Batteri e virus

patogeni Umana (manipolazione) Buone prassi igieniche

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Figura 22 – Setacci per pulizia grossolana in apiario (a sinistra) e in laboratorio (a destra) (Foto Aspromiele).

3.5 CONGELAMENTO

Al fine di prevenire alterazioni e conservare la massima qualità, il polline deve essere raccolto

quotidianamente e subito messo in congelatore (Campos et al., 2008).

Il congelamento conserva le caratteristiche fisico-chimiche (ritarda il processo di invecchiamento) del

prodotto e impedisce la proliferazione dei microrganismi e quindi la probabile fermentazione; inoltre

permette di uccidere tutti gli stadi vitali dell’eventuale tarma della cera presente. Inoltre, permette

all’apicoltore di posticipare le fasi successive di lavorazione.

Il congelamento a -21 °C non modifica significativamente la composizione chimica del polline (Campos

et al., 2008).

Il polline posto in secchi per alimenti da 20 l o in sacchi in plastica per alimenti, chiuso accuratamente,

è ora posto in congelatore a pozzetto ad una temperatura di -18 °C per 48 ore, tempo sufficiente al

fine del raggiungimento della temperatura al cuore del prodotto.

Uno studio sul tempo di congelamento del polline è stato recentemente condotto dall’ Istituto

Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana. Campioni di polline con differenti

temperature (4 e 30 °C) sono stati congelati a -20°C e monitorati (tramite una sonda che misura la

temperatura al centro del campione) per valutare le variazioni della temperatura nel corso del

processo. Dai risultati ottenuti si è potuto osservare che entrambi i campioni raggiungono la

temperatura di -20 °C nel tempo di circa un’ora (Brajon et al., 2014).

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Nel congelamento del polline occorre effettuare un’analisi delle fonti di pericolo presenti

nell’ambiente, al fine di adottare le opportune azioni preventive (Tabella 6).

Tabella 6 – Analisi delle fonti di pericolo per il congelamento del polline e azioni preventive

(Brajon et al., 2014).

Natura del pericolo Pericolo Origine Azioni preventive

Biologico Muffe e micotossine

Tarma della cera Ambientale

Verificare il raggiungimento

di -18°C per alcune ore

3.6 DEUMIDIFICAZIONE

La deumidificazione è una fase della lavorazione fondamentale: permette la riduzione del contenuto

di acqua del polline e quindi l’inibizione dell’attività microbica e la riduzione dell’attività enzimatica. Il

risultato è un’estensione temporale della shelf-life del prodotto.

Gli apicoltori deumidificano il polline mediante fornetti elettrici ventilati oppure tramite essiccatoi

professionali come quelli prodotti dalla ditta Lega S.r.l. Costruzioni Apistiche, costruito sulla struttura

base della “Camera Calda Piccola”, originariamente studiata per liquefare il miele cristallizzato (Figura

23). Sono dotati di una capacità di 10 o 15 cassetti con fondo in rete di acciaio inox, i quali vengono

riempiti in maniera omogenea (manualmente) e solitamente mai fino all’orlo per incrementare la

velocità di essiccazione; a volte sono impilati a profondità alternata (uno verso il fondo, l’altro verso la

porta anteriore) per facilitare il passaggio dell’aria e quindi l’asportazione dell’umidità.

Figura 23 – Essiccatore della ditta Lega S.r.l. Costruzioni Apistiche (www.legaitaly.com).

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Come verrà approfondito in questo lavoro, l’essiccazione ad elevata temperatura comporta, nel

polline, perdite nutrizionali e dal punto di vista organolettico.

Recentemente, le ditte Tredtechnology e North West Technology hanno messo quindi a disposizione

degli apicoltori professionisti delle macchine che deumidificano il polline anche a bassa temperatura,

mediante un flusso di aria deumidificata (Figura 24). Si tratta di macchine con una capacità di carico

che va da poche decine ad alcune centinaia di kg di prodotto per ciclo di lavoro, provviste di un numero

variabile di ripiani su cui porre i vassoi amovibili in PVC (due per ripiano). Tali vassoi sono impiegati

nell’industria alimentare per deumidificare principalmente frutta e verdura (Figura 25).

Ogni vaschetta può contenere circa 5 kg di polline (disposto manualmente in maniera omogenea),

tuttavia non viene solitamente riempita fino all’orlo per incrementare la velocità di essiccazione.

Alcuni fondamentali vantaggi apportati da queste macchine, rispetto ai forni termo ventilati, sono:

ricambio continuo dell’aria di lavorazione in modo tale da preservare la freschezza del

prodotto;

possibilità di trattare il prodotto a basse temperature (al di sotto dei 50°C) con aria

deumidificata per modificare minimamente le caratteristiche organolettiche del prodotto;

omogeneità di distribuzione dell'aria di lavorazione in modo tale da ottenere una lavorazione

uniforme su tutti i ripiani;

bassi costi di gestione e minori consumi elettrici;

Il polline in cella di essiccatura a freddo della ditta North West Technology è deumidificato a

temperature mantenute a un valore non superiore ai 35°C per un periodo variabile di circa 20 ore.

Questa tecnologia, detta “a freddo”, permette di essiccare il prodotto mantenendo pressoché

inalterati aroma, colore, struttura e garantendo migliori qualità organolettiche.

Secondo alcuni, la deumidificazione deve essere infatti effettuata ad una temperatura non superiore

ai 40 °C; tuttavia, questa temperatura limite sembra essere ancora troppo elevata (Bogdanov, 2012).

Nella deumidificazione del polline occorre effettuare un’analisi delle fonti di pericolo presenti

nell’ambiente e legate all’errata manipolazione del prodotto, al fine di adottare le opportune azioni

preventive (Tabella 7).

Tabella 7 – Analisi delle fonti di pericolo per la deumidificazione del polline e azioni preventive

(Brajon et al., 2014).

Natura del pericolo Pericolo Origine Azioni preventive

Biologico Batteri e virus

patogeni Umana

(manipolazione) Buone pratiche

igieniche

Biologico Muffe Ambientale Pulizia dei vassoi

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hah

d

Figura 24 – Deumidificatori di marca Tredtechnology (a sinistra) (www.tredtechnology.com) e North West

Technology (a destra) che lavorano “a freddo” (Foto Colotta).

Figura 25 – Vassoi per deumidificatori contenenti il polline da essiccare (Foto Colotta).

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3.7 PULITURA

Una cernita o vagliatura più accurata è indispensabile per eliminare le impurità più fini, mediante vagli

a maglia stretta (diametro della maglia minore di 1 mm), qualora i quantitativi di polline da lavorare

siano molto modesti (Figura 26). L’apicoltore effettua inoltre controlli visivi per accertarsi dell’effettiva

assenza di corpi estranei che può eliminare con l’aiuto di una pinzetta.

I grandi produttori di polline possono invece impiegare una macchina vagliatrice che, mediante

corrente d’aria, porta dall’alto verso il basso parti del corpo di api, forme immature o uova, formiche

e tutto ciò che ha un peso inferiore al polline (Figura 27).

Successivamente il polline viene disposto su un tapis roulant ed un operatore controlla visivamente il

polline aspirando eventuali residui rimasti.

E’ Importante impiegare anche un nastro magnetico per eliminare i residui metallici eventualmente

presenti (come chiodi e graffette), impiegati nella costruzione delle trappole e staccatesi da queste.

Nella pulitura del polline occorre effettuare un’analisi delle fonti di pericolo presenti nell’ambiente e

legate all’errata manipolazione del prodotto, al fine di adottare le opportune azioni preventive (Tabella

8).

Tabella 8 – Analisi delle fonti di pericolo per la pulitura del polline e azioni preventive (Brajon et al., 2014).

Natura del pericolo Pericolo Origine Azioni preventive

Biologico Batteri e virus patogeni

Muffe e micotossine Umana

(manipolazione) Buone pratiche

igieniche

Biologico Batteri e virus patogeni

Muffe e micotossine

Ambientale (esposizione del

prodotto all’aria per tempi eccessivi)

Pulizia del laboratorio

Figura 26 – Macchina vagliatrice (www.tredtechnology.com).

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Figura 27 – Polline in fase di vagliatura (a sinistra) e particolare della maglia della macchina vagliatrice

(a destra) (Foto Aspromiele).

In seguito alla vagliatura il polline viene ricongelato, sempre a -18°C per 48 ore, per eliminare eventuali

tarli e parassiti; durante le fasi di lavorazione subite, infatti, il polline potrebbe aver subito

ricontaminazioni.

3.8 CONFEZIONAMENTO E VENDITA

Il polline viene confezionato in vasetti di vetro e chiuso con capsula a chiusura ermetica; viene poi

posto un sigillo di garanzia per garantire il consumatore che il vasetto non è mai stato aperto o forzato

dopo il confezionamento.

I vasetti venduti al dettaglio contengono una quantità di polline variabile da 50 g a 500 g, solitamente

pari a 110, 200 e 250 g.

Vista la delicatezza del prodotto, se non si hanno a disposizione i mezzi e le competenze opportune

atte a garantire il consumatore in termini di sicurezza alimentare e di genuinità del prodotto, è

consigliabile orientarsi verso la vendita all’ingrosso; molte delle incombenze di conservazione e

distribuzione sono a carico di chi lo lavora e lo rivende.

La vendita all’ingrosso avviene tramite secchi a chiusura ermetica o sacchetti, in plastica per alimenti.

Le indicazioni minime che l’etichetta deve avere, sia essa applicata sul prodotto congelato che sul

prodotto disidratato sono:

1. denominazione di vendita (Polline);

2. quantità netta o nominale;

3. termine minimo di conservazione;

4. nome o ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare;

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5. sede dello stabilimento di confezionamento (se diverso da quello precedentemente indicato).

6. paese o i paesi di origine;

7. numero di lotto.

L’etichetta nutrizionale permette di mettere in evidenza la composizione e gli elementi di maggior

pregio; nel caso delle vitamine, si possono indicare solo quelle che sono presenti in quantità superiore

al 15% della RDA.

Il prodotto deve essere conservato a temperatura ambiente, in luogo fresco ed asciutto e al riparo da

fonti luminose.

Il polline può essere trovato in commercio tal quale o come ingrediente di integratori alimentari. In

quest’ultimo caso sono necessarie opportune autorizzazioni del Ministero della Salute per gli

stabilimenti di produzione e le etichette devono rispettare requisiti più complessi e restrittivi.

Nel confezionamento del polline occorre effettuare un’analisi delle fonti di pericolo correlate al

materiale con cui il prodotto entra in contatto e a possibili errori dell’operatore, al fine di adottare le

opportune azioni preventive (Tabella 9).

Tabella 9 – Analisi delle fonti di pericolo per il confezionamento del polline e azioni preventive

(Brajon et al., 2014).

Natura del pericolo Pericolo Origine Azioni preventive

Fisico Corpi estranei

(particelle metalliche o di vetro ecc.)

Vasetti

Controllare visivamente i vasetti e assicurarsi dell’assenza di corpi

estranei al loro interno

Fisico Errore di etichettatura Umana Verificare la corretta

etichettatura

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Nel seguente diagramma di flusso è rappresentata la produzione del polline.

RACCOLTA

TRASPORTO IN AZIENDA

PULITURA GROSSOLANA

CONGELAMENTO

DEUMIDIFICAZIONE

PULITURA ACCURATA

CONFEZIONAMENTO

VENDITA

POSIZIONAMENTO DELLE TRAPPOLE

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4. PRINCIPALI SORGENTI BOTANICHE POLLINIFERE Le api trovano in natura molte piante da cui trarre il polline, le cui fioriture scalari si susseguono

nei diversi mesi dell’anno, garantendo così la copertura per tutto il periodo primaverile ed estivo

e, anche se in quantità minore, nel periodo autunnale.

L’agricoltura moderna ha però condotto ad un impoverimento della flora in molte aree. Questo ha

ripercussioni negative sulle api, in particolare sulla salute delle famiglie, ma i danni si possono notare

anche sulle coltivazioni stesse, poiché l’importanza di questi insetti è rilevante per l’impollinazione di

molte piante coltivate.

Nel nostro Paese, nonostante l’attività agricola sia sviluppata nelle aree di pianura e collina, tra i 300 e

i 600 metri di altitudine troviamo una flora molto variegata, rappresentata sia da specie utilizzate

dall’uomo a scopo agricolo ed ornamentale, sia da vegetazione spontanea di tipo boschivo. Sono

abbondantemente presenti piante latifoglie come robinia, castagno, noce, nocciolo, quercia.

Il castagno (Castanea sativa) caratterizza gran parte dei boschi di latifoglie dell’ambiente collinare

italiano. Fiorisce all’inizio dell’estate e i suoi fiori maschili, fortemente profumati, forniscono una

grande quantità di nettare e di polline che di color giallo acceso. In piena fioritura questo polline può

arrivare a costituire fino al 100% dei raccolti. Il granulo pollinico è di piccole dimensioni, di forma ovale

e con superficie liscia. A causa dell’abbondante produzione, questo polline risulta iperrappresentato.

La robinia (Robinia pseudoacacia), chiamata più comunemente acacia, è diffusa nei boschi fino agli 800

m slm. Il suo polline si presenta di dimensioni medie e con superficie liscia. Il polline, bottinato sotto

forma di pallottole dal colore bianco-grigiastro, è iporappresentato nel nettare, ma può raggiungere

anche l’80% dei raccolti effettuati nel periodo di fioritura.

Il Tiglio (Tilia cordata) è una pianta di notevole importanza per le api: il suo polline, di color grigio-

verdastro, si rinviene sempre in percentuali variabili nei mieli locali, insieme a rovo, castagno e trifogli.

All’analisi microscopica, il granulo pollinico presenta dimensioni medie e una superficie con tre

aperture e foveolata (ricca di minuscole fossette).

L’Erica carnea (Erica herbacea) è una fonte interessante per quanto riguarda la raccolta di polline,

specialmente in quota; le pallottole che le api trasportano all’arnia si presentano di color grigio-

argento. L’erica arborea (Erica arborea), specie tipicamente mediterranea, presenta fiori piccoli e di

colore bianco o debolmente rosato, compaiono tra marzo e maggio e sono assiduamente visitati dalle

api.

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Il ligustro (Ligustrum vulgare) cresce spontaneamente nei boschi ed è, come l’erica arborea, una specie

tipicamente mediterranea. E’ un buon produttore di nettare e il suo polline si ritrova spesso nei

sedimenti dei campioni analizzati.

Le Umbelliferae (generi: Daucus, Astrantia, Heracleum, Pastinaca, Antriscus), ad impollinazione

entomofila, costituiscono una buona sorgente pollinifera; compaiono spesso nei raccolti di fine estate

quando vengono a mancare altre fonti proteiche. Il colore delle pallottole varia dal colore grigio al

giallo della Pastinaca.

Il rovo (Rubus spp.), molto comune e diffuso su tutto il territorio collinare, è frequente nei boschi e nei

luoghi incolti. E’, con i Fruttiferi, tra le rosacee che rivestono maggior interesse apistico per la

produzione di polline.

Il polline viene raccolto dalle api in forma di pallottole dal colore grigio-verde; al microscopio, la

superficie dei granuli pollinici si presenta leggermente striata-puntinata.

Tra le specie coltivate di interesse apistico si ricordano soprattutto i fruttiferi (rosacee appartenenti ai

generi Prunus, Pyrus, Malus) che presentano all’inizio della primavera fioriture intense bottinate dalle

api per la raccolta del nettare e del polline. Le specie spontanee più comuni nelle siepi e nei boschi

della fascia montana sono il prugnolo (Prunus spinosa) e il ciliegio selvatico (Prunus avium). I granuli

pollinici delle Rosaceae da frutto sono, a parte alcune eccezioni, abbastanza simili e spesso non

distinguibili tra loro all’analisi microscopica.

Altro arbusto appartenente alla famiglia delle rosacee, diffuso nelle macchie e al margine dei boschi,

è il biancospino (Crataegus monogyna); a fioritura primaverile è molto appetito dalle api, sia per il

nettare che per il polline; lo stesso dicasi per le rose selvatiche, specie a fioritura più tardiva (maggio e

giugno), molto visitate dalle bottinatrici.

Tra le rosacee erbacee che si ritrovano all’analisi pollinica si ricordano le diverse potentille e la fragola

(Fragaria vesca); le prime, visitate soprattutto per il polline, fioriscono alla fine della primavera e in

estate; la seconda, che si rinviene comunemente nelle radure dei boschi, fornisce anche una certa

quantità di nettare.

La filipendula (Filipendula vulgaris e ulmaria) è un’altra rosacea erbacea che fiorisce nella tarda

primavera e in estate, fornendo alle api soltanto polline.

L’edera (Hedera helix) è un rampicante la cui fioritura ha luogo in settembre-ottobre; le sue

infiorescenze verdastre, ricche di polline e nettare, sono un’importante fonte di nutrimento per le api

nella stagione autunnale, in cui all’interno dell’alveare si verifica una ripresa nella deposizione di covata

delle api destinate a superare l’inverno. Il polline si presenta di colore arancio chiaro con sfumature

rosa.

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Un arbusto di un certo interesse apistico è la clematide (Clematis vitalba), che, tra le ranuncolacee, è

il genere maggiormente ricercato per il nettare. Il suo polline, di colore grigio, può trovarsi nei raccolti

anche in misura del 30%.

Tra le Leguminose, si ricorda innanzitutto il trifoglio bianco (Trifolium repens), comune in tutti i prati

con i suoi capolini bianchi che compaiono fra aprile e settembre fornendo elevate quantità di nettare

e polline di color marrone più o meno intenso. Altre leguminose sono diffuse nei prati e si rivelano

molto attrattive per l’ape: il trifoglio violetto (Trifolium pratense); il ginestrino (Lotus corniculatus), a

fioritura prolungata su tutta la stagione produttiva (aprile - settembre); la vulneraria (Anthyllis

vulneraria), che predilige i prati asciutti; la veccia (Vicia cracca) e il meliloto (Meliloto alba e officinalis),

che si ritrovano spesso nelle aree incolte.

La famiglia delle Compositae presenta molte specie di interesse apistico; le api vi bottinano soprattutto

il polline, ma anche la raccolta del nettare può, nel caso di alcune specie, essere cospicua. Si ricordano

la centaurea (Centaurea jacea), che fiorisce da giugno ad ottobre e fornisce ottimi raccolti di nettare e

polline; la pratolina (Bellis perennis), discretamente visitata per il polline soprattutto in primavera; la

verzellina (Senecio vulgaris), buona produttrice di nettare e polline; il tarassaco (Taraxacum officinale).

Quest’ultimo, in particolare, è una specie nettarifera e pollinifera particolarmente ricercata dalle api;

produce polline di colore arancio.

Data la vastità, per numero di specie, della famiglia delle Compositae e le sostanziali analogie dei

relativi pollini, l’analisi melissopalinologica si limita a riconoscerne 5 gruppi, nell’ambito dei quali è

estremamente difficile spingere ulteriormente il riconoscimento per l’identificazione della specie o, a

volte, addirittura del genere. I pollini delle Composite vengono perciò suddivisi in:

tipo A (cioè, nella forma, analoghi a quello dell’achillea)

tipo T (cioè, nella forma, analoghi a quello del tarassaco)

tipo H (cioè, nella forma, analoghi a quello dell’ Helianthus e dell’Aster)

tipo S (cioè, nella forma, analoghi a quello del Cirsium)

tipo C (cioè, nella forma, analoghi a quello della Centaurea cyanus)

tipo J (cioè nella forma analoghi a quello della Centaurea jacea).

Le Cariofillaceae, pur producendo abbondante nettare, possiedono una struttura fiorale tale da

rendere difficoltoso alle api il raggiungimento dei nettàri, mentre alcune specie di questa famiglia sono

semplicemente poco appetite. La loro importanza apistica resta perciò limitata alla raccolta di polline.

Si ricordano i generi Stellaria, Saponaria, Cerastium, Silene e Dianthus, diffusi un po’ ovunque nei luoghi

erbosi.

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I ranuncoli (genere Ranunculus), comuni nei prati, fioriscono in primavera ed estate e, benché

produttori di nettare e largamente diffusi, risultano poco appetiti alle api. Non è dimostrata la supposta

tossicità del nettare. Attivamente bottinato è invece il loro polline che si ritrova abbondantissimo nei

raccolti primaverili sotto forma di pallottole giallo intenso o arancio.

Importanti fonti di polline sono la quercia (rovere e roverella), che forniscono un polline di color giallo,

e l’orniello (Fraxinus ornus). Si ricorda anche il noce (Jugulans regia), con interesse apistico limitato

alla raccolta di polline, che compare in discrete quantità nei raccolti di aprile, sotto forma di pallottole

grandi dal colore giallo scuro. Il Frassino (Fraxinus excelsior) rappresenta per le api un’ottima sorgente

di polline, le cui pallottole giallo chiare possono costituire oltre il 50% dei raccolti primaverili.

Ontani (Alnus glutinosa e iincana) e pioppi (Populus spp.) sono entrambi visitati dalle api in primavera

per il polline e per la propoli.

Particolarmente importanti e diffusi sono i salici (Salix caprea). Pur essendo presenti anche in luoghi

boschivi, sono soprattutto comuni lungo i corsi d’acqua. La loro fioritura precoce (febbraio e marzo)

contribuisce in modo determinante, sia attraverso il nettare che il polline, allo sviluppo delle famiglie

durante la stagione primaverile; il suo polline è considerato di elevatissimo valore biologico per le api

e si presenta sotto forma di pallottole giallo arancio, sfumate di rosa.

Nei sottoboschi collinari è comunemente presente il nocciolo (Corylus avellana). Questa pianta

costituisce una buona fonte di polline. La sua fioritura molto precoce è la prima ad essere sfruttata a

fine inverno dalle api per lo sviluppo delle famiglie e per sostenere le prime covate.

Il cisto (Cistus salvifolius) è una specie tipicamente submediterranea; notevole il suo interesse come

fonte di polline che le api bottinano sotto forma di pallottole rosso mattone.

Una specie che ha avuto una notevole rilevanza apistica in passato è il grano saraceno (Fagopyrum

esculentum) che attualmente, dato il pressoché totale abbandono di questa coltivazione, si riscontra

solo raramente nei mieli.

Fra le essenze non nettarifere coltivate, o infestanti delle coltivazioni, si ritrovano la vite (Vitis vinifera),

la palma nana (Chamaerops humilis), un’essenza pollinifera tipica degli ambienti costieri italiani molto

visitata dalle api e il papavero (Papaver rhoeas), una pianta erbacea che fiorisce dal mese di maggio, il

cui polline presenta una colorazione verde o rosso scuro ed è tra i più ricchi in polifenoli.

Il mais (Zea mais) fiorisce in estate ed è una fonte importante di polline per le api, raccolto sotto forma

di pollottole color giallo fieno.

