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TESSERE IL FUTURO: guardare avanti e OLTRE... presentazione Pia Locatelli saluti Giancarlo Maccarini Emilio Moreschi relazione introduttiva Ezio Andreta testimonianze Chiara Greco Claudio Colleoni Fabio Rota interventi Giuliano Capetti Roberto Cingolani Alberto Paccanelli conclusioni Adriano De Maio 21 febbraio 2008

TESSERE IL FUTURO: guardare avanti e OLTREterritorio e della cultura bergamasca che si sviluppano nel futuro della vocazione artistica, ma anche nella creatività e nella capacità

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TESSERE IL FUTURO:guardare avanti e OLTRE...

presentazione Pia Locatelli saluti Giancarlo Maccarini Emilio Moreschi relazione introduttiva Ezio Andreta testimonianze Chiara Greco Claudio Colleoni Fabio Rota interventi Giuliano Capetti Roberto Cingolani Alberto Paccanelli conclusioni Adriano De Maio

21 febbraio 2008

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PRESENTAZIONE

Pia Locatellipresidente della Fondazione A.J. Zaninoni

Buonasera, benvenuti a tutti e grazie per la vostra presenza. Sono passati soltanto tre mesi dall'ultima iniziativa della Fondazione Zaninoni (alcuni di voi la ricorderanno perché vedo coincidenze di presenze) intitolata “Donne in pole position: il futuro è già cominciato?” e all'inizio dell'anno abbiamo spedito il quaderno che ne pubblica gli atti. Voglio informarvi che questo incontro ha avuto un seguito. Ricorderete che il contributo della vice-campionessa mondiale di sci, Lara Magoni, aveva sollevato un tema importante: le donne che fanno sport non hanno nessuna copertura, né protezione previdenziale né assistenza per gli infortuni né congedo di maternità, perché le tutele sono previste soltanto per 6 discipline professionistiche e solo nel settore degli atleti uomini. Avevamo quindi deciso di scrivere una lettera alla Ministra dello Sport, Giovanna Melandri, firmata da tutte le partecipanti alla tavola rotonda, per fissare un appuntamento e fare un'azione di lobbying, di pressione per ovviare a questa discriminazione. L'appuntamento l'abbiamo ottenuto, ma tre giorni prima è caduto il governo e l'incontro non si è più potuto fare. Naturalmente non lasceremo cadere il problema e torneremo a farci sentire con il nuovo governo. Un altro follow-up del convegno, che si era svolto il 19 novembre, si è avuto all'inizio di dicembre, quando sono riuscita a fare in modo che il Parlamento europeo esprimesse un parere d'iniziativa su “Donne e sport” ed assegnasse a me la stesura di questo Rapporto, dove ovviamente ho messo in evidenza l'assurdità di questa discriminazione tra uomini e donne (vi ricordo che l'uguaglianza tra uomini e donne è una delle finalità dell'Unione europea). Il Rapporto verrà votato alla fine di febbraio. In tre mesi, comprensivi del periodo natalizio, la Fondazione non ha fatto moltissimo, però ha partecipato alla raccolta dei fondi per l'acquisto di un ventilatore neonatale-pediatrico per il reparto di Patologia prenatale degli Ospedali Riuniti di Bergamo; ha contribuito alla pubblicazione di un volume fotografico curato dalla Fiom-Cgil sulla storia della Dalmine, una realtà industriale molto significativa per la nostra provincia; ha contribuito a rendere possibile la terza edizione del master Microfinanza. Il master, organizzato dall'università di Bergamo, in particolare dal professor Masini e dalla professoressa Viganò, e rivolto a studenti o professori soprattutto africani, dà continuità al lavoro iniziato da Giordano Dell'Amore, allora rettore della “Bocconi” di Milano – che già negli anni Sessanta aveva capito l'importanza dell'investire sulle risorse umane dell'Africa per contribuire allo sviluppo di quel continente –, proseguito per alcuni anni ma poi interrottosi per essere ripreso dall'università di Bergamo. La Fondazione Zaninoni ha contribuito a tutte e tre le edizioni, ha partecipato all'inaugurazione anche di quest'ultima durante la quale io ho sottolineato che il corso deve prevedere una presenza bilanciata di uomini e di donne, perché il contributo delle donne allo sviluppo di un Paese, di un continente è sicuramente fondamentale. Due parole soltanto sull'iniziativa di oggi, di cui voglio sottolineare che si inserisce in un contesto più vasto. Immagino sappiate che tra pochi giorni si inaugurerà la mostra “Per filo e per segni”, realizzata da tre Fondazioni: Bergamo nella Storia, per la Storia economica e sociale di Bergamo e Famiglia Legler, e noi su questo tema collaboriamo con questo insieme di Fondazioni dando continuità all'impegno, che ci siamo assunti quando è nata la Fondazione Zaninoni, di cercare di favorire e partecipare al coordinamento tra fondazioni. Ecco, l'iniziativa di oggi va in questa direzione, come d'altronde già era avvenuto due anni fa con la precedente mostra “Incanto di tessuti” (un titolo che era una

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poesia unica). Due anni fa avevamo partecipato all'iniziativa con un convegno e quest'anno ripetiamo l'esperienza. Della mostra parlerà Emilio Moreschi, amministratore delegato della Fondazione Bergamo nella Storia, voglio soltanto citare alcune frasi che ho preso dalla presentazione della mostra: “C’è un filo che unisce la storia, l’arte, la creatività e la dimensione socio-politica di Bergamo nei secoli: è certamente quello dello sviluppo delle manifatture tessili dal 1300 ad oggi. Ci sono dei segni nelle storie degli uomini” – io aggiungo anche delle donne – “del territorio e della cultura bergamasca che si sviluppano nel futuro della vocazione artistica, ma anche nella creatività e nella capacità di innovazione: è il tessile made in Bergamo”. Questa mostra è un viaggio multimediale e multisensoriale tra oggetti, tessuti, dipinti, video, fotografie, ma mi fermo qui. Per quanto riguarda il nostro convegno di oggi, voglio sottolineare il titolo “Tessere il futuro: guardare avanti e oltre...”, perché il futuro non è soltanto guardare avanti dando una sorta di continuità, a volte per tessere il futuro bisogna essere capaci di dare una sterzata, una discontinuità. E proprio a questo proposito ascolteremo il professor Andreta (che mi ha appunto suggerito questa parte del titolo). Ora passo la parola al professor Maccarini, che è il preside della facoltà di Ingegneria e che è qui anche in rappresentanza del rettore Alberto Castoldi, che non ha potuto partecipare.

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SALUTI

Giancarlo Maccarinipreside della facoltà di ingegneria dell'università di Bergamo

Vorrei dire che sono qui soprattutto in rappresentanza del rettore, che mi ha pregato di portarvi i suoi saluti perché purtroppo per precedenti impegni questa sera non può essere presente. Mi ha pregato di dirvi che per il nostro Ateneo è un piacere ospitarvi presso una delle nostre aule magne – purtroppo essendo preside di Ingegneria io non sono a casa qui, dove ci sono le facoltà di Scienze umanistiche e di Scienze della Formazione, quindi non so descrivervi bene questa sala come probabilmente potrebbe fare il padrone di casa.Vorrei solo dirvi che la facoltà di Ingegneria crede sicuramente nell'industria tessile e nel ramo del tessile. Potrei dire che quando sei anni fa abbiamo istituito, primi in Italia, il corso di laurea in Ingegneria tessile forse stavamo già guardando oltre, forse una piccola discontinuità l'abbiamo fatta anche noi: un piccolo Ateneo che si “inventa” un corso è sicuramente un balzo. Lo “inventa” non da solo, è il tessuto bergamasco che l'ha fortemente voluto, con un grandissimo aiuto e stimolo da parte della Sezione tessile dell'Unione Industriali e ovviamente anche di Pia Locatelli che – come le ho detto poco fa – io definisco la mamma dell'Ingegneria tessile di Bergamo, perché è proprio stata lei che ha spinto tantissimo perché questo fosse possibile. Ci crediamo ancora e stiamo rivedendo i piani di studi per adattarli alle ultime modifiche. Di nuovo vi ringrazio di essere qui e vi rinnovo i saluti e gli auguri del rettore di un buon lavoro, che sono sicuro ci sarà. Grazie.

Pia Locatelli

Grazie. Ora siamo tutti curiosi di ascoltare l'amministratore delegato della Fondazione che ci parlerà di questa interessantissima mostra.

Emilio Moreschiamministratore delegato della Fondazione Bergamo nella Storia

Grazie e buonasera a tutti. “Per Filo e per Segni. Innovazione e creatività dell'industria tessile a Bergamo tra XIX e XXI secolo” è il nome della mostra che apriremo il 1° marzo presso il convento di San Francesco. Questo è un segno importante delle capacità creative, di programmazione culturale e di lavoro di gruppo del nostro territorio. Di programmazione culturale perché questa mostra nasce da un progetto complessivo fortemente voluto tre anni fa dal professor Castoldi quale vicepresidente della nostra Fondazione, che ha visto due anni or sono la realizzazione della mostra “Incanto di tessuti” – citata prima – che ha ricostruito la storia del tessile nella Bergamasca tra il XV e la metà del XIX secolo, progetto che ora è stato implementato all'interno di un ambizioso programma di lavoro chiamato “Archivio economico territoriale” volto a ricostruire e a rendere fruibile attraverso mostre e pubblicazioni il rapporto tra economia, società e territorio nella Bergamasca tra XIII e XXI secolo. E ancora: questa non sarà una mostra episodica, una volta disallestita dagli spazi del convento di San Francesco diventerà parte permanente del Centro di interpretazione del tessile presso la Fondazione Famiglia Legler. Ed è proprio su questa capacità di programmazione culturale che Fondazione Cariplo ci ha concesso un importante finanziamento. E' una prova di lavoro di gruppo perché questa

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mostra – come è già stato ricordato – nasce dal lavoro delle tre Fondazioni che a Bergamo raggruppano il mondo dell'imprenditoria e delle istituzioni pubbliche: la Fondazione per la Storia economica e sociale di Bergamo, la Fondazione Famiglia Legler e la Fondazione Bergamo nella Storia. Infine, ma per una mostra è l'elemento centrale, la creatività del territorio. La mostra che inaugureremo il 1° marzo è una non-mostra, “Per Filo e per Segni” non è infatti una mostra tradizionale ma piuttosto un luogo virtuale e interattivo, un'esperienza che avvolge e coinvolge lo spettatore, invitato a vivere all'interno e in prima persona le storie passate e le proposte per il futuro. Sua cifra distintiva, in una creatività che abbraccia l'universo tessile a 360 gradi, dai mercanti setaioli dell'Ottocento/Novecento, ben rappresentati da bei quadri provenienti da collezioni private, ai tessuti di alta moda per Dior, con le fotografie dei tessuti giunte da archivi aziendali, dai villaggi operai ricostruiti con tecnologie 3D al primo sciopero generale del 1893 e alla costituzione delle Leghe bianche, dalle prime macchine contabili degli anni Venti-Trenta del Credito Bergamasco e della Banca Popolare di Bergamo alla ricostruzione della ferrovia della Valle Seriana. Il percorso espositivo si articola in 5 scene, 5 spazi tematici e interattivi che fornendo una molteplicità di stimoli culturali e sensoriali consentono al visitatore di personalizzare il proprio itinerario. Questi spazi sono: − il Cotone: attraverso l'alternarsi di oggetti, telai, stoffe, immagini, dipinti, fotografie e

ricostruzioni in digitale si racconta l'avvio della industrializzazione tessile nella provincia di Bergamo, ponendo l'attenzione sull'interazione tra gli uomini, il territorio e i capitali; si possono toccare con mano filati e tessuti e grazie alla multimedialità si può assistere al riprendere vita di un originale telaio jacquard ottocentesco e al primo sciopero delle operaie e degli operai tessili

− la Seta: attraverso documenti, dipinti e archivi, in gran parte inediti o comunque normalmente non visibili al pubblico, si ripercorre la lunga avventura della seta, che è stata nella prima metà del XIX secolo l'oro bianco di Bergamo, fino alle rotte dei molti bergamaschi che a fine Ottocento cominciarono a girare il mondo alla ricerca del seme bachi migliore

− le Infrastrutture: ferrovie, strade e autostrade, formazione professionale, nuove Moda e Finanza sono i soggetti di questa sezione dominata da un grande tavolo interattivo sul quale il visitatore potrà virtualmente muoversi tra diari dei mercanti viaggiatori, fotografie, manifesti pubblicitari, filmati inediti, oggetti legati alla formazione, antichi strumenti legati all'attività commerciale e finanziaria; per la prima volta è esposta una selezione dei disegni pubblicitari per la moda della collezione Salemme, recentemente donata al Museo storico di Bergamo

− la Moda: i tessuti qui dialogano con i manifesti pubblicitari, le fotografie, i figurini e il visitatore ripercorrerà il ruolo avuto dal made in Bergamo nei ben più vasti processi internazionali e, come nella stanza dedicata al futuro, si vedranno noti marchi che utilizzano filati e tessuti bergamaschi; il visitatore scoprirà che il tessuto del vestito indossato da Audrey Hepburn in “Sabrina” era made in Bergamo, che i jeans Levi's, Carrera ed altri erano fatti proprio a Bergamo

− il Futuro: camminando attorno a un tavolo virtuale il visitatore potrà muoversi tra le eccellenze del made in Bergamo prendendo coscienza del nuovo percorso del tessile tra produzioni particolarmente pregiate e applicazioni inaspettate, dalla camiceria ai tessuti indemagliabili, dalle fibre e filati artificiali all'abbigliamento sportivo, dai tessuti per la biancheria della casa all'erba sintetica, dall'intimo all'abbigliamento per bambino; lo spazio si trasforma in una piazza dove i protagonisti dialogano tra loro su temi quali la globalizzazione e il futuro del lavoro tra Bergamo e il mondo.

