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aspettando il momento

Testi Giuseppe Ferrandi Chiara Comper Giordano Raffaelli Patrizia … · 2018-11-01 · SOMMARIO 8 Introduzione Giuseppe Ferrandi 9 Introduzione Chiara Comper 10 Introduzione Giordano

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aspettando il momento

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Catalogo a cura di Camilla Nacci e Mariella Rossi

TestiGiuseppe FerrandiChiara ComperGiordano RaffaelliPatrizia BuonannoCamilla NacciFiorenzo DegasperiMariella Rossi

Testi sui FortiMuseo Storico Italiano della Guerra

Testi gallerieLe gallerie

Testi criticiMariella Rossi

TraduzioniStudio d’Arte RaffaelliNeil WaddingtonLe gallerie

Foto Fondazione Museo storico del TrentinoCarlo BaroniNicola EccherLuisella Savorelli (p. 78)Le gallerieGli artisti

CopyeditingSara Ricci (ita)Virginia Raffaelli (eng)

Logo ARTE FORTEStefano Cagol

Immagine coordinataSilvia Bernardini (LABA)Daniel Pedenzini (LABA)

StampaLitotipografia Alcione, Lavis (TN)

Stampato in ItaliaAgosto 2018

Tutti i diritti riservati

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ARTE FORTE

Aspettando il momento

21 giugno – 23 settembre 2018

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Mostra d’arte contemporanea diffusa nei Forti del Trentino nell’ambito della rassegna “Sentinelle di Pietra”, promossa dalla Provincia autonoma di Trento – Servizio Attività culturali in collaborazione con la Fondazione Museo storico del Trentino.

Da un’idea di Giordano RaffaelliCon le Associazioni ANGAMC e Aspart

A cura di Mariella RossiIn collaborazione con Camilla Nacci

Sedi della mostraForte Cadine (Trento), Tagliata superiore di Civezzano (Civezzano), Forte Pozzacchio (Trambileno), Forte Strino (Vermiglio), Forte Garda (Riva del Garda), Forte / Werk Lusérn (Luserna), Forte Belvedere (Lavarone), Forte Corno (Valdaone), Forte Larino (Sella Giudicarie), Forte Colle delle Benne (Levico)

Gallerie partecipantiBoesso Art Gallery (Bolzano), Buonanno Arte Contemporanea (Trento), Antonella Cattani Contemporary Art (Bolzano), Cellar Contemporary (Trento), Paolo Maria Deanesi Gallery (Trento), Galleria Doris Ghetta (Ortisei), Giudecca 759 Art Gallery (Venezia Studio d’Arte Raffaelli (Trento), Studio 53 Arte (Rovereto), Tan-Art (Canazei), Valmore studio d’arte (Vicenza - Venezia)

Artisti invitatiFausto Balbo, Bäst, Manuela Bedeschi, Federica Cavallin, Silvio Cattani, Giorgio Conta, Ruth Gamper, Annamaria Gelmi, Cecilia Gioria, Eduard Habicher, Bruno Lucchi, Udo Rein, Denis Riva, Flavio Rossi, Hermann Josef Runggaldier, Peter Senoner, Matthias Sieff, Jacques Toussaint, Willy Verginer

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Si ringrazianoProvincia autonoma di Trento

Tiziano Mellarini, Assessore alla culturaClaudio Martinelli, Dirigente Servizio Attività culturaliGloria Preschern, Servizio Attività culturaliElisabetta Piva, Servizio Attività culturali

Giuseppe Ferrandi, Direttore Fondazione Museo storico del TrentinoChiara Comper, Fondazione Museo storico del Trentino

Lanfranco Cis, direttore artistico Sentinelle di Pietra

Sindaci, Assessori, Pro Loco e Associazioni di volontariato dei ComuniCivezzano, Lavarone, Levico, Luserna, Riva del Garda, Sella Giudicarie, Trambileno, Trento, Valdaone, Vermiglio

Consorzi e APT di ambito

MAG – Museo Alto Garda, Riva del GardaLABA – Libera Accademia di Belle Arti, Torbole

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SOMMARIO

8 Introduzione Giuseppe Ferrandi 9 Introduzione Chiara Comper 10 Introduzione Giordano Raffaelli 11 Introduzione Patrizia Bonanno 12 Introduzione Camilla Nacci 15 Mappa dei forti 17 Le sentinelle di pietra, Fiorenzo Degasperi 21 Aspettando il momento, Mariella Rossi

26 Forte Cadine 28 Paolo Maria Deanesi Gallery 29 Giorgio Conta

36 Tagliata Superiore di Civezzano 38 Studio d’arte Raffaelli 39 Bäst, Willy Verginer

46 Forte Pozzacchio 48 Giudecca 795 Art Gallery 49 Cecilia Gioria

56 Forte Strino 58 Boesso Art Gallery 59 Ruth Gamper 66 Buonanno Arte Contemporanea 67 Eduard Habicher

74 Forte Garda 76 Valmore studio d’arte 77 Fausto Balbo, Manuela Bedeschi, Annamaria Gelmi, Jacques Toussaint

84 Forte Werk Lusèrn 86 TAN-ART 87 Federica Cavallin, Flavio Rossi, Matthias Sieff

94 Forte Belvedere 96 Galleria Doris Ghetta 97 Peter Senoner 104 Studio 53 Arte 105 Udo Rein, Silvio Cattani

112 Forte Corno 114 Antonella Cattani Contemporary Art 115 Hermann Josef Runggaldier

122 Forte Larino 124 Cellar Contemporary 125 Denis Riva

132 Forte Colle delle Benne 134 Casa D’aste Von Morenberg 135 Bruno Lucchi

142 I forti

143 Le gallerie

145 English texts

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Giuseppe FerrandiDirettore Fondazione Museo storico del Trentino

ARTE FORTE viene riproposta nell’anno del Centenario della fine della Prima guerra mondiale e si conferma, in que-sta seconda edizione, come progetto di grande interesse culturale e artistico. Non è una novità assoluta quella di cer-care la valorizzazione del patrimonio fortificato del Trentino tramite l’arte contemporanea, ma sicuramente ARTE FORTE amplifica enormemente l’importanza di questo rapporto e lo consolida. Rimango-no, ovviamente, la dimensione sperimen-tale e la volontà di reinventare l’uso di queste strutture progettate e costruite per finalità belliche. Strutture e spa-zi che non nascono per ospitare eventi culturali, installazioni, opere d’arte, e che impongono agli artisti e a colo-ro che hanno curato/progettato la mo-stra di adattarsi e di partire proprio da questi luoghi della storia e della memoria. Partire dalla loro essenziali-tà, dal gioco di luci e dal buio, dalle chiusure e dalle aperture verso il pa-esaggio esterno. E si tratta dell’unico metodo che porti con sé rispetto e at-tenzione alle esperienze, alle memorie, alle storie di cui questi forti sono espressione.ARTE FORTE è anche un’occasione di col-laborazione e di dialogo tra il pubblico e il privato. Rappresenta una modalità significativa di come sia possibile te-nere insieme esigenze diverse. Ci riesce perché queste esigenze sono accomunate

dalla condivisione di un progetto cul-turale.A nome della Fondazione Museo storico del Trentino, ente capofila del Circu-ito dei forti, esprimo la nostra piena soddisfazione per il risultato, che si può cogliere da questo catalogo e dalla documentazione che esso offre.Il 2018, anno del Centenario della fine della Prima guerra mondiale, è un anno ricco di iniziative, proposte, occasio-ni di rilettura di quello che è suc-cesso 100 anni fa. L’arte contemporanea può dare un grande contributo in questo senso perché portatrice di linguaggi e approcci radicalmente diversi, in molti casi estranei ai meccanismi della co-struzione della memoria e dell’uso pub-blico della storia. Sono convinto che questa pluralità di narrazioni e di sperimentazioni possa garantire qualità e adeguata disconti-nuità alla riflessione sull’eredità della Grande Guerra e dei conflitti che hanno segnato il Novecento. ARTE FORTE testi-monia la direzione che vorremmo intra-prendere e tutto ciò si collega all’im-portante obiettivo raggiunto quest’anno con il conferimento a Forte Cadine, che funge da punto informativo per l’intero Circuito, del “Marchio del patrimonio eu-ropeo”. In conclusione, abbiamo bisogno di Europa e l’Europa ha bisogno di incre-mentare l’impegno culturale e formativo rivolto alla propria cittadinanza.

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Chiara ComperCircuito dei Forti del Trentino

Fortificazioni, trincee, osservatori e sentieri militari rimangono a testimo-nianza di un passato caratterizzato da un sistematico progetto di difesa del territorio risalente al periodo di domi-nio austro-ungarico.Quest’importante eredità lasciata al Trentino, da tempo soggetta a recupero, è stata recentemente riconsegnata alla collettività.Non solo architettura, ma uomini, storie, parole e narrazioni che assumono nuova forma mediante il progetto di valorizza-zione e promozione del Circuito dei forti del Trentino, promosso dall’Assessorato alla Cultura della Provincia autonoma di Trento con il coordinamento della Fonda-zione Museo storico del Trentino, e vol-to a dimostrare che simili luogohi, de-notati nell’immaginario consueto per il loro tragico trascorso, possono al gior-no d’oggi rappresentare un’incomparabile strumento di diffusione della conoscenza e della memoria grazie alla contamina-zione delle diverse forme d’arte.A questo scopo, grazie a un lavoro si-nergico tra più attori, il Circuito of-fre la possibilità di scoprire strut-ture eterogenee per epoca e tipologia di costruzione, proponendo in tal modo un percorso suggestivo e stimolante sia dal punto di vista prettamente stori-

co-architettonico, sia dal punto di vi-sta emozionale, consentendo al visitato-re di percepire un’atmosfera particolare che riporta alla luce i fatti tragoici del secolo passato senza mai risultare invasivo.Le feritoie, i muri spessi, le pareti di nudo sasso, vengono riscaldate da evo-cazioni, da luci e ombre narrate attra-verso le diverse forme artistiche: dalla danza al teatro, dall’arte al canto, con-cedendo nuova prospettiva e nuova voce a queste mute e silenziose sentinelle di pietra.ARTE FORTE rappresenta l’esempio virtuo-so di incontro tra competenze che con-sentono un’esperienza di visita unica nel suo genere, dove l’arte, fuori dalla convenzionalità degli ambienti specifi-ci, si nutre di valori in riferimento al luogo in cui viene concepita ed è soggetta a forti sollecitazioni che sti-molano l’artista quanto il visitatore ad uno sguardo lontano, all’esterno della propria area di sicurezza.Questo eccezionale contesto di mostra difusa innesca diversi piani di lettura che vanno dalla relazione con la storia e memoria alla reinterpretazione di spa-zi architettonici, dalla scoperta di un territorio alla comprensione di temati-che intrinseche del luogo.

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È un grande piacere seguire, passo dopo passo, la realizzazione di questa secon-da edizione di ARTE FORTE, in continuità con le esperienze espositive tenutesi a Forte Strino dal 2003 in poi in collabo-razione con Patrizia Buonanno, e con la prima mostra diffusa in otto Forti del Trentino nell’estate del 2016.

ARTE FORTE nel 2018 conta dieci forti, protagonisti del riuscito progetto da me proposto due anni fa alla Provincia autonoma di Trento – Servizio Attività culturali e alla Fondazione Museo sto-rico del Trentino. Il successo di questa iniziativa è dovuto innanzitutto alla collaborazione tra le Istituzioni e le gallerie d’arte private attraverso le as-sociazioni di categoria ANGAMC (Associa-zione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea) e ASPART (Associazione Galleristi del Trentino).

Troppo spesso si perde di vista il ruo-lo che svolgono, con le proprie risor-se, le gallerie private nella scoperta e nella promozione dell’arte e degli artisti, individuandone e riconoscen-

done il talento in anticipo rispetto ai musei.

ARTE FORTE ha il merito di mettere in luce questo aspetto, grazie alla fortu-nata collaborazione tra pubblico e pri-vato, e attraverso il confronto del con-temporaneo con luoghi carichi di storia e suggestioni, molto spesso difficili da interpretare e da contestualizzare nel presente.

Un ringraziamento va infine all’entusia-smo degli artisti, che hanno realizzato e allestito, anche per questa edizione, un percorso di mostra diffuso, coerente con la tematica proposta dalla curatrice Mariella Rossi “Aspettando il momento”, utilizzando una grande varietà di mezzi espressivi capaci di suscitare nel pub-blico stupore e riflessioni.

Auguro quindi ad ARTE FORTE di prosegui-re nelle prossime edizioni, dopo la com-memorazione del Centenario dalla fine della Grande Guerra, portando avanti un messaggio di crescita culturale che sap-pia oltrepassare i conflitti.

Giordano RaffaelliDelegato territoriale Triveneto per ANGAMCTitolare Studio d’Arte Raffaelli

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È con vero piacere che come titolare del mio studio di Arte Contemporanea e come Presidente dell’Aspart, partecipo alla seconda edizione di ARTE FORTE.Aver avviato l’idea di esporre in un for-te (Forte Strino) già nel 2003, mi riem-pie di orgoglio per aver intuito quanto sia importante per gli artisti e per gli operatori che si occupano di cultura, mettere in relazione la forza e la po-tenza simbolica di un luogo che ha ospi-tato le vicende tragiche della Guerra e il messaggio contemporaneo. Ringrazio dunque Giordano Raffaelli, ideatore di ARTE FORTE, che ha raccolto la straordinaria esperienza e l’ha dif-fusa coinvolgendo 10 forti, 12 gallerie

e 19 artisti in questa rassegna dal ti-tolo “Aspettando il momento”.La finalità della nostra associazione è quella di promuovere l’arte contempora-nea e porsi come punto di riferimento dinamico e interattivo sul territorio, operando per rendere più facilmente fru-ibile ciò che esso già offre, stimolando l’interesse del pubblico, favorendo in-contri tra artisti ed estimatori d’ar-te, promuovendo iniziative parallele con gallerie private, pubbliche e musei per creare così quell’impatto culturale che l’arte porta come propria peculiarità. Con questa iniziativa, ancora una volta, abbiamo centrato l’obiettivo.Auguri dunque ad ARTE FORTE.

Patrizia Buonanno Presidente di AspartTitolare Studio Buonanno Arte Contemporanea

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“Equilibrio” è il concetto-chiave per la realizzazione di un progetto come ARTE FORTE.

In questo equilibrio le vite del passato e le vite del presente si allineano. Non solo le storie di chi ha abitato i forti, ma anche quelle – cui accenna Fiorenzo Degasperi nel suo testo Le sentinelle di pietra. Silenzi, ombre e opere d’arte – di chi nelle stesse zone è nato, molto prima che fossero destinate alla guerra; non solo le storie dei visitatori, che interrompono oggi la loro quotidiani-tà per visitare luoghi che non potranno lasciarli indifferenti, ma anche quel-le degli artisti, che più di tutti, at-traverso un linguaggio che non conosce alfabeti, sanno coglierne e restituirne l’essenza.

Alla sua seconda edizione, dopo aver dato voce alla Babele di linguaggi e di simboli legati ai conflitti, ARTE FORTE pone ancora di più il suo centro sulle persone, uomini e donne di allora e di oggi che aspettano il momento.Si tratta di un istante ben preciso, che evoca il Centenario della fine del-la Grande Guerra, e auspica la fine di tutti i conflitti, senza mai nominare la parola “guerra”; ARTE FORTE va in questa direzione, grazie alle Istituzioni a cui è affidato il controllo dei forti, at-traverso la loro riqualificazione sia a livello di restauro architettonico e del loro mantenimento, sia, soprattutto, a livello di fruizione culturale.In questa direzione vanno anche le gal-lerie d’arte private, cui va il merito di saper scegliere e proporre gli interpre-

ti più adatti a confrontarsi con la me-moria. Una memoria che non si chiude in se stessa, ma che si proietta in avanti, in attesa.

Questi equilibri sono garantiti dalla curatela e dall’organizzazione, che met-tono in campo saperi e competenze tra-sversali, al fine di creare una stretta rete di collaborazioni. Quest’obiettivo è ben rappresentato dall’immagine coor-dinata scelta per questa edizione, un insieme di punti e linee intersecati a tracciare un percorso sul “Sentiero del-la Pace”.

Connessioni tra persone, che mi sento di ringraziare per nome, una alla volta, a partire da Giordano Raffaelli, idea-tore di questo format, di cui ha saputo sviluppare le grandi potenzialità, e a Patrizia Buonanno, per aver scommesso sul binomio tra arte e forte sin dal 2003 a Forte Strino. Grazie al Servizio Attività culturali della Provincia au-tonoma di Trento nella persona del suo Dirigente Claudio Martinelli e delle Dott.sse Elisabetta Piva e Gloria Pre-schern; alla Fondazione Museo storico del Trentino, al suo Direttore Giuseppe Ferrandi e alla Dott.ssa Chiara Comper, coinvolta in prima persona nell’orga-nizzazione. Grazie alle Associazioni ANGAMC e Aspart e alle gallerie che vi aderiscono, credendo prima nella colla-borazione che nella concorrenza. Grazie all’Accademia LABA di Torbole da cui è scaturito il lavoro di Silvia Bernardini e Daniel Pedenzini sul concept grafico presente su tutti i materiali della mo-stra. Grazie a Fiorenzo Degasperi, per

Camilla NacciCoordinatrice di ARTE FORTE

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aver accettato con entusiasmo di con-tribuire con un testo che stimola una profonda riflessione sui punti d’inter-sezione tra passato e presente. Grazie alla curatrice Mariella Rossi, la per-sona più adatta a ricoprire questo ruolo per la sua capacità di instaurare lega-mi, di leggere il lavoro degli artisti e scriverne, per l’empatia con il pubblico e il dinamismo nel muoversi sul terri-torio, conoscendone storie e geografie. Grazie a tutti gli artisti invitati ad

ARTE FORTE, le cui opere collocate nei forti sono le vere protagoniste della mostra.

Le immagini degli allestimenti e tut-ti i testi relativi ad ARTE FORTE sono raccolti in questo libro, che non vuole essere un semplice catalogo accompagna-torio, ma il prodotto finale di questo meraviglioso progetto, che resterà nel tempo a testimonianza del lavoro e degli equilibri costruiti insieme.

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«Non sono mai stato tanto attaccato alla vita».

(Giuseppe Ungaretti, Veglia, 3 dicembre 1915)

Sorgono all’improvviso, nelle radure di foreste addormentate, tra impervie pa-reti, o emergono sulla sommità di gole scoscese: sono le sentinelle di pietra. Decine e decine di fortificazioni au-stro-ungariche, innalzate ad Ares, il dio della guerra, lungo i confini di una terra aspra. Quando le costruirono si dimenticarono che in ognuno di que-sti luoghi c’era già un’antica e arcaica presenza, leggendaria o mitologica, fia-besca o straordinaria. Che sia l’impron-ta della mano di san Vigilio al Bus de Vela – il forte sorge a pochi metri –, il gemito mortifero della Klaga (un uc-cello che grida come un bambino che deve morire) svolazzante sopra il forte di Belvedere a Lavarone, il brigante Paol Pe’ che abitava in una caverna presso il Forte Strino a Vermiglio o l’orco di Poz-zacchio, le pietre e il ferro di queste fortezze hanno assorbito, calpestandolo, lo spirito del genius loci.Cannoni, mitragliatrici, fucili, bombe a mano e mortai hanno spezzato i sottili fili che allacciavano tra loro gli abi-tanti notturni con quelli diurni, veri o leggendari, che presiedevano alla fe-licità e armonia di quel luogo con il mondo. Eppure le genti venute dal sud dovevano sapere – glielo avevano inse-gnato gli dèi romani – che la più grande disgrazia che minaccia da sempre gli uo-mini è abitare su una terra abbandonata

dagli dèi, e perciò priva di centro. Ed è ciò che è accaduto sulle nostre montagne quando il rumore del legname tagliato, delle pietre trasportate da lontano, del ferro fuso nella madre terra si è mesco-lato con il bisogno di difendere non una terra, non una patria, non una heimat, ma semplicemente un potere.È la notte, quando i raggi della luna gettano una luce spettrale sulla natura, nel momento in cui perfino i neo arrivati lupi tacciono intimiditi – in un luogo dove l’uomo ha liberato la propria ani-malità, peggiore di quella degli stessi lupi – e gli orsi smettono di rugliare al cielo e si decidono a camminare a quattro zampe, che le sirene dei forti, le dimenticate anguane, ammaliano con i loro canti melismatici l’incauto pelle-grino. Cantano tristi storie, sorrette dall’ingordigia di Ecate triforme, la dea della notte, dei fantasmi, dei morti. È lei la testimone della stupidità umana, spettatrice impotente dell’ingordigia dell’uomo venuto dal sud. Lei – che non si era mai curata né di stellette né di divise, privilegiando sempre e comunque il puro sangue che non parla lingue e dialetti diversi, lei che si chiamerà Morrigan, Yama, Freya (come Fraselle, la valle dei Lessini o la cima insanguina-ta di Fiorazzo che divide la Valsugana dall’altopiano di Asiago), Cerere, Kalì – rimase stupefatta nell’osservare come migliaia di uomini insanguinassero le bianche pareti calcaree e dolomitiche, o i ghiacci e i nevai invernali, per poter piantare un pezzo di stoffa scolorito che non aveva nulla a che fare con il fazzoletto ricamato dalla propria madre con pazienza e amore.

Le sentinelle di pietraSilenzi, ombre e opere d’arte

Fiorenzo Degasperi

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Mai nulla meglio dell’urlo anticipatore di Edvard Munch è riuscito a concentra-re la disperazione assoluta e universale dell’uomo.Soldati che non volevano combattere sa-livano dalla pianura, provenienti dalle assolate isole del mediterraneo, ignari del nemico contro cui combattevano (e peggio ancora, per cosa), piegati dalla fatica e con le orecchie tappate per non sentire l’urlo di morte del vici-no, dell’amico, di muli, asini e ca-valli. Questi attacchi assomigliavano tanto alla caccia selvaggia che per se-coli ha terrorizzato le genti trentine. Quell’esercito di morti, scheletri, ossa e animali comandato dal Beatrik – per-sonificazione sciamanica della figura di Teodorico il Grande, diventato poi la strega del buon zogo, ovvero Diana, durante i roghi innalzati dal fanatismo religioso – atterriva le genti dell’arco alpino preannunciando il proprio arri-vo con le sguaiate urla dei cani neri e il dirompente suono del corno. Una torma del genere si avvistava di solito nel periodo tra la Quaresima e Pasqua: usciva dagli arrugginiti cancelli dei manieri abbandonati e scavalcava i pon-ti levatoi marciti di castelli diventati ruderi. A documentare il fenomeno della caccia selvaggia, oltre che le decine di leggende in tutto il territorio alpino, è un documento ecclesiale, il Chronicon dell’abate Reginone di Prün, che predica il rifiuto del dianaticus, rituale paga-no in cui la dea Diana se ne va in giro la notte con la sua schiera.Delle centinaia di fortezze che fanno da cintura alla terra trentina alcune sono state completamente restaurate e rese al pubblico (e alla cultura) per comprende-re la storia, per non dimenticarla e per tenere viva la memoria: una decina di forti diventati musei, che offrono spazi affinché si canti, si suoni, si parli, si mostri. Così è nata, alcuni anni fa, per la caparbia volontà e costanza di Giordano Raffaelli dello Studio d’Arte omonimo, ARTE FORTE: diverse gallerie d’arte hanno pensato bene di unirsi e

far sì che le sirene incantatrici della morte lascino lo spazio alla creativi-tà di artisti che portano qui le loro opere – talvolta costruite appositamente per il forte che le ospita –, ricche di sentimenti come il cuore e l’anima. Sono loro, con i loro pennelli, matite, scal-pelli, sgorbie, torchi, ferri, acciai, legni, carte, tele, video e musiche, a ricucire lo strappo con il genius loci, a riscoprire i fili sottili che legano il basso con l’alto e viceversa. Sono loro, gli artisti, che hanno compreso che la perdita del senso del luogo coincide con il distacco progressivo dell’uomo dal-la natura e dalla storia, e che quindi ripropongono forme e volumi ricchi di memoria, ricordi e sensazioni, indagan-do linguaggi nuovi e antichi. Da queste opere scaturisce la coscienza dell’esse-re uomo che non ha abdicato e non vuole abdicare a quella razionalità che sola ha condotto – ieri come oggi – a stermi-nare genti, popoli, idee.Per quanto siano diverse e divergenti le opere presenti – ad ogni forte un arti-sta e una galleria, un linguaggio e una scelta di come si interpreta il mondo –, tutte sono accomunate dalla tensione al superamento del tragico e dal far sì che, attraverso la materia, i confini si sciolgano, si abbattano le barriere tra uomo e natura, tra divino e umano, tra selvaggio e civilizzato.I colori e le forme, i suoni e le imma-gini invadono così gli interni di queste fortezze, evidenziando, mimetizzando, valorizzando o nascondendo dei luoghi reconditi che assomigliano molto alle spaventose prigioni/Babeli sognate e di-segnate da Piranesi. Questi forti sono il canto di una civiltà moderna che or-mai non rappresentava più nulla, perfino il Minotauro se n’era andato, compian-to dagli scrittori e dagli artisti del-la mitteleuropa. Alla passione per il giorno, per l’alba o per il tramonto si è sostituito l’amore per la notte, alla luce è succeduto l’incubo della bian-ca luce lunare. Qui, nei corridoi, nei saloni, negli scantinati, nelle caverne

