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S iamo arrivati alla XXIV edizione del Festival. Che anche stavolta si presenta con tutte le carte in regola, se possi- bile ancora più interessante e autorevole, per ben figurare nel panorama degli appuntamenti estivi, non solo della nostra regione. In un momento come questo, dove la cultura è spesso messa all’angolo, e non solo per motivi economici, il nostro festi- val è cresciuto e continua a guardarsi attorno per scoprire nuovi talenti e essere trampolino di lancio per artisti e professionisti. Oggi, come sappiamo, stiamo attraversando un momento diffici- le. Organizzare un festival di questa portata e di questa importan- za, vuol dire prima di tutto lavorare molto. Faccio quindi, a livello mio personale e per conto di tutta l’Amministrazione comunale, i complimenti agli organizzatori e a tutti quelli che continuano a credere in questo progetto, partito da un sogno e diventato un punto di riferimento per molti. Il percorso fatto fino ad oggi, è sta- to lungo, difficile, affascinante, bellissimo. Ma non deve essere un punto di arrivo. Piuttosto deve fare da slancio per mirare ancora più in alto e raggiungere nuovi e più importanti traguardi, per i quali, tutti insieme, gli organizzatori, gli appassionati, i cittadini di Radicondoli, o quelli che idealmente condividono il nostro proget- to, dobbiamo impegnarci. Grazie a questo impegno e partecipazione, l’Estate a Radicondoli è oggi una splendida realtà, ben radicata nella tradizione ma che guarda al futuro con passione e solidarietà. Emiliano Bravi sindaco di Radicondoli S i apre un’altra stagione di Estate a Radicondoli, la 24esi- ma, in crescita di considerazione e visibilità a livello nazio- nale. Si è trattato negli anni di scelte artistiche motivate e costanti che hanno consentito al festival una precisa riconosci- bilità nel mare magnum delle manifestazioni estive nonostante il budget da cenerentola. Gabriele Rizza con il suo programma intitolato Tracce&Intrecci rimescola le carte e rilancia il gioco, segue il percorso e lo combina con esperienze teatrali in senso lato. L’edizione 2010 inaugura anche il “Premio Nico Garrone” e assegna un duplice riconoscimento: a Maestri, personalità o associazioni che sanno donare esperienza e saperi, e a giovani critici appassionati, nel pensiero affettuoso del nostro direttore artistico per lunghi anni. Con la pertinacia che ci appartiene, pre- pariamo fin d’ora uno speciale venticinquennale. Paolo Radi presidente Associazione culturale Radicondoli Arte Lidentità del festival sta nel suo percorso. Nel 2011 saranno 25 anni, cinque lustri. E sta nella sua storia, fatta di sco- perte, indagini, omaggi, curiosità, elaborazioni. Ma soprat- tutto di energia e passione. Il titolo scelto per questa 24esima edizione, un tracce&intrecci volutamente assonante e simpaticamente caotico, recupera “un” percorso e amplifica le traiettorie. Segno anche dei tempi scoperta- mente confusi e precariamente indecisi che stiamo attraversando. Le “tracce” sono quelle sedimentate da Nico Garrone e legate al suo lavoro di critico acritico, fuori dal coro, militante di un teatro instabile, e non omologato. Tracce che rimbalzano nei nomi di Da- rio Marconcini e Alessio Pizzech (Coco di Koltès), Cantieri Koreja (Doctor Frankenstein), Egumteatro (Quanto mi piace uccidere), Michele Di Mauro (Enrico 4), Alessandro Benvenuti (Me medesi- mo), di Lucia Calamaro, Fulvio Cauteruccio e Andrea Cosentino che presentano le loro ultime fatiche (rispettivamente Primo studio per l’Origine del mondo, Terroni d’Italia, Primi passi sulla luna), Roberto Abbiati e la sua lanterna magica viaggiante Una tazza di mare in tempesta” e il Monni che omaggia Dino Campana. Gli “intrecci” sollecitano altri spunti e indiscipline. Nuova dramma- turgia e ultime generazioni, come il Troski dei livornesi Edgarluve. E poi il teatro danza di Ambra Senatore (Passo) e di Antonio Carallo (Re-Play), il teatro musica di Valentina Banci e Nicola Pecci che ricordano Luigi Tenco 40 anni dopo, il music cabaret di Simone Nebbia (Gesuino) e lo Jacopo Martini Trio col tributo ai 100 anni di Django Reinhardt, le riletture novecentesche del Teatrino Giullare (La stanza di Pinter), il nuovo teatro ragazzi del Teatro Persona (Il principe mezzanotte), l’affabulazione civile di Marta Dalla Via (Ve- neti Fair) e di Giorgio Felicetti (Vita d’Adriano) e quella in/civile di Gabriele Di Luca (Gioco di mano), un pensierino alla Patria che compie 150 anni (L’Italia s’è desta di Stefano Massini), un “cartel- lino rosso” ai Mondiali sudafricani (Fuorigioco di rientro di Andrea Mitri) e in avvio, benaugurante, la melodia celtica dell’arpa di Ste- fano Corsi. Un programma, crediamo, che riafferma lo spirito libero, informale, non allineato, di Radicondoli. Rinfoltito anche dal film di Giorgio Diritti, L’uomo che verrà (da queste parti girato), e da una sezione dedicata alle realtà presenti e operanti sul territorio. Ultimo ma non ultimo il “Premio Nico Garrone”. Un premio affatto accademico che vuole segnalare nuove e indocili “firme” della cri- tica teatrale e individuare protagonisti della scena mossi e solleci- tati dal rischio della “non routine” e aperti ai venti dell’imprevisto. Come nello stile di Nico. Gabriele Rizza tracce&intrecci

tracce&intrecci - Radicondolimio personale e per conto di tutta l’Amministrazione comunale, ... Le “tracce” sono quelle sedimentate da Nico Garrone e legate al suo lavoro di

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Siamo arrivati alla XXIV edizione del Festival. Che anche stavolta si presenta con tutte le carte in regola, se possi-bile ancora più interessante e autorevole, per ben figurare

nel panorama degli appuntamenti estivi, non solo della nostra regione. In un momento come questo, dove la cultura è spesso messa all’angolo, e non solo per motivi economici, il nostro festi-val è cresciuto e continua a guardarsi attorno per scoprire nuovi talenti e essere trampolino di lancio per artisti e professionisti. Oggi, come sappiamo, stiamo attraversando un momento diffici-le. Organizzare un festival di questa portata e di questa importan-za, vuol dire prima di tutto lavorare molto. Faccio quindi, a livello mio personale e per conto di tutta l’Amministrazione comunale, i complimenti agli organizzatori e a tutti quelli che continuano a credere in questo progetto, partito da un sogno e diventato un punto di riferimento per molti. Il percorso fatto fino ad oggi, è sta-to lungo, difficile, affascinante, bellissimo. Ma non deve essere un punto di arrivo. Piuttosto deve fare da slancio per mirare ancora più in alto e raggiungere nuovi e più importanti traguardi, per i quali, tutti insieme, gli organizzatori, gli appassionati, i cittadini di Radicondoli, o quelli che idealmente condividono il nostro proget-to, dobbiamo impegnarci. Grazie a questo impegno e partecipazione, l’Estate a Radicondoli è oggi una splendida realtà, ben radicata nella tradizione ma che guarda al futuro con passione e solidarietà.

Emiliano Bravisindaco di Radicondoli

Si apre un’altra stagione di Estate a Radicondoli, la 24esi-ma, in crescita di considerazione e visibilità a livello nazio-nale. Si è trattato negli anni di scelte artistiche motivate

e costanti che hanno consentito al festival una precisa riconosci-bilità nel mare magnum delle manifestazioni estive nonostante il budget da cenerentola. Gabriele Rizza con il suo programma intitolato Tracce&Intrecci rimescola le carte e rilancia il gioco, segue il percorso e lo combina con esperienze teatrali in senso lato. L’edizione 2010 inaugura anche il “Premio Nico Garrone” e assegna un duplice riconoscimento: a Maestri, personalità o associazioni che sanno donare esperienza e saperi, e a giovani critici appassionati, nel pensiero affettuoso del nostro direttore artistico per lunghi anni. Con la pertinacia che ci appartiene, pre-pariamo fin d’ora uno speciale venticinquennale.