Proprio per l'importanza di questa mostra abbiamo chiamato a presiedere il Comitato

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scientifico il professor Angelo Moioli dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, il progetto scientifico è stato redatto dal professor Giuseppe De Luca dell'Università degli Studi di Milano e della Fondazione per la Storia economica e sociale di Bergamo e da Mauro Gelfi della Fondazione Bergamo nella Storia, mentre il coordinamento iconografico e allestitivo è stato di Roberta Marchetti della nostra Fondazione. Accanto alla mostra ci saranno una guida cartacea, un sito internet, dove troverete più ampie ricerche e possibilità di navigazioni affascinanti nel trovare gli intrecci fra Bergamo e il mondo, e un numero monografico dedicato alla storia del tessile a Bergamo dal XV al XX secolo. Inoltre un lungo ciclo di conferenze, che comincia questa sera e che nuovamente si chiuderà con uno sguardo al futuro. Infine vorrei ringraziare tutti gli sponsor che ci hanno appoggiato, aiutato e che hanno resa possibile la realizzazione di questa mostra, cito in particolare i tre principali che sono la Fondazione Cariplo, la Banca Popolare di Bergamo e la Fondazione Credito Bergamasco, ma un ringraziamento di cuore anche a tutti gli altri. Grazie

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RELAZIONE INTRODUTTIVA

Pia Locatelli

Grazie. Ora passiamo alla parte più tecnico-filosofica di questo nostro incontro. Prima però voglio ringraziare Mauro Gelfi, il nostro interlocutore per questa iniziativa, che ha consentito di costruire questo rapporto che ormai si sta consolidando nel tempo. La relazione sarà tenuta dal professor Andreta, di cui tengo subito a dire che da mesi e mesi era in pectore il commissario dell'Agenzia nazionale per l'innovazione, ha cominciato di fatto a lavorarci, tutti noi abbiamo contato su di lui, ma soltanto da 21 giorni ha avuto la nomina formale, quindi ora è investito ufficialmente di un lavoro che ormai sta portando avanti da mesi, e sono molto orgogliosa di averlo qui con noi perché questa credo sia una delle sue primissime uscite in questo ruolo. Due minuti per presentarlo, ma ci vorrebbero ore: è genovese, laureato in Scienze politiche all'università di Genova con specializzazione all'università di Lione e poi alla London School of Economics. Inizialmente ha lavorato nell'ambiente dell'università, poi nel settore delle banche e delle assicurazioni e in seguito è diventato funzionario europeo (e l'Unione europea ci ha guadagnato moltissimo da questa sua decisione). In una prima fase si è occupato di problemi energetici e in particolare di quelli petroliferi (assolutamente di attualità), successivamente è diventato capo della Divisione ricerca industriale, direttore della Direzione energia ed è in questa veste che l'ho conosciuto. Ha “messo in opera” il Quinto e il Sesto Programma Quadro sulla ricerca e poi abbiamo lavorato insieme sul Settimo Programma Quadro, di cui ero relatrice e sono stata sostenuta nel mio lavoro al Parlamento europeo dalla competenza, dall'assistenza, dall'aiuto che ho ricevuto dal professor Andreta. Nove anni fa è stato capo-delegazione dell'Unione europea nell'ambito dell'accordo di cooperazione scientifica e tecnologica nell'area dei materiali e delle nanotecnologie con gli Stati Uniti, e quindi ha sviluppato una competenza non solo nelle negoziazioni ma anche nel merito di questo argomento. Ha avuto diverse esperienze come docente in università: il Politecnico di Torino, Milano, Genova, Trento. Oggi ci parlerà del tessile pensando al futuro ma andando anche oltre, con una discontinuità della quale io sono molto curiosa di sapere. Grazie

Ezio Andretacommissario dell'Agenzia nazionale per l'innovazionepresidente dell'Apre (Agenzia per la promozione della ricerca europea)

Grazie per avermi invitato. Credo che effettivamente sia stata una bella esperienza quella di riflettere sul Settimo Programma Quadro perché aveva elementi di rottura, li ha sicuramente ancora anche se, come sempre, la burocrazia tenta, nel momento in cui fa la messa in opera, di tornare indietro. E questo direi è un problema. Quello che è straordinario è che sono stato nominato formalmente commissario soltanto alla fine di gennaio e le prime due uscite ufficiali le ho fatte a Bergamo: martedì scorso ero a Confindustria per presentare il Programma 2015 e due giorni dopo sono qui. Direi che preferisco questo ambiente, non perché gli industriali non mi siano simpatici ma perché questo è un ambiente formidabile per poter riflettere. Quando si parla di futuro, in particolare “avanti e oltre”, molta è anche speculazione, nessuno ha la sfera di cristallo, è in grado di vedere al di là, però io penso che oggi più che mai sia importante, non soltanto per gli italiani o per gli europei ma sia importante per quella che io chiamo la società mondiale, riflettere sui mutamenti in corso per poter gestire questa mutazione che

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chiamerei darwiniana, con responsabilità nei confronti non solo delle persone ma anche del pianeta. Il titolo “guardare avanti e oltre” va ben sottolineato: “guardare avanti” è fare dei passettini e quindi tentare di sopravvivere ma comunque guardare avanti, nel tentativo di trovare nuove soluzioni e l' “oltre” è la rottura, la rottura completa, è la rottura di schemi, la rottura di architetture. Credo che poi Roberto Cingolani vi parlerà di cosa vuol dire rottura di architetture, che è un bell'impegno, perché obbliga a cambiare completamente il sistema. Per tentare di capire in modo concreto cosa voglia dire “guardare avanti”, e quindi fare esempi concreti, e cosa può essere l' “oltre” penso che non ci sia altra cosa che analizzare il presente, analizzarlo con una certa distanza per cercare di catturare quelle che sono le linee di tendenza attuali. Negli ultimi trent'anni ci sono stati cambiamenti molto molto importanti, a livello del produrre, al livello del vivere, al livello del comunicare, al livello del lavoro, la nostra vita è veramente cambiata e sta cambiando. Sarebbe necessario spendere molto tempo per analizzare il presente, però vorrei semplicemente e in modo schematico osservare quello che sta succedendo e tirare alcune conclusioni sulle quali costruire poi la riflessione successiva. Prendo a caso tre indicatori economici di cui non voglio fare un'analisi economica, perché da tutti conosciuta, ma voglio leggerli in modo un po' differente. Gli indicatori sono lo sviluppo economico (se volete, la crescita), le quote di mercato internazionale (quindi quella che io chiamo l'erosione permanente e continua della posizione dell'Europa, dell'Italia sul mercato mondiale), l'indicatore speculare del Pil (che è il prodotto interno lordo) e si chiama Pin (il prodotto interno netto, cioè quanto costa fare il prodotto lordo, cioè dal lordo tolgo i costi per generarlo, nel senso più esteso). Il primo indicatore, è noto, va sempre peggio, perché le ultime previsioni a livello mondiale indicano una forte recessione negli Stati Uniti, indicano anche che la locomotiva tedesca si sta raffreddando, indicano per noi qualcosa che va tra lo 0,1 e lo 0,4-0,5 e comunque l'Europa stessa non arriverà certamente a fare meglio dell'1-1 e qualcosa, quindi chiaramente c'è una continua sofferenza che dura da quindici anni. Dall'altra parte invece ci sono delle locomotive straordinarie: i Cinesi, gli Indiani. I Cinesi nel 2007 hanno registrato l'11,4. La media mondiale è più dell'8 proprio perché ci sono queste locomotive. Quindi la locomotiva non sono più i Paesi occidentali ma sono i Paesi asiatici, soprattutto Cina e India, e questo è un elemento molto importante. Il secondo indicatore in questa crescita direi stentata è quello dell'erosione. Il mercato mondiale era in mano praticamente all'Europa, al Giappone e agli Stati Uniti per l'80% negli anni Settanta-Ottanta, oggi la situazione si sta fortemente rovesciando, siamo già al 60% e credo che prima di arrivare al 2010 saremo 20% e 80%. Questa erosione da che cosa è determinata? E' determinata semplicemente, è vero, dalla globalizzazione, la quale ha messo fuori gioco quelli che producevano dei prodotti a basso valore aggiunto e quindi con costi elevati. Inoltre, tutta quella produzione era sostanzialmente trainata dalla quantità e non dalla qualità, ed ora si trova in grandissima difficoltà e continua ad essere in difficoltà sui mercati internazionali. Tanto è vero che la prima parte del documento di analisi di Bruxelles dice che l'Europa è in ritardo rispetto alla sua trasformazione prevista da Lisbona e soprattutto non è capace di utilizzare la conoscenza che sviluppa. E questo è un grosso paradosso europeo, perché l'Europa continua a produrre il 30% della conoscenza mondiale ma non l'utilizza e quindi chiaramente non riesce a trasformarsi, è in ritardo e quindi essendo in ritardo continua a perdere quote di mercato e continua a perdere opportunità di crescita. Quello che più è grave in tutto ciò è che se per determinare il Pin – ossia il prodotto interno netto –, si toglie al prodotto interno lordo, oltre all'inflazione (perché l'inflazione normalmente c'è sempre dentro) anche tutti i costi, soprattutto quelli che genera il sistema di produzione

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nel senso più lato sull’economia nazionale in termini di negatività – quindi CO2, emissioni, scorie, morti bianche –, ci renderemmo conto che oggi produciamo più danni che positività sul sistema. E allora si pone il problema di dire in che modo si può risolvere il problema dell'inquinamento, il global change, le morti bianche e così via senza cambiare il sistema di produzione. E' impossibile. La soluzione, come sempre, è stata quella di dire “riduciamo lo Stato sociale”, ma questo vorrebbe dire arrivare al livello di imbarbarimento dei Paesi in via di sviluppo, dopo secoli di sviluppo. Perché in realtà vorrebbe dire arrivare allo stesso livello di questi Paesi e certamente i Cinesi hanno una grande cultura storica, gli Indiani pure, ma al di là di questo inquinano, leggi sociali pochissime... Il modello europeo è ben altra cosa. Da questa prima analisi si evince che se vogliamo veramente riuscire a ridurre le emissioni e tutti quelli che sono gli aspetti negativi non possiamo far altro che cambiare il sistema. Ecco la rottura. Quello che è triste è che l'approccio che continuiamo ad avere è un approccio lineare, ma in realtà bisognerebbe prendere misure che siano esattamente necessarie a risolvere tutti i problemi. Non si può risolvere il problema dell'energia senza pensare a quello della salute, senza pensare a quello dei costi e così via. Seconda osservazione su questa prima analisi: il sistema lineare è finito, ci vuole un approccio di complessità, non si possono assolutamente decidere delle misure senza essere sicuri del loro impatto sul sistema. Un esempio molto banale che facevamo oggi De Maio ed io: spingere il biocarburante per ridurre il prezzo dei carburanti comuni, non solo non lo riduce, perché il prezzo continua comunque a salire, ma provoca anche contemporaneamente l'aumento del prezzo del pane per la tortilla in Messico, creando una rivoluzione, senza aver risolto il problema dell'inquinamento, perché chiaramente essendo prodotti vegetali sono pieni d'azoto. Quindi due danni, eppure si spendono quattrini. Il fotovoltaico: è un grande errore finanziarlo, e lo dico con molta serenità, perché il fotovoltaico che c'è oggi ha 7-8% di efficienza. In realtà questo tipo di fotovoltaico non ha nessun futuro. Può soddisfare una minima parte della domanda di energia, può traghettare, porterà il 2-3-4-%, ma non è assolutamente nulla di definitivo. Il discorso da fare è invece sul fotovoltaico di nuova generazione, in quello io credo. Il silicio è arrivato al capolinea della microelettronica, cioè non si può andare al di là, bisogna cambiare architetture, trovare altre soluzioni. L'approccio di sistema non soltanto ci chiama a risolvere tutti i problemi ma ci fa rendere conto che l'unico modo per cominciare a risolverli e ricominciare da zero, cioè riconcepire il tutto. Altri due indicatori, completamente diversi, finanziari: tasso di interesse e inflazione. Le regole utilizzate dalle Banche centrali sul tasso di interesse e l'inflazione avevano un senso e funzionavano in mercati chiusi, ma con la globalizzazione l'inflazione non è più generata dalla liquidità circolante ma dal costo di produzione marginale, cioè chi produce lo stesso prodotto a costo più basso mi obbliga, se non voglio uscire dal mercato, ad avere quei costi, quindi tiene sostanzialmente livellato il tasso d’inflazione. Cosa è successo? che fin quando la Cina non ha cominciato a delocalizzare l'inflazione era la stessa dappertutto: in Europa, Stati Uniti, Giappone, Cina, dappertutto stessa inflazione, fra il 2,5 e il 4 %, pochissima differenza. E' bastato che i salari in Cina fossero aumentati per problemi sociali (a Pechino sono passati da 700 a 7mila dollari all'anno) che improvvisamente l'inflazione è salita e si è esportata. Per cui il concetto di liquidità è importante ma la liquidità che girava nel mercato non creava inflazione ma andava a posizionarsi su operazioni ben precise. Sostanzialmente la liquidità veniva utilizzata per operazioni speculative, s'è cominciato con l'immobiliare (Stati Uniti ed Europa), oppure grandi fusioni tra chi aveva i quattrini, quindi grandi holding finanziarie, ma quello che è interessante – e che è legato all'argomento di prima – è che nessuno investiva nell'industria tradizionale. I banchieri non investono più, si sono inventati Basilea2, si possono inventare Basiliea3 per proteggersi, ma nessuno crede