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del Forte / Werk della cimbra Luserna, del Forte Larino nelle Giudicarie, del Forte Corno di Valdaone, della Tagliata superiore di Civezzano, del Forte Colle delle Benne a Levico o del Forte Garda a Riva del Garda, la notte impera, la fa da padrona, ha scacciato perfino l’ombra talmente il nero è nero e la notte ge-nera soltanto mali e dolori. Chissà se i soldati chiusi qua dentro come tanti animali nel loro guscio protettivo, mar-tellati giorno e notte da bombardamenti incessanti che hanno fatto impazzire an-che i più coraggiosi, si sentivano come William Blake quando, pensando al dia-volo, signore del mondo, poetava: «Rosa tu sei malata:/il verme invisibile/che scivola nella notte/quando urla la tem-pesta/ha scoperto il tuo letto/di porpora e gioia/e il suo amore, scuro e segreto,/distrugge la tua vita» (Canti dell’inno-cenza e dell’esperienza).Lo spirito dell’arte si somma a quelli precedenti, a quelli che preesistevano prima che l’uomo avesse posto qui piede, infoltendo il mondo delle presenze arca-ne. Così i suoni e le opere elettroniche di Fausto Balbo riportano in superficie il pallore delle cose quotidiane e ano-nime come erano questi stanzoni arreda-ti soltanto di acqua gocciolante, muffa e calcare, mentre il newyorchese Bäst, con i suoi collage e icone nate lungo le street e le avenue canta la vivacità di chi non vuole arrendersi al macigno del consumismo. Di Manuela Bedeschi ci affascina il suo mondo fatto di luce al neon, una luce dai mille colori tesa ad ampliare o ridimensionare lo spazio che ci circonda, mentre i segni ricchi di colore di Silvio Cattani dovranno com-battere con la notte che serpeggia nel forte: un segno guizzante che si troverà a doversi imporre nella scenografia tra-gica della morte. Le sculture di Fede-rica Cavallin ripropongono una materia assai nota allo spirito dei forti, il legno: quel legno che circonda e na-sconde le fortezze, che trattiene l’alito del vento e le cui rughe lignee – ogam, la scrittura lignea, così la chiamano i

celti – sanno narrare molto di più che non la parola stessa. L’artista aveva già raccontato l’uomo e la guerra qualche anno fa. Oggi i suoi personaggi ripie-gati su sè stessi non hanno il coraggio di guardare diritto negli occhi lo spet-tatore. Mai messaggio più significati-vo venne trasmesso utilizzando soltanto una linea – quella corporale – che si arriccia su se stessa. Al legno si affida anche Giorgio Conta, che mette in scena figure umane aggraziate da colori che ci ricordano molto i putti e gli angeli popolareschi delle chiese nonese e so-landre. Ruth Gamper ripercorre le orme (e lo spirito) dei “recuperanti” del do-poguerra: raccoglie materiali di scarto, li assembla, li libera dalle loro forme originarie per trasformare il tutto in elementi che narrano il desiderio di vi-vere oltre l’apparente morte consumista; come dire che oltre la fisicità rimango-no pur sempre la spiritualità, l’essenza, l’idea. Le strutture di Annamaria Gelmi, così come quelle di Eduard Habicher, si dilatano nello spazio essenziale, squa-drato e povero, reinventandolo: angoli e flessioni, un geometrismo che sfiora la vitalità insita nel quasi grado zero della comunicazione. Le loro opere of-friranno tutta la loro ricchezza durante la notte, quando il pubblico non sarà più presente e lo spazio verrà rioccu-pato dai suoi fantasmi nascosti nelle strutture di ferro e acciaio che a ton-nellate hanno ricoperto queste case dal destino infausto. Cecilia Gioria, fotografa, affida a que-sta tecnica il compito non solo di cat-turare la sofferenza ma anche quello di filtrarla attraverso diversi tipi di linguaggio affinché la foto diventi al contempo oggetto e cura. Da questo ap-proccio al mondo nascono i suoi libri d’artista in cui vengono raccolti ogget-ti del passato rivisitati.Sulla pelle delle donne e degli uomini di Bruno Lucchi, nati dalla terra e dal fuoco, sono scritte (scavate) le parole del sacrifico e della sofferenza. Morte e vita, fuoco e aria sono strettamen-

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te legati e racchiusi nel grande gruppo della Pietà. Sono invece figure esplo-sive – dai colori utilizzati alle tema-tiche affrontate – quelle che presenta Udo Rein, legate al tema della Krieg und Tod, della guerra e della morte. I co-lori si scontrano, si sovrappongono, si scontornano, offrendoci la metafora del discioglimento di ogni riferimento saldo e certo per far posto alla palude della perdita e del disorientamento. Delicati, quasi eterei, sono invece gli stendar-di di Denis Riva: sembrano essere fuori luogo qui dove la rigidità, la rudezza e l’aridità la fanno da padrone. I paesaggi naturali ed umani dell’artista cantano invece la poesia, la melodia e il piace-re, elementi che non conoscono confini e fine. Esplosioni, implosioni, non vio-lente, non deflagranti, sono i lavori di Flavio Rossi, ossessionato dai simboli e dai significati: il passato che ritorna tra psicologia e storia. La corrosione, il non finito, l’esilità primitiva e pri-mordiale sono invece le caratteristiche scultoree di Hermann Josef Runggaldier: in tal modo riesce a coniugare sacro e profano, estraendo dall’anima della ma-teria l’anima dell’uomo. Un’anima troppe volte dimenticata, persa, offesa. Dov’era Dio in quegli anni? No, non era scap-pato, si era ritirato nei cuori di ogni soldato, nella loro anima. Di certo non lo si trovava tra le stellette di quei generali che hanno mandato alla morte

migliaia di uomini. No, lì Dio non c’era. Peter Senoner e Matthias Sieff sono due scultori lignei, anche se il primo non disdegna le colate d’alluminio luci-do per mettere in scena i suoi perso-naggi. Entrambi raccontano, attraverso l’enfatizzazione o la compressione delle forme, l’eterno dibattito tra raziona-lità e irrazionalità, tra realtà e so-gno. Willy Verginer, tra la creazione di boschi, la proposizione di animali e la frequentazione di personaggi nati dal legno, s’imbatte nell’uso del colore, recuperando, in un certo senso, l’antica tradizione pittorica e scultorea della tradizione gardenese dello scolpire-di-pingendo. Opere emotive che ben si adat-tano all’ambiente circostante che trasu-da, a distanza di cento anni, l’anelito alla vita.Con Jacques Toussaint ritorniamo nell’arte globale e totalizzante in cui l’artista mette in evidenza molteplici tecniche e materiali, dai dipinti agli arazzi, collages, sculture, installazio-ni luminose, ecc. alla ricerca di asim-metrie e simmetrie dinamiche che rispec-chiano un mondo frenetico e vorticoso.E quando il sole tramonta e le porte di ferro si chiudono su questi forti, ecco che il mondo delle ombre lascia spazio ai fantasmi e alle paure e la luna fa capolino: è il tempo del silenzio, è il tempo della morte, è il tempo in cui le coscienze dovrebbero parlare.

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Aspettando il momentoMariella Rossi

Aspetta. Una bambina delle elementari, una gonna pantalone, i capelli raccolti in un fiocco come piace tanto a sua mam-ma e un po’ meno a lei, corre con la sua bicicletta rosa, del tipo Graziella (lo stesso nome della sua maestra, mentre la maestra Patrizia le insegna arte), va verso il monumento: ha lì appuntamento con le sue amiche, come ogni pomeriggio, dopo aver finito i compiti. Non ci met-te molto ad arrivare, è appena in fondo alla via dove abita, che lei chiama la “stradella”. Arriva sempre per prima. E aspetta. Mentre aspetta gioca da sola sui muretti bassi del monumento, dove non si siede mai, ma cammina sfiorando le pareti cur-ve. Poi si ferma in piedi a giocare con i profili delle lettere in rilievo sulle pareti. E legge quel che c’è scritto. Lo legge e rilegge infinite volte, tutti i giorni, ogni volta che si trova con le amiche e anche quando va a giocare da sola, di nuovo e di nuovo. Nomi e date. Tanti cognomi si ripetono uguali e li ha già sentiti in paese, mentre i nomi sono spesso strani alle sue orecchie, nessuno nella sua scuola li porta. Per ognuno di loro inventa storie, professioni, famiglie, esperien-ze. Ogni volta nuove. Immagina per loro vite. La bicicletta rosa è diventata una mac-china bianca, anche questa ha un nome di donna, ma meno affascinante, Fabia. La guida quella stessa bambina che ora è cresciuta e ha appena preso la patente. Le ha insegnato a guidare il nonno, che le chiede di accompagnarlo. Il nonno ama scrivere, soprattutto di storia locale. E dipinge pure, ha insegnato arte. La

strada è stretta, spesso nella roccia, e lei non ha dimestichezza con la guida, ma si fa coraggio e il nonno le spie-ga i segreti per manovrare con queste condizioni della strada. Arrivano alla prima meta, alla quale ne seguiranno al-tre quel giorno e durante i viaggi suc-cessivi. È un paesino di montagna che non aveva mai visto e neanche aveva mai sentito nominare. Scendono dalla mac-china nella piazzetta, poi si avvicinano alla chiesa. Lo cercano, lo trovano. Il monumento. A lei chiede di trascrivere i nomi incisi sul marmo. Questa volta sono cognomi che non conosce. Questa volta non accarezza con le dita le scrit-te in rilievo, non ha molto tempo per immaginare. Un pensiero solo, le sem-brano molti questi nomi, più numerosi di quella manciata di casupole strette che vede davanti a sé. Un altro pensiero, le scritte ripetono il riferimento ai diciott’anni, quanti ne ha lei adesso. Il nonno scatta delle foto. Il monumento da vicino, da lontano, una zoomata sui nomi. E lei aspetta.

Momenti miei, personali. Non avrei mai pensato di scrivere qualcosa di me in un testo critico, nel quale si è concen-trati a descrivere e trasmettere quanto fanno gli altri (gli artisti) ad altri (gli spettatori). Si è abituati a tradur-re le opere, a essere un tramite. Non un protagonista. Invece l’immedesimazione è alla base del progetto ARTE FORTE. E coinvolge tutti, gli artisti, i visita-tori, noi che lavoriamo al progetto. Me l’ha fatto capire l’esperienza della prima edizione e me l’ha ribadito subi-to questa seconda edizione. Ricordo due

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anni fa un’artista che, di fronte alla sua opera video, raccontava un episodio della sua famiglia legato alla guerra e all’arte pianistica che aveva salvato la vita dalla guerra a un suo avo. Poco tempo fa un altro artista, mentre trac-ciava scritte con il neon, non ha potuto fare a meno di ricordare gli episodi di guerra che hanno toccato la sua famiglia dall’interno. La guerra è così vicina a noi, anche se non ci pensiamo quasi mai. Immedesimarsi più ancora che compren-dere, diceva il filosofo tedesco Robert Vischer. Il termine tedesco che usa nel suo trattato dell’Ottocento è Einfühlung, che gli inglesi traducono in maniera letteraria come in-feeling e noi ita-liani come empatia e immedesimazione. Si dice che sia stato il primo a usare questo termine, che fu lui a coniarlo e poi Theodor Lipps lo usò addirittura nel titolo del suo saggio di estetica, ma Aristotele nella “Poetica” non no-mina bensì descrive già il meccanismo dell’immedesimazione, parlando del tea-tro e dicendo che spettatori e attori si sentono Ὅμοιοι omoioi, simili nell’essere esposti alle intemperie della vita, vis-suta o da vivere. Per Aristotele questo portava alla comprensione della vita più autentica, secondo un processo che iden-tificava come katharsis, una sorta di chiarificazione, non un annullamento del sé per sentire l’altro, come diceva Freud nell’evolvere ulteriormente il concetto di immedesimazione preso da Lipps. Più d’accordo con Aristotele andava Edmund Husserl, che parlava dell’immedesimazio-ne come il «superare la visione del suo mondo soggettivo per giungere alla vi-sione del mondo oggettivo».Mi sono chiesta da dove scaturisce que-sta urgenza di immedesimarsi che carat-terizza ARTE FORTE a differenza di altre mostre, a differenza del comprendere e provare emozioni. Nasce dal fatto che la mostra si svolge nei forti e nei forti abitavano persone. Sì, è vero, ARTE FORTE innesca questo meccanismo di penetrare dentro le opere, dentro il forte, dentro le vite di chi ha abitato il forte: fa

penetrare sempre più a fondo in una di-mensione dell’universale. Sono le per-sone che hanno vissuto queste architet-ture di guerra e non gli edifici stessi a essere protagonisti del progetto esposi-tivo insieme alle opere d’arte. Non sono fantasmi che spaventano, ma compagni di strada, omoioi che ci conducono lungo il cammino di conoscenza che è attiva-to dalla mostra. Mi piace pensare che – come quando ero piccola e immaginavo infinite vite per quei nomi che leggevo elencati sulle pareti del monumento ai caduti di Cunevo – per queste persone ogni artista indirettamente accenda una vita nuova, come un pensiero nuovo viene stimolato in ogni visitatore. I forti austro-ungarici del Trentino non erano deserti depositi di armi, ma po-stazioni in cui i soldati trascorsero lunghi periodi. Interminabili momenti. I giorni sembravano mesi, i mesi sembra-vano anni, gli anni sembravano secoli. Oggi gli artisti provano un amore e odio verso i forti dentro i quali sono invi-tati a esporre per ARTE FORTE, perché queste strutture sono affascianti, ma al tempo stesso sono ambienti difficili per esporre, umidi soprattutto, bui, a trat-ti angusti, inospitali. Eppure i giovani soldati erano costretti a viverci a lun-go, giornate uguali una all’altra in cui gli unici pensieri erano la loro vita, i loro momenti fuori da quei cunicoli. È proprio a queste persone, alle loro esistenze che s’ispira quest’anno il ti-tolo dell’edizione 2018 di ARTE FORTE “Aspettando il momento”. È un episodio ben preciso il momento, un periodo di tempo molto breve e definito per la sua importanza nella successione temporale nel caratterizzare l’atto di svolta di una vicenda. Sospese erano, invece, le giornate nella lunga immutabilità delle posizioni al fronte e nella ripetitiva routine quotidiana dei reclusi. Inaspet-tati erano piccoli gesti che nella vita dei soldati assumevano particolare va-lore, poi c’era l’anelito a rivedere le proprie famiglie, a tornare al proprio paese, a rincontrare le persone care e

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dall’altra parte corrispondeva un desi-derio altrettanto grande di ricongiun-gimento da parte di chi li aspettava, che purtroppo spesso era vano. Le vite di quei giovani rimangono ora aggancia-te a monumenti sparsi nei paesi, ancora una volta imprigionate, se non arriva una bambina a immaginare per loro vite bellissime. Non c’è quest’anno nel titolo di ARTE FORTE il termine conflitto, anche se il momento atteso può essere quello della fine della guerra ricordata dal Cente-nario. È, pure, il momento della pace assoluta, che in realtà deve ancora ar-rivare e, forse, mai arriverà. Sono queste alcune delle moltepli-ci suggestioni che quest’anno offriamo agli artisti di ARTE FORTE, avendo de-ciso per questa nuova edizione di pe-netrare ancora più nella vita di chi

ha abitato i nostri forti richiamando l’idea di tempo, dopo aver evocato nella prima edizione la Babele di dialetti e di linguaggi come simbolo delle intera-zioni e delle contraddizioni innescate, in particolare sul nostro territorio, dalla guerra.Quella del tempo è una questione che da sempre ha impegnato artisti, intellet-tuali, filosofi e filosofie, in diversi ambiti, dalla linguistica all’estetica passando per la filosofia esistenziale, dagli antichi greci a Heidegger fino a oggi, mettendo in evidenza diversi punti di vista. L’epoca attuale è quella di un tempo contratto, del “tutto sùbito”, del momento da condividere immediata-mente affinché non svanisca. La mostra all’interno dei forti innesca, invece, un intenso senso di immedesimazione ed empatia.

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FORTE DI CADINE

TAGLIATA SUPERIORE DI CIVEZZANO

FORTE POZZACCHIO

FORTE STRINO

FORTE GARDA

FORTE/WERK LUSÉRN

FORTE BELVEDERE

FORTE CORNO

FORTE LARINO

FORTE COLLE DELLE BENNE

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forte corno forte larino

forte cadine tagliata civezzano

forte pozzacchio

forte strino

forte garda

forte belvedere

forte werk lusérn

forte delle benneTRENTO

RIVA DEL GARDA

MADONNA DI CAMPIGLIO

VERMIGLIO CAVALESE

MOENA

CANAZEI

CLES

SAN MARTINO DI CASTROZZA

FIERA DI PRIMIERO

STORO

LEVICO TERME

LUSERNA

LAVARONE

A22

BORGO VALSUGANA

ROVERETO

TRAMBILENO

SELLA GIUDICARIE

VALDAONE

A22

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Il forte, progettato da Gustav Hermann, maggiore del genio militare di Trento, fa parte del primo gruppo di fortifica-zioni permanenti austriache a difesa e chiusura delle principali vie di colle-gamento all’odierno capoluogo.Concepito assieme alla Blockhaus Doss Sponde doveva formare il classico sbarramento vallivo a cavallo della strada che scende da Cadine a Trento: era infatti il punto terminale della linea difensiva che partiva dal Bondone e attraversava Candriai e Sopramonte ove in seguito furono posizionate le Blockhäuser Camponzin e Mandolin.

Si tratta di una costruzione in conci di pietra calcarea di colore rosa ben lavorata, a forma di ponte, appoggia-ta alla roccia della forra del torrente Vela e dotata di casematte per artiglie-ria, gallerie per le fuciliere e posta-zioni in barbetta. Il corpo principa-le di guardia è formato da tre locali per l’artiglieria pesante e due locali per le fuciliere. Un cortile esterno dà accesso alla cucina e all’alloggio del capitano, mentre una poterna collega il forte alla casamatta Doss di Sponde.Per il forte era previsto un armamento di 3 cannoni da 9 cm M 75/96 in cannonie-

forte di cadine

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ra minima, tutti orienta-ti verso Cadine; due can-noni da 8 cm in barbetta. La guarnigione prevista in tempo di guerra era di 1 ufficiale e 55 uomini.Nel 1915 venne disarma-to e le artiglierie fu-rono posizionate nelle vicinanze. Dal 1918 al 1949 servì da polverie-ra dell’Esercito Italia-no. Occupato dai tedeschi nella II Guerra Mondia-le, nell’aprile 1945 fu oggetto di un tentativo (fallito) di attacco da parte di un gruppo della Resistenza.

Progetto di recupero e riallestimentoNegli anni scorsi il forte è stato interes-sato da lavori di re-stauro e valorizzazione. La Soprintendenza per i beni architettonici e archeologici ha messo a punto l’allestimento interno: strumenti in-terattivi, installazio-ni sensoriali, pannel-li esplicativi e tavoli multimediali guidano il visitatore tra le mura della fortezza e offro-no un quadro d’insieme del sistema fortifica-to predisposto dall’Au-stria-Ungheria.

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PAOLO MARIA DEANESI GALLERY

Nata a Rovereto nel 2005, dal 2012 ha trasferito la propria sede a Trento, città natale del suo fonda-tore Paolo Maria Deanesi. Fin dai primi passi la Galleria ha con-centrato la sua attività sui nuo-vi linguaggi dell’arte contempo-ranea, proponendo e promuovendo artisti nazionali e internazionali emergenti che lavorano con i mez-zi espressivi più disparati: pit-tura, disegno, fotografia, video, installazione e scultura. Nel corso della sua attività non ha inoltre trascurato l’opportunità di dare un attento sguardo e relativo soste-gno ad artisti del territorio tren-tino, selezionando alcune giovani eccellenze – Jacopo Mazzonelli e Michele Parisi – con i quali ha instaurato un proficuo rapporto di collaborazione. All’attività espo-sitiva in galleria ha affiancato la promozione degli artisti mediante

la partecipazione a importanti fie-ri nazionali – ArteFiera Bologna, ArtVerona, Artissima Torino – e in-ternazionali – Volta Basilea, Arco Madrid – e instaurando rapporti di collaborazione con enti museali pubblici e privati. Tra i recenti progetti espositivi cui la galle-ria è risultata essere promotrice e sostenitrice si segnalano: nel 2011 la mostra personale “Living Rooms, a Survey” di Diango Hernandez al Mart di Rovereto e le mostre per-sonali di Federico Pietrella e Ro-bert Gschwantner al MAG di Arco di Trento, nel 2014 la mostra persona-le “(extra)ordinaire” di Antonio De Pascale al Musee d’art Contemporain Saint-Martin de Montelimar (Fran-cia) e nel 2015 il progetto espo-sitivo “Albanian Trilogy: A Series of Devious Stratagems” di Armando Lulaj al Padiglione Albania della 56esima Biennale di Venezia.

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GIORGIO CONTA

Attingono alla tradizione classica le ispirazioni che Giorgio Conta ha preso per realizzare la sua nuova opera Nosce te ipsum, conosci te stesso. La frase è la traduzione latina dal greco dell’i-scrizione ΓΝΩΘΙ ΣΕΑΥΤΟΝ (gnōthi seau-tón), che appariva sull’architrave del tempio di Apollo a Delfi. L’imperativo che invitava l’uomo ad avere consapevo-lezza dei propri limiti e della propria finitezza rispetto alle divinità veniva dato nel luogo che ospitava il famoso oracolo di Delfi, consultato per otte-nere responsi su quanto sarebbe dovuto avvenire. Il riferimento di Conta sugge-rito, dalle sue scelte nella costruzione della figura, risulta rifarsi anche a un mosaico romano datato tra il primo e il terzo secolo a.C. e presente nella Chie-sa di San Gregorio a Roma, che partendo dall’espressione greca, ha costruito un memento mori utilizzando la raffigura-zione di uno scheletro in una posizione orizzontale. Conta non mutua dal mosaico questa rappresentazione della mortalità, ma la torsione del bacino che appli-ca invece ai muscoli di un corpo umano idealizzato. Il fisico che Conta inta-glia rimanda all’idea di bellezza pro-pria della scultura greca classica, ma la posizione rimane quella dello sche-letro, orizzontale, quindi tutt’altro che tradizionale, per di più rivolta verso il basso, verso uno specchio. L’atto di

specchiarsi ricorda la propria umana im-perfezione, che la bellezza svanirà, che la vita è breve. Conta sceglie di non finire a tutto tondo la scultura, tan-to che il legno si espande dai profili e la porzione lignea che fuoriesce da una spalla può richiamare ali divine, di certo comunque solo abbozzate perché, come dice il titolo dell’opera, l’uomo non è tale. «L’uomo è per metà prigionie-ro e per metà alato», scriveva Paul Klee nei suoi Notebooks e del famoso artista tedesco era anche l’eroe con un’ala sola, Der Held mit dem Flugel (1905), impotente e illuso come i soldati dentro i forti, in attesa che prenda forma la seconda ala e si possa spiccare il volo. Non sbozzate a 360 gradi sono anche le al-tre sculture in mostra che hanno come filo conduttore comune la figura umana. Queste sono tre: un uomo, una donna, un bambino. Una famiglia perfetta all’appa-renza, ma frastagliata guardando dietro la facciata. Le spalle non sono neanche sbozzate, si allungano i legni di di-verso colore, di diverso profilo e lun-ghezza. L’impressione è che anche a loro possano spuntare le ali da un momento all’altro per scappare da ogni guerra che li possa dividere.

Giorgio Conta è nato a Cles (1978) e ha stu-diato alla scuola di scultura di Ortisei. Vive e lavora in Val di Sole (Trentino).

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Giorgio Conta, Heros, 2018 legno, 90x67x37 cm,

Courtesy Paolo Maria Deanesi Gallery

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Giorgio Conta, Heroin, 2018 legno, 82x37x28 cm,

Courtesy Paolo Maria Deanesi Gallery

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Giorgio Conta, Creatura, 2018 legno, 60x40x35 cm,

Courtesy Paolo Maria Deanesi Gallery

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Giorgio Conta, Nosce te ipsum, 2017, legno, cemento, acciaio, 150x180x60 cm,

Courtesy Paolo Maria Deanesi Gallery

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Fra il 1869 e il 1872 fu costruito un com-plesso fortificato, nei pressi del paese di Civezzano, articolato in tre opere, poste a controllo delle due strade che dalla Valsugana portavano a Trento.

La Obere Strassensperre (tagliata stra-dale superiore) è un’opera di modeste dimensioni, a pianta irregolare e svi-

luppata su un solo piano, posta sulla strada che collega Civezzano a Cognola.Oltre al compito di tagliata stradale, doveva integrare il campo d’azione del forte principale dello sbarramento di Civezzano, proteggendo l’imbocco della gola del torrente Fersina.Costruita in pietra calcarea squadrata, era dotata di postazioni per fuciliere e

Tagliata superiore di Civezzano

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mitragliere a battere la strada e di 13 feritoie per fuciliere sul fronte di gola.L’armamento previsto era di 2 cannoni da 12 cm orientati verso est; la guarnigione doveva esse-re composta da 1 uffi-ciale e 45 uomini.

Delle opere che costi-tuivano il vecchio sbar-ramento, la tagliata superiore rappresenta l’unico esempio integro di una tipologia di for-tificazione di “transi-zione” tra le opere casa-matte a fronte scoperto dei primi anni sessanta dell’800 e le più tarde fortezze corazzate dello stile “Vogl”.

Disarmata allo scoppio del conflitto con l’I-talia, fu risparmiata dalla demolizione forse perché ritenuta ancora funzionale all’alloggio delle truppe di fante-ria. Passata all’era-rio militare italiano nel 1918, fu adattata a polveriera fino al 1956 quando venne ceduta al comune di Civezzano.

L’opera fa parte del “Circuito dei forti”.

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STUDIO D’ARTE RAFFAELLI

Lo Studio d’Arte Raffaelli ha aperto la sua attività espositiva nel 1984 con una personale dell’artista tren-tino Tullio Garbari, dando così un preciso segnale su quella che sa-rebbe stata la linea della galleria negli anni a seguire: la pittura in tutti i suoi aspetti più contempo-ranei. Senza mai lasciare la ri-cerca sull’arte trentina, a cui dal 2007 ha anche dedicato la collana editoriale ed espositiva “Sentieri Trentini”, la ricerca della galleria si è ampliata verso la pittura di artisti italiani e internazionali, e negli ultimi anni ha promosso anche la scultura, la fotografia e i video contemporanei.

