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www.theartship.it #5 MAGGIO - GIUGNO 2012 Le Home Gallery - Teatro Biopolitico Elliot Erwitt - Carte Futuriste - Jean Giraud Enrico Bettinello - Roberto Pugliese Nick Cave - Awekenings: Biennale Danza Yayoy Kusama - Sabbagh e Zucconi Padova: Palazzo della Ragione Etienne de France - Cuochi Corsello Steve Rodney McQueen - Le Donne in Wyler Fausto Melotti - Marcus Egli - Kiki Smith

The ArtShip #5

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Bulletin of Visual Culture

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www.theartship.it

#5 MAGGIO - GIUGNO 2012

Le Home Gallery - Teatro BiopoliticoElliot Erwitt - Carte Futuriste - Jean GiraudEnrico Bettinello - Roberto PuglieseNick Cave - Awekenings: Biennale DanzaYayoy Kusama - Sabbagh e ZucconiPadova: Palazzo della RagioneEtienne de France - Cuochi CorselloSteve Rodney McQueen - Le Donne in WylerFausto Melotti - Marcus Egli - Kiki Smith

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Proprietario e direttore: Paola PluchinoVicedirettore: Andrea M. CampoResponsabile di redazione: Giuditta NaselliResponsabili di sezione: Rita Aspetti, Gabriella Mancuso, Elisa Daniela Montanari, Luigino Oliva, C.S., Elena ScaliaResponsabili rapporti esterni: Margaux Buyck, Sandra Dalmonte, Valeria TaurisanoHanno collaborato a questo numero: Martina Bollini, Davide Borgna, Margaux Buyck, Alessandro Cochetti, Vincenzo B. Conti, Ilario D’Amato, Pasquale Fameli, Francesco Mammarella, Federica Melis, Mimmo Vestito

Special thanks to: Enrico Bettinello, Valeria NesciIllustrations: Giovanni Disisto, Agata Matteucci e Stefano ScaranoGraphic editor: Damiano Friscira

Registrato presso la Cancelleria del Tribunale di Bologna Num. R.G. 261/2012, al N. 8228 in data 03/02/2012.

In copertina:Arsenale della Danza: Masterclass di Adriana Borriello e Antonella Talamonti

Con il Patrocinio:

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7 Editoriale Ilcontrovaloredi Paola Pluchino

8 Punctum DuevolteErwitt la Redazione

9 IRaccontidiFedra Ritrattoinbiancoenero di Andrea M. Campo

10 PeanutGallery Awakenings,ilrisvegliodelladanza di Federica Melis

13 InConversationWith BarcheCapovolte di Paola Pluchino

15 PasspartoutInsideCreativeArea Quandol’artesuperailimitidellavisione di Elena Scalia

17 SoundForward Equilibriinstabili:leinstallazionisonorediRobertoPugliese di Pasquale Fameli

19 FaustoMelottil’armonistadellesfere di Paola Pluchino

20 GrandiMostre VisionidiDante.Doré,Scaramuzza,Nattiniinmostra di Martina Bollini

22 LaRagionediunamostra di Paola Pluchino

23 UrbanAddicted Bizzare:dall’AmericaaNickCave la Redazione

25 LetMe(et)Know(ledge) Dall’inventariodiprovinciaall’invenzionetrans-nazionale di Paola Pluchino

27 MacadamMuseum Ventiseiannidicontroculturatradottainarte di Elisa Daniela Montanari

29 HeartBauhaus Nelventredell’architetto di Paola Pluchino

INDICE

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30 LaHomeGallerycomefrontiera la Redazione

31 Unlabirintoapois di Mimmo Vestito

32 Lesyeuxdanslesyeux:regardsurlanouvelleexpositiondeKikiSmith di Margaux Buyck

34 YoungDistrict Pasodoble la Redazione

34 Ilparadossodellamuccachenuotanell’Artico di Andrea M. Campo

35 Ilsolemicostrinseadabbandonareilgiardino.AlessandroRomainmostraaMilano di Pasquale Fameli

36 E-Bomb FilmmakervsVideoartista di C.S.e Francesco Mammarella

38 IlProiettorediOloferne LedonneinWilliamWyler di Giuditta Naselli

40 Ilgiocodell’altro la Redazione

41 AspettandoArtBasel la Redazione

42 Balloon AurevoirdocteurJekill di Alessandro Cochetti

43 Routes di Gabriella Mancuso

46 OpenCall di Gabriella Mancuso

47 L’ImmanenteeilTrascendente Dianticamemoria,lagiovinezza di Vincenzo B. Conti

48 Bookanear

ErrataCorrige:

In merito all’articolo Lineamenti di una nuova drammaturgia femminile, pubblicato nel precedente numero di aprile, precisia-mo che le donne conquistano il voto il 2 giugno 1946, influenzando tra il 1946 e il 1948 gli equilibri della Repubblica.

Crediti: Studio AKKA, via Pietro Custodi,8 (Milano); 02 23163069. www.studioakka.com

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Stefano Scarano, Isonomia, 2012

Nota critica alla pagina seguente.

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Giovanni Disisto, Nostalgy, 2012

Giovanni Disisto classe 1992 nasce a Stigliano, attualmente vive a Lecce dove frequenta il corso di grafica presso la locale Accademia di Belle Arti.Con la sua opera, Nostalgy, 2012, Disisto rappresenta l’eventualità che il natio borgo materano, quel piccolo e accoglien-te locus amoenus, possa trasformarsi in un’ atomizzante metallica cittadina, perdendo l’allure tipica degli antichi paesi del Sud.Interessante a questo proposito pare la scelta dei cromatismi: laddove al seppia si commisura il ricordo del nido, il grigio tetro, inumano, e spersonalizzante, rende bruma la vista del giovane. Nella scelta tra l’una e l’altra, nell’aleggiare di que-sta non appartenenza, la scelta rimane d’istinto la contemplazione,che ferma il passo al precipizio, solco nero sull’opera.Con sensibilità l’artista propone la speranza, cui riserva il colore delle proprie vesti, come se intuisse l’ipotesi che l’arte possa rinascere con l’azione e ritrovare, un nuovo cromatismo in cui rendere l’urbano, appartenenza.

“Immaginare un mio futuro lontano dal mio luogo natio. È stato quasi automatico provare un forte senso di nostalgia (No-stalgy è infatti il titolo dell’opera) nell’eventualità in cui avessi visto trasformare il mio paese in un centro urbano, il quale avrebbe perso totalmente quell’atmosfera di serenità e accoglienza nella quale sono cresciuto”.

Stefano Scarano classe 1989 nasce a Taranto. Attualmente vive a Brescia dove sta per laurearsi in graphic design & multimedia all’Accademia di Belle Arti.Isonomia rende già in parte il significato dell’opera: laddove umano e naturale si compenetrano, nel solco in cui la terra nasce e l’uomo la nutre i due abitanti si congiungono, si raccolgono, si identificano. L’uomo, nella sezione-mondo che l’artista opera, sostiene questo percorso di eleganza ecologica, di visione arborea colma di inflorescenze e alte fronde a ricordare il ruolo del mondo da sollevare.Questa cariatide in t-shirt e barba, perde nella visione contemporanea dell’artista lo sforzo originario, per conquistare lo slancio dell’alto, svelando il peso assente in gravità, utopia del dono come memento vivere e opportunità.Nella dicotomia fattoriale dell’urbano illustrato dall’artista, ciò che appare è anche il verso di percorrenza della giungla colta statu nascenti, a rivelar, nell’embrione che essa contiene una nuova carica, un divenire coronato.

“Spero però che al di là dell’avvenenza estetica dell’illustrazione,l’opera sia riuscita sopratutto,nel suo piccolo,a dare un’ul-teriore chiave di lettura per comprendere la realtà in cui viviamo oggi più che mai ed eventualmente cambiarla, salvarla da questo processo velocissimo di disumanizzazione e snaturamento al quale stiamo andando incontro”.

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Il controvalore

Ho avuto il tempo di pensare tutta la notte alla giusta idea per scrivere questo editoriale. Di sera, quando il sole cala celando i raggi della sua creazione, i pensieri si fondono seguendo l’amalgama spuria del prevedere, a conti fatti, quale rapporto possa instaurarsi tra ciò che dico e ciò che accadrà. Ma la contemporaneità in cui viviamo oggi, banalmente, non ha più tempo di prestare attenzione alle delicate osservazioni che i giovani avanzano, ancor più se queste non sono spendibili, né in termini di sonata celebrativa né nei termini di compravendita.Tuttavia, a buona memoria, proprio questo è sempre stato il luogo dei villani, ossia il luogo in cui i commercianti, strana razza di affaristi, mercanteggiavano beni in cambio d’oro, proponendo una cosa con valore più basso per guadagnarci; in poche parole, invitando l’acquirente al debito.Questo principio speculativo ordito da sapienti ha portato oggi all’assunto, turpe e deprecabile: possesso ugua-le valore. Lungi da me voler affermare teorie dal taglio facilmente bakuniniano, sostenendo l’abolizione della proprietà privata, e con esso anche il possesso. Sarebbe d’uopo che la produzione e lo scambio culturale avve-nissero sotto l’egida di una prospettiva più fluida e attuale, una risorsa condivisibile, pur legittimamente appar-tenente al singolo.Ci si chiederà cosa c’entra questo con l’arte, con quell’universo che, visto da fuori, appare pieno di eleganti lac-chè e fantasiose opere, spesso incomprensibili espressioni del pensiero che si fa materia. Gente “altra” che non ha problemi di soldi, che non riflette sulla catastrofica crisi economica che la generazione a noi precedente, cioè coloro che anche leggono queste righe, ci ha lasciato sgradevolmente in eredità. La bocca si fa bella intendendo che i tempi sono duri e bisogna prepararsi al peggio. Tuttavia, ciò i grandi econo-misti della domenica non pensano, è che la costruzione di un universo migliore, debba essere retto da un nuovo perno, da altri magnetismi che sostengano e che si sostituiscano all’ardore economico del passato. Bene, quello che io penso, è che l’assunto del profeta che scalava la montagna e in solitudine meditava per pro-durre l’opera che avrebbe elevato gli spiriti, in tempi in cui, la pancia rumoreggia, non sia la soluzione.Mi stupisco e piacevolmente quindi, che tanti ragazzi, pur nelle beghe parentali del dover spiegare ai genitori perché Lettere invece che Economia, siano affascinati e contribuiscano alla creazione di questo giornale, che ha lo spirito del dono, primigenio parto dell’economia. Questa generazione prova con tutte le forze a ridisegnare un’economia propositiva e forte, intervenendo nella comunità. A quali squali ci rivolgiamo non lo sappiamo mai, e cosa si ordisce dietro di noi nemmeno. Ciò che muove questo genere d’iniziative è il convincimento che le bolle, eccellente simbolo della vanitas, siano destinate a scoppiare, a perdersi in quell’aria di cui sono fatti gli spiriti insapienti.I testi che seguono abbracciano la speranza (idealista e immatura, per citare i vecchiardi) che il talento sia una carta vincente, che gli studi compiuti improvvisamente si trasformino in qualcosa di nutriente, di innovativo, bacini in cui tanti altri singoli possano riconoscersi e convenire. Vorrei inoltre ricordare ai nostri lettori, che gli autori degli articoli, sono tutti giovani laureati, di modo da fugare ogni dubbio sull’eventualità che essi possano avere un qualche potere d’interesse nella riprovevole società economica che abitiamo. Uno studente costa ad una famiglia, nell’arco della propria carriera, circa trentamila euro. Se voi foste delle per-sone oneste, e spero che voi lo siate, dovreste farvi i conti di quanto spendere per leggere le righe che seguono.

Paola Pluchino

EDIT

ORIA

LE

Locomotif - Black Hot Coffee♬

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Due volte Erwittla Redazione

Di Elliot Erwitt conosciamo gli scatti più importanti, gli innamorati in riva al mare che si baciano nel riflesso dello specchietto retrovisore dell’automobile o l’immagine del cane che salta al guinzaglio del padrone. Imma-gini talmente note da passare nell’immaginario collettivo come scatti a sé stanti, oltre la mano che li ha colti nel flusso continuo e indistinto del tempo. Questo genere di fenomeno, che abbandona il legittimo autore per imporsi come immagine per sé nel percorso di acquisizione e riconoscibilità dell’opera, contribuisce all’eleva-zione dell’oggetto feticcio allo status di icona.Aosta celebra nella mostra presso l’ Aosta Hôtel des États fino al 25 giugno, le immagini del gigante dell’agen-zia fotografica Magnum: 43 immagini che narrano, con estetica filologica, gli incontri più importanti e gli incarichi più prestigiosi di uno degli ultimi grandi fotografi ancora viventi. Sono impressioni che illuminano Kennedy, Che Guevara, Krusciov e Nixon, e incontri con le Icons del grande schermo quali Marilyn Monroe, Marlene Dietrich e Grace Kelly che mantengono la fisicità del racconto, la leggerezza e l’ironia profondissima con cui il fotografo accompagna le sue opere; questa fisicità del racconto, la leggerezza e l’ironia profondissima con cui Elliot Erwitt accompagna le sue opere, insieme ai cani, ossessive ed ineludibili presenze nel racconto fotografico hanno in parallelo una mostra più grande presso la Casa dei Tre Oci di Venezia che raccoglie 140 tra le celeberrime immagini del fotografo, tra queste, come parte integrante del percorso espositivo gli scatti realizzati insieme a Nicola Bardelle, direttore creativo di Jacob Cohën. In questo caso, la sintesi del racconto non è l’icona in sé, ma la scelta prima del fotografo, la selezione che egli opera nel riscrivere il tempo dei suoi scatti riattualizzandoli. Lo spostamento temporale, reso possibile grazie al lavoro congiunto con il team di Jacob Cohën, sviluppa così il tema del Personal Best , ciò che l’artista pre-ferisce e presta, in un gioco ricco di rimandi autocelebrativi e di dissacrante ironia del suo imponente lavoro: “Sono Elliot Erwitt e lo sono da molti anni” si legge nell’headline della campagna pubblicitaria primavera - estate 2012 di Jacob Cohën.

Info Icons - Aosta Hôtel des ÉtatsFino al 25 giugno

Personal Best – VeneziaCasa dei Tre OciFino al 15 luglio

PUNCTUM

Elliott Erwitt e Nicola Bardelle per Jacob Cohën,COURTESY CASA DEI TRE OCI (Fondazione di Venezia)

Portrait of Elliot ErwittCOURTESY AOSTA HÔTEL DES ÉTATS

James Rich - Superfreak♬

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Ritratto in bianco e nerodi Andrea M. Campo

La nostalgia vela sapientemente i ricordi senza di-stinzione, confondendo rimorso e rimpianto, tes-sendo nell’intimo di una lacrima un desiderio. Il desiderio di quel corpo sospeso nel bianco e nero della carta acida di una vecchia pellicola, quel cor-po che è stato mio, e che vorrei accarezzare ancora una volta. Stupidamente intingo l’indice sulla sua anima impressa nella patina collosa, e lentamente ricalco le linee gentili del suo profilo. E fingo che lei sia ancora lì, riversa nel mio letto, a giocare con i miei ricci e sorridendo ai miei sorrisi.Perduto in quella foto dico “Ciao” a voce alta, come uno stupido e ingenuo amante perduto nel delirio dell’attesa. E lei mi sorprende ancora. Si volta e ride. Lei. In quella foto. Si volta. E ride. RIDE.Ride come sempre e come mai prima.Il viso lentamente le si tinge di rosa e i capelli ac-compagnano l’altalena su cui è seduta.Mille perché si fanno avanti nel mio stomaco divo-rando tutto ciò che incontrano, risalgono rapidi nel petto e si fermano in gola.Tutti tranne uno.Un piccolo perché mi riempie la bocca, e sembra smarrirsi in un urlo strozzato. Si ripete, ancora e ancora, spin-gendo sulle labbra, fino ad esplodere in un irruente grido che investe quella vecchia foto cui rimango aggrappato.La stringo forte per non lasciarmi sfuggire l’ultima occasione per capire, per smetterla di sperare nell’indulgenza del tempo, illudendomi che questo possa darmi pace: è un breve piacere, un abile ed esperto latitante che come sabbia riesce ad attraversare le larghe maglie della mia mano disperdendosi ai miei piedi.“Perché?” insisto e scuotendo la sua immagine.Le foglie, la collina sullo sfondo, il cielo, la foto riprende colore, vita, e lei continua a sorridere lasciandosi acca-rezzare dal vento; il destino o la mia follia mi hanno dato un’altra occasione per dirle ciò che non ho mai avuto il coraggio di dire, ma io sono stupido, e provo rancore, voglio solo sapere perché.Lei sorride e non risponde, sorride e non mi guarda.L’arco d’avorio dove fermavo il battito adesso si è trasformato in una smorfia e poi in un ghigno. L’ira mi assale, stringo la sua immagine, l’accartoccio e la lancio lontano da me abbandonandomi a un pianto disumano.Trascorrono parecchi minuti e alla fine cedo all’incoscienza, sospendendo i sensi in un limbo di miseria.Riprendo la foto in mano e la tiro da due angoli. Tutto è come prima, o quasi. I colori sono svaniti, lei è immobi-le sull’altalena e sorride, perché altro non può fare, ma la foto adesso è tagliata dalle pieghe nate da due mani furiose: le mie mani.Adesso capisco.Adesso non ho più bisogno di chiedermi il perché.La passione insana di un amante insicuro ha piegato il suo sorriso su questa foto così come allora avvilì le fragili corde del suo rifugio.

