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44 - Avventure nel mondo 2 | 2016 RACCONTI DI VIAGGIO | India Q uesto meraviglioso viaggio nel nord dell’India ha rappresentato per me e per la maggior parte dei miei compagni di viaggio il primo contatto con la multiforme realtà del subcontinente indiano. Ne siamo rimasti affascinati ed entusiasti, non tanto per la bellezza dei monumenti (che pure da soli meritano il viaggio), quanto per lo stupore suscitato in noi da un mondo che non è possibile descrivere in poche parole, un mondo dove convivono ricchezza ed estrema povertà, sviluppo tecnologico e tradizioni millenarie, democrazia e divisione in caste della società; un mondo dove gli animali girano liberi per le strade, rispettati perché considerati parte del cosmo al pari degli esseri umani. Tolti i due giorni di viaggio da e per l’Italia, il nostro vagabondare in terra indiana è durato sette giorni, dalla domenica al sabato successivo, in un tiepido inizio di gennaio. Spostandoci in pulmino, abbiamo disegnato un triangolo tra le città di Delhi, Agra e Jaipur, con una deviazione per Pushkar. Delhi Atterriamo in India di buon mattino, dopo una notte in aereo, accolti da una fitta nebbia che avvolge tutto. Il primo impatto con Delhi, vista dai vetri del pulmino che ci porta dall’aeroporto in città, sembra confermare alcune delle cose che avevo sentito sulla povertà dell’India: persone che vivono accampate sui marciapiedi o nelle aiuole spartitraffico in condizioni di estremo disagio, bambini che chiedono l’elemosina ai semafori e che, appena notano un pulmino di turisti occidentali, lo circondano allungando la mano, seguiti dalle madri con i più piccoli in braccio. E poi cani randagi ovunque (peraltro del tutto inoffensivi), venditori ambulanti, risciò ancora fermi in attesa dei primi clienti, sporcizia. Dopo una brevissima sosta in albergo, per lasciare i bagagli e registrarci, facciamo conoscenza della guida e partiamo alla scoperta di Delhi. Visiteremo alcuni dei monumenti principali della capitale, con lunghissimi tempi per spostarci da un posto all’altro a causa del traffico a dir poco caotico (e meno male che è domenica, dice la guida!) e perdendo tempo all’ora di pranzo, perché la guida insisterà a portarci in un costoso ristorante per turisti. Il contatto con la realtà e con l’umanità indiana risulta così, in questa prima giornata, “filtrato” dalla guida e dal pulmino che usiamo per spostarci; la cosa mi delude un po’, ma forse è stato meglio così, considerato che siamo stanchi per il lungo volo, quasi tutti al nostro primo viaggio in India e che avremo tempo e modo nei prossimi giorni per immergerci in questo mondo così nuovo e affascinante. La prima tappa è alla Moschea del venerdì (Jama Masjid), la più grande di tutta l’India, costruita secondo i canoni dell’architettura islamica dell’Asia centrale, cioè composta da un grande cortile all’aperto, di forma quadrangolare e circondato da mura, utilizzato come spazio di preghiera. In ciascuno dei lati si aprono delle porte di accesso e, nel lato rivolto verso la Mecca, DELHI AGRA JAIPUR Testo di Fulvio Azzali Foto di Fabrizio Pisu Tra ricchezza e poverta ' sviluppo tecnologico e tradizioni millenarie Da un Delhi Agra Jaipur gennaio 2016 gruppo Laura Franguelli

Testo di Fulvio Azzali Foto di Fabrizio Pisu...Delhi - Vrindavan - Mathura - Agra Lasciamo Delhi di buon ora, in mezzo ad un traffico già infernale di macchine, camion, furgoni, autobus,

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44 - Avventure nel mondo 2 | 2016

RACCONTI DI VIAGGIO | East AfricaRACCONTI DI VIAGGIO | India

Questo meraviglioso viaggio nel nord dell’India ha rappresentato per me e per la maggior parte dei miei compagni di

viaggio il primo contatto con la multiforme realtà del subcontinente indiano. Ne siamo rimasti affascinati ed entusiasti, non tanto per la bellezza dei monumenti (che pure da soli meritano il viaggio), quanto per lo stupore suscitato in noi da un mondo che non è possibile descrivere in poche parole, un mondo dove convivono ricchezza ed estrema povertà, sviluppo tecnologico e tradizioni millenarie, democrazia e divisione in caste della società; un mondo dove gli animali girano liberi per le strade, rispettati perché considerati parte del cosmo al pari degli esseri umani.Tolti i due giorni di viaggio da e per l’Italia, il nostro vagabondare in terra indiana è durato sette giorni, dalla domenica al sabato successivo, in un tiepido inizio di gennaio. Spostandoci in pulmino, abbiamo disegnato un triangolo tra le città di Delhi, Agra e Jaipur, con una deviazione per Pushkar.

