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Tutti i diritti riservati, riproduzione vietata · Il poeta latino Ovidio (43 a.C.-18 d.C. circa), nel suo libro Le Metamorfosi , rifacendosi al poema di Omero e alle ossa che continuavano

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© 2007 Edizioni LapisTutti i diritti riservati, riproduzione vietata

ISBN: 978-88-7874-076-1Edizioni Lapis

Via Francesco Ferrara, 5000191 Roma

e-mail: [email protected]

Finito di stampare nel mese di ottobre 2007presso Grafica Nappa - Aversa (CE)

illustrazioni di Fabio Magnasciutti

Dino Ticli

FOSSILIE DINOSAURI

La scienza sulle tracce di draghie altri incredibili mostri

QUANDO I GIGANTI POPOLAVANO LA TERRA

I giganti conun occhio solo

Ricordate l’appas-sionante storia del regreco Ulisse e dei suoicompagni nella terradel ciclope Polifemo,un sanguinario giganteche il coraggioso Ulisseaccecò, conficcando un grosso tronco nel suo unico occhio?Pur avendo tremato per la sorte degli eroi greci, molti deiquali morirono proprio per mano di Polifemo, nessuno dinoi avrà pensato alla reale esistenza di simili mostri.

Eppure… facciamo un salto indietro neltempo e sentiamo cosa può dirciOmero, il padre dell’Odissea.

– Signor Omero lei ci ha raccontatole gesta di eroi, avventure peròincredibili e spesso ricche di perso-naggi fantastici. Ad esempio,Polifemo…

– Ti fermo subito. Io sono un uomo di lettere e non unoscienziato; i miei eroi affondano le loro radici nei rac-conti tramandati oralmente dai miei antenati e anchePolifemo, che mi è servito per descrivere le peripezie diUlisse, fa parte di questi racconti che ci sono statilasciati in eredità.

– Vuol dire che non è una sua invenzione fantastica?

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Introduzione

Volare con un drago, ascoltare il canto delle sirene,farsi portare sulle spalle da un gigante con cinquanta teste:sarebbe bellissimo, sempre che il drago non sputi fuoco,che le sirene non ci tolgano la ragione, che i giganti nonsiano troppo cattivi e che con le loro cinquanta bocche…non parlino troppo!

In effetti, in tanti antichi miti, presenti praticamen-te in ogni parte del mondo, ricorrono più o meno le stes-se figure mostruose. Forse si tratta di un modo per spie-gare le forze della natura, incontrollabili in tante loromanifestazioni, come i potenti tuoni, i fulmini accecanti,i terremoti e i maremoti devastanti, la rabbia esplosivadei vulcani.

La mitologia indù credeva, ad esempio, che vivesserootto possenti elefanti a fare da pilastri nelle profonditàdella terra; quando uno di loro si stancava, scuoteva latesta, causando i terremoti.

Grifoni, draghi, serpenti di pietra, dita del diavolo,diavoli ballerini, unicorni, cavalli del tuono, Ciclopi…ogni mitologia è popolata da queste misteriose creature.

Ma siamo sicuri che siano solo frutto della fantasia? Ei nostri antenati credevano davvero nella loro esistenza?

Attraverso questo libro potrai ascoltare come sonoandate le cose direttamente dalla bocca di coloro chehanno creato i miti o sono vissuti quando draghi, sirene egiganti esistevano davvero… almeno per loro!

– Potete raccontarci come avete scoperto l’esistenza dei Ciclopi?

– Qualche anno fa, stavamo risalendo i fianchi diun’aspra collina alla ricerca di alcune pecore che sierano allontanate dal resto del gregge. Con una torciarischiaravamo le ombre della sera. Io, Kephalos, sentiiun verso e allora mi diressi con sicurezza fino all’entra-ta di una grotta dalla quale usciva chiaramente un bela-to. Avevamo un po’ paura, ma alla fine Diocles prese latorcia e decise di entrare…

– … e scommetto chenella grotta avetetrovato i giganti!

– Se li avessimo tro-vati davvero, incarne e ossa, nonsaremmo qui a rac-contarti la nostraavventura. PeròDiocles, dopo averfatto uscire le pecore, disse di aver visto qualcosa dimolto strano emergere dalla terra sul fondo della grot-ta e rientrò. Il tempo passava e io cominciavo a preoc-cuparmi, quando lo vidi uscire con un enorme teschiotra le mani. “Per tutti gli dèi dell’Olimpo!” esclamaiinorridito. Era la cosa più strana e spaventosa che aves-simo mai visto; grande come cinque o sei teste umanemesse insieme, possedeva un’enorme cavità proprio alcentro della fronte. Non c’erano dubbi: quella era latesta di un gigante con un occhio solo, sepolto in quel-la grotta chissà da quanto tempo.

– E allora che cosa avete fatto?

– Beh, qualcosa ci ho messo anch’io, però ti assicuro chesi tratta di un’antica leggenda, forse con un fondo diverità.

– Non vorrà farci credere che i Ciclopi siano davvero esisti-ti…

– Te l’ho detto: non sono uno scienziato, però le voci sullaloro reale esistenza sono insistenti. Prima che tu michieda altro, ti consiglio di recarti in Sicilia, là dove cisono alcune nostre colonie. È da quei luoghi che arriva-no queste voci.

E allora spostiamoci in Sicilia, qualche decennioprima di Omero, dove stanno sorgendo le prime coloniegreche. È sera e due agricoltori, Kephalos e Diocles, sono

appena rientrati a casa con illoro gregge di pecore.

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Sono uomini o animali?

In effetti, oltre ad Omero, il filosofo greco Empedocleda Agrigento, vissuto tra il 500 e il 400 a.C., racconta dinumerose caverne siciliane nelle quali sono state rinvenu-te testimonianze di una stirpe di uomini giganteschi oggiscomparsa.

Il poeta latino Ovidio (43 a.C.-18 d.C. circa), nel suolibro Le Metamorfosi, rifacendosi al poema di Omero e alleossa che continuavano a emergere dalle caverne siciliane,narrò le vicende del pastorello Aci e della ninfa Galatea.

La loro storia d’amore era osteggiata proprio dal ciclo-pe Polifemo che, invaghito della bellissima ninfa, arrivò auccidere il giovane Aci scagliando-gli contro un enorme masso. Magli dèi ebbero pietà del giovaneAci e trasformarono il suo sanguein un torrente che, dalle pendicidell’Etna, si gettava in mare tra lebraccia di Galatea che assunsel’aspetto di spuma bianca.

In tempi più recenti, perfinoil poeta Boccaccio (1313-1375)riferisce di resti spaventosi, le“ossa di Polifemo”, rinvenuti inuna grotta presso Trapani.

Adesso tutto appare chiaro: iracconti sui giganti con un occhiosolo non sono frutto della sola fan-tasia, ma hanno un fondo di verità.

E le ossa di Polifemo stanno lìa dimostrarlo.

– Abbiamo pensato di scappare, ovviamente: se vi fosse-ro stati altri giganti vivi nelle vicinanze? Tuttavia erapoco probabile: esseri così grossi li avremmo già incon-trati da tempo. Quindi erano tutti scomparsi per sem-pre nella notte dei tempi, e le loro ossa erano state rico-perte dalla polvere dell’oblio.

– Molto poetico, dovresti fare il letterato anche tu.

– Però siamo solo pastori e allora abbiamo deciso di por-tare al villaggio la nostra scoperta. Da allora abbiamotrovato molti altri resti di Ciclopi in quella grotta eanche in altre. Doveva essere un popolo numeroso untempo. Devo dirti la verità: non mi dispiace che similiorrende creature siano scomparse per sempre.

– Forse, però, non sono maiesistite…

– Vuoi mettere in dubbio lanostra parola? Che mi diciallora di questo teschio?Guarda il grande buco alcentro della fronte: conte-neva sicuramente un occhioenorme e questo prova chesi tratta proprio di unteschio di Ciclope!

– Avete parlato con qualcunaltro della vostra scoperta?

– Vuoi dire con gli stranieri? Beh, siamo vicini alla costae qui passano numerosi forestieri. Ultimamente alcuniarrivano proprio per ammirare i resti dei giganteschiCiclopi.

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Nei musei a caccia di indizi

Un salto nel museo di paleon-tologia “Gemmellaro” dell’U-niversità di Palermo risolve ognidubbio: ecco, perfettamente mon-tato, lo scheletro di un bell’esem-plare di Elephas mnaidriensis, unpachiderma abbastanza piccolo risalente alla secondametà del Pleistocene medio, intorno a 200.000 anni fa.

Questo animale poteva raggiungere l’altezza di circaun metro e novanta, decisamente poco rispetto ai tremetri e cinquanta dell’elefante africano e agli oltre quat-tro metri del suo antenato Elephas antiquus. Insieme aisuoi resti, sono stati trovati altri erbivori: cinghiali, uri,bisonti, cervi, daini, ma anche tanti simpatici ippopotamidi piccola taglia, stranamente anch’essi nani.

Prima di usci-re dal museo, unaltro resto attira lanostra attenzione:

si tratta ancora di un elefante, le forme e le zanne ce lodicono chiaramente, ma decisamente più piccolo del pre-cedente. Stentiamo a credere ai nostri occhi, eppure è lì,in tutta la sua bassezza: raggiunge a malapena i novantacentimetri, più o meno come un grosso cane!

Tuttavia, è il caso di com-piere osservazioni più precisesul teschio che i pastori cihanno mostrato.

Nella parte superiore appa-re tozzo e ampio, in quellainferiore si restringe diven-tando prominente; e poi quelforo al centro della frontericorda qualcosa di già visto.Infatti, basta guardare le immagini di un buon libro dizoologia per accorgersi che assomiglia fin troppo al craniodegli attuali elefanti: l’ampia cavità non è quella di unocchio ma del naso, da dove parte insomma la lunga pro-boscide dei pachidermi; una confusione possibile se nonsi conosce bene l’anatomia comparata (la scienza che stu-

dia forma e struttura deglianimali).

Se osserviamo ancoracon attenzione, scopriamoche ai lati del teschio sici-liano si aprono, moltomeno evidenti e impres-sionanti, due piccolecavità orbitali, proprio lìdove hanno gli occhianche gli elefanti attuali.

Ormai siamo sulla buona strada per svelare il miste-ro, ma una differenza balza fin troppo evidente all’occhio:i crani siciliani sono molto più piccoli di quelli deimastodonti preistorici e degli elefanti contemporanei.Insomma, invece che con resti di uomini giganti, pareche abbiamo a che fare con quelli di elefanti nani.

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ecc. Charles Darwin (1809-1882), ilpadre dell’evoluzionismo, potrebbedarci qualche risposta.

– Professor Darwin, può fornirci qualcheinformazione sugli animali insulari?

– Niente di più facile. Io ho navigatoin lungo e in largo nei mari delmondo, ho conosciuto molte isole e mi sono fattoun’idea abbastanza chiara degli animali che ci vivonoattualmente.

– E cioè?

– Ho notato che moltianimali hanno delleforti rassomiglianze conquelli abitanti sui vici-ni continenti e quindiho ipotizzato che fosse-ro legati da stretti rap-porti di parentela.

– Vuole dirci che un tempo vivevano insieme?

– Certamente!

– Allora si tratta di casi di immigrazione animale…

– Proprio così. Può sembrare strano, ma ho scoperto chetanti animali sono in grado di spostarsi usando occasio-nali mezzi di trasporto come tronchi galleggianti ograndi semi. Alcuni più piccoli possono essere traspor-tati dal vento. In questo gli uccelli e i pipistrelli sonofacilitati dalle ali.

Si tratta dell’Elephas falconeri, il pachiderma più pic-colo mai esistito, vissuto in Sicilia circa 500.000 anni fa.

Veniamo a sapere che nel museo paleontologico “LaSapienza” di Roma ci sono i resti di un’intera famiglia: ilpadre, “zannuto”, la madre e due elefantini di dimensio-ni microscopiche, che ciascuno di noi avrebbe potutoprendere in braccio senza problemi. E tutti con un belforo in mezzo alla fronte, punto di attacco della probosci-de, come ormai sappiamo, e provenienti dalla Sicilia.

Abbiamo dunque svelato la nascita di uno dei piùsuggestivi e conosciuti miti dell’antichità e anche il per-ché Omero e i suoi contemporanei pensavano che iCiclopi fossero mangiatori di uomini: le grotte sicilianesono piene di ossa di tanti animali, alcuni più grandi altrimeno, scambiate per i resti dei pasti, anche umani, diquei feroci giganti.

Tuttavia, rimane una giusta curiosità: come sonopotuti comparire nel corso dell’evoluzione elefanti così

piccoli?

Giganti nani enani giganteschi

Non solo elefantinani, ma come abbiamodetto anche altri ani-mali come gli ippopo-tami. Si tratta ad esem-

pio dell’Hippopotamus pentlandi, alto poco più di un metro eventi centimetri e contemporaneo dell’Elephas mnaidriensis.

Oltre che in Sicilia, su altre isole del Mediterraneosono stati scoperti resti di grandi mammiferi ridotti apiccole dimensioni: ippopotami ancora più piccoli, cervi

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Su e giù del mare e degli animali

Effettivamente, i casi dinanismo sono molto frequen-ti tra i mammiferi rimasti alungo isolati in territoriristretti come le isole.

Nel caso del nostro“Polifemo”, la specie ditaglia normale da cui derivano tutte le altre più piccole èprobabilmente l’Elephas antiquus (alto oltre quattro metri)arrivato in Sicilia quando il livello del mare si abbassò dra-sticamente a causa delle glaciazioni che immobilizzarononegli estesi ghiacciai enormi quantità d’acqua.

Lo stretto di Messina si trasformò pertanto in unistmo, creando un ponte con la Calabria. Anche Malta fucollegata alla Sicilia con un istmo.

In seguito il livello del mare si innalzò, le isole venne-ro di nuovo circondate dall’acqua e così gli elefanti si tro-varono “separati” dal continente.

In un ambiente piccolo come le isole del Mediterraneole loro grandi dimensioni non li favorivano affatto: il cibonon sarebbe bastato a sfamarli e poi, data l’assenza di gran-

di carnivori, non avevanopiù bisogno delle dimensio-ni giganti per evitare diessere predati. In questohabitat, quindi, gli animalidi piccola taglia, semprepresenti in una popolazione,avevano più probabilità disopravvivere.

– È una teoria convincente, ma come la mettiamo con i gran-di mammiferi? Loro avrebbero bisogno di navi e non ditronchi per migrare. In molte isole sono stati trovati inabbondanza i loro resti fossili.

– Un bel dilemma, però anche in questo caso mi sonofatto una precisa idea. Isole come la Sicilia, Malta,Creta e altre ancora sono molto vicine ai continenti.Basterebbe che il livello del mare si abbassasse di qual-che decina di metri per creare dei ponti di terra attra-verso i quali gli animali, anche i grandi Mastodonti,potrebbero passare senza nemmeno bagnarsi i piedi.Col tempo si adatterebbero al nuovo ambiente, suben-do anche diverse modificazioni nella forma.

– Forse sta sminuendo il problema; nelle isole mediterranee visono fossili che mostrano delle spettacolari modifiche: cosa nepensa di elefanti di novanta centimetri?

– Dice a me di non sminuire… ma ti rendi conto che hodovuto faticare ed essere perfino insultato per far valerele mie idee sull’evoluzione? Non conosco molto bene ifossili di cui parla, ma ti assicuro che il tempo e la sele-zione naturale sanno fare grandi cose, anche trasforma-re un gigante in un nano!

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Il fenomeno che rende nani i grandi animali e gigan-ti i piccoli è detto “insularismo”. Avviene quando unapopolazione di animali, trovandosi completamente isola-ta dalla sua specie e in un nuovo habitat, modifica il suoaspetto e le sue dimensioni per sopravvivere. (Più ingenerale, quando una popolazione di organismi modificale proprie caratteristiche rispetto alle altre popolazionidella stessa specie si parla di “deriva genetica”).

L’isolamento geografico di una popolazione è unadelle cause della “speciazione”: la nascita di nuove specie.

Darwin aveva proprio ragione; Omero e i suoi con-temporanei molta fantasia.

Teutobodo, ilgigantesco re teutone

Oltre un secolo primadi Cristo venne combattutauna terribile battaglia tra letruppe romane comandateda Caio Mario e l’eserci-to cimbro-teutonico cheda nord stava scendendoin Italia con l’intento difare conquiste e sac-cheggi.

I barbari erano conosciuti e temuti per la loro forza, legrandi dimensioni, l’aspetto terribile e feroce, e il loro reTeutobodo era ovviamente il più possente di tutti. Quandofinalmente i Romani riuscirono a sconfiggere i temuti bar-bari, la leggenda del re Teutobodo si ingigantì così comele sue dimensioni, tanto che si finì per descriverlo come unvero e proprio gigante di oltre tre metri di altezza.

Nel corso del tempo e col succedersi delle generazio-ni, la taglia degli elefanti si ridusse sempre di più in tuttala popolazione, portando alle faune nane.

Il fatto che l’Elephas falconeri sia vissuto 500.000 annifa e l’Elephas mnaidriensis molto tempo dopo ci suggerisceche il livello del mare si è innalzato e abbassato più voltenel corso del tempo, consentendo alla selezione naturale diripetere diverse volte le sue grandi imprese.

Ogni volta che si creava un nuovo ponte, tuttavia,nuove specie penetravano nelle isole, entrando in compe-tizione con quelle esistenti che venivano predate. Questoportò di volta in volta alla loro estinzione.

Parlando di giganti nani, stiamo dimenticando che laSicilia ci ha rivelato un altro apparente mistero: i nanidiventati giganti.

In effetti, sonostate rinvenute ossadi roditori giganti,come il ghiro Leithiamelitensis.

I piccoli mam-miferi, in modoinverso rispetto aigrandi erbivori (maper ragioni analo-ghe), hanno aumen-tato la loro taglia.

L ’ a m b i e n t einsulare per loro si

è rivelato molto favorevole: c’era cibo in abbondanza enon era più indispensabile avere piccole dimensioni pernascondersi dai predatori, che sull’isola erano pochi oassenti.

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– E che cosa le risposero?

– Non poterono che confermare i miei più paurosisospetti: quelli erano i resti di un gigante dalle sem-bianze umane!

– Accipicchia!

– Vedo che anche tu ne sei sorpreso, eppure andò propriocosì. Per sicurezza, furono consultati anche gli espertidell’università di Grenoble.

– Che hanno detto, se è lecito chiederlo?

– Ti posso garantire che tanti di loro, le menti più eccelsedel periodo, ribadi-rono senza ombradi dubbio: ossa digigante!

– E gli altri?

– Niente di impor-tante, a mio pare-re, ma se lo vuoiproprio sapere qualche sciocco pensò che potesse trat-tarsi di resti di animali come elefanti, rinoceronti oaddirittura una balena… Ridicolo, quando mai si sonovisti simili animali nel cuore della Francia? Dovrestileggerti l’ottimo libro di Nicolas Habicat che spiega inmodo inconfutabile che si tratta proprio di ossa di ungigante.

– Se non ricordo male, c’è stata una disputa tra lui e un pro-fessore di anatomia che lo criticò aspramente per lungotempo. Mi dica però una cosa: come c’entra in tutto questoil re Teutobodo?

Passarono più di 1600 anni da allora, quando inFrancia, nella regione del Delfinato, in una cava di sabbiadi proprietà del marchese Nicolas de Langon venne fattauna scoperta incredibile.

– Marchese Nicolas de Langon, è vero che furono trovate delleossa di gigante nei suoi possedimenti?

– I lavoratori della cava di sabbia si spaventarono moltis-simo quando fecero la scoperta e, in effetti, non poteidare loro torto; quando fui chiamato, mi si presentòdavanti uno spettacolo terribile: ossa gigantesche edeformi, denti acuminati, un teschio orrendo…

– Va bene, va bene, si calmi: mipare che si stia impressionandoanche adesso solo a parlarne.

– Avrei voluto vedere te difronte a tanto spavento.Ai miei tempi, non eradi certo una cosa comu-ne trovare simili resti.Però deve darmi atto che superai in fretta il ribrezzo e iltimore, e informai di lì a poco gli esperti dell’università.

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– Se proprio insisti, ecco ifatti. Ero amico del mar-chese de Langon e venni asapere della sua scopertaeccezionale. Volli andare avedere e rimasi subito affa-scinato da quelle ossa enor-mi. Gigante o animale,poco importava: se queiresti avevano incantatoperfino me, uomo discienza, chissà come avrebbe reagito la gente comune.E allora, con un pizzico di condimento, ecco rinascerela leggenda del gigantesco re Teutobodo che al tempodell’antica Roma devastò anche la Gallia, la Francia di

allora.

– Però i testi latini rac-contano che il re teuto-ne non morì in Gallia,ma fu portato schiavoa Roma.

– Faccende secondarie.Uno sguardo alle ossami permise di stima-re in diversi metril’altezza del gigante:circa otto, con un

diametro del cranio di quasi tre metri! Il gioco era quasifatto, non mi restava che chiedere al marchese l’omaggiodi alcune ossa e avrei potuto mostrarle in giro per laFrancia a chiunque avesse voluto ascoltare una storiaaffascinante.

– Qualcuno, mio contemporaneo, ritenne, forse con qual-che ragione, che le ossa rinvenute fossero nientemeno chei resti della sepoltura di questo re barbaro. Sto parlandodi Pierre Mazurier, un famoso chirurgo dell’università diParigi a cui cedetti alcune ossa del mio gigante.

– Mazurier, Mazurier… Questo nome non mi è nuovo… macerto! Marchese, forse lei non sa che l’inganno del signorMazurier venne smascherato qualche decennio dopo…

– Inganno? Di quale inganno sta parlando?