I RACCONTI DI FEDRA

Maurits Cornelis Escher, Still life, 1943

Paolo Conte - L’incantatrice♬

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Awakenings, il risveglio della danzadi Federica Melis

Awakenings, è questo il titolo inaugurato per l’ottava edizione del festival internazionale di danza contempo-ranea della Biennale di Venezia, diretta dal performer, danzatore e coreografo brasilia-no Ismael Ivo. Per due settimane, dall’8 al 24 giugno, gli spazi sugge-stivi e affascinanti della Serenissima ( Arsenale – Artiglierie, Corderie, Teatro Piccolo Arse-nale, Teatro alle Tese, Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian, Teatro Malibran, Salone dei SS. Filippo e Giacomo

del Museo Diocesiano di Venezia) verranno occupati, vissuti all’insegna del risveglio della creatività. Sarà lo stesso Ismael Ivo con il debutto veneziano del-la sua Biblioteca del Corpo, in prima assoluta l’8 giu-gno ed in replica il 9 e il 10 giugno al Teatro alle Tese, ad aprire le danze del Festival; coreografia che vedrà

coinvolti, a conclusione della sessione annuale di stu-di, i 25 danzatori dell’Arsenale della Danza, giovani fra i 19 e i 30 anni provenienti da Grecia, Brasile, Italia e Stati Uniti. Ispirato al celebre racconto La Bibliote-ca di Babele di Jorge Luis Borges, lo spettacolo di Ivo sembra essere lo speculare performativo del modello letterario: l’indagine del corpo e sul corpo come sen-sore e documento di vita condotta dall’esploratore Ivo, segue un percorso circolare attraverso sei sale a tema - si parte da Bozzolo, cui seguono Studio di Marina, Risvegli, Studio di Muybridge, Il giardino dei sentieri che si biforcano ed infine, nuovamente Bozzolo-. espri-mendo così la medesima circolarità del percorso di vita tracciato da Borges nella Biblioteca di Babele: “ …Come tutti gli uomini della Biblioteca, in gioventù io ho viaggiato; ho peregrinato in cerca di un li-bro, forse del catalogo dei cataloghi; ora che i miei occhi quasi non possono decifrare ciò che scrivo, mi preparo a morire a poche leghe dall’esagono in cui nacqui.” Il corpo è un libro autonomamente definito dalla propria individualità, ogni suo segreto e possibilità possono essere scoperti solo rompendo l’opacità di copertina, svelando pagina per pagina, alla maniera delle flap anatomies, ciò che è celato nelle profonde mirabilia dello spirito, senza mai dimentica-re il rapporto che ogni libro-corpo-individuo intrattie-ne con l’intera enciclopedia umana. Un percorso con ovvi riferimenti al processo creativo, che pur inscri-vendosi all’interno delle rassicuranti leggi della perfe-zione concentrica, non intende negarsi la possibilità di imbattersi con i difetti del corpo, con quelle pagine strappate del libro che interrompono e frammentano la continuità dell’enciclopedia umana. Seguirà, sempre l’8, 9 e 10 giugno in prima assoluta al Teatro Piccolo Arsenale, lo spettacolo De Anima di Virgilio Sieni

PEANUT GALLERY

Un'immagine tratta da Nowhere and everywhere at the same time di William ForsytheCOURTESY OF FORSYTHE COMPANY

Sylvie GuillemCOURTESY OF PHOTOGRAPHER GILLES TAPIE

Shostakovich - Russian waltz♬

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che, ispirato all’omonima opera di Aristotele, si inse-risce in una linea di ricerca intrapresa dal coreografo sulle suggestioni e sui rapporti fra danza e filosofia. Il Festival continuerà il 12 e 13 giugno alla Sala del-le Colonne-Ca’ Giustinian con Cristiana Morganti e il suo Moving with Pina, che rievoca attraverso la performance danzata il ricordo affettuoso della mae-stra Pina Bausch, della sua inesauribile creatività , dei suoi metodi di lavoro e di ogni momento vissuto alla compagnia Tanztheater di Wuppertal; la rielaborazio-ne visiva di ricordi e sentimenti scandisce i tempi di un’autobiografia scritta sul movimento del corpo che diviene così vettore e veicolo di sterminate costella-zioni interiori. In prima italiana troveremo la compa-gnia brasiliana Balè do Teatro Castro Alves, con gli spettacoli 1Por1Praum di Jorge Vermelho (13, 14, 15, 16, 17 giugno Corderie dell’Arsenale) e A quem possa interessar di Henrique Rodovalho ( 15, 16, 17 giugno Teatro alle Tese), dedicati a temi mnemoni-ci, biografici e identitari.Fra le prime assolute sarà anche Too Mortal, spet-tacolo della coreografa anglo-indiana Shobana Je-yasingh, considerata la pioniera della danza plurale, nella quale elementi provenienti da culture differenti si fondono producendo innovative ibridazioni. Il tema di Too Mortal è appunto la natura mortale dell’uomo. Secondo la Jeyasingh, all’interno di un luogo di culto si è naturalmente portati a riflettere sulla propria in-dividuale caducità, motivo per cui lo spettacolo ver-rà rappresentato in un luogo tanto inconsueto come il Salone dei SS. Filippo e Giacomo del Museo Dioce-

siano di Venezia il 14, 15,16 giugno. Ancora in prima nazionale, il 15, 16, 17 e 22, 23, 24 giugno negli spazi delle Artiglierie dell’Arsenale, avrà luogo lo spettacolo Nowhere and everywhere at the same time di William Forsythe, artista premiato con il Leone d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia del 2010, noto per la ricerca sui processi della danza attraverso l’utiliz-zo di oggetti artistici che rispondono ad una precisa esigenza d’indagine coreografica in assenza del corpo. Dall’Islanda approderà negli spazi Teatro Piccolo Ar-senale il 15 e 16 giugno, la nuova versione dell’opera di Erna Ómarsdóttir, We saw monsters. L’artista islandese, operante a lungo nella compagnia di Jan Fa-bre, nota per la potenza animalesca delle proprie per-formance, si propone di risalire alle radici delle nostre paure primordiali; tali sono quelle del buio, dell’ignoto, della morte e perfino della stessa vita. In questo inquie-tante viaggio si serve di uno strumento di raccordo fra il dentro e il fuori; fra le paure rimosse o credute supe-rate che giacciono come un vulcano prossimo all’eru-zione e i guizzi di lava che rigettandosi all’esterno, del grande exploit ne palesano solo parte più minuta: la voce vissuta come organo. Dunque un viaggio a ritroso dall’epidermico, all’intangibile psicologico, attraverso il palpitante organico, con la spregiudicatezza di chi non intende deporre il coraggio mentre affronta il con-flitto con i propri più angosciosi timori, anche al costo di perire in una lotta impari. Prima partecipazione alla Biennale per il coreografo beninese Koffi Kôkô che presenterà, in prima nazionale al Teatro Piccolo Arse-nale il 19 e 20 giugno, il suo ultimo assolo La Beau-

Arsenale della Danza. Open Doors, 24 marzo 2012COURTESY OF BIENNALE DI VENEZIA

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té du Diable. Spettacolo che affrontando la spinosa questione del dualismo umano e universale fra bene e male, induce Kôkô – proveniente da una cultura di matrice afro in cui i due termini sono saldamente co-niugati- a interrogarsi sui motivi che nella cultura giu-daico-cristiana, al contrario, li tengono separati. Il 21 e 22 giugno al Teatro Piccolo Arsenale, vedremo come protagonisti dello spazio scenico gli allievi del Corso Teatrodanza della Scuola Paolo Grassi di Milano che dall’incontro-lezione con la coreografa americana Trisha Brown - figura centrale del Post Modern e degli sperimentalismi rivoluzionari degli anni ‘70- da-ranno nuova vita al suo spettacolo Line Up facente parte dei celebri Early Works. In chiusura di questa ottava edizione del Festival, troviamo una delle star della danza dei nostri tempi: Sylvie Guillem, fresca vincitrice del Leone d’oro alla carriera. Ballerina dal-la tecnica impeccabile che può vantare un repertorio pressoché sconfinato, si esibirà il 22 giugno al Teatro Malibran con 6000 Miles Away, spettacolo composto da un trittico di pezzi appositamente progettati in sua funzione – il pas de deux Rearray di William For-sythe, l’assolo Bye di Mats Ek e il duetto 27’52’’di Jirí Kylián -da tre dei maggiori coreografi contem-poranei-. Ed infine la prima mondiale dello spettacolo Booty Looting dell’ artista belga Wim Vandekeybus verrà presentata al Teatro alle Tese nelle serate del 23 e 24 giugno. Danzatore, coreografo, regista e film ma-ker, Wim Vandekeybus è fra le figure più poliedriche e ribelli del panorama artistico presenti ad Awekenings, promotore di un’estetica del conflitto, il taglio forte-mente antiaccademico in alcune fra le sue maggiori creazioni è portato alle estreme conseguenze, giun-gendo ad esiti assolutamente bellicosi, dove la scena si trasforma in un vero e proprio campo di battaglia,

dove i corpi sono scossi e percossi da prese, lanci, ca-dute e spinte che esprimono la bestialità della natura umana. Sempre assecondando la precisa volontà di risveglia-re una creatività a rischio d’assopimento, fil rouge che attraversa tutte le proposte del Festival, si inseriscono gli ultimi eventi che chiuderanno l’edizione del 2012: Marathon of Unespected, un progetto dedicato alla scoperta di nuovi talenti nel campo della danza ed allo stesso tempo una vetrina che offre visibilità a quelle realtà che troverebbero difficoltà ad esprimer-si altrimenti, selezionerà giovani artisti che dovran-no presentare dei pezzi inediti e di fulminea durata – non potranno superare i 15 min.- che si esibiranno il 24 giugno al Teatro piccolo Arsenale. Coreogra-phic Collision si propone come attività di formazio-ne coreografica rivolgendosi a coreografi, studenti e studiosi universitari delle differenti aree della critica (letteraria, delle arti visive, della musica e delle arti performative) che verranno selezionati tramite bando offrendo loro la possibilità di partecipare a workshop ed incontri con gli artisti previsti nell’arco dell’intero Festival. I Masterclass Joy of Movement, si rivolgo-no indiscriminatamente sia a professionisti del settore che a semplici appassionati, si pongono come esclusi-ve occasioni di avere un faccia a faccia con i protagoni-sti del Festival, di entrare in stretto contatto con i loro strumenti -e processi creativi- al fine di promuovere una riflessione attenta ed informata sulle tendenze della danza contemporanea. Il Festival si concluderà con l’ Awakenings Dance Party, un momento di festa in cui il pubblico sarà invi-tato a celebrare la gioia di vivere che la danza esprime, con la complicità di alcuni allievi dell’Arsenale della Danza in una serata all’insegna del divertimento.

Master class di Jozef Frucek e Linda Kapetanea, 2012COURTESY OF BIENNALE DI VENEZIA

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Enrico Bettinello, direttore del Teatro Fondamenta Nuove, racconta ai lettori come si può in laguna rove-sciare il classico in favore del contemporaneo. Il Teatro Fondamenta Nuove, luogo della contem-poraneità a Venezia è lo spazio nel quale la musica, il teatro, la performance e la danza contemporanea trovano la possibilità di esprimere tutte le potenzialità creative e emozionali.In passato collaboratore dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Venezia, è anche curatore di iniziative di carattere internazionale come il San Servolo Jazz Meeting e di iniziative formative per la Fondazione di Venezia. Apprezzato dal grande pubblico anche in veste di cri-tico musicale è caporedattore di AllAboutJazz Italia, e firma di spicco di testate come Il Giornale della Musi-ca, BlowUp, Venezia Musica & Dintorni, Musica Jazz, RadioTreRai.Nel 2012 è tra i vincitori del Premio Città Impresa, per il contributo portato, attraverso l’attività creativa, allo sviluppo economico, sociale e culturale del Veneto e dell’intero Paese.

Enrico Bettinello, la prima domanda è sulla sua carriera, cosa l’ha portata ad essere il direttore artistico per Teatro Fondamenta Nuove?Diciamo che si è trattato di una naturale evoluzione: oltre all’attività di critico e giornalista musicale – che tuttora porto avanti – sono stato per alcuni anni il re-sponsabile della comunicazione del Teatro e, quando il precedente Direttore ha lasciato per un incarico più prestigioso, ho avuto l’onore di raccoglierne l’eredità, tra l’altro in un momento cruciale per il Teatro, quando abbiamo investito molte energie per rompere gli stec-cati tra le arti dal vivo, musica, danza, teatro, perfor-mance…

Il Teatro Fondamenta Nuove, propone spetta-coli molto interessanti, soprattutto in rappor-to alla scelta che operate, privilegiando artisti meno noti in Italia e sviluppando un calendario eventi che può dirsi sperimentale. Può spiegarci quali sono i criteri di selezione?Credo basti uno sguardo alle nostre stagioni da oltre dieci anni per capire quali sono le coordinate su cui

IN CONVERSATION WITHBarche Capovoltedi Paola Pluchino

Portrait live MojomaticsCOURTESY TEATRO FONDAMENTA NUOVE

The Smiths - This Charming Man♬

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ci siamo sempre mossi, quelle della ricerca espressi-va, della originalità, dell’esplorazione di nuovi linguag-gi. Volendo sintetizzare, in ambito musicale abbiamo dato spazio a quello che è probabilmente il meglio nell’ambito del jazz d’avanguardia, dell’improvvisazio-ne radicale, del rock indipendente, dell’elettronica e del djing, nonchè della ricerca sulla scrittura contem-poranea, mentre nell’ambito del teatro siamo la casa “veneziana” delle giovani compagnie performative, così come nella danza abbiamo sempre privilegiato i giovani coreografi di tutta Europa.

All’oggi, torna in auge il dibattito sul contempo-raneo e sulla capacità degli operatori del setto-re di fare cultura, e di assistere il cambiamento. Quale direzione sta creando il Teatro?La direzione è quella della formazione del pubblico, di incentivare le residenze e le modalità virtuose di produzione, con ampie ricadute culturali sul territo-rio. Venezia è una città molto complessa e le difficoltà finanziarie che un po’ tutti gli enti locali si trovano a vivere certamente non favoriscono un pieno investi-mento in questa direzione, che è quella delle migliori pratiche curatori ali europee, ma credo che il grande successo di pubblico e la considerazione in cui gli arti-sti tengono il nostro Teatro sia un segnale che le dire-zioni intraprese hanno un forte significato.

Molteplici soggetti ma soprattutto celere depe-ribilità del nuovo, qual è il leit motiv da seguire per essere al passo con i tempi?

L’essere al passo coi tempi è più un problema degli imi-tatori che degli innovatori, che invece lavorano perché i tempi siano al passo con loro. Noi cerchiamo che gli artisti con cui lavoriamo sollevino domande interes-santi e lo facciano mettendo in discussione i linguag-gi. Credo che se avessimo cercato un leit motiv non avremmo fatto molta strada.

Se volesse scrivere un’intervista impossibile chi farebbe conversare e perché.In agosto saranno passati vent’anni dalla morte di John Cage e sarei abbastanza curioso di conoscere il pen-siero di Cage oggi, di fronte alle sfide della comunica-zione… probabilmente sarebbe lo stesso e per questo forse ancora più prezioso e impertinente.

Quali sono a Suo parere, le compagnie, i perfor-mer, gli artisti che varrebbe la pena promuovere e sostenere?Beh,gli artisti, i musicisti e le compagnie che abbiamo sostenuto in tutti questi anni e che continuiamo a so-stenere sono quelli in cui crediamo, oltre a loro sono un convinto sostenitore della necessità di rendere pro-tagonista attivo il pubblico, troppo spesso considerato solo come o come un elemento esterno al pensiero ar-tistico o, al contrario, dittatoriale (programmo questo perché “piace al pubblico”). Uno spettatore maturo, mobile, critico, è il compagno ideale di viaggio del Te-atro Fondamenta Nuove

Indichi una frase, un ricordo, un insegnamento che è stato per Lei nume tutelare nel suo percor-so di sviluppo professionale.Forse vi deluderò, ma non ho particolari numi tutelari: credo che sia il caso di imparare da tutti e non c’è dub-bio che sia le persone che lavorano con me contribui-scano a questo, sia i tanti interlocutori con cui abbia-mo costruito cultura in questi anni (penso ad esempio a Carlo Mangolini di OperaEstate Festival o Roberto Casarotto della Casa della Danza di Bassano, ma ce ne sono molti altri) abbiano avuto un ruolo essenziale nel-la mia crescita professionale.

Per concludere, quali sono i Suoi progetti futuri, le scommesse e gli auspici del Teatro?I progetti sono molti, c’è da capire al meglio come superare tutti insieme una crisi economica che certo non rende le cose facili a un teatro, per giunta privato come il nostro, ma sono certo che se sempre più ope-ratori avranno la voglia di mettersi a ragionare con pa-rametri europei e superare il provincialismo di molte progettualità, potrà crescere non solo il Teatro Fonda-menta Nuove, ma tutto il settore e soprattutto il livello culturale del territorio.

Vista lagunare del Teatro Fondamenta Nuove

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PASSPARTOUT INSIDECREATIVE AREA

Qual è il ruolo dell’arte nella disabilità e per la disabi-lità? Questa è una delle domande, che già da qualche anno, alimentano ed incentivano la crescita di labo-ratori sperimentali, educativi e percorsi estetici sia al livello nazionale che internazionale. Spesso definito come “Teatro del disagio” o “Teatro sociale” questo fi-lone, che ormai è entrato a tutti gli effetti nel campo della ricerca teatrale, racchiude in sé molte esperienze artistiche ed espressive che lavorano sul teatro come forma di integrazione di persone con varie disabilità o che vivono comunque un condizione altra di sofferen-za. A rinsaldare tale filone in Italia ha inoltre contribui-to, nel 2011, la prima edizione del premio per la dram-maturgia “Teatro e disabilità”, ideato da AVI onlus - Agenzia per la Vita Indipendente e dall’Associazione ECAD - Ebraismo Cultura Arte Drammaturgia, avviato durante le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Ita-lia. Questo ambito, dunque, è formato da professionisti nel campo sociale, terapeutico e teatrale che educano, formano, producono spettacoli, in continua alternanza tra l’espressività ed il messaggio sociale, tra l’integra-

zione e la partecipazione. A questo proposito grazie alla collaborazione con il Servizio studenti disabili e dislessici dell’Alma Mater Studiorum di Bologna si può seguire parte del lavoro laboratoriale della compagnia bolognese Magnifico teatrino Errante composta da persone con varia disabilità e da studenti appassionati di teatro e provenienti dai più diversi campi di studio, dall’Antropologia alla Fisica. In seguito all’esperienza teatrale triennale con un grup-po integrato, Valeria Nasci, attrice e regista ha portato continuità al lavoro accogliendo nuovi partecipanti e rinnovando la compagnia che, con la parata par tòt1 del 2011, ha acquisito la sua attuale denominazione. L’esito dell’ultimo processo artistico del Teatrino è stato lo spettacolo Anche l’Occhio vuole, all’interno della Rassegna “Diverse abilità in scena”, promossa dall’Associazione gli Amici di Luca. L’indagine sul tema dello sguardo e della vista si delinea come filo condut-tore di questa esperienza, ma non solo, probabilmente tocca una questione esistenziale: imparare ad accetta-re la diversità sotto qualunque aspetto, sicuramente

Quando l’arte supera i limiti della visioneLascritturascenicadelMagnificoTeatrinoErrantedi Elena Scalia

1 Par tòt (espressione dialettale propria del territorio bolognese: parata per tutti) è una parata multiculturale e intergenerazionale, ecolo-gica ed itinerante per le vie del centro cittadino, che mira al coinvolgimento diretto della comunità, delle associazioni e degli artisti. Trae la propria ispirazione dalla biennale Zinneke Parade di Bruxelles.