DelhiAtterriamo in India di buon mattino, dopo una notte in aereo, accolti da una fitta nebbia che avvolge tutto. Il primo impatto con Delhi, vista dai vetri del pulmino che ci porta dall’aeroporto in città, sembra confermare alcune delle cose che avevo sentito sulla povertà dell’India: persone che vivono accampate sui marciapiedi o nelle aiuole spartitraffico in condizioni di estremo disagio, bambini che chiedono l’elemosina ai semafori e che, appena notano un pulmino di turisti occidentali, lo circondano allungando la mano, seguiti dalle madri con i più piccoli in braccio. E poi cani randagi ovunque (peraltro del tutto inoffensivi), venditori ambulanti, risciò ancora fermi in attesa dei primi clienti, sporcizia.Dopo una brevissima sosta in albergo, per lasciare i bagagli e registrarci, facciamo conoscenza della guida e partiamo alla scoperta di Delhi. Visiteremo alcuni dei monumenti principali della capitale, con lunghissimi tempi per spostarci da un posto

all’altro a causa del traffico a dir poco caotico (e meno male che è domenica, dice la guida!) e perdendo tempo all’ora di pranzo, perché la guida insisterà a portarci in un costoso ristorante per turisti. Il contatto con la realtà e con l’umanità indiana risulta così, in questa prima giornata, “filtrato” dalla guida e dal pulmino che usiamo per spostarci; la cosa mi delude un po’, ma forse è stato meglio così, considerato che siamo stanchi per il lungo volo, quasi tutti al nostro primo viaggio in India e che avremo tempo e modo nei prossimi giorni per immergerci in questo mondo così nuovo e affascinante.La prima tappa è alla Moschea del venerdì (Jama Masjid), la più grande di tutta l’India, costruita secondo i canoni dell’architettura islamica dell’Asia centrale, cioè composta da un grande cortile all’aperto, di forma quadrangolare e circondato da mura, utilizzato come spazio di preghiera. In ciascuno dei lati si aprono delle porte di accesso e, nel lato rivolto verso la Mecca,

DELHI AGRA JAIPUR

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Tra ricchezza e poverta' sviluppo tecnologico e

tradizioni millenarie.

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Testo di Fulvio AzzaliFoto di Fabrizio Pisu

le mura si allargano a formare un’imponente costruzione, fiancheggiata da due alti minareti e con al centro un grande portale (iwan). All’interno, in corrispondenza del portale, si trovano i due elementi tipici di ogni moschea, cioè la nicchia che indica la direzione della Mecca (mihrab) e il pulpito (minbar). Ci rimettiamo le scarpe, le donne restituiscono una specie di vestaglione di cotone che era stato chiesto loro di indossare per poter accedere e lasciamo quindi la moschea, attraversando stradine nelle quali si è animato un fitto mercato frequentato soprattutto da musulmani (secondo la nostra guida, di etnia hindi e religione indù, sembrerebbe di essere al Cairo). La meta successiva è il Mausoleo di Gandhi, cioè il luogo dove il suo corpo è stato cremato. Si trova all’interno di un giardino pubblico ben curato e, al di là del valore simbolico che riveste per gli indiani, legatissimi al ricordo del mahatma, in pratica non è altro che un grande “altare” quadrato, intorno al quale, dopo essersi tolti le scarpe, si compie un giro in senso orario, secondo un rituale tipico della religione indù. Nel pomeriggio visitiamo il complesso del Qutb Minar, cioè i resti di una moschea risalente al XII-XIII secolo, costruita nel luogo dove sorgevano precedenti templi induisti di cui restano evidenti tracce. All’interno di questo sito svetta il minareto in mattoni più alto del mondo, il Qutb Minar appunto (72,5 metri), e si trova anche il basamento incompiuto di un altro minareto (Alai Minar), che avrebbe dovuto essere alto addirittura il doppio, ma la cui costruzione si è fermata a 24 metri. Il luogo è piacevole ed è meta di passeggiate

domenicali di molte famiglie indiane; con il sole ormai basso, la luce che sfuma verso il crepuscolo e una temperatura ancora gradevole, ci godiamo un po’ di riposo dall’inferno di traffico e clacson che caratterizza le strade cittadine (cui dovremo, ahinoi, abituarci).In serata, prima di rientrare in albergo per la cena, facciamo la visita più interessante di tutta la giornata, grazie alla disponibilità della guida che ci porta in un grande tempio sikh, il Gurudwara Bangla Sahib, dove si sta svolgendo la preghiera domenicale. I sikh sono i fedeli di una religione monoteista nata in India nel XV secolo e sono circa il 2 per cento della popolazione. Per entrare dobbiamo coprirci la testa con dei fazzoletti e dobbiamo toglierci scarpe e calzini, procedendo a piedi nudi sul marmo gelido e poco pulito del tempio. La curiosità però ha la meglio sulle perplessità igieniche e ci troviamo così ad assistere al rito, consistente in lunghe preghiere condotte da alcuni uomini con lunghe barbe e turbante, seduti al centro intorno ad una specie di “altare”, cui rispondono i fedeli, uomini, donne e bambini, seduti per terra ad occupare tutta la vasta sala del tempio, i quali sembrano non accorgersi della nostra intrusione. Lasciamo infine i sikh alle loro preghiere e ci concediamo il meritato riposo, in vista, l’indomani, di una lunga giornata di viaggio da Delhi ad Agra.

