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PAOLO SANTOBONI IL RIORDINAMENTO DELLE RACCOLTE PERGAMENACEE DELL’ARCHIVIO DI STATO DI PISA PISA 2008 ARCHIVIO DI STATO DI PISA FONDAZIONE PER LA CONSERVAZIONE E IL RESTAURO DEI BENI LIBRARI — SPOLETO

Tesina Spoleto - 01. Il riordinamento delle raccolte pergamenacee … · 2015-02-03 · 3 PRESENTAZIONE DELLE RACCOLTE 1. I NUCLEI DOCUMENTALI ORIGINARI 1.1. Atti pubblici A differenza

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PAOLO SANTOBONI

IL RIORDINAMENTO DELLE RACCOLTE PERGAMENACEE DELL’ARCHIVIO DI STATO DI PISA

PISA 2008

ARCHIVIO DI STATO DI PISA FONDAZIONE PER LA CONSERVAZIONE E IL RESTAURO DEI BENI LIBRARI — SPOLETO

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INTRODUZIONE

Il Governo provvisorio toscano, istituendo con il decreto del 22 febbraio 1860 un Archivio di Stato a Pisa, aveva disposto che vi confluissero anche, in aggiunta ad altra documentazione, le pergamene ricoverate fino ad allora presso varie sedi pisane. Furono riunite così nel nascente istituto, a formare una parte cospicua del primo nucleo documentario dell’Archivio di Stato, le raccolte membranacee dell’Opera della Primaziale, degli Ospedali riuniti, dell’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano (ente soppresso un anno prima dallo stesso Governo) e gli atti del Comune. Di questi ultimi, una parte, sottratta dai fiorentini durante la prima e la seconda dominazione su Pisa (1406-1494 e 1509-1808), si trovava nell’Archivio centrale di Stato di Firenze, un’altra giaceva presso il Comune e la Biblioteca universitaria di Pisa.

Nel 1865, al momento dell’inaugurazione dell’istituto pisano, si erano aggiunte a queste raccolte le pergamene delle Opere pie (Pia casa di carità e Pia casa di misericordia), dell’Università e dell’ex monastero di Sant'Anna, divenuto nel frattempo un conservatorio femminile.

Francesco Bonaini, allora sovrintendente generale agli archivi della Toscana, ottenne quattro anni dopo, nel 1869, la restituzione degli archivi delle corporazioni religiose soppresse in epoca lorenese e napoleonica, anch’essi trasferiti a Firenze, e altre pergamene di provenienza pisana portate nella capitale del Granducato in attuazione del motuproprio del 24 dicembre 1778, con cui Pietro Leopoldo di Lorena aveva istituito a Firenze il primo Archivio diplomatico.

Questa mole documentaria, già allora cospicua, si sarebbe ulteriormente accresciuta nei decenni successivi grazie ad acquisti, depositi e donazioni, facendo del Diplomatico pisano una raccolta che conta a tutt’oggi circa ventunomila pezzi originati nel loro complesso da 65 diverse provenienze.1 Si tratta di un patrimonio non completamente noto, edito in contesti diversi e in maniera episodica e studiato con una certa sistematicità, ma parzialmente, in una serie di tesi di laurea depositate presso il Dipartimento di medievistica dell’Università di Pisa e la biblioteca dell’Archivio di Stato di Pisa.2 1 Rispetto a quanto rilevato dalla Guida generale degli Archivi di Stato, nel 1986 la sezione si è accresciuta di cinque unità consistenti in atti a quaderno relativi alla località di Lustignano di Pomarance ("Acquisto 1986"). Per alcuni cenni sulla costituzione originaria del Diplomatico e le successive aggregazioni cfr. Guida generale, vol. III, pp. 643-9 e FRANCESCO BONAINI, Documenti della storia pisana restituiti al R. Archivio di quella città, Pisa, Nistri, 1869. 2 I documenti fino all'anno 1100 sono editi in MARIELLA D’ALESSANDRO NANNIPIERI, Le carte dell’Archivio di Stato di Pisa, 1 (780-1070), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1978 e in MARIA LUISA SIROLLA, Le carte dell’Archivio di Stato di Pisa, 2 (1070-1100), Pisa, Pacini, 1990; le tesi furono presentate sotto la direzione del Ottorino Bertolini fino al 1964, in seguito di Cinzio Violante e Silio P. P. Scalfati.

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PRESENTAZIONE DELLE RACCOLTE

1. I NUCLEI DOCUMENTALI ORIGINARI

1.1. Atti pubblici A differenza di altre città italiane che furono sedi nel medioevo di importanti magistrature comunali, Pisa non conserva raccolte organiche e ufficiali di documenti. Nel corso della storia le carte del Comune di Pisa, testimonianze scritte delle ragioni formali e giuridiche della vita del Comune, sono andate in parte distrutte e in parte disperse. Nel 1865, allorché venne organizzato il primo nucleo della sezione del Diplomatico nel neoistituito Archivio di Stato, quanto rimaneva degli atti, del carteggio e delle deliberazioni dei magistrati pisani era da poco rientrato in città dopo una lunga permanenza a Firenze. Altre serie si trovavano presso il Comune di Pisa, il Capitolo dei canonici, la locale Biblioteca universitaria. La raccolta Atti pubblici conserva quindi ben poche memorie delle numerose e complesse relazioni che legarono l’antica repubblica ai centri economici e politici del mondo di allora. A tale lacunosità è in parte imputabile quella che Marco Tangheroni lamentava come la mancanza di un adeguato respiro Mediterraneo nella peraltro ricca storiografia su Pisa.3 In questo contesto era nata, alla fine degli anni ’60, la prima bozza dell'ambizioso progetto di Ottavio Banti finalizzato all’edizione di un codice diplomatico della repubblica di Pisa, che prevedeva la raccolta generale dei documenti relativi alla storia istituzionale, economica e politica della città; ma proprio a causa dell’estrema dispersione del patrimonio nell’intero bacino del Mediterraneo, l’iniziativa non riuscì mai a superare le fasi preliminari e ad articolarsi in un concreto programma di ricerca e di edizione. È indubbio che le odierne risorse tecnologiche della rete potrebbero ridurre i costi di finanziamento del progetto, ma resta il fatto che la ricomposizione sulla carta delle tracce di un archivio disperso implica delle questioni metodologiche preliminari, a cominciare dalla comprensione di quali documenti debbano essere inclusi nella raccolta e quali no. Mancano in effetti anche, quasi del tutto, quegli strumenti basilari che potrebbero definire la consistenza dell’archivio originario: antichi inventari, repertori, indici.4 L’attuale documentazione della raccolta Atti pubblici consiste di 228 pergamene (sec. XI-1531), 91 atti cartacei (1138-1475) e 19 atti a quaderno (1102-1509): alcuni atti cartacei e a quaderno sono inseriti all’interno di tre buste del Diplomatico cartaceo (nn. 1-3) e sei buste della serie Istrumentari dell’archivio del Comune, Divisione A (nn. 27, 47, 59, 73, 79, 80).5 La raccolta comprende privilegi imperiali e papali, contenenti varie concessioni accordate al Comune e alla Chiesa pisana, inoltre la più cospicua collezione di diplomi arabi in Italia (assieme a quella conservata nell’Archivio di Stato di Palermo), alcuni diplomi bizantini, franchigie, trattati di pace e di relazione commerciale con l’Oriente, ricognizioni di debito, lettere, compravendite, mutui, locazioni, mandati di procura, elezioni di ufficiali in forma solenne (cioè documentate da un notaio della Cancelleria comunale alla presenza di testimoni, anch’essi in genere organi del

3 MARCO TANGHERONI, Famiglie nobili e ceto dirigente a Pisa nel XIII secolo, in “I ceti dirigenti dell’età comunale nei secoli XII e XIII”, Atti del convegno di studi sulla storia dei ceti dirigenti in Toscana (Firenze, 14-15 dicembre 1979), Pisa, Pacini, 1981, pp. 323-346. 4 Un inventario della fine del secolo XIV in realtà esiste (Comune, Divisione A, Istrumentari, b. 27), ma è fortemente incompleto poiché non cita molti dei documenti dei quali abbiamo notizia da altre fonti: ciò conferma indirettamente come le maggiori distruzioni dell’archivio del Comune dovettero avvenire nelle prime decadi del Trecento. Cfr. in proposito BRUNO CASINI, Gli Atti pubblici del Comune di Pisa secondo un inventario della fine del Trecento, in “Bollettino Storico Pisano”, XXVIII-XXIX, 1959-1960, pp. 63-89. 5 BRUNO CASINI, Inventario dell’Archivio del Comune di Pisa (secolo XI – 1509), Livorno, Il Telegrafo, 1969, pp. 57-97.

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Comune) e altro ancora: si tratta dunque una serie di carte di natura diversa nelle quali la massima istituzione cittadina prendeva parte in qualità di interessata o di contraente. Molti documenti furono redatti in copia autentica alla metà del sec. XIII. Fra le testimonianze più notevoli ricordiamo il Breve consulum Pisane civitatis, il privilegio di Federico I Barbarossa del 17 aprile 1165 con il quale dona alla città di Pisa la sovranità sulla Sardegna (la bolla aurea è originale) e i diplomi imperiali di suo nipote Federico II (17 novembre 1221) e di Ludovico il Bavaro (22 dicembre 1328), anch’essi con bolle d’oro (figg. 1-5).