Altra specie in grado di fornire bottini sia di nettare che di polline in area mediterranea è l’alloro (Laurus

nobilis); fiorisce all’inizio della primavera e viene attivamente visitato dalle api per lo sviluppo della

colonia (essendo a fioritura precoce) (www.apicoltori.so.it, 2015).

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5. CARATTERISTICHE E COMPOSIZIONE

5.1 COMPOSIZIONE NUTRIZIONALE

Il polline fresco ha una composizione nutrizionale piuttosto variabile, ma contiene fondamentalmente

carboidrati, proteine, grassi, sali minerali, composti fenolici e vitamine. Tra i carboidrati, una notevole

percentuale è costituita da polisaccaridi insolubili; la restante parte è costituita da amido, fruttosio,

glucosio e saccarosio. La frazione proteica è costituita da enzimi e amminoacidi mentre quella lipidica

da acidi grassi, steroli e idrocarburi.

In base all’origine botanica, il polline presenta i suoi componenti in diverse proporzioni. Come descritto

da Bogdanov (2004), il polline presenta un contenuto di acqua del 20-30%, carboidrati variabili dal 13

al 55%, proteine tra il 10 e il 40%, grassi dall’1 al 10% e fibre tra lo 0,3 e il 20% (Tabella 10). Componenti

minori sono le vitamine, i sali minerali e i flavonoidi.

Tabella 10 – Composizione nutrizionale del polline fresco (Bogdanov, 2004).

Componenti Contenuto minimo – massimo

Componenti principali (g/100g)

Acqua 20 – 30

Carboidrati 13 - 55

Proteine 10 – 40

Grassi 1 – 10

Fibre 0,3 – 20

Componenti minori (mg/100g)

Minerali 500 - 3000

Vitamine 20 - 100

Glicosidi flavonoidi 40 – 30000

5.1.1 ACQUA

Il contenuto di acqua del polline può dipendere da fattori ambientali (umidità dell’aria, tipo di trappola

utilizzata) e intrinsechi al prodotto (origine botanica) e ne condiziona la conservabilità.

Il polline fresco contiene circa il 20-30% di acqua; questa elevata umidità rappresenta una condizione

ideale per lo sviluppo di microrganismi quali batteri e funghi (Campos et al., 2008; Bogdanov, 2004 ).

Il contenuto di acqua nel polline può variare da meno del 20% a oltre il 50% (Roulston et al., 2000).

Il contenuto di umidità e l’attività dell’acqua del polline fresco indicano che il prodotto deve essere

essiccato prima di essere venduto (Dominguez et al., 2011).

I microrganismi possono alterare il prodotto, anche operando processi fermentativi.

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Contrariamente a quanto avviene per il miele, il polline fermentato è pericoloso per la salute umana,

pertanto il prodotto fresco deve essere consumato in breve tempo dal momento della raccolta

(Campos et al., 2008).

In seguito all’essiccazione, il polline contiene tra il 4 e l’8% di acqua; sotto queste condizioni il polline

mantiene le sue qualità per un periodo di conservazione pari a due anni, se conservato in un luogo

fresco, asciutto ed al riparo dalla luce (Campos et al., 2008). Un contenuto di umidità tra il 4 e l’8%

equivale ad una Aw inferiore a 0,27.

Alcuni Paesi hanno stabilito requisiti minimi di umidità per i pollini essiccati: Brasile massimo 4%,

Svizzera e Polonia: massimo 6%, Uruguay: massimo 8%, Bulgaria: massimo 10% (Campos et al., 2008).

Le differenze sono in parte dovute all’utilizzo di diversi metodi analitici per la determinazione del

contenuto di umidità. Campos et al. (2008) consigliano un contenuto di acqua tra il 6 e l’8%, poiché un

polline con un contenuto di acqua inferiore al 5% risulta essere poco attrattivo, per l’eccessiva

consistenza, dal punto di vista sensoriale.

Un alimento si considera stabile microbiologicamente quando l’attività dell’acqua è inferiore a 0,6; a

questa condizione i microrganismi alterativi non possono moltiplicarsi (Gonzales et al., 2009).

L’Aw è la quantità di acqua, presente nell’alimento, disponibile ai microrganismi; questi possono

condurre ad un deterioramento microbiologico. Conoscere la quantità di acqua presente nel polline è

essenziale per calcolare la parte di essa che deve essere estratta al fine di stabilizzare il prodotto.

Esiste una correlazione tra umidità e acqua libera (Aw) presente nel polline, indipendentemente dal

processo di essicazione che il prodotto ha subito.

Gonzales et al. (2009) hanno condotto uno studio sulla correlazione tra l’umidità e l’attività dell’acqua

nel polline: l’analisi dell’umidità e dell’Aw è stata eseguita su 44 campioni di polline fresco di origine

spagnola, evidenziando un valore medio di Aw pari a 0,677.

Il polline è stato successivamente essiccato a diverse temperature, ottenendo i seguenti valori:

essiccazione del prodotto in stufa a 40 °C per 24 ore: Aw media pari a 0,243;

essiccazione del prodotto in stufa a 50 °C per 24 ore: Aw media pari a 0,194;

essiccazione in stufa a 55 per 4 ore, a 50 °C per 10 ore ed essiccazione al sole: Aw media pari a

0,326.

L’Aw ha una grande importanza durante la conservazione del polline perché influenza la texture, la

stabilità e la shelf life (Estevinho et al., 2012).

Uno studio svolto dall’ IZSLT (Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana) ha

permesso di correlare il valore di Aw con un contenuto di umidità del 14%, ottimale per potere offrire

sul mercato un prodotto che garantisce la sicurezza alimentare, mantiene importanti caratteristiche di

freschezza e gradevoli caratteristiche organolettiche (Brajon et al., 2014).

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Si è però molto restii nel produrre polline con un valore così alto di umidità, che rappresenta il valore

limite di acqua sufficiente per lo sviluppo dei microrganismi.

Al fine di prevenire un’eventuale fermentazione,

riscontrata in prodotti con un contenuto di umidità

del 13,5%, si consiglia di utilizzare un contenuto di

acqua tra il 9 e il 10%.

La termobilancia (Figura 28) è uno degli strumenti

con cui si può misurare l’umidità del polline: essa è

dotata di una lampada alogena con cui essicca il

prodotto e, calcolando la differenza tra il peso del

campione fresco e quello essiccato, rileva il

contenuto di acqua (principio termogravimetrico).

Figura 28 – Termobilancia (Foto Aspromiele).

5.1.2 CARBOIDRATI

I carboidrati rappresentano uno dei principali componenti del polline; come anticipato

precedentemente, sono presenti in una percentuale che varia dal 13 a 55% e sono per lo più

rappresentati da polisaccaridi quali amido e materiale che compone la parete cellulare.

In generale, il contenuto di carboidrati viene calcolato sottraendo a 100 la somma del contenuto di

acqua, lipidi e proteine. Il risultato è un valore maggiore di quello ottenuto con metodi analitici (GC e

HPLC); la causa di ciò e che una parte dei carboidrati è composta da fibre e materiale delle pareti

cellulari difficilmente determinabili con metodi chimici, ma determinabili attraverso il calcolo (Campos

et al., 2008).

In generale il polline contiene una grande quantità di zuccheri riducenti a causa della presenza di miele

o nettare nel liquido che unisce tra loro le pallottole di polline (Dominguez et al., 2011).

Circa il 90% degli zuccheri semplici è composto da fruttosio, glucosio e saccarosio (Campos et al., 2008).

Dominguez et al. (2011) hanno analizzato e confrontato il contenuto di carboidrati di un polline di

millefiori e di un polline uniflorale notando differenze nel contenuto degli zuccheri semplici: il polline

uniflorale risultava essere più ricco in fruttosio e glucosio (rispettivamente 23,78% e 26,86% su peso

secco) rispetto a quello di millefiori (rispettivamente 19,88% e 22,47% su peso secco), tuttavia essi

contenevano una percentuale simile di carboidrati.

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Roulston et al. (2000) hanno quantificato il contenuto di amido in 89 pollini diversi ottenendo valori di

concentrazione compresi tra 0% e 22% calcolati sul peso secco.

Tra i pollini analizzati, i più ricchi in amido erano quelli di Typha latifolia (22,3%), Zea mays (20,1%),

Salix sp (12,3%) e Plantago lanceolata (11,1%), mentre 41 degli 89 pollini hanno un contenuto di amido

inferiore all’1% (Roulston et al., 2000).

Si è dimostrato come il contenuto di zuccheri semplici e disaccaridi presentasse valori intorno al 40%,

calcolato sul peso secco del polline. Il 45% di essi era rappresentato da fruttosio, il 34% da glucosio, il

15% da saccarosio e il 5% da maltosio; il restante 1% era composto da furanosio e isomaltosio. Gli

zuccheri semplici costituivano la frazione più grande dei carboidrati; il loro contenuto medio variava

tra il 29,46 e il 31,55% (Szczesna et al., 2002) .

Il contenuto di zuccheri semplici nel polline varia non solo in funzione del momento della raccolta e

dell’origine botanica, ma anche a seconda della disponibilità di nettare e miele e altre materie prime,

usati dalle api per formare la pallottola di polline (Szczesna et al., 2002).

Szczesna et al. (2002) dimostrano come nel polline si verifichi una variazione del tenore zuccherino nel

corso dell’anno: quello raccolto all’inizio (maggio) e alla fine della stagione (tra luglio e la metà di

agosto) era caratterizzato da una maggiore concentrazione di zuccheri (Figura 29).

Anche il rapporto tra fruttosio e glucosio non era costante, ma si modificava durante la stagione di

raccolta (Figura 30). Dai dati relativi agli anni 1999 e 2000 si deduce che, all’inizio di maggio, fruttosio

e glucosio erano presenti in simili percentuali, mentre nella seconda e terza decade di maggio si notava

un incremento del valore di rapporto fruttosio-glucosio (fino a 1,66), dovuto probabilmente alla

fioritura della robinia (R. pseudoacacia), il cui nettare ricco di fruttosio veniva aggiunto dalle api alle

pallottole di polline. Il valore di tale rapporto cresceva addirittura fino a 2,51 nel periodo che andava

dalla terza decade di giugno alla prima decade di luglio 1999.

Il contenuto totale di zuccheri, che include quello degli zuccheri semplici (fruttosio e glucosio), può

essere utilizzato come indice di qualità (Szczesna et al., 2002).

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Figura 29 – Contenuto medio di glucosio e fruttosio di polline raccolto tra i mesi di maggio ed agosto degli

anni 1999 e 2000 (Szczesna et al., 2002).

Figura 30 – Rapporto di fruttosio/glucosio di polline raccolto tra i mesi di maggio ed agosto degli anni 1999 e

2000 (Szczesna et al., 2002).

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5.1.3 PROTEINE E AMMINOACIDI

Il contenuto in proteine e amminoacidi presenta notevoli variazioni in base all’origine botanica.

Come analizzato da alcuni, il polline di diverse specie botaniche può variare significativamente nel

contenuto proteico, con valori minimi nel cipresso (Cupressus arizonica), pari al 2,3% e massimi in

Dodecatheon clevelandii (Primulaceae), pari al 61,7% (Roulston et al., 2000).

L’analisi di diverse specie botaniche condotta da Szczesna (2006) su alcuni pollini uniflorali conferma

che il contenuto proteico dipende dall’origine floreale: i polline provenienti da piante appartenenti alla

famiglia delle Brassicaceae (Brassica, Sinapi arvensis, Sinapis alba) e da Chelidonium maius sono

caratterizzati da un maggior contenuto di proteine e amminoacidi rispetto a quelli di Artemisia e

Polygonum bistorta.

Mediamente, il polline delle piante entomofile non sembra essere più ricco in proteine rispetto al

polline di quelle anemofile.

La frazione proteica del polline sembra essere più alta di quella presente i altri cibi come le uova (12,8

g in 100g) o carne di maiale (14,2 g in 100 g) (Dominguez et al., 2011).

Soltanto circa un decimo del contenuto totale di proteine è costituito da amminoacidi liberi (Bogdanov,

2012; Campos et al., 2008).

Generalmente ci sono poche differenze qualitative nella composizione amminoacidica dei diversi tipi

di polline e la maggior parte di essi contiene tutti quelli essenziali (Keller et al., 2005).

La concentrazione di amminoacidi essenziali rispetto al totale degli amminoacidi è relativamente

stabile e non dipende dall’origine botanica.

Si riporta che molti pollini contenevano tutti i comuni amminoacidi, ma in alcuni di essi si verificava

una mancanza di fenilalanina, triptofano, idrossiprolina, tirosina e acido aminobutirico. Triptofano e

fenilalanina sono amminoacidi essenziali (Roulston et al., 2000).

Le api necessitano di dieci amminoacidi essenziali per il loro completo sviluppo.

Il polline appartenente a piante selvatiche, in particolare Sinapi arvensis, Sinapis alba e Chelidonium

maius è una fonte importante di proteine e amminoacidi per le api e per l’uomo (Szczesna, 2006).

I risultati ottenuti dallo studio di Szczesna (2006) concordano con quelli di Roulston et al. (2000): ben

17 amminoacidi potevano essere presenti nel polline. Prolina, acido aspartico, acido glutammico, lisina

e leucina componevano il 55% del totale degli amminoacidi.

La prolina è spesso la più abbondante tra gli amminoacidi liberi, raggiungendo anche l’1-2% del peso

del granulo pollinico. Dai dati ricavati da Szczesna (2006), l’acido aspartico era presente in una

concentrazione media (espressa rispetto alla sostanza secca) pari a 22,49 mg/g, l’acido glutammico

aveva una concentrazione media di 23,16 mg/g, la prolina di 21,93 mg/g (Tabella 11).

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Uno studio riportato da Keller et al. (2005) ha rilevato che il contenuto proteico del polline variava nel

tempo: da generalmente basso all’inizio della primavera, raggiungeva un massimo del 25-30% nel mese

di maggio. La percentuale poteva abbassarsi a giugno, ma i valori di contenuto proteico restavano

costanti intorno al 20%; il valore medio annuale di contenuto proteico era dunque intorno al 20%.

Alcuni ricercatori hanno indagato il contenuto proteico di polline raccolto in Argentina, appartenente

a diverse specie botaniche che si sviluppano nel corso dell’intero anno, dimostrando come, in generale,

esso avesse concentrazioni intorno al 20% (Tabella 12) (Andrada et al., 2005).

Il contenuto proteico è ottenuto attraverso il metodo Kjeldahl che ricava il contenuto di azoto proteico

e lo moltiplica per un fattore di conversione pari a 6,25 o 5,6. Si suggerisce di utilizzare, per il polline,

un fattore pari a 5,6 (Bogdanov, 2014).

Tabella 11 – Composizione amminoacidica media del polline ricavata da diverse origini botaniche

(Szczesna, 2006).

AMMINOACIDO COMPOSIZIONE MEDIA (mg/g di sostanza secca)

Acido aspartico 22,49

Treonina 9,16

Serina 10,46

Acido glutammico 23,16

Prolina 21,93

Glicina 9,48

Alanina 10,77

Valina 9,63

Metionina 3,27

Isoleucina 8,14

Leucina 16,27

Tirosina 4,61

Fenilalanina 9,14

Istidina 5,14

Lisina 14,54

Arginina 8,74

Infine, alcuni autori hanno rilevato la presenza, in tutti i campioni di polline analizzati, sia fresco che

processato, di acido gamma-amminobutirrico (GABA) in concentrazione tra 0,26 e 0,69 mg/g di

sostanza secca (Dominguez et al., 2011). Il GABA è un amminoacido non proteico ampliamente diffuso

in natura; ha diverse funzioni fisiologiche come la neurotrasmissione, induzione di effetti iposensitivi

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e diuretici ed effetti tranquillanti. È anche un potente secretore di insulina dal pancreas e può prevenire

efficacemente le condizioni di insorgenza del diabete (Dominguez et al., 2011).

Tabella 12 – Composizione proteica del polline appartenente a diverse origini botaniche (Andrada et al., 2005).

5.1.4 LIPIDI

La composizione lipidica del polline dipende nuovamente dalla sua origine botanica ed è mediamente

presente in una proporzione che va dall’1 al 13%.

La frazione grassa è rappresentata principalmente da grassi polari e neutri (mono, di e trigliceridi) e da

acidi grassi, steroli e idrocarburi.

Gli acidi grassi maggiormente presenti sono: acido linolenico, palmitico, linoleico e oleico. Il 70% degli

acidi grassi è rappresentato da quelli insaturi; una percentuale di questi ultimi che va dal 19 al 56% è

composta dall’acido oleico, linoleico, arachidonico e palmitico.

Il 3% del totale dei lipidi è composto da acidi grassi liberi e la metà di questi è composta dai tre acidi

grassi insaturi oleico, linoleico (omega-6) e linolenico (omega-3); la maggior parte dei pollini è ricca in

acidi grassi insaturi, ma ci sono eccezioni come nel caso del polline di girasole (Bogdanov, 2014). C’è

concordanza sul fatto che acidi grassi saturi maggiormente presenti siano il miristico (C14), il palmitico

(C16) e lo stearico (C18), mentre tra gli insaturi dominano l’acido oleico, linoleico e alfa-linolenico

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(Bogdanov, 2014). L’acido alfa-linolenico è il principale tra gli insaturi e la sua concentrazione nei

diversi tipi di polline varia ampliamente, da 0,1 a 4 g in 100 g di polline; si tratta di un omega-3 presente,

quindi, in alta concentrazione (il polline ne contiene molto di più che altre cibi di origine vegetale).

I campioni di polline liofilizzato analizzati da Dominguez et al. (2011) presentavano concentrazioni di

acidi grassi più elevate (rispetto al prodotto fresco) a causa della maggior facilità di estrazione dei lipidi

quando i campioni subiscono tale trattamento (Tabella 13). Sia nel polline di millefiori che in quello

uniflorale si rilevava una dominanza dell’acido oleico, seguito dal palmitico.

Tabella 13 – Composizione in acidi grassi di pollini liofilizzati espressa in percentuale (Dominguez et al., 2011).

Pare che il pollenkitt di piante entomofile presenti una maggior concentrazione di lipidi rispetto a

quello di piante anemofile, probabilmente perché i profumi nel pollenkitt attraggono gli insetti

impollinatori (i grassi del pollenkitt sono utili perché il polline si attacchi al corpo dell’impollinatore),

anche se gli studi riportano risultati contrastanti.

Steroli e monoterpeni sono presenti in concentrazione minore, rispettivamente tra lo 0,1 e lo 0,4% e

lo 0,1 e lo 0,2%. Alcuni tra gli steroli riscontrabili nel polline sono: beta estradiolo, beta sistosterolo,

stigmasterolo e fucosterolo.

Gli steroli più impotanti per le api sono il colesterolo e il 24-metilene colesterolo (Roulston et al., 2000).

Il polline di castagno contiene maggiormente betasitosterolo (111 mg/100 g) e brassicasterolo (46,5

mg/100 g) (Bogdanov, 2014).

A differenza dei vertebrati, in grado di sintetizzare gli steroli, gli insetti necessitano della loro

assunzione tramite la dieta al fine di produrre determinati ormoni come l’ecdisone.

Gli steroli potrebbero anche avere la funzione di attrarre gli impollinatori (Roulston et al., 2000).

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5.1.5 VITAMINE E CAROTENOIDI

Il polline presenta un gran numero di vitamine in quantità tali da avere un significativo contributo

nutrizionale; in particolare si evidenzia il contenuto di provitamina A, vitamina E (tocoferolo), niacina

(vit. B3), tiammina (vit. B1), acido folico e biotina (vit. H) (Tabella 14).

Come per gli altri componenti, si verificano differenze nel contenuto vitaminico in base all’origine

botanica del polline.

Il contenuto di carotenoidi dipende sempre dall’origine botanica ma è significativo, in particolare

quello di beta-carotene che rappresenta circa il 17% del totale di questi composti.

Il polline di cisto francese contiene una quantità venti volte superiore di carotenoidi rispetto a quello

di castagno (Bogdanov, 2014).

Il contenuto in vitamina A, acido pantotenico, acido folico e biotina è molto elevato, se paragonato a

frutta e verdura particolarmente ricche di vitamine.

E’ legittimo ipotizzare un’attività notevole della vitamina E: 100 g di polline di cisto contengono 31 mg

di vitamina E che corrispondono al 258% della RDA, cioè circa il 40% della RDA in un cucchiaio di 15 g

(Percie Du Sert, 2003).

La vitamina D non coniugata e i suoi metaboliti sono stati analizzati nel polline di Pinus nigra Ar. e Pinus

sylvestris L.; è stata riscontrata una concentrazione di vitamina sottoforma di vitamina D2 e D3 di circa

2 µg/10 g (Bogdanov, 2014).

Tabella 14 – Composizione in vitamine del polline (Bogdanov, 2014).

VITAMINA COMPOSIZIONE MEDIA (mg/100 g)

Acido ascorbico (vit. C) 7 – 56

Beta-carotene (provitamina A) 1 – 20

Tocoferolo (vit. E) 4 – 32

Niacina (vit. B3) 4 – 14,4

Piridossina (vit. B6) 0,2 – 0,7

Tiamina (vit. B1) 0,6 – 1,3

Riboflavina (vit. B2) 0,6 – 2,6

Acido pantotenico (vit. B5) 0,5 – 2

Acido folico (vit. B9) 0,3 – 1

Biotina (vit. H) 0,05 – 0,07

Il polline contiene betacarotene che l’organismo trasforma in vitamina A; il betacarotene rappresenta

al massimo il 17% dei carotenoidi del polline (Piercie Du Sert, 2002).

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Come rilevato nello studio di Dominguez et al. (2011), il contenuto totale di carotenoidi era maggiore

nel polline di millefiori rispetto a quello uniflorale. L’origine botanica ne influenzava decisamente la

quantità: il beta-carotene era presente nel polline di millefiori, ma non in quello uniflorale. In seguito

alle analisi, si osservava che luteina era il carotenoide predominante in entrambi i tipi di polline.

La vitamina B2 ha un ruolo importante nella respirazione cellulare, nel metabolismo delle proteine, dei

grassi, dei carboidrati e delle altre vitamine B (B6, B9, B12); essa è stabile ai trattamenti di

trasformazione e alla conservazione, ma è molto sensibile alla luce (Margaoan et al., 2010).

L’assunzione di beta-carotene è importante per la vista, la crescita delle ossa e la riproduzione; una

dieta ricca di carotenoidi diminuisce il rischio di insorgenza di alcuni tipi di cancro.

5.1.6 FLAVONOIDI

I flavonoidi sono sostanze polifenoliche responsabili del colore giallo, rosa, rosso, viola e blu e del

sapore amaro che conferiscono.

La quantità e la natura dei polifenoli variano completamente da una specie floreale all’altra (Percie Du

Sert, 2002).

Bogdanov (2012) riporta alcuni valori di concentrazione dei flavonoidi nel polline, con differenze

causate dalla diversa origine botanica dei campioni analizzati. In uno studio la concentrazione variava

da 1293 mg/100 g a 8243 mg/100 g mentre nel secondo variava da 530 mg/100 g a 3258 mg/100 g.