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più all'industria tradizionale, per cui sono passati agli hedge fund, ai range capital, agli equity, a tutto quello che volete, ma questa è la liquidità, adesso stanno sorgendo questi fondi pubblici che si chiamano sovereign fund... torniamo all'esperienza delle Banche italiane e dell'Iri, quindi a questi movimenti. Quello che voglio dire è che le Banche centrali – e lì c'è stato un errore secondo me drammatico perché ha creato la situazione attuale – hanno utilizzato il tasso di interesse per bloccare la presunta inflazione e hanno fatto scoppiare la crisi dei mutui subprime, tanto è vero che la Bce in tre mesi è passato dal 4,5 al 3, creando uno sconquasso senza aver ottenuto assolutamente nulla. L'Europa è più prudente, è andata più lentamente e si è fermata. Ma non voglio fare una critica economica, voglio dire che le regole non valgono più: questo è il punto. Anche nel mondo finanziario le regole non valgono più. Il sistema è arrivato al capolinea, è obsoleto, il sistema di produzione tradizionale che abbiamo conosciuto per secoli e che è ancora l'80% della maniera di produrre non funziona più, non può trovare soluzioni ai nostri problemi. Le regole sono tutte obsolete e gli strumenti non funzionano. Qual è la via d'uscita? Io credo che la globalizzazione, se ci pensate bene, ha una sola legge, quella della concorrenza. Ma la legge della concorrenza segue il principio darwiniano, che in economia vuol dire che il prodotto con meno valore scompare, l'industria che produce meno valore scompare. Quindi l'unico elemento è questo del valore. Quindi tre considerazioni molto importanti: è finita con il sistema che abbiamo, gli strumenti e le regole sono tutti da rivedere, ma c'è un punto di riferimento che è questo del valore. Devo produrre più valore, mettere più valore per poter sopravvivere e andare avanti, senza ancora aver capito dove andrò. E qui si è inserita improvvisamente, e in modo miracoloso se vogliamo (in un convento ci sta bene1), Lisbona che dice che la soluzione, la ricetta per l'Europa è proprio questa: passare dal sistema tradizionale basato su risorse materiali a un sistema basato su risorse non più materiali ma intangibili – quindi non si toccano più con le mani (e per i banchieri è drammatico non toccare più con le mani le cose, perché non le sanno valutare) –, a un sistema che è basato sostanzialmente sull'utilizzazione della conoscenza. Quindi dalla materia alla conoscenza. E aggiungeva qualcosa che secondo me fra cent'anni si vedrà nei libri di storia e di filosofia: cambiare il sistema radicalmente è l'unica via d'uscita per poter mantenere quello che è il modello ideale di sviluppo europeo, che era basato, e lo diceva chiaramente, sulla centralità dell'uomo, la qualità della vita e sostanzialmente anche sul rispetto dell'eco-sistema della natura e sugli equilibri e la coesione regionale, che voleva dire Est e Ovest, Sud e Nord, ma del pianeta, per cui un modello ideale formidabile. Il messaggio era ed è: ce la possiamo fare se cambiamo il sistema. Ma il sistema non lo abbiamo cambiato perché ci eravamo illusi (ed io stesso mi ero illuso, perché ho contribuito a questa definizione), ma siamo stati molto ingenui e soprattutto non abbiamo approfondito cosa voleva dire passare da un sistema all'altro, che cosa implicava. Oggi dico che ci vogliono delle generazioni, perché avere un sistema basato sulla conoscenza e sul capitale vuol dire rovesciare – ci sono dei cartoon di Walt Disney formidabili: avete presente quando rovesciano il gatto? –, vuol dire che oggi noi facciamo i prodotti con tanta materia e poi ci mettiamo un po' di conoscenza in superficie, li imballiamo nella conoscenza, e sono i sensori intelligenti che ci mettiamo, insomma tentiamo di lavorare in superficie, invece il rovesciamento deve essere totale, si tratta in realtà di mettere molta conoscenza e poca materia per imballarla. Guardate che è una rivoluzione straordinaria, questo è l' “oltre”, è veramente cambiare il modo di produrre, proprio di concepire. La conoscenza è il cuore del prodotto e l'imballaggio è un po' di

1 il convegno si è svolto nell'ex-convento di Sant'Agostino

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materia che si mette attorno. Quindi utilizzare la conoscenza, anche se per fasi successive, e in parte lo si sta facendo. Lo sforzo più grande che stanno facendo le industrie è quello di integrare delle tecnologie che esistono per dare funzioni molteplici ad un prodotto. Direi che dappertutto si cerca di aumentare il valore aumentando le funzioni, e costa molto. I telefonini fanno di tutto, proprio perché ogni funzione dovrebbe dare più valore aggiunto. Nella diagnostica sono fondamentali due cose: primo essere capaci di arrivare al livello più piccolo, atomico, per scoprire quando nasce la malattia, quando c'è la degenerazione, quindi arrivare ad un livello molto basso, atomico; secondo essere capaci, nel momento in cui si vede che c'è una deviazione, di intervenire immediatamente. Attualmente il grande sforzo è mettere insieme, con sistemi di radiografia computerizzata ad alta definizione, tutto quello che vogliamo, laser, ultrasuoni, per tentare di intervenire, ma questo è un palliativo. La realtà è cambiare, entrare in un sistema completamente diverso. Credo che il veicolo molecolare che fa Mauro Ferrari, che collabora con De Maio a Milano, sia proprio questo: fare una molecola che sia in grado di decriptare la malattia, di curarla, di eliminarla e di vaccinarla. Queste sono cose completamente differenti che oggi la farmacia e la medicina tradizionali non possono fare.Allora se appunto analizziamo, troviamo che da una parte c'è un sistema economico che ha dei fondamentali che conoscete: grandi impianti, grandi prodotti, grandi consumi, grande manodopera, grandi capitali, tutto grande, però bassa qualità, quindi è destinato ad essere governato dai costi marginali di chi produce al costo più basso e c'è una produzione sostanzialmente lineare, una fase dopo l'altra, che richiede dei tempi; dall'altra parte ci sono un sistema con il capitale e la conoscenza come fattori, ma anche una definizione di prodotto completamente differente, delle persone che valgono per il valore che riescono a mettere dentro, un'organizzazione completamente differente, un approccio di qualità (è la qualità che traina, il valore aggiunto), poche cose ma ad alto valore, ma soprattutto un approccio di complessità. Quindi due sistemi economici che convivono, completamente differenti. Prima considerazione: passare da un sistema all'altro non è un problema individuale, non ci passa da sola un'industria, ci deve passare l'intera società. Non è un problema di traghettare il tessile, che sta facendo molto cose, perché il tessile tecnico non è ancora arrivato a “oltre” però sta aumentando il valore, sta effettivamente introducendo intelligenza nel suo prodotto e il tessile tecnico abbinato alla creatività effettivamente ha recuperato moltissimo, e questa è la via. Allora: ci sono due sistemi, chi permane nel primo è in declino, chi invece si sposta nel secondo è in mutazione, muta verso un nuovo sistema senza esserci ancora arrivato. Ripeto, questo è il concetto di declino e mutazione, non ci si arriva da soli ma ci deve arrivare l'intero sistema. Un altro elemento importante di questa analisi è che c'è bisogno di una forte governance, e di una governance responsabile e sostenibile, altrimenti non risolviamo il problema. E questa è una sfida enorme: essere capaci di organizzare la mutazione in modo responsabile e sostenibile. Ma quali sono questi cambiamenti che ci portano oltre, che creano la rottura, il cambiamento di architettura? Gli attori, schematizzando, sono sostanzialmente cinque: la ricerca in senso lato, perché poi è formazione, educazione, ricerca; gli attori pubblici, grandi e piccoli; gli attori finanziari; le industrie; la società, i cittadini, che sono al centro in quanto devono essere consapevoli di cosa sta succedendo. Non li passerò in rassegna tutti, ma vorrei perlomeno soffermarmi su quello industriale, perché vi riguarda con il tessile, su quello dell'educazione, formazione e ricerca, e poi concludere, in modo molto provocatorio, in modo molto contro corrente, ve lo annuncio già, ma se uno non lo fa in un luogo come questo non si provoca in nessun'altra parte. Prendiamo l'industria: credo che la sua mutazione, quindi il suo cambiamento verso quel

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tipo di rovesciamento dove il prodotto è conoscenza con l'involucro, passi per quattro momenti cruciali. Il primo è la ridefinizione di cosa è un prodotto, che in realtà diventa la capacità di rispondere ad un bisogno, nel senso che il prodotto deve avere in sé tutto, il servizio che si attende, il valore aggiunto spesse volte è sul servizio, d'altra parte i prodotti multifunzionali vogliono avere più servizi. Il problema è che nel servizio che c'è dietro un prodotto, e fa sì che il suo valore perduri nel tempo, deve perdurare anche la relazione tra il venditore e il compratore, la capacità di rispondere. Esempio molto banale: non vendo più caldaie ma vendo gradi di temperatura permanente occupandomi di tutto; è molto banale questo però non è fatto sempre, mentre ci sono tantissime cose che si possono fare così. Altro esempio, controllare la qualità dei telai: i telai, anche i più sofisticati, devono essere calibrati continuamente, e allora mandare una persona non ha senso, calibrarli da casa, remote con il computer e assicurare che la qualità sia sempre costante è un valore aggiunto straordinario, controllare il prodotto continuamente. Il secondo cruciale passaggio è nel modo di fare il prodotto: non posso più farlo come lo faccio oggi, ma devo andare a trovare tutta la conoscenza che è contenuta nella materia. Cosa voglio dire? che devo andare a trovare i materiali, che sono dei mattoncini alla fine, che mi permettono in realtà di dare a quel prodotto tutte le caratteristiche che io voglio abbia. Quindi è andare a cercare le soluzioni all'origine, sulla materia, a livello atomico. Ed è talmente importante questo cambiamento che veramente sta lì la rivoluzione direi copernicana, perché oggi noi produciamo dal grande verso il piccolo, aggregando componenti e quindi appesantendoli, mentre il nuovo modo di produrre è bottom-up, dal basso verso l'alto, come fa la natura che tiene insieme l'alto e le molecole facendo dei mattoncini, come i Lego. E io con quei mattoncini posso fare tutto, posso fare dei semi-conduttori, posso fare dei medicinali, posso fare qualsiasi cosa. Ecco che si arriva all'universalità della scienza, nel senso che tutte le discipline convergono e i mattoncini sono come i Lego, sì, con la mia fantasia posso fare qualsiasi cosa, nel senso che faccio dei prodotti altamente tecnologici, con la mia creatività riesco ad avere un secondo Rinascimento. E questa è la chance dell'Europa e dell'Italia. Secondo me il vero futuro è quello di coniugare tecnologia molto avanzata, conoscenza, creatività e arte: e così saremo in un secondo Rinascimento. Questo lo possiamo fare solo noi europei, non ci sono dubbi, e noi italiani in particolare, però ci vuole una grande capacità di integrazione in tutte queste cose. Terzo passaggio è il modello di business. Dato che c'è bisogno di molta conoscenza e continuamente avanzata, nessuno è in grado di produrla da solo, nessun Paese, né gli Stati Uniti, né la più grande industria che è sostanzialmente General Electric, nessuno. Quindi bisogna andarla a trovare dove questa è, ma siccome è in più posti, bisogna essere capaci di legarli. E anche lì c'è un rovesciamento: dal mio laboratorio al laboratorio degli altri, virtuale, a rovescio, continuamente, è la logica del rovesciare. Bisogna essere capaci di gestire i laboratori degli altri. La Finanziaria dice: “paghiamo i ricercatori perché vadano nell'industria”, ma è il contrario che bisogna fare: paghiamo i migliori ricercatori dell'industria perché vadano a fare ricerca nei Centri di eccellenza in giro per il mondo. Il problema è di saperli gestire, ed è tutto un altro modo, oggi gestiamo i ricercatori guardandoli perché siano tangible, “se non c'è chissà cosa fa, cosa non fa, devo vedere”, e invece si possono gestire le persone in un laboratorio virtuale utilizzando le infrastrutture e gli investimenti degli altri, è questo che è straordinario. Quindi questo approccio di modello reticolare: io concepisco e poi faccio fare, a quelli che sono capaci di farlo in quel momento nel modo migliore. Il quarto passaggio è poi l'assemblaggio del prodotto finale in funzione di una domanda, che non è globale ma è in un posto piuttosto che in un altro, quindi va fatto là, perché il trasporto prende tempo e costi. E anche questo lo si fa utilizzando delle reti. Per semplificare: l'imprenditore tradizionale era premiato con il profitto perché sapeva mettere in equilibrio in modo ottimale i tre fattori classici: il capitale, il lavoro e la materia prima; oggi è