Che ossa!

Il marchese non può piùesserci utile in questa inda-gine, ma il signor Mazurier

sicuramente sì e alloraconsultiamolo.

– Lei era un chirurgo einsegnava a Parigi,

perché improvvisamentele venne in mente di dedi-

carsi alla mitologia e all’anatomia comparata?

– Ma ti rendi conto di quanto la gente cerchi avidamentestrane notizie, storie incredibili di giganti, mostri, dra-ghi…? Io ho solo assecondato questa sete di fantastico.

– Allora sta ammettendo che si è trattato di un’invenzione…

– Devo rispondere?

– In pratica lo ha già fatto, potrebbe però spiegarci come sonoandate le cose.

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Terribili animali selvatici

Mazurier ha proprio ragione: lo Yeti in Asia, il Bigfootin America e altri abominevoli uomini in ogni parte delmondo vengono continuamente avvistati anche oggi.Bisognerà vedere chiaro anche in questi avvistamenti.

Ma dobbiamo ancora risolvere il mistero del reTeutobodo e allora dobbiamo assolutamente rivolgerci alprofessor Cuvier (1769-1832), un grandissimo e serioscienziato di fama mondiale, che possiamo definire il padredell’anatomia comparata, disciplina biologica che operamediante la “comparazione”, cioè il confronto fra le strut-ture anatomiche dei diversi gruppi di Vertebrati e si ponel’obiettivo di individuare ed analizzare le cause della loroforma, della loro organizzazione struttura-le e dei loro adattamenti.

– Professore, che cosa può dirci delgigante ritrovato nel Delfinato?

– Ridicolo! Anche un bambinoavrebbe riconosciuto in quelleossa un animale imparentato,anche se alla lontana, con gliattuali elefanti. Quando mihanno portato i presunti resti di Teutobodo, non hopotuto fare a meno di sorridere: non condivido certa-mente quello che ha fatto quell’imbroglione diMazurier, ma almeno lui era consapevole che le sueerano solo bugie; mi meravigliano invece i miei colle-ghi che hanno pensato a un gigante… Non importa,forse sono eccessivamente pretenzioso, d’altra partestiamo parlando del secolo precedente al mio, quando lescienze erano ancora intrise di troppa fantasia e magia.

– E la gente le credette?

– Altroché! Come potevano non credere alla storia diquesto gigante la cui tomba riportava sulla lapide achiare lettere “Re Teutobodo”?

– Ma non fu ritrovata nessuna tomba! Mi sta dicendo che liimbrogliò tutti?

– Raccontai solamente quello che la gente voleva sentir-si dire. Pensa che fui accolto perfino a corte, aFontainbleau, dalla regina madre.

– Lei, però, era un chirurgo dell’università, uno scienziato!

– Questo lo hai già detto, ma forse non ti rendi conto diquanto poco si guadagni con quella professione…

Meglio portare in giro il fantastico el’incredibile: rende molto di più. Epoi, non venire a farmi la predica oad accusare di ingenuità i miei con-temporanei: anche ai vostri giorni cisono molte persone che raccontano

storie di giganti e tantissimialtri creduloni che lebevono senza dubitare.

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Sono molto sorpreso, però, che anche ai vostri tempi siraccontino strane favole…

– Non ci si metta anche lei, per favore. Parliamo invece diquesto elefante.

– Ho detto imparen-tato con glielefanti; que-sto, pur aven-do strutturaassai simile,

era piuttosto diverso. Pensa che le corte zanne uscivanodalla mandibola e non dalla mascella; si piegavano poiverso il basso e all’indietro. Aveva ossa massicce e pos-senti e i denti erano più numerosi e diversi da quellidegli elefanti moderni. A proposito, visto quanto erastato detto su questo spaventoso gigante, averlo chia-mato Deinotherium è stata una bella idea, non credi?

– In effetti, richiama il nome “dinosauro”.

– Niente dinosauri ai miei tempi, non li conoscevamoancora; però i due nomi hanno la stessa origine greca ela prima parte “deinos” significa “terribile”. I dinosau-ri erano “lucertole terribili”, il pachiderma da me esa-minato un “terribile animale selvatico”. Nessuno lo hamai visto vivo, ma sicuramente avrebbe impressionatochiunque con le sue dimensioni imponenti e maestose.

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Cronache dal passato: il Deinotherium

Quindici milioni di anni fa l’Europa era molto diver-sa da oggi. Immense foreste di palme, eucalipti, pittospo-ri, tuie e sequoie la coprivano da nord a sud; il clima, piùcaldo dell’attuale, era veramente ospitale e animali di tuttii tipi popolavano ogni suo angolo.

Nei pressi di un’ampia palude, un branco di stranipachidermi sta pigramente mangiando e qualcuno cogliel’occasione per rinfrescarsi. La proboscide così comel’aspetto generale non ingannino: non sono elefanti! Sonomolto alti, più dei nostri proboscidati: qualcuno pocomeno di cinque metri! Tuttavia, la cosa più strana sonodue corte zanne che spuntano in modo bizzarro dalla man-dibola e si piegano verso il basso.

Chissà a che cosa possono servire? Sembrano più di impiccio che altro; se gli animali pie-

gano troppo in avanti la testa potrebbero addirittura ferir-si le lunghe zampe anteriori.

Uno dei pachidermi sembra averci sentito e, quasi avolerci dimostrare l’utilità dei suoi appuntiti strumenti, siavvicina a un albero, piega la testa e con maestria strappacon le zanne ricurve la corteccia in lunghe strisce che infi-ne mangia con grande gusto.

Gli animali d’improvviso sembrano nervosi; gli adul-ti spingono i piccoli verso il centro del branco e le matriar-che si portano davanti con aria minacciosa. Da un gruppodi palme, spuntano finalmente gli oggetti della loro ten-sione: un gruppo di grossi carnivori dall’aspetto di iene,ma spaventosamente più grandi e feroci. Annusano l’aria equalcuno emette un suono acuto e penetrante, mostrandodenti acuminati e particolarmente grandi.

Le matriarche si agitano ancor di più e, dopo aver lan-ciato dei possenti barriti, caricano con rapidità sorprendente

rare a Cosio Valtellino,in Lombardia.

Qualcuno ha fan-tasticato ancora di più

su questi stra-ni gigantimoderni chesi lascianovedere solo inmodo miste-rioso, semi-nando qua e

là qualche impronta di piede, qualche ciuffo di peli o met-tendosi in posa, a debita distanza, per qualche immaginefotografica sbiadita e confusa; infatti è stata proposta unateoria affascinante quanto indimostrabile: gli Yeti potreb-bero essere gli ultimi discendenti del Gigantopithecus, lascimmia gigantesca del Pleistocene, l’era Glaciale.

Per saperne di più su questo animale, andiamo indie-tro nel tempo, nel 1934, e spostiamoci in Cina dove Ralph

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Gli abominevoli uomini

Ma è proprio vero cheanche ai nostri giorni cre-diamo ai giganti comehanno insinuato Mazuriere Cuvier?

Prima di negare fer-mamente e di dichiarareche non siamo assoluta-

mente così arretrati e ridicoli da pensare ancora a similifantastiche presenze, fermiamoci a guardare la cronacadegli anni passati e quella attuale: nel Nepal gli avvista-menti dello Yeti, l’abominevole uomo delle nevi, sono fintroppo frequenti; nella lingua locale “yeh-teh” significa“quella cosa”, cioè un animale indefinibile e completa-mente diverso da quelli conosciuti.

Spostiamoci quindi in America ed ecco comparire unaltro abominevole uomo: il Bigfoot (“grosso piede”) dettoanche Sasquatch, che continua ad essere avvistato, foto-grafo e, poco ci manca, intervistato.

Anche in altre parti del mondo vi sono notizie distrani avvistamenti, perfino nella nostra vecchia Europa,dove tutto possiamo immaginare che si possa trovare, macerto non un uomo gigantesco, abominevole e “selvade-go”, come viene definito nell’arco alpino.

Oltre ad aggirarsi per le montagne, l’uomo selvadegoè anche finito in un affresco del 1464, che si può ammi-

i carnivori che dopo un attimo di esitazione si dileguanonella foresta.

Nessuno può competere, ieri come oggi, con la forzae la determinazione dei grandi pachidermi.

almeno tre metri e una massadi diverse centinaia di chili.

– E lei riesce a leggere tuttequeste cose in un dente?

– Lo hai detto anche tu chenon sembra per nienteun dente normale.

– Giusto, dente grosso, ani-male grosso… comunque lo scienziato è lei; però mi lascidire che quella che ha proposto sembra proprio la descrizio-ne dell’abominevole uomo delle nevi che si aggirasull’Himalaya, e in effetti non siamo molto lontani da lì…

– Per carità! Non bisogna mai mescolare la scienza con lafantasia, non è una buona cosa. Sono sicuro che, a partei gorilla, non esistano oggi altre scimmie gigantesche,ma questo dente ci dice che nel passato sono esistite.

Von Koenigswald scoprì altri denti, che in seguitofurono rinvenuti anche in altre parti della Cina, in India ein Pakistan; fu così possibile convincersi dell’esistenza diun grosso primate fossile sino ad allora sconosciuto, come

aveva previsto il paleontologotedesco.

Fu perfino ritrovata inseguito una porzione di man-dibola in una caverna a suddella Cina, studiata da unaltro paleontologo, il dottorPei Wen-Chung.

Un suo articolo apparsonell’American Anthropologist

von Koenigswald, di origini tedesco-olandesi, noto paleo-antropologo, studioso quindi di uomini preistorici, siaggira tra le farmacie del posto, ricche di quelle che ven-

gono tuttora chiamate “ossa e denti di drago”.

Denti di drago? No, grazie,meglio un Gigantopithecus

Von Koenigswald ha appenaestratto qualcosa di molto parti-colare da un grande vaso di vetropieno di ossa e denti e lo sta osser-vando con molta attenzione.

– Professore, la vedo particolarmen-te agitato e meravigliato: che cosa ha tra le mani?

– Un dente molare, davvero interessantissimo, direi. Nonesito a dire che si tratta della cosa più interessante chemi sia capitato di scoprire negli ultimi tempi.

– Mi scusi l’ignoranza, ma che cosa può esserci di tanto inte-ressante in un solo dente?

– Ma non vedi? È molto simile a quelli umani, tuttaviaquesto è sei volte più grosso.

– In effetti sembra proprio mastodontico. Adesso però deve dirmiqualcosa di più! Mi ha messo addosso troppa curiosità…

– Questo è un dente fossile, non so ancora a che epocapossa risalire, ma chi lo possedeva era sicuramente unessere gigantesco, forse non un uomo ma una scimmiadi proporzioni mai viste… non vorrei azzardare troppo,ma credo di poter dire che raggiungeva un’altezza di

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La guerra dei giganti

Se leggiamo qualche racconto tratto dai miti greci,scopriamo che i giganti non mancano di certo, anzi, sonodavvero numerosi.

Sarà stato sicuramen-te difficile per i nostriantenati immaginare lanascita dell’universo, cosìimmenso e incomprensi-bile, senza riempirlo diesseri giganteschi, dal-l’aspetto spaventoso, dallaforza fuori dall’ordinario,irascibili e temibili.

E così da Urano, per-sonificazione del cielostellato, e da Gea, perso-nificazione della Terra, nascono esseri davvero specialicome i Titani: sei maschi, Oceano, Ceo, Crio, Iperione,Giapeto, Crono, e sei femmine, Tea, Rea, Temi, Teti, Febe,Mnemosine; inoltre gli incredibili Ecatonchiri oCentimani: Briareo, Gie e Cotto, veri e propri mostri concinquanta teste e cento braccia. E per finire, tre Ciclopi:Bronte, Sterope ed Arge, tutti con un solo occhio in mezzoalla fronte.

La storia diventa avventurosa quando Crono spodestail padre Urano per regnare al suo posto sull’universo.Come primo atto del suo governo, diede la libertà ai suoifratelli Titani, imprigionati nelle profondità della Terradal padre che non si fidava di nessuno, non senza qualcheragione… vista la fine che fece.

dell’ottobre del 1957 catalogava definitivamente ilGigantopithecus blackii come un’enorme scimmia antropo-morfa, molto simile cioè all’uomo, sia nell’aspetto esterio-re che nella struttura anatomica, la più vicina all’orang-utan fino ad allora scoperta.

La dieta dell’animale doveva essere prevalentementevegetariana, probabilmente ricca di bambù, come per ipanda attuali. Qualcuno sostiene, tuttavia, che forse nondisdegnasse anche cibo di origine animale, un po’ come

noi esseri umani.Il suo aspetto era dav-

vero imponente, dato cheper statura e costituzioneera circa il doppio o addi-rittura il triplo di unattuale gorilla, con unpeso stimato di circa cin-quecento chilogrammi.Visse per molti milionidi anni, ma si estinse

misteriosamente circa centomila anni fa, quando i nostriantenati umani già esistevano da tempo e sicuramenteebbero con esso incontri ravvicinati.

Chissà, forse proprio i suoi resti scheletrici e l’avvista-mento di animali corpulenti, orsi ad esempio, scambiatiper scimmie “abominevoli”, hanno dato origine al mitodei vari Yeti, Yeren e quindi Bigfoot, Skunk Ape, Yowie,Homo selvadego ecc. Vi ricordate King Kong, il gigante-sco scimmione che minacciava la città di New York, arram-picato in cima all’Empire State Buiding?

Beh, il Gigantopithecus si è di certo estinto, ma aquanto pare è riuscito ugualmente a recitare una parte daprotagonista in tanti film di avventura.

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I loro straordinari conflitti furono narrati nella“gigantomachia”, cioè la guerra dei Giganti contro glidèi dell’Olimpo, e diversi furono i campi di battaglia chevidero coinvolti i due schieramenti.

Grazie anche all’intervento di Eracle, o Ercole comelo chiamavano i Romani, gli dèi ebbero infine successo.Le ossa dei giganti morti però sono ancora sepolte nellaterra dalla quale ogni tanto fuoriescono quando i contadi-ni arano in profondità i loro campi.

Secondo il mito, i durissimi e sanguinosi scontri sisvolsero un po’ dappertutto nell’area del Mediterraneo,dall’Italia meridionale alla Grecia e così via.

In molti di quei terreni, in effetti, sono state ritrova-te ossa gigantesche di grossi mammiferi soprattutto plei-stocenici (1,8 milioni - 10.000 anni fa): pachidermi, rino-ceronti, ippopotami,tutti in grado con leloro ossa massicce emolto più grandi diquelle umane di darevita a qualsiasi mitoche veda come pro-tagonisti i giganti.

A cavallo delgrande Unktehi

Ma anche i miti di molti altri popoli vedono all’ini-zio dei tempi come protagonisti incontrastati e temibilidegli esseri giganteschi e spesso inumani.

Spostiamoci allora negli Stati Uniti, in Dakota, doveun anziano sciamano Sioux ha una bellissima storia daraccontarci.

Crono peròlasciò prigionierii Ciclopi e gliEcatonchiri di cuiaveva un certotimore, ma com-mise un graveerrore.

Infatti l’ulti-mo dei figli di

Crono, il grande Zeus, dopo aver salvato tutti i suoi fra-telli, divorati e rinchiusi nello stomaco dal loro temibilepadre, liberò anche i Ciclopi e gli Ecatonchiri che lo aiu-tarono a sconfiggere Crono e i Titani; fu proprio così cheZeus divenne il re dell’Olimpo.

Questo, molto in breve, è quello che racconta lamitologia greca, ripresa poi da altri popoli come iRomani. Ma tutto ciò è solo frutto di fantasia e abilità nelcostruire storie complesse e intricate o c’è di più?

Abbiamo visto che i Ciclopitrovano una spiegazione dellaloro nascita nella scoperta delleossa degli elefanti nani, e alloraforse bisogna cercare proprio inquella direzione.

Continuando a leggere lestorie dei miti greci, scopriamo che lo scontro tra gli dèidell’Olimpo contro questi esseri immensi continuò anco-ra a lungo, nonostante la prima vittoria di Zeus. Infatti iGiganti, altri fratelli dei Titani, cercarono di liberarli edichiararono guerra ai nuovi padroni dell’Olimpo.

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– Certo. Quando l’uomo fu creato, Wakinyan e i suoifigli popolavano già da molto tempo il mondo ed eranopadroni del cielo. Sulla terra però viveva un essere spa-ventoso e molto cattivo: l’Unktehi. Aveva il corpo diun grande serpente, con zampe e una testa mostruosa.Il suo corpo sinuoso riempiva completamente il fiumeMissouri, mentre gli altri corsi d’acqua più piccoli e ilaghi erano popolati dai suoi figli. Odiavano a tal puntogli uomini che decisero di ucciderli tutti e allora gon-fiarono a dismisura i loro corpi: il fiume Missouri stra-ripò così come tutti gli altri corsi d’acqua e i laghi. Laterra fu inondata e molti uomini perirono; altri fuggi-rono sulle montagne.

– E poi cosa successe? Come fecero gli uomini a salvarsi dallafuria dell’Unktehi?

La grande battaglia

– Fu per merito diWakinyan e dei suoifigli; apprezzavanomolto gli uomini peril loro rispetto e volle-ro pertanto ascoltarele loro preghiere. Vi fu una durissima battaglia fra gliUccelli del Tuono e Unktehi e i suoi figli. Alla fine imostri delle acque furono tutti inceneriti e le loro ossatrasformate in pietra.

– Trasformate in pietra? Interessante…

– Non ci credi? Allora ho un’altra storia da raccontarti equesta non me l’hanno tramandata i miei antenati perché

– Cervo Zoppo, vuoi parlarcidell’Uccello del Tuono?

– Wakinyan, questo è il suo nome.Un tempo viveva in queste terre,sulla montagna più alta dellesacre Paha Sapa. Ma adesso se n’èsicuramente andato via. Voiwasichu, voi bianchi, avete cam-biato tutto e sporcato ogni cosa:l’Uccello del Tuono ama la soli-tudine e tutto ciò che è pulito e

puro, di certo non i turisti e le bancarelle di hot dogche hanno invaso le terre dei Sioux.

– Si chiama progresso, ma tu hai mai visto il Wakinyan?

– Il progresso di cuiparli tu non mi piaceper niente e nemme-no al Wakinyan.Nessuno l’ha maivisto, anche se qual-che volta comparenel sogno, seppurenon tutto intero. Se sappiamo com’è fatto è perchéabbiamo messo insieme i sogni di tanti sciamani. Invecela sua voce possente, il tuono, continua a farsi sentire e ipiccoli tuoni rotolanti che seguono quello più grossosono le voci dei suoi numerosi figli. Comunque è unessere benefico che ama gli uomini e li ha perfino salva-ti dalla distruzione, per questo i Sioux lo venerano.

– Un momento, di quale distruzione parli? Puoi essere piùchiaro?

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– Molte volte ho tentato di ritrovare quel luogo e di por-tare i miei amici a vedere Unktehi, ma non ne fui piùcapace.

Fossili leggendari

Cervo Zoppo non ha raccontato una favola, ma ci hafornito involontariamente una spiegazione sulla nascitadei miti e in particolare di quello di Unktehi. In effettiin Arizona, come in altre parti degli Stati Uniti, non èdifficile imbattersi in resti di mostri giganteschi:impronte dei piedi, uova, sterco pietrificato (che i paleon-tologi chiamano “coproliti”) e ossa di ogni tipo.

Stiamo parlando dei dinosauri grandi e piccoli chehanno popolato la Terra e l’America nell’era Mesozoica(da 245 a 65 milioni di anni fa).

La descrizione di Cervo Zoppo ci fa pensare a unodegli smisurati sauropodi, dinosauri erbivori che cammi-navano in cerca di cibo lungo le grandi pianure, talvoltapaludose e perfette per lasciare indelebili impronte deipiedi.

I dinosauri carnivori, detti invece “teropodi”, armatidi artigli affilati e denti acuminati, li seguivano a debita

l’ho vissuta in primapersona. Ero ancoragiovane e vagavo dasolo nelle mie terrealla ricerca di alcunicavalli che mi eranosfuggiti. All’internodi un grande canyonfui colto però da un

improvviso e spaventoso temporale. La pioggia cadevafittissima e le tenebre calarono rapidamente. Ebbipaura di precipitare nel fondo del canyon anche perchéil forte vento e la pioggia quasi mi toglievano il respi-ro e cercavano di strapparmi dal costone di roccia alquale mi ero stretto con tutte le mie forze.

– Una situazione davvero angosciante.

– Proprio così, ma a un certo punto sentii la presenza deiWakinyan: mi parlavano attraverso il tuono e la folgo-re, ma io li capii. “Non aver paura! Tutto andrà per ilmeglio!” – mi dicevano, incitandomi a resistere – e ioli ascoltai. Un po’ alla volta il temporale cessò e arriva-rono le prime luci dell’alba. Ero sfinito, ma non fu perquesto che quasi precipitai, fu per il terrore: ero rima-sto aggrappato tutta la notte a una lunga fila di ossapietrificate, le più grosse che avessi mai visto.

– Di che cosa si trattava?

– Ma non l’hai capito? Avevo cavalcato per tutta la nottela spina dorsale del Grande Unktehi! Fu un’esperienzache non dimenticherò mai.

– Che storia! Sei mai tornato a rivedere il mostro pietrificato?

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infine le ossa fossili nel modo ritenuto più vicino possibi-le alla realtà.

Con un po’ di attenzione e molte conoscenze incampo zoologico, si possono anche tentare delle ricostru-zioni complete dell’animale preistorico, con tanto dicarne e pelle.