Paolo Radi presidente Associazione culturale Radicondoli Arte

L’identità del festival sta nel suo percorso. Nel 2011 saranno 25 anni, cinque lustri. E sta nella sua storia, fatta di sco-perte, indagini, omaggi, curiosità, elaborazioni. Ma soprat-

tutto di energia e passione. Il titolo scelto per questa 24esima edizione, un tracce&intrecci volutamente assonante e simpaticamente caotico, recupera “un” percorso e amplifica le traiettorie. Segno anche dei tempi scoperta-mente confusi e precariamente indecisi che stiamo attraversando. Le “tracce” sono quelle sedimentate da Nico Garrone e legate al suo lavoro di critico acritico, fuori dal coro, militante di un teatro instabile, e non omologato. Tracce che rimbalzano nei nomi di Da-rio Marconcini e Alessio Pizzech (Coco di Koltès), Cantieri Koreja (Doctor Frankenstein), Egumteatro (Quanto mi piace uccidere), Michele Di Mauro (Enrico 4), Alessandro Benvenuti (Me medesi-mo), di Lucia Calamaro, Fulvio Cauteruccio e Andrea Cosentino che presentano le loro ultime fatiche (rispettivamente Primo studio per l’Origine del mondo, Terroni d’Italia, Primi passi sulla luna), Roberto Abbiati e la sua lanterna magica viaggiante Una tazza di mare in tempesta” e il Monni che omaggia Dino Campana.Gli “intrecci” sollecitano altri spunti e indiscipline. Nuova dramma-turgia e ultime generazioni, come il Troski dei livornesi Edgarluve. E poi il teatro danza di Ambra Senatore (Passo) e di Antonio Carallo (Re-Play), il teatro musica di Valentina Banci e Nicola Pecci che ricordano Luigi Tenco 40 anni dopo, il music cabaret di Simone Nebbia (Gesuino) e lo Jacopo Martini Trio col tributo ai 100 anni di Django Reinhardt, le riletture novecentesche del Teatrino Giullare (La stanza di Pinter), il nuovo teatro ragazzi del Teatro Persona (Il principe mezzanotte), l’affabulazione civile di Marta Dalla Via (Ve-neti Fair) e di Giorgio Felicetti (Vita d’Adriano) e quella in/civile di Gabriele Di Luca (Gioco di mano), un pensierino alla Patria che compie 150 anni (L’Italia s’è desta di Stefano Massini), un “cartel-lino rosso” ai Mondiali sudafricani (Fuorigioco di rientro di Andrea Mitri) e in avvio, benaugurante, la melodia celtica dell’arpa di Ste-fano Corsi. Un programma, crediamo, che riafferma lo spirito libero, informale, non allineato, di Radicondoli. Rinfoltito anche dal film di Giorgio Diritti, L’uomo che verrà (da queste parti girato), e da una sezione dedicata alle realtà presenti e operanti sul territorio. Ultimo ma non ultimo il “Premio Nico Garrone”. Un premio affatto accademico che vuole segnalare nuove e indocili “firme” della cri-tica teatrale e individuare protagonisti della scena mossi e solleci-tati dal rischio della “non routine” e aperti ai venti dell’imprevisto. Come nello stile di Nico.

Gabriele Rizza

tracce&intrecci

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“La musica dei boschi è suonare di arpe, melodia che induce pace perfetta”. Bella sintesi di un mondo. Stefano Corsi è uno

dei fondatori dello storico gruppo di musica irlandese “Whisky Trail”, con il quale ha prodotto undici cd. Autodidatta è diventato un virtuo-so di arpa celtica e armonica. Una vera autorità in materia. Tanto che nel 2003 a Monza è stato premiato come “Arpista emerito” della musica irlandese insieme a Vincenzo Zitello e al bretone Myrdhin. Stefano ha suonato al fianco di nomi mitici come Frankie Gavin e Johnny Dickinson. Le atmosfere create dalla sua arpa veleggiano alte e suadenti, sug-gestive e sognanti, coinvolgenti e frenetiche, sulla scia della grande tradizione musicale e letteraria della “verde isola”, attraversata dalle liriche dei bardi e dalle leggende gaeliche. Simbolo di tutta una cul-tura e di un intero paese, suonata da musicisti professionisti che ne fecero un vanto e una gloria nazionale, l’arpa celtica (le cui origini si perdono nella notte dei tempi) rimase in uso soltanto a pochi eletti quando Cromwell (alla metà del Seicento) ne fece distruggere una gran parte perchè “colpevole” di esaltare il sentimento nazionale ir-landese. Poi furono i romantici a rivalutarne il mito e le suggestioni. Lo strumento attuale ricalca i pochi modelli antichi rimasti e ha una scala diatonica con un numero di corde variabile da 30 a 34. Dice Stefano: “La mia prima arpa uscì dalla magia delle mani di Michele Sangineto nell’anno 1983. Con le sue corde di metallo, l’impressio-ne che dava sotto le dita era quella di uno strumento dell’acqua e del fuoco, dolcezza e forza in un solo suono”.

mercoledì 28 luglioore 21.30 Chiostro delle Agostiniane

CONCERTO DI ARPA CELTICA E ARMONICAdi Stefano Corsi

ore 16/16.45/17.3018.15/19 Scuderie del Palazzo Comunale

gorgonzola dreamUNA TAZZA DI MARE IN TEMPESTA di e con Roberto Abbiati

giovedì 29 luglio“Ero a Castiglioncello seduto su uno scalino con Massimo Paganelli,

direttore di Armunia: c’era il mare, c’erano i laboratori per scolpire il legno, venne naturale iniziare a lavorare su Moby Dick proprio da lì...”. Chi l’ha detto che i grandi romanzi non possono essere ridotti ad agili racconti, chi l’ha detto che un classicone come quello di Melville non possa essere riscritto in chiave nuova, diversa, godibile. Una tazza di mare in tempesta fa parte di quegli spettacoli da respirare, da vivere, da vedere con tutto il corpo: prigionieri in una piccola stiva di legno di quat-tro metri per tre, alta neanche due metri e mezzo (astenersi claustrofo-bici), 15 spettatori si trovano per 15 minuti a vivere con Roberto Abbiati una porzione della mitica storia: ventre della balena o stiva della nave poco importa, quel che conta è condividere un movimento, un bagliore, una speranza e un addio. “Sono solo in scena con un indispensabile tecnico che manovra lampadine e carrucole – continua Abbiati, che per lo spettacolo ha vinto il Premio Fiesole per le arti -, non vedo gli spetta-tori in faccia ma ne avverto la partecipazione, sento che si trasformano a poco a poco in membri dell’equipaggio, sofferenti per il naufragio im-minente”. E se Abbiati per la sua balena mignon è partito da Melville, qualcun’altro ne ha raccolto il testimone per proseguire il viaggio, tra la fantasia e la realtà: è lo scrittore Matteo Codignola che ha tratto spunto dallo spettacolo per il suo Un tentativo di balena (Adelphi). Illustrato dallo stesso Abbiati: il cerchio si chiude, tutti sotto coperta.

Valentina Grazzini

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ore 21.30Piazza della Collegiata

associazione teatro butiCOCOdi Bernard Marie Koltès con Elena Croce e Giovanna Daddiregia Dario Marconcini e Alessio Pizzech

Chanel uno e due. Versione double face. Il giochino stereofonico e con-trappuntistico lo inventano Dario Marconcini e Alessio Pizzech com-

plice la microdrammaturgia di Bernard Marie Koltès che sul letto di morte (1989) le dedicò un piccolo testo incompiuto in tre brevi sequenze per la prima volta ora tradotto in italiano da Luca Scarlini. Morente Koltès, ago-nizzante Gabrielle (in arte Coco, 1883/1971), rivoluzionaria creatrice di moda e sciupamaschi di altisonante blasone (Picasso, Diaghilev, Bresson, Cocteau, Artaud, Stravinskji), concentrato di fascino e temperamento, icona di un cambiamento che da occasionale diventa epocale, il quadro è sufficientemente fosco. Su di lei, che vestiva di solo profumo le notti bar-bituriche di Marilyn, i transalpini hanno cucito negli anni una biografia già di suo eccitante, coltivandola con la stessa adorazione riservata a Edith Piaf. L’ultima uscita di scena di Coco, sul viale di un tramonto rabbioso nei confronti di quelle stesse creature che lei per prima aveva aiutato a svec-chiare e rendere seducenti, scandisce un faccia a faccia tragico e crudele giocato sullo scacchiere dei rispettivi ruoli dal classico duo ser-va/padrona Elena Croce/Giovanna Daddi (bravissime entrambe) che, alternativamente, dirette da Alessio e Dario si scambiano gli “attributi”. Nella solitudine dei campi di cotone, lino, seta e tutte le altre stoffe che per Coco furono materia prima, Kol-tès disegna una trama fatta di smarrimenti, miserie e ripicche, vuoti d’anima e prevaricazioni, nell’insondabile gioco che fa della vittima il carnefice e viceversa. E qui, in questo scambio di identità, quasi un occultamento del cadavere prima dell’au-topsia, sta la forza dell’allestimento, che da speculare diventa contraddittorio e molesto. Più melò e corrucciata la versione di Pizzech, bersagliata dalle arie del “Giulio Cesare” di Haendel, la domestica che alla fine si accuccia accanto alla padrona come un cagnolino obbediente. Più astratta e metafisica, necessaria-mente “straubiana” quella di Marconcini, punteggiata dai ritmi dei Gipsy King e dalle canzoni di Barbara. (g.r.)

La storia di un amore. Il protagonista ripercorre la memoria della pro-pria famiglia ricostruendo una complessa e bizzarra trama di rela-

zioni, fatti, leggende. Una mitologia domestica in grado di mescolare e confondere, attraverso una narrazione comica e visionaria, la fantasia e i sogni con la realtà. Una fiaba moderna. E un racconto popolare. Un viag-gio surreale che attraversa la vita, gli amori e i miracoli di quattro diverse generazioni: un bisnonno leggendario per essere improvvisamente invec-chiato il 27 marzo 1978; un nonno che perse le gambe in guerra in cir-costanze davvero insolite e tragicomiche; un padre cresciuto a cinturate e bestemmie; e infine un figlio con la passione per i film porno. Quattro bizzarri personaggi, due morti e due vivi, legati tra loro dall’inscindibile rapporto di sangue padre-figlio. E come se non bastasse, San Pietro, mandato all’improvviso da Dio sulla terra con un compito molto partico-

lare, una missione delicata e forse pericolosa per lui, che ha un solo punto debole. La memoria riporta i personaggi nell’aldiquà, attraverso un pretesto insolito e divertente: ogni volta che nel racconto un padre sorprende il figlio a masturbarsi (da cui il tito-lo) il naturale imbarazzo per l’episodio si trasforma presto nella prima vera occasione di dialogo tra i due e segna l’iniziazione del ragazzo all’età adulta. Un’avventura umana ricca di ribaltamenti, equivoci, giochi, colpi di scena. Un racconto semplice, ironico, talvolta tagliente. Divertente e amaro. Una favola per tutti, sulla vita. Una affabulazione ondeggiante, ora cruda, ora dolorosa, ora sospesa nel tempo e nello spazio, solfeggiata su un tappeto sonoro complice e originale.

ore 22.45Teatro del Risorti

carrozzeria orfeoGIOCO DI MANOdi e con Gabriele Di Lucaal pianoforte Daniel De Rossi regia Gabriele Di Luca e Massimiliano Setti

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Succede che a volte si vorrebbe parlare di cose difficili, complicate, cose che intasano la vita di tutti e da tutti si vorrebbe farsi ascoltare.