1.2. Opera della Primaziale

L’ente Opera del Duomo fu istituito alla metà dell’XI secolo per sovrintendere alla costruzione della nuova cattedrale pisana, innalzata nel luogo dove un tempo sorgeva una chiesa dedicata a Santa Reparata, e per amministrare i fondi donati alla fabbriceria: ad esso si riferiscono gli atti della raccolta pergamenacea più consistente dell’Archivio di Stato di Pisa. Figura chiave dell’ente era l’Operaio, inizialmente eletto dai supremi magistrati del Comune, gli Anziani del Popolo, nelle cui decisioni almeno in un primo tempo interveniva anche l’arcivescovo. La sua nomina fu avocata dai Fiorentini all’indomani della loro prima conquista della città (1406), per tornare temporaneamente agli Anziani durante la seconda libertà pisana (1495-1509) e infine stabilmente al governo mediceo fino all’avvento della dominazione francese (1808). In questo periodo all’Operaio venne sostituito un consiglio di nove membri, cinque dei quali scelti dall’arcivescovo e quattro dal prefetto, poi dal sindaco. Con la Restaurazione si tornò alla nomina granducale e alla nomina per decreto reale dopo l’Unità, allorché l’operato di questo ufficiale e della commissione che lo coadiuvava venne sottoposto al controllo del Ministero dell’Interno per gli affari amministrativi, e del Ministero della Pubblica istruzione per le cose di interesse artistico.6

Come si è detto, la raccolta pergamenacea della Primaziale, costituita da 3454 unità, è per consistenza la maggiore dell’Archivio pisano: i documenti vanno dal 930 al 1644 e constano di privilegi imperiali, papali, vescovili e arcivescovili, deliberazioni comunali riguardanti l’Opera, atti relativi a monasteri, chiese, ospedali, famiglie gentilizie, associazioni e compagnie commerciali, su temi assai vari fra cui, per fare un esempio, il diritto della navigazione. Tra le carte più interessanti si segnalano una donazione di beni alla Chiesa e al Vescovato pisano datata 6 marzo 930; le donazioni fatte da Matilde di Canossa all’Opera del Duomo (1101 e 1103); il privilegio dell’imperatore Federico I Barbarossa con il quale prende sotto la sua protezione i beni dell’ente (31 gennaio 1178); le rubriche di alcuni capitoli del Constitutum dell’Opera del Duomo (9 agosto 1174), in calce a cui è riportata una memoria relativa all’anno di fondazione del campanile (1173) (fig. 6).

1.3. Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano Il Sacro Militare Ordine di Santo Stefano papa e martire venne fondato nel 1561 per volontà di Cosimo I de’ Medici e consacrato sotto la regola benedettina dal pontefice Pio IV, con la bolla His quae. Si tratta di una milizia religioso-cavalleresca avente per obiettivi la salvaguardia della fede cattolica, la lotta alla pirateria barbaresca e agli Ottomani e la sicurezza dei traffici navali, in funzione degli sforzi di Cosimo di promuovere la città di Livorno al ruolo di centro portuale egemone nel Mediterraneo. A capo dell’Ordine era il Gran maestro, titolo spettante al sovrano: questi avrebbe dovuto limitarsi a vigilare sugli statuti e a esercitare formalmente il controllo sulla vita dell’istituzione, lasciandola per il resto libera di autogovernarsi; in realtà, al suo vertice venne posto fin da subito un funzionario di diretta nomina granducale, l’Auditore presidente della religione: attraverso questa figura, dotata di ampi poteri, il Granduca poté disporre dell’Ordine rafforzando il proprio controllo sul territorio e accrescendo il prestigio della corona sulla nobiltà pisana e senese.

6 PIO PECCHIAI, L’Opera della Primaziale pisana, Pisa, Mariotti, 1905.

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In via subordinata all’Auditore il potere era gestito da alti dignitari specializzati in vari settori organizzativi, i Cavalieri di Gran Croce; inoltre da un’assemblea di tutti i componenti dell’Ordine, il Capitolo generale, e dal Consiglio dei Cavalieri, composto inizialmente da dodici membri, poi ridotti a cinque. Cosimo concesse all’ente un ricco appannaggio e numerosi beni fondiari, fra cui diverse tenute agricole situate nel Granducato, e ne fece così uno dei maggiori produttori e mercanti di grano della Toscana. Ma l’Ordine fu ben presto impegnato anche in importanti campagne militari, come quella per la difesa di Malta (1565) e la battaglia di Lepanto (1571), combattute a fianco della Spagna. Alla fine del Settecento Pietro Leopoldo riformò gli statuti cancellando la componente militaresca, peraltro già ridotta a meri compiti di rappresentanza e di pattugliamento delle coste, e trasformando l’Ordine in uno strumento per la formazione della classe dirigente toscana. Fu soppresso una prima volta in epoca napoleonica (1809) e ripristinato con la Restaurazione da Ferdinando III di Lorena (1817); nel 1859 il Governo provvisorio toscano soppresse la milizia in via definitiva, ma con una risoluzione efficace ai soli fini patrimoniali, dal momento che essa può essere abolita solo con bolla papale. In effetti è tuttora operante e attualmente conta circa 80 membri, fra cavalieri, sacerdoti, cappellani. Ne è Gran maestro l’arciduca d’Austria Sigismondo d’Asburgo-Lorena, capo della Casa granducale di Toscana, che ha assunto dal 1994 il Gran magistero di tutti gli ordini dinastici del suo casato.7 La raccolta membranacea dell’Ordine di Santo Stefano si compone di circa duemila pezzi con estremi cronologici compresi fra il 1561 e il 1852: a quest’ultimo anno risale la bolla di Pio IX che rappresenta il documento più recente dell’intero Diplomatico. Anteriori al 1561 sono otto unità provenienti dal monastero benedettino di San Savino in Montione di Pisa, divenuto commenda dell’Ordine di Santo Stefano nel secolo XVI: due di esse sono copie della carta di fondazione del monastero, del 780; moltissimi gli atti di assegnazione di pensioni, di concessione, collazione e cambio di commende e i diplomi di nomina a cavaliere.

2. OSPEDALI E ISTITUZIONI DI ASSISTENZA E BENEFICENZA

2.1. Ospedali riuniti di Santa Chiara Nel 1257 il pontefice Alessandro IV aveva assolto i ghibellini pisani, scomunicati da Gregorio IX nel 1241 per aver arrestato dei prelati, a condizione che questi costruissero un ospedale per i malati.8 I Pisani lo inaugurarono nel 1258 e, riconciliatisi con Roma, ottennero dal papa importanti concessioni: l’ospedale venne sottoposto direttamente alla Santa Sede; furono concesse indulgenze plenarie ai suoi benefattori; in esso furono riuniti tutti gli ospedali esistenti a Pisa ad eccezione di quello del Capitolo dei canonici e di pochissimi altri, in modo da accrescerne immediatamente il prestigio. L’Ospedale nuovo, o della Misericordia di Santo Spirito, o di papa Alessandro, prosperò così e accrebbe il proprio patrimonio grazie alle donazioni e ai lasciti ricevuti; riuscì facilmente a imporsi sulle altre realtà assistenziali e a riorganizzare in parte gli equilibri della vita religiosa del tempo: dal secolo XIII in poi esercitò numerosi diritti di patronato su chiese e altari, diritti che consistevano perlopiù nella riscossione dei censi, in presentazioni e nomine dei parroci.

7 STEFANO SODI e STEFANO RENZONI, La chiesa di S. Stefano e la piazza dei Cavalieri, Pisa, ETS, 2003; RODOLFO BERNARDINI, Il Sacro Militare Ordine di Santo Stefano papa e martire: ordine dinastico-familiare della casa Asburgo-Lorena, Pisa, Giardini, 1990. 8 L’arresto era avvenuto sull’isola del Giglio, dove la flotta pisana, per ordine di Federico II di Svevia, aveva intercettato le navi genovesi che conducevano i prelati a Roma: questi avrebbero dovuto prendere parte a un concilio che avrebbe inteso deporre lo stesso imperatore.

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Con l’instaurarsi di cattive prassi nell’amministrazione delle rendite, affidate a rettori poco integri o inesperti,9 iniziò per l’Ospedale un periodo di decadenza economica che si sarebbe aggravata con la crisi della Repubblica e l’inizio delle guerre con Firenze. Cosimo I, nel 1545, cercando di ottenere per il nascente stato mediceo forme di controllo più dirette sulle istituzioni, pose l’Ospedale nuovo alle dipendenze di quello di Santa Maria Nuova di Firenze; un provvedimento revocato solo nel 1770 dai Lorena, che disposero inoltre l’avvicendamento dei frati agostiniani, da sempre alla guida dell’ospedale, con dei commissari di nomina granducale. In epoca francese l’evidente dissesto dell’istituzione aveva spinto alcuni organi del Consiglio generale del Dipartimento del Mediterraneo a cercare dei rimedi, senza peraltro riuscirvi: si tentò ad esempio di contenere il numero degli assistiti regolamentando più rigidamente i presupposti del ricovero e di rintracciare nuovi cespiti di entrata. Dopo l’Unità venne approvato un nuovo statuto e nel 1874 la denominazione ufficiale dell’ente venne mutata in Ospedali riuniti di Santa Chiara.

Fra gli enti ospedalieri via via confluiti nel Santa Chiara, i cui fondi troviamo aggregati all’archivio maggiore, il più importante è senza dubbio l’Ospedale dei trovatelli, nato dall’unione di tre precedenti istituti: San Domenico (fondato nel 1218, originariamente presso la chiesa di San Michele in Borgo e poi trasferito nella cappella di San Lorenzo alla Rivolta), Santo Spirito (fondato nel 1192 presso Porta San Marco in Kinzica) e l’Ospedale della Pace o del Principe (fondato nel 1316 per siglare la concordia raggiunta tra la Repubblica pisana e il re di Napoli Roberto d’Angiò). Altre significative provenienze riguardano gli ospedali di San Frediano, il più antico di cui ci sia giunta notizia, l’abbazia benedettina di San Michele degli Scalzi e l’Opera dell’Oracolo di Santa Maria di Ponte Nuovo.10

Le pergamene del Diplomatico sono in tutto 1059, con date comprese tra il 1100 e il 1767; l’atto di vendita del 2 agosto 1004 proveniente dall'archivio dei Trovatelli è un falso.

