Upload
trinhminh
View
214
Download
0
Embed Size (px)
Citation preview
PROF. DOTT. BEN^ATO MENINGIO
IL PROBLEMA
DELIA
NAPOLI STABILDIENTO TIPOGHAFICO DT MICHELE GAMBELLA
Via Bellini, 27-28 e M. Spadaro, 7-9
1911
PROF. DOTT. BENNATO MENINGIO
IL PROBLEMA
DELLft
DNflZffi 9E Ml
NAPOLI STABILIMENTO TIPOGRAFICO DT MICHELE GAMBELLA
Via Bellini, 27-28 e M. Spadaro, 7-9
1911
1NDIGE
INTRODUZIONE
CAP. I. — Stato presente della questione — 1.) II contingen- tismo assoluto dei fenomenisti e critica di esso. . , Pag* 7
2.) II determinismo relativo degl' idealisti e corrispondente critica . . . . . . . . . . » 15
CAP. II. — Cause per le quali si continua tuttora da molti a credere nella liberty assoluta del volere. . . . » 22
PARTE PRIMA
La determinazione del volere studiata dal lato psicologico.
CAP. I. — 1) Coesistenza di tutte e tre gli elementi fondamen- tali della vita psichica in qualunque pericdo di essa. . Pag. 25
2.) Negazione di tale coesistenza da parte di quelli che cre- dono die il volere preesista al conoscere e al sen tire e sua coniutazione. .......... 29
3.) Rapporto di dipendenza reciproca ... . . . » 34
CAP. II. — 1.) Quesito circa Pammissibilitd del rapporto di causa ed effetto tra le forme del conoscere e del sentire e quelle del volere e risposta affermativa di tutti i psicologi circa i primi due stadii della vita psichica . . . , , » 37
— 4 —■
2.) Eiconoscimento di tale rapporto anche nel terzo periodo o stadio della vita psichica, e sua prima prova, tratta dalla massima analogia tra lo svolgersi dei processl volitivi sensitivi e rappresentativi e quello dei processi volitivi ideali . . . . . , Pag. 4i
CAP. III. — Seconda prova del rapporto di causa tra le forme del conoscere e del sentire e quelle del volere? tratta dallo studio dei dati assolutamente necessari per ogni volizione. » 43
CAP. IV. — 1.) Caratteri del nuovo stato ideale-affettivo per- che il soggetto vi aderisca. . ... . . . » 49
2.) Errore dei Rosminiani circa il soggettivismo e Tobbiet- tivismo etico , » 50
CAP. V. — 1.) I cinque tipi di decisione del James . . » 53 2.) Inammissibilitd dell'ultimo e spiegazione dell' apparente
sforzo assoluto dell' io » 54 3.) II quinto tipo di decisione del James e gli argomenti della
scuola rosminiana a suo favore ; critica di questi . . » 59 4.) Perche alcune..volizioni sono accompagnate da uno sforzo
speciale che il James erroneamente interpreta per iniziativa assoluta dell' io. . . . , . . . , » 67
5.) Errore del James nell'ammettere per il volere la possibility di seguire la linea della maggiore resistenza , , . » 73
6.) Argomenti morali del James a favore di detta possibilitd e confutazione di essi ...... # . » 75
PARTE SECONDA
La determinazione del volere studiata in rapporto alia testiinomalizCt, della coscienza.
CAP. I. — 1.) Errore degl' indeterministi e di alciini deterlni- nisti circa la testimonianza della cosciefrza in pro della li* bertk del volere , Pag, 85
2*) La testimonianza di coscienza a riguardo della libertd noft
— 5 -
e un' illusione, ma essa, come ci attesta la liberty del volere,
cosi ci attesta anche la motivazione di esso. Essa non at¬
testa ne la liberty assoluta, ne la necessity del volere, ma
la spontaneity di esso . . . . . . Pag. 88
CAP. II. —: Pagioni per le quali dalla semplice spontaneity del
volere attestata dalla coscienza si e passato all' idea della
liberty assoluta del volere e alia credenza in essa . . » 91
PARTE TERZA
La determinazione del volere studiata dal lato etico.
CAP. I. — II determinismo e V idea del clovere. — 1.) II
dovere per il determinista s? impone alia coscienza, non per
coattata, ne per libera, ma per spontanea accettazione . Pag. 98
2.) II dovere come legge assoluta, universale, al pari di ogni
legge al mondo non e capace di trasgressione, di violazio-
ne. La legge assoluta del dovere non e in contrasto con
gl'interessi particolari dell'uomo. . . . » 99
CAP. IL — 11 determinismo e V idea del bene morale.—1.) De¬
terminismo non e sinonimo di monismo . , . » 130
2.) Come e possibile col determinismo la scienza cosi e pos- sibile anche la morale , ? . , # » 107
CAP. III. — II determinismo e le idee di merito e demerito
e di premio e di pcna, ossia delle sanzioni. — 1.) II de¬
terminismo e Videa di merito e demerito. — Ogni merito
6 obbiettivo, reale, attuale, dal piu basso al piii elevato, e
questo non viene negato dab determinismo, ne suppone la
libertA assoluta del volere. » 112
2.) II determintsmo e V idea delle sanzioni :
A) Il determinismo e le sanzioni interne.—a) Sanzioni inter¬
ne, loro ragione, e perche susseguono ad ogni azione . » 114
— 6 -
b) Le condizioni richieste perche si abbia una sanzione in¬
terna non implicano affatto la liberty assoluta del volere. Pag. 117
c) II determinismo non si oppone alia sodisfazione e al
rimorso di coscienza, perche esso non e sinonimo d'indifife-
rentismo ........... 119
B) II determinismo e le sanzioni esterne. — Le sanzioni
esterne della pena non suppongono la liberty assoluta del
volere. — a) perche il carattere di esse non e espiatori o,
• ma emendatorio. ....... . » 121
b) perche la society esercita solo il ministero punitivo non
quello pure premiativo ...... . » 123
¥»
Introduzione
Stato presente della questione.
Fallito il tentativo della metafisica tedesca di salvare il prin-
cipio di. causalita ed il concetto assoluto della liberta nella di-
stinzione del fenomeno dal noumeno, nell'ammetterli, cioe in due mondi diversi, non rimaneva alia filosofia altra via , per salvare
la liberta , che quella o di ritornare a negare 1' assoluto valore del principio di causalita, o di ritentare di conciliare liberta e
causalita nello steaso mondo dei fenomeni. E questa via appunto
si e tenuta alia fine di quest'ultimo secolo, e questa via si batte ai giorni nostri.
Si e infatti, da una parte, negato di nuovo Passolutezza del
principio di causalita, e dietro le critiche di Davide Hume e
Stuart Mille si e avuto il contingentismo assoluto, che non e che
la dottrina del dinamen di Epicuro presentata sotto altre forme.
Dairaltra, si e ritornato a dire che il principio di causalita vale per il mondo fisico, meccanico, non per quello morale ; e , seguendo le orme di Aristotile, dei Neoplatonici, e dei Tomisti, si e am-
messo di nuovo il volere motivato senza essere pero necessitato, e si e avuto il contingentismo relativo. Parliamo ora brevissi-
mamente prima del contingentismo assoluto e poi del contingen¬ tismo relativo.
1) II contingentismo assoluto-nega al mondo ogni necessita, e
dovunque non riconosce che spontaneita, indetermmazione, contin-
_ 8 —
genza ; e fa apparire la liberta del volere come un caso speciale di tale contingenza che regna in tutte le produzioni della ftatura, distinguendola da ogni altra contingenza solo nell'essere essa una indetermmazione, una spontaneita, uua contingenza voluta.
Una tale dottrina a avuto, come attesta il Cal6? la sua piu
rigorosa espressione logica nel Renouvier. Questi, avvalendosi della critica mossa da Davide Hume al principio di causalita e quindi
alia scienza, cerca trarne ogni vantaggio per riaifermare col neo-
critismo kantiano, la supremazia della ragione pratica sulla ra- gione teorica.
Noi, egli dice, dall'esperienza apprendiamo che la succes-
sione dei fenomeni presenta una certa regolarita ed uniformita;
ogni fenomeno si presenta all'osservazione umana seguito sempre da un altro fenomeno , e dietro una tale ripetuta osservazione noi poniamo fra i due fenomeni osservati il rapporto di cau¬
salita, e conchiudiamo che il primo a determinato il secondo.
E alle volte dietro un fenomeno noi ce ne aspettiamo un altro, che continui la serie del passato nel future, come una linea, che
termina in un punto, appare prolungata al di la di quel punto
indefinitivamente ; e questo fenomeno futuro, che nessuna legge
determina e che nulla a di determinato, ne qualitativamente, ne quantitativamente, contiene, o, meglio, ammette tante differenti e particolari determinazioni, tante possibilita che si ecludono a vi-
cenda come concetto, ma coesistono, in potenza , nel fenomeno
precedente, e delle quali quella che in effetti si produce e detta attuale. La sintesi della potenza e delPatto costituisce quella forza,
che e la potenza in azione, e che, considerata nel primo termine?
facendo astrazione dal secondo, ci da il potere , considerata nel secondo, con astrazione del primo, ci da il fare. Ora , invece di
considerare, ciuscuno dei due termini, facendo astrazione dall'al-
tro, consideriamo il primo in relazione col secondo, ed il secondo
in relazione col primo, abbiamo appunto le nozioni di causa ed
effetto, che, applicate ai due fenomeni successivi, danno luogo al principio di causalita. Sicche il principio di causalita non e pre - supposto dal divenire , ma e il divenire die e presupposto dal
■ — 9 —
principio di causalita. Quindi se il principio di causalita non e
applicabile, che a due termini fenorrenici, i due dati della po¬ tenza in azione, o, come si dice, delFatto della potenza, ne segue
che applicare il principio di causalita ad un cominciamento asso¬
luto; per negarne la possibilita e ridurre necessariamente la de¬ terminazione degii efietti per le cause al processo all'infinito, vale invertire il rapporto logico tra il fatto del diveniie ed il principio
di causalita, quando invece J a causalita presuppone il fatto del di¬
venire, che nessuna ragione puo spiegare perche non v'e n^essuna
causa per cui le cose si cangino e mutino,
Lo stesso divenire , seguita piu o meno a dire il i&enouvier, implica i cangiamenti assoluti, il succedere di fenomeni V uno
all'altro irriducibili. Necessariamente, se non si vuol cadere nel-
I'assurdita del processo infirito , e non ammettere la contra-
dittorieta in termini di un infinito attuale, cioe di un numero innu-
merabile, bisognera riconoscere un primo cominciamento assoluto;
ed ammesso questo non si vede perche non si possano ammet¬
tere altri simili nell'mcessante corso del divenire.
Secojido il Renouvier adunque, essendo sempre possibile un
cominciamento assoluto nei cangiamenti del divenire, non avremo
piu ragione di trovare inammissibile eel inesplicabile il libero de- terminarsi del volere.
Ma contro questo argomentazioni del Renouvier notiamo in- nanzi tutto, die, se e vero die il principio di causalita suppone il divenire, i cangiamenti, e vero pure die esso non tende a clar
ragione del divenire dei cangiamenti considerati in se stessi, per
i quali la sua applicazione sarebbe certo un circolo vizioso , ma
riguarda i cangiamenti in rapporto tra loro. II principio causale
non assicura nessun contenuto empirico, esso e un principio for¬ ma] e non sostanziale, esso non ci dice perche si avvera questa
o quella serie •di fenomeni, ma perche questo o quel fenomeno appartiene a ques'a o a quella serie.
Si dice die noi non cogliamo nei fenomeni die la successione,
e poi arbitrariamente tra il fenomeno die precede e quello che sus-
segue applichiamo il rapporto di causa ed effetto, e tra due fatti
— 10 —
che semplicemente si succedono stabiliamo un rapporto di neces-; Rita, Affaito arbitraria, rispondiamo, e Papplicazione del rapporto causale ai fenomeni, perche non a luogo in ogni specie di suc¬ cessione di fenomeni, ma solo in quelle successioni, che , come riconoscono gli stetsi contingentisti, si ripetono costantemente. Infatti molti fenomeni si succedono Funo aU'altro, e fra essi non riconosciamo alcun rapporto causale ; cosi cade la pioggia e dopo
di questa "la grandine, e tra la pioggia e la gran dine non dicia-- ino di esservi rapporto causale; si apre una voragine, una boa a,
vulcanica e fuori viene eruttata una lava di fuoco, e non diciano
che quella bocca vulcanica e causa deir eruzione ; si sente uno. scirocco soffocante in un dato luogo e la popolazione di esso-in-
comincia a trepidare; dopo qualche tempo avviene un forte ter- remoto, eppure tra il soffocante scirocco ed il terremoto la scienza non vi stabilisce il rapporto di causa. No, ripeto, V applicazione
di tal principio non e affatta arbitraria ; e condizione sine qua
non perche due fenomeni si succedano ., ma questa condi¬ zione jion e siifficiente. Se ne richiedono altre, die qui noi, per
non numerarle, riassumiamo nel" dire , che due fenomeni perche si trovino in rapporto causale tra loro e necessario die si suc¬
cedano in mi moclo costante ed uniforme, e questo lo riconoscono
gli stessi contingentisti. - Circa I'asserzione del Renouvier, die, non ammettendo un
cominciamento assoluto , si e costretti ad ammettere , spiegando
tutto per le cause precedenti, un numero infinito di antecedenti
causali, e quindi una vera contradizione di termini, perche 1'infinito per essere innumerabile non puo' essere numero, ed un numero
non puo essere mai infinito, valga la seguente risposta del Masci:
« E' vero die Finfinito non si puo'' rappresentare come una sin¬ tesi attuale perche ogni sintesi e il riassunto finito di una ana- lisi finita, ma cio accade perche tanto Fanalisi, quanto la sintesi
quant it ativa bono artificiali. 11 numero e una discontinuity arti-
ficiale introdotta nel continuo, e come un disegno alia superficie
delle cose,-come le figure, che il gecmetra sc-gna sulla lavagna,
ma die non dividono percio la lavagna realmente, II numero e
— 11 —
una rappresentazione che consiste nelFaddizione successiva di u-
nita arbitrarie omogenee, e F unit a artificialc della sintesi operata -tra le diverse parti di un' intuizione omogenea. Ma da cio, che noi
possiamo sempre ntimerare e misurare, non d.eriva ch 3 la realta in se non sia se non quello die 6 misurabile e numerabile , ne
che essa non si possa pensare cosi. L' innumerabile puo sempre
daf materia alia numerazione e pensare non e soltanto numerare :
quindi da questo che Finfinito e innumerabile, se si- puo dedurre
che non e rappresentabile, non si puo pero conchiudere die sia anche impensabile : cioe assurdo .......
La contradclizione delFinfinito e del numero dipende da que¬ sto, che si prende il numero ocl il discrete come reale, e con es^o
si pretende cli costruire il continuo , mentre il contrario e vero.
Cio che e reale e il continuo infinito, die non ha bisogno percio di essere costruito : il discreto e qualche cosa di astratto, di ar-
bitrario, che non esiste mai come discreto , ma e sempre un li¬
mit e al di dentro del continuo e non puo essere mai un limite del continuo » (1).
Caduta dunque la pretesa contradizione del Renouvier, su cui egli basa, se non altre, Fammissibilita di un cominciamento
assoluto, cade anche il poter ammettere le volizioni umane come tanti cominciamenti assoluti.
Secondo il Renouvier, 1 Hazard e tutti gli altri contingentisti
bisogna ammetter^ come accanto alia necessita logica la possibilita
logica, cosi accanto alia necessita causale la possibilita causale, e come vi sono i futuri necessarii, cosi vi siano i futuri possi-
bili, che possono essere contenuti. in un fenomeno attuale senza con¬
tradizione, giacche il principio di contradizione, coma dimo-
strarono Aristotile ed Epicuro, non vale per il futuro, per il pos¬ sibile, ma per il futuro divenuto presente, e die col semplice attuarsi gi^ esclude tutti gli altri possibili. Ed esempi di quasti
(1) Coscienza, Volonta Liberty — Masci — p. 269-270,
— 12 — _ " -'
futuri ambigui sarebbero appunto le deliberazioni volontarie in cui crediamo poterci determinare per fini contrarii.
Ed in favore dell'esistenza dei puri possibili ob'ettivi, il Re-' nouvier trae una prova dal calcolo della probabilita E piu o meno dice : il probabile non e riducibile ne al puro necessario, ne al puro possibile ; non al primo perche noi distinguiamo il piu o meno probabile , ed il necessario non ammette grada-
zione ; non al secondo perche il probabile e da noi piii o meno
prevedibile ed aspettato, ed invece il puro possibile e sotto nes- sun aspetto prevedibile ed aspettabile, e, come non si puo ridurre
ne alFuno, ne alFaltro, cosi non si puo negare ne dal punto 'di vista delFassoluta necessita, ne da quello delFassoluta possibilita,
essendo una sintesi delFuna e delFaltra. E a torto il Laplace di- ceva die il calcolo della probabilita si fonda semplicemente sul-
Fignoranza di tutte le cause vere die determinano un dato fatto,
giacche, se dipendesse dal fatto che noi ignoriamo le cause spe- cifiche di un dato fenomeno, allora potremmo ritener probabile cio
che forse sara impossibile e impossibile cio che sara assoluta¬
mente necessitato. Come pure errava lo Stuart Mill quando asse-
riva die il calcolo della probabilita si basa sull'esperienza, perche
noi dichiariamo piu o meno probabile anche un futuro prescin- dendo da ogni esperienza. Cosi ad es. quando io scagiio in aria una moneta, ritengo sicurissimo, anche senza averlo mai speri- mentato, essere ugualmente probabile che essa ricada per il di- ritto o per il rovescio, ossia die ciascuno dei due casi ha la pro¬ babilita di 1[2. E poi, attenendoci all'esperienza, perche avviene che
due fenomeni si ripetono in un rapporto che tende alFeguagliaza? Significa che quei fenomeni di9 non sono certi e necessarii, ma che si ripetono con un rapporto , che tende sempre piu costante¬ mente verso Fuguaglianza, sono delle vere possibilita. Se ciascuno dei due fatti, che hanno la stessa probabilita di prodursi in un
dato momento, fosse determinato perfettamente, non si comprende- rebbe Fapprossimazione costante dei numeri della scambievole loro, attuazione verso un dato rapporto. Si dirk che in natura vi e un ritnao che garentisce Fattuazione di entrambi ed allora si dovrebbe .
- 13 —
dire se questo ritmo e determinato o no , e, se e determinato,
perche non si rivela in tutti i fenomeni,' e, d'altra parte, perche esso non si avvera qualunque sia il numero dei casi osservati,
ed invece spesso solo attraverso dei grandi numeri ? Al contrario
colFammettere dei possibili obiettivi riesce chiaro die i due fe¬ nomeni clebbono ugualmente verificarsi perche sono ambedue due
forze che con eguale diritto all'esistenza tendono ad attuarsi. —
II calcolo quindi della probabilita ed il teorema di grandi numeri si basano sulFindipendenza di un fatto da qualsiasi causa deter-
minante e sulla spontaneita della sua attuazione, ed applicati agii
atti volontarii delFuomo, non sottoposti a motivo costante, ci da
appunto le singole volizioni affatto predeterminate. (1) Senza voler ripetere tutta la critica fatta ad essa dal Foulliee
ci limitiamo a dire contro tale argomentazione col Masci che
« Fanalisi. nei casi nei quali e possibile, mostra che in tutti i fe¬
nomeni, nei quali si avvera Feguaglianza dei risultati, ci sono appunto le cause produttrici dell'eguaglianza. »
II Renouvier crede di poter vedere nella probabilita un
sinonimo della liberta, perche , come ha detto , non la trova riducibile ne alia necessita, ne alia pura possibilita, ma non
vede die una tale riduzione non e possibile, non gia per le ra-
gioni da lui addotte, ma per tutt'altre. E' verissimo che la ne¬
cessita non ammette graclazioni e la probabilita si, come pure che Faffermata pura possibilita di un fatto non ce lo fa attendere,
mentre Faffermata probabilita di esso fa si che noi ce lo aspet¬
tiamo; ma e egualmente vero, che Faffermare la necessita di un
fatto e declurla dalle serie causali dei suoi antecedenti reali, donde
la necessaria e certa aspettazione di esso, e che Faffermare la
mera possibilita di un fenomeno e riconoscere semplicemente che esso non contraddice alle conoscenze che noi gia abbiamo dei
supposti suoi precedenti ipotetici, non attuali, donde la non do-
vuta aspettazione di e^so , perche si tratta di fatti,in rapporto
causale tra loro, pensati, ma non attuati : che infine Passe-
(1) Cfr. Calo — II problema della Liberta.
— 14 —
rire la probabilita di un dato effetto, e riportarlo non a ^emplici antecedenti supposti ma ad antecedenti attuali, reali da una parte, e dalFaltm ad antecedenti non perfettamente saputi e determinati,
ma conosciuti e determinati solo molto approssimativamenle. Non e vero die erra il Laplace quando dice die il calcolo della pro¬
babilita si fonda sulFignoranza di tutte le cause vere che deter¬ minano un dato fatto. E se da tale principio ne segue die, come dice il Renouvier, noi potremo ritener probabile c:6 che forse sara
impossibile, ed impossibile do die sara necessariamente necessitato, una tale conseguenza non e affatto un assurdo, perche non si
tratta di ritenere come probabile e quindi come possibile cio che e logicamente impossibile, ma cli ritenere come realmente possi¬ bile cio die e gia ritenuto logicamente possibile, ma die poi, per
nuove cognizioni sara riconoseiuto realmente e logicamente im¬
possibile ; non e un assurdo, ripeto, ma semplicemente un errore
di giudizio della nostra mente, che s'e avverato nei tempi passati e die si avvera tuttora nel giudicare i fatti che, per distanza di
tempo o di luogo non ci sono pre^enti. Cosi si credeva, per non
riportarci a tempi molto remoti, die probabilmente colla caduta
ultima di Napoleone e col congresso di Tienna del 1813 sareb¬ bero finite di prevalere le forme democratiche nei governi , ep¬
pure ora si riconosce die per necessita di svolgimento storico sociale, sorta la rivoluzione francese e diffuse e divulgate le idee da essa propugnate, colla concreta e moderata loro applicazione, dovevano in fine prevalere le m ove forme demociatidie ed i go¬
verni costituzionali erano inevitabili. l?ino a distoforo Colombo
chi mai riteneva possibile che la terra fossa abitata dall'uomo agli antipodi del vecchio continente ? Eppure era, come poi e stato riconoseiuto, un fatto necessariamente determinato dalla legge di
gravita. Con molta ragione adunque possiamo conchiudere col Calo
che, mentre il Renouvier crede die F indeterminisino trovi un grande fondamento nel probabilismo , invece in questo esso vi
trova Fintera demolizione , perche il probabilismo stesso e una
forma, un effetto, un'applicazione del determinismo,
— 15 —
Rinnyiendo salclo il principio di causalita contro gli aftacchi
dei contingentisti che vorrebbero negarne il valore in ogni specie
di fenomeni,* pare die sia piu ragionevole il tentativo di coloro
che ne limitano soltanto Fimportanza e F applicazione, e dicono die detto principio vale per il mondo fisico, meccanico, non per
quello morale, per il mondo della natura, non per quello del vo¬
lere. Ebbene vediamo se piu dei contingentisti assoluti anno
ragione i contingentisti relativi.
2.) — II principio su cui si fondano i contingentisti relativi
per ammettere la suddetta distinzione per la quale si riconosce
nel mondo fisico il principio di causalita e nel mondo morale quello di liberta, e die il principio di causalita e relazione tra
fenomeni antecedenti e fenomeni conseguenti, ma nelle determina-
zibni del volere o meglio nei processi volitivi non si puo far distinziwni tra fenomeni antecedenti e fenomeni conseguenti, fra cui si possa riconoscere il detto rapporto.
Ocni volizione, essi piii o meno die mo , e un' affermazione
delF io circa questo o quello obietto, e Faffermarsi clell'io non e
un effetto da riportarsi al soggetto come ad una causa, non e nn
conseguente da riportarsi ad esso come ad un antecedente, ma e una proprieta. una funzione, un'attivita, un atteggiamento
.speciale dello stesso soggetto. Tutte le nostre azioni, tutte le
nostre oprro non mai le abbiamo ritenute o chiamate nostre con-
seguenze, nostri effetti, e tanto meno i supposti di esse, cioe le
nostre decisiom deliberate o volizioni die costituiscono, per cosi dire, la piu intima, la piu fondamentale , la libera sua attivita.
II nesso tra causa ed effetto involge necessariamente due termini distinti, ma riconoscere nelle delerminazioni della volonta due termini distinti: il soggetto coi suoi stati mentali da una parte,
ed il soggetto colic sue volizioni dall'altra, e fare prima una di¬
stinzione. una duplicita di termini artifieiale , e poi credere di
poter legittimamente applicare ad essa il principio di causalita,
e prima sdoppiare, rifrangere artificialmente Funita del volere, e
— 16 —
poi inserire tra i suoi termini, per pura astrazione avuti, il nesso di causa ed effetto.
Si dira die gli antecedenti sono i motivi, le idee prevalent!, gli stati intellettuali dell' io . e i conseguenti, le singole-decisioni, i singoli atti volitivi. Ebbene se possiamo parlare cli motivi e di de¬ cision!, non possiamo parlare pero di antecedenti e conseguenti
perche sarebbe porre tra i motivi stati delFio e le volizioni delfio una discontinuita die realmente non esiste; la volizione ed il motivo
formano un unico stato di coscienza: e. se non pcssiamo parlare di
rapporto causale tra Fio e le volizioni delF io, neppure possiamo
aminetterlo tra i motivi e le volizioni. Perche se i motivi s' in- tenclono come facendo un tutto inscindibile colFio, ritorniamo al
caso di non trovare come antecedente delle volizioni die Fio che vuole, la sostanza dell'attributo, il soggetto di tali proprieta, ccso per il quale non vale il rapporto causale.
Se poi si credono i motivi come distinti dall'io, allora. col differenziare F io motivo clalF 10 volere e separare fittiziamente quei fattori,clie non sono die segmenti o frazioni delFio volente^alla
loro scaturigine vitale, e illegittimamente contrapporli a questa
come qualche cosa di distinto ocl autonomo: e prima individuare
nel tutto i singoli dementi, le singole parti per cosi dire, e poi
elevare queste parti, questi dementi a generator! del. tutto. 11
considerare i motivi separatamente clalF io e considerare degli
stati mentali prima nelFunita indiscindibile del soggetto, clelFio, e poi fuori del soggetto, fuori delFio, per poterli elevare a causa determinant^^ delle volizioni dell' io.
Insomnia applicare il principio di causalita al volere e sna- turare i fenomeni dello spirito e riciurli a cangiamenti e fenomeni meccanici. e raffigurare Fattivita dello spirito alle forme del mo- vimento atomico e molecolare. c annullare Funita fondamentale eld mo e la connessione del molteplice degli stati psichici col
principio semplice della coscienza, e ridurre Fio, il soggetto a semplice spettalore chi processi meccanici (Idle rappresentazioni.
Per cui e da ritenere, condiiudono i fan tori del contingen¬ tismo relativo o spiriluale. che se il principio di causalita e la
— 17 —
legge delle determinazioni ^dei fenomeni fisici in cui si fa dist
zione tra fenomeni antecedenti e conseguenti non e quella delle'
determinazioni dei fenomeni volitivi in cui la suddetta distin-
zione e inammissibile, "perche come si e gia dimostrato, il rap¬
porto di causalita e relazione tra fenomeni e fenomeni, non tra
soggetto e fenomeni: ora affermare la causalita delle volizioni e
ammettere il rapporto causale non tra fenomeni e fenomeni, come
si dovrebbe, ma trad'io soggetto e le volizioni fenomeni. (1)
Ora vediamo se il principio invocato^ dai suddetti fautori
della liberta del volere va a proposito della nostra agitata que¬
stione.
Gia, secondo quest'ultimi contingentisti, le volizioni sono dei
fenomeni, fenomeni non fisici, non chimici, non biologici, ma psi¬
chici e non psichici affettivi ^.od intellettivi, ma di un'altra specie,
ma pur sempre fenomeni. Ora, o sono fenomeni continui le vo¬
lizioni, o fenomeni discontinui. Nel primo caso esse si clovranno
intendere, senza dubbio, come taiite proprieta del soggetto: tante
funzioni di esse, e certamente non potremo pensare alcun rap¬
porto tra il soggetto e^tali sue proprieta che ne costituiscono la
natura; tolti i fenomeni costanti, continui, noi non conosciamo del soggetto nulla, neppure la sua esistenza. Se poi le volizioni
sono intese come fenomen: discontinui, non costanti, ma perio-
dici, allora clovremo riconoscere in esse volizioni dei fatti acci-
dentali, e riferibili in qualche modo a qualche altra cosa , che
non sia consostanziale al soggetto, die non ne indichi F essenza,
che vada e venga, die in qualche modo almeno gli sia estraneo
ed eterogeneo. E si puo' parlare mai di volizioni come fatti co¬ stanti, continui del soggetto come sue proprieta essenziali e non
come atteggiamenti teraporanei di esso e clifformi e non identici
tra loro ? Possiamo mai confondere la funzione del volere, che
e* sempre quella di affermare"'' e negare insieme . con le singole
volizioni che includono Felemento variabile delFobietto affermato
(1) Cfr. Igino Petrone : «I limiti del determinismo. »
— 18 —
o neg to ? E' possibile mai una volizione che non sia un atteg¬ giamento del soggetto in qualche modo nuovo e diverse da quello finora cla lui serbato. che non sia un cangiamento di direzione delta stessa funzione, una modificazioue di tendenze, un aderire
ad un obietto a cui prima non aclerivano ? Ebbene questo cambiare
cFindirizzi, questo inclinare clell'attivita pratica ora in un senso ora
in un alrro, questo mutare di oggetti cli adesiono costituisce appunto un fenomeno non continuo ma scontinuo, non costante, ma pe- riodico. E tutto cio che non e continuo e costante nel soggetto non e neppure una proprieta , una funzione di esso , ma e un cangiamento, un accidente. rn effetto legato, si , a qualche cosa
di sostanziale, di soggettivo, ma die priucipalmente si rifeiisce
come effetto a qualche causa sopraggimita , a qualche cosa , se non assolutamente, relativamente eterogenea.