Delhi - Vrindavan - Mathura - Agra

Lasciamo Delhi di buon ora, in mezzo ad un traffico già infernale di macchine, camion, furgoni, autobus, pullmini, tuk-tuk, risciò a pedali, biciclette, motociclette, carretti trainati da asini o spinti a mano da uomini. In una simile bolgia dantesca il pedone non è contemplato e rischia di essere travolto da questa valanga di mezzi; i marciapiedi non esistono o sono occupati dai carretti dei venditori, da accampamenti di povera gente, da crocicchi di persone, da chi aspetta che gli venga offerto un qualche lavoro, da chi semplicemente

sta lì, seduto al bordo della strada. La quantità di persone in giro è veramente impressionante e ci dà l’idea di cosa significa trovarsi in un paese con 1 miliardo e 276 milioni di abitanti. È difficile muoversi a piedi, ma in compenso gli indiani sfruttano al massimo, con grande adattabilità e creatività, le possibilità offerte da ogni mezzo di trasporto,

stringendosi in quattro su una moto, addirittura in undici su un tuk-tuk (un’Ape Piaggio adattata a taxi cittadino), adagiandosi sul tetto di un furgone o stando in piedi sul parafanghi, aggrappati al portellone posteriore (in autostrada!). E finalmente compaiono le mucche: prima una, poi due, poi a gruppetti, sono dovunque e ne vedremo a centinaia da qui alla fine del viaggio. Bovini maschi, femmine e vitelli, quasi tutti senza un padrone, sacri per la religione indù, si muovono in piena libertà o più spesso stanno immobili ai bordi della strada o addirittura al centro della carreggiata, persino in autostrada, costringendo gli autisti a improvvise frenate. Noi siamo incuriositi, ma notiamo che, per quanto riguarda gli indiani, bovini e umani si ignorano reciprocamente, abituati gli uni agli altri da millenni di convivenza pacifica e incruenta. In tutto questo il nostro autista si muove con l’abilità di chi è esperto nel mestiere, coadiuvato da un aiutante più giovane che non lo sostituisce mai alla guida, ma il cui aiuto gli è indispensabile nelle manovre o per districarsi dai terribili ingorghi.Arriviamo così a Vrindavan, cittadina famosa perché vi ha trascorso la sua infanzia Krishna, avatara (cioè manifestazione terrena) del dio Visnu, secondo la corrente religiosa del visnuismo, mentre sarebbe da considerare egli stesso il dio supremo secondo un’altra corrente, quella del krishnaismo. Appena ci fermiamo, un uomo si avvicina al pulmino e si offre di farci da guida per sole 100 rupie (1,5 euro). Accettiamo e ci avviamo così ad avere il primo contatto diretto con l’India al di fuori della capitale, incamminandoci su strade dove, oltre al caos di uomini e mezzi, gironzolano tranquillamente bovini, cani randagi, alcuni cinghiali e soprattutto scimmie. Si tratta di scimmie di piccola taglia (le più grandi saranno alte 50-60 cm), ma molto rapide e agili nei movimenti. Ci dicono di toglierci gli occhiali e di fare attenzione alle borse o agli zainetti, perché le scimmie sono attratte da questi oggetti e cercano di rubarli. Passi per le borse, dove le scimmie sperano di trovare del cibo; rimane però un mistero cosa ci farebbero con i nostri occhiali. In effetti dopo non molto una

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nostra compagna di viaggio, rimasta un po’ isolata dal gruppo, subisce l’attacco di tre scimmie che cercano di spaventarla con le loro grida stridule e allungano le zampe per strapparle la borsa; le scimmie vengono messe in fuga dal tempestivo intervento di un uomo del posto armato di bastone e la nostra amica se la cava solo con un po’ di spavento (ma da questo momento non abbandonerà più il centro del gruppo!). La guida ci porta prima a visitare un tempio indù che sembra abbandonato, se non fosse per le scimmie che vi entrano ed escono numerose, e poi ad un altro tempio, dedicato a Krishna, dove trovano ospitalità circa 2.000 vedove provenienti da tutta l’India, le quali, non avendo altri mezzi di sostentamento, si dedicano alla preghiera e vivono grazie alla carità dei fedeli. Un religioso all’interno del tempio ci mostra un altare dove si ergono delle statue, riccamente adorne, di Krishna bambino e della sua famiglia (padre, madre e fratello maggiore), ci spiega il culto e ci invita a lasciare una generosa offerta per le vedove, che non ci sentiamo di negare loro.Con il pulmino raggiungiamo quindi Mathura, città natale di Krishna. Qui proviamo l’esperienza dei risciò, sorta di grandi tricicli con due-tre posti dietro per i passeggeri e un posto davanti, sul sellino, per il conducente-ciclista, che si guadagna da vivere facendo un lavoro veramente faticoso (questi mezzi non hanno neanche il cambio). Da notare peraltro che non si tratta di un’attrazione per turisti, come da noi, ma di un mezzo di trasporto diffusissimo e usato quotidianamente dagli indiani (anche perché è più economico dei mezzi a motore). I nostri sei risciò ci portano sulle rive del fiume Yamuna, affluente del Gange e anch’esso sacro per gli indù. Qui noleggiamo una piccola barca a remi e, insieme all’immancabile guida locale che si è subito proposta al nostro arrivo, assistiamo dalla prospettiva del fiume ad un rito di