Con la mostra di Chéri Samba del 1991 Giordano Raffaelli si è avvi-cinato per primo in Italia all’arte contemporanea africana, sempre la-vorando direttamente con gli artisti e i musei per la loro promozione.La costante attività espositiva nel-la sede trentina di Palazzo Wolken-

stein viene affiancata dalla promo-zione degli artisti sul territorio nazionale e internazionale durante fiere e manifestazioni culturali. La galleria è, infatti, sempre presente ad Arte Fiera Bologna e Art Verona e ha preso parte alle più importanti fiere dell’arte nel mondo (Francofor-te, Colonia, Basilea, Miami, Zuri-go, Bruxelles, Madrid, Milano, Cape Town). Grazie alla partecipazione a questi eventi la Galleria riesce a promuovere al di fuori dei confini regionali e nazionali la produzione degli artisti con cui collabora.

I rapporti culturali instaurati dal-la galleria sono a tutto campo; ha contribuito infatti alla realizza-zione di importanti manifestazioni artistiche sul territorio italiano e straniero.Lo Studio d’Arte Raffaelli è inoltre sempre stato presente in modo attivo sul territorio regionale, collabo-rando con istituzioni pubbliche e musei, soprattutto in occasione di eventi di livello internazionale.

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BÄSTWILLY VERGINER

Sono dei “tipi mutati”, in inglese muta-ted characters, così Bäst chiama i per-sonaggi dei suoi ritratti. Sono collage su carta che compone rubando ritagli e colori accesi dalla cultura di massa e poi, spesso, ributta dentro la cultu-ra di massa, avendo l’abitudine di at-taccarli sulle pareti di New York. Uno pseudonimo e pseudo-ritratti per que-sto artista che su Instagram conta 32.3k follower. Sui social siamo abituati a riconoscere il suo pseudo-io – per con-tinuare il gioco di parole – ossia il suo alter ego: un fantoccio che in brevi video ironici simula la vita dell’ar-tista, quando crea, quando si diverte, ma di quello vero, come spesso avviene per gli street artist, non si sa nulla, se non che è basato a Brooklyn. Forse i ritratti di Bäst sono possibili autori-tratti, forse sono delle maschere per nascondersi. La più affascinante ipotesi sul termine maschera fa risalire l’e-timologia a una radice preindoeuropea e atavico è l’uso del mascheramento a scopo magico-rituale, e nascondimento. Sia in spettacoli teatrali (nel teatro greco antico e orientale, ad esempio), sia per divertimento (pensando alle ma-schere del carnevale veneziano, ma an-che del Trentino, soprattutto ladino), sia anche con fini bellici per incutere timore al nemico. Spesso le maschere di Bäst ricordano quelle dei clown per il ricorrere di un punto rosso al posto del naso e il pagliaccio è quella maschera a metà strada tra l’allegro e il triste. In questo senso bene ci sta l’idea di mutazione a cui l’artista fa riferimen-

to, ma, più che un cambiamento avvenuto, sembra si parli di un qualcosa in atto, o in attesa di avvenire. Il clown racconta un’amarezza, una difficoltà di adattarsi a una situazione diversa. Cambiata è la stessa New York e sta cambiando la so-cietà, sempre più diffidente e adagiata. Sui cambiamenti, sui momenti che ci dobbiamo aspettare riflette anche Willy Verginer con tutt’altra modalità espres-siva, in sculture in legno dal piglio realista. Li potremmo definire monumenti alla deriva che sta prendendo la no-stra società occidentale. Ritrae scene in cui spesso emerge la dicotomia tra mondo della natura e uomo “materiale” rappresentato da bidoni di petrolio. An-che Verginer in un certo senso si rifà al meccanismo della maschera in quanto co-pre le sue figure con campiture di colore scuro che possono ricordare le tecniche di camuffamento tribale. E anche Vergi-ner mette in scena una sorta di circo con un’umanità immatura, rappresentata da bambini, che cercano di domare e pre-valere sulla natura, anche prendendola a morsi. Ma un piccolo uccellino si ap-poggia sulla schiena di uno dei ragaz-zini, lo sovrasta. La natura rimane, ci sopravvive sempre, anche quando i popoli lungamente e ripetutamente si scontrano e si uccidono. È lei che sta aspettando il momento in cui noi non esisteremo più.

Bäst è un artista newyorchese. Willy Verginer è nato a Bressanone nel 1957, vive e lavora a Ortisei in Alto Adi-ge Südtirol.

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Willy Verginer, Predators, 2016, legno di tiglio, colori acrilici, 118x175x98 cm

Courtesy Studio d’Arte Raffaelli

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Willy Verginer, Where has the Stockbroker gone, 2015, legno di tiglio, colori acrilici, foglia di alluminio, ferro, 270x93x64 cm

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Bäst, Untitled, 2018, tecnica mista su tela, 154x116 cm,

Courtesy Studio d’Arte Raffaelli

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Bäst, Untitled, 2018 tecnica mista su carta e tela, 38,5x28,5 cm (cad.),

Courtesy Studio d’Arte Raffaelli

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Willy Verginer, Adesso è più normale, adesso è meglio, adesso è più giusto, 2016, bronzo, oro galvanizzato, colori acrilici, 180x150x40 cm,

Courtesy Studio d’Arte Raffaelli

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Willy Verginer, Aspettando il momento, 2018, diversi tipi di legno, colori acrilici, 139x80x120 cm,

Courtesy Studio d’Arte Raffaelli

Bäst, Sei cappelli, 2018, tecnica mista su tela, 141x212 cm,

Courtesy Studio d’Arte Raffaelli

Willy Verginer, Ricordi di una stanza, 2009, legno di tiglio, colori acrilici, 139 x 35 x 30 cm

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Nel 1906 il generale Conrad von Hötz-endorf, capo dello Stato Maggiore au-striaco, diede inizio alla costruzione di moderni forti corazzati a ridosso dei confini, articolati in tre sbarramenti: Adige-Vallarsa, Altipiani e Valsugana. Lo sbarramento Adige-Vallarsa prevedeva tre gruppi fortificati: Brentonico (mon-te Vignola), Valle dell’Adige (sbarramen-to di Serravalle) e Vallarsa (Matassone e Valmorbia).L’unico a venir realizzato fu forte Poz-zacchio, caposaldo centrale della linea Monte Spil-Leno-Zugna Torta con il princi-pale scopo di sbarrare una possibile pe-netrazione italiana verso Rovereto attra-verso il Pian delle Fugazze e la Vallarsa. Forte Pozzacchio, o Werk Valmorbia come viene chiamato nei documenti austriaci, sorge a quota 882 metri sul fianco destro della Vallarsa, sopra l’abitato di Valmor-bia e nei pressi di Pozzacchio.Nel 1912 venne realizzata la strada di accesso; nel 1913 furono costruite le

caserme, l’acquedotto e una teleferica per il trasporto di materiali e ini-ziarono i lavori di costruzione del forte. Il cantiere proseguì anche dopo lo scoppio della Prima guerra mondia-le nell’agosto 1914 con l’obiettivo di ultimare l’opera entro il luglio 1915. La carenza di manodopera e l’entrata in guerra dell’Italia impedirono la con-clusione dei lavori. Nel maggio 1915 non erano ancora stati installati gli obici in cupola corazzata girevole e gli au-stro-ungarici dovettero quindi ripiega-re verso Rovereto; il 3 giugno 1915 il forte venne occupato dai soldati ita-liani.Con l’offensiva del maggio 1916 ritornò in mano austriaca e vi rimase fino alla conclusione del conflitto.Già fortemente danneggiato dai bombar-damenti, nel dopoguerra il forte venne completamente spogliato delle parti me-talliche e conobbe un progressivo de-clino.

Forte Pozzacchio

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Il forte rappresenta lo stadio più evo-luto raggiunto dall’ingegneria militare austro-ungarica. Il tenente Stephan Pilz progettò un’o-pera quasi interamente in caverna; era-no in calcestruzzo solo la batteria per obici in cupola corazzata e la caponie-ra. Per difendere l’ingresso era previsto un profondo fossato, dal quale si acce-deva all’interno del forte.Al livello del fossato una galleria a ferro di cavallo collegava i diversi am-bienti scavati nella roccia: gli alloggi della truppa, i locali di servizio, le postazioni per mitragliatrici e riflet-tori. Il progetto prevedeva tre piani. Un pozzo verticale dava inoltre accesso all’area sommitale dove erano installati l’osservatorio e le artiglierie posizio-nate in cupole corazzate.Il suo armamento consisteva in 2 obici da 10 cm in cupola corazzata girevo-le, 2 cannoni da 7,5 cm, numerose mi-tragliatrici e riflettori posizionati in caverna e protetti da scudi metallici; avrebbe dovuto ospitare un centinaio di uomini.

Progetto di recuperoGià fortemente danneggiato dai bombar-damenti austriaci del maggio 1916, nel dopoguerra il forte fu spogliato delle parti metalliche.Nel corso dei decenni continuò ad essere spogliato dall’azione dei recuperanti e i suoi dintorni utilizzati come pascolo.Radiato dal Demanio militare nel 1927, passò al Provveditorato generale dello Stato; nel 1932 il materiale ferroso fu venduto all’Opera Nazionale per il Mez-zogiorno d’Italia. In seguito il forte fu ceduto a privati.

Nel 2005 il Comune di Trambileno ha ac-quistato il manufatto. Il suo recupero è cominciato nel 1998 con un finanzia-mento GAL-Leader II, su progetto degli architetti Francesco Collotti e Giacomo Pirazzoli. Il successivo restauro, sol-lecitato dall’Amministrazione comunale e dall’Associazione “Il Forte”, è stato

deciso e finanziato dalla Soprintendenza Beni architettonici della Provincia au-tonoma di Trento, con la collaborazione del Museo storico Italiano della Guerra. I lavori sono iniziati nel novembre 2010 e si sono conclusi nell’estate 2015, su progetto degli architetti Francesco Col-lotti e Giacomo Pirazzoli e la Direzione lavori dell’architetto Sandro Aita.Il restauro ha comportato la rimozione di detriti e la messa in sicurezza degli ambienti. Le baracche in legno previste nelle caverne sono ora evocate attraver-so la pavimentazione metallica e la de-limitazione perimetrale di alcuni vani. Una scala metallica raggiunge la parte sommitale del forte dove una passerella riproduce il corridoio che avrebbe dovu-to collegare le cupole corazzate.Per sottolineare l’idea dell’incompiu-tezza del forte, tutte le strutture in-serite sono state colorate con una ver-nice protettiva al minio, dall’intensa colorazione arancione.

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GIUDECCA 795 ART GALLERY

Come indica il nome (che è anche il suo indirizzo) Giudecca 795 Art Gallery si trova sull’isola della Giudecca a Venezia, nel cinquecen-tesco Palazzo Foscari, in una lo-cation speciale e una posizione privilegiata. Fondata nel 2007 da Rosalba Giorcelli e Gianluca Belli, presenta pittura, scultura, design, video, fotografia: una vetrina in-ternazionale che dà spazio non solo ad artisti già affermati ma anche e soprattutto a talenti da valorizza-re, con un occhio di riguardo verso il giovane collezionismo.

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CECILIA GIORIA

Sono ossimoriche le opere fotografiche di Cecilia Gioria. Mostrano e, al tem-po stesso, tolgono dalla vista. Svelano perché sono un autoritratto nel quale l’artista stessa s’immortala, ma, dopo aver riprodotto il proprio busto sulla carta fotografica, ha strappato il volto per ricucirlo con punti e spilli, senza restituire mai l’originale. Ne risulta un autoritratto che non fa più vedere il volto dell’autore, ma lo stravolge, lo rovina, lo scombina. Queste opere rac-contano così un processo, piuttosto che fissare un momento. Non si tratta tanto di una ribellione contro la raffigura-zione del reale, ma di una volontà di mettere in discussione il proprio io. Cecilia Gioria è molto giovane (clas-se 1991), è nella primavera della sua vita e in questa stagione dell’anno le sementi iniziano a germinare sotto la superficie del terreno. È per guardare sotto la superficie che strappa la carta della foto. Vuole capire cosa c’è dentro di sé. Già più volte nelle interviste ha dichiarato questa intenzione, ma c’è un indizio in particolare che ci confer-ma questo. Si dice che gli occhi siano lo specchio dell’anima e lei ogni volta in maniera diversa lacera il volto, to-gliendo sempre un occhio. Apre così una porta per penetrare nella propria anima e, quando richiude questa porta, ripo-siziona l’occhio in una posizione altra.

Una volta innescato l’atto di guardarsi dentro, nulla è più come prima, nean-che gli equilibri. Questa metamorfosi richiama anche i cambiamenti che av-vengono quando si sta passando all’età adulta. Nella primavera della vita erano i soldati destinati ad abitare il forte e ad entrare in guerra. Giovani che non hanno potuto aspettare il momento del passaggio, gettati a forza in qualcosa più grande di loro. Negli autoritratti Cecilia Gioria chiude le braccia attorno a se stessa, forse in segno di protezio-ne, forse invece per confermare il corpo come una prigione simbolica. Dal proprio corpo riesce a scappare Cindy Sherman, l’artista a cui Gioria dice dice di aver guardato. Sherman è famosa per i suoi autoritratti, nei quali non è mai se stessa, ma si trucca e si traveste per essere qualcun altro. Il processo di riflessione su se stessa testimoniato da Gioria in questi lavori si esprime anche attraverso l’uso della parola, presen-te, in maniera diversa, nelle otto opere della serie. Non parole che lo spettato-re possa cogliere, ma appunti di un’in-trospezione, di un passaggio, aspettando il momento per diventare qualcun altro.

Cecilia Gioria è nata ad Alessandria nel 1991, ha studiato fotografia all’Istituto Europeo di Design di Milano. Vive e la-vora a Casale Monferrato.

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Cecilia Gioria, Who is the Sinner?, 2017, stampa fotografica su dibond, 90x60 cm cad., ed 1/5,

Courtesy Giudecca 795 Art Gallery

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Cecilia Gioria, Who is the Sinner?, 2017, stampa fotografica su dibond, 90x60 cm cad., ed 1/5, Courtesy Giudecca 795 Art Gallery

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Cecilia Gioria, From Sin to Shame, 2018,

stampa fotografica su dibond,

90x60 cm cad., ed 1/5,

Courtesy Giudecca 795 Art Gallery

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Il valico del Tonale fu uno dei primi per i quali lo Stato Maggiore austriaco predispose un piano di difesa: il primo progetto di sbarramento è del 1848, ma i primi interventi risalgono al 1860, quando iniziarono i lavori di costru-zione della tagliata stradale di Strino.

Forte Strino venne costruito fra il 1860 e il 1861 a 1538 m di quota; posto nei pressi di Vermiglio, prende il nome dal rio che lo lambisce.Si tratta di una casamatta a due piani rivestita con pietre squadrate, semicir-colare, con planimetria ad L, munita di una torre di guardia e di un fossato. Al piano terra trovano spazio le cannonie-re, mentre le fuciliere si trovano al primo piano; la copertura era in legno.Il passare del tempo e il progresso del-le artiglierie, resero sempre più evi-

dente l’inadeguatezza della struttu-ra, che mancava di difese appropriate nell’eventualità di un aggiramento fron-tale (tramite la vecchia strada e i vec-chi sentieri) e laterale (dalla Forcella di Montozzo).Consapevole della vulnerabilità del for-te, alla fine del secolo lo stato maggiore austriaco ne decise l’adeguamento: venne-ro rifatte le postazioni d’artiglieria e il tetto fu sostituito da uno in pietra e cemento, con un parapetto e feritoie.Era dotato di generatore di corrente, telefono, segnalatori ottici e acqua po-tabile che proveniva dal rio Strino. Era armato con 4 cannoni da 12 cm e 4 can-noni da 10 cm.

Nel 1898 venne rafforzato con l’aggiunta di un sottostante fortino per il combat-timento ravvicinato, detto Nahkampfan-

Forte Strino

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lage Strino, o forte Velon, dalla loca-lità dove sorgeva. Realizzato in pietra sbozzata con l’inserimento di scudi co-razzati verticali, forte Velon aveva una copertura in calcestruzzo blindato ed era equipaggiato con armamento leggero.Nel 1906 le due opere furono collegate con scalinata protetta da una volta in calcestruzzo. Tra il 1906 ed il 1907 for-te Strino fu rafforzato con l’aggiunta di un posto di guardia situato a livello stradale.L’intero complesso venne disarmato nel 1915 e trasformato in centrale telefonica di settore, a collegamento dei forti più moderni dello sbarramento del Tonale.

Progetto di recuperoNegli anni ‘30 il forte Strino fu in-teressato dall’azione dei recuperanti, che estrassero i metalli dalle strutture

fortificate determinando gravi lesioni e crolli.L’edificio fu lasciato per anni allo stato d’abbandono fino a quando l’ammi-nistrazione comunale di Vermiglio, con l’ausilio della Provincia autonoma di Trento, decise di promuovere un proget-to di recupero del forte. Nel 1997, a conclusione dei lavori, si costituì il Comitato Forte Strino di Vermiglio; dal 2008 le visite e le attività nel forte sono gestite da un’associazione.

Attualmente ospita una collezione di ma-teriali della Prima guerra mondiale; un plastico, in scala territoriale, offre un quadro delle linee di combattimento, la dislocazione delle fortificazioni e delle truppe dei due schieramenti con-trapposti. All’interno è presente anche una sala proiezioni.

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BOESSO ART GALLERY

La Boesso Art Gallery è stata inau-gurata ad ottobre 2010 a Bolzano, in via S. Quirino, con una personale di Victor Vasarely intitolata “Incipit” e dedicata al primo periodo arti-stico del Maestro dell’Op art. Da maggio 2012 la galleria si è trasfe-rita nella nuova sede in via Maestri del Lavoro a Bolzano.

L’intento della galleria è quello di presentare artisti storicizzati dell’arte moderna nell’ambito dell’a-strattismo geometrico, nonchè di

seguire con attenzione nuove realtà nello stesso ambito. Questa resta la linea tematica della galleria, ma contemporaneamente promuove anche nuove forme d’espressione artistica originali.

La galleria concentra la sua attivi-tà soprattutto all’estero con presenza alle fiere d’arte e grazie ai contatti con gallerie straniere, e cerca di far conoscere oltre i confini nazionali il lavoro degli artisti italiani contem-poranei con i quali lavora.

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RUTH GAMPER

Le divinità della guerra sono spesso ambigue. La stessa Atena della mitologia greca è la dea della saggezza e, al tem-po stesso, della guerra. Guardando poi alle tradizioni mesoamericane e azteche Xipe-Totec è dio sia dell’agricoltura che della guerra, intesa come rinascita dopo la morte. Osservando l’iconografia azteca (ma anche altre rappresentazioni antiche) gli studiosi hanno più volte identificato figure futuribili di co-smonauti e navicelle spaziali tanto da sviluppare teorie di “antichi astronau-ti”. Sganciate dallo spazio e dal tempo e ambigue appaiono anche le sfere che Ruth Gamper ha portato dentro il Forte Strino realizzando un’opera site-spe-cific pensata appositamente per questo luogo. Queste forme sferiche e sferoi-dali rimandano a un senso archetipo e primordiale, ma la loro superficie argentea sposta la lancetta del tempo verso l’oggi e il domani. Enigmatica è anche la loro natura, sospesa tra un alone di minaccia e uno salvifico. Sono palle di cannone? Bombe a orologeria pronte a esplodere? Dobbiamo aspettare il momento? Eppure a un certo punto la loro superficie di crateri concavi e convessi non ci appare più aliena, ma familiare e riconosciamo i contenitori vuoti di pillole, i blister che rico-prono le superfici dell’opera, medicine

usate per salvarci, per farci vivere più a lungo, spesso invocate come soluzione di tutti i mali e non solo delle ma-lattie. I blister, utilizzati anche per la rea-lizzazione di altre opere in mostra per ottenere un raffinato effetto di astra-zione grafica, non sono l’unico mate-riale di riciclo utilizzato da Gamper, che di questa pratica ha fatto una cifra stilistica della sua ricerca. Appoggiate alla parete in pietra del for-te, che formano un’installazione, sono le sculture di Gamper dal titolo “Caval-li di Frisia”, canne scure rivolte verso l’alto quasi fossero fucili pronti per essere imbracciati. Le catene di cerchi piatti che le ricoprono appaiono come caricatori di proiettili. Anche quest’o-pera è realizzata tramite l’utilizzo di materiale di riciclo, che costituisce il mezzo d’elezione del fare arte di Ruth Gamper con la volontà di innescare una riflessione sull’attuale società consu-mistica. Xipe-Totec era rappresentato senza pelle, che ricresceva come simbolo di rinascita, mentre gli scarti per Gam-per sono un’epidermide vuota da riempire di nuovo significato.

Ruth Gamper è nata a Spera (TN), cresciuta tra l’Austria e l’Italia, vive e lavora a Bolzano.

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Ruth Gamper, Cavalli di Frisia, 2018, tecnica mista, installazione site-specific, Courtesy Boesso Art Gallery

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Ruth Gamper, Illy, 2005, tecnica mista, 100 x 120 cm, Courtesy Boesso Art Gallery

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Ruth Gamper, Totem, 2005, tecnica mista e filtri Illy, installazione site-specific,

Courtesy Boesso Art Gallery

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Ruth Gamper, Armonie disarmoniche, 2018, tecnica mista, installazione site-specific,

Courtesy Boesso Art Gallery

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Ruth Gamper, Menhir, 2018, tecnica mista, 190x40x40 cm,

Courtesy Boesso Art Gallery

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Ruth Gamper, Untitled, tecnica mista,

Courtesy Boesso Art Gallery

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BUONANNO ARTE CONTEMPORANEA

Lo Studio Buonanno Arte Contempora-nea da oltre quindici anni si occupa di promuovere l’arte contemporanea, attraverso un’attività multiforme volta a valorizzare il lavoro degli artisti a livello locale, nazionale ed internazionale.Ha organizzato, tra le altre, le mo-stre di: Matteo Basilé, Marco Ca-sentini, Leonida De Filippi, Rober-to Floreani, Michelangelo Galliani, Daniela Giovannetti, Eduard Habi-cher, Gian Marco Montesano, Davide Nido, Rafael Pareja, Franco Rasma, Albino Rossi, Andrea Salvetti e Cor-rado Zeni, curando sia mostre per-sonali che collettive, negli spazi dello studio o presso Istituzioni culturali esterne.Oltre a occuparsi dell’organizza-zione di mostre ed eventi legati al lavoro degli artisti, lo Studio Buonanno Arte Contemporanea forni-sce servizi di art advisory tra cui l’assistenza nella scelta di opere d’arte, presentando e approfonden-

do il percorso tecnico-espressivo degli artisti, fornendo consulenza per progetti di ambientazione con soluzioni ad hoc e realizzazioni di opere site specific per lo spazio casa e uffici.La titolare dello Studio, Patrizia Buonanno, socia fondatrice e attua-le Presidente dell’Aspart, associa-zione trentina che si occupa della promozione dell’arte contemporanea sul territorio, ha instaurato negli anni rapporti culturali con il Mart di Rovereto per la rassegna Auguri ad Arte, con il Festival dell’Eco-nomia di Trento, con il Consiglio della Provincia autonoma di Trento.Lo Studio Buonanno Arte Contempo-ranea ha curato l’organizzazione di mostre per: Melinda a Mondomelinda, Mountain Project a Castel Thun, Par-co Paneveggio Pale di San Martino di Tonadico, Centro visite del Par-co Fanes-Senes-Braies di San Vigi-lio di Marebbe, Comune di Mezzolom-bardo, Azienda Vinicola Foradori di Mezzolombardo, Casa degli Artisti di Tenno, Forte Strino di Vermiglio, Nuovo Centro Direzionale Interporto di Trento, Casa de Gentili a San-zeno.Ha partecipato a diverse edizioni di fiere d’arte nazionali quali Art Verona, Kunst Art e Arredo Bolza-no. Ha preso parte ad Arte Diffusa, evento parallelo della biennale eu-ropea Manifesta7, e ad ARTE FORTE 2016 e 2018.

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EDUARD HABICHER

Il pendolo oscilla tra opposti in cerca di equilibrio. Il filosofo Arthur Scho-penhauer paragonava la vita umana a un pendolo, e sospesa indubbiamente era la vita di soldati che da un momento all’al-tro avrebbe potuto pendere verso l’estre-mo del dolore e della morte. I “Pendolini” di Eduard Habicher esposti al Forte Strino sono opere recenti rea-lizzate con una struttura in acciaio e, all’estremità, una massa soggetta all’at-trazione gravitazionale costituita da un blocco di vetro trasparente di Murano. Il vetro è irregolare, l’esatto opposto della consueta estremità di un pendolo, che dovrebbe assicurare un’oscillazio-ne regolare, come negli orologi a cucù delle Alpi e negli antichi pendoli da muratore in ottone, aiutando a mettere in asse. Famoso è uno specifico tipo di pendolo, il pendolo di Foucault, che il fisico francese ideò per sperimentare la rotazione della Terra, che Umberto Eco prese come titolo del suo secondo roman-zo e del quale un esemplare è nel masto-dontico Palazzo della Ragione a Padova. Il pendolo è anche un simbolo esoterico e proprio in questo ambito s’inseriscono i più fragili, ma affascinanti pendoli in cristallo, ai quali va il riferimento diretto di queste opere di Habicher. Ad accentuare questa atmosfera sono le ope-re bidimensionali di questo artista che ha sviluppato la sua ricerca prevalente-

mente in direzione della scultura. Sono collage in cui ha utilizzato il nero fumo e l’acciaio inox su carta. L’opera monumentale in mostra è invece “Vortice” (2016) che è accomunata da un’idea di sospensione e di equilibrio instabile. Sono linee rosse che si sfiorano come fili di seta, alleggerendo ai nostri oc-chi il metallo pesante delle putrelle che disegnano questi tratti. Oscillazione e lievitazione sono i trat-ti essenziali delle opere di Eduard Ha-bicher, che è solito realizzare installa-zioni pensate appositamente per un luogo secondo un approccio site-specific, ope-re di grandi dimensioni e spesso monu-mentali, segni tracciati nell’aria che si caricano di un forte senso dinamico. Ama parlare di «una scultura che penetra lo spazio e che a sua volta è attraversa-ta dallo spazio». Le sue opere hanno già dialogato con pietre del passato, inne-scando un interessantissimo contrasto, come nelle installazioni permanenti (dal 2006) per il Messner Mountain Museum a Castel Firmiano, Bolzano. A maggio del 2018 una sua scultura di notevoli dimen-sioni è stata selezionata per il Palazzo Ducale di Mantova.