Il fatto è che le scoperte e le conoscenze in camposcientifico aumentano sempre di più e così le ricostruzio-ni che si facevano in passato degli antichi animali spessonon sono ritenute più attendibili. Basta prendere l’esem-pio dell’Iguanodon, un dinosauro erbivoro vissuto nelCretaceo, tra 140 e 120 milioni di anni fa.

Le immagini, numerate da 1 a 5, ti mostrano le rico-struzioni dell’Iguanodon fatte dall’Ottocento fino a oggi.La prima è la ricostruzionepiù antica e la più approssi-mativa, anche per la man-canza di resti fossili comple-ti. Nella seconda, del 1859,l’Iguanodon è rappresentatocome un quandrupede tozzo,simile alle attuali iguane econ un corno sul muso.

distanza, pronti ad afferrare qualcheincauto giovane esemplare erbivoro o anutrirsi dei resti dei giganti giunti allafine della loro vita. La maggior parte deiloro resti è andata distrutta, ma qualchescheletro, addirittura completo, è giun-to fino ai nostri giorni.

Molto probabilmente Cervo Zoppo ha proprio caval-cato uno di questi giganti, anche se lui credeva che fosse-ro esseri dai poteri divini.

Tuttavia, c’è qualcosa di attraente e di magico neimiti e nelle leggende dei popoli primitivi.

L’importante, come sempre, è sapere ben distinguerela fantasia dalla realtà.

Forse ti saràcapitato di osserva-re in un museo la

ricostruzionedi uno schele-tro di dinosau-ro: devi sapere

che per effettua-re tali ricostru-zioni in modo

attendibile, dopo aver raccolto i resti fossili è necessarioche i paleontologi li studino e li confrontino attentamentecon gli animali viventi che devono pertanto conosceremolto bene.

Si preoccupano quindi di raccogliere tutte le infor-mazioni possibili sulle abitudini di vita dell’antico orga-nismo, sul suo tipo di alimentazione, sulle sue prede ecosì via.

Mettendo insieme tutti questi dati, ricompongono

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Questo corno in realtànon esisteva, ma fu il risulta-to di un errore di interpreta-zione: insieme agli scheletridell’animale erano state rinve-nute alcune ossa appuntite,scambiate per corni. Si tratta-va, invece, di protuberanzeossee dei pollici, usate comearmi di difesa.

Nella terza ricostruzione, del 1960, questo dettagliorisulta evidente: l’animale è meno tozzo e bipede.

La quarta ricostruzione risale aqualche anno fa: l’Iguanodon eraancora rappresentato come unbipede, slanciato e atletico, senzaalcuna rassomiglianza con le igua-ne ma con la testa più simile aquella di un cavallo.

Oggi si pensa, per via dellezampe formate da tre dita e daparticolari zoccoli, che l’Iguanodonfosse un quadrupede che all’occorrenza poteva alzarsi sullezampe posteriori per difendersi dai carnivori con gli acu-

lei dei due pollici, comemostra l’immagine 5.

I disegni sulla pelledell’animale sono solofrutto di supposizioni per-ché sui fossili non restatraccia delle ornamenta-zioni degli animali.

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3

4

5

Cronache dal passato: il Brontotherium,cavallo di tuono

Simile a un attuale rinoceronte, alto però quasi tremetri e con uno stranissimo corno a forma di forcella postosubito sopra il naso, un grosso brontoterio avanzava lentonella pianura.

L’odore inconfondibile di un branco di altri brontote-ri, sicuramente femmine, lo aveva attratto.

Si fermò solo un attimo per assaporare qualche tene-ra foglia strappata dalle verdi fronde di un albero, poiriprese la marcia. Non aveva una grande vista, come tuttigli appartenenti alla suaspecie, ma l’udito e l’ol-fatto erano ottimi; ral-lentò infatti, muovendola testa in su e in giù,con nervosismo ma

anche per annusaremeglio l’aria: l’odore diun altro grande maschioarrivò con la brezza delfresco mattino.

Ne notò il movimento in lontananza e il nervosismodivenne furia: sbuffò con forza dalle narici, smosse la terracon le grosse zampe e caricò a testa bassa, puntando il cornocontro il suo avversario che si era messo sulla difensiva.

Il rumore dello scontro si ripercosse per tutta la pia-nura e fu seguito da possenti sbuffi, grugniti di rabbia ecolpi di testa. Andarono avanti a lungo, fino a che unodei due, sfinito e ferito in più punti, si allontanò sconfit-to. Il perdente cercò ristoro e refrigerio presso le acque diuno stagno fangoso, ma si impantanò. Lottò disperato per

I MISTERIOSI DRAGHI

Draghi

Il grande animalespalancò le enormi alida pipistrello e disteseil corpo allungato eflessuoso, ricoperto disquame lucenti comequelle di un rettile;quindi grattò la roccia con i terribili unghioni e spiccò ilvolo. Dopo aver compiuto diverse evoluzioni, si guardòintorno con ferocia, sferzò l’aria con la lunga coda e sputòuna lunga lingua di fuoco.

In questa descrizione tutti saremmo in grado di rico-noscere un drago, l’animale fantastico che da tempi imme-morabili ricorre in moltissime leggende provenienti dapopoli e regioni diverse del mondo; c’è proprio da chieder-

si se i draghi non siano esistitiveramente.

Una leggenda moltoconosciuta racconta la storiadi san Giorgio che uccide

una di queste bestie e salvauna fanciulla dalle sue grinfie.Molti altri santi sono ritenutiresponsabili dell’uccisione didraghi in ogni parte d’Europa e

d’Italia; in alcune chiese, come a Verona o presso Brindisi,a Cuneo e anche altrove vi sono resti ossei di questi draghi.

liberarsi dalla morsa del fango, ma le forze erano ormaiallo stremo. Infine si lasciò andare.

Il fango e le acque lo ricoprirono e il suo corpo rima-se imprigionato nel suolo per trenta milioni di anni, fin-ché le sue ossa non vennero ritrovate.

Stiamo parlando ancora degli indiani Sioux che nelleBendlands del Dakota rinvennero proprio quelle ossa cheil tempo e la terra avevano così gelosamente custodito.

Questa volta però non pensarono a giganti di aspettoumano quanto a giganteschi equini: i cavalli del tuono,bestie sicuramente più adatte agli spiriti che ai comunimortali! E come dare loro torto?

Quando un branco di quegli animali si metteva algaloppo, il rumore prodotto da quelle grosse zampe sulterreno avrebbe potuto sicuramente rivaleggiare con iveri tuoni.

E poi, anche il nome che gli hanno dato gli scienzia-ti non è molto diverso: Brontotherium significa proprio“bestia del tuono”.

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dentate lo catturarono e infine lo uccisero. Sul luogo delloscontro venne edificato subito un castello e intorno allesue mura sorse un piccolo villaggio, primo nucleo dellacittà di Klagenfurt che letteralmente significa “guado deilamenti”, a ricordo dei poveretti che erano finiti tra lefauci del drago.

La statua è così ben fatta e ricca di particolari che nonsi può fare a meno di chiedere direttamente allo scultorese avesse mai visto il mostro o i suoi resti.

– A parte i complimenti per la suaopera, signor Hönel, potrebbespiegarci se ha mai visto invita sua il Lindwurm?

– Certo che l’ho visto!

– Chissà che paura…

– Non esageriamo, ioho esaminato solo ilcranio del drago chefu ucciso chissà quan-ti anni fa. Gli abitanti di Klagenfurt rinvennero i suoiresti nel 1335 cioè almeno 250 anni prima che ideassi ecostruissi la statua.

– Solo il cranio? Sarà stato difficile allora ricostruire l’inte-ro corpo del Lindwurm.

– Ho dovuto usare solo un po’ di immaginazione e ledescrizioni che sono state fatte dai nostri antenati. Ilcranio, comunque, è piuttosto orripilante e solo unmostro poteva possederne uno così. Non faccio fatica adammettere che ne ho fatto un disegno in fretta e furia

Ad Almenno, in provincia di Bergamo, una chiesaconserva ancora una lunga costola di due metri e mezzoappartenuta al famelico drago del lago di Gerundo.

Tutto sembra concorrere a una sola conclusione: untempo i draghi sfrecciavano davvero nei nostri cieli!

Ma per avere conferme o smentite, dobbiamo assolu-tamente recarci a Klagenfurt, in Austria, dove ci aspettaun drago per nulla in carne ma molto in ossa…

Il drago di Klagenfurt

Nella Neuer Platz della città di Klagenfurt, inAustria, sorge una fontana particolarissima, detta delLindwurm; in effetti, un grosso drago alato, dall’aspettodi un lungo verme con scaglie e ali, sputa dalla bocca ungetto d’acqua (per fortuna). Di fronte a lui, la statua di unuomo gigantesco, un ercole, con i muscoli contratti e unagrossa clava con chiodi appuntiti, sta per colpire il peri-coloso animale.

La leggenda narra che il mostro infestava gli acquitri-ni che un tempo coprivano una larga area compresa tra ilfiume Drava e il lago Wörth. Per molti anni fu responsa-bile della misteriosa scomparsa di uomini e animali finoa quando il duca Karast, che regnava su quelle terre, deci-se di affidare ai suoi valorosi guerrieri il compito di ucci-dere il mostro. Con l’astuzia, gli uomini armati di mazze

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pur di allontanarmi da quelle ossa. Ho sentito dire chei draghi possono riprendere vita dai loro resti.

– Se è per questo, ne sono state dette tantissime di cose sui dra-ghi, anche se mi sembrano tutte poco credibili. Tuttavia,piacerebbe anche a me vedere quel cranio da vicino: mi sadire dove si trova?

– Non te lo consiglio, fidati; ma fai pure quello che vuoi.Ciò che rimane del Lindwurm si trova nel museo stata-le di Klagenfurt.

I resti di un drago addirittura in un museo, e nem-meno troppo distante dalla statua che è stata eretta a suoricordo: veramente elettrizzante!

Tuttavia, scopriamo con delusione che nel museo nonesiste un settore dedicato ai draghi, né austriaci né esoti-ci. La nostra ricerca ci porta invece nel settore degli ani-

mali pleistocenici, quelli dell’eraGlaciale per intenderci.

Una ricostruzione sbagliata

In una vetrina riconosciamosubito il cranio del “drago” perché ilsuo aspetto è esattamente quello chelo scultore ha utilizzato per la parte

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superiore della sua testa: laforma arrotondata del musoè identica, mentre le orec-chie richiamano ingenua-mente la struttura posterio-re delle ossa craniche.

La didascalia però ciavverte che non si tratta diresti di drago ma di rinoceronte lanoso, il Coelodonta anti-quitatis. Scopriamo anche che il cranio, conservato gelosa-mente per secoli nel municipio della città, fu riconosciutocome resto di rinoceronte solo nel 1840 dal paleontologoFranz Unger e nove anni più tardi, quando il museo fuedificato, fu trasferito in una vetrina.

Non possiamo negare di provare una forte delusione:siamo partiti da un drago e siamo arrivati a un mammife-ro. In fondo però, la statua di Klagenfurt rappresenta laprima ricostruzione paleontologica al mondo, anche se deltutto sbagliata.

Cronache dal passato: il rinoceronte dallafolta pelliccia

Una tormenta di neve rendeva totalmente bianco ilpaesaggio, mentre la temperatura scendeva sotto i -15gradi centigradi.

Nella pianura piatta,si ergeva una strana colli-netta di neve che aumen-tava in altezza di ora inora. Poi, d’improvviso,così come era arrivata, latormenta smise di colpo

e il cielo si colorò di una tenue tinta rosa pastello.Fu a quel punto che la collinetta si animò improvvi-

samente e alcuni grossi animali bruni emersero come dalnulla. Si scossero con vigore la neve di dosso e sbuffaronocalde nuvole di vapore dalle narici; un corno lungo un’ot-tantina di centimetri adornava il loro muso e uno piùcorto lo seguiva subito sopra.

Una folta pelliccia li ricopriva dalla testa ai piedi esicuramente li aiutava a sopportare facilmente quelletemperature polari. Tre piccoli rinoceronti sbucarono dalcentro del gruppo di adulti e sgropparono felici; si avvi-cinarono quindi alle madri, affamati di latte.

Queste li lasciarono fare, mentre con i lunghi corniappiattiti lateralmente si misero a spostare con vigore laneve per raggiungere il suolo gelato. Ben presto emerse-ro erbe secche e licheni congelati che vennero rapidamen-te brucati per saziare un po’ del potente appetito.

In lontananza l’ululato di un lupo, seguito da moltialtri in risposta, ricordò loro che anche molti predatorierano in cerca di cibo e che i loro cuccioli andavano sor-vegliati con attenzione.

Tuttavia, nonavendolo ancoraincontrato, il pic-colo branco nonsapeva ancora cheil loro più accani-to predatore nonera il lupo ma

l’uomo che, con le lance appuntite e le pietre taglienti eben scheggiate, era in grado di uccidere anche gli adulti.

E di questa sua caccia grossa ha lasciato traccia nelleincisioni e nelle pitture rupestri.

Draghi indiani

Siamo nel I sec. d.C.e il filosofo grecoApollonio di Tiana è diritorno da un suo viaggioin Asia e in India, in par-ticolare. Chissà quantecose avrà da raccontarci!Fermiamoci a fare duechiacchiere con lui.

– È stato tranquillo il viaggio?

– Non mi starai prendendo in giro, vero? Definire “tran-quillo” un lungo viaggio nelle terre più selvagge delmondo è veramente incredibile e offensivo!

– Non sia permaloso, è un modo didire, per rompere il ghiaccio…

– Ma che permaloso e permaloso!E non mi parlare di ghiaccio,perché non ne ho mai vistotanto in vita mia. Comunque, seti piace viaggiare ti offro unconsiglio: evita quei territori!

– Per quale ragione?

– Lo sapevo che non mi avresti lasciato in pace.D’accordo, sappi allora che non esiste luogo al mondocosì infestato dai draghi, esseri spaventosi che popola-no tutte le montagne di quelle terre ed effettuano scor-ribande nei villaggi. Una cosa tremenda, da non augu-rare a nessuno.

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– Quindi non ha mai visto un drago volare nei cielidell’India…

– Ci mancherebbe altro! Le loro teste sono più che suffi-cienti. Gli uomini che vivono in quei luoghi devonoessere molto coraggiosi perché non solo li sopportano,ma sono anche in grado di ucciderli e tenerli lontani.Sicuramente è per questo che non ne ho mai visto unoin vita. Mi hanno anche detto che c’è una ragione in piùper ucciderli: nelle loro teste sono state trovate addirit-tura pietre preziose.

Il santuario delle mille teste

Apollonio deve aver visto dav-vero qualcosa, ma la storia si ripete:ossa e crani di aspetto inquietante,con corna e altro ancora, tuttavianiente di vivo.

In questa vicenda particolare, poi, si può aggiunge-re che sono stati trovati alcuni scritti del 500-640 d.C.che parlano di una città santa per i buddisti a nord di

– Mi pare che tu sia sopravvissuto alla loro ferocia…

– Impertinente! Avresti preferito che mi avessero man-giato? Chi avrebbe mai raccontato qui, nel mondo civi-lizzato, la dura realtà che aspetta i viaggiatori diretti aOriente? Comunque, esiste una città chiamata Parakadove ho potuto ascoltare storie straordinarie e vederecon i miei occhi centinaia di teste di drago.

– Ho già avuto a che fare in Austria con altre teste didrago…

– Austria? Dove si trova questo posto? Se c’è un drago èsicuramente in India.

– Non è in India, ma questa non è una cosa importante vistoche ai tuoi tempi non si chiamava così. Piuttosto, mi piace-rebbe sapere come erano fatte quelle teste.

– Grosse! Veramente grosse! Questa è la prima impres-sione che suscitano. Poi si notano delle grandi corna,due o addirittura quattro; inoltre orecchie contortefatte d’osso e tanti denti nella bocca adatti a schiaccia-re, triturare e spaccare in frammenti ogni cosa che vieneaddentata.

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Anche qui c’è un fondo di verità. Durante i processi difossilizzazione, le ossa conservate nel suolo si sono impre-gnate di una sostanza chimica piuttosto comune, il carbo-nato di calcio, che ha formato qua e là tra le ossa dei bril-lantissimi cristalli bianchi; il calcio si deposita anche sottoforma di un altro sale, il solfato di calcio, dando vita alminerale selenite. Niente di prezioso, tuttavia sufficienteper far “brillare” gli occhi dei primi sco-pritori delle “ossa di drago”.

Ci sono molti altri posti nel mondodove i draghi sono citati da tempiimmemorabili, ma in uno in particolareil drago è diventato addirittura il sim-bolo della nazione, considerato da tutticome essere benefico e non maligno.Stiamo parlando della Cina.

Ossa e denti di drago

Una prima delusione con le ossa di drago cinesi l’ab-biamo già provata, prepariamoci a riceverne un’altra.Circa due secoli prima di Cristo, com’è riportato nellecronache cinesi, venne scavato un canale nella Cina cen-

tro settentrionale.Questi scavi misero alla

luce numerosi resti giganteschi,subito definiti ossa di drago e ilcanale fu denominato “via d’ac-qua della testa di drago”.

Ma in tempi ancora piùantichi, probabilmente nel1000 a.C., si parla di ossa didrago estratte dai contadini

Taxila in Pakistan chiamata anche “santuario delle milleteste”.

Una straordinaria coincidenza, tenuto anche contoche la “Paraka” di Apollonio, che può essere pronunciatacome “Parasha”, potrebbe essere l’attuale Peshawar, esat-tamente a nord di Taxila. Nei dintorni affiorano sedimen-ti terziari ricchi di resti di grandi mammiferi e coccodril-

li enormi come il Leptorhynchus.Esaminiamo allora i crani di alcu-

ni mammiferi trovati in quei depositisedimentari. Bene, sembrano corri-spondere esattamente alla descrizionefatta da Apollonio: massicci, dotati di

corna e grossi denti. Chiunquesenza un minimo di preparazio-ne scientifica potrebbe ipotiz-

zare l’esistenza di mostri e draghi. In realtà, si tratta di antenati di qual-

che milione di anni fa delle attuali giraffe,per nulla temibili essendo erbivore e assolutamente inca-paci di volare e seminare terrore. Inoltre, se osserviamocon attenzione la testa di un’attuale giraffa, ci accorgiamoche anch’essa possiede delle corna evidenti anche se nes-suno si sognerebbe di scambiarla per un drago.

Sicuramente più temibili sono stati i grandi cocco-drilli, le cui ossa sono frequenti in quei depositi, maanche in questo caso niente draghi.

Brillanti ma poco preziosi

E le pietre preziose che i draghi conservano nelle loroteste? Un’altra leggenda inventata dalle menti vivaci efantasiose dei nostri antenati?

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quattro metri quello che era noto come il più grande dino-sauro predatore, il Tyrannosaurus rex, lungo “solo” 12,8metri. Era un voracissimo predatore sia di altri dinosaurisia probabilmente di pesce. Visse nel Nordafrica tra 100 e110 milioni di anni fa, decisamente prima del tirannosau-ro, col quale quindi non si è mai incontrato.

Draghi buoni dagli occhi a mandorla

I Cinesi di fronte a quelle ossa massicce che trovavanoun po’ dappertutto evidentemente non si spaventarono, ed’altra parte che male avrebbero potuto fare un mucchiodi innocue ossa?

In effetti, il drago in Cina è da sempre consideratobenevolo e dotato di grande saggezza, tanto che perfino iltrono dell’imperatore era definito “il Trono del Drago”, ela sua faccia “il Volto del Drago”.

I Cinesi credevano che, unavolta morto, l’imperatore volassein cielo sotto forma di drago;inoltre affermavano chequando un drago si alza involo, comprime conle sue zampe lenuvole e provoca lapioggia. Proprio perquesto, il re-drago LungWang era consideratocolui che provoca la pioggia.

Probabilmente, è proprio grazie aquesta sua presunta bonarietà che nella farmacia tradizio-nale cinese vengono tenute in gran conto ossa e denti didrago, in grado di curare ogni tipo di malattia.

nei loro campi. È difficile stabilire che cosa avessero trova-to perché non è rimasto più nulla di quei resti; tuttavia,come nel caso indiano, i fossili di grandi animali, quasisicuramente anche dinosauri, si rinvengono frequente-mente in Cina.

Molti dinosauri, poi, soprattutto quelli carnivori condenti lunghi e artigli affilati, avevano indubbiamentel’aspetto dei draghi, molto simile alle raffigurazioni che cisono giunte dalle diverse civiltà del passato.

Può bastare un solo esempio, anche se proveniente daun’altra regione: lo Spinosaurus eagyptiacus. Come mostral’immagine, basterebbe aggiungergli un paio di grosse alida pipistrello e non avrebbe bisogno d’altro: un drago per-

fetto. Ma lo spinosauroera tutt’altro che bene-volo, come affermavanoi cinesi: aveva un craniodi quasi due metri dilunghezza, un corpo dicirca diciassette metri eun peso stimato incirca nove tonnellate.

Superava di oltre

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Un’antica cerimonia

Gli uomini che vive-vano in quelle terreerano abili cavalierinomadi, abituati alclima rigido, alla vitarude e alle continuelotte fra le diversetribù.

Amavano l’arte e cihanno lasciato numero-se testimonianze dellaloro abilità: oggetti inoro, oppure intagliatinell’osso e nel legno e altro ancora.

Probabilmente, proprio grazie ai racconti di Aristea, ilmito dei grifoni si diffuse in tutto il mondo antico dove sipossono osservare le loro raffigurazioni.

Bellissimo, ad esempio, è il mosaico che si può ammi-rare sui pavimenti di epoca romana di Piazza Armerina inSicilia, dove un grifone tenta di aprire una gabbia di legnoall’interno della quale è collocata un’esca umana.