Bisogna dunque, giacche le volizioni non sono die cangia¬
menti cli direzione, accidentalita , effetti, bisogna ricercare 1'e cause cli questi cangiamenti, cli queste accidentalita, di questi ef¬
fetti. E dove le ricercheremo ? Tosto ci risponderanno die esse si trovano nei soggetti
stessi die vogliono liberamente ; V io, essi dicono, e solo causa del suo volere, esso lo produce, esso lo genera, esso lo crea. Ma
di quale causa vogliamo parlare , di quale effetto ? noi soggiun-
geremo. La causa puo essere efficiente e cletermininte secondo che
essa stessa attua un nuovo fatto, o fa si che si attui questo nuovo fatto mediante un'altra causa, un altro principio. Se si parla della prima, c certo die causa dei singoli atti volitivi e il soggetto
stesso, F io fondamentale, il me di cui ognuno a coscienza. Ma parlare di causa efficiente e dei suoi prodotti e lo stesso die dire
la natura di un essere: dire che il sole emana la luce, o che la luce e irradiata dal sole, e affermare la natura del sole ; asserire die il fuoco accende e diehiarare Fattivita del fuoco; similmente affermare die Fio c la causa del volere, perche e Fio die vuole
aderendo a questo o quel tine, e discorrere di una proprieta so¬
stanziale del soggetto, e parlare della sua natura attiva, cosi
- 19 -
come quando dicendo che e Fio die sente e die conosce si parla della sua natura piu propriamente passiva. Ma cio die appar¬
tiene alia natura delFessere e costante, e permanente, non varia, non si cangia, e sempre identico a se stesso ) e sostanziale non
accideiitale; e continuo non temporaneo, non intermit(ente; e gli
atti volitivi non sono identici, ne per contenuto ne per direzione,
non sono continui, permanenti, ma transitorii, temporanei, discon¬
tinui; ora hanno luogo ora no, ora in un senso ora in un altro,
e quindi sono accidentali, non sostanziali. E per spiegare queste
accidentalita del volere, queste svariatissime e transitorie forme
di esso, questo sue molteplici e variabilissimo direzioni, non basta
Fattivita del soggetto che, nella sua natura fondamentale, essendo
sempre identico a se stesso, non puo dare die sempre cli se iden- tiche manifestazioni, bisogna die alia sua natura costante si so-
vrapponga qualche cosi d'incostante, di temporaneo, di mutabile, d'accidentale, sotto la cui efficacia ed azione il volere prenda
tutte quelle forme e direzioni special!, die continuamente si suc¬
cedono e spariscono, e necessario die al principio sostanziale ed identico dell'attivita psichica si accoppi un principio per esso
variabile, sotto la cui azione il primo prenda tutti i singoli e
svariati atteggiamenti accennati. E perche questo qualche cosa
di mutabile, d' incostante che si sovraggiunga alF io fondamen¬
tale non lo troviamo che nelF dee e nei sentimenti , che conti¬
nuamente variano succendendosi e intreccianclosi in modi diversi,
bisogna che alF io fondamentale si aggiunga F io storico, che e F insieme degli stati mentali eel effetti vi del soggetto. Questo
troviamo di accidentale e di mutabile nel soggetto, e questo appunto
da ragione delle accidentali e mufabili sue evoluzioni. Infatti non Vediamo noi die al cangiarsi delle idee e dei sentimenti si can-
giano anche i voleri umani e nelle stesse maniere e nelle stesse
direzioni e proporzioni ? II solo io fondamentale non basta a
produrre tutte le forme volitive ; come la sola macchina non
basta per regolare tutti i movimenti della nave senza la bussola
ed il timone, cosi oltre il F io fondamentale ci vuole anche F io
— 20 —
storico con le relative idee ed i corrisponclenti sentimenti die ng determini le svariatissime forme. Alia causa efficiente, che e Fio
fondamentale , vediamo accoppiare la causa determinante die e
Fio storico. vlessi ora in corrispondenza Fio storico di prima (Fin- sieme degli stati conoscitivi ed affettivi) colFio storico di poi (stati
volitivi), abbiamo subito i due termini successivi necessarii per
il rapporto" di causa ed effetto, essendo fenomeno Funo, fenomeno Faltro, contenuto variabile Funo, contenuto variabile Faltro, e non piu soggetto da una parte ed obietto dall'altra.
Ma si clira die, se non e vero che non si anno atti volitivi
senza i rispettivi motivi, o stati mentali (1) questi pero fanno
tale un tutto con F io, da non permettere di riconoscere in essi
alcuna autonomia per cui si possa concepire un' azione reale di essi su quell' io, che ne e la sorgente vitale da cui attingono
forza. Noi risponderemo die non c* e bisogno cli riconoscere nei motivi ideali affettivi una certa autonomia, basta averli come stati del soggetto preesistenti a quelli volitivi del medesimo per
potervi stabilire il rapporto di causa, sempre die si verifichino le
altre condizioni richieste per F applicazione di questo rapporto. Infatti la massima corrispondenza tra i diversi stati mentali
precedenti e le volizioni susseguenti e tale un fatto incontestabile,
come proveremo, die non si riesce in nessun modo a spiegarla
se non ammettendo vi il rapporto causale. Per spiegare si detta
corrispondenza una di queste due ipotesi bisogna fare: o ammet¬
tere che F io crei e stabilisca una tale corrispondenza tra le due
suddette serie, F una conoscitiva ed affettiva, cioe, e F altra. vo-
litiva contemporaneamente, prescindendo da ogni fatto precedente senza dar luogo ad un prima ed un poi, oppure ammettere che
tale corrispondenza sia attuata dalF io dopo F aver avuto luogo
lo stato conoscitivo ed affettivo del soggetto. Nel primo caso si
dovrebbe ammettere pure die gli stati mentali ed affettivi siano
(1) Ossia stati ideo-afiettivL
— 21 —
un mero prodotto delF io come appunto si vuol fare per le vo¬
lizioni. Ebbene i fatti sono in perfetta contradclizione colFipotesi;
perche se il pensare al pari che il sentire ed il volere come fun¬ zione, come proprieta, e inerente alF io ah initio1 non avviene lo
stesso del pensare in qu sto o in quel modo, al pari che del
sentire e del volere cosi e non diversamente in un dato momento.
Se all' io sono connaturali ed innate le funzioni psichiche
non cosi i contenuti variabili di queste. E, parlando degli stati mentali, non sappiamo noi forse die il pensiero umano prende
questo o quell' atteggiamento secondo i diversi ambienti, le di¬ verse traclizioni, "i diversi tempi, in mezzo a cui si vive, e die
quindi F io finisce gia, da una parte, per subire questo o quelFin- dirizzo e non gia per crearselo egli stesso? D'altra parte, Fio non
puo' affatto per arbitrio proprio trarre da certe premesse certe
conclusioni, ma cleve starsi all' esigenze logiche del pensiero, e
le premesse non sono poste liberamente clalF io, ma dipendono dalF idee concrete, die F io a della realta, secondo die la logica
e F esperienza gli suggeriscono. Quindi se la serie di stati men¬
tali non e puro prodotto delF io, ma e insieme soggettiva ed og-
gettiva, e la susseguente volizione e al essa pienamente conforme,
puo' mai questa corrisponienza die si riscontra ammettersi piu come cleterminata dall'io, anteriormente a tutte due le serie e non gic\ posteriormente alia prima ? E, se necessariamente Fio non
puo determinare la serie volitiva in corrispondenza a quella cono¬ scitiva - affettiva, se non dopo die questa si sia delineata dietro
F esigenze della logica e del sentimento, ne segue die esso de- •
termina le singole volizioni non assolutamente, ma tenenclo conto degli stati mentali precedenti. E, se tiene conto degli stati pre¬
cedenti nella determinazione del vilere,. si vede chiaramente che
esso viene determinato nelle volizioni da tali stati mentali. L'im-
pulso d' azione viene clalF io fondamentale, ma la direzione di
essa azione viene cleterminata dalF io storico; in quanto Fio fon¬
damentale necessariamente vede e sente, Fimpulso viene dall'io,
ma se non passa attraverso gli stati mentali non diverra forza
Viva e regolata di azione; e F io a tale esigenza naturale non vi
— 22 -
inunzia e mai puo' rinunziarvi. Se gli stati mentali e quelli vc- litivi sono stati dello stesso io e non sono fatti indiviclualmente e meccanicamente distinti nello spazio ma compenetrabili tra loro, sono pero realmente distinti nel tempo: il momento die F io
vede e sente non e lo stesso die quello in cui vuole in modo
corrispondente; se la distinzione non e spaziale, e certo temporale, e cio, die si distingue, die si sdoppia in due momenti, da luogo ad un
prima ed un poi, tra cui si stabilisce appunto il rapporto di causalita.
Dalle cose fin qui dette risulta die il principio di causalita vale per ogni specie di fenomeni cli qualsiasi natura, e fisici e
biologici e psichici e morali, die tale principio e applicabile e
nel . mondo della natura ed in quello dello spirito, e nel mondo meccanico e biologico ed in quello volitivo. Per cui non e da
ammettere ne F assoluto contingentismo del Renouvier ne quello
relativo dei nuovissimi Tomisti.
II.
Cause per le quali si continua tuttora da molti a credere
nella liberta assoluta del volere.
Stanclo cosi i fatti sorge spontanea la domanda: Se i tenta- tivi di riconciliare la liberta col principio di causa sonc falliti, come pure quelli di negare il valore assoluto della causa1 ita, per¬
che mai sopravvive aneora la questione della liberta del volere, e se ne fa un problema intrigatissimo, e non si accetta, almeno
ora, da tutti il determinismo anche nel mondo morale del volere ? Le ragioni perche si parla aneora di causalita e di liberta
insieme, di causalita nel mondo fisico e di liberta nel mondo mo¬
rale, sono due: La prima e che si parla aneora ai nostri tempi del volere
come un fatto, un principio, un ente tutto a se, distinto e sepa¬
rate dagli altri fatti psichici, e non gia come un risultato di un
processo progressivo di piu fattori che concorrono alia sua for-
— 23 —
mazione, al suo sviluppo, alle sue piu alte muiifestazioni. E seb-
bene a parole si dice die il volere, *al pari die il sentire e il
conoscere, non e un' entita a se; ne indipendente dalle altre fun¬
zioni psichiche, in effetti il volere e considerafo appunto come
una forza a se, senza farla coesistere e dipendere dal sentimento
e dalla conoscenza: anzi come un principio, se non sempre, spesso
perfettamente in antitesi col sentimenio e colla conoscenza. In¬
somnia si parla aneora di liberta cli volere perche si considera
la volonta umana aneora come un fatto psichico bello e compiuto
sin da principio, non capace di alterazione alcuna e dissociato da ogni aUro fatto psicliico, mentre, in effetti, esso va sempre di
pari passo colla conoscenza e col sentimento, e come questi ed
insieme con questi, or s' innalza ed or s' abbassa, ora e debole,
ora e forte, e non mai in antitesi cogli altri fattori psichici fonda- mentali.
E ditto questo perche cla Socrate agli ultimi contingentisti
si e studiato il volere solo in rapporto col sapere e non pure col
sentire, prima per non essersi ammesso il sentimento come fun¬
zione psichica originaria fino ai tempi del "Wolff, e poi per averlo trascurato in seguito.
La seeonda ragione, perche si parla tuttora della Fberta as¬ soluta del volere, e che si e studiata la natura di questo sotto
il. preeoncetto di una falsa interpretazione del mondo morale,
ossia colla decisione gia presa, cli clover salvare il principio di
liberta. 'erecluto inclispensabile fondamento delF etica, confondenclo il fatto col diritto, le forme alterate della morale con quelle genuine.
Ora noi queste due cose ci proponiamo di dimostrare:
1) che il precedente causale del volere non e il solo in- telletto ma insieme con esso anche il sentimento, e quindi in ogni
volizione si deve distinguere il termine causa nelF idea affettiva ed il tevmine effetto nella determinata volizione.
2) che il mondo morale e le suo sanzioni non presup-
pongono affatto come loro fondamento il principio di liberta.
PARTE I.
La determinazione del volere studiata dal lato psecologico
1) — La psicologia contemporanea, tra gli altri fatti non
meno interessanti, a assodato oramai come indiscutibile quello
importantissimo che le tre funzioni psichiche: la conoscenza, il
sentimento ed il volere, non solo sono originarie, ma coesistono sempre in qualunque momento della vita psichica, al pari della quale si manifestano prima sotto forme piu ruclimentali ed indi-
stinte e poi sotto quelle piu progredite, distinte ed elevate.
Infatti, risalendo ai primi ordini della vita individuale del-
F uomo, noi vediamo die il primo atto del neonato e una risul-
tante di un triplice fattore psicliico conoscitivo, affettivo, volitivo. Quel vagito die segna F entrata nel mondo di un nuovo mortale
non e forse un' affermazione di tutte e tre le umane attivita ?
Non troviamo in esso la manifestazione di un sentimento di do- lore provato nelF avvertire le impressioni del nuovo ambiente,
contro cui il pianto e F espressione della piu spontanea irriflessa reazione volitiva ?
La conoscenza non va forse dalla piu semplice setisazione
alia piii alta e complicata idea, ed il sentimento non va dal dolore fisico al dolore morale, e In volonta non muove dal piu semplice
ed inconsapevole impulso alia piu consapevok deliberazione ?
E, se consideriamo die la vita delF individuo non comincia "colla nascita, ma col periodo intrauterino, rileviamo die anche
allora F attivita psichica non puo ridursi ad un solo elemento
— 26 -
fondamentale ma semplicente ad un ordine di fatti psichici piii
imperfetti, piu rudimentali, piu indistinti, in corrispondenza agli elementi fisiologici piu semplici, piu rudimentali, meno differenziati.
Infatti anche nel periodo intrauterino abbiamo la manifesta- z'me della triplice attivita psichica.
Se prevalgono i movimenti che sembrano essere soprattutto Y espressione dell'energia accumulata da una esuberante nutrizione
non si puo senz' pltro negare che essi siano legati come fa notare FHoffding,[a delle sensazioni cinestesiche e a delle sensazio tii vitali,
cioe a delle sensazioni die corrispondono all' esercizio delle funzioni organiche, particolarmente della nutrizione, e che sono provocate
dalFeccitazione prodotte nell'encefalo dagli organi interni; come pu¬ re non si puo negare die a queste sensazioni siano lega i dei sentimenti
piii o meno fortidi piacere o di dolore, donde nasceun certo contrasto
tra il me e il non me, nelFopposizione che esiste tra la sensazione
vitale, la sensazione di mo vimento ed il sentimento di-piacere o di dolore die e legato immediatamente alio stato delF individuo, da una parte, e le sensazioni tattili corrispondenti all'eccitazioni esterne che agiscono sul tenero organismo, dall'altra. II massimo
che si puo dedurre ad an que non e negare la manifestazione di
questa o quella attidta psichica nell'esordio della vita individuale, ma semplicemente che la forma complessiva psichica dele tre
tunzioni e rudimentale. Per cui ora i psicologi molto ragionata- mente pongono a base della vita psichica non questa o quella sola
attivita, ma tutte e tre in una maniera quasi indistinta, in una forma primitiva e fondamentale, che essi chiamano riflesso psichico, in una forma involuta che poi, evolvendosi, lascia sempre piu
riconoscere i caratteri propri e la relativa indipendenza dei suoi vari elementi. « Lo sviluppo individuale, dice il Masci, precede
da uno stato psichico primitivo nel quale ogni stimolo e insieme
sensazione e sentimento, e lo stimolo e il rnovimento responsivo sono in istretta ed immediata continuita tra loro. Ogni sviluppo psi¬ chico comincia dili e precede per quel continuo separarsi relative.
_ 27 —
per quella gradazione di relativa indipendenza ed efsere per
se degli elementi psichici, in cui lo sviluppo psichico consiste » (1).
E che tale sia lo stato psichico primitivo delFindividuo nel pe¬
riodo intrauterino e provato dal fatto che, scendendo nella scala
degli esseri animati sino ai protisti di Haekel si rileva die, seb- bene manchi in questi ogni organo speciale di senso, pure il loro
stato psichico, per quanto di forma imperfetto, risulta dei tre ele¬
menti psichici fondamentali. Infatti a riguardo dei suddetti pro¬ tisti il Sergi dice : « Benche questi piccolissimi viventi non ab-
biano aneora tessuti distinti, ne sistema nervoso, ne muscolare ,
e, cosi via, neppure i ruclimenti di si-fatti tessuti, e siano solo
costituiti di una specie di protoplasma amorfo con o senza nu- cleo, pure in questi si osserva, senza alcun dubbio F inizio del
senso e del moto che avranno nei metazoi uno sviluppo conside-
revole. Le amebe die emettono i loro pseudopodi, che mutano di forma continuamente pel modo di comportarsi nelF estendere
i loro prolungamenti e nel ritrarli, anno senza dubbio, una sen-
sibilita di contatto a cui corrispondono con movimenti. II fatto
corrispondente alFeccitamento e molto evidente nelF'Actinosfaeritim,
i cui pseudopodi, al ricevere uno stimolo, s' increspano, poi si ri- tirano; nella Vorticella1 in cui, dietro uno stimolo, egualmente si
contrae il suo stelo; nella Diffugia, la quale emette dal suo guscio
i suoi pseudopodi quando e tranquilla, e li ritira ad ogni piccola
scossa ; nel Peranema, che agita ad ogni scossa; il suo flagello. » (2)
Ora questo modo semplicissimo di reagire, che scorgiamo in siffatti esseri, ci fa conoscere die anche essi sono capaci di pro-
vare ora un sentimento di dolore nel ritrarre i pseudopodi, ora
un sentimento di piacere nelFemetterli o nel non ritirarli. Per cui ab¬
biamo ragione di ammettere in ogni organismo animale il senti¬
mento piacevole e doloroso, non con quel caratteie specifico che
si manifesta in noi, s' intende, ma in quella forma gen^rale, in-
(1) Psic. pag. 19. (2) I/o igine dei fenomeni psichici, pag. 5D,
— 28 —
cosciente, die si riferisce alia funzione protettiva delFessere giu- sto il dire del Sergi : « Non aminettiamo dubbio che la forma primitiva, universale, coinune a tutti gli organismi animali, che sono all' alba della coscienza del fenomeno, sia il sentimento o
piacevole o doloroso, senza pero dare a queste parole un carat¬
tere specifico, come suole accadere nelle nostre esperienze quoti- diane , ma uno generate, die si riferisce all* utilita o al danno
del vivente. ». (1) Meno apparente delF elemento affettivo ed impulsivo sembra
essere quello rappresentativo nella vita dei suddetti esseri. Tut-
taviar sebbene involuto nella forma di sensazione non aneora dif-
ferenziata, esso sussiste in modo die basti a fare avvertire anche
agF infimi detti esseri il distacco tra F interno e Festerno del sog¬
getto. Se il carattere speciale di ogni sensazione e la modifica¬
zioue die avviene nel senziente,. non per questo vi manca in cia-
scuna di essi il carattere di esteriorita, sebbene indefinito « Nella
sensazione, dice il Sergi, vi e sempre il carattere primordiale del- F esteriorita. Donde ho erecluto di denominare la sensazione una
fase embrionale della percezione . i . . Un radiolare toccato con un ago in uno dei pseudopodi, lo contrae. II radiolare e un vivente senza tessuti distinti , non
ha organi propriamente detti, e omogeneo nella materia organica che lo costituisce, non puo' avere ne coscienza della modificazione subita al contatto dell'ago ne conseguentemente percezione di
essa. Ma in questa forma incosciente di reazione , gia si scorge
che la modificazione die da un sentimento negli animali piu ele-
Vati, porta sec'o il germe della percezione die si svolge in esseri
piu elevati e.piti differenziati nelle loro parti. » (2; Non fa meraviglia, poi, anche qualora non si comprenda chiaro
il modo di.esplicazione, che sin da principio si anno, quantun-
que in una forma generale, indistinta, tutti e tre gli elementi psi-
(1) Op. cit., pag. 51. (2) Op. cit, pag. 51.
— 29 —
chici, quando si consicleri che il processo dello sviluppo psichico
si svolge parallelamente a quello fisiologico. Noi vediamo die le funzioni piu importanti, che servono alia conservazicne e ripro-
duzione di un essere animato, mentre negli esseri superiori anno
ciascuna organi speciali, mediante i quali si esercitano, invece si
attuano senza strutture speciali anche nei viventi die non sono che brani di protoplasma amorfo o monomorfo. Cosi vediamo die
le monere, le amebe, i rizopodi, i radiolari die constano di un
sarcode unifoime, si nutrono ed espellono gli avanzi della nutri¬ zione , e si moltiplicano nel modo piii semplice senza alcun or¬
gano speciale. Si nutrono col prenlere parte tutto F organismo
al fenomeno della nutrizione, che consiste in un assorbimcnto im- mediato clelle sostanze ; e nel modo stesso die assorbono una so¬
stanza eleinentare, nella stessa maniera espellono i rifiuti della
nutrizione. Semplicissimo e il modo come si moltiplicano , che
consiste nel semplice cliviclersi della massa primitiva in due nuovi individui.
E, se noi vediamo die tutte le funzioni biologidie fondamen¬
tali e necessarie, per la conservazione di un essere animato, si
compiono sin negli esseri amorfi senza aVun organo speciale, e die,
quando F organismo si va clistinguendo e specificando nei suoi
elementi fisiologici, esse restano le stesse, e solamente si vanno
perfezionando e localizzanclo in date parti specializzate delForga-
nismo senza renclersi del tutto indipendenti , dobbiamo ritenere, per analogia, che anche le funzioni psichiche abbiano tutte la loro
esplicazione ai die nelle forme piu basse degli esseri viventi, seb¬
bene in un modo involuto, indistinto. E se manchera nelle prime
forme della vita psichica la coscienza , noi sappiamo die questa
non e un nuovo elemento, una nuova funzione, ma una nuova forma piu elevata della triplice attivita della psiehe.
2. — Ma qui si obiettera die gli esempi acldotti per dimo¬
strare la presenza attiva di tutti e tre gli elementi psichici fin
nelle forme rudimentali degli esteri viventi, non riguarclano che
sempre un essere in certo modo completo , che gia a una vita
a se7 che gia si trova a lottare con F ambiente che lo circoiida?
— SO-
rna che non ci parlano di un dato essere animato proprio allor- qnando incomincia ad affermarsi al mondo. Si sa benissimo che appena un essere incomincia a resistere all' impressioni esterne
delF ambiente ed a lottare per F esistenza, abbiamo gia tutti e tre gli dementi psichici, perche la sensazione ed il tono di pia¬
cere o dolore che Faccompagna costituiscono il primo grado della
conoscenza e del sentimento, accanto ai primi impulsi reattivi
delF essere che costituiscono il primo grado, le prime forme quasi meccaniche del volere ; ma cio non toglie la possibilita di attuarsi
i suddetti elementi psichici non contemporaneamente ma succes- sivamente, almeno negF inizii delF affermarsi delFessere. Chi puo
negare dicono gli obiettanti, che il volere e un'attivita, la quale,
per F energia die F e propria e che certo non le viene dal di
fuori, non a bisogno di nessun contatto e di nessun contrasto
coll' ambiente esterno per affermarsi, e che, per cio, vien detta
attivita per eccellcnza, mentre il sentimento e di carattere pro¬
priamente passivo, e per aver luogo suppone gia F azione di una
causa diversa da quella del soggetto, su cui agisca come stimolo sensitivo, quale condizione necessaria per destarne la funzione ? Come negare die vi corre, per quanto sfuggevole ad un calcolo, un intervallo di tempo tra F esistere del soggetto ed il prodursi
di un atto di sentimento ? Cosi pure, se si parla della funzione coiioscitiva4 che a per
sostrato la sensazione die suppone al pari del sentimento il con¬
tatto ed il contrasto o F armonia col m'mdo esterno , insomma uno stimolo che apporti nel soggetto una modificazione qualsiasi,
come negare die un soggetto qualunque, prima die per la prima
volta avverta una sensazione, gia sussista. col suo cieco impulso
gi& si muove ? Rispondiamo prima di tutto che noi non conosciamo nessun
essere animato die incominci nel senso che non ammetta alcun
precedente , die non sia una continuazione di un passato, una prolungazione di esseri preesistenti. Noi dovunque risaliamo nella
analisi regressiva, non troviamo mai un individuo primo di una intiera serie; un individuo senza predecessor! a noi non risulta
- 31 —
nelF esperienza, sia che si parli delF uomo , sia che si parli di
tutti gli altri esseri.
Nel continuo evolversi di ciascun individuo, noi vediamo che
le forme meno distinte sono susseguite da quelle piu distinte, e
quelle meno complesse da altre piu complesse, e che in senso
inverso a delle manifestazioni di vita piii complicata preesistono immediatamente altre di vita piu semplice in una continua re-
gressione, ma mai che questa o quella forma di vita, che si af-
ferma nel mondo, sia la prima di un' intiera serie.
Quando abbiamo percorso regressivamente tutta la serie evo-
lutiva delle forme svariate di un individuo troviamo che quella
forma che sembra essere la sua manifestazione piu semplice, la
prima di tutta la serie percorsa, F inizio primo di tutto il pro¬
cesso avuto, si trova o con altre forme simili, semplicemente in
proporzioni minori, a far parte di un altro organismo piu vasto,
in modo da partecipare alia triplice attivita psichica di detto or¬
ganismo come parte di tutta la massa (il che avviene negli es¬
seri amorfi o monomorfi, che si moltiplicano per scissione) , op-
pure sotto forma gia quasi individualizzata di cellula germinativa o di celluVuovo, la quale dietro un certo processo si stacca dal- F essere a cui gia appartiene come parte di un tutto non piu
omogeneo ma polimorfo, e finisce, evolvendosi, per costituire un
nuovo centro di attivita fisiologica e psichica e cosi dare princi¬ pio ad una nuova serie d' individui.
Ora, se stanno cosi i fatti, quando mai sara possibile deter¬
minare che per una forma organica psichica. sia.che gia costitui-
sca un individuo a se, sia die faccia parte di un tutto individua-
lizzato, ora e non prima incominci questa o quell'attivita psichica,
se in ambedue i casi, in essa gia si deve notare la triplice atti¬ vita psichica fondamentale.
Piuttosto possiamo determinare, non gia quando abbiano prin¬
cipio, sia simultaneamente, sia successivameite le funzioni psichi¬
che, ma quando queste attivita, invece di continuare ad avere un
sol centro di azioni, ne comincino acl avere piu. Ogni fatto fisio-
logo ha il suo correlato nel fatto psichico, e quando in una parte
- 32 -
di un dato rganismo sia per scissione, sia per germinazione, si a F autonomia biologica di essa , allora e che si a anche Fau-
tonomia psichica, e sorge la nuova individual ita biologica-psichica.
Dal die deduciamo che non incomincta la psiehe nelF indivi¬
duo, ma incomincia F individuo nella psiehe, al pari die non in¬
comincia la nelF individuo, ma Finlividuo nella . Come
nella fisiologia non s' ammette discontinuita tra i diversi esseri,
ma si .riconosce die il corpo cli ciascuno e continuazione di quello
del progenitore, cosi in psicologia neppure si puo parlare di man-
canza di continuita, ma fondatamente e da riconoscere die la
psiehe di ogni nuovo individuo e la continuazione di quella del
padre.
Sicche noi non abbiamo, ogni volta die incomincia un nuovo
essere animato, F inizio, un nuovo principio di funzioni psichiche,
ma semplicemente un nuovo aceentramento di attivita psichiche
gia preesistenti, cosi come abbiamo nel nuovo individuo un nuovo aceentramento di attivita biologidie ; alia s issione all' aceentra¬
mento organico va assoeiata senza interruzione la scissione e Fac- centramento jisiehico. E qui prencliamo occasione a dire die si
ingannano moltissimo quei fisiologi i quali ci parlano di origine
dei fenomeni psichici, limitandosi alia vita individuale, e fanno
derivare la vita psichica dalla vita organica, come se F individuo
fosse prima organico e poi psichico, e non contemporaneamente.
Sicche F affermarsi delle diverse funzioni psichiche in un
individuo non e suecessivo,iiia contemporaneo sin dal primo istante della nuova individualita. Solamente esse dette funzioni sono ora
piu indeterminate e meno distinte, ed ora piu determinate e piu
distinte, secondo F esercizio del nuovo aceentramento psichico ed in proporzione dello sviluppo del nuovo aceentramento organico. E per questa concomitanza di azione die in tutti i mo nonti della vita psichica non troviamo mai uno stato di essa in cui vi man¬ chi uno degli elementi fondamentali, sia quello affettivo, sia quello conoscitivo, sia quello volitivo.
I psicologi generalmente distinguono, tutto lo sviluppo della
— 33 -
psiehe umana in tre period! in quello sensitivo, in quello rappre¬
sentativo, in quello ideale. Ora basta passare rapidamente a ras-
segna questi tre period! per vedere come e vera la nostra affer¬
mazione che in nessuno di essi viene mai a mancare uno dei sud¬
detti elementi psichici. Solamente in tutti e tre i period! si pre-
sentano i suddetti elementi sotto le stesse forme e nello stesso
grado, appunto perche vi e continuo sviluppo nella vita, psichica
che va dalle forme piu basse alle piu alte, dalle piu semplici alle
pifi complesse, da quelle sensitive a quelle ideali. Cosi noi vediamo
che il volere nel periodo sensitivo si manifesta come cieco im¬
pulso, come tendenza, come istinto ; nel periodo rappresentativo
come desiderio, come bramosita, come aspirazione ; e nel periodo
ideale come adesione, come decisione, come volonta; nel primo e
tendenza inconsapevole, nel secondo e tendenza semi-consapevole,
nel terzo e tendenza pienamente consapevole ; nel primo e ten¬
denza verso un obietto non presente alia coscienza, indeterminato;
nel secondo e tendenza verso un obietto determinato , ma sola¬
mente rappresentato, nel terzo e tendenza verso un obietto deter¬
minato rappresentato e mentalmente approvato: e colla ripetizione
dei singoli atti volitivi nel primo stadio del volere abbiamo Fi-
stinto, nel secondo Fabitudine, rel terzo il costume; il primo ri-
sponde ai bisogni piii urgent! ed e piu costante e meno modifi-
cabile , il secondo risponde a bisogni meno urgent! ed e meno
costante e piu educabile, il terzo risponde a bisogni remoti ed e
molto variabile , e quindi educabilissimo e capace del piu gran valore etico.
Similmente troviamo le tre gradazioni, del sentimento , che
nel primo periodo si presenta sotto le forme di piaceri e dolori
sensibili, nel secondo sotto quelle di piaceri e dolori rappresentativi,
nel terzo sotto forme di piaceri e dolori ideali ed eminentemente
morali; per cui nel primo abbiamo la semplice acqujescenza o ri-
pulsa, il sorriso od il pianto, il tripudio od il lamento; nel secondo gli affetti o le passion! ; nel terzo il sentimento del giusto , del
bello, del sublime, donde i sentimenti morali, estetici e religiosi.
Non diversamente abbiamo a rilevare circa la conoscenza, i
- 84 -
cui diversi momenti danno nome ai tre disegnati period! psichici deFa vila umana, giacche essa va ap] unto dalla sensibilita alF i- dealita, ed e prima sensazione, poi rappresentazione, infine idea; prima senso, poi memoria, in ultimo pensiero, prima impressione
psichica., poi immagine riprodotta, infine idealita creativa; prima
percezione, poi riproduzione, infine creazione. scoperta, invenzione. Pero e cla notare che i fenomeni del primo periodo si pos¬
sono avere anche nel secondo e quelli del primo e del secondo si posscno avere anche nel terzo. Per cui anche nel periodo rap¬
presentativo ed ideale si anno delle tendenze e degli istinti come quelli della propria conservazione e riproduzione: cosi si ride e
si piange tanto dal fanciullo quanto dalFaduito, e questo puo desi-
derare ed appetire come un bambino, ed un vecchio puo avere le
abitudini ed il fare di un adolescente e gli affetti e le passioni di
un giovane.
3.) — Avendo rilevato che, in qualunque periodo ci facciamo
ad esaminare la vita psichica , troviamo coesistere tra loro tutti e tre gli elementi fondamentali di essa , ora sorge la domanda :
Se le diverse funzioni coesistono sin da principio, i loro singolari
sviluppi, le loro determinate forme, i loro rispettivi atti sono in-
clipendenti Funo dall'altro, oppure vi e fra loro qualche rapporto
di dipendenza ? Tutti i psicologi sono di accordo nelF ammettere una certa
dipendenza fra le differenti funzioni psichiche, ma non per tutti
questa dipendenza a lo stesso significato e gli stessi limiti. Buona parte di essi ammettono die questa dipendenza abbia
luogo piu nel primo periodo della vita psichica, meno nel secondo, meno aneora e quasi da non apparire nel terzo. Ma e da notare
die la gradazione di tale dipendenza , se e intesa nel senso che i tre elementi psichici, essendo nel primo periodo e nel secondo meno sviluppati die nel terzo, sono meno distinti tra loro, e meno
appariscenti, come elementi a se, nn primi due period! della vita psichica e specialmente, nel primo, e verissima ; intesa invece in
senso proprio e reale, e falsa.
- 35.—
Infatti, nel primo periodo po3siaino dire col Masci « die la
tendenza e il momento riassuntivo, quello nel quale si sommano e si ecclissano gli altri due elementi psichici.