Anche l'occhio vuole, L'uomo elefanteCOURTESY MAGNIFICO TEATRINO ERRANTE

Massive Attack - Protection♬

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un importante traguardo da raggiungere. La compagnia, pur intraprendendo questo percorso sociale e umano, ha parallelamente sviluppato una ri-flessione estetica: ogni membro partendo dalla propria individualità, ma anche dal proprio innato talento arti-stico e performativo, ha avuto prima lo spazio per po-ter “esplodere” e poi, man mano, sotto la guida ener-gica e ferma della Nasci ha saputo “fermare il proprio essere” e la propria storia in un’immagine, in un suono, in un testo, in un’azione, in una battuta, creando una dramma-turgia “a quadri” in cui lo spet-tatore assiste e “viene assistito”. Tanti quadri, tanti spazi in cui la disabilità perde la propria con-notazione difettosa di handicap, di mancanza, di perdita trasfor-mandosi in una caratteristi-ca individuale che fa sì che lo spettatore non distingua più gli “abili” dai “diversamente abili” ma “veda”, o meglio riesca finalmente a vedere Nura, la Bosnia e la sua storia, Luca la sua rabbia e le sue risate, Marcello e il suo ritmo “parlante”, Ninfa e la sua visione poetica del mondo, Annalisa ed il suo furente Drago liberatorio, Silvia e le “sue sgridate agli uomini che fanno arrabbiare” Cristian e la sua corsa, Gabriele e le sue doti da istrione. Passando allora da una visio-ne difettosa della disabilità come disagio o handicap

a quella che invece la interpreta come caratteristi-ca, affrontandola con fiducia e con cura mettendone a frutto le potenzialità, il Magnifico Teatrino ha dato conferma di una nuova sensibilità, di un cambiamento e di un’evoluzione sociale prima di tutto umana, poi artistica ed estetica in grado di sfociare in una nuova drammaturgia di forte impatto scenico, in cui gli og-getti, i suoni e le immagini diventano una scrittura a se stante con un proprio “magnifico” linguaggio ed una

propria logica smussata, guida-ta e messa in forma dalla regista ma compartecipata e agita da tutti i membri della compagnia. La figura simbolica del coro apre lo spettacolo e si fa con-tenitore dell’opera alternando filastrocche a proverbi sul tema della vista e dello sguardo dove i protagonisti, attraverso i loro linguaggi espressivi, ci “aprono gli occhi” sulla differenza tra il

“guardare” ed il “vedere”, parlando con la propria pe-culiare, acuta e preziosa capacità di guardare il mon-do. Verso una società ed un “fare artistico” in cui non sia più centrale la differenza tra abili e disabili ma che miri all’autonomia, all’integrazione e non all’assisten-zialismo. Non è forse allora la disabilità che può fare qualcosa per l’arte?

Una nuova sensibilità,di un cambiamento e di

un’evoluzione sociale primadi tutto umana, poi artistica

ed estetica in gradodi sfociare in una nuovadrammaturgia di forte

impatto scenico

Anche l’occhio vuole, Nura Anche l’occhio vuole, Scatti in scenaCOURTESY MAGNIFICO TEATRINO ERRANTE COURTESY MAGNIFICO TEATRINO ERRANTE

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Le installazioni di Roberto Pugliese (Napoli, 1982) sfruttano il suono elettronico come complemento dinamico necessa-rio e si configurano come aggiornatissime “macchine celi-bi”1, analoghe a quelle di Marcel Duchamp o Jean Tinguely, strumenti tecnologici privati di qualunque funzionalità o scopo produttivo per essere ridefiniti come oggetti artisti-ci. In questo caso, l’automazione e la trasmissione sonora si traducono in puro autotelismo, in quanto attività che tro-vano senso nel loro stesso realizzarsi, e vengono sfruttate di volta in volta da Pugliese secondo diverse possibilità mi-cro-situazionali: in Equilibrium Variant (2011) due freddi bracci meccanici si sfidano come due belve che si studiano reciprocamente prima di attaccare; qui l’elemento sonoro, un effetto larsen dato dall’avvicinamento di un piccolo mi-crofono posto su un braccio e un piccolo altoparlante posto sull’altro, interviene intelligentemente ad aumentare o di-minuire la tensione dell’azione, il momento del primo feroce attacco, e la lotta tra le due macchine diventa così anche una lotta tra le frequenze acustiche in un circuito chiuso. Qualcosa di analogo avviene in Equilibrium (2011), dove questi piccoli bracci microfonati si puntano come pisto-le verso i woofer avvitati al muro, quasi a controllarli con atteggiamento bieco, intimidatorio, e il feedback acustico sembra così marcarne la minacciosità.La macchina celibe, facendo tornare a se stessa l’azione che compie, presenta un carattere onanistico, una sorta di auto-erotismo tecnologico che la chiude in una ciclica attività de-funzionalizzata, come avviene in Luxurious Macabre Va-nity (2011) in cui una lastra di metallo, tenuta sospesa da una struttura in ferro, viene percossa a intervalli irregolari, determinati (tramite un apposito software e una connes-sione wi-fi) da aggiornamenti statistici in tempo reale presi su internet e relativi alla distruttiva azione dell’uomo sul-la natura, argomento verso cui l’artista dimostra una certa

Equilibri instabili: le installazioni sonore di Roberto Pugliesedi Pasquale Fameli

1 Su questo argomento Cfr. AA. VV., Le macchine celibi, Alfieri, Venezia, 1975 e H. SZEEMANN (a cura di), Le macchine celibi, Electa, Milano, 1989.

SOUND FORWARD

Roberto Pugliese, Aritmetiche architetture sonore, 2012COURTESY STUDIO LA CITTÀ

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Kraftwerk - Electric Café♬

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sensibilità anche in opere precedenti quali Ivy Noise (2009) e Undergrowth (2009), spettacolari ramificazioni di fili elettrici e woofer che riproducono paesaggi sonori sintetici, artificiali, generati con particolari software, ma che sembrano prelevati da un incontaminato paradiso terrestre, oppure Critici ostina-ti ritmici (2010), installazione sonora interattiva in cui degli elettromagneti a mantello (componenti elettromeccanici che attivano un pistone alla ricezione di un impulso elettrico) per-cuotono un tronco d’albero cavo secondo aggiornamenti stati-stici, presi in tempo reale da internet, sulla deforestazione. Più strettamente connessa a una riflessione sulla produzione musicale, Kinetic Orchestra (2011) è un’installazione sonora in cui una serie di elettromagneti a mantello montati su una teca in plexiglass producono complesse architetture ritmiche in base agli impulsi provenienti da un software, mentre Audio-sphere (2009) richiede la partecipazione attiva del fruitore, te-nuto ad agitare ciascuna delle tre sfere preposte all’azione, per generare insoliti rumori di scuotimento, come se al loro interno fossero contenuti misteriosi e indefinibili oggetti. Si tratta di un’opera che, in fondo, ricalca in chiave “tecnotronica” la logica del duchampiano Con rumore segreto (1916), ready-made da agitare e ascoltare, composto da un gomitolo, bloccato tra due lastre di rame, che contiene al suo interno un oggetto misterio-so: probabilmente la prima opera d’arte oggettuale a coniugare sonorità e interazione.

InfoAritmetiche Architetture Sonore di Roberto Pugliese VERONA | Studio la Città | 12 maggio – 11 agosto 2012

Roberto Pugliese, Equilibrium Variant, 2011COURTESY GALERIE MARIO MAZZOLI

Roberto Pugliese, Kinetic OrchestraInteractive sound installation, 2011

Photo by Thomas NitzCOURTESY GALERIE MARIO MAZZOLI

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L’esordio di Fausto Melotti nel panorama artistico con-temporaneo ha un che di eccezionale. Posto nella congiunzione degli anni Trenta, insieme ad Osvaldo Licini e Lucio Fontana, l’artista si distingue su-bito per un che di ulteriore, un oltre che le sue scultu-re, suggeriscono, a bassa voce.Fausto Melotti si assume così il compito di far conver-gere all’armonia dei risultati l’immaginativo del suono. Comincia così ad inventare delle sculture che poco si discostano dalla linea della base, costruendole con assi, fettucce, piccole forme primarie (rettangoli, sfere, triangoli), leggere strutture metalliche che sembrano possano mutar forma, intervenendo nello spazio quasi come concreta notazione.Percorrendo così il solco proficuo di quello Spiritua-le1 che già Kandinsky col suo manifesto indagava, laddove proponeva l’idea che ogni colore avesse un suo proprio suono2, Il nostro artista, nato a Rovereto nel 19013, interviene con fare primario ed elegante, ad indica-re nella visione acustica la giusta chiave di lettura per l’opera.In questa direzione, ossia nell’ac-cordo tra lo spettatore e il suono interiore dell’opera, deve inten-dersi anche la scelta dei colori, dal bianco neutro all’ocra tenue dei bronzi: cromie che per loro stessa intensità non eccitano l’occhio, permet-tendo alla percezione, di andare al di là del bagliore cromatico, secondo la volontà di spogliare il reale da quelle tronfie e barocche strutture, verso l’intendimen-to dell’esecuzione mentale, oltre l’antropomorfismo di sagome ormai ridotte all’osso.Osservare una sua opera, non significa quindi cedere al fascino muto della resa dei corpi nello spazio, come fos-sero muse stanti nel loro compiuto, ma è da intendersi nella percezione estesa del tempo, momento in cui la visione trascende l’occhio per abbracciare l’espressio-ne del tragitto sonoro, percorso in cui il visivo dialoga e compie il ponte con l’armonia.Il suono delle sfere, compito arduo di chi, virtuoso dello strumento, soprattutto di quei violoncelli così simila-ri al soffio cosmico, paiono per Fausto Melotti le linee guida della composizione, in un’ intenzione artistica ulteriormente intellettuale, poiché priva di quegli im-provvisati guizzi di violenza stilistica, escamotage pro-

pri della seduzione semplice.Rinasce così, nell’ele-gante percorso espo-sitivo di Saronno4, l’estetica sonora in senso stretto, in quel così delicato rapporto tra la materia visiva e l’immateriale acu-stico, trait d’union dell’indecifrabile e dello sfuggente.Pur proponendo del-le opere relativamente tarde, (Giraffe,1950, Scultura

G., 1968, Vaghe Stelle dell’Orsa, 1984), l’esposizione ha il merito di dar lustro ad un grande artista, un uomo di cultura dalla sensibi-lità rara, che ha probabilmente inteso la lezione dell’Astrattismo milanese come punto di partenza per lo sviluppo di una poesia, de-licata e soffusa, e a volte per que-sto tormentata e vera, dell’uomo a lui vicino.Le proporzioni delle opere, ricor-dano per alcuni versi i Mobiles di

Calder, quei giochi con l’altro, con l’aperto e con l’ar-monico, che nella infinità vastità delle possibili declina-zioni, paiono porsi come figure archetipiche, parti con cui veleggiare.

Osservare una sua opera,non significa quindi cedere

al fascino muto della resa dei corpi nello spazio, ma è da intendersi nella percezione

estesa del tempo, percorso in cui il visivo dialoga e compie

il ponte con l’armonia

1 Lo Spirituale nell’Arte, viene pubblicato dall’editore Piper di Monaco nel dicembre del 1911. Ha subito una vasta eco, promosso da N. Kul’bin che ne legge alcuni brani al II Congresso degli artisti a San Pietroburgo e da Alfred Stieglitz che pubblica degli stralci del saggio critico su Camera Work.2 Cfr. Da un punto di vista musicale l’azzurro assomiglia ad un flauto, il blu ad un violoncello o quando diventa molto scuro, al suono mera-viglioso del contrabbasso. W. Kandinsky, Lo spirituale nell’arte, Se, Milano, 2005, p. 65.3 Morto a Milano nel 1986.4 Fausto Melotti. Ritmi d’ottone e fragili terre. Il Chiostro arte contemporanea, viale Santuario 11, dal 20 maggio al 30 giugno 2012.

Fausto Melotti l’armonista delle sferedi Paola Pluchino

Melotti, Di Seguito, 1973. COURTESY IL CHIOSTRO ARTE CONTEMPORANEA

Melotti, Vaghe stelle dell'Orsa, 1984COURTESY IL CHIOSTRO ARTE CONTEMPORANEA

Modesto Mussorgsky - Quadri di un’esposizione♬

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La Divina Commedia è stata ed è un’ illuminazione culturale in grado di agire profondamente sull’immagi-nario collettivo. Nel corso dei secoli non ha mai smes-so di esercitare una profonda influenza sugli artisti, soggiogati dal fascino e dalla forza delle immagini sca-turite dal poema dantesco. La sua potente iconicità ha dato vita a visioni di ogni genere, soprattutto nel corso dell’Ottocento e del Novecento. Sotto questo punto di vista, le serie illustrative di Francesco Scaramuzza e Amos Nattini possono essere considerate le più im-portanti realizzazioni di questo tipo compiute in Italia, per compiutezza ed estensione del progetto. Tramite il confronto con le celebri incisioni di Gustave Doré, la mostra allestita presso la Fondazioni Magnani Rocca di Traversetolo (Parma), dal titolo “Divina Commedia. Le visioni di Doré, Scaramuzza, Nattini”, ha costruito un percorso che offre al visitatore confronti insoliti, diacronici, e ricchi di spunti.

Entrambi attivi nel territorio parmense, Scaramuzza per nascita, Nattini per adozione, i due operano in di-versi contesti storico-artistici, scanditi dal susseguirsi delle sale espositive. La prima parte della mostra è infatti dedicata ad una selezione di illustrazioni di Scaramuzza, risalenti agli anni Sessanta dell’Ottocento, poste in dialogo con le coeve opere di Dorè, mentre la seconda parte ospita tutte e cento le tavole di Nattini, realizzate tra 1919 e 1939.

L’Ottocento romantico e risorgimentale segna il ride-starsi dell’interesse nei confronti dell’opera di Dante, dopo due secoli di quasi assoluto silenzio. Già alla fine del Settecento, in Inghilterra, la traduzione in imma-gini del poema era ripresa con vigore, grazie alle il-lustrazioni di Johann Heinrich Füssli, John Flaxman e William Blake. Nel secolo successivo, tra le varie edi-zioni illustrate e dipinti a tema dantesco, emerge la produzione curata dal fran-cese Gustave Doré (1832-1883), infaticabile illustra-tore di opere letterarie (da Rabelais a Milton, passando per Cervantes e Ariosto). La sua opera tende ad esal-tare la dimensione drammatica e epica del viaggio ol-tremondano, rappresentato da modernissime visioni sintetiche, che trasmettono un fascino in bilico tra suggestioni goyesche, presimboliste e tardoromanti-che.

Le illustrazioni di Doré vengono pubblicate dal 1861 fino al 1868. Nel 1865, anno della prima edizione ita-liana dell’Enfer, Francesco Scaramuzza (Sissa 1803 – Parma 1886) inizia a lavorare ai disegni per il suo Inferno, dietro commissione del governo di Parma, in vista della pubblicazione di una grande edizione della

Commedia. L’artista non era estraneo alle temati-che dantesche, dato che, pochi anni prima (tra 1841 e 1858), aveva affrescato la Sala di Dante della Bi-blioteca Palatina di Parma. Sala che, in occasione della mostra, è eccezionalmente aperta al pubblico e in cui sono esposti preziosi codici

del poema conservati nella Biblioteca.

Dopo poco tempo il progetto editoriale relativo al ciclo illustrativo viene interrotto, ma Scaramuzza, convinto della validità dell’impresa, continua il lavoro per pro-prio conto, interpretando il testo con un’ impressio-

GRANDI MOSTREVisioni di Dante. Doré, Scaramuzza, Nattini in mostradi Martina Bollini

La predilezione di Luigi Magnaniper il dialogo tra le espressioni

artistiche trova così una perfettacorrispondenza, grazie ad un

allestimento che valorizza al megliol’accostamento tra poesia,

arti figurative e musica

Amos Nattini, Purgatorio, Canto XVIICOURTESY FONDAZIONE MAGNANI - ROCCA

Fabrizio de André - Le nuvole♬

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nante fedeltà, che fa trapelare la volontà di farsi vero e proprio esegeta del poema.Nelle sue illustrazioni, permeate dal romanticismo dell’epoca, prevalgono intonazioni delicate e rimandi classici, mentre le pennellate, sottili e precisissime, sembrano quasi anticipare il divisionismo. Ne esce fuori la figura di un artista in bilico tra passato e futu-ro, che simbolizza tutte le incertezze di un’Italia appe-na nata e che in Dante vede uno dei suoi padri.

Sebbene l’opera di Scaramuzza non sia immune da un eccessivo didascalismo, questa mostra rende final-mente onore alla sua sfortunata impresa, più che me-ritoria di una piena riabilitazione.

Nella seconda sezione del percorso espositivo si trovano le illustrazioni di Amos Nattini (Genova 1892 – Parma 1985). A differenza di Scaramuzza, il suo grandioso progetto di trasporre in cento tavole il poema dantesco non incontrò ostacoli ed ottenne da subito un grandissimo successo. Una delle ragioni di tale successo sta nella stima e nel sostegno ricevuti da Gabriele D’Annunzio, che nel 1919 lo incoraggiò ad

intraprendere questa colossale impresa. Nella sua casa-studio Oppiano di Gaiano (Parma), Nattini si è occupato di Dante per vent’anni, fino a quando, nel 1939 le sue illustrazioni confluirono in una lussuosa edizione della Commedia, edita a tiratura li-mitata.

L’interpretazione di Nattini del poema si muove su toni completamente diversi da quelli visti finora. L’anatomi-smo insistito dei corpi richiama il Signorelli della Cap-pella Nova di Orvieto, per cui la Commedia costituisce una potentissima fonte iconografica. I suoi personaggi sono superuomini dannunziani, che si muovono in pa-esaggi sospesi, onirici, dove il dramma costituisce solo un debole sfondo. Difficile non pensare alle visionarie illustrazioni dantesche di William Blake, da cui forse Nattini trae ispirazione anche per quanto riguarda la tecnica, l’acquarello, che gli permette di creare atmo-sfere evocative e fantastiche.

Colonna sonora ideale dell’esposizione è la Sinfonia Dantesca di Liszt, contemporaneo di Dorè e Scara-muzza, che accompagna il visitatore in un percorso che dalle tenebre dell’Inferno approda agli esiti lumi-nosi del Paradiso. La predilezione di Luigi Magnani per il dialogo tra le espressioni artistiche trova così una perfetta corrispondenza, grazie ad un allestimento che valorizza al meglio l’accostamento tra poesia, arti figu-rative e musica.