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premiato se è capace di ottimizzare le quattro reti di cui vi ho parlato. Chi ottimizza le relazioni con le quattro reti, le mette bene insieme ogni giorno, fa un sacco di quattrini con pochissimi investimenti. Questo è il cambiamento. Dietro a questo: chi è che produce la conoscenza? Perlomeno formalmente è l'accademia, con la ricerca. Ma le università italiane producono valore aggiunto, sia dal punto di vista dell'educazione sia dal punto di vista della ricerca? Con tutto il rispetto che ho per l'università avrei molti dubbi. Non ne possono produrre per un semplice fatto, che la legge di Darwin funziona quando il mercato non ha leggi. C'è una legge italiana, che è quella dell'equivalenza dei titoli, di cui non disconosco la grande valenza sociale, ma che è contraria al principio del valore. Questo è il primo punto, il secondo: in un Paese dove ci sono poche risorse avere circa novanta università, che fanno tutto, non ha nessun senso; in un Paese come il nostro, dove ci sono poche risorse, avere un Cnr, un Enea, un'enormità di altri istituti e istitucoli e ognuno fa la sua politica non ha nessun senso. Bisognerebbe avere il coraggio di avere 3-4-5 Centri di eccellenza dove confluiscono tutti. La riforma è questa, integrare dall'origine. Come hanno avuto il coraggio di fare i francesi: hanno fatto 6 Poli di eccellenza mondiale, poi altri di eccellenza europea. Questa è la vera riforma: mettere insieme per produrre valore, altrimenti non lo produrremo mai. Bisognerebbe poi cambiare radicalmente modo di insegnare, perché è chiaro che se c'è bisogno di rovesciare, di produrre conoscenza, si entra nelle interdisciplinarità, non è più questione di monodisciplinarità. Oggi la specializzazione ci ha portato a sapere tutto di un qualcosa e niente di quello che sta a fianco, o molto poco, o se lo sappiamo è perché abbiamo avuto, noi italiani in particolare, una forte cultura liceale, ma per gli Americani e agli altri è un dramma, perché davvero non sanno assolutamente nulla. Quindi certamente l'università deve essere cambiata perché deve produrre valore, va concentrata, rifatta, si deve avere chi fa certe cose e chi ne fa delle altre, poi chiaramente premiare quelli che effettivamente sanno produrre valore, cioè coltivare ed educare quelli che producono valore. Il vero dramma dell'Europa, il paradosso di cui ho parlato prima, è la sua grossa capacità di produrre conoscenza e la scarsissima capacità a trasformarla, dovuto al fatto che il sistema ricerca e innovazione è molto complesso, non è una funzione lineare dove metto più soldi lì e ne trovo in fondo di più, non è detto, come in tutte le cose complesse 1 + 1 non è detto che faccia 2, può fare 5 e può fare 0. E' necessario avere un ambiente favorevole che permetta alla conoscenza di diventare innovazione e prodotto. E l'ambiente favorevole qual è? L'innovazione è un fenomeno sociale, nel senso che avviene in società aperte culturalmente, pronte al rischio, perché l'elemento trainante dell'innovazione è il rischio e il rischio è un problema culturale, ma è anche un problema di saperlo valutare ed è anche legato alla capacità di una visione a lungo termine di sviluppo, vedere l' “oltre”. Poiché siamo in una sala agostiniana, cito una frase di Giovanni, 12, 24: “Chi vuol mantenere la sua vita la perde e chi è pronto a perderla la guadagna”. E questo è il change: chi vuol mantenere la sua industria, chi vuol mantenere la sua posizione, chi vuol mantenere il suo partito, il suo status, il suo tutto, lo perderà, ma chi è pronto a metterlo a rischio, lo guadagnerà. Questo è il messaggio positivo, e questa è la sfida vera. Per cui il messaggio è chiarissimo e sta già scritto, non si inventa assolutamente nulla. Però noi questo spirito innovativo non l'abbiamo. Attenzione, non è soltanto una questione culturale, è anche una questione di strumenti: la fiscalità ha la sua importanza, la finanza ha la sua importanza, le regole, le norme, i brevetti, la gestione della domanda, tutte queste sono cose che necessitano di governance. Un esempio: se voglio promuovere i prodotti ad alto valore aggiunto e poi applico la fiscalità che ci deriva dal passato e tasso di più chi produce valore aggiunto, non faccio che favorire l'importazione di prodotti a basso valore; ma farlo capire ai nostri finanzieri non è una cosa facile, perché bisogna

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cambiare il sistema e non soltanto alcuni pezzi. Allora – e questa è la provocazione – in un Paese come il nostro, dove scarseggiano le visioni a lungo termine, scarseggiano i quattrini, ma ci sono dei talenti, in termini di giovani e in termini di imprese (noi siamo il Paese dei talenti, lo diceva già Dante, ma molti dispersi, lui per primo), l'unica sfida potrebbe essere questa: avere il coraggio di dire “io punto per primo sul sistema, creo il quadro, perché il quadro è lo strumento che attrae”. Guardate che la globalizzazione ha reso tutti noi beduini, tutti siamo mobili, ci fermiamo dove c'è attrazione, e le persone che hanno talento vanno dove il talento viene sfruttato. Si potrebbero citare alcune parabole, quella dei talenti e quella del seminatore, il Vangelo è pieno di spunti e di rischio per sua natura, ma non voglio fare sermoni, anche se il luogo si presta. Quello che è importante è fare il quadro per essere attrattivi e per quanto riguarda il sistema della produzione della conoscenza rovesciare il problema, mettere in rete tutti gli italiani di talento che sono in giro per il mondo. Ce ne sono 10mila negli Stati Uniti e 10mila in Europa, metterli per discipline in contatto con i ricercatori dell'industria e permettere effettivamente alle industrie e alle università, a chi produce ricerca, di farla in questa rete (Intel lavora così oggi). Ci vuole una grande capacità, però forse mettendo i quattrini sul sistema, rendendolo attrattivo e utilizzando in modo ottimale le infrastrutture di quelli che le hanno già, creando sinergie, forse si potrebbe anche riuscire a fare un passettino verso l'oltre. L' “oltre” non è l'oltretomba, l' “oltre” in realtà è questo cambiamento di architetture che rovescia il modo di produrre dal piccolo verso il grande. E' un mondo molto affascinante nel quale vi condurranno, come dei Virgilio, sia il professor De Maio sia il professor Cingolani. Grazie.

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TESTIMONIANZE

Pia Locatelli

Non commento la relazione del professor Andreta, che è piena di stimoli e che rileggerò per meditarla, visto che pubblicheremo gli atti del convegno.Il professor Andreta ha parlato di talenti e io vorrei invitare al nostro tavolo tre giovani talenti, tre giovani ricercatori coinvolti nel tessile: Chiara Greco, Claudio Colleoni e Fabio Rota. Qualcuno ha detto che sono un po' miei figli proprio perché hanno studiato al corso di laurea in Ingegneria tessile della nostra università, e così è di fatto. Cominciamo da Chiara. Chiara Greco si è laureata in Ingegneria gestionale orientamento tessile ed è attualmente responsabile ricerca e sviluppo alla Dyeberg spa (gli imprenditori sono in sala), una tintoria filati conto lavorazione. Poi Claudio Colleoni, anche lui laureato in Ingegneria gestionale ad orientamento tessile. Vi leggo il titolo della sua tesi, che mi fa inciampare e che non capisco: “Studio sulla decomposizione fotochimica di coloranti ftalocianinici”. Mi fa piacere avere qui questi giovani talenti, ma Claudio in particolare perché fa ricerca nel laboratorio “A.J. Zaninoni” dell'università degli studi di Bergamo, e la nostra Fondazione ha contribuito all'istituzione del corso in Ingegneria tessile e di questo laboratorio, che è stato inaugurato da Rita Levi-Montalcini in occasione di un altro evento organizzato dalla Fondazione Zaninoni. Infine Fabio Rota, un altro laureato in Ingegneria tessile presso l'università degli studi di Bergamo, che in questo momento sta studiando per conseguire la laurea specialistica in Ingegneria meccanica ed è tutor d'aula e di stage nell'ambito del master di primo livello “Tecnologia e processi della filiera tessile”. Avete pochi minuti, ma in pochi minuti si può rappresentare molto (al Parlamento europeo abbiamo tempi anche di un minuto, una sola volta ne ho avuto cinque, quando ho presentato il Rapporto sulla ricerca, ed ero in panico perché mi parevano troppi e temevo di non riuscire a riempirli). Prima di darvi la parola, voglio ringraziare la professoressa Caterina Rizzi, responsabile del settore ricerca dell'università di Bergamo, che ci ha messo in contatto con questi ricercatori, grazie.

Chiara Grecoresponsabile ricerca e sviluppo Dyeberg spa

Mi sono laureata in Ingegneria gestionale a orientamento tessile e ho portato avanti una tesi sperimentale, che è il risultato di uno stage di 8 mesi in azienda, dal titolo “Resinatura colorata più o meno trasparente di un supporto tessile”. In ambito tessile la resinatura è l'applicazione di un rivestimento di sostanze naturali o sintetiche sulla superficie di un tessuto e la finalità del mio lavoro era di ottenere un substrato con due lati colorati diversi nell'aspetto, mediante il finissaggio ossia l'applicazione di due resinature utilizzando dei pigmenti complementari tra di loro. Partendo da un substrato bianco, quindi pronto per tintura, si fa la prima resinatura coprente da un lato che trapassa e arriva sull'altro lato e poi si applica un altro finissaggio. Per cui c'è stato lo studio dei tessuti idonei, delle tecnologie di lavorazione, dei prodotti che potevano essere applicati, così come la scelta dei colori e lo studio di quelli che erano i post-trattamenti e il controllo delle proprietà e delle caratteristiche. Il lavoro è andato molto bene, infatti ho potuto realizzare un nuovo finissaggio tessile che l'azienda che mi ha ospitato e mi ha permesso di fare questo lavoro, la Forniture Tessili Riunite di Albano Sant'Alessandro, ha industrializzato con la

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denominazione camouflage e attualmente la sua destinazione d'uso è per giubbotteria, per camiceria e per tempo libero. Inoltre il mio lavoro ha partecipato al progetto Leonardo, chiamato anche Paneuropean I-tech Challenge, che è un progetto co-finanziato dalla Comunità europea che nel 2005, l'anno in cui io ho partecipato, si è svolto a Lione e ha riguardato l'innovazione tecnologica e la ricerca in ambito tessile. E' stata un'esperienza molto positiva che mi ha dato l'opportunità di far conoscere il mio lavoro anche a livello europeo. Essendo il mio lavoro partito da un'idea, con un ragionamento e un obiettivo raggiunto, è stato molto apprezzato e infatti ha vinto un premio. Ora lavoro presso la Dyeberg spa, una tintoria filati conto lavorazione, situata a Villa d'Almè, un'azienda di 6 milioni di fatturato con 50 dipendenti. Per circa un anno ho seguito tutte quelle che erano le fasi e le lavorazioni dell'attività e sono poi diventata responsabile ricerca e sviluppo, in particolare mi occupo di ricerca, sviluppo e innovazione. Come ricerca per esempio abbiamo portato avanti lo studio di una macchina sperimentale per fare applicazioni speciali sul filato, lavorando sul prototipo di una macchina che era esistente ma non utilizzata in questi ambiti. I risultati sono stati ottimi, per esempio sono state fatte applicazioni un po' particolari, alla moda, come quella di glitter sui filati così come l'applicazione di prodotti fotosensibili, ossia che cambiano con l'esposizione del sole. Così come c'è stato uno studio sull'applicazione di ioni negativi con effetto benessere. Gli ottimi risultati ottenuti purtroppo sono soltanto a livello sperimentale perché l'industrializzazione di questo tipo di macchinario è molto difficile. Un altro obiettivo che mi sono posta è l'imitazione indaco, cioè riuscire a ottenere sul filato, tinto su rocca, un effetto indaco con una solidità di tintura superiore e il nostro progetto, a cui sto ancora lavorando, è quello di cercare di ottenerla anche su filati per maglieria. Riguardo allo sviluppo, visto che la nostra tintoria tinge principalmente cotone, lino e loro miste, ho fatto uno studio per quello che poteva essere l'utilizzo del lino in maglieria così come creare un effetto puntinato con buone solidità. Inoltre, insieme alla Bellini, che è un nostro fornitore di macchinari in ambito tessile, in particolare della tintura, ho portato avanti lo sviluppo di una macchina sperimentale con uno spetrofotometro integrato, per poter avere sotto controllo la situazione della tintura così come eventualmente riuscire ad avere un risparmio di tempi ed energia appunto per la tintura stessa. Così come mi sono trovata a cercare di capire come tingere le fibre speciali che sempre più spesso troviamo nel mercato o di cui comunque c'è richiesta, come le fibre para-aramidiche (nomex e kevlar), polipropilene, pasta di mais, poliestere cationizzato, così come il nylon 6.6 con la certificazione eoko-tex, che è una certificazione già presente in azienda. Riguardo all'innovazione infine sto portando avanti la certificazione ambientale Iso 14001, che è una buonissima opportunità di comprendere quelle che sono le problematiche ambientali, come rispettare l'ambiente, come prevenire l'inquinamento e ottimizzare i costi in questa ottica. Proprio in questi giorni abbiamo ottenuto la certificazione biologica per la tintura del cotone organico, che ormai è sempre più diffuso.Tutti questi lavori li abbiamo portati avanti credendo nel rispetto dell'ambiente.

Claudio Colleoni ricercatore universitario

Buonasera. Ho conseguito la laurea di primo livello in Ingegneria gestionale curriculum tessile e attualmente mi occupo di ricerca nel laboratorio tessile Zaninoni nell'area chimico-tessile sotto la guida del professor Giuseppe Rosace. Gli ambiti della ricerca che abbiamo effettuato e che stiamo attualmente effettuando riguardano la stabilità fotochimica di coloranti ad uso tessile, le nanoparticelle per finissaggi tessili multifunzionali, trattamenti

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biochimici attraverso degli enzimi per finissaggi a basso impatto ambientale e per ultimo parlerò del progetto FROnT. Per quanto concerne la mia tesi, riguardava lo studio sulla decomposizione fotochimica di coloranti ftalocianinici e ci ha permesso di pubblicare un articolo che ha ottenuto un discreto successo su un'importante rivista internazionale. L'obiettivo era quello di valutare la solidità dei coloranti ftalocianinici alle radiazioni dell'ultravioletto e del visibile, perché questi coloranti presentano delle ottime solidità alla luce però di contro hanno problemi per quanto concerne la depurazione delle acque reflue industriali e soprattutto la loro decolorazione. Quindi si è studiato come era possibile eliminare, e quindi decolorare, questi coloranti attraverso l'utilizzo di radiazioni dell'ultravioletto e del visibile. Inoltre per mezzo di questa ricerca si è voluta studiare l'influenza dei solventi dell'ossigeno e del pH, ricercare l'esistenza di eventuali sostanze che, aggiunte a soluzioni acquose, potessero accelerare il processo fotocatalitico e quindi la decomposizione, inoltre determinare i prodotti di decomposizione e il processo attraverso il quale questa molecola si decompone e verificare eventuali applicazioni industriali.