La vita psichica delle infime specie animali si lias^tme in
due tendenze indeterminate, nelFavanzarsi e nel ritrarsi, la prima pei bisogni della nutrizione, la seconda per quelli della conser¬
vazione. Ma, se nella coscienza umana vogliamo aver presente la
tendenza come stato di coscienza distinto, bisogna che Fimpulso
della sensazione sia inibito p. es. per Fassenza dell'oggetto de-
stinato a saddisfarlo ». (1) Nel primo stadio essendo la vita psi¬
chica diretta alia conservazione ed alia protezione immediata del-
F individuo, e non essendovi intervallo tra Fazione stimolatrice delF obbietto e la reazione impulsi va del soggetto , o almeno
tanto quanto e necessario per la distinzione dei singoli dementi
psichici, questi si presentano percio sotto la forma riassuntiva della tendenza.
Nel secondo stadio in cui la vita psichica a per termine la
protezione delFindividuo, non in modo cosi immediato come nel
primo, e che basa su di un passato die Fa arricchita di un con¬
tenuto per nulla trascurabFe nei processi susseguenti reattivi, il distacco tra stimolo e reazione, tra sentimento sensitivo ed im¬
pulso e abbastanza notevole, perdie si possano scorgere i diversi elementi in azione. Cosi diversa e la reazione di un bambino
die e accarezzato per la prima volta da quella di un altro che a gia esperimentati i carezzi della maclre.
Nel terzo infine, essendosi la vita psichica coll'esperienza del
passato arricchita di piu numerosi dati, finisce per avvertire nuove
tendenze e nuove aspirazioni che, avendo per obietto fatti molto
remoti, per Fattuazione di questi danno luogo a molto lavorio
interno delle singole funzioni, dovendosi armonizzare nelle loro
•vaneta un passato gia sperimentato con un avvenire a cui viva-
mente si tende; e, senza dubbio, in tutto questo lavorio riescono
(1) Cfr. Psicologia, pag. 130,
— 36 ■ —
a manifestarsi distintamante e chiaramente dinanzi alia coscienza umana tutto e tre le attivita psichiche.
Nel primo periodo la vita psichica provvede immediatamente
ed indistintamente alia protezione dell' essere, donde il carattere
eminentemente sensitivo ed impulsivo. Nel secondo periodo, non trascurando il compito del primo, tende alio stesso fine, aggiun-
gendovi Papplicazione -di un passato che rivive, donde il carat¬ tere di essa specialmente rappresentativo. Nel terzo essa tende
alio stesso fine; ma colla massima ampiezza di azione , provve-
dendo alt'esigenze piii remote e meno individual! della vita in-
tellettiva, donde il carattere di essa specialmente ideale.
Ma non solo nel primo periodo della vita psichica, ma an¬
che nel secondo e nel terzo di essa si presentano spesso i tre
elementi psichici indistinti, confusi e riassunti nella forma im-
pulsiva della tendenza, come, nell'agire meccanicamente, Fazione
delFabitudine, ad es. nel camminare, nel danzare, nello scrivere, nel parlare, nel sonare ecc. le cui molteplici e coordinate azioni
sono sotto la direzione di sensazioni , di cui non si a coscienza
diretta se non quando esse vengono perturbate da difficolta so-
Vraggiunte, che rendono irregolare un dato rnovimento come nel
dover attraversare un luogo difficile , non aneora praticato. E
questo avviene e perche la vita principalmente sensitiva continua
negli altri due periodi con le tendenze e con gFimpulsi derivanti dai bisogni immediati dell'organismo, e perche a queste tendenze si aggiungono via via delle nuove non meno impulsive delle pri¬
me e che derivano dalle abitudini che possono, come dice il
Masci, produrre o nuovi bisogni organic! (es. Falcoolismo, il mor- finismo, i narcotici), ovvero convertire in tendenze anche le at¬
tivita spiritual!, superiori alia sensitiva, p. es. F artistica, la reli-
giosa, la morale.
Ma, se e vero che le attivita psichiche sviluppandosi si vanno
Sempre piu distinguendo e rendeiido consapevoli al soggetto, b
vero pure che esse non riescono ad essere mai indipendenti tra
loro. La progressiva distinzione e la progressiva consapevolezjaa
- 37 -
dei fatti psichici non hanno che fare con la vera indipendenza
che alcuni psicologi vogliono con grave errore riconoscere fra
essi, specialmente nel terzo periodo. Le dette attivita, se nel pe¬
riodo ideale raggiungono il massimo grado di distinzione e di
oonsapevolezza, restano pero anche in questo unite intimamente
nello stesso rapporto .di dipendenza che si trovano nel primo
periodo psichico. Oonsapevolezza e dipendenza sono due fatti diversi; Puna va crescendo col progredire dello sviluppo psichico,
Pal tra e sempre la stessa, Puna e un fatto puramente soggettivo,
Paltra e un fatto puramente obiettivo, Puna viene molto dopo e
va crescendo, Paltra sta sin da principio, e continua sempre quale
fu. Nella proporzione^ che dipendono tra loro tendenza, sentimento
sensitivo e sensazione, nella stessa dipendono tra loro rappre¬
sentazione, sentimento rappresentativo e appetizione, come lo stesso rapporto intercede tra volere, sentimento ideale e pensiero.
Ogni stato di coscienza e la risultante di tutte e tre le singole
funzioni, sia distinte, sia confuse, sia consapevoli, sia inconsape-
voli, ma non mai indipendenti, autonome ; ogni stato di coscienza
e la risultante della concomitante azione di tutti gli elementi psi¬
chici in proporzione della ricchezza dei propri fattori; ogni stato
psichico, ogni sua manifestazione e il risultato determinato dalla
somma dei rispettivi coefficienti. Se si puo parlare di autonomia
delle diverse funzioni, questa riguarda la loro natura non le loro
forme, il loro sussistere, non i vari modi di sussistere. Esse, per
quanto original! ed autonome nella loro natura, per tanto sono di-
pendenti e determinate, nelle singole forme, dalla reciproca azione delFuna sull'altra.
IL
V) — Vediamo ora, procedendo nel nostro esame, come si
determina il vo'ere nei diversi periodi della vita umana.
Nel primo periodo, o, meglio, nel primo stadio della vita
psichica noi vediamo die il volere si presenta sotto la forma
di semplice impulso, di tendenza sensitiva. Ogni manifestazione
di tendenza suppone da una parte una modificazione dello stato
delP essere, che faccia da stimolo, ossia una sensazione, e dal¬ l'altra la disposizione delFessere a conformarsi al nuovo bisogno.
Infatti il Masci definisce la tendenza : « Lo stato di coscienza
nel quale si rileva un bisogno delPorganismo eccitato dallo sti¬
molo ; il sentimento della tensione ceTenergia per produrre un mutamento conforme al bisogno. » Dalle quali definizioni si ri¬
leva die il volere tendenza a luogo dietro Fazione di un dato
stimolo, di un dato cangiamento avvenuto nelF organismo del¬ Fessere, di una data modificazione del rapporto sussistente tra
Pinterno e Festerno del soggetto. Ma questo cangiamento che avverte Fessere non genererebbe mai un nuovo bisogno, e non
determinerebbe mai una nuova disposizione di esso soggetto a con¬
formarsi ad una nuova necessita, se non fosse accompagnato da
un sentimento di piacere o di dolore, che e appunto il rapporto
dello stimolo al soggetto ; donde la duplice specie di tendenza
a conservare o ad allontanare il dato stimolo. Ed il Masci con- ferma la nostra asserzione quando dice : « Come il sentimento e
« il rapporto della sensazione al soggetto, cosi la tendenza h la
« reazione del soggetto al sentimento diretta all'oggetto. Percio
« la tendenza e duplice secondo la natura del sentimento e puo « essere definita anche cosi: un'attivita psichica diretta a con- « servare od accrescere il piacere, ad eliminare o diminuire il
« dolore. Ogni tendenza sta sotto il dominio di queste due forme
« del sentimento sensitivo, ed e rispettivamente tendenza accet-
« tazione ed aborrimento La sua genes! « e puramente causale, e Peffetto della sensazione e del senti-
« mento sensitivo che Faccompagna. » E piu appresso : « II carattere proprio della tendenza e di
« non essere determinato da nessuna ragione, ma dal tono emo-
« two della sensazione caum. Se ci sediamo piuttosto sul molle
« die sul duro, se d'inverno cerchiamo il fuoco od il sole, che « fuggiamo in estate, se trovandoci in molti in una stanza ci
« volgiamo piuttosto verso il centro che verso le mura, se in
« una societa il giovauotto e la ragazza si occupano Funo del-
- 39 —
« Faltro piu di ogni altra persona, se dinanzi alia folia, che si
« prepara ad ascoltarci sentiamo battere il cuore : se cosi fac-
« ciamo e non altrimenti e perche a tali forme di azione ci guida
« la sen:azione diventata, mediante Vemozione, Vimpulso. » Sicche il volere nolle sue varie forme impulsive dipenda
dalla sensazione e dal corrispettivo sentimento come Peffetto di¬
pende da causa; ed ecco stabilito nel primo stadio della vita
psichica il rapporto causale ti a sensazioni e sentimento sensitivo
da una parte, e tendenza dalFaltra, tra le piii basse foime del
conoscere e del sentire, da un lato, e la piii bassa forma del volere,
dall'altro. E quindi e da riconoscere che come si manifesta una
tendenza sia in un aclulto sia in un fanciullo, sia nelPuomo sia nel bruto, sia nei piii alti e nobili gradi della vita psichica sia nei piii bassi ed umili, essa e sempre una determinazione della
azione delPelemento sensitiyo ed emotivo die Fanno preceduta.
In rapporto all'azione esercitata da questo o quello stato sensitivo-
emotivo e die la tendenza prende questa o quella forma. A sen¬ sazioni di semplice contatto, ma indifferenti per tono non segue
nessuna tendenza, nessun movimento ; a sensazioni accompagnate
da piacere o da dolore, ogni essere psichico cerca o di perpetuarne lo stimolo o di allontanarlo. Ogni forma del volere impulsiva e
in rapporto causale con quelle precedenti del conoscere e del sentire sensitivo.
E questo rapporto causale che dobbiamo assolutamente ri¬ conoscere nel primo stadio della vita psichica, dobbiamo ricono¬
scere anche nel secondo, in cui al volere tendenza sottentra il
volere desiderio, al conoscere sensitivo sottentra il volere rap¬
presentativo, al sentimento sensitivo, il sentimento rappresentativo. Cambiano le forme, i gradi, ma il processo e sempre lo stesso.
Ciascuna attivita nel sempre piu differenziarsi ed elevarsi si va
arricchendo di nuovi dati, ma non mai si sottrae nelle sue date
forme alia legge suddetta die la lega alle forme delle altre at¬ tivita. Come le forme varie del volere impulsivo sono determi¬
nate da quelle della conoscenza e del sentimento sensitivo, cosi
— 40 —
pure quelle del volere appetitive sono determinate dalla conoscenza
e dal sentimento sensitivo rappresentativo, colla sola differenza die mentre le forme della rappresentativa non entrano nei pro¬
cessi della vita sensitiva, le forme di questa, die continua a
svolgersi anche quando la vita psichica a raggiunti i piu alti
gradi ideali, entrano colla loro azione nei prccessi della vita
rappresentativa. E cio perche le forme superiori delF attivita
psichica suppongono e procedono dalle inferior!, e queste invece stanno da se e bastano per la vita semplicemente sensitiva. E
per detto raprorto che ad una data rappresentazione, susseguita
dal corrispettivo sentimento qualitativamente differenziato e che
chiamiamo rappresentativo, corrisponde una data appetizione.
Cosi noi vediamo , come nel periodo sensitivo tener dietro ad una data sensazione un dato sentimento o di piacere o di do.
lore, ed a questo susseguire una data tendenza di accettazione o
di ripuisa, cosi pure nel periodo rappresentativo ad uua data rap¬
presentazione susseguire un dato sentimento di compiacenza o di
ripudio , ed a questo tener dietro un' appetizione positiva o ne-
gativa. Cosi si generano sentimenti di affetto o d' indignazione , di
simpatia o di antipatia , di amore o di odio, in un individuo, al solo ripresentarsi alia sua mente P immagine delPamico o del ne-
mico, della persona amata o ocliata. I.'idea vivamente riprodotta
di un pericolo a cui sara potuto andare incontro un nostro pa-
rente , die indugia a ritornare , ci fa fortemente trepidare. II ri- cordo di un dono gentile, di un sorriso, di un'esortazione ricevu. ta, tosto genera in noi sentimenti di gratitucline, di simpatia, di fiducia , come quello di un'offesa, di un'ingiuria, di un deprezia^
mento fatto e sentito a nostro riguardo, fa in noi nascere sentL menti d'ira, di odio, o di avvilimento. E, come vediamo variare i sentimenti al variare della qualita di questa o quella associa-
zione rappresentativa, cosi vediamo variare i sentimenti al variare
dell'intensita e delPinclirizzo di determinate rappresentazioni che si differenziano da persone a persone, e nello stesso individuo da
momento a momento. Dietro la rappresentazione di uno stesso
- 41 —
delitto o di una stessa opera virtuosa, diversi sono i sentimenti
che si generano nella coscienza di un ignorante o delinquente da
quelli che prova un semi-dotto o un semi-virtuoso, e da quelli che
sente una coscienza altamente dotta o altamente virtuosa, e da
quelli che vivamente sente una ccscienza ed oltremodo dotta ed
oltremodo giusta; come diversi tra loro sono quelli generati nello
stesso individuo ora gaio, ora triste, ora sereno, ora agitato, ora di animo intemerato, ora di animo corrotto, e cosi via.
E, come col variare delF intensita e della qualita del senti"
mento sensitivo varia la corrispettiva tendenza , cosi col variare
della qualita e dell'intensita del sentimento rappresentativo varia
la correlativa appetizione. Si appetisce questo o quel bene se¬
condo che il sentimento dominante ci suggerisce di dover appa- gare questo o quel bisogno.
II sentimento di tristezza in noi destato dal rappresentarci a
vivi colori le altrui miserie ed infelicita ci fa fortemente deside-
rare die molti siano coloro die vengono a mitigarle coa sussidi?
con organizzazioni disinteressate, e col provocare da parte dei go¬
verni savie leggi. II sentimento di paura in noi destato al ricordo di un disastroso incendio ci fa desiderare, nella vita di tutti?
maggiori precauzioni a non far ripetere la possibilita di un tal
male; il sentimento di orrore die proviamo al ricordare la figura di
alcuni individui ci fa desiderare sempre lontano la loro presenza
come quello di simpatia per altre persone ce ne fa desiderare spesso la compagnia e la conversazione.
La vita psichica, ripeto, si differenzia, si specializza, si conr plica, ma con tutte le differenzazioni, le specificazioni e le com-
plicazioni rimane sempre la stessa nei rapporti dei singoli suoi
elementi. In qualunque periodo psichico non vi sono rapporti o leggi nuove , ma sempre gli stessi rapporti e le stesse leggi, ed
in quanto al volere questo dipende sempre dagli stati precedent conoscitivi di emotivi,
2.*) — E come nel primo stadio una data sensazione deter¬ mina un dato sentimento , e questo alia sua volta una data ten¬ denza, e nel secondo stadio ad Una data rappresentazione tien
— 42 —
dietro un dato sentimento rappresentativo, e a questo un dato de¬ siderio , cosi nel terzo a una speciale idea sussegue un determi¬
nato sentimento ideale, e a questo una determinata volizione. E se, tanto nella vita psichica sensitiva, quanto in quella rappresen¬
tativa, le forme delle varie funzioni sono in rapporto causale tra
loro, dobbiamo conchiudere che anche nel terzo periodo della vita psichica , che e quello ideale , le varie forme del volere sono in
rapporto causale con le precedenti forme del sentimento e della correlativa conoscenza. Come la tendenza dipende o , meglio , e
determinata dagli stati precedenti generati da date sensazioni sus¬
seguite dai oorrelativi sentimenti, e F appetizione e determinata
da speciali rappresentazioni susseguite da determinati sentimenti
rappresentativi, cosi pure la volizione deve ritenersi determinata
dagli stati precedenti della conoscenza e dal sentimento ideale.
II processo psichico va sempre dalla conoscenza (ora sensazione, ora rappresentazione, ora idea) al sentimento (ora sensitivo, ora
rappresentativo, ora ideale, e da questo al volere (ora impulso,
ora appetite, ora volizione: ora tendenza, ora desiderio, ora vo¬
lonta). Ogni altra direzione e secondaria, e successiva, e riper-
cussione, e riflesso, e effetto d' intreccio, di eco di tutti i sud¬ detti stati.
Sicche, come a principio dei processi psichici dei due stati
inferior! della vita animata vi e sempre, in generale, un fatto
conoscitivo, die in particolare o e sensazione o e rappresentazione. cosi a principio del processo ps chico del terzo periodo vi e sem¬
pre un fatto di conoscenza: F idea. E come nei due stati inferiori
della vita psichica quale audio di congiunzione tra i due termini
corrispettivi di essi processi, F uno conoscitivo e P altro volitivo
e il sentimento ora sensitivo ed ora rappresentativo, cosi pure tra i due termini estremi del processo psichico del terzo pe¬
riodo e lo stesso sentimento sotto la forma elevata di sentimento
ideale.
Qui pero bisogna notare che i psicologi, mentre sono una-
nimi ad ammettere il rapporto causale tra sensazione, sentimento
sensitivo e tendenza, nel primo periodo psichico, e tra rappre-
- 43 -
sentazione, sentimento rappresentativo ed appetizione, nel secondo,
non cosi concordi sono nelP ammettere tale suddetto rapporto anche tra idea, sentimento ideale e volizione propriamente detta.
Ma noi seguiteremo a mostrare coi fatti come e vero il no¬
stro principio die ogni processo psichico, sia il piu rudimentale, sia il piu progredito, va necessariamente e con nesso causale dalla
conoscerza al volere, e a tale legge non si sottraggono neppure
le pio alte e nobili volizioni umane.
E a tale scopo studieremo alquanto largame, te quali sono gli antecedenti prossimi di un atto volontario propriamente detto,
e se tra essi antecedenti e F affermarsi delPatto volontario vi e rapporto di causa ed effetto.
III.
Tutti i psicologi riconoscono, senza dubbio, che per .aversi un atto volontario e indispensabile come un primo dato V idea deWazione ch'e per compiersi.
Che sia indispensabile P idea delF azione lo prova il fatto che m ogni atto volontario noi ci proponiamo un obietto; e non
potremo mai volere un obietto se non -avremo di esso gia un'idea, un concetto. E, se ci limitiamo a considerare i primi fini, i fini
immediati del nostro volere, vediamo die non mai siamo capaci
di compiere un movimento per la prima volta e volontariamente
senza averlo gia precedentemente appreso in qualche modo, o
arendolo visto compiere da altri, o avendolo compiuto noi stessi
per caso. Qualunque movimento andiamo a compiere e una rie-
vocazione di un passato sperimentato. C ome non possiamo defli-
derare una cosa non veduta, ne saputa in qualche moclo, cosi
tanto meno possiamo volere cio die non abbiamo in un modo qualsiasi gia appreso o sperimentato.
I soli movimenti, effetti di una reazione automatica, si com-
piono senza essere preceduti dalF idea di essi, senza antecedenti
mentali; ma quei movimenti, che noi diciamo volontari, ce li
— 44 —
proponiamo, prima, li pensiamo prima, rivedendoli di nuovo men¬ talmente cosi come li abbiamo appresi involontariamente la pri¬
ma volta. I movimenti impulsivi, detti pure involontari, anno per an¬
tecedenti immediati semplicemente gli stimoli esterni e le sen¬ sazioni corrispettive , i volontari le corrispondenti idee.
Queste idee ce le formiamo o vedendo o sentendo, e fuor di noi ed in noi stessi; fuori di noi, se si tratta di movimenti com- piuti da altre persone, dentro di noi, se si tratta di movimenti
compiuti da noi stessi istintivamente. II fanciullo, prima che possa voler camminare, vede ed im-
para come gli altri camminano, prima che possa voler parlare, cantare o saltare, vede e sente come gli altri parlano, cantano,
saltano; e fin qui egli apprende i movimenti compiuti fuori di
se ; esempio poi di un movimento appreso, per averlo veduto compiere in se stesso, e quando egli a appreso a saltare dietro
una paura, uno spavento, una gioia. Quindi, per aver luogo un movimento volontario, e necessario
che lo preceda un' idea formatasi in noi mediante impressioni sia
ottiche, sia acustiche, sia muscolari o cinestesiche. E, parlando di
queste ultime, cioe delle cinestesiche, se esse mancano al mo¬
mento che si vuol compiere un dato movimento, questo o viene eseguito molto imperfettamente o addirittura non riesce possibile. Cosi riferisce il lames che la donna anestesica, osservata da Char¬
les Bell, poteva portare sicuramente un bambino soltanto finche
lo guardava, e che il bambino osservato dallo Strtimpell, quando
gli si voltava in su la mano egli piegava il dito mignolo invece delF indice, e che un altro paziente. pure osservato dallo Strtim¬
pell, non poteva muovere affatto il braccio, avendo gli occhi chiusi.
Ora, se per i singoli fini immediati del volere e necessaria una certa provvista di idee di essi, formatasi nella mente merce P e-
sperienza fatta, compiendoli spontaneamente o vedendoli e sen- tendoli compiere da altri, non meno necessaria sara una corri¬
spondente serie d' idee dei fini remoti, per volere anche questi.
Chi mai vorra intraprendere un viaggio di cui non abbia cono-
— 45 —
scenza, non dico delF intero itenerario, ma neppure dei termini
di partenza e di arrive ? Chi mai vorra raggiungere un' alta e
difficile meta senza conoscerla in qualche modo ? E quanto piu remoti e complessi sono gli atti e i fini che
ci proponiamo, tanto piu molteplici debbono essere gli antece¬
denti mentali di essi: le loro correlative idee; colla differenza,
pero, che le idee cinestesiche locali saranno sempre meno vive
nella coscienza, per cedere il luogo e dare ampia liberta di
azione a quelle che riguarclano gli effetti dei movimenti prossimi, i fini di questi. E, quanto piu precisi, piu chiari e compiuti sono
i concetti die abbiamo dei fini proposti, tanto piu ferme e precise
sono le nostre volizioni. Cosi chi non ha la necessaria prepara-
zione mentale non si accinge alia soluzione di un problema di
matematica. Cristoforo Colombo, se non avesse avuto chiaramente
presente al suo pensiero F esistenza di terre al di la dell'Atlan- tico, non avrebbe voluto mai cosi tenacemente affidarsi all' infide onde di quell' oceano.
Ma la semplice idea di un dato obietto o di una data azione,
se e condizione necessaria , non e condizione siifficiente perche detto obietto o detta azione sia da noi voluta. Cosi possiamo
benissimo aver presente alia mente un podere fertilissimo od una villa deliziosa con tutta precisione di dati, senza che vogliamo
per questo fare acquisto delFuno e delFaltra; possiamo benissimo or ora pensare il nuoto senza voler nuotare, e cosi via.
II Lapie ci dice giustamente che, perche abbia luogo una volizione, e necessario che si abbia coscienza di un cangiamento
psicologico e che s' imponga a noi un problema da risolvere, ve-
nendo cosi a dire che, perche vcgliamo attuare questo o quel fatto,
e necessario che dietro questa o quell' idea sentiamo un nuovo
bisogno da soddisfare. Cosi ad es. il sapere che passa lontano da
noi un' automobile ci lascia indifferente senza determinare in noi
un atto volitivo, ma il sapere invece che quest' automobile passa
per la stessa via die noi battiamo, ci fa trarre in disparte e met-
tere in sicuro, o coll' uscire per poco da quella strada? o coll'ab-
- 46 -
bandonarla addirittura, e determina cosi senza dubbio una voli¬ zione; e questa volizione, come si vede, si e in noi determinata
sotto F azione del sentimento di timore in noi gia prima generato
dalF idea del passaggio dell' automobile. Sicche Fidea presente alia coscienza allora e susseguita dalla
volizione quando riesce prima a deteiminare in noi un sentimento
nuovo, un bisogno, quando insomma finisce per interessarci, per farci pressione.
Ed ecco come pure nel terzo stadio della vita psichica ac¬
canto all'elemento conoscitivo, che si presenta al grado d'idea di
concetto, troviamo anche Felemento affettivo die si presenta sotto le forme ideali.
II cangiamento psicologico, di cui parla il Lapie come pre¬ cedente necessario della volizione, a luogo appunto quando alia
presenza di questa o quelPiclea cambia lo stato affettivo della coscienza. Le idee impulsive dell'Ardigo e le idee forze del Fouillee sono appunto quelle che sono riuscite a determinare in noi in¬
sieme con un nuovo stato mentale od ideale, come si vuol dire,
un nuovo stato sentimentale, mediante il quale soltanto riescono a determinare una nuova volizione. II Wundt dice. « Noi pos-
« siamo distinguere ogni motivo del volere in una parte rappre-
« sentativa e in una sentimentale, delle quali diciamo la prima
« ragionz determinante e la seconda forza impellente.... Le ragioni
« determinanti di un assassinio possono essere state 1'appropria-
« zione dei beni altrui, la soppressione di un nemico e simili; le
« forze impellenti, sentimento d' indigenza, odio, vendetta, in-
« vidia ecc
« Nelle composizioni di rappresentazioni e sentimenti, che « noi diciamo motivi, spetta non alle prime, ma ai secondi, come « forze impellenti, quell' importanza decisiva nella preparazione
« degli atti volitivi. E questo proviene dal fatto die i sentimenti « sono per so stessi jjcwti integranti dei processi di volere, mentre
-« le rappresentazioni possono inquire solo indirettamente, cioe
« per essere unite ai sentimenti. L'ipotesi di un atto di volere
— 47 —
« sorgente da considerazioni puramente intellettuali di una de-
« cisione volitiva contraria alle tendenze die si esplicano nei sen- « timenti, ecc, racchiude in se una contradizione psicologica.
« Essa si fonda sul concetto astratto di un volere trascendente,
« assolutamente diverso dai reali processi psichici di volere » (1)
Questa, che il Wundt chiama forza impellente del sentimento,
deriva dalF esigenza del nuovo bisogno die noi sentiamo per il
cangiamento avvenuto nel nostro stato affettivo, per la presenza
della nuova idea, e che, senza altro, esige un nuovo ordine, un
nuovo indirizzo nelle volizioni. Sorto il nuovo bisogno ed avuto il nuovo problema da ri¬
solvere, il nuovo ordine, la nuova direzione del volere non a
luogo, come nel primo periodo della vita psichica, mediante un
semplice discernimento sensitivo, ne, come nel secondo, mediante
un discernimento rappresentativo, ma mediante un giudizio della mente, perche ci troviamo nel periodo ideale, circa la bonta e la
possibilita di questo o quell'atto volitivo. Quindi abbiamo prima,
dietro il nuovo stato psichico affettivo ideale un problema che
s'impone alia coscienza, poi il giudizio che lo risolve e che pre¬
para la decisione volitiva; e questo problema e questo giudizio
e la decisione che si prende sono, come si vede, sostenute dal
sentimento del nuo^o bisogno, dal sentimento della speranza di
poter trovare il modo come appagare il detto bisogno, dal sen¬
timento cli fiducia nella risoluzione additata dalFintelletto. E se
manca uno di questi sentimenti il soggetto rimane inerte, cade nell'abulia.
Se noi abbiamo soltanto, adunque, F idea di questa o quella cosa, se la vediamo solo obiettivamente, e non anche soggettiva
mente, cioe se non la sentiamo pure e non la \alutiamo, m rap¬
porto a noi, se e conveniente o no, non la vogliamo ne la riget-
tiamo, ma vi rimaniamo indifferenti; il vederla obiettivamente e
soggettivamente, il pensarla ed il sentirla insieme ce la fa accattare
(1) Cfr. Compendio di Psicologia.
- 48 -
0 rifiutare. Senza Fintelletto mancherebbe il contenuto del volere,
senza il sentimento ne mancherebbe la convenienza.
Adunque il soggetto e dietro un nuovo stato affettko-ideale
che prende un altro indirizzo e da un altro orientamento al suo volere. Finche un fatto resta puramente esterno a noi, puramente
obiettivo, una pura idea astratta, rimaniamo indifferenti, ma
quando e divenuto un'idea tale da destare il nostro interesse, da
eccitare il nostro sentimento, allora necessariamente dobbiamo
stare o per esso o contro di esso, o dobbiamo pienamente accet- tarlo, e renderlo propriamente nostro, e trasformarlo in atti nostri
personali, oppure, con altri atti personalmente nostri, allontanarlo e combatterlo recisamente. Ed allora una data idea e tale da in¬
teressarci quando ci stimola in qualche moclo o col sentimento di compiacenza o con quello di rincrescimento o con quello di
speranza, o con quello di timore, sia determinato sia indetermi¬ nato e cosi via. Quando essa non produce in noi stimolo alcuno,
rimane alio stato d'idea astratta, e, non effettuando alcun cangia¬ mento affettivo, non provoca nessuna volizione nuova.
Determinatosi un nuovo stato affettivo-ideale, il soggetto non
si trova mai nello stato d' indifferenza, ma nelF identica condi¬
zione in cui si trova quando in lui si e derminato un nuovo stato
affettivo-sensitivo od affettivo-rappresentativo, cioe in quella di
aderire o non aderire ad un nuovo stato psidiico. II primo effetto di ogni nuovo stato psichico interno non e
quello di tendere o no a tradursi in atto ma quello di avere o no Padesione del soggetto. Si dice die Felemento principale della
volizione e la decisione, e sta molto ben cletto, ma questa deci¬ sione e appunto P adesione del soggetto al nuovo stato psichico 0 la non adesione. L'elemento adunque essenziale della volizione
e lo stesso che quello clella tendenza o del desiderio: la tendenza e Paderire sensibilmente impulsivamente ad un nuovo stato affet¬
tivo sensitivo, il desiderio e P aderire appetitivamente ad un nuovo stato affettivo rappresentativo, la volizione e un aderire
non sensibilmente^ non appetitivamente, ma razionalmento ad un
nuovo stato affettivo-ideale.
— 49 -
IV.
1.) E quali sono le proprieta di una data idea affettiva per¬
che il soggetto vi aderisca completamente e la taccia oggetto del
suo volere ? Sono le stesse che quelle che c' inducono a ricono¬
scere ed attribuire un dato predicate ad un soggetto. Quando non
sappiamo negare die una proprieta o qualita e da attribuirsi ad un
obietto abbiamo un giudizio teoretico, e similmente quando non sap-
piamo non aderire col volere ad un nuovo stato affettivo-ideale
abbiamo un giudizio pratico. Nel primo giudizio si riconosce dalla nostra mente che un dato
attributo conviene o no ad un dato soggetto, nel secondo che un
dato atto conviene o no a noi. Tanto nel primo giudizio quanto
nel secondo abbiamo il quesito: questo o quel fatto conviene a tal
soggetto ? La risposta affermativa fa aderire, la negativa non fa
aderire in ambedue i casi. Nel giudizio teoretico, riconoscendo il
rapporto di convenienza tra il soggetto e un dato attribuito, aderiamo ad un fatto creduto cosi esistente e formoliamo un credo;
nel giudizio pratico, riconoscendo il rapporto di convenienza tra
noi ed una data forma delPazione da fare, aderiamo ad un altro
fatto creduto non esistente, non reale, ma da noi realizzabile ed
attuabile, e formuliamo un altro credo ; nel primo caso abbiamo
un credere che sia cosi, nel secondo un credere che si ddoba da
noi fare cosi ; nel primo caso, dal credere che sia cosi si passa ad
affermare : e cosi; nel secondo, dal credere che si debba far cosi si passa ad affermare : io voglio cosi.