La rutina sembra essere il principale flavonoide (Bogdanov, 2014).

Dominguez et al. (2011), hanno invece riscontrato un contenuto maggiore di quercetina-3-rutinoside,

specialmente nel polline di millefiori.

Il polline di cisto contiene 16 flavonoidi diversi:

flavonoide aglicone-miricetina;

isoramnetina;

isoramnetina 3-glucoside;

isoramnetina 3-xilosil glucoside;

kaempferolo.

kaempferolo 3-glucoside;

kaempferolo 3-rutinoside;

miricetina 3-glucoside;

miricetina 3-rutinoside;

quercetina;

quercetina 3-galattoside 7-ramnoside;

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quercetina 3-glucoside;

quercetina 3-ramnosil galattoside;

quercetina 3-rutinoside;

quercetina 3-sophoroside;

quercetina 3-xilosil glucoside;

Poiché i composti principali sono tre glucosidi e tre rutinosidi di miricetina e quercetina, insieme a tre

glucosidi di isoramnetina, la somma di questi costituenti rappresenta circa 123 mg/100 g di polline di

cisto, di cui 29 mg ± 7,98 mg/100 g di rutina e 6,6 mg ± 1,96 mg/100 g di quercetina (Percie Du Sert,

2002).

Le funzioni principali dei flavonoidi sono l’azione antiossidante e quella fito-estrogenica. Quercetina e

rutina hanno, secondo alcuni studi, proprietà antitumorali.

Si suggerisce di assumere quotidianamente tra i 200 e i 1000 mg di flavonoidi, infatti molti studi

riportano quanto queste molecole abbiano potere antiossidante e contrastino l’azione dei radicali

liberi.

I polifenoli hanno anche proprietà chelanti sui metalli; studi epidemiologici dimostrano la correlazione

tra il consumo di antiossidanti fenolici e la riduzione del rischio di malattie cardiovascolari e di alcune

tipologie di cancro (Margaoan et al., 2010).

5.1.7 SALI MINERALI

In base all’origine botanica e al periodo dell’anno, nel polline si riscontrano significative variazioni nel

contenuto dei minerali. Il principale di essi è il potassio (circa il 60% dei minerali totali); il magnesio

rappresenta il 20% e calcio e sodio il 10% del contenuto totale (Campos et al., 2008) (Tabella 15).

Soltanto zinco e rame sembrano avere una concentrazione piuttosto costante nel tempo.

Il contenuto di sodio del polline è relativamente basso; sono stati ottenuti dei valori tra i 28 e i 93

mg/100 g (Bogdanov, 2014).

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Tabella 15 – Sali minerali presenti nel polline (Bogdanov, 2014).

MINERALI COMPOSIZIONE MEDIA (mg/100 g)

Potassio (K) 400 – 2000

Fosforo (P) 80 – 600

Calcio (Ca) 20 – 300

Magnesio (Mg) 20 – 300

Zinco (Zn) 3 – 25

Manganese (Mn) 2 – 11

Ferro (Fe) 1,1 – 17

Rame (Cu) 0,2 – 1,6

Selenio (Se) 0,05 – 0,005

5.1.8 FIBRA

Il contenuto di fibra grezza è composto amido e polisaccaridi insolubili come callosio, pectina, cellulosa

e sporopollenina; esso varia considerabilmente sia a causa dell’origine botanica che del metodo di

determinazione utilizzato. Uno studio svizzero riportava valori, ottenuti dai diversi pollini in vendita,

tra i 10 e i 13 g/100 g mentre, nel polline proveniente dalla Francia, il contenuto di fibra variava tra 9,2

e 14,4 g/100 g (Bogdanov, 2014).

Le fibre del polline hanno un rapporto ideale tra fibre solubili e insolubili: 0,33 nel cisto, 0,38 nel

castagno, 0,57 nel salice. La dose giornaliera consigliata è di 20 g al giorno; 30 g di polline forniscono il

20-25% della quantità consigliata (Percie Du Sert, 2002).

5.1.9 CONTENUTO CALORICO

Analizzando 100 diverse specie di polline raccolto a mano, è stato messo in evidenza che il valore

calorico del polline variava dalle 3,635 kcal/g di Broussonetia papyrifera (Moraceae) alle 6,75 kcal/g di

Ambrosia chamissonis (Asteraceae) (Roulston et al., 2000).

I valori non corrispondono alle calorie assimilabili perché includono quelle appartenenti alle porzioni

poco digeribili del granulo pollinico, come la parete cellulare (Roulston et al., 2000). Cellulosa e

sporopollenina compongono tra il 7 e il 23% del peso del granulo pollinico. La prima varia tra l’1 e il

10%, la seconda tra il 4 e il 22%.

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Diventa quindi interessante stimare il valore calorico del polline escludendo quello della

sporopollenina. Alcuni autori hanno calcolato le calorie attribuibili alla sporopollenina: esse variavano

tra il 4% e il 42% delle calorie totali per grammo (Roulston et al., 2000).

Il valore calorico medio per 100 g di polline è approssimativamente di 246 kcal.

Nella tabella nutrizionale (Tabella 16) sono elencati i nutrienti presenti nel polline con la relativa dose

giornaliera raccomandata. Una quantità pari a 15 g di polline al giorno, permette di assumere buone

quantità di proteine, alcuni sali minerali e vitamine, in particolare tocoferolo e beta-carotene.

Si ricorda che i valori variano ampliamente a causa dell’origine botanica del prodotto.

Tabella 16 – Composizione nutrizionale del polline e dose giornaliera raccomandata (Required Daily Intake)

(Campos et al., 2010).

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5.2 COLORE

Il colore del polline è dovuto al suo contento di pigmenti, raggruppabili in due classi: flavonoidi e

carotenoidi. Una delle funzioni principali dei pigmenti è quella di attrarre visivamente gli insetti

impollinatori.

Il colore delle pallottole dipende dalla specie botanica che viene bottinata quindi permette

all’apicoltore e al consumatore di capire l’origine botanica del prodotto.

Molti tra i fitosteroli, i carotenoidi, i polifenoli, gli amminoacidi, i coenzimi, le vitamine e pigmenti sono

composti fluorescenti, ovvero emettono luce nella regione UV-visibile (Figura 31).

Figura 31 - Spettri di emissione di fluorescenza dei tre pollini monoflorali (Cistus, Rubus e Castanea) ottenuti

con una lunghezza d’onda di eccitazione 350 nm (www.teatronaturale.it).

Il colore del polline delle antere dei fiori non è necessariamente conservato nella pallottola formata

dall’ape. Questo aspetto è stato notato analizzando campioni di polline raccolto dalle api, proviene

dalla medesima specie. L’ape, infatti, durante la formazione della pallottola di polline, addiziona

sostanze tra cui nettare di origine diversa e questo determina variabilità di colore nel polline raccolto

da una stessa specie botanica (Figura 32 e 33).

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ee

Figura 32 – Colori di alcuni tipi di polline con relativo colore predominante di ciascuno di essi (*)

(Hidalgo-Berutich et al., 1990).

Figura 33 – Polline di vite e papavero di diverse tonalità di colore (Foto Aspromiele).

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5.3 pH

Il pH del polline varia mediamente tra 4 e 6. Il nettare e il miele, utilizzati dall’ape durante la formazione

della pallottola di polline, contengono acidi organici che sono i responsabili del suo pH.

Come l’Aw, anche il pH basso inibisce la presenza e la crescita dei microrganismi e rende il polline

compatibile con molti prodotti alimentari; è un parametro di grande importanza, specialmente

durante la conservazione del polline e influenza la sua texture, la stabilità e la shelf life (Feas et al.,

2012).

I campioni di polline analizzati da Estevinho et al. (2012) avevano valori di pH che variavano tra 4,33 e

6,33.

Altri autori hanno analizzato campioni provenienti dal Portogallo, costituiti dalla miscela di pollini

provenienti da 9 famiglie botaniche, i cui valori di pH variavano tra 4,3 e 5,2 (Feas et al., 2012).

Le analisi del pH condotte dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana su

campioni di polline fresco (pH 4,9), deumidificato (pH 5,3), dopo 90 giorni di stoccaggio (pH 5,2) e

prima del confezionamento (pH 4,6) rientravano nei limiti riportati in letteratura (Brajon et al., 2014).

5.4 ASPETTO MICROBIOLOGICO

Il polline fresco è un ottimo substrato per lo sviluppo dei microrganismi.

Purtroppo non esiste ancora una regolamentazione internazionale con parametri specifici per la

qualità microbiologica del polline.

E’ importante controllare la qualità microbiologica del polline, specialmente l’assenza di germi

patogeni e muffe seguendo la legislazione applicata per il cibo (Campos et al., 2008).

In Tabella 17 sono rappresentati i requisiti microbiologici previsti per il polline. I limiti devono essere

rispettati per offrire al consumatore un prodotto sicuro dal punto di vista igienico-sanitario.

Lo sviluppo di microrganismi in grado di produrre fermentazione e micotossine deve essere

assolutamente evitato. Ciò viene fatto attraverso il congelamento post-raccolta e la successiva

deumidificazione del prodotto, che potrà essere quindi conservato a temperatura ambiente. Se il

polline venisse conservato senza subire questi processi di lavorazione, i funghi troverebbero un

ambiente idoneo alla proliferazione e alla produzione di micotossine pericolose (anche cancerogene)

per l’uomo.

Il polline essiccato possiede un pH medio di 5 ed un Aw di circa 0,6, valori che inibiscono lo sviluppo

della maggior parte dei batteri, compresi quelli patogeni per l’uomo; muffe e lieviti riescono invece a

sopravvivere anche a minori valori di Aw e a pH acido.

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Tabella 17 – Requisiti microbiologici del polline secondo gli standard igienici in UE (Campos et al., 2008).

ANALISI MICROBIOLOGICA LIMITI DI CARICA

Salmonella Assente in 10 g

Staphyloccoccus aureus Assente in 1 g

Enterobacteriaceae < 100 ufc/g

Escherichia coli Assente in 1 g

Conta aerobia totale < 100.000 ufc/g

Muffe e lieviti < 50.000 ufc/g

Le Enterobacteriaceae sono un gruppo di batteri che possono provenire da diversi ambienti tra cui

l’intestino umano e quello degli animali, il suolo, il materiale di origine vegetale e di ambiente marino;

si tratta sia di batteri patogeni che non che indicano quindi contaminazione ambientale, ma non

necessariamente di origine fecale.

Staphyloccoccus aureus è microrganismo comunemente presente sulla cute e sulle membrane mucose

delle persone; tuttavia, può presentare ceppi patogeni per l’uomo, a causa della produzione di

enterotossine in grado di determinare tossinfezioni.

Escherichia coli è un coliforme con ceppi patogeni che possono o meno produrre tossine; Salmonella

può causare gastroenteriti (salmonellosi) se ingerita in cariche elevate (oltre 10⁴ ufc/g) e presenta

ceppi patogeni.

La contaminazione microbica del polline può essere attribuita a vari fattori e sorgenti come il tempo

meteorologico, materiale di origine vegetale, insetti (come le api stesse) e altri animali, attività umana

e agricoltura e sembrerebbe che le api siano la principale sorgente e/o vettore della contaminazione

del polline (Belhadj et al., 2012).

Le contaminazioni, tra qui quelle biologiche, possono essere limitate o evitate tramite l’uso di buone

pratiche di lavorazione e buone prassi igieniche (GMP e GHP).

Valori di cariche bassi relativi a muffe e lieviti indicano una buona gestione dell’apiario (Estevinho et

al., 2012).

Il polline andrebbe raccolto il più frequentemente possibile per limitare maggiormente il contatto con

l’umidità ambientale e le contaminazioni ambientali e dall’alveare.

Diversi studi sono stati condotti sui microrganismi presenti nell’ingluvie delle api e nel polline, al fine

di capire anche il processo che trasforma il polline nel così detto pane d’api.

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Secondo alcuni, nel polline vi erano tre generi microbici (Lattobacillus, Pseudomonas e Saccharomyces)

con un ruolo importante nei cambiamenti del polline durante la conservazione (Gilliam, 1979).

Il genere Lattobacillus produceva una fermentazione lattica che incrementa l’acidità del prodotto

stabilizzandolo; il genere Pseudomonas probabilmente degradava la parete dei granuli pollinici e si

sviluppava rapidamente non appena il polline veniva depositato nelle cellette dalle api, per poi

scomparire quasi completamente dopo due o tre giorni (Gilliam, 1979).

Il pane d’api è prodotto mediante una fermentazione lattica, condotta probabilmente da

microrganismi come batteri o lieviti o entrambi (Vasquez e Olofssos, 2009). Polline e pane d’api sono

stabilizzati dai microrganismi che producono anche composti antimicrobici, enzimi, vitamine, acidi

organici e lipidi.

La conversione del polline in pane d’api necessita sia della presenza di batteri lattici che di lieviti, ma

in particolare di questi ultimi (Gilliam, 1997; Gilliam, 1979).

Gilliam (1979) ha individuato nel polline e nel pane d’api sette generi di lieviti tra cui Cryptococcus,

Kloeckera, Candida, Rhodotorula, Torulopsis, Hansenula; a causa del pH di polline e pane d’api che

variava tra 4,2 e 4,5, si creava un ambiente favorevole alla loro crescita. La fermentazione che

trasforma il polline in pane d’api era condotta in circa due settimane: grazie ad essa il prodotto non si

degrada per diversi mesi per via dell’alto contenuto di acido lattico e di altri metaboliti che lo

preservano dalle alterazioni operate da microrganismi alteranti.

Vasquez e Olofssos (2009) hanno identificato biotipi appartenenti ai generi Lactobacillus e

Bifidobacterium: su dodici biotipi descritti, otto (equivalenti al 67%) sono stati individuati nel polline,

di cui sei appartenenti al genere Lactobacillus e due al genere Bifidobacterium.

I generi Lactobacillus e Bifidobacterium sono coinvolti nel processo di fermentazione dal momento che

sono presenti nell’ingluvie dell’ape da cui proviene il nettare utilizzato durante la formazione delle

pallottole di polline. Quando le api producono il pane d’api, polline, nettare e secrezioni salivarie

vengono miscelati e molto probabilmente i batteri lattici provenienti dall’ingluvie sono addizionati

tramite il nettare. La presenza dei due generi di batteri lattici, provenienti dall’ingluvie dell’ape, sia nel

polline che nel pane d’api, mostra quanto essi siano importanti per la salute delle api, per la produzione

del miele e per prevenire l’alterazione del pane d’api stoccato nell’alveare (Vasquez e Olofssos, 2009).

Un altro recente studio ha analizzato la presenza dei batteri lattici nel polline, prelevando 567 isolati

di batteri lattici che sono stati successivamente testati per le loro attività di antagonisti contro batteri

patogeni gram positivi e gram negativi. Nel lavoro sono state caratterizzate le seguenti specie:

Lactobacillus plantarum, Lactobacillus fermentum, Lactococcus lactis, Pediococcus acidilactici,

Pediococcus pentosaceus; altri lattobacilli non sono stati caratterizzati (Belhadj et al., 2013).

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E’ risaputo che la presenza dei lattobacilli è importante per l’equilibrio dell’ecosistema batterico

intestinale; questi hanno dimostrato di possedere attività antimicrobica inibendo la crescita di batteri

patogeni come Listeria monocytogenes, E. coli e Salmonella spp. (Belhadj et al., 2013).

Gli studi di ricerca sull’aspetto microbiologico del polline, in particolare sui batteri lattici, sono di

grande importanza per avvalorare la tesi che il polline può essere utilizzato dall’uomo anche per

l’attività antimicrobica che svolge.

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6. CONTAMINANTI NEL POLLINE

6.1 INFESTANTI E IMPURITA’

Le pratiche di vagliatura rivestono una notevole importanza al fine di eliminare gli infestanti e le

impurità presenti nel polline già alla raccolta o subentrati nelle fasi di lavorazione successive.

Nel cassettino delle trappole si possono ritrovare api e parti del loro corpo, insetti ed acari sia vivi che

morti, porzioni di vegetali, frammenti di cera e covata calcificata.

Gli insetti che entrano in contatto con l’alveare (specie nemiche o commensali dell’ape, oppure

pollinifaghe, oppure frequentatrici degli organi florali) possono cadere nei cassetti di raccolta del

polline (specialmente qualora si trovino al fondo dell’arnia) o essere inglobati nelle pallottole di polline.

Nelle fasi di conservazione in magazzino, il prodotto può subire infestazioni da parte di alcuni insetti

tra cui il coleottero Oryzaephilus surinamensis, il lepidottero Plodia interpunctella e la tarma della cera.

Oltre alla presenza di infestanti è necessario considerare la possibile presenza di contaminazioni di tipo

fisico provenienti dalle trappole utilizzate per la raccolta, in particolare dalle parti metalliche.

E’ consigliabile dunque, durante la fase di vagliatura, utilizzare appositi strumenti per la rilevazione

l’eliminazione anche dei più piccoli frammenti metallici.

Per evitare lo sviluppo delle muffe ed impedire l’insediamento di insetti artropodi pollinifagi è

necessario svuotare i cassetti delle trappole ogni due o tre giorni, nel caso in cui tale operazione non

possa essere compiuta quotidianamente.

In generale, l’apicoltore deve mettere in pratica le buone pratiche di lavorazione al fine di prevenire e

ridurre le contaminazioni nel prodotto.

6.2 METALLI PESANTI ED ELEMENTI RADIOATTIVI

I metalli pesanti derivano dall’ambiente circostante e dall’agricoltura intensiva.

Il polline è soggetto alla contaminazione da parte di elementi inorganici e dovrebbe essere monitorato

al fine di garantire la sicurezza dei consumatori; essendo sensibile all’inquinamento ambientale può

essere utilizzato in qualità di bioindicatore (Morgano et al., 2010).

Il contenuto di metalli pesanti presenti nel polline non deve eccedere i limiti descritti in Tabella 18.

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Tabella 18 – Limiti massimi di metalli pesanti ed elementi radioattivi nel polline (Campos et al., 2008).

CONTAMINANTI LIMITI MASSIMI (mg/kg)

Piombo (Pb) 0,5

Arsenico 0,5

Mercurio (Hg) 0,01

Cadmio (Cd) 0,03

Il Cadmio, utilizzato nell’industria delle materie plastiche, delle vernici e dei carburanti, può

contaminare gli alimenti e le coltivazioni; il piombo è un inquinante dell’aria, dell’acqua, del suolo e

quindi anche degli alimenti dal momento che possono essere inquinati dall’ambiente, dai processi di

lavorazione o dalla permanenza in contenitori metallici costituiti da questo elemento (Sicheri e

Borsarelli, 2004).

La concentrazione di Cadmio nell’aria cresce dalle zone rurali a quelle industrializzate; nel polline

raccolto in alveari distanti circa 50 m da un’area urbana con alta densità di traffico, sono stati

riscontrati valori alti di questo elemento pari a 2,1 mg/kg (Morgano et al., 2010).

L’ Arsenico può essere presente nel suolo, nelle rocce, nelle acque e nell’aria; composti a base di questo

elemento sono anche utilizzati in agricoltura.

Il Mercurio, utilizzato da diverse industrie, inquina soprattutto le acque e l’atmosfera andando a

contaminare la catena alimentare; il Bario è utilizzato largamente dall’industria del vetro, della

ceramica, degli autoveicoli e si trova in insetticidi e nelle emissioni dei veicoli.

Il Nichel è presente in molte leghe metalliche, tra cui quelle usate per fabbricare le pentole, le posate

e i contenitori per alimenti in scatola, perciò residui di questo metallo si possono trovare in quasi tutti

gli alimenti creando situazioni di pericolo per le persone allergiche a questo elemento (Sicheri e

Borsarelli, 2004).

Cromo, Cobalto e Antimonio sono altri elementi presenti nel suolo e nell’aria, presenti in maggior

concentrazione nelle aree ad alta concentrazione industriale.

Morgano et al. (2010) hanno condotto uno studio per valutare la presenza di dieci contaminanti

inorganici, in particolare metalli pesanti, in 43 campioni di polline raccolto in Brasile tra il 2007 e il 2008

(Tabella 19).

Tutti i campioni analizzati contenevano Alluminio, Nichel e Bario; il 60% di essi conteneva Arsenico e il

30% di questi, ossia 8 campioni, ne conteneva una concentrazione superiore al limite di legge brasiliano

usato per cibi e bevande (1,00 mg/kg). Il Cadmio risultava presente nel 79% dei campioni, ma in

concentrazione minore di 1,00 mg/kg; il Cobalto è stato rilevato nell’89% dei campioni, il Cromo nel

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93% dei campioni. Tra questi ultimi, ben il 74% (32 campioni) risultava presente in concentrazioni

superiori ai limiti di legge stabiliti in Brasile per il Cromo negli alimenti (0,10 mg/kg). Il Piombo è stato

rilevato nel 63% dei campioni, l’Antimonio nel 58% e il Mercurio nel 35% dei campioni.

In generale, lo studio ha riscontrato livelli di contaminazione maggiore nei campioni prodotti in

postazioni situate nelle aree urbane; livelli inferiori si sono riscontrati nei campioni provenienti dalle

zone rurali.

Inoltre, una maggiore concentrazione di Alluminio, Cadmio, Cobalto e Piombo era registrata nei mesi

più asciutti (da luglio ad ottobre).

Tabella 19 – Metalli pesanti rilevati nei campioni di polline e loro concentrazioni (Morgano et al., 2010).

CONTAMINANTI CONCENTRAZIONE

minima e massima (mg/kg)

Alluminio (Al) 10,4 – 314,9

Arsenico (As) <0,01 – 1,83

Bario (Ba) 0,32 – 17,63

Cadmio (Cd) <0,001 – 0,233

Cobalto (Co) <0,01 – 1,22

Cromo (Cr) <0,01 – 2,32

Nichel (Ni) 0,10 – 6,85

Piombo (Pb) <0,01 – 0,44

Antimonio (Sb) <0,035 – 1,33

Mercurio (Hg) <0,0004 – 0,0068

I radionuclidi sono atomi che emettono radiazioni nocive per la salute dell’uomo. I radionuclidi si

formano dalle esplosioni atomiche nell’atmosfera e dall’attività delle centrali nucleari; quest’ultima è

la più importante fonte di contaminazione radioattiva degli alimenti (Sicheri e Borsarelli, 2004).

Il limite di Legge di contaminazione radioattiva da Cesio 134 + 137 è posto ad un valore massimo di

100 Bq/Kg (Reg. UE n. 284/2012 del 29/03/2012).

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6.3 PESTICIDI

Le colonie di api, attraverso il lavoro scrupoloso delle bottinatrici, possono essere utilizzate nel

monitoraggio ambientale poiché durante la loro attività, le bottinatrici vengono a contatto con molte

sostanze che trasportano all’interno dell’alveare.