2.2. Pia casa di carità

Istituzione antica, la Pia casa di carità (in origine “Compagnia di carità”) fu fondata nel 1570 per assistere gli orfani, divenendo uno dei maggiori enti assistenziali cittadini a seguito dell’acquisizione dei beni del convento di San Michele in Borgo. Aveva sede nell’edificio “delle Stinche”, oggi occupato dai Dipartimenti universitari di Filosofia e Storia. Con decreto del 22 settembre 1781 il granduca Pietro Leopoldo di Lorena trasformò l’ente in conservatorio femminile, istituendo per la sezione maschile il “Conservatorio dei poveri orfani”, denominato “Qualquonia” o “Carconia”. Dopo la Restaurazione, Pietro Leopoldo II istituì al suo posto la “Casa di riposo per inabili al lavoro”, che venne dotata del patrimonio di altre istituzioni religiose e assistenziali soppresse: essa offriva ricovero e mantenimento ai poveri e ai miserabili del Comune di Pisa, prestava loro soccorso e impartiva l’educazione gratuita ai fanciulli indigenti o privi di genitori. Con la legge 31 agosto 1933 tali istituiti vennero accorpati sotto il nome di “Istituti Riuniti di Ricovero e di Educazione”. Il Diplomatico Pia casa di carità comprende 38 unità, che datano dal 1333 al 1804. 2.3. Pia casa di misericordia

Sorse agli inizi del Trecento con lo scopo di sostentare gli orfani, gli indigenti, le vedove, e di dotare le fanciulle povere. Nel Seicento acquisì per lascito testamentario cospicui patrimoni e il controllo amministrativo del Collegio Puteano, fondato dall’arcivescovo Carlo Antonio Dal Pozzo per accogliere gli studenti piemontesi allievi dello Studio pisano (1604). Cosimo III, granduca di Toscana, 9 Nel 1419 venne destituito lo spedalingo Nepo di Scolao degli Spini, figlio di un ex podestà di Pisa, che all’epoca aveva solo quattordici anni. 10 FILIPPO VAGLINI, La storia dell’Ospedale di S. Chiara in Pisa (dalle origini fino al 1771), Pisa, Felici, 1994 e BRUNO CASINI, Il fondo degli Ospedali Riuniti di S. Chiara di Pisa, Pisa, Lischi, 1961, pp. 9-39.

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vendette alla Pia casa di misericordia le antiche terme di San Giuliano (1685), che furono riallestite e destinate in uso gratuito alla cura degli ammalati poveri della Diocesi pisana. Le successive vicende dell’istituzione ricalcano quelle di molti altri enti di assistenza e beneficenza: concentrata nella “Federazione pisana di Opere pie elemosiniere e di cura” (1928), confluita nella Congregazione di carità (1932), poi nell’Ente comunale di assistenza (1937) fino al passaggio delle competenze in materia sanitaria alla Regione (1978) e il trasferimento dei beni e del personale al Comune.11

Gli atti su pergamena della Pia casa di misericordia assommano a 499 unità, dal 1053 al 1737, molti dei quali sono strumenti di vendita, procure, sentenze arbitrali.

3. GLI ARCHIVI FAMILIARI MAGGIORI

3.1. Roncioni Nella sezione diplomatica si conservano molti documenti estratti dagli archivi privati delle più influenti famiglie pisane, famiglie che durante il basso Medioevo vennero acquisendo un crescente prestigio, affermandosi in campo politico ed economico e divenendo depositarie di una cospicua documentazione attestante il conseguimento dei titoli riguardanti i vari esponenti del casato e, con essi, il riconoscimento sociale ottenuto. Uno dei più importanti archivi pisani, in questo senso, fu senza dubbio quello di casa Roncioni, famiglia sulle cui origini la storiografia non si è espressa univocamente.12 Divenuti fideles imperiali e arcivescovili, ricevettero in cambio della loro lealtà diversi privilegi e concessioni, senza tuttavia guadagnare incarichi di primo piano; alla seconda metà del Quattrocento risale l’unione matrimoniale con i Cattani, nobili di Ripafratta, che comportò per la famiglia l’acquisto di quell’appellativo signorile con cui vennero in seguito ricordati. Fu nel corso del XVI secolo, grazie alle diverse attività dei due fratelli Orazio e Raffaello Roncioni, che l’archivio familiare aumentò di consistenza: il primo, occupandosi dell’amministrazione del patrimonio della casata, accumulò libri contabili e scritture concernenti le descrizioni delle terre possedute; il secondo, canonico della cattedrale, letterato, appassionato cultore di storia e delle memorie locali, riuscì attraverso modalità non del tutto chiare a impossessarsi di numerosi codici manoscritti e di pergamene.13 Nel corso del Settecento e dell’Ottocento i contatti dei Roncioni con scrittori e poeti illustri si

11 PIA CASA DI MISERICORDIA (a cura di), Sullo scioglimento dell'amministrazione della Pia Casa di misericordia in Pisa, Pisa, Mariotti, 1886; E. RINALDI, L'istituzione della Pia casa di Misericordia in Pisa (con documenti inediti), in “Studi storici”, X, 1901, pp. 189-215; MARIO LUZZATTO, Pia casa di Misericordia e il suo recente riordinamento, in "La Nazione", marzo 1934; PIER LUIGI LANDI, Le istituzioni di assistenza e beneficenza a Pisa dal 1860 al 1891: la Pia Casa di Misericordia, la Pia eredità Dal Poggio, la Pia eredità Ceuli, il Collegio Puteano, Siena, s. n., 1998. 12 Emilio Cristiani li ritiene ad esempio di origine pisana, residenti nel sobborgo di Kinzica fino a tutto il Quattrocento (ID., Nobiltà e popolo nel Comune di Pisa. Dalle origini del podestariato alla signoria dei Donoratico, Napoli, 1966, pp. 47-8), mentre Gioacchino Volpe ipotizza che si siano inurbati dai territori collinari pisani nel corso del XII secolo (ID., Studi sulle istituzioni comunali a Pisa, Pisa, 1970, p. 174). Si veda anche, di MICHELE LUZZATI, Le origini di una famiglia nobile pisana: I Roncioni nei secoli XII e XIII, in “Bullettino Senese di Storia Patria”, LXXIII-LXXV, 1966, pp. 60-118. 13 Sulla figura di Orazio Roncioni si veda il saggio di MARCELLO BERTI, La variegata attività di Orazio Roncioni, nobiluomo di campagna, in “Bollettino Storico Pisano”, XXXVIII, 1991, pp. 17-58; su Raffaello, la cui produzione letteraria è stata oggetto di vari studi, segnaliamo i due scritti di FRANCESCO BONAINI, Delle Istorie pisane di Raffaello Roncioni, in “Archivio Storico Italiano”, I, 6, 1844, e ID., Delle Famiglie pisane di Raffaello Roncioni, ibid., VI, 2, 1848.

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intensificarono, come dimostrano i rapporti intrattenuti dal conte Angiolo e dal suo eclettico figlio Francesco con Ugo Foscolo e Vittorio Alfieri.14

Del cosiddetto Diplomatico Roncioni fanno parte 1797 pergamene, pervenute all’Archivio di Stato di Pisa in seguito all’acquisto del 6 marzo 1912: lo Stato acquisì per la somma di lire 13.000 parte dell’archivio familiare, versandolo all’Archivio di Stato cittadino (compreso il Breve portus Kallaretani del 1308, unica redazione dello statuto), e per lire 15.000 numerosi manoscritti che destinò alla locale Biblioteca universitaria (tra cui il Liber Maiolichinus, poema del secolo XII celebrante le glorie di Pisa repubblica marinara). Questo evento, già caldeggiato da studiosi quali Clemente Lupi e lo stesso Bonaini, fu salutato con ampio favore dall’opinione pubblica locale, come si legge in un articolo pubblicato sul Corriere toscano del 26 giugno 1912, a suggello di una quaestio una volta tanto felicemente conclusasi.15 Tutte le pergamene del Diplomatico Roncioni sono inventariate in strumenti di corredo cartacei risalenti al XIX secolo: otto volumi di regesti, contrassegnati dai numeri 25-31, commissionati dal citato conte Francesco al notaio Giovan Battista Coletti, all’epoca segretario e archivista dei Regi Spedali Riuniti di Pisa, più un altro spoglio a regesto, il numero 40, recante la dicitura Transunto delle pergamene non comprese in quello Coletti. Si tratta della copia fotostatica di un originale evidentemente andato perduto, il cui autore e la cui data di compilazione sono a tutt’oggi incerte, e dove sono riportati i regesti e in alcuni casi le trascrizioni parziali di un centinaio di pergamene che vanno dall’anno 1138 all’anno 1637. I documenti riguardano svariati negozi giuridici fra privati, privilegi imperiali ed ecclesiastici, testamenti, donazioni, trattati di pace, e comprendono molta parte dell’archivio itinerante dell’imperatore Enrico VII di Lussemburgo, “l’alto Arrigo” di Dante, nonché il più antico originale conservato a Pisa: una promessa di pagamento dell’aprile 799 (fig. 7).16 I tre documenti ad esso anteriori, in copia, sono datati 510, 762, 770. Da segnalare anche un’epistola ‘formata’ degli inizi del secolo IX, il “lodo delle torri” del vescovo Daiberto (secolo XI), alcuni trattati di non belligeranza tra Pisani e Genovesi e il Breve consulum Pisanae civitatis, documento giuridico di grande importanza perché contiene tutte le disposizioni legislative che i consoli pisani erano obbligati a salvaguardare, previo giuramento, durante l’anno di carica (figg. 8-19).17

3.2. Cappelli

Nel 1880 l’avvocato Federico Cappelli vendeva all’Archivio di Stato di Pisa una parte

dell’archivio familiare dei conti Del Mosca, famiglia estintasi nel 1808. Questi furono mercanti originari di San Gimignano, trapiantatisi successivamente in Sardegna e giunti a Pisa alla fine del Duecento. Consociati con gli Alliata e imparentati con i Dell’Agnello, si affermarono sia nel commercio sia nella vita pubblica cittadina divenendo membri di importanti magistrature quali il collegio degli Anziani, il consiglio dei Savi, il priorato, il cavalierato dell’Ordine di Santo Stefano.18

Il Diplomatico Cappelli è per consistenza la terza raccolta membranacea dell’Archivio di Stato di Pisa: ne fanno parte 1503 unità con estremi cronologici che vanno dal secolo X al 1758.

14 Gli autori furono ospitati a più riprese nel palazzo sul Lungarno Mediceo attiguo alla dimora dei Toscanelli, oggi sede dell’Archivio di Stato di Pisa: celebre l’amore del Foscolo per Isabella Roncioni, figlia di Angiolo, cui il poeta si ispirò per la redazione dell’Ortis. 15 LUIGI PAGLIAI, Le carte dei Roncioni e del Centofanti nel nostro Archivio di Stato, in “Bullettino pisano di arte e storia”, I, 1913, pp. 28-30, e BRUNO CASINI, Archivio Roncioni, in “Archivio Storico Italiano”, CXIV, 2-3, 1956, p. 547. 16 MARIO LUZZATTO, La chiesa di S. Pietro ai Sette Pini e il primo documento originale nell’Archivio di Stato in Pisa (799 aprile), in “Bollettino Storico Pisano”, XXIV-XXV, 1955-6, pp. 3-7. 17 Su quest’ultimo si veda OTTAVIO BANTI, I Brevi dei Consoli del Comune di Pisa degli anni 1162 e 1164. Studio introduttivo, testi e note con un’appendice di documenti, Roma, Fonti per la Storia dell’Italia medievale (Antiquitates, 7), 1997. 18 Notizie in “Archivio Storico Italiano”, CXIV, 2-3, 1956, pp. 545-6.