E' adunque il rapporto di convenienza o sconvenienza che
rileviamo fra oggetto (sia la nostra stessa persona , sia non) e
predicate, presente chiaramente alia nostra coscienza , che ci fa aderire alia conclusione di ambedue i giudizi.
Sicche e il sentimento cangiato che provoca un nuovo atto
volitivo, e il sentimento di convenienza o di sconvenienza quello
che determina, al nuovo obietto presentatosi idealmente alia co¬ scienza, una nuova adesione del soggetto,
— 50 -
Questo sentimento di convenienza puo aversi o al primo veri¬ ficarsi di un nuovo stato psidiico ideale-affettivo, e il nuovo atto volitivo sussegue immediatamente; o non allora per allora, e corri-
spondentemente ii nuovo atto volitivo ritarda finche la nuova di¬
rezione non apparisca alia coscienza conveniente per il soggetto,
clando cosi luogo a quelpintervallo che i psicologi chiamano
processo deliberativo , in cui si esamina appunto dal soggetto ,
razionalmente, la convenienza o disconvenienza dell'aderire a questo o a quel partito,
2.) Dovendo adunque ogni decisione dipendere da due pre, cedenti prossimi: la nuova idea ed il nuovo sentimento di evi¬ dente convenienza, ne segue che ogni volizione a il suo lato obiet¬ tivo : il contenuto ideale, ed il lato soggettivo : la sentita con¬
venienza o ripugnanza per un dato atto. E se in ogni volizione
e da notare la parte soggettiva e la parte obiettiva dobbiamo
ritenere che molto erroneamente i Rosminiani sostengono tuttora
che ogni volizione si riduce all'aderire o a un bene soggettivo 0 a un bene oggettivo.
Cosi s'inganna il Bonatelli quando, parlando dei motivi del
volere, dice : « Tutte le ragioni possibili, risalendo dalle piu parti- « colari, alle piu generali, mettono finalmente capo a due supreme,
« Puna delle quali e il bene subiettivo, ossia il motivo interessato, « la propria soddisfazione, Paltra e il motivo disinteressato ossia « il bene in se o bene obiettivo, il pregio assoluto. cio che merita
« ed a diritto di essere, (1) ». Come pure s'ingannano
con lui, quando ripetono lo stesso il De Sarlo, il Morando, il Calo, ecc. (1).
Gia la distinz:one tra bene soggettivo e bene obiettivo e inam¬
missibile. Noi non conosciamo beni die non c' interessino, che in
(1) Cfr. Psicologia e logica, pag. 207. (2) Cfr. II Problema della liberta, pag. 214,
- 61 -
noi non suscitino alcun sentimento di compiacenza, di piacere,
di simpatia, di ammirazione, beni die non ci riguardinodn qual¬
che modo. « Nella distinzione tra bene s ggettivo e bene oggettivo »
dice il Morando « si contiene forse (meno male che vi aggiunge
« questo avverbio) la chiave di tutto il problema della liberta, « ma diffieilmente ci sara essa negata da alcuno"; poiche, se ri-
« guardo alia quistione scientifica molti ci sono che impugnano « Felemento oggettivo nelF intelligenza, sforzandosi a rinserrarci'
« entro il soggetto colle dottrine del Kantismo, del sensismo, del
« materialismo, del positivismo , invece riguardo alia questione
« morale e ben raro chi vogiia essere soggetti vista : non dico che
« non ci sia stata e non ci sia tuttora una numerosa scuola uti- « litaria anche nel piu basso grado; ma e certo che, ad es. il Kant,
« gran patriarca del soggettivismo moderno, e portato quasi al-
« Pesagerazione. la sua dottrina della virtii disinteressata e che
« vediamo proclamato questo rigoroso disinteressamento anche « dai piu serii ed eminenti positivisti moderni (1) ».
Ma il Morando non si accorge che il rigoroso disinteressa- m3nto ammesso e propugnato da Kant e dai piu seri ed emi¬
nenti positivisti moderni, come ad es. PArdigo, che appunto nella
sua morale dei positivisti F a tanto sostenuto , non a che fare
col bene obiettivo rosminiano, e che i termini: egoismo e non
egoismo o altruismo non sono sinonimi di soggettivismo ed obiet- tivismo.
D'altra parte se e vero che tanto in fatti conoscitivi quanto in fatti morali pochi son quelli che seguono aneora il puro sog¬
gettivismo, e vero anche die rari son quelli die credono poter
prescindere dalF elemento soggettivo o dalF elemento oggettivo, sia in psicologia sia in morale. Come non si puo parlare in
fatti di conoscenza di veri puramente soggettivi o puramente
obiettivi, perche ogni vero a il lato soggettivo ed obiet-
(1) Cfr. II Problema del libero arbitrio, pag. 71.
- 52 -
tivo, cosi pure in fatti di morale non si puo parlare di beni pu¬
ramente soggettivi od obiettivi; e mentre per il Morando e pos¬
sibile aneora Pimpugnazione delPelemento obiettivo piuttosto nella conoscenza die nella morale, noi al contrario ne ammettiamo la possibile negazione piuttosto in fatti di morale die in queLi di conoscenza.
In effetti , P oggetto della scienza e il vero , quello della
morale e il bene. Se ci fermiamo a considerare in generale la
scienza teorica e la scienza pratica , rileviamo che tanto P una
tanto P altra suppongono due elementi : F oggetto che viene ap¬
preso ora come reale ora come bene, ed il soggetto che apprende
questo oggetto nel modo suddetto, cioe, ora come qualche cosa
in se, fuor di noi, ed ora considerato in rapporto a noi, Ma, se ci facciamo a considerare solo Felemento oggettivo di ambedue
le scienze, prescindendo dalF elemento soggettivo , rileviamo che
fatta la supposizione die noi non fossimo, le cose non cesseranno
di essere realmente col cessare di esistere il nostro intelletto che
le apprenda; il massimo, potranno essere diverse da quelle che
sono state apprese da noi, ma non mai cessare di essere, e quindi
tolto Felemento soggettivo resta sempre Felemento obiettivo. Al
contrario le cose non sarebbero mai piu buone e^ venissimo a
mancare noi che le giudichiamo tali.
La scienza pura afferma se questo o quel fatto e o non e,
prescindendo da tutti i rapporti die puo avere con noi; la mo¬
rale invece afferma se questo o quel fatto e per noi buono o cat-
tivo; la prima non c'include necessariamente nelF oggetto, la se¬
conda al contrario ci deve necessariamente includere ; la prima
quindi e piuttosto obiettiva, la seconda e piuttosto soggettiva. E, caduta la distinzione tra beni puramente soggettivi e beni
puramente obiettivi, cade anche quella delle due serie irreduci-
bili ed incomparabili, ad una delle quali si atterrebbe liberamente il volere secondo i Rosminiani. Perehe i beni, se non sono piu o
assolutamente soggettivi o assolutamente obiettivi, son sempre
paragonabili nella parte soggettiva. E siccome la parte sogget¬
tiva e quella costituita dalF elemento affettivo, ne segue eojl«
- 63 -
fermato il principio che in ogni decisione volitiva il soggetto
inclina per quelFidea che a suscitato nella sua coscienza un sen¬
timento piii vivo, piu profondo, piii efficace, piii interessante, in¬
somma un sentimento di maggior convenienza.
Se il volere adunque e sempre un'adesione ad un nuovo
stato ideale-affettivo creduto il piii conveniente, puo mai aversi
che il soggettg aderisca, in alcuni casi, ad un nuovo stato psi¬
chico senza il corrispondente sentimento di maggiore convenienza di esso ? Yediamolo.
V.
1.) — II lames, dopo di aver distinto quattro tipi di deci¬
sione (die nel nostro linguaggio vuol dire adesione , in cui Fan-
nuire delF io a un dato partito avviene in forza di uno di questi
quattro motivi: o del solo prevalere di questo o quelPargomento,
o del semplice aggiungersi di un fatto accidentale esterno ad uno
dei motivi ritenuti equivalenti, o del solo aggiungersi ad uno dei
suddetti motivi di un fatto accidentale interno , o del sopravve-
nire di qualche esperienza esterna o di qualche inesplicabile mu¬
tamento interiore; ci presenta un quinto tipo in cui la decisione
avviene quando (sia die abbiamo il senso di aver raggiunta la
massima ponderazione dei diversi motivi, sia die no), « sentiamo
« come se noi stessi mediante il nostro proprio atto volontario
« facessimo inclinare la bilancia nel primo caso aggiungendo il
« nostro sforzo vivo al peso della ragione logica, il quale preso
« da se sembrerebbe insufficiente a determinare la scarica delPatto,
« nel secondo, mediante una speeie di contributo creative di qual- « che cosa in sostituzione alia ragione che ne fa le veci » (1).
I primi quattro tipi si riducono, il massimo , a due ; P uno
in cui la decisione avviene in forza di questo o quel motivo dopo
(1) Cfr. Principi di Psicologia pag, 798 e seg,
— 54 -
uu periodo continuo di esame, senza sopravvenire alcun fatto
nuovo, accidentale, sia dalF interno, sia clalF esterno ; il secondo
quando la decisione sembra avvenire in forza non di questa o quella ragione, non di questo o quel motivo, ma piuttosto in forza di nn cangiamento improvvisamente avuto per una causa quasi estranea allora allora sopravvenuta. Ma io creclerei poter ripor- tare tutti i quattro suddetti tipi addirittura ad uno: pprche si
sa benissimo che finche non e chiuso il periodo deliberativo tutti gli stati psichici di qualsiasi natura possono concorrere alia for-
molazione del giudizio pratico Concorrono al giudizio necessaria¬
mente i sentimenti die sono vivissimi al principio della delibe¬ razione e quelli novissimi die sono piu vivi alia fine di essa.
Finche P idea e presente nella mente col correlativo cangiamento affettivo apportato, e la decisione volitiva non e avvenuta, si sa
benissimo die un cangiamento nuovo, sapravvenuto per una causa la piu accidentale die si possa immaginare, sia interna, sia e-
sterna, puo influire a far prenclere questa o quella direzione al
pensiero, e fare die il soggetto aderisca a questa o quella idea a cui fin poco prima non aderiva.
2.) — Circa poi il quinto tipo cli decisione non pare die tutti i psicologici la pensino secondo il lames, il quale non vede che
cio, die egli crede una specie di volizione tutta a se non e altro
che il caso die segna F apice della forza attrattiva dell' idea. Sembra die egli ndl'ascendere la scala della forza attrattiva delle idee , arrivato alia cima sia stato preso da una certa vertigine,
per dir cosi, ed abbia perduto P equilibrio e sia precipitato giu,
negando tutta la teoria delF azione ideo-motrice gia accettata e seguita fino allora, capovolgendo i termini del processo volitivo,
e dichiarando causa quello che e semptice effetto.
Infatti, non e capovolgere i termini del processo volitivo quando
si ammette il caso in cui F adesione ad una data idea piuttosto
che ad un'altra av venga, non perche Fidea, col corrispettivo senti¬
mento generato, induca il soggetto ad aderirvi, ma perch^ il sog¬
getto vi vogiia, nel senso comune, aderire ? Avremmo cosi una
— 65 —
volizione che adotti un' idea e non un' idea die determini una
volizione, mentre le considerazioni precedenti ci anno fatto co¬
noscere che ogni processo volitivo va dilla conoscenza alia vo¬
lonta e non dalla volonta alia conoscenza. Possiamo avere un'eco
un riflesso della volonta sulF intelletto, perche questo investighi e suggerisca un nuovo mezzo per conseguire il fine gia accettato,
ma e sempre un' idea che fa adottare un'altra idea, non mai un
volere che da se adotti un' idea sol perche il soggetto cosi vuole.
Se fosse vero quest'ultimo caso in cui il soggetto si deciderebbe
per questo o quel partito in forza del solo volere, senza essere
determinato da alcun motivo ideale, allora questo solo caso
costituirebbe la vera forma dell' atto volontario, perche solo
sotto questa forma il volere si affermerebbe come qualche cosa
d'indipendente da tutti gli stati psichici e di puramente attivo. Ed
allora ritorneremmo alia teoria metafisica die, mentre concede una
vaga influenza sulla volonta da parte delF intelletto, ammette che
la volonta muove P intelletto e non F intelletto la volonta, e con-
tinueremmo a dare una certa concretezza al volere sebbene in-
determinata, e a farlo sussistere prima die avvenga una volizione,
come se la volonta non fosse F astratto delF atto volontario die a luogo solo coll' aver luogo Padesione.
Ma si dira che non e la volonta che sussiste prima deiPacle- sione ma e il soggetto, ch' e capace di volere in un senso o in
un altro, die esiste prima della volizione e cla luogo ai singoli
atti volontari. Comprendo benissimo die, quando si dice che la
volonta si decide da se, si vuol parlare del soggetto; giacche sa¬
rebbe troppo strano asserire die la decisione avvenga per propria
decisione, ma, certo, il soggetto preesiste alia volizione senza es¬
sersi determinato senza a^erpreso un partito alcuno, senza essersi
deciso, e per deciders! e necessaria la ragr ne sufficiente della con¬ venienza del suo aderire a questa o a quella alternativa, e la ra¬
gione sufficiente deve essere gia un fatto preesistente come stato
psichico del soggetto, non adottata dalla volizione , ma che de¬ termini la volizione.
Dice il lames che la maggior parte delle decisioni umane
- 56 -
sono prese senza sforzo, e solo in un numero relativamente esiguo
di esse Fatto finale si accompagna ad uno sforzo qualsiasi, e che
si erra nel credere lo sforzo piu frequente di quanto realmente
esso sia, per il fatto die durante la p>onderazione noi abbiamo spesso la sensazione dell'intensita dello sforzo, che sarebbe neces¬
saria per prendere una decisione allora per allora, e che piu tardi,
quando la decisione e stata presa coil ogni facilita, ci rammen-
tiamo di cio e supponiamo erroneamente che anche quella volta
lo sforzo si sia avuto. Ora noi rispondiamo die questo sforzo, di cui parla il lames,
o non e della natura die egli crede e de sempre, o e della na¬
tura che egli crede e non ci e mai. Che noi abbiamo coscienza di uno sforzo che accompagna
la decisione non puo essere messo in dubbio, ma circa la natura
di questo sforzo e da intenderci bene. Incominciamo col ricordare die una volizione o a luogo al
momento stesso che si attua un nuovo stato affettivo-ideale, cioe
immediatamente, oppure ad un certo intervallo, ossia dopo un certo
periodo di deliberazione. E che cosa avviene nel secondo caso
durante il periodo di deliberazione ? Avviene die, essendosi presentati alia coscienza vari possi¬
bili disegni die contemporaneamente fanno pressione sul soggetto
per tradursi in atto, e come innanzi abbiamo, notato, non potendo
nessuno stato psichico ideale tradursi in atto prima di subire il giudizio valutativo clella corrispondente convenienza di esso, du¬ rante questo giudizio il soggetto deve tenere inibite P esecuzioni
delle nuove tendenze finche, col compirsi del periodo di delibe¬ razione, non finisca per aderire ad un dato disegno a preferenza
degli altri. Sicche, come ben notano i psicologi odierni, ogni processo voli¬
tivo consta di due momenti: di quello cFinibizione e di quello d'im-
pulso. Durante il momento d'inibizione certamente devesi avere uno sforzo dovuto all'azione del soggetto esercitata nell'inibire tutte le nuove'tendenze durante il processo valutativo, salvo a non avvertire
questo sforzo quando il periodo di valutazione e quindi d'inibi-
— 57 —
zione e minimo da approssimarsi quasi a zero, come nei casi di massima evidenza della convenienza del nuovo disegno, presen¬
tatosi alia coscienza, e d' immediata adesione. Per il die ogni
processo volitivo e accompagnato dal sentimento di questo sforzo
psichico, che affatto e da confondersi con quello muscolare, e die
& minimo, quando il periodo valutativo e minimo, e massimo quando
il periodo valutativo e massimo. Ora e questo sforzo, die accom¬
pagna ogni atto volitivo, che, quando raggiunge il suo massimo
grado, il lames crede causa della decisione, mentre e semplice¬
mente effetto dell'inibizione. II soggetto, Fio, o aderisce all'idea
affettiva prevalsa senza destare altre possibilita, altre tendenze
opposte, ed allora il sentimento dello sforzo cFinibizione e quasi
nullo, perche il periodo valutativo e stato della minima durata
non essendovi da valutare die la convenienza d'tina sola proposta,
o vi aderisce dopo che la detta idea destato molte altre pos¬
sibilita, molte altre tendenze contrario, ed allora il soggetto finche
il periodo valutativo non si compia, sente tutta la pressione delle
altre tendenze, degli altri stati capaci a tradursi in atto, contro
cui deve resistere collo sforzo d'inibizione. E questo sforzo neces¬
sariamente si avverte quando si tratta di prevalere uno stato
mentale che, col semplice attuarsi e tanto piii col semplice
avere Padesione dd soggetto, riesce a vincere, ma non ad annul¬
lare le forze impulsive degli altri stati psichici antitetici. Ed e
questo il sentimento dello sforzo che il lames, nel quinto tipo di
decisione, invece di riconoscere come effetto d'inibizione massima,
riconosce come affermazione incondizionata cli un assoluto volere,
Ecco le parole testuali del lames usate nel parlare del quinto tipo di decisione:
« Gli stati mentali che posseggono normalmente la maggiore
* intensita impulsiva sono o quelli che rappresentano oggetti cli
« passione, appetiti, o emozioni die sono oggetti, in breve, di ra-
« gioni istintive, oppure sentimenti o idee di piacere o di dolore;
« o aneora idee a cui per qualche ragione ci siamo abituati ad
« obbedire, tanto che si e radicata in noi Fabitudine di obbedire
« loro: o infine sono in confrapposto coll'idee suggerite da oggetti
— 58 —
« rem ti, idee di oggetti present! o viciui nello spazio e nel & tempo. In confronto di questi diversi oggetti tutte le conside- « razioni remote, tutte le concezioni altamente astratte, le ragioni « insolite e i motivi che non sono legati ad alcuna tendenza « istintiva dolla razza, hanno un potere impulsivo quasi o com- « plo'ainente nullo. Ed esse prevalgono quando prevalgono sol- « tanto con isforzo; e la sfera normale (per distinguerla da quella « patologica) dello sforzo si trova pertanto ogni qualvolta servono
« di regola alia condotta attuale dei motivi non istintivi » (1).
Notiamo in primo luogo che il lames o non fa distinzione tra sentimenti ideali, sentimenti appetiti vi, e sentimenti istintivi,
o, se fa tale distinzione, nega poi, arbitrariamente, alle idee che finiscono per avere Padesione volitiva del soggetto, Passo iiz'oie
di corrispondenti sentimenti impulsivi si, ma ideali, non appeti¬
ti vi, non istintivi Infatti quali sentimenti o tendenze istintive anno spinto i
martiri della scienza ad immolarsi per il trionfo di questa? A
quale tendenza istintiva clella propria razza era legata Fidea do¬ minante die tenne fermo il Colombo nel proposito di valicare
FAtlantico, non ostante la taccia di matto, prima, e le minacce della ciurma poi; o quella die rese il Galilei costante a negare la veracita dd sistema tolemaico anche col divieto e colle mi¬
nacce dell'Inquisizione ? Non sono stati ne sentimenti, ne tendenze istintive che anno
determinato un tal volere in Colombo e in Galileo, ma il sem¬ plice sforzo delFio, dira il lames. Ed allora la teoria delPazione
ideo-motrice da lui accettata dove se ne e ita? Come mai questa
sarebbe vera per le idee piii semplid, piu basse, e non vera per quelle piu alte, piii complesse? 0 varrebbe solo dopo Faccetta-
zione di questa o quelFidea da parte dell'io ? Ma in que jto caso
la volizione non sarebbe un'azione ideo-motrice, ma, per cosi dire,
ll) Op. cit. pag.-803.
— 59 -
bulo-motricc. Se si dice die la volizione e un'azione ideo-motrice
e perche Ficlea, qualora prevale sulFistinto, prevale. per la forza
del corrispettivo sentimento di convenienza che suscita maggiore
di ciascuno di quelli suscitati da altri movent! psidiici. Se non
fosse sempre il sentimento determinato dall'idea die alia sua volta
determinasse Padesione del soggetto all'idea, perche mai sarebbe
sempre necessario il periodo della deliberazione? In due casi, veramente , la dBliberazian? noi ssnibn av3r,
luogo: o quando F evidenza della convenienza di questo o quel
partito e tale che avviene immediatamente Padesione del soggetto
ad esso, oppure quando lo stato psidiico ideale e associato al
uno stato sensitivo, il cui impulso e cosi forte die non da tempo
perche, mediante il potere inibitorio delF io, avvenga la delife-
razione. Nel secondo caso non si tratta veramente di un atto
volontario, ma propriamente di un atto, umano si, ma istintivo,
come ad es. il reagire ad un' aggressione; e nel primo non manca
la deliberazione, ma solo e ridotta al minimo , perdii essa non
dura che finche non si avverta dalla coscienza la convenienz i cli
essere preferito questo o quel partito, se si tratta di varie pos¬
sibili determinazioni gia present! alia mente.
Se adunque nessun soggetto puo compiere un atto volitivo
senza deliberare circa il valore e la convenienza di c u )3to o
quel disegao ideato, non puo mai avvenire die prevalga questa
o quella idea per semplice iniziativa del soggetto, prescindendo
dai determinati suoi stati psichici precedenti e concomitanti.
3.) — Come innanzi si e visto il lamej invoca il preteso as¬ soluto intervento del soggetto per una sola serie di cad in cui
si tratta di deliberare non fra piu progetid dello stesso ordine
sia impulsivo, o sensitivo, sia appetitivo, sia ideale, ma fia ten¬
denze impulsive ed appetitive da una parte e tendenze pura¬ mente ideali dalF altra.
Qui e che molti psicologi credono di entrare in un mondo
a parte, tutto diverso dal resto della natura, per legge intrin-
seche ed estrinseche, per natura e per rapporti, pc-r cio che non
— (i() —
sottosta al tempo e alio spazio e per cio die vi sottosta, e di potere invertire i termini del processo volitivo , e fare antece¬
dente causale quello che e susseguente effettuato.
La ragione, per la quale s' invoca da questi Fintervento, as¬
soluto, inconclizionato, delFio, quando si tratti d'una decisione in cui stir un motivo sensitive prevalga un motivo ideale , e
questa che, se dipendesse dalla prevalenza di questo o quel mo¬
tivo ideale sui motivi sensibili una data decisione, allora dovremmo
avere un apprezzamento comparativo del motivo sensitivo e di
quello ieleale, ma ogni apprezzamento e sempre quantitativo non qualitativo, essi dicono, e qui si tratta invece di fatti che si
differenziano tra loro non quantitativamente, ma qualitativamente.
Ogni paragone e possibile non tra elementi di ordini di diverse
serie, ma di diversi ordini della stessa serie: cosi saper dire se
e piii forte un principio morale o un sentimento di piacere e un
assurdo. Questa e la ragione die, presa dalla scuola rosminiana, or-
dinariamente si adduce per giustificare la pretesa necessita del-
P iniziativa assoluta dell' io nella suddetta determinazione , ma essa vela la vera che e, come innanzi abbiamo accennato, di na¬
tura etica, come poi dimostreremo trattando la stessa quistione dal punto di vista morale. Per ora ci limitiamo a dimostrare la
fallacia di questo argomento rosminiano. Perche non intervenga Fio nelle deliberazioni colla sua ini¬
ziativa assoluta, ci dicono i suddetti psicologi, sarebbe necessa¬
rio die Piclea prevalga sul senso in forza di un paragonet gia
fatto tra clue termini paragonabili, ma il paragone tra idee e senso e tra dementi irriducibili, pet die diversi di qualita, e quindi
e inammissibile. Ma noi rispondiamo die, se idea e senso sono due fatti ve¬
ramente irriducibili fra loro in quanto alia loro natura, essi non sono irriducibili in quanto a tutti i loro effetti prodotti in noi; ossia se non li possiamo paragonare come fatti obiettivi, li pos¬
siamo benissimo paragonare come fatti soggettivi, come fatti
della stessa nostra coscienza, come fatti dello stesso nostro io, B
- (Jl -
nostro e9, essendo uno, fa supporre che due fattori qualitativa¬ mente diversi, potendo agire su di lui, abbiano qualche cosa di
comune, che noi sperimentiamo appunto su di noi stessi e che
riduciamo nell'effetto ad uno stesso genere, ora sotto il nome di
stimolo, ora sotto quello di motivo.
Si dice che sono paragonabili due dementi capaci cli comu¬
ne misura; e, per essere questi capaci di comune misura, e ne¬
cessario die siano diversi quantitativamente, non qualitativamente,
perche solo dal lato quantitativo ammettono una comune misura
ch' e il uumero e non pure dal lato qualitativo.
Ma se qui si trattasse, noi rispondiamo, di studiare fattori,
diversi per qualita, obiettivamente, in si, senza dubbio, non tro-
veremmo la comune misura, che non e possibile che a base del
numero, ma qui si tratta di esaminarli e paragonarli negli effetti
che essi producono sul vostro spirito, e qui si die vi troviamo
la comune misura, che non e piii quantitativa, spaziale, obbiet-
tiva, ma qualitativa, psichica, inestesa, soggettiva, individuale.
Tanto il fatto sensitivo quanto il fatto ideale anno entrambi la
virtu di esercitare sul nostro spirito una pressione ora istintiva,
ora ideale, ma sempre pressione, fatto coinune ad entrambi le
azioni dei due fattori a cui sussegue il comune effetto dell' ade¬
sione o non adesione della nostra coscienza. Ebbene il nostro
spirito che subisce queste due pressioni: F una sensitiva P altra
ideale e la comune misura di entrambe le azioni; tra senso e
idea comune misura e appunto il nostro spirito, il nostro io, che
sente e vede insieme, e che vede sentendo e sente vedendo, c che velendo-sentenclo e sentendo-vedendo vuole o non vuole. Non
sarebbero commensurabili dalla nostra coscienza gli stati ideali
con quelli sensitivi quando non vi fosse connessione alcuna tra
gli uni e gli altri stati psichici, quando un'idea non avesse niente
di sensitivo, od il sensitivo niente d'ideale; ma noi invece ve¬
diamo che le idee nascono dalle sensazioni, o, meglio, anno le loro
origini in queste e si sviluppano a traverso gP intrecci delle as- sociaziorii rappresentative.
Non e possibile paragonare tra loro gli stati sensitivi, rap-
— B2 —
presentativi ed ideali, quando per la stessa coscienza cangiamenti
soggettivi sono e le sensazioni e le rappresentazioni e le idee? quando e le prime e le seconde e le terze sono modi di cono¬
scere del soggetto, e quando e le sensazioni e le rappresenta¬ zioni e le idee sono accompagnate da corrispondenti sentimenti ?
E se ogni cangiamento, ogni conoscenza, ogni sentimento non puo esser per il soggetto die o piacevole o dispiacevole, od op-
primente, o rinfrancante, come mai Fio non sapra valutare quale cangiamento, quale conoscenza, quale sentimento piu gli faccia
pressione, sia con la nota piacevole, sia con quella dispiacevole ? Ma qui sta la difficolta, si obiettera aneora una volta, ad
avere che gli stati sensitivi o rappresentativi e quelli ideali si
facciano vivi alia coscienza contemporaneamente, o colla nota del piacere, o con quella del dolore; che in tal caso Pio certamente
saprebbe valutare quale motivo o stato psichico gli fa piii piacere o piii dolore. Ma nella realta avviene spessissimo, come nessuno puo negare, die uno stato sensitivo o rappresentativo genera un
sentimento di piacere, mentre un altro ideale genera un senti¬
mento di dolore, ed allora come paragonare il dolore col piacere ? quale sarebbe la comune misura tra queste due serie cosi diver-
genti tra loro? In tal caso non resta alio spiiito che F assoluto ed incondizionato potere di aderire, senza determinazione motivale,
o alFuno o alFaltro. Eppure non e cosi, riprendiamo noi.
Noi non dimentichiamo die il seguire dell'io, con coscienza, con oonsapevolezza, questo o quelFindirizzo, in qualsiasi caso, e
sempre un compiersi di un atto, perche volontario, in rapporto
ad una finalita, ad un'idea accettata o immediatamente per man¬ ca nza di altre idee antagoniste, o dopo un esame clifferenziale
per la presenza di piu tendenze' opposte. Nel primo caso non possiamo aver alcun antagonismo e quindi non pecsiamo avere
il caso suddetto, rilevato dagli obiettanti, di dover scegliere asso¬
lutamente tra il piacere ed il dolore. Nel secondo caso a luogo la
deliberazione che nou a per fine mai, anche nei casi piu complessi
— 68 -
1'accettazione del dolore, ma sempre la maggiore co^mteiiza
dell'atto ccl minimo disagio. Nessun soggetto al mondo si pone per fine il dolore.
Quei santi, che si sono sottoposti ad una vita di afflizioni e
di penitenze, forse anno avuto per fine il dolore ? Neppnre la
grande S. Teresa, die diceva : « Semper pati, nunquam mori »
intendeva proporsi un tal fine: perche per lei oltre il pati v'era
Pio, e lei stessa sapeva e diceva che patire per Dio non 6 pati.
Qualunque essere al mondo tende sempre a persistere in se:
e qual guadagno sarebbe stato per Fuomo il lume dell'intelletto,
se alia luce di questo non saprebbe proporsi per fine che il do¬ lore, che non significa poi, die indebolimento, danno, corrosione,
annientamento della vita ? Si dira che senso e ragione sono in
lotta tra loro, e per questo il soggetto si trova nella condizione
di dover seguire incondizionatamente o Funo o Faltro. Ma no, rispondiamo ; parlare aneora cosi, dopo di aver approfondita un
po' la mente sui problem! dello spirito, e volersi attenere aneora
al linguaggio tradizionale die si arresta alle apparenze. Tra senso
e ragione non vi e lotta, ma solo differenze di gradi, rapporti
gerarchici, relazioni di accentramenti. E sempre il pensiero che
regola il volere, ma guai se il pensiero non si trovera eclucato ;
sara delFindividuo umano quello che avviene d'un regno sui cui
trono siede un volgare ed inetto re, die comandera senza mi-
gliorare e nobilitare il suo popolo. Prevarra in tal caso F idea
sensitiva, il senso divenuto idea del momento, del transitorio, non
quella di ampie vedute, del remoto, ddl'eterno, Piclea particolare
non quella universale; e se a poco a poco morra il soggetto alia vera
vita intellettiva, morra non per lotta e dissidi interni, ma per lo
esaurimento delle forze elette del principio direttivo.
Tra senso e ragione non vi e lotta, ma vi e semplice di-
versita di attribuzioni, salvo ad avere gli elementi sufficienti per
esercitarle appieno; Funo tende ad assicurare cio che e prossi-
mamente necessario al soggetto, Faltro cio che pur gli e neces¬
sario ma in tempo alquanto remoto ; Funo tende ad assicurare il
- 64 -
presente, Paltra senza rinunziare al presente tende ad assicurare anohe il futuro.
Da cio risulta chiaro die mai si potranno trovare in anta¬ gonismo, nelPesame valutativo della deliberazione, un motivo sensitivo ed appetitivo ed un motivo ideale che abbiano F uno
per fine assolutamente un piacere e Faltro per fine assolutamente
un dolore : Fantagonismo 6 possibile, pero non lo assoluto, ma
il relativo. I fini ultimi di tuttii motivi s'identincano nel benessere delFindividuo.
Se mai nel periodo delibeiativo d'una volizione accanto ad
tin promesso piacere si presenta alia coscienza un preveduto do¬
lore, questo o non e scompagnato da una specie di piacere che
lo superi, o non mai e previsto come fine, ma sempre come mezzo;
e, se quindi e accettato, e sempre accettato in forza di un piacere che da es-o si pre vede derivare.