preghiera, con effusione di latte e miele nelle sacre acque, e alle abluzioni di alcuni fedeli. Ci spiegano che all’alba e al tramonto sulle rive del fiume hanno luogo anche i funerali, nel corso dei quali il corpo del defunto viene bruciato su una pira e le ceneri vengono disperse nel fiume.Prima di arrivare ad Agra, ci fermiamo presso una nota catena di fast-food americana e notiamo che gli unici panini disponibili sono quelli con pollo, con pesce o vegano; del tutto assenti, qui come altrove, sono la carne bovina e la carne di maiale, il cui consumo è vietato dalle due principali religioni del paese. Pur essendo molto più piccola di Delhi, Agra è pur sempre una città di 1,2 milioni di abitanti e quindi ci accoglie, sul far della sera, con gli immancabili, spaventosi ingorghi. Raggiunto finalmente l’albergo, siamo troppo stanchi per uscire di nuovo; ceniamo quindi nel ristorante dell’hotel e andiamo a riposare.

AgraCi svegliamo in preda all’eccitazione di visitare il monumento più famoso di tutta l’India, il Taj Mahal, che sarà la prima tappa della giornata. La guida ci viene incontro in albergo, ma si rivelerà la peggiore di tutte: fa il suo lavoro svogliatamente, parla un italiano pessimo e difficilmente comprensibile e quindi non è in grado di interagire con noi, ma solo di ripetere la sua lezioncina a memoria. Per fortuna ci saluterà a metà giornata, lasciando un ricordo indelebile al nostro autista, perché tamponerà il pulmino con la sua macchina uscendo dal parcheggio; un’esperienza da dimenticare. In compenso, il Taj Mahal e gli altri monumenti di Agra non deludono le nostre attese. L’ingresso al sito del Taj Mahal è preceduto da controlli di sicurezza particolarmente lunghi e meticolosi, di cui capiremo più tardi il motivo: è atteso in visita il primo

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ministro dello stato indiano in cui ci troviamo, l’Uttar Pradesh. Il grande, bianchissimo mausoleo ci appare indistinto in lontananza, confuso nella nebbia che lo avvolge e che si va lentamente diradando; questo, se da un lato delude i fotografi più impazienti, rende però ancora più emozionante la scoperta di questo monumento, man mano che ci avviciniamo ad esso attraverso i bellissimi giardini che lo precedono. Si tratta della tomba di Mumtaz Mahal, la terza e amatissima moglie dell’imperatore Shah Jahan, che morì nel 1631 partorendo il quattordicesimo figlio. L’imperatore ne fu talmente addolorato che decise di dedicarle una tomba grandiosa, che ne avrebbe reso immortale il ricordo; la costruzione durò 22 anni e rischiò di mandare in rovina le finanze dell’impero. Ammiriamo il candore dei marmi e le ricche decorazioni sia all’esterno che all’interno, scattando decine di foto al Taj Mahal sullo sfondo di un cielo finalmente limpido e girando tutto intorno al monumento, il cui lato posteriore si affaccia sul fiume Yamuna.Sazi di tanta bellezza, andiamo quindi a visitare il Forte rosso, una cittadella fortificata usata come residenza dagli imperatori Moghul nel periodo in cui Agra è stata capitale dell’impero (XVI-XVIII secolo); deve il suo nome alla pietra con cui è stato costruito, l’arenaria rossa. Oltre che dall’architettura e dalla decorazione degli interni, siamo attratti anche dalla fauna di scimmie e di scoiattoli che popolano i giardini. Salutata la guida senza troppo rimpianto, dedichiamo il pomeriggio alla visita di altre due celebri tombe, quella dell’imperatore Akbar il Grande a Sikandra e quella del dignitario persiano Itimad-ud-Daula, conosciuta anche come “baby Taj”, perché la sua struttura ricorda in piccolo quella del Taj Mahal (d’altra parte vi è seppellito il nonno di Mumtaz Mahal).Nel tardo pomeriggio, mentre alcuni di noi, stanchi,

si rilassano sulla terrazza dell’albergo, una parte del gruppo va a prendere un the in un locale gestito da donne che sono state sfigurate con l’acido, il cui scopo è proprio quello di richiamare l’attenzione sul drammatico fenomeno della violenza contro le donne, purtroppo molto diffusa in India. Andiamo quindi a cena in un ristorante rigorosamente vegetariano (circa il 30 per cento degli indiani sono vegetariani), dove ci vengono serviti, oltre al riso e a vari tipi di pane, una zuppa di lenticchie e altri tipi di zuppe e di verdure cotte; tutto buono ma piccantissimo, nonostante avessimo detto chiaramente “no spice, please!”.