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Molti i documenti pubblici: bolle e brevi papali, privilegi imperiali (tra cui un originale della cancelleria di Ottone III in favore dei canonici della Chiesa pisana), lettere cardinalizie; ancora di più i documenti privati quali cessioni di credito, donazioni, prestiti, locazioni, procure, sentenze, testamenti… che testimoniano della complessa e variegata attività dei componenti della casata.

3.3. Alliata

Sull’archivio privato della famiglia Alliata si era rivolta fin dal 1913 l’attenzione di Luigi Pagliai, allora direttore dell’Archivio di Stato di Pisa:19 inaccessibile agli studiosi, le carte versavano in un deplorevole stato di conservazione, depositate in un umido magazzino nell’attesa di essere trasferite, se non sepolte, nella villa dei conti Alliata Della Gherardesca in Maremma. In seguito a ciò vennero avviate opportune pratiche di deposito dei materiali presso l'Archivio di Stato, avendo i proprietari compresa l'importanza che una documentazione tanto cospicua e pregevole potesse restare a Pisa a disposizione degli utenti.

I documenti membranacei sono 970, il più antico dei quali è una copia dell’atto del 1103 con cui Matilde di Canossa dona all’Opera della Primaziale pisana i castelli di Pappiana e di Livorno. La raccolta Alliata, contenente perlopiù carte private, compravendite, enfiteusi, donazioni, costituzioni di società commerciali etc. conserva anche preziosissime sentenze pronunciate dai giusdicenti delle antiche curie di Pisa: il podestà, i suoi vicari, i diversi giudici, che in minima parte compensano la perdita quasi integrale degli atti di tali funzionari nell’archivio del Comune. Altro materiale documenta i rapporti intercorsi tra Pisa e la Sardegna.20

4. CHIESE E MONASTERI21

4.1. Chiesa e monastero di San Michele in Borgo

Edificata anteriormente al 1018 al di fuori della prima cerchia di mura della città, dove, secondo la tradizione, sorgeva un tempio dedicato a Marte, la chiesa fu donata dal suo patrono Stefano ai monaci della Regola di San Benedetto e consacrata a San Michele nel 1044 da Opizzo Upezzinghi, vescovo di Pisa. Grazie alle numerose donazioni ricevute, alle successive conferme sancite nelle bolle papali di Gregorio VII (1077), Gelasio II (1119), Onorio III (1217), Gregorio IX (1232), tutte nel Diplomatico di San Michele in Borgo, e grazie alla protezione imperiale concessa nei privilegi di Lotario III (1137) e Carlo IV (1355), la chiesa e l’annesso monastero, nel frattempo passati all’Ordine dei Camaldolesi, crebbero in ampiezza e in importanza, la casa lignea che ospitava i religiosi venne riedificata in pietra, la facciata del tempio rivestita in marmo, e sorse accanto al monastero l’ospedale per i trovatelli di San Domenico, in seguito trasferito alle porte della città (vedi sopra). Nel 1781 il convento fu soppresso dai Lorena e i suoi locali vennero in parte adibiti a scuole, poi ad asili e a istituti di avviamento professionale, mentre la chiesa continuò ad essere retta da un priore.

A questo cospicuo fondo di 842 pergamene relative agli anni 940-1741 appartengono, come si è detto, numerosi documenti pubblici, ma anche atti privati di notevole interesse recentemente utilizzati per lo studio evolutivo del sistema antroponimico pisano (due di essi attestano fra l’altro la pratica di riduzione in schiavitù, ancora diffusa nel Medioevo).22

4.2. Chiesa e monastero di San Lorenzo alla Rivolta

19 LUIGI PAGLIAI, Le carte dei conti Alliata depositate nell’Archivio di Pisa, in “Gli Archivi italiani”, IV, 1917, pp. 179-185. 20 MARCO TANGHERONI, Gli Alliata. Una famiglia pisana del Medioevo, Padova, Cedam, 1969. 21 BRUNO CASINI, Il Diplomatico dell’Archivio di Stato di Pisa. Chiese e monasteri, in “La Rassegna”, XXVII, 1958, pp. 7-35. 22 Archivio di Stato di Pisa (d’ora in avanti ASP), Diplomatico, San Michele in Borgo, 1114 maggio 6 e 1172 dicembre 12.

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Il monastero, situato in piazza Martiri della Libertà, già piazza Santa Caterina, fu abitato dalla

metà del Cinquecento fino al 1808 da una congregazione di Clarisse, trasferitesi nel complesso attiguo alla chiesa di San Lorenzo alla Rivolta dopo che il granduca Cosimo I Medici aveva deciso di impiantare, nei pressi del vecchio monastero, un arsenale per la costruzione delle galere dell’Ordine di Santo Stefano. La chiesa invece, fondata a metà dell’XI secolo, era commenda del priore di San Michele in Borgo. Dopo la soppressione napoleonica, entrambe le strutture vennero riattate e incorporate negli edifici di proprietà del convento di Sant'Anna, oggi sede dell’omonima università.

La raccolta consta di 679 pergamene che vanno dal 1057 al 1628. 4.3. Conservatorio e chiesa di Sant'Anna

Il Conservatorio di Sant'Anna è originato dalla trasformazione di un convento di monache

benedettine di antica fondazione: istituito nel 1086 a Pugnano, nel contado di Pisa, grazie alla donazione dei nobili di Ripafratta, si accrebbe velocemente con l’acquisto di beni e raggiunse una notevole prosperità; trovandosi nel territorio interessato dalle lotte tra Pisani e Lucchesi, fu dislocato alla fine del XIII secolo presso il monastero di Sant'Anna al Renaio, nel suburbio pisano, che tuttavia costituì solo un distaccamento della sede di Pugnano.

Proprio per l’indigenza in cui versava il monastero di Sant'Anna, oltre che per il disagio sofferto a causa dell’obbligo di dimorare a Pugnano almeno per sei mesi all’anno, le monache decisero di acquistare dai Carmelitani alcune terre fuori la Porta della Degazia, in Barbaricina, e delle case con terreni nella cappella di San Simone al Parlascio (1374), nelle quali si trasferirono nel 1390. I monasteri dei Santi Paolo e Stefano a Pugnano e di Sant'Anna al Renaio decaddero economicamente e nel 1426 venne consacrata la nuova chiesa cittadina di Sant'Anna.

In epoca lorenese le monache, lasciata la Regola di San Benedetto, si diedero a istruire giovani convittrici senza voti religiosi, divenendo le amministratrici di un istituto di educazione.

La raccolta membranacea del monastero di Sant'Anna è costituita da 364 pergamene degli anni 1086-1589, riguardanti perlopiù le sedi di Pugnano, Sant'Anna al Renaio, Barbaricina e San Simone al Parlascio, mentre l’archivio cartaceo è conservato presso la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa.

4.4. Monastero e chiesa di San Pietro in Vincoli

La chiesa canonica fu officiata dagli Agostiniani fino al 1488, anno in cui fu assegnata da Innocenzo VIII agli Olivetani del monastero di San Gerolamo di Agnano, travagliato dalle frequenti guerre combattute nel contado. Questi ultimi vi risedettero fino al 1774, quando si trasferirono nella chiesa di San Michele degli Scalzi.

Le pergamene del fondo Olivetani assommano a 990 unità (con estremi compresi tra il 1033 e il 1734) e contengono documenti relativi a chiese, monasteri, ospedali, famiglie pisane del ceto nobile e mercantile.

Monastero e chiesa di San Paolo all’Orto

La chiesa venne fondata agli inizi dell’XI secolo ed era retta da canonici regolari, cui si unirono, a

cavallo fra il XIII e il XIV secolo, i canonici di Sant'Agostino di Rezzano o di Nicosia (vedi sotto). Nel 1479 Sisto IV concesse la chiesa alle monache agostiniane di San Marco alle Cappelle di via

Romea. A questo proposito è interessante citare un documento del 1480 (stile pisano)23 che riporta un accordo stipulato fra il generale dell’Ordine dei Frati Minori da una parte, e il generale dell’Ordine dei Frati Predicatori dall’altra: vi si stabilisce il divieto per le Agostiniane di celebrare

23 ASP, Diplomatico, San Paolo all’Orto, 1480 luglio 6.

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l’ufficio pubblico e di tenere sermoni, tranne in rarissime eccezioni, e il divieto per i frati Domenicani di insediare un proprio monastero in loco nel caso in cui le titolari fossero venute a mancare.

In età napoleonica le disposizioni emanate il 29 aprile 1808 dal governo francese e dall’Amministratore generale della Toscana e relative alla soppressione dei conventi vennero applicate anche al monastero di San Paolo all’Orto: le religiose, cui era stato intimato di trasferirsi nel monastero dell’Annunziata di San Miniato, ottennero grazie all'intercessione dell'arcivescovo, che si era rivolto al prefetto del Dipartimento del Mediterraneo, la concessione di un locale nella città di Pisa. In tal modo venne assegnata alle monache agostiniane una parte del monastero di San Silvestro. Con la Restaurazione granducale, tuttavia, la chiesa di San Paolo non tornò in loro possesso, ma venne assegnata alla Confraternita della Natività di Maria e di San Barnaba.

Il fondo si compone di 214 pergamene risalenti agli anni 1042-1679; gli atti cartacei sono conservati in parte nell’Archivio di Stato di Pisa (Corporazioni religiose soppresse, nn. 1320-1344 bis, 1341-1718), in parte nell’Archivio di Stato di Firenze. Un registro relativo agli anni 1460-1490 si trova presso la Biblioteca universitaria di Pisa.

4.5. Monastero e chiesa di Santa Marta

Il monastero fu fondato dal noto frate domenicano Domenico Cavalca, che vi aveva raccolto un

gruppo di donne pentite della propria condotta di vita, le Suore della Penitenza. In origine queste risiedevano in un edificio, angusto e privo di acqua potabile, posto nelle vicinanze del Ponte della Fortezza o della Spina. Nel 1333 esse ottennero dall’arcivescovo di Pisa il permesso di abbandonarlo e di trasferirsi in alcune case site nella cappella di Santa Bibbiana, acquistate con l’aiuto dei fedeli: il nuovo monastero venne denominato della Misericordia della Spina, o di Santa Marta.