Eduard Habicher è nato a Malles in Val Venosta nel 1956, si è diplomato all’Ac-cademia di Belle Arti a Firenze, vive e lavora a Rifiano, Merano.

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Eduard Habicher, Vortice, 2016, acciaio e putrella, 372x90x340 cm,

Courtesy Buonanno Arte Contemporanea

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Eduard Habicher, Collage, acciaio inox e nerofumo su cartone, 70 x 100 cm,

Courtesy Buonanno Arte Contemporanea

Eduard Habicher, Ri-flesso 2, 2007, acciaio e vetro, 75x92x30 cm,

Courtesy Buonanno Arte Contemporanea

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Eduard Habicher, Collage, acciaio inox e resina bi-componente su cartone, 70x100 cm,

Courtesy Buonanno Arte Contemporanea

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Eduard Habicher, Collage e Pendolino, Courtesy Buonanno Arte Contemporanea

Eduard Habicher, Pendolini, 2016-18, dimensioni variabili,

Buonanno Arte Contemporanea

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Costruito tra il 1904 e il 1907, for-te Garda si caratterizza per la moderna concezione costruttiva che vede largo uso di calcestruzzo compresso sostenuto da travi di acciaio, la totale assenza di elementi decorativi ed un armamento con-sistente. Fu il primo esempio di questa tipologia realizzato in Trentino e fu modello per le successive fortificazioni costruite sugli altipiani di Folgaria e Lavarone e per i forti Tonale e Carriola.L’opera doveva garantire la difesa di tutto il sistema dell’Alto Garda. Il for-te era mimetizzato e aderente al terre-

no, con la parte anteriore, rivolta verso il lago, più bassa di quella posteriore, dove si trovava l’ingresso.Aveva funzioni sia offensive che difen-sive: era dotato di 4 obici da 10 cm M99 in cupole corazzate girevoli a 360°, che permettevano di colpire qualsia-si bersaglio nel raggio di 8,5 km; per il combattimento ravvicinato vi erano 2 cannoni da 8 cm M 05 a tiro rapido, 3 mitragliatrici da 8 mm M 07 e fuciliere scudate. Sulla volta del forte vi era una cupola corazzata adibita a osservatorio, mentre dal fossato di gola si dipartiva

Forte Garda

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una lunga galleria con ambienti adibiti a cisterne d’acqua e postazioni e punti di osservazione che si affacciavano sul-le pareti rocciose del monte Brione. Il forte era dotato di un potente riflettore a scomparsa. La guarnigione era di 150-200 uomini.

Progetto di recuperoIl restauro del forte, di proprietà del Comune di Riva del Garda, si inserisce all’interno di un progetto che mira a rendere visitabile l’opera, mantenendone però inalterato lo stato attuale.

I recenti lavori di restauro conclusi con l’inaugurazione del forte Garda il 2 lu-glio 2017, hanno previsto la rimozione della vegetazione, l’impermeabilizzazione ed il restauro della copertura, il recupe-ro di spazi interni attraverso la pulizia e la messa in sicurezza dei percorsi, il consolidamento ed il recupero degli ele-menti lapidei dei prospetti, la dotazione di un’impiantistica minima ed idonea a far fronte alle nuove destinazioni d’uso. All’esterno è stata prevista la messa in sicurezza dei percorsi di accesso e il posizionamento di pannelli informativi.

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Valmore studio d’arte

Valmore studio d’arte nasce nel 1995 dall’interesse della direttri-ce Valmore Zordan per l’arte con-temporanea della seconda metà del XX secolo, in particolare per quei movimenti che hanno contribuito a cambiare radicalmente il concetto di manufatto artistico.Le scelte della galleria vertono su artisti che attuano un’intensa e seria ricerca fondata sulle scoper-te scientifiche del momento, cre-ando opere e situazioni attraverso sperimentazioni anche con l’apporto di più personalità (gruppi).Valmore studio d’arte tratta artisti dei gruppi storici internazionali dell’Arte Programmata e Ottico-Ci-netica, artisti aderenti allo Spa-zialismo, alla Poesia Visiva stori-ca, all’arte Latino-americana, alla Video Arte e all’Arte Elettronica. Recentemente l’attenzione si è este-sa alla Pittura Analitica per la sua origine comune con i movimenti arti-stici che si sono opposti alla pit-tura informale, e cioè la ricerca sui fondamenti dell’arte visiva.

L’intento è quello di proporre ar-tisti dall’interessante e ricono-sciuto trascorso storico, noti e apprezzati dalla critica attenta, ma non sempre sufficientemente va-lorizzati dal mercato dell’arte.Grazie alla sua coerenza e al suo impegno culturale, Valmore studio d’arte è divenuto punto di rife-rimento a livello internazionale. Oltre alla consueta attività espo-sitiva, infatti, da lungo tempo la galleria collabora con amministra-zioni pubbliche e musei.Dal 2008 Valmore studio d’arte ha in gestione l’Archivio Ufficiale Joël Stein (cofondatore del GRAV di Parigi) e la conseguente promozione dell’artista con esposizioni, fiere di settore, pubblicazioni.Nel 2010 ha curato ed editato un’ampia ed esaustiva monografia dell’artista di oltre 300 pagine in occasione di una mostra retro-spettiva itinerante tra Francia e Italia: “Joël Stein, retrospettiva 1946-2010. Colore, luce, geometria, movimento, interazione”, a cura di Valmore Zordan e Bernard Légé (dele-gato generale di Rencontres Inter-nationales Image & Science, e di-rettore dei programmi C.A.M.E.R.A. presso l’UNESCO).Nel 2013 a Valmore studio d’arte sono state chieste molte opere d’ar-te per la grande mostra “Dynamo. Un siècle de lumière et de mouvement dans l’art 1913-2013”, svoltasi dal 10 Aprile al 22 Luglio al Grand Pa-lais di Parigi.

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FAUSTO BALBO MANUELA BEDESCHI ANNAMARIA GELMI JACQUES TOUSSAINT

Riflessioni e vibrazioni percorrono il Forte Garda attraverso le installazioni pensate appositamente per questo luogo da quattro artisti creando un’atmosfera dal carattere immersivo. Sono riflessio-ni e vibrazioni del colore e del suono. A guidare idealmente il visitatore sono le parole che campeggiano in diversi punti, spesso sulle macerie ancora presenti nel forte, come ancore di salvezza. Sono le parole scritte al neon da Manuela Bede-schi: casa - guarda - ascolta – pensa. Aneliti, aspirazioni e, al tempo stesso, imperativi e moniti. La prima parola ri-manda ai pensieri nostalgici dei soldati al fronte, mentre le altre richiamano gli ordini impartiti dai superiori, ma suonano anche come inviti a non abbas-sare la guardia oggi, perché le guerre non sono ancora finite. Nell’invito a pensare sembra volerci guidare Jacques Toussaint, che ha tracciato una linea luminosa all’interno del forte usando segmenti di tubo luminoso. È blu, il co-lore dell’immensità, del cielo, dei la-ghi, dei mari, chiuso ora simbolicamente dentro il forte. Questa linea non arriva a una meta, ma conduce dentro di noi, in quell’oceano che abbiamo dentro, e nel quale erano soliti rifugiarsi i giovani soldati per sopravvivere al dolore. Che non siamo soli e l’importanza dell’in-contro e dell’interazione ci viene ri-cordato da Annamaria Gelmi che usa il simbolo intenso della croce. Campeggia con la sua monumentalità e amplifica la dimensione fortemente introspettiva che il susseguirsi delle opere innesca. Il

meccanismo del guardarsi dentro viene indagato da Gelmi in un’altra opera, un dittico nel quale alle immagini esterne del forte, concepito come una poderosa fortezza inespugnabile, corrispondono due specchi che riflettono gli angu-sti spazi interni di questa architettura svuotata. Così come la luce, anche il suono è composto di onde che si riflet-tono. Sui meccanismi più profondi del suono lavora Fausto Balbo che al forte porta una serie di installazioni, tra cui un monolito che esige il contat-to fisico con lo spettatore. Al freddo metaforico patito dai giovani arruolati va inevitabilmente il rimando della sua opera “Inverno”, al passare interminabi-le del tempo, sempre uguale. Come inces-sante è il suono di una goccia d’acqua che Balbo ricrea con una risonanza e che doveva assillare le notti di chi abitava queste architetture inospitali, trasu-danti umidità. Sono paure e sensazioni che riemergono anche in “FB48” di Balbo, opera basata sulla risonanza di Schumann e sul campo elettromagnetico terrestre, nella quale prendono forma in voci e profili di labbra, come echi immersi in una dimensione sospesa.

Fausto Balbo è nato nel 1970, vive e la-vora a Garessio (Cuneo). Manuela Bedeschi è nata a Vicenza, vive e lavora tra Verona e Bagnolo di Lonigo. Annamaria Gelmi è nata a Trento, dove vive e lavora. Jacques Toussaint è nato a Parigi nel 1947 e vive in Italia dal 1971.

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Annamaria Gelmi, Doppia immagine, 2018, plexiglass, led, acciaio, 150x45x54 cm,

Courtesy Valmore studio d’arte

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Annamaria Gelmi, Oltre il sacro, 2016, alluminio, led, 480x460x3 cm,

Courtesy Valmore studio d’arte

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Fausto Balbo, FB48 Risonanze - Variazioni sulla Risonanza

di Schumann, 2018, opera sonora, tecnica mista,

42,5x42,5x204 cm,

Courtesy Valmore studio d’arte

Fausto Balbo, FB49 Il suono inganna l’attesa, 2018, opera sonora, tecnica mista,

28x35,5x100 cm,

Courtesy Valmore studio d’arte

Fausto Balbo, FB46 Inverno, 2018, opera sonora,

tecnica mista, 20x20,5x94 cm,

Courtesy Valmore studio d’arte

Fausto Balbo, FB45 L’attesa, 2018, opera sonora,

tecnica mista, 44,5x44,5 cm,

Courtesy Valmore studio d’arte

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Jacques Toussaint, Stazione, Attesa, 2018, ottone saldato ad argento, neon blu, 160x160x40 cm,

Courtesy Valmore studio d’arte

Jacques Toussaint, Stazione, Attesa, 2018, struttura in ottone saldato ad argento, neon blu, 120x160x40 cm,

Courtesy Valmore studio d’arte

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Manuela Bedeschi, Guarda, 2018

neon e plexiglass, 35x50x25 cm,

Courtesy Valmore studio d’arte

Manuela Bedeschi, Pensa, 2018

neon e plexiglass, 35x50x25 cm,

Courtesy Valmore studio d’arte

Manuela Bedeschi, Ascolta, 2018

neon e plexiglass, 35x50x25 cm,

Courtesy Valmore studio d’arte

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Manuela Bedeschi, “Light stronger than violence”, 2015, ferro, legno, luci a led, 37x33,5x35 cm,

Courtesy Valmore studio d’arte

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A partire dal 1907, in previsione di uno scontro militare con l’Italia sui confi-ni meridionali dell’ Impero, il comando austriaco diede inizio ad una massiccia fortificazione degli Altipiani di Fol-garia Lavarone e Luserna allo scopo di garantirsi uno spazio di manovra per le truppe destinate all’offensiva verso la pianura veneta. Tra Cima Vezzena ad est e Dosso delle Somme a sud-ovest, vennero costruite sette imponenti fortezze che tra il maggio e l’agosto 1915 impedirono di fatto i tentativi di sfondamento ita-liani e nel maggio dell’anno successivo permisero l’offensiva che fece arretrare

la linea di difesa italiana fin sulle alture di Asiago. Forte Cima Campo era uno dei forti austriaci più potenti e attrezzati dell’intero fronte e per la sua imponenza venne soprannominato “Pa-dreterno” dai soldati italiani. Progettista e direttore dei lavori fu l’ing. capitano dello Stato Maggiore del Genio Eduard Lakom. Posto a quota 1549 metri sulla dorsale che collega la val D’Astico e la val Torra, di forma trapezoidale, corazza-to nella roccia, era circondato da un fossato. Era formato da una casamatta principale lunga circa 60 metri (con al-

Forte/Werk Lusérn

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loggi, depositi ed officine) che si in-contrava con un altro corpo di fabbrica in cui erano posti i locali per il com-battimento ravvicinato.Era armato con 4 obici da 10 cm M 09, 2 cannoni a tiro rapido da 8 cm M5, 2 can-noni a tiro rapido da 6 cm M 10 e 19 MG da 8 mm M 07/12.Il forte aveva due avamposti: Viaz ad est e Oberwiesen ad ovest.

Nell’estate del 1915 subì un pesante bombardamento da parte dell’artiglieria italiana, a seguito del quale il coman-dante boemo Emanuel Nebesar, convinto di

un prossimo e decisivo attacco italiano, fece issare bandiera bianca. La sospen-sione del fuoco e le bandiere bianche fecero però intervenire le batterie dei forti austriaci Verle e Belvedere che con i loro colpi tentarono di abbattere le bandiere bianche e disperdere l’even-tuale assalto della fanteria italiana. Ripristinata la situazione con l’aiuto di volontari, il comandante Nebesar ven-ne destituito e arrestato.Negli ultimi anni il forte Luserna è stato oggetto di un importante restauro che gli ha restituito la grandezza che l’ingegne-ria militare asburgica volle dargli.

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TAN-ART

Dall’idea di un rinomato cuoco fas-sano con la passione dell’arte, nasce nel 2015 il progetto di una galle-ria d’arte a Canazei, nel cuore della Val di Fassa, in una delle principali valli dolomitiche dove è molto forte la tradizione popolare legata alla cultura ladina. Qui l’arte si fonde a pieno con il contesto geografico, generando un vero e proprio viaggio di bellezza, lo stesso viaggio che TAN-ART vuole offrire agli abitanti della valle e a tutti coloro che sono di passaggio e vogliono godere di un’esperienza complementare a quelle

legate alla bellezza del territorio e principalmente al turismo sportivo estivo e invernale. La galleria raccoglie le opere di artisti appartenenti a varie cor-renti e movimenti: dalla metafisica alla pop art, dalla transavanguardia alla pittura tipica fassana. L’arte come l’uomo non è nulla senza la storia che l’ha preceduta e Sergio Rossi non poteva che scegliere un tabià del ‘700 per ospitare espres-sioni estetiche e forme di creativi-tà che trasmettono messaggi e hanno la capacità di emozionare.

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FEDERICA CAVALLIN FLAVIO ROSSI MATTHIAS SIEFF

È un percorso che procede per simboli quello che l’arte contemporanea innesca al Forte/Werk Lusérn attraverso le opere di tre artisti. Lo scultore Matthias Sieff colloca le sue monumentali presen-ze tra l’umano e il sovraumano. Queste figure cariche di aura divina risultano estrapolate dallo spazio e dal tempo, non le identifichiamo come olimpiche, ma appaiono piuttosto come lari e penati romani a protezione di un’architettura che fu casa per i giovani soldati. Anco-ra più sono figure totemiche, attingendo a un termine che affonda le sue radi-ci nella lingua algonchina dell’America precolombiana. Il termine totem – diver-samente dal nostro concetto di rappre-sentazione e ricordo attraverso un monu-mento – indica direttamente una persona o un oggetto di particolare rispetto, il cui legame con la società è speciale. In questo senso l’opera di Sieff potrebbe rimandare ai soldati stessi e al loro ruolo di estremo sacrificio. La Guerra influenzava anche la società civile e le famiglie che rimanevano a casa. Il rife-rimento a queste viene innescato dalle opere scultoree di Federica Cavallin. Le sue maternità sono create utilizzando la galla degli alberi, ossia quelle malfor-mazioni che la pianta produce in seguito ad attacchi esterni. Idealmente il mes-saggio è di speranza e di prosecuzione anche dopo eventi tragici come le guer-re. Le sue donne sono simboli di vita. A una società trasparente a quanto av-viene guarda Flavio Rossi. Riflette sul fatto che alle nostre spalle le guerre proseguono e i cicli della natura con-

tinuano a fare il loro giro, ma forse le ombre che si stagliano lunghe all’oriz-zonte nella sua installazione “Ombries” indicano che siamo arrivati al tramonto della nostra società, dell’epoca che ora definiamo dell’Antropocene, del dominio dell’uomo sulla natura. Nel suo progetto “Sentinelle” Rossi ha deciso di creare un’opera a monito di tutto ciò. Partendo dal fatto che il conflitto permea le no-stre vite, al di là di riferimenti speci-fici a una o all’altra guerra, al Forte/Werk Lusérn porta, infatti, un corpus di immagini fotografiche. Sono objets trou-vés che l’artista ha scovato in una vec-chia casa in Trentino in Val di Fassa: la scatola con oltre 400 scatti apparteneva a un soldato tedesco che alla fine della Seconda Guerra Mondiale le lasciò con l’intenzione di tornare a riprenderle. Scene di macerie si susseguono a scene di vita che prosegue, aprendo a mol-teplici riflessioni: sulla memoria, su chi costruisce la storia, su vincitori e vinti, sull’idea di pace dopo la guerra.

Federica Cavallin è nata nel 1985 e si è laureata in Architettura allo IUAV di Venezia. Ha imparato da un maestro scul-tore e dal 2012 lavora come scultrice tra Ortisei e Predazzo.Flavio Rossi nel 2004 ha finito l’Accade-mia di Belle Arti di Roma. Vive e lavora tra Roma e Canazei. Matthias Sieff è nato a Cavalese nel 1982, vive e lavora tra le Dolomiti trentine a Mazzin, dopo aver studiato in Val di Fas-sa, Val Gardena e all’Università di Arti Applicate di Vienna.

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Federica Cavallin, L’innamorata, 2016, tiglio e galla di abete, 20x25x12 cm,

Courtesy Tan-Art

Federica Cavallin, Donna del vento, 2016, tiglio e galla di abete, 60x35x12 cm,

Courtesy Tan-Art

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Federica Cavallin, Maternità, 2016, cirmolo e galla di cirmolo, 50x40x20 cm,

Courtesy Tan-Art

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Flavio Rossi, Ombries, 2018, incisione su plexiglass, 50x150 cm, Courtesy Tan-Art

Flavio Rossi, Vedette, 2018, 32 foto, 13x9 cm cad., Courtesy Tan-Art

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Matthias Sieff, Regina, 2010, pino policromo, 264x80x80 cm, Courtesy Tan-Art

Matthias Sieff, Re, 2011, cedro policromo, 232x80x80 cm, Courtesy Tan-Art

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A partire dal 1907, in previsione di uno scontro militare con l’Italia sui confi-ni meridionali dell’Impero, il comando austriaco diede inizio ad una massiccia fortificazione degli Altipiani di Folgaria Lavarone e Luserna allo scopo di garan-tirsi uno spazio di manovra per le truppe destinate all’offensiva verso la pianura veneta. Tra Cima Vezzena ad est e Dosso delle Somme a sud-ovest, vennero costru-ite sette imponenti fortezze che tra il maggio e l’agosto 1915 impedirono di fat-to i tentativi di sfondamento italiani e nel maggio dell’anno successivo permisero l’offensiva che fece arretrare la linea di difesa italiana fin sulle alture di Asiago.

Realizzato tra il 1909 ed il 1912 su progetto del capitano Rudolf Schneider su un promontorio che sovrasta la Val d’Astico, nei pressi della frazione Ose-li di Lavarone e a quota 1177 metri, esso operava assieme a forte Cherle-San Sebastiano.

L’opera ha un’estensione pari a forte Serrada e si distingue per la semplicità delle soluzioni planimetriche adottate sfruttando, come per il forte Pozzac-chio, uno sperone roccioso e un aval-lamento del terreno che permetteva di “sprofondare” di tre livelli la casamat-ta principale.

Forte Belvedere

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L’opera è divisa in due parti: la posteriore (verso l’altopiano) era una casamatta in pie-tra calcarea lavorata a scalpello che rag-gruppava tutti i servizi, l’anteriore (verso valle), scavata quasi interamente nella roc-cia, racchiudeva postazioni e osservatori. A fianco della casamatta, troviamo il cofano di gola a difesa dell’ingresso. Il fossato frontale, verso valle, era controllato da un fortino di controscarpa armato di mitra-gliatrici e unito alla casamatta principale da una galleria sotterranea. Sui tre piani della casamatta si dislocavano gli alloggi, i depositi, i locali tecnici, l’infermeria e un colombario che ospitava le bare di zinco per i caduti.

Il forte aveva un controllo totale sulla Val d’Astico e sulle strade di accesso a Carbonare. Era armato con 3 obici da 19 cm M 09, 22 mitragliatrici MG da 8 mm M 07. Il suo faro fendeva l’oscurità della Val d’Astico illuminando la strada da Passo della Vena all’osteria Fiorentini. Altri riflettori a scomparsa si trovava-no lungo i camminamenti.

Subì un forte bombardamento nei primi giorni di guerra ma nonostante le perdi-te, rimase saldamente in mano austriaca. Dopo la Strafexpedition fu rimesso in efficienza come “sentinella” della Val d’Astico. Attualmente ospita un museo.

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GALLERIA DORIS GHETTA

La Galleria Doris Ghetta nasce dal sogno di Doris Ghetta di creare nel cuore delle Dolomiti un polo per l’arte contemporanea. La Val Gar-dena, grazie all’importante tradi-zione scultorea lignea, è da sempre un luogo di creatività. La galleria segue artisti di area concettuale e alcuni scultori della Val Gardena. Inoltre segue e rappresenta un grup-po di giovani artisti rumeni del-la scuola di Cluj, che negli ultimi

anni ha attirato l’attenzione del pubblico internazionale.La Galleria Doris Ghetta si estende su 500 metri quadri e su due livel-li, dove ospita annualmente 10 mo-stre di ampio respiro collaborando con curatori e giovani artisti da tutto il mondo. Segue anche pro-getti pubblici, come la Biennale Gherdeina, mostra di scultura con-temporanea, apprezzata a livello internazionale.

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PETER SENONER

Negli ultimi decenni si è sviluppata un’ossessione sempre più estrema verso il proprio corpo, che aspiriamo a rende-re perfetto. Esercizi, creme, elettrosti-molazione, diete, massaggi. E chirurgia estetica che toglie, aggiunge, smuove o blocca. In passato il corpo da venerare è stato quello dei santi, dei quali si impazziva per avere una reliquia e per vederla si percorrevano viaggi inenar-rabili. Nelle tradizioni religiose in-duiste le divinità mantengono un’unica rappresentazione, mentre l’individuo si reincarna in un altro corpo, non solo umano, ma anche animale, vegetale o mi-nerale. Del resto il termine corpo è generico e in fondo significa solo “una porzione di materia”. Le opere di Pe-ter Senoner incarnano l’attuale rapporto della cultura occidentale con il corpo, pur senza descrivere in maniera esplici-ta nessuno dei meccanismi che s’innesca-no, bensì attuando un riferimento idea-le. Le sue figure sono umanoidi, quindi di aspetto simile all’uomo, rappresenta-ti a dimensione reale in scala umana, ma l’artista vi immette caratteri anomali. Soprattutto nel capo, nel volto qualco-sa ci sfugge, non lo riconosciamo come “nostro”, ma come “strano”. Sono immor-talati in posizioni sfrontate, in attesa di un confronto diretto con l’esterno: il petto è spinto in avanti, tronco e arti massicci, cosce poderose; niente a che vedere con i corpi patiti dei giovani

consumati e avviliti dalla vita nel for-te, che hanno abitato dentro a queste ar-chitetture belliche. I caratteri estra-nei di queste figure sono ricorrenti nelle sculture di Peter Senoner, che in questo modo ha dato vita a una fisiono-mia precisa, che ha ripetuto e mantenuto costante nelle sue opere, tanto da ar-rivare a formare negli anni una schiera che potremmo definire aliena, non tanto come extraterrestre, ma piuttosto come altra, diversa. Questo approccio visio-nario, che ha applicato anche nella re-alizzazione di sinuose forme astratte, apre a ulteriori spunti di riflessione sulla società contemporanea, nella quale ancora ci si pone problemi verso persone con caratteri somatici differenti, cul-ture differenti, modi di pensare che non riconosciamo. Per usare un termine at-tuale, si potrebbe parlare dei personag-gi di Senoner come queer, utilizzando la parola inglese che, nella sua accezione originaria, indica il “non solito” ri-spetto al concetto di normalità proprio della cultura dominante, con riferimenti etnici, sociali e sessuali di differen-za. Queste opere attraggono e inquietano al tempo stesso mettendo in discussione le nostre convinzioni. Che siamo ancora in attesa di cambiare.

Peter Senoner è nato a Bolzano (1970), ha studiato all’accademia di Monaco. Vive e lavora a Chiusa in Alto Adige Südtirol.