Le api sono in grado di esplorare il territorio circostante per un raggio di un kilometro e mezzo,

effettuando un vero e proprio biomonitoraggio: le particelle sospese nell’atmosfera possono essere

intercettate dall’insetto oppure trattenute dalla pelosità presente sul loro corpo; alcuni inquinanti

possono trasferirsi all’ape in seguito al contatto con fiori, foglie o steli d’erba.

Per ottenere un polline di ottima qualità, si consiglia di effettuarne la raccolta ad una distanza non

inferiore a 3 km da zone industrializzate, urbanizzate con traffico pesante e da aree di agricoltura

intensiva trattate con pesticidi (Campos et al., 2008).

Negli ultimi decenni, lo studio di animali indicatori dell’inquinamento ambientale, in particolare gli

impollinatori, ha assunto importanza mediatica soprattutto in seguito al fenomeno della moria delle

api. Le api assumono così il ruolo di indicatori diretti e indiretti: nel primo, l’elevata sensibilità agli

insetticidi causa un’intensa ed estesa mortalità, nel secondo l’ape risulta un indicatore non sensibile

ma esposto a principi attivi non particolarmente pericolosi e fornisce informazioni come collettore di

residui.

Uno studio sull’esposizione delle api ai pesticidi è stato svolto da Villa et al. (2000) monitorando

campioni di polline provenienti da due aree in provincia di Sondrio, l’una caratterizzata da agricoltura

intensiva, l’altra distante dall’impatto dei pesticidi.

Il polline è stato prelevato settimanalmente da marzo a settembre 1999, per poter rilevare i diversi

pesticidi utilizzati in agricoltura (durante la primavera e l’estate sono stati utilizzati 15 diversi pesticidi).

Dei 15 pesticidi utilizzati, quattro principi attivi sono stati selezionati: captan, teflubenzuron (fungicidi),

chlorpyrifos e methidathion (insetticidi).

I valori riscontrati nel polline proveniente dal sito più distante dall’impatto dell’agricoltura intensiva

sono risultati sempre inferiori al limite di rilevazione. Contrariamente, il captan è stato rilevato nel

polline raccolto nell’area di agricoltura intensiva nei mesi di settembre ed agosto e tracce di

teflubenzuron sono state rilevate nei campioni di fine maggio. I valori riscontrati erano concordanti

con il periodo di trattamento dei due composti chimici.

I risultati possono essere così commentati: l’area di bottinatura delle api contaminata dai pesticidi era

la maggior causa di contaminazione del polline mentre il trasporto dei contaminanti in atmosfera era

molto meno rilevante; inoltre, un fattore importante era la capacità delle sostanze chimiche ad essere

incorporate nel polline.

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Rotairs et al. (2005) riportano dati riguardo la presenza nel polline di un principio attivo in particolare,

l’imidacloprid, un neonicotinoide.

I neonicotinoidi sono potenti pesticidi sistemici, causa scientificamente accertata delle morie di api e

impollinatori come anche di uccelli, invertebrati e di altre forme viventi. I principi attivi dei prodotti

sistemici sono assorbiti dalle radici o dalle foglie, per essere trasportati nel resto degli organi della

pianta, per esempio in nettare e polline. I neonicotinoidi hanno una specifica azione neurotossica,

ovvero agiscono sul sistema nervoso delle forme viventi che ne vengono a diretto contatto.

Nelle aree di agricoltura intensiva trattate con insetticidi sistemici, le api potevano importare nella

colonia grandi quantità di polline e nettare contaminati; ad esempio, nel caso del polline di girasole e

mais, piante molto attrattive per le api, 10-20 kg sia di polline di girasole che di mais possono essere

conservati nel nido ogni anno durante la fioritura di queste piante (Rortais et al., 2005).

Campioni di polline di girasole e mais prelevato dalle trappole hanno presentato rispettivamente

concentrazioni di imidacloprid pari a 2,2 e 0,75 µg/kg. Gli stessi pollini, prelevati direttamente dalle

piante, contenevano mediamente 3,4 µg/kg di imidacloprid.

Se il polline è contaminato, le larve di api operaie possono consumare circa 0,02 ng di imidacloprid

attraverso il polline stesso, durante i primi 5 giorni di sviluppo; le api nutrici, quelle che consumano la

maggior quantità di polline, possono assumere 0,2 ng di imidacloprid nell’arco di 10 giorni. Dosi

subletali di 0,1 ng modificano le abilità di orientamento mentre pochi picogrammi assunti per più di 8

giorni consecutivi diventano letali per l’ape (Rortais et al., 2005).

Nel nostro Paese, dal 2009 al 2014 è stata messa a punto la prima rete di monitoraggio nazionale della

salute degli alveari e dei fenomeni di mortalità delle api, con moduli localizzati in ogni regione italiana.

Il progetto “BeeNet – Apicoltura e ambiente in rete”, ha rappresentato il primo passo verso

l’istituzionalizzazione delle attività di monitoraggio e delle segnalazioni in campo apistico, quale

risposta alle esigenze dell’apicoltura e tentativo di dare risposte concrete alle problematiche che la

affliggono. Con il progetto BeeNet si stanno monitorando circa 3.750 alveari, dislocati in 375 postazioni

localizzate in siti geografici rappresentativi dei vari contesti agronomici e ambientali del territorio. Tale

numero è considerato un campione rappresentativo della popolazione apistica nazionale.

L'obiettivo della rete di monitoraggio è stata la raccolta di informazioni sullo stato di salute delle

famiglie di api tramite rilievi apistico-ambientali e prelievi di campioni di varie matrici (api morte, api

vive, covata, miele, cera, polline, ecc.) da sottoporre ad analisi di laboratorio.

Una delle matrici sottoposte all’analisi dei pesticidi è stato il polline.

Nei mesi di aprile e maggio del 2013 sono stati raccolti campioni di polline in seguito sottoposti ad

analisi per il rilevamento di eventuale presenza di pesticidi (Tabella 20).

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Tabella 20 - Percentuali di campioni positivi ai pesticidi nelle regioni italiane (www.reterurale.it/api).

In totale, nei campioni di polline raccolti nel primo controllo 2013, sono stati trovati 50 diversi principi

attivi (Tabella 21). Il Fluvalinate è stata la sostanza più riscontrata nel polline stoccato (31 campioni

positivi), seguito dal Chlorphenvinfos (19 campioni) e dal Chlorpyrifos (16 campioni). Tra i

neonicotinoidi, l’Imidacloprid è stato trovato in 7 campioni, l’Acetamiprid in 6 e il Thiametoxam in 2

campioni (0,012-0,184). In assoluto il principio attivo con il residuo più alto è stato il Methomyl, un

insetticida carbammato, con 2,367 mg/Kg riscontrato in un campione del modulo PMN-4.

Tra i principi attivi rinvenuti, ve ne sono alcuni il cui utilizzo è vietato in campo agricolo da diversi anni

come l’Aldicarb ed altri in ambito apistico come il Chlorphenvinfos.

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Tabella 21 - Principi attivi dei pesticidi ritrovati nel polline (valori espressi in mg/kg) (www.reterurale.it/api).

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6.4 PRESIDI MEDICO CHIRURGICI

L’utilizzo di presidi medico chirurgici che sono utilizzati per combattere l’ectoparassita Varroa

destructor possono dare origine a residui che possono essere ritrovati nel polline. Problematiche

piuttosto ricorrenti che determinano la presenza di residui nei prodotti dell’alveare sono: un errato

utilizzo dei prodotti presenti in commercio, ad esempio in dosi “fai da te” e l’uso di prodotti non

consentiti.

In apicoltura, a livello dell’Unione Europea, gli unici farmaci disponibili che rispettano determinati

criteri sono quelli registrati per la cura della varroasi. L’UE si è espressa sulle sostanze consentite

stabilendone i relativi LMR (Limiti Massimi di Residui) (Tabella 22). Per le altre patologie apistiche non

è attualmente autorizzato l’utilizzo di presidi medico chirurgici.

Tabella 22 – Elenco delle sostanze farmacologicamente attive e loro classificazione per quanto riguarda i Limiti

Massimi di Residui (LMR) (Regolamento UE N. 37/2010).

SOSTANZE

FARMACOLOGICAMENTE

ATTIVE

RESIDUO MARCATORE LMR (µg/kg)

Acido ossalico Non pertinente LMR non richiesto

Amitraz Somma di Amitraz e dei

metaboliti che contengono 2,4-DMA

200

Cumafos Cumafos 100

Flumetrina Non pertinente LMR non richiesto

Tau fluvalinato Non pertinente LMR non richiesto

Acido formico Non pertinente LMR non richiesto

Acido lattico Non pertinente LMR non richiesto

Canfora Non pertinente LMR non richiesto

Eucaliptolo Non pertinente LMR non richiesto

Mentolo Non pertinente LMR non richiesto

Timolo Non pertinente LMR non richiesto

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6.5 POLLINE OGM

Il tema del polline proveniente da OGM divenne un’importante questione da approfondire quando,

nel 2005, un apicoltore bavarese scoprì che il miele prodotto da un apiario situato a 500 m da un campo

di mais “MON810” conteneva polline geneticamente modificato. Dalle analisi di tale polline, infatti,

venivano rilevati DNA di mais GM in misura del 4,1% rispetto al polline di mais globale e proteine

transgeniche (tossina bt). Le piante geneticamente modificate, il cui polline può essere raccolto dalle

api, sono attualmente mais e colza (Figura 34). Il problema non sussiste al riguardo di miele e polline

italiani, ma potrebbe presentarsi nel caso di questi prodotti provenienti da Paesi dove le coltivazioni

OGM sono consentite e già presenti su larga scala.

Secondo il Reg. CE 1829/2003 è necessario dichiarare la presenza di OGM sull’ etichetta di un prodotto

alimentare qualora questa superi la soglia dello 0,9%. Nel caso del miele, la presenza eventuale di

polline geneticamente modificato è mediamente pari allo 0,5%.

Il 12 ottobre 2015 il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legislativo di attuazione della

Direttiva Europea 2014/63 riguardante il miele. La modifica principale consiste nell'ascrizione del

polline tra i "componenti naturali" del miele e non come "ingrediente", ossia una sostanza utilizzata

nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito. Da ciò

deriva che la presenza di polline OGM dovrà essere segnalata in etichetta soltanto se superiore allo

0,9%, come previsto dal Reg. CE 1829/2003.

Le analisi condotte dall’ Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana per la

ricerca di OGM sui campioni di polline raccolto in Toscana sono risultate tutte negative. Ciò conferma

che la ricerca di OGM nel polline prodotto in Italia non risulta necessaria in quanto tali organismi non

vengono impiegati sul nostro territorio nazionale; inoltre non si ha alcuna dimostrazione di tossicità

per il consumatore.

Figura 34 – Api intente a raccogliere polline di mais, una delle possibili fonti pollinifere contenenti OGM

(www.agronotizie.imagelinenetwork.com).

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7. PROPRIETA’ FUNZIONALI E NUTRACEUTICHE

Molti sono gli effetti benefici attribuiti al polline e che stanno determinando un notevole aumento del

suo consumo negli ultimi anni.

I consumatori di miele e di altri prodotti naturali stanno rivolgendo la loro attenzione al polline, anche

in seguito al passaparola, ai mezzi di comunicazione (il web in particolar modo) e ai consigli forniti da

dietologi e nutrizionisti; la medicina naturale ne consiglia il consumo, viste le sue proprietà stimolanti,

energizzanti e tonificanti sull’organismo.

Il polline provoca una leggera euforia, ma non eccitazione. Le persone descrivono un benessere molto

gradevole. E’ questa sensazione che le spinge a passare da una cura normale ad una assunzione

continua (Percie Du Sert, 2002).

La ricerca scientifica si è dunque orientata a scoprire quali siano le sostanze che sono alla base delle

proprietà nutraceutiche del polline, e a capire come l’origine botanica, la conservazione e la modalità

di presentazione del prodotto finale influenzino queste proprietà, alterando, ad esempio, le

concentrazioni di composti bioattivi (fitosteroli, carotenoidi, polifenoli, ecc.).

I componenti biologici principali del polline sono i composti polifenolici, molti dei quali sono flavonoidi.

Questi hanno proprietà antiossidanti, antiinfiammatori, contrastano l’aterosclerosi, sono utili per

l’apparato cardiovascolare e prevengono l’insorgenza di alcuni tumori.

Il polline presenta un gruppo di composti, detti fitosteroli, che esplicano diverse importanti attività tra

cui la diminuzione del livello di colesterolo ematico e l’inibizione del suo assorbimento nell’intestino.

Inoltre, hanno proprietà antinfiammatorie, aiutano il sistema immunitario e probabilmente hanno

effetto antiaterogeno; potrebbero contrastare lo sviluppo di diversi tipi di cancro come quello colon-

rettale, al seno e della prostata (Bogdanov, 2014).

ATTIVITA’ ANTIMICROBICA

Isolando alcuni flavonoidi da Eucalyptus globulus, Ranunculus sardous e Ulex europeans si è notato

come l’erbacetina presente nel polline di R. sardous e U. europeans abbia attività antibiotica contro

Pseudomonas aeruginosa (Bogdanov, 2014; Campos et al., 2009).

Il così detto pane d’api mostra attività antibatterica contro S. aureus e Staphylococcus epidermidis; un

recente studio mostra che un estratto di polline brasiliano all’80% di etanolo aveva attività

antibatterica contro S. aureus, Bacillus subtilis, P. aeruginosa e Klebsiella sp (Bogdanov, 2014; Campos

et al., 2009).

Uno studio ha analizzato l’attività antibatterica del polline raccolto in Turchia verificando i suoi effetti

inibitori verso 13 diverse specie di batteri patogeni per le piante. I risultati hanno dimostrato che

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l’estratto del polline utilizzato nella prova ha avuto un effetto inibitorio contro tutti i patogeni; esiste

la possibilità di utilizzare tale polline come antibatterico nei semi, a causa della trasmissione di alcuni

dei patogeni tra le sementi stesse (Campos et al., 2010; Campos et al., 2009).

L’estratto di polline al 60% di etanolo inibisce la crescita di S. aureus, B. subtilis, P. aeruginosa e

Klebsiella spp (Carpes et al., 2007).

In un altro studio è stato scoperto che composti idrofobici, di natura sconosciuta presenti nel polline,

hanno avuto attività antimicrobica contro Streptococcus viridans. Le sostanze antibatteriche del

polline, attive contro lo S. viridans, sono simili a quelle trovate nella propoli e nelle celle dell’alveare

con il miele (Campos et al., 2009).

ATTIVITA’ ANTIOSSIDANTE

Le molecole antiossidanti prevengono o rallentano l’ossidazione di altre molecole dell’organismo, che

possono condurre a malattie degenerative come cancro, malattie cardiovascolari e autoimmuni,

invecchiamento più rapido, artriti, cataratta, ecc.

L’attività antiossidante del polline è riportata da molti studi ed è correlata alla presenza di composti

fenolici, di flavonoidi e beta-carotene.

E’ stato anche scoperto che l’attività antiossidante del polline è una caratteristica specie specifica ed è

indipendente dalla sua origine geografica (Bogdanov, 2014; Campos et al., 2009).

Dagli studi condotti si è rilevata la capacità di modulazione dell’attività degli enzimi antiossidanti,

riduzione della perossidazione lipidica a livello epatico e induzione di proprietà anti estrogeniche.

Le proprietà antiossidanti del polline sono state in grado di diminuire gli effetti collaterali causati dalle

radiazioni. Gli antiossidanti del polline sembrano anche avere proprietà non solamente proprietà

antinvecchiamento e anticancerogene, ma anche cardioprotettive.

EPATOPROTEZIONE

Alcuni studi dimostrano come il polline di cardo e di castagno abbia effetti epatoprotettivi su topi e

ratti; questi effetti positivi sono confermati sugli esseri umani (Bogdanov, 2014).

Pazienti con epatite cronica, che hanno consumato polline per 30 giorni, hanno ottenuto un

miglioramento della loro situazione clinica. Questo è dovuto al fatto che il polline induce l’attivazione

degli antiossidanti del fegato e diminuisce la perossidazione lipidica (Bogdanov, 2014).

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ATTIVITA’ CHEMOPREVENTIVA E ANTICANCEROGENA

I flavonoidi del polline quercetina, rutina e crisina hanno dimostrato di avere attività preventiva contro

l’insorgenza del cancro, incrementando l’apoptosi (morte programmata della cellula) (Bogdanov,

2014).

La quercetina è uno dei principali flavonoidi presenti nel polline. Questo composto ha mostrato, in

vitro, un’inibizione permanente delle cellule del cancro androgeno indipendente alla concentrazione

di 100 μM. Esso ha esercitato, contro il cancro alla prostata, l’attività di blocco del ciclo cellulare

inibendo l’espressione di molti geni specifici. La quercetina ha aumentato l’espressione di vari geni

soppressori del tumore mentre abbassava l’espressione di quelli con attività contraria (oncogena).

Anche la rutina, il principale flavonoide del polline, ha dimostrato proprietà antitumorali, come la

quercetina: entrambe le sostanze inducono l’apoptosi e contrastano la crescita del cancro (Bogdanov,

2014).

Il kaempferolo è un altro flavonoide che inibisce la crescita delle cellule del cancro alla prostata. E’

dimostrato che altri flavonoidi presenti nel polline sono capaci di reprimere l’attivazione della chinasi

nel cancro alla prostata (Bogdanov, 2014).

Il beta-carotene riduce il rischio di alcuni tumori alla prostata: i pollini di cisto e salice hanno mostrato

questa attività dovuta all’elevato contenuto in carotenoidi, mentre il polline di castagno, che ne è

povero, non esplicava tale attività. Anche il licopene contrastava il cancro della prostata e all’iperplasia

prostatica benigna.

Il polline di Brassica ha mostrato attività anticancro incrementando l’apoptosi delle cellule del cancro

che colpisce la prostata dell’uomo (Bogdanov, 2014).

ATTIVITA’ DI CONTRASTO ALL’IPERPLASIA PROSTATICA BENIGNA

L’iperplasia prostatica benigna (BPH) è causata da un’eccessiva crescita del tessuto della prostata, con

assenza di cellule cancerogene; è molto comune negli uomini anziani, forse a causa dei cambiamenti

ormonali.

Uno degli studi che ha rivelato gli effetti positivi del polline contro questa patologia, ha analizzato 47

pazienti con BPH, sottoposti a 12 settimane di cura con estratto alcolico di polline (in gran parte di

cisto).

I pazienti sono stati suddivisi in tre gruppi: un gruppo placebo (nessuna assunzione di polline), un

gruppo la cui assunzione era di 160 mg di estratto di polline al giorno e uno in cui la dose assunta

risultava maggiore (320 mg al giorno). I risultati dello studio hanno rivelato una diminuzione dei sintomi

della patologia soprattutto nei pazienti che hanno assunto quotidianamente la quantità maggiore di

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polline; l’attività di contrasto alla BPH risultava, quindi, essere correlata alla dose di polline assunta

(Bogdanov, 2014; Campos et al., 2009).

I fitosteoli (colesterolo, fucosterolo, beta-sitosterolo, stigmasterolo e campesterolo) sono una classe

di sostanze che hanno probabilmente effetto di contrasto all’iperplasia prostatica. L’azione del beta-

sitosterolo è stata confermata: ne sono necessari 60 mg al giorno per contrastare questa patologia.

Assumendo 30 g di polline al giorno, il contenuto di beta-sitosterolo è di 22,15 mg per il polline di salice

e di 33,22 mg per quello di castagno, che corrispondono rispettivamente a un terzo e alla metà delle

dosi che hanno dimostrato di avere un’efficacia sulla BPH (Percie Du Sert, 2002).

Il polline può dunque essere assunto come integratore nella prevenzione dei problemi della prostata

o come alimento curativo in associazione a trattamenti farmaceutici.

ATTIVITA’ ANTINFIAMMATORIA

L’infiammazione è una risposta fisiologica ai danni di cellule o tessuti, causati da agenti fisici, biologici

o da radicali liberi, utile a rimuovere la causa ed eliminare il danno.

Il polline dimostra proprietà antinfiammatoria, neurogenica e narcotica; uno studio condotto su ratti,

dimostra che il polline di cisto è un potente antinfiammatorio che inibisce la produzione di ossido

nitrico (NO). Alcuni flavonoidi del polline potrebbero esplicare l’azione antinfiammatoria (Bogdanov,

2014).

ATTIVITA’ ANTI OSTEOPOROSI

L’osteoporosi è una malattia sistemica dello scheletro, caratterizzata da una ridotta massa ossea e dal

deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo, con conseguente aumento della fragilità e

predisposizione alle fratture, soprattutto dell'anca, della colonna vertebrale e del polso.

Il polline ha effetto inibitorio sul riassorbimento del tessuto osseo femorale.

Esperimenti condotti in vitro dimostrano come il polline di Cistus ladaniferus stimoli la crescita del

tessuto osseo. Lo stesso polline determina un incremento di fosfatasi alcalina, un enzima che partecipa

alla mineralizzazione delle ossa, e di calcio nel tessuto osseo (Bogdanov, 2014).

ATTIVITA’ ANTIANEMICA

L’anemia consiste nella presenza di un basso numero di globuli rossi. Studi condotti su animali con

anemia emolitica hanno dimostrato che il polline è in grado di aumentare significativamente il numero

di queste cellule e di diminuire quello dei globuli bianchi (Bogdanov, 2014). Uno studio condotto su 20

pazienti ha rilevato un aumento di emoglobina e globuli rossi. Bambini anemici sottoposti

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all’assunzione di 15-20 g di polline al giorno, dopo due settimane di cura hanno visto aumentare

mediamente il numero di globuli rossi del 15% e il tasso di emoglobina del 18% (Campos et al., 2009).

Anche coltivando globuli rossi in vitro, si notava un aumento del livello di ossiemoglobina, ad opera

della quercetina (antiossidante) presente nel polline.

Nel caso di anemia nutrizionale ferropriva, il polline ha migliorato l’assorbimento del ferro.

POLLINI E ALLERGIE

I polini prodotti dalle piante sono causa di allergie di tipo respiratorio in molte persone. I pollini che

causano questa patologia sono essenzialmente quelli di piante a impollinazione anemofila, che

vengono veicolati nell’aria, mentre sono estremamente ridotte le reazioni indotte da pollini

provenienti da piante a impollinazione entomofila, che vengono veicolati da api o altri gruppi di insetti.

Le piante che hanno scelto le api come strategia di disseminazione producono infatti un polline privo

di allergene.

Il polline raccolto dalle api e il pane d’api potrebbero addirittura contribuire a desensibilizzare i soggetti

allergici al polline anemofilo. Si ipotizza che la miricetina, un flavonoide presente nel polline, potrebbe

essere responsabile dell’inibizione delle reazioni allergiche.