Succede che a volte quella voce non basta, che parlarne non è sufficiente, che la propria voce di uomo è compromessa agli altri uomini e alla deriva di cui si vuole dire. Allora si fa spazio un’altra voce, quella più interna, un personaggio che si prende la persona, un occhio che vedo attraverso altri occhi, e da quel momento ascoltano tutti, come un miracolo, un’appa-rizione. Così un giorno, camminando per la strada, m’è venuto a trovare Gesuino, s’è messo qui di fianco, a camminare con me, guarda quello che guardo io, ma con la sola differenza che lui è anche capace di vedere.

M’ha raccontato di suo padre, dei comunisti, di quel-la volta che era primavera e c’erano le elezioni, m’ha raccontato di ballerine che ballano senza musica, di ricordi mestieri ed emozioni, di rivoluzioni mai comin-ciate e quelle mai finite, del valore delle cose che non sappiamo più riconoscere, dei soldi e delle leggi del mercato e poi di un paese meraviglioso a metà tra il sogno e la realtà, di viaggiatori d’amore e viaggiatori di commercio, un paese affaticato che sopravvive ai suoi sovrani, avvolto nel velo di una nuova Babele in cui nessuno parla, nessuno ascolta più. Così allora Gesuino m’ha raccontato perché è l’unico modo di dire, m’ha detto, l’unico modo che abbiamo per im-primere le cose nella coscienza nostra e in quella di chi ascolta. Forse è per questo che, attraverso di lui, ho iniziato a raccontarlo anche io. Simone Nebbia

Tommaso Taddei è un promettente po-litico 30enne appena eletto dai suoi

concittadini. Amante di emozioni forti, l’onorevole Taddei ha fondato la sua lista civica a poche settimane dalle ultime ele-zioni battendo con grande disinvoltura gli avversari, politicamente più esperti, tatti-camente più agguerriti, economicamente più agiati. Taddei racconta la storia della sua vita: l’amore per l’allevamento dei polli, il giardinaggio come terapia anti-stress contro la gente maleducata, l’hob-by per gustosi sughi per la pasta da lui confezionati, senza dimenticare i ricordi di un’infanzia difficile, la giovinezza piena di voci dell’aldilà che gli dicevano cosa fare e cosa non fare, il suo amore per le donne mai corrisposto e le notti in cerca di compagnia e inde-cenze. Forse un simbolo della nuova politica italiana che si fonda sul decantato partito dell’amore contro quello dell’odio, di certo un incubo sotterraneo che svela una vena orrorifica e mostruosa come il trauma irrisolto di una società malata e amorale, sfatta e cancerogena più che il singolo assalto alla perversione del singolo deviato. Disturbante e male-fica, la confessione di Taddei, svelta insinuante ficcante, tutta d’un fiato, arriva come un pugno nello stomaco e lascia addosso lo sdrucciolevole, mefitico sapore della malattia ambientale e del male oscuro che è an-cora la vita. (g.r.)

venerdì 30 luglioore 11Teatro dei Risorti

egumteatro/gogmagogQUANTO MI PIACE UCCIDERE… (storia di un politico toscano) con Tommaso Taddeitesto e regia Virginio Liberti

ore 18Teatro dei Risorti

radicondoli arteGESUINOdi e con Simone Nebbiacorde Marco Lima

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ore 21.30Piazza della Collegiata

ME MEDESIMOdi e con Alessandro Benvenuti

Il teatro è l’unico luogo in cui si possono ritrovare gli amici che non ci sono più. Il palcoscenico infatti è il mondo nuovo dove tutto è possibile: anche mettere insieme i vivi ed i morti. Un attore di grande sensibi-

lità come Alessandro Benvenuti ritrova Me medesimo scritto per Andrea Cambi che lo interpretò una sola volta. Benvenuti ricorda: “In origine il monologo era per Bobo Rondelli, ma toccò a Andrea portarlo in scena in un’indimenticabile serata a Castiglioncello. Fu la prima e ultima volta. Poco tempo dopo Andrea, nel frattempo diventato nuovamente padre, se ne andò per sempre. Ci sono delle persone che riescono a farsi voler bene in pochi secondi, gli stessi pochi secondi che purtroppo bastano a chiunque per morire”. Fra l’altro va detto che Cambi doveva andare in scena con Me medesimo il 4 agosto del 2005 ma lo spettacolo saltò per la sopraggiunta paternità. In questo gioco di coincidenze, di teatro, di vita e di assenze, occorre ricordare che Andrea se ne è andato lo scorso anno, il 22 febbraio, un giorno dopo la scomparsa di Nico Garrone che era suo amico e più volte lo aveva invitato qui a Radicondoli. Benvenuti e Cambi: due artisti diversi, due modi dissimili di affrontare le prove in palcoscenico e la vita di tutti i giorni: ma lo stesso talento. Quello di Benvenuti è il teatro dei sentimenti, nessuno come lui riesce a far ridere fino alle lacrime raccontando di piccole-grandi tragedie quo-tidiane. Un teatro che parla di esistenze alla deriva, dei dubbi e delle contraddizioni di poveri cristi, del tempo che passa, delle lingue diverse che parlano nonni e nipoti. Andrea Cambi era un attore comico surreale: dalla lingua toscana e dallo sguardo triste. In lui convivevano Benigni e Keaton, genialità e cialtroneria, l’anima più stralunata e stravagante di quel ful-minante gruppo di comici che era “Vernice fresca”. Tornando a Me medesimo Benvenuti dice: “Sul palco spoglio, una scatola nera, un uomo con una chitarra a tracolla. è Cencio, il protagonista che pensa ad alta voce, ricorda, racconta, fa sorridere, ridere, emoziona. Unica consola-zione un’amicizia femminile, forse vera, forse inventata”. Del resto, come canterebbe Vecchioni: “Tanto che importa a chi le ascolta se lei c’è stata o non c’è stata e lei chi è”. Roberto Incerti

The room è la prima commedia di Harold Pinter. 1957, attualissima. Sembra di essere in uno di quei grandi palazzoni, grigi, umidi, degrada-

ti, ma lottati e combattuti fino all’ultimo mattone dai suoi abitanti. Sembra vedere gli alveari occupati della periferia di Roma, o le case dell’Aquila, o le baracche difese con i denti dagli sfratti della polizia. Quel buco chia-mato casa dove si mangia pane e precarietà. I bolognesi Teatrino Giullare proseguono la loro illuminata ricerca sull’attore, sul suo alone di misterica materia: i pupazzi del Finale di partita beckettiano, gli abiti-sipario di Alla meta di Bernhard, i pezzi di corpo sparsi di Koltès nella sua Coco. Qui ma-schere gommose, profili e mezzobusto. Due attori, sei personaggi. Un mi-crocosmo popolato da ombre che s’ingigantiscono, paure che s’affollano, sicurezze che cadono, certezze che svaniscono. I due TG si muovono con delicatezza, sospensione, tra detriti e relitti pinteriani, ne esaltano quella forma che pare bidimensionale ma che nasconde un antro inaccessibi-le dietro una parvenza di banalità. Un caseggiato-casermone dai confini fiabeschi e noir, un castello delle streghe e la paura dell’altro che non riesce a passare nonostante allarmi, grate, sbarre, guardie giurate, ronde notturne, cani ringhianti, porte blindate e casseforti. Un’anziana coppia si è da poco trasferita in un nuovo quartiere. La casa è l’ultimo baluardo di resistenza dove rintanarsi nel silenzio delle proprie convinzioni. Tu chiama-la, se vuoi, solitudine. L’ansia s’impenna intorno alla trincea da difendere, e quando qualcuno abbandona la tana, la preoccupazione nell’alcova-bunker cresce e il ritorno è salutato in maniera trionfale: “Ce l’ho fatta a tornare”, come se là fuori infuriasse la battaglia campale. Perché cambia-re, quando tutto va male? Potrebbe andare peggio. Tommaso Chimenti

ore 22.45Scuderie del Palazzo Comunale

teatrino giullare LA STANZA di Harold Pintertraduzione Alessandra Serrainterpretato diretto e costruito da Teatrino Giullare

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sabato 31 luglioore 11Teatro dei Risorti

QUANTO MI PIACE UCCIDERE(replica)

ore 17.30Palazzo Bizzarrini

I° PREMIO NICO GARRONE

APERITIVO CRITICOletture di Tommaso Taddei

Non facile decidere. Ma è stata una bellissima giornata di lavoro. I membri della giuria, Rossella Battisti, Valeria Ottolenghi, Sandro