Agra - Fatehpur Sikri - Abanheri - Galtaji - JaipurLasciamo Agra per un’altra lunga giornata di trasferimento che ci porterà fino a Jaipur. La prima sosta è a Fatehpur Sikri, città costruita dall’imperatore Akbar e capitale dell’impero Moghul dal 1571 al 1585, quando fu abbandonata e declinò rapidamente. Visitiamo per prima la moschea (Jama Masjid), simile nella struttura all’omonima moschea di Delhi e come questa molto frequentata, anche perché al centro del suo grande cortile ospita la tomba di un famoso santo sufi, Salim Chishti, meta di pellegrinaggio da parte dei musulmani. In una calda mattinata di sole, ammiriamo le linee pulite e maestose della moschea ascoltando le spiegazioni della guida locale, un ragazzo musulmano di etnia urdu che si esprime finalmente in un buon italiano. I fedeli visitano la tomba per ricevere la benedizione del santo e per ottenere l’esaudimento dei propri desideri; a questo scopo, legano dei piccoli fili di lana rossa alle grate di marmo della tomba (partecipiamo anche noi a questo rito particolare). Più deludente è

invece la visita al palazzo imperiale di Fatehpur Sikri, le cui costruzioni, sebbene siano ben conservate e rappresentino un’importante testimonianza dell’architettura Moghul, risultano tuttavia fredde e prive di vita a causa del lungo abbandono. In un paese come l’India, dove la moltitudine delle persone e degli animali ti travolge in ogni momento

con i suoi rumori, i suoi colori e i suoi odori, dove ogni luogo pulsa incessantemente di una vita insieme attiva e contemplativa, visitare un’area archeologica frequentata solo da turisti ti lascia con un senso di straniamento e di delusione.La tappa successiva ci porta ad Abhaneri, per ammirare un particolare pozzo a gradini tra i più grandi e profondi dell’India. La sua particolare

forma a imbuto e l’ingegnoso sistema di 3.500 gradini consentivano di raggiungere il livello dell’acqua, più alto o più basso a seconda del periodo dell’anno. Visitiamo anche un vicino tempio indù, posto in cima ad una piccola altura cui si accede per mezzo di una scalinata. Tuttavia, al di là dell’interesse dei luoghi, sono le persone ad attirare la nostra attenzione, ad esempio un gruppo di donne fasciate nei loro sari dai colori sgargianti, ancora più luminosi nella calda luce pomeridiana; alcune si concedono agli obiettivi delle nostre macchine fotografiche, mentre altre fanno cenno di no e si coprono il volto con un lembo del vestito. Approfittiamo del silenzio e della piacevole tranquillità di questo piccolo centro per concederci un po’ di relax, ora perdendoci con lo sguardo tra gli stormi di uccelli neri che volano al di sopra del tempio, dove continua il lento andirivieni dei fedeli, ora sbocconcellando qualche banana e un altro strano tipo di frutto, simile ad una piccola patata, comprato su un carretto al di là della strada.

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Poco prima di arrivare a Jaipur, ci fermiamo a visitare il luogo più misterioso e affascinante di tutta la giornata: Galtaji, un sito di pellegrinaggio indù meglio noto come il tempio delle scimmie, per l’abbondante colonia di primati che vive al suo interno, cui ci avviciniamo con un misto di eccitazione e timore dopo l’esperienza di due giorni prima a Vrindavan. Il complesso, reso ancora più suggestivo dalla luce del crepuscolo e dall’oscurità che avanza, è costituito da una serie di templi (purtroppo in cattivo stato di conservazione) costruiti all’interno di una gola tra le rocce delle colline che circondano Jaipur; man mano che si sale e si penetra all’interno della gola, compaiono delle grandi vasche per le abluzioni rituali, alimentate da una vicina sorgente. Complice forse l’orario, ci siamo quasi solo noi che avanziamo circospetti, in un atmosfera che sembra quella di Indiana Jones e il tempio maledetto. Le scimmie sono dovunque, numerosissime, e si muovono agitate tra i templi e le pareti rocciose che li circondano, lanciando stridule grida; tuttavia non ci degnano della minima attenzione e sembrano piuttosto impegnate ad azzuffarsi tra di loro, chissà per quali motivi, e a fuggire da una parte all’altra. Preso un po’ di coraggio, ci aggiriamo tra i templi e le sacre vasche, schivando ogni tanto una scimmia o un cane randagio; dopo un po’, fattasi ormai sera, il suono dei campanelli nei due templi posti in basso, uno di fronte all’altro, richiama alla preghiera i pochi fedeli presenti e ci ricorda che è ora di rimetterci in viaggio. Arriviamo quindi a Jaipur, dove ci sistemiamo in un caratteristico e piacevole alberghetto che ci ospiterà per le prossime tre notti.