DIVINA COMMEDIA. LE VISIONI DI DORE’, SCARAMUZZA, NATTINIMamiano di Traversetolo, Fondazione Magnani Rocca31 marzo – 1 luglio 2012http://www.magnanirocca.it/divina-commedia/Curatore della mostra: Stefano Roffi

Gustave Doré, Inferno, Canto V, Paolo e FrancescaCOURTESY FONDAZIONE MAGNANI - ROCCA

Francesco Scaramuzza, InfernoCOURTESY FONDAZIONE MAGNANI - ROCCA

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Se è vero che i grandi capolavori hanno bisogno di uno spazio degno della loro altezza, è altrettanto vero che, i cicli astrologici dipinti a pa-rete e le alte volte ogive del Salone del Palazzo della Ragione di Pado-va, in questa occasione creano un contrasto stridente con l’allestimen-to della mostra De Chirico, Fontana e i Grandi Maestri del ‘900, (fino al 15 luglio; collezione privata di Domenica Rosa Mazzolini, affidata negli anni a venire alla diocesi di Piacenza - Bobbio). Prevalentemente co-struito per snodi lineari e orizzontali, il percorso espositivo -eccezion fatta per il pendolo di Foucault (che sviluppa un progetto di divulga-zione scientifica a sé stante)- soffre della grandezza del plesso ospitan-te, quel luogo nobiliare tra Piazza delle Erbe e Piazza della Frutta, che fin dalla sua nascita (1219) venne adibito ad ospitare tribunali e uffici finanziari, ad ottemperare funzioni commerciali oltre la dominazione della Serenissima.La mostra, cronologicamente scandita dai dipinti giustapposti in fila, non si presta, nel corridoio riservato agli anni Settanta, agli spazi an-gusti dell’allestimento che impediscono una ampia visuale dell’opera come nel caso di Spazio che Intercorre di Paolo Baratella la cui posi-zione costringe alla sofferta presa alle spalle degli studi e delle opere di Amilcare Rambelli. Debole sotto un profilo espositivo e in precario equilibrio tra la qualità delle opere esposte (in mostra anche dipinti meno conosciuti di grandi nomi, tra gli altri un Carlo Carrà riposato con una marina e un paesag-gio, Agostino Bonalumi in versione pittorica), la mostra ha tuttavia un interessante risvolto: non una novità ma semanticamente convincente è l’installazione di pareti bucherellate a luci soffuse che, mimando la porosità dell’arte, ricreano la sua centripeta capacita d’influenza, tra movimento e movimento, raccordando al passato la resa stilistica del presente. Nella sala principe, posta accanto al bel verso del masto-dontico cavallo ligneo regalato al Comune, è la sala aperta riservata alle opere di Lucio Fontana, Enrico Baj, Giuseppe Capogrossi, Antonio Sanfilippo, ed Emilio Scanavino: tra l’Art Brut e lo spazialismo, que-sta selezione rivela l’ ardore dell’artista, nella presa di coscienza che l’uomo fa della materia, vigore primitivo e fondante la carnalità della tela, un suadente incontro tra colore e colore, trama e punto, grumo e graffio. Vale comunque la volontà degli organizzatori di essersi prodigati nel rendere in uno spazio così maestoso una piccola Kunst und Wun-derkammer più che decorosa, anzi, forse proprio nell’umiltà in cui quel cielo relega le opere, riesce ad essere sinceramente nostalgica e a ricreare quell’allure temporanea quali le opere della Mazzolini sempre ebbero, quando, spostate spesso da Milano per ristoranti e dimore pri-vate venivano poste a bella vista del pubblico1, che ignorava il valore e la provenienza di quei capolavori. Il confronto tra i filoni e gli stilemi pittorici dell’espressionismo lombardo, il rimando continuo alle episto-le di Domenica Rosa Mazzolini, rendono viceversa, gradevolissima la lettura del catalogo, aprendo ad un resoconto che è anzitutto umano ancor prima che artistico, visionario e di mercato. Tra gli altri si se-gnalano l’omaggio morandiano di Filippo de Pisis, i Giorgio de Chirico (maestro della retrodatazione delle sue opere) e soprattutto la sempre convincente resa dei figurini di Massimo Campigli, giocati su prospet-tive assenti, proporzioni azzardate e quarte di scena come finestre a grattacieli.

La Ragione di una mostraIgrandimaestridelNovecento,piccoleperleinesposizionedi Paola Pluchino

1 Cfr. «Le opere?[ ] le tenevo sparse: in un primo tempo a Milano, poi in casa mia. Sape-vo muoverle [ ] nel ristorante che avevo sotto casa, con le pareti a volta. Alcune opere era-no proprio esposte, molti però non sapevano che alle pareti c’erano quadri così straordi-nari» Domenica Rosa Mazzolini. Catalogo della mostra (a cura di) Cristina Chinello e Lorenzo Respi. De Chirico, Fontana e I Grandi Maestri Del Novecento. Un secolo tra realtà e immaginario, Gruppo ICAT, Padova, 2012, p. 164.

Massimo Campigli, Le bagnanti, 1953COURTESY PALAZZO DELLA RAGIONE

Virgilio Guidi, Bacino di San MarcoCOURTESY PALAZZO DELLA RAGIONE

De Pisis, Omaggio a Morandi, 1937

Beirut - Scenic World♬

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Un unico motto “Scopri l’America a Palazzo Strozzi”; due grandi mostre: Americani a Firenze. Sargent e gli impressionisti del Nuovo Mondo e Ameri-can Dreamers. Realtà e immaginazione nell’ar-te contemporanea americana.Nell’anno in cui ricorre il quinto centenario della mor-te di Amerigo Vespucci, Firenze celebra l’anno Ve-spucciano promuovendo per tutto il 2012 una serie di eventi che hanno scopo di sostenere i rapporti tra la città toscana e la cultura americana.La prima, Americani a Firenze. Sargent e gli im-pressionisti del Nuovo Mondo, (dal 3 marzo al 15 luglio 2012) curata da Francesca Bardazzi e Carlo Sisi diviene la trasposizione visiva dei rapporti che si in-staurarono tra i pittori del Nuovo Mondo, la città di Firenze ed altri luoghi della Toscana quali Montepul-ciano, Piagentina, Fiesole, le colline di Bellosguardo, Volterra, e Pelago, tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima guerra mondiale.Suddivisa in sei sezioni (Camera con vista, America-ni a Firenze, Il circolo di Egisto Fabbri: intellettuali e pittori, L’immagine di Firenze e della Toscana, Il culto del Rinascimento, L’America al filtro della pittura e del romanzo), la mostra ospita le opere di più di trenta giovani artisti americani che coinvolti nel vasto flusso di viaggi verso l’Europa, alla scoperta delle meraviglie d’Italia e nello specifico dei luoghi che hanno dato i na-tali al Rinascimento. Artisti che, in un primo momen-to risentono della formazione accademica ricevuta in patria e che in seguito sono influenzati dalla fruizione delle opere degli impressionisti francesi, delle tele dei Macchiaioli e dei naturalisti toscani: tra essi vi sono i precursori William Morris Hunt e Jhon La Farge ai qua-li seguono gli “espatriati” in Europa quali John Singer Sargent, Mary Cassatt, James Abbott McNeill Whistler. Ruolo fondamentale viene svolto dal gruppo dei “Ten American Painters” ovvero il gruppo americano più vi-cino all’Impressionismo il quale conta nomi come Wil-liam Merritt Chase e Frederick Childe Hassam. Vanno annoverati poi il gruppo dei Duveneck boys raccolti attorno alla figura di Franck Duveneck, brillante per-sonalità alquanto magnetica attivo insieme alla moglie Elizabeth Boott che ebbero un ruolo importante fra gli artisti americani e toscani. Tra quest’ultimi si an-noverano Telemaco Signorini, Vittorio Corcos, Michele Gordigliani e Giovanni Boldini “naturalizzato” toscano. Paesaggi, campagne, ritratti, autoritratti, nature mor-te, viste d’interni, tutti soggetti realizzati in terra to-scana da artisti che divennero maestri delle nuove ge-nerazioni una volta tornati in patria dando inizio alla vera pittura nazionale americana, alimentando un col-lezionismo di arte antica e moderna europea promosso dalle facoltose famiglie americane. Nella seconda, American Dreamers. Realtà e im-

maginazione nell’arte contemporanea ameri-cana, (dal 9 marzo al 15 luglio 2012, presso il Centro di Cultura Contemporanea Strozzina) curata da Bar-tholomew Bland, gli undici artisti americani riflettono sulle avversità del presente degli Stati uniti, che dopo l’evento dell’undici settembre del 2011 ha visto cadere le proprie certezze e sicurezze.Gli artisti hanno riletto la realtà presentandola secon-do modalità del tutto personali e inclini alle proprie capacità pratico-intellettuali costruendo dei mondi pa-ralleli nei quali diviene tangibile il senso di alienazione, di incertezza, di instabilità, e tramite i quali si cerca di allontanarsi da tale dimensione per approdare su ter-reni inesplorati testimoniando a proposito l’esistenza o meno del “sogno americano” ovvero quella promessa di successo e felicità che è stata alimentata in maniera incessante sia dall’estetica delle campagne pubblicita-rie tipiche americane che da tutto l’immaginario cine-matografico hollywoodiano.Le modalità espressive sono varie e alquanto interes-santi: gli acquarelli di Laura Ball, nei quali ricorrono soggetti come il muro, la rete, la maschera, gli animali, presentano realtà simboliche che dettano libera inter-pretazione al fruitore; la fotografia di Adrien Broom, autodidatta, ripropone uno stile che appartiene al vi-deoartista newyorkese Bill Viola, presente nel capo-

URBAN ADDICTEDBizzare: dall'America a Nick Cavela Redazione

Nick Cave, Soundsuit, 2011COURTESY CCC STROZZINA

Blondie - Heart of Glass♬

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luogo intorno agli anni ’70, proponendo figure umane fluttuanti nel cosmo; le pitture a olio di Will Cotton rappresentano un mondo zuccherato e pasticcioso dove colori tenui e figure femminili simili a dee si de-streggiano incantando fruitori di tutte le età. Interes-sato al paesaggio naturale e urbano è Adam Cvjianovic che osserva nuclei d’abitazione reali come i complessi residenziali di Hillsborough e New City in New Jersey nonché due esempi della tipica periferia urbana sta-tunitense simbolo del sogno americano e contempo-raneamente della recente crisi finanziaria, raffiguran-doli nei grandi “affreschi mobili” ovvero frammenti di dipinti realizzati su tessuto sintetico, tyvek. Ai vecchi libri di Educazione Civica per immagini si ispira l’ope-ra di Richard Deon, nella quale l’immagine sdraiata, in piedi o di profilo del “il Soggetto” sintetizza il confor-mismo promosso negli anni Cinquanta caratterizzato dall’uso ripetuto delle immagini di stampo educativo. Thomas Doyle propone minuscole e alquanto inquie-tanti villette monofamiliari racchiuse dentro cupole di vetro e circondate da scenari catastrofici o instabili; nella sua installazione, Mandy Greer ad animali come gufi, civette o corvi appartenenti ad una realtà oniri-ca, assembla materiali dismessi quali trecce, lustrini, stoffe, perline, bottoni, piume, al fine di creare narra-zioni mitologiche estratte da culture primordiali; più architettata è l‘opera di Kirsten Hassenfeld nella quale poche forme semplici – rettangolo, triangolo, penta-gono – dialogano in una giustapposizione spaziale che confluisce in imponenti strutture tridimensionali for-mate un’anima e una copertura di solo fogli di carta da regalo avvolti o spiegati; perfetta combinazione tra forme e pattern cromatici. I mondi di Patrick Jacobs sono tanto microscopici da poter essere fruiti solo attraverso delle lenti di in-grandimento; una realtà purificata, inaccessibile dove elementi naturali quali erba, fiorellini, funghi, laghi, montagne, cielo, si dispiegano di fronte all’osservatore

che li spia da lontano; una “mininatura” dall’atmosfe-ra pseudo-scientifica. Christy Rupp affronta questioni quali la biodiversità, l’ingegneria genetica, la globa-lizzazione dando alla luce sculture create interamen-te con le ossa degli animali recuperati dagli scarti di fast food o simili. Un lavoro di ricostruzione dopo la decostruzione che gli animali subiscono una volta che questi vengono serviti quotidianamente dopo adegua-ta cottura. Sottile riflessione sulle logiche della produ-zione industriale alimentare.Infine l’opera di Nick Cave che “ricopre” manichini con abiti che diventano delle gigantesche maschere-sculture, realizzate impiegando una varietà di mate-riali abbastanza ampia: pelliccia sintetica, bottoni bor-se, trottole, lana, centrini, presine, giocattoli, tessuti. Denominati Soundsuits, si tratta di produzioni che generano sonorità diverse a seconda degli elementi di cui sono composti e che vengono utilizzati dallo stes-so artista per le sue performance. I riferimenti da cui traggono ispirazione sono vari: dalla maschera della cultura africana o caraibica ai costumi e linguaggi del teatro d’avanguardia espressionista, alla scultura so-ciale con riferimenti a Niki de Saint Phalle o Joseph Beuys, alle parate carnevalesche di tradizione ameri-cana tipiche del New Orleans come la “Mardi Gras Pa-rade”. Una volta indossate le maschere-sculture attua-no una trasformazione capace di generare spettacoli che lo stesso Cave definisce come “bizzarri e psichede-lici” perché fautori di una carica di energia primordiale alquanto evidente; opere che hanno il chiaro intento di riflettere sul valore dell’immaginazione e del recupero di un nuovo senso di libertà mentale, comportamenta-le, ma soprattutto tattile e sonora. Professore all’inter-no del Fiber Arts Program e direttore del dipartimento di Fashion Design presso la School of the Art Institute di Chicago, Cave ha ideato, realizzato e commercializ-zato una linea di abbigliamento maschile e femminile presso Chicago.

Nick Cave, Speak Louder, 2011COURTESY CCC STROZZINA

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Prima di introdursi nei caratteri della mostra “Segno+Ritmo+Scrittura” è necessario fare una breve premessa: lo studioso Paolo Sacchetti, dell’Università degli Studi di Parma, nel reperimento delle fonti a corredo della bibliografia per sua tesi di dottorato Regina Bracchi (1894-1974). Dagli esordi al Secondo Futurismo1, si reca, sotto suggerimento di due collezionisti, alla biblioteca civica tiranese “Paolo e Paola Maria Arcari”, cui il pit-tore Luigi Bracchi ha donato due volumi di Marinetti. Lo studioso scopre, nel riordino e nell’inventariazione del fondo Bracchi, altri otto testi di Marinetti inaspettatamente non allineati. Sono testi storici e pubblicazioni rare come La conquête des étoiles (1902), testo marinettiano tardosimbolista2 e primo scritto poetico della contestazione letteraria di cui il futurismo si fece portavoce, ma sono anche testi rari, testi con dediche di Marinetti, copie prime e originali. Da qui nasce l’idea per la mostra Segno+Ritmo+Scrittura, (fino al 24 giugno presso Palazzo Foppoli, a Tirano) che rivela al grande pubblico una delle attitudini meno note dei futuristi: la contestazione letteraria. Acerrimo nemico del verso composto e legato del suo tempo, Marinetti capofila, Lucini e gli amici futuristi, si impegnarono già nei primi anni ‘10 (del 1912 Il Manifesto Tec-nico della Letteratura Futurista) in favore di una completa libertà della parola, di un uso immaginativo del verso. Dal metodo delle associazioni libere che Freud sperimentava, i futuristi posero, a miliare epigrafe del loro sistema di pensiero, le tavole e le parole in

LET ME(ET) KNOW(LEDGE)

Dall’inventario di provincia all’invenzione trans-nazionaleParolafuturistaaTiranograzieaunricercatoredi Paola Pluchino

1 Paolo Sacchini, Regina Bracchi (1894-1974). Dagli esordi al Secondo Futurismo, tesi di dottorato di ricer-ca in Storia dell’arte e dello Spettacolo, Università degli Studi di Parma, ciclo XXIV, 2012.

2 “Un scritto ancora tardo simbolista che lo studioso non recensisce, meritandosi, in una lettera poco succes-siva – la risentita reprimenda del suo vulcanico autore”. Segno+Ritmo+Scrittura. Da Marinetti a Boccioni+Da Pa-lazzeschi a Depero. Carte e libri futuristi della Bibliote-ca Arcari di Tirano, (a cura di) Paolo Sacchetti, Tirano, 2012, p. 15.

Filippo Tommaso Marinetti, Scatole díamore in conservaMilano, Edizioni díarte Fauno, 1927, (91 p. ; 17 cm), Disegni di Ivo Pan-naggi, coperta e fregi di Carlo Petrucci, sovraccoperta di Piero Bernardini, Fondo Arcari

Fortunato Depero, Liriche radiofoniche, Milano, Morreale, 1934(97 p., 9 c. di tav. ; 25 cm)Fondo Bracchi

Vinicio Capossela - L’oceano Oilalà♬

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libertà (una completa euforia nella composizione sia nell’immagine tipografica che nella sua resa acustica): non tardò così a sviluppar-si quel filone di studi che oggi conosciamo come poesia visiva. La mostra di Palazzo Foppoli narra, grazie a un’operazione ardimen-tosa e complessa, la posa che spinge la filologia a procedere ac-canto all’arte, compenetrando i suoi modi spesso riservati e intimi (così come sono i poeti) al vanto esteriore dell’arte, votata per sua stessa natura allo sguardo altrui, e spoglia di quella riservatezza composta propria del suo fidato contraltare. Dall’immaginazione senza fili, a molti altri testi programmatici e soprattutto ai tantis-simi volumi -dal marinettiano Mafarka il futurista (1909-10, qui presente nella rara edizione originale non “epurata”) alle Poesie elettriche di Govoni (1911), dalle Liriche radiofoniche di Depero (1934), a La poesia non umana dei tecnicismi, (F.T. Marinetti, 1940)-, costruire una mostra come questa vuol dire prima di tutto scardinare i testi dalla loro usuale catalogazione, e cercare, oltre il sicuro rifugio inventariale, somiglianze e rimandi, procedendo come ad uso futurista soleva fare, in libertà, con ardore e piglio inventivo.Una esposizione già sotto gli occhi di tutti (i testi infatti, così come le pagine dei quotidiani erano in consultazione presso la pubblica biblioteca), ma che solo oggi mostra in pieno tutto il potenziale sommerso, grazie alla lungimiranza di uno studioso, che, con un po’ di coraggio, è riuscito a dare lustro a quel secondo futurismo spesso considerato inferiore, rispetto al movimento primo e fon-datore, per via di quei risultati più giocosi e meno guerreschi resi degli epigoni. Ed è così che tramite il verso, è possibile cogliere le lotte intesti-ne al movimento, il dolore per la perdita del carismatico Boccioni, l’entusiasmo dei volumi di Poesia, l’anziano Balla posto come ri-medio, il cercare l’architettura oltre Sant’Elia. Non dimenticando però, che come tutte le grandi avventure anche questa partì alla ricerca di una donna.

Valentine de Saint-Point, Manifesto della donna futurista. Rispo-sta a F.T. Marinetti, Milano, Direzione del Movimento futurista, 25 marzo 1912, (2 c. ; 29 cm)Fondo Arcari

Filippo Tommaso Marinetti, Mafarka Futurista, dedica all'opera, Milano, Edizioni futuriste di Poesia, 1910, (329 p. ; 19 cm)Fondo Arcari

Dedica autografa all’interno dell’opera Mafarka Il Futurista«A mon très cher ami Paolo Arcari hommage d’une profonde admiration littéraire. FT Martinetti»

Corrado Govoni, Il Palombaro da Poesie elettriche, Milano, Edizioni futuriste di Poesia, 1911, (223 p. ; 19 cm), Fondo Arcari

Dedica autografa dell’autore:«A Paolo Arcari con viva simpatia. C.Govoni»

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Torino - A partire dal 26 aprile fino al 26 giugno si ter-rà presso la galleria Guido Costa Projects la mostra “26” di Cuoghi Corsello. Numero non scelto a caso, racchiude in sé l’emblema di una longeva unione. Gli artisti Monica Cuoghi e Claudio Corsello festeggiano con una mostra retrospettiva il ventiseiesimo anniver-sario del loro sodalizio artistico e personale. Ventisei opere, una per ogni anno di lavoro insieme, sono state scelte con cura dal gallerista Guido Costa per raccontare la storia di una vita vissuta come fosse un’opera d’arte. Il gallerista ha tentato di riunire in un unico luogo tutte le anime dei personaggi che hanno abitato il mondo parallelo dei due artisti bolognesi dal 1986, anno d’inizio della loro collaborazione. Arduo compito, se si considera che Cuoghi Corsello sono due tra gli artisti più poliedrici della loro generazione.