Avanzo, Enrico Marcotti e Anna Giannelli, colonna portante e fondamen-tale punto di riferimento nella cui casa in Versilia ci si è ritrovati a discu-tere fittamente, ancora freddo malgrado la primavera inoltrata, sui criteri di scelta, intorno ai nomi indicati da artisti e compagnie, singoli autori e gruppi. Un compito arduo che ha moltiplicato/complicato i discorsi in infiniti rivoli di grande interesse, legati alla situazione del teatro italiano contemporaneo, alla ricerca, ai passaggi generazionali, all’importanza dei maestri e alla necessità di tenere vigili gli sguardi su quanto va rin-novandosi nelle poetiche come nelle forme produttive. Più volte si è detto: dovremo parlarne insieme durante la consegna dei premi, anche per capire meglio come organizzare le prossime edizioni. E anche se probabilmente - come spesso accade - prevarranno considerazioni e discorsi “di circostanza” resta nella giuria la volontà condivisa (chiara convinzione) di instaurare un dialogo fitto, continuo, intorno al Premio, per mantenere vivo il senso profondo di questa manifestazione: ricor-dando Nico Garrone tenere acceso il confronto tra critici e artisti, creare incroci di sguardi, far emergere, valorizzare, le felici intuizioni di chi crea ma anche di chi legge e analizza gli eventi, gli spettacoli. Artisti e critici insieme per il teatro. Molte le risposte, una settantina, diverse e-mail e riflessioni sulle difficoltà, reali, di questi tempi. Alcune verranno lette da Tommaso Taddei, in forma anonima naturalmente. La giuria si è soffermata a lungo, in particolare, sulle recensioni dei critici segnalati, cercando di cogliere la capacità di far emergere lo spettacolo analizzato, la competenza comunicativa e così via. Anche qui non sono mancati i dubbi. Ma alla fine, con reciproco ascolto, la decisione è stata unanime. Questi i nomi: Claudia Gelmi “Corriere del Trentino”, Valentina Grazzini “L’Unità Firenze”, Marianna Sassano “NonSoloCinema” rivista online. Forse più difficile la scelta dei Maestri, perché numerosi e diffe-renti i nomi indicati. Resta il fatto che varie segnalazioni avevano rice-vuto sia Alessandro Benvenuti che l’Arboreto-Teatro Dimora Mondaino e alla giuria faceva piacere poter riconoscere il valore, la generosità sia di un grande autore, attore, regista, vicino a Nico in mille modi, ma anche un luogo, un teatro speciale come quello di Mondaino, capace di ospita-re artisti e compagnie, organizzare stage e laboratori, permettere di stare e studiare, approfondire e sperimentare. Tra le questioni rimaste aperte: va bene il bando così? si devono fare ul-teriori distinzioni (per esempio tra critici/saggisti, critici di carta stampata e su web)? Ma anche di questo sarebbe bello poterne parlare insieme a Radicondoli d’Estate, il festival di Nico.

la giuria del Premio Nico Garrone

Marianna Sassano

Claudia Gelmi

Valentina Grazzini

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ore 21.30Piazza della Collegiata

cantieri teatrali koreja DOCTOR FRANKENSTEIN di Francesco Niccolinicon Fabrizio Pugliese e Fabrizio Saccomannoregia Salvatore Tramacere e Fabrizio Pugliese

Si apre con un Padre nostro il Doctor Frankenstein dei Cantieri Koreja. Lo scienziato è in sedia a rotelle, le caviglie spezzate dalla furia della sua

Creatura, e prova rivolgersi al Cielo. Certo senza molta convinzione, se è vero che tutto il romanzo di Mary Shelley è sotteso da una grande bestem-mia: “maledetto il mio creatore”. Per il drammaturgo Francesco Niccolini è questo il fulcro del testo: il grido disperato della Bestia, messa al mondo senza essere amata. Ecco allora che per i Koreja, il Frankenstein diventa un dialogo claustrofobico e serrato fra il dottore e la sua Creatura. Chiusi nel la-boratorio ultratecnologico dello scienziato, i due si torturano a vicenda: l’uno sfruttando scosse elettriche ed altre tecnologie, l’altro servendosi soltanto della sua forza disumana. Ma come in ogni coppia che si rispetti, a tanto strazio corrisponde un profondo e inestinguibile legame. Per costruire la sua storia, Niccolini ha ricalcato i personaggi del Finale di partita di Beckett: un padre in sedia a rotelle chiuso in casa insieme al figlio, mentre del mondo, fuori, non resta più niente. Anche qui non c’è vita se non nel laboratorio, ma la colpa è soltanto della furia omicida della Bestia. E le citazioni non finiscono qui: Blade Runner e The Truman Show, passando per Misery non deve morire e Tutte le mattine del mondo. Fonti che Niccolini cita nella sua Trilogia del Salento, la raccolta dei tre testi scritti per il gruppo di Lecce, edi-ta da Titivillus. Debuttato in Puglia per il decennale dei Koreja, lo spettacolo si è aggiudicato il Premio del Miglior Attore al Festival Fadjr di Tehran per l’interpretazione di Fabrizio Pugliese. Gherardo Vitali Rosati

ore 22.45Scuderie del Palazzo Comunale

ENRICO 4.partitura in musica per voce soladi Michele Di Mauro & G.U.P. Alcarocon Michele Di Mauro

Basta una corona per incarnare quel matto che pensava di essere Enrico IV. Lo spettacolo è “moltissimo liberamente

tratto” da Pirandello, e della celebre tragedia mantiene solo il nocciolo. Cambiando l’ordinale col cardinale, Di Mauro porta in scena un Enrico 4 che del suo prototipo conserva essenzial-mente la follia, reale o presunta, del protagonista. In una realtà sempre più incerta e inafferrabile, è questa l’unica possibile chiave per sopravvivere. Ecco allora che lo spettacolo diventa un elettrizzante concerto per parole e suoni, che prende in pre-stito con disinvoltura ogni genere di opere teatrali e letterarie. Shakerando l’Hamletmachine di Muller con passi di Petrolini, Carver o Nijinsky, Di Mauro propone un cocktail che ben si spo-sa con la musica di Alcaro. Si diverte a cantare poesie e a re-citare canzoni: ‘O surdato ‘nnamurato e Il canto notturno di un pastore errante dell’Asia di Leopardi. In una scenografia fatta solo da un leggio e un cavallino a dondolo, l’attore si fa virtuoso del suono e della parola e gioca come Carmelo Bene a trasci-nare il pubblico nel suo vortice sonoro. E pur citandolo appena, sa restituire intatto il contenuto dell’opera di Pirandello.

CENTRALI APERTEore 18CENTRALE GEOTERMICA NUOVA RADICONDOLI

radicondoli arteL’ORIGINE DEL MONDOParte primaLa menzognadi e con Lucia Calamaro

domenica 1 agosto“Ho provato un desiderio. Uno di quelli che fanno succedere molte

delle cose che succedono. Ed è lui che posso descrivere in que-ste righe, e fare tentativi di esegesi del percorso conseguente, dei pensieri che lo tracciano, sebbene prima di compierlo, sia tecnicamente impossibile seguirlo. Continuo a credere in un teatro come strumento specifico di ar-ticolazione del pensiero. Non come intrattenimento, ma come sprofondo nell’animo umano. I poli di senso di questo lavoro, come predica il titolo, sono due e, a un primo approccio, non immediatamente riconducibili a un centro: l’ origine del mondo e la menzogna. Ma essendo che il mio teatro, quindi il mio pensiero, parte dalla scrittura per gli attori, cioè si articola at-traverso il loro essere umani, stanno piano piano venendo fuori le figure, gli abitanti, necessari per questo lavoro. Si vincolano, per ora, principalmente in coppie. La psicoanalista La madre. La madre Il bambino. Il bambino L’an-gelo custode. A oggi questi sono loro. Questo è il progetto. Questa sono io”.

Lucia Calamaro

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ore 22.45Teatro dei Risorti

QUANTO MI PIACE UCCIDERE(replica)

ore 21.30Piazza della Collegiata

PASSOcoreografia Ambra Senatorein collaborazione con Caterina BassoClaudia CatarziMatteo CeccarelliElisa FerrariTommaso Monza musiche Brian BellotAndrea Gattico

Ironico, irriverente, ma soprattutto pop. Con il suo “passo”, Ambra Senatore porta in sce-

na un lavoro esilarante e ritmato, strutturato su una infinita e divertente ripetizione di se stessa. Vestitino verde e parrucca nera, è sola in scena quando inizia lo spettacolo. Si rad-doppia come per magia grazie a una sua quasi sosia, e poi il gioco continua fino a quando la scena si riempie con sette danzatori, sempre vestiti e truccati come lei. Compresi i due uomini, con muscoli e barbe che cozzano buffamente con i loro femminili vestiti da festa. Parlano con gesti che partono dalle dita per contorcere tutto il corpo, e sanno dosare con de-strezza sguardi penetranti e pungenti. Lei guarda il pubblico quasi con sfida, la imitano con qualche variante i suoi danzatori. Passo è fatto di gesti inat-tesi che costringono a cercare continuamente una nuova interpretazione dello spettacolo. L’idea è di stimolare elasticità e spirito critico nel pubblico, proponendo una continua mutazione di senso che impedisce interpretazioni univoche. Con Passo – che fa un po’ pensare alla Marylin di Andy Warhol, o alle sue colorate bottigliette di Coca Cola – Ambra si è aggiudicata il Pre-mio Equilibrio 2009 all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Allieva di maestri come Raffaella Giordano e Carolyn Carlson, Ambra lavora fra Italia e Francia dal 1997. è anche studiosa e teorica: vanta un dottorato sulla danza contemporanea e il volume “La danza d’autore. Vent’anni di danza contemporanea in Italia” edito da Utet nel 2007. Gherardo Vitali Rosati