Questa slide mostra come, a seconda del solvente in cui viene solubilizzato il colorante, si ottiene una velocità di decomposizione e una velocità di degradazione fotocatalitica diversa. Il grafico a sinistra mostra come si abbia un'elevata stabilità di questo colorante in soluzione acquosa quand'esso viene irraggiato con le radiazioni sia del visibile che dell'ultravioletto, ma se si guarda la figura a destra si vede come, aggiungendo una piccola quantità di acetone, la degradazione fotocatalitica aumenti notevolmente. Per rendere più chiaro: basta immaginare di avere un bicchiere d'acqua e di sciogliervi una certa quantità di colorante; se esponiamo questo bicchiere d'acqua per 15 giorni, 24 ore su 24, alle radiazioni dell'ultravioletto, dopo tale periodo di tempo la soluzione sarà ancora colorata; se invece alla stessa soluzione aggiungiamo delle minime tracce – e intendo 3-4 gocce – di acetone, la soluzione dopo 45 minuti apparirà già incolore; se aggiungiamo un altro chetone della famiglia chimica a cui appartiene l'acetone, questa decolorazione avviene in meno di 10 secondi. Per quanto concerne l'ambito riguardante l'utilizzo di nanoparticelle per finissaggi tessili, il nostro studio ci ha permesso di effettuare una pubblicazione sulla rivista Tintoria. Nelle nostre ricerche abbiamo utilizzato il biossido di titanio, che ha una grande attività fotochimica, semplificando al massimo: questa molecola assorbe le radiazioni dell'ultravioletto per produrre dei radicali che portano reazioni di ossidoriduzione. L'importanza del biossido di titanio è che non interagisce direttamente con le particelle e quindi, prima e dopo la reazione, rimane sempre biossido di titanio, per cui è necessaria solamente una piccola quantità di questa sostanza affinché si abbia un effetto permanente

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e duraturo. Su un substrato tessile abbiamo applicato una resina che, trattata in ambiente basico, permetteva il gorgogliamento di idrogeno, che creava sulla superficie di questa resina delle micro-porosità nelle quali è stato inserito biossido di titanio, la cui presenza è stata confermata anche da analisi successive. Il biossido di titanio è importante perché permette di ottenere dei finissaggi multifunzionali, ovvero: con una sola sostanza possiamo variare di proprietà. In questo caso l'utilizzo di biossido di titanio permette di aumentare l'indice Upf, ossia la schermatura ai raggi ultravioletti, inoltre permette di aumentare le proprietà antibatteriche rispetto ad un substrato non trattato e possiede anche un effetto self-cleaning, quindi auto-pulente. Un'altra area di ricerca che partirà a breve riguarda i trattamenti biochimici per finissaggi a basso impatto ambientale, attraverso un progetto regionale denominato Biotex, con il quale si vuole valutare l'utilizzo di enzimi nei processi pre-tintoriali e di nobilitazione al fine di trovare un nuovo processo a basso impatto ambientale e che quindi comporti una riduzione del rischio chimico, poiché verrebbe eliminata una buona parte delle sostanze chimiche che attualmente si utilizzano nei processi tradizionali, e di conseguenza anche una riduzione dei costi energetici. Un altro obiettivo che si prefigge questa ricerca è quello di trovare soluzioni innovative nel campo tessile per quanto riguarda la tracciabilità del prodotto e il conferimento di particolari mani sul tessuto. A questo progetto partecipano numerose aziende ed enti, tra i quali la capofila è la FTR, azienda che si occupa di sostanze per la nobilitazione tessile. Il dipartimento di Ingegneria industriale appare all'interno di questo progetto in qualità di consulente scientifico. Per quanto riguarda il progetto FROnT, ha l'obiettivo di studiare delle sostanze anti-fiamma, perché i prodotti attualmente sul mercato presentano problemi sia per quanto concerne la tossicità sia per le performance, e quindi si vuole cercare di trovare sostanze alternative che permettano di risolvere, almeno in parte, queste problematiche. Probabilmente ci si proietterà verso l'utilizzo di particolari tipologie di argille. Questo è un progetto di ricerca europeo, a cui partecipano numerosi enti e aziende di tutta Europa, la cui capogruppo e la Europizzi. Anche in questo caso il dipartimento di Ingegneria industriale appare come consulente scientifico.

Fabio Rotaingegnere tessile tutor universitario

Buonasera a tutti, sono Fabio Rota, ho intrapreso il corso di laurea in Ingegneria tessile nel 2003, mi sono laureato nel 2006 e nello stesso anno mi sono iscritto al corso di laurea specialistica in Ingegneria meccanica, ho sempre però mantenuto un rapporto di collaborazione con il corso di Ingegneria tessile, prima attraverso una borsa di studio per attività di ricerca sul tema della funzionalizzazione di materiali tessili e successivamente in qualità di tutor nell'ambito del master universitario “Tecnologie e processi della filiera tessile”. Durante il percorso di studi e l'anno di ricerca mi sono impegnato in diverse attività, fra cui lo studio della deumidificazione per adsorbimento attraverso filtri tessili in impianti di condizionamento dell'aria. La deumidificazione chimica si basa sulla migrazione naturale del vapore acqueo verso la superficie di materiali dessiccanti. Introdurre questo processo nel condizionamento dell'aria ha dei vantaggi economici, in quanto permette di eliminare la deumidificazione per condensazione, quindi diminuzione di energia, diminuzione di costi e minore impatto ambientale. Le attività sperimentali coinvolte in questo progetto sono state innanzitutto la realizzazione di un impianto di prova per testare le performance dei

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filtri e successivamente appunto la realizzazione dei filtri; si sono testati filtri di diversa natura, in fibra naturale (cocco e kenaf in particolare) e in fibra sintetica, inoltre la macchina da prova è stata strutturata in modo tale da poter accogliere filtri di diversa forma, circolari e a manica. Sono stati attuati processi di funzionalizzazione sui filtri appunto per aumentare le loro caratteristiche adsorbenti, in primo luogo è stato realizzato un processo al plasma freddo con un'operazione di grafting, quindi attraverso l'innesto di gruppi funzionali, ossidrilici in questo caso particolare, e inoltre attraverso la deposizione di cristalli di gel di silice sulla superficie e all'interno del filtro.

Questa slide riporta parte dei risultati ottenuti da questa indagine: l'area sottesa da diverse curve rappresenta la quantità di umidità adsorbita dal filtro e, come si può notare, si vede che i filtri che hanno dato risposta migliore sono stati trattati con la deposizione di cristalli di silice – la soluzione iniziale era una concentrazione pari a 300 gr/litro. Ci stiamo tuttora preoccupando di sviluppare questo progetto attraverso un miglioramento continuo dei processi di funzionalizzazione e attraverso uno studio sulla rigenerabilità dei filtri. Un secondo progetto di ricerca cui ho collaborato riguarda lo studio dei tessili antistatici per impiego tecnico, volto a ridurre la resistenza elettrica di un materiale tessile in modo da evitare concentrazioni di scariche elettrostatiche, quindi punti con potenziale elevato. Anche in questo caso il primo step dell'attività sperimentale ha previsto la costruzione di un impianto, realizzato nel rispetto della norma vigente, per la misurazione della resistenza elettrica del tessuto che è utilizzato come indice per valutare la tendenza del materiale a generare scariche elettrostatiche. Una fase successiva è consistita nello studio dei materiali antistatici tessili attualmente in produzione e della valutazione in riferimento alla variazione di umidità relativa.

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Il grafico riporta i risultati principali e si vede che, come è noto, al diminuire della umidità relativa aumenta la resistenza elettrica, quindi peggiorano le caratteristiche antistatiche. E' attualmente in fase sperimentale la sintesi di un polimero conduttivo in seno ad un manufatto tessile, che prevederà anche la valutazione delle caratteristiche antistatiche, e ci sarà inoltre uno studio sulla resistenza del polimero ai lavaggi, all'usura, ai vari agenti fisici. Da novembre 2007 sono impegnato come tutor nel master universitario di primo livello “Tecnologie e processi della filiera tessile” che si propone di fornire conoscenze e competenze nel campo tessile ai laureati in discipline scientifiche diverse, e di creare una figura professionale in grado di pianificare e gestire differenti processi produttivi, progettare e industrializzare i prodotti. E' strutturato con 1.500 ore di lezione, di cui 416 di lezione frontale, suddivise in 40 giornate singole, una settimana intensiva, visite didattiche presso aziende e cinque seminari, di cui il primo si terrà a giugno a tema “Ruolo della logistica nel settore tessile-abbigliamento: da funzione operativa a processo strategico”. Grazie dell'attenzione.

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INTERVENTI

Pia Locatelli

Grazie a tutti e tre. Passiamo ora alla parte finale di questo nostro incontro di cui presento i relatori. Giuliano Capetti non ha bisogno di presentazioni essendo bergamasco e abbastanza presente alle nostre iniziative, ma per i non bergamaschi: Giuliano Capetti è assessore provinciale alla Formazione e al Lavoro. Un altro bergamasco è Alberto Paccanelli, presidente del Gruppo tessili di Confindustria Bergamo oltre che manager di un'azienda tessile che ormai ha più di sessant'anni, la “Ginetto Martinelli spa” che produce tessuti jacquard di altissima qualità, filati di lana e cotone. Il professor De Maio è delegato del presidente della regione Lombardia per alta Formazione, ricerca e innovazione, è stato rettore del Politecnico di Milano, dove ora è professore ordinario di Ingegneria, è presidente dell'Irer, che è l'Istituto di ricerca della regione Lombardia, oltre che presidente onorario di un'associazione che raggruppa quaranta università tecniche europee di eccellenza, che ha presieduto per un paio d'anni. E' stato commissario straordinario del Cnr, ma credo sia stata un'esperienza che non l'ha entusiasmato molto...

Adriano De Maiomi ha entusiasmato, ma quando uno non va d'accordo poi decide di abbandonare

Pia Locatellisi è dimesso perché non andava d'accordo con la Ministra. Anche Roberto Cingolani ha un curriculum di tutto rispetto, cito solo alcune cose: laurea in Fisica, diploma di perfezionamento alla Scuola normale superiore di Pisa, è direttore del Laboratorio nazionale di nanotecnologie dell'università di Lecce, direttore scientifico dell'Istituto italiano di tecnologia di Genova, è stato consigliere della Commissione del Cnr per la riforma degli Istituti di ricerca, è membro della Commissione europea per il Sesto e il Settimo Programma Quadro nell'ambito delle nanotecnologie e dei nuovi materiali, è stato visiting professor all'università di Tokyo, è autore o co-autore di circa 460 articoli scientifici e di 15 brevetti. Vorrei invitarvi a parlare di questo argomento tenendo conto delle provocazioni lanciate dal professor Andreta, dei suoi stimoli ad andare “oltre”. Giuliano, vuoi provare tu ad andare “oltre”?

Giuliano Capetti assessore provinciale formazione e lavoro

Non ci penso nemmeno, anzi, mentre il professor Andreta sviluppava il suo ragionamento io sono andato subito in angoscia, mi sono preoccupato, ho guardato Paccanelli, e, dato che siamo di fatto in campagna elettorale, mi sono detto: Berlusconi, che è il mio leader, avrà coscienza delle cose che sta dicendo Andreta? non credo; Veltroni, che è il nuovo, avrà coscienza delle cose che dice Andreta? non credo. A quel punto sono rientrato in me stesso, ho recuperato un minimo di serenità e mi sono detto che, visto che i candidati alla Presidenza del Consiglio sono conciati come me, posso dire qualcosa. Naturalmente non ho le competenze per contraddire quanto ha detto Andreta, anzi ritengo anch'io affascinante lo scenario, però io sono un amministratore pubblico della provincia di

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Bergamo, sino a cinque minuti fa ero orgoglioso delle cose che abbiamo fatto, ma mi ha distrutto tutto... Insomma, mi vien da dire questo: un ragionamento di questo tipo, collocato nella realtà bergamasca, che non è l'ultima realtà del territorio nazionale, siamo in terra lombarda, una provincia con una presenza notevole tuttora del settore manifatturiero, nonostante abbia perso la sua primazia un paio d'anni fa per quanto riguarda gli occupati, come si muove rispetto alle cose dette da Andreta? Abbiamo una struttura del mercato del lavoro con 96mila imprese, di queste 33-34mila sono artigiane, con una media di dipendenti di 2,7, le imprese industriali come media hanno 10,5 in provincia di Bergamo: come possono impostare il loro futuro sulla base di quella discontinuità che è stata qui rappresentata? Io posso portare la testimonianza nostra, del lavoro che abbiamo fatto in questi 3-4 anni partendo dalla crisi del settore tessile, che poi si è estesa anche ad altri comparti, e dire in breve quali sono i punti di debolezza che noi abbiamo riscontrato in relazione a questo divenire a livello globale. Ma anche sulla questione della globalizzazione, personalmente dico che non è un fenomeno di questi anni, io ricordo continuamente che in provincia di Bergamo gli Americani sono arrivati 40 o 50 anni fa, con le aziende chimiche che si trovano nel territorio dell'Isola ma anche nella pianura bergamasca; il mio paese, che è l'ultimo della bassa pianura, ha ancora oggi un'azienda americana che ha sede a Philadelphia, dove già allora aveva mille ricercatori, ma era venuta in Italia perché trovava un territorio che non aveva regole, aveva bassi salari perché erano persone che uscivano dall'agricoltura ed entravano in azienda, aveva il fiume Serio in cui si poteva scaricare direttamente i riflui senza nessuna norma. Il processo in atto attualmente si presenta con caratteristiche diverse, però c'è sempre il tema della produzione a basso valore aggiunto, c'è sempre il problema della manodopera e delle riorganizzazioni aziendali. Noi abbiamo agito su tre versanti: l'impresa, il lavoro dipendente e gli Enti locali. L'impresa: avendo a mente la realtà del territorio, facendo delle analisi empiriche sui bilanci delle società dei piccoli imprenditori, abbiamo verificato che i piccoli imprenditori – bergamaschi, non vado oltre il territorio – hanno una grande capacità di produrre, ma hanno anche una scarsa conoscenza dei fattori di gestione e dei fattori di costo della loro azienda, e per questa ragione si sono trovati in difficoltà. La media e grande impresa – Paccanelli è uno dei testimoni di questa esperienza – naturalmente, avendo un management all'interno dell'azienda, ha più capacità di affrontare il cambiamento, che non significa però saperlo fare in tutto e dappertutto, infatti abbiamo avuto esperienze di grandi aziende che hanno chiuso i battenti perché il loro prodotto è finito fuori mercato, possiamo comunque dire che hanno dimostrato capacità di resistenza sul territorio, di riorganizzazione e in alcuni casi anche di rilancio. Il versante del lavoro dipendente non va trascurato. Questi processi di cambiamento hanno coinvolto le donne (ne sa qualcosa Pia che viene anche lei dall'esperienza del tessile per quanto riguarda la sua attività precedente), che si sono trovare in grandi difficoltà, donne sopra i 35-40 anni d'età con la difficoltà ad essere ricollocate. Da questo punto di vista abbiamo messo in campo politiche attive del lavoro finalizzate alla riqualificazione professionale, di queste donne e anche di uomini, con l'intendimento di far loro trovare un altro posto di lavoro, ed è stato possibile farlo andando a definire percorsi formativi anche in funzione di una diversa collocazione del lavoratore in un diverso settore, perché uno dei problemi fondamentali è che se si riduce l'occupazione in queste aziende è chiaro che non è possibile trovare nuova occupazione all'interno dello stesso settore. Abbiamo finanziato diversi progetti, abbiamo ottenuto, con un accordo con il Ministero del Lavoro, 20 milioni di euro che abbiamo messo a disposizione del territorio e nelle prossime settimane partirà un piano di riqualificazione e di aggiornamento professionale con un investimento di circa 5 milioni di euro.