Della raccolta fanno parte 320 pezzi degli anni 1099-1574, per la maggior parte attinenti a Santa Marta e ai monasteri ad esso aggregati (Sant'Andrea alla Selva, Santa Maria Maddalena di Vico, Santa Maria di Valleverde di Buti, Santa Maria degli Angeli di Cisanello).

I materiali su supporto cartaceo si trovano nel fondo delle Corporazioni religiose soppresse (nn. 1229-1319, dal 1400 al 1808).

4.6. Monastero e chiesa di San Silvestro

La chiesa di San Silvestro, fondata nell’XI secolo da Odemondo Masca, fu data nel 1118 ai

monaci benedettini di Montecassino, che la tennero fino al 1270, anno in cui venne trasformata in priorato. Tornò in seguito nella giurisdizione dell’arcivescovo, che nel 1331 la concesse alle monache domenicane del monastero di Santa Croce in Fossabanda, frequentemente soggetto alle scorrerie e ai danneggiamenti dei soldati durante le guerre. Nel corso del Settecento divenne un educandato per ragazze di nobili natali e, dopo la parentesi della soppressione avvenuta all’epoca del governo francese, riaprì sotto la guida delle monache Salesiane. Nel 1881 il governo italiano vi istituì un riformatorio.

La raccolta consta di 612 pezzi che vanno dal 1201 al 1561.

4.7. Monastero e chiesa di San Francesco

Il convento di San Francesco esisteva già certamente nel 1239, come dimostra un documento del 21 marzo di quell’anno relativo a una vendita di beni all’Opera,24 mentre probabilmente la chiesa originaria, officiata dai Francescani, venne demolita alla metà del XIII secolo per far posto all’attuale costruzione. Il convento fu mantenuto dai Francescani fino al 1786 (che lo riacquisirono

24 ASP, Diplomatico, San Francesco, 1239 marzo 21.

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nel 1817) e dagli Agostiniani dal 1786 fino alla soppressione avvenuta all’epoca del governo francese.

Sono soltanto 5 le pergamene rimasteci, comprese tra gli anni 1239-1443; dell’archivio cartaceo una parte è conservata nell’Archivio di Stato di Firenze, un’altra nel fondo delle Corporazioni religiose soppresse dell’Archivio di Stato di Pisa (nn. 1382-1429, dal 1286 al 1808).

4.8. Monastero e chiesa di San Martino in Kinzica

La chiesa di San Martino in Guatolungo, come allora si chiamava una zona del grande sobborgo

pisano di Kinzica, è ricordata a partire dal 1073 e a prima del 1135 risale il convento di canonici Agostiniani istituito presso di essa. Con il privilegio del 30 maggio 1135, infatti, papa Innocenzo II prendeva i canonici sotto la protezione della Sede Apostolica, confermandoli nel possesso dei beni fino ad allora acquisiti, accordando loro la possibilità di eleggersi un priore e concedendo al monastero il diritto di asilo. A seguito del privilegio di papa Giovanni XXII del 22 febbraio 1331 in favore del conte Bonifazio di Donoratico, questi fece edificare l’attuale chiesa, terminata nel 1572. Ai primi del Quattrocento, durante la prima dominazione fiorentina, le condizioni economiche del monastero decaddero progressivamente, nonostante le esenzioni dal pagamento dalle gravezze e le altre agevolazioni fiscali (peraltro sempre riconfermate) di cui i monaci beneficiavano. Durante il quindicennio della seconda libertà pisana (1494-1509), come avvenne per altre chiese e monasteri locali, i beni di San Martino vennero usurpati tanto che Giulio II dovette ordinare al vicario arcivescovile di lanciare la scomunica contro i responsabili. Nel 1786 Leopoldo I soppresse il monastero e concesse i suoi beni al Conservatorio di Sant'Anna, divenuto nel frattempo, come abbiamo visto, un educandato.

La raccolta membranacea proveniente dal monastero conta 543 pergamene, comprese tra gli anni 1104 e 1720.

4.9. Monastero e chiesa del Carmine

Sopra un terreno donato nel 1249 da un tal Simone del fu Stefano, della cappella di San Simone

a Porta a Mare, a Ugo, priore dei frati di Santa Maria del Monte Carmelo, furono edificati una chiesa e un convento dedicati a Santa Margherita: i Carmelitani vi abitarono fino alla loro probabile distruzione, per poi trasferirsi nella nuova chiesa, consacrata alla SS. Trinità. Quest’ultima, costruita a partire dal 1272, fu accolta nel 1317 sotto la protezione di papa Giovanni XXII. Ma i monaci, forse per abitare in una sede meno esposta ai pericoli degli assalti dei soldati e anche per svolgere una più efficace opera di apostolato in città, comprarono alcune terre presso la via di San Gilio e vi costruirono una nuova chiesa e un nuovo monastero. Nel 1328 vi si erano già trasferiti, come risulta da un documento nel Diplomatico del Carmine,25 e avevano ceduto la vecchia proprietà alle monache di Sant'Anna al Renaio (vedi sopra). Intorno alla nuova sede, posta lungo l’odierno Corso Italia, sorse ben presto anche una confraternita religiosa: tempo prima infatti alcuni fedeli avevano fatto istanza ai frati del Carmine perché venisse concesso loro un pezzo di terra dove costruire un locale per i raduni e in cui svolgere la loro opera caritativa; una richiesta che i frati accolsero.26

Le pergamene del Carmine assommano a 82 unità, e vanno dal 1250 al 1766. La restante documentazione è conservata nel fondo delle Corporazioni religiose soppresse (nn. 1345-1373 ter, 1339-1809).

4.10. Monastero e chiesa di San Domenico

25 ASP, Diplomatico, Carmine, 1329 luglio 11. 26 ASP, Diplomatico, Carmine, 1344 aprile 17.

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Il monastero fu fondato da Pietro Gambacorti, signore di Pisa, per assecondare i desideri della figlia Chiara, monaca domenicana nel monastero di Santa Croce in Fossabanda. Il Gambacorti, ottenuta la licenza da papa Urbano IV,27 acquistò dalle monache di Santa Marta un pezzo di terra con casa e chiostro in via San Gilio e, costruitovi il monastero, lo donò alla figlia. Chiara fu eletta badessa nel 1395 e visse in San Domenico fino al 1419. Nel 1582, a seguito di alcune voci diffamatorie, il governo della comunità religiosa venne affidato dalla Sede Apostolica all’arcivescovo di Pisa per poi essere demandato alle cure dei padri Domenicani. La circostanza si ripeté nel 1781 e ancora nel 1784 con la definitiva partenza dell’Ordine da Pisa. Nel 1808 il governo francese obbligò le monache a lasciare la loro sede e le ricoverò presso il convento di Santa Marta; nel 1810 esso fu abolito e subito riaperto per accogliervi altre religiose del territorio pisano. L’ultimo atto della vicenda fu la trasformazione del monastero tra il 1892 e il 1896 in un ospizio di mendicità, nei cui pressi le religiose rimasero, ritirate in un locale attiguo alla chiesa, fino al 1943.

La raccolta membranacea di San Domenico è costituita da 299 pergamene degli anni 1136-1633, gran parte delle quali si riferisce al monastero e ad altre istituzioni e famiglie pisane. Gli atti cartacei si trovano nel fondo delle Corporazioni religiose soppresse (nn. 1210-1228 più altri 22 volumi, 1505-1863) e nella Miscellanea manoscritti (nn. 70-76).

4.11. Monastero e chiesa di San Bernardo

Fu edificato alla metà del XIII secolo sulla riva dell’Arno per iniziativa di un gruppo di monache benedettine, trasferitesi nella nuova sede per evitare molestie, scorribande e soprattutto le incursioni piratesche, piuttosto frequenti quando ancora abitavano nell’antico monastero alla foce dell’Arno. Il problema tuttavia si ripresentò alla metà del Quattrocento e le inducesse a trasferirsi nuovamente presso un altro monastero, anch’esso intitolato a San Bernardo, fabbricato nel sobborgo di Kinzica dove da tempo gestivano un ospedale. I loro beni vennero usurpati durante le guerre scoppiate tra Pisa e Firenze sul finire del Quattrocento e in seguito riconsegnati grazie all’intercessione di Giulio II. Durante l’epoca napoleonica il monastero venne soppresso e successivamente reintegrato con la restaurazione granducale, ma al posto delle Benedettine si insediarono delle suore Cappuccine, poiché le prime erano state trasferite nel convento di San Matteo.

Il Diplomatico di San Bernardo conta 272 pergamene degli anni 1565-1568. Il materiale cartaceo è conservato per una parte nell’Archivio di Stato di Firenze, fondo Conventi soppressi, il resto nell’Archivio di Stato di Pisa (Corporazioni religiose soppresse, nn. 1001-1055, dal 1306 al 1808).

4.12. Monastero e chiesa di San Benedetto

In città esistevano due chiese con annesso convento dedicate a San Bernardo: una detta in Pontonaio, l’altra a Ripadarno; gli atti del Diplomatico di San Benedetto si riferiscono alla seconda. Nel 1393 le monache eremite dell’Ordine vallombrosano ebbero l’autorizzazione dai canonici del Duomo di edificare una chiesa e un campanile nella cappella di San Paolo a Ripa d’Arno, godendo sempre della protezione del Comune pisano. Nel 1565 esse vennero aggregate per volontà del granduca Cosimo I de’ Medici all’Ordine equestre di Santo Stefano e poste sotto la giurisdizione del priore della chiesa di detto Ordine; nel 1781 furono assoggettate all’arcivescovo di Pisa e, dopo l’Unità, espulse dal convento. Andarono ad abitare alcuni locali acquistati dalla badia di San Paolo a Ripa d’Arno.

La raccolta conta solo 19 pergamene, degli anni 1393-1600.

27 ASP, Diplomatico, San Domenico, 1385 settembre 5 e 1385 settembre 17.

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Gli atti cartacei provenienti dal monastero sono conservati nel fondo delle Corporazioni religiose soppresse (nn. 1574-1736, dal 1337 al 1808) e nella Miscellanea manoscritti ai nn. 69 bis e 79.