Il loro sposalizio artistico prende l’avvio nella Bologna underground post ’77, in cui capannoni abbandonati potevano trasformarsi in laboratori di sperimentazio-ne artistica e in cui si respirava un clima di fermento

di cultura controcorrente e d’innovazione. La Bologna degli anni Ottanta diede i natali alla sub-cultura del graffitismo e della prima Street Art, e Cuoghi e Cor-sello ne furono i protagonisti.

Forse uno tra i più famosi dei loro personaggi lo si può ancora scorgere tra i muri dei quartieri bolognesi. Si tratta di Pea Brain, una paperetta stilizzata che negli anni Novanta ricopriva tutta la città. Ma questo è solo uno degli innumerevoli esseri che sono nati dalla loro immaginazione sconfinata. C’è Suf, bambina-folletto che vuole imparare a fare “pezzi” sui muri; Quadru-pede, animale con quattro zampe e una proboscide; Bello, una faccina sorridente utilizzata come logo dal MACRO di Roma e della quale loro si sono impadro-niti; Petronilla, Nonno Degrado, Schifio e tanti altri. Dietro ognuno di loro si nasconde una storia e insieme formano un altro mondo, in cui natura e città, muse d’ispirazione, si fondono e si traducono in arte.

Cuoghi Corsello non sono solo graffitisti o Street artist.

MACADAM MUSEUMVentisei anni di controcultura tradotta in arte UnamostraretrospettivaperraccontareattraversoventiseiopereipoliedriciartistiCuoghiCorsello,chehannofattodellaculturaun-dergroundlaloropoeticadi Elisa Daniela Montanari

Cuoghi Corsello, Il Capo dei Marziani n.0, 1986COURTESY GUIDO COSTA PROJECT

Cuoghi Corsello, Parusia

Beastie Boys - No sleep Till Brooklyn ♬

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La loro arte è orizzontale e utilizza tutti i supporti e le tecniche sperimentabili. Pittura, scultura, fotografia, video arte, grafica, light box, installazioni, performan-ce, ready-made, materiali di scarto, legno, carta, pixel, bit, colori acrilici e si potrebbero riempire pagine e pa-gine. I personaggi creati rivivono a piacere in qualsiasi formato, in una commistione unica di stili che si ispira senza distinzioni alla cul-tura alta e bassa. Nascono così le pin-up degli anni Duemila, in posa per i giorni del calendario, che si atteggiano a Lolita o ad at-trici porno, così neo pop da sem-brare un tributo ad Andy Warhol in epoca digitale. Le loro creazioni si spogliano dell’aurea spesso attribuita alle opere d’arte, per permetterli di raccontare l’universo cultura-le della strada, tanto incom-preso e temuto. Universo che loro conoscono profondamente. Non si può parlare del lavoro ar-tistico di Cuoghi Corsello senza citare l’avvincente modo di vivere che hanno condotto dal ’94 al 2006. Per dodici anni hanno occupato e vis-suto in un totale di tre fabbriche abbandonate, ri-battezzate “Giardino dei bucintori”, “Cime Tempesto-

se”, e Fiat. Dopo aver ripulito pavimenti e muri dagli escrementi dei piccioni, polvere e topi, si sono insedia-ti in questi luoghi angusti per anni. Hanno trasformato artisticamente gli ambienti per renderli più accoglienti e li hanno utilizzati come magazzino, studio, abitazione e luogo di aggregazione. Le loro “case” si sono infatti trasformate in laboratori artistici collettivi, punto

di ritrovo per creativi e skater, e sede di feste memorabili. Sono diventate uno di quegli ambienti nel quale una volta entrati non si può uscirne se non modifica-ti e lo stesso valse anche per gli inquilini. Bisognava rielaborare una nuova quotidianità diversa dalle abitudini borghesi, in cui le comodità come acqua corrente e riscaldamento non esistevano e potevano essere sostituite solo dalla creatività, come l’installa-zione di teli di plastica per ripa-rarsi dal freddo o il lavarsi con le catinelle in una vasca con le ruote. L’arte diventa parte in-tegrante della vita e da que-

sto connubio nasce una nuova arte, fatta di oggetti di scarto ma anche di molto altro, in cui vita e opera si confondono e si completano.

Cuoghi Corsello attraversostili e tecniche diverse

creano un’arte intrecciataalla vita. Attraverso

occupazioni di fabbricheabbandonate, graffiti,

installazioni, raccontano unmondo parallelo in cui glielementi della natura e la

cultura di strada si fondonodiventando muse ispiratrici

Cuoghi Corsello, Pea Brain, Galleria Neon Campobase, 1994

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Cosa significa all’oggi costruire una città? Qual è il vincolo sostanziale in cui l’apertura di uno spazio condiviso diventi un non luogo, un riferimento che annichilisca la storia e la tradizione del singolo? Come può un buon ar-chitetto intervenire equilibrando tradizione storica del territorio con strutture contemporanee che sostengano i percorsi sincopati della popolazione? La 13a Biennale di Architettura, dedicata al tema del Common Ground, cercherà di dare risposta a questi que-siti. L’arduo compito di delineare una nuova rotta è affidato quest’anno a David Chipperfield, eminente virtuoso dell’architettura e dotato sperimentatore di soluzioni tangenti di effettivo valore, che ha scelto di promuovere 58 progetti, indicato 104 nominativi, e ha aperto il dialogo a 5 Paesi mai presenti prima: Angola, Repubblica del Kosovo, Kuwait, Perù e Turchia. E’ già nelle parole di Chipperfield alla presentazione di Roma, era chiaro l’intento di questa inversione verso la base prima e fondante dell’architettura: il terreno; È implicito, nelle parole dello studioso, che il discorso non converga tanto nell’ operazione semantica di ridefinizione dell’ideale di pubblico e privato, quanto nella possibi-lità di interpretare confine tra questi due luoghi, per ridefinire, ricontestualizzare e ricreare una dialettica della città che sia viva e propositiva, allo stesso tempo spazio del pensiero e habitat dell’azione. Sulla volta della massi-mizzazione dello spazio , di densità dell’abitato, inteso come scempio, anche e penosamente estetico, la Biennale di Architettura si muove, proponendo soluzioni affini al clima di eco sostenibilità, pulizia degli ambienti, impatto ambientale limitato, terreno auspicabile del nuovo fronte architettonico internazionale. Aver costretto gli architetti ma anche tutta la pletora di ingegneri edili, urbanisti ed esperti coinvolti nel settore dell’arte di far città, a giocare in termini di audaci movimenti che scavalchino piani regolatori e stilemi di sicu-rezza, abitabilità, e benessere quantitativo, ha mortificato- questo sembra intendere Chipperfield- il ruolo di raffinato inventore dell’ordine nel caos, cui l’uomo architettonico sembra all’oggi confrontarsi.È lecito tuttavia pensare come il dialogo di una Biennale non si esaurisca sul piano inclinato dello studio, ma rappresenti solo l’estensione più evidente di un processo complesso che necessita un’inversione teorica, a par-tire dalla ridefinizione del benessere comune, fino a giungere ad interrogativi più spinosi, come la speculazione edilizia, la sicurezza sul lavoro e il welfare.Nelle parole di Paolo Baratta, maestro cerimoniere di questa 13a edizione della Biennale Architettura, si legge la volontà di porre questi tre mesi di expo come punto di riferimento per i giovani studiosi, di nobilitare l’interesse per l’architettura con seminari di studio e d’approfondimento, interessando il pubblico non solo per il fascino lagunare ormai conclamato ma per l’abilità di essere veramente fucina di nuovi dibattiti, terreno in cui il germo-gliare del nuovo possa fiorire protetto.

Info La 13a Biennale di Architettura, itinerante per Londra, Parigi, Berlino, Zurigo e New York, aprirà i battenti il 29 agosto e resterà aperta fino al 25 novembre, con i consueti nodi focali -Giardini e Arsenale di Venezia - e i vari padiglioni dislocati nei vari punti della città (per tutti i siti consultare il sito ufficiale della Biennale).

HEART BAUHAUSNel ventre dell’architettodi Paola Pluchino

Logo 13ma Biennale ArchitetturaCOURTESY LA BIENNALE VENEZIA

Paolo Baratta e David Chipperfield alla conferenza stampa presso Ca' GiustinianCOURTESY LA BIENNALE VENEZIA

Wim Mertens - Birs for the Mind♬

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Un’ espressione che regola il metronomo dell’arte contemporanea appare la possibilità di essere raro, prezioso, introvabile. Sempre meno di rado, collezio-nisti, mecenati, curatori, scovano con senno lungimirante e retorica bohemien il luogo anomalo e privato, il locus in cui il discrimine tra sentirsi a casa e stare invero lavorando sfuma.È questo il punto di forza delle Home Gallery, dimore private che si tramutano, grazie al carattere e al carisma dei legittimi proprietari, in luoghi d’incontro per imprenditori e artisti, dimore di un nuovo essere sociale. Accedere a questi circuiti non è certo cosa semplice, avendo nella dinamica del suo sviluppo, soprattutto nelle nuove iniziative, una comunicazione word of mouth (con integrazione web e simili) che implica la necessità di avere dei buo-ni “agganci”, necessari per comprendere questo vasto sottobosco artistico -più prolifico dei luoghi celebrati-, così come funzionamento dell’humus della terra.Citiamo, a titolo di esempio, una realtà a Bologna vicina. Nella città di Ferrara esiste una Galleria d’arte che è anche un appartamento privato: La Maria Livia Brunelli Home Gallery.Giovane scommessa dell’arte contemporanea ha creato, nel circondario che raccoglie il prestigioso Palazzo dei Diamanti di Ferrara, la casa che ospita come

vera e propria galleria, pezzi d’arte. La Brunelli ha avuto occasione di essere partner del prestigioso sito, ponen-do la sua sede come plesso collaterale alle esposizioni. In quest’ottica si sviluppa il workshop sull’immaginario fotografico di Michelangelo Antonioni, cui seguirà una esposizione collettiva presso lo spazio Funi, in contraltare alla mostra al Palazzo dei Diamanti in programma per l’autunno prossimo.L’idea della dimora trasformata in casa d’arte non è certo nuova e c’è chi, come ricorda Federico Zeri in un artico-lo apparso sulla stampa nel 1984 ha trasformato parte della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma in casa propria1 o chi trasforma le residenze degli ospiti, in spazi museali.Lo scarto odierno è invece quello di aprire i propri apparta-menti alle incursioni urbane del pubblico, così come esse si presentano nel divenire delle acquisizioni, nel magma con-vulso che un luogo privato inevitabilmente contiene (lo stes-so Michelangelo Pistoletto è di stanza in uno degli alloggi della sua Fondazione a Biella).Quello che manca è forse proprio l’abilità di questi mecenati di far rete, di tessere degli impianti di comunicazione che costituiscano un unicum, perché solo nell’azione congiunta, la forza delle home gallery potrà veramente prendere piede.

La Home Gallery come frontierala Redazione

Maria Livia BrunelliCOURTESY MLB HOME GALLERY

Palma Bucarelli nel suo studio in Galleria 1973

Su barca di carta m'imbarcoCOURTESY ATELIER SUL MARE1 Cfr. (Palma Bucarelli, 1910/1998) “Sebbene andata in pensione nel lon-

tano 1975 continua ad occupare un faraonico appartamento nella Galleria stessa”. In Rosaria Gioia e Marilena Pigozzi, Federico Zeri e la tutela del patrimonio culturale italiano. Clueb, Bologna, 2006, p. 103.

Oren Lavie - Her morning Elegance♬

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Overture. Quando mi recai a Londra per la prima volta nell’estate dell’ormai lontano 2007, mi comportai davve-ro da turista modello, ai limiti della banalità. Costeggiai il lungo-Tamigi e visitai un numero imbarazzante di musei, ma quella prima volta a Londra commisi il grave errore di non fare tappa al Tate Museum, e ancora oggi mi chiedo il motivo. Dopo ben 5 anni, in occasione di una mia nuova visita nella City ero intenzionato a non compiere lo stesso sbaglio, e avere la possibilità di vedere la mostra di Yayoi Kusama, mi sembrava l’occasione perfetta. Aperta dal 9 maggio al 5 giugno, l’esposizione comprende una selezione delle opere più rappresentative dell’artista nipponica, ormai attiva da oltre sessant’anni, affiancate da materiali e oggetti di repertorio, vere e proprie chic-che dell’epoca. Nata a Matsumoto nel 1929 da una fami-glia giapponese della classe medio-alta, Kusama comincia sin da giovane la sua attività artistica, disegnando schizzi e dipingendo. Nella tarda adolescenza intraprende lo stu-dio della pittura giapponese tradizionale, ma dopo poco tempo lo abbandonerà, stanca dei dettami di convenzione, aprendosi alle correnti americane ed europee, attingendo dai libri e dalle riviste straniere. La condizione post-apocalittica in cui versava il Giappo-ne, negli ultimi anni ’40, in seguito alle esplosioni nuclea-ri, ha corrispondenze dirette nelle sue prime produzioni: i dipinti esprimono un senso di devastazione, miseria e morte, reso sia attraverso l’utilizzo di colori caldi e cupi, sia nelle raffigurazioni di scenari desolati e desertici, da cui nascono forme aggrovigliate ed intrecciate tra di loro, dai contorni sfumati, in un’atmosfera claustrofobica di op-pressione. La scelta dei soggetti devia negli anni ’50, uni-tamente alla sperimentazione di nuova tecniche (tempera, pastello, acquerelli). E’ riscontrabile in queste opere un certo interesse per i fenomeni naturali, reinterpretati in chiave surrealista; sono raffigurate uova, fiori e alberi, in combinazione con simboli che ricordano geroglifici: occhi, puntini, reticolati di ciglia. La scelta cromatica appare in questo periodo diversa, si ritrovano tonalità più accese, applicate a forme che sembrano appartenere alla micro-biologia, ripetute psichedelicamente. Gli Infinity Net sanciscono il suo arrivo negli USA, evento che decreterà una sua rinascita artistica. È con queste ope-re che si inaugura la sua attività più intensa e significativa. Su tele di grandi dimensioni, vengono accostati una miria-de di puntini scuri attraverso delicatissime e vicinissime pennellate, in contrasto con un tappeto di vernice chiara.

Una gestualità meditativa e ossessiva insieme, sembrano aver accompagnato la loro composizione. L’effetto reso è ipnotico, la tela sembra avvolgerti e fagocitarti. Una nuova frontiera è raggiunta con le Accumulation Scu-tures: oggetti quotidiani (mobili, vestiti, accessori) dipinti e ricoperti di forme tentacolari in stoffa imbottita, eviden-ti simboli fallici, o di pasta. Sono probabilmente l’espres-sione di una sorta di feticismo dell’oggetto moderno, esa-sperato dalla voracità crescente della società dei consumi. L’Aggregation Boat è la più rappresentativa di questa se-rie: una barca provvista di remi, ridipinta di bianco e rico-perta delle solite forme falliche imbottite, posta al centro di una stanza semibuia, sulle cui pareti, soffitto e pavimen-to sono affisse foto in bianco e nero della barca stessa. At-traverso una forma deviata di mise en abîme, Kusama replica le modalità ossessive della produzione di massa. Orientale, donna, immigrata, Kusama incarnava appieno lo status di outsider nella New York degli anni ’60. E’ in questo contesto che si colloca una sua performance, docu-mentata attraverso decine di fotografie in proiezione. In-terpretata con toni marcatamente critici e polemici contro gli assetti socio-culturali americani, la messa in scena pone lei stessa come protagonista: errabonda per le strade del-la metropoli, vestita con un kimono, in mano un parasole, circondata da un paesaggio ostile, desolato e inospitale per una straniera solitaria. In proiezione anche il film Self Obliteration, produzione che risente delle influenze della cultura e dell’ambiente hippie, un girato in cui si susseguono immagini frenetiche e confuse di bizzarre danze orgiastiche in cui uomini e donne dipingono sui loro corpi dei pois. Gli ultimi deliri non sono altro che la materializzazio-ne concreta del dedalo interiore di Kusama, ricostruito all’esterno in due installazioni che ci rapiscono e ci trapor-tano in una dimensione parallela, dove le sue ossessioni e allucinazioni si fondono con il quotidiano. In I’m here, but nothing, una stanza arredata è completamente ricoperta da adesivi puntiformi colorati e illuminata da una luce sof-fusa, in Infinity mirror room una costellazione di piccole luci intermittenti colorate, pendenti dal soffitto, sono mol-tiplicate all’infinito per effetto degli specchi; la paura di muoversi e perdersi induce quasi alla paralisi.Ma è ora di uscire, di aprire la porta, ritrovare la luce e tirare un sospiro, ancora ignari di esserci svegliati da un sogno o un incubo, nella testa di Yayoi Kusama.

Un labirinto a poisYayouKusamaallaTatediLondradi Mimmo Vestito

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Yayoi Kusama, Accumulation Sculptures, 1962-1968COURTESY OF TATE MODERN, LONDON (sinistra)

Yayoi Kusama, Infinity Mirrored Room-Filled with the Brilliance of Life, 2012COURTESY OF TATE MODERN, LONDON (destra)

Sullo sfondo:Yayoi Kusama, Infinity Net painting, 1959COURTESY OF TATE MODERN, LONDON

Pizzicato Five - Mon Amour Tokyo♬

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Du 10 mai au 30 juin 2012, l’artiste de renommée internationale Kiki Smith revient pour la quatrième fois consécutive à la galerie Lelong de Paris pour présenter sa nouvelle exposition : Catching Shadows.

Au cours de ces dernières années l’œuvre de Kiki Smith, artiste d’origine allemande, vivant et travaillant à New York, a fait l’objet d’importantes rétrospectives au sein de prestigieuses institutions telles que le Museum of Modern Art (New York), le Walker Art Center (Minneapolis), la fondation Querini Stampalia (Venise), le Kunstmuseum Krefeld ou encore la fondation Joan Miró… Cet-te reconnaissance n’a fait qu’asseoir et enraciner la réputation de l’artiste étant devenue au cours de ces trente dernières années une des figures incontournables et singulières de l’art américain.