Un diario italiano pieno di orrori e balorde assun-zioni di farmaci. Di mezzo c’è il secolo e mezzo di

“Unità”, centocinquanta anni di baldorie, smottamen-ti, rivelazioni. Un inestricabile groviglio di malesseri e contraddizioni. 150 anni che restano sospesi, geo-graficamente terremotati, aggrappati a parole spesso vuote, circostanze epidermiche, conciliazioni affetta-te e affrettate. A ricordarceli dalla parte non inquinata provvede a volte la drammaturgia che può permettersi la capitolazione e la ricapitolazione senza stringere patti col diavolo o con la curva opprimente della storia. Il nuovo testo di Stefano Massini alla ricorrenza/scadenza dedicato si chia-ma L’Italia s’è desta. Che è titolo cantabile, onorifico e simbolico, di questi tempi ambivalente e scaduto. La visione, srotolata con veloce catapultante bravura dai tre interpreti senza pause e intervalli, tutto d’un fiato come una brutta medicina da buttare giù, mette ansia. Immigrati che non sai dove mettere, missili impazziti, bunker anti-invasione nelle ville del Nordest, mat-tatoi ipertecnologici, un supereroe con tanto di mantello che volteggia per una Gotham City partenopea e così di seguito, in un delirio di panorami incendiari e panoramiche desertificate. Ma sconvolgentemente tutto vero, un catalogo che investiga impietosamente la geografia del Belpaese. Una irriverente discesa agli inferi della famigerata penisola, impietosamente pas-sata ai raggi ics. Un viaggio grottesco, tragicamente reale tra le assurdità, le spudoratezze, i vizi e le virtù dello Stivale, un quaderno di appunti, ritagli, sottolineature: il sismografo di un improbabile essere nazione. Un Moleskine di spigolature civili lo definisce l’autore. (g.r)

lunedì 2 agosto ore 21.30Piazza della Collegiata

il teatro delle donneL’ITALIA S’E’ DESTACatalogo No-stranodi Stefano Massinicon Daniele Bonaiuti Luisa CattaneoCiro Masellaregia Ciro Masella

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è stato l’anno del tripete dell’Inter. Dell’addio dello Special One. E’ soprat-tutto l’anno dei Mondiali. Oltre i campioni, gli ingaggi faraonici, le luci

della ribalta, esiste un calcio più a misura d’uomo, fatto di sudore, gambe pelose, maglie di lana che prudono. Un calcio d’altri tempi dove nell’in-tervallo ti davano soltanto un tè caldo. Un calcio in bianco e nero dove le partite cominciavano tutte allo stesso orario, di stranieri neanche l’ombra, zero moviola ed il lunedì via di corsa a leggere Gianni Brera. In quest’ottica Fuorigioco di rientro colpisce in pieno il sette. Sul palco uno strano attore, unico esempio di passaggio dal rettangolo di gioco verde alla scena: Andrea Mitri. Se li è fatti tutti i campetti, da quelli di periferie fino al professionismo. Panchine corte, tempi da Figurine Panini: dal ’77 all’89, Ternana, Monza, Cavese in B, Pistoiese, Rondinella, Triestina in C, Siena, Fiorentina da alle-natore delle giovanili. Il pubblico vicino che suda insieme all’ala, calzettoni arrotolati alle caviglie, panchine cortissime, un passato recente lontano da satelliti, miliardi, digitale terrestre, veline. Mirko Botteghi è il protagonista. “Botteghi c’ha il tocco”, il tormentone dei tifosi ululanti in adorazione. Ti idolatrano quando segni, ti vorrebbero uccidere per un passaggio sbagliato. Stalle e stelle. Sulla scena una panchina e una borsa. Tanto stretching. Il calcio è come l’esistenza, ma più semplice, “la vita adesso è più difficile, non c’è un’altra domenica per potersi rifare, non ci sono regole certe, non c’è un arbitro che le fa rispettare”. E poi le macchiette che ruotano intorno, che ricordano Enia e Cederna, Benni e Covatta e Benvenuti: la mezza punta Carmine Esposito, che non vuole fare gli addominali, l’allenatore pignolo, il procuratore barese Isidoro, l’allenatore aretino Pampaloni votato al cate-naccio e alla rissa, l’attaccante donnaiolo livornese Benetti. Spicchi di un pallone sgonfio perduto in cantina. Tommaso Chimenti

ore 22.45 Scuderie del Palazzo Comunale

teatri divagantiFUORIGIOCO DI RIENTROdi e con Andrea Mitriregia Alberto Di Matteo e Silvano Panichi

martedì 3 agosto Le vele le vele le vele. Le vele di Campana, a 77 anni dalla morte,

sono tornate ad avere il vento in poppa. Perché il poeta di Marradi ha trovato un amico: l’attore poeta tragicamente comico Carlo Monni. Il Monni, comunemente detto, ha riportato in vita Campana grazie allo straordinario, coinvolgente spettacolo NotteCampana, da cui è scaturito un libro e un disco edito da “Materiali sonori”. Più che uno spettacolo è un’identificazione: perché Campana e Monni hanno tanto, forse troppo, in comune. Lo confessa lo stesso attore: “Sento Campana simile a me, lo amo, mi identifico in lui anche se io, certo, so scrivere peggio. Spero di non morire in un manicomio come è capitato a lui, ma anch’io ho subito molte vessazioni”. Eppure Carlo è probabilmente l’attore più amato, cono-sciuto e stimato di Firenze: adorato da intellettuali e da gente del popolo, rammentato spesso nei grandi teatri come nelle vinerie. In una sorta di leggenda metropolitana, sotto il cielo di ogni bar, c’è sempre qualcuno che è pronto a giurare: io sono il più grande amico di Carlo. Nel finale dello spettacolo c’è un momento magico in cui Monni, jeans e camicia bianca canta, urla, prega, recita quel “le vele, le vele, le vele” che diventa “un inno rock, un urlo di libertà, il maestrale che pulisce il mare, una maniera meravigliosa per affermare la propria autonomia”. Come dire: la cambio io la vita che non ce la fa a cambiare me. NotteCampana assomiglia ai cieli e ai mari descritti da Calvino, fa venire in mente Carmelo Bene che quando si identificava in Campana faceva sentire con la sua voce il ven-to che giocava con le vele di una barca. Monni interpreta La chimera e racconta con melanconia e ironia l’amore del poeta per Sibilla Aleramo. “Lei era sexy, intrigante. Lui, che di eros ne masticava poco, la portò in un luogo appartato, in campagna: era qui che scriveva, meditava, leggeva, ascoltava il vento. Lei una volta gli disse: io sono Sibilla. Lui si sbottonò e di rimando: e io sono Dino Campana e questo è il mio batacchio. Anch’io come Dino ho vissuto amori infelici, che sono i più belli. Mi sono salvato perché rispetto a lui ho un carattere più forte e ho avuto la fortuna di in-contrare due-tre Sibille”. Roberto Incerti

ore 21.30Piazza della Collegiata

materiali sonoriNOTTECAMPANAcon Carlo Monni voce poetica Arlo Bigazzi bassoOrio Odori clarinetto Giampiero Bigazzi tastiere voce electronics

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Dentro la scatola c’è un mondo, avvenente e misterioso. Bambini di tutte le età l’ora delle streghe è scoccata. Non c’è da prepararsi. è

come respirare o andare in bicicletta: siamo sempre pronti. Costumi da Tim Burton, cura dei particolari, atmosfere mozzafiato. Che la suspense abbia inizio. Lasciatevi andare. Un altro mondo è possibile. Forse abita in un cassetto, dove un bambino, oggi adulto, invecchiato e disilluso, aveva nascosto il suo sogno, ora impolverato. E se qualche anno fa sarebbe bastato un poco di zucchero, anche oggi, la magia non è solo terreno per tutti gli Harry Potter che ci affollano e ci ingombrano. La fantasia è un’altra cosa. Ombre, fumo, maledizioni, segreti, esseri chimerici, incroci franken-steiniani, creature bizzarre, tocchi da Famiglia Addams, mistero, presenze inquietanti che sembrano uscire da incubi, da libri magici, di streghe e stregoni, di pozioni e incantesimi, scheletri danzanti. L’immaginario col-lettivo degli orrori, i mostri, l’ignoto. Appare un castello che spunta nero d’inchiostro dietro il sipario. Esistono più cose tra cielo e terra…La paura

e la tensione cavalcano lo stesso cavallo della melodia, coc-colati da cadenze avvolgenti, da spartiti ondulati, da penta-grammi di marosi e dolcezze. Corriamo verso Samarcanda. E, come nel loro Beckett, come nel Trattato dei Manichini, il Teatro Persona mette il proprio inconfondibile marchio: la potenza di immagini semplici, la forza di una costruzione del pathos che prende corpo e trascina, tracciati di filastrocche per lampi di poesia quasi fumettistica che si assommano, si accatastano creando catarsi, distacco ed abbandono. Per-ché i sogni son desideri. Tommaso Chimenti

mercoledì 4 agosto ore 18Belforte Sala Arci

teatro personaIL PRINCIPE MEZZANOTTEcon Valentina Salerno Marco VergatiAndrea Castellanotesto regia scenografia Alessandro Serra