Supponiamo die un individuo si trovi nelPalternativa di sce¬
gliere tra una grande fortuna conseguibile per via indecorosa e la continuazione di una vita disagiata e piena di afflizioni, e si attenga alia seconda ; costtii certamente a preferito una vita di
dolori ad una vita di piaceri, ma non come fine, bensi come mezzo
a schivare maggiori sofferenze e maggiori dolori. Non e stato
preferito il dolore al piacere senz'altro, bensi la vita afflitta ma
decorosa a quella piacevole ma indecorosa. Nel periodo della deli¬
berazione si e paragonato piacere sensitivo -\- dolore morale pre¬
veduto con dolore sx nsitivo + piacere morale preveduto ; ed am¬ bedue questi termini, come si vede, anno il lato del piacere e
quello dd dolore, e percio il paragone e corso non tra piacere
e dolore, ma tra piacere e dolore cla una parte e piacere o dolore
dalF altra. Per cui , mentre apparent emente sembra che si sia incondizionatamente preferito il dolore al piacere, realmente si e
preferito un piacere morale ad un piacere sensibile ; e tra pia¬ cere morale e piacere sensibile e possibile benissimo per le ra¬
gioni innanzi detle stabilire un paragone ed applicare una co¬
mune misura. Similmente av\ iene se si considera il caso di quelPuomo ch©
- 65 -
pieno di vita lascia le gioie della famiglia e della patria e va a
combattere lontano per un'alta idea, cosi come fecero molti Italiani
(tra i quali il mio caro e nobile compaesano Giorgio Imbriani,
che poi cadde sul campo di battaglia), quando nel 1870 corsero
in Francia, per sentimento di gratitudine, a combattere per essa
contro la Prussia. Come nel caso precedente cosi anche qui il
giudizio valutativo, che necessariamente deve precedere la deci¬
sione, non .cade sul piacere e le gioie, da una parte, e le soffe¬
renze e gli estremi pericoli della guerra, dall'altra. No, e sempre
no ; il paragone cade sempre, giova tuttora ripeterlo, tra piacere
e piacere, tra dolore e dolore. II giovine, che, senza obbligo di legge, lascia i suoi cari e va
a morire sul campo di battaglia, obbedisce inesorabilmente alia
forza di quel sentimento con cui si e resa viva e persistente nella sua
coscienza la nobile idea che lo spinge a tale decisione. Quell'af-
fermazione delVio voglio, creduta assoluta, incondizionata dagPin¬
deterministi, noi vediamo che anche nel caso in esame non a
luogo che dopo dell'essersi generato nell'animo del soldato volon¬
tario un sentimento vivo, forte, determinato dall'idea nobile che lo anima.
Infatti il Garibaldi, ITmbriani ed altri, che presero parte alia
detta guerra del 1870, si sarebbero sentiti morire lo stesso, se non
avessero potuto brandire le armi e combattere a favore di quei
Frances! che avevano combattuto poco prima in favore della no¬
stra indipendenza. E tanto piii essi non avrebbero potuto resi¬
stere al sentimento di gratitudine per la Francia, che ignoravano
che Napoleone III non ebbe Paiuto dell' Italia per la grande in¬
fluenza esercitata sull'animo suo dalla moglie. che manifesto im-
periosamente di tollerare piuttosto i Prussiani a Parigi che i
Piemontesi a Roma. E pur, fe varii di essi cio non ignoravano,
come forse il Garibaldi, nel correre a pugnare per la Francia
essi mostrarono di sentire piii forte il sentimento di gratitudine
per il sangue versato dai Francesi per F indipendenza italiana
- 66 —
che quello di indignazione per Fatteggiamento della Coitelmpe- riale di Parigi ostile alFunita italiana.
E la forza adunque impulsiva del sentimento ideale o quella attrattiva delF idea affettiva, che val lo stesso , che . determina
Padesione delFio a questo o a quel partito, e non un preteso puro arbitrio del volere.
Fu la forza del sentimento religioso e non altro che indusse Attilio Regolo a lasciare la patria e la famiglia e a ritornare fra i Cartaginesi per esservi suppliziato ; come pure fu per la.forza
imperativa delVjusjitrandum che Annibale odio i Romani fino alia
sna morte ; e il temerlo fece si che i Romani non seppero darsi pace fincfce non videro morto Annibale.
Non si dica piu che vi sono i casi in cui bisogna scegliere
tra le serie del piacere e quella del dolore, perche e un errore,
ed un errore cosi grave da causare tanti altri maggiori che, nella
pratica, impediscono a far conseguire alio spirito umano la vera.
e reale sua liberta.
Se fosse vero Fincondizionato sforzo del soggetto, ammesso
dal lames e dagli altri che similmente opinano , anche solo nei casi in cui prevale un'alta tendenza ideale su quella sensitiva,
ne verrebbe la conseguenza che, solo in questi casi, come in¬ nanzi abbiamo accennato, causa e vero autore delF atto sa¬
rebbe Pio; perche solo in questi casi determinerebbe esso Fatto
e non gia il prevalere di questo o quello stato psiphico die apparterrebbe sempre non all' io fondamentale , non alP io sog¬
getto , ma all' io oggetto, all' io contenuto, all' io storico. E
quindi non 'si avrebbero varii tipi di volizioni, e secOndo il lames cinque, ma uno solo, solo Pultimo che riguarda il preva¬
lere dell'ideale sull'impulso ; eppure noi ci riteniamo autori della decisione presa non solo a fine di quest'ultima specie di delibe¬
razione, ma anche di quelle altre specie che lo stesso lames am¬
mette ed enumera. Si rispondera che, mentre nella piu alta manifestazione del
volere Fio interviene con un atto positive, in quella piu bassa
- 67 -
interviene con un atto negativo, o meglio, nel primo caso si af¬
ferma intervenendo, nel secondo non intervenendo, lasciando li¬
bero il corso all' impulso. Ma, se in alcuni casi P io lascia libero il corso all' impulso
ed in altri casi no, significa che vi e una ragione particolare per
agire nelP un modo e nelF altro, e se questa vi e, come la man-
canza dello sforzo, dell' io cosi pure la presenza di questo non
segna un principio assoluto d' azione, ma causa effetto di un'altr.i
causa die non puo trovarsi che negli stati psichici del soggetto,
e propriamente in quelli affettivi die soli determinano intorno
alia convenienza, o non, dello sforzo, o, meglio, delFatto positive
o negativo del soggetto, sempre per seguitare a parlare secondo F ipotesi del lames.
4) — Non potendo quindi ammettere lo sforzo, che senti-
vamo di compiere nel prendere alcune decisioni confoimi spe¬
cialmente a dati ideali, come un'iniziativa assoluta delF .'o, non
resta che ad ammetterlo come un fatto psichico determinato da
un altro fatto gia preesistente, cioe come effetto di causa. E
questo in generate; in particolare poi e buono dire qualche altra parola intorno alio sforzo suddetto.
Questo sforzo die accompagna specialmente le decisioni die
prendiamo nel far trionfare un principio ideale, come innanzi ab¬
biamo detto, non e altro che F effetto consapevole della resistema
fatta, nel .periodo deliberativo, da impulsi sensitivi o appetitivi ad impulsi ideali.
Quando una tale resistenza e minima non e avvertita che
minimamente, e sembra die manchi F azione positiva del soggetto
nelP aderire al prevalso ideale; quando invece la detta resistema
e massima e per poco non riesce ad impedire il prevalere dello
ideale, allora sembra alia nost>a coscienza die Fio vi metta tutto
il suo conato per dar forza di prevalenza a questo o a quel par¬ tito ideale.
-E perche mai, quando si tratta di prevalere una massima; un
— 68 -
principio ideale, allora e che lo spirito in contra il massimo grado
delle resistenze e quindi sente il piu grande sforzo emesso ?
Coloro die non lasciano, neppure in fatti di scienza, di se¬ guire il parlare del profano, dicono die, siccome le tendenze piu
basse riguardano il senso e quelle piu elevate, piii nobili, riguar-
dano lo spirito, e tra senso e ragione, tra senso e spirito vi e
lotta, ne segue che come sono per trionfare le massime, le idee
morali, tosto si vedono destare gl' istinti, gl' impulsi sensitivi che
tendono di abortirle. Quando non si riesce a trovare la causa di
un fenomeno fa comodo subito di elevarlo a causa. E cosi av¬
viene circa quest' ultimo nostro quesito. Quell' effetto, che mai
noto va sotto il. nome di lotta, e che dovrebbe essere spiegato nei suoi caratteri fenomenici, viene ammesso come un fatto a se
e riconoseiuto come causa della grande resistenza opposta a un
ideale da tendenze piu basse ridestate. Infatti che cosa mai ci autorizza a riconoscere una lotta as¬
soluta tra senso e ragione, tra le forme piu basse delF attivita
psichica e quelle piu elevate ? Perche si possa dire che vi sia lotta assoluta fra due fattori
e necessario che vi sia o contradittorieta di fini o contraditto-
rieta di mezzi. Ora nel caso nostro non si ha ne contradittorieta di fini ne
quella di mezzi. Non vi h quella di fini, perche i fini della ragione non sono
in contradizione con quelli del senso, ma solamente li superano.- II senso certamente tende al raggiungimento dei fini della vita
Vegetativa, cioe a quelli della conservazione, della nutrizione e della riproduzione dell' individuo, e la ragione non li esclude, ma includendoli li sorpassa, elevandosi a quelli die riguardano
non la vita dell' individuo o della specie, ma quella della collet-
tivita, della societa, delF amanita ; il fine dei sensi e che P in¬
dividuo si conservi quanto piii sia possibile e si riproduca nella
prole; e il fine della ragione e che F individuo viva, vegeti e si
riproduca oltre che biologicamente anche moralmente, nelle arti,
- 69 —
cioe, nelle scienze, nell'industrie, nelle istituzioni, nelle virtu civili
e sociali, morali e religiose. Senso e ragione non si contrastano ma si completano; Funo
viene arricchito, con F attivita dell' altra, di nuove doti, e, no-
bilitato, sale a far parte di un nuovo mondo die da se non po-
trebbe ascendere, mentre P altra senza F uno non potrebbe nulla
produrre, mancando della base delle sue operazioni. E la biologia moderna confer ma oltremodo questo aiutarsi e
completarsi delle funzioni psichiche piu basse e di quelle piu ele¬
vate per assicurare al soggetto i fini indivicluali e collettivi, par¬
ticolari ed universali, naturali e morali (1).
E, se non vi e lotta, ma armonia e concorde scambio di
energia tra senso e ragione in quanto ai rispettivi loro fini, vi
sara forse in quanto ai mezzi che menano a tali fini ?
I mezzi che la natura a messo a vantaggio dell' uomo per
conseguire i suddetti fini sono gli stessi per il senso e per la ra¬
gione : il piacere e il dolore, Fattrazione e la ripulsione, la con¬
tinua potenzialita del soggetto ad equilibrarsi secondo la linea dei due poli: Funo positive, Faltro negativo.
Avremo delle differenze, senza dubbio, nell'applicazione od eser¬
cizio dei suddetti mezzi nei due diversi ordini, ma queste diffe¬
renze saranno di grado non di natura; avremo un'attrazione o ri¬
pulsione ora sensitiva, ora rappresentativa, ora ideale, ma sempre
attrazione o ripulsione ; il metodo che adotta il senso e lo stesso
che adotta la ragione : il senso aderisce o non aderisce ad un
obietto se per questa sente un' inclmazione o una ripugnanza , e
F intelletto aderisce o non aderisce ad un principio se ne vede o
no la convenienza; cambiano i termini ma il rapporto e Io stesso,
perche lo ste so e il soggetto del senso e della ragione. Se aves-
simo piii soggetti allora si die potremmo avere Fun contro Faltro
per adozione di diversi metodi, ma essendo uno il soggetto, come
questo potra lottare, oppugnare e violentare se stesso ?
(l)Cfr, Sergi — Origine dei fenomeni psiehici,
- 70 -
La cosi detta lotta, adunque, tra sefiso e ragione non e che relativa.
II rapporto naturale che passa tra senso e ragione non e quello di dominio e schiavitu, ma quello di equilibrio e di armo¬ nia. — Ora quante cause, estranee alia natura intima del senso e della ragione, non sonvi al mondo die possono e vengono in realta
ad alterare una tale voluta armonia, un tale dovuto equilibrio ? Tanto il senso quanto.la ragione sono capaci di una certa
educazione, in forza della quale si sviluppano in una direzione piut¬
tosto die in un'altra. E puo benissimo avvenire che, in forza di questa o quell'educazione, si abbia una vita intellettiva molto me¬ no sviluppata che quella sensitiva, e Fequilibrio perfetto manchi,
per la mancanza delle abitudini mentali proporzionali a quelle sensitive.
Nessuno disconosce, poi, die nelPindividuo, finche esso dallo
stadio sensitivo non si elevi, attraverso quello rappresentativo, alio stadio ideale, tutte le reazioni avute e ripetute contro i vari
stimoli sensitivi ed appetitivi fanno si che gia si vanno fissando nel soggetto, colle continue modificazioni che questo subisce in-
ternamente , delle forme determinate circa il modo di comporsi
internamente e di reagire esternamente dietro un dato stimolo; e quindi delle abitudini che calcate e ricalcate vanno coatituendo
quasi una seconda natura. Questa , pero, mentre e un sostrato necessario per la vita psichica piu elevata , perche, abbreviando e rendeiido quasi incosciente P attuarsi di molti fatti psichici,
rencla piii facile P esplicarsi delPultima e piii elevata forma psi¬ chica, quale e quella del pensiero, e, in seguito poi, un ostacolo
alia facile formazione di nuove abitulini pur necessarie per rendere piii stabile e piu facile a ripetersi le nuove manifestazioni dello spirito avute col progredito processo psichico.
Cosi avviene die delle reazioni psichiche, che prima non si riproducevano cosi istantaneamente, colle successive ripetizioni
diventano sempre piii immediate fino ad essere quasi istin¬
tive, el in seguito, cambiando i rapporti esterni delFindivi¬
duo , esse, non cessando di presentarsi nella maggior parte dei
— 71 —
casi sotto lo stesso aspetto d' impulsi, impediscono P intervento
delF azione del pensiero la- dove e necessario, perche il soggetto
si orient! e risponda adeguatamente alle nuove relazioni della vita
psichica. La vita psichica nei suoi processi abituali e paragonabile a
quelli dell' energia biologica che , man mano che si eleva, lascia dietro di se una solidificazione di parti, che, se riesce utile e ne-
(essaria per la conservazione e protezione delF essere, a questo
riesce pure di difficolta a cangiarsi di posizione e a svilupparsi,
in seguito, sotto altre forme piu progredite per la stabilita sem¬ pre maggiore die va acquistando nelle sue determinate forme
degli strati inferiori. E se negli strati superiori non aneora soli-
diflcati i nuovi elementi sono assorbiti senza una viva lesione di
questi,- in quelli gia solidificati per essere meno recenti, come ap¬
pare chiaramente negli strati piu esterni di un albero gia robu-
sto, non possono invece inserirsi i nuovi elementi acquisiti della detta energia se non a viva forza, rompendoli cioe e spezzandoli.
Ed ecco il contrasto tra il vecchio ed il nuovo non sostanziale,
ma accidentale.
La vita razionale dello spirito e appunto la piu recente ed
elevata forma della psiehe, che non puo manifestarsi senza le gia
meccanizzate forme della vita precedente sensitiva , ma die pur,
per tradurre in forme piii stabili, ossia in abitudini i nuovi ap-
portati clella coscienza, deve in seguito quasi violentare, scindere,
ledere, alle volte perfino eliminare come inutili le forme prece¬
denti dei processi psichici, di fronte ad altre nuove necessarie a
surrogarle. Ed in questo necessario e continuo affaticarsi della
psiehe , per assicurare i nuovi prodotti del pensiero col tradurli
in atti abituali e trasformarli in atti del senso che non assorbe
e non conserva se non solidificando e meccanizzando, sta quella
apparente contrasto tra senso e ragione che volgarmente e detto
lotta, ma che invece caratterizza il periodo dello scambio , della
sostituzione del nuovo al vecchio, secondo che si modificano Fe-
sperienze del soggetto e nuovi bisogni si affermano nella coscien¬ za delF individuo.
- 7-2 -
Questo lavorio della psiehe, che abbiamo paragonato a quello della vita vegetativa delle piante, riesce tanto piii proficuo quanto
pin accentuato oil contrasto tra le forme gia meecanizzate e quelle non meccanizzate dello spirito, cosi come negli alberi i cui frutti
tanto piii sono abbonclanti e gustosi per quanto piu strati soli¬ dificati si ritrovano nel fusto clelle piante die li producono, e mag¬ giore e il contrasto tra la parte solidificata e quella recentissima
non solidificata, ragione per cui quanto piii si scencle nella vege-
tazione si anno frutti meno' elaborati, meno gustosi. Sicche, da quanto abbiamo detto, risulta confermato che lo
apparente contrasto tra lo spirito e la natura non deriva dall'es-
servi una lotta sostanziale tra senso e ragione, ma solo dal fatto che molte idee vecchie e temporanee, meccanizzate nel senso, de-
vono, per principio connaturale del soggetto, cedere alia forza
delF idee nuove, che non si affermano pertanto senza quello sforzo
necessario a far si die esse acquistino piii ferma stabilita e piu
si purifichino attraverso le resistenze die incontrano , lasciando
cio die anno aneora d' imperfetto e non maturo.
Alle volte~ avviene die, non avendo raggiunto P elemento
nuovo la forza sufficiente per prendere posto tra gli elementi vec-
chi e tanto meno per sostituirli, la vita resta nello stato stazio-
nario senza quasi ne progredire ne dar luogo a regresso. Ma da
questo stato, die non puo durare a liingo, non si esce die, o col
rinvigorirsi delF essere e progredire di esso, o col suo deperire e dissolversi. Come, se nelF albero non si a sufficiente linfa di
dentro, merce Fazione assorbitiva delle radici, e sufficiente luce e calore di fuori, al vecchio mai si aggiungera il nuovo e la pianta
verra a deperire , cosi, se non si a nelF uomo un continuo svi¬ luppo interno del pensiero merce le continue e nuove esperienze
dei sensi che sono sempre le radici clella conoscenza, ed insieme
se le nuove idee die ne sorgono non sono accalorate e sostenute dal sentimento di evidente convenienza die le accompagni , non
mai le ultime conclusioni clella ragione saranno accettate dal sog¬
getto el applicate colla lesione od deminazione totale di incli-
nazioni sensitive. 11 die e non altro da ragione di quell'appa-
— 73 —
rente sforzo dell' io avvertito dalla coscienza qualora prevale su
tutte le altre impulsivita psichiche un' impulsivita ideale.
5) —Avendo dimostrato per varie vie che non si puo rico¬
noscere nelF avvertito sforzo delF io mai una causa, ma un sem¬ plice stato correlativo dell'adesione dell' io ad un principio ideale,
perche ogni idea rappresenta una novita dello spirito nel vecchio
mondo del sensibile, ne segue die e falso aneora che Paderire
delF io ad una massima. ad un alto concetto, ad uno scopo sublime,
ad un altissimo ideale e un seguirsi dallo spirito la linea della
maggiore resistenza nel senso voluto dal lames. Tra il dire die P io, aderendo in fine di una deliberazione ad
un principio ideale piuttosto che ad un principio sensitivo, a gia
incominciato a sostenere una delle maggiori resistenze da parte
degl' impulsi sensitivi ed appetitivi, ed il dire che la linea, che
esso segue nella decisione presa, e la linea di maggior resistenza
in opposizione a quella della minore resistenza, seguita da tutte
le altre forze naturali die esistono al mondo, vi passa una grande
differenza.
La falra interpretazione della natura dello sforzo, fin qui
trattato, fa si che s' interpreti pure erroneamente la direzione di
questo sforzo. Se veramente lo sforzo suddetto fosse causa del-
F aderire dell' io ad una massima, ad un principio, piuttosto che
ad una tendenza, allora, si, ne verrebbe, come appunto lames
deduce dal suo falso presupposto, die P io si deciderebbe, in tal caso, battendo la linea di maggior resistenza, e che, in opposi¬
zione al principio delle scienze fisiche die ogni energia segue
sempre-la linea di minor resistenza, il volere sarebbe capace di
seguire ora queFa di minor resistenza, ora quella di maggior re¬ sistenza.
Ma invece lo sforzo, di cui noi abbiamo coscienza in ogni
atto volitivo, come abbiamo gia innanzi dimostrato, e, se non ef¬
fetto, un semplice correlativo della decisione avvenuta per la pres¬
sione del motivo ideale esercitata sul soggetto con forza mag¬ giore di quella impulsiva del senso.
- 74 -
Se il lames vuol parlare della resistenza opposta al preva¬ lere cli un fine, solo come resistenza sensibile, e verissimo che il trionfo di un' idea porta seco la maggiore resistenza dei dati sensibili; ma se vuol parlare di resistenza assolutamente intesa, e dire die, nel trionfo di uno scopo ideale F io segue la linea della maggiore resistenza, egli s'inganna perche mostra di non
tener presente o di non tener conto di cio che fin ora siamo an-
dati ragionando circa la vera forza decisiva della deliberazione.
L'idea, a differenza della sensazione e della rappresentazione
che unite ai corrispettivi loro sentimenti anno una forza, Puna
propriamente impulsiva, Paltra appetitiva, divenuta anch/essa uno stato d'inclinazione del soggetto, si afferma come forza attrattiva,
e vittoriosa e non vittoriosa delle due altre forme psichiche, se¬
condo che si trovi di fronte a questa o quella forza impulsiva od
appettiva di minore o maggiore resistenza, e quindi, quando easa trionfa, fa si che F io trionfando, segue la linea della minore non
della maggiore resistenza.
Anzi, se vogliamo essere esatti, la resistenza in fatti di at¬
trazione e tin fatto accidentale, secondario, che non influisce a
far prendere a una data energia attrattiva una direzione piutto¬
sto die tin' altra , perche Fattrazione non ammette die una sola
direzione : quella della linea retta, Se mai vi e qualche resistenza, questa non altera la direzione ma semplicemente il punto di ap¬
plicazione di essa. L' attrazione o avviene o non avviene; se av¬ viene, avviene sempre in linea retta, e, se vi e qualche ostacolo, questo e capace non di cambiare la direzione, ma solo d'impedire la piu prossima adesione dei due obietti reciprocamente attraenti;
o non avviene, ed allora neppure e il caso di parlare di linea di
maggior o minore resistenza , ma sempre di maggiore o minore
attrazione Cosi non si puo dire die un masso, che, gravando su di un'asse,
la spezza e aderisce al suolo, aderisce a questo seguendo la linea
della maggior resistenza, sol perche ha dovuto vincere un osta¬
colo, per aderire al suolo : come neppure si puo asserire che il
pezzo di ferro die tende ad aderire alia calamita attraverso una
panca, al di sopra della quale detta calamita si trova, invece di
- 75 -
aderire al suolo, pur non essendo tra essa e questo alcun osta¬
colo, segue la linea di maggior resistenza, perche e in forza della
maggiore attrazione che si prende dalF oggetto attratto questa o
quella direzione. Una palla di piombo gettata a mire andra tosto
a raggiungere il fondo, vincendo, come se non vi fosse, ogni re¬
sistenza delF acqua; un'altra palla, invece, di legno, per la resi¬
stenza dell' acqua vi galleggia, pure attratta dallo stesso fondo e
nella stessa direzione. Ambedue le palle, sebbene non entrambe
vadano a fondo, si trovano sulla stessa linea di attrazione: la re¬
sistenza poi che v' intercede, vincibile o no, e un fatto acciden¬
tale, puo stare o non stare, senza che la linea che unisca la palla
col fondo del mare sia diversa, nelFun caso, da quella delF altro.
La forza impulsiva e centrifuga, e, andando dal centro alia
periferia, ad ogni ostacolo forma un nuovo centro di atti¬
vita ; per cui segue sempre la linea di minor resistenza, mentre
la forza attrattiva, essendo centripeta, va dalla periferia al centro,
e quindi tutti i mobili che si trovano alia periferia e sui quali essa
esercita la sua azione, non possono muoversi che solo verso il
centro e quindi solo in un verso; si possono arrestare , ma non cambiare direzione; per cui, se si puo in fatti di forze centrifu-
ghe parlare di linee di minore o maggior resistenza, in quelli di
forze centripete non si puo parlare ne delle une ne delle altre.
Ed applicati questi principii alia forza non impulsiva ma at¬
trattiva delle idee interessanti delle idee affettive, di quelle pas-
sate a stati emotivi ideali, ci troviamo per altre vie indotti a non
poter ammettere una legge nei fenomeni psichici volitivi ideali,
in opposizione a quelle dei fenomeni analoghi della natura, cioe
quella di seguire il volere, nelF aderire agPideali, la linea della
maggior resistenza, per cui sarebbe necessaria F assoluta inizia¬ tiva delF io.
6.) —- Ma il lames obbietta dicendo : Se in nensmi caso v'e
V intervento, Faffermazione assoluta dell' io, neppure quando av-
vertiamo quello sforzo straordinario che accompagna specialmente
il prevalere, nella deliberazione, di un' idea disinteressata, di una
— 76 — ■
massima, di un alto principio morale ; perche mai, quando si tratta del prevalere di siffatti motivi ideali, si parla di lotte, di resi¬
stenze, di vittorie, di trionfi, e quando invece si tratta del pre¬
valere doi motivi istintivi, appetitivi, non si parla ne di lotte, ne
di vittorie ?—« Colui che sotto il coltello del chirurgo, reprime le
gricla di dolore, egli dice, colui, che si espone al clisprezzo della societa per amore del dovere, sente di seguire la linea di mag¬
gior resistenza temporanea, e parla di conquistare, di dominare i propri impulsi e le proprie tentazioni. L'infingardo, invece, Pub-
briacone, il vigliacco non parlano mai in questi termini della loro
condotta, oppure non dicono di resistere alia loro energia, di su-
perare la loro sobrieta, di conquistare il loro coraggio, e cosi via.
Se in generale noi classifichiamo tutte le spinte delPazione, come
tendenze da una parte e come ideali dalF altra, non udremo mai Fuomo sensuale dire chela sua condotta risulta da una vittoria.
riportata sui suoi ideali, ma il moralista ci parlera sempre della
sua come di una vittoria sulle sue tendenze. II sessuale adopera
termini di inattivita, dice cioe che dimentica i suoi ideali, che e
sordo ai suoi doveri, e cosi via : usera, cioe, termini i quali sem¬
brano implicare die i motivi ideali per se possano essere smor-
zati senza energia e senza sforzo, e che la via di trazione piu
forte si trova nella linea della tendenza. Confronto a questa gli
impulsi ideali assomigliano ad una voce tenuissima die dev' es¬
sere rinforzata artificialmente onde prevalga.
« Lo sforzo e cio die la rinforza, e fa sembrare die, essendo
« la forza delle tendenze una quantita essenzialmente fissa , la
« forza ideale possa invece essere di gradi diversi. » (1) Esaminiamo un poco questa tentata dimostrazione della pos¬
sibilita dei casi in cui, con uno sforzo assoluto, P io batterebbe
col volere la pretesa linea della maggiore resistenza. Innanzi tutto il lames ci adduce P esempio di colui che, su-
bendo un'operazione, reprime le gricla di dolore. Ora che vuole
(1) Cfr. Principii di psicologia, pag. 810-11.
— 77 -
egli intendere, prima di tutto, col dire che colui che subisce la
operazione raprime le grida di dolore ? II semplice fatto del non
gridare mentre' dovrebbe e potrebbe griclare ; o pur tutto F oprato,
cioe il sottoporsi dell'infermo ed il sottostare al dolore volontaria¬
mente ? Nel primo caso F infermo, non griclando, incontra la mag¬
giore resistenza sensitiva, ma non batte la linea della maggior re¬
sistenza, assolutamente intesa, perche vi e il motivo della ripugnanza
alia vilta di fronte al dolore, e probabilmente, come in molti av¬
viene, anche quello delF esperienza gia acquistata, che il gridare
e una reazione che puo impedire la giusta esecuzione dell' ope¬
razione, motivi ambedue che si oppongono al voler gridare e ne
vincono la pressione della correlativa tendenza: e quindi la linea
seguita dal volere e quella della minore resistenza. Nel secondo caso, e forse proprio cosi come P intende Pautore, cioe nel senso
che Finfermo dovrebbe, per ragione della maggiore sesistenza da
parte del senso, non sottoporsi addirittura alPoperazione -e tutta-
via vi si sottopone, e da notare che P infermo, die gia sottosta
ad un' operazione, esegue una decisione gia presa, e quando P a
presa a paragonato i previsti dolori delPoperazione colla prevista
e temuta conseguenza del male patito, ad es. la morte certa, con
i dolori causati dall'atttiabile operazione ; e qui senza dubbio egli
a sentito maggiore la pressione della temuta morte die quella di
tutti i possibili dolori dell' operrizione, e si e trovato nella ne¬
cessita di dover scegliere tra due mali il minore per quanto do¬
loroso, necessita che continua durante P operazione per la quale
egli sentira fino all'ultimo momento d' incontrarc la maggiore
possibile resistenza sensitiva. ma non mai una resistenza maggiore
di quella gia incontrata nella nec?ssita di sottoporsi e sottostare alPoperazione (1).
Simil cosa e da dire di colui che si espone al clisprezzo della
(1) Ad esempio di cio valga quanto ci riferisce Silvio Pellico intorno alia risposta data dal Maroncelli quando, affetto di tin male alia gamba, nel carcere, gli si domando se era disposto a subire Famptitazione della gamba.
— YS —
societa per amore del dovere quantunque come caso non e asso¬
lutamente realizzabile perche, trattandosi di dovere, non tutta la
societa puo e suole schernire chi osserva le leggi, ma solo la
peggior parte, sebbene numerosa quanto mai.