4.13. Monastero di Sant'Agostino di Rezzano o di Nicosia

Nel 1263 l'arcivescovo di Nicosia in Cipro Ugo da Fagiano comprò un bosco dai monaci del monte della Verruca e vi fondò un monastero; l’iniziativa fu promossa dallo stesso Federico Visconti, arcivescovo di Pisa, che si appellò ai cittadini pisani affinché contribuissero economicamente alla sua costruzione: nasceva così il monastero di Sant'Agostino di Rezzano o di Nicosia, assunto sotto la protezione del podestà e degli Anziani del Comune già dal 1267. Tra il XIII e il XIV secolo i monaci si unirono ai canonici di San Paolo all’Orto (vedi sopra). Una volta riacquistata l’autonomia, il monastero aumentò i suoi beni grazie a lasciti e compere e ottenne dal potere politico l’esenzione dal pagamento delle imposizioni fiscali. Nel Cinquecento gli Agostiniani si aggregarono ai canonici regolari di San Salvatore a Bologna; alla fine del secolo XVIII il monastero passò ai frati della Riforma di San Francesco e la chiesa divenne una parrocchia della pievania di Calci.

Il Diplomatico Nicosia consta di 1010 pergamene con estremi cronologici compresi tra il 1054 e il 1678. Gli atti cartacei, tutti del secolo XIX, si trovano nel fondo Corporazioni religiose soppresse (n. 673).

5. ADDIZIONI SUCCESSIVE E RACCOLTE MINORI28

Biblioteca della Regia Università di Pisa: 16 unità, la più antica delle quali è del 1264, la più recente del 1642. Bonaini: si tratta di 30 pergamene estratte dalla parte dell’archivio del Bonaini depositato a Pisa; le date sono comprese tra il secolo XI e il 1509.

Coletti: la raccolta è composta da 299 documenti che vanno dall’anno 1067 al 1598: ne fanno parte alcune pergamene del monastero di San Nicola, divise dal nucleo principale oggi conservato presso la Curia arcivescovile di Pisa. Si segnala tra queste il famoso “privilegio logudorese”, originale del secolo XI contenente una delle primissime attestazioni della lingua sarda (fig. 20).

Da Scorno: acquistate dall’Archivio di Stato di Pisa, si riferiscono a diverse famiglie note alla storiografia pisana: i titolari Da Scorno (già membri dell’Anzianato e dell’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano), i Lanfranchi, i Rosselmini, i Mazzei…: sono in tutto 163 pergamene.

Del Testa: la famiglia, originaria di Bientina, giunse a Pisa alla fine del XII secolo iniziando a esercitarvi la mercatura e schierandosi con i populares nelle lotte tra le fazioni politiche cittadine. Ai primi del Quattrocento alcuni suoi membri si trasferirono in Sicilia proseguendo con le attività commerciali e imparentandosi con i Del Tignoso. Nel 1779, morto l’ultimo discendente del ramo pisano, i Del Testa di Sicilia rientrarono a Pisa e ne acquisirono il patrimonio. Formano la raccolta 81 documenti relativi agli anni 1195-1796. Franceschi-Galletti: la raccolta venne depositata presso l’Archivio di Stato di Pisa da Pia Bertelli e dal barone Livio Carranza unitamente a un archivio cartaceo ordinato alfabeticamente per materia; concerne la famiglia livornese dei Franceschi e quella dei Galletti, imparentatesi fra loro nel XVIII secolo. Si contano 294 pergamene, con estremi cronologici dal 1111 al 1803.

28 BRUNO CASINI, Notizie su alcuni fondi membranacei dell’Archivio di Stato di Pisa, in “Bollettino Storico Pisano”, XX-XXI, 1951-1952, pp. 93-107 e la voce Pisa in “Archivio Storico Italiano”, CXIV, 2-3, 1956, pp. 520-553, sotto le rubriche dei singoli archivi.

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Mazzarosa-Fortunato (1205-1628): corpus documentario acquistato dallo Stato nel 1926, dalla marchesa Marianna Mazzarosa-Fortunato, presso la cui dimora fu esaminato e illustrato da Cesare Sardi.29 In questa sede riportiamo un curioso contratto matrimoniale del secolo XV (fig. 21).

Meazzuoli: le pergamene dei Meazzuoli da Bibbiena, cittadini di Arezzo trasferitisi a Pisa nel secolo XVIII, dove ottennero l’iscrizione alla nobiltà, sono pervenute all'Archivio di Stato a seguito di due acquisti (Pellegrini e Tortoli) e una donazione (Cempini). Assommano a 273 unità.

Monini: acquistate nel 1903 da sacerdote Stefano Monini. Fanno parte della raccolta tre documenti in ebraico della fine del Settecento, uno dei quali riporta un componimento poetico nuziale in quindici quartine.

Padricelli: furono acquistate nel 1940 dal Ministero dell’Interno e presentate nella comunicazione fatta dal De Robertis sul periodico “Notizie degli Archivio di Stato”.30

Poggesi: la raccolta venne donata da Giovanni Poggesi anteriormente al 1906; consta di 27 unità datate dal 1351 al 1771.

Rosselmini-Gualandi (1256-1751): il nucleo principale, fino al secolo XV, riguarda i Rosselmini e le loro attività di commercianti delle vene minerarie del ferro dell’isola d’Elba, prese in appalto dai D’Appiano, signori di Piombino, prima di essere acquistate dai Medici nel 1486. Numerosi sono anche i documenti pertinenti alla consorteria dei Gualandi, nei suoi rami Cortevecchia, Conca, Pellari.

Savi-De Filippi: deposito di 13 unità membranacee riguardanti principalmente i Del Testa di Sicilia.

Simonelli: deposito degli atti di due diverse famiglie, i Raù e i Dell’Hoste, unitesi nel secolo XVIII grazie al matrimonio di Maria Teresa di Guglielmo Raù con Simone di Antonino dell’Hoste. I Raù in particolare, del cui diplomatico fanno parte 224 unità, furono mercanti e banchieri attivi in tutto il Mediterraneo, dalla Sicilia al sud della Francia.

Il fondo Upezzinghi, ivi comprese le pergamene, fu versato nel 1913 a seguito dell’atto di donazione disposto nel testamento del patrizio pisano Benedetto Lanfranchi Lanfreducci Upezzinghi (30 maggio 1899). Altra documentazione, perlopiù cartacea, pervenne in deposito nel 1946 per volontà dei conti Rasponi. Diversi atti sono conservati in tubi di lamiera zincata (figg. 22-23). Degno di nota è un privilegio dell’imperatore Federico II, dell’aprile 1247, fra i testimoni del quale figurano Enzo, re di Sardegna, e Pier delle Vigne.

Vierucci: le 71 pergamene della raccolta, acquistate nel 1929, risalgono agli anni 1247-1642 e non si riferiscono alla famiglia in questione, bensì all’attività dell’ospedale pisano di Sant'Asnello in Kinzica e ad alcuni gruppi di mercanti e banchieri quali i Bonconti, i Del Torto, i Gaetani.

A vario titolo si conservano infine alcune esigue collezioni membranacee, perlopiù private,

che riportiamo per completezza con l’indicazione degli estremi cronologici e del carattere giuridico del possesso: Acquisti diversi (1408-1833, fig. 24); Acquisto 1935 (1263-1690); Acquisto 1986 (secolo XIV); Adespote (1290-1510); Bacci (dono, 1258); Bigazzi (acquisto, 1325-1655); Bizzarri (acquisto, 1311); Castaldi (dono, 1544); Chiappelli (dono, 1259); Curini (dono, 1383); Daugnon (dono, 1406-1645); Del Commoda (deposito, 1669-1727); Gennarelli (acquisto, 1504); Incerta provenienza (1269-1638); Micheli (dono, 1628); Orsini (dono, 1541); Paganini (dono, 1258-1804); Piccioli (acquisto, 1448-1548); Sheggi (acquisto, 1484); Supino (dono, 1485-1775); Tribolati (dono, 1326-1674); Vallini (dono, 1204-1780).

Per il riepilogo delle provenienze del Diplomatico e delle relative consistenze cfr. la tabella n. 1.

29 CESARE SARDI, Notizie di un archivio privato utili alla storia pisana, in “Rassegna Nazionale”, XXXV, 193, 1913, pp. 627-634. 30 ID., Carte “Padricelli”, in “Notizie degli Archivi di Stato”, I, 1941, p. 82.

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LA SISTEMAZIONE TOPOGRAFICA DELLE RACCOLTE: UN QUADRO RIASSUNTIVO

Fino alla metà degli anni ’90, le raccolte pergamenacee si trovavano ancora organizzate secondo i quattro raggruppamenti segnalati nella Guida generale degli Archivi di Stato: pergamene arrotolate, atti “a quaderno”, diplomatico cartaceo, atti a stampa. L’attuale dislocazione delle pergamene arrotolate tiene conto, invece, di una lunga campagna di restauro promossa dall’Amministrazione archivistica una quindicina di anni or sono, che di fatto ha generato un nuovo e assai significativo accorpamento relativo ai documenti nel frattempo restaurati, quelli anteriori all’anno 1300. Tali documenti si conservano ora in undici cassettiere, stesi e protetti da camicie di carta non acida sulle quali è apposta un’etichetta adesiva che riporta la segnatura archivistica di ciascuno e il numero, insieme identificativo e ordinale, presente negli elenchi cronologici del Diplomatico.

La maggior parte delle pergamene, tuttavia, è ancora oggi arrotolata, collocata in due stanze attigue e suddivisa approssimativamente in base al formato in un insieme di dimensioni più ridotte (pergamene corte) e uno di dimensioni più consistenti (pergamene lunghe): notiamo per inciso che questi attributi, corto e lungo, si riferiscono alla larghezza della pergamena quando è avvolta su se stessa e quindi chiusa, non quando si trova srotolata. La documentazione è disposta all’interno di alcuni armadi lignei in cipresso (materiale con proprietà insettifughe) costruiti a misura circa un secolo fa, all’epoca del trasferimento dell’Archivio di Stato pisano dall’antica sede delle Logge dei Banchi, in piazza del Comune, all’attuale sede di Palazzo Toscanelli sul Lungarno Mediceo.