I tasselli andranno a posto, non abbiate timore. E quel fiume di parole che scaturisce limpido eppur tumultuoso dalla bocca di Andrea Cosenti-

no, indomito artista abruzzese, troverà un suo letto, placido e calmo. Primi passi sulla Luna parte da una verità (l’allunaggio di Neil Armstrong il 20 luglio 1969) per metterla in dubbio (fu una finta interpretata da un sosia dell’astronauta calato nel set di 2001 Odissea nello spazio, lo stesso Orson Welles pur avvezzo a tal tipo di scherzetti sarebbe impallidito) e su questa traccia comica innesta vita privata e amare riflessioni, racconta di persone che non ci sono più e di cari che non lasciamo andar via, fino a tessere un imprevedibile pastiche in cui vita e morte, realtà e finzione sono indiscusse protagoniste. In scena c’è lui, trasformista quanto basta tra burino romano e Barbapapà, con una sedia, una scatola e il banco del mixer. Tutto intorno “pezzi eterogenei che misteriosamente si compongono”, spiega lui stes-so, anche se la suggestione che crea lo spettacolo, per ammissione dello stesso autore, è più chiara di ogni aggettivo. “Sono tutte cose che sono accadute nel 2009, per le quali mi sono trovato ad avventurarmi in territori sconosciuti. Lo spettacolo si tiene sul filo della tensione fino a ritrovarsi nel tempo narrativo, in un imperfetto in cui la verità dell’arte e la finzione dell’evento sono a confronto, in cui il nostro bisogno di verità appare finalmente chiaro”. Primi passi sulla Luna è dedicato a Nico Garrone, “al suo spegnimento, all’amore per Pinocchio che lo portò a veder-mi in teatro e che ci accomuna, ora come allora”.

Valentina Grazzini

ore 21.30 Teatro dei Risorti

mara’samort ass cultPRIMI PASSI SULLA LUNAdivagazioni provvisoriedi e con Andrea Cosentino indicazioni di regia Andrea Virgilio Franceschi

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giovedì 5 agosto ore 18Belforte Chiesa di Santa Croce

SOUVENIR DE DJANGOJacopo Martini TrioJacopo Martini chitarra Ruben Chaviano Fabien violinoTommaso Papini chitarra

Cento anni fa nasceva Django Rein-hardt, il musicista che ha inventato

un genere, il così detto “jazz manouche”, affascinante e trascinante mix delle melo-die tradizionali dei nomadi centroeuropei (i manouche appunto) con lo swing ameri-cano e la mousette francese. Il contagio è eccellente. Scaturiscono sapori e colori di una Francia che dette ospitalità al più im-portante progetto gipsy-jazz di tutti i tempi: il celebre Hot Club de France, una delle prime associazioni di promozione del jazz

in Europa che dette nome al quintetto (tutto corde senza fiati) composto da musicisti gitani e non, capitanati dal loro alfiere e mentore ufficiale, il chitarrista Django Reinhardt, forzatamente costretto a suonare in condi-zioni menomate perché nell’incendio della sua roulotte aveva perso l’uso della gamba destra e soprattutto due dita della mano sinistra. Gli arrangia-menti curati, gli assoli spettacolari di Django e di Grappelli (l’amico e vio-linista del gruppo) portarono alla notorietà il progetto e lo resero famoso in tutto il mondo. Da qui nasce il tributo a Reinhardt messo su da Jacopo Martini (34 anni, chitarrista fiorentino, formazione classica), ricalcare cioè le orme del quintetto francese cercando di far rivivere un po’ di quel sound ormai perso tra la polvere dei vinili, mescolandolo però con una nuova concezione di scrittura e un originale approccio improvvisativo delle sue composizioni. Una sventagliata di suoni e ritmi di sfolgorante vitalità e di incandescente virtuosismo.

Ha vinto un bel po’ di premi questa Vita d’Adriano prodotto in collabo-razione con le tre sigle sindacali, Cgil, Cisl, Uil, per una volta insieme.

è la storia di una fabbrica. Dove in 90 anni hanno lavorato 50mila perso-ne. La storia di un operaio. Di due compagni che insieme attraversano la storia di mezzo 900. La storia di una attesa. E di un treno senza orario. Una fotografia dell’Italia che cambia e di come è cambiata. Prendendo a prestito la Officine Meccaniche Cecchetti di Civitanova Marche, un nome solido nell’ambito della costruzione e riparazione di carri e carrozze ferro-viarie. Raccontare della Cecchetti vuol dire parlare di fabbrica in Italia nel secolo scorso, le condizioni di lavoro, la presa di coscienza di appartenere ad una “classe”, quella dei “cecchettari”, i pericoli e gli incidenti, gli scio-peri, i licenziamenti, la chiusura (nel 1994) per mancanza di commesse perché dentro c’era un altro nemico, ancora più subdolo e pericoloso: l’amianto. Ed è partendo da qui, da questo terribile “compagno” fino a pochi decenni fa quasi sconosciuto, che sono partiti gli autori per costru-ire il monologo. Gli operai della Cecchetti hanno perso il posto di lavoro, hanno visto radere al suolo la fabbrica e la loro memoria per far posto al nuovo che avanza (il solito Centro Commerciale) e si ritrovano con un bel regalo nei polmoni. Quelle sottili fibre che non smettono mai di lavorare al buio e che, come una bomba ad orologeria, continuano imperterrite a ticchettare. Protagonista un operaio di nome Adriano che, ironia della sorte, si chiama come il suo boss, Adriano Cecchetti, figura mitizzata di buona razza padrona. Sono i suoi ricordi a scandire i ritmi e i tempi, ricordi senza nostalgia, ora comici ora drammatici, i treni, le rotaie, la fonderia, le chiacchiere, la fatica e un sogno, quello del suo compagno boxeur, parte-cipare alle Olimpiadi di Roma. E in questo doppio binario l’Adriano operaio ci racconta la sua storia, da una mattina di guerra del 1940, quando 13enne entra a lavorare in fabbrica, ad una mattina di oggi, quando si alza presto per andare dal medico. (g.r.)

ore 21.30Piazza della Collegiata

terra di teatri festivalVITA D’ADRIANO memorie di un cecchettaro nella neve di Francesco Niccolini Giorgio FelicettiAndrea Chesidiretto e interpretato da Giorgio Felicetti

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Un sogno disarmante si apre in questo viaggio dentro la vita di Luigi Ten-co. Tutti pensano di sapere com’è andata. Chi grida al complotto, chi

all’omicidio, chi al banale suicidio. Chi parla del trasferimento all’obitorio e poi nuovamente nella famigerata camera dell’albergo sanremese. Nicola Pecci ha la faccia da vento in poppa in sella alla sua spider in trasferta sul-la Costa Azzurra. Percorso di sola andata: mai avvenuto. Il mondo ai piedi ma un buco nero che mangia dall’interno, che divora la pancia. Valentina Banci è una musa nera che regala e toglie con la stessa generosità, è la dama che accompagna silente, ma sempre presente, è quell’ombra con la quale poter parlare ma che ti abbandona mai, che continua sottovoce a ronzare nelle orecchie anche quando vorresti un po’ di silenzio. E’ l’unica donna che ha capito Tenco e che l’ha accolto, così, per quello che era. Dov’è la Pace? Ed allora tra macchine, eccessi, canzoni, un mare di pla-stica metafisica, bloody mary venosi, non tanto la cronistoria del cantante ma quanto uno stato della mente, l’agonia della vita, l’appesantirsi, il dilu-vio delle cose che succedono dalle quali è impossibile scansarsi. Da una parte la parte cruda, anche violenta dell’esistenza, quel sorriso, bellissimo e infausto, mefistofelico e dolciastro, femminile da sirena che dondola per mano chi non vuole più opporre resistenza. Il fascino del lumicino in fondo al tunnel è una calamita alla quale è impossibile negarsi. E’ un farsi corpo di un’idea, è l’astrarsi della materia. Una narrazione atemporale e averi-tiera che ricostruisce, meglio di tanti omaggi o chiacchiere o retrospettive o recital o revival, quell’atmosfera di sonora insoddisfazione, di eterna ricerca dell’amore, di desiderio d’accoglienza, di carezze, di tenerezze. Scambiatevi un segno di pace: un abbraccio, per ora, per cominciare, può bastare. Non un cantante, ma soltanto due occhi tristi.

Tommaso Chimenti

ore 21.30Piazza della Collegiata

e20inscenaL’ULTIMO GIORNO. LUIGI TENCOdi Nicola Peccicon Nicola Peccie Valentina Bancimusiche dal vivo Emanuele Fontanaregia Valentina Banci

venerdì 6 agosto

“Polenta e osei, rinuncio. Serenissimi e Liga veneta, rinuncio. Ro-sari e bestemmie, rinuncio. Guerrieri celti travestiti da sindaci?