Un test clinico condotto su bambini allergici al polline di graminacea, basato sull’assunzione di estratti

di polline sia orale che sottocutanea, ha dimostrato come il secondo tipo di trattamento risultasse più

efficace (Campos et al., 2009).

Buoni risultati si sono riscontrati nella cura dei sintomi della febbre da fieno, attraverso terapie

consistenti nell’assunzione del polline.

Il polline d’api è normalmente ben tollerato, ma non si può escludere la presenza di sostanze e pollini

allergenici; le allergie al polline ingerito sono relativamente rare, con un tasso simile ad altri cibi

(Bogdanov, 2014; Campos et al., 2010; Campos et al., 2009).

Una piccola parte della popolazione (1-2 persone su 1000) è allergica ai pollini raccolti dalle api. In

genere si tratta di persone che hanno allergie generalizzate, che reagiscono cioè a più di otto-dieci

allergeni.

Secondo uno studio russo del 2008, l’incidenza delle allergie al polline ingerito è stata pari all’1,45%,

su 891 persone testate (Bogdanov, 2014).

Per capire se si è allergici o meno al polline, si può tentare di mettere in bocca pochi granuli di polline

e tenerli per un po’ senza deglutire. Se si nota un ispessimento e/o un’infiammazione della mucosa

della bocca significa che c’è reazione e non bisogna consumare polline. Se la gola pizzica o la voce

diventa roca per un breve lasso di tempo, è solo un effetto momentaneo che, d’altra parte, è benefico

per le corde vocali (Percie Du Sert, 2002).

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Le persone suscettibili ad allergie o asma o con febbre da fieno potrebbero essere allergiche al polline.

Tuttavia esiste una terapia con buoni risultati che utilizza il polline per desensibilizzare dalla febbre da

fieno (Bogdanov, 2014).

Nel suggerire il consumo di polline occorre, in ogni caso, consigliare di verificare l’assenza di reazioni

da parte dell’organismo umano, anche se queste sono rarissime; è necessaria prudenza nel caso in cui

si sia allergici a un gran numero di allergeni.

Vi sono poi persone (il 2%) che hanno una specifica intolleranza alimentare al polline: ciò provoca

dolori alla pancia e nausea. Questo problema può essere superato assumendo il polline in piccole

quantità, nel tempo crescenti; alcune persone manifestano l’intolleranza solamente verso il polline di

una determinata origine botanica. In ogni caso non si tratta di una reazione allergica.

ALTRI EFFETTI BENEFICI

Il polline di E. globulus e di Salix atrocinerea ha dimostrato di avere azione antidiarroica, probabilmente

a causa dei composti polifenolici, specialmente la quercetina, anche se altri composti potrebbero avere

un ruolo in questa azione (Bogdanov, 2014).

Effetti positivi sono stati riscontrati in seguito all’assunzione di polline da parte di pazienti con

ipertrigliceridemia: dopo soltanto due settimane, il livello dei trigliceridi diminuiva, mentre dopo due

mesi raggiungeva valori normali. Secondo gli autori dello studio, il polline può essere utilizzato per il

trattamento di questa patologia, ma anche in caso di uricemia (Campos et al., 2009).

La rutina, il principale flavonoide contenuto nel polline, ha proprietà antiossidanti, rafforza i vasi

sanguigni e aiuta a ripristinare il colesterolo HDL; ha anche effetti anti-coagulazione contribuendo alla

prevenzione di infarto e ictus. Una dose di 40 g di polline al giorno, assunta da pazienti che hanno avuto

patologie al cuore, diminuiva significativamente il livello di colesterolo ematico, la viscosità del sangue

e abbassa la concentrazione di fibrina e fibrinogeno (Campos et al., 2009).

Un trattamento con 30-40 g di polline al giorno, sui pazienti di un ospedale in Russia, ha dimostrato un

livello di successo, espresso in % sul totale delle persone coinvolte nel trattamento, contro le seguenti

patologie: gastrite, 90% (52); anemia, 72% (36); disturbo post traumatico da stress, 84% (96);

impotenza, 68% (65); disturbi geriatrici, 100% (23); i numeri tra parentesi indicano quanti pazienti sono

stati coinvolti in ciascun trattamento (Campos et al., 2009).

Il polline ha attività immunomodulatoria, stimolando la produzione di anticorpi.

Recentemente è stato verificato un effetto probiotico nel polline fresco (congelato) ma non in quello

deumidificato; i batteri lattici probiotici non sono stati trovati nel polline essiccato perché non erano

vitali (Bogdanov, 2014).

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L'effetto del polline sulla lipofuscina intercellulare è stata studiata da osservazioni morfologiche sui

topi. I risultati dimostrano una riduzione di lipofuscina nel muscolo cardiaco, nel fegato, nel cervello e

nelle ghiandole surrenali in seguito alla somministrazione di polline. Questa azione potrebbe essere

correlata con l'effetto antinvecchiamento del polline (Bogdanov, 2014).

La presenza di 20 dei 22 amminoacidi utilizzati dall’organismo umano, tra cui quelli essenziali (di cui

l’istidina è importantissima nel bambino) e delle proteine ad alto valore biologico sono alla base delle

proprietà anabolizzanti del polline.

Gli amminoacidi liberi sono in grado di oltrepassare il liquido cerebrospinale, risultando perciò

particolarmente importanti a livello cerebrale (sistema nervoso centrale): forniscono un efficace

apporto nutritivo migliorando il metabolismo, il rendimento intellettuale e le funzioni psico-motorie e

della memoria.

Il polline di salice è certamente un ottimo modo per rifornirsi di vitamina B9 dato che ne contiene una

notevole quantità. L’azione preventiva della vitamina B9 su alcuni tipi di tumore è ormai accertata

(Percie Du Sert, 2002).

Infine, i risultati dei test che hanno osservato se il polline potesse produrre un incremento delle

performance sportive, sono piuttosto discordanti. In alcuni studi si verifica un miglioramento di queste

(insieme ad un incremento dei valori di emoglobina nel sangue) oppure si determina una maggiore

reattività, un rafforzamento del sistema immunitario (indebolito dall’intensa attività fisica) e un

miglioramento delle condizioni psico-fisiche; tuttavia, in altri casi non si riscontra alcun beneficio.

Riconoscendo questi effetti benefici per la salute, il polline può essere definito come un supplemento

con effetti potenzialmente benefici per l’uomo.

Essendo un prodotto costoso, è sufficiente un’assunzione giornaliera pari a 10 g (equivalente a due

cucchiaini) per avere effetti positivi sulla salute. Per il miglioramento della salute, si raccomanda una

dose di 10-20 g di polline al giorno per un periodo di cura piuttosto lungo, come 3 mesi, ripetuto per

due volte nell’arco dello stesso anno. In caso di terapia sono necessari tra i 20 e i 50 g di polline al

giorno, ingeriti tre volte al giorno.

Il polline può essere definito integratore alimentare, visto il dosaggio che si assume quotidianamente.

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7.1 DIGESTIONE E ASSIMILAZIONE

Gli insetti sono i principali animali che si nutrono di polline e le api traggono le proteine loro necessarie

solamente da questo prodotto. Gli insetti riescono a digerire il polline che giunge nel ventricolo,

ambiente alcalino in cui sono presenti enzimi proteolitici e lipasi. In genere, i granuli vengono

completamente svuotati e le sue parteti non sono apparentemente degradate; in alcuni casi gli enzimi

permettono di idrolizzare le pareti del granulo pollinico (caso dei Collembola) o distruggono

meccanicamente il granulo (caso dei coleotteri).

Attraverso gli esperimenti condotti sugli animali, il polline non contiene più i suoi componenti dopo

che ha oltrepassato il tratto digerente; questo conduce a formulare l’ipotesi che, negli animali, il

contenuto nutritivo del polline può essere rilasciato mediante l’azione dei succhi digestivi, attraverso

pori e colpi che sono le normali vie d’uscita del tubetto pollinico (Campos et al., 2009).

Il consumo del polline reca, senza alcun dubbio, dei benefici anche all’uomo; tuttavia non è chiaro quali

tra i suoi componenti e in quale quantità siano assimilati dal nostro corpo e dunque determinino tali

effetti benefici.

Conosciamo l’aspetto nutrizionale del polline, ma i metodi analitici basati sull’estrazione delle

molecole (proteine, carboidrati, lipidi, ecc.) avvengono in condizioni totalmente differenti da quelle

naturalmente presenti nell’organismo umano durante la digestione.

Lo studio di Linskens e Jorde (1997) ha cercato di comprendere come il polline venga digerito

dall’organismo umano, attraverso test in vivo e in vitro. Le procedure del test in vitro prevedevano un

contatto prolungato con soluzioni di acido cloridrico o idrossido di sodio, addizionate di tensioattivi ed

enzimi digestivi: pepsina, papaina and diastasi, pancreatina e lipasi pancreatica in condizioni di pH

ottimale. Il test in vivo è stato condotto alimentando dei topi con una sospensione di polline in acqua.

Entrambi i test hanno prodotto lo stesso risultato: la digestione dipendeva dal tempo. Le sostanze

localizzate sulla superficie esterna e nelle cavità dei pori, le cavità dell’esina o i tubuli dell’intina, sono

facilmente raggiunte dagli enzimi e digerite (Linskens e Jorde, 1997).

Il polline raggiunge il tratto digestivo, inizia a gonfiarsi, a causa dell’assorbimento di acqua e viene

attivato dal punto di vista enzimatico. Successivamente avviene un processo che potrebbe essere

paragonato ad una normale germinazione.

Il contenuto del granulo è rilasciato esternamente e l’ambiente acido dello stomaco causa

l’invaginazione dell’intina. Questo porta alla formazione di una struttura simile al tubetto pollinico.

Il polline, quindi, si rompe e rilascia granuli di amido. Sotto l’influenza degli enzimi del tratto

gastrointestinale, inizia la digestione di carboidrati, proteine e lipidi.

Gli elementi chimicamente non legati, come zuccheri, amminoacidi, vitamine e acidi grassi sono

soggetti a normale processo di riassorbimento.

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Dal tratto gastrointestinale il polline può raggiungere direttamente il flusso sanguigno. L’assorbimento

diretto di particelle tra i 5 e 200 micrometri attraverso le cellule epiteliali della parete intestinale è

stato rilevato in cani, conigli ed esseri umani.

In seguito ad un consumo, da parte di ciascun individuo, di grandi quantità di polline, come 100-150 g,

almeno tra i 6.000 e i 10.000 granuli di polline sono stati osservati nel flusso sanguigno in cui potevano

essere rilevati con un microscopio elettronico. Dopo vari intervalli di tempo l’esina è gradualmente

decomposta (Linskens e Jorde, 1997).

Un secondo studio, condotto da Franchi et al. (1997), ha analizzato la digeribilità del polline di papavero

(P. rhoeas) e di nocciolo (C. avellana) attraverso una digestione in vitro, con enzimi pancreatici, che

riproduceva quella umana. Si è focalizzata l’attenzione sulla digestione di proteine e carboidrati

insolubili (amilopectina, lignina, cellulosa) e si è dimostrato come dopo 24 ore di processo digestivo, la

degradazione di questi nutrienti sia soltanto parziale: nel caso del polline di papavero il 26% dei

carboidrati e il 48% delle proteine sono stati digeriti mentre, nel polline di nocciolo, i carboidrati digeriti

rappresentano soltanto il 3% e le proteine digerite il 59%. Ciò è probabilmente dovuto alla difficoltà

degli enzimi a entrare nel granulo pollinico attraverso l’intina.

Si ipotizza che il polline è digerito insufficientemente e la masticazione migliorerebbe la digeribilità e

la biodisponibilità (Campos et al., 2010). La difficoltà nella digestione del polline potrebbe dipendere

dal fatto che il suo contenuto è protetto da due pareti, entrambe non digeribili dall’uomo a causa della

mancanza degli specifici enzimi.

La parete esterna, l’esina, è composta di sporopollenina, polimero costituito da carotene ed esteri di

carotenoidi, estremaente resisitente all’ossidazione; tuttavia, la presenza delle aperture che

permettono la fuoriuscita del tubetto pollinico, permette l’entrata degli enzimi digestivi attraverso la

parete stessa.

Pochi animali e microrganismi sono in grado di degradare enzimaticamente la sporopollenina, che

costituisce la parete cellulare del granulo pollinico. Solamente il contenuto del polline e le sostanze

solubili stoccate all’interno del granulo possono essere utilizzate come nutrienti (Linskens e Jorde,

1997).

La parete interna, l’intina, costituita da un continuo strato di materiale pectocellulosico, può avere

spessore variabile in base al tipo di granulo pollinico; è anch’essa non digeribile, ma la sua struttura

fibrillare permette alle molecole più piccole di passare, seppur lentamente.

Sulla superficie esterna del granulo sono presenti sostanze utili, ad esempio, alla protezione dagli

agenti atmosferici, oltre che per l’attrazione degli impollinatori; si tratta di proteine, glicoproteine ed

oli che non ostacolano la penetrazione degli enzimi all’interno del granulo.

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Anche le sostanze che le api utilizzano per aggregare i granuli pollinici durante la formazione della

pallottola di polline non creano alcun ostacolo alla digestione poiché sono degradate nello stomaco in

pochi minuti.

Si raccomanda la macerazione del polline in acqua o altri liquidi per alcune ore al fine di migliorare la

digeribilità (Campos et al., 2010; Campos et al., 2009).

Ulteriori studi sulla digeribilità del polline devono essere condotti per comprendere quanto il nostro

organismo sia effettivamente in grado di assimilare dal polline.

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8. L’INFLUENZA DEI TRATTAMENTI SULLA

COMPOSIZIONE Una fase cruciale del processo di lavorazione del polline è l’essiccazione, o meglio, la deumidificazione,

dal momento che oggi si tende ad eliminare l’acqua attraverso flussi di corrente d’aria a temperature

relativamente basse. Come già detto, la fase è essenziale per evitare processi alterativi nel tempo,

garantendo al consumatore un prodotto sicuro.

Sia che si tratti di essiccamento, trattando il prodotto con calore, sia che si tratti di deumidificazione,

tramite un flusso di aria deumidificata, il prodotto viene disidratato: l’acqua presente nell’alimento

viene rimossa mediante evaporazione.

L’acqua, oltre ad essere allontanata da un alimento tramite essiccamento, può essere eliminata

attraverso il processo di liofilizzazione (disidratazione che sfrutta il passaggio di stato solido-vapore,

detto sublimazione); questo è però utilizzato a livello industriale ed è inapplicabile dagli apicoltori a

causa degli ingenti costi di investimento e mantenimento della tecnologia.

E’ risaputo che i trattamenti basati sull’utilizzo del calore determinano nell’alimento variazioni dal

punto di vista fisico, chimico e microbiologico. Spesso, si verifica addirittura un decadimento della

qualità nutrizionale; ciò è dovuto al fatto che alcuni componenti, come le vitamine e gli amminoacidi,

sono sensibili al calore. Tra le vitamine termolabili citiamo la vitamina C, gran parte delle vitamine del

gruppo B, la vitamina E, la vitamina A (retinolo) e il suo precursore beta-carotene.

Diventa perciò utile approfondire come varia la composizione del polline, in seguito alla sua

disidratazione, al fine di capire quale trattamento tra quelli utilizzati o di possibile applicazione sia in

grado di preservare al meglio le proprietà nutrizionali. Occorre considerare sempre e comunque

l’aspetto igienico sanitario poiché le proprietà nutrizionali e la sicurezza del consumatore devono

essere entrambe garantite.

La letteratura fornisce alcuni studi piuttosto recenti che hanno focalizzato l’attenzione su questo

argomento.

Uno dei primi studi, condotto da Szczesna (1995), ha confrontato il polline essiccato a 40 °C con quello

liofilizzato e quello fresco congelato, notando come la maggior perdita di vitamina A (circa il 18%) fosse

causata dal processo di essiccazione; la liofilizzazione e il congelamento causavano, invece, perdite

inferiori all’1%.

La conservazione del polline a temperature diverse (-20, 4 e 18-26 °C) ha determinato una diminuzione

di vitamina C in particolare nei campioni liofilizzati (contenenti l’1-2% di acqua) ed essiccati (con l’8%

di acqua) posti a temperatura ambiente. Durante la conservazione, le minori perdite di entrambe le

vitamine A e C si sono verificate a -20 °C ed in particolare nel polline essiccato e liofilizzato, mentre lo

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stoccaggio a temperatura ambiente provocava il più alto tasso di perdite; un periodo di 24 mesi di

conservazione a questa temperatura causava una diminuzione di vitamina C e provitamina A tra lo 0 e

il 50% rispetto ai valori iniziali. La conservazione a temperatura ambiente degradava anche

maggiormente il contenuto proteico, che dopo 24 mesi era diminuito significativamente; il minor

decadimento, sia in amminoacidi che proteine totali, si riscontrava, al contrario, a seguito della

conservazione a -20 °C. La conservazione in atmosfera modificata con azoto diminuiva il decadimento

delle vitamine; una conservazione a -20 °C, in atmosfera modificata con azoto, era in grado di garantire

un elevato valore biologico al prodotto per un periodo di oltre sei mesi.

Uno studio condotto da De Melo et al. (2010) ha valutato la stabilità della vitamina C, E e del beta-

carotene in sei campioni di polline, sia dopo il processo di essiccazione che dopo 6 e 12 mesi di

conservazione. L’essiccazione a 45 °C per circa 6 ore ha causato la perdita del 18,7% di vitamina E e del

15,6% di beta-carotene.

La conservazione di un anno a temperatura ambiente ha determinato una perdita di oltre il 50% della

vitamina C, sia esponendo il campione alla luce che conservandolo al buio; la riduzione si verificava già

al sesto mese di conservazione, senza grandi variazioni durante il secondo semestre. Questo suggerisce

che lo stoccaggio a temperatura ambiente degrada rapidamente la vitamina C, probabilmente a causa

delle oscillazioni della temperatura, ma dopo la perdita iniziale, i valori si stabilizzano (De Melo et al.,

2010).

La proprietà antiradicalica del polline essiccato diminuisce durante la conservazione a temperatura

ambiente e il potere antiossidante può diminuire del 50% nel giro di un anno (Campos et al., 2009).

Le minori perdite di vitamina C si sono riscontrate nei campioni conservati in congelatore (22% dopo 6

mesi e 26% dopo un anno). La vitamina E ha presentato una riduzione del 5 e del 13%, rispettivamente

dopo 6 e 12 mesi di conservazione in congelatore. Conservando i campioni a temperatura ambiente,

dopo 12 mesi si riscontrava una degradazione della stessa vitamina pari al 18%, quando il campione è

stato esposto alla luce e del 15% quando conservato al buio. Il beta-carotene si è ridotto del 59-76%

dopo 12 mesi, sia esponendo i campioni alla luce che conservandoli al buio; al contrario, la

conservazione in congelatore lo ha ridotto soltanto del 12%.

Si può concludere che, in base ai dati ottenuti, la conservazione in congelatore rappresenta la

condizione più efficiente per garantire una buona presenza delle tre vitamine; la conservazione a

temperatura ambiente, sia al buio che all’esposizione della luce, causa perdite simili e la vitamina E

pare essere quella che in stoccaggio si preserva di più, rispetto a vitamina C e beta-carotene (De Melo

et al., 2010).

L’influenza della temperatura di essiccazione sul polline è stata valutata da Barajas et al. (2009) su

campioni raccolti in Colombia. Il processo di disidratazione è stato condotto, utilizzando un essiccatore

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ad aria calda senza ricircolo d’aria, a 35 °C per un tempo variabile tra 210 e 297 minuti e a 45 °C per

156-198 minuti. Lo studio ha investigato gli effetti delle due temperature sul contenuto di vitamina C

e carotene mostrando come la perdita di vitamina C fosse correlata all’aumento della temperatura e

la perdita di carotene fosse maggiore a 45 °C; il polline fresco e quello essiccato a 35 °C presentavano,

invece, valori simili. La maggiore temperatura ha determinato una riduzione del contenuto di

entrambe le vitamine, descritte come termolabili. Il contenuto proteico, di fibra e di ceneri dei

campioni non è invece stato influenzato dalle due temperature.

Un altro studio, condotto da Dominguez et al. (2011), ha invece analizzato la qualità nutrizionale del

polline in seguito al trattamento di liofilizzazione e di essiccamento a 70 °C per 7 ore. Quest’ultimo

trattamento determinava la maggior perdita nutrizionale in termini di amminoacidi liberi.

Durante la lavorazione del polline avviene una degradazione degli amminoacidi, soprattutto quando i

campioni sono essiccati utilizzando aria calda (Dominguez et al., 2011).

La composizione degli amminoacidi liberi è fortemente influenzata dai trattamenti con il calore; molti

di essi diminuiscono drasticamente a 60 °C (Collins et al., 1995).

Anche i composti fenolici e i carotenoidi subiscono l’influenza del calore, diminuendo, a volte

notevolmente: la quercetina-3-rutinoside diminuisce del 75% e il beta-carotene viene totalmente

degradato in entrambi i trattamenti di disidratazione.

Va comunque evidenziato che, al giorno d’oggi, l’essiccazione viene raramente condotta a temperature

simili ai 70 °C utilizzati in questo studio; si tende infatti ad eliminare l’acqua utilizzando temperature

minori.

Per quanto riguarda il complesso vitaminico B, Arruda et al. (2012) hanno studiato la presenza della

vitamina B1, B2, B6 e PP in seguito ad una essiccazione in forno a 45 °C per 6 ore. I risultati di questo

lavoro indicano che il calore fornito moderatamente sembrava non degradare il contenuto di vitamine

del complesso B; tutti i campioni analizzati potevano inoltre essere considerati fonte di vitamina B2

(1,77-2,56 mg/100 g) dal momento che 25 g di polline contenevano più del 15% della DGA (2,0 mg/DIE).

Uno studio brasiliano, molto recente, ha nuovamente comparato il polline liofilizzato con quello

essiccato a 42 °C (per 24-52 ore fino al raggiungimento di un’umidità del 6-8%, come nei campioni

liofilizzati) in forno elettrico con ricircolo forzato d’aria. De Melo et al. (2016) hanno riscontrato una

diminuzione del contenuto proteico in seguito al trattamento di essiccazione, constatando come il

calore, anche a temperature non troppo elevate e la presenza di ossigeno abbiano degradato questa

componente; similmente, lo stesso trattamento ha diminuito maggiormente il contenuto di vitamina

E (27,2 - 27,5 µg/g) rispetto alla liofilizzazione (37,5 - 53,7 µg/g).

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In questo studio, similmente a quello di Arruda et al. (2012), non è stata osservata una degradazione

del complesso vitaminico B e si può addirittura notare come 25 g di polline contenessero oltre il 50%

della dose giornaliera raccomandata di vitamina B6 (1,3 mg/DIE).