Che poi l'infingardo, V ubbriacone, il vigliacco, P uomo sen¬ suale, non dicono mai di trionfare dell'energia, della sobrieta, del
coraggio, degl'ideali, mentre il moralista ci parlera sempre di vit¬
torie riportate sulle tendenze, significa die, altro e parlare della necessita di un fatto personate, ed altro e parlare della sua mo-
ralita, del suo valore individuale e sociale; significa che, dal punto
di vista etico, i risultati, i prodotti e le affermazioni della ragione
sono molto piu lodevoli, perche molto piii pregevoli, dei risultati,
dei prodotti e delle affermazioni rccise delle tendenze, cosi come Foratore dalla parola libera , pronta e suggestiva , dalF ingegno
acuto, e molto piu lodevole di quello die tali doti naturali non
a, cosi come e molto piu lodevole il fanciullo vivace e di pronta
intelligenza, die quello di tardo intelletto e di una eccessiva pla- cidezza, pur essendo in eta, come gPindeterministi riconoscono, di
non poter volere, pur trattandosi di fatti naturali, come gli stessi
indeterministi riconoscono,e non liberamente acquisiti. Significa che
il prevalere del senso sulla ragione non puo ascriversi a vittoria,
cosi come certi risultati favorevoli per un capitano di axmata
piuttosto die per un altro non si possono dire vitterie, appunto
perche non anno tutti i caratteri voluti da queste , come quello di aver inflitto gravi perdite al nemico e non averle subito , e
quello di aver conquistato qualche cosa, e cosi via. Significa che
il senso a tutti i precedenti a suo favore, di cui Pultimo risul¬
tato e una facile ed attesa ripetuta conseguenza, mentre i risul¬
tati del pensiero elevato, delFelaborate idee, sono novita rispetto ai precedenti sensitivi, sono per natura , secondo. qudlo che in¬
nanzi abbiamo gia detto, delle modificazioni di meccanizzate ten¬ denze, mentre per ordinario le affermazioni dello tendenze , non sono modificazioni delle idee. Cosi, nell'inF.ngardo che continua ad essere tale, Fidea delle attivita pronta, energica, solerte, non viene &d essere modificata nel suo valore dall'inerzia abituale del sog-
— 79 -
getto, mentre il trionfare di un volere ileale porta seco una mo¬
dificazione in tutto il soggetto, perfino nelle forme ed azioni sen¬
sitive del piu inveterato infingardo. Si parla, ordinariamente, sempre di trionfi ideali e non istin¬
tivi, perche riguardando questi il presente, e quelli il futuro, e per gli ideali che si allargano e si elevano gli orizzonti delle
nostre azioni e non per le tendenze degli altri due ordini psi¬
chici, e quindi e il maestoso prevalere di questa o quella alta
idea, che costituisce il continuo progredire dell'uomo ; ed ogni
progresso avuto in forza di un' idea e sempre obiettivamente par¬
lando, sia ammettendo il volere libero, sia ammettendolo neces¬
sitato, un trionfo per F uomo, trionfo che si attribuisce al sog¬
getto la cui piu alta manifestazione si a appunto nelP affermarsi
e prevalere dagli stati ideali divenuti , come piii volte abbiamo
detto, sentimenti ideali, idee affettive od emotive. Si parla ordi-
nariemente di trionfi d'ideali e non di tendenze perche, ordina¬
riamente, e piuttosto il senso che, per il suo elemento conserva-
tore, nega i diritti giusti ma innovatori clella ragione e non gia la
ragione che nega quelli del senso. 0 detto ordinariamente perche
■pure per il senso avviene talvolta che esso trionfi, nelle sue in-
conscienti ma sicure e giuste affermazioni, di ideali, nel vero
senso della parola, quando cioe Fidea esagerata a del falso, ed,
applicandola, viene a fare ingiustizia troppo acerba al senso; allora
e che la continua e forte riluttanza di questo ad essa finira
per conseguire una strepitosa vittoria ed affermare recisamente
F eterna intangibilita ed immodificabilita dell' ultima natura del
senso, cosi come quando si tratta di tendenze sensitive si, ma
estremamente necessarie alia natura umana e quindi inviolabili nelle
loro esigenze finali. In questo caso avviene che in fine di una
certa lotta, invece di avere il prevalere di ideali bugiardi, avremo
quello di tendenze veraci, ed invece di veder trasformarsi Fideale
in tendenza vediamo elevarsi la tendenza, nella necessita ed im¬
portanza dei suoi fini, all'altezza di pur concreti ed applicati ideali.
E non mancano nella storia e familiare e sociale dell'nomo i periodi
in cui ad una esagerata mortificazione ed oppugnazione dei sensi e
- 80 —
sottentrata con un certo trionfo una lodevolissima moderata so¬
disfazione dei medesimi. Non segna forse appunto il trionfo del-
Fintangibilita dell'esigenze istintive la reazione delFepoca moderna
contro la vita claustrale del medio evo ? Come vi sono i casi in cui il senso, troppo immediato nelle
sue abitudini. impedisce il legittimo progredire dell'idea, e ne son
moltissinv. . >i nen mancano quelli in cui Fidea imperfetta, rozza, non daborata e troppo aneora inadatta fa guerra. non per natura
ma per aceidentalita, al senso e lo Ariolenta oltremodo, come quando ad es, neiroriente crea gli eunuchi, nelF Austral'a e nelP Affrica
gFinfeconcli deformati, e nella tanto vantata civilta ocddeutale i
celibi forza ti. Ma perdie questi casi sono piii addebitabili alle classi che
alPindivicluo, per F individuo si seguita quasi solo a parlare di
trionfi riportati dalle idee sulle tendenze e non di quelli che pur si riportano dalle tendenze sulle idee. Quante volte intanto non si loda la costanza cli quel giovane die e riuscito dopo molte lotte
a sposare una vsghissima fanciulla , contro la volonta dei suoi, sol perche forse di condizione piii bassa, in virtu di una costanza
a base delle sole clisposizioni naterali clelPistinto ? Senso e ragione fanno un solo uomo ; e non e la prevalenza
delFidea sul senso,- o del senso sulFidea die costituisce il vero
trionfo umano, ma e qudlo del giusto rapporto fra entrambi, e
la, dove prevale la giustizia e F ordine con coscienza illuminata contro P ingiustizia e il clisorcline^ derivante dalF ignoranza del
nuovo o clal cieco clisprezzo del vecchio , ivi si avvera un vero tiionfo ; ed in fatti di giustizia e di ordine accanto all'idea anche il senso a la sua parte, ed il voro trionfo e Farmonia tra senso e
ragione donde deriva il detto nuns sana in corpore sano. Perche mai, dice il lames, l'infingardo,6 Pubbriacone, Fuomo
sensuale non parlano cli vittoria e quello morale si ? Perche senza dubbio il seguire le tendenze e battere ordinariamente una via gia seguita tante altre volte : e mettersi per una via gia vecchia e attenersi a delle abitudini die armonizzano col passato, e quindi jiessuna sensazione si a allora di rincrescimento, di contrasto, perche
— 81 —
tutti gli elementi, che entrano in attivita, tendono alio stesso scopo
prossimo dell'immediata sodisfazione. Ma quando si tratta di dover
seguire un' idea non aneora divenuta abitudine, e tanto piu se non
aneora e stata a dottata , allora si sente nelF effetto e non nella causa dell'adesione, uno stridere di fatti, di elementi, cosi come avviene dello stridere delle rotaie, le prime volte che il treno passa
per una curva mai pronunciata e non aneora perfettamente sog-
giogata ; ed allora si avverte tutto il contrasto, tutta la resistenza
da parte del vecchio che , pur cedendo al nuovo che interviene,
fa da indice del grado della forza con cui prevale il nuovo in¬
dirizzo del processo volitivo, e che da luogo al sentimento di
sforzo e di vittoria per il trovarci noi sulla linea del progresso
ideale. Non si parla di \ittoria ordinariamente nel primo caso,
ma nel secondo, perche il prevalere della tendenza rappresenta
lo statu quo ed il prevalere dell idea rappresenta il divenire, Pe-
volversi, Felevarsi dello spirito, sempre obiettivamente parlando.
Infine e da notare che , durante il periodo deliberativo , non si
deve parlare di nessuna lotta, perche il conato volitivo, che allora
interviene, interviene non per dare forza a questa o quella corrente
psichica, ma per inibire tutte le possibili impulsivita, finche alia
coscienza non risulti evidente la maggiore convenienza di una di
esse. Avvenuta la decisione non aneora a luogo ne vittoria ne
sconfitta , prima perche il soggetto fino al momento della deci¬
sione non a lottato ma solo a valutato ed infine a sentenziato, e
poi a attestato, colFio voglio, essere questa o quella il partito a lui
piu conforme non come spiiito, non come senso, ma come total ita,
e quindi egli non si puo sdoppiare in vindtore da una parte e vinto dall'altra.
Bisogna venire alPesecuzione per avere gli elementi per co¬ stituire una vittoria. E, certo, quando si tratta dell' esecuzione
di una tendenza non si risente nessuna resistenza sensitiva, perche
si tratta di seguire una linea gia piu volte seguita, una linea di
abitudini; e se non vi h la resistenza di cio che viene abbattuto
non vi sara neppure ombra di lotta e di vittoria; F uomo sen¬
suale che seguita ad esser tale non perde nulla del presente, non
- 82 — <
della, soddisfazione dei sensi, pe:che non li contrasta, non della soddisfazione degli ideali perche non li a accettati,»el momento della
decisione. Se, al contrario, si tratta delPesecuzione di un ideale, allora si che il soggetto sente la resistenza clelP abito contrario attraverso il quale clevesi aprire il varco, eel allora si die si sdop¬ pia nel senso, cla una parte, die perde delle gia acquisite abitu¬
dini, e nella ragione, dalFaltra, die si afferma coi suoi nuovi in dirizzi e colle sue creazioni.
Ed e tanto vero cio, che solo nelFesecuzione si a una prova
certa del vero fermo volere, E nelPesecuzione die si vede tutta la forza della prevalenza delF ideale coll" i ulice della resistenza del senso, indice die lo stesso lames non puo clisconoscere (1).
In conclusione tutti i trionfi, die anno luogo principalmente
col prevalere delle massime e dei principii ideali, sono affatto
una prova delFassoluta liberta del volere ; essi sono trionfi ob-
biettivi, die noi pel correlativo sentimento di compiacenza che proviamo per vederci piii innanzi nella via del progresso, ce li- attribuiamo come nostre iuiziatrre assolute, mentre in realta non
sono die relative, e ce ne facciamo un vanto die portato al di la del merito obiettivo, e ingiusto.
E da concludere adunque die, se non puo mai 1 io per ini¬ ziativa assoluta far prevalere questo o quel motivo, resta chiara-.
mente provato che anche nello stadio piu elevato della vita psi¬
chica i processi volitivi si'svolgono secondo le stesse leggi che
regolano il volere nelle sue forme inferiori. E quindi anche Fatto
volontario propriamente detto e determinato dal prevalere natu¬
rale di questo o quello stato iclcale-emotivo. E quanto piii grave e piu importante clovra essere Fatto volontario , tanto piii alto
ed elevato clev'essere Fideale, e piii forte e sentito dev'essere il
corrispondente sentimento. La mancanza delFuno o dell'altrd di
questi due fattori a fatto gemere per secoli e secoli intieri popoli
(1) Cfr. Principii di psicologia, pag. 811.
— 83 —
sotto Foppressione della schiavitu. Per mancanza di nobili senti¬
menti e di alti ideali si trovano aneora alio stato di barbaric
tante tribu selvagge, e, per mancanza di progredita coltura gene¬ rale nelle masse, e di nobili sentimenti nelle classi dirigenti, la
Russia continua aneora a mandare alle for che a centinaia i suoi
sudditi. Perche le idee di uguagliarza, fratellanza e liberta, gia
predicate e diffuse alquanto in principio del Cristianesimo, non
erano aneora divenute sentimenti delle masse, fino al 1789 si
avevano tante e profonde dist i azioni di classi, e perche le idee
li liberta e di indipendenza non aneora erano divenute sentimenti
popolari clella nostra nazione fino ai 18G0 stemmo sotto catene s'iraniere. Solo quando, insomma, gli scrittori in generale ed
i poeti in particolare anno caldeggiato e celebrate un' alta idea e F anno divulgata e resa familiare a tutte le menti piu colte e
meno colte, e Fanno fatta divenire palpito generale ed incessante di tutti i cuori, allora solo allora Fabbiamo vista trionfare ed
intieid popoli sorgere contro Foppressione di ogni sorta, combat¬
tere contro il senso del dolore e conquistare Pideata, vagheggiata e sospirata meta.
PARTE IL La determinazione dei volere studiata in rapporto
al'a testimonianza della coscienza
i.
GP indeterministi , non riuscendo a negare il rapporto
causale tra il volere ed i suoi antecedenti affettivi e rappresen¬ tativi dal lato psicologico, si sperano poterlo negare da altri punti
di vista. Ed innanzi tutto essi negano la causalita naturale del
volere in nome della coscienza, dicendo: Se la ragione pura non
ci parla'clella liberta metafisica del volere, ce ne assicura piena¬
mente la ragione pratica ; se la scienza sembra essere contro della
liberta, la coscienza di ognuno corre ad attestarla irrefragabil-
mente. Ecco la rocca inespugnabile clelFindeterminismo : il testi- mone della coscienza.
Ora vediamo se tale rocca veramente e inespugnabile, cioe
se veramente la liberta assoluta del volere ci viene attestata dalla coscienza.
1.)—E prima di tutto notiamo che, mentre da una parte gPin¬
deterministi ci dicono che contro ogni teoria psicologica deter¬
minista vi e il fatto innegabile clella testimonianza della coscienza,
che ci attesta di esser liberi nel volere, dall'altra i deterministi
rispondono essere Finvocata testimonianza della coscienza umana una pura illusione.
— 86 -
Ora, o e vero che la coscienza ci attesta la liberta assoluta del nostro volere, o non e vero.
Nel primo caso. gP indeterministi anno tutta la ragione di
dire ch'e inammissibile il pensare come un'illusione una testi¬
monianza della coscienza, perche, se puo aver luogo un'illusione
qualora una cosa e percepita dal soggetto mediante qualche in¬
termezzo, ad es : merce qualche organo di senso, non puo sor¬
gere certo quando si tratti di fatti di coscienza in cui Poggetto
e appresso dal soggetto direttamente, immediatamente. Se noi ci
possiamo illuclere nel vedere un obietto per un altro, per difetto
dell'organo della vista, come quando ci sembra di vedere un essere
animato invece di tin essere inanimato, non ci possiamo illudere certo sulla veracita di un dolore c piacere die avvertiamo, o pure
sulla realta di uno sforzo emesso nelP attuare una volizione.
E poi, se pur fosse possibile una simile illusione, come si
potrebbe questa mai riconoscere ? Perche si riconosca un'illusione e necessario insegnano i psi¬
cologi che siano noti i due stati su cui cade Pequivoco, perche si
possa passare dallo stato d'illusione a quello di realta ; ma, atte-
standoci continuamente la coscienza esser noi nel volere perfetta¬
mente liberi benche erroneamente, come mai potremmo uscire da
un' illusione cosi permanente ? Forse mediante non la stessa co¬
scienza ma merce la ragione ? Ebbene ognun sa che la coscienza
non la cede al ragionamento, come giustamente nota il Masci, e
che datosi un fatto positive attestato dallacos cienza ed in oppo¬ sizione a questo una deduzione negativa da parte della ragione,
ognuno nella pratica si attiene, piuttosto che a quest'ultima, alia
testimonianza della coscierzi. Se poi e vero il secondo caso, die cioe la coscienza non ci
attest! la liberta del volere, allora tanto meno si deve parlare di illusione di una testimonianza di coscienza die non a luogo ; si potra solo parlare di esagerazione di un'idea die da relativa,
qual'e, e stata appressa erroneamente come assoluta. Per cui il nostro attuale compito e quello di vedere se ve¬
ramente la liberta assoluta del volere ci viene attestata dalla co-
- 87 -
scienza, e se la conclusione sara negativa, spiegare come e sorta
P idea della liberta assoluta del volere.
Che ci dice mai la coscienza ? Ci attesta essa esplicitamente,
direttamei te che noi, quando' vogliamo, vogliamo non in forza
di precedenti psicologici, ma liberamente, dando cosi principio,
in modo assoluto, ad una nuova serie di atti ?
• Una tale testimenianza data dalla coscienza fu gia negata
dal Reid, dallo Schopenhauer e presso a poco anche dal Renouvier,
e non senza ragione. II Reid gia fece notare die, ammettendo che nell'operare si
abbia coscienza che si possa non oprare, si viene ad asserire, in
altri termini, che si a la coscienza della potenza delF atto fuori
delPatto, mentre noi sappiamo die e dall'atto die si argomenta la
potenza di e-so, mediante non tin' attestazione diretta della co¬
scienza, ma mediante un ragionamento (1). Lo Schopenhauer
rafforza Fargomento del Reid, e dice die la coscienza ndla sua
omogenoita non va al di la del soggetto e quindi del volere,
mentre circa i rapporti delle volizioni coi motivi die vanno al di la dei soggetto ci puo istruire solo la conoscenza. (2) Ed il
Masci riconosce che Fidea della liberta non ci viene cla tin fatto
da una realta, da un attestato diretto della coscienza, ma da un
ragionamento ; e lo prova dicendo die la coscienza non e che
un teatro interno, una scena in cui si svolge il fatto della
volizione, non le sue attiiienze o possibilita. La coscienza ci pre¬
senta il fatto della A olizione attraverso tre momenti: il conflitto - dei motivi, il prevalere di uno di essi ed il tradursi della deci¬
sione in azione, ed in nessuno di questi momenti, dice il Masci
a luogc Pimmediata apprensione della liberta d'indifferenza ; e quindi la convinzione di detta liberta e un' illazione, tin' inferenza una conclusione di ragionamento. (3)
(1) Coscienza, Volonta, LiberU—Masci, pag. 252 e 253. (2) Ibid., p. 314. (3) Ibid., p. 314-315.
E in un congresso di scienziati, avenlo un indeterminista
obiettato, com: narra il Lombroso, cbe la sua coscienza gli gri-
dava di essere pienamente libero, il Moleschott si alzo di scatto
e « con voce e con faccia leonina esclamo ; anche noi tutti qui
abbiamo una coscienza, ed essa ci grida il contrario ! » (1)
Ora, se si trattasse di tin attestato di coscienza, chi mai po¬
trebbe negarlo ? e come mai un Lutero si sarebbe potuto appellare
appunto alia testimonianza della coscienza, non per sostenere il
liberum arbitrium ma il servum arbitrium? Potra mai la coscienza
in diversi individui parlare diversamente ?
2.) — Se riscontriamo un po' i fatti vedremo che la coscienza
ci da, si, U testimonianza di una liberta, ma di una liberta che
non e quella degl'indeterministi. Infatti quando e die noi sentiamo o diciamo di aver voluto
davvero liberamente ? Quando in noi non e'e stata nessuna coa- zione da parte di qualche causa esterna od interna ; e questo per noi allora si avvera quando da nessuna parte ci viene alcuna
violenza, quando Fimpei ativo di questa o quell'azione ce lo fac¬ ciamo noi stessi e ce lo imponiamo mediant© quelle tacite ed
implicite espressioni: e giusto, e conveniente.—Ed in questo caso ci sentiamo liberi, senza dubbio, perche riconosciamo essere noi stessi
autori delle nostre azioni, cause prossime di queste. Se noi ci
sappiamo, per coscienza immediata, autori, cause prossime delle
nostre azioni, come non sentirci pure liberi ? Ma dal sentirci li¬
beri da ogni violenza esterna ed interna per testimonianza im¬
mediata della coscienza, al credere che questa ci attesti di essere liberi anche inetafisicamente parlando, ossia liberi non solo da ogni
violenza, ma anche cla ogni necessita ed esterna ed interna, ci
corre un abisso : necessita e violenza non sono la stessa cosa. La coscienza non ci da adunque il sentimento delFassoluta
(1) Cfr. G. B rghotti — Sulla via della Scienza - p. 175.
— 89 -
liberta del volere, ma semplicemente quello di una liberta rela¬
tiva, in quanto cioe una data volizione procede proprio da noi
senza esterna violenza; e, per parlare il linguaggio gia usato, la coscienza ci attesta non Fessere noi assolutamente liberi nel de-
terminarci al volere, ma solo essere noi causa prossima delle no¬
stre volizioni, ci attesta non la liberta, ma la sola causalita del¬
l'io nel volere.
E, prescindendo t dal fatto che Fio, comunque considerato,
e, nella sua natura, sempre un certo che di determinato
che si muove secondo i propri bisogni e le proprie tenden¬
ze , cioe appunto secondo i precedenti stati affettivi , che non
anno nulla di metafisicamente indeterminato ; senza dubbio ,
non cogliamo per testimonianza di coscienza nessun momento
delF io al quale non si riferisca un date stato psichico, da
cui poi prendere mossa ogni conseguente volizione.—La coscienza ci presenta il fatto della volizione non come fatto a se, ma in
connessione coi suoi precedenti, con i quali e in un rapporto cosi
intimo da non poterne affatto disconoscere il carattere causale,
perche ognuno sa che in ogni caso ci decidiamo a rolere questa
o quella cosa, per un motivo gia precedentemente presente alia
coscienza: Per il che nota bene il Masci che accanto alia cosi
detta coscienza della liberta vi e quella della motivazione del volere
(1) come lo stesso ammette il D' Ovidio. (2) E questa seconda
coscienza della motivazione del volere e che rettifica il concetto
che erroneamente ci possiamo formare della liberta del volere pur
attestata dalla coscienza; queste due attestazioni di coscienza
che non sono affatto contradittorie tra loro, danno luogo ai due
consensi universali degii uomini giustamente riconosciuti dal
D'Ovidio, mentre invano il Morando cerca di contraddirlo (3) ;
(1) Coscietssa, Volonta, Liberia, pag. 315. (2) Nuova antologia, pag. 192-93 - Morando - II proclema del libero
fcrbitrio - pag. 265. (3) Op. cit,, pag. 266-67,
— 90 -
Funo circa la liberta del vole re, e Faltro circa la possibilita di
prevedere sicuramente le altrui decisioni.
E adunque la coscienza che abbiamo della motivazione del
volere che ci terra lontani dal credere assoluta e non relativa la
liberta che sentiamo di esercitare nelle volizioni, e che ce la fara
considerare come semplice spontaneita ed autonomia del soggetto.
Per cui la liberta di volere e la motivazione, entrambe attestate
dalla coscienza, si traducono Puna in causalita soggettiva e Pal¬
tra in volere determinato , e cosi abbiamo da un lato la spon¬
taneita e dall'altro il determinismo; e spontaneita e determinismo
non sono contraddittori. E della spontaneita e non di altro die ci parla la co¬
scienza, per la quale ognuno, anche in vista di un motivo inte-
ressantissimo , non si crede affatto violentato da esso, perche a
la coscienza che questo o quel motivo non e per lui niente di
estraneo che possa su di lui esercitare una violenza, e perche, se si sente e si riconosce causa prossima delle sue volizioni, si
sente pure di esserlo in forza di questo o quello stato motivale
da cui egli non puo scindersi. Ma spesso, dicono gP indeterministi, la coscienza ci attesta
di volere contro questo o quel motivo, il die avviene special¬
mente quando ci decidiamo contraddicendo alle nostre stesse ten¬
denze ed appetiti. Ma qui, rispondiamo, non si tratta di tin con-
traddire, attestato dalla coscienza, ad ogni sorta di motivi, pre¬ scindendo cosi da ogni stato psichico antecedente o concomi¬
tante del soggetto, ma semplicemente di un contraddire ad un
dato motivo per il prevalere su di esso, di tin altro meno istin¬
tivo ma piu attraente, meno sensibile ma piu efficace. Se con-
trastiamo le nostre stesse tendenze ed appetizioni per seguire
delle massime e degl' ideali, con verace testimonianza della co¬
scienza, non ci c eterminiamo a volere cosi senza il prevalere di
un motivo piii nobile. II motivo prevalso non manca mai in qualsiasi deliberazione; e cio abbiamo alquanto ampiamente di¬
mostrato, innanzi, nella prima parte di questo nostro studio ; e
la stessa nostra coscienza ce Fattesta.
— 91 —
Quando adunque la coscienza ci attesta di liberamente vo¬
lere, in vista di un ideal©, anche allora, da un lato, ci attesta la
motivazione del volere, e, dall'altro, la liberta relativa o sponta¬
neita del volere. E quindi, come errano gPindeterministi quando bruscamente
passano dalla liberta psicologica e relativa delF io ad ammettere
quella metafisica ed assoluta di esso, per quella tendenza i-nnata
di passare facilmente dal particolare al generale, dal relativo al-
Fassoluto, cosi errano i deterministi nel dire die la testimonianza
della coscienza dolla liberta del volere e tin' illusione, giacche,
come abbiamo dimostrato, non si riduce ad un' illusione la te¬ stimonianza della coscienza, ma la semplice credenza nella liberta
assoluta del volere invalsa per la errata interpretazione di tale
testimonianza. La coscienza ci attesta semplicemente di essere liberi, ed in
questo non c illude; ma circa il fatto, se siamo liberi assoluta¬
mente parlando o relativamenti, se solo da < gni necessita esterna
o pure anche da ogni necessita interna, e da dire ch' essa tace.
E a tal quesito cerca di rispondere la rag:one con le sue dedu-
zioni; ma questa, sebbene non sia altro che la stessa coscienza,
pure, perche ci parla non piu immediatamente ma mediatamente,
si trova nella condizione cli non cogliere sempre nel segno e di
illuderci spesso. E cosi e avvenuto circa la risposta al suddetto quesito.
II.
La ragione, esageranclo la liberta attestata dalla coscienza,
in forza di erronee interpretazioni di fatti psichici, che accompa-
gnano il sentimento die abbiamo di essa, e di fatti sociali di cui
si e dimenticata, attraverso i secoli e le generazioni, la vera na¬
tura e la vera origine , ci a fatto credere liberi di una liberta
che va al di la dell' indipendenza, della spontaneita, dell' auto¬ nomia.
La ragione, fermatasi a considerare il modo di agire delFio,
- 92 —
al presentarsi alia coscienza di questo o quel motivo, ed il modo di comportarsi della societa di fronte alle diverse azioni dei sin¬
goli individui, li a interpretati erroneamente ambedue , ed una
piu erronea conclusione a data circa la natura della liberta del volere.
Cosi moltissimi filosofi (fortunatamente non tutti) si sono af-
frettati a diehiarare il volere assolutamente libero appunto per¬ che, come ben nota lo Schopenhauer e giustamente conferma il
Masci, (1) tra causa-motivo e Fazione die ne segue si nota un'ap¬
parente incoerenza facile a creelerla, sebbene erroneamente, per indipendenza; incoerenza questa che se massimamente si verifica
nella serie causale intdlettuale, non si verifica solo in essa, ma
comincia perfino da1 la mecoanica, ed in modo progressivo va
sempre piu crescendo quando si passa dal mondo inorganico a
quello organico , da questo a quello puramente animale , e da
questo a quello dell' uomo. E quest a incoerenza appare massi¬
mamente nella serie causale moth ale , perche la volizione non
sempre a noi sembra seguire immediatamente il motivo, ne sem¬
bra esserne sempre P equivelente. E tanto piii una tale incoe¬
renza a lasciato credere che non si debba ammettere il principio
di causalita nel volere, per quanto piii con essa connette il fatto
che ogni volizione e effetto , come dice il Masci, non del solo
motivo, ma di questo e del fattore personale. E siccome il fattore personate, die sogliamo indicare con la
parola carattere, si confonde con Fio, Pio finisce per credersi au¬
tore ultimo delle sue volizioni, cioe libero di volere.
Ma le ragioni principali per cui F uomo, mentre prima non
si riteneva che semplicemente libero da ogni necessita esterna,
come ci attesta la storia del pensiero e delle religion! che qui
omettiamo di rifare, quale soggiogatore di tutti gli altri
(1) Coscienza, volontd, libertd, pug. 315.
— 93 —
esseri e non soggiogato , a finito poi per attribuirsi una liberta
assoluta, una liberta non solo di fare ma anche di volere, si ri¬
trovano nella grandi difficolta incontrate in seguito dalF uomo
nel volersi dar ragione delle legislazioni e sanzioni sociali.
Egli, riflettendo su di queste, e non comprendendone allora per
allora il valore, e non conoscendone P origine, s'e trovato nella
condizione o di negare ad esse un valore assoluto o di attribuirsi
una liberta assoluta. Cosi, mentre gia i Pitagorici avevano ammesso essere tutto
retto dalla necessita, tanto F insieme quanto le parti, e gia So¬
crate e Platone avevano dovuto ammettere il determinismo psi¬
cologico, venuta su la quistione del valore delle sanzioni sociali,
Aristotile, per salvare il dritto di punire ed il principio di re-
sponsabilita, combatte il determinismo socratico e propugna la
liberta assoluta del volere. E dopo che gli Epicurei sostennero la
liberta assoluta per il carattere individualistico, come dicono i cri-
tici, della loro etica, in perfetta opposizione alPuniversalita e al
cosmopolismo proprii della dottrina degii Stoici, che sostenevano
il determinismo psicologico di Socrate, la dottrina favorevole alia liberta divenne prevalente, ma non per altre ragioni che per la
tendenza dell'uomo a liberarsi da ogni necessita, e specialmente
per spiegare e giustificare le legislazioni e le sanzioni civili e
sociali, die i filosofi non seppero giustificare, neppure dal lato
storico, senza ammettere nelF uomo la liberta assoluta del vo¬
lere. E come Aristotile cosi F ultimo dei Peripetetici, Alessan-
dro d'Afrodisie, il piii importante annotatore di Aristotile, com¬
batte il determinismo specialmente per le conseguenze morali,
cioe perche questo viene, secondo lui, a negare il principio di responsabilita e le corrirpondenti applicazioni.
II pensiero filosofico , di fronte alle sanzioni delle leggi
confortate e sostenute nelle singole coscienze degl' individui da
una inveterata abitudine e adattamento ad esse, formatisi per
una lenta ma efficace educazione impartita attraverso le prece¬
denti generazioni, non a saputo procedere nelPesame del volere
senza prima giustificare per il momento il presente, lo stato at-
— 94 —
tuale degli abiti acquisiti, che doveva , senza dubbio, esercitare su di esso la piii forte pressione.
E questo ^sso a fatto durante il periodo greco dopo Pla¬
tone, e molto di piu, nel periodo del medioevo con la Patristica
e la Scolastica, riuscendo perfino ad invocare la testimonianza della coscienza , die, come abbiamo brevemente dimostrato, non
e altro in realta die solo un riflesso di abitudini mentali e di
concetti esagerati die son da correggere.
Ma quando con PUmanesimo e la Riforma esso pensiero fi¬
losofico ando rievocando il passato e ricercando in questo le ori¬ gini e le basi di ogni principio e sanzione morale , allora si ri-
torno al determinismo e spec'almente prima col Pomponazzi, che
contro Aless andro d'Afrodisie sostenne die, ammettendo la liberta come indifferenza del volere, questo non potrebbe attuarsi che
sotto Finfluenza di una causa esterna, e poi con Martino Lutero.
E nei tempi posteriori il determinismo filosofico trovo sempre
piu nuovi ed autorevoli sostenitori, quali lo Spinoza, il Loche,
il Leibnitz, il Priestley, il Yoltaire, ecc, al pari che ai tempi
nostri il fior fiore del mondo scientifico segue appunto il deter¬ minismo non per altra ragione die per quella che il principio di
causalita e il fondamento cli ogni scienza sia del mondo fisico
die di quello psichico. E cio, die e avvenuto nel processo storico del pensiero col-
lettivo, e avvenuto anche in quello del pensiero individuale, cioe
il ritornare clalF indeterminismo al determinismo.
Infatti, se lo Spinoza non fu realmente prima Cartesiano e quindi indeterminista, e poi determinista, ma sempre determini¬
sta, certamente il Priestley prima difese la dottrina della liberta e poi ne fu deciso avversario nella « Dottrina della necessita fi- losofica », ed il Voltaire prima sostenne la liberta del volere nel « Trattato cli metafisica » e poscia nel « Philosophe ignorant » e
nel « Principe d'Action » propugno il suo rigido determini&mo.
Intanto, come gP indeteiministi, esageranclo per via di er- ronei concetti la testimonianza della coscienzav riuscirono ad in-
— 95 -
vocare questa a favore dell' assoluta liberta del volere, cosi Lu¬
tero, esagerando il sentimento della motivazione del volere, giunse ad invocare la stessa coscienza come testimone della necessita del
volere, — Ma, come abbiamo veduto la coscienza lion ci attesta
ne la liberta assoluta ne la necessita ultima del volere, ma solo la spontaneita di esso.
E perche a un tal quesito la risposta adeguata non ci puo
venire dalla coscienza, ma solo clalla scienza, e, gia per confes-
sione dei filosofi, la scienza speculativa esclude Findeterminismo,
non ci resta che vedere se la scienza morale lo includa neces¬ sariamente.
PARTE III
La determinazione del voiere studiata dal lato etico.
GY indeterministi, dopo di aver tentato invano di dimostrare
che la liberta assoluta del volere non manca nel fatto ed e quindi
reale, in forza della pretesa testimonianza della coscienza, cercano
poi per convalidare le precedenti conclusioni, di dimostrare che
detta liberta e anche assolutamente richiesta dal mondo morale,
e che quindi e anche moralmente necessaria. Ed infatti dicono
che la liberta metafisica del volere e un necessario presupposto
delF idea del dovere, dell'idea del bene morale e dell' idea delle
sanzioni,
Ora vediamo se e cosi.