Pochi altri pezzi si trovano in depositi a parte: in una teca vi sono 37 documenti muniti di sigilli restaurati (figg. 25-26) e in tre buste il Diplomatico su supporto cartaceo, del quale fanno parte gli splendidi diplomi arabi e bizantini; in una seconda teca le pergamene arrotolate di formato eccezionalmente grande e pertanto non collocabili all’interno dei cassetti delle pergamene lunghe; in un armadio di sicurezza, infine, i pezzi pregiati della collezione, fra cui i citati tre privilegi imperiali con bolle d’oro, di Federico I, Federico II e Ludovico il Bavaro, appartenenti come si è detto alla raccolta Atti pubblici.

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IL DIPLOMATICO DEI SECOLI XIV-XIX: RAGIONI DI UN RIORDINAMENTO

L’incarico di provvedere alla definizione di un nuovo ordinamento delle raccolte, fondato sul principio di provenienza, ha reso possibile l'esecuzione di un intervento fortemente auspicato dal personale dell’Archivio di Stato, per i seguenti motivi:

a. la continua movimentazione dei materiali, dovuta alle frequenti richieste di consultazione da parte dell’utenza esterna, aveva prodotto nel tempo errori di ricollocamento dei pezzi prelevati: errori dovuti, per lo più, a mere disattenzioni, ma anche al carattere empirico o addirittura estrinseco delle tipologie nelle quali i documenti erano stati suddivisi e registrati: non sempre era chiara la differenza di formato di alcune pergamene classificate come lunghe e altre come corte, e così poteva capitare che il formato delle une venissero confuso con quello delle altre e queste finire al posto di quelle. D’altra parte, le indicazioni ricavabili in proposito dagli elenchi cronologici erano e restano tutt’altro che affidabili, dal momento che ad ogni accidentale passaggio di una pergamena da un raggruppamento all’altro, venivano apportatate anche le dovute correzioni sugli strumenti di corredo. Pur non avendo revisionato, per ovvi motivi, i criteri di assegnazione delle pergamene ai due raggruppamenti, abbiamo cercato di rendere più stabile la topografia delle raccolte e di consolidarne lo status quo a livello descrittivo (cfr. ultimo capitolo, punto a).

b. Un'altra fonte di potenziale disordine era dovuta alla non immediata evidenza dei criteri sottesi all'ordinamento cronologico dei materiali: ciò aveva favorito l’attuarsi di talune prassi arbitrarie nella loro gestione, come ad esempio la possibilità di alloggiare le pergamene prive dell’indicazione completa della data (ma che grazie ai riferimenti temporali superstiti potevano essere assegnate con sicurezza a un determinato secolo), sia all’interno di una cella avente come unico estremo cronologico il millennio e il secolo espresso in cifre, sia, indifferentemente, in una cella avente la sola, generica indicazione del secolo espressa in numeri romani. Accanto alla cella etichettata “secolo XIV”, quindi, se ne trovava un’altra denominata “13…” (cioè: “Milletrecento…”); lo stesso dicasi per i secoli successivi. Di fronte a tale incertezza, solo le note tergali avrebbero potuto offrire un aiuto per chiarire i dubbi sulla giusta ricollocazione dei documenti, ma non sempre tali note sono presenti e, quando presenti, non sempre venivano opportunamente sfruttate. Più semplice affidarsi alle segnature trascritte sui cartellini pendenti dai lembi. Le revisioni estemporanee della datazione dei documenti e le chiose occasionalmente aggiunte alle carte di corredo da mani diverse avevano accentuato, inoltre, le incongruenze tra le informazioni riportate negli elenchi cronologici e quelle presenti negli spogli a regesto, laddove una corrispondenza rigorosa fra i rispettivi contenuti sarebbe stata indispensabile.

c. Il riordinamento doveva presentarsi dunque come occasione per un nuovo censimento della consistenza numerica delle pergamene arrotolate, segnalate talvolta come irreperibili dagli strumenti di ricerca e di corredo presenti in sala studio, in realtà semplicemente fuori posto.

d. A tale situazione si era aggiunta da alcuni mesi l’urgenza del progetto di digitalizzazione per singoli fondi membranacei nell’ambito del progetto SIAS (Sistema informativo degli Archivi di Stato): se si fosse mantenuto il precedente ordinamento cronologico, sarebbe stato inevitabile al momento della digitalizzazione (e assi dispendioso in termini di tempo e di personale a ciò adibito) estrapolare di volta in volta, una a una, le pergamene appartenenti a un medesimo fondo.

e. Da ultimo, era intenzione del personale dell'Archivio conferire alla documentazione un assetto topografico pressoché definitivo: al termine della campagna di acquisizione digitale la movimentazione degli originali verrà ridotta al minimo, dato che per le

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normali esigenze di consultazione delle fonti saranno rese disponibili, accanto agli originali, le immagini digitali accessibili da internet e in local host.

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CRITERI DI ORDINAMENTO

Durante la fase di lavoro sono stati adottati e applicati alle singole unità archivistiche i seguenti criteri di ordinamento:

a. ordinamento alfabetico per denominazione del fondo, seguita dalla eventuale specifica della modalità di acquisizione da parte dell'Archivio di Stato (acquisto, deposito, dono);

b. all’interno delle macropartizioni stabilite in base al principio di provenienza, opera il sotto-ordinamento cronologico per anno, mese e giorno. I documenti privi di uno o più elementi della datatio sono stati ricollocati in coda alle cesure cronologiche prescelte, e cioè: in coda al mese i documenti che riportano l’anno e mese, ma non il giorno; in coda all’anno i documenti senza indicazione del mese e del giorno; in coda al secolo i documenti che non riportino né anno, né mese né giorno ma assegnabili al secolo in parola;

c. all’interno degli armadi, numerati progressivamente in senso orario, si è optato per un andamento colonnare della successione cronologica dei documenti: in 132 contenitori lignei, suddivisi ciascuno in 8 scomparti o celle, sono ospitate le pergamene corte, in 203 cassetti quelle lunghe;

d. adozione di una numerazione progressiva non solo degli armadi ma anche dei contenitori e dei cassetti, in modo da aggiungere un ulteriore elemento di discrimine fornito grazie al numero irripetibile del contenitore o del cassetto nella segnatura topografica del singolo pezzo; questa soluzione è stata preferita all’alternativa di ripartire numerando da 1 i recipienti di ogni nuovo armadio. La collocazione di una pergamena lunga si compone così dell’indicazione dei numeri di armadio e cassetto, mentre quella di una pergamena corta è formata dai numeri di armadio e contenitore, a cui si aggiunge un terzo elemento dato dal numero della cella (da 1 a 8) del contenitore ligneo stesso.

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PRODOTTI DEL LAVORO DI RIORDINAMENTO

Grazie all’intervento sono stati apportati i seguenti miglioramenti alla conservazione e alla gestione delle raccolte:

a. registrazione delle collocazioni di ciascuna pergamena nel database generale del Diplomatico: si auspica che l'aver compilato un elenco delle collocazioni associate a ogni record del database possa limitare per il futuro gli errori dovuti alla movimentazione dei pezzi e costituire un ulteriore elemento di controllo per la gestione delle unità archivistiche a partire dalle richieste di prelievo compilate in sala studio;

b. verifica della correttezza degli elenchi cronologici: sono state apportate le necessarie correzioni laddove vi fossero evidenti discrepanze fra la situazione esistente, gli elenchi e le più puntuali indicazioni fornite negli spogli a regesto. Sono state eliminate inoltre le ridondanze dovute a registrazioni plurime del medesimo pezzo. In questo modo è stato possibile attribuire al giusto fondo documenti privi di note tergali, dopo averne rintracciato la provenienza dallo spoglio dei regesti; ricongiungere le tre parti di una medesima pergamena scucita (Primaziale, 1342 gennaio 14) cui erano stati assegnati tre cartellini; estrarre dal fondo degli Ospedali Riuniti (provenienza Trovatelli) un documento del tutto estraneo ad esso e collocarlo in appendice alle pergamene di incerta provenienza;31

c. segnalazione per il restauro di alcune pergamene aggredite da muffe ancora attive; d. nuova etichettatura dei cassetti e dei contenitori, commissionata a una ditta locale; e. predisposizione di alcune tavole prestampate, plastificate e poi affisse alle ante interne

degli armadi, in cui sono riportate indicazioni sulla dislocazione generale dei materiali ad uso del personale addetto alla movimentazione;

f. ottimizzazione dello spazio disponibile, grazie al recupero di contenitori lignei di diverse dimensioni che sono stati adattati agli spazi interni degli armadi. In precedenza invece la progressiva incurvatura dei ripiani lignei di sostegno aveva fatto sì che fra i contenitori fosse necessario lasciare degli spazi intermedi.

g. più omogenea distribuzione dei pezzi nei cassetti e nelle celle: si è evitato di forzare l’inserimento delle pergamene nelle celle assestandosi su una media 10 pergamene corte a cella e di 20 pergamene lunghe a cassetto, riducendone così di un terzo la densità rispetto alla precedente sistemazione.

31 Segnato nell’attergato quale atto di donazione del 18 marzo 1418, si trattava in realtà un mandato di procura del doge veneziano Francesco Erizzo del 4 dicembre 1638. Il documento del XV secolo è stato poi identificato fra le pergamene adespote.