Secondo alcuni, la liofilizzazione conservava maggiormente le proteine, i lipidi, la vitamina E e i

composti fenolici garantendo una migliore conservazione delle proprietà nutrizionali e biologiche;

potrebbe quindi essere una valida alternativa all’essiccazione che degrada le proprietà antiossidanti,

antinfiammatorie e antimicrobiche del polline (De Melo et al., 2016).

In letteratura, Belhadj et al. (2011) evidenziano l’attività antimicrobica del polline ad opera dei batteri

lattici; altri studi sostengono che lo stesso ruolo potrebbe essere dovuto alla presenza dei flavonoidi

come la quercetina e il kaempferolo.

Perce Du Sert (2002), sostenendo che l’essiccazione del polline sia la causa della perdita dei batteri

lattici, responsabili dell’attività antimicrobica, consiglia di utilizzare polline fresco, congelato. Ha quindi

pensato di confezionare e conservare il polline congelato, in atmosfera modificata costituita da azoto,

al fine di preservare completamente le sue qualità biologiche, nutrizionali e organolettiche.

Il trattamento ideale di deumidificazione che mantenga inalterate le proprietà del polline non è ancora

conosciuto, tuttavia la letteratura fornisce dati piuttosto coerenti riguardo l’utilizzo di temperature

non troppo elevate (intorno a 35 °C) al fine di preservare meglio le caratteristiche qualitative del

prodotto.

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9. ALCUNI DATI PRODUTTIVI E DI MERCATO Nel 2009 e 2010 i tecnici di Aspromiele hanno condotto un progetto rilevando i quantitativi di polline

raccolto, nei mesi estivi, in apiari posti in alcune località di montagna della provincia di Cuneo. I

rilevamenti sono stati condotti in apiari, ciascuno costituito da 5 alveari dotati di trappola. I dati sono

elencati e messi a confronto nelle tabelle 23 e 24.

Tabella 23 – Dati di produzione del polline relativi al 2009 (Dati Aspromiele).

Apiario Giorni di raccolta Produzione totale

(kg)

Produzione media per

alveare (kg)

Produzione giornaliera (g)

1 43 7,43 1,49 34,55

2 59 22,10 4,42 74,91

3 25 10,64 2,13 85,15

Media: 13,39 Media: 2,68 Media: 64,87

Tabella 24 - Dati di produzione del polline relativi al 2010 (Dati Aspromiele).

Apiario Giorni di raccolta Produzione totale

(kg)

Produzione media per

alveare (kg)

Produzione giornaliera (g)

1 35 19,36 3,87 110,63

2 42 19,74 3,94 94,00

3 39 32,27 6,45 165,48

4 39 21,73 4,35 111,5

Media: 23,28 Media: 4,66 Media: 120,40

La produzione del polline di castagno in provincia di Cuneo si aggira intorno ai 3,5 kg per alveare.

I valori presentano però delle oscillazioni legate all’andamento del tempo atmosferico durante la

fioritura.

Il 2015 è risultato uno degli anni meno produttivi: il quantitativo medio di polline di castagno raccolto

è stato di 1,5 kg per alveare. Gli apicoltori hanno notato un raccolto caratterizzato da pallottole di

dimensioni ridotte, che, durante l’entrata nell’alveare, poteva facilmente passare attraverso la griglia

della trappola senza essere sottratto all’ape.

Secondo fonti dell’associazione Aspromiele, nel 2014, in provincia di Cuneo sono stati prodotti circa

50 quintali di polline, per lo più di castagno.

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Fino a cinque anni fa, la produzione italiana copriva solo il 10-12% della richiesta nazionale di polline;

il restante era di origine spagnola. Negli ultimi anni, molte aziende italiane hanno però iniziato la

produzione, raggiungendo ciascuna anche i 50 quintali di produzione annua.

Gli apicoltori ritengono che il polline deumidificato a bassa temperatura sia sensorialmente diverso da

quello di origine spagnola, essiccato con metodi tradizionali, e quindi più apprezzato dal consumatore.

Il prezzo del polline italiano, risentendo ancora oggi l’influenza del prezzo di quello di origine spagnola,

è molto concorrenziale.

Il prezzo al dettaglio del polline italiano varia dai 35 ai 50 euro al kg nel caso in cui sia confezionato in

vasetti da 200 g e supera i 45 euro al kg nel caso dei vasetti da 110 g.

Il polline prodotto dal CONAPI (COnsorzio NAzionale APIcoltori) venduto nei supermercati raggiunge i

74 euro al kg.

Il prezzo all’ingrosso è di circa 20 euro al kg, ma aumenta a valori di 23-25 euro al kg se si tratta di

polline biologico.

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10. LEGISLAZIONE Secondo la legge 24 dicembre 2004, n. 313 “Disciplina dell’apicoltura”, sono considerati prodotti

agricoli: il miele, la cera d'api, la pappa reale o gelatina reale, il polline, il propoli, il veleno d'api, le api

e le api regine, l'idromele e l'aceto di miele.

La normativa europea, mediante il Regolamento (CE) n. 178/2002 e il Regolamento (CE) n. 852/2004

assicura la qualità degli alimenti derivanti dall’attività di apicoltura destinati al consumo umano.

I prodotti dell’alveare, essendo prodotti da attività primaria, non obbligano il produttore ad applicare

i principi HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Point).

In base al Reg. (CE) n. 178/2002, gli operatori della produzione alimentare, quella primaria nel caso

dell’apicoltura, dovrebbero essere in grado di elaborare sistemi sicuri per l’approvvigionamento

alimentare e per garantire la sicurezza dei prodotti forniti diventando legalmente responsabili della

sicurezza degli stessi:

l’operatore deve disporre di sistemi e procedure per individuare le imprese alle quali ha fornito

i propri prodotti;

gli alimenti che sono immessi sul mercato o che probabilmente lo saranno devono essere

adeguatamente etichettati o identificati per agevolarne la rintracciabilità;

se un operatore ritiene che un alimento da lui prodotto non sia conforme ai requisiti di

sicurezza degli alimenti (ritengono sia dannoso per la salute umana) e l’alimento non si trova

più sotto il controllo immediato di tale operatore, questi deve avviare immediatamente

procedure per ritirarlo e informarne le autorità competenti.

Il Reg. (CE) n. 852/2004 sull’igiene dei prodotti alimentari estende la responsabilità del rispetto dei

requisiti in materia di igiene agli operatori del settore alimentare che effettuano la produzione

primaria, richiedendo:

l’adozione di misure adeguate per l’individuazione, la prevenzione e il controllo dei pericoli

connessi con la propria attività;

la tenuta e la conservazione di tutte le registrazioni relative alle misure adottate per il controllo

dei pericoli.

Per quanto riguarda l’apicoltura (produzione primaria di origine animale), gli operatori del settore

alimentare hanno l’obbligo di:

assicurare che i prodotti primari siano protetti da contaminazioni, tenendo conto di tutte le

trasformazioni successive cui saranno soggetti i prodotti primari;

effettuare misure di controllo della contaminazione derivante dall’aria, dal suolo, dall’acqua,

dai mangimi, dai fertilizzanti, dai medicinali veterinari, dai prodotti fitosanitari e dai biocidi;

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tenere puliti tutti gli impianti utilizzati per la produzione primaria e le operazioni associate, e,

ove necessario dopo la pulizia, disinfettarli in modo adeguato;

tenere puliti e, ove necessario dopo la pulizia, disinfettare in modo adeguato le attrezzature, i

contenitori e i veicoli;

assicurare che il personale addetto alla manipolazione dei prodotti alimentari sia in buona

salute e segua una formazione sui rischi sanitari;

per quanto possibile, evitare la contaminazione da parte di animali e altri insetti nocivi;

usare correttamente i medicinali veterinari, come previsto dalla normativa pertinente.

Gli operatori del settore alimentare devono tenere e conservare le registrazioni relative alle misure

adottate per il controllo dei pericoli; devono adottare opportune misure correttive quando sono

informati di problemi individuati durante controlli ufficiali.

Gli operatori del settore alimentare che allevano animali o producono prodotti primari d’origine

animale devono tenere registrazioni, in particolare, riguardanti:

la natura e l’origine degli alimenti somministrati agli animali (api);

i prodotti medicinali veterinari o le altre cure somministrate agli animali (api), con le relative

date e i periodi di sospensione;

i risultati di tutte le analisi effettuate su campioni prelevati da animali (api) o dai loro prodotti;

tutte le segnalazioni pertinenti sui controlli effettuati sui prodotti di origine animale (api).

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11. MATERIALI E METODI Per l’esecuzione del lavoro è stato individuato un apiario utilizzato per la raccolta del polline di

castagno (C. sativa). L’apiario era situato nel comune di Bernezzo, in particolare in frazione Sant’Anna

a 561 m s.l.m. (coordinate in sistema UTM: 32T 0374059 4914559).

L’apiario era composto da 38 alveari (arnie tipo Duca) a cui erano state applicate trappole da fondo

(Figura 35). Queste risultavano essere sopraelevate da terra di 25-30 cm, al fine di garantire al polline

adeguata protezione dall’umidità del suolo.

La scelta del castagno come specie botanica dalla quale ricavare il polline è dovuta al fatto che questa

produce con continuità negli anni, si riesce a raccogliere un prodotto standardizzato, con proprietà

organolettiche e sensoriali ben definite, a cui il consumatore si è fidelizzato.

Figura 35 – Postazione utilizzata per raccogliere il polline di castagno utilizzato per le analisi (Foto Colotta).

La raccolta del polline, iniziata il 18 giugno e terminata il 10 luglio, era effettuata ogni 48 ore.

Il polline, appena raccolto, era trasportato in laboratorio dove veniva condotta una fase di

prevagliatura utilizzando vagli con una maglia di diametro pari a 3-4 mm.

Successivamente, il polline era confezionato in sacchi in plastica per alimenti (contenenti circa 3 kg di

prodotto) per essere prontamente congelato a -18 °C.

Dai campioni raccolti nel corso della stagione sono state prelevate delle quote ed è stato formato un

unico lotto di analisi di 31 kg. Tale lotto è stato ulteriormente suddiviso in tre quote:

polline da essiccare con processo di deumidificazione a freddo;

polline da essiccare con processo di deumidificazione a caldo;

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polline fresco congelato.

Un campione è stato deumidificato a freddo mediante un essiccatore, presso la Cooperativa Albifrutta

di Costigliole Saluzzo (CN); un altro campione è stato essiccato in forno elettrico ventilato, presso il

laboratorio della Coldiretti di Cuneo. Il restante polline congelato non ha subito alcun trattamento di

deumidificazione.

Per facilità, abbiamo deciso di nominare i campioni come:

polline deumidificato a freddo;

polline deumidificato a caldo;

polline fresco congelato.

Analisi nutrizionale e microbiologiche sono state condotte sui campioni di polline al termine dei

processi di deumidificazione.

11.1 DEUMIDIFICAZIONE A FREDDO

L’idea di essiccare il polline a bassa temperatura nasce per offrire al consumatore un prodotto con

migliori caratteristiche organolettiche rispetto al prodotto essiccato in forno a temperature più

elevate, di origine spagnola, diffuso nel nostro Paese.

La collaborazione tra Aspromiele e la Cooperativa Albifrutta di Costigliole Saluzzo (CN) permette agli

apicoltori di essiccare il polline mediante una cella di essiccatura della ditta North West Technology di

Boves (CN), che è stata utilizzata per condurre il trattamento di deumidificazione a freddo.

L’apparecchiatura è stata creata essenzialmente per la deumidificazione di frutta, erbe e verdura ed è

stata studiata accuratamente per poter svolgere anche l’essiccazione del polline. La temperatura di

lavoro, in quest’ultimo caso, viene mantenuta a un valore non superiore ai 35 °C.

Tale temperatura degrada le componenti nutrizionali del polline in minor misura rispetto

all’essiccazione condotta in forni a temperature superiori a 45 °C (Barajas et al., 2009).

L’essiccatore a freddo si basa sul principio del deumidificatore associato al flusso costante di aria in

ambiente sigillato. L’aria in mandata, con un basso contenuto di umidità ed una temperatura stabilita,

viene soffiata dal basso nel vano di carico per assorbire l’umidità dal polline da essiccare, posto

all’interno di cassetti sovrapposti. L’aria viene successivamente a contatto con una serpentina fredda

dove l’umidità condensa e viene eliminata.

In seguito, l’aria deumidificata passa attraverso uno scambiatore di calore che la riscalda prima di

inviarla nuovamente in circolo (Figura 36).

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93

Figura 36 – Schema di funzionamento dell’essiccatore a freddo (www.northwest-technology.com).

Il campione, costituito da 20 kg di polline, è stato distribuito omogeneamente in vassoi per alimenti in

PVC al fine di avere una superficie più estesa possibile a contatto con il flusso di aria e uno strato non

troppo spesso per garantire una deumidificazione uniforme del prodotto (Figura 37).

La temperatura dell’aria in mandata, che ha il compito di estrarre l’umidità dal prodotto, è stata

impostata in modo tale da non essere superiore a 33 °C, permettendo di non superare le condizioni

termiche presenti all’interno dell’alveare, rappresentate da una temperatura di 35 ± 0,5 °C.

Mediante l’utilizzo di un datalogger è stato possibile registrare la temperatura dell’aria in mandata

durante l’intero processo per verificare il rispetto dei parametri termici impostati (Figura 38).

Il processo di deumidificazione si è svolto in 4 ore e 11 minuti, tempo necessario per raggiungere un

valore di umidità relativa non superiore al 10%. Le condizioni dell’ambiente esterno a quello di lavoro

della macchina erano caratterizzate da una temperatura di 26,5 °C e umidità relativa del 75%.

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94

Figura 37 – Vassoi di polline durante la deumidificazione a freddo (Foto Colotta).

Figura 38 – Andamento della temperatura dell’aria in mandata durante l’intero processo di deumidificazione a

freddo.

0,0

3,0

6,0

9,0

12,0

15,0

18,0

21,0

24,0

27,0

30,0

33,0

36,0

39,0

42,0

Tem

pe

ratu

ra (

°C)

Tempo (dalle ore 10:28 alle ore 14:39 del 16/07/2015)

Temperatura dell'aria in mandata

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95

11.2 ESSICCAZIONE IN FORNO

Il campione essiccato nel forno elettrico ventilato era costituito da una quantità di polline pari a 1,2 kg,

adeguata alla capienza del forno stesso e tale da poter essere distribuita in uno strato sottile e su

un’ampia superficie.

L’essiccazione è stata eseguita mediante una sorgente di calore che riscalda una certa massa d’aria per

aumentarne il potere evaporativo. Questa investe il prodotto da trattare e ne fa aumentare la tensione

di vapore superficiale consentendo l’evaporazione dell’acqua in esso contenuta.

La temperatura dell’aria del fornetto è stata impostata a 56 °C, tenuto conto che valori tra 50 e 60 °C

sono comunemente utilizzati dagli apicoltori.

Il processo di essiccazione ha richiesto un tempo di 8 ore e 11 minuti tale da permettere il

raggiungimento di un valore di umidità relativa inferiore al 10%.

Mediante l’utilizzo di un datalogger è stato possibile registrare la temperatura dell’aria all’interno del

forno durante l’intero processo per verificare il rispetto dei parametri termici impostati (Figura 39).

Le condizioni dell’ambiente esterno a quello di lavoro del forno erano caratterizzate da una

temperatura media di 26,0 °C e umidità relativa del 74%.

Figura 39 – Andamento della temperatura dell’aria interna del forno durante l’intero processo di

deumidificazione a caldo.

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

50,0

60,0

70,0

Tem

ep

ratu

ra (

°C)

Tempo (dalle ore 9:49 alle ore 18:00 del 18/07/2015)

Temperatura

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96

11.3 UMIDITA’ RELATIVA

L’umidità del polline è stata misurata mediante una termobilancia. Il principio di funzionamento dello

strumento prevede che il campione venga scaldato da un’unità essiccante alogena, la quale provoca la

vaporizzazione dell’umidità; l’analizzatore alogeno di umidità determina il peso del campione all’avvio

della misurazione.

Lo strumento esegue le misurazioni basandosi sul principio termogravimetrico: l’umidità viene cioè

determinata in base alla perdita di peso causata dal riscaldamento.

L’umidità viene misurata su un campione di circa 3 g, precedentemente macinato. La rampa di crescita

della temperatura avviene in un arco di tempo pari a 7 minuti, fino a quando raggiunge il valore

massimo di 95 °C, per evitare la caramellizzazione degli zuccheri. Durante l’operazione di

essiccamento, lo strumento misura costantemente il peso del campione e visualizza i risultati. L’analisi

termina quando, in un periodo di tempo pari a 90 secondi, si verifica un calo peso inferiore a 1,0 mg.

Al completamento dell’essiccamento i risultati vengono visualizzati in percentuale di contenuto di

umidità e di residuo secco.

Il processo di deumidificazione terminava nel momento in cui era eliminata una certa quantità di acqua

dai campioni di polline. La seguente formula è stata utilizzata per calcolare tale quantità di acqua da

eliminare, al fine di ottenere un prodotto con umidità relativa non superiore al 10%:

Pd = Pu * (100 – URi) / (100 – URf)

in cui Pd rappresenta il peso del campione deumidificato, Pu il peso del campione iniziale, URi

rappresenta l’umidità relativa del campione iniziale e URf quella che si vuole ottenere alla fine del

processo di deumidificazione.

L’essiccatore a freddo è stato impostato in modo tale da terminare il processo al raggiungimento del

peso finale (Pd) calcolato con la formula in alto (Figura 40).

Figura 40 – Esempio del pannello di controllo all’inizio del processo di deumidificazione (a sinistra) e a

deumidificazione conclusa (a destra) (Foto Colotta).

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97

11.4 ANALISI NUTRIZIONALE

Analisi nutrizionale sui campioni di polline trattati con deumidificazione a freddo e a caldo è stata

condotta dal laboratorio Floramo Corporation S.r.l. di Rocca de’ Baldi (CN) al fine di conoscere l’impatto

dei trattamenti di deumidificazione sulla componente vitaminica, in particolare sulle vitamine A, B1,

B5, B6 e C.

11.5 ANALISI MICROBIOLOGICHE

Analisi microbiologiche sono state condotte su campioni di polline al termine dei processi di

deumidificazione al fine di verificare la validità del prodotto dal punto di vista igienico sanitario e

dell’eventuale presenza di microrganismi con attività benefica sull’organismo umano. Analoga analisi

è stata condotta su polline congelato e non trattato.

I campioni sono stati così siglati:

F: polline fresco congelato;

DF: polline deumidificato a freddo;

DC: polline deumidificato a caldo.

Per ciascuno dei tre campioni di polline sono state svolte analisi in duplicato.

Le analisi sono state svolte al fine di ricercare i seguenti microrganismi:

carica mesofila aerobia totale;

muffe e lieviti;

lattobacilli (batteri lattici);

cocchi coagulasi negativi;

Enterobacteriaceae

Da ogni campione sono stati prelevati 10 g di polline che sono stati diluiti in soluzione salina isotonica

di Ringer. Aliquote sono state prelevate e piastrate sui diversi terreni e incubate a 25, 30 e 37 °C per

periodi di tempo variabili dalle 24 alle 96 ore (Tabella 25).

Sono stati utilizzati i seguenti terreni di coltura:

PCA: terreno generico;

Agar Malto: terreno selettivo per muffe e lieviti;

MRS agar: terreno selettivo per la crescita dei lattobacilli;

MSA: terreno selettivo e differenziale che consente la crescita dei cocchi coagulasi negativi;

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98

VRBA: terreno selettivo e differenziale per la ricerca di microrganismi appartenenti alla

famiglia delle Enterobacteriaceae. (Figura 41).

Tabella 25 – Microrganismi ricercati e relative analisi microbiologiche (Galli Volonterio, 2005).

MICRORGANISMO TERRENO METODOLOGIA DI CAMPIONAMENTO

TEMPI E TEMPERATURE

Carica mesofila totale PCA Spatolamento 30 °C x 48 ore

Muffe e lieviti Agar Malto Spatolamento 25 ° C x 72-96 ore

Lattobacilli MRS agar Inclusione 37 °C x 48 ore

Cocchi coagulasi negativi MSA Spatolamento 30 °C x 48 ore

Enterobacteriaceae VRBA Inclusione 37 °C x 24 ore

Figura 41 – Piastre con diversi terreni di coltura utilizzati per le analisi microbiologiche (Foto Colotta).

Alcune delle colonie cresciute su terreno MRS, relative a tutti i campioni, sono state isolate e traferite

in brodo MRS, in modo tale da ottenere un pellet di cellule sufficiente per procedere con l’estrazione

del DNA e l’identificazione dei microrganismi mediante metodi molecolari.

Le analisi, svolte a luglio 2015, sono state ripetute dopo due mesi di conservazione dei campioni in

luogo fresco, asciutto ed al riparo dalla luce, a temperatura ambiente (18-26 °C).

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99

11.6 IDENTIFICAZIONE DI MICRORGANISMI ISOLATI DAL

POLLINE

L’interesse verso una microflora con effetti benefici sull’organismo umano rappresenta il motivo per

cui si è proceduto con l’isolamento dei lattobacilli. I microrganismi isolati sono stati sottoposti a

identificazione genetica.

11.6.1 ESTRAZIONE DEL DNA

La metodica utilizzata per l’estrazione del DNA dalle cellule batteriche è caratterizzata essenzialmente

da tre fasi.

1. Rottura della parete batterica e della membrana cellulare: si preleva 1 ml di brodo di

coltura di ciascun ceppo batterico isolato a cui vengono aggiunti 300 µl di TE (10 Mm Tris

pH 8, 1 Mm EDTA pH 8) e 5 µl di lisozima (50 mg/ml), enzima che ha la funzione di rompere

la parete cellulare dei batteri gram positivi. La rottura avviene anche meccanicamente,

attraverso l’aggiunta di biglie di vetro (glass beads). Si mantengono i campioni in

termomixer a 37 °C per 30 minuti.

2. Estrazione e separazione del DNA: la fase ha lo scopo di separare il DNA da detriti cellulari,

proteine, polisaccaridi e residui dei reagenti impiegati nella fase precedente. A ciascun

campione sono aggiunti 300 µl di Fenolo:Cloroformio:Alcool isoamilico (rapporto 25:24:1)

e 300 µl di Breaking buffer. Si opera una centrifugazione che determina una separazione

dei campioni in due fasi, di cui quella superiore acquosa solubilizza il DNA. Questa fase

viene prelevata facendo attenzione a non contaminarla con le sostanze interferenti della

fase inferiore organica.

3. Precipitazione del DNA con etanolo: il DNA di ciascun campione viene trattato con due

volumi di etanolo al 99%. Dopo centrifugazione si elimina il surnatante ed al pellet di DNA

vengono aggiunti 250 µl di etanolo al 70% per poi procedere con una seconda

centrifugazione. L’etanolo viene eliminato con cautela, anche con l’aiuto di una

centrifugazione finale, al fine di non asportare parte del DNA (che aderisce alla parete della

provetta). Le provette sono lasciate aperte per alcuni minuti in modo tale da permettere

l’evaporazione dell’etanolo residuo. Al pellet di DNA di ciascun campione sono infine

aggiunti 50 µl di acqua ultrapura. I campioni sono conservati a -20 °C (Gabreiele, 2007).