L' Ambrosi, partendo dall'idea del dovere, dice :
« Tra le idee fondamentali della coscienza morale c'e quella di un bene in se, di una perfezione suprema, la quale ci appare
non soltanto come un ideale platonico cla semplicemente deside-
rarsi, ma come un modello da imitarsi, come un fine da perse-
guirsi, insomma come qua] cosa di obbligatorio per la nostra at- tiviti: ora come puo il determinista far posto nel suo sistema
alF idea del dovere ? Poiche il dovere non e, com' egli sostiene,
di natura coattiva, si da essere subito nostro malgrado, ma di na¬
tura obbligatoria, si da essere spontaneamente accettato dalla vo¬
lenti a cui e imposto e che lo riconosce come tale anche quando
lo trasgredisce; il che non avviene di tanti altri precetti a lui
estranei che essa non acoetta e da cui non si sente punto obbli"
— 98 -
gata. Accettare il dovere come una legge categorica assolutamente
obbligatoria, tale cioe da sussistere universalmente, quali che
siano le circostanze e gF interessi in conflitto con essa, significa riconoscere a noi stessi la facolta di adempiere questa legge in
ogni circostanza, contro ogni interesse, significa in altri termini essere liberi » (1).
Ora contro questo ragionamento e da far notare quanto segue: 1) In primo luogo, affatto per il determinista il dovere e di natura
coattiva si da essere subito nostro malgrado; anzi piii si e determi
nista e piii si fa coincidere il dovere coi fini naturali e spontanei
dell' uo.no. Quanto piu si e determinista piu si parla di una morale che elimina tutti quei pretesi doveri die violentano per¬
manent emente la natura umana, e non ammette il dovere che come qualcosa di conforme alle tendenze ed aspirazioni umane.
Quindi, come si vede, tanto il determinista quando F indetermi¬ nista convengono nelP idea che il dovere e qualcosa di sponta¬ neamente accettato dalla nostra volonta, ossia die il dovere segna
la norma del retto tiso delle nostre facolta, la tendenza ultima
del nostro oprare, la meta delle nostre azioni, il fine ultimo della
nostra vita. Se il determinista rigetta alcuni doveri tradizionali
come coattivi, non rigetta il dovere in generale perche coattivo,
ma solo quelle applicazioni di esso die sembrangli essere di na¬
tura coattiva. Stabilito che tanto per F indeterminista quanto per il deter¬
minista il dovere e spontaneamente accettato dal volere, resta a
sapere se la spontaneita di un fatto qualsiasi e ammissibile o no da entrambi i sistemi, perche possa in entrambi aver luogo Fidea
del dovere. Se la spontaneita fosse un sinonimo della liberta, allora si
che il dovere, non potendo essere accettato die liberamente dal
volere, non sarebbe possibile nel sistema cleterministico ; ma la spontaneita non coincide colla liberta e non ne e neppure un si-
(1) II Primo passo alia Filosofia p. ILL
— 99 -
nonimo: la spontaneita e una condizione necessaria della liberta,
ma non la costituisce; la spontaneita e in contrapposizione all'a¬
zione violenta esercitata da una causa esterna su di tin soggetto,
non a quella prodotta necessariamente dalla natura stessa di questo
soggetto; essa e il contrario della coazione o necessita esterna,
n on delF esigenze o necessita interna. Per il che la spontanea
accettazione del dovere e tanto conciliabile col determinismo che
non nega insieme con la liberta assoluta anche quella relativa o
spontaneita, quando con P indeterminismo che ammette la liberta assoluta.
2) — In secondo luogo, non e esatto il dire che « Fa?cettare
il dovere come una legge categorica, assolutamente obbligatoria,
significa riconoscere a noi stessi la facolta di adempiere questa
legge in ogni circostanza, contro ogni interesse, significa, in altri
termini, essere liberi ». Ed eccone le ragioni:
II dovere s' impone a noi categoricamente, assolutamente sotto la formola gererale astratta: segui il bene e fuggi il male: ma in
concreto, se nel suo imperativo non cessa di essere puramente
assoluto, diventa relativo pero nel suo contenuto, perche dipende
dalla valutazione razionale emotiva delF individuo ; e ne segue che
noi tanto ci comportiamo in modo conforme al dovere, per quanto
rettamente ne valutiamo il contenuto volta per volta, e, quindi,
pur restando continua, assoluta, universale, Pobbligazione del do¬
vere, noi nella pratica P adempiamo quando rettamente giudi¬
chiamo il da fare, e non P adempiamo quando in tal giudizio ci
siamo ingannati. Nessuno vorra volontariamente trasgredire il dovere, secondo il giusto detto di Socrate e di Platone.
Quello che vale per il dovere formale non vale per quello
reale. II dire che il dovere si afferma come una legge categorica,
come un'obbligazione assoluta, e che poi puo essere trasgredito,
pur seguitando a sussistere come legge universale, assoluta, e
confondere il dovere formale con quello reale, e questo con quello.
Cio che viene trasgredito non e mai la legge universale del do¬ vere, ma un' applicazione concreta di esso, creduta cli valore non
assoluto ma relativo. Nessuno si sente non obbligato dal dovere
— 100 —
come principio, come legge suprema, come termine ultimo dej nostro oprare, ma, nella pratica, per una falsa ed oscillante in¬
terpretazione possiamo benissimo intorno alia linea retta che mena al fine universal, oggetto del dovere universalmente inteso,
fare un zig-za, risultante dei diversi angoli prodotti dai casi
particolari secondo le particolari necessita ed interpretazioni, senza
che per questo la legge universale ed assoluta del dovere venga violata, quando ci discostiamo dalla sua esatta applicazione. E questione sempre ncn di violazione ma d' interpretazione.
La legge universale ma formale del dovere non viene violata
mai al pari die le leggi fisiche; come queste, secondo la giusta
d mostrazione del Guyau, non sono capaci di subire violazione, ma possono essere soltanto sperimentate, cosi la suprema legge del dovere puo venire applicata in varii modi' secondo le varie circostanze e le varie interpretazioni, ma mai puo cessare, per il
suo imperatico categorico, di venire applicata, in qualsiasi caso,
in tin dato modo. Quando noi vediamo die tutti i corpi, pur tendendo ad ap-
pressarsi sempre piu al centro di gravita, si fermano poi, or per una causa or per un' altra, ad una certa e notevole distanza da
esso, diciamo foise che essi- vengono cosi meno alia legge sud¬
detta di gravita ? Ebbene quando F uomo, pur sentendo sempre F imperio del dovere, vi risponde ora in una maniera, ora in
un' altra, imperfetta quanto mai, non si puo dire che ne yioli
la legge. Si dira die qui non si tratta di legge fisica, ma di legge
morale , non di necessita ma di obbligazione, non di tendenze, ma di volonta. E noi rispondiamo che e inutile fare, con diversi
nomi di puia convenzione, differenza tra legge fisica e legge mo¬
rale, tra legge naturale e legge psichica, tra legge meccanica e
legge etica, perche cambiera il contenuto della legge ma non il
rapporto della legge, il soggetto die la subisce non la necessita
inclusa dalla legge ; la legge e un semplice rapporto di necessita capace di applicarsi a fatti differenti per natura, per qualita, per
altro aneora, senza mai venir meno. Cambieranno i termini di un
— 101 —
tal rapporto ed ora si diranno fisici, ora biologici, ora psichici, ora
diversamente, ma il rapporto sara sempre lo stesso. Quando comunemente si dice che Fuomo a trasgredito un
dato dovere, allora si e avuto il caso in cui il dovere, che
sembra essere stato trasgredito , o non aneora e stato ammesso
e sentito come tale dalla coscienza di colui che sembra essersene
allontanato , e per il quale esso dovere e aneora una esigenza
eteronoma, un comando proveni ente dal di fuori, e non gia una
obbligazione , una legge assoluta, una legge morale, o pure che
esso dovere non e piu tutto questo per lui, essendogli sem-
brato in fine una pura convenzione umana. Egli si sara ingannato
non una volta, ma piii volte, ma come, nella vita esterna del¬
Fuomo contro forza ragion non vale, cosi nella vita interna di lui
contro ragione forza esterna non vale) e quindi per un tale indi¬
viduo non v'e ne dovere, ne trasgressione.
Se ci domandiamo che cosa c' impone il dovere, ognuno
rispondera che esso c' impone di fare il bene e tenerci lontano
dal male. E se ci domandiamo aneora che s' intende per bene e
che s' intende per male, si rispondera che ne il bene, ne il male
e qualcosa di assoluto, e che entrambi esprimono un rapporto;
F uno, il rapporto d' ordine; F altro il rapporto contrario del di-
sordine. L' uno coll' ordine ci da Farmonia, F equilibrio ; P altro
col disordine ci da il contrasto, il dissidio, lo squilibrio ; e P e-
quilibrio e lo squilibrio, che sono e del mondo fisico e del mondo
morale, in questo prendono propriamente il nome di giustizia ed ingiustizia, di moralitu e immoralitd.
Ora, come non sappiamo procedere in equilibrio, in ordine, nel mondo fisico, senza Paiuto altrui o senza prima esporci a piu
cadute, cosi nel mondo morale non sapremo mai sin da principio
procedere con ordine, con equilibrio, con giustizia, senza F aiuto
e F assistenza di chi e gia idoneo, o senza prima esporci a piu
cadute morali, a piu falli, a piu errori. E da questa nostra ina- bilita primordiale, da questa nostra imperfezione, da questo no¬ stro bisogno che dura quanto dura la cecita od ignoranza per¬
sonate, che deriva quell'apparente trasgressione di un dovere che,
- 102 —
nella sua concretezza, nella sua particolari ta, non e saputo, o non
e ch© male appreso o male interpretato.
Cosi avviene che tanto colui che, obiettivamente padando, non commette alcun male, quanto colui che lo commette crede
di stare bene in coscienza ; e cosi avviene die, pure per quelli
die realmente non rispondono alia legge del dovere, questa resta
categorica, assoluta,- impregiudicata, inviolata nel suo imperativo,
La legge del dovere, se e incondizionata appunto perche asso¬
luta, e incondizionata come principio universale, formale, non come
applicazione particolare e reale di esso. E, quando da principio
astratto diventa principio applicato, essa subisce allora, senz'altro,
la forma concreta di questa o quell' interpretazione, e da incon¬ dizionata diventa condizionata, da assoluta relativa, da universale particolare, e quindi discutibile, apprezzabile e bene o male inter- pretabile, secondo die predomina nel soggetto questo o quello
stato psichico ideale-affettivo. Dal che ne segue che il dovere come principio assoluto non mai si trova in conflitto con i nostri
particolari interessi, e come principio apnlicato finisce sempre
presto o tardi per armonizzarsi con le nostre attuali tendenze perche
diventa condizionato, e che quindi non mai e il caso di dire con
PAmbrosi die noi ci sentiamo capaci ad osservare il dovere qual
si sia Pattuale nostro stato psichico, perche inattuabile. Affatto adunque dobbiamo ritenere la liberta assoluta del volere come
necessario presupposto del dovere.
11.
Come la pretesa liberta metafisica del volere non e un pre¬
supposto dd concetto del dovere, cosi essa non lo e neppure del concetto del bene morale.
Secondo P Ambrosi il deterininista potra parlare di beni na¬
turali, non di tin bene morale ; egli potra distinguere gli esseri
della natura e gli atti delP uomo secondo il loro grado di perfe. zione ed ecccllenza in rapporto ad un bene preso come termine
di confronto, c cost riconoscere una serie di gradi die dal mine-
- 103 -
rale inerte vada progressivamente alia pianta che vive, all' ani¬ male che vive e sente, e infine all'uomo che vive, sente e pensa,
e nelF uomo stesso distinguere diversi gradi di sviluppo , proce¬ dendo dal sentimento all' intelligenza e dalF intelligenza alia vo¬
lonta ; tutti beni die si distinguono tra loro per differenza di grado non di natura. Per il determinista tanto lo splendore del
diamante, quanto la forza dell'animale y la potenza delF ingegno
umano, tanto la durezza della pietra e la solidita del ferro, quanto
la carita; il coraggio, la giustizia ed il sacrificio umano sono tutti
beni naturali; anche quelli che si acquistano per forza di volon¬
ta (?) non sono die conseguenze necessarie della struttura orga¬
nica dell'uomo e delPambiente in cui vive. E quindi nessun posto nel sistema deteffiiinistico e possibile
per il bene morale ; e F espressione brut ale dei Taine « la virtii
« ed il vizio sono prodotti naturali come lo zttcchero e Falcool »
non e che una conseguenza logica del determinismo ; solamente
chi ammette la liberta morale a diritto di parlare della virtu co*
me di un bene di natura diversa da quella degli altri e di ripe¬
tere col Kant « di tutte le cose del mondo una soltanto puo dirsi
« buona senza restrizione alcuna, ed e una buona volonta » (1).
1.) — Ora prima di tutto facciamo notare che il determini¬ smo se fosse un sinonimo del monismo sia materialistico, sia spi-
ritualistico , allora , si, non potrebbe parlare di diversi beni al
mondo differenti tra loro per natura, perdie , essendo ogni fatto
sempre un prodotto, un risultato di un sol principio o spirituali-
stico o materialistmo , i diversi beni die si avrebbero non si di-
stinguerebbero che solo per gradi, non ammettendo il monismo
che un solo elemento sia materiale, sia spirituale, sia di altro ge¬ nere, un sol principio attivo in continua evoluzione. Ma il deter¬
minismo non e nessuna specie di monismo, anzi non e un sistema
ma e una semplice forma scientifica die non contradice a nes¬
sun sistema, perche i sistemi si propongono lo studio delle cause
Ultime delle cose, considerate nella loro natura, ed invece il de¬
ll) Cfr. Op. c. P. III.
- 104 —
terminismo e F espressione di un rapporto costante che si rileva tra dati antecedenti e dati conseguenti, tra date cause e dati ef¬ fetti.
II principio di causa al quale s' informa il determinismo e
applicabile sia al monismo idealistico sia a quello materialistico, sia al dualismo, sia al parallelismo, sia all'emanatismo, sia al pan-
teismo , sia al trasformismo od evoluzionismo, sia al creazioni- smo, ed infine cosi al naturalismo come al trascendentalismo.
II rapporto causale che si stabilisce tra dati antecedenti e dati conseguenti, a luogo tanto se tutti gli antecedenti e conse¬
guenti non si differenziano tra loro che per soli gradi, quanto se si differenziano anche per natura ; cosi ad es. esso sussiste tanto
tra il colpo del martello ed il penetrare del chiodo nella parete,
quanto tra il muoversi del cavallo ed una spronata del cavalle-
rizzo, tanto tra la divulgazione di un'idea agitatrice in un popolo
e la rivoluzione corrisponrlente suscitata, quanto tra una scintilla
che si attacca ad un fenile e Fincendio sviluppato che devasta piu
fabbricati. Questo lapporto suddetto sussiste e quando facciamo distinzione di natura tra principii meccanici e principii biologici
e tra questi e quelli razionali, e quando non la facciamo, perche
esso si riferisce non ad altro che alia sola successione necessaria di un conseguente ad un antecedente, o per dirla in altri termi¬
ni, ai cangiamenti spaziali e temporal! delle cose, e non alia loro natura. Sia che ammettiamo un' identica natura in tutti gli enti,
sia che ammettiamo nature diverse, i cangiamenti derivanti dal-
F azione dell' uno sull'altro possono sempre, sussistere, e con essi il principio di causa su cui basa il determinismo. Obietto del quale sono appunto le forme, i cangiamenti, non le sostanze delle cose, sono i fenomeni, per dirla in linguaggio kantiano, non i noumeni. II determinismo riguarda F operari e non F esse, come insegna lo
Schopenhauer, la successione dei cangiamenti, non il sostrato im-
mutabile persistente e sussistente dei cangiamenti. Sicche, per non dilungarci piii, affatto il determinismo di-
strugge o nega ogni differenza qualitativa tra i varii beni esistenti
e possibili al mondo; la necessity affermata dal determinismo, nel-
— 105 —
l' attuarsi dei singoli fenomeni, non si confonde per nulla con la necessaria identita di essi. Determinismo e monismo sono due dot-
trine di cui F una riguarda i diversi esseri dell' uni verso in rela_ zione tra loro, Paltra riguarda gli esseri in se, nella loro natura,
E, se e cosi, non e logico asserire che nel determinismo non si puo parlare di bene morale, e che solo dii ammetta la liberta morale a diritto di parlare della virtu come di tin bene di natu- ra diversa da quello degli altri. Si noti che, se in morale non si
ammettera la liberta, questa nen s^ra una necessita fisica, ma
sempre una necessita morale e cio che ne seguira non sara un
bene fisico , ma un bene morale , non una virtu fisica, ma una
virtii morale, Riguardando il determinismo le forme e non la na¬
tura delle cose, quello che necessariamente o liberamente a luogo,
e se^ pre una cosa di natura diversa da quella delle altre.
Se noi distinguiamo per poco la liberta fisica da quella mo¬
rale abbiamo certamente due beni die si differenziano non nel
primo termine , qualitativamente parlando , ma nel secondo, ap¬
punto perche il primo termine e lo stesso in ambedue le denc-
minazioni e non cambia che il secondo. Ora se al primo termine
di liberti sostituiamo quello di necessita abbiamo due nuovi beni
che, sebbene tutti e due nocessitati, si differenziano tra loro nella
natura, perche il seconde termine non e stato modificato.
E cosi anche per quest' altra via , che ci a suggerita il lin¬
guaggio dei nostri oppositori, si viene a conchiudere che si puo parlare anche nel determinismo di bene morale.
D'altra parte Fidea del bene include un rapporto fra piu
esseri, per cui, se al mondo si avesse un sol fatto, un sol essere
quest'essere o questo fatto certamente non sarebbe ne buono, ne
male; un essere o un fatto e buono o cattivo sempre in rapporto ad un altro essere, o ad un altro iatto ; e quindi il concetto di
bene, essendo relativo, e applicabile sempre ad una cosa messa
in rapporto con un'altra, rispetto alia quale soltanto e che riesce buona o cattiva.
E, come un bene, in gen erale, e bene non per una bonta
intrinseca, non perche e buono in se, ma perche e buono in or-
— 106 —
dine, in rapporto ad altri beni, cosi, in particolare, un bene mo¬
rale non e un fatto buono in se, ma un fatto buono per Fordine che serba in rapporto con altri fatti coriiqoondenti, non per una
bonta intrinseca, ma per una bonta estrinseca che si riferisce a
questo o a quelFordine. Ogni bene e bene in quanto risponde a
un ordine riconoseiuto, sia fisico sia psichico, sia naturale sia - spirituale, ed il bene morale e bene in quanto risponde ad un
ordine, ed e bene morale in quanto risponde all'ordine umano,
civile, sociale. Bene fisico e quello che concorre all' ordine, all' equilibrio
.alFarraonia fisica; bene pdchico e quello che concorre alFordine
alio sviluppo, all'incremento della vita psichica; bene morale e
quello che risponde alFordine, alio sviluppo, all'armoniosa espli¬
cazione della vita civile e sociale. II bene fisico si riferisce ad un ordine a cui tendono piu agenti fisici, meccanici, insensibili; il bene psichico si riferisce ad un altro ordine a cui tendono
elementi non fisici, non meccanici, non insensibili, ma sensibili, vitali, psichici, e il bene morale risponde a quell'altro a cui ten¬
dono, non piu esseii fisici, o biologici, o psichici irrazionali, ma
esseri intellettivi, soggetti consapevoli, coscienze che vogliono un ordine, un1 armonia, una perfezione nelle loro reciproche
azioni, che vanno sotto il nome di costumi e che costituiscono i
mores dei latini, donde il nome attributivo di morale dato a cia¬
scun bene che si riferisce a tale ordine. II bene morale adunque, ammesso o negato il drterminismo
resta quello che realmente e, cioe il bene che segna il piu alto,
il piii nobile dei beni a noi noti, quale quello che concorre alia affermazione e all'esplicazione dell'ordine piu elevato che si attui
al mondo, sempre pero come bene relativo, non mai come bene
assoluto. Nessun determinista mai a pensato o creduto che il principio
di causa applicato, come a tutti gli altri fenomeni, cosi pure a
quello del volere, meni alia negazione di ogni moralita.
Come i deterministi antichi, medio-evali e moderni anno pro-
testato contro tale affrettata conclusione degl'indeterministi, cosi
- 10? —
non meno i deterministi contemporanei anna negato, che il deter¬
minismo meni alia negazione di ogni moralita. (1)
2) — Ma, perche si potrebbe credere che i deterministi par- lino di morale solo in buona fede, e mettendosi sempre in con¬
tradizione coi propri principi, vediamo un po' , alia prova dei
fatti, se il determinismo e veramente la negazicne della morale.
Ed innanzi tutto si a tanta ragione nelPaffermare die il de¬
terminismo nega ogni morale, quanto nell'asserire che esso rende impossibile ogni scienza, come infatti gPindeterministi non anno
mancato pure di affermare. Come 'essi errano quando dicono che,
secondo il determinismo, tutti i giudizii, tutte le opinioni, tutti
i criteri, essendo parimente necessarii, tutti, siano veri, siano falsi
obiettivamente, anno soggettivamente lo stesso valore, e quindi
dinanzi alia nostra eoscienza son tutti veri, cosi s'ingannano nel*'
Faffermare che le azioni, essendo secondo la stessa dottrina tutte
necessarie, saranno pure tutte buone, e quindi non vi sara piu
distinzione tra virtii e vizio tra moralita ed immorality.
Lo stesso equivoco che si trova nel primo ragionamento si trova pure nel secondo.
Circa il primo ragionamento, il primo errore degl'indetermi¬ nisti sta nel riconoscere Fattenzione involontaria, donde scaturi-
scono le creazioni fantastiche del pensiero, come motivata, e Fat¬
tenzione volontaria che determina la scienza come immotivata ;
ma, notano bene i psicologi, esse due attenzioni non si distinguono
per la presenza od assenza del motivo o causa determinante, ma
per la diversa natura connettiva dei propri elementi, Puna mec¬ canica Paltra logica.
II secondo e piu grave errore degl'indeterministi, per il quale
essi della necessitazione di ogni giudizio credono di poter de¬
durre F eguale valore di ciascuno, e questo, che essi identificano
(1) Cfr. Ardigo - La morale dei Positivisti. Eoffdin - La morale.
— 108 —
la necessita naturale con la necessita logica, suppongono cioe che
una rappresentazione per cio solo che si e prodotta necessaria¬
mente nel nostro pensiero, corrisponda perfettamente al suo obietto,
e suppongono che necessita e verita siano la stessa cosa. Nella realta, invece, la prima si riferisce ad un sol termine, sia fisico,
sia biologico, sia psichico, e risponde alia domanda se un dato
termine o fatto si attua necessariamente o no : e la seconda si riferisce non ad un sol termine ma sempre a due, ed
esprime sempre un rapporto tra il reale e F ideale; la necessity
suppone il solo obietto, la verita invece Pobietto ed il soggetto che se lo rappresenta. Cosi asserito e riconoseiuto come neces-'
sario il prodursi d'tina rappresentazione, di un giudizio, non ri¬
sulta affatto che essa rappresentazione, esso giudizio siano neces¬ sariamente corrispondenti alia realta : Pombra proiettata da un
monte, da un edifizio, da un albero, per quanto necessariamente prodotta non per tanto necessariamente e nelle sue limitazioni
conforme a quella delFobietto che riproduce nella sua proiezione;
chi e nell'ottioa o nell'acustica difettoso necessariamente vede o
sente male, e, simile a costui, chi non gode un' attivita ideale
esatta, normale, per quanto necessariamente giudica in questo o in quel modo, non per tanto giudica bene.
Ora gli stessi errori che commettono gPindeterministi nel
negare la possibility di distinguere col determinismo il vero dal falso, commettono pure nel sostenere essi che il determinismo rend a impossibile ogni distinzione tra bene e male, tra azione morale ed azione imimrale. Come, parlando della scienza, essi,
nell'asserire che il determinismo rende impossibile la distinzione
tra errore e scienza, confondeno ia necessita colla verita, cosi,
parlando della moralita delle azioni umane, nelPaffermare die il
determinismo rende impossibile ogni distinzione tra bene e male,
confondono la necessita colla moralita, la necessita naturale con
quella ideale del dovere, la necessita con la giustizia. Essi infatti dicono die tolta la liberta tutto e necessario, ed
essendo tutto necessario, tutto e giusto. Ma noi rispondiamo che tale confusione non e da farsi, perche, come un errore per quanto
— 109 —
necessariamente si avveri, non per tanto cessa di essere errore cosi un fatto immorale, per quanto necessariamente si attui, non
per tanto cessa di essere immorale. La confusione degl' indeter¬
ministi in fatti di moralita , analoga a quella verificatasi par¬
lando della scienza, e per la quale essi identificano la necessita
con ia verita, dipende dal ritenere le azioni morali come motivate e quelle morali come non motivate, mentre le azioni morali si di¬
stinguono da quelle amorali non per la mancanza del motivo de¬
terminante, ma per la valutazione del suo motivo in rapporto al
principio del dovere, non per assenza di causalita, ma per Fag-
giunta della valutazione di essa da parte della coscienza in rap¬
porto alia legge, non per Fassenza deil'azione della causa deter¬
minante oltre quella della causa afficiente, ma perche s'aggiunge
ad entrambe Fazione delle cause finali ed universali, sotto cui
il soggetto agisce, elevandosi dalPapprezzamento sensitivo ed in¬
dividuale a quello ideale e collettivo, razionale ed universale. Non e sulla base adunque delP indeterminatezza del volere, ma e su
quella della determinata oonsapevolezza che Fazione compiuta o
da compiere corrisponda o non alia legge universale del dovere che si coglie il carattere della moralita delle azioni umane. Se
per il fanciullo di pochi anni tutte le azioni sono indifferenti,
amorali, esse sono tali non per altra ragione die per quella che
i fanciulli non aneora sono capaci di riferire e coordinare tutti
i loro atti in ajpporto alia legge universale del dovere. Come la
scienza a luogo non per la liberta assoluta del volere, ma per la
conformita della conoscenza alia realta, cosi la moralita a luogo
non per altro che per la corrispondenza delP azione all' esigenze
del dovere. II rispondere o non rispondere delle azioni alle leggi
del dovere da la moralita od immoralita cosi, come la realta
bene o male interpreLata ci da la scienza o F errore; e come la
scienza, obiettivamente, e la fedele e adeguata rappresentazione
del reale, e, soggettivamente, e la oonsapevolezza di tale adegua-
zione, cosi la moralita e una semplice corrispondenza delPazione
alia legge, dal lato obbiettivo, e dal lato soggettivo e una pura oonsapevolezza di questa corrispondenza.
- 110 -
3). — Stando cosi i fatti, sorge spontanea la domanda : e se
il male e necessario, come mai Fuomo puo liberarsi da esso ?
Rispondiamo dicendo che si libera da esso cosi come si li¬ bera dall'errore.
Nello stesso modo che si passa necessariamente da una ve¬
rita ad un' altra e dall'errore alia verita, per il continuo lavorio intdlettuale, dietro Pacquisizione di nuove idee che, completandole,
correggono le prime, nello stesso modo, per lo stesso riflettersi
della coscienza, si passa dal male morale alia correzione di questo, dietro le acquisizioni delle nuove esperienze; e come dal male
fisico, che necessariamente avviene nel mondo meccanico e bio¬ logico, necessariamente cerchiamo liberarci colle applicazioni delle
nuove cognizioni scientifiche acquistate, cosi pure necessariamente ■ cerchiamo liberarci del male morale. Per la stessa necessita che
si cade colla inosseivanza obiettiva della legge nel male morale,
per la stessa e che si sorge da tale caduta quando, coll'acquistare
nuove esperienze, non sappiamo piu male interpretare Pesigenze della legge.
Come poi la distinzione tra errore e verita non e possibile
se non per colui che, riflettendo e pensando, a gia superato Fer-
rore, cosi la distinzione tra giusto ed ingiusto suppone un con¬
tinuo esame di coscienza, ed e possibile solo in colui che a gia
trionfato di una data immoralita; ma come Ferrore vien superato in forza di dati stati intellettivi arricchiti di nuove idee, cosi
F ingiusto non viene superato se non in forza di forti sentimenti
di nuove aspirazioni delFanimo dietro nuove e piu larghe vedute
pratiche. Col determinismo adunque non si nega la moralita, ma solo
si nega che essa trovi la sua base nell'arbitrio e non nella ra¬
gione, nell'indeterminatezza del volere e non nella determinatezza
della coscienza, e si riconosce che come la scienza si svolge e
progredisce necessariamente, cosi pure necessariamente si svolge
e progredisce la moralita. Come la scienza non si trova nelPuomo, fin da principio,
bella e formata, ma si foima col tempo, ed e capace sempre di
— Ill —
arricchirsi di nuove vedute e di nuove applicazioni, cosi anche
la moralita non e bella e data sin da principio, ma si va formando
e completando progressivamente attraverso Fesperienza. Cio che
vi e di costante, sin da principio, nell'uomo, e lo stimolo continuo,
permanente che lo fa tendere all'eterno vero e all'eterno giusto.
Ed il processo storico dei costumi e della moralita dei po¬
poli ci mostra che il giusto degli antichi non e certo quello dei
tempi nostri, appunto perche se la legge del dovere impera sempre
nel cuore umano, come principio formale, non in tutti i tempi e
da tutti i popoli e osservata nella stessa maniera, fra gli stessi
limiti e colle stesse concrete applicazioni.
Se la coscienza umana fosse rimasta alio stato di quella del¬
Fuomo barbaro non si sarebbe avuto ne il Dritto Romano, ne quello medioevale, ne quello moderno, ne si preparerebbe quello dei tempi nuovi.
Dicono gPindeterministi che il determinismo rende impossi¬
bile ogni moralita, ma da quanto fin qui abbiamo detto risulta
che il determinismo non solo non distrugge la moralita, ma
ne fa scoprire anche le leggi, e ci rende non solo possibile
la morale, ma ce ne assicura anche la reale attuazione di essa,
dovendo ammettere che col progredire della scienza, non pu¬
ramente astratta, ma eminentemente pratica, per la connessione
intima che a con questa, deve progredire anche la moralita delle
umane azioni, in corrispondenza, se non contemporanea, certo successiva.
III.
L' ultima prova addotta a pro della liberta, e, come innanzi si e detto, quella che si ricava dal concetto che abbiamo della
pena e del premio. E questa veramente e quella che costituisce
aneora quasi, Fargomento forte dell'indeterminismo e sembra avere tutta la ragione logica; pero sembra averla, ma non P a.
A tal riguardo il ragionamento degl' indeterministi presso a poco e questo.
- 112 -
Non ammettendo la liberta assoluta del volere , si viene a
negare ogni merito o demerito personale, e con questo a togliere
ogni fondamento al premio e alia pena, ogni fondamento a qua¬
lunque specie di sanzione, e alia pena interiore e alia pena este-
riore, e a quella individuale e a quella sociale.
Si toglie ogni fondamento alia prima specie di sanzione, ossia
a quella interna o individuale, perche, tolta la liberta del volere, non riesce piii possibile spiegare il rimorso per un' azione in rap¬
porto alia quale ci riteniamo passivi non attivi , esecutori non autori.
Si toglie ogni fondamento alia seconda, cioe a quella esterna
o sociale, perche, ammesso il determinismo anche nel volere, non
si riesce in nessun moclo a riconoscere alcun diritto nella societa
ad infliggere una pena qualsiasi a chi a compiuto o voluto un'a¬
zione, die in generale si condanna, ma ch' egli non poteva non
attuare o non volere. Ma una simile conclusione degF indeterministi circa le con¬
seguenze del determinismo e molto affrettata. E lo dimostriamo rispondendo parte per parte.