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TABELLA 1

Provenienze e consistenza numerica delle raccolte membranacee

FONDO ATTI A QUADERNO CORTE LUNGHE LUNGHISSIME ALTRO

Acquisti diversi 22 14 Acquisto 1935 15 49 Acquisto 1986 5

Adespote 3 6 Alliata 776 191 3

Atti pubblici 77 149 2 Bacci 1

Biblioteca Regia dell'Università di Pisa 11 5 Bigazzi 3 2 Bizzarri 1 Bonaini 19 11 Cappelli 6 1191 298 8 Carmine 72 10 Castaldi 1

Chiappelli 1 Coletti 253 46 Curini 1

Da Scorno 82 81 Daugnon 8 1

Del Commoda 1 1 Del Testa 9 72

Franceschi-Galletti 183 110 1 Gennarelli 1

Incerta provenienza 30 28 Mazzarosa Fortunato 88 61 2 Meazzuoli (Cempini) 141 7 Meazzuoli (Pellegrini) 47 2

Meazzuoli (Tortoli) 74 2 Micheli 1 Monini 108 67 Nicosia 772 236 2

Olivetani 808 181 1 Ordine di Santo Stefano 1 1382 556 3 1

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2

FONDO ATTI A QUADERNO CORTE LUNGHE LUNGHISSIME ALTRO

Orsini 1 Ospedali Riuniti 2 4

Ospedali Riuniti (Appendice) 44 20 Ospedali Riuniti (Bucci) 7

Ospedali Riuniti (Diverse) 189 33 Ospedali Riuniti (San Frediano) 1

Ospedali Riuniti (Santa Maria di Ponte Nuovo)

1

Ospedali Riuniti (San Michele degli Scalzi) 115 15 Ospedali Riuniti (Spedale Nuovo) 48 87 2

Ospedali Riuniti (Trovatelli) 353 138 Padricelli 1 81 59 Paganini 19 9

Pia casa di carità 17 20 1 Pia casa di misericordia 342 153 4

Piccioli 7 5 Poggesi 17 10

Primaziale 2968 480 6 Roncioni 8 1463 322 4

Rosselmini Gualandi 154 68 1 Sant'Anna 252 112

San Benedetto 11 8 San Bernardo 227 45 San Domenico 212 87 San Francesco 4 1

San Lorenzo alla Rivolta 581 96 2 Santa Marta 287 33 San Martino 322 218 3

San Michele in Borgo 734 108 San Paolo all'Orto 155 59

San Salvatore di Fucecchio 7 1 San Silvestro 482 130

Savi-De Filippi 8 5 Simonelli (Dell'Hoste) 26 17

Simonelli (Raù) 163 60 1 Scheggi 11 Supino 2 2

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3

FONDO ATTI A QUADERNO CORTE LUNGHE LUNGHISSIME ALTRO

Tribolati 2 Upezzinghi 1 269 250 1

Vallini 29 4 Vierucci 33 38

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DOCUMENTI

Fig. 1. Trattato commerciale tra il califfo Almohade e i Consoli pisani, gli Anziani, i notabili e il popolo di Pisa (in arabo). ASP, Diplomatico, Atti Pubblici, 1186 novembre 15.

Fig. 2. Breve Consulum Pisane civitatis. ASP, Diplomatico, Atti Pubblici, 1163.

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7

Figg. 3a-c. Diploma di Federico I Barbarossa ai Pisani, con cui concede loro la sovranità sulla Sardegna. Con bolla d’oro originale (foto recto e verso). ASP, Diplomatico, Atti Pubblici, 1165 aprile 17.

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8

Figg. 4a-c. Diploma di Federico II ai Pisani, con cui conferma loro le

precedenti concessioni imperiali. Con bolla d’oro originale (foto recto e verso). ASP, Diplomatico, Atti Pubblici, 1221 novembre 17.

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Figg. 5a-b. Bolla d’oro di Ludovico il Bavaro: sul recto è raffigurato l’imperatore seduto in trono, sul verso un’immagine ideale della città di Roma con alcuni celebri monumenti: il Colosseo, il Pantheon, la Colonna Aureliana. ASP, Diplomatico, Atti Pubblici, 1328 dicembre 22.

Figg. 6a-b: Rubriche dal Constitutum dell’Opera del Duomo e particolare: in calce al documento si legge: “Campanile Duomi fuit fundatum MCLXXIIII, indictione sexta, V idus augusti” (stile pisano). ASP, Diplomatico, Primaziale, 1174 agosto 9.

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Fig. 7. Il più antico documento originale dell’Archivio di Stato di Pisa: una promessa di pagamento. ASP, Diplomatico, Roncioni, 799 aprile [15-30].

Fig. 8. Lettera del Pietro, vescovo pisano, diretta a Giovanni, vescovo di Lucca, con la quale gli raccomanda il prete Auriprando, che ha mostrato il desiderio di entrare al suo servizio. Esempio di “epistola formata”, una lettera privata (commendatizia) redatta in forma di documento pubblico, con sigillo ora deperdito e monogramma del vescovo. ASP, Diplomatico, Roncioni, [827 settembre 1 – 828 agosto 31].

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Fig. 9. “Lodo delle torri”: il vescovo Daiberto, in forza del mandato arbitrale attribuitogli dai Pisani, detta disposizioni relative all’altezza delle torri. Prima carta costituzionale della repubblica pisana. ASP, Diplomatico, Roncioni, [1088 – 1092, aprile 21].

Fig. 10. Trattato di non belligeranza tra Pisani e Genovesi. ASP, Diplomatico, Roncioni, 1149 aprile 17.

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Fig. 11: Giuramento di pace prestato da mille scelti cittadini genovesi ai popolo pisano per ordine del pontefice Clemente III, loro mediatore e arbitro. ASP, Diplomatico, Roncioni, 1188 febbraio.

Fig. 12. Capitoli e giuramento del nuovo Console dei Pisani. ASP, Diplomatico, Roncioni, [1164 fine].

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Fig. 13. Clemente IV ratifica la scomunica pronunciata dal suo predecessore contro il fu Farinata, i suoi discendenti e altri cittadini fiorentini. Copia autentica del 1273. ASP, Diplomatico, Roncioni, 1265 aprile 2.

Fig. 14. Lettera del guardiano e dei frati del convento dei Minori di Genova, diretta all’imperatore Enrico VII, con cui viene stabilita la celebrazione di alcuni suffragi annui per l’anima di Margherita, sua consorte, sepolta nella chiesa degli stessi religiosi. ASP, Diplomatico, Roncioni, 1312 gennaio 5.

Nell’Archivio di Stato di Pisa sono conservati molti documenti del disperso archivio di viaggio di Enrico VII di Lussemburgo, morto a Buonconvento presso Siena nel 1314, e sepolto a Pisa: ne fanno parte il carteggio, note di spese della tesoreria imperiale, patti di alleanza e i giuramenti di fedeltà all’imperatore, prestati da città italiane in occasione del suo passaggio.

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15. Ricevuta di prestito (in tedesco). ASP, Diplomatico, Roncioni, 1345 luglio 22.

16. Privilegio imperiale di Carlo V d’Asburgo. ASP, Diplomatico, Roncioni, 1520 ottobre 22.

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15

17. Diploma di dottorato.

ASP, Diplomatico,

Roncioni, 1576

novembre 9.

18. Bolla di Paolo V relativa al possesso

dell’arcipretura di Pisa a favore del

canonico Raffaello Roncioni.

ASP, Diplomatico, Roncioni, 1610

febbraio 20.

19. Pietro Leopoldo I, granduca di Toscana e

gran maestro dell’Ordine di S.

Stefano, conferisce una commenda di

anzianità al cavaliere Angiolo Amerigo

Roncioni. ASP, Diplomatico,

Roncioni, 1767 marzo 31.

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20. “Privilegio logudorese”: Securitas con la quale Mariano di Lacon, giudice di Logudoro, concede ai Pisani l’esenzione dai tributi di commercio e promette loro sicurezza delle persone e amicizia. In lingua sarda, variante logudorese. ASP, Diplomatico, Coletti, [1080-1085].

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22. Contratto di nozze. ASP, Diplomatico, Mazzarosa-Fortunato, 1491 ottobre 20.

Scrive al proposito Cesare Sardi, op. cit., pp. 630-1: “… non è solamente uno dei

soliti contratti con la donazione inter nuptias e nomine antefacti. Questa segue bensì dopo l’atto principale, che è la celebrazione del matrimonio alla presenza del notaro e dei testimoni. Lucrezia del fu Francesco Cinquini, mercante pisano abitante a Roma, interrogata dal notaro Bartolomeo della Spina se voglia prendere per suo marito Mariano di Iacopo di Simone Compagni, risponde in modo affermativo e in egual modo risponde Mariano, interrogato con le stesse formalità. Dopo di che il detto Mariano, alla presenza del notaro e dei testimoni, “suprascriptam dominam Lucretiam praesentem, volentem et pacifice promittentem, duabus anulis aurei in anulari digito manus dexterae anulavit et pro sua uxore legiptima desponsavit”. Segue l’atto della donazione inter nuptias e la relativa quietanza del danaro sborsato dal Cinquini col mezzo del suo procuratore. Confesso che per la prima volta, fra molte pergamene di tal sorta delle quali ho fatto lo spoglio, mi è accaduto di trovarne una preceduta da un atto che parmi un matrimonio civile in piena regola in mezzo al secolo XV”.

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23a-b: Alcune pergamene conservate in tubi. ASP, Diplomatico, Upezzinghi.

24. Il documento, una conferma di una nomina a rettore di cappellania, si presenta ancora piegato ed è collocato fra le pergamene arrotolate. ASP, Diplomatico, Acquisti diversi, 1637 novembre 28.

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25a-b. Sigillo a navetta in ceralacca, protetto da culla di cera (foto recto e verso).

26a-b. Sigillo in ceralacca con controsigillo sul dorso (foto recto e verso).

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INDICE PARTE I. IL RIORDINAMENTO DELLE RACCOLTE PERGAMENACEE DELL’ARCHIVIO DI STATO DI PISA Introduzione 2 Presentazione delle raccolte I nuclei documentali originari Atti pubblici 3 Opera della Primaziale 4 Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano 4 Ospedali e istituzioni di assistenza e beneficenza Ospedali Riuniti di Santa Chiara 5 Pia casa di carità 6 Pia casa di misericordia 6 Gli archivi familiari maggiori Roncioni 7 Cappelli 8 Alliata 9 Chiese e monasteri Chiesa e monastero di San Michele in Borgo 9 Chiesa e monastero di San Lorenzo alla Rivolta 9 Conservatorio e chiesa di Sant'Anna 10 Monastero e chiesa di San Pietro in Vincoli 10 Monastero e chiesa di San Paolo all’Orto 10 Monastero e chiesa di Santa Marta 11 Monastero e chiesa di San Silvestro 11 Monastero e chiesa di San Francesco 11 Monastero e chiesa di San Martino in Kinzica 12 Monastero e chiesa del Carmine 12 Monastero e chiesa di San Domenico 12 Monastero e chiesa di San Bernardo 13 Monastero e chiesa di San Benedetto 13 Monastero di Sant'Agostino di Rezzano o di Nicosia 14 Addizioni successive e raccolte minori 14 La sistemazione topografica delle raccolte: un quadro riassuntivo 16 Il Diplomatico dei secoli XIV-XIX: ragioni di un progetto di riordino 17 Criteri di ordinamento 19 Prodotti del lavoro di riordinamento 20 PARTE II. ALLEGATI Tabella 1. Provenienze e consistenza delle raccolte membranacee

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PARTE III. APPARATI ICONOGRAFICI Documenti (figg. 1-26)