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100

Il DNA dei campioni viene quantificato al fine di conoscerne concentrazione. I quantitativi estratti di

DNA vengono standardizzati a 100 ng/µl prima di procedere con la loro amplificazione mediante PCR.

11.6.2 PCR (Polymerase Chain Reaction)

La PCR (Reazione di polimerizzazione a catena) è una tecnica di biologia molecolare che permette di

creare copie di frammenti di acidi nucleici, ottenendo quantità elevate di materiale genetico. La tecnica

utilizza l’attività enzimatica della Taq polimerasi e frammenti oligonucleotidici, definiti primer,

complementari al filamento stampo di DNA e in grado di avviare la sintesi del filamento

complementare; i primer sono due, definiti forward e reverse.

L’amplificazione del DNA è costituita da tre fasi che si ripetono per un numero variabile di volte.

1. Denaturazione: la doppia catena di DNA viene denaturata a singola catena mediante

temperature elevate (94-95 °C).

2. Appaiamento (annealing): i primer complementari al DNA si legano alle due estremità 3’ delle

sequenze da amplificare e guidano la reazione in senso 5’-3’, nel tratto compreso tra le due

estremità stesse alle quali si legano. Questa fase è eseguita a temperature inferiori a quella di

denaturazione (42-60 °C).

3. Estensione: la Taq polimerasi, partendo dai primer, estende i nuovi filamenti di DNA. Ognuno

dei filamenti complementari di partenza viene esteso in direzione dell’altro, conducendo alla

sintesi di due sequenze di DNA copia della regione delimitata dai primer (Gabriele, 2007).

Il DNA degli isolati microbici è stato amplificato mediante primer che amplificano la regione V3 del

gene 16S del DNA ribosomiale batterico.

I reagenti utilizzati per le reazioni di PCR e le loro concentrazioni finali sono descritte in Tabella 26.

Tabella 26 – Reagenti utilizzati in PCR e relative concentrazioni finali.

REAGENTE CONCENTRAZIONE FINALE

10X Buffer 1X

MgCl₂ 1 mM

dNTPs (dATP, dTTP, dGTP, dCTP) 200 µM

Primer forward (338 f GC) 0,2 µM

Primer reverse (518 r) 0,2 µM

Taq polimerasi 1,25 U

Le reazioni sono state condotte utilizzando un termociclatore che ha eseguito uno specifico ciclo

termico ripetuto 35 volte (Tabella 27).

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101

Tabella 27 – Ciclo termico della PCR V3.

FASE TEMPERATURA (° C) TEMPO (minuti)

Denaturazione iniziale 95 5

Denaturazione 95 1

Annealing 42 1

Estensione 72 1

Estensione finale 72 7

Terminata la PCR, i campioni di DNA amplificati sono stati sottoposti ad elettroforesi, in gel di agarosio.

Il DNA, immerso nei pozzetti del gel a livello del polo negativo di una cella elettroforetica, si muove in

direzione del polo positivo tramite differenza del potenziale elettrico (100 V). Un intercalante del DNA

che emette fluorescenza se colpito dai raggi UV, aggiunto al gel di agarosio permette, a fine corsa in

gel, di visualizzare la presenza o meno della banda di DNA (mediante transilluminatore a raggi UV). La

presenza della banda conferma l’avvenuta amplificazione del frammento di DNA batterico.

11.6.3 DGGE (Denaturant Gradient Gel Electrophoresis)

I prodotti della PCR sono stati sottoposti alla tecnica definita DGGE per poter creare dei

raggruppamenti di ceppi a cui essi appartengono.

La DGGE è un’elettroforesi che separa i frammenti di DNA attraverso un gradiente chimico prodotto

dalla miscela di urea e formammide, in grado di denaturare parzialmente i frammenti stessi. Le

molecole di DNA, in base alla loro sequenza nucleotidica, hanno un determinato melting domain

(apertura parziale della molecola di DNA) che determina una precisa migrazione elettroforetica nel gel

di poliacrilammide. La velocità di spostamento nel gel di una molecola parzialmente denaturata è

minore, a causa del maggior ingombro sterico, di quella della doppia elica completa. Sequenze

nucleotidiche differenti hanno melting domain diversi e quindi rallentano maggiormente o meno nel

gel, determinando la separazione dei frammenti. Al contrario, gli isolati batterici appartenenti alla

stessa specie hanno stessa sequenza e relativo melting domain, correndo con la stessa velocità.

La DGGE utilizzata è definita parallela, dal momento che l’elettroforesi e il gradiente denaturante

agiscono lungo la stessa direzione. L’efficienza di separazione dei frammenti dipende dal gradiente di

denaturante; in questo caso è stato utilizzato un gradiente dal 30 al 60%.

Sono stati ottenuti raggruppamenti di ceppi che hanno corso allo stesso modo e per ciascuno di essi è

stato scelto un rappresentante per il successivo sequenziamento.

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102

11.6.4 FASI PREPARATORIE PER IL SEQUENZIAMENTO DEL DNA

Il DNA dei ceppi scelti come rappresentanti dei diversi raggruppamenti ottenuti in DGGE è stato

amplificato mediante PCR, i cui primer amplificano lo spazio tra le regioni V1 e V3 del gene 16S del DNA

ribosomiale batterico, al fine di avere una sequenza amplificata di circa 600 bp, necessaria per

un’identificazione attendibile del ceppo.

In Tabella 28 sono descritti i reagenti utilizzati per le reazioni di PCR e le loro concentrazioni finali.

Tabella 28 – Reagenti utilizzati in PCR e relative concentrazioni finali.

REAGENTE CONCENTRAZIONE FINALE

10X Buffer 1X

MgCl₂ 1,5 mM

dNTPs (dATP, dTTP, dGTP, dCTP) 200 µM

Primer forward (P1) 0,2 µM

Primer reverse (P4) 0,2 µM

Taq polimerasi 0,5 U

Le reazioni sono state condotte utilizzando uno specifico ciclo termico ripetuto 30 volte (Tabella 29).

Tabella 29 – Ciclo termico della PCR P1P4.

FASE TEMPERATURA (° C) TEMPO (minuti)

Denaturazione iniziale 94 5

Denaturazione 95 1

Copy annealing 42 1

Estensione 72 1

Estensione finale 72 7

Il DNA amplificato è stato successivamente purificato mediante l’utilizzo del PCRExtract Mini Kit. Il

protocollo del kit è designato per purificare frammenti a doppia elica di DNA, di dimensione variabile

tra 100 bp e 10 kb, da primer, nucleotidi, polimerasi e sali. Le operazioni di purificazione prevedono

l’utilizzo di colonnine filtranti, reagenti (Buffer BL, Buffer PD, Buffer PW e Buffer PEB) e centrifugazioni.

I frammenti di DNA purificati sono stati inviati ad un laboratorio esterno per il sequenziamento.

Le sequenze ottenute sono state confrontate con quelle relative al gene 16S dell’rRNA presenti in

banche dati (GenBank).

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103

12. RISULTATI

12.1 UMIDITA’ RELATIVA

La disidratazione ha l’obiettivo di diminuire il contenuto di umidità per garantire la conservazione del

polline, prevenendo la crescita dei microrganismi alteranti. Come ci si aspettava, l’umidità relativa dei

campioni decresceva a valori praticamente uguali, in seguito al trattamento con entrambe le tecniche

di deumidificazione (Tabella 30).

Si evidenzia come simili risultati siano stati raggiunti in tempi di processo diversi, quasi dimezzati nel

caso della deumidificazione a freddo (poco più di 4 ore anziché 8 ore impiegate nella deumidificazione

a caldo).

Tabella 30 – Umidità relativa dei campioni prima e dopo il processo di deumidificazione.

CAMPIONE UR INIZIALE (%) UR FINALE (%)

Deumidificato a freddo 19,90 8,01

Deumidificato a caldo 19,90 8,15

Mediante l’utilizzo di un datalogger è stato possibile registrare l’umidità relativa dell’aria durante

entrambi i processi di deumidificazione. L’umidità relativa dell’aria in mandata nel processo di

deumidificazione a freddo è stata molto bassa e piuttosto costante, con valori oscillanti tra il 26,48% e

il 37,57%, con un valore medio del 29,64% (Figura 42).

Figura 42 – Andamento dell’umidità relativa dell’aria in mandata nella deumidificazione a freddo.

0,0

5,0

10,0

15,0

20,0

25,0

30,0

35,0

40,0

Um

idit

à re

lati

va (

%)

Tempo (dalle ore 10:28 alle ore 14:39 del 16/07/2015)

UMIDITA' RELATIVA

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L’umidità relativa dell’aria all’interno del forno utilizzato per il processo di deumidificazione a caldo è

diminuita, nel corso del processo, dal 46,37% al 24,46%, a causa della graduale diminuzione del

contenuto di acqua nel polline (Figura 43).

Figura 43 – Andamento dell’umidità relativa dell’aria nel forno durante la deumidificazione a caldo.

12.2 ANALISI NUTRIZIONALE

L’analisi nutrizionale del polline deumidificato a freddo mostra quali siano le componenti alimentari

che prevalgono. Le componenti principali risultano essere i carboidrati (50,3%) e le proteine (22,3%)

mentre la fibra e i grassi rappresentano rispettivamente il 10,5 e il 6,2%. Il 70% dei carboidrati è

costituito da zuccheri semplici quali fruttosio, glucosio, saccarosio, turanosio e maltosio; fruttosio e

glucosio rappresentano rispettivamente il 39,4 e il 24,9% dei carboidrati e la loro somma costituisce

ben il 92% degli zuccheri semplici. Il rapporto fruttosio/glucosio è pari a 1,58 (Tabella 31 e Figura 44).

Il valore energetico del polline, apportato dalle componenti principali appena evidenziate, è pari a 367

Kcal.

La frazione proteica è caratterizzata da un profilo amminoacidico che rivela la presenza di tutti gli

amminoacidi essenziali per l’uomo: fenilalanina, isoleucina, leucina, lisina, metionina, treonina, valina,

arginina, istidina (le ultime due sono essenziali per l’infante), eccetto il triptofano.

Gli amminoacidi presenti in maggior quantità sono acido glutammico (4,1 g/100 g), acido aspartico (3,2

g/100 g) e alanina (2,7 g/100 g); tra quelli essenziali prevalgono valina (1,5 g/100 g) e lisina (1,3 g/100

g).

0,0

5,0

10,0

15,0

20,0

25,0

30,0

35,0

40,0

45,0

50,0

Um

idit

à (%

)

Tempo (dalle ore 9:49 alle ore 18:00 del 18/07/2015)

UMIDITA' RELATIVA

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105

La frazione lipidica è costituita per il 30,6% da grassi saturi. Gli acidi grassi identificati e quantificati

indicano la prevalenza di quelli a lunga catena, mentre quelli a corta e media catena rappresentano

meno dello 0,1% della quantità totale di lipidi. Gli acidi grassi maggiormente presenti sono quelli

insaturi, in particolare l’acido linoleico (C18:2 ω6) che rappresenta il 44,52% della frazione lipidica,

seguito dall’acido α-linolenico (C18:3 ω3, 18,53% dei lipidi) e dall’acido oleico (C18:1, 3,96% dei lipidi).

Tra gli acidi grassi saturi prevale nettamente l’acido palmitico (C16:0) che costituisce il 23,32% dei

grassi.

Il contenuto vitaminico è stato indagato in entrambi i campioni deumidificati con le due tecniche, al

fine di poter essere paragonato con quello relativo al polline fresco congelato (Tabella 32).

Dai risultati si rileva un contenuto limitato di vitamina A, pari a 26 µg/100 g nel prodotto fresco, che

diminuisce a valori inferiori a 20 µg/100 g in seguito ad entrambi i trattamenti di deumidificazione.

Per quanto riguarda il complesso vitaminico B, la vitamina B1 (0,481 g/100 g nel prodotto fresco) si

riduce del 10% in seguito alla deumidificazione a freddo e del 20% in seguito a quella a caldo; la

vitamina B5 (0,490 g/100 g nel prodotto fresco) viene dimezzata in seguito al processo di

deumidificazione a caldo (-50,2%) mentre si riduce in modo più limitato (-29,4%) in seguito al processo

di deumidificazione a freddo e la vitamina B6 (0,530 g/100 g nel prodotto fresco) subisce nuovamente

una riduzione più marcata quando il trattamento è eseguito a caldo (-36,6%) rispetto che a bassa

temperatura (-6,6%).

La vitamina C è quella che prevale tra le vitamine indagate attraverso l’analisi nutrizionale: il polline

fresco congelato ne contiene 118 mg/100 g. Essa risulta essere anche la più termolabile dal momento

che il processo di deumidificazione a caldo ne provoca un abbattimento drastico, del 95,8%, mentre il

polline deumidificato a freddo ne conserva una buona parte, data la riduzione molto più contenuta,

pari al 18,6%.

Figura 44 – Principali componenti nutrizionali del polline di castagno deumidificato a freddo.

8,01%

22,30%

6,20%

10,50%

50,30%

2,69%

Composizione nutrizionale del polline di castagno

Acqua

Proteine

Grassi

Fibra

Carboidrati

Sali minerali e altrecomponenti

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106

Tabella 31 – Componenti nutrizionali del polline di castagno deumidificato a freddo.

Parametro Valore U.M.

Valore Energetico 1548 KJ

Valore Energetico 367 KCal

Proteine 22,3 g/100 g

Grassi 6,2 g/100 g

di cui grassi saturi 1,9 g/100 g

Fibra 10,5 g/100 g

Carboidrati 50,3 g/100 g

di cui zuccheri 35,2 g/100 g

Fruttosio 19,8 g/100 g

Glucosio 12,5 g/100 g

Saccarosio 1,16 g/100 g

Turanosio 1,03 g/100g

Maltosio 0,66 g/100g

Sodio (Sale) 39 mg/100 g

Calcio 188 mg/100 g

Ferro 35 mg/100 g

Potassio 210 mg/100 g

Zinco 4,4 mg/100 g

Vit. A < 20 ug/100 g

Vit. C 96,0 mg/100 g

Vit. B1 0,433 mg/100 g

Vit. B5 0,346 mg/100 g

Vit. B6 0,495 mg/100 g

Profilo amminoacidi Valore U.M.

Acido Aspartico 3,2 g/100 g

Acido Glutammico 4,1 g/100 g

Alanina 2,7 g/100 g

Arginina 1,2 g/100 g

Cisteina+Cistina 0,2 g/100 g

Fenilalanina 0,6 g/100 g

Glicina 1,2 g/100 g

Idrossiprolina 0,2 g/100 g

Isoleucina 1,2 g/100 g

Istidina 0,7 g/100 g

Leucina 1,1 g/100 g

Lisina 1,3 g/100 g

Metionina 0,7 g/100 g

Omitina < 0,01 g/100 g

Prolina 2,6 g/100 g

Serina 1,2 g/100 g

Tirosina 1,0 g/100 g

Treonina 0,9 g/100 g

Valina 1,5 g/100 g

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107

Profilo acidi grassi Valore U.M.

C4:0 < 0,1 g/100 g grasso

C6:0 < 0,1 g/100 g grasso

C7:0 < 0,1 g/100 g grasso

C8:0 < 0,1 g/100 g grasso

C10:0 < 0,1 g/100 g grasso

C10:1 < 0,1 g/100 g grasso

C11:0 < 0,1 g/100 g grasso

C12:0 < 0,1 g/100 g grasso

C13 R < 0,1 g/100 g grasso

C12:1 < 0,1 g/100 g grasso

C13:0 < 0,1 g/100 g grasso

C14:R < 0,1 g/100 g grasso

C14:0 < 0,1 g/100 g grasso

C14:0 0,39 g/100 g grasso

C15R < 0,1 g/100 g grasso

C14:1 < 0,1 g/100 g grasso

C15:0 0,33 g/100 g grasso

C16 R < 0,1 g/100 g grasso

C16:0 23,32 g/100 g grasso

C17 R < 0,1 g/100 g grasso

C16:1 0,36 g/100 g grasso

C17:0 0,34 g/100 g grasso

C17:1 < 0,1 g/100 g grasso

C18:0 1,56 g/100 g grasso

C18:1 ω9 T 0,43 g/100 g grasso

C18:1 ω9 3,96 g/100 g grasso

C18:2 T (CT+TC+TT) < 0,1 g/100 g grasso

C19:0 < 0,1 g/100 g grasso

C18:2 ω6 44,52 g/100 g grasso

C18:3 ω6 < 0,1 g/100 g grasso

C20:0 0,55 g/100 g grasso

C18:3 T (TCT+CCT+CTC+TCC) < 0,2 g/100 g grasso

C18:3 ω3 18,53 g/100 g grasso

C20:1 0,22 g/100 g grasso

C18:4 ω3 < 0,1 g/100 g grasso

C22:0 1,24 g/100 g grasso

C22:1 ω9 < 0,2 g/100 g grasso

C20:5 ω3 (EPA) 0,55 g/100 g grasso

C24:0 3,12 g/100 g grasso

C24:1 ω9 0,22 g/100 g grasso

C22:5 ω3 0,36 g/100 g grasso

C22:6 ω3 < 0,1 g/100 g grasso

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Tabella 32 – Profilo vitaminico termolabile dei campioni di polline a confronto.

Polline fresco

congelato

Polline deumidificato a

freddo

Polline deumidificato a

caldo U.M.

Vit. A 26,0 < 20 < 20 ug/100 g

Vit. C 118,0 96,0 < 5 mg/100 g

Vit. B1 0,481 0,433 0,385 mg/100 g

Vit. B5 0,490 0,346 0,244 mg/100 g

Vit. B6 0,530 0,495 0, 336 mg/100 g

12.3 ANALISI MICROBIOLOGICHE

Le analisi microbiologiche condotte a luglio (t0), sui campioni di polline fresco, deumidificato a freddo

e deumidificato a caldo hanno permesso di verificare quanto i due trattamenti abbiano inciso sulla

carica iniziale del prodotto fresco. Il valore medio di ciascuna conta deriva da un’analisi svolta in

duplicato (Tabella 33 e Figura 45).

Dai valori si riscontra un abbattimento, seppur a volte non drastico, ad opera della deumidificazione a

caldo. In particolare si registra una diminuzione della carica mesofila totale e dei lattobacilli di 2 unità

logaritmiche (da 6 a 4), rispetto al prodotto fresco, mentre muffe e lieviti diminuiscono di un solo valore

logaritmico (da 5 a 4); l’abbattimento diventa, invece, più evidente per cocchi coagulasi negativi ed

Enterobacteriaceae, i cui valori di carica diminuiscono rispettivamente da 4 a 2 unità logaritmiche e da

4 a 1 unità logaritmica.

La deumidificazione a freddo non determina, a differenza di quella a caldo, un abbattimento dei

microrganismi analizzati.

Dalle analisi ripetute su entrambi i prodotti deumidificati, dopo due mesi di shelf-life, si riscontra un

notevole abbattimento dei valori di carica, in particolar modo nel polline deumidificato a freddo

(Tabella 34 e Figura 46).

In quest’ultimo, i microrganismi che hanno subito l’abbattimento più drastico risultano essere i

lattobacilli, che diminuiscono da 5 ad una unità logaritmica, rispetto allo stesso polline analizzato a

tempo zero. La carica mesofila totale diminuisce di due unità logaritmiche (da 6 a 4), mentre lieviti e

muffe diminuiscono rispettivamente da 5 a 4 e da 5 a 3 unità logaritmiche, dimostrando di essere i

microrganismi più resistenti durante la conservazione. I cocchi coagulasi negativi subiscono una

diminuzione di 2 unità logaritmiche (da 4 a 2) mentre le Enterobacteriaceae non sono più rilevate (i

valori delle analisi a tempo zero erano di 104 ufc/g).

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Il polline deumidificato a caldo, al contrario, non registra un significativo abbattimento delle cariche,

dopo due mesi di shelf-life poiché soltanto i lattobacilli registrano valori ulteriormente inferiori, da 103

a 10 ufc/g. L’abbattimento delle cariche nel prodotto deumidificato a caldo è già avvenuto con il

trattamento di essiccazione stesso.

In generale, dopo due mesi di conservazione in luogo fresco, asciutto, al riparo dalla luce e a

temperatura ambiente (18-26 °C), non si registrano significative differenze tra l’aspetto microbiologico

del polline deumidificato a freddo e quello del polline deumidificato a caldo.

Tabella 33 – Risultati delle analisi microbiologiche dei tre campioni di polline a tempo zero.

Polline fresco congelato

(Log₁₀ ufc/g)

Polline deumidificato

a freddo

(Log₁₀ ufc/g)

Polline deumidificato

a caldo

(Log₁₀ ufc/g)

Carica mesofila totale

6,28 ± 0,14 6,38 ± 0,07 4,70 ± 0,00

Muffe 5,06 ± 0,08 5,42 ± 0,20 4,75 ± 0,21

Lieviti 5,58 ± 0,18 5,38 ± 0,39 4,87 ± 0,12

Lattobacilli 5,27 ± 0,02 5,54 ± 0,21 3,28 ± 0,02

Cocchi coagulasi negativi

4,56 ± 0,06 4,68 ± 0,19 2,58 ± 0,17

Enterobacteriaceae 4,74 ± 0,26 4,88 ± 0,10 1,85 ± 0,21

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Figura 45 – Risultati delle analisi microbiologiche condotte sui tre campioni di polline a tempo zero.

0

1

2

3

4

5

6

7

carica mesofilatotale

muffe lieviti lattobacilli cocchi coagulasinegativi

Enterobacteriaceae

Log₁

₀ U

fc/g

Analisi microbiologiche

Valori delle analisi microbiologiche a t0

Polline fresco congelato Polline deumidificato a freddo Polline deumidificato a caldo

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Tabella 34 – Risultati delle analisi microbiologiche dei due campioni di polline deumidificati, dopo due mesi di

conservazione in luogo fresco, asciutto, al riparo dalla luce e a temperatura ambiente (18-26 °C).

Polline deumidificato

a freddo

(Log₁₀ ufc/g)

Polline deumidificato

a caldo

(Log₁₀ ufc/g)

Carica mesofila totale

4,69 ± 0,11 4,43 ± 0,32

Muffe 3,28 ± 0,13 3,08 ± 0,06

Lieviti 4,39 ± 0,01 3,51 ± 0,47

Lattobacilli 1,65 ± 0,49 1,69 ± 0,27

Cocchi coagulasi negativi

2,15 ± 0,21 2,30 ± 0,00

Enterobacteriaceae < 1 1,30 ± 0,42

Figura 46 – Risultati delle analisi microbiologiche dei due campioni di polline deumidificati, dopo due mesi di

conservazione in luogo fresco, asciutto, al riparo dalla luce e a temperatura ambiente (18-26 °C).