JaipurDedichiamo l’intera giornata alla visita di Jaipur, capoluogo del Rajasthan, forse la città più bella tra quelle che abbiamo visto nel corso di questo breve viaggio in India, che ci resterà nel cuore per i suoi monumenti, per i colori e gli odori del suo bazar e per la simpatia della guida, un ragazzo di 32 anni molto bravo nel suo lavoro e innamorato della sua città. Ci dirigiamo subito verso il Forte di Amber, che si trova alcuni chilometri fuori Jaipur; si tratta di una cittadella fortificata suggestivamente posta sulla cresta di una collina che domina la strada tra Delhi e il Rajasthan, residenza dei maharaja della regione fino al 1727, quando la corte si trasferì nella vicina Jaipur. Dopo aver ammirato dal basso la possente cinta muraria, riflessa nelle acque del laghetto sottostante, ci mettiamo in fila per salire sugli elefanti che ci porteranno al forte. I pachidermi aspettano i visitatori in un piazzale, una sorta di parcheggio per elefanti, ciascuno cavalcato dal suo mahout (il conducente), con la fronte e la proboscide dipinte e con la cesta per i passeggeri fissata sul dorso, sulla quale ci accomodiamo a due a due. Iniziamo così la salita verso le mura, un po’ sballottati dai movimenti dell’animale (opportunamente ammortizzati dai cuscini su cui siamo seduti), incrociando altri elefanti che scendono vuoti dopo aver lasciato i passeggeri in cima, lo sguardo accecato dal sole

che si leva dalle montagne di fronte a noi. Entrati nel primo cortile del forte, lasciamo una mancia al conducente e scendiamo dall’inusuale mezzo di trasporto, addentrandoci tra i cortili e i diversi ambienti che compongono questa reggia fortificata: la sala delle udienze pubbliche, la sala delle udienze private, la sala degli specchi, le stanze delle mogli del maharaja e quelle delle concubine… La visita è accompagnata dalle piacevoli spiegazioni di Vaseem, la nostra guida, che ci parla con entusiasmo del suo paese passando dalla storia dei secoli passati alla realtà contemporanea in rapido cambiamento.Tornati al centro di Jaipur, districandoci tra le mucche, le auto, i tuk-tuk e i carretti dei venditori, ci avviamo a piedi verso il palazzo reale, la residenza dei maharaja di Jaipur negli ultimi tre secoli e dove tuttora vive, in un’ala privata del palazzo, l’ultimo discendente della dinastia, un ragazzo di diciassette anni che ovviamente conserva il titolo ma non ha più alcun ruolo pubblico. Nel cortile del palazzo ci colpiscono due enormi giare d’argento, con una capacità di 4.000 litri l’una, fatte realizzare dal maharaja Sawai Madho Singh II per trasportare l’acqua del Gange da bere durante il suo viaggio in Inghilterra nel 1902, dal momento che egli, un indù assai devoto, temeva di commettere sacrilegio bevendo acqua inglese. Proseguiamo con la visita dell’osservatorio astronomico (Jantar Mantar), fatto costruire nel 1728 dal maharaja Jai Singh II. Si tratta di un’area all’aperto che ospita un complesso

di strutture architettoniche alquanto curiose e singolari, in pietra e in muratura, utilizzate per l’osservazione e la misurazione del corso del sole e delle stelle; vi si trovano in particolare due enormi meridiane, la più grande delle quali è in grado di indicare l’ora esatta, attraverso l’ombra del sole, con un margine di errore di appena due secondi.

L’ammirazione per questi ingegnosi strumenti costruiti da un maharaja astronomo ci ha fatto venire un po’ di appetito e così, dopo aver sorseggiato un masala tea (bevanda di the e latte fortemente speziata), ci fermiamo presso uno degli innumerevoli venditori di cibo ai bordi della strada per assaggiare un samosa, una sorta di grosso raviolo fritto ripieno di verdure, ovviamente speziate e molto piccanti.Ci dirigiamo così verso il bazar, a metà pomeriggio, immergendoci e lasciandoci trasportare dall’enorme onda umana che scorre tra le botteghe, riuscendo a malapena a non perderci e a non perdere di vista la guida, il tutto con l’immancabile frastuono del traffico dalle strade limitrofe, ogni tanto schivando una mucca immobile, ferma davanti a noi e apparentemente ignara di tutto ciò che le accade intorno, visione a metà tra il surreale e il metafisico. Ci fermiamo a comprare spezie e the, ammiriamo le ragazze che provano gli abiti da sposa per le loro prossime nozze, passiamo davanti ai venditori di corone di fiori da offrire nei templi indù, qualcuno di noi si azzarda ad assaggiare uno strano dolce preparato sul posto, un involtino di foglie di vite (così almeno sembrano) contenente una poltiglia di frutta