Ma adesso, siete pronti per un salto nel tempo e nellospazio? Andiamo indietro di 2500 anni e proviamo a unir-ci a quel gruppo di persone, immobili e silenziose. Deveessere successo qualcosa…

– Mi scusi, ma che cosa state facendo?

– Sarebbe meglio stare in silenzio, per rispetto.

– Rispetto di chi?

IL MONDO DEI GRIFONI E DEGLI UNICORNI

I custodi dell’oro

Nei monti Altai, inAsia centrale, vivevanodegli animali stranissimi,chiamati grifoni, con latesta di uccello munita diun becco curvo e forte,corpo di leone con zampe

artigliate, lungacoda e ali di aquila.

Il loro nidierano costruiti tra le

rupi, proprio dove si trovavano grandi giacimenti d’oro. In molti avevano tentato di raggiungere il prezioso

metallo, ma i grifoni si erano sempre opposti aggredendoe uccidendo all’istante ogni temerario, tanto che un po’alla volta nessuno ebbe più il coraggio di provarci. Ma,tra le sabbie dei deserti, ancora oggi è possibile ritrovaregli scheletri dei ferocissimi grifoni che riescono a incute-re ugualmente terrore e sgomento.

Questo quanto un viaggiatore greco, un certo Aristeadi Proconneso, vissuto nel VII secolo a.C., scrisse di avereappreso da una popolazione di Sciti Saka, gli Issedoni, cheviveva ai piedi dei monti Altai in Siberia, tra la Mongoliae la Russia.

A rendere ancora più interessante e verosimile questastoria è proprio il nome “Altai” che significa “montid’oro”.

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amici e nemici, sapessero chi era il più forte e per assu-mere la potenza e la fierezza di quel selvaggio animale.

La testa del mostro

– È possibile vedere latesta del grifone?

– Seguimi in silenzio einchinati quando pas-siamo davanti al re,steso su quella struttu-ra in legno.

– Ho notato che il corpodel vostro sovrano aveva molti tatuaggi e tra questi, come leidiceva, uno splendido grifone con le ali spalancate…

– Hai visto bene e ti ringrazio di averlo apprezzato, perchéproprio io, il migliore della mia tribù a decorare la pelle,ho ricevuto il grande onore dal mio re di realizzare queldisegno.

– Chi sono quegli uomini con quegli abiti colorati che gli stan-no intorno?

– Sono sacerdoti. Stanno purificando il corpo del re strofi-nandolo con pomate a base di cera d’api, gommalacca,resine, oli vegetali e essenze pregiate; così potrà conser-varsi per sempre. Eccoci arrivati.

– Dove mi ha portato?

– Nella tenda del re. Guarda in quella direzione, su quel-la cassa: non ti sembra mostruoso?

– Direi di sì, anche se non è molto grande: quel becco e quel-

– Il nostro capo è morto e lo stiamo preparando per la suaultima dimora.

– Mi dispiace, ma era molto anziano?

– Non troppo. Aveva qualche acciacco e gli doleva ilpolso della mano destra; ma questo è un male comunetra noi Issedoni: quando non dobbiamo combattere, cialleniamo ogni giorno con la spada e i duri colpi e ilpeso dell’arma indolenziscono le articolazioni. Il nostrore era il migliore guerriero che io abbia mai conosciu-to: ha ucciso mille nemici, ha cavalcato con il vento, hacatturato mille prede, ha combattuto mille battaglie…

– Accipicchia, sembra più la descrizione di un dio che di unuomo.

– Per noi era come undio. E poi, solo lui erain grado di uccidere igrifoni.

– I grifoni! Sono qui pro-prio per questo. Vuoledire che esistono davvero?

– Io non li ho mai visti,ma il nostro capo sì.

Tempo fa, si recò da solo presso i monti Altai; mai nes-suno è tornato vivo da quei luoghi per raccontare le sueavventure, lui invece ci portò la testa mozzata di un gri-fone e molte pietre d’oro prese sulle montagne. Nonvolle mai raccontare nulla di quell’impresa, ma deveessere stata una battaglia all’ultimo sangue, quasiimpossibile da vincere: lui però ce la fece! Comunque,volle farsi tatuare un grifone sulla pelle perché tutti,

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Grifoni o “lucertole terribili”?

Lasciamo gli Issedoni ai loro riti funerari che ci hannotuttavia consentito di ritrovare intatte diverse mummieumane, conservate grazie anche al terreno sempre gelatodella Siberia, il “permafrost”; occupiamoci invece di quel“terribile” cranio che abbiamoosservato nella tenda del re.

“Terribile” è in effetti laparola giusta perché si trattadei resti di una “lucertola ter-ribile”, cioè di un dinosauro.Il suo nome è Protoceratopsandrewsi e visse in quella che èl’attuale Mongolia nelCretaceo, tra 110 e 70 milioni di anni fa.

Una spedizione scientifica effettuata nel 1922 neldeserto del Gobi in Mongolia scoprì diversi nidi contenen-ti uova; vicino ad essi furono trovati scheletri di un dino-

sauro e successivamente alcuni piccoliappena nati e addirittura degli embrioni.

Non c’era alcun dubbio: si trattavadi resti di protoceratopo e delle sue

uova, le prime di dinosauromai trovate! Questa fu laprova che i dinosauri eranoovipari, cioè deponevano le

uova esattamente come cocco-drilli e lucertole attuali.

In un solo nido di protoceratopi si trovarono addirit-tura una trentina di uova, quasi certamente segno che inidi erano utilizzati contemporaneamente da più femmi-ne e che la cura delle uova e dei piccoli era praticatasocialmente.

la cresta a ventaglio nella parte posteriore lo rendonocomunque spaventoso. Ma dov’è finito il resto del corpo?

– Sicuramente era troppo pesante datrasportare a cavallo e allora il nostrore, dopo averlo ucciso, deve avergli

mozzato la testa che ha portato alvillaggio. Se la tua curiosità èstata esaudita a sufficienza, vorreisalutarti perché devo tornare allacerimonia. Dopo l’imbalsamazio-ne, porteremo il nostro re nella

tomba che sarà la sua dimoraeterna; lì gli terranno compa-gnia i suoi amati cavalli.

– I cavalli? Sono morti anche loro?

– No, sono ancora vivi, ma verranno sacrificati e postivicino al re; così, nell’oltretomba, potranno continuarea servirlo per l’eternità.

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Il protoceratopo eraun dinosauro vegetaria-no di piccole dimensio-ni, diciamo non piùgrosso di un vitello, madiffusissimo e i suoiresti affiorano numerosie quindi erano probabil-mente conosciuti anche

ai tempi degli Issedoni e del greco Aristea.Se non si conosce nulla dei dinosauri e degli animali

ormai estinti vissuti in epoche remote, è facile scambiarele ossa di un dinosauro per quelle di un essere fantasticocome un drago, un gigante o un… grifone!

In effetti, il grande becco adunco del protoceratopolascia pensare alla testa di un uccello, e la parola “grifo-ne” deriva proprio dal greco gryps che significa “adunco”in riferimento al forte becco uncinato col quale si narrache dilaniasse le prede e i poveri malcapitati.

Ma le zampe e la lunga coda sembrano proprio quel-le di un rettile o di un mammifero. Mettendo insieme levarie parti e aggiun-gendo con la fantasiaun paio di ali, ecconascere un temibilegrifone, sanguinario estrenuo difensore delproprio nido e deigiacimenti d’oro deimonti Altai.

Il re issedone quindi non uccise nessun grifone, masemplicemente trovò il resto fossile di un protoceratopoche contribuì ad aumentare la sua fama e il suo potere.

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Cronache dal passato: una battaglia cruenta

Il sole batteva implacabile nella prateria e un gruppodi protoceratopi era intento a mangiare, strappandofoglie e teneri rami da alcuni arbusti. Il vento soffiavadalla loro direzione verso un gruppo di rocce e non pote-va aiutarli a percepire l’odore di chi vi era nascosto: i velo-ciraptor, i loro piùtemibili predatori!

Furono osservatiattentamente perqualche tempo, poiuno dei velociraptor silanciò in una corsarapidissima verso leprede, le quali siaccorsero ben prestodell’attacco e, emet-

tendo grida d’allarme, fuggirono terrorizzate. Il carnivoro non perse però mai di vista la vittima

prescelta e con abili mosse la costrinse a deviare e adallontanarsi dal resto del gruppo.

Fu allora che l’erbivoro si accorse di non avere scam-po: un secondo predatore lo stava aspettando non visto. Inun attimo venne assalito, ma non si diede per vinto: lottòstrenuamente colpendo a sua volta l’avversario con latesta, calpestandolo e mordendolo col grosso becco. Magli artigli affilatissimi e i denti micidiali del velociraptorlo ridussero in fin di vita.

Con un ultimo sussulto, il protoceratopo caricò il suonemico, calpestandolo, e gli afferrò una zampa con il fortebecco.

Nessuno dei due si accorse tuttavia di essere ai piedi di

In molte leggende medioevali questo mostro fantasti-co è di solito l’animale domestico di un cavaliere o di unmago, in grado di volare veloce come un fulmine. Daigenitori ha preso anche i gusti in fatto alimentare perchéè sia erbivoro come i cavalli sia carnivoro come i grifoni.

Nonostante si sia estinto da 65 milioni di anni, il pro-toceratopo ha contribuito a far nascere diversi miti e ha

ispirato addirittura opere letterarie.

L’unicorno

Un’altra conosciutissima figuramitologica emerge dal lontano passato.È stata raffigurata in numerosi dipinti

e descritta in altrettante opere letterarie;la sua immagine è spesso diventata sim-

bolo di fierezza, di coraggio, saggezza e purezza. Aveva uncorpo di cavallo, quasi sempre bianco, e un unico lungocorno avvolto a torciglione che spuntava dalla fronte, con-ferendogli un aspetto altero e misterioso.

Nella tradizione medievale il corno a spirale è dettoanche “alicorno”, e gli è attribuita la capacità di neutraliz-zare i veleni. Causa di questa credenza furono sicuramentei resoconti di Ctesia di Cnido, uno storico e medicogreco del V-IV secolo a.C. Egli si recòin India dove disse di aver conosciutol’unicorno. Qualcuno lo ha accusato diessersi lasciato andare alle narrazionifavolose e fantastiche, ma noi provia-mo a chiedergli direttamente cosa harealmente osservato nei suoi viaggi.

– Mi scusi, ma è vero che lei ha vistogli unicorni in India?

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una duna che la loro lottaaveva reso instabile; cosìtonnellate di sabbia li rico-prirono entrambi, racchiu-dendoli per sempre in unabbraccio mortale, fino ainostri giorni.

Il cavallo-aquila

Un’altra creatura mitologica legata al grifone è l’ip-pogrifo che, come dice il nome (ippo=cavallo), ha originedall’incrocio tra un cavallo e un grifone, con testa e ali diaquila, zampe anteriori e petto da leone e il resto delcorpo da cavallo.

L’invenzione dell’ippogrifo si deve al poeta italianoLudovico Ariosto(1474-1533): nelsuo bellissimo poemal’Orlando Furioso ilmago Atlante noncavalca un semplicecavallo, ma un possentedestriero alato, l’ippogri-fo Frontin. Secondo gliantichi, cavalli e grifonisarebbero stati nemicinaturali, quindi questa inimicizia, che diede vita al detto“incrociare grifoni con cavalli” (simile al nostro “quandogli asini voleranno”), renderebbe pressoché impossibile illoro incrocio.

Nella fantasia dei nostri antenati, tuttavia, il risulta-to è stato raggiunto ed è nato un animale meno selvaggioe più facile da domare rispetto ai grifoni.

quegli animali si può assumere come portentoso anti-doto contro ogni veleno mortale. Inoltre, bere del vinoo dell’acqua da una coppa lavorata a partire dal cornoguarisce dall’epilessia e dalle convulsioni, oltre a neu-tralizzare gli effetti di qualunque veleno.

– Capisco, però non mi ha detto se lei lo ha visto davvero.

– I sensi ingannano, la vista può tradire: che cosa è realee che cosa è frutto della fantasia? E quanto un ricordo èfrutto dell’immaginazione o risponde a fatti realmenteaccaduti?

– Non la seguo più e temo che non mi voglia rispondere. Midica allora come è fatto il corno di questi animali.

– La base del corno, per circa due palmi sopra la fronte, ècandida, poi diviene nerissima e termina con un’estre-mità appuntita di colore rosso cremisi. La polvere è unantiveleno veramente efficace, ma è difficilissimo pro-curarsela perché questi animali sono straordinariamen-te veloci e potenti, più di qualsiasi cavallo o altro ani-male. Quando è arrabbiato, l’unicorno carica a testabassa e il suo corno diventa un’arma micidiale.

– Quante volte devo raccontare questa storia? Forse nonfinirò mai e a volte mi pento di averne parlato tanti etanti anni fa. Quando si viaggia molto e si vedono cosenuove, mai viste prima, si ha voglia di farne partecipianche gli altri. Quante sere ho passato davanti a unfuoco, sommerso dalle domande dei miei amici chevolevano sapere ogni particolare dei miei viaggi!

– E tra queste storie c’è anche quella dell’unicorno…

– Proprio così. Ho visto in India alcuni asini selvaticigrandi come cavalli e anche di più! Avevano il pelobianco, la testa rossa e gli occhi blu. La cosa che colpi-sce di più, tuttavia, è il lungo corno posto proprio inmezzo alla fronte.

– L’unicorno! Allora lo ha incontrato davvero!

– Vedi, io sono anche medico e sono interessato a tuttociò che può aiutarmi nella mia professione. Io ho cura-to addirittura il re persiano Artaserse per un bruttaferita subita nella battaglia di Cunassa.

– Mi scusi, ma questo che cosa c’entra con l’unicorno?

– Allora sei proprio ignorante… La polvere del corno di

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Non credo che Ctesia ci dirà altro di interessante.Possiamo però sentire un altro scrittore, Claudio Eliano,vissuto in Italia agli inizi del III secolo a.C., che nella suaopera di zoologia Della natura degli animali in diciassettevolumi, parlò anche dell’animale descritto da Ctesia. Fuanche il primo che lo chiamò unicorno.

– Lei che è uno zoologo può dirci qualcosa di più credibile sul-l’unicorno rispetto alle fantasie di Ctesia?

– Ctesia ha detto bene: si tratta diun animale delle dimensioni diun cavallo, con le zampe di ele-fante, la coda di capra, ma proba-bilmente si è lasciato prendere lamano nella descrizione di altriparticolari; infatti l’unico cornoche possiede questo strano ani-male è del tutto nero e non mul-ticolore. Questa creatura è veloce

e battagliera e vive nelle regioni aride e montuosedell’India. Sono luoghi veramente inaccessibili agliuomini e popolati da innumerevoli creature selvaggeche i sapienti del luogo cercano di studiare e classifica-re. Il nome che danno a questo animale è “kartazon”.

“Kartazon”!

Claudio Eliano ha usato una parola in sanscrito (unalingua indiana) che ha lo stesso significato di quellamediorientale in lingua accadica “karkadann”.

Si tratta del nome di un animale di cui si parla anchenel libro di racconti Le mille e una notte.

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Nel viaggio di Sinbad il marinaio viene descritta unamisteriosa e temibile creatura che fa a caso nostro; maleggiamo direttamente il racconto.

“In questa stessa isola c’è una specie di bestia selvati-ca, chiamata karkadann, che pascola nei prati come da noile vacche e i bufali, ma il suo corpo è più grande di quellodi un cammello e si ciba di foglie d’alberi e di arbusti.

È un animale notevole, con un corno grande e grosso,lungo dieci cubiti, piazza-to in mezzo alla fronte, e sequesto corno si spacca indue dentro vi si vede lafigura di un uomo.

Viaggiatori e mercantidicono che questa bestia ha

tanta forza che è capace diinfilzare sul corno un ele-fante e di portarlo, conti-nuando a pascolare perl’isola e lungo la costa senza avvedersene, fino a che l’ele-fante muore e il suo grasso, sciogliendosi al calore del sole,scorre negli occhi del karkadann e lo acceca. Allora l’ani-male si getta a terra sulla spiaggia adagiato su un lato e poiarriva il grande uccello Rukh, che lo afferra tra gli artiglie lo porta ai suoi piccoli i quali si cibano del karkadann edell’elefante che ha infilzato sul corno”.

Questa descrizione, seppure assolutamente fantastica,ancor più di quella di Ctesia, ci porta però a pensare a unanimale che vive tuttora sia in Asia sia, soprattutto, inAfrica: il rinoceronte!

e contorti, utilizzati per fare l’assaggio di tutto il cibo ele bevande che gli erano servite.

Questa usanza, tuttavia, era già diffusa da tempopresso le corti dei sovrani europei.

La richiesta era quindi molto elevata, ma visto che inrealtà si tratta di animali fantastici e inesistenti, dove sipotevano trovare i lunghi e preziosi corni?

Semplice, o costruendo dei veri e propri falsi parten-do da ossa che venivano intagliate con maestria, o usandole corna dell’orice, un’antilope africana, o anche il lungodente del narvalo, cetaceo dei mari del Nord.

In effetti, se non teniamoconto del secondo corno più pic-colo, possiamo considerarlo unanimale unicorno.

Il rinoceronte indiano, poi, nepossiede proprio uno solo e perquesto è stato denominato daglizoologi Rhinoceros unicornis.

Qualche paleontologo pensache possa aver contribuito allafama dell’unicorno il ritrovamen-to dei resti fossili di Elasmothe-rium sibiricum, un enorme rinoce-ronte lanoso vissuto nell’Asia settentrionale da 1,8 milio-ni a 600.000 anni fa. Aveva una vistosa protuberanza osseasulla fronte, dalla quale si dipartiva un unico corno dellaprobabile lunghezza di due metri. Per questa ragione èanche comunemente chiamato “unicorno gigante”.

Nonostante la sua mole, galoppava veloce nelle step-pe, proprio come i cavalli, e come questi aveva una denta-tura adatta a masticare soprattutto erbe dure e coriacee.

Un corno al giorno leva il medico di torno

Col tempo, tuttavia, la famadelle proprietà curative e antivele-no dell’unicorno si diffusero cosìtanto da determinare una forterichiesta dei suoi prodigiosi corni.

Si trova scritto che addirittura ilpapa Bonifacio VIII (1230-1303)possedeva ben quattro corni, lunghi

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Si salvi chi può!

In effetti avvenne come era stato loro descritto: i mari-nai di Ulisse riuscirono a salvarsi dal canto ammaliatoredelle Sirene grazie ai consigli di Circe, turandosi cioè gliorecchi con la cera.

Ulisse, invece, non si turò le orecchie ma si fece lega-re all’albero della nave in modo da ascoltare quel dolcecanto senza correre il pericolo di raggiungere le Sirenesulla loro isola… e dalì non fare più ritorno.

Le ossa degliuomini, che avevanomiseramente perso lavita attratti da quegliesseri malvagi, bian-cheggiavano sugli sco-gli e sotto la superficiedelle limpide acque.

Ancora una volta il poeta Omero ci consegna un miste-ro. Non possiamo fare a meno di ascoltare la sua voce.

– Omero, le Sirene sono una sua invenzione? Le descrive comedepositarie di tutta la conoscenza e capaci di far perdereagli uomini la ragione, stregati e affascinati dall’idea discoprire e di sapere anche solo qualcosa in più su questomondo terreno e sull’aldilà, sul senso della vita e…

– Grazie, grazie, può bastare così. Modestie a parte, è unodei brani del mio capolavoro meglio riusciti. Ma anchein questo caso non posso di certo appropriarmi comple-tamente della figura delle Sirene.

– Vuol dire che non sono frutto della sua fantasia?

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LE SIRENE E ALTRI MOSTRI DELLA

MITOLOGIA GRECA

Come ci racconta Omero nell’Odissea, Ulisse e i suoicompagni, nel viaggio di ritorno alla loro isola natale,Itaca, incontrarono la maga Circe.

Quando finalmente Ulisse riuscì a convincerla alasciarli ripartire, la maga volle avvertirli di un terribilepericolo che avrebbero corso in mare: in un’sola non lon-tana vivevano degli esseri malvagi, le Sirene. Chiunque

avesse ascoltato il loro canto ammaliatorenon avrebbe mai più fatto ritornoa casa. Ma sentiamo direttamen-te dalle parole di Circe quantopericolose e ingannatrici pos-sano essere le Sirene:

“Alle Sirene prima verrai,che gli uomini stregano tutti,chi le avvicina.

Chi ignaro approda e ascolta la voce delle Sirene, mai piùla sposa e i piccoli figli, tornato a casa, festosi l’attornieranno,ma le Sirene col canto armonioso lo stregano, sedute sul prato:pullula in giro la riva di scheletri umani marcenti; sulle ossa lecarni si disfano.

Ma fuggi e tura gli orecchi ai compagni, cera sciogliendoprofumo di miele, perché nessuno di loro le senta; tu, invece, se tipiacesse ascoltare, fatti legare nell’agile nave i piedi e le maniritto sulla scarpa dell’albero, a questo le corde ti attacchino, sic-ché tu goda ascoltando la voce delle Sirene.

Ma se pregassi i compagni, se imponessi di scioglierti, essicon nodi più numerosi ti stringano”.

Omero ci ha già spiegato che lui era un poeta e nonuno scienziato e quindi gustiamoci l’Odissea per quello cheè: un poema epico che narra le vicende di eroi e in parti-colare di Odisseo, più noto come Ulisse, che dovevanoaffrontare prove ai limiti della sopportabilità, incontraremostri da sconfiggere, usare l’intelligenza per superare gliostacoli più duri, farsi aiutare dagli dèi quando tutto il

resto non era sufficiente. Ma le Sirene?