0

1

2

3

4

5

6

carica mesofilatotale

muffe lieviti lattobacilli cocchi coagulasinegativi

Enterobacteriaceae

Log₁

₀ U

fc/g

Analisi microbiologiche

Valori delle analisi microbiologiche dopo due mesi

Polline deumidificato a freddo Polline deumidificato a caldo

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112

12.4 IDENTIFICAZIONE DEI MICRORGANISMI ISOLATI

Al fine di procedere con l’identificazione dei lattobacilli, sono state isolate alcune delle colonie

cresciute in seguito alle analisi condotte a luglio (t0) su terreno MRS. In particolare, sono state isolate

15 colonie così suddivise:

5 colonie provenienti dal polline fresco congelato;

6 colonie provenienti dal polline deumidificato a freddo;

4 colonie provenienti dal polline deumidificato a caldo.

Per facilitazione, i campioni sono stati così nominati:

F1, F2, F3, F4, F5 (isolati dal polline fresco congelato);

DF1, DF2, DF3, DF4, DF5, DF6 (isolati dal polline deumidificato a freddo);

DC1, DC2, DC3, DC4 (isolati dal polline deumidificato a caldo).

Tramite la DGGE sono stati creati dei raggruppamenti di ceppi che hanno corso allo stesso modo e che

sono quindi appartenenti alla stessa specie (Figura 47). In particolare, i ceppi sono stati suddivisi in 3

gruppi:

DF2;

F1, F2, F4, F5, DF1, DF3, DF4, DF5, DC1, DC3, DC4;

DF6, DC2.

Figura 47 – Profilo DGGE di alcuni dei campioni. Da sinistra a destra: F2, F4, DC3, DC1, DF3, DF2, DF6,

DF5 (Foto Colotta).

F2

F3

DF5 F4 DC1 DF3 DF2 DF6 DC3

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Per ciascuno dei 3 raggruppamenti è stato scelto un rappresentante su cui è stato effettuato il

sequenziamento, al fine di individuare le specie di appartenenza.

Sono state identificate le seguenti specie: Enterococcus casseliflavus (campione DF2), L. lactis

(campione F4) e Lactobacillus kunkeei (campione DC2).

L. lactis risulta essere la specie prevalente, rappresentata da 11 dei 15 isolati; di questi 11, 4 sono stati

isolati dal polline fresco (F1, F2, F4, F5), 4 dal polline deumidificato a freddo (DF1, DF3, DF4, DF5) e 3

dal polline deumidificato a caldo (DC1, DC3, DC4). L’isolamento di L. lactis da terreno MRS, selettivo

per l’isolamento di lattobacilli, conferma i già noti limiti in termini di selettività dei terreni per i batteri

lattici.

In seguito ai risultati ottenuti dalle analisi effettuate dopo due mesi di shelf-life, che hanno evidenziato

un abbattimento delle specie identificate, non è stato possibile ripetere ulteriori identificazioni di

batteri lattici.

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13. CONCLUSIONI

Il processo di deumidificazione, svolto con entrambe le tecniche, conduce alla riduzione del contenuto

di umidità del polline, al fine di garantirne la conservazione evitando lo sviluppo di microrganismi

alterativi e la produzione di micotossine. Il valore di umidità relativa raggiunto nel prodotto finito

rientra tra quelli indicati in letteratura, tra il 6 e l’8% (Campos et al., 2008).

La deumidificazione a freddo è la tecnica più veloce tra le due utilizzate; permette inoltre di processare

maggiori quantità di polline ad ogni carico della macchina, rispetto all’essiccazione in forno elettrico

ventilato. L’utilizzo di un flusso di aria deumidificata al posto del calore permette di condurre il

processo a temperature inferiori a quelle utilizzate nel tradizionale processo di essiccazione che

prevede l’utilizzo di temperature tra i 50 e i 60 °C. Tali temperature sono necessarie per svolgere

l’essiccazione di significativi quantitativi di prodotto in 12-24 ore; l’utilizzo di temperature più basse

prolungherebbe i tempi di lavorazione.

L’uso di una temperatura dell’aria tra i 32 e i 35 °C è motivato dal fatto che l’interno dell’alveare è

caratterizzato da una condizione termica di 35 ± 0,5 °C e questa è la temperatura normalmente

presente nella stagione estiva; non vi sono quindi motivi che rendano necessario o consigliabile

deumidificare ad una temperatura inferiore a tali valori.

I risultati ottenuti dall’analisi nutrizionale dimostrano che il polline è una buona fonte di composti utili

dal punto di vista nutrizionale quali proteine e amminoacidi essenziali, vitamine (in particolare la

vitamina C) e acidi grassi insaturi. La composizione nutrizionale rientra perfettamente nei valori

descritti da Bogdanov (2004), considerando il fatto che essa dipende dall’origine botanica del polline.

Il profilo degli acidi grassi rilevato nell’analisi nutrizionale è simile a quello di Feas et al. (2012), in

quanto lo studio da loro condotto ha rilevato la predominanza degli stessi acidi grassi insaturi: acido

α-linolenico, acido linoleico, acido oleico. Bogdanov (2014) riporta la predominanza dei tre acidi grassi,

tra quelli insaturi, e dell’acido palmitico, miristico e stearico tra i saturi. Sia in questo lavoro che in

quello di Feas et al. (2012) si rileva la dominanza dell’acido palmitico.

Tra i carboidrati, fruttosio e glucosio sono gli zuccheri semplici predominanti, come riportato da

Campos et al. (2008) e Szczesna et al. (2002); il loro rapporto (fruttosio/glucosio) rientra nei valori

rilevati da Szczesna et al. (2002).

Il contenuto proteico elevato, superiore al 20%, è sufficiente a soddisfare la richiesta nutrizionale delle

api (Andrada et al., 2005). La composizione amminoacidica, caratterizzata da ben 19 amminoacidi su

20, evidenzia la prevalenza di tre di essi: acido glutammico, acido aspartico e prolina. Uno studio di

Szczesna (2006) rileva la presenza di 17 amminoacidi, tra i quali prevalgono gli stessi tre.

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Tra le vitamine ricercate si può notare il contenuto elevato di vitamina C, mentre la vitamina A e le

vitamine del gruppo B sono caratterizzate da concentrazioni meno importanti, inferiori a quelle

riportate da Bogdanov (2014), eccezion fatta per la vitamina B6 e la vitamina C. La concentrazione di

quest’ultima, rilevata in questo lavoro, risulta addirittura più che doppia rispetto a quella stimata

dall’autore, probabilmente a causa dell’origine botanica del polline, alla base delle differenze che si

possono verificare nel contenuto vitaminico.

Questo studio ha approfondito le conseguenze provocate dal trattamento di deumidificazione sulla

composizione nutrizionale del polline. Le analisi condotte sulle vitamine termolabili indicano che una

degradazione avviene, seppur limitatamente, già a basse temperature (33° C). Dal confronto tra i valori

del contenuto vitaminico, ottenuti in seguito alle due tecniche di deumidificazione, emerge che quella

effettuata in forno degrada in misura maggiore le vitamine, in particolare la vitamina C.

Si è dimostrato che la perdita di questa vitamina è correlata al calore, dal momento che essa viene

degradata maggiormente mediante un trattamento di deumidificazione condotto a 45 °C piuttosto che

a 35 °C; il polline deumidificato a quest’ultima temperatura ha un contenuto di vitamina C simile al

prodotto fresco (Barajas et al., 2009). Tale risultato è stato ottenuto anche in questo lavoro.

Il calore provoca dunque un decadimento della qualità nutrizionale del polline, mentre la

deumidificazione a freddo ne garantisce una maggiore conservazione.

Le analisi microbiologiche mostrano, nel polline fresco, la presenza di una carica mesofila totale di 106

ufc/g, simile a quella riscontrata da Belhadj et al. (2012). I valori di muffe e lieviti (entrambi 10⁵ ufc/g)

sono anch’essi paragonabili a quelli ottenuti dallo stesso gruppo di ricercatori. Feas et al. (2012),

analizzando campioni di polline dal punto di vista microbiologico, hanno invece rilevato una carica

mesofila totale, muffe e lieviti con valori di 2-3 unità logaritmiche, quindi inferiori a quelli ottenuti dagli

altri autori e in questo lavoro.

I valori elevati di muffe e lieviti riscontrati nelle nostre analisi possono essere causati da condizioni

ambientali e climatiche e da una gestione non del tutto appropriata delle attrezzature impiegate per

la raccolta del polline, fase più critica della filiera del polline. In generale, si consigliano buone pratiche

di lavorazione dalla raccolta al confezionamento del polline per limitare la contaminazione

microbiologica; si raccomanda di prelevare il polline dalle trappole al massimo ogni 48 ore.

Dal punto di vista igienico-sanitario, la sicurezza microbiologica è il principale criterio di qualità del

polline. Si suggeriscono standard igienici che comprendono Salmonella (assente in 10 g), S. aureus

(assente in 1 g), E. coli (assente in 1 g) conta aerobia totale (max. 105 ufc/g), Enterobacteriaceae (max.

102 ufc/g) e muffe e lieviti (max. 5 x 104 ufc/g) (Campos et al., 2008). Il polline deumidificato con

entrambe le tecniche presenta delle cariche microbiche contenute. Si può constatare come il

trattamento con calore abbatta con maggiore intensità tutti i gruppi microbici analizzati, a differenza

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della deumidificazione a freddo che mantiene le cariche pressoché inalterate; la temperatura oltre i

50 °C risulta quindi efficace per ridurre i microrganismi che potrebbero compromettere la salubrità del

prodotto, come Enterobacteriaceae, lieviti e muffe. Il prodotto deumidificato a freddo risulta avere

valori di conta mesofila totale (106) e di lieviti e muffe (105) superiori a quelli stabiliti da Campos et al.

(2008). Gli stessi valori risultano maggiori di quelli riscontrati da Nogueira et al. (2012) in diversi

campioni di polline confezionato, nei quali la carica mesofila totale non supera valori di 103 ufc/g,

mentre muffe e lieviti presentano cariche di 102 ufc/g. I valori di muffe e lieviti riscontrati da Petrovic

et al. (2014), tra 103 e 105 ufc/g, sono invece simili a quelli del polline deumidificato a freddo.

Dopo due mesi di shelf-life, tuttavia, tutte le cariche rilevate nel polline deumidificato a freddo sono

abbattute ai valori del prodotto deumidificato a caldo. La causa di ciò sarebbe la bassa Aw ottenuta in

seguito al processo di deumidificazione, che è in grado di abbattere, totalmente (nel polline

deumidificato a freddo) o quasi, le Enterobacteriaceae. Resistono, invece, in entrambi i tipi di polline,

sia muffe che lieviti: probabilmente si tratta di microrganismi xerofili, cioè in grado di sopravvivere a

valori bassi di Aw e a condizioni osmotiche elevate.

I batteri lattici, diffusi in natura in svariati ambienti e frequenti nel tratto intestinale dell’uomo e degli

animali annoverano alcune specie e ceppi con proprietà antibatteriche, in quanto produttori di acidi

organici e batteriocine, attivi contro alcuni batteri alterativi e patogeni, sia gram positivi sia gram

negativi. Alcuni di essi hanno inoltre attività probiotica e quindi la loro presenza negli alimenti è

ricercata.

L. lactis, la specie prevalente nei 15 campioni, è stata isolata da granuli di polline anche da Belhadj et

al. (2014). L. lactis viene utilizzato come starter in diversi cibi fermentati, specialmente nel settore

lattiero-caseario ed è riconosciuto come un microrganismo sicuro (GRAS, generally recognised as safe).

Pur non rientrando tra le specie lattiche più note per l’attività probiotica, in uno studio recente

condotto da Lee et al. (2015), il ceppo studiato, isolato da kimchi, presenta proprietà antinfiammatorie,

antiossidanti, di contrasto a varie tipologie di cancro e attività antibatterica contro patogeni umani

come L. monocytogenes e S. aureus. Secondo il gruppo di ricerca, gli alimenti contenenti microrganismi

appartenenti al genere Lactoccus possono quindi avere proprietà probiotiche, come per esempio

l’attività di regolazione della flora intestinale, data anche la capacità del microrganismo di sopravvivere

alle condizioni dello stomaco e raggiungere l’intestino. Quest’ultima capacità è stata verificata anche

da Kimoto et al. (2000): L. lactis resiste alle condizioni del tratto gastrointestinale ed è in grado di inibire

batteri enterici come E. coli ed Enterococcus faecalis. L’attività antinfiammatoria e di contrasto al

cancro di L. lactis, è dovuta alla sua capacità di inibire la proliferazione delle cellule del cancro e la

produzione delle citochine pro-infiammatorie (Han et al., 2015).

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Si è dimostrato che il polline è sterile fino al suo rilascio in seguito all’apertura delle antere; si ipotizza

che i batteri lattici non facciano parte della normale microflora della pianta in crescita, indicando

dunque il ruolo degli insetti nella diffusione di questi microrganismi (Belhadj et al., 2014). Vasquez et

al. (2012) hanno dimostrato la presenza dei batteri lattici nell’ingluvie dell’ape con un ruolo di difesa

immunitaria. Nello studio, L. kunkeei (da noi isolato in un campione di polline deumidificato a caldo e

in uno deumidificato a freddo) è risultato essere il batterio lattico dominante e il più potente inibitore

di batteri tra cui patogeni per l’ape e per l’uomo. Asama et al. (2015) hanno isolato L. kunkeei nel

polline, nel miele, nel pane d’api, nella gelatina reale e nell’ingluvie dell’ape. Esso si riduce però

nettamente nell’intestino dell’ape, nonostante l’abbondanza nello stomaco, suggerendo che non

sopravvive all’ambiente intestinale. Gli stessi ricercatori hanno riscontrato, da parte di questo batterio,

un’azione stimolante sulla produzione di immunoglobuline A (IgA) nei topi e in soggetti adulti in salute.

Non si può ancora stabilire se il nettare dei fiori possa essere una nicchia di crescita di questo

microrganismo o se esso sia soltanto depositato sul fiore durante l’impollinazione dell’ape (Tamarit et

al., 2015).

Enterococcus casselliflavus è un microrganismo diffuso nell’intestino dell’uomo e di altri animali ed è

associato a infezioni, specialmente in pazienti immunocompromessi.

Per lungo tempo si è ritenuto che la presenza di enterococchi negli alimenti fosse indice di

contaminazione fecale, dunque di scarsa sanificazione dell’ambiente e degli utensili e di

ricontaminazione post-processo per prodotti che hanno subito trattamenti tecnologici inattivanti i

microrganismi (calore, essiccazione, congelamento). In realtà, soprattutto nei prodotti lattiero-caseari

sono associati a tipicità del prodotto. Franciosi et. al (2009) hanno isolato E. faecalis, Enterococcus

durans e E. casselliflavus dal latte crudo e dal formaggio locale in diversi momenti della stagionatura.

Conoscendo inoltre la possibile resistenza agli antibiotici, è stata ricercata la presenza del gene

responsabile della resistenza alla vancomicina, risultato però assente. Gli enterococchi contribuiscono

alle formazione delle caratteristiche organolettiche nei cibi fermentati come formaggi e salumi. E.

faecalis si è anche dimostrato in grado di produrre batteriocine capaci di inibire Listeria innocua,

caratterizzata dall’avere una sensibilità ai composti inibitori simile a L. monocytogenes. Lo spettro

d’azione delle batteriocine prodotte dal genere Enterococcus, specialmente quelle prodotte da E.

faecium ed E. faecalis, anche se non è ampio come quello della nisina, può contribuire alla sicurezza

contro bassi livelli di contaminazione da parte di L. monocytogenes durante la produzione e la

maturazione di formaggi (Giraffa, 1995).

Il polline si rivela una matrice da cui poter isolare i batteri lattici, presenti nel prodotto di partenza in

carica elevata (105 ufc/g). Al momento, tuttavia, non si conosce come questi microrganismi

pervengano nel polline, poiché non sono stati condotti studi in tal senso.

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La loro presenza si riduce di due unità logaritmiche a causa del trattamento con calore, mentre non

subisce variazioni con la deumidificazione a freddo, che risulta dunque il trattamento preferibile.

Tuttavia, la bassa Aw abbatte quasi completamente la presenza dei batteri lattici sia nel polline

deumidificato a caldo che a freddo, dopo due mesi di conservazione a temperatura ambiente. Il polline

deumidificato a freddo, se consumato subito, può presentare microrganismi con potenziale attività

probiotica, aspetto importante che sarebbe interessante da studiare e approfondire; successivamente

rimane un’azione esclusivamente alimentare.

Dalla letteratura emerge che il congelamento del polline è in grado di garantire al meglio le sue

proprietà nutrizionali e, probabilmente, quelle microbiologiche; tale aspetto non è però stato

analizzato poiché si verificherebbero delle complicazioni lungo la filiera di questo prodotto che gli

apicoltori non intendono affrontare.

La deumidificazione a freddo è un ottimo compromesso tra i costi per gli apicoltori e il consumatore

finale e i benefici sotto forma di proprietà che il polline guadagna dal punto di vista nutrizionale.

Date le sue interessanti caratteristiche microbiologiche, chimiche e nutrizionali, il polline può essere

considerato un integratore alimentare con effetti benefici sulla salute dell’uomo.

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16. ICONOGRAFIA Figura 1 – www.funghiitaliani.it/botanica/morfologia4_fiore.html Figura 2 – www.sciunisannio.it/doc/appunti/lt_scbio/2013-14/tec_erboristiche/granuli_pollinici.pdf Figura 3 – www.arpa.emr.it/dettaglio_generale.asp?id=399&idlivello=550 Figura 4 – https://it.wikipedia.org/wiki/Polline Figura 5, 10, 11, 13, 19, 24, 25, 35, 37, 40, 41, 47 – Foto Samuele Colotta Figura 6 – Pacini, E. (2010) Dalla maturazione del polline al suo atterraggio aspetti ecofisiologici. http://docente.unife.it/simonetta.pancaldi/insegnamento-di-botanica/lezione%20polline.pdf. Figura 7 – Frilli, F., Barbattini, R., Milani, N.; 2001. L’ape forme e funzioni. Calderini edagricole. 112 pp. Figura 8 – http://tana.francibb.it/wp-content/uploads/2014/05/ape.jpg Figura 9 – www.girovagandointrentino.it/wp-content/uploads/2014/05/ api_meleti_montagne_598_girovagando_low.jpg Figura 12 – www.mieliditalia.it/index.php/mieli-e-prodotti-delle-api/polline Figura 14, 16, 17 – www.letrappoledelpolline.com Figura 15, 21 – www.apascampania.com/articoli/42/il-polline-metodi-di-raccolta Figura 18 – www.artisticasettempedana.it/apicoltura/prodotto/arnia-mod-metalori Figura 20 – www.cadalaisna.it/wp-content/uploads/2011/04/100_3650.jpg Figura 22, 27, 28, 33 – Foto Aspromiele Figura 23 – www.legaitaly.com/carrello/l-apiario/polline/essiccatoio-per-polline-con-10-cassetti-in-rete-inox-detail Figura 24, 26 – www.tredtechnology.com/pollineemiele/ppa Figura 29, 30 – Szczesna, T., Rybak-Chmielewska, H., Chmielewski, W. (2002) Sugar composition of pollen loads harvested at different periods of the beekeeping season. Journal of Apicultural Science 46, 107-114. Figura 31 – www.teatronaturale.it/strettamente-tecnico/bio-e-natura/20352-le-proprieta-del-polline-ne-fanno-un-alimento-prezioso-ma-attenti-alle-frodi.htm Figura 32 – Hidalgo berutich, M. I., Bootello bravo, M. L. (1990) About some physical characteristics of the pollen loads collected by Apis mellifera l. Apicoltura 6, 179-191.

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Figura 34 – www.agronotizie.imagelinenetwork.com Figura 36 – www.northwest-technology.com Tabella 1 – www.arpa.emr.it/dettaglio_generale.asp?id=399&idlivello=550 Tabella 2:9 – Brajon, G., Marconi, P., Corrias, F., Ragona, G., Smaldone R. M., Guazzini, L., Spagnul, S., Paladini, I., Piazza, A., Formato, G., Pietropaoli, M., Milito, M., Pizzariello, M., Cavallina, R., Campagna, M. C., Fischetti, R. (2014) Innovazione nelle tecniche di raccolta e lavorazione del polline. http://www.izslt.it/apicoltura/wp-content/uploads/2014/06/Relazione-POLLINE_4-dic-2014-def.pdf Tabella 10 – Bogdanov, S. (2004) Quality and standards of pollen and beeswax. APIACTA 38, 334-341. Tabella 11 – Szczesna, T. (2006) Protein content and amino acid composition of bee-collected pollen from selected botanical origins. Journal of Apicultural Science 50, 81-89. Tabella 12 – Andrada, A. C., Tellerìa, M. C. (2005) Pollen collected by honey bees (Apis mellifera L.) from south of Caldèn district (Argentina): botanical origin and protein content. Grana 44, 115-122. Tabella 13 – Domìnguez-Valhondo, D., Bohoyo Gil, D., Hernàndez, M. T., Gonzàlez-Gòmez, D. (2011) Influence of the commercial processing and floral origin on bioactive and nutritional properties of honeybee-collected pollen. International Journal of Food Science and Technology 46, 2204–2211. Tabella 14, 15 – Bogdanov, S. (2014) The pollen book, chapter 2. Pollen: nutrition, functional properties, health. Bee Product Science. Tabella 16 – Campos, M. G. R., Frigerio, C., Lopes, J., Bogdanov, S. (2010) What is the future of bee-pollen? Journal of ApiProduct and ApiMedical Science 2, 131 – 144. Tabella 17, 18 – Campos, M. G. R., Bogdanov, S., de Almeida-Muradian, L. B., Szczesna, T., Mancebo, Y., Frigerio, C., Ferreira, F. (2008). Pollen composition and standardisation of analytical methods. Journal of Apicultural Research and Bee World 47, 156-163. Tabella 19 – Morgano, M. A., Teixeira Martins, M. C., Rabonato, L. C., Milani, R. F., Yotsuyanag, K., Rodriguez Amaya, D. B. (2010) Inorganic contaminants in bee pollen from Southeastern Brazil. Journal of Agriculture and Food Chemistry 58, 6876-6883. Tabella 20, 21 – www.reterurale.it/api (2015) Tabella 22 – Regolamento della Commissione (UE) N. 37/2010 del 22 dicembre 2009; in G.U. n.15 del 20/01/2010. Concernente le sostanze farmacologicamente attive e la loro classificazione per quanto riguarda i limiti massimi di residui negli alimenti di origine animale. Tabella 23, 24 – Dati Aspromiele Tabella 25 – Galli Volonterio, A. (2005) Microbiologia degli Alimenti. Casa Editrice Ambrosiana. 467 pp.