Rinuncio. Imprenditori milionari travestiti da contadinelli sprovveduti? Ri-nuncio. E parto. Vado in una metropoli. Vado dove posso confondermi. Dove si può avere uno sguardo più grande. Se guardo il mondo da un oblò, mi annoio un po’, ma se lo guardo da una finestra grande, immen-sa e spalancata, mi vien da dire che ogni posto ha un suo nord e un suo sud. Perciò il destino di uno che vive su un pianeta rotondo è che sarà sempre il terrone per qualcun altro. Volevo guardare il mondo da una finestra grande. Io non ho paura della città. Ho paura del piccolo villaggio di provincia. Ho paura del paesello dove la gente si trova al bar, dove si muore di Biancosarti, dove tutti ti somigliano perché sono tuoi parenti, dove si fanno le cose di una volta, come una volta. Dove ‘Che bravo quelo saluda sempre’ e poi è Pietro Maso o Felice Maniero”. Così Marta Dalla Via, con galileiana immersione e beckettiana ironia, racconta il suo lavoro. Sguardo aperto sul Nordest, la Lega, la paura, la secessione, il federalismo. E di rincalzo aggiunge Angela: “Con sincerità e cuore ho de-ciso di addentrarmi in un labirinto che conosco bene. Conosco il Veneto e i suoi abitanti, quel particolare dialetto del vicentino, conosco a fondo le contraddizioni di questa terra nella quale ho vissuto e combattuto per vent’anni e che ho lasciato senza rimpianti dieci anni fa. Ora, nella storia di questo divorzio, emergono ricordi che mi spingono a una riflessione su temi come il senso di appartenenza, l’emigrazione italiana, l’amore per la patria. Contraddizioni. Questa dicotomia è presente all’interno di tutto lo spettacolo che, attraverso una girandola di personaggi, si sviluppa in equilibrio su una corda tesa tra crudeltà e umorismo”.

ore 22.45 Teatro dei Risorti

tra un atto e l’altrominimaimmoraliaVENETI FAIRdi e con Marta Dalla Viavideo Roberto Di Frescoregia Angela Amalfitano

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Siracusa, 1950. Un trentenne Arnoldo Foà calca le scene del Teatro Greco. è Cadmo, nonno del re di Tebe, in un’edizione

delle Baccanti di Euripide diretta da Luigi Squarzina. E negli stessi giorni porta in scena anche I Persiani di Eschilo, sempre accom-pagnato dal grande regista. Un’estate particolare, che oggi rivive con Terroni d’Italia, diretto e interpretato da Fulvio Cauteruccio. è la storia di Pippo, col suo sogno di diventare un attore che non riuscirà mai a concretizzarsi. Fra peripezie scolastiche e lavorative, nell’immediato dopoguerra Pippo si trova a vedere Foà, ed ecco che nella sua fantasia rivive l’Unità d’Italia attraverso i personaggi della tragedia d’Euripide. I suoi eroi risorgimentali combatteranno la loro guerra a colpi di ricette tradizionali, in modo che nessuno si

faccia realmente male, in questo spettacolo che vuol far divertire, ma anche riproporre una riflessione sui grandi eventi di 150 anni fa. All’epoca nasceva l’Italia dei Savoia, oggi, chiedendosi quel che resta, Cauteruccio porta in scena anche Emanuele Filiberto che canta a Sanremo, mentre il giovane Pippo è costretto a cantare nella sua terra di migranti. Tratto da La storia di Pippu, attore d’arte drammatica, scritto da Cauteruccio insieme a Giuseppe Mazza, lo spettacolo collega storie lontane e diverse, sempre accomunate dal sogno e dalla calda terra di Sicilia. Un curioso omaggio all’Unità d’Italia ambientato nella Sicilia del dopoguerra, fra canzoni, ricette e scene teatrali.

sabato 7 agosto

domenica 8 agosto

ore 22.45Scuderie del Palazzo Comunale

compagnia kriptonTERRONI D’ITALIA di Fulvio Cauteruccio e Giuseppe Mazzacon Laura Bandelloni Massimo Bevilacqua Umberto D’arcangelo Fulvio CauteruccioFrancesco De Francesco Alessio Martinoliideazione e regia Fulvio Cauteruccio

Il gruppo ha un nome leggero, ChiHaPiumeVolerà, è nato a Volterra nel 2000 con l’obiettivo di raccontare attraverso la forma del musical la vita

di chi ha dedicato la propria agli altri. Un messaggio chiaro di ispirazione cristiana volto anche ad aiutare persone in difficoltà, a creare un centro di solidarietà e socializzazione, e che è cresciuto fino a contare attualmente oltre 80 persone di età diversa, dai 5 ai 70 anni. Forze venite gente, il primo lavoro del gruppo, datato 2001, e da allora rappresentato con successo non solo in Toscana, è un musical teatrale incentrato sulla vita di San Fran-cesco d’Assisi messo in scena da Michele Paulicelli nel 1981. Testi in prosa e versi di Mario Castellacci, Piero Castellacci e Piero Palumbo. L’edizione più famosa è quella del 1991 sul sagrato della Basilica superiore di San Francesco ad Assisi. Sono 23 le scene cantate che compongono il musical.

ore 21.30Piazza della Collegiata

ChiHaPiumeVoleràFORZA VENITE GENTEdi Michele Paulicelli

Troski è il nome di battaglia di un serial killer. Troski non uccide per piacere o per caso: uccide per eliminare chi dal suo punto di vista ostacola la

nascita di una società comunista, e perché non saprebbe cosa altro fare per evitare che i valori cui si è sempre aggrappato svaniscano dalla società stessa. Troski non è un terrorista, ma un uomo solo, che in questa sua pa-tologica solitudine segue con rigore il suo disegno. Per questo le sue vittime non sono uomini di potere: sono il vicino di casa, il negoziante dietro casa, il carrozziere, il segretario della locale sezione di partito, il dentista. Troski abita in una stanza in cui campeggia l’icona di Enrico Berlinguer, ma i “nemici del popolo” per lui sono l’extracomunitario che non paga le tasse, il dipendente comunale “fannullone”, l’idraulico, il commerciante, il postino che lascia l’avviso della raccomandata senza suonare il campanello. Ma come accade in tutte le narrazioni poliziesche, anche in questo tragicomico noir di serie B c’è un commissario all’inseguimento del criminale: un uomo appariscente ma altrettanto oscuro, pronto a dialogare con i giornalisti e con le “telefonate da casa” ma anche a calarsi a tal punto nella mente dell’assassino per capirne il movente da ritrovarsi a comportarsi come lui. Troski si affaccia su un baratro: quando il sistema di valori comunitari in cui un uomo da sempre crede si sgretola e crolla, sul fondo si apre una voragine nella quale l’uomo stesso si avventura da solo. Edgarluve

ore 18 Teatro dei Risorti

TROSKI drammaturgia Alessio Traversi con Carlo Salvadormusiche Marco Liuni e Gilles Degottex (sax) ideazione e regia Edgarluve

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Distribuito da Mikado è il film dell’anno. Dopo il festival di

Roma ha sbancato ai David di Dona-tello. Non era facile raccontare una delle pagine più tragiche e smarrite della Seconda guerra mondiale, la strage di Marzabotto, 29 settembre 1944, 770 civili trucidati, rastrella-ti dai nazisti in ritirata in varie lo-calità dell’Emilia. Da dove partire? Dove confinare l’orrore e rispettare gli eventi tanti anni dopo? Il film è stato in parte girato in Toscana, nell’Alta Val di Cecina, “luoghi non

contaminati, paesaggisticamente simili all’Appennino emiliano” dove si consumò l’eccidio. Che il film racconta attraverso gli occhi di Martina, 8 anni, figlia di contadini che faticano a sopravvivere in quelle terre alle pendici di Monte Sole, vicino Bologna, lungo i nove mesi che precedono la strage, il tempo di una gravidanza, la madre di Martina e l’uomo che (forse) verrà, un paesaggio livido e luminoso, gesti quotidiani e accadi-menti estranei dove morte e vita si intrecciano confermando la ciclicità della storia. Diritti evita la trappola del posizionamento ideologico e usa uno “sguardo” critico dentro e fuori i fatti che non indugia sul metro di giudizio. In una guerra a rimetterci sono sempre i poveracci. Per questo dipinge il conflitto dal punto di vista dei miseri, gli umiliati e offesi, la realtà desunta dal contesto e quindi anche dalla lingua di tutti i giorni, il dialetto bolognese. E così facendo fonde la sua anima documentaristica con l’idea forte di un cinema civile, capace di incidere e lavorare sulle coscienze degli spettatori.

ore 21.30 Piazza della Collegiata

L’UOMO CHE VERRàregia, soggetto e sceneggiatura Giorgio Diritti con Maya SansaAlba RohrwacherClaudio CasadioGreta Zuccheri MontanariVitoDiego PagottoItalia 2009colore, 117 minuti

Ha lavorato con Pina Bausch Antonio Carallo e lo abbiamo ammirato in pezzi storici della coreografa tedesca e del suo Wuppertal Tanztheater,

da Viktor a Palermo Palermo. Poi Carallo, grande profondità espressiva e slittanti temperature mediterranee, ha incrociato (fra gli altri) le traiettorie di Jerome Bel, Alain Platel, Pippo Delbono, come dire il “meglio” del-la frammentazione caotica contemporanea sulla scena, ma anche la più dura e rigorosa. Il pezzo, nato come breve omaggio alla grande, inarrivabi-le, Signora del Teatrodanza del 900, insiste nel suo sviluppo anche sulla materia cangiante di che cosa è oggi il lavoro dell’artista. Meglio, dell’in-terprete. Che, in solitaria, rincorre sogni e anima personaggi, avamposti di immersione e uscite di emergenze, stralci di identità e schegge di perdi-zione. Carallo, camicia bianca, gilet nero, calzamaglia, cintura, una lunga sottoveste pure bianca, entra e esce dalla sua testa come dal camerino che visibilmente sulla scena è il pensatoio, il confessionale, la camera oscura e la camera caritatis, si veste e si riveste, io sono Amleto, io sono Pina Bausch, io sono un danzatore, io sono Kalvin Klein, tutto e il contrario di tutto, con arguzia sottile e sciamanica ironia, come a significare che non bastano parole e abiti e smorfie a definire il contorno della forma. La figura non lascia risposte. Il creatore spiazza le sue creature. Dove metterle sul palco per farle ammirare e gustare meglio? Alla fine il refrain di una can-zone che ci accompagna all’uscita è come l’ombra inquieta di un ricordo, un corpo sottile che scalzava le superfici dalla convenzione dei passi. Resta il velo della sua veste appeso al microfono inondato di luce. (g.r.)