secca, uvetta, canditi e chissà che altro. Usciti dal bazar, arriviamo infine al Palazzo dei venti (Hawa Mahal), il luogo più celebre di Jaipur, la cui immagine è spesso collegata al nome della città, che però si può guardare e fotografare solo dall’esterno. Si tratta di un palazzo di cinque piani la cui facciata presenta numerosissime nicchie e finestre, tutte con grate di marmo finemente cesellate; questa caratteristica, presente anche in altri palazzi come il Forte di Amber, consentiva alle donne di corte di guardare ciò che accadeva in strada senza essere viste. Insomma, tanta finezza artistica ed architettonica era volta sostanzialmente a garantire la secolare segregazione ed esclusione delle donne dalla vita pubblica, alle quali era consentito solo di “sbirciare” di nascosto dietro a una grata di marmo. Dopo un altro po’ di shopping tra i negozi di stoffe e di pashmine, concludiamo la nostra giornata a cena in un ristorante consigliatoci dalla guida; il locale, con tanto di spettacolo di musica e danze tradizionali, ci sembra un po’ troppo turistico, ma trascorriamo comunque una piacevole serata in compagnia di Vaseem, che ha portato con sé la sua giovane moglie e la loro adorabile figlioletta di pochi mesi.

PushkarSituata a circa 150 km a ovest di Jaipur (il che significa tre ore di pulmino sulle difficoltose strade indiane), la cittadina di Pushkar, posta sulle rive dell’omonimo laghetto, è uno dei più importanti luoghi sacri per la religione indù. La sua fondazione risale a tempi remoti ed è legata al dio Brahma, al cui culto è dedicato un tempio che si trova al centro della cittadina (uno dei pochissimi templi esistenti dedicati a Brahma); i fedeli vi giungono per ricevere la benedizione del dio e bagnarsi nelle sacre acque del lago. La visita di Pushkar non era prevista nel nostro itinerario base; siamo grati alla coordinatrice per averci proposto ed aver organizzato questa emozionante esperienza di viaggio in un luogo dal fascino misterioso e indescrivibile, un luogo fuori dal tempo e soprattutto fuori, incredibilmente fuori dal caos e dai rumori che caratterizzano le città indiane. Il pulmino ci lascia ai margini della cittadina, la quale a sua volta si trova ai margini del deserto del Rajasthan; oltre i tetti bassi delle case, si apre davanti ai nostri occhi la visione insolita di una distesa di sabbia silenziosa e sconfinata. Per questo motivo a Pushkar si vedono anche i dromedari; nel mese di novembre la cittadina ospita una famosa fiera dedicata a questo animale, così importante in ogni regione desertica. Inoltre Pushkar, in quanto luogo sacro, è una città rigorosamente vegetariana ed è proibito introdurvi carne, uova o bevande alcoliche.Iniziamo la nostra passeggiata tra le stradine in direzione del lago, incrociando numerose mucche ed alcuni maiali e cinghiali che razzolano tranquillamente tra i mucchietti di spazzatura, cui ormai non facciamo più caso. Alcuni abitanti siedono fuori dalle loro case e i bambini, come accade un po’ ovunque, si fanno fotografare e poi vogliono rivedersi sui display delle macchine fotografiche. Regna una calma cui non siamo più abituati. Fuori da uno dei tantissimi templi siede un uomo con una lunga barba bianca e un’aria meditativa, avvolto da una

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Page 6: Testo di Fulvio Azzali Foto di Fabrizio Pisu...Delhi - Vrindavan - Mathura - Agra Lasciamo Delhi di buon ora, in mezzo ad un traffico già infernale di macchine, camion, furgoni, autobus,