Les 80’s/ 90’s : le corps au centre de la création artistique.C’est au cours des années 80/ 90 que Kiki Smith se fait remar-quer. Souvent qualifiée d’ultra-féministe, elle s’intègre totalement au mouvement « du retour au corps » de la fin des années 80. Pour elle, le corps est notre dénominateur commun et la scène de notre désir et de notre souffrance. Elle souhaite exprimer par lui qui nous sommes, comment nous vivons et nous mourons. Le résultat est à la fois brutal et poétique : Kiki Smith prend aux tripes ses spectateurs avec des œuvres représentant de manière obsessionnelle la silhouette humaine (très souvent féminine), des fragments de corps ou encore les processus corporels. Certaines de ses œuvres, comme la sculpture ShitBody (1992) d’une fem-me en position fœtale suivie d’une trainée d’excréments ou encore Sans titre (1992) représentant une silhouette humaine debout dont le ventre ouvert laisse se répendre au sol les organes inter-nes, lui vaudront le titre d’artiste trash. Or, son travail redonne un souffle nouveau à la sculpture figurative. Kiki Smith montre le mystère mais aussi la vulnérabilité du corps. Elle fait de ses sculp-tures un exutoire des passions et des souffrances humaines. On peut à ce titre évoquer une sculpture d’argile datant de 1992 intitulée Untitled, qui met en scène une femme assise, les genoux repliés sur la poitrine, la tête basse dont le dos est parcouru de profondes entailles. La souffrance intériorisée par cette figure ac-croupie est parfaitement traduite par la glaise qui offre un réalisme surprenant et cruel à la sculpture. L’œuvre de Kiki Smith est également un véritable bestiaire peu-plé essentiellement de loups faméliques, de fauves, de biches et d’oiseaux. Le corps de l’animal s’oppose, déchire, s’unit ou reflète l’humain et parfois donne naissance à des créatures hybrides tout droit sorties de la mythologie.

L’exposition « Catching Shadows »Pour cette quatrième exposition à la galerie Lelong de Paris, Kiki Smith aborde la thématique de l’œil qu’il soit humain ou animal et de la vision. La recherche intellectuelle et artistique de Kiki Smith sur ce thème, bien qu’elle s’appuie sur une multitude de matériaux et de techniques (dessin, vidéo, photo, sculpture…) manque par moments de profondeur et penche vers une vision simpliste voire infantile (probablement voulue) des yeux et du regard. L’on attendait plus d’une artiste qui a marqué l’art figuratif des

Les yeux dans les yeux : regard sur la nouvelle exposition de Kiki Smithdi Margaux Buyck

Untitled, 1992Papier du népal, papier mâché, tissue thaï, methylcellulose adhésif160 x 47 x 138 cm© Kiki Smith.Photo: COURTESY THE ARTIST AND THE PACE GALLERY, New York

Dire Straits - Juliet ♬

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années 90 par sa vision cinglante du corps. Deux grands bronzes muraux attirent cependant notre attention. Ils représentent tout deux des femmes de face, nues, semblables à des sibylles modernes. L’une d’entre elles, aveuglée par les mul-tiples ramages prenant directement racine dans ses orbites et sur lesquels sont perchés des oiseaux nocturnes, pourrait s’apparen-ter à une créature mythologique mi-femme mi-arbre, une Daphnée obscure en osmose avec la Nature. L’autre silhouette parsemée d’étoiles (notons l’ambiance nocturne récurrente dans ces deux œuvres) semble être en revanche la représentation figurée d’une constellation.

Enfin, en jetant un regard critique sur cette nouvelle exposition de Kiki Smith, on ne peut s’empêcher de remarquer le déséquili-bre qu’il existe entre les sculptures et la production graphique de l’artiste et il devient dès lors difficile de trouver un lien entre les deux genres.Les sculptures de Kiki Smith dégagent une expressivité extraordi-naire, un talent affirmé, violent et efficace. Les derniers dessins de l’artiste sont hésitants, empruntant la ma-ladresse et la naïveté (maitrisée) du néophyte probablement dans le but d’extérioriser une souffrance intérieure. En ce sens, l’œuvre de Kiki Smith aurait pu se rapprocher des travaux de Dubuffet et des recherches menées sur l’art brut : Re-trouver un art détaché de toutes références culturelles et intellec-tuelles, revenir aux sensations d’un art pur, brut, exutoire psycho-logique offrant la possibilité, comme l’évoquait Antonin Artaud, d’arriver à que tout ce qu’il y a d’obscur dans l’esprit, d’enfoui, d’irrévélé se manifeste en une sorte de projection matérielle.Le résultat est cependant décevant et l’on on ne parvient pas à ressentir dans les ultimes dessins de Kiki Smith les sensations que dégagent ses sculptures. Il est dès lors difficile de se défaire de l’idée d’être face aux dessins d’un enfant à qui on a demandé de coucher sur le papier ses angoisses les plus profondes et l’on préfèrera à une estampe telle que Hello Hello, les œuvres psy-chédéliques de Madge Gill ou de Marguerite Burnat-Provins.

In alto:Apparition, 2011Bronze, unique241,3 x 120,6 x 10,8 cm© Kiki Smith.COURTESY OF MELISSA CHRISTY/ WALLA WALLA FOUNDRY

Sullo sfondo:Birds with Stars, 2011Épreuve chromogène et encre sur papier Népal55 x 45 cm© Kiki Smith. Photo Fabrice GibertCOURTESY GALERIE LELONG

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Paso doblela Redazione

Due affascinanti figure inaspettatamente legate: Christian Zucconi, scultore piacen-tino poco più che trentenne ed ex studente della scuola di Carrara che lavora con il marmo reificando opere monumentali, e Mustafa Sabbagh che con il mezzo fotogra-fico, lascia sfumare le sue discendenze giordane, ove il corpo si presta al camuflage della maschera, si incontrano per la prima volta, grazie all’intervento di un blogger, che pubblica sulle pagine di un celebre magazine un articolo su Zucconi. Il fotografo di questa retrospettiva di carta era allora proprio Sabbagh. Oggi, mentre Zucconi chiude a Montevarchi (con l’esposizione “La pietra e la carne”) Mustafa Sabbagh è ospite a Ferrara presso il museo Giovanni Boldini. Nel cortocircuito che la compiuta affinità crea, questo duo si ritrova ai Magazzini Criminali con una doppia retrospetti-va. Ad accomunare il gioco di vuoti e di pieni delle sculture di Zucconi, e gli istanti dell’inquieto foto-

grafo, l’espressione delle Ferite Liquide, quasi come a rivelare l’impossibilità di tagliare e poi cogliere nettamente una perdita. Che sia ferita che non cessa di sanguinare o come aleatorio dolore che soprassiede ai moti e alle rese dei due artisti, è un gioco che al pubblico viene lasciato.

YOUNG DISTRICT

Il paradosso della mucca che nuota nell’Articodi Andrea M. Campo

Non si può certo definire epistemologicamente corretto ma senza al-cun dubbio rimane un affascinante esperimento funambolico quello che Etienne De France realizza con “Tales of sea cow”. La giovane artista (classe 1984) gioca sul filo della docufiction del piccolo scher-mo realizzando una ricostruzione sincera – seppur non fedele- della vita della “mucca di mare”, un mammifero della famiglia dei sirenii estintosi a metà Ottocento. Nell’allestimento curato da Annick Bure-aud al Parco Arte Vivente di Torino è subito chiaro l’intento, sì iconi-co- scientifico, ma anche favolistico della francese e delle sue trame chimeriche: così come nelle novelle di Esopo e ancor più nel mondo pessimistico di Fedro, tocca agli animali suggerire morale ed etica; la Ritina di Steller, (questo il nome scientifico della “mucca di mare”), avvistata per la prima volta nel 1741 nelle acque dell’Atlantico Artico è vittima di un’indiscriminata caccia e sce-glie di nascondersi all’uomo. Idrofoni, plastici, fossili, cartine, articoli, disegni nel percorso espositivo assurgono, invece, a mezzi tramite cui rappresentare -se non il vero- il verosimile. L’osservazione del reale -o presunto tale- diventa processo marginale che non sfiora le corde della narrazione e rende credibile il lato onirico dell’esposi-zione: lo spettatore ha il compito di privarsi di pregiudizio scientifico ed accettare il materiale in mostra come documento “zoografico”. Ma se il fine della ricerca scientifica non fornisce certezze ma permette di rimuovere evidenti incertezze, Etienne De France riesce ad ingannare tutti, fornendo una prova sicura dell’esistenza della mucca di mare: nel percorso espositivo sono presenti i canti della Ritina registrati dai due biologi Thoarinn Mar Baldursson e Jena Torgessik nel mare della Groenlandia. L’efficacia del paradosso rende impossibile ogni distin-zione determinando l’univocità di un processo deduttivo che nonostante tutto ha i caratteri dell’immaginazione -più che quelli della fantasia- e la forza della scienza. La mostra resterà aperta al pubblico fino al 24 giugno.

Mustafa Sabbagh, IconeCOURTESY DELL'ARTISTA

Christian Zucconi, Madonna del LatteCOURTESY DELL'ARTISTA

Etienne de France, Memorie dal sottomarinoCOURTESY PAV

Jocelyn Pook - Masked Ball♬

Sigur Ros - Hoppipolla♬

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Si è chiusa recentemente la personale di Alessandro Roma (Mila-no, 1977) alla Brand New Gallery di Milano, dove il giovane artista lombardo ha presentato una serie di opere che hanno come filo conduttore il tema del giardino. Attraverso la pratica del collage, l’intervento grafico, l’olio e lo spray, Roma ha composto fantasiosi paesaggi vagamente metafisici, partendo dalla natura per poi oltre-passarla e restituircela secondo inedite condensazioni mentali, ma anche attraverso il filtro del kitsch1, quell’artificialità stucchevole e patinata che nel corso del Novecento si è imposta all’attenzione di artisti e operatori culturali di varie generazioni proprio a causa del suo ingente manifestarsi nella cultura materiale contempora-nea. La fitta e coloratissima boscaglia delle visionarie composizioni di Roma si costella, inoltre, di frammenti di statuette e fontane desunte dall’immaginario classico, ridotto a stereotipo proprio dal becero uso decorativo che se ne fa negli arredamenti da esterni. È qui che si rintraccia il senso vero e proprio del kitsch, dove l’ele-mento colto si riduce a banale feticcio della produzione industriale in serie, in un cortocircuito livellante, tra il raffinato e il dozzina-le, che già Giorgio De Chirico aveva intuito e sperimentato nella propria pittura, nel secondo decennio del secolo scorso. Uscendo dall’ormai superata logica del quadro “ben fatto”, inadatta per la ri-cerca estetica contemporanea, Roma seleziona e ritaglia campioni visivi seguendo tracciati sinuosi e curvilinei, così da ottenere fles-suosi ed eleganti patterns da combinare liberamente, azzardando accostamenti cromatici (anche questi marcatamente kitsch, volu-tamente di cattivo gusto) tra tinte acide, fluorescenti e pastello, stese in à plat oppure leggermente sfumate, poi nettamente spez-zate da chiaroscuri di forte consistenza plastica o dalla realistica resa dei frammenti fotografici. Forte di una ritrovata e sapiente manualità, così come di una grande abilità compositiva, Roma re-alizza caleidoscopici intrecci e raffinate sovrapposizioni di sagome fitomorfe dati come paradigmi di un denso e giocoso massimalismo decorativo.

Il sole mi costrinse ad abbandonare il giardino.Alessandro Roma in mostra a Milanodi Pasquale Fameli

1 Per approfondimenti su tale concetto, in par-ticolare nel suo rapporto con le arti visive, cfr. G. DORFLES, Il Kitsch. Antologia del cattivo gusto (1968), Mazzotta, Milano, 1990.

Alessandro Roma, Avvertivo un movimento tra le foglie, 2011COURTESY BRAND NEW GALLERY

Alessandro Roma, Il sole mi costrinse ad abbandonare il giardino, 2011COURTESY BRAND NEW GALLERY

Leo Delibes - Flower Duet♬

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Dagli anni Novanta in poi, le video installazioni del video artista britannico Steve Mcqueen sono sempre state caratterizzate per un allestimento molto neutro e minimale. Grandi proiezioni su parete bianca o nera, massimo due per sala, in modo di immergere e coin-volgere totalmente lo spettatore. L’immagine è l’uni-ca cosa che conta, l’idea è mettere in discussione la sua potenza,in molti casi tanto da annullare il sonoro, strumento che renderebbe piú facile il raggiungimento dell’obiettivo e forse banalizzerebbe il tutto; Current del 1999 e Running Thunder ne sono un esempio, video muti in 16 o 35 millimetri che riproducono un unica o massimo due immagini.I lavori di McQueen sono sempre stati una scommessa con il visuale, contro la capacità degli esseri umani di guardare con occhi diversi la quotidianità. Le sue im-magini “normali” diventano parte di una finzione, dove la realtà perde quasi tutto il suo valore, le forme si cri-stallizano e diventano parte di un paessaggio nuovo, il tutto diventa un esercizio quasi teatrale che punta allo straniamento. Giardini del 2009, opera che ha rappresentato l’Inghilterra nella 53ma Biennale d’arte di Venezia è un sunto di questo meccanismo, in esso la forma, il contenuto, la rappresentazione e il significa-to perdono la loro importanza, e l’estetica e un’ottima capacità tecnica e compositiva diventano contundenti. La malleabilità di questo artista e il suo grande interes-se per l’immagine come tale, gli ha permesso il pas-sare dalla video arte o video esperimentale, al video di guerra, video documentari e dal 2007 ad oggi ai lungometraggi. Grazie al grande successo dei suoi ultimi film, ha ac-quistato l’aggettivo di filmmaker e la sua pratica, net-tamente artistica legata alla video arte, è rimasta un po’ da parte tanto da chiedersi se si sia creata una scis-sione all’interno del suo lavoro. Il Gravesend fu il suo primo cortometraggio, seguito

dal lungometraggio Hunger del 2008 e da Shame nel 2011, che potrebbero essere descritti come un ipoteti-co dittico che mette in discussione le ragioni del per-chè vivere e del perchè morire.In Italia, ci sono voluti quattro anni dall’uscita ufficia-le di Hunger al festival di Cannes, per poterlo vede-re, nell’aprile del 2012. Basterebbe dare un’occhiata alla locandina pubblicitaria del film per rendersi conto di come McQueen abbia creato una folgorante («La Repubblica») e trionfale («Rolling Stone») opera pri-ma, la quale ha meravigliato e stupito una buona par-te della critica cinematografica (su 114 giudizi quasi il 90% è risultato molto favorevole). Ambientata nel 1981, la pellicola narra della vera storia dell’attivista irlandese Bobby Sands, militante nell’IRA e membro del Parlamento del Regno Unito, morto il 5 maggio dello stesso anno nel carcere nord-irlandese di Long Kesh, dopo aver portato avanti per 66 giorni uno scio-pero della fame in protesta contro le inumane condi-zioni con cui venivano detenuti i prigionieri politici irlandesi dietro decisione dell’allora Primo Ministro Margaret Thatcher. Hunger vinse nel 2008 al Festi-val di Cannes (la stessa edizione in cui vennero pre-sentati Gomorra e Il Divo) il premio Caméra d’or, primo riconoscimento del genere ottenuto da un film britannico, che viene assegnato alla migliore opera pri-ma cinematografica, sia tra le selezioni ufficiali sia tra quelle parallele. Istituito nel 1978, il premio Caméra d’or ha visto alternarsi registi provenienti da numerosi Paesi, dalla Francia all’Iran, dal Giappone allo Sri Lan-ka, dal Vietnam agli Stati Uniti, che detengono il re-cord di film premiati con ben 6 vittorie, ma nessun film presente nel palmares parla la lingua italiana. Eppure, non manca in Italia una tradizione cinematografica tale da precludere un simile riconoscimento anche i ci-neasti nostrani, benché troppo intralciati da politiche culturali da “botteghino” e spesso messi in sordina, se

E-BOMBFilmmaker vs VideoartistaUnlimitefaciledaoltrepassaredi C.S.e Francesco Mammarella

Steve McQueen, Giardini, Still da video, 2009COURTESY MARIAN GOODMAN GALLERY NY

Chet Baker- Let’s Get Lost ♬

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non alla berlina, da parte di un Paese, talvolta, troppo cieco per investire con lungimiranza sui nuovi talenti. Tra i vari premi vinti dal film di McQuenn nel 2008, spicca anche l’European Film Awards per la miglior rivelazione (competizione relativamente giovane, isti-tuita nel 1988 ed intitolata al grande regista tedesco Fassbinder), premio che però, fa piacere ricordare, è stato assegnato altresì a film italiani. Nel 1990, infatti, viene premiato l’attore Ennio Fantastichini per l’ope-ra cinematografica Porte Aperte del registra Gianni Amelio, tratta dal romanzo omonimo di Sciascia, e di certo uno dei migliori esempi del genere giudiziario italiano: nella Palermo del 1937, un piccolo giudice di paese lotta per trasformare in ergastolo la condanna a morte di un fascista pluriomicida. Quattordici anni dopo il film di Amelio, è il turno dei fratelli Franzi, An-drea ed Antonio, i quali nel 2004, dopo aver realizzato sempre insieme altri due film, Don Milani – il priore di Barbiana ed Il cielo cade, vincono il premio Eu-ropean Film Awards con la pellicola Certi bambini, opera tratta dal romanzo Premio Campiello di Diego De Silva, in cui si narra del dodicenne Rosario, orfa-no, adottato dalla camorra napoletana per diventare un baby-killer occasionale. Purtroppo sembrerebbero oramai lontani gli anni d’oro di Fellini e Leone, quando il mondo intero guardava al cinema italiano con spi-rito di emulazione e meraviglia, o quando De Sica e Pasolini vincevano due edizioni consecutive dell’Orso d’oro di Berlino nel 1971 e 1972 con i film Il giardi-no dei Finzi-Contini ed I racconti di Canterbury, dai tempi attuali caratterizzati da prodotti più simili a meteore che inquadrati in coerenti scuole di pensiero cinematografico. Fortunatamente quest’anno, però, il nostro cinema ha avuto un sussulto d’orgoglio e un ri-conoscimento di primaria importanza: ancora fresche sono le emozionanti immagini dell’ultima vittoria alla 62ma edizione dell’Orso d’oro di Berlino ad opera dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani (che come i fratelli

Fanzi hanno sempre lavorato in coppia), in quali, con la pellicola Cesare deve morire, mettono in scena con i detenuti della casa circondariale di Rebibbia un’ope-ra del Bardo inglese. Forse sarebbe il momento che il cinema italiano, partendo dal successo della critica, e tra poco speriamo anche del botteghino, possa presto consegnare al pubblico nuove ed importanti opere ci-nematografiche, in risposta non solo alla crescente in-sicurezza economica del paese (di cultura si mangia!), ma soprattutto ad un determinato modo di fare e con-cepire il cinema, che dalla prima metà degli anni ’90 (sarà un caso) ha incanalato importanti risorse uma-ne ed economiche verso un consumo da blockbuster. Sarebbe bello poter presto vedere nelle sale di tutta Europa nuovi film italiani del calibro de I pugni in tasca di Marco Bellocchio, o di Ossessione di Luchino Visconti, opere prime di una generazione scomparsa e di visionari. Una possibilità sarebbe quella di adot-tare il cammino di Steve McQueen , e aspettare che più videoartisti italiani inizino ha fare dei film ibridati tra video arte, film documentario, e film da botteghino per raggiungere risultati piú interessanti, un successo sicuro, e l’accettazione nazionale e internazionale. Sa-remmo in attessa di un futuro avvenire nel quale si perda totalmente la differenza tra video-maker e Film-maker.