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L'ultima annotazione è relativa alle problematiche che si evidenziano sul territorio in questi processi di riorganizzazione e ristrutturazione e che attengono anche alla sensibilità o meno che gli Enti locali dimostrano in presenza di crisi o di riorganizzazioni aziendali. Un esempio positivo: la Europyearn, un'azienda della Valle Seriana, ha chiuso e ha dovuto quindi licenziare più di 100 lavoratori; c'è stata la sensibilità dell'Ente locale, ma anche dell'imprenditore, e i suoi spazi sono stati messi a disposizione per aziende artigiane, piccole imprese dove ricollocare la manodopera; d'intesa con l'azienda, l'Ente locale, la Comunità montana e le organizzazioni sindacali siamo riusciti a costruire un modello di questa natura. Ci sono altre iniziative simili sul territorio che devono essere sviluppate.Possiamo dire che in provincia di Bergamo la cosa positiva è stata quella di aver costruito un modello di governo del mercato del lavoro – che poi è stato in qualche modo utilizzato anche in altre province lombarde – che consiste nel mettere attorno al tavolo le organizzazioni sindacali dei lavoratori, le parti sociali, quindi Confindustria Bergamo, le imprese piccole e medie, “Impresa e Territorio” e in un rapporto concertativo siamo riusciti a governare un processo di trasformazione salvaguardando l'occupazione e creando le condizioni per un rilancio dell'attività anche del settore tessile. Naturalmente sono emerse le criticità che dicevo prima e anche le ricerche che abbiamo fatto, finanziate dall'Unione europea, il progetto Sector e il progetto Tir, ci dicono che dobbiamo approcciarci da un lato giocando sull'innovazione e sulla qualità del prodotto – e le imprese lo stanno facendo – e dall'altro cercando di migliorare la qualità dell'offerta formativa ed essere in grado di formare le persone, lavoratori ma anche imprenditori, perché siano in grado di affrontare il futuro. Grazie.

Pia Locatelli

Grazie assessore, la parola al professor Cingolani.

Roberto Cingolanidirettore scientifico dell'Istituto italiano di tecnologiadirettore del Laboratorio nazionale di nanotecnologie dell'università di Lecce

Io sono abbastanza diverso dalla comunità che voi rappresentate, mi rendo conto che il messaggio che posso dare è più tecnico che politico, anche se vorrei sgombrare il campo da un'obiezione che mi viene fatta molto spesso quando parlo di fronte agli imprenditori. Lo dico subito: uno dei Laboratori che ho istituito, non è in Lombardia, è a Lecce che non è una zona particolarmente ricca: ha 220 dipendenti, non è finanziato dallo Stato e raggranella 60 milioni di euro a triennio solo in progetti, di cui il 55% viene da progetti con aziende multinazionali. Io so cosa vuol dire avere cedolini di paga che scadono, so cosa vuol dire avere dipendenti, l'unica differenza che ho con voi è che purtroppo non faccio dividendi, il mio income viene reinvestito ogni anno in strumentazione e stipendi. Si chiama Laboratorio Nazionale di Nanotecnologie, è stato un laboratorio pilota dell’INFM (attualmente CNR) e in questo momento è tra i primi laboratori al mondo nel settore per produttività scientifica e per citazioni su web of science, ha circa 30 partner internazionali. Benché il laboratorio si trovi al Sud, io sono di Milano, ho vissuto in Germania, in Giappone, negli Stati Uniti, ho parte della mia famiglia qui, e i miei figli vivono a Lecce perché, conseguentemente al Laboratorio, la mia residenza è lì. Ora sto costituendo a Genova questo Istituto Italiano di Tecnologia, una grossa impresa da 1,2 miliardi di euro. Vi dico questo perché voglio evitare di sentirmi dire “Sì, sì, va bene, ma torna a fare l'accademico”. Io sono molto critico nei confronti dell'accademia Italiana, perché sovente è

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un centro di potere auto-referenziale dove non ci sono graduatorie, dove non ci sono classifiche, dove non si dice chi è avanti e chi è dietro. Se nel calcio vi dicessero che non ci sono le classifiche penso vi rifiutereste di seguirlo e di pagare per vedere le partite. Vi dovreste rifiutare anche di avere la ricerca scientifica fatta così in Italia, perché senza graduatorie non si sa chi vince il campionato: questa è una cosa fondamentale. Fatta questa breve premessa, credo si necessario prospettare una rottura scientifica e ideologica: la rottura consiste in un attacco frontale a quei corporativismi che hanno portato la ricerca italiana ad essere inferiore. Un secondo attacco frontale è quello oramai improcrastinabile alla burocrazia. Il nostro Paese, non facendo le graduatorie, non ama quantificare quanto costa il tempo perso. Sono sicuro che voi imprenditori quando dovete chiedere un permesso per mettere, ad esempio, un gabbiotto per i gas, dovete attendere mesi per ottenerlo; se poteste quantificare quanto è costato quel tracotante burocrate che vi ha bloccato la pratica, gli dovreste chiedere i danni. Non solo per la perdita economica in sé e per sé,ma anche per la perdita di competitività rispetto ai concorrenti internazionali. Un esempio tipico viene dalle recenti “semplificazioni” al codice appalti. Supponiamo che io vinca un progetto europeo oggi insieme al mio collega di Cambridge. Siamo bravi uguali, ci hanno valutato delle Commissioni indipendenti, vinciamo il progetto europeo insieme, arrivano i soldi in banca nello stesso giorno e (sempre supponiamo) per sviluppare i nostri progetti dobbiamo entrambe comprare uno strumento importante, per esempio un microscopio elettronico. Il mio collega inglese dopo 8 settimane ce l'ha installato, io dopo 8 settimane posso mettere l'annuncio della gara internazionale sul web, dando 30 giorni per la ricusazione, 4 mesi per la gara, 2 mesi per formare la commissione, un altro per “aprire le buste” e aggiudicare la gara. Insomma, avrò il microscopio dopo più di un anno. Il mio concorrente inglese, che era bravo come me, mi supera in partenza perché quando io installo la macchina nel mio laboratorio, lui già ci lavora da molto tempo. Un altro aspetto molto importante è quello della valutazione. Io monitoro costantemente sul web of science le citazioni delle mie pubblicazioni, per essere sicuro che quello che faccio venga letto, capito e utilizzato dalla comunità scientifica, in altre parole per essere sicuro che sia rilevante. Tuttavia, indipendentemente dal mio rendimento e dalla mia produzione scientifica, il mio stipendio è uguale a quello del mio collega che legge il giornale o che fa una ricerca marginale. Non esiste un bonus per chi porta valore aggiunto. Esiste solo il livellamento, ovviamente verso il basso. Il ricercatore deve essere una specie di volontario, come tutti voi. Perché siamo tutti volontari: forse la parte di Italia che funziona è proprio quella del volontariato, non ce n'è altra. Ma le storture del sistema non finiscono qui. Io riesco ad attrarre ricercatori dall'estero, ricevo 90-100 curricula di americani, giapponesi, tedeschi ogni anno che vorrebbero venire a lavorare con me. Mi mandano il curriculum e io rispondo “aspetta perché devo fare il bando sulla Gazzetta Ufficiale”. Devo scrivere un profilo e dei requisiti formali, farlo pubblicare, attendere i tempi tecnici per le esposizioni del bando, le formazioni delle commissioni, la ricusazione, l’espletamento del concorso (scritto e orale). In generale ci vogliono svariati mesi perché il ricercatore possa incominciare. Ma nel frattempo, soprattutto se è straniero, si è scocciato, ha perso interesse e competitività, e probabilmente ha scelto di andare altrove. Se un progetto scientifico dura 2 anni e io devo impiegare sei mesi per assumere il giovane ricercatore che lo deve sviluppare, capite che c’è qualcosa che non va…Allora: la prima rivoluzione di cui si parla non è tecnica, è burocratica. In un Paese in cui le veline fanno politica e sono titolate a parlare di qualsiasi argomento, sarebbe ora che ai tecnici venisse permesso di esprimere opinioni e di fare proposte. Assessore, capisco la sua difesa, perché tra l'altro, so che Bergamo è una delle locomotive d’Italia. So che se si prendesse la Lombardia e pochi altri pezzi del Nord questa zona avrebbe un Pil superiore

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alla California. Lo so perché quando facevo l'emigrato in Germania, a Stoccarda, agli inizi degli anni Novanta, già allora si sapeva cos'era la locomotiva europea. Non era la Svizzera, era questa zona. Quindi vi invidio, vi ammiro, però… La riforma strutturale è necessaria a tutto il Paese, non foss’altro per potervi seguire meglio

Giuliano Capettiscusi ma guardi che non era una difesa dei “capi”, era solo una presa di coscienza della condizione

Roberto Cingolanibenissimo, però voi siete in un'oasi qui, questa è un'oasi fortunata, perché avete un Dna fantastico, e avete anche una tradizione di lavoro indefesso. L'altra rivoluzione – e adesso vado sulle cose noiose, quelle scientifiche – secondo me si può fare con 4-5 idee e quindi vi lancio una provocazione scientifica. Ma secondo voi madre natura le fibre come le fa? qual è il modo più efficiente di fare le fibre? Voi siete tutti nel tessile, immagino che la vostra materia prima sia un barattolino con delle fibre che poi dovete filare, e dopo averle filate fate tessuti e composti. Madre natura per fare le fibre usa il Dna, il più efficace apparato di produzione di fibre è il Dna, noi siamo per il 50% fibra ed è tutta prodotta con codice genetico. Se voi voleste fare le fibre, ingegnerizzandole a vostro piacimento, potreste usare dei virus ingegnerizzati. Ed è questo quello che sta succedendo. Nei vostri laboratori potranno entrare culture cellulari e piccole cappe di biologia per fare banalmente culture virali – il virus non costa niente (l'influenza è gratis), ne potete fare a chili. Questi virus cominceranno a produrre fibre per voi, e se voi ingloberete nel virus delle nano particelle, non solo gli ossidi di titanio che già usate, ma anche oggetti più piccoli, con proprietà magnetiche o fluorescenti, queste fibre emetteranno luce, condurranno, saranno antenne, potranno fare un sacco di cose. Servono metodi nuovi per produrre la materia prima: questo è l'andare oltre. L’Italia ha perso molte occasioni nel campo della scienza dei materiali. Abbiamo perso la plastica, le tecnologie per i computer, i nano compositi e le fibre di carbonio. Abbiamo preferito gestire il sapere altrui, fare la manifattura dei materiali altrui: la Germania fa i pezzi d'acciaio e li lavora, noi li compriamo. Oppure possiamo fare moda perché siamo fantasiosi e creativi. Allora, a mio parere il primo obiettivo da raggiungere come industria del tessile è quello di essere proprietari di materia nuova. Il nostro corpo con il collagene, che è la base delle ossa, fa i capelli, le unghie, le ossa, le cornee, i denti, e decide come queste fibre si devono assemblare per essere elastiche, trasparenti, per crescere in fretta e così via. Questo è il futuro, “l’oltre”, del tessile. Voi dovreste avere dei laboratori biologici con tanti virus e tanta biochimica per esplorare nuove fibre. Questa è la vera rivoluzione, che richiederà sicuramente venticinque anni, quindi, per carità di Dio, lunga gloria e salute alla vostra industria che tiene alto il nome del Paese, questo è fuori discussione. Ma se nel frattempo qualcuno di voi cominciasse a valutare l’ipotesi di mandare uno di questi tre ragazzi da Angela Belcher ad Austin o a Genova all'IIT, o da qualche altra parte per cominciare a vedere come si fa a produrre una fibra con un virus, probabilmente senza saperlo si assicurerebbe un vantaggio pre-competitivo che potrebbe essere utile per il futuro.Nel frattempo quello che si fa è trovare la via di mezzo. Qui vedete un micro-filmato (il professore mostra una slide): questo si chiama electrospin, è uno spray ad altissima pressione dentro un campo di potenziale di 40 kilowatt, sono due contatti in cui si spruzzano delle molecole, dei polimeri, che sono ingegnerizzati, e con queste molecole poi possiamo fare quello che ci pare. E' plastica. Le avete viste le coperte fatte riciclando le