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Peter Senoner, LEM, 2016-18, Fusione di bronzo, vetro di criolite, acciaio, 200x60x50cm,

Courtesy Galleria Doris Ghetta

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Peter Senoner, LUXS, 2017-18, fusione di bronzo, acciaio, 105x43x38 cm,

Courtesy Galleria Doris Ghetta

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STUDIO 53 ARTE

Lo Studio 53 Arte, erede della Gal-leria Paganini diretta sin dagli anni Settanta da Roberto Pizzini, ha riaperto nel 1998 con una va-sta rassegna su Fortunato Depero. In seguito ha organizzato qualificate esposizioni tra le quali si segna-lano quelle su Fausto Melotti, Pinot Gallizio, Luigi Veronesi, Ugo Ne-spolo, Tullio Pericoli e tanti al-tri, unitamente a collettive sui piu importanti maestri italiani del se-

condo Novecento fra i quali Fonta-na, Burri, Afro, Manzoni, Bonalumi, Castellani ecc.Ha organizzato anche retrospettive sul Futurismo senza trascurare gli artisti trentini di fine Ventesimo secolo. Tra gli altri, Mauro Cappelletti, Silvio Cattani, Luciano Civettini, Alberto Forchini, Maurizio Giongo, Diego Maz-zonelli. In permanenza in galleria vi sono opere di Fortunato Depero, Fau-sto Melotti ed Emilio Vedova.

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UDO REIN SILVIO CATTANI

Comune denominatore delle opere di Udo Rein e Silvio Cattani esposte al Forte Belvedere è l’idea di casa, anche se si tratta di concezioni molto diverse tra loro dal punto di vista delle modalità espressive e della genesi che ha portato gli artisti a crearle. È il desiderio di casa, del ritorno alla normalità della vita quotidiana provato ogni istante dai giovani soldati costretti a vivere l’in-cubo della guerra. Aspettavano continua-mente il momento. Spesso mai arrivato. “Heimweg”, traducibile come la via di casa, è il titolo di una ricerca di Rein iniziata nel 2004, già celebrata in un libro edito da Verlag für Moderne Kunst di Norimberga, della quale al Forte Bel-vedere porta una serie di opere. I suoi lavori bidimensionali a tecnica mista procedono per simboli forti, maschere antigas, elicotteri, come lampi in un racconto concitato che fissano indelebi-le il ricordo della guerra, anche in chi non l’ha vissuta. La sua installazione ambientale, parte sempre della ricerca “Heimweg”, fa riferimento al difficile ritorno alla normalità non solo del sin-golo individuo, ma della società tutta, che possiamo riconoscere in un mappa-mondo ricoperto di rosso sangue e ta-gliato in due, i due fronti opposti che caratterizzano le guerre di ogni epoca. Rein presenta anche l’opera video “The way home” (2005) che procede per scene altamente evocative: il suono del vento, una sedia vuota, una cartolina che vola via. Il mezzo del video è prediletto da

Rein, che, nella sua carriera condotta tra Germania, Stati Uniti e Corea del Sud, ha realizzato intense opere par-tendo da esperienze in prima persona in luoghi di grandi contrasti come le fa-velas e il carcere dove fu rinchiuso Nelson Mandela. Silvio Cattani lavora sul concetto di casa in maniera indiretta, dichiarando di essersi ispirato alle opere di Paul Celan, un poeta ebreo di madrelingua te-desca, nato dopo la fine della Gran-de Guerra, ma vittima in prima persona delle conseguenze della Seconda Guerra Mondiale. Sono infatti un’idea di guerra e di casa universali quelle a cui fanno riferimento gli artisti. Silvio Cattani affida le sue riflessioni a opere su metallo realizzate appositamente per il Forte Belvedere, utilizzando un linguag-gio astratto capace di prendere forma in un «alfabeto visivo organico e ponde-rato» e una «molteplicità dei richiami formali e stimoli cromatici», estesi a gran parte delle tonalità della nostra quotidianità, a sottolineare che il mon-do attorno proseguiva ignaro quando al-lora c’era la guerra, il sole continuava a sorgere. «La pietra accetta di fiorire» come canta una delle citazioni scelte da Cattani quale titolo di un’opera espo-sta, e noi ora continuiamo a vivere men-tre altrove prosegue la guerra.

Udo Rein è nato nel 1960 a Heidelberg.Silvio Cattani, nato a Trento nel 1947, vive e lavora a Rovereto.

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Matthias Sieff, Re, 2011, cedro policromo, 232x80x80 cm,

Courtesy Tan-Art

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Silvio Cattani, Paesaggi, 2016, tecnica mista su metallo, 100x150 cm,

Courtesy Studio 53 Arte

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Silvio Cattani, Installazione per Paul Celan, 2018, serie di opere tecnica mista su metallo, 50 x 120 cm,

Courtesy Studio 53 Arte

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Eretto tra il 1883 e il 1890 sul fianco destro della valle del Chiese, a quota 1069 m nei pressi dell’abitato di Pra-so, forte Corno fu concepito allo scopo di integrare il precedente sbarramento di Lardaro costituito dai forti Larino, Danzolino e Revegler.

Progettato dal capitano Adolf Kroneiser, che fu anche direttore dei lavori, venne costruito secondo i criteri propri del-lo stile “Vogl”, perciò dotato di cupo-le girevoli di acciaio e di corazze per cannoni.Il forte si adatta molto bene al salien-te roccioso, è disposto su 4 livelli di quota e presenta pianta irregolare.La parte più alta ospitava magazzini, dor-mitori e altri locali di servizio. L’ar-mamento del forte era situato nella parte inferiore, con 6 cannoni da 12 cm M 80 collocati in casamatta corazzata.

Forte Corno era collegato a forte Larino e al fondovalle attraverso un percorso attrezzato lungo la parete rocciosa del Doss dei Morti, disseminato di piccole postazioni in caverna.

Rimodernato nel 1909-1910, fu dotato di 3 obici da 10 cm in cupola corazzata girevole e di due osservatori in cupo-la. Nonostante questi lavori, prima del conflitto fu disarmato perché conside-rato obsoleto. I suoi cannoni furono portati in postazioni in caverne pre-disposte nelle vicinanze mentre le cu-pole trovarono nuova collocazione nella sovrastante località Peschera. Il lager Peschera è un forte ipogeo, interamente scavato in roccia; sul versante oppo-sto della valle del Chiese la difesa era affidata a forte Carriola, possente opera eretta negli anni a ridosso della guerra.

Forte Corno

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Durante il conflitto forte Corno non subì importanti bombardamenti.

Nel dopoguerra venne spogliato del ferro e delle lamiere di copertura dai re-cuperanti e rimase in totale stato di abbandono fino a quando, nel 1997, venne acquistato dall’amministrazione comuna-le di Praso che diede l’incarico per lo studio di un progetto di recupero del forte.

Progetto di recuperoLa Provincia autonoma di Trento, in col-laborazione con i comuni di valle e il BIM del Chiese, ha promosso un progetto di valorizzazione storico-monumenta-le dello sbarramento di Lardaro. Forte Corno è stato sottoposto ad un interven-to di tipo conservativo che ha portato alla ricostruzione della copertura ori-ginaria con l’utilizzo di un materiale

innovativo come la lamiera di Reinzink. L’intervento è stato realizzato sulla base di disegni austriaci dell’epoca e di una dettagliata documentazione fo-tografica.

Un ulteriore intervento ha portato alla realizzazione di un suggestivo sentie-ro panoramico di collegamento tra forte Corno e forte Larino.

Il comune di Praso ha incaricato l’U-niversità degli Studi di Trento di rea-lizzare un percorso di visita multime-diale all’interno del forte, inaugurato nell’estate 2014. Il gruppo di ricerca del Dipartimento di Ingegneria Civile Ambientale e Meccanica, con la consulen-za dell’Università Sapienza di Roma, ha realizzato un allestimento audio-visivo affidato alle tecniche avanzate della comunicazione digitale.

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ANTONELLA CATTANI CONTEMPORARY ART

Il profilo della galleria, inaugu-rata nel 1991 da Antonella Catta-ni, è caratterizzato da un programma espositivo volto a presentare per-sonalità del contemporaneo che si sono distinte nel panorama artistico per l’esito della loro ricerca nel-le diverse discipline, dalla pittura alla scultura fino ai nuovi linguag-gi. Alla presentazione di posizioni artistiche consolidate fra le quali citiamo Giuseppe Spagnulo, Claude Viallat, Marco Gastini, Gianni Des-sì, Giovanni Frangi e Marco Tirelli

si avvicendano i progetti di artisti della nuova generazione fra i qua-li Angela Glajcar, Julia Bornefeld, Antonella Zazzera, Emanuela Fiorel-li e Paolo Radi. All’intenzione di dare continuità tra le epoche corri-spondono inoltre le esposizioni de-dicate ad artisti storicizzati. Nel corso degli anni hanno trovato rea-lizzazione le mostre di protagonisti dell’arte italiana dopo il 1950 tra i quali sono Fortunato Depero, Afro, Antonio Sanfilippo, Pietro Consagra, Gastone Novelli e Achille Perilli.

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HERMANN JOSEF RUNGGALDIER

L’opera principale in mostra di Hermann Josef Runggaldier è “Hope”, speranza, che significa attesa di un momento. Un uomo stringe e alza le spalle, le spinge in avanti, lo sguardo è interrogativo e la bocca è chiusa, priva di parole, il corpo è nudo, completamente esposto e senza protezione. Incertezza e, al tempo stesso, accettazione verso quanto avver-rà sono espressi anche dalla posizione della mano destra che, lungo le cosce, si tende di fronte all’incognita dell’azione successiva. La figura esprime impoten-za, non rassegnazione, non è china su se stessa, gli occhi sono spalancati in avanti. Poter prevedere quanto ci aspetta e, ancora meglio, poterlo influenzare, è da sempre stato un desiderio dell’uomo e non abbandonarsi agli eventi una vir-tù. Dentro al Forte Corno questa presen-za rimanda inevitabilmente all’attesa di un cambiamento favorevole che accomuna tutti i soldati e tutti i civili in tempo di guerra, ma si allarga anche all’idea di un uomo nuovo per sua natura nudo di fronte al destino che però non deve smet-tere di guardare in faccia. Un concetto di resistenza è introdot-to anche dall’opera “Uomo-fossile”. Sono spoglie, resti svuotati e scarnificati che ricordano la magrezza spettrale dei prigionieri dei lager nazisti immortala-ti indelebilmente dai filmati o dei bam-

bini consumati dalla fame anche oggi nel continente africano. Ma anche in queste figure può essere identificato un senso di speranza, di non lasciarsi andare, di non scomparire. Questi fossili sembrano dire che l’umanità è forte e riesce a sopravvivere ai momenti difficili e chi ha vissuto prima di noi ci lascia la te-stimonianza di quanto avvenuto per non ripetere gli errori. I fossili di Rung-galdier dentro il forte appaiono come simulacri dei soldati e di quanto rie-scono ancora a trasmetterci.I fossili, vegetali e animali, si tro-vano spesso racchiusi nelle rocce del-le montagne alpine, come quella su cui s’inerpica il Forte Corno e soprattutto sulle vicine Dolomiti di Brenta a te-stimonianza di ere lontane in cui que-ste vette erano fondali marini. L’uomo è piccolo rispetto all’enormità della na-tura, è una conchiglia imprigionata in un sasso. La ricerca scultorea di Runggaldier si sofferma sulla figura umana, andando da forme aderenti al reale a stilizzazio-ni evocative, mentre il mondo naturale diviene protagonista in lavori a parete tra rilievo e scultura.

Hermann Josef Runggaldier è nato nel 1948 a Ortisei in Alto Adige Südtirol, dove vive e lavora.

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Hermann Josef Runggaldier, Column, 2017, bronzo, h 224 cm,

Courtesy Antonella Cattani Contemporary Art

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Hermann Josef Runggaldier, Le mie radici, 2015, scultura in legno di tiglio, radici, h 172 cm,

Courtesy Antonella Cattani Contemporary Art

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Hermann Josef Runggaldier, Hope, 2009, scultura in legno, 172x40x25 cm,

Courtesy Antonella Cattani Contemporary Art

Hermann Josef Runggaldier, Figura, 2005, terracotta, 69x30x37 cm,

Courtesy Antonella Cattani Contemporary Art

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Hermann Josef Runggaldier, Donna Fossile e Uomo Fossile, 2018, bronzo, 132x18x18 cm,

Courtesy Antonella Cattani Contemporary Art

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Forte Larino è la principale di una ter-na di fortificazioni erette tra il 1860 e il 1862 a difesa della valle del Chiese da un eventuale attacco italiano.In questa prima fase lo sbarramento di Lardaro era composto da forte Larino, Reveglér e Danzolino. Sebbene posti a circa una ventina di chilometri dal con-fine con il Regno d’Italia, i tre for-ti godevano di una posizione dominante. Nella loro costruzione furono adottate le soluzioni più efficienti dell’epoca: un forte sul tracciato stradale (Reve-glér), appoggiato da un forte sovra-stante (Larino) e uno sul lato opposto (Danzolino). I forti Larino e Danzolino, collocati l’uno di fronte all’altro, era-no in grado di coprire tutti gli angoli morti. La collocazione su versanti val-

livi opposti favoriva la soluzione mili-tare “a tenaglia”, strategia particolar-mente efficace.Forte Larino, situato sul versante set-tentrionale del rio Reveglér, a 700 m di quota, è classico esempio di forte di prima generazione. Piuttosto ampio, a forma di “L” con i lati verso sud e verso valle ad un solo piano, presenta un cortiletto fortificato ad anticipare l’ingresso vero e proprio. Sul prospet-to meridionale e su quello orientale si aprono i fori cannonieri e sul resto del perimetro, le feritoie fuciliere. Un fossato continuo circonda l’intera ope-ra. Esteticamente è un bell’esempio di architettura fortificata, costruito con conci di granito lavorati a scalpello. La copertura è rivestita da manto ter-

Forte Larino

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roso con erba rasa, per smorzare l’ener-gia dei proietti. Il manto erboso veni-va adottato per impedire che le piante, crescendo, potessero danneggiare con le radici la copertura del forte, compro-mettendone la tenuta stagna.Nel suo periodo operativo, la costruzio-ne fu armata con 4 cannoni da 15 cm in ghisa e 4 da 9 cm. Era prevista una guar-nigione di tre ufficiali e 122 uomini.Nel 1879 il forte fu sottoposto a inter-venti di miglioramento, ma durante la Prima guerra mondiale la struttura, con-siderata obsoleta, fu disarmata e uti-lizzata come magazzino.

Progetto di recuperoLa Provincia autonoma di Trento, in col-laborazione con i comuni di valle e il

BIM del Chiese, ha promosso un progetto di valorizzazione storico-monumentale dello sbarramento di Lardaro.Il forte, abbandonato subito dopo il completamento in quanto ritenuto non idoneo dal punto di vista difensivo, ha mantenuto pressoché intatte le sue caratteristiche tipologiche e costrut-tive. I primi interventi di restau-ro hanno riguardato la messa in si-curezza della struttura con opere di pulizia e impermeabilizzazione e una serie di interventi finalizzati al re-stauro conservativo e al riadattamento funzionale del complesso fortificato in uno spazio museale. Il percorso di visita è stato studiato in modo da ga-rantire l’accesso a visitatori diversa-mente abili.

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CELLAR CONTEMPORARY

Cellar Contemporary è stata fon-data da Davide Raffaelli, “figlio d’arte” del gallerista Giordano Raffaelli, art dealer e curatore, e Camilla Nacci, critica d’arte e curatrice, due personalità diver-se, ma complementari, unite da una lunga amicizia, dalla forte con-nessione con lo Studio d’Arte Raf-faelli - galleria dall’esperienza pluritrentennale - ma soprattutto dallo studio e dalla passione per l’arte contemporanea.Cellar Contemporary si dedica alla scoperta e alla promozione di gio-vani artisti, organizzando mostre ed eventi collaterali dal taglio fresco e dinamico.

Allo spazio espositivo fisico, si-tuato nello storico quartiere di San Martino a Trento, si affianca uno spazio virtuale dove è possibile seguire day-by-day le attività della galleria, conoscere il lavoro degli artisti proposti e acquistarne ope-re e limited edition.Il programma di Cellar Contempo-rary guarda da un lato a un panora-ma internazionale eclettico e pop, dall’altro artisti italiani e del territorio.Alla programmazione di Cellar in galleria si affianca la parteci-pazione a fiere e la curatela di mostre ed eventi in collaborazione con istituzioni pubbliche.

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DENIS RIVA

Indaga sul tempo dell’uomo e sul tempo della natura il progetto che Denis Riva ha pensato appositamente per il For-te Larino, articolato attraverso opere realizzate appositamente ed altre re-centi, che vanno dal piccolo al grande formato, e che si avvalgono di diversi mezzi espressivi, dal disegno all’in-stallazione, al video. L’anno scorso uno studio scientifico pubblicato sulla ri-vista Science ha dimostrato per la prima volta che la nostra percezione del tem-po è diversa da quella degli animali, secondo un esperimento condotto da Joe Paton sui topi da laboratorio, identi-ficando i circuiti neurali che modula-no questa sensazione. Sulla dimensione temporale innescata dal contatto con la natura Denis Riva lavora da molto, e al forte porta alcuni dei suoi ulti-mi “Pastori su lana”. È una riflessione su una tradizione antichissima di tutta l’Eurasia della pastorizia e, in parti-colare, su quella delle pecore, che si muove su traiettorie spazio temporali totalmente a parte rispetto al consueto scorrere della quotidianità divenendo metafora per antonomasia dell’attesa. Questo stato di osservazione del mon-do naturale è alla base anche di una serie di disegni su carta dedicati a paesaggi lacustri e, quindi, a un’acqua che ha rallentato il proprio scorrere. Di immobilità, questa volta inerte, è

permeata la catasta di teste di animali selvatici che Riva mette in atto evocan-do un’altra pratica atavica dell’attesa nella natura, quella della caccia, e può essere associata anche a un’altra opera: il video “L’è”, nel quale si distingue, all’interno della successione di dise-gni, un agglomerato di teste di cani, o di lupi. Questo pensiero richiama a sua volta alla memoria altri conflitti d’al-ta quota, visto che proprio sulle alte montagne dolomitiche che sovrastano il Forte Larino si è consumata la cosid-detta Guerra Bianca, una guerra statica segnata da difficoltà climatiche e am-bientali. Anche nell’opera video “Carpus osco”, realizzata ben prima di essere destinata alla visione all’interno di un forte, sembra ora di scorgere uo-mini soldato, invece di semplici uo-mini. Nella successione sui toni del grigio scorgiamo scene di violenza, un uomo che schiaccia il cranio di un altro con il piede, arti mozzati, gocce come schizzi di sangue, una moltitudine chi-na, un’altra sovrastata da un uomo che mette loro i piedi in testa, una scena di montagne e un profilo riconoscibile di un lupo, che si erge su due zampe al pari di un uomo, come se la natura non potesse più stare a guardare.

Denis Riva è nato a Cento (Ferrara) nel 1979. Vive e lavora a Follina (Treviso).

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Denis Riva, Piacevoli attese, 2018, tecnica mista su tavola, 185x260 cm,

Courtesy Cellar Contemporary

Denis Riva, Attese infinite e Attendere un nuovo giorno, 2018, tecnica mista su carta, 32x118 cm,

Courtesy Cellar Contemporary

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Denis Riva, Pastore su lana, 2018, tecnica mista su lana, 380x150 cm,

Courtesy Cellar Contemporary

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Denis Riva, Laghi di carta, 2018, tecnica mista su carta, 30x30 cm,

Courtesy Cellar Contemporary

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Denis Riva, Lago di carta, 2018, tecnica mista su tavola, 190x190 cm,

Courtesy Cellar Contemporary

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Denis Riva, Pastori su lana, 2018, installazione site-specific,

Courtesy Cellar Contemporary

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Assieme al Forte Tenna, situato di fron-te, chiudeva a tenaglia la Valsugana all’altezza di Levico. I due forti com-pongono lo sbarramento di Tenna, con-cepito come avamposto della fortezza di Trento, già dotata di una cintura difen-siva con Forte Cimirlo e Forte Roncogno da un lato ed il complesso di Civezzano dall’altro.Chiamato anche forte San Biagio, il for-te Colle delle Benne si trova a 660 metri di quota, in cima all’omonimo colle che domina il Lago di Levico.

Opera gemella del Forte di Tenna, ven-ne realizzato negli stessi anni, fra il 1884 e il 1890.

Era una casamatta di conci squadrati in porfido e granito. Di pianta poligonale, si sviluppava su quattro piani ed era dotato di un fossato e di un contrafforte con corpo esterno corazzato; era circon-dato da ampie fasce di reticolati e da un intricato sistema di trincee; una linea di trincee risaliva il crinale montuoso fino alla Busa Grande (1.500 m). Il suo

Forte Colle delle Benne

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armamento consisteva in 4 cannoni da 12 cm in casamatta corazzata e 2 obici da 10 cm in cupole blindate.Nella primavera del 1915 fu disarmato: i cannoni in casamatta furono collocati nel-le immediate vicinanze mentre i due obici vennero installati in una batteria in ca-verna sul Busa Grande. Durante la guerra fu impiegato come osservatorio e deposito.

Progetto di recuperoIl forte, di proprietà del Comune di Levico, rappresenta un importante esempio di archi-

tettura fortificata di transizione, giunta sino ai giorni nostri pressoché integra. Il progetto di restauro, redatto nell’estate del 2009 dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici della Provincia autonoma di Trento, ha puntato alla “conservazione tipologica e funzionale” del manufatto. È stata prevista la ricostruzione di alcu-ni solai e della copertura metallica, così come doveva essere in origine prima che venisse asportata dai recuperanti.I lavori di ristrutturazione si sono conclusi nell’estate del 2014.

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CASA D’ASTE VON MORENBERG

La Casa d’Aste von Morenberg nasce nel 2000 sulla base di chiare e pon-derate scelte culturali e commercia-li. La sede legale ed espositiva si trova a Palazzo del Monte, nel cuore del centro storico di Trento a pochi passi dalla Piazza del Duomo e dal castello del Buonconsiglio.La Casa d’Aste von Morenberg, in continuità con la secolare tradi-zione di mecenatismo dei princi-pi-vescovi, si propone quindi come

luogo dove ammirare, valutare, ac-quisire o vendere qualificate opere d’arte e al contempo intende essere un punto di riferimento per col-lezionisti, esperti cultori e stu-diosi che considerano l’arte come scelta e stile di vita e come oc-casione di studio e di conoscenza. Non semplicemente luogo espositivo e commerciale, bensi realtà attiva nell’elaborazione di idee e proget-ti culturali.

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BRUNO LUCCHI

Le foglie sono le vere protagoniste del-le opere che Bruno Lucchi ha pensato per il Forte Colle delle Benne. Non sono gridate, ma costanti presenze all’inter-no dell’esteso percorso di mostra che indicano una possibile chiave di let-tura. Con le loro nervature si sovrap-pongono a rami d’albero e agli intrecci sinuosi e pungenti del filo spinato. Tutto è evocato dalle tracce lasciate sulle superfici delle opere che diven-tano bassorilievi e altrove da foglie che l’artista fissa nella materia per renderle immortali. Lo stesso anelito a salvare dall’oblio ritorna nelle orme delle scarpe che l’artista riproduce nu-merose e posiziona una sull’altra lungo un tratto breve all’interno del forte, che non porta da nessuna parte, come ripetitivi erano i percorsi che le sen-tinelle dovevano battere durante i pe-santi turni di guardia. Le foglie cadute evocano inevitabilmente le vite dei gio-vani in guerra: «Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie» recita la poe-sia “Soldati” di Giuseppe Ungaretti, che Lucchi cita insieme ad altri passi dello scrittore che provò l’esperienza del-la guerra. Lo stesso filo spinato corre lungo le opere di Lucchi come righe di parole, che raccontano una sofferenza indecifrabile. Prende forma da un’altra poesia di Ungaretti l’opera “Dormire”. E

dall’autunno caduco della metafora del-le foglie, si passa all’inverno di que-sto altorilievo nel quale troviamo il profilo di un soldato a terra, coperto dalla neve. L’uomo è espresso attraverso una figurazione aderente al reale non consueta per l’artista e diversa da al-tre opere in mostra. È in “Dormire” che viene fuori l’idea non tanto della resa, ma dell’attesa che si fermi il fragore della guerra e tutto venga cancellato da un manto di neve fresca, candida, e poi arrivi la primavera. Finalmente poter riposare in pace dopo le inter-minabili veglie di paura. La figura del soldato viene evocata poi da elmi vuoti. Sono copricapi di armature che arrivano da epoche lontane, a significare che la guerra è una costante dell’umanità. Sono elmi cupi come la canna di fucile. Solo uno è bianco. È posizionato dove si trova l’apertura del forte verso il paesaggio, quando si esce a vedere le stelle, potremmo dire citando la “Divina Commedia” di Dante. Il poema del sommo poeta è ricordato proprio da quest’ope-ra, visto che l’elmo chiaro è posizio-nato dentro una forma di barca, come se Caronte dovesse traghettare quest’anima candida di soldato verso l’aldilà.

Bruno Lucchi è nato nel 1951 a Levico Ter-me in Trentino, dove vive e lavora.