Un giro in barca…

Facciamoci condurre in barca lungo la penisola sorren-tina da un pescatore vissuto subito dopo i tempi diOmero.

– Può portarci a vedere l’isola delle Sirene?

– Posso farlo, ma quegli esseri malvagi non esistono più.

– Quindi mi sta dicendo che sarà un viaggio inutile…

– Non ho detto questo. Le Sirene ci rimasero così male diessere state battute in furbizia da Ulisse che si gettaro-no in mare dallo scoglio sul quale vivevano e affogaronomiseramente. Tuttavia…

– Vada avanti e non si faccia pregare: la curiosità è tanta!

– Per niente affatto! Già ai miei tempi si parlava delleSirene, esseri mostruosi, metà donne e metà uccelli…

– Uccelli? Ma le Sirene non sono per metà pesci?

– Ma che pesci e pesci! Uccelli oltre che donne: ammalia-vano e uccidevano coloro chi si fidavano delle loro paro-le e si lasciavano incantare dalla loro voce melodiosa.Tanti uomini di mare mi hanno raccontato della loroesistenza e del pericolo che rappresentano per i marinai.

Italia terra di mostri

– E dove le hanno incon-trate?

– Nella lontana Italia,al largo della peniso-la che adesso chia-mate Sorrento.

– A quanto pare per voiGreci l’Italia era terra di miste-

ri e di esseri mostruosi e malevoli, come i famosi Ciclopi.

– E non dimenticarti di Scilla e Cariddi, altri due mostriche si fronteggiano presso uno stretto mare e con i qualiil mio Ulisse ha dovuto fare i conti. L’Italia, come lachiami tu, era per noi una terra ancora sconosciuta e,come tutto ciò che è lontano e non si conosce, incutevatimore e preoccupazione. E poi, tante navi partite dallaGrecia in esplorazione non fecero mai ritorno: la colpafu delle forze della natura, del mare in tempesta, degliscogli infidi, dei venti contrari e malevoli oppure dimostri che erano stati disturbati dalle loro esplorazioni?

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– In tanti si sono avventurati presso quest’isola, anche igrandi eroi del passato, ma nessuno è tornato vivo…

– Tranne Ulisse, lo so.

– Anche Giasone e gli Argonauti in un’altra avventura sisalvarono grazie all’intervento di Orfeo, che con la suamusica riuscì a vincere quei mostri. Comunque, chi siè inoltrato all’interno della grotta ha trovato moltealtre ossa, segno che tanta brava gente ha subito questotragico destino.

Dobbiamo rin-graziare il nostromarinaio se forseabbiamo trovato lasoluzione del miste-ro delle Sirene.

In effetti, altempo di Ulisse e degli eroi greci le fragili navi, spessoincapaci di opporsi ai forti venti e alle correnti marine,rischiavano di rompersi facilmente urtando contro gli sco-gli, specialmente in alcune zone costiere. Ad esempioScilla e Cariddi, i due mostri malvagi a guardia dello stret-to di Messina, non sono altro che scogli situati in un puntodello stretto in cui il mare è percorso da forti correnti.

Vicino Sorrento, invece, sono state trovate ossa diantichi mammiferi pleistocenici, pachidermi, rinoceron-ti, bisonti, cervi e altri ancora che affiorano dai sedimen-ti scavati dalle onde e dal tempo.

Questi biancheggiano al sole e la fervida immagina-zione dei nostri antenati li ha trasformati nei miseri restidi chi si è fracassato contro gli scogli.

E chi meglio di una coppia di mostri, le Sirene,potrebbe essere il responsabile di un simile massacro?

– Dicevo che è ancora possibilevisitare l’isola e i poveri resti ditutti coloro che sono rimastiincantati dalla voce di queimostri e sono morti misera-mente: “pullula in giro la riva discheletri umani marcenti; sulle ossale carni si disfano”…

– Conosco anch’io quei versi di Omero.

– Già, ma adesso guarda in quella direzione: ecco l’isoladelle Sirene! Bisogna stare molto attenti, perché le corren-ti sono forti e potrebbero spingerci contro i suoi scogli.

– Attenzione, allora: non voglio fare la fine dei marinaiammaliati dal canto delle Sirene.

– Non ti fidi di me? Io navigo in questi mari da quandosono nato!

– In realtà, non mi fidodel mare.

– Nessuna paura, ormaici siamo: cosa vedi làtra gli scogli?

… nell’antro delle Sirene

– Caspita! È l’entrata di una grotta…

– Certo, ma osserva ancora con attenzione le pareti roc-ciose e tra le limpide acque che bagnano gli scogli.

– Ossa! Non c’è dubbio: sono proprio ossa! Alcune sembranogigantesche…

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Basta aspettare che il vento soffi e giochi tra gli scogli esi intrufoli nelle caverne per sentire ancora la voce lamen-tosa e invitante delle Sirene.

Cronache dal passato: Italia, terra digiganteschi mammiferi e predatori micidiali

Il cielo è limpido, ma il sole non riesce a scaldare trop-po l’aria, spinta da un vento piuttosto forte e insistente.

Nella vasta prateria si vede un gruppo di iene caccia-trici (Chasmaportetes lunensis) che si guardano intorno incerca probabilmente di una preda; i loro denti non sonoadatti a triturare le ossa, per questo preferiscono la carnefresca. Improvvisamente si agitano: probabilmente hannofiutato odore di preda.

In effetti, poco lontano, una femmina di Acinonyxpardinensis, un grande ghepardo che popolava l’Italia plei-stocenica, ha appena catturato un imponente cinghiale(Sus strozzii); è probabile che non molto lontano la stianoaspettando i suoi cuccioli.

In pochi minuti le iene accerchiano completamente il

ghepardo: è sicuramente un avversario pericoloso, maloro sono tante e grazie alla pressione psicologica e alleminacce di aggressione, moltiplicate dal gioco di squa-dra, convincono rapidamente l’elegante felino ad allonta-narsi e ad abbandonare la sua preda.

La pianura è vasta e offre spazio a molti altri animaliaffamati: lamentosi miagolii rivelano infatti la presenza diuna famelica tigre dai denti a sciabola: sarà unHomotherium crenatidens o un Megantereon cultridens?Ambedue sono carat-terizzate dallo straor-dinario sviluppo deicanini superiori,diventati veri e propripugnali appuntiti.

Fra le loro predepreferite, che uccido-no trafiggendole con ilunghi denti, vi sono

alcuni cervidi di media taglia (Pseudodama lyra, con cornaleggermente arcuate e a tre punte) e i bovidi come ilLeptobos stenometopon o una particolare varietà il tapiro(Tapirus arvernensis); ma ogni cosa che si muove ed è didimensioni adeguate può diventare loro cibo.

Nei pressi delle rive di un ampio stagno, si sta abbe-verando un gruppo di proboscidati, gli Anancus arvensis,che si stringe attorno ai piccoli: sanno che in questo modoi felini si guarderanno bene dall’attaccarli.

Viceversa, alcuni rinoceronti (Stephanorhinus jeanvireti)di taglia non troppo grande, e quindi prede decisamentepiù facili da catturare, sbuffano nervosamente e dopoqualche esitazione fuggono al galoppo in direzione oppo-sta a quella delle tigri dai denti a sciabola.

– No, assolutamente no… ma perché non ci descrive meglio leossa ritrovate?

– Facile, alcune erano chiaramente di elefante, con tantodi zanne e grandi ossa. Altre erano, mi è parso, di arie-te, ma alcune erano veramente strane: un corpo maivisto e una testa a dir poco insolita e bizzarra, grossa,con due dentoni che venivano probabilmente usati dallaninfa per raccogliereconchiglie di cui sinutriva sul fondodel mare.

Dugongo ovvero la “brutta sirena”

La descrizione delle ossa fatta da Plinio il Vecchiosembra non lasciare dubbi e quindi non ci servono altreinformazioni. Inoltre, l’isola francese di cui ci ha parlato èfacilmente identificabile perché è l’unica in quella zona aessere costituita da rocce sedimentarie, le sole che possonocontenere resti fossili.

Già, perché ancora unavolta si tratta proprio di que-sto e i resti di elefante nomi-nati da Plinio stanno a dimo-strarlo; in realtà si trattaquasi sicuramente di mam-mut perché le loro ossa sonoancora presenti in quell’isola.

Per quanto riguarda laNereide, Plinio non avevasbagliato: gli antichi Romani avevano ritrovato davverouna sirena-pesce o, meglio, un “sirenide”.

Da uccello a pesce

Abbiamo forse chiarito il mistero delle Sirene, ma esi-ste un’altra versione del mito che vede le Sirene come esse-ri per metà donna e per metà pesce. L’imperatore romanoTiberio (42 a.C. - 37 d.C.) era appassionato di mitologia estoria greca e raccoglieva ovunque nel suo impero le provedell’esistenza degli antichi miti.

Tra questi anche quello delle Nereidi, benevole ninfedel mare spesso rappresentate come bellissime creature.

Una di queste, Anfitrite, era addi-rittura la moglie di Nettuno emadre di Tritone, guarda casoun altro strano personaggio,anche lui metà uomo e metàpesce. Un giorno una Nereidefu ritrovata nel nord dellaFrancia e portata a Tiberio.

Forse sarebbe eccessivoscomodare un imperatore, però il filosofo e naturalistaPlinio il Vecchio, vissuto durante il suo regno, ha molto daraccontarci ed è sicuramente più adatto al nostro scopo.

– Che cosa può narrarci della scoperta della Nereide?

– In sintesi ti posso raccontare che in un’isola nel norddella Francia abbiamo trovato un bel mucchio di ossa,comprese quelle di una Nereide.

– Ci risiamo: sempre e solo ossa!

– Non so cosa vuoi dire e perché sei così deluso, ma stia-mo parlando di miti che erano antichi anche ai mieitempi. Non avrai pensato che avessimo trovato unaNereide viva…

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In cambio del lavoro, Laomedonte promise loro alcu-ni cavalli avuti in dono proprio da Zeus ma quando illavoro fu terminato, Laomedonte si rifiutò di mantenere laparola. Poseidone, il re dei mari, inviò allora un mostromarino: il terribile mostro di Troia. Per sfuggirgliLaomedonte fu costretto ad offrirgli in pasto la propriafiglia Esione che, mentre era incatenata alle rocce, vennesalvata casualmente dal possente Eracle, quello che iRomani chiamavano Ercole.

Un mostro “originale”

Di questa vicenda cirimangono il racconto ediverse raffigurazioni; una inparticolare risulta propriosorprendente.

La troviamo su un bellissi-mo vaso, illustrato con tantefigure colorate tra cui spicca unstrana testa, non particolarmen-te bella, che dovrebbe rappre-sentare… il mostro!

Non ci resta che chiedere diretta-mente all’autore perché in un vaso cosìben fatto ha inserito un disegno tanto brutto.

– Non si offenda, ma a detta di tutti i critici d’arte, le è man-cata un po’ di fantasia quando ha dipinto il mostro. Sembrache improvvisamente le sia mancata la vena artistica.

– Non mi offendo, se non siete capaci di riconoscere l’ar-te, non è un problema mio.

Vengono chiamati con questo nome alcuni mammife-ri tuttora viventi anche se a rischio di estinzione, come il

dugongo e il lamantino.Un tempo i dugonghi

erano molto diffusi e ciò fapensare che proprio essiabbiano contribuito a farnascere il mito delle Sirene.

A favore di questa ipote-si ci sono anche alcuni parti-colari, come l’abitudine diallattare i cuccioli reggendo-

li fuor d’acqua con le pinne anteriori, proprio come faccia-mo noi esseri umani.

Certo un dugongo non ha nulla a che vedere con labellezza delle mitologiche Sirene, tuttavia lo stessoCristoforo Colombo, dopo aver visto un gruppo di dugon-ghi nelle lontane Americhe, li definisce “brutte Sirene”.

Il mostro di Troia

Laomedonte, re di Troia, è una delle tante figure dellamitologia greca. Per edificare le mura della sua città chie-se addirittura l’aiuto del padre degli dei, Zeus, che ordinòa Poseidone e ad Apollo di aiutarlo.

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– Perché vuoi farmi ripetere? Poseidone il re del marealleva nel suo regno chissà quanti mostri, ma per fortu-na anch’essi muoiono e lasciano nel mare i loro resti. Ioho potuto osservare diverse teste portate dal mare sullaspiaggia o inglobate nelle rocce degli scogli.

– Teste, teste, teste: mai un corpo intero che si muova ancora…che noia!

– Non ce l’avrai mica con me, spero! Sono sicuro che seavessi visto anche tu i resti di quei mostri non diresti“che noia”. Ti saluto, però devi farmi il piacere di direai tuoi contemporanei che io ero un maestro nella miaarte e che il “mio” mostro non è un disegno privo difantasia ma una fedele riproduzionedella realtà.

Ercole e la giraffa

Forse non siamo statitroppo cortesi con il vasaiogreco, anche perché dobbiamoammettere che le sue informazionisono state davvero preziose.

Basta dare un’occhiata moltoattenta alla testa del mostro, un’oc-chiata da paleontologo per intenderci,per capire che ci ha detto la verità.

Prendiamo la testa di una antica giraffa, come ilSamotherium, che deve il nome dall’isola greca di Samo.Togliamole adesso le ossa premascellari, quelle senzadenti nella parte alta del teschio, come mostrato nell’im-magine; in effetti, dopo la morte dell’animale, essendofragili, si spezzano facilmente.

– Però in questo modo nonrisponde alla critiche…

– Nella mia vita ho realiz-zato moltissimi vasi enessuno si è mai lamenta-to del mio lavoro. Anzi,

ero fra gli artisti più richie-sti del mio tempo. Quando mi è

stato commissionato questo vaso,mi è stata lasciata mano libera: “basta che si tratti diuna delle fatiche di Eracle”, diceva il mio committen-te. Così, ho deciso di renderlo più realistico possibile.

– A dire il vero, a nessuno di noi il suo disegno sembra reali-stico. Tanti altri autori hanno rappresentato il mostro diTroia come un serpente marino o come un drago o in millealtri modi: la testa del suo mostro appare invece deforme,senza corpo, lontanissima dalle rappresentazioni classiche.

– Io non volevo fareuna cosa come quel-la degli altri: volevoche rappresentassela realtà, come le hogià detto.

– La realtà? Ma sitratta di un mito: cherealtà vuole che ci siain tutto questo?

– Io quel mostro l’hovisto davvero. Anzi, ne ho visti molti.

– Lei ha visto il mostro di Troia?

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QUANDO IL DIAVOLO CI METTELO ZAMPINO

Una “fumatina”diabolica

A sentire i nostriantenati, un tempoil diavolo si diverti-va a lasciare le suetracce un po’ dap-pertutto: tracce deisuoi piedi sulle rocce, unghioni duri e ritorti disseminatiqua e là, pietre con impronte del suo volto diabolico eaddirittura lunghi sigari che si dice abbia fumato neimomenti di pausa dalle sue azioni malvagie.

A quest’ultimo proposito, possiamo ascoltare la storiaraccontata da un contadino del XVI secolo a un nugolo dibambini e adulti seduti davanti al fuoco di un camino.

– Era una notte senza luna e senza stelle. Il buio era piùnero del carbone e io camminavo da solo lungo un sen-tiero di montagna sconosciuto.

– Mi scusi, posso intervenire?

– Certamente, agli ospiti non si dice mai di no.

– Che cosa ci faceva da solo di notte in un luogo sconosciuto?

– Ero andato a pulire il bosco di castagni del mio padro-ne dai rovi e dagli arbusti. Solo che misteriosamente einaspettatamente il sole è scomparso e una notte mal-vagia ha avvolto ogni cosa.

Se poi consideriamo che le femmine di Samotheriumnon possedevano le corna, ecco sorprendentemente rico-struita la testa del mostro del nostro vasaio greco!

Lui in realtà ci ha parlato di molte teste ritrovate, puòdarsi allora che abbia messo insieme le caratteristicheosservate nei diversi teschi: così si spiega perché sul vasoil mostro possieda così tanti denti e altri particolari nontipici delle giraffe.

Inoltre, guardando bene il disegno, si può notarecome il mostro non abbia corpo, ma spunti direttamenteda una massa nera, probabilmente uno scoglio marino,nel quale il vasaio ha osservato la testa fossile.

Quindi, in fondo, Ercole non sta compiendo unagrande impresa, perché con le sue frecce non sta ucciden-do un famelico mostro, ma sta colpendo un animale fos-sile, morto ormai da alcuni milioni di anni!

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– Fumava? Capisco che il fumo sia danno-so alla salute e che questo possa piacere aldiavolo, ma che addirittura proprio lui nefaccia uso mi sembra troppo. Come possia-mo credere a questa storia?

– Vuoi verificarlo di persona?Accomodati! Ti porto lassù dove nondovrai fare altro che aspettare la notte el’arrivo del demonio. Chissà che non offra un sigaroanche a te… si tratta di una cosa da gran signori, dopo-tutto. Certo, se però ti offrisse un sigaro allo zolfo noncredo che saresti molto contento…

– Non mi prenda in giro e poi non ho nessuna voglia di pas-sare la notte al freddo, da solo.

– E allora devi fidarti di me. Comunque guarda che nonsono l’unico ad aver incontrato il diavolo.

– Lo so, ed è proprio per capiremeglio che sto ascoltando lasua storia.

– Visto che fai fatica a cre-dermi, ti mostro i sigariche il demonio ha lascia-to sulla roccia dove si eraseduto. Ne ho raccolti alcuni per i diffidenti come te:che ne dici?

– Ma sono di pietra!

– Certo, che cosa ti aspettavi? Il demonio non fa mai rega-li a nessuno e prima di andarsene li ha gettati via, pie-trificandoli.

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– Perché “malvagia”?

– Perché immediatamente tutti gli animali si sono zittiti,uno strano freddo mi ha raggelato le membra e percolpa del buio ho perso completamente l’orientamento,ritrovandomi su un sentiero mai visto prima.

– Caspita che paura!

– Puoi ben dirlo! Non sapevo dove stavo andando e avevoil timore di precipitare in un dirupo da un momentoall’altro. Poi, all’improvviso…

– Anche lei? La prego, non faccia troppe pause e non ci lasciin trepidazione!

– Ebbene, ho visto in lontananza un tenue bagliore. “Unapersona con una torcia,” ho subito pensato, “di sicuromi aiuterà!”; quindi mi sono mosso in fretta in quelladirezione, anche se qualcosa dentro di me mi diceva dinon farlo. Infatti, iniziai ben presto a sentire un odore di

zolfo bruciato e una strana risata diabolica.

Sigari allo zolfo

– Qualcuno in ve-na di scherzi?

– Non si scherzacol diavolo! Epoi si trattavaproprio di lui.Per fortuna lo

capii prima di cadere nelle sue grinfie e mi fermai adosservarlo in lontananza. Era seduto su una roccia, forsea riposare dopo una delle sue tante malefatte e fumava…

– Il campo non è mio, purtroppo, e quello che ha combi-nato il diavolo non lo so e non voglio saperlo! Di certoquelle erano unghie in grado di ridurre a brandelli ungigante.

– Niente giganti, per favore, con quelli abbiamo già risolto.Mi farebbe vedere l’unghia, piuttosto?

– Eccola: non ti sembra orribile?

Sigari, dita o calamari?

Abbiamo accumulatoabbastanza informazioni,quindi possiamo salutare ilnostro contadino e lasciarlocon le sue storie di paurache tanto piacciono ai suoipiccoli e grandi ascoltatori.

I lunghi sigari di pietra che ci ha mostrato sono statianche interpretati come dita del diavolo, dita degli gnomio addirittura come fulmini pietrificati: sono molto affuso-lati e spesso dopo un temporale, bagnati dalla pioggia,appaiono nitidi e in risalto sulla roccia che li contiene,proprio come se un fulmine vi avesse lasciato la sua puntaconficcata.

Tuttavia, non corrispondono a niente di tutto ciò, per-ché in realtà si tratta del rostro delle “belemniti”, mollu-schi simili agli attuali calamari, con tanto di tentacoli einchiostro, ma ormai estinti da milioni di anni.

Il rostro, che in alcune specie è lungo anche cinquan-ta centimetri e lascia presupporre un animale lungo alme-no tre metri, era un po’ come l’osso di seppia, internoall’animale e posto nella parte terminale del corpo.

– In effetti sono lunghi e affusolati:sembrano proprio dei sigari maiusati e trasformati in pietra…

– Proprio così! Devi sapere che ioho trovato anche altri resti deldiavolo, ma te li mostrerò solose mi assicuri che non ti spaven-terai troppo.

– Vuole farmi paura? Comunque loprometto: cercherò di essere forte e coraggioso.

– Bene, stavo lavorando il terreno del mio padrone perpiantare qualche albero da frutto quando mi parve disentire una risata che riuscì a paralizzarmi per qualcheistante. Ripresi a scavare con timore e fu allora chedalla terra cominciarono a uscire delle strane pietre

ritorte.

Manicure diabolica

– Le ha raccolte?

– Ne ho raccolta una e perpoco non sono svenutodalla paura: avevo tra lemani, senza ombra didubbio, un unghionecurvo e dall’aspetto in-quietante, sicuramenteopera del demonio.

– Non starà cercando di farmi credere che il diavolo si ètagliato le unghie nel suo campo…

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Le unghie, invece, sono restidella Gryphaea arcuata, un altro mol-lusco dotato di conchiglia e nonmolto diverso dalle attuali ostriche.La struttura ricurva consentiva lorodi rimanere sollevate dal fondo,impedendo così alla sabbia e ai varidetriti di penetrare quando l’animale

sollevava l’altra valva (parte) della conchiglia per nutrirsi.