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bottiglie dell'acqua? sono bellissime. Probabilmente anche i tessuti che sono su queste sedie sono fatti con il riciclo di materiale polimerico. Il polimero è una molecola lunga, può essere organica, biologica, lo potete fare come vi pare, ve la costruite atomo per atomo. Se usate dei polimeri che contengono silice fate direttamente le fibre ottiche, se usate delle polianiline, che sono dei polimeri conduttivi, fate dei fili conduttivi da 200 miliardesimi di metro. A che servono? Immaginate di voler fare un occhio artificiale: avete bisogno di 80mila assoni per metro quadro, 80mila terminazioni neuronali. Se ognuna di queste terminazioni non è 200 nanometri non farete mai un pezzo di ricambio umano. Anche questo è vedere “oltre”. E se partite dalle fibre di collagene potete immaginare di creare scaffold ossei su cui coltivare stem cells per riprodurre ossa da autotrapianto. In fondo anche questo è tessile: si parte da fibre. Lo potreste fare anche voi, perché l'apparato di electrospinning si mette su con 5mila euro per piccole produzioni e con 50mila euro per quantità maggiori. Sapete a chi interessa questo? a chi fila la fibra di carbonio. Altra cosa per cui in Italia abbiamo perso il treno: non produciamo fibra di carbonio, la compriamo. Da chi? da Taiwan, da Singapore, dal Giappone e dalla Francia. Allora, fermo restando il valore di quello che fate e fermo restando che il vostro attuale core business rimane quello, il problema a mio parere è avere il coraggio di trovare delle piccole nicchie. Voi che siete così bravi ad organizzarvi, a mettere insieme le Fondazioni, avete anche delle Banche locali forti, avete comunque un po' di struttura, mettete insieme per esempio un piccolo laboratorio che cominci a pensare oltre. Altri brevissimi esempi molto rapidi. Se queste fibre, che sono state prodotte come vi ho detto, vengono messe a pressione dentro alcuni canali, si possono ottenere dei veri e propri tessuti disordinati le cui proprietà possono essere ingegnerizzate in molti modi. Prendiamo una farfalla mediterranea: perché quando piove non si bagna? Perché ha delle caratteristiche idrofobiche che dipendono dalla trama dei suoi pigmenti (che governano anche il suo colore). Allora, se per esempio voleste fare un tessuto super-idrofobico, un oggetto da competizione, da sport d'alta moda, dovreste imitare madre natura. Dovreste fare un tessuto che abbia questo tipo di superficie (il professore mostra una slide). Questo richiede la capacità di tessere oggetti con periodicità controllate. Se questa cosa la volete fare con il telaio tridimensionale avete perso la gara, perché questi oggetti sono grandi meno di 200 nanometri e posti a 150 nanometri di distanza l’uno dall’altro. Ma se la fate con tecnologie diverse, con dei timbri, le cosiddette soft nanopattering technology, questa tecnologia diventa possibile. Si tratta di metodologie ragionevolmente economiche, sviluppate a Lecce e cedute a grandi aziende internazionali. Con questi timbri speciali, in alcuni casi dei veri e propri roller, si possono creare delle nanostrutture periodiche sulla superficie di diversi materiali, e realizzare una farfalla artificiale, o un oggetto superidrofobico.Allo stesso modo potete usare delle nano strutture per creare fili conduttivi. In laboratori che non sono molto diversi dai vostri, laboratori chimici assolutamente standard, facendo tecnologie colloidali, si possono sintetizzare delle nano-palline, composte da 100-150 atomi, di qualsiasi tipo di materiale, che potete attaccare alla vostra fibra, qualunque essa sia, perché c'è sempre un legame chimico che potete sfruttare. La fibra così ottenuta può emettere luce. Guardate cosa succede in questi casi: (il professore mostra una slide) questi sono pezzi di plastica che sono stati ingegnerizzati in fase molecolare, sono stesi come se fossero una vernice, si accendono con 3 volt ed emettono da 25mila a 50mila candele per metro quadro (le lampade che stanno in questa sala sono da 50mila candele per metro quadro). Si potrebbe pensare di utilizzare questi ritrovati nelle giacche di sicurezza (per la polizia, per i motociclisti, per i ciclisti) utilizzando nella trama del tessuto alcune fibre che si illuminano a 3 volt. Mentre si sviluppavano queste molecole che emettevano la luce in quel modo,

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opportunamente processate – ed è tutta ingegneria chimica abbastanza semplice – a queste molecole facevamo vedere noi la luce, perché volevamo fare il fotovoltaico e abbiamo scoperto che facendo delle “insalate” di molecole opportune si riesce ad avere una cosa semplicissima: un fotodiodo, un detector di luce – come quello che riceve il segnale del vostro televisore – che vede come un occhio umano. Così abbiamo fatto la prima retina artificiale – questo è un brevetto ITT-Politecnico di Milano. A che serve questa retina artificiale? Da un lato un giorno a sostituire un occhio, soprattutto avendo gli 80mila fili sottilissimi di cui dicevo prima per fare 80mila assoni per millimetro quadro, e dall’altro per costruire un colorimetro a risposta umana. Qualcuno di voi prima parlava del problema della riproducibilità dei colori nei tessuti. Con un colorimetro di questo tipo si potrebbero riconoscere le coordinate cromatiche in maniera esatta, con la stessa sensibilità dell’occhio umano. Ovviamente il passaggio successivo è immediato: dato che quando c'è luce questa plastica produce corrente (salto tutti i passaggi chimici, a quest'ora non è il caso), da questa tecnologia parte l’idea delle celle solari plastiche. Qui (il professore mostra una slide) vedete uno dei primi prototipi: la cella solare di plastica, che consiste di pochi strati e di un elettrolita. La ragazza sta tenendo in mano quattro celle sotto il bel sole di Lecce, il 3 marzo 2007 alle 11 di mattina. Vedete che si producono 2,45 volt con un costo reale di pochi centesimi.Come considerazione generale aggiungo che se questo Paese vuole rimanere una potenza mondiale fra le prime dieci è fuori di dubbio che deve fare le centrali nucleari. Tuttavia esiste anche un'immensa richiesta di energia facile, di energia di bassa potenza, flessibile. La vogliamo sulle giacche, la vogliamo sulle centraline dell'insulina, la vogliamo sugli occhiali perché vogliamo tenere l'iPod sempre nell'orecchio, perché un giorno avremo un'interfaccia neuronale collegata a internet e la dovremo alimentare. Se vi avessero detto dieci anni fa che avreste fatto le e-mail e visto la tv sul telefonino, come avreste reagito? Ecco, io adesso vi dico che fra vent'anni potreste avere un'interfaccia neuronale dietro l'orecchio per collegarvi a internet wireless. Questo succederà, perché quella è la strada tracciata, e per allora ci vorrà una sorgente energetica flessibile. Finché non sarà metabolica, cioè elettronica che si alimenta a zuccheri, sarà molto probabilmente di questo tipo, casomai sotto forma di tatuaggio sulla pelle, perché poi di fatto è uno strato di plastica da 100 nanometri di spessore. Allora io credo che l'invito ad andare oltre vada visto in maniera giocosa. Io sarei contento di vivere a Bergamo, perché qui c'è un mondo diverso, c'è una civiltà superiore. Lo dico non per adularvi ma perché anche all'estero si sa che cosa avete fatto e che cosa fate, però vi dico anche che se non provate voi a fare qualcosa di fantasioso, chi altri lo può fare? senza investimenti da 1 miliardo di dollari, bastano 150mila euro, cominciate, prendete questi tre ragazzi brillanti, mandateli per sei mesi da qualche parte e date il via a qualcosa di veramente nuovo, a fondo perduto, è un piccolo rischio. Io credo che questo possa essere utile per voi. Poi per la rivoluzione di cui parlava Andreta, vedremo che cosa succede con le elezioni. Il problema è che tutto quello che ho visto, da destra e da sinistra, da nord e da sud, non è sufficiente. Ho sentito dire da tutti: “aumentiamo i fondi”, ma non è quello il solo problema.

Giuliano Capettiè d'accordo con me che non sono consapevoli

Roberto Cingolaniassolutamente! La politica spesso è completamente distaccata dall'operatività. C’è chi è operativo, chi si sporca le mani lavorando, creando e producendo, e chi comanda senza

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avere idea di cosa voglia dire l’operatività. Questo secondo me è un problema molto grave, e purtroppo è molto al di sopra dei miei scarsissimi mezzi. Grazie

Pia Locatelli

Grazie ed ora Alberto Paccanelli.

Alberto Paccanellipresidente del gruppo tessili di Confindustria Bergamo

Sarò sintetico. Mi sono entusiasmato ascoltando il professor Andreta, mi sono convinto che la strada che perseguiamo a Bergamo è quella giusta quando ho sentito i giovani ingegneri e ora sono molto frustrato perché non riesco a collegare la nostra realtà con l' “oltre”, perché negli ultimi dieci anni abbiamo cercato di evitare l'oltretomba e ce l'abbiamo fatta, ora, è vero, dobbiamo guardare avanti, ma guardare avanti non è semplice. Voglio iniziare con una nota rassicurante leggendo due righe da un articolo di Repubblica del 18 febbraio, che titola “Le 'quattro A' del made in Italy compensano tutti i settori in rosso”. Paola Jadeluca scrive “La gente pensa che la moda sia un settore tramontato, in realtà ha un peso talmente rilevante da occupare uno spazio significativo sia nell'industria che nel commercio: abbiamo esportato più moda nei Paesi extra-Ue di quanto i francesi non siano riusciti a fare con i loro aerei, treni e navi o gli inglesi con la loro elettronica. (...) Questo surplus ci consente di ripagarci tutto il fabbisogno energetico dall'estero, pari a 50 miliardi di euro”. Se il cambio con il dollaro e lo yuan cinese fosse stato diverso “il recupero di competitività sarebbe stato anche superiore”. Questo per dire che ci siamo, abbiamo percorso una strada molto difficile ma io credo che quella di oggi sia una realtà che ci fa guardare al futuro con ottimismo. Se me lo consentite vorrei indicare tre periodi della nostra storia recente e poi un breve accenno al futuro. Il periodo ante 1998/99 è stato a bassa competitività, i nostri sistemi competitivi erano allineati, quindi eravamo concorrenti di Germania, di Francia, di altri Paesi con la nostra struttura di costo, le nostre aziende godevano di svalutazione e quindi anche la dimensione era ritenuta non critica, eravamo sostanzialmente una realtà abbastanza tranquilla. Dal 2000, come tutti sapete, siamo entrati in una fase estremamente critica, l'Accordo multifibre è andato a essere eliminato, una grande apertura dei mercati, l'arrivo di Cina, India e altri Paesi in via di sviluppo, le nostre aziende al palo, in crisi d'identità, non riuscivamo a capire cosa dovevamo fare, molte aziende hanno dovuto ristrutturarsi, qualcuna non ce l'ha fatta, molte hanno deciso di delocalizzare tutto, altre hanno puntato sulla qualità, sull'innovazione, sulla ricerca e sul mercato. E oggi queste aziende sono nel cuore che pulsa in Italia, perché siamo entrati in una fase dove abbiamo recuperato competitività e siamo in grado di attaccare nuovamente i mercati, che in questo momento tra l'altro sono cresciuti per cui tranquillamente abbiamo clienti cinesi che ci comprano ormai stabilmente, abbiamo accordi in India e in tutte le parti del mondo. In questi anni difficili noi bergamaschi abbiamo subito l'onda anomala in modo un po' più limitato rispetto agli altri distretti italiani, forti soprattutto di filiere integre e di aziende di medie dimensioni abbastanza forti e leader nei loro segmenti: la camiceria, ad esempio, la biancheria della casa e tutta una serie di settori che si sono comunque ristrutturati e hanno mantenuto la leadership. Come Confindustria, e insieme a Pia Locatelli e altri, abbiamo voluto fortemente Ingegneria tessile, una prima cellula che pensasse al tessile in modo stabile, al tessile tecnico, che potesse attivare ricerca e sviluppo. Potrà non essere la ricerca e sviluppo che vuole Cingolani, ma ci stiamo provando e coglieremo gli spunti che

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nasceranno. Tutto questo in un momento estremamente difficile, se pensate che questi sono sforzi finanziati dal basso, da noi, e che “godiamo” di un sistema che non ci aiuta per niente, un sistema estremamente penalizzante sia come costo dei fattori – non dimentichiamo che paghiamo l'energia elettrica il 30% in più della Germania, non della Cina ma della Germania –, che abbiamo un sistema fiscale estremamente pesante e così via. Quindi elementi di svantaggio che non possiamo dimenticare e che non ci consentono di fare voli pindarici. Dobbiamo forse collegare meglio il top, cioè il sistema, quello che decide la governance, e il bottom, cioè le aziende singole che insieme devono lavorare, e credo che su questa strada sia possibile mantenere una competitività e trovare delle vene di innovazione che ci possono consentire di fare un passo oltre e di mantenere in molti segmenti una leadership mondiale. Grazie

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CONCLUSIONI

Pia Locatelli

Grazie Alberto, anche per la capacità di sintesi. Ci restano pochissimi minuti e chiederei al professor De Maio di fare insieme il suo intervento e le conclusioni.