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Bruno Lucchi, Si sta / come d’autunno / sugli alberi / le foglie, 2017, semire, ossidi e smalto, installazione, dimensioni variabili

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Bruno Lucchi, Dormire, 2017, semire e ossidi, 80x108 cm

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Bruno Lucchi, San Martino del Carso, 2017, semire, ossidi, smalto e ferro, installazione, dimensioni variabili

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Bruno Lucchi, Beato il popolo che non ha bisogno di eroi, 2017, semire, ossidi, smalto e ferro, installazione, dimensioni variabili

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Bruno Lucchi, Veglia, 2017, semire e ossidi, 56x56 cm

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FORTE DI CADINEStrada Statale 249 Gardesana Orientale38123 Trentowww.museostorico.it0461 230482

TAGLIATA SUPERIORE DI CIVEZZANOTagliata superiore di CivezzanoStrada Provinciale 17, 638121 Trentowww.comunecivezzano.eu0461 858400

FORTE POZZACCHIOFrazione Pozzacchio, 238068 Trambileno TNwww.fortepozzacchio.it345 1267009

FORTE STRINOStrada Statale 42, 74, frazione Fraviano38029 Vermiglio TNwww.sulletraccedellagrandeguerra.itwww.vermigliovacanze.it0463 758200

FORTE GARDABiotopo Monte Brione38066 Riva del Garda TNwww.museoaltogarda.it0464 573869

I forti

FORTE/WERK LUSÉRNDalla Piazza Marconi a Luserna si segue il sentiero tematico che porta al forte38040 Luserna TNwww.alpecimbra.it0464 789641

FORTE BELVEDEREVia Tiroler Kaiserjäger 138046 Lavarone TNwww.fortebelvedere.org0464 780005

FORTE CORNOSopra la frazione di Sevror38080 Valdaone TNwww.valdaonexperience.itwww.visitchiese.itwww.ecomuseovalledelchiese.it0465 622137

FORTE LARINOStrada Statale delle Giudicarie38087 Sella Giudicarie TNwww.valdaonexperience.itwww.visitchiese.itwww.ecomuseovalledelchiese.it0465 622137

FORTE COLLE DELLE BENNEA 2 km dal centro di Levico Terme38056 Levico Terme TNwww.visitvalsugana.it0461 727700

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Le gallerie

BOESSO ART GALLERYVia Maestri del Lavoro 1, 39100 Bolzano 349 7397646 [email protected] www.boessoartgallery.it

BUONANNO ARTE CONTEMPORANEAVia Marchetti 17, 38122 Trento 333 9133314 [email protected]

ANTONELLA CATTANI CONTEMPORARY ARTRosengartenstrasse 1a, 39100 Bolzano 0471 981884 348 3142391 [email protected] www.antonellacattaniart.com

CELLAR CONTEMPORARYVia San Martino 52, 38122 Trento0461 [email protected]

PAOLO MARIA DEANESI GALLERYVicolo dell’Adige 17, 38122 Trento 348 2330764 [email protected] www.paolomariadeanesi.it

GALLERIA DORIS GHETTAPontives 8, 39046 Ortisei BZ393 9323927 [email protected] www.dorisghetta.com

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GIUDECCA 795 ART GALLERYFondamenta S. Biagio 795, 30133 Venezia 340 8798327 [email protected] www.giudecca795.com

STUDIO D’ARTE RAFFAELLI Palazzo WolkensteinVia Marchetti 17, 38122 Trento 0461 982595 [email protected] www.studioraffaelli.com

STUDIO 53 ARTECorso Rosmini 53/5, 38068 Rovereto TN338 1082480 [email protected] www.53arte.it

TAN-ARTStrèda Roma 66, 38031 Canazei (TN)0462 [email protected]

VALMORE STUDIO D’ARTE36100 Vicenza Contrà Porta Santa Croce, 140444 [email protected]

CASA D’ASTE VON MORENBERGVia S. Marco 3, 38122 Trento 0461 263555 [email protected] www.vonmorenberg.com

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Giuseppe FerrandiDirector of Trento Historical Museum Foundation

ARTE FORTE is re-proposed in the centenary year of the end of the First World War and it is confirmed, in this second edition, as a project of great cultural and artistic interest.It is not an absolute novelty to seek the useful enhancement of the fortified herit-age of Trentino through contemporary art, but surely ARTE FORTE greatly amplifies the importance of that relationship and con-solidates it. Obviously, the experimental dimension remains, i.e. the will to rein-vent the use of these structures designed and built for war purposes. Structures and spaces that were not born to host cultural events, installations, works of art re-quire the artists and those who have cu-rated / designed the exhibition to adapt their inspiration, while starting from those places of history and memory: from their essentiality, from the play of light and darkness, from the closures and the openings towards the external landscape. And that is the only method to bring about both respect of and attention to the ex-periences, memories, and stories of which those forts are the expression.

ARTE FORTE is also an opportunity for col-laboration and dialogue between public and private sectors. It is a significant way of how different needs can be kept together. It has been successful because those needs are united by the sharing of a cultural project.

On behalf of Trento Historical Museum Foun-dation, the leading institution of the Cir-cuit of the forts, I express my complete satisfaction with the results, which is ev-ident in this catalog and in the documen-tation it offers.

2018, the year of the Centenary of the end of the First World War, is a year full of initiatives, proposals, opportunities to re-read what happened one hundred years ago. Contemporary art can give a great con-tribution in that sense because it is the bearer of radically different languages and approaches, in many cases unrelated to the mechanics of the construction of memory and to the public use of history.I am convinced that this plurality of nar-ratives and experiments be able to guaran-tee both quality and adequate discontinuity to the reflections on the legacy of the Great War and of the conflicts that marked the twentieth century.ARTE FORTE testifies the direction we would like to undertake and all this is linked to the important goal achieved this year with the award to Forte Cadine, which acts as the information point for the entire Circuit, of the “European Her-itage Label”.In conclusion, we do need Europe, and Eu-rope needs to increase its cultural and educational commitment to its own citizens.

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Chiara ComperCIRCUIT OF FORTS IN TRENTINO

Fortifications, trenches, look-out posts and military paths have been left as evi-dence of the past characterized by a sys-tematic project of territory defense dat-ing back to the period of Austro-Hungarian rule.This important legacy left over to Trentino has long been subject to recovery and has been recently returned to the community.There is not only architecture, but there-are men, stories, words and narrations that take on a new form through the valorization and promotion project of the Circuit of the Forts of Trentino, sponsored by the Autono-mous Province Culture Department of Trento with the coordination of the Trentino His-torical Museum Foundation.The project is aimed at demonstrating that such places, denoted in men’s minds for their tragic past and with their usual im-aginary bleak characterization, can nowa-days indeed represent an incomparable in-strument for the diffusion of knowledge and of memory thanks to the contamination of different forms of art.

For this purpose, thanks to the syner-gistic work of several different persons, the Cir-cuit offers the possibility to discover those structures heterogeneous for their age and type of construction, and doing so it puts forward a path both suggestive and stimulating from a purely

historical-architectural point of view and from an emotional one, thus allowing the visitors to perceive the special atmos-phere that brings to light the past cen-tury tragic events without ever appearing too invasive.The loopholes, the thick walls, the walls of bare stones are heated by evocations, by lights and shadows narrated through the different artistic forms: from dance to theater, from art to singing, while giving new perspectives and new voices to those mute and silent stone sentinels.

ArteForte represents the virtuous exam-ple of an encounter between competences that allow a unique experience of a visit, where art, outside the conventionality of specific environments, feeds on values in reference to the place in which it is con-ceived and is subject to strong stresses that stimulate the artist as much as the visitor to a faraway look, outside of their own security area.

This exceptional context of a widespread exhibition triggers different reading keys that span on the one hand from the rela-tionship with history and memory to the reinterpretation of architectural spaces, and on the other hand from the discovery of the territory to the understanding of themes intrinsic to the place.

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Giordano RaffaelliPresident of Triveneto area of ANGAMCOwner of Studio d’Arte Raffaelli

It has been a great pleasure to have fol-lowed, step by step, the realization of this second edition of ARTE FORTE, in con-tinuity with the exhibition experiences held in Forte Strino from 2003 onwards in collaboration with Patrizia Buonanno, and with the first exhibition in eight forts of Trentino in the summer 2016.

In 2018, ARTE FORTE counts ten forts, which are the protagonists of the successful project I proposed two years ago to the Autonomous Province of Trento - Cultural Activities Service and to Trento Histori-cal Museum Foundation. The success of this initiative is primarily due to the collabo-ration between the Institutions and private art galleries through the category associ-ations of the ANGAMC (National Association of Modern and Contemporary Art Galleries) and ASPART (Association of Gallerists of Trentino).

Too often we lose sight of the role that the private galleries play, with their own resources, in the discovery and promotion of art and artists, with identifying and

recognizing their talent well earlier than museums.

ARTE FORTE has the great merit of high-lighting that aspect, thanks to the suc-cessful collaboration between public and private sectors, and through the comparison of the contemporary with places full of history and suggestions, places very often difficult to interpret and contextualize in the present.

Finally, many thanks go to the enthusiasm of the artists, who have created and set up, for this edition, a widespread exhibi-tion path, coherent with the theme proposed by the curator Mariella Rossi “Waiting for the Moment”, by using a wide variety of expressive means always capable to arouse amazement and reflections in the public.

Therefore I wish ARTE FORTE to continue in the next editions, after the commemoration of the centenary since from the end of the Great War, and to carry forward a message of cultural growth that could be able to overcome all the conflicts.

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Patrizia Buonanno President of AspartOwner of Studio Buonanno Arte Contemporanea

It is with great pleasure that as the owner of the studio of Contemporary Art and as the President of Aspart, I participate in the second edition of ARTE FORTE.Having started the idea of exhibiting works of art in a fort (Forte Strino) already in 2003, it fills me with great pride for hav-ing intuited when it is important for art-ists and operators, who deal with culture, to put into relation both the strength and the symbolic power of a place which hosted the tragic events of the War but also the contemporary message.Therefore, I thank Giordano Raffael-li, the creator of ARTE FORTE, who has gained an extraordinary experience and has spread it around by involving ten forts, twelve galleries and nineteen art-

ists in this review entitled “Waiting for the Moment”.

The purpose of our association is to promote contemporary art and to act as a dynamic and interactive point of reference on the ter-ritory, both by working to make more easily accessible what the territory already of-fers, and by stimulating the interest of the public, and by encouraging meetings between artists and admirers of art, and by promot-ing parallel initiatives with private and public galleries, and museums in order to create that cultural impact that art brings about as its own peculiarity.With this initiative, once again, we have hit the target.Therefore, best wishes to ARTE FORTE!

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Camilla NacciCoordinator of ARTE FORTE

Equilibrium is the key concept for the re-alization of a project like ARTE FORTE.

In this balance, the lives of the past and the lives of the present get aligned. Not only the stories of those who inhabited the forts, but also the stories - which Fiorenzo Degasperi mentions in his text The sentinels of stone. Silences, shadows and works of art - of those who were born in the same areas, long before they had been destined for war; not only the stories of the visitors, who interrupt their daily routine today and visit the places that cannot leave them indifferent, but also those of the artists, who more than all the rest, through a language that recognizes no alphabets, can grasp and restore their essence.

In its second edition, after giving voice to the Babel of Languages and Symbols Relat-ed to Conflicts, ARTE FORTE puts its center even more on the people, men and women of that time and of today who are ‘waiting for the moment’.Indeed, it is a precise moment, which evokes the Centenary of the end of the Great War, and raises hopes for the end of all conflicts, without ever mentioning the word “war”; ARTE FORTE goes in this direc-tion, thanks to the institutions entrusted with the control of the forts, a control that meant the forts upgrading and redevel-opment both in terms of architectural res-toration and their maintenance, and above all, in terms of cultural enjoyment.This is also the direction taken by the private art galleries, to which goes the great merit of knowing how to choose and propose the most suitable interpreters to successfully deal with the memory. A mem-ory that does not close in on itself, but projects itself forward, in a waiting mood.

These balances are guaranteed by the cu-ratorship and by the organization, which employ transversal knowledge and skills, in order to create a close network of col-laborations. This goal is well represented by the coordinated image chosen for this edition, i.e. a set of intersecting points

and lines that trace their way on the “Path to Peace”.

Connections between persons, which I would like to thank by name, one at a time, start-ing from Giordano Raffaelli, the creator of this format, of which he has developed the great potential, and to Patrizia Buonanno, for having bet on the combination between art and forts since 2003 in Forte Strino. Thanks to the Cultural Activities Service of the Autonomous Province of Trento in the persons of its Director Claudio Martinelli and Dr. Elisabetta Piva and Gloria Preschern; thanks to Trento Historical Museum Founda-tion, and to its Director Giuseppe Ferrandi and to Dr. Chiara Comper, the latter be-ing personally involved in the organization. Thanks to the ANGAMC and Aspart Associations and to the galleries that have joined in the project, thus believing more in collabora-tion than in competition. Thanks to the LABA Academy of Torbole from which the works of Silvia Bernardini and Daniel Pedenzini arose and gave life to the graphic concept pres-ent on all the materials of the exhibition. Thanks to Fiorenzo Degasperi, for enthusias-tically accepting to contribute a text that stimulates a deep reflection on the points of intersection between past and present. Thanks to the curator Mariella Rossi, the person most suitable to fill that role both for her great ability to establish links, to “read” the artists’ works and to write about them and for her empathy with the public and for her dynamism in moving on the ter-ritory, for knowing its stories, history and geography.And last but not least, many thanks go to all the artists invited to ARTE FORTE, whose works placed in the forts are the true protagonists of the exhibition.

The images of the stands and productions, and of all the texts related to ARTE FORTE are collected into this book, which does not want to be a mere accompanying catalog, but aims to be the final mature product of this marvelous project, which shall remain over the time as evidence of the work and balances built and reached by the group together.

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The Sentinels of StoneSilences, Shadows and Works of ArtFiorenzo Degasperi

«[…] I have never been much attached to life».

Giuseppe Ungaretti, Veglia, 3 December 1915

Suddenly something arises in the clear-ings of sleeping forests between impervi-ous walls, or emerges on the top of steep gorges: it is the sentinels of stone. Doz-ens and dozens of Austro-Hungarian forti-fications, erected to Ares, the god of war, along the borders of a rugged land. When they built them they forgot that in each of these places there was already an ancient and archaic presence, legendary or mytho-logical, fairytale or extraordinary. Wheth-er it is the imprint of the hand of San Vigilio at the Bus de Vela - the fort rises at a few meters’ distance -, or the deadly moan of Klaga (a bird crying like a child who must die) fluttering over the Fort of Belvedere in Lavarone, or the brigand Paol Pe’ who lived in a cave at the Forte Strino in Vermiglio or the ogre of Pozzacchio, the stones and the iron of these fortresses have absorbed, trampling on it, the spirit of the genius loci.Cannons, machine guns, rifles, hand gre-nades and mortars broke the thin threads that connected the nocturnal inhabitants with the diurnal ones, real or legendary, who presided over the happiness and harmo-ny of that place with the whole world. Yet, the people coming from the south had to know - the Roman gods had taught it to them - that the greatest misfortune that have always threatened men is to live on a land abandoned by its gods, and therefore devoid of its center. And it is what happened on our mountains when the sound of cut tim-ber, of the stones carried from afar, of the molten iron in the mother earth mixed with the need to defend not a land, not a homeland, not a heimat, but simply a power.It is the night, when the moon’s rays cast a spectral light on nature, even when the newly arrived wolves are silent and intim-idated - in a place where man has freed his own animality, much worse than that of the wolves themselves - and the bears stop ruffling to the sky and decide to walk on

all four legs, that the sirens of the forts, the forgotten Anguans, enchant the careless pilgrim with their melismatic songs. They sing sad stories, supported by the greed of three-formed Hecate, the goddess of the night, of the ghosts, of the dead. She is the witness to human stupidity, impotent spectator of the greed of the man from the south. She - who had never taken care of either stars or uniforms, always privi-leging the pure blood that does not speak different languages and dialects, she, who will be called Morrigan, Yama, Freya (like Fraselle, the valley of the Lessinis or the bloody top Fiorazzo that divides Valsug-ana from Asiago plateau), Ceres, Kalì - was amazed to observe how thousands of men bloodied the white limestone and dolomite walls, or the icy and snowy winter, to be enabled to plant a piece of discolored fab-ric that had nothing to do with the hand-kerchief embroidered by their mother with patience and love.Nothing better than the anticipatory scream of Edvard Munch has ever managed to concen-trate man’s absolute and universal despair.

Soldiers who did not want to fight come up from the plain, coming from the sun-drenched islands of the Mediterranean, unaware of the enemy they fought against (and even worse, for what), bent over with fatigue and their ears plugged not to hear the death scream of the neighbor, of the friend, of mules, donkeys and horses. These attacks resembled the wild hunting that for centuries had terrified the people of Tren-tino. That army of dead men, skeletons, bones and animals commanded by the Beat-rik – the shamanic personification of the figure of Theodoric the Great, who later on became the witch of the buon zogo (good play), or Diana, during the fires raised by religious fanaticism - terrified the people of the Alpine arc announcing her arrival with the uncooled screams of black dogs and the disruptive sound of the horn. A host of that kind was usually sighted in the period between Lent and Easter: it came out from the rusty gates of abandoned manor houses and crossed over the decayed drawbridges of the castles that had become ruins. Beside the dozens of legends throughout the Al-

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pine territory, to document the phenomenon of wild hunting there is also an ecclesias-tical document, the Chronicon of the abbot Reginone of Prün, which preaches the rejec-tion of the dianaticus, the pagan ritual in which the goddess Diana goes around in the night with her host.Of the hundreds of fortresses that circle the land of Trentino some have been com-pletely restored and given to the public (and to culture) to let people understand history, not forget it and keep the memory alive: a dozen forts became the museums that offer space so that one can sing, play, talk, show himself.Of the stubborn will and perseverance of Giordano Raffaelli of the homonymous Art Studio, was born ARTE FORTE, a few years ago: several art galleries have joined in and made the sirens enchanting death leave the space to the creativity of the artists who bring their works there - sometimes built specifically for the fort that hosts them -, full of feelings from the heart and the soul. With their brushes, pencils, chisels, gouges, presses, irons, steels, woods, papers, canvasses, videos and mu-sic, they are to mend the break with the genius loci, in order to rediscover the thin threads that tie the low with the high and vice versa. It is they, the artists, who have understood that the loss of the sense of place coincides with the progressive de-tachment of man from nature and history. Thus, they reproduce forms and volumes rich of memory, memories and sensations, inves-tigating new and ancient languages. From these works, springs out the awareness of being a person who has not surrendered and does not want to surrender to that ration-ality that alone led - yesterday as today - to exterminate people, peoples, ideas.Although the present works are different and divergent - at each fort an artist and a gallery, a language and a choice of how the world is interpreted - all are united by the tension in overcoming the tragic and by making that, through matter, the boundaries are melted, the barriers are broken down between man and nature, between the divine and the human, between the savage and the civilized.The colors and shapes, sounds and images thus invade the interiors of these for-tresses, highlighting, camouflaging, en-hancing or hiding hidden places that close-ly resemble the dreadful prisons / Babels dreamed of and designed by Piranesi. These forts are the song of the modern civili-zation that no longer represented anything

even the Minotaur had left, mourned by the writers and artists of Central Europe. The passion for the day, the dawn or the sunset has replaced the love for the night,and the light has become the nightmare of the white moonlight. There, in those corridors, in the halls, in the basements, in the caves of the Cimbrian Forte/Werk Luserna, Forte Larino in the Giudicarie, Forte Corno di Valdaone, Tagliata superiore di Civez-zano, Forte Colle delle Benne in Levico or of Forte Garda in Riva del Garda, the night dominates, is the master, has driven away even the shadows, so black is that black inside and the night generates only ills and pains. Who knows, if the soldiers closed there like so many animals in their protective shells, hammered day and night by the incessant bombardments that have driven even the bravest ones crazy, felt like William Blake when, thinking of the devil, lord of the world, wrote in rhyme: «Rose you are sick: / the invisible worm / that slides in the night / when the storm is screaming / has discovered your bed / of purple and joy / and its love, dark and secret, / destroys your life» (“Songs of Innocence and of Experience”).The spirit of art is added to the previous ones, to those that existed before man had set foot there, infusing the world of ar-cane presences.So the sound and electronic art of Fausto Balbo bring to the surface, the pallor of everyday anonymous things as were those big rooms furnished only with dripping wa-ter, mold and limestone,while the New Yorker Bäst, with its col-lages and icons born along the streets and avenues sings the liveliness of those who do not want to surrender to the boulder of consumerism.Manuela Bedeschi fascinates us with her world of neon light, a light of a thousand colors aimed at expanding or resizing the space around us, while the colorful signs ofSilvio Cattani will have to fight with the night that winds through the fort: a flick-ering sign that will have to impose itself on the tragic scenes of death.The sculptures of Federica Cavallin propose a material well known to the spirit of the forts, i.e. wood: that wood that surrounds and hides the fortresses, which retains the breath of the wind and whose wooden wrin-kles - ogam, the wooden writing, so the Celts call it - can narrate much more than the very word. The artist had already told of man and war a few years ago. Today her

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characters turned in on themselves do not have the courage to look the viewer right in the eyes. Never a more meaningful mes-sage was transmitted by using only one line - the body line - which curls up on itself. Giorgio Conta also relies on wood. He stag-es human figures with graceful colors that remind us very much of the popular putti and the angels of the churches of Non and Sun Valleys.Ruth Gamper traces the footsteps (and the spirit) of the post-war “recuperators”: he collects waste materials, assembles them, frees them from their original forms to transform everything into elements that narrate the desire to live beyond the appar-ent consumerist death; that is to say that beyond physicality still remain spiritual-ity, essence, ideas.Annamaria Gelmi’s structures, like those of Eduard Habicher, expand in the essential, squared and poor space, reinventing it: an-gles and push-ups, and geometric shapes that touch the vitality inherent in the almost zero degree of communication. Their works will offer all their wealth during the night, when the public will no longer be present and the space will be occupied soon by its ghosts hidden in the iron and steel structures that in tons have covered those houses with an unlucky fate.Cecilia Gioria, a photographer, entrusts that technique with the task not only of capturing suffering but also of filtering it through different types of language so that the photo becomes both an object and a cure. From this approach to the world, her artist’s books are born in which objects of the past are collected and revisited.On the skin of the women and men of Bruno Lucchi, born of the earth and the fire, the words of sacrifice and suffering are writ-ten (dug). Death and life, fire and air are closely linked and enclosed in the great Pietà Group.Instead, they are explosive figures - from the colors used to the themes dealt with - those that Udo Rein presents, linked to the theme of Krieg und Tod, of war and death. The colors collide, overlap, collapse, of-fering us the metaphor of the dissolution of any firm and sure reference to make room for the swamp of loss and disorientation.Denis Riva’s standards are delicate, almost ethereal: they seem to be out of place here

where stiffness, roughness and aridity are the masters. The natural and human land-scapes of the artist instead sing of poet-ry, melody and pleasure, of elements that do not know borders and ends.Explosions, implosions, non-violent, non-deflagrating, are the works of Flavio Rossi, obsessed with symbols and meanings: the past that returns between psychology and history.Corrosion, the unfinished, primitive and primordial exile are instead the sculptur-al characteristics of Hermann Josef Rung-galdier: in that way he succeeds in combin-ing the sacred and the profane, extracting the soul of man from the soul of matter. A soul too often forgotten, lost, offend-ed. Where was God in those years? No, he had not escaped, he had withdrawn into the hearts of every soldier, into their souls. Certainly he was not to be found among the stars of those generals who sent thousands of their men to death. No, definitely God was not there.Peter Senoner and Matthias Sieff are two wooden sculptors, although the former does not disdain polished aluminum castings to stage his characters. Both tell, through the emphasis or the compression of their forms, the eternal debate between rationality and irrationality, between reality and dream.Willy Verginer, between the creation of woods, the proposition of animals and the attendance of people born of wood, comes across the use of color, recovering, in a certain sense, the ancient pictorial and sculptural tradition of the Val Gardena tradition of sculpting while depicting. Emotional works that adapt well to the sur-rounding environment that exudes, after a hundred years, the yearning for life.With Jacques Toussaint we return to the global and all-encompassing art in which the artist highlights multiple techniques and materials, from paintings to tapes-tries, collages, sculptures, luminous in-stallations, etc. looking for asymmetries and dynamic symmetries that reflect a fre-netic and swirling world.And when the sun sets and the iron doors close on these forts, there the world of shadows leaves room for ghosts and fears, and the moon peeps: it is time for silence, time for death, it is the time in which consciences should speak.

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Waiting for the MomentMariella Rossi

Wait up. A primary school girl, in pant-skirt, her hair gathered in a bow as her mother likes it and she likes a little less, runs on her pink bicycle, of the Graziel-la type (the same name as her teacher’s, while the teacher Patrizia teaches her art), rides towards the monument: she has an appointment with her friends just there, like every afternoon, after finishing her homework. She does not take long to arrive, it is just at the end of the street where she lives, that she calls the “little road”. She always comes first. And she waits.While waiting, she plays alone on the low walls of the monument, where she nev-er sits, but walks by touching the curved walls. Then she stops standing to play with the profiles of the embossed writings on the walls. And she reads what is written. She reads it and reread it endlessly, every day, every time she meets her friends and even when she goes and plays alone, again and again.Names and dates. Many surnames are repeated the same and she has already heard them in the village, while the names are often strange to her ears, no one in his school takes them. For each of them she invents stories, professions, families, experienc-es. Every time new ones. She imagines lives for them.The pink bicycle has become a white car. This too has a woman’s name, but less glam-orous, Fabia. The driver was the very child who has now grown up and has just taken the driving license. Her grandfather taught her to drive, who now asks her to accompany him. Grandfather loves to write, especially of local history. And he also paints; he has taught art. The road is narrow, often in the rock, and she is not familiar with driving, but she takes courage and grand-father explains the secrets of maneuvering in these road conditions. They reach their first destination, to which others will follow that day and on subsequent journeys. It is a mountain village that she had never seen and had never even heard of. They get out of the car in the little square, then they approach the church. They seek it, they find it. The monument. He asks her to write down the names written on the marble. This time there are surnames that she does not know. This time she does not caress the embossed lettering with her fingers,

she does not have much time to imagine. A thought alone, so many seem these names, more numerous than the handful of narrow houses that she sees in front of them. Another thought, the writings repeat the reference to eighteen years, as many as her age then. Grandpa takes photos. The monu-ment from nearby, from afar, a zoom on the names. And she keeps waiting.

My moments, personal. I never thought of writing something of myself in a critical text, in which we concentrate on describing and transmitting what others (the artists) do for others (the viewers). We are used to translating works, to be a means. No protagonists. Instead, identification is at the basis of the ARTE FORTE project. It in-volves everyone, the artists, the visitors, we who work on the project.