Cronache dal passato: il tirannosauro deimari di cento milioni di anni fa

Nelle acque calde di un mare tropicale, un folto scia-me di belemniti sta nuotando lentamente all’indietro incerca di piccole prede, pesciolini per lo più, di cui sonoghiotte. Niente lascia presagire ciò che sta per accadere: èquestione di un istante e dalle acque più buie e profonde,spunta una sagoma nera di parecchi metri di lunghezzache non annuncia nulla di buono.

È un sinuoso mosasauro, un famelico rettile marino,un vero e proprio “tirannosauro dei mari” imparentato congli attuali varani e serpenti. Si muove rapido, con pochespinte delle natatoie si ritrova in mezzo al gruppo dellebelemniti. La sua boccaè ampia e numerosissi-mi denti appuntiti etaglienti sono pronti aghermire le prede. Adogni movimento dellatesta una belemnitefinisce nella sua bocca.

L’acqua tutt’intorno è ormai nera di inchiostro, maqualche mollusco riesce a mettersi ugualmente in salvo.

Infine il mosasauro si dirige rapido in superficie perrespirare e quindi verso il mare aperto, forse in cerca diqualcos’altro da mettere sotto i denti.

Sul fondo rimangono solo brandelli di belemnite,subito assaliti da un nugolo di piccoli pesci e da unamiriade di granchi affamati. I lunghi rostri appuntitisono però duri e non commestibili e rimangono pertantoabbandonati sul fondo. Verranno lentamente ricopertidalla finissima sabbia calcarea e forse si conserverannofino ai nostri giorni.

I diavoli ballerini

I diavoli danzano forse per sfoga-re la delusione di tante loro impresenon riuscite o viceversa per festeg-giare le cattive azioni compiute.

Ma come facciamo a saperlo?Evidentemente qualcuno deve averlivisti in azione oppure avrà osservatole tracce di questi loro balli frenetici.Siamo ovviamente molto scettici,soprattutto dopo aver scoperto chesigari e unghioni non sono altro chefossili dalla strana forma.

Siccome queste voci ci giungonodal passato, facciamo un salto nel XIV secolo e avviamocisu un sentiero di montagna alla ricerca di queste tracce edi qualcuno che possa darci spiegazioni. In effetti, pocodistante da noi, un ragazzo si sta arrampicando su quel-l’impervio sentiero.

– Ehm, scusa, niente di importante. Dimmi piuttosto come faia sapere tutte queste cose? Anche tu li hai osservati danzare?

– Ci mancherebbe altro! Sarei morto dalla paura! No, no!Però un giovane che li ha visti è ritornato sconvolto. Isuoi capelli erano diventati bianchi di colpo: sembravaun vecchio di vent’anni.

– Tremendo! Non vorrei essere statoal posto suo.

– Nemmeno io, stanne sicuro.

– Tuttavia, visto che èstato l’unico ad averlivisti, non avete avutonemmeno il più piccolosospetto che la sua storiafosse, come dire, un po’esagerata e inverosimile?

– Io non l’ho conosciuto perché quel giovane sventuratoè vissuto tanti e tanti anni fa. Ma i nostri vecchi quan-do raccontano questa vicenda sembrano ancora impau-riti e tengono la voce bassa. Col demonio non si scher-za e solo lui è capace di ridurre un uomo in quello stato.

– Mi hai quasi convinto, però hai detto che le tracce lasciatedai diavoli sono indelebili…

– Certo, e allora?

– E allora saranno ancora lì dove quel poveretto ha vistoquella danza infernale.

– Che tu ci creda o no, è proprio così.

– Quelle rocce esistono davvero?

– Scusa, ti puoi fermare unmomento? Ho bisogno diun’informazione!

– Non posso perderetroppo tempo: devo rag-giungere mio padre alpascolo.

– Solo due parole, se sei cosìgentile da darmi ascolto.

– Va bene, dimmi pure.

– Hai mai sentito parlaredelle danze dei diavoli?

– Sì. Nelle notti di luna nuova, quando nemmeno le stel-le osano farsi vedere, i diavoli si ritrovano tutti insieme,illuminati da una misteriosa luce rossa, di sicuro prove-niente direttamente dall’inferno. Scelgono le rocceampie, piatte e lisce e ballano e danzano senza sosta, bat-tendo i piedi sulla roccia. Chi li ha visti li descrive comeesseri mostruosi, con le corna e le zampe da capra.

– Sembrano delle capre?

– Capre infernali! I loro piedi hanno degli zoccoli divisi indue e così duri che quando vengono battuti sulla pietralasciano un’impronta incancellabile.

Sulle tracce del demonio

– Sei proprio bravo a raccontare storie, forse anche meglio delcontadino…

– Quale contadino?

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precisione ogni dettaglio; dappertutto si possono notare isegni inconfondibili descritti dal ragazzo: impronte dizoccoli di tutte le dimensioni, come se un folto gruppo dicapre o demoni, piccoli e grandi, si fosse divertito alritmo di una musica sovrannaturale. Scattiamo qualchefotografia e ritorniamo nel nostro secolo per raccoglierealtre informazioni e fare confronti.

Alte e basse maree di oltre duecento milionidi anni fa

Rechiamoci allorain un museo geologicoper avere notizie sullaroccia “diabolica”.

Con le foto da noiscattate tra le mani,scopriamo che si trattaproprio di “dolomia”,appartenente a unaformazione geologica molto diffusa in tutto l’arco alpinoe da cui le Dolomiti prendono il nome: la DolomiaPrincipale.

Apprendiamo inoltre che la nostra roccia è stata resacosì piatta e levigata in superficie durante l’era Glaciale,quando alcune decine di migliaia di anni fa le sono passa-ti sopra diversi ghiacciai; possedendo una spaventosa forzaerosiva (vere e proprie pialle di spessore anche superiore aimille metri), erano in grado di modificare completamen-te il paesaggio e le cose su cui passavano.

Quando si sono ritirati, i segni della loro azione sonotornati alla luce: grandi massi trasportati anche da moltolontano (e per ciò detti erratici) accumuli di detriti (le

– Ti ho detto di sì e non sono nemmeno molto lontane daqui. Se vuoi, visto che per andare da mio padre devofare proprio quella strada, ti ci porto.

– Scusami, ma non hai paura che i diavoli si rifacciano vivi?

– Oh caspita! Ma allora non sai proprio niente: i diavolinon tornano mai sui luoghi dove si sono fermati per iloro festini. Adesso sbrighiamoci: non mi piace parlaretroppo a lungo di queste cose.

– Va bene, va bene, non ti agitare: andiamo pure.

La pista da ballo

Il ragazzo, forse pernon perdere troppo tempoo più probabilmente perpaura, dopo un’estenuantesalita ci indica un sentieroe continua per la sua stra-da. Procediamo allorasecondo le sue indicazionie, anche se siamo scettici,con un briciolo di timore.

Terminato il bosco, si apre davanti a noi un ampioaltopiano, come ci aveva spiegato il ragazzo.

Ci guardiamo intorno e vediamo esattamente ciò checercavamo: una roccia di dolomia bianca, molto simile alcalcare, che appare piatta e levigata come se una piallagigantesca vi fosse passata sopra.

Muoviamoci, con una certa cautela, e andiamo adosservare la pista da ballo dei diavoli.

La luce è quella giusta e ci permette di esaminare con

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ni. Ovviamente non eranoproprio uguali a quelliattuali, ma nemmeno cosìdiversi. Comunque, alcunidi loro hanno lasciato i lororesti fossilizzati nelle roccee grazie a questa circo-stanza possiamo sapernedi più.

Diavolo di unmollusco!

– Mi dica una cosa: non è che per caso uno di questi organi-smi aveva la forma di uno zoccolo bifido (a due punte) comequello delle capre o addirittura dei…

– … diavoli, proprio così! Tanti organismi, approfittava-no dell’alta marea e si spingevano verso riva per nutrir-si. Altri invece vivevano infossati nel fango e si nutri-vano solo durante l’alta marea; in particolare aveva que-sto comportamento un mollusco chiamato Megalodongümbeli. Possedeva una particolareforma a cuore, simile all’impronta diuno zoccolo di capra, e poteva rag-giungere dimensioni di diversi deci-metri.

– Allora si trovano anche sulle rocce mon-tonate, quelle levigate dai ghiacciai.

– Esatto, e le loro sezioni risaltano in modo evidente per-ché sono di colore leggermente più scuro rispetto allaroccia in cui si trovano.

morene) e anche le cosiddette “rocce montonate”, lisce elevigate come quella sulla quale abbiamo osservato leimpronte del diavolo.

Approfittiamo di essere al museo per chiedere a unpaleontologo qualche spiegazione.

Questione diritmo

– Sarebbe così gentile daraccontarci qualcosadi più sulla DolomiaPrincipale?

– Ma certo! Le rocce dicui vuoi che ti parlisi sono formate in

acque marine non particolarmente profonde, nelle qualisono osservabili strati chiamati “ritmiti”.

– Mi scusi l’ignoranza, cosa sono le “ritmiti”?

– Semplice, sono strati di sedimenti depositati alterna-mente durante le basse e le alte maree.

– Un momento, vuole dire che si sono depositate in partedurante la bassa marea e in parte durante l’alta marea?

– Proprio così, ma ovviamente i maggiori spessori si for-marono durante l’alta marea. Sembra incredibile, masono cicli che si sono ripetuti senza sosta per milioni dianni.

– Accipicchia! Chissà quanti strani animali popolavano queimari…

– A parte i dinosauri, non erano nemmeno poi tanto stra-

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– Puoi giurarci! Ma per fortuna non esiste più: l’abbiamotagliata fino all’ultimo albero…

– Mi sembra contento di questa impresa, però io credo chetagliare gli alberi non sia mai una bella cosa.

– Può darsi, ma in questo caso abbiamo fatto benissimo.La foresta nera era il regno del demonio e chi osavaavventurarsi al suo interno non ne usciva più o ritorna-va fuori di senno.

Una leggenda dabrivido

– Accipicchia! Allorail suo antenato dovevaessere proprio corag-gioso o un po’ suonato,se mi permette.

– Magari tutte e duele cose. Fatto sta chedopo aver scommesso con i suoi amici, anche se proba-bilmente si pentì di questa sua spacconata, una notte siinoltrò da solo nella foresta, con una torcia, un mantel-lo, un tozzo di pane e poche altre cose.

– Che brividi!

– All’inizio gli sembrò tutto normale e si rasserenò: forsei racconti sulla tenebrosa foresta erano falsi. Cominciòallora a canticchiare per farsi coraggio e avanzò semprepiù spavaldo.

– Ho fatto bene a non illudermi: immaginavo che fossero

Niente esseri infernali, quindi, né balletti indiavola-ti, solo un semplice e umile mollusco dalla forma tantoparticolare da creare una forte impressione nei nostriantenati. E d’altra parte, non è piacevole davanti al fuocodi un camino in una notte d’inverno, stretti gli uni agli

altri, ascoltare storie di ogni tipo,comprese quelle di paura?

Come il diavolo ci perse lafaccia

Questa è una strana storia,tanto strana che nessuno sa comeabbia avuto origine. Qualcuno laracconta in un modo, qualcunaltro, forse vivacizzandola un po’con la fantasia, in modo diverso;

tutte hanno però una cosa in comune: tanto e tantotempo fa il diavolo… ci perse la faccia.

La vicenda appartiene al passato e lì andiamo adascoltarla dalla voce di un cantastorie che l’ha narratamille e mille volte:

– “Tanto tempo è passato / da quando un mio lontano antenato

con i suoi amici fece una scommessa / che sicuramente non avrebbe persa:

si sarebbe inoltrato /per una notte intera/ nella foresta nera!”

– Bravo! Belle rime, proprio come quelle dei cantastorie!Però, mi spieghi: era davvero una cosa tanto pericolosaentrare in quella foresta?

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Ambasciator non porta pena

– Ma non era vero, giusto?

– Proprio così, però non aveva nessuna intenzione dirimanere per sempre a tenere compagnia al demonio.“Un messaggio? Parla pure, sono curioso” gli risposequello, ridendo in modo ovviamente diabolico.“Ebbene, il messaggio è questo: nessuno di noi ha piùpaura di te e se oserai avvicinarti al villaggio ti acco-glieremo come meriti!”. Il diavolo si infuriò moltissi-mo a quelle parole e il mio temerario antenato pensòdi averla combinata grossa.

– Ci credo! Si è com-portato da verosbruffone.

– Il diavolo però,forse perché la rab-bia gli tolse lacapacità di giudi-zio, decise di cre-dere alle sue parolee si avviò a grandipassi verso il paese.

– Quell’incosciente per salvarsi ha messo tutti in pericolo.

– In realtà, il mio antenato aveva fatto una scommessacon i suoi amici: se per la paura fosse uscito dalla fore-sta prima del sorgere del sole, tutto il paese, riunito adaspettarlo, lo avrebbe accolto con un lancio di letame,uova marce e pietre.

– Adesso ho capito il suo piano! Che furbastro!

tutte fantasie.

– Non interrompermi e ascolta attentamente. Era ormaiscoccata la mezzanotte quando udì un rumore alle suespalle: un fruscio di foglie, quindi un venticello gelidoe infine un respiro affannoso. “Chi va là?” gridò voltan-

dosi di colpo, ma nonvide nulla.

– L’immaginazione puòfare brutti scherzi…va bene, ho capito:devo stare zitto.

– Un sudore freddocominciò a colargliper le spalle e untremito incontrol-labile lo assalì. “Unaltro stupido e

incauto si è intrufolato a casa mia”. La voce scaturìimprovvisamente dal nulla, molto vicino a lui; poi videun uomo più o meno della sua altezza ma con un aspet-to inquietante. “Io… io… sono venuto proprio per par-lare con lei” improvvisò lì per lì come risposta.

– Brutta situazione, davvero brutta.

– Già, ma ascolta. “Sei venuto a parlare con me? Allora tiinvito a restare in questo luogo per tutta l’eternità: nonuscirai mai più da questa foresta!” gli disse il diavolo,perché di lui si trattava. Ma il mio antenato aveva millerisorse e non si diede per vinto. “I miei compaesanisono stanchi di te e mi hanno incaricato di portarti unmessaggio”.

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– Il diavolo uscì dalla fore-sta con l’intento di dareuna lezione a tutti queipazzi e sconsiderati, mafu scambiato per il mioantenato. La gente delvillaggio cominciò afischiare e prenderlo ingiro. Lui rimase immobi-le per la sorpresa e fu rag-giunto dal lancio di pie-tre. Urlò, sbraitò, minac-

ciò, ma nessuno gli diede retta. Alla fine, dopo averemesso un ultimo urlo di rabbia, scomparve nel nulla.

– Quindi il tuo antenato salvò se stesso e il paese intero.

– Proprio così.

– È una bella storia, tutta-via…

– Tuttavia fai parte anche tudella schiera degli incre-duli, ma io ho qualcosa damostrati. Quella notte ildiavolo perse letteralmen-

te la faccia e le pietre che lo colpirono lo dimostranochiaramente: guarda con i tuoi occhi!

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Un bel piatto di vongole o… myophorelle?

Gli oggetti che il cantastorie ci indica non lascianodubbi: sono piccoli e mostrano tutti chiaramente unvolto diabolico.

Inquietanti davvero, ma a guardar bene notiamo chetutte queste pietre presentano dei chiari segni di inter-vento umano e assomigliano proprio ai resti di un picco-lo mollusco, la Myophorellaincurva, risalente al periodogiurassico (190-135 milionidi anni fa): era un molluscodotato di conchiglia e l’im-pronta della sua cavitàinterna ricorda un voltoequino o… diabolico.

Sono bastati solo alcunipiccoli ritocchi per renderlauna perfetta faccia di pietra!

Spesso nei sedimenti se ne trovano moltissime.Tuttavia, quando il guscio non è andato distrutto duran-te i processi di fossilizzazione, il mollusco non ha perniente l’aspetto di un volto spaventoso, ma quello rasse-renante e gustoso di una vongola.

– Sei stai bene non dovresti essere qui a farmi perderetempo e non credere che ti dia informazioni sull’artedella guarigione. Ci sono talmente tanti ciarlatani ingiro…

– Non voglio rubarle il mestiere, ma sono incuriosito da unaparticolare pietra triangolare che si dice cada dal cielo.

– Tante pietre cadono dal cielo, ma se mi prometti chenon sei venuto a rubare i miei segreti, ti parlerò dellelingue di pietra di cui ci fa dono la luna, con molta par-simonia e moderazione, però.

– Grazie e le prometto tutto ciò che vuole.

– D’accordo, allora. Comincio col mostrartene una, la piùgrande che possiedo.

Una lingua per ogni occasione

– Caspita!

– Meravigliato, vero? Si tratta di lingue di serpente,appuntite e pietrificate. Il cielo le manda a noi perchépossano aiutarci a curare tanti nostri mali.

– Riesce a curare le malat-tie con quel coso?

– Questo “coso” hodeciso di non usar-lo: lo tengo conme come simbolodella mia profes-sione. Però ne homolte altre di lin-

CHE STRANO INTRUGLIO: LINGUE DI

LUNA E SUCCO DI RAGGI DI SOLE

Le lingue che caddero dalla luna

Si narra che quandogli astri si trovano inparticolari posizioni nelcielo, dalla luna piova-no direttamente sulnostro pianeta stranepietre triangolari aguz-ze e taglienti.

Alchimisti e maghile hanno raccolte per leloro proprietà terapeu-tiche, in grado cioè di

curare svariate malattie. I nomi della maggior parte diquesti raccoglitori si sono perduti, proviamo tuttavia acercarne almeno uno recandoci nel tardo medioevo.

Chiediamo qualche informazione per strada e final-mente otteniamo il nome della persona che cercavamo:Vinicius, un guaritore la cui fama si è diffusa ovunque.

– Buongiorno.

– Buongiorno a te. In che cosa posso servirti? Hai mal dipancia, ti ha morso un serpente, sei assillato da pulci,zecche e pidocchi, hai perso il senno…

– Sto benissimo, grazie, non ho bisogno di cure. Volevo solochiederle qualche informazione.

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Una “Colonna” della paleontologia moderna

Onestamente, io non mi farei mai curare da un “medi-co” come Vinicius. Tuttavia, grazie alle sue spiegazioni,abbiamo iniziato a capire molte cose.

Lo studioso napoletano Fabio Colonna (1567-1640) siè occupato scientificamente delle lingue di pietra o glosso-petrae come venivano a chiamate a quel tempo.

– Signor Colonna, molti suoi antenati, maanche tanti suoi contemporanei, diconoche le glossopetrae sono le lingue di ser-pente pietrificate che cadono dalla lunadurante le eclissi o altri avvenimenticelesti.

– Lo so benissimo ed è per questoche mi sono dato da fare percapirne di più. È vero che inostri anziani sono depositari disaggezza, però è sempre meglio controllare le cose, guar-dare con l’occhio della scienza, effettuare confronti…

– E lei li ha fatti, vero?

– Verissimo! Ho scritto addirittura un trattato sull’argo-mento, pubblicato a Roma nel 1616; l’ho intitolato Deglossopetris dissertatio. Ho esaminato con cura centinaia diesemplari di glossopetrae prima di esprimermi; d’altraparte bisogna comprendere che avevo bisogno di provecerte prima di mettere in dubbio le credenze popolari el’uso medico di questi oggetti. Se poi si pensa che…

– Non voglio sembrarle scortese, però perché non ci dice subitoquali sono state le sue conclusioni?

gue di pietra, di ogni forma, colore e dimensione. Usosolo queste e quando stanno per finire, vado a cercarne

altre. Io so dove trovarle…

– Sono curioso di sapere qualimalattie riesce a curare con queste“lingue”.

– Ricordati la promessa. Ebbene,si tratta di una lunga serie:

morsi di serpente, febbri mali-gne, dolori alla testa, incantesimi

malvagi, vomito…

– Un po’ di tutto, mi pare di capire, ma come si usano?

– Nella maggior parte dei casi vanno ridotte in polvereche deve essere disciolta nell’acqua e bevuta. In caso diincantesimi e morsi di serpente, invece, vanno applica-te sulla parte colpita dal serpente o dal malocchio e poiportate al collo con fiducia.

– E chi è un po’ incredulo sulla loro efficacia?

– Peggio per lui, rischia di morire e ionon posso proprio farci nulla.

– Capisco… comunque hanno unaforma che mi ricorda qualcosa:perché non mi dice dove le ha tro-vate?

– Adesso vuoi sapere davvero trop-po. Ti dico solo questo: si trattadi una collina fatta di terrarossa; basta sapere dove scavare eavere un po’ di fortuna per scovarle.

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dissectum caput che tradotto suona così: “Dissezione dellatesta di un Canis charchariae” cioè di uno squalo.

La sua conclusione fu la stessa di Colonna: i dentidello squalo e le glossopetre sono la stessa cosa.

Cadde così la credenza sulle capacitàcurative delle lingue di pietra.

Tuttavia, ridotte in pol-vere e bevute, come face-va il nostro Vinicius,sicuramente funziona-vano e funzionereb-

bero su un lievemalanno: i bru-ciori di stomaco.

In effetti leglossopetre sono costituite anche di carbonato di calcio,efficace davvero contro l’acidità gastrica.

Meglio però conservare i denti di squalo fossili in unmuseo e lasciare al bicarbonato di sodio il compito di ren-derci meno… acidi.

Cronache dal passato: il più grandecarnivoro della storia

Venticinque metri di lun-ghezza, una bocca smisurata epinne grandi come vele: in un

mare di diversi milioni di annifa si muove solitario il più

grande carnivoro mai comparsosulla Terra: il Charcharocles mega-lodon, l’immenso squalo daigrandi denti.