Adriano De Maiopresidente dell'Irer (Istituto regionale di ricerca della Lombardia)delegato del presidente della regione Lombardia per alta formazione, ricerca e innovazione

Buonasera. Io volevo tentare di dare alcuni colpi allo stomaco, ma a questo punto, dopo alcuni interventi, a partire da quello di Ezio Andreta, è difficile insistere ancora, ma tenterò. Visto che sono chiamato a fare le conclusioni, prenderò spunto da alcuni passaggi, integrando, dicendo qualcosa in più, correggendo o meno. Parto da quest'ultima considerazione: beh, se non avessimo delle prospettive di poterci risollevare non saremmo qui, ci rimarrebbe soltanto la scelta del mezzo migliore per suicidarci, viceversa l'elemento di base è che siamo qui perché crediamo nella possibilità di un futuro positivo, dobbiamo però capire che è necessario fare un salto, una rottura radicale, capire che siamo in un momento in cui bisogna prendere consapevolezza che si deve cambiare in maniera radicale. Tento di spiegare il perché portando la mia esperienza personale e facendo anche riferimento ad alcune cose dette da più parti, che però traduco in maniera diversa. A mio avviso – questo è un mio pallino che continuo a ripetere – uno degli elementi che permette di capire se un territorio si sta sviluppando o no è la sua capacità di attrazione, se le risorse vengono o se ne vanno, le risorse che servono per sviluppare un territorio, perché l'unica cosa che rimane immobile è il territorio. Bergamo non può muoversi, ma le persone di Bergamo sì, le industrie di Bergamo sì, i capitali di Bergamo sì. E questo vale per Bergamo, Lombardia, Italia, Europa... Se il bilancio finale delle risorse qualificate per lo sviluppo futuro è tale per cui le entrate sono superiori alle uscite (perché ci saranno sempre, ci devono essere anche le uscite), ossia il saldo è positivo, allora ci sviluppiamo, se il saldo è negativo stiamo andando in declino. Il saldo in Italia è negativo. Fortemente negativo. Ne prendiamo atto o no? Prendiamo atto che c'è una buona parte – non tutti per fortuna, e qui se ne è avuta la dimostrazione – del primo elemento che io considero alla base di tutto, cioè le teste delle persone, che se ne va? Roberto, tu adesso ritorneresti in Italia o no? forse no. Io sono stato un po' di tempo in California, sto parlando del 1972, ma mi fosse capitato adesso non sarei tornato. Io non sono un talento, ma lui sì, e quanti vanno e non tornano? E l'industria? e i capitali? Proprio l'altro giorno eravamo insieme in un altro incontro Ezio Andreta, io e altri, ed è intervenuto il nostro attaché scientifico a Washington, il professor Einaudi, portando i dati degli investimenti in ricerca e sviluppo in Cina, che sono paurosi: l'80% degli investimenti in Cina è di industria privata e, dato che non esiste industria privata cinese, si tratta di industria privata che proviene dai Paesi occidentali, fra cui anche l'Italia. Cioè noi stiamo investendo in ricerca e sviluppo in Cina, quindi anche i nostri capitali di ricerca e sviluppo vanno via. Ci rendiamo conto di questo fatto? Attenzione, tenterò di dirlo in forma più semplice possibile, il sistema di attrazione è un sistema strutturalmente, diremmo in linguaggio tecnico, a feedback positivo. Vuol dire che se le cose vanno bene andranno sempre meglio, se le cose vanno male andranno sempre peggio. Naturalmente. A meno che intervengano tagli pesantissimi in termini di

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cambiamento radicale, che possono essere generati all'interno o all'esterno. All'esterno il grande cambiamento si è avuto quando la Cina ha deciso che, pur mantenendo la denominazione comunista, comunista non era più. All'interno è quando si decide di fare una politica. Ma attenzione: i pannicelli caldi non servono, altrimenti è come con l'energia in cui con la nostra bolletta diamo un po' di soldi a chi investe in fotovoltaico, con il risultato che i consumatori pagano l'iradiddio ogni chilowattora a favore di coloro che fanno l'investimento e guadagnano sul fotovoltaico. Ma si può reggere finché rimane sul 2-3%, se aumenta dovremo pagare 6 volte tanto il chilowattora per mantenere il fotovoltaico. Lo sappiamo o no? Non parliamo delle biomasse che comportano l'iradiddio di problematiche, l'eolico non ne parliamo. Allora: non si può fare con i pannicelli caldi, bisogna intervenire in maniera radicale. Altro elemento: la rottura, che deve esserci, come è stato detto più volte. “Oltre” vuol dire una rottura. Quello che ci è stato proposto, in termini esemplari da tutti i punti di vista, da Roberto Cingolani fa capire che c'è un modo nuovo di ragionare: l'operare come fa mamma natura. Alcune volte può essere giusto, altre no: chi ha inventato l'aeroplano è andato contro natura, tutti imitavano gli uccelli e non ci riuscivano, lui ha preso delle leggi fisiche che non c'entravano niente con mamma natura e c'è riuscito. In alcuni casi invece vale il viceversa, vedi le nano-e-qualcosa, dove è mamma natura che ci spiega come fare. Bisogna sempre evitare di cadere o da una parte o dall'altra, vediamo quanto mamma natura ci può dare e quanto viceversa il modello artificiale può essere interessante. Ma sia l'uno sia l'altro presuppone il concetto di rompere: il volo si è fatto perché si è spezzata l'ipotesi di imitare madre natura, la nano-qualchecosa è stata fatta perché si è pensato di imitare mamma natura. Dobbiamo capire che sempre, in tutti i casi, i grandi cambiamenti ci sono quando si rompe lo schema logico precedente. Questo è il primo elemento. Dicevamo prima con Roberto Cingolani che noi siamo dei nani sulle spalle dei giganti, una vecchia battuta, ma pensate al primo a cui è venuto in mente di prendere la sabbia e riscaldarla fino a farne vetro. Che intelligenza! ma pensate a quello che scalda la sabbia! Adesso noi continuiamo a parlare di silice, ma uno a cui, chissà quando, è venuto in mente di scaldare la sabbia fino a fonderla. Ma ci rendiamo conto di che cosa sono state queste invenzioni incredibili? Ma ci rendiamo conto di cosa ha inventato Giulio Natta, al Politecnico di Milano? “Fatto il propilene” c'è scritto sulla sua agenda, è nata la plastica. Cosa ha voluto dire in termini di cambiamento epocale. Unico Premio Nobel veramente italiano, 1963, gli altri sono italiani che hanno lavorato all'estero per cui hanno avuto il Premio Nobel, ma lui ha lavorato qui totalmente. Allora il discorso è: capacità di rompere alcuni schemi e anche capacità di prendere le esperienze del passato. Non una polemica ma un'aggiunta su Lisbona: bastava che i signori di Lisbona leggessero qualche libro di Carlo Cattaneo scritto 150 anni prima e non avrebbero perso 150 anni, perché Carlo Cattaneo l'aveva già scritto che la ricchezza di una comunità consiste nella intelligenza e nella volontà, quindi formazione e ricerca. Meglio tardi che mai, ma almeno non si attribuiscano il fatto di aver inventato, si abbia l'onestà e la modestia di dire che altri l'avevano detto. Ho avuto la fortuna, il privilegio, l'onore, chiamatelo come volete, di essere stato per il tempo massimo concesso dalla legge – sono stato l'unico a rispettare la durata di otto anni – rettore del Politecnico di Milano, che è nato intorno al 1860, quando la Lombardia era disastrata. Ci si è chiesti come farla rinascere e non hanno inventato cose mirabolanti, si son detti: “partiamo dal fondare il Politecnico”. Perché si parte dalla cultura, dalla formazione, dalla ricerca, dal trasferimento tecnologico, dalla creazione di nuove imprese. E quando nel 1945 si è voluto far ripartire la Brianza si è inventato l'Istituto tecnico industriale, da cui è nata grande parte dell'innovazione, grandi periti. Che abbiamo buttato via, perché la scuola l'abbiamo buttata via. A mio avviso noi abbiamo bisogno di cinque elementi, che tratterò per accenni.

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Il primo è la capacità di vedere lontano. Di una persona brava, intelligente diciamo che è lungimirante, usando un termine di cui dimentichiamo forse l'etimo. Lungimirante vuol dire che guarda lontano. Abbiamo bisogno di lungimiranza e viceversa abbiamo tutti quanti una miopia paurosa. Lungimiranza vuol dire pensare alle generazioni future sacrificando la generazione attuale. Noi viviamo dei sacrifici dei nostri padri, e sperperiamo, e i nostri figli sperperano. Abbiamo bisogno di nuovo di grande lungimiranza, che può voler dire tante cose. Il secondo è il pensare sul serio a fonti di energia non banali. Mi fanno sorridere i cartelli “Comune denuclearizzato”: è follia totale, perché poi è nuclearizzato quello vicino. Paghiamo l'energia prodotta da altri che è nuclearizzata, per cui se scoppia qualcosa dove viene prodotta abbiamo il danno anche noi. Chernobyl non era qui vicino! Abbiamo bisogno dell'energia perché è l'elemento di base, ai vari livelli, abbiamo bisogno della grande energia e abbiamo bisogno della piccola energia, che si risolve in modalità completamente differenti, non possiamo pensare che tutto si risolva allo stesso modo. Il terzo elemento sono le infrastrutture. Dobbiamo ricordare i Romani, che la prima cosa che facevano erano le grandi vie consolari? dobbiamo pensare a loro per capire che le infrastrutture sono l'elemento portante di una comunità? Nessuno ad esempio ragiona che abbiamo bisogno di una linea ferroviaria che colleghi Genova a Rotterdam, se non vogliamo essere tagliati fuori completamente? Su Malpensa meglio stendere un velo pietoso. Gli altri due elementi fondamentali sono la formazione e la ricerca, che sono strettamente collegate. O capiamo che dobbiamo rivedere tutto il ciclo formativo a partire dalla prima elementare o non solo non andiamo oltre, andiamo indietro. Ricordo sempre agli imprenditori, e penso che qui ce ne siano, che quando hanno un processo produttivo con una fase critica per la qualità del prodotto finale, su questa parte del processo produttivo fanno operare una persona qualificata, che selezionano, che premiano, su cui investono, perché è vero che la base di tutto sono le persone. Ma allora: abbiamo una selezione del corpo docente? abbiamo la sua valutazione? li paghiamo in maniera tale da poter dire che prendiamo i migliori? Dovrebbero essere i migliori gli insegnanti, a partire dalla prima elementare, perché l'elemento più importante sono tutte le scuole pre-universitarie. Noi ci siamo dimenticati di questo, a noi della formazione non importa niente, l'importante è promuovere tutti. La ricerca: mi sono sempre domandato perché le persone oneste, intelligenti (perché gli altri li lasciamo perdere), che sono in punti decisionali e che dicono che la ricerca è fondamentale, quando poi si arriva al redde rationem i soldi non ce li mettono. Mi chiedo come mai molte persone oneste intellettualmente, intelligenti, stimabili fanno così. E allora la colpa di chi è? La colpa è dei ricercatori. Non del ricercatore singolo, ma di chi ipotizza strategie di ricerca. Vedete cosa ha fatto Roberto Cingolani, che sa vendere ricerca? Non ha parlato della parte scientifica dei suoi articoli, non ne ha citato nessuno. Imparate voi giovani ricercatori: siete stati applauditi perché siete bravi, perché siete giovani, perché abbiamo fiducia in voi, ma non avete affascinato nessuno. Lui perché ha affascinato tutti quanti? perché ha visto la risoluzione di un problema, non gli elementi tecnici o scientifici che permettono di risolverlo. Se io vi dico che con quello che vi propongo voi risolvete il vostro problema tessile, reagite dicendo: “ma allora io investo in nanomateriali”. Ma se vi mostro solo l'elemento scientifico bellissimo, ma cosa ve ne importa di investire. Se vado da un politico e gli dico che deve investire in nanomateriali, primo non è in grado di capire se deve investire in nanomateriali piuttosto che in stem cell, e quindi dipende da che cosa ha orecchiato da qualcuno – e speriamo che quel qualcuno sia uno scienziato e non Celentano – e, secondo aspetto, se contemporaneamente qualcuno gli chiede un contributo all'agricoltura, tra un investimento in nanomateriali e un contributo all'agricoltura secondo voi un politico che cosa fa? Tutti l'agricoltura, tranne

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qualche eccezione (tra cui Pia), ma non possiamo contare sulle eccezioni. Ma fa bene, farei anch'io così se fossi un politico. Allora loro che fanno ricerca – io no perché non faccio più ricerca, io li devo soltanto aiutare – devono far capire che i grandi problemi della comunità si risolvono solo facendo ricerca. Quindi l'obiettivo è chiedere ai politici quali sono le priorità dei problemi. (Qualcuno nel pubblico lo interrompe dicendo che seguono i sondaggi) No, guai fare un sondaggio, il politico deve portare avanti gli altri, non seguire il sondaggio, chi fa il sondaggio non è un leader. Il sondaggio sull'opinione corrente è conservazione, per definizione. Un leader politico deve sempre proporre una visione, un obiettivo, una linea e deve convincere gli altri che quella è la linea giusta. Alla Giunta regionale io non ho chiesto niente sulle tecnologie, non ho chiesto niente sulle scienze, ho chiesto quali sono i problemi. Mi hanno risposto: salute, energia, ambiente, alimentazione, sistema manifatturiero. Sulla salute sono andato in giro per il mondo a fare quello che chiamano science and technology foresight. Verificato tutto quanto (lascio perdere i passaggi), il grande progetto su cui stiamo cominciando a investire come regione Lombardia è la nano-medicina. Io chiedo soldi per l'investimento dicendo di fidarsi perché così si risolve il problema salute. Perché la nano-medicina va a colpire di quella persona quella cellula lì che evolve dinamicamente mentre viceversa attualmente tutti gli interventi riguardano una valutazione media e quando va bene colpiscono con un cannone una mosca, distruggendo tutto quello che c'è attorno. C'è poi l'elemento enorme, che è stato detto in mille modi, della complessità, citato da Ezio Andreta e via via è stato un filo conduttore di questo incontro. La complessità vuol dire che dobbiamo mettere insieme cose diverse in tempi diversi e non è possibile la sovra-semplificazione. E su questo noi avevamo una formazione per cui eravamo i migliori nella gestione dei sistemi complessi. Dobbiamo ritornare ad allora. Anch'io sono ottimista, ma soltanto se tutti quanti ci rendiamo conto che bisogna cambiare in modo radicale. Grazie.

Pia Locatelli

Grazie a tutti e alla prossima iniziativa.