Avventure nel mondo 2 | 2016 - 49

tunica e da un turbante di colore chiaro; ci sorride e tollera pazientemente che ci sediamo vicino a lui per farci dei selfie, come se queste sciocchezze potessero mai turbare la sua quiete interiore. Man mano che ci avviciniamo al lago e al tempio di Brahma aumentano le bancarelle e i negozietti che vendono stoffe, abiti, cibo e souvenir per turisti; una donna anziana vende dei copricapi tradizionali a 50 rupie l’uno (meno di un euro) e decidiamo di comprarne alcuni per ripararci dal sole. Un altro aspetto insolito è che qui non veniamo assediati da gruppetti di persone che vogliono venderci qualcosa, come è successo praticamente ovunque, ma anzi veniamo quasi ignorati, mentre gli abitanti del luogo sembrano più interessati ai facoltosi fedeli indù che vengono a lasciare le loro generose offerte nei templi. Arrivati al tempio di Brahma, dobbiamo toglierci le scarpe e lasciare borse e zainetti; saliamo quindi una scalinata che immette in un cortiletto al cui centro sorge una struttura dai colori vivaci, in cui predominano il rosso e il blu, sorretta da colonne che ricordano vagamente un tempietto greco-romano. È questo il luogo più sacro, dove i fedeli si recano a ricevere la benedizione facendo suonare una campanella che pende dal soffitto e facendosi apporre da un brahmino un segno rosso-arancione tra i due occhi, al centro della fronte. Non mancano poi il giro in senso orario intorno all’altare e il rito consistente nel legare un piccolo filo rosso ad un albero.Usciti dal tempio, scendiamo verso le rive del lago, dove, terminate le stradine con i loro negozietti, ci troviamo immersi in un’atmosfera di quiete mistica, tra le abluzioni dei fedeli (che ci viene chiesto di non fotografare), il volo degli uccelli al di sopra del lago e le mucche presenti ovunque, grandi e pacifici animali, cui viene concesso addirittura di entrare nei piccoli tempietti che si trovano lungo le rive. In questi sei giorni trascorsi in India siamo progressivamente entrati in contatto con un mondo molto diverso dal nostro; ora ci troviamo qui, seduti sui gradini che portano al lago, a respirare l’aria di una religiosità antica ed ingenua e a guardare una spiritualità che si sostanzia di semplici gesti.Tornati a Jaipur, dopo altre tre ore di pulmino, andiamo a cena in un nuovo ristorante (ma il cibo è sempre lo stesso, speziato e molto piccante) e, per tornare in albergo, proviamo l’esperienza di prendere un tuk-tuk. Stretti in quattro più il conducente in questa Ape adattata a taxi (gli indiani, non so come,

riescono ad entrarci anche in dieci), coperta di sopra ma aperta ai lati, proviamo l’ebbrezza di sfrecciare nel traffico notturno, superando gli altri tuk-tuk e rischiando più di una volta un frontale con qualche macchina; all’arrivo ci dispiace quasi dover scendere e non poter fare un altro giro.Jaipur - DelhiIn quest’ultima giornata indiana è previsto il ritorno da Jaipur a Delhi, 260 chilometri che richiederanno circa sei ore di pulmino. Decidiamo perciò di partire presto, ma chiediamo quasi subito al nostro autista di fermarsi, attratti dallo spettacolo fiabesco di un antico palazzo che sorge dalle acque al centro di un lago, mentre il sole sta spuntando dalle montagne alle sue spalle. Si tratta del Palazzo sull’acqua (Jal Mahal), costruito nel 1799 dal maharaja Sawai Pratap Singh al centro di un lago artificiale, il lago Man Sagar, e utilizzato come luogo di piacere per la caccia alle anatre; attualmente solo l’ultimo piano del palazzo e la terrazza emergono dalle acque, mentre vi sono altri quattro piani sommersi.Arriviamo a Delhi verso le 2 del pomeriggio e ci dirigiamo subito al mausoleo di Humayun, che il primo giorno non avevamo fatto in tempo a vedere. Alcuni di noi erano scettici sull’opportunità di visitare l’ennesima tomba monumentale del periodo Moghul, ma devo dire che alla fine ne è valsa la pena, in quanto il sito, simile nell’impianto ai grandi mausolei di Agra (anche questo è collocato in prossimità del fiume Yamuna), presenta alcune caratteristiche peculiari e, anche se meno famoso, non ha niente da invidiare al Taj Mahal quanto a grandiosità della concezione architettonica. Si tratta della tomba dell’imperatore Humayun, fatta costruire dalla sua vedova nella seconda metà del XVI secolo. L’arenaria rossa con cui è costruito l’edificio si alterna al marmo bianco utilizzato come rivestimento dei fregi architettonici e della cupola, creando un suggestivo effetto bicromo molto diverso dal puro candore del Taj Mahal. L’enorme e maestosa costruzione si trova al centro di splendidi giardini, dove si incontrano le tombe di alcuni dignitari di corte, ovviamente di dimensioni molto minori; l’intero complesso è stato dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco.Il nostro autista ci porta quindi in prossimità del Forte rosso e del mercato di Chandni Chowk, dove salutiamo definitivamente lui e il suo aiutante, ringraziandoli per la gentilezza, la simpatia, la disponibilità e la professionalità con cui ci hanno accompagnato in questi sette intensi giorni. Prendiamo quindi dei risciò per visitare il mercato di Chandni Chowk, nella parte vecchia di Delhi, e torniamo ad immergerci nel caos e nei rumori della metropoli, che ieri, per un giorno, avevamo dimenticato. Dopo una sosta per alcuni acquisti, ci facciamo lasciare nei pressi di Karim’s, un ristorante tradizionale molto antico e famoso per i suoi piatti di carne. Dopo cena, un ultimo giro in tuk-tuk ci riporta in albergo.Il mattino dopo non ci resta che recarci in aeroporto, a malincuore, e prendere il volo di ritorno per l’Italia, portando con noi il ricordo e le immagini di un paese indimenticabile.

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