– Avete sempre così tantafretta dalle tue parti?Sappi che la fretta è catti-va consigliera ed è assolu-tamente da evitare nelmio lavoro. Comunque,eccoti le conclusioni: nonsi tratta per niente di lingue di serpente pietrificate, néc’entrano in alcun modo con la luna, le eclissi o altro.

– E allora?

– Si tratta di denti, denti di pescecane per essere precisi.Avevo notato una certa rassomiglianza con i denti diquesti predatori dei mari e allora ho deciso di effettuareuna accurata comparazione. Adesso non ho più alcundubbio: si tratta proprio di denti di squalo imprigiona-ti nella terra e nelle rocce, forse a causa della distruzio-ne prodotta dal diluvio universale.

Lo squalo di Stenone

Denti di squalo!Fabio Colonna aveva

visto giusto ed è stato ilprimo a provarlo scienti-ficamente.

Dopo di lui, altriscienziati, come il dane-se Niels Stensen (1638-1686), da noi conosciuto

come Nicola Stenone, si occuparono di fossili e delle glos-sopetre. Circa cinquant’anni dopo Colonna, Stenone scris-se un’opera sull’argomento intitolata Canis charchariae

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Probabile progenitore del nostro squalo bianco, cheperò supera di circa tre volte, si aggira affamato in cerca diprede.

Il mare è spietato: per sopravvivere bisogna trovare damangiare e cercare di non essere mangiati.

Ma questo non è di certo un suo problema, quanto diun lungo e sinuoso cetaceo che sta pranzando con un bran-co di pesci simili alla sardine.

Il Megalodon si muove silenzioso nonostante la mole,quindi accelera e con un impeto e uno scatto inaspettati sigetta sulla balena che non ha scampo.

Ad ogni morso, quintali di carne vengono strappati einghiottiti, le ossa vengono triturate e finiscono anch’essenel gigantesco stomaco. Su un osso più duro, tuttavia, losqualo si spezza un dente che finisce sul fondo sabbioso.

Nessun problema però: allora come oggi, gli squalihanno i denti a crescita continua e quando ne perdonouno, subito un altro è pronto a prenderne il posto.

Scheletri fantasma

I nostri antenati sapevanoriconoscere i denti dei pesciconservati nelle rocce e nessunoli ha mai scambiati per stranioggetti piovuti dal cielo; per-ché invece per i denti di squalonon è stato così?

La causa va probabilmentericercata in una caratteristica del gruppo di pesci a cuiappartengono gli squali: sono tutti dotati di uno schele-tro cartilagineo (fatto di cartilagine) che, a differenzadello scheletro osseo degli altri pesci, si decompone facil-mente e non lascia quasi alcuna traccia.

In parole povere, mentre i denti di una cernia fossilesi trovano insieme al resto dello scheletro, quelli deglisquali si trovano invece isolati e non collegati ad alcunaltro resto osseo.

A Whitby i serpenti persero la testa…

La vicenda dei serpenti di Whitbyrisale a molti secoli fa e si svolse in

Inghilterra nel periodo in cui vive-va santa Hilda (614-680

d.C.). Proprio lì dobbiamorecarci se vogliamo racco-gliere informazioni diprima mano.

A giudicare dai vesti-ti, quello che stiamo perincontrare è un monacodell’alto medioevo.

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… rimanendoci di sasso

– E i serpenti se ne andarono?

– In realtà, accade una cosaancora più spettacolare:i serpentelli uscironofuori tutti dalle lorotane e in massa si pre-cipitarono giù dallascogliera…

– Si sono gettati volon-tariamente?

– Certamente, altri-menti che miracolosarebbe stato? Ma lecose straordinarie non finiscono qui: precipitando perse-ro tutti la testa e raggiunto il fondo della scogliera sitrasformarono in pietra.

– Accipicchia, tuttavia questa storia degli animali diventatipietre l’ho già sentita altre volte.

– E allora senti anche questa: nello spasimo della morte,si avvolsero tutti intorno a se stessi e ancora oggi si pos-sono trovare pietrificati e arrotolati nella roccia dellascogliera.

– Davvero? Allora se volessi, potrei vederne qualcuno ancheadesso… mi piacerebbe tanto.

– Se vuoi calarti lungo la scogliera, fai pure. Comunque,molti serpentelli arrotolati sono stati raccolti da tempoe possono essere osservati senza pericolo nell’abbazia.Vuoi vederli?

– Mi è stato detto che quia Whitby sorge unafamosissima abbazia.

– Ti hanno detto bene.In cima alla scoglie-ra, in quel largo alto-piano, santa Hildacostruì l’abbazia incui visse per tantotempo.

– Se non sbaglio, si racconta una strana storia a questo pro-posito.

– Strana è dire poco. Devi sapere che quando Hilda rice-vette l’incarico di erigere l’abbazia, il luogo prescelto erainfestato da serpenti, piccoli ma temibilissimi.

– Un bel problema.

– Infatti, tanto più che in mille avevano provato a elimi-narli ma senza alcun risultato: più ne uccidevano e piùne venivano fuori. Una vera e propria maledizione.

– Immagino quindi che il luogo fossedisabitato.

– Già, nessuno avrebbe osato viverein quel posto.

– E allora, l’abbazia?

– Il merito fu proprio di santa Hilda.Ricevuto l’incarico, si rese contodella situazione di grave pericolocausata dai serpenti e allora decisedi ricorrere alla preghiera.

114 115

– Caspita! Chissà che fatica a nuotare con tutto quel peso.

– Direi proprio di no. Erano invece abili nuotatrici e sispostavano, come tutti i rappresentati del loro gruppo,con movimenti a reazione all’indietro. Una loro specia-lità era proprio la conchiglia: essendo dotata di tantecamere stagne che potevano essere riempite e svuotatedi gas, le ammoniti si immergevano e risalivano insuperficie, proprio con lo stesso principio che sfruttanoi nostri sottomarini.

Rivelatori del tempo

– E noi che pensavamo di aver inventato chissà che cosa…invece siamo stati battuti ancora una volta dalla natura.Su e giù, su e giù, ma per far cosa?

– Per cercare il cibo: si nutrivano di pesci e altri anima-letti che riuscivano a catturare, ma a loro volta eranocibo graditissimo per mille altri predatori, pertantoerano costrette a inseguire e fuggire continuamente.

– Che vita movimentata!

– Ma le ammoniti sono famose anche per un’altra caratte-ristica: erano così diffuse e differenziate in innumerevo-

Molluschi a reazione

Come non accettarel’offerta del monaco? Ecosì saliamo fino all’ab-bazia, dove ci aspettano iserpenti pietrificati dasanta Hilda.

Il monaco ce nemostra parecchi e qualcuno possiede ancora la testa; peròci spiega che è stata incisa artificialmente per mostraremeglio l’aspetto che doveva avere il serpente in vita.

Lo ringraziamo e lo lasciamo al suo lavoro: quei ser-penti in realtà ci ricordano altri animali vissuti moltotempo prima di santa Hilda, diciamo tra 415 e 65 milio-ni di anni fa.

In un qualsiasi museo geologico-paleontologico è pos-sibile osservare questi antichi organismi. Dobbiamo solospalancare gli occhi e soprattutto le orecchie per ascoltarequanto deve dirci il direttore.

– I fossili esposti in questa vetrina sono tutte ammoniti?

– Sì, si tratta proprio delle famose ammoniti, famosealmeno tra noi paleontologi e tra tanti appassionati.Sono molluschi ormai estinti, parenti dell’attualeNautilus, delle seppie, dei polpi, dei calamari…

– Noi abbiamo conosciuto le belemniti: c’entrano qualcosa?

– Sicuramente, parenti anch’esse. Sono ammoniti esistitedi ogni forma e dimensione, ma tutte dotate di unguscio duro quasi sempre avvolto in una tipica spirale;le più grandi potevano raggiungere addirittura i tremetri di diametro.

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un nostro dio, il culto del qualeabbiamo importato dall’Egitto.

– Qual è il suo nome?

– Che domande: Ammon! Il dioche gli Egizi chiamano Amun.

– Interessante… in effetti il nomeche mi ha detto è molto simile aquello di “ammonite”. Come mai leavete collegate al vostro dio Ammon?Me lo può descrivere?

– Vuoi che ti elenchi tutte le sue virtù? Ci vorrà deltempo.

– Non è il caso, mi basta qualche particolare interessante perla mia indagine.

– Beh, ha un aspetto maestoso, dovuto anche a un bel paiodi corna avvolte strettamente come quelle dei montoni.Noi lo conosciamo infatti come Ammon, il dio dallecorna di montone.

Il dio Ammon, certo! Se sfogliamo i primi testi cheparlano di ammoniti, le troviamo descritte come CornuAmmonis, cioè “corna di Ammon”. Un’antica moneta grecarisalente al 480 a.C. riporta una scritta che parla propriodelle ammoniti come “corna di Ammon”, in grado di pro-durre bei sogni.

Paese che vai, ammonite che trovi!

La forma particolare delle ammoniti ha da sempreincuriosito i popoli di tutto il mondo.

Alcune genti himalaiane avevano come usanza quella

li forme, in particolare nel perio-do Giurassico, che vengono uti-lizzate dai geologi come ottimi

“fossili guida”, fossili cioè chepermettono di dare un’età allerocce in cui sono contenute.

– Abbiamo sentito la leggendadi santa Hilda e dei serpentitramutati in pietra: la conosce

anche lei?

– Sicuramente Hilda fu una santa rispettabile e importan-te per la sua Inghilterra, ma il miracolo dei serpenti pie-trificati che le fu attribuito è solo frutto della fantasia epossiamo considerarlo una bella leggenda e nulla più.Tuttavia, proprio a causa di questa leggenda, una parti-colare ammonite, vissuta nel periodo Giurassico inferio-re (180 milioni di anni fa), prese il nome da santa Hildaed è tuttora conosciuta nel mondo scientifico comeHildoceras. Alcuni esemplari sono esposti proprio inquesta vetrina e sono degli ottimi fossili guida.

Al cospetto del dio Ammon

Ma c’è un’altra cosa sulla quale potremmo indagare:perché a questi molluschi è stato dato questo particolarenome? E se lo chiedessimo a un antico filosofo greco?

– Ne sa niente lei di ammoniti?

– Parli per caso di quelle pietre avvolte a spirale? Noi leusiamo come rimedio contro l’insonnia: basta metterneuna al capezzale del proprio letto per avere una nottetranquilla e con sogni gradevoli. Ma questo lo si deve a

118 119

– Scusi, posso chiederle che cosa sta mangiando?

– Perché, hai fame anche tu?

– È molto gentile a chiedermelo, ma la mia è solo curiosità.

– In questo momento sto mangiando una zuppa di pesce everdure, accompagnata da focacce cotte sulla pietra. Miamoglie è veramente straordinaria a cucinare il pesce: sascegliere con arte leverdure giuste peresaltarne il sapore,poi lo lascia cuoce-re…

– Mi fa venire l’acquo-lina in bocca. Leilavora alla costruzio-ne della piramide,vero?

– Certo! Siamo stati chiamati a migliaia per concluderel’opera il prima possibile, ma sono anni che lavoriamoe ancora non si vede la fine.

– Oltre al pesce, che cosa mangiate abitualmente?

– Mangiamo due volte al giorno: all’alba, prima che iniziil duro lavoro, e alla sera prima di prendere sonno. Ilcibo è piuttosto vario e nutriente, altrimenti nonpotremmo resistere alla fatica. Oltre al pesce e alle ver-dure, qualche volta mangiamo anche la carne e poi tantecipolle e aglio che danno vigore e tolgono le malattie.

– Chissà che odore, ma sono sicuro che non ci fate troppo caso.Mangiate anche legumi come le lenticchie?

– Li stavo dimenticando: anche i legumi e tante lentic-

di portarle nei templi perché le ritenevano sacre e le defi-nivano “ruote di dio”. In India erano spesso consideratedelle rappresentanti del dio Visnù.

Per gli indiani d’America erano un dono degli spiri-ti e portarle addosso rendeva sicuro qualsiasi viaggio,come credevano anche gli aborigeni australiani.

L’usanza più strana è forse quella di una popolazionedi alcune isole scozzesi che ritenevano le ammoniti utilicontro i crampi dei bovini. Bastava immergerne una inun secchio pieno d’acqua e poi con quella lavare i bovinidoloranti per ottenere il risultato voluto.

Un piatto di dure lenticchie

Andiamo nei pressi di una della grandi piramidi egi-ziane, quella di Cheope può andare bene, e facciamo unsalto indietro nel tempo, proprio nel periodo in cui lepiramidi erano in costruzione.

Arriviamo di sera quando gli operai, ormai a corto dienergie, si devono fermare per mangiare qualcosa di ener-getico e riposare. Proviamo a disturbarne uno.

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– Esatto, domani dovremo versare molto sudore per por-tarlo lassù in cima. Ma adesso guarda con attenzione:dimmi, cosa vedi?

– Sembrano proprio lenticchie! Un mucchio di lenticchie, pic-cole e grandi.

– Non so cosa siano, però ti assicuro che non si tratta dilenticchie: sono troppo dure e poi, nella cava dove ven-gono estratti questi blocchi, tutta la roccia è piena diqueste pietruzze tondeggianti. Spesso sitrovano anche strane conchiglie.

Vegetali o animali?

Lasciamo andare a riposarel’operaio perché lo aspetta unaltro giorno di duro lavoro.Concentriamoci invece sulle“lenticchie di pietra”, come eranoconsiderate qualche secolo fa dai nostri antenati, e doman-diamoci se hanno davvero a che fare con questi legumi.

Lo scienziato Jacopo Bartolomeo Beccari (1682-1766)potrebbe esserci di aiuto, visto che fu il primo ad occupar-si in modo scientifico di alcuni piccoli organismi che forsepossono chiarirci molte cose.

– Professore, può darci una mano a risolvere il problema dellelenticchie delle piramidi?

– Solo gli sciocchi potrebbero credere a una simile fando-nia.

– Non sia così duro, tutto sommato chi ha pensato queste coseè vissuto in tempi lontani.

chie. Sono buone, sai? Mia moglie poi…

– Da come la descrive, deve essere davvero un’ottima cuoca,però mi dica un’altra cosa: non mangiate mai sulle pietreche trasportate per costruire la piramide?

– No, però beviamo molto.

– Capisco, il caldo ela fatica devonoessere esagerati. Ioperò volevo saperese vi è mai capi-tato di rovesciarele lenticchie sullepietre da costru-zione.

– Che strana domanda. Innanzitutto, come ti ho detto,mangiamo solo nelle nostre case; inoltre nessuno sareb-be così sciocco da versare il proprio pasto, rimanendopoi senza cibo.

Pietruzze misteriose

– Il fatto è che nelle pietre delle piramidi, sono state trovatetante piccole pietre di forma particolare che ricordano le len-ticchie, e qualcuno ha perfino affermato che si tratta deiresti dei pasti di voi operai egiziani.

– Stupidaggini! Ma, forse ho capito di che cosa si tratta.Ti faccio vedere anche subito, se vuoi. Tanto ho finitodi mangiare.

– Questo è uno dei blocchi che usate per la costruzione dellapiramide, vero? È gigantesco!

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Caso risolto! E anche questa volta è proprio in unmuseo che troviamo conferma alle parole del prof. Beccari:nelle rocce delle piramidi egiziane sono presenti grandiquantità di foraminiferi fossili detti “nummuliti”, vissutiall’inizio dell’era Cenozoica (da65 a 23,5 milioni di anni fa).

Alcuni superavano sorpren-dentemente i dieci centimetridi diametro, un vero record perun organismo unicellulare.

Erano talmente specializzatie avevano forme tanto differentiche sono usati come fossiliguida dell’era Cenozoica.

Quindi, per gli antichi egi-ziani niente lenticchie mangiate sulle piramidi e nemme-no zuppa di nummuliti visto che erano già estinte e pie-trificate da milioni di anni.

Succo di raggi di sole

L’ambra è una pietra molto conosciuta sia scientifica-mente sia da un punto di vista ornamentale, visto che sene ricavano splendidi e ricercati gioielli. Per le sue carat-teristiche inconsuete, l’ambra ha riscosso molto successonelle leggende e nei miti.

Se vogliamo ascoltare il mito più conosciuto, dobbia-mo rivolgerci al poeta latino Ovidio (43 a.C. - 18 d.C.)che ne parla proprio nel suo libro Le Metamorfosi.

– Salve. Sappiamo che ha scritto molti poemi, ma a noi inte-ressa quello che riguarda l’ambra.

– Lontani? Che dire allora del filosofo greco Erodoto chegià nel V secolo d.C. parlava delle conchiglie ritrovatenelle piramidi egizie in modo corretto? Per lui eranoresti di antichi organismi.

– Peccato che poi le sue parole siano state dimenticate.

– Lasciamo perdere. Io ho studiato al microscopio alcunipiccolissimi gusci di organismi che vivono attualmentenei nostri mari. Si tratta di “foraminiferi”, parola che

letteralmente vuol dire “portatore di forel-lini”. In effetti, l’interno del loro

guscio è pieno di piccole cameret-te, simili a minuscoli buchi.

Monete preistoriche

– Può descrivere meglio questiorganismi?

– Sono animali unicellulari,capaci di costruirsi un guscio duro e resistente. Allaloro morte, tutto si decompone e si dissolve tranne ilguscio che può essere osservato anche dopo anni e anni.

– Ma nelle piramidi abbiamo visto gusci abbastanza grossi edi forma circolare, come delle piccole monete.

– Sicuro, gli stessi di cui ci parla Erodoto: si tratta dinummuliti.

– Nummuliti? Che stano nome.

– Deriva dal latino nummulus che vuol dire “monetina”,proprio la forma che ricordano questi particolari fora-miniferi.

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non credevano che fosse figlio di Apollo e lo prendeva-no in giro. Il giovane allora decise di farsi vedere allaguida del carro del sole per zittirli una volta e per tutte.

– E Apollo cedette, giusto?

– Sì, ma se ne dovette pentire. Il giovane infatti, per farsivedere bene alla guida del carro, decise di avvicinarsialla terra il più possibile, senza accorgersi che ogni cosaal suo passaggio prendeva fuoco.

– Ma qualcuno riuscì a fermarlo, spero.

– Sì, Zeus! Il padre degli dèi, nonostante amasse Apolloe il suo figliolo, per fermarlo prima che tutta la terraardesse fra le fiamme non poté fare altro che scagliarglicontro una saetta.

– Accipicchia, che metodi drastici!

– Non c’era altro modo per intervenire in fretta. Il pove-ro Fetonte fu scaraventato fuori dal carro che riprese il

– Una pietra straordinaria che non poteva avere che ori-gini divine.

– Sta parlando degli dèi dell’Olimpo, immagino.

– Esatto. Devi sapere che Apollo, il dio del sole, ha sem-pre avuto il compito di guidare il carro di fuoco, trai-nato da cavalli impetuosi. In questo modo permette alsole di sorgere, di attraversare il cielo da est a ovest e

quindi di tramontare.

– Molto poetico, anche se misembra complicato trascinareun astro su un carro.

– Nulla è impossibile agli dèi,nemmeno avere un figlio unpo’… come dire, scavezza-collo e imprudente.

Una prova ardente

– Il figlio del dio del sole avràavuto sicuramente un bellissimo nome.

– Si chiamava Fetonte.

– Non discuto sui gusti degli dèi, anche se questo nome non misembra un granché. Mi dica piuttosto che cosa combinò, sonomolto curioso.

– Convinse suo padre a fargli guidare il carro per un sologiorno, anche se era un’impresa davvero difficile.

– Non gli avrà ammaccato il carro…

– Non essere impertinente e ascolta. Gli amici di Fetonte

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– Professore, può dirci che cos’è esattamentel’ambra?

– Resina, nient’altro che resina.

– Come quella appiccicosa che coladagli abeti?

– Esatto, solo che questa ormainon appiccica più. Infatti si è fossilizzata, perdendoalcune sue caratteristiche originali e acquisendone altre.Adesso, ad esempio, è dura e resistente. Un’altra suaimportante proprietà era conosciuta già nel 600 a.C.

– Ah sì? E quale?

– Se la strofini, si carica elettricamente e attira piccoli corpi.Fu il filosofo Talete di Mileto (634-547 a.C.) a scoprirlo.

– Ho capito! È la stessa cosa che accade alla mia penna diplastica quando la strofino su un maglione e poi la avvici-no a un pezzettino di carta: la carta “vola” verso la penna!

– Proprio così. Per questo ilnome greco dell’ambra eraelektron, da cui deriva anche iltermine odierno “elettricità”.

– Straordinario! Ma ritornandoall’origine dell’ambra, mi con-ferma che si tratta di “lacrime”resinose di antichi abeti?

– Non credo che fossero abeti,però forse erano lontaniparenti, conifere insomma.

suo corso normale. Il giovane invece, con i capelli infiamme, precipitò nel vuoto e alla fine cadde nel fiumeEridano, quello che voi chiamate Po, scomparendo persempre.

– Che tragico destino.

– Già e le sue tre sorelle, le Eliadi, piansero fiumi di lacri-me, senza sosta. Zeus, impietosito, per calmare il lorodolore le tramutò in pioppi lungo le rive del fiume.

– Decisione discutibile, a mio parere.

– Le tre sorelle, tuttavia, continuarono a lacrimare daitronchi e il loro padre Apollo, dio del sole, trasformòquelle lacrime in gocce dorate di ambra.

E se fossero davvero “lacrime”?

L’ambra è un materiale dalle molteplici proprietà, cono-sciuto da tempi remoti, visto che si ritrova facilmente inalcune rocce o per effetto dell’erosione sul greto dei fiumi.