The experience of the first edition made it (i.e. this identification at the basis of the project. Translator’s note) clear to me and this second edition immediately reiterated it. I remember two years ago an artist who, in front of his video work, told an episode of his family linked both to the war and to the piano art that had saved one of his ancestors’ life from the war. A short while ago another artist, while he was writing neon signs, could not help remembering the episodes of war that touched his family’s heart. The war is so close to us, even if we hardly ever think about it.Identifying ourselves is even more than un-derstanding, said the German philosopher Robert Vischer. The German term, used in his treatise on the nineteenth century, is Einfühlung, which the English translates literally as in-feeling and we Italians as identifiction and empathy. It is said that he was the first to use that term, that he was the one who coined it and then Theodor Lipps used it in the title of his essay on aesthetics, but Aristotle in the “Poetics” does not mention but already describes the mechanism of identification, speaking of the theater and saying that spectators and actors feel oμοιοι (read omoioi, transla-tor’s note), similar in being exposed to the inclemency of life weather, a life lived or to be lived. For Aristotle this led to the understanding of the most authentic life,

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according to a process that he identified as katharsis, a sort of clarification, not an annulment of the self in order to feel the other, as Freud said in further devel-oping the concept of empathy taken from Lipps. More in agreement with Aristotle was Edmund Husserl, who spoke of identifica-tion as «overcoming the vision of one’s subjective world to be enabled to reach the vision of the objective world».I wondered where this urgency of identify-ing comes from, an urgency that character-izes ARTE FORTE unlike other exhibitions, unlike understanding and feeling emotions. It is born of the fact that the exhibition takes place in the forts where persons in-habited.Yes, it is true, ARTE FORTE triggers this mechanism of penetrating inside the works, inside the fort, inside the lives of those who have inhabited the fort: it penetrates more and more deeply into the dimension of the universal. It is the people who have lived inside these war architectures and not the buildings themselves that are the protagonists of the exhibition project to-gether with the works of art. They are not frightening ghosts, but street companions, omoioi who lead us along the path of knowl-edge that is activated by the exhibition. I like to think that - like when I was little and imagined endless lives for those names I read on the walls of the monument to the fallen of Cunevo - for these people each artist indirectly lights up a new life, in the same way as a new thought is stimulated in every visitor.The Austro-Hungarian Forts of Trentino were not deserted deposits of arms, but posi-tions in which soldiers spent long periods. Interminable moments. The days seemed like months, the months seemed like years, the years seemed like ages.

Today the artists feel love and hate to-wards the forts in which they are invited to exhibit for ARTE FORTE, because these structures are fascinating, but at the same time they are difficult environments for exhibitions, damp above all, dark, some-times cramped, inhospitable. Yet the young soldiers were forced to live there for a long time, for days identical to one an-other in which the only thoughts were their moments outside those tunnels.It is precisely to those people, to their lives, that this year the title of the

2018 edition of ARTE FORTE “Waiting for the moment” is inspired. The moment is a very precise episode, a very short peri-od of time defined by its importance in the temporal succession in characterizing the turning point of a story. Instead, the days were suspended in the long im-mutability of positions at the front and in the repetitive daily routine of the “inmates”. Unexpected were small gestures that in the lives of the soldiers took on particular value. Then there was the yearning for seeing their families, for returning to their country, for meeting the beloved ones again and, on the other side, corresponded an equally great de-sire of their families’ to reunite with those soldiers who were waiting for them, unfortunately often in vain. The lives of those young people then remain attached to monuments scattered in the villages, once again imprisoned, if a child girl does not come and imagines beautiful lives for those soldiers.

This time, there is not this term in the title of ARTE FORTE, I mean the term ‘con-flict’, even if the expected moment may be that of the end of the war reminded by the Centenary. It is also the moment of ab-solute peace, which in reality has yet to come and, perhaps, will never come.

These are some of the many suggestions that this year we offer to the artists of ARTE FORTE, having decided for this new edition to penetrate even more into the lives of those who inhabited our forts recalling the idea of time, after having evoked, in the first edition, the Babel of dialects and languages as a symbol of the interactions and contradictions triggered, especially on our territory, by the war.That of the passage of time is a ques-tion that has always involved artists, as well as philosophers and philosophies, in different areas, from linguistics to aes-thetics passing through existential phi-losophy, from the ancient Greeks to Hei-degger up to today, highlighting different points of view. The current era is that of a contracted time, of the “all-too-soon”, of the moment to be shared immediately so that it does not vanish. The exhibi-tion inside the forts triggers, instead, an intense sense of identification and empathy.

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FORTE DI CADINEThis fort, planned by Major Gustav Hermann of the Trento Corps of Engineers, is part of the permanent group of Austrian fortifica-tion which defended end enclosed the main connecting routes of the regional capital.Conceived together with the blockhouse Doss Sponde this fort was intended to form a rampart barrage, straddling the descend-ing road from Cadine to Trento: it was in fact the end of the line of defence that started from Bondone and crossed Candriai and Sopramonte, where the bunkers of Cam-pozin and Mandolin were positioned.The construction is made of well-worked red limestone ashlar, in bridge form, upon the rock of the gorge around the Vela stream. It had casemates for artillery, tunnels for riflemen and placements in barbette. The main guard is formed by three placements for heavy artillery and two places for ri-flemen. An external courtyard accessed the kitchen and captain’s sleeping courtyards, meanwhile there was access connecting the fort to the casemate Doss di Sponde.In 1915 it was disarmed and the artillery was placed nearby. Between 1918 and 1949 it served as the powder magazine of the Italian army. Occupied by the Germans in the Second World War, in April 1945 it was subjected to a failed attack by a resist-ance group.

PAOLO MARIA DEANESI GALLERYFounded in Rovereto in 2005, in 2012 the Gallery moved its headquarters to Trento, the birthplace of its founder Paolo Maria Deanesi. Since its first steps, the Gallery has been focusing its activity on the new languages of contemporary art by proposing and promoting emerging national and inter-national artists working with the most dif-ferent means: painting, drawing, photogra-phy, video, installation and sculpture.Besides, in running his activity, the Gal-lery did not neglect the opportunity to give a careful look at and a consequent support to artists from the Trentino area, selecting some young excellences - Jacopo Mazzonelli and Michele Parisi - with whom a fruitful working relationship was estab-lished.

The exhibition activity in the gallery has supported the promotion of artists through the participation both in important na-tional exhibitions - ArteFiera Bologna, ArtVerona, Artissima Torino – and in inter-

national ones - Volta Basilea, Arco Madrid, while establishing partnerships with pub-lic and private museums.Among the recent exhibition projects to which the Gallery turned out to be both a promoter and supporter are: in 2011, the solo exhibition “Living Rooms, a Survey” by Diango Hernandez at Mart in Rovereto, and solo exhibitions by Federico Pietrella and Robert Gschwantner at the MAG of Arco of Trento; in 2014, the solo exhibition “(ex-tra)ordinaire” by Antonio De Pascale at the Musee d’art Contemporain Saint-Martin de Montelimar (France) and in 2015, the exhi-bition project “Albanian Trilogy: A Series of Devious Stratagems” by Armando Lulaj at the Albania Pavilion of the 56th Biennale of Venice.

GIORGIO CONTAThey draw from the classical tradition the inspirations that Giorgio Conta took to re-alize his new work “Nosce te ipsum”, know yourself. The sentence is the Latin trans-lation from the Greek inscription ΓΝΩΘΙ ΣΕΑΥΤΟΝ (gnōthi seautón), which appeared on the architrave of the temple of Apollo at Delphi. The imperative that invited the man to be aware of his own limitations and finitude with respect to the deities was given in the place that housed the famous oracle of Delphi, consulted to get respons-es on what should have happened. The ref-erence of Conta suggested by his choices in the construction of the figure is also referred to a Roman mosaic dated between the first and third century B.C. and kept in the Church of San Gregorio in Rome, which, starting from the Greek expression, built a memento mori by using the representation of a skeleton in a horizontal position. Conta does not take this representation of mortality from this mosaic, but only the torsion of the pelvis which instead applies to the muscles of an idealized human body.The physique that Conta carves refers to the idea of beauty typical of classical Greek sculptures, but the position remains that of the skeleton, horizontal, therefore far from the traditional position, moreover facing downwards towards a mirror. The act of mirroring oneself reminds one of human imperfection, so that beauty will vanish, while life is short.Conta chooses not to finish the sculpture all round so that the wood expands from the profiles and the wooden portion coming out from a shoulder can recall divine wings,

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certainly only sketchy because, as the ti-tle of the work says, man is not divine. «Man is half a prisoner and half winged», wrote Paul Klee in his “Notebooks”. Of the famous German artist was also the hero with a single wing, Der Held mit dem Flugel (1905), a hero impotent and deluded like the soldiers inside the forts, waiting for the second wing to take shape and the flight to take off. The other sculptures on view are also roughly outlined, with the human figure as linking thread. These sculptures are three

pieces: a man, a woman, and a child. A per-fect family to all appearances, but jagged looking behind the facade. The shoulders are not even rough-hewn and stretched are the woods of different colors, of different profile and length. The impression is that even they can sprout out their wings at any moment in order to escape from any war that could divide them.

Giorgio Conta was born in Cles (1978) and studied at the sculpture school in Ortisei. He lives and works in Val di Sole (Trentino).

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TAGLIATA SUPERIORE DI CIVEZZANOThe Civezzano Obere Strassensperre was a wall construction placed on present day state road 17 between Civezzano and Cogno-la. It had only one level, with placements for riflemen and machine-gunners aimed at the road and 13 loopholes for riflemen on the defence side (fronte di gola). Made of squared limestone and remodernised in 1914, the fort became a powder magazine and was ultimately dismissed by the Italian Military Property Office.

STUDIO D’ARTE RAFFAELLIStudio d’Arte Raffaelli began its exposi-tional activity in 1984, primarily follow-ing the line of painting in its most con-temporary aspects.The gallery displays several of the biggest Italian, European and American artists of the last twenty years, annually shows the work of young artists and participates in the most important fairs.In 1991 the Studio approached African Con-temporary Art, exhibiting the artist Chéri Samba for the first time in Italy. It con-tinues its search into South African art-ists, for whom it was the curator of the International Art Biennal in Rocca di Cast-agnoli (SI) in 2007.Each exhibition is conceived together with the artist and with a catalogue published for the occasion. Giordano Raffaelli has initiated cultural relationships with im-portant international entities: the Art Museum of Wolfsburg, the Tate Modern of Liverpool, Iwalewa-Haus in Bayreuth, the Nationa Gallery of Modern and Contemporary Art of the Republic of San Marino, MACI in Isernia, GAM in Bergamo and Bologna, MACUF in La Coruna, IMMA in Dublin.

BÄST, WILLY VERGINERThey are tipi mutati, in English mutated characters, so Bäst calls the characters of his portraits. They are collages on pa-per which consist of stealing cutouts and colors first brightened by mass culture and then, often, thrown again into mass cul-ture, having the habit of sticking them onto the walls of New York buildings. A pseudonym and pseudo-portraits of this artist’s who has 32.3 k followers on In-stagram. On the social, we are used to recognize his pseudo-me, to continue the word game,- that is his alter ego: a puppet

that in short ironic videos simulates the life of the artist, when he creates, when he enjoys himself, but of the real one, as often happens with street artists, nothing is known to us, except that he is based in Brooklyn. Perhaps the portraits of Bäst are possible self-portraits, perhaps they are masks to hide behind. The most fascinating hypothesis on the term mask traces the et-ymology back to a pre-Indo-European root, and atavistic is the use of magic-ritual masquerading, for dissimulation and con-cealment, in theatrical performances (in ancient Greek and oriental theater, for example), for fun (thinking of Venetian, Trentino, and most of all Ladino carnival masks), but also for war purposes to rouse fear in the enemy. Often Bäst masks recall those of the clowns for the use of a red dot instead of the nose. Indeed, the clown is the mask standing halfway between cheerful and sad. In this sense, the artist’s idea of mutation fits well, but rather than a change that has taken place, one seems to be talking about something in progress, or waiting for the future. The clown tells of a bitterness, a difficulty to adapt to a different situation. New York itself has changed and society, more and more wary and laid down, is being changed as well.On the changes, on the moments we have to wait, also Willy Verginer reflects with a completely different form of expression, in real-life wooden sculptures, which own a re-alistic look. We could call them monuments adrift as is the direction of our Western society. He portrays scenes in which there are often represented oppositions between the world of nature and the world of the man all taken by his getting gains - oppo-sitions represented by oil drums.Even Verginer in a sense refers to the mechanism of the mask as he covers his fig-ures with dark backgrounds that may recall the tribal camouflage techniques. And even Verginer stages a sort of circus with an immature humanity, represented by children, who try to tame nature and prevail over it, even by biting at it. But a small bird leans on the back of one of the kids, and over-hangs him. Nature remains though, it always survives us, even when peoples repeatedly and repeatedly collide and kill each other. It is she who is waiting for the moment when we will no longer exist.

Bäst is a New Yorker artist.Willy Verginer was born in Bressanone in 1957; he lives and works in Ortisei in Alto Adige Südtirol.

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FORTE POZZACCHIOIt is above Valmorbia, near the town of Pozzacchio. In Austrian documentation, it was referred to as Valmorbia Werk, while in Italian documentation known as Forte di Pozzacchio. Situated 882m above sea lev-el on the right hand side of Vallarsa, it became the central stronghold for the Spil-Leno-Zugna-Torta mountain range, with the main aim of blocking any possible Ital-ian invasions towards Rovereto through the Pian della Fugazze and Vallarsa.The rocky headland had been internally dug up to construct a work of notable mili-tary engineering, unassailable either by the troops or artillery, since it had been built in the rock of a hill in the south east part of Pozzacchio. At the start of the conflict it had not yet been completed, as it still lacked two steel domes which were to be armed with 10cm Howitzers and a covering. An aerial view of the fort shows how it adapts perfectly to the geographi-cal form of the site. The moat is naturally formed by the gorge, which is carved into the rock and which cuts straight across, along the entire hill. The flow of the moat was blocked on the southern side by some rocks to connect the area behind the lines. The excavations in the rocks can clearly be seen and were probably used as a storage area. In the north, a counterscarp ditch made of armoured concrete controlled the moat.For these reasons this fort was considered to be one of the most modern. The under-ground bunker of the Second World War was developed from this idea. Initially it was abandoned by the Austrians but was used again during the Strafexpediton (May 1916) and it was kept until the end of the con-flict, despite the Italian onslaught.

GIUDECCA 795 ART GALLERY Giudecca 795 Art Gallery, on the island of Giudecca in Venice in the sixteenth century Palazzo Foscari, is a point of reference for collectors and artists and represents both modern and contemporary art, with particular attention to the emerging scene.Founded in 2007 by Rosalba Giorcelli and Gianluca Belli, it exhibits painting, sculpture, design, video, photography. With a series of proposals that give space therefore not only to established artists but also and above all to talents to be en-hanced, Giudecca art gallery 795 is an in-ternational showcase in a special location:

a few meters from Hilton Molino Stucky Ho-tel and on the Giudecca island, the most authentically Venetian area.

CECILIA GIORIAThe photographic works of Cecilia Gioria are oxymoronic. They show and, at the same time, they take away from sight. They reveal why they are a self-portrait in which the artist immortalizes herself, but, after re-producing her own bust on the photographic paper, she tore off the face to stitch it back together with stitches and pins, with-out ever returning the original. The result is a self-portrait that no longer shows the face of the author, but distorts it, ruins it, messes it up. Thus, these works tell a process, rather than block a single moment. It is not so much a rebellion against the representation of the real, but of a will-ingness to question one’s own self. Cecilia Gioria is very young (born in 1991); she is in the spring of her life and in this season of the year the seeds start to germinate under the surface of the ground. It is to look under the surface that she rips the photo paper. She wants to understand what is inside herself. Already several times in the interviews she declared that intention, but there is a particular clue that confirms it.It is said that the eyes are the mirror of the soul and each time, in a different way, she tears the face, always removing an eye. This opens a door to penetrate one’s own soul and, when she closes this door, she repositions the eye in another position. Once triggered the act of looking inside oneself, nothing is as it was before, not even the balance.This metamorphosis also recalls the chang-es that occur when one is moving into adulthood. In the spring of life were the soldiers destined to inhabit the fort and enter the war. Young people that could not wait for the moment of passage, be-ing thrown into something much bigger than them. In her self-portraits Cecilia Gioria closes her arms around herself, perhaps as a sign of protection, perhaps instead to confirm the body as a symbolic prison.Cindy Sherman manages to escape away from her body. She is the artist to whom Gio-ria says to look. Sherman is famous for her self-portraits, in which she is never herself, but she makes herself up and is disguised as someone else. The process of reflection on herself as witnessed by Gioria in those works is expressed also through the use of the word, present, in a different

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way, in the eight works of the series. Not words that the viewer can grasp, but notes of introspection, of a passage, while wait-ing for the moment to become someone else.

Cecilia Gioria was born in Alessandria in 1991; she studied photography at the Europe-an Institute of Design in Milan. She lives and works in Casale Monferrato.

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FORTE STRINO This fort is named after the river that flows close to Vermiglio in the Sole Val-ley at 1400 metres above sea level. It is a compact structure with two levels in the form of an isolated L-shaped bastion. Its aim was to block the new Tonale road. It was immediately evident that there were flaws in their defence strategy regarding the eventuality of frontal breaches (from the old road and old paths) and outflanking (from Forcella di Montozzo). Even if the defence barriers were weak in this area, the Austrian military didn’t take the cor-rective measures, not even after the annex-ation of Lombardy with Italy.Field Marshal Baron Franz Kuhn von Kuhn-enfeld started planning to reorganise the defences in the region. It was only 30 years later, in 1898 that the plan was put into action and a small fort was added to the construction to deal with close combat (Nahkampfanlage Strino) in Velon, which was reached by indoor steps. Small armaments were used for the surveillance of the deep valley. Moreover, between 1906 and 1907 Fort Strino was reinforced with a street level lookout point. The whole complex was disarmed in 1915.

BOESSO ART GALLERYBoesso Art Gallery was inaugurated in Oc-tober 2010 in Bolzano, in Via S. Quirino, with a solo show by Victor Vasarely enti-tled “Incipit”, and it was dedicated to the first artistic period of the Op Art Master. In May 2012, the gallery moved to its new headquarters in Via Maestri del Lavoro, in Bolzano.The intent of the gallery is to present historicized artists of modern art in the sphere of geometric abstractionism, as well as to carefully follow new realities in the same field. That remains the thematic line of the gallery, but at the same time it also promotes new forms of original artis-tic expressions.The gallery concentrates its activity above all abroad being a constant presence at art fairs and keeping in touch with foreign galleries. The gallery tries to let known, beyond the national borders, the works of contemporary Italian artists with whom it has been working so far.

RUTH GAMPERThe deities of war are often ambiguous. The very Athena of Greek mythology is the goddess of wisdom and, at the same time, of war; looking then to the Mesoamerican and Aztec traditions, Xipe-Totec is the god of both agriculture and war, meaning rebirth after death. Observing the Aztec iconog-raphy (but also other ancient representa-tions), scholars have repeatedly identi-fied futuristic figures of cosmonauts and spaceships so much as to develop theories of “ancient astronauts”.Out of space and time and even ambigu-ous, do appear the spheres that Ruth Gamper brought into the Strino Fort creating a site-specific work precisely designed for that place. These spherical and spheroidal forms refer to an archetypal and primordial sense, but their silvery surface shifts the hand of time towards today and tomorrow. Enigmatic is also their nature, suspended between a halo of threat and one of sal-vation. Are they cannonballs? Time bombs ready to explode? Should we wait for the moment? Yet at a certain point their sur-face of concave and convex craters does not appear alien to us, but familiar, and we recognize the empty containers of pills, the blisters that cover the surfaces of the work, medicines used to save us, to let us live longer, often invoked as the solution to all ills and not just to diseases.The blisters, also used for the realization of other works on show to obtain a refined graphic abstraction effect, are not the only recycled material used by Gamper, who has made that practice a stylistic feature of his research.Leaning against the stone wall of the fort, which form an installation, are the sculp-tures of Gamper titled “Cavalli di Fri-sia”, dark reeds turned upwards almost as if they were rifles ready to be embraced. The chains of flat dishes that cover them appear as projectile loaders. This work too is produced by using recycled material, which is the means of choice for making art by Ruth Gamper with the desire to trigger a reflection on the current consumer society.Xipe-Totec was represented without skin, but his skin grew again as a symbol of rebirth, while the discards for Gamper are an empty epidermis to be filled with new meaning.

Ruth Gamper was born in Spera (TN). He who grew up between Austria and Italy; lives and works in Bozen.

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BUONANNO ARTE CONTEMPORANEAThe Studio Buonanno Arte Contemporanea has been promoting contemporary art for over fifteen years through a multifaceted activ-ity aimed at enhancing the works of artists at both local and national and internation-al levels. It has organized, among others, the following exhibitions of: Matteo Basilé, Marco Casentini, Leonida De Filippi, Rober-to Floreani, Michelangelo Galliani, Daniela Giovannetti, Eduard Habicher, Gian Marco Mon-tesano, Davide Nido, Rafael Pareja, Franco Rasma, Albino Rossi, Andrea Salvetti and Cor-rado Zeni. The Studio has taken care of both solo and group exhibitions, in the Studio spaces or at external cultural institutions. Besides taking care of the organization of exhibitions and events related to the work of artists, the Studio Buonanno Arte Contempora-nea provides art advisory services including assistance in the selection of works of art, by presenting and deepening the technical-ex-pressive path of the artists, by providing consultancy for setting projects with ad hoc solutions and realizations of site-specific works for home and office spaces. The owner of the Studio, Patrizia Buonanno, a founding partner and the current President of Aspart, a Trentino association that deals with the promotion of contemporary art on the terri-tory, has established, over the years, cul-tural relations both with the Mart of Rovere-to, for the review Auguri ad Arte, and with Trento Festival of Economics, and with the Council of the Autonomous Province of Tren-to. The Studio Buonanno Arte Contemporanea has organized exhibitions for the following: Melinda in Mondomelinda, Mountain Project in Castel Thun, in Paneveggio Park Pale di San Martino in Tonadico, Visitors’ Center of the Fanes-Senes-Braies Park in San Vigilio di Marebbe, the Municipality of Mezzolombardo, Foradori Winery of Mezzolombardo, Casa deg-li Artisti di Tenno, Forte Strino in Vermi-glio, the New Centro Direzionale Interporto of Trento, and for Casa de Gentili in Sanzeno. The Studio Buonanno Arte Contemporanea has participated in several editions of national art fairs such as in Art Verona and in Kunst Art and Arredo Bolzano. They took part in Arte Diffusa parallel event of the European biennial Manifesta7 as well as in Arte Forte 2016 and 2018.

EDUARD HABICHERThe pendulum oscillates between the oppo-sites in search of balance. The philosopher Arthur Schopenhauer compared human life to a pendulum and undoubtedly suspended

was the life of the soldiers who at any moment could have leaned towards the ex-tremes of pain and death. The “Pendolini” by Eduard Habicher exhibited at Forte Strino are recent works made with a steel structure and, at the end, a mass subject to gravitational attraction consisting of a block of transparent Murano glass. The glass is irregular, the exact opposite of the usual end of a pendulum, which should assure a regular oscillation, as in the cuckoo clocks of the Alps and in the old brass masonry pendulums, which helped to put things in line. Famous is a specif-ic type of pendulum, the pendulum of Fou-cault, which the French physicist designed to experiment the rotation of the Earth. (Umberto Eco took it as the title of his second novel.) A specimen of it is in the mammoth Palazzo della Ragione in Padua. The pendulum is also an esoteric symbol and precisely in this context are inserted the most fragile, but fascinating crystal pen-dulums, to which goes the direct reference of these works by Habicher. To accentuate that atmosphere are the two-dimensional works of the artist who on the other hand has also developed his research mainly in the direction of sculpture.His works are collages in which he used smoke black and stainless steel on paper.The monumental work on display is instead “Vortex” (2016) which is characterized by the idea of suspension and unstable equi-librium. There are red lines that touch each other like silk threads, an render lighter, to our eyes, the heavy weight of the metal of the beams that draw these traits. Oscillation and leavening are the essential traits of the works by Eduard Habicher, who usually creates installations designed specifically for a place according to a site-specific approach, large and of-ten monumental works, signs traced in the air that are loaded with a strong dynamic sense. He loves to talk of «a sculpture that penetrates into space and that in turn is crossed by space». His works have al-ready interacted with stones from the past, triggering an interesting contrast, as in the permanent installations (since 2006) for the Messner Mountain Museum in Castel Firmiano, Bolzano. In May 2018, one of his large sculptures was selected for the Pala-zzo Ducale in Mantua.

Eduard Habicher was born in Malles in Val Venosta in 1956; he graduated from the Acad-emy of Fine Arts in Florence. He lives and works in Rifiano, Meran.

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FORTE GARDAIn German it is called Werk Garda, which was characterised by the modern construc-tion which was built using large quantities of compressed concrete supported by steel grids. Therefore, it lacked any decorative elements and consistent armaments. It is situated in an area slightly withdrawn from the edge of Mount Brione and blends in with the terrain, camouflaging itself, mak-ing it almost undistinguishable. The fort functioned in conjunction with the nearby “Battery Mortar”, which had 15cm mortars in barbettes and an armoured telescope. Dur-ing the First World War it was partially disarmed.