ore 21.30 Piazza della Collegiata

RE-PLAYconcept e interpretazione Antonio Carallo

lunedì 9 agosto

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Oppio o Demetra (assolo di 25 minuti) s’ispi-ra al mito di Demetra, la latina Cerere, la dea

dell’agricoltura, nutrice della gioventù e della terra verde, artefice del ciclo delle stagioni, della vita e della morte, protettrice del matrimonio e delle leg-gi sacre. Un allestimento semplice quanto evocativo in cui la danza diviene linguaggio universale capace di trasportare lo spettatore in un viaggio attraverso i sentimenti. Aiutato dalle musiche, dall’iniziale canto popolare taiwanese allo Stabat Mater di Pergolesi al Concerto per flautino di Vivaldi. Il volo interrotto (35 minuti) è l’ultima produzione della compagnia e fa parte del progetto artistico Concorda Suite (Consor-zio coreografi danza d’autore). Liberamente ispirato al racconto di Mr Vertigo di Paul Auster, lo spettacolo affronta con sguardo e sensibilità femminili il tema della fragilità dell’esistenza e della forza dell’amicizia. Le protagoniste sono due amiche, due sorelle, due

donne legate da un sentimento delicato ma potente che sembra dar loro il coraggio di volare. E non importa se è solo per un attimo. Il tessuto musicale scorre fra Bach, Mozart, Red Hot Chili Peppers, Antony and the Johnsons.

ore 21.30Piazza della Collegiata

compagnia francesca selvaOPPIO O DEMETRAcon Silvia Bastianellie Francesca Porta

IL VOLO INTERROTTOcon Francesca Porta

coreografie Francesca Selva

Una bella carrellata di musiche parole immagini. Come eravamo come siamo. Uno spettacolo per musicisti, appassionati e sognatori. Un

percorso lungo sessant’anni della nostra storia. Con letture originali e scritti di grandi pensatori, immagini dal cinema e canzoni di noti cantau-tori. Immagini in parallelo, in bianco e nero e a colori, film vecchi e nuovi, ci immergono nel passato e nel presente, attraverso gli anni che passano, con i grandi avvenimenti e le piccole storie, attraverso i passaggi epocali e le facce della gente. Uno spettacolo che parla al cuore e che, quasi come un documentario, mostra lotte, significati e messaggi. Un’avventura che, per parole chiave e sentimenti condivisi, testimonia dei decenni vissuti, delle storie che vanno e poi si ripetono, di un ciclo di emozioni che si tra-sformano e che tornano.

ore 21.30Piazza della Collegiata

UN PIATTODI GRANO canzoni, parole e immagini dal dopoguerra a oggi

La Municipale Balcanica è un concerto trascinante e coinvolgente. Una festa di musica e per la musica. E una festa di gente. L’organizza come

di consueto la Dulcimer Fondation pour la Musique, in collaborazione con Proloco Radicondoli, Radicondoli Arte e Comune di Radicondoli. Una sera-ta all’insegna della convivialità. La voglia di stare insieme, di comunicare, di farsi trascinare dal ritmo e dai suoni. Lo spettacolo vuole anche essere una sorta di “a rivederci” il prossimo anno, un augurio per il festival che nel 2011 compirà 25 anni. Ad maiora.

ore 21.15Piazza della Collegiata dulcimer fondationMUNICIPALE BALCANICA

martedì 10 agosto

mercoledì 11 agosto

sabato 14 agosto

sabato 31 luglio prosaore 11 / Teatro dei Risorti QUANTO MI PIACE UCCIDERE(replica)I° PREMIO NICO GARRONEore 17.30 / Palazzo Bizzarrini APERITIVO CRITICOprosa prima nazionaleore 21.30 / Piazza della Collegiata DOCTOR FRANKENSTEINdi Francesco Niccolinicon Fabrizio Pugliese e Fabrizio Saccomannoregia Salvatore Tramacere e Fabrizio Puglieseprosaore 22.45 / Scuderie del Palazzo Comunale ENRICO 4.di e con Michele Di Mauro

domenica 1 agosto prosa novità / CENTRALI APERTEore 18 / ingresso libero Centrale Geotermica Nuova Radicondoli I° STUDIO PER L’ORIGINE DEL MONDOdi e con Lucia Calamarodanza ore 21.30 / Piazza della Collegiata PASSO coreografia di Ambra Senatoreprosaore 22.45 / Teatro dei Risorti QUANTO MI PIACE UCCIDERE(replica)

lunedì 2 agosto prosa ore 21.30 / Piazza della Collegiata L’ITALIA S’E’ DESTAdi Stefano Massinicon Daniele Bonaiuti, Luisa Cattaneo, Ciro Masellaregia Ciro Masellaprosaore 22.45 / Scuderie del Palazzo Comunale FUORIGIOCO DI RIENTROdi e con Andrea Mitri

martedì 3 agosto prosa e musicaore 21.30 / Piazza della Collegiata NOTTECAMPANAcon Carlo Monni, Arlo Bigazzi, Orio Odori, Giampiero Bigazzi

mercoledì 4 agosto teatro ragazziore 18 / Belforte / Sala ARCI IL PRINCIPE MEZZANOTTEcon Valentina Salerno, Marco Vergati,Andrea Castellanotesto regia scenografia Alessandro Serra

prosaore 21.30 / Teatro dei Risorti PRIMI PASSI SULLA LUNAdi e con Andrea Cosentino

giovedì 5 agostomusicaore 18 / Belforte / Chiesa Santa Maria SOUVENIR DE DJANGO con Jacopo Martini chitarra, Ruben Chaviano Fabien violino, Tommaso Papini chitarraprosa ore 21.30 / Piazza della Collegiata VITA D’ADRIANO di Francesco Niccolini, Giorgio Felicetti, Andrea Chesidiretto e interpretato da Giorgio Felicettiprosaore 22.45 / Teatro dei Risorti VENETI FAIR di e con Marta Dalla Viaregia Angela Malfitano

venerdì 6 agostoprosa e musicaore 21.30 / Piazza della Collegiata L’ULTIMO GIORNO. LUIGI TENCO di e con Nicola Pecci e Valentina Banciprosa novitàore 22.45 / Scuderie del Palazzo Comunale TERRONI D’ITALIAideazione e regia Fulvio Cauteruccio

sabato 7 agosto spettacolo musicaleore 21.30 / Piazza della Collegiata FORZA VENITE GENTE

domenica 8 agosto prosa ore 18 / Teatro dei Risorti TROSKIdrammaturga Alessio Traversi con Carlo Salvador danzaore 21.30 / Piazza della Collegiata RE-PLAY concept e interpretazione Antonio Carallo

lunedì 9 agosto cinemaore 21.30 / Piazza della Collegiata L’UOMO CHE VERRàdi Giorgio Diritti

martedì 10 agosto danzaore 21.30 / Piazza della Collegiata IL VOLO INTERROTTO / OPPIO O DEMETRAcoregrafie di Francesca Selva

mercoledì 11 agosto spettacolo musicaleore 21.30 / Piazza della Collegiata UN PIATTO DI GRANO

sabato 14 agostomusicaore 21.15 / ingresso libero Piazza della Collegiata Organizzazione Fondazione Dulcimer MUNICIPALE BALCANICA - concerto in piazza

mercoledì 28 luglio musicaore 21.30 / Chiostro delle Agostiniane CONCERTO DI ARPA CELTICA E ARMONICAdi Stefano Corsi

giovedì 29 luglio prosa ragazzidalle ore 16 alle ore 19Scuderie del Palazzo Comunale UNA TAZZA DI MARE IN TEMPESTAdi e con Roberto Abbiatiprosaore 21.30 / Piazza della Collegiata COCO di Bernard Marie Koltèscon Elena Croce e Giovanna Daddiregia Dario Marconcini e Alessio Pizzechprosa e musicaore 22.45 / Teatro dei Risorti GIOCO di MANOdiretto e interpretato da Gabriele Di Lucaal pianoforte Daniel De Rossi

venerdì 30 luglio prosa novitàore 11 / Teatro dei Risorti QUANTO MI PIACE UCCIDEREcon Tommaso Taddeitesto e regia Virginio Liberticabaret musicale ore 18 / Teatro dei Risorti GESUINOdi e con Simone Nebbiacorde Marco Limaprosaore 21.30 / Piazza della Collegiata ME MEDESIMOdi e con Alessandro Benvenuti prosaore 22.45 / Scuderie del Palazzo Comunale LA STANZAdi Harold Pinterrealizzazione Teatrino Giullare

direzione artistica Radicondoli Arte in collaborazione con Gabriele Rizzaufficio stampa Anna Giannellidirezione tecnica Fabio De Pasquale

Comune di Radicondoli sindaco Emiliano Bravi

Associazione Culturale Radicondoli Artepresidente Paolo Radivice presidente Baldo Baldiconsiglio di amministrazione Graziano Cheri, Grazia Mugnaioli, Sandra Logli, Franco Gozzini, Francesco Guarguaglini, Ettore Barducci, Daniela Brunetti

Informazioni e prenotazioni tel. 0577 790800 - cell. 340 3858986 - cell. 338 3417150 [email protected]

Bigliettiabbonamento: tutti gli spettacoli E 180 - soci Radicondoli Arte E 155ingresso spettacoli: da 5 a 10 E

[email protected] - [email protected]

www.radicondoliarte.org

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