1.) — Che il determinismo venga a negare e a distruggere
quel merito o demerito fantastico basato sul libero arbitrio non
e da mettere in dubbio perche la morale e indipendente , come
dal libero arbitrio, cosi pure da tale preteso merito o demerito; e se finora Fammetterlo era un dolce errore, ora, die dal determi¬ nismo e stato sbugiardato, non giova piii rdforzarlo, per tenerlo in piedi, con vani puntelli: e un errore, e ad ogni errore e pre-
feribile la verita, specialmente per la scienza die non a nessun
convento da salvare. Ma che poi il determinismo riesca a negare e a rendere im¬
possibile ogni specie di merito, insieme con quello fantastico an
che quello reale delP uomo, e falso. i - Se viene negato il preteso merito del libero ma immaginaj.iv-
volere, non viene negato quello del necessario ma reale vol',..^V' Col determinismo esula dalla coscienza umana tutto cio die sa di fantastico e (Fillusorio nei concetti di libuda, di moralita, di
- 113 —
merito, tutto cio die e effetto di quel facile passare del pensiero
umano dal relativo all'assoluto, e vi restano i concetti della li¬
berta, della moralita, del merito, relativi, ma reali. Perche mai in tutti gli esseri inferiori e superiori all' uomo
non si riconosce alcun merito die non sia quello della bcnta reale,
obiettiva di essa, ed invece nelPuomo solo si dovrebbe parlare
di un merito non reale, ma problematico, dipendente da un pro-
blematico volere ? Fortunatamente nella pratica non si parla mai del preteso
merito del libero volere , ma sempre del merito reale del con-
creto volere. Non cade affatto in esame se uno a voluto libera¬ mente o non liberamente attuare una buona azione, ma solo se Pa
attuata o no. Chi e facile a cadere in certi errori non e ammesso
in certi uffici, e non e degnato della nostra stima anche quando
egli dice di essere trascinato a commettere gli accennati errori
dalla cosi detta forza irresistibile, ed invece crediamo degni della
piii alte cariche e della nostra piu alta stima non solo quelli die
operano il bene dicendo di oprarlo liberamente, senza esservi ne¬
cessitato (non sapendo in coscienza che si tratta di una liberta
non assoluta, ma relativa, non di un libero volere ma di spon¬
taneita), ma anche quelli che operano il bene, confessando nella
schiettezza del loro animo non alterato da una falsa interpreta¬
zione dei fatti di coscienza, di non sapere e non poter operare
il contrario. Piii Pindividuo agisce sotto la pressione di una forza
irresistibile il bene e piii e da noi loclato ed apprezzato.
Eppure secondo gPindeterministi non si dovrebbero apprez- zare egualmente i primi ed i secondi.
Via ! il valore etico ddl'uomo non si giudica affatto in forza
el preteso stato del libero volere, ma in virtu del fatto concreto,
hiale del giusto ed ingiusto oprare, che trova la sua ragione
_ nel libero ed arbitrario volere, ma nella costituzione del ca- iaftere personale formatosi sotto Fazione di determinate cause
* — no le loro radici nelP eredita, negli ambienti, nelF educa¬ zione ricevuta, fatti questi ammessi perfino da Platone. Yia il
- 114 -
sortilegio e ritorni in onore la ragione sufficiente del Leibnitz, e si riaffermi il giusto e logico determinismo di Socrate e di Platone.
Ma andie cosi, soggiungono gP indeterministi , se in forza della negazione del libero arbitrio non viene negato ogni merito,
verra negato senza dubbio ogni possibile applicazione di premio e di pena, ogni responsabilita , ogni sanzione morale. Eppure il premio e la pena sono cosi connessi con la legge morale che la
coscienza comune non sa separare questa da quelli, e dalla ne¬
gazione della sanzione morale passa tosto a negare la legge morale.
Ma noi possiamo rassicurare anche in questo gP indetermi¬ nisti ed invitarli a deporre questi vani ed ultimi loro timori,
pe:che, come la morale sussiste ed a ragione di sussistere senza trovare il suo fondamento nel libero adoitrio , cosi neppure in
questo e che trovano le loro ragioni le sanzioni morali.
2\ La sanzione morale, come si sa, e duplice: interna ed ester¬
na; ed entrambe queste si presentano sotto clue forme: F interna sotto quelle cli soddisfazione e cli rimorso, e P esterna sotto quelle
di premio e di pena. Ora qualunque forma di sanzione non a af¬
fatto il suo fondamento nel libero arbitrio.
GP indeterministi dicono: Come spiegare col determinismo 'la scdisfazione ed il rimorso die proviamo dopo aver compiuto una buona o cattiva azione, se tutto e necessariamente determi¬ nato ? E similmente come spiegare che la societa a il diritto di
punire il delinquente, se questi per necessita e tale ?
E noi rispondiamo : ecco come : Se si parla delle sanzioni int:rne cioe della soddisfa¬
zione o del rimorso, si riconosce subito la lore ragione, se si considera die esse seguono tutte le azioni, anche quelle, che fuori ogni cliscussione, si riconoscono necessitate, secondo die concor-
dano o no colla suprema legge morale. Chi puo negare che si prova una grande soddisfazione anche per le azioni estremamente
impulsive, die corrispondono pero ai principii di umanita, di
pieta, di amore del prossimo ? Quante volte ci sentiamo tratti da
una forza irresistibile, per testimonianza anche deg'indeterministi
- 115 -
a fare del bene, a largire elemosine, a prestare soccorsi, e ce ne
compiacciamo ? Quante volte noi non ci accorgiamo neppure della
azione buona die facciamo, tanto che dopo ci meravigliamo di esserne stati capaci, e pure a fatti compiati con tutte le mera-
viglie di noi stessi ce ne facciamo un merito, dicendo : E bravo!
Viceversa quante volte sajopiamo, anche secondo gPindeterministi
di non ossere stati liberi nel commettere un male, perche tra-
scinati dal cieco impulso. clalPistinto, e pure ce ne addoloriamo
oltremodo ? Chi puo negare die anche quando, per una reazione
istantanea. che i moralisti chiamano atto primo primo, diamo in
irascibilita eccessive cla produrre spesso dei danni positivi a noi
e ad altri, sentiamo fortissimo in noi ii rimprovero della co¬
scienza. die ci morele aspramente ? Noi ci addoloriamo tanto dei
danni arrecati ad un nostro simile col defraudarlo e col causargli
con tutta conoscenza e serenita, gravi perdite, quanto delPingiurie
infiittegli immeritatamente in un momento di cieca ira o di av- vinazzamento.
GPindeterministi diranno che noi ci compiacciamo e ci ad¬ doloriamo moralmente anche di tali atti, seir-a dubbio necessari
perche essi hanno la loro causa nelle male abitudini che volon¬
tariamente e liberamente ci siamo formati, p.r cui se non ci
sentiamo meritevoli o clemeritevoli in rapporto ai detti singoli
atti, ci sentiamo pero meritevoli o clemeritevoli per i rispettivi
caratteri liberamen'e formatici. — Ma, contro tale spiegazione
noi abbiamo da far notare che essa, die risale fino ad Aristot le,
se potra reggere nel corso del preteso periodo della vita libera
dell'uomo, non potra certamente reggere al principio di essa,
perche, infatti, ci sentiamo anche fanciulli rinfrancare dalla com¬
piacenza di un atto buono, come quando facciamo bene ad un
mendico, o ci sentiamo avvilire dal rimorso di aver resistito o
reagito istintivamente alia minaccia ed alle ammonizioni dei ge- nitori, dei congiunti, degli educatori ; e durante i primi anni
della nostra vita psi hica come mai si puo parlare di atti pro¬
dotti da abitudini volontariamente e liberamente acquidte ?
Per il che si deve necessariamente ritenere che il compia-
■-,116 -
cimento ed il rimorso che costituiscono la duplice sanzione in¬
terna, e che accompagnano ogni azione eseguita, sia per delibe¬
razione sia per istinto, non suppongono il libero arbitrio , ma
solo la capacita di riferire e paragonare Fatto compiuto con un ideale ed apprezzarlo in rapporto alia norma direttiva dei su-
premi principii, in rapporto alia suprema legge morale.
Come giustamente nota il Cantoni, (1) nessun atto e, rigoro- samente parlando, indifferente alia legge morale, ogni azione noi la valutiamo in rapporto aila legge immanente assoluta del do¬
vere, e se la troviamo conforme Fapproviamo con piacere, con
sodisfazione, nel caso contrario la disapproviamo con rammarico, perche ne siamo noi stessi autori. Come non sentire ad ogni
nostra azione una sodisfazione od un rincrescimento morale , se
perfino quando si tratta di opere buone o cattive di qualche
nostro parente ce ne gloriamo o ce ne addoloriamo, appunto perche ci sta e cuore essere gia buoni per inclinazione di natura,. di famiglia ? Che cosa significa il vantarci dei nostri antenati
illustri se non saperci gia buoni per stirpe e, fi dando nella nostra
natura ereditata, sperare di non demerit are ?
GPindeterministi non possono negare die noi ci vantiamo
anche delle doti puramente naturali, come acl es. della forza mu¬ scolare, dell'acume intdletttvo, della prontezza e chiarezza fonetica
della parola, e che proviamo un'ui iliazione, se ci riconosciamo, alia
prova inferiori ad altri in qualche dote fisica od intellettuale.
Ora questo non potrebbe avverarsi se la sanzione interna che
segue una data azione col sentimento della compiacenza o del
rincrescimento, o, come si dice, del vanto o del rimorso, si riferisse alle sole azioni determinate dal preteso libero volere.
Come spiegare il rimorso del determinismo ? continuano a dire
gPindeterministi.
Ma di quale rimorso essi parlano, di quello fantastico o di
quello reale ? Se del primo questo da per se resta eliminato,
U) Corso eleinentare di filosofia v. 2. pag. 12L
— 117 -
perche affatto ci dobbiamo occupare di un sentimento alterato per via di false interpretazioni; se poi del reale esso resta spie¬ gato, consicleranclolo come Popposto clella soddisfazione, del com-
piacimento die proviamo per ogni buona azione oprata. Se la sodisfazione die proviamo per ogni azione oprata, obiettivamente
buona, si riferisse ad un passato compiuto includendo l'idea del
libero volere, allora si die anche il rimorso, die sentiamo per
un'azione cattiva, si dovrebbe riferire ad un fatto da noi attuato
con la stessa inclusione delFidea delPatto liberamente voluto; ma
la soddisfazione morale non include tale idea, perche essa non e
che la manifestazione affettiva del continuare ad aderire del sog¬
getto ad un dato partito gia preso Pespressione, del continuare
ad approvare un' azione die risponde alle leggi della giustizia:
cosi ci compiacciamo della carita fatta e con tutta deliberazione,
e per semplice istinto, e di una risposta ben pensata con tutta
attenzione, e di quella data, senza attenzione, senza quasi neppur pensarla, ma die pur & colto nel segno.
Ora, se il rimorso e P opposto della compiacenza morale,
anch'esso come questa a luogo col riferirsi non ad un atto libe¬
ramente voluto, ma ad tin atto valutato in rapporto alia legge
morale e trovato diftorme da questa. Infatti, ripetiamo, come ci
vantiamo delle azioni riconosciute anche dagPindeterministi come
non libere, cosi ci addoloriamo delle azioni non buone pur da tutti sapute come necessarie.
2.) — Per veder meglio come la sanzione interna non richiede
la liberta del volere e buono tener presenti i suoi precedenti o
meglio le sue condizioni reali perche si avveri. E queste sono
tre: a) valutazione, da parte del soggetto, delPazione in rapporto
alia legge; 6) riconoscimento clella conformita o sconformita del¬
Pazione dalla legge; c) riconoscimento clell'obbligatorieta assoluta della legge; per cui il rimorso non puo sorgere se non quando il
soggetto e capace di valutare la sua azione in rapporto alia legge,
di rilevarne la conformita o sconformita dalla legge e di ricono¬
scere Fimperio della legge. Ora nessuna di queste condizioni in¬
clude Fidea della liberta del volere; dico idea, perche avanti ab-
- 118 -
biamo dimostrato che non si puo parlare affatto di sentimento di
liberta assoluta.
L'idea della liberta assoluta non e inclusa nella valutazione deil'azione in rapporto alia legge, perche questa cade su di un
fatto attuale ed obiettivo e non potenziale e soggettivo, e questo
fatto viene giudicato se risponde o no alia legge, cosi come quando si giudica se una nostra conoscenza risponde o no alia
realta. La stessa idea non e compresa nella seconda condizione della
sanzione, perche lo aver riconosciuta un'azione, ad es. come non
giusta, importa la semplice attuale disconformita dell' azione
dalla legge. Innanzi abbiamo dimostrato die la giustizia o F in¬ giustizia, che la moralita o Fimmoralita non a luogo per il po¬ terci attenere e non attenere insieme ad tin dato partito giusto,
ma per il semplice attuale conformarci o non conformarci alia
legge. Non viene in fine la detta "idea inclusa nella terza condizione
del rimorso,cioe nel riconoscere Fobbligatorieta assoluta della legge,
perche questo riconoscimeiito,se a luogo merce un fatto razionale,cioe
mediante il giudizio clella nostra mente, dipende da un fatto de¬ terminato, contingente, non indeterminato, non assoluto. II rico¬
noscere die la legge ci obbliga e riconoscere un fatto attuale in
cui la potenzialita dell'atto voluto non ci entra affatto; e, quando ci troviamo di aver oprato non conforinemente alia legge che ci
obbliga, come non clispiacerci, nm rammaricarci, se noi, volendo
o non volendo, ci sentiamo obbligati dalla legga non per qualche
imperativo esterno, ma per Pimperativo interno razionale della
legge, die e quello concretizzato nella tendenza die sentiamo di
migliorare sempre piii noi stessi? La legge riconosciuta da noi
obbligatoria fa parte necessaria dd potere direttivo delle nostre
idee e delle corrisponclenti azioni : e qualora Fazione non corri-
• sponde pienamente ad essa, come non sofhire moralmente se si
a un contrasto nella vita morale, se si prova un dissidio tra il
reaJe e F ideale, ambedue stati dello stesso nostro io ? Se noi
- 119 -
tendiamo al bene, al giusto, come non sospirare quando ci ve¬
diamo aneora lontani da esso ?
3.) — GPindeterministi vorrebbero vedere, dato il determinismo nella riprovazione di una nostra ingiusta azione, una semplice
condanna di un fatto compiuto senza quel tale rarnmarico, quel
tale sentimento morale che Feccompagna e die dicesi rimorso ;
ma essi non si avvengono che il determinismo non e sinonimo, d'indifferentismo.
Che un'azione sia necessariamente avvenuta non significa che
non deve produrre in noi alcun dolore morale Quando le conse¬ guenze dannose delPazione ingiusta ci son sempre dinanzi, e spes¬
so ci molestano anche fisicamente, come non depreziarci, non av- vilirci, come non odiarci quale autori di essa azione ? Quando
condanniamo una nostra azione , condanniamo e depreziamo noi
stessi appunto perche ci riconosciamo causa non indeterminata , non arbitraria, ma razionale e determinata di essa. Riprovando
Fatto emesso, riproviamo le nostre abiiudini mentali, il nostro po¬
tere direttivo, il nostro carattere die, obiettivamente sempre par¬
lando, e aneora lontano dalla perfezione a cui tendiamo.
Data la riprovazione intellettiva subbentra il "sentimento die colla sua forza di ripulsione e di sdegno morale da alia coscien¬
za, al riflettere sul mai oprato, tanti ripetuti strappi, che
giustamente son detti rimorsi, strappi tanto pin forti quanto piu
vive sono le tracce dalP azione ingiusta lasciate in noi, e quando
meno si a la fiducia di correggerle. — Infatti i rimorsi piu forti
si manifestano colle espsessioni: E come riparero a tanto male ?
E con tanta vergogna dove piu comparire ?! — Ma laSciate che il soggetto riesca a trovare il modo come riparare al mai fatto , e
vedrete die finira per non avvilirsi e non rimproverarsi piu il
male compiuto , perche allora colle nuove buone abitudini che
spera riacquistare a fiducia di cancellare le precedenti odiose e di farsi apprezzare di nuovo.
— 120 —
II rimorso e una delle forme piu a]te dei sentimento che da
istintivo od impulsivo } rima , e poi rappresentativo o sollecitati-
vo , ed ideale od atfratttivo in seguito, diventa infine morale e
religioso, e compie nella atessa maniera die nelle alt e sue forme
inferiori, Pufficio di dare Fallarme e liberare il soggetto dal ma¬
le, ristabilire Fordine turbato. e riaffermare e riassicurare il pro¬
cedere verso la perfezione. Esso e la forza spedfica, come direbbe
PArdigo, che richiama P uomo sul canimino retto della giustiz'a,
e die nasce dal contrasto tra lo stato attuale del soggett) e quello
a cui esso tende, tra cio die si e e cio die si aspira a divenire. Col determinismo adunque non solo e possibile la sanzione
interna, ma si trova anche tutta la ragione scientifica di essa.
B)—Resta ora a vedere se la sanzione esterna richiede come
suo postulato la liberta assoluta del ^ olere.
Dicono gPindeterministi: Negato il libero arbitrio, Fassoluta tiberta del volere, come potra piii la societa aver diritto a punire questo o quel delinquente die aon poteva non agire cosi come a
agito, die non poteva non clelinquere ?
Mettendo da parte tutte le teorie die i filosofi ed i giuristi deterministi anno escogitate per rispondere a tale obiezione de¬
gl' indeterministi, riportate tutte dal Ferri (1), ci affrettiamo a rispondere con una sempliee distinzione:
Negato il libero arbitrio senza dubbio cade il diritto nella societa cli applicare certe specie di pene, ma non quello di appli¬ care qualsiad specie dl pene : caclra il diritto non di punire, ma
di dare alia pena quelle forme die piu non sono sostenibili, cadra insomnia il carattere espiatorio, non qudlo emendatorio e pre-
ventivo del punire , il carattere convenzionale non quello natu¬ rale, qudlo individuale non quello sociale.
E die il carattere naturale e reale della pena sia quello di tendere a riparare il male avvenuto e a prevenire quello possibile,
(1) Sociologia Criminale Cap. III.
— 121 -
e non quello di fare espiare la pretesa colpa morale, si dimostra in varie maniere :
a) Che la sanzione sociale primitiva non abbia carattere e- spiatorio lo dimostra il fatto, che nei primordii della vita collet-
tiva mon a avuto essa come movente F espiazione della pretesa colpa morale delF individuo.
« Allora, dice il Ferri, la colpa morale nelP aggressore e un
« elemento affatto estraneo ed ignoto a cotesta reazione difensiva,
come se ne trovano tracce nelle legislazioni delle antiche civilta,
« perfino in Roma, nelle quali il danno e il pericolo rimangono
« aneora P unico criterio di repressione in parecchi casi, di atti- « vita antisociale e criminosa ». E qui il Ferri si riporta al-
P autorita di Steinmetz, il quale, come egli dice, nel suo scritto :
Ethnologischen Studien zur ersten Entwickelung der Strafe,
Leipsig 1894, 2 vol. a stabilito appunto il carattere inintenzionale della pena.
II carattere espiatorio del punire si determino solo in seguito,
quando da pura funzione sociale il punire divenne una funzione religiosa, quando dalla minaccia e pena transitoria si passo alia
minaccia della pena eterna, carattere rimasto per secoli poi im-
modificato e creduto quasi naturale ad esso; e, finche la morale
sociale e stata religiosa, la religione si e imposta agli uomini
colla forza crudele della spacla, e lo stato dall'altra parte si e
imposto ai medesimi colPintransigenza ed assolutismo della reli¬
gione. Ma, disgiuntasi di nuovo la funzione sociale civile dalla
funzione sociale religiosa, si va tornando di nuovo alia natura-
lezza del punire che parte non dallo stato presupposto di asso¬
luta liberta del soggetto nel delinquere, ma da quello reale ed obiettivo del suo oprare.
« E nel duplice carattere militare e sacerdotale del capo « tribu e poscia dei suoi ministri delegati, dice il Ferri, che ri-
« siede il germe primo di quel criterio di colpabilita morale come « condizione delta penalita; perche i sacerduti acquistata quella
« loro prevalenza, die e un carattere di tutte le societa primitive,
« finirono per avocare completamente a se la repressione dapprima
- 122 —
« delle azioni antireligiose, poi di tutte quelle antisociali (reati).
« Ed allora la reazione difensiva e repressiva, die esercitata dal- « Pindividuo offeso aveva indole di « vendetta privata », dalla
« famiglia delF offeso di « vendetta del sangue » e dalla societa « o dal capo tribu di « vendettapubblica », esercitata invece dalla « casta sacerdotale assunse il carattere di « vendetta divina » tra- « sformandosi cosi da funzione meramente difensiva in missione
« religiosa e morale col corredo naturale di ogni religione, di un
« rigoroso formalismo, e sopratutto di uno spirito mistico di pe- « nitenza e di purgazione. (Sulle origini religiose della pena veg-
« gasi Steinmetz: Ethnologischen Stndien zur ersten Entwicklelung
« der Strafe Leipsig 1894. — E Maus, la religione et les origines
« du drait penal nella Revue de Fhistoire des religions, 1897 « fasc. 1 e 2).Or bene questo rigido carattere religioso del magistero
« penale quando anche ando cedendo — prima nei reati diretta-
« mente politici e poi in quelli comuni — di fronte alia rivendi-
« cazione dell'idea e della potesta laica e civile, lascio pur sempre
« come suo detrito, perche la dissoluzione e graduale come Fevo-
« luzione, l'idea che il ministero repressivo sia una funzione mo- « rale emendatrice (direi espiatorio) o negli stati piu avanzati, di
« giustizia retributiva; poiche, come nota anche il Kraepelin, pur
« cangiandosi la forma dei precetti primitivi da religiosa in morale^
« la sostanza tuttavia ne rimase. (Vedi Kraepelin : la colpa e la
« pena. Rivista di filos: scient. di Torino 1883.)
« Possiamo quindi concludere che la pena (indicando con
« questa parola P insieme dei mezzi giuridici adoperati dalla so* « cieta nella lotta contro il delitto) e passata finora per quattro
« fasi di evoluzione : dalla fase primitiva (di reazione difensiva e « vendicativa, individuale e sociale, immediata e differita) alia fase « religiosa (della vendetta divina), alia fase etica (della penitenza
« medioevale), alia fase giuridica (nel senso del diritto astratto e « aprioristico della scuola classica).
« E facile vedere che noi siamo oggi nella scienza ed an-
« che piu nei sentimenti comuni e nelle leggi, per 1' indole loro « meno rapidamente progressiva, alia fase giuridica o meglio etico*
- 123 —
« giuridica della pena, giacche F evoluzione avviene sempre in
« gradi e sfumature anzi che per salti recisi. Si tratta ora d' iniziare ed attuare la fase sociale, per cui la
* pena per i nuovi dati dell' antropologia e statistica criminale
* sulla genesi del delitto divenga non piu la retribuzione di una « colpa morale con un castigo proporzionato (fase etico-giuridica)
« ma un insieme di provvedimenti sociali preventivi e repressivi,
« che meglio rispondendo alia natura ed alia genesi del delitto
« piu efficacemente e nello stesso tempo piu umanemente ne pre-
« servino la societa. » Da questo fin qui detto si vede che gl' indeterministi, quando
fanno la suddetta obiezione, non tengono conto delle varie forme
di pene avute nelle varie epoche sociali, e, fermandosi all' ultima
invalsa, cioe a quella che va chiamata etico-giuridica, non cre¬
dono che la societa possa parlare di diritto punitivo, sotto altra
forma che non sia quest'ultima teste detta.
b) Che la sanzione sociale non abbia carattere di giustizia
espiatoria e non supponga la cosi detta colpa morale risulta dal
fatto die se si trattasse di dover con essa far atto di giustizia
retribitivo, allora la societa dovrebbe avere il diritto e il dovere
insieme non solo di punire ma anche di premiare, ed invece si occupa del solo punire.
Noi vediamo che mentre colui che, come si dice, liberamente
commette un omicidio e condannato al carcere, il generoso che
salva un suo simile da una morte certa, col pericolo della propria
vita, a stento riceve una medaglia d'onore al valor civile: e mentre
i malfattori sono piu o meno puniti, i benefattori ordinariamente
non ricevono alcuna retribuzione, ed e pure facile il caso in cui
qufcsti si vedono corrisposti coll'ingratitudine e colle ingiurie.
Da questo chi non vede che la society adunque, col suo mi¬ nistero punitivo, non intende affatto di entrare nel santuario della
coscienza e propprzionare all' abuso di una pretesa liberta asso¬
luta del volere individuale la sua pena, ma semplicemente di pre-
servare la societa da nuove aggression! del delinquente, col met-
— 124 _
tere questo nello stato di non poter ripetere il male oprato. Se
e vero assolutamente die // male merita il male e anche vero as¬ solutamente die il bene merita il bene.
Anche considerando come retribuzioni sociali per il giusto la stima ed il rispetto pubblico, die veramente non sono che sem¬ plici attestati di altrui benemerenze. son sempre queste delle retri¬
buzioni sociali extra-legali, e corrispondono e si contrappongono
non alia pena die colpisce il delinquente, ma alia disistima ed al- Fingiuria pubblica die subisce il malfattore, sia o non sia punito.
Per il die e da riconoscere die la societa colle sue sanzioni legali mira solo a fare osservare le leggi ed a migliorare i rap¬
porti scambievoli tra i suoi niembri, e non a retribuire dei meriti
assoluti, come vorrebbe la teoria etieo-giuridica. Ed e per questo
che essa non sente il clovere di retribuire Fazione buona, perche
questa e il suo scopo, ed assicurata Fazione buona delFindividuo di fronte alia legge. finisce ogni ministero dello stato rispetto al¬
Pindivicluo: e, solo quando Fazione non risponde alia legge positiva,
solo allora lo stato interviene epunisce come per traclizione si dice.
Molti pero dicono die le sanzioni sociali non retribuiscono
F opera buona , ma la cattiva , non F opera virtuosa ma quella
delittuosa, perche la virtu e compenso a se stessa ed il delitto
no. Ma affatto e cosi, rispondiamo noi: 0 la virtu e premio a se stessa, ed anche il vizio e castigo a se stesso , o il vizio non e castigo a se stesso, e neppure la virtu c premio a se stessa. In¬
fatti, o si tratta di atti riconosciuti come buoni o cattivi dal sog¬
getto stesso die li a compiuii. ed allora i primi gli sono di premio
coll' interna pace e soddisfazione die generano, ed i secondi di
pena coll' interno dissidio e rimorso die li accompagnano : o si
tratta di atti buoni o cattivi non riconosciuti come tali dal sog¬
getto, ed allora come gli atti cattivi, die non generano rimorso nel-
P individuo operante, non gli sono di castigo, cosi non gli sono di premio neppure gli alti buoni die non danno soddisfazione alcuna, perche manca la coscienza della bonta di essi. Cosi ve¬ diamo che, come chi a soeeorso un infeliee con tutta coscienza dell' oprato gode del benefido fatto, cosi chi si ravvede di aver
fatto male al prossimo non gode certo , ma soffre nelP interno
- 125 —
delF animo suo, ed al contrario chi compie un'azione buona non
perche egli la riconosca tale, ma perche la legge gliela impone
come tale, egli non trovera nelP adempimento di essa nessuna sodisfazione e qu'ndi nessun premio ; e valga Pesempio del soldato
che non coglie nessun premio, appunto perche non prova nessuna
soddisfazione, nelF attenersi alia consegna per un puro timore della legge, come colui che non crede di commettere atti d' in¬
giustizia verso il prossimo defraudandolo , e, per questo errore
di giudizio, che non sente in se stesso il castigo del rimorso. Se poi dagPindeterministi si dice die il rimorso, anche quando
a luogo, e ben poca cosa per poterlo considerare come giusta re¬
tribuzione del delitto, noi facciamo notare , che anche quando a
luogo la sodisfazione e troppo poca cosa per aversi come giusta
retribuzione dell'atto meritorio. Non c' e via di mezzo : o il male merita il male come una
retribuzione positiva giuridica da parte della societa o non lo
merita ; se non lo merita e ragionevole die anche per il bene
oprato non vi sia altra retribuzione die la naturale, spontanea e
conseguente sodisfazione personale che si traduce nel benessere
morale delFuomo; o lo merita e la stessa retribuzione corrispon¬
dente deve merit are da parte della societa anche il bene. Ma giacche questo non avviene si deve ritenere necessaria¬
mente che la societa non esercita alcuna giustizia retributiva, ma
semplicemente una giustizia conservatrice, protettrice, tutelare dj
un ordine gia costituito o da costituirsi per volonta collettiva dei suoi niembri.
Gli altri argomenti addotti a favore delPindeterminismo, per¬
che non ne val la pena, omettiamo di confutarli , e, credendo di
dover porre fine al nostro dire, concludiauio dicendo, che voler
continuare a parlare di indeterminismo e volersi mettere fuori
scienza e quindi renclersi incapad a poter concorrrere scientifica.
mente al progresso morale delFuomo, privato e pubblico, indivi¬ duale e sociale, die pur sembra dover essere lo scopo ultimo di ogni umano sapere,
BIt3LIOGRAFIA
Ambrosi — II Primo passo alia Filosofia: P. I. Psicologia, P. III. Etica. Ardigo R. — La Morale dei Positivisti (Angela Braghi, Padova 1901). Bergson E. — La Filosofia delP Intuizione <R.. Carabba, Lanciano 1909). Bonatelli F. — Elementi di psicologia e logica (Padova. F. Sacchetti 1895). CaS6 G. — II problema della liberty (Sandron. Palermo, Milano, ecc). Cantoni C, — E. Kant (Fratelli Bocca, Torino 1907).
» — Psicologia morale (U. Hoepli, MFano 1902). De Sarlo F. e Cald G. — Principii di scienza etica [Sandron). Ferri E. — Sociologia criminale (Prt. Bocca, Torino 1900;. Fimiani — Corsi universitari di Storia della Pilosofia. FoniSIse Morale des idees forces (Pelix Alcan, 1908 Parigi), Flammarion — Opere filosofiche. Forster Fr. W. — Alle soglie della maggiore eta (Societa Tip. Editr.
Torino 1909. Heine !. — La Vita e la Coscienza (Prt. Bocca 1901 \ Hoffding Harald — Esquisse d'une psychologie (P. Alcan, Parigi 1903). lames William — Principi di psicologia (Soc. edit. lib. Milano 1901). Lap} Paul — La logique de la volonte iF. Alcan, Paris 1902). Leibnitz — Oeuvres philosoi3hiques (Paris, 1866 v. 2 in 8\ Masci F. — Coscienza, volontd, liberta (Lanciano, 1884).
» — Psicologia (L. Pierro, Napoli 1904). » — Etica (Luigi Pierro, Napoii 1911).
Milanesi G. B. — La negazione del libero arbitrio ed il criterio del giusto (Milano 1894 Prt. Dumolard).
Morando — II problema del libero arbitrio (Milano 1895). Morselli E. — Psicologia moderna (Livorno - Giusti 1905). Petrone I. — Corsi universitari di Filosofia morale.
» '■— I limiti del determinismo. » — Problemi del mondo morale.
Prudhomme Sully — Psychologie du libre arbitre (F. Alcan 1907 Paris). Ribot T. - Le malattie della volonta (Frt. Treves 1904).
» — Psicologia delP attenzione ( » » 1905). Schopenhauer — Le monde comme volonte et comme representation.
(V. 4 Bibl. Naz. di Napoii). Sergi G. — Origine dei fenomeni psichici (Frt. Bocca, Torino 1904). TarOZZi G. — La varieta infinita dei fatti (Sandron).
» — La virtii contemporanea (Frt. Bocca, Torino 1900). Uphetti G. B. — Sulla via della Scienza (A. Reber, Palermo 1906;. Villa — La Psicologia Contemporanea. Wund — Compendio di Psicologia (Trad, di L. Agliardi - 0. Clausen,
Torino 1900).