In alto:Steve McQueen, Hunger, Still da film, 2008

COURTESY ROBIN GUTCH (sinistra)

Gianni Amelio, Porte aperte, Still da film, 1990COURTESY URANIA (destra)

In basso:Steve McQueen, Giardini, Still da video, 2009

COURTESY MARIAN GOODMAN GALLERY NY

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William Wyler mette al servizio del cinema la sua cul-tura di emigrato europeo e analizza, con occhio scevro da compromessi, la società americana e i suoi precetti.

Fondamentale diventa nei suoi film il lavoro attoriale, che esprime al massimo grado la profondità dei per-sonaggi e il loro canto di protesta, come accade alle protagoniste di Piccole volpi (Little Foxes, 1941), de L’ereditiera (The Heiress, 1949) e de Gli occhi che non sorrisero (Carrie 1952). Il regista, concentran-dosi sulle ambiguità del ruolo svolto dalla donna nel-la storia sociale americana, mostra come il concetto di libertà sia tanto molteplice e controverso quanto l’America stessa. Mentre, infatti, da un lato la libertà costituisce l’essenza del nazionalismo statunitense, dall’altro la società americana, sin dai coloni, si fonda sull’obbedienza all’autorità. La sperequazione, che è stata essenziale per istituire l’ordine sociale delle co-lonie e che sembra essere stata demolita durante la ri-voluzione americana, in realtà continua a sopravvivere nelle menti e negli occhi della gente.

Wyler predilige le storie psicologiche a sfondo sociale, attingendo dal teatro (Piccole Volpi è tratto dal te-sto teatrale di Lillian Hellman) e dalla letteratura (Gli occhi che non sorrisero è tratto da Nostra Sorella Carrie, il romanzo di Theodore Dreiser e L’ereditiera da Piazza Washington di Henry James), dimostrando di possedere un gusto austero e teatrale della messa in scena, che viene privata di qualsiasi tipo di ricer-catezza formale, attraverso una riduzione ai minimi termini della scena e uno sfruttamento totale dell’iter

emozionale degli attori. In Piccole Volpi, ad esempio, la tensione drammatica è ottenuta attraverso la qua-si totale fissità della macchina da presa, che diventa personaggio attivo, interagendo con l’ambiente circo-stante. Il regista ripudia gli artifici, sovvertendo quelle peculiarità che erano alla base della cultura americana e restituisce un cinema che è sincero, genuino, auten-tico, non alterato da espedienti che debbano irretire il pubblico

Il suo cinema è classico nell’accezione formativa del termine, nell’essere un modello esemplare, nell’aver l’alto valore di esperienza artistica che rappresenta e racconta la storia di un Paese. Wyler denuncia il pro-cesso di reificazione che ha travolto l’uomo america-no sin dagli inizi del Novecento, sottolineando come l’esperienza pioneristica e il conseguente confronto con una natura aspra e selvaggia abbia irrigidito il cuo-re di una popolazione, che ha pagato a caro prezzo il tentativo di una nuova esistenza. Gli uomini vengono mostrati nella loro spietatezza e iniquità, come total-mente asserviti a se stessi e incapaci di amare. Così anche le donne: come Regina, in Piccole volpi, dispo-sta a tutto per riscattare la propria posizione sociale e per ottenere una parvenza di emancipazione economi-ca dall’uomo, che sia il marito, o il fratello, o il padre, e come Catherine, ne L’ereditiera, che indurita dalla mancanza d’amore, non riesce a perdonare il padre e a condonargli la disaffezione a cui l’ ha costretta e come Carrie, figura ambigua e problematica che, ne Gli occhi che non sorrisero, abbandona il paese di provenienza per andare a vivere nei sobborghi di Chicago in cerca

IL PROIETTORE DI OLOFERNE

Le donne in William Wylerdi Giuditta Naselli

Gli occhi che non sorrisero

John Coltrane - My Favourite Things ♬

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di un’occasione. Il regista sonda l’universo femminile, mostrando come, anche nel Novecento, siano poche le vie che una donna ha per raggiungere un certo gra-do di libertà. Alle donne compete unicamente la casa, unico habitat, unico luogo di confessione, che è al con-tempo prigione e fortezza di se stesse, sede di quelle forze oscure che la giungla dei sentimenti ha scate-nato. Regina e Catherine trovano motivo di esistere solo all’interno delle quattro mura, tanto che, anche lo spettatore, inconsciamente, si trova destabilizzato di fronte a delle scene che mostrano le protagoniste al di fuori del loro spazio domestico. Soltanto Carrie, nel corso del film, acquista una facoltà di movimento nel-lo spazio, di pari passo all’acquisizione di una propria emancipazione, dettata dalla volontà di riscatto.

Il regista contribuisce a risvegliare le coscienze del po-polo americano mostrando la forza di quella individua-lità democratica che Emerson, Whitman e Thoreau avevano tanto sostenuto, e condivide con loro il fine artistico e umano di: “lasciare che ciascuno viva secon-do il proprio autonomo giudizio e il libero e volontario confronto ideale con gli altri e abbia l’opportunità di attuare o cercare di attuare i propri fini, di non essere costretto a tradire se stesso1”.

1 Nadia Urbinati, Individualismo democratico, Roma, Donzelli, 1997, p.7.

L'ereditiera - The Heiress

Bette Davis in Piccole volpi

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Nelle sue mani il metallo diventa materia plastica, mutevole so-stanza che assume forme docili prestandosi a ogni narrazione: Marcus Egli, artista svizzero classe 1957, giunge per la prima volta in Italia con una mostra dal titolo “Uno, nessuno, centomila” fino al 29 giugno presso la Galleria Otre Dimore di Bologna.Il percorso espositivo indaga sui fondamenti teorici dell’artista, sulla nascita dell’afflato creativo, che si conserva nei suoi volti sem-pre simili – ma mai uguali- nelle carature dei riflessi e nella serialità della ripetizione.Appare come un gioco tra arte e manifattura, dove l’artista produ-ce un corpo immoto, rivelando l’esito arcano delle sue riflessioni intorno al sé.Forse memore dei fasti elvetici alla Biennale di Venezia, Egli se-duce lo spettatore nel gioco materico della penombra, nella statue di metallo che intrise di pigmalionica aura richiamano le vertigini della robotica. Il materiale è mezzo, conduttore di energia e perse-veranza con cui l’artista trascende, facendo dialogare l’opera con il soffio vitale che l’ha generato -e di cui ne serba memoria- allo stesso modo delle sue metallizzazioni.Ma chi sono gli uomini di Marcus Egli? Alieni icona dell’individua-lità o forse astronauti, uomini che sulla terra si nascondono dallo sguardo indagatore “extra - terrestre” o, ancora, sono specchio dei tempi moderni, carne immolata al sacrificio di presentare l’altro, di porsi, in quanto corpi fissili, al fenomeno soglia dell’osservatore.Come suggerito dal titolo stesso, questi uomini rappresentano i tre volti di un’unica indagine: quella ricerca svizzera che in occasione dell’ultima biennale si interrogava, per mezzo di cristalli e strumen-ti di comunicazione e vecchi libri, su cosa salvare, cosa proteggere e attraverso quali strumenti perseguire l’identità, macro sistema in cui l’uno, nessuno e centomila si fondono: un livellamento che è solo apparenza indicibile del loro essere non comunicabili, non attraversabili, non accessibili attraverso coordinate comuni.Dove l’espressione termina -e lascia il posto alla sinossi- lì si svela l’ultimo respiro, la volontà di ricevere dall’immagine del mondo la sua stessa immagine, percependola laddove essa si presenta, ri-flessa nello spazio di rimandi che interrogano chi sono, chi siamo, chi egli è.

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Il gioco dell’altroMarcusEgliaBolognala Redazione

Marcus Egli, Fibonacci-13, 2011COURTESY GALLERIA OLTREDIMORE

Thomas Hirschorn, Crystal Resistance,COURTESY HAPPYFAMOUSARTISTS ON FLICKR

Marcus Egli, In Vitro, 2012COURTESY GALLERIA OLTREDIMORE

David Bowie - Space Oddity♬

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300 gallerie, 36 paesi, 6 continenti e oltre 2500 artisti: sono questi i primi incredibili numeri di Art 43 Basel (Basilea, Svizzera, dal 14 al 17 giugno) selezione mondiale dei migliori progetti curatoriali pre-sentati da gallerie private. L’Art Basil Committee ha scelto quest’an-no di accompagnare realtà affermate a gallerie esordienti del circuito svizzero come la Miguel Abreu Gallery (New York), Chemould Pre-scott Road (Mumbai), Galerie Mehdi Chouakri (Berlino), Thomas Dane Gallery (Londra), David Kordansky Gallery (Los Angeles), Long March Space (Pechino), maccarone (New York) e ProjecteSD (Barcellona). Per la sezione Art Statements debutteranno alcune gallerie internazionali quali Arratia Beer (Berlino), Balice Hertling (Parigi), Laura Bartlett Gallery (Londra), Cherry and Martin (Los Angeles)e Fonti (Napoli) solo per citarne alcune, che metteranno in mostra i loro migliori esordienti: compito dell’Art Statements, fin dal 1996, è stato quello di promuovere i giovani artisti, fornendo una palco ideale per un pubblico internazionale di curatori, collezio-nisti e critici d’arte; ed qui che hanno visto i primi fasti artisti quali Ghada Amer, Kader Attia, Pierre Huyghe, William Kentridge e Ta-kashi Murakami. In Art Feature, giunto alla terza edizione, i progetti curatoriali di 20 gallerie che presenteranno un intenso programma di dialoghi artistici, mostre personali ed esposizioni di materiale storico-artistico. Ma la terza città della Svizzera accompagnerà il grande evento con una programma ricco di mostre tra cui ‘Jeff Ko-ons’ e ‘Philippe Parreno’ alla Fondation Beyeler; e ancora ‘Renoir. Between Bohemia and Bourgeoisie’ al Kunstmuseum Basel; ‘Hilary Lloyd’ al Museum für Gegenwartskunst e infine ‘Vladimir Tatlin – new art for a new world’ al Tinguely Museum . In contemporanea il Teatro di Basilea presenterà ‘The Life and Death of Marina Abramo-vic’, produzione del Manchester International Festival e del Teatro Real Madrid con il Teatro di Basilea e l’Holland Festival. Nel Pad. 5 del recinto fieristico basilese, invece, Design Miami/Basel, il forum globale del design. Ma come sempre Art Basel strizzerà l’occhio al grande schermo con Art Film, rassegna di film realizzati da artisti - o incentrati sulla figura di artisti- curato per il quinto anno da Marc Glode (Berlino): tra i nomi figurano Luke Fowler, Pierre Huyghe, Bruce McLean e Dieter Meier. Da non dimenticare la prima proiezione svizzera di ‘Ai Weiwei: Never Sorry’ (2012), di Alison Klayman e ‘Marina Abramovic: The Artist Is Present’ (2011), di Matthew Akers.

Aspettando Art Basella Redazione

Stevenson, Ernest Mancoba, Untitled (v.7), 1993COURTESY OF STEVENSON, CAPE TOWN AND GALERIE MIKAEL ANDERSEN, BERLIN

Takeo Hanazawa, Kanbaku (disquiet), 2008COURTESY SIDE 2

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Fugees - How Many Mics♬

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Il 10 Marzo 2012, qualche mese fa, è scomparso pro-babilmente uno dei più grandi autori di fumetti a livello mondia-le: Jean Giraud “Moebius”. Non si vogliono qui ripercorrere le storie della sua vita privata e ar-tistica, sulle qua-li molto è già sta-to scritto1 e su cui l’autore stes-so si è espresso esaustivamente2. E non si vuole nemmeno fare

una, tardiva, beatificazione post-mortem. Questo vuo-le soltanto essere un omaggio ad un autore che col suo lavoro, dalla fine degli anni Sessanta (e fino alla fine della sua vita), ha cambiato il volto di quella che viene considerata oggi (grazie anche al suo lavoro) la nona arte. È impossibile, nonché inutile, fissare con delle date il suo lavoro per cercare un punto (o più d’uno) che sia focale ed imprescindibile attraverso il quale poter comprendere in profondità il suo lascito. D’altronde lo stesso autore dichiarava che: ‹‹La data è l’imprecisione del ricordo. Si mettono le date per mettersi a posto la coscienza. E’ come sottolineare a matita una riga per non rileggerla. Come infilzare con uno spillo una farfalla in una scatola, nel tentativo di dimenticare che ancora poco fa i suoi colori baluginavano percorrendo l’aria fresca dei prati, e magari scatenando un ti-fone sull’altro lato del pianeta. Datare per dimen-ticare con la pretesa di ricordare. Datare come barare, sapendo bene che la vita non si misura col metro del tempo che passa, bensì con quello dell’uso che se ne fa››. La chiave di lettura è infatti tutta racchiusa in un’im-magine: il nastro di Mobius, dal quale l’autore ha preso il suo pseudonimo. Questa figura non rappresenta al-tro che un ponte tra un doppio, il punto di congiunzio-ne tra un esterno ed un interno, che Giraud ha tentato di attuare nella sua opera. L’interno è “Gir”, Jekill, il primo pseudonimo col quale l’autore si firmava ai tem-pi di ‹‹Hara-Kiri›› e ‹‹Pilote››, visibile nelle tavole di “Marshall Blueberry”, il suo primo lavoro seriale e im-portante (ed accademico? Sì, se si chiude per un atti-mo la vista periferica che già brama di perdersi negli universi di Moebius) sui testi di J.M.Charlier. L’ester-no è invece Moebius, Hyde, che all’interno di ‹‹Métal

Hurlant›› ha aperto le sinapsi dei lettori verso univer-si impossibili e fantastici, che ha scardinato non solo le regole dell’impaginazione e del disegno, ma che ha creato anche un nuovo modo di sceneggiare le trame, considerando la storia non come una retta da percor-rere o, citando l’autore stesso, come una casa con una porta per entrare, ma come un qualcosa a forma d’ele-fante, di campo di grano, di fiammella di cerino3, ov-vero un indefinito viaggio con milioni di spunti da cui deviare verso nuovi orizzonti (e non a caso la storia-manifesto in cui Moebius esce della mente di Giraud è titolata appunto “La deviazione”). Ma ad un certo punto nel nastro: ‹‹la torsione del-la striscia annulla la differenza e torna sempre al punto di partenza. Mentre Gir disegna instanca-bilmente i contorni della realtà, Moebius cerca in-vece la spiegazione del Mondo››.‹‹Gir/Moebius […]è come il jazz. Si espone prima il tema. Si ipnotizza leggermente l’ascoltatore, spe-cie se pensa di riconoscere la melodia. Poi, quando lo si ha in pugno, gli si somministra l’improvvi-sazione, il cui compito è di tuffarlo in un abisso di sensazioni nuove. Blueberry è il tema. Moebius l’improvvisazione››.Una vita all’insegna del doppio quindi, che tra western tradizionale e fantascienza filosofica ha creato un pon-te sia all’interno dell’autore stesso, sia nei lettori nei confronti di un fumetto che di colpo si è scoperto mez-zo di comunicazione adulto.

BALLOON

1 Si veda l’ottimo libro a cura di Patrizia Zanotti “L’autore ed il fumetto /7. Jean Giraud Moebius”, Montepulciano : Editori del Grifo, 1983.

2 Nel suo libro autobiografico “Il mio doppio io”, edito in Italia per la casa editrice DeriveApprodi.

3 Come è scritto nel retro di copertina dell’edizione del “Garage Hermetique”.

Au revoir docteur Jekilldi Alessandro Cochetti

Jean Giraud, Blueberry, da I classici del Fumetto, Serie Oro n°25COURTESY LA REPUBBLICA

Jean Giraud, Moebius,da I Classici del Fumetto,n°37COURTESY LA REPUBBLICA

Akron/Family - Shoes♬

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Aosta, Eyeon Fotografia, Elliott Erwitt. Icons,Dal 24 marzo al 24 giugno 2012Info: www.eyeonfotografia.it

Arezzo, Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, Lucio Fontana. Hic et NuncDal 6 maggio al 24 giugno 2012Ingresso liberoInfo: www.comune.arezzo.it

Bergamo, Shots Gallery, Cesare Colombo-Riflettere la luce,Dal 5 maggio al 9 giugno 2012Ingresso liberoInfo: www.shotsgallery.it

Bologna, Adiacenze, Fallout,Dal 14 aprile al 9 giugno 2012Ingresso liberoInfo: www.adiacenze.it

Bologna, Galleria OltreDimore, Marcus Egli. Uno, nessuno e cen-tomila,Dal 17 maggio al 29 giugno 2012Info: www.oltredimore.it

Bologna, Galleria Wikiarte, Deja-vù-Ho fatto un sogno, e il sogno continua,Dal 12 al 24 maggio 2012Ingresso liberoInfo: www.wikiarte.com

Bologna, Spazio San Giorgio, Stre-et View, Dall’11 maggio al’1 giugno 2012Ingresso liberoInfo: www.spaziosangiorgio.it

Castellina In Chianti, Rocca delle Macie, Premio d’arte Zingarelli,Dal 19 aprile al 30 settembre 2012 Ingresso liberoInfo: www.roccadellemacie.com

Firenze, Galleria Alessandro Bagnai, Günther Uecker. La poesia della distruzione,Dal 28 aprile al 23 giugno 2012, Info: www.galleriabagnai.it

Gorizia, Museo della Moda e delle Arti Applicate, Il filo del tempo,Dal 13 maggio al 3 giugno 2012Info: www.noidellarte.it

Lecce, Primo Piano Livinggallery, Urban Life. Cultures-Transition-Identities,

Dal 12 maggio al 31 maggio 2012Info: www.primopianogallery.com

Livorno, Guastalla Centro Arte, Antoni Tapies. Nocturn Matinal,Dal 5 maggio al 7 luglio 2012Info: www.guastallacentroarte.com

Merano, Merano Arte, Edificio Cassa di Risparmio, Dennis Op-penheim. Electric City,Dal 19 maggio al 9 settembre 2012Biglietto intero: 5 euroBiglietto ridotto: 4 euroInfo: www.kunstmeranoarte.org

Milano, Castello Sforzesco, Ultra-body,Dal 19 aprile al 17 giugno 2012Biglietto intero: 8 euroBiglietto ridotto: 6 euroInfo: www.ultrabody.it

Milano, Centro Pecci, Rapporto Confidenziale,Dal 3 maggio al 16 giugno 2012Ingresso libero Info: www.centropecci.it

Milano, Forma, Alex Webb,Dal 26 aprile al 17 giugno 2012,Biglietto: 7.50 euroInfo: www.formafoto.it

Milano, Palazzo Reale, Gli artisti italiani della collezione Acacia,Dall’11 aprile al 24 giugno 2012Info: www.acaciaweb.it

Napoli, AICA Galleria Andrea In-genito Contemporary Art, Percor-si di Arte Povera,Dal 20 aprile al 2 giugno 2012Info: www.ai-ca.com