VALMORE STUDIO D’ARTE Valmore studio d’arte was founded in 1995 by the director Valmore Zordan and by her passion for contemporary art in the second half of the twentieth century, expecially for those movements that changed radically the concept of work of art.The choices of the gallery focus on artists who develop a deep and seri-ous research, rooted in the scientific discoveries of their time, and create objects and situations from experimen-tations realised also by more and dif-ferent personalities (groups).Valmore studio d’arte has artists from the historic international groups of Optical, Kinetic and Programmed Art, artists of the Analytic Painting, artists subscribing Spatialism, historic Visual Poetry, Video Art and Electronic Art.The intent is often to propose artists with an interesting historical past, known and appreciated by careful crit-icism, but not always sufficiently ap-preciated by the art market.Thanks to the coherence and the atten-tion to the cultural value, Valmore studio d’arte is an international reference-point. In fact, in addiction to the regular ex-hibition activity, the gallery co-operates since a long time with governments, muse-ums and important cultural institutions all over the world.Care, reliability, coherence in the choices and concreteness in the propos-als make it possible to influence the market without being conditioned, re-gardless of the mode, and allow to gain credibility over time.

FAUSTO BALBO MANUELA BEDESCHI ANNAMARIA GELMI JACQUES TOUSSAINTReflections and vibrations run through the Forte Garda with the installations designed specifically for this place by four art-ists, creating an atmosphere of immersive character. They are reflections and vibra-tions of color and sound. Ideally guiding the visitor are the words that stand out, as anchors of salvation, in different plac-es, often on the rubble still present in the fort. Those are the words written in neon by Manuela Bedeschi: home - look - listen - think. Yearnings, aspirations and, at the same time, imperatives and warn-ings. The first word makes one think of the nostalgia thoughts of the soldiers at the front, while the others recall the orders given by the superiors, but they also sound like invitations not to lower the guard to-day, because wars are not over yet.In his invitation to think, Jacques Tous-saint seems to guide us by drawing a lu-minous line inside the fort with segments of luminous tube. It is blue, the color of immensity, of the sky, of lakes, of seas, closed now symbolically within the fort. This line does not reach a goal, but leads inside ourselves, into that ocean that we have within us, and into which the young soldiers used to escape to survive pain.As we are not alone, the importance of encounter and interaction are remembered by Annamaria Gelmi who uses the intense symbol of the cross. It dominates with its monumentality and amplifies the strongly introspective dimension that the succes-sion of works triggers. The mechanism of looking inward is investigated by Gelmi in another work, a diptych in which the exter-nal images of the fort, conceived as a pon-derous, impregnable fortress, correspond to two mirrors reflecting the narrow interior spaces of that emptied architecture.As well as light, sound is also composed of reflecting waves. On the deepest mech-anisms of sound, Fausto Balbo works. He brings a series of installations into the fort, including a monolith that requires physical contact with the spectator. The metaphorical cold suffered by the young enlisted soldiers inevitably refers to his work “Winter”, with the interminable passing of time, always the same. Then, incessant is the sound of a drop of water that Balbo recreates with a resonance and that assailed the nights of those who

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lived in the architectures inhospitable and oozing moisture. These are fears and sensations that also re-emerge in Balbo’s “FB48”, a work based on the resonance of Schumann and on the Earth’s electromag-netic field, in which fears and sensa-tions take the shapes of voices and lip contours, like echoes immersed in a sus-pended dimension.

Fausto Balbo was born in 1970, and lives and works in Garessio (Cuneo).Manuela Bedeschi was born in Vicenza, and lives and works between Verona and Bagnolo di Lonigo.Annamaria Gelmi was born in Trento, where she lives and works.Jacques Toussaint was born in Paris in 1947 and has been living in Italy since 1971.

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FORTE / WERK LUSÉRN It was one of the most powerful and well-equipped of Austrian Forts and was there-fore nicknamed Padreterno (the eternal fa-ther) by the Italian soldiers. Engineer Captain of the Empire Eduard Lakom designed and oversaw the construction of this fort.Situated 1549 metres above sea level in an area connecting Astico Valley with Torra Valley, this trapezoidal fort was protected by rocks and surrounded by a moat. It had two outposts: Viaz in the east and Ober-wiesen in the west. It was formed by the main casemate, which was about 60 metres long (with accommodation, warehouse and workshops) and was connected to another construction with posts for close combat.In the summer of 1915, it underwent heavy bombardment from the Italian artillery. As a result of this the Bohemian commander Emanuel Nebesar suspended fire and raised the white flag, convinced the Italians had planned a decisive attack against them. Consequently, the Austrian batteries of Forts Verle and Belvedere intervened to try and overcome the surrender and to dispel any attacks by the Italian infantry. The situation was restored with the help of volunteers and the commander Nebesar was dismissed and arrested.

TAN - ARTFrom the idea of a renowned Fassano cook, with the passion of art, the project of an art gallery in Canazei, in the heart of Fassa Valley, was born in 2015 in one of the main Dolomites valleys where the popular tradition linked to Ladin culture is very strong. Here art fully blends with the geographical context, generating a real journey of beauty, the very journey that TAN - ART wants to offer to the inhabitants of the valley and to all those who are passing by and want to enjoy an experience complementary to those linked to the beau-ty of the territory and mainly to summer and winter sports tourism.The gallery collects the works of artists belonging to various currents and move-ments: from metaphysics to pop art, from trans-avantgarde to typical Fassa paint-ing. Indeed, art as man himself is nothing without the history that preceded it, and Sergio Rossi could only choose a tabià of the ‘700 to accommodate aesthetic expres-sions and forms of creativity that transmit messages and have the ability to arouse emotions.

FEDERICA CAVALLINFLAVIO ROSSIMATTHIAS SIEFF

What contemporary art triggers at Fort Werk Lusérn through the works of three artists is a path that proceeds by symbols.The sculptor Matthias Sieff places his mon-umental creatures between the human and the superhuman. These figures full of di-vine aura are extrapolated from space and time, and we do not identify them as Olym-pic, but rather they appear as Roman lares and penates which protect an architecture that was home to young soldiers. Even they are totemic figures, drawing on a term that has its roots in the Algonquian language of pre-Columbian America. The term totem - unlike our concept of representation and memory through a monument - directly indi-cates a person or object of particular re-spect, whose link with society is special. In this sense, Sieff’s work could refer to the soldiers themselves and to their role of extreme sacrifice. The war even influ-enced civil society and the families that remained at home.The reference to those families is trig-gered by the sculptural works of Federica Cavallin. Her motherhoods are created by using the tree gall that is the malforma-tions that the plant produces as a result of external attacks. Ideally, the message is of hope and of continuation even after such tragic events as wars. Her women are symbols for life.Flavio Rossi looks to a society transpar-ent to what happens around. He reflects on the fact that behind us wars continue and the cycles of nature continue to make their rounds, but perhaps the shadows that stand out long on the horizon in its in-stallation “Ombries” indicate that we have arrived at the sunset of our society, of the time that we now call Anthropocene, of man’s dominion over nature. In his project Sentinelle Rossi has decided to create a work that warns us of all of that. Start-ing from the fact that conflicts permeate our lives, beyond specific references to one war or the other, he brings to the fort Werk Lusérn a corpus of photographic images. They are objets trouvés that the artist found in an old house in Trentino in Val di Fassa: the box with over 400 shots belonged to a German soldier who at the end of the Second World War left them there with the intention of going back and recover them. Scenes of rubbles follow af-

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ter one another and are followed in turn by scenes of the life which continues, thus opening to a good many reflections: on memory, on who reconstructs history, on winners and losers, on the idea of peace after war.

Federica Cavallin was born in 1985 and grad-uated in Architecture at the IUAV of Venice. She learnt from a master sculptor and she

works since 2012 as sculptor between Ortisei and Predazzo.In 2004 Flavio Rossi finished the Academy of Fine Arts in Rome. He lives and works in Rome and Canazei.Matthias Sieff was born in Cavalese in 1982; he lives and works in the Trentino Dolomites in Mazzin. He studied in Val di Fassa, in Val Gardena and at the University of Applied Arts in Vienna.

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FORTE BELVEDEREIt was built between 1909 and 1912 on a headland overlooking Astico Valley near Oseli di Lavorone at an altitude of 1177 me-tres and functioned in conjunction with the Cherle-San Sebastiano Fort. Its structure is similar to Fort Serrada but distinguishes itself through the simplicity of its ge-ometrical plan which, like Fort Pozzacchio, exploited a rocky outcrop and supporting terrain, permitting the main casemate to be sunk underground by three levels. The case-mate was built of sculpted limestone and was divided in two parts. The back part, which overlooked the higher plains, dealt with all the facilities. The front part, which over-looked the valley and was partly dug into the rocks, cordoned off the positions and lookout points. At the side of the casemate there was a counterscarp ditch joined to the main casemate by an underground tunnel. On the three levels there was accommodation, storage, local technicians, a nurse and a cemetery. This fort had total control over Astico Valley and the road to Carbonare. Even though it underwent heavy bombardment in the first days of the war, the garrison never lost control. After the Strafexpedi-tion it remained known as sentinella of As-tico Valley. Currently it is a museum and some locals have readapted the fort to their own original use (a photography exhibition).

DORIS GHETTA GALLERYDoris Ghetta Gallery’s was born of Doris Ghetta’s dream of creating a center for con-temporary art in the Dolomites. Val Gardena, thanks to its important wooden sculptural tradition, has always been a place for cre-ativity. The gallery follows artists of con-ceptual area and also some sculptors from Val Gardena. It also cures and represents a group of young Romanian artists from the school of Cluj, which in recent years has attracted the attention of a wide international public. Doris Ghetta Gallery extends over 500 square meters on two levels, and each year, it hosts ten wide-ranging exhibitions by collaborat-ing with curators and young artists from all over the world. It also participates in public projects, such as in the Biennale Gherdeina, a contemporary sculpture exhibition, which is internationally appreciated.

PETER SENONERIn the last decades, an ever more extreme obsession has developed towards one’s own

body, which we would make perfect. Exercis-es, creams, electrostimulation, diets, mas-sages. And cosmetic surgery that takes away, adds, moves or blocks. In the past, the body to be venerated was that of saints, of which people went crazy for having a relic, and they went on unspeakable journeys in order to see them. In Hindu religious traditions, deities maintain an only single representa-tion, while the individual reincarnates in another body, not only human, but also of an animal, a vegetable or a mineral. After all, the term body is generic and it basically means only “a portion of matter”. The works of Peter Senoner embody the current rela-tionship of Western culture with the body, although without explicitly describing any of the mechanisms that are triggered, but by implementing an ideal reference. His figures are humanoids, so they look man-like, repre-sented in real dimensions on a human scale, but the artist introduces abnormal features. Above all in the head, something escapes us in the face, we do not recognize it as “ours”, but as “strange”. His figures are immortal-ized in bold positions, waiting for a direct confrontation with the outside: the chest is pushed forward, trunk and massive limbs, powerful thighs; nothing to do with the suf-fering bodies of the young people consumed and depressed by their life in the fort, in those war architectures. The extraneous characters of these figures are recurrent in the sculptures of Peter Senoner, who in this way has given life to a precise physiognomy, which he has constantly been repeating in his works, so much so as to form over the years an array that we could define alien, not so much as extraterrestrial, but rather as something else, different. This visionary approach, which he has also applied to the creation of sinuous abstract forms, opens up further insights into contemporary society, in which problems are still posed towards people with different somatic characteris-tics, different cultures, and with ways of thinking that we do not recognize. To use a current term, we could talk of the characters of Senoner as queer, using the English word that, in its original meaning, indicates the “non-usual” with respect to the concept of normality typical of the dominant culture, with ethnic, social and sexual references to difference. These works attract and disturb at the same time, questioning our views as we are still waiting for a change.

Peter Senoner was born in Bolzano (1970). He studied at Munich Academy and lives and works in Chiusa in Alto Adige Südtirol.

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STUDIO 53 ARTEThe Studio 53 Arte, heir to Paganini Gal-lery, directed since the nineteen-sev-enties by Roberto Pizzini, reopened in 1998 with an extensive review of Fortuna-to Depero. Later on the Gallery organized qualified exhibitions including those of Fausto Melotti, Pinot Gallizio, Luigi Ve-ronesi, Ugo Nespolo, Tullio Pericoli and many others, together with collectives of the most important Italian masters of the late twentieth century including Fontana, Burri, Afro, Manzoni, Bonalumi, Castellani etc.The Gallery also has organized retrospec-tives on Futurism without neglecting the Trentino artists of the late twentieth century, among others Mauro Cappelletti, Silvio Cattani, Luciano Civettini, Alberto Forchini, Maurizio Giongo and Diego Maz-zonelli.The gallery permanently exhibits works by Fortunato Depero, Fausto Melotti and Emilio Vedova.

UDO REINSILVIO CATTANIThe idea of one’s home is the common denom-inator of the works of Udo Rein and Silvio Cattani at Forte Belvedere. They are togeth-er though very different from each other in terms of expression and the genesis that led them to create their works. It is the desire for a home, for the return to the normalcy of their daily life experienced every moment by the young soldiers forced to live the nightmare of war. They were con-stantly waiting for the moment. Often it never arrived. Heimweg, translatable as the way home, is the title of Rein’s research begun in 2004, already celebrated in a book published by Verlag für Moderne Kunst of Nuremberg. Of that research Rein carries a series of works into Forte Belvedere.His two-dimensional works in mixed tech-nique proceed with strong symbols, gas masks, helicopters, like flashes in an ex-cited tale that fix the memory of the war,

even in those who have not lived it. His environmental installation, always a part of the “Heimweg” research, refers to the difficult return to normality not only of the individual, but also of the whole so-ciety, which we can recognize in a globe covered in red blood and cut in two, the two opposite faces that characterize the wars of any age. Rein also presents the video work “The way home” (2005) which proceeds with highly evocative scenes: the sound of the wind, an empty chair, a postcard that flies off.The video medium is favored by Rein, who, in his career built between Germany, the United States and South Korea, has made intense works starting from experiences in first person in places of great contrasts like the favelas and the prison where Nel-son Mandela was imprisoned.Silvio Cattani works on the concept of home in an indirect way, declaring to have been inspired by the poetic works of Paul Celan, a Jewish poet of German mother tongue, born after the end of the Great War, but per-sonally victim of the consequences of the Second World War.In fact, Celan’s and Cattani’s works carry on an idea of a universal war and of a universal house to which the artists refer. Silvio Cattani entrusts his reflections to works on metal specifically made for Forte Belvedere. He uses an abstract language ca-pable of taking shape in an «organic and thoughtful visual alphabet» and a «multi-plicity of formal references and chromatic stimuli», extending to a large extent the shades of our everyday life, in order to emphasize that then the world around would continue to exist unaware of the war, and the sun would continue to rise.«The stone accepts to bloom» sings one of the quotations chosen by Cattani as the title to an exhibited work , and we now continue to live while war continues else-where.

Udo Rein was born in 1960 in Heidelberg.Silvio Cattani, born in Trento in 1947, lives and works in Rovereto.

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FORTE CORNO This fort was situated 1069 metres above sea level towards the right of the Chiese Valley, which checked from above the Daone branch by acting as a tenaille with Fort Carriola on the opposite side of the val-ley. They built a dome-shaped rotating, steel-armoured gun and armours for the can-nons based on the “Vogl” style, with the aim of further developing the barrages of Larda-ro, which consisted of the Larino, Danzolino and Revegler forts.Before the conflict it was disarmed because it was thought to be obsolete. The cannons were placed in a cave nearby, while the dome-shaped gun was placed overlooking Pe-schiera. At present, restorers are working on it.

ANTONELLA CATTANI CONTEMPORARY ARTThe profile of the Gallery, opened by An-tonella Cattani in 1991, is characterized by an exhibition program aimed at intro-ducing contemporary artistic personalities that, for the recognized outcome of their research, represent the current artistic panorama.The exhibition activity, open to artists. Besides the introduction of consolidated artistic positions among whom we mention, Giuseppe Spagnulo, Claude Viallat, Marco Gastini, Gianni Dessi, Giovanni Frangi and Marco Tirelli, the gallery cures projects of younger and more innovative artists such as Julia Bornefeld, Antonella Zazzera, Paolo Radi, Angela Glajcar and Emanuela Fiorelli.Instead to their willingness to give conti-nuity between the ages, corresponds the an-nual exhibitions that the gallery dedicates to one only historicized artist.Therefore in the course of the years, ap-peared the exhibitions of protagonists of the Italian art after 1950, included For-tunato Depero, Afro, Antonio Sanfilippo, Achelle Perilli.

HERMANN JOSEF RUNGGALDIERThe main work on display by Hermann Josef Runggaldier is “Hope”, hope, which means waiting for a moment.A man tightens and shrugs his shoulders, pushes them forward, his look is question-ing and his mouth is closed, without words, his body is naked, completely exposed and without protection. Uncertainty and, at the

same time, acceptance of what shall hap-pen are also expressed by the position of the right hand which, along the thighs, tends itself in view of the unknown result of the next action. The figure expresses impotence, no resignation, is not bent on itself, the eyes are wide open forward.To be able to foresee what is to come to us or, even better, to be able to influence it, has always been a desire of a man’s, while not abandoning oneself to events has al-ways been considered a virtue. Inside Forte Corno this presence inevitably refers to the expectation of a favorable change that unites all soldiers and all civilians in wartime, but it also extends to the idea of a new man by his nature naked in the face of destiny which he should not stop looking at in the face.The concept of resistance is also intro-duced by the “Man-fossil” work. They are spoils, emptied and scarified remains that remind us of the spectral thinness of the prisoners of the Nazi concentration camps, for ever immortalized by the movies and also of the children consumed by hunger even today on the African continent. But even in these figures can be identified a sense of hope, a willingness not to let themselves go, not to let themselves dis-appear.These fossils seem to say that humanity is strong and manages to survive difficult times, and those who lived before us have left us the testimony of what happened in order to enable us not to repeat the same mistakes.Inside the fort, the fossils of Rung-galdier appear as simulacra of the sol-diers and of what they still manage to transmit to us.Fossils, both vegetal and animal, are often found enclosed in the rocks of the Alpine mountains, such as the one on which Forte Corno climbs, and above all on the nearby Brenta Dolomites, evidence of distant ages when these peaks were seabeds.Man is small compared to the enormity of nature, he is a shell imprisoned in a stone.Runggaldier’s sculptural research focuses on the human figure, ranging from forms adhering to the real, to evocative styliza-tions, while the natural world becomes the protagonist in wall works between relief and sculpture.

Hermann Josef Runggaldier was born in Orti-sei in Alto Adige Südtirol in 1948, where he lives and works.

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FORTE LARINO The fort is found deep in the valley, straight after where the River Adana joins with River Chiese at about 700 metres above sea level, just above the junction to Daone, in the northern and lower part of Giudicarie. It was built in 1860 with the aim of defending the road from Brescia. The fort was vast and L-shaped, with only one level and two sides: one towards the south and the other towards the valley. It had a large fortified courtyard with a large entrance. On the southern side and the western side there were loopholes for cannons and the rest of the fort had loop-holes for machine guns. It had a surround-ing ditch. Aesthetically it is a wonderful example of fortified architecture, built with hand-sculpted, granite blocks.

CELLAR CONTEMPORARY Starting from a high connection with the established contemporary art gallery Stu-dio d’Arte Raffaelli, Davide Raffaelli in collaboration with Camilla Nacci in 2016 Cellar Contemporary, a brand new art space promoting young visual art in his various aspects. Cellar Contemporary offers a con-temporary vision through the promotion of young artists. It combines a space located in the old district of San Martino with an online space, which reinvent the concept of art gallery through the coexistence of physical and virtual dimensions. cellar-contemporary.com offers an innovative ex-perience, interaction and acquisition of artworks and not only. Cellar Concemporary is also realizing exclusive external col-laborations to create artist’s objects in limited edition.We believe that art can be one of every-day things, always searching for new public, following the same purpose that made Keith Haring open his Pop-shop in 1986. Not by chance we chose Joe Grillo for our first exhibition: eccentric, eclectic, he is an artist that - through the collaboration with Laura Grant and the art-collective Dearraindrop - customizes and transforms everything in art. Our projects are many, but - as Joe him- self says - a magician doesn’t divulge all their secrets, right?

DENIS RIVAIt investigates the time of man and the time of nature the project that Denis Riva

has designed specifically for Forte Lari-no, articulated through works made specif-ically and other recent ones, ranging from small to large formats, and which make use of different means of expression, from de-sign to installation, to video. Last year, a scientific study, published in the journal Science, showed, for the first time, that our perception of time is different from that of animals, according to an experi-ment conducted by Joe Paton on laboratory mice, which identified the neural circuits that modulate this feeling. Denis Riva has been working for a long time on the tempo-ral dimension triggered by the contact with nature and to the fort he brings some of his last “Pastors on Wool”. It is a reflec-tion on a very ancient tradition of animal farming Eurasia and, in particular, on that of sheep, which moves on temporal space trajectories totally apart from the usual flow of everyday life thus becoming for antonomasia a metaphor for waiting.This state of observation of the natural world is also at the basis of a series of drawings on paper dedicated to lake land-scapes and, therefore, to a water that has slowed down its flow. Of immobility, this time inert, is permeated the pile of heads of wild animals that Riva puts into action evoking another atavistic practice of wait-ing in nature, that of hunting, a practice that can also be associated with another work: the video “L’è”, in which one can distinguish, within the succession of draw-ings, a cluster of heads of dogs or wolves.In turn, this thought calls to mind other high-altitude conflicts, given that the so-called White War, a static war marked by climatic and environmental difficulties, took place right on the high Dolomite moun-tains overlooking Forte Larino.Even in the video work “Carpus Osco”, real-ized well before being intended for view-ing inside a fort, it seems now to see men soldiers, instead of simple men. In the succession of shades of gray we see scenes of violence: a man who crushes the skull of another man with his foot, limbs cut off, drops like blood splatters, a multi-tude bent, another multitude dominated by a man who puts his feet on their head, and a scene of mountains and a recognizable profile of a wolf, which stands on two legs like a man, as if nature could no longer stand and watch.

Denis Riva was born in Cento (Ferrara) in 1979. He lives and works in Follina (Tre-viso).

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FORTE COLLE DELLE BENNEThis fort is also called Fort San Biagio which is situated at an altitude of 660 me-tres on the same hill that overlooks Lake Levico. It is Fort Tenna’s twin and is found on the hill that looms over the lake on the south side. During the war it was only used as a lookout point and depository.It was a casemate made of porphyry and granite which had a moat and a counterscarp ditch. This compact structure was built on four levels and had a central corridor. The north side has a buttress with an armoured exterior. A series of trenches connected by mule tracks, ran up the mountainside as far as Busa Grande (1500m).In the spring of 1915 it was disarmed: the cannons in the casemate were placed nearby while the two Howitzers were placed in a battery in a cave on Busa Grande.

AUCTION HOUSE VON MORENBERGThe Auction House von Morenberg was found-ed in 2000 following clear and careful cul-tural and commercial choices. The legal and exhibition headquarters are located in Palazzo del Monte, in the heart of Trento historic center, a few steps away from Pi-azza del Duomo and the Buonconsiglio Cas-tle.The House of Auctions von Morenberg, in continuity with the age-old tradition of patronage of the prince-bishops, is there-fore proposed as a place to admire, evalu-ate, acquire or sell qualified works of art and at the same time, is intended to be a point of reference for collectors, experts and scholars who consider art as a choice and a lifestyle and as an opportunity for study and knowledge. Not simply an exhibi-tion and commercial space, but an active reality in the development of ideas and cultural projects.To date, 73 auctions of modern and contem-porary art, antiques and jewels, antique and military weapons have been made, ac-companied by appropriate catalogs, criti-cally elaborated. For the near future, the Auction House aims to strengthen its role as a cultural hub between tradition and modernity through events of national and international appeal.Its core business shall be accompanied by such activities as the promotion of young artists, the organization of cycles of the-matic meetings introduced and coordinated by experts, as well as the possibility of granting its prestigious venue to cultural events.

BRUNO LUCCHIThe leaves are the real protagonists of the works that Bruno Lucchi has designed for Forte Colle delle Benne. They are not shout-ed, but constant presences within the extend-ed exhibition path that indicate a possible key to reading. With their ribs they overlap tree branches and the sinuous and pungent interweaving of barbed wire. Everything is evoked by the traces left both on the surfac-es of the works that become bas-reliefs and elsewhere in leaves that the artist fixes in the matter to make them immortal. The same yearning to save from oblivion returns in the footprints of the shoes that the artist reproduces numerous and positions, one on the other, along a short stretch inside the fort; the stretch does not lead anywhere, as repetitive were the paths that the sentinels had to beat during the heavy guard duty. The fallen leaves inevitably evoke the lives of young people in war: «We feel like in au-tumn on the trees the leaves» reads the poem Soldati by Giuseppe Ungaretti, which Lucchi cites along with other quotes from the writer who experienced the war. The very barbed wire runs along Lucchi’s works as lines of words, which tell of an indecipherable suffering. The work Dormire, Sleeping takes shape from another poem by Ungaretti. And from the ca-ducous autumn of the metaphor of leaves, we pass on to the winter of that high relief in which we find a profile of a soldier on the ground, covered by snow. Man is expressed through a figuration that is consistent with the real, not usual practice for the artist, and differently from other works on display. It is in “Dormire”(“Sleeping”) that comes out the idea not so much of surrendering, but rather of waiting for the roar of the war to stop and everything to be cancelled by a blanket of fresh snow spotless and innocent; and then spring arrives. The soldiers be-ing finally able to rest in peace after the endless waking-hours of fear. The figure of the soldier is then evoked by empty helmets. They are hats of armors which come from dis-tant times, meaning that war is a constant of humanity. They are dark helmets like the gun barrel. Only one is white. It is posi-tioned where the opening of the fort looks at the landscape, «when you go out to see the stars», we could say quoting the “Divine Comedy” by Dante. The poem of the great poet is remembered precisely by this work, given that the light helmet is positioned within a kind of boat, as if Charon were to ferry that candid soul of a soldier’s to the afterlife.Bruno Lucchi was born in 1951 in Levico Terme, Trentino, where he lives and works.

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Finito di stampare nel mese di agosto 2018 da Litotipografia Alcione, Lavis (TN)

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