Napoli, Villa Pignatelli-Casa della Fotografia, La Fotografia del Giappone (1860-1910). I capola-vori,Dal 21 aprile al 3 giugno 2012Biglietto: 2 euroInfo: www.polomusealenapoli.beniculturali.it

Parma, Fondazione Magnani Roc-ca, Divina Commedia. Le visioni di Dorè, Scaramuzza e Nattini,Dal 31 marzo all’1 luglio 2012Biglietto intero: 9 euroBiglietto ridotto: 5 euroInfo: www.magnanirocca.it

Prato, Centro per l’Arte Contem-poranea Luigi Pecci, Controcor-rente. Riviste, dischi e libri d’arti-sta nelle case editrici della poesia visiva italiana,Dal 21 aprile al 17 giugno 2012 Info: www.centroartepecci.prato.it

Prato, Centro per l’Arte Con-temporanea Luigi Pecci, Moving Image in China: 1988-2011,Dal 21 aprile al 29 luglio 2012Ingresso liberoInfo: www.centroartepecci.prato.it

Roma, Casa dei Teatri, Immagini del Living Theatre, Dall’11 maggio al 24 giugno 2012 Ingresso liberoInfo: www.culturaroma.it

Roma, Chiostro del Bramante, Andy Warhol’s Factory,Dal 7 marzo al 30 giugno 2012Biglietto intero: 10 euroBiglietto ridotto: 8 euroInfo: www.romeguide.it

Roma, Museo Carlo Bilotti, La luce oscura della materia,Dal 19 maggio all’8 luglio 2012Biglietto intero: 7 euroBiglietto ridotto: 6 euroInfo: www.museocarlobilotti.it

Roma, Palazzo Sciarra Colonna, Sculture dalle Collezioni Santarelli e Zeri,Dal 13 aprile all’1 luglio 2012Biglietto intero: 10 euroBiglietto ridotto: 8 euroInfo: www.fondazioneromamuseo.it

Roma, Unosunove Arte Contem-poranea, Duncan Marquiss. Noise,Dal 10 maggio al 23 giugno 2012Info: www.unosunove.com

Roma, Villa Massimo-Accademia Tedesca, Soltanto un quadro al massimo: Gino De Dominicis / Sigmar Polke,Dal 3 maggio al 7 giugno 2012Ingresso liberoInfo: www.villamassimo.de

Saronno, Il Chiostro Artecontem-poranea, Fausto Melotti – Ritmi d’ottone e fragili terre,Dal 19 maggio al 30 giugno 2012Ingresso libero

Mostre nazionalidi Gabriella MancusoROUTES

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Info: www.ilchiostroarte.it

Sassuolo, Magazzini Criminali, Mustafa Sabbagh / Christian Zuc-coni - Ferite Liquide,Dal 12 maggio al 3 giugno 2012 Ingresso liberoInfo: [email protected]

Tirano, Palazzo Foppoli, Segno+Ritmo+Scrittura.Da Mari-netti a Boccioni, da Palazzeschi a Depero. Carte e libri futuristi dalla Biblioteca “Arcari” di Tirano,Dal 5 maggio al 24 giugno 2012Ingresso liberoInfo: www.comune.tirano.so.it

Tolentino, Museo Internazionale della Caricatura Luigi Mari, Nu-vole di confine. Graphic Journali-sm. L’arte del reportage a fumetti,Dal 14 aprile al 16 settembre 2012Biglietto: 3 euroInfo: www.tolentinonline.com

Torino, luoghi vari, Internazionale d’Arte LGBTE 2102,Dal 4 maggio al 4 giugno 2012Info: www.associazionekoine.it

Torino, PAV, Parco d’Arte Vivente, Etienne de France - Tales of a Sea Cow,Dal 29 marzo al 24 giugno 2012Biglietto intero: 3 euroBiglietto ridotto: 2 euroInfo: www.parcoartevivente.it

Trevi, Palazzo Lucarini Con-temporary-Centro per l’Arte Contemporanea, Officine dell’Um-bria_12,Dal 12 maggio al 6 giugno 2012 Ingresso liberoInfo: www.palazzolucarini.it

Varese, Villa e Collezione Panza, Bill Viola. ReflectionsDal 12 maggio al 28 ottobre 2012Biglietto intero: 10 euroBiglietto ridotto: 5 euroInfo: www.fondoambiente.it

Dal 2 aprile al 15 luglio 2012Biglietto intero: 8 euroBiglietto ridotto: 6 euroInfo: www.veneziatoday.it;0418620761

Venezia, Palazzo Zenobio-Collegio Armeno, Undici allunaggi possi-bili,Dall’11 maggio al 26 luglio 2012

Info: www.collegioarmeno.com

Verona, La Giarina Arte Contem-poranea, Fluxus Jubileum (1962-2012),Dal 12 maggio al 30 settembre 2012Ingresso liberoInfo: www.lagiarina.it

Verona, Studio La Città, Roberto Pugliese - Aritmetiche Architetture Sonore,Dal 12 maggio all’ 11 agosto 2012Ingresso liberoInfo: www.studiolacitta.it

MostreinternazionaliAscona, Museo Comunale d’Ar-te Moderna, Il Mar Baltico delle Avanguardie,Dall’11 marzo al 10 giugno 2012Biglietto intero: 13 euro Biglietto ridotto: 9 euroInfo: www.museoascona.ch

Berlino, VBM 2O.1O Contempora-ry arts & design, Planeten/Piane-ti. Rebecca Agnes,Dal 12 maggio all’8 giugno 2012Info: www.vbm2010.com

Londra, Tate Modern, Damien Hirst,Dal 4 aprile al 9 settembre 2012£ 14, agevolazioni disponibili Info: www.tate.org.uk

Parigi, Centre Pompidou, Anri Sala, Dal 3 maggio al 6 agosto 2012Biglietto intero: 13 euro Biglietto ridotto: 11 euroInfo: www.centrepompidou.fr

VernissageAosta, MAR Museo Archeologico Regionale, Wassily Kandinsky e l’arte astratta tra Italia e Francia,Dal 26 maggio al 21 ottobre 2012Biglietto intero: 5 euroBiglietto ridotto: 3.50 euroInfo: www.regione.vda.it

Bologna, Mambo, Plamen Dejanoff. The Bronze House,Dall’1 giugno al 9 settembre 2012Biglietto intero: 6 euroBiglietto ridotto: 4 euroInfo: www.mambo-bologna.org

Faenza, Museo Internazionale delle Ceramiche, Mimmo Paladi-no. CeramicheDal 25 maggio al 7 ottobre 2012Biglietto intero: 8 euroInfo: www.micfaenza.org

Milano: Palazzo Reale, Addio anni 70,Dal 31 maggio al 31 luglio 2012Info: www.artpalazzoreale.it

Roma, Palazzo Baldassini, Extra Spirito,Dal 22 maggio al 27 maggio 2012Info: www.santospiritoinsassia.it

VernissageinternazionaliBerlino, NGBK, Berlinische Gale-rie, Alte Nationalgalerie, Alfredo Jaar - The Way it is. An Aesthetics of Resistance,Dal 15 giugno al 19 agosto 2012Dal 15 giugno al 17 settembre 2012Dal 15 giugno al 16 settembre 2012Info: www.berlinischegalerie.de

Istanbul, Istanbul Modern, 50 anni di mura urbane,Dal 23 maggio al 23 settembre 2012Info: www.istanbulmodern.org

Kassel, luoghi vari, Documenta 13Dal 9 giugno al 16 settembre 2012Biglietto intero giornaliero: 20 euro Biglietto ridotto giornaliero: 14 euroInfo: d13.documenta.de

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EventiFrascati, Scuderie Aldobrandini, BACC- Biennale d’Arte Ceramica Contemporanea. Materia in espan-sione,Dal 26 maggio al 24 giugno 2012Info: www.comune.frascati.rm.it

Modena, luoghi vari, VIE Scena Contemporanea Festival, Dal 24 maggio al 2 giugno 2012Info: www.viefestivalmodena.com

Piombino, luoghi vari, Social Photo Fest, festival internazionale della fotografia sociale,Dal 25 maggio al 3 giugno 2012Info: www.socialphotofest.eu

Roma, luoghi vari, Open House Roma 2012,5 e 6 maggio 2012Info: www.openhouseworldwide.org

Roma, Palazzo Borghe-se, Prospettive Italiane-percorsi,visioni,orizzonti,Dal 24 al 26 maggio 2012Info: www.parliamoneinsieme.it

Roma, Sala Santa Rita, I mercoledì del libro d’arte,Dal 9 maggio a dicembre 2012Ingresso liberoInfo: www.culturaroma.it

Torino, Piazza San Carlo, Artico-lo9, rassegna di arti visive in plen air2-3 giugno 2012Riferimenti e note:[email protected]

Da vedereFirenze, CCCS-Centro di Cultura Contemporanea Strozzina-Palaz-zo Strozzi, Loris Cecchini - Aerial Boundaries,Dal 27 aprile al 30 giugno 2012Info: www.strozzina.it

Milano, Design Library, Who Art You, collettiva fatta di percorsi visivi e musicali con proiezioni e approfon-dimenti, 25 maggio 2012Info: www.whoartyou.net

Parigi, Gran Palais, Daniel Buren chez soi,Dal 10 maggio al 21 giugno 2012Info: www.grandpalais.fr

Venezia, Videoteca Pasinetti- La Casa del Cinema, Antonioni. The Director’s Off Set,Dal 2 maggio all’8 giugno 2012Ingresso liberoInfo: www.comune.venezia.it

FiereBasilea, Gz-Art Basel, 14-17 giugno 2012Info: www.gz-artbasel.com

Parigi, Carousel du Louvre, Art Shopping,9-10 giugno 2012Info: www.salon-artshopping.com

Roma, Macro Testaccio/La Pelan-da, Roma Contemporary,Dal 15 al 27 maggio 2012Biglietto intero: 15 euro Biglietto ridotto: 10 euro Info: www.romacontemporary.it

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OPENCALLdi Gabriella Mancuso

PREMI E CONCORSI

Cinto Caomaggiore (Ve), Inequilibrio,

Primo premio: realizzazione di opere di Land Art, nel parco di Torrate di

Chions

Termine ultimo di partecipazione: 9 giugno 2012

Info: www.enzima.eu

Montegranaro, MontegranArt,

Concorso per iincoraggiare la creatività e l’espressione artistica e dare visibili-

tà a giovani talenti

Settori: Pittura e Grafica, Fotografia,Videoart e Cortometraggi

Primo premio: esposizione delle opere

Termine ultimo di partecipazione: 1 giugno 2012

Info: cittavecchiacultura.blogspot.it

Monza, Ri(e)voluzioni,

Bando di concorso a sostegno della divulgazione delle Arti Visive e del

Design

Primo premio: esposizione e catalogo

Termine ultimo di partecipazione: 15 giugno 2012

Info: www.rievoluzioni.assorestart.org

Rofrano, Mutarte 2012

Concorso per giovani creativi

Settori: pittura, fotografia, scultura, video arte, installazione, performance

Primo premio: esposizione collettiva e premio pecuniario

Termine ultimo di partecipazione: 15 giugno 2012

Info: www.associazionemutazione.com

Roma, concorso Nazionale di Fotografia RP2012

finalizzato alla promozione della fotografia in Italia

Primo premio: esposizione, contributo in denaro, e pubblicazioni

Termine ultimo di partecipazione: 15 giugno 2012

Spoleto, Premio Spoleto Festival Art 2012,

Sezioni: pittura, scultura, fotografia,

Primo premio: pubblicazione ed esposizione

Termine ultimo di partecipazione: 31 maggio 2012

Info: www.spoletofestivalart.com

Torino, Viadellafucina A.I.R., bando per residenze d’artista,

Scadenza: 10 giugno 2012

Info: www.branchie.org

Torino, Movin’Up,

Bando di concorso per giovani artisti in ambito internazionale

Settori: arti visive, architettura, design, musica, cinema, video, teatro, danza,

performance, letteratura

Primo premio: contributo economico e rimborso spese

Termine ultimo di partecipazione: 1 giugno 2012

Info: www.giovaniartisti.it

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Krakow Photomonth Festival 2012 - Viviane Sassen. Arti-sta tedesca classe 1972 è solo una tra i giovani talenti promossi dal Festival di Cracovia (17 maggio – 17 giugno), affidato anche quest’anno al giovane (33 anni) Tomasz Gutkowski sul motto Join Us!. Nelle sue opere la Sassen interviene attingendo da due mondi molto lontani tra di loro: la moda, che l’ha vista crescere all’inter-no delle pagine del New York Times, e l’Africa keniota, lontano respiro che alla savana presta il ricordo. Nelle sue immagini, gli ampi spazi e l’elemento equatoriale, si mischiano alla posa perfetta dell’addizione patinata, rendendo ogni scatto unico, nella summa del fervore e della distanza che contiene. Sammichele. Non sempre giovinezza è sinonimo di inesperienza, in particolar modo quando si parla di vini: così accade per il Sam-michele, pregiato vino dell’alta terra di lavoro, la Ciociaria, labo-ratorio secolare di vigneti internazionali come il Cabernet Franc, Merlot e Sirah e, soprattutto, produttore di vini di ottima fattura. Con l’arrivo del Sammichele si è però giunti alla migliore soluzione del blend dei tre vitigni. Giuseppe Lucci, patron della casa vitivini-cola omonima, ha riportato da poco in auge una zona piena di sto-ria che ha regalato, già fin dai primi del Novecento, ottimi prodotti, attraverso il reimpianto di vitigni autoctoni. L’azienda appare sul mercato nel 1990 ricevendo apprezzamenti fin da subito e trovan-do nel Sammichele uno dei suoi prodotti di punta: vinificato con le stesse uve derivate per selezione centenaria degli antichi cloni francesi e prodotto nella fascia collinare della provincia di Frosino-ne nel comune di Sant’Elia Fiumerapido (parte dell’area dell’Atina DOC), il Sammichele è un vino di colore rosso rubino concentrato e fondo, con un profumo intenso e penetrante. Caratterizzato da evidenti note vegetali come peperone verde e erba appena taglia-ta, piacevolmente accompagnate da sentori di liquirizia amara e pepe nero senza cedimenti al gusto, è un vino di ottimo estratto ed equilibrato, che ha raggiunto livelli di eccellenza nel 2008. Diversi i riconoscimenti: tra questi, da segnalare, l’”Etichetta per l’ottimo rapporto tra qualità e prezzo” ottenuto al Salone Internazionale del Gusto di Torino nel 2007 e l’inserimento nella “Guida al vino quotidiano” Slow Food Editore. Nonostante il prezzo accessibile, il Sammichele si fa valere tra vini più preziosi accompagnandosi a primi piatti molto raffinati che completano la sua complessa gam-ma di profumi: la persistenza nel gusto lo rende idoneo a carni rosse e formaggi stagionati. Da servire intorno ai 16 gradi stappato un quarto d’ora prima di servirlo.

L’IMMANENTEE IL TRASCENDENTE

Di antica memoria, la giovinezza di Vincenzo B. Conti

Viviana Sassen, Kine, 2011COURTESY STEVENSON AND PHOTOMONTH

Jaromir Vejvoda - Rosamunda♬

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BOOKANEAR

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Agata Matteucci, Delle pene, inedito, 2012

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Art Basel - Messeplatz Pad, 1/2 (Basilea, CH); 041 58 2002020 www.artbasel.com.

Atelier Sul Mare - via Cesare Battisti 4 (Castel di Tusa, Messina); 0921334295 - www.ateliersulmare.it

Biblioteca Civica “Paolo e Paola Maria Arcari” - piazza Pievani, 1 (Tirano, Sondrio); 0342 702572 - www.futurismotirano.it

Brand New Gallery - Via Carlo Farini, 32 (Milano); 02 89053083 - www.brandnew-gallery.com

CCC Strozzina – Piazza Degli Strozzi 1 (Firenze); 0552776461. www.strozzina.org

Fondazione Magnani Rocca - Via Fondazione Magnani-Rocca, 4 (Traversetolo, Parma); 0521 848327 - www.magnanirocca.it

Galerie Mario Mazzoli - Potsdamer Straße, 132 (Berlin, D); (0)30 75459560 - www.galeriemazzoli.com

Galleria OltreDimore - Piazza San Giovanni in Monte, 7 (Bologna); 051 6449537 - www.oltredimore.it

Guido Costa Project - via Giuseppe Mazzini, 24 (Torino); 011 8154113 - www.guidocostaprojects.com

HÔTEL DES ETATS - Piazza Emilio Chanoux (Aosta); 0165300552 - www.regione.vda.it

Il Chiostro Arte Contemporanea - Viale Santuario, 11 (Saronno, Varese); 02 9622717 - www.ilchiostroarte.it

La Biennale, Settore Architettura - Ca’ Giustinian, San Marco 1364/A (Venezia); 041 5218711 - www.labiennale.org/it/architettura

La Biennale, Settore Danza Musica Teatro - Ca’ Giustinian, San Marco 1364/A (Venezia); 041 5218898 - www.labiennale.org/it/danza

Magazzini Criminali - Piazzale Domenico Gazzadi 4 (Sassuolo, Modena), 3924811485

Magnifico Teatrino Errante, Sede Laboratorio - Centro Zonarelli via Sacco, 14 (Bologna) - magnificoteatrino.wordpress.com

Marian Goodman Gallery - 24 W 57th St # 4 (New York, US); (212) 977-7160 - www.mariangoodman.com

MLB Home Gallery - Corso Ercole I d’Este, 3 (Ferrara) www.marialiviabrunelli.com

Palazzo della Ragione - Piazza delle Erbe (Padova); 049 820 5006 - www.padovanet.it

Palazzo Foppoli - Piazzetta Quadrio (Tirano, Sondrio); 0342 701256 - www.comune.tirano.so.it

PAV - Via Giordano Bruno 31 (Torino); 011 3182235. www.parcoartevivente.it

Studio La Città Verona - Lungadige Antonio Galtarossa, 21 (Verona); 045 597549 - www.studiolacitta.it

Tate Modern - Bankside, SE1 9TG (Londra, UK); (0)20 7887 8888; www.tate.org.uk

Teatro Fondamenta Nuove - Sestiere Cannaregio, 5013 (Venezia); 041 522 4498 - www.teatrofondamentanuove.it

Tre Oci – Fondazione di Venezia, Dorsoduro 3488/U (Venezia); 041 2201211 - www.fondazionedivenezia.org

Si ringraziano inoltre gli uffici stampa delle gallerie che con la loro disponibilità hanno sostenuto la nostra ricerca.

CREDITS

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Aleksandr Michajlovic Rodcenko, Schody, 1930COURTESY MUZEUM MOSKIEWSKI DOM FOTOGRAFII

Noi entriamo in un mare che non ha sponde, in un mare di ribalderie,ove l’ingiustizia e la soverchieria veleggiano col vento in poppa

e la sola innocenza è in burrasca, da tutti abbandonata,fuorché dal Cielo che la vuole afflitta, ma non sommersa.

Vincenzo Monti,Lettera a nome di Francesco Piranesi al generale D. Giovanni Acton,

in Prose varie, Tomo V, Giovanni Resnati e G. Bernardoni,Milano 1841, p. 38