Ma che cos’è l’ambra? Forse il prof. James DwightDana (1813-1895), geologo e mineralogista di fama mon-diale, potrebbe rispondere a questa domanda.

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– Integri?

– Conservazione “in toto”,dicono i paleontologi. Inmolti frammenti di ambrasi possono osservare splen-didi insetti che sembranoancora vivi. Sono stati tro-vati addirittura piccoli ver-tebrati, come le lucertole.

I segreti dell’ambra

Non c’è praticamente museo di storia naturale almondo che non esponga un frammento di ambra conte-nente un insetto. In Svezia è possibile ammirare il cam-pione di ambra più grosso mai estratto: circa 10,5 chili.

I famosi film della serie “Jurassic Park” sono nati dauna serie di considerazioni: le zanzare vivevano anche altempo dei dinosauri; una o più di loro potrebbero aversucchiato il sangue di un dinosauro ed essere stateintrappolate nell’ambra; dentro i loro corpi potrebberoancora contenere parte o tutto il DNA del rettile stesso;

partendo infine da questoDNA, si potrebbero ricrea-re copie in carne e ossa deidinosauri.

Per adesso si tratta evi-dentemente solo di fanta-scienza, tuttavia l’ambrasembra proprio un fantasti-co contenitore di segretitutti da scoprire.

Imprigionati ma in bella vista

– Ambra… che strano nome le avete dato.

– Ambra è un termine antico e deriva dall’arabo anbar. Inrealtà con questo nome si indicava una sostanza cerosa,aromatica, prodotta dallo stomaco dei capodogli; si rin-viene in mare sulla cui superficie galleggia essendo piùleggera. Niente a che fare però con l’ambra fossile,nonostante quella dei capodogli venga chiamata“ambra grigia”.

– Un bel disguido.

– E non è l’unico. L’ambra fossile la si ritrova un po’ dap-pertutto nel mondo, ma quella più abbondante provie-ne dal Baltico, nel nord dell’Europa. È leggermentediversa dalle altre e per renderla più facilmente ricono-scibile ho proposto per lei un nuovo nome: “succinite”.

– Perché succinite?

– Semplice, deriva dalla parola succinum, con il quale gliantichi Romani chiamavano l’ambra.

– Ricapitolando, la chiamate“ambra fossile” perché è un restodi un antico organismo, giusto?

– Sicuramente. Però, quando laresina scorre sui tronchi deglialberi è fluida e appiccicosa, ingrado di catturare e ricoprirequalsiasi piccolo essere vivente

si trovi sul suo percorso. Gli animaletti, intrappolati alsuo interno, vengono protetti dalla decomposizione econservati integri per milioni di anni.

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Cronache dal passato: una prigione dorata

Il sole è alto nel cielo e fa capolino in una foresta diconifere di trenta milioni di anni fa. Sulla corteccia di un

albero sta acquattato da chissà quantotempo un grasso ragno salticidae, uno di

quelli cioè che noncostruiscono la ragnatela,ma restano in agguato,pronti a spiccare un balzoe ghermire inaspettata-mente la preda.

Non è detto che lagiornata si riveli fruttuosaper il ragno e possonopassare giorni prima cheriesca a catturare qualcosa

di decentemente grosso; ma pare che questa sia la sua gior-nata fortunata: una mosca pasciuta ha deciso di fare le

pulizie a due passi dal predatore. Il ragno aspetta il momento opportuno e, dopo aver

calcolato la distanza, spicca uno dei suoi caratteristicibalzi.

Forse per colpa di un raggio disole dispettoso o forse intorpidito peraver aspettato immobile così a lungo,il ragno fallisce il suoassalto e finisce in unastrana macchia collosa.

La mosca ringrazia perla fortuna e si dilegua ron-zando tra le ombre dellaforesta.

Il ragno è abituato all’immobilità, ma questa èun’esperienza completamente nuova: non riesce a stac-care le zampe dal tronco e più ci prova più si senteappiccicare irrimediabilmente.

Di lì a poco, un nuovo fiotto di resina profumata colalungo il tronco e ricopre completamente il piccolo ragno,racchiudendolo in una splendida ma mortale prigionedorata.

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si vedeva chiaramente unaforma animale. Aveva uncorpo allungato e ritorto, ter-minante con due piccolebraccia e una testa con dueocchietti e due antenne.

– Un fossile, insomma.

– Un fossile, sì, ma stranissi-mo. Non fu l’unico che trovaiquel giorno e ognuno era unavera sorpresa.

– Immagino la sua soddisfazione.

– Ah, certo, quei momenti furono i più soddisfacentidella mia carriera professionale; ero davvero al settimocielo, come si dice. Senza contare che nei giorni e nellesettimane seguenti le scoperte si moltiplicarono.

– Sempre fossili “strani”?

– Sempre più strani: ragni con le ragnatele, insetti diogni tipo, forma e dimensione; piccoli rettili, anfibi inogni posa, vermi, molluschi completi di guscio e partimolli, uccelli pronti a spiccare il volo, fiori che pareva-no ancora in vita…

– Caspita! Sarebbero stati la gioia di qualunque studioso.

– E anche la mia, almeno all’inizio.

– Ne parlò con i suoi colleghi?

– Ma è ovvio! Ebbi lunghe discussioni con molti di loro.A mio parere quelle forme stavano a indicare una cosachiara…

PROVE DI CREAZIONE E SCHERZI

DELLA NATURA

Scherzi dellanatura o scherzi

e basta?

Questa storiarisale al XVIIsecolo quando un

professore dell’università tedesca di Wurzburg, un certoJohann Beringer, fece una serie di spettacolari scoperte.

– Prof. Beringer, sarebbe così gentile da raccontarci la suavicenda?

– Avrei voluto dimenticare tutta questa storia, ma noncredo che sarà mai possibile. Mi ha perseguitato pertutta la vita e così sarà per i secoli a venire.

– Mi dispiace che sia così amareggiato,ma perché non ce ne parla?

– Tanto ormai… Ebbene, stavocompiendo una esplorazionein una cava nelle vicinanzedell’università, quando miimbattei in una pietra “spet-tacolare” a dir poco.

– Di cosa si trattava?

– Un blocco argilloso sul quale

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– Assolutamente no, anche se in molti provarono a con-vincermi: per me erano solo invidiosi delle mie scoper-te. E allora non mi fermai, così scrissi e pubblicai quel-la che doveva diventare l’opera più importante maiscritta prima di allora: la Lithographia Wirceburgensis!

Un imbroglio ben architettato

– Come andarono a finirele cose, professore?

– Malissimo! Come haipensato anche tu,quei resti non eranoaltro che il fruttodi un terribileimbroglio, una truffa malvagia, unafrode talmente inaudita che non volli crederla possibile.

– Saranno stati i suoi studenti in vena di scherzi goliardici,immagino.

– Così pensarono in molti. Invece fu addirittura opera didue miei colleghi: Ignatz Roderick, professore di mate-matica, e Georg von Eckart, ministro e bibliotecariodell’università.

– Concordo con lei, fu proprio uno scherzo di pessimo gusto.Però, deve ammettere che le sue tesi erano un po’… comedire, originali.

– Non ho più voglia di commentare. Fatto sta che passaiil resto della mia vita nel tentativo di ritirare dalla cir-colazione tutti i libri che avevo fatto stampare, ma noncredo di esserci riuscito.

– Che un tempo esistevano organismi diversi da quelli attuali!

– Ti ci metti anche tu? Erano forme troppo strane che nonavrebbero mai potuto vivere; in realtà erano lì per dimo-strare una cosa sola, come andavo ipotizzando ormai datanto tempo, e su quella teoria basai tutte le mie discus-

sioni e battaglie.

Una brutta copia delmondo

– E quali erano queste sueidee?

– Semplice: il Creatore,prima di iniziare la suaopera definitiva, avevafatto numerose proveche gli servirono da

modello per creare la vita come la conosciamo oggi. Ifossili non sono nient’altro che questo.

– Una tesi piuttosto difficile da dimostrare.

– E invece no: io avevo quei resti così particolari tra lemani! Pensa che rinvenni perfino delle lettere dell’alfa-beto greco ed ebraico e altri strani segni.

– Davvero? Sembra impossibile.

– Infatti! Ma visto che le lettere dell’alfabeto non possonofossilizzarsi e pietrificarsi spontaneamente, erano lì aconfermare quanto allora credevo giusto.

– Ma non le è venuto il sospetto che potesse essere lo scherzo diqualcuno?

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Molti di loro, però, ci avevano vistogiusto; tra questi Ristoro d’Arezzo (XIIIsecolo), monaco e grande stu-dioso del mondo naturale,autore della voluminosa operaDella composizione del mondo.

– Se possiamo rubarle un po’ ditempo, potrebbe dirci qualcosa sututti quei resti che si trovano nelle rocce e che ricordano orga-nismi attualmente viventi?

– Fossilia! Ne ho scavati diversi nelle terre di Toscana. Mihanno molto incuriosito.

Con Ristoro non si scherza

– Benissimo! E che ne pensa?

– Tanti miei contempo-ranei credono che lanatura si diverta ascherzare con la crea-zione. Chiamano lususnaturae, “scherzi dellanatura”, i fossili.

– Una natura burlona,carina questa: non l’avevo ancora sentita.

– Altri ritengono che la natura abbia provato e proviancora a imitare il nostro Creatore e così i fossili sono ilprodotto di una vis formativa, cioè di una forza internaalla terra che nel tentativo di imitare i viventi ne produ-ce solo brutte copie inanimate e pietrificate.

Lasciamo il povero prof.Beringer alle sue amare considera-zioni. Aggiungiamo solo che, dopola sua morte, la richiesta del suo

libro, che possedeva tra l’altrodelle splendide tavole illustra-te, divenne pressante. I suoieredi rivenderono quindi le

copie da lui sequestrate e l’editorefu costretto a stamparne molte altre.

Il suo libro divenne un “best seller” dell’epoca manon credo che questa notizia possa risollevargli il moralee quindi non glielo diremo.

Il periodo in cui visse Beringer era in effetti pieno dicontraddizioni e se da una parte vi erano ormai interpre-tazioni corrette sull’origine dei fossili, dall’altra sopravvi-vevano ancora strane spiegazioni.

Anche la natura sidiverte

Nelle rocce sedimentarie, esolo in quelle, si trovano spessotanti resti dalle forme note omeno note che noi moderni nonfacciamo fatica a riconoscerecome resti di organismi, anchese ormai pietrificati.

Abbiamo visto che spessogli antichi, non sapendo comespiegare la natura dei fossili,hanno fatto nascere miti e leggende alle quali, in fondo,ci siamo affezionati.

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“Lapis stellaris” ovvero sotto l’influsso delle stelle

Ancora oggi troppi di noi credono di essere sotto l’in-flusso delle stelle. Nonostante la maggiore diffusione delpensiero scientifico e della tecnologia, c’è ancora chi si fidadi maghi o cartomanti. Molti criticano il medioevo, mamagari solo un attimo prima hanno verificato quale desti-no gli riserva l’oroscopo del giorno! Siamo decisamentecontraddittori… ora, però, andiamo nel XIII secolo,abbiamo appuntamento proprio con un astrologo.

– Scusi, so che lei si occupa di leggere le vicende degli uominiinterrogando gli astri.

– Verissimo! Sono un rinomato astrologo, alchimista emedico. Che cosa vuoi sapere?

– Che strana mescolanza di mestieri… Lasci perdere e mispieghi gentilmente una cosa: è possibile che le stelle abbia-no un influsso anche sulle pietre?

– Che domande! Certo che è così. Io preparo le mie medi-cine solo dopo aver interrogato gli astri. Raccolgo erbee minerali quando le stelle sono propizie e le loro pro-prietà al massimo grado.

– È difficile credere che oggetti così lontani nello spazio possa-no aver qualche influsso su di noi.

– Da mattacchiona a “copiona”: la natura ne esce proprio con-ciata male.

– Tante volte mi sono chiesto anch’io che cosa fossero que-gli oggetti pietrificati. Ah, saperlo! Tuttavia…

– La prego, ci dica che cosa sono i fossili per lei.

– Ho osservato la sabbia delle spiagge e ho notato comesia spesso ricoperta di conchiglie. Anche scavando neiterreni e nelle rocce se ne trovano di ogni forma e tipo.

– E allora?

– E allora io pensoche un tempofossero tutti vivicome lo siamonoi adesso. Poideve essere suc-cesso qualcosa dicatastrofico, forseproprio il diluvio

universale: tutti furono trasportati lontano dal luogo incui vissero e infine ricoperti dalle argille e dalle sabbiemarine. Il tempo ha fatto il resto, trasformando in pie-tra ogni essere un tempo vivente.

Ristoro d’Arezzo, a parte il diluvio universale, fu unodei primi a vederci chiaro e a scartare le ipotesi fantasiosesull’origine dei fossili e sulla natura in vena di scherzi.Tuttavia, la sua teoria non venne accettata da tutti e ci vol-lero molti secoli per eliminare dalle scienze ogni ipotesifantastica sui fossili.

A lungo durarono anche quelle relative alle rocce stel-late e alle rondini di pietra.

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– Capita, ma spesso sono tenacemente immerse nella roc-cia e bisogna faticare per estrarle. Pensa che tempo fa acolpi di martello e scalpello sono riuscito a tirarne fuoriparecchie decine in una sola volta. Le stelline di pietraerano attaccate unaall’altra a formare unostrano e lungo pedun-colo. Scommetto che lacausa fu una stellacometa.

– Ipotesi suggestiva e inte-ressante. Quindi lei èconvinto che sono le stel-le a modellare la pietra.

– Proprio così, non ho dubbi.

– Ma che uso ne fa di quegli oggetti?

– Noi le chiamiamo Lapis stellaris e sono degli specialis-simi amuleti contro diversi malanni.

Fiori acquatici

A parte le spiegazioni poco scientifiche che abbiamosentito sull’origine delle pietre-stella, credo che un pale-ontologo non avrebbe potuto descrivere meglio l’estrazio-ne di un fossile dalla roccia.

Già, perché proprio di fossili si tratta. Quello descrit-to dall’astrologo medioevale era un antico organismo diun tipo particolare che ha discendenti tuttora viventi: i“crinoidi”, conosciuti anche come “gigli di mare”.

A volte possiedono una forma stellata, più spesso lesingole parti hanno un aspetto di piccoli cilindri più o

– Lontani? Ma se sono lì nella volta celeste. Sei propriostrano, sai.

– Sì, ha ragione, in effetti siamo nel medioevo. Piuttosto, hosentito parlare di pietre molto speciali che sono nate propriosotto l’influsso delle stelle.

– Ho capito di cosa parli e hai fatto bene a ricordarmi laloro esistenza. Mi domando allora perché dubiti che lenostre vite dipendano anche dagli astri. Ma non seil’unico, figurati che un mio contemporaneo, un certoRistoro d’Arezzo, ritiene che i fossili siano resti di orga-nismi trasportati insieme con i sedimenti a formarerilievi ad opera di acque di un diluvio. Ridicolo, noncredi?

– Non tanto, però io vorrei che ci parlasse delle pietre-stelle…

– Farò di più, te le mostrerò. Guarda pure con i tuoi occhie togliti ogni dubbio.

Estrazioni stellari

– In effetti hanno proprio la forma dipiccole stelle.

– Certo, durante particolari notti l’in-flusso degli astri è talmente forte cheperfino le pietre ne rimango colpite.

– Stelle pietrificate… Scusi se sono scettico, ma di pietre stra-ne ne ho viste fin troppe.

– Anch’io ne ho viste molte di “pietre strane” e la formadi queste dichiara indiscutibilmente la loro origine.

– Le trova così, libere sul terreno?

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meno schiacciati. Questi hanno dato origine in

Germania a un’altra leggenda,quella delle monetine di sanBonifacio.

Intorno al 700 d.C., il santo,in missione in Turingia, regionedella antica Germania che deside-rava cristianizzare, punì i nobili ricchi e malvagi trasfor-mando in pietra tutte le loro monete d’oro. Queste sonoancora lì a testimoniare la punizione divina.

Cronache dal passato: gli affamatissimi giglidi mare

Un tronco affiorasulla superficie del maredi 160 milioni di annifa. Le acque non sonomolto agitate e il solebrilla forte nel cielo.

Sotto il pelo dell’az-zurissima acqua, qualco-

sa pende dal tronco, apparentemente inerte. È uno stra-no organismo che sembra aver piantato profonde radici nelvegetale. Un lungo stelo porta verso la cima un grossopennacchio costituito da una miriade di ramoscelli.

Si lascia cullare dalle onde, ma quelli che avevamoscambiato per ramoscelli si stanno muovendo e creano unmulinello d’acqua che finisce al centro del pennacchio.

Si tratta di un giglio di mare, un crinoide del generePentacrinus, un animale e non una pianta!

Possiede degli organi di presa con i quali si è fissatoal tronco che usa come mezzo di trasporto. Il lungopeduncolo è costituito da moltissimi pezzettini, dettiarticoli, legati l’uno all’altro e di forma pentagonale, tipi-ca del gruppo, vere e proprie stelle a cinque punte.

I ramoscelli non sono altro che braccia tentacolari conle quali il giglio spinge i piccoli organismi contenuti

nell’acqua verso la bocca posta al centro del pennacchio.Alla sua morte, potrà conservarsi integro nei sedi-

menti o molto più probabilmente si disarticolerà comple-tamente ad opera delle onde. A noi giungerà solo unabella manciata di stelline di pietra.

Un volo di rondininell’uragano

Dobbiamo andare nella Cinadel V secolo d.C. perché si è dapoco verificato uno stranissimofenomeno.

– Onorevole Li Tao-Yuan, ho saputoche lei è uno studioso della natura, è così?

– Sì, ma non solo di quella. La natura non è altro che unamanifestazione dello spirito e io studio anche questo.

– Complicato, ma interessante. Io però volevo chiederle un’al-tra cosa…

– Non dirmi che vuoi sapere anche tu delle rondini dipietra.

– È una cosa disdicevole e sconveniente per un onorevole stu-dioso come lei?

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addirittura un uragano. La pioggia cadeva scrosciante, ilampi e i tuoni sconquassavano il cielo. Poi insieme allapioggia iniziò a piovere fango.

– Lei racconta proprio bene: mi sembra di vivere quell’eventospaventoso. Però, che cosa c’entra con le rondini di pietra?

– Ebbene, come se fosserostate svegliate dal fra-stuono, riempite dienergia dai tuoni e daifulmini, molte rondinidi pietra presero il voloe caddero infine sulnostro villaggio unavolta finita la tempesta.

– Vuole dirmi che avete tro-vato le rondini di pietrafuori dalle vostre abitazioni?

– Proprio così! Le conservo ancora tutte a casa mia: leposso mostrare in qualsiasi momento.

… e spiegazioni scientifiche

Non possiamo di certo mettere in dubbio la paroladell’onorevole Li Tao-Yuan, almeno non davanti a lui.Chiunque però avrebbe potuto raccogliere le rondinidalle rocce e affermare che fossero piovute dal cielo.

Tuttavia, nel suo racconto si parla di fango cadutocon la pioggia. Il furioso uragano potrebbe aver sollevatofango, sassi e con essi le rondini di pietra, e averle traspor-tate fino al villaggio, lasciandole cadere quando la suaenergia si esaurì.

– No, è solamente noioso: le persone che mi hanno chie-sto di parlarne sono così tante che se le mettessi in filaeguaglierebbero la nostra grande muraglia cinese.

– Vorrà dire che con me batteremoil record superandola.

– Vedo che non ti manca l’iro-nia e che non ti arrendi facil-mente, credo che ti meritiuna risposta e ti racconteròciò che vuoi sapere.

– Grazie, onorevole studioso.

– Basta con questo “onorevole” e ascolta. Nei terrenidella mia provincia spesso si trovano dei piccoli e stra-ni oggetti in pietra, del tutto simili a piccole rondinicon le ali spiegate.

Racconti leggendari…

– Allora è vero…

– Verissimo! Ne esistono didue tipi: una piccola e con leali sottili e una grande, conali possenti e massicce. Forsequeste ultime sono i genito-ri e gli altri i piccoli figli.

– I pulcini con papà e mamma, carino questo fatto.

– Ma la cosa straordinaria è accaduta non molto tempo fa.Era una notte strana e un rumore di temporale si avvi-cinava velocemente nella nostra direzione; poi scoppiò

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In effetti, la loro conchiglia che si apre in due ampie ali,ricorda un uccello in volo. Ma i brachiopodi non hannomai volato, anche perché vivono in fondo al mare, inmolti casi a notevoli profondità.

I miti e le strane interpretazioniappartengono solo al passato?

Ormai abbiamo capito chela storia della paleontologia èricca di racconti fantastici,molto spesso affascinanti e poe-tici, ma assolutamente lontanidalla realtà.

Sorridiamo pensando all’inge-nuità dei nostri antenati che crede-vano al volo delle rondini di pietra, al demonio che fumasigari o si taglia le unghie, ai giganti e ai Ciclopi.

Ma siamo sicuri che oggi non costruiamo più inter-pretazioni fantastiche?

Abbiamo già detto di quanto l’astrologia o la carto-manzia siano presenti anche oggi, quindi non dovremmomeravigliarci quando ci viene spiegato che, ad esempio, leincisioni di Nazca sono state realizzate da extra-terrestri.

Nel 1939 una flotta aerea che sorvolava la pianuradesertica del Perù notò sul suolo la presenza di stranelinee, sicuramente tracciate da esseri umani.

Se saliamo su una mongolfiera e raggiungiamo unadiscreta altezza, ecco comparire animali come una scim-mia, un ragno, un colibrì, una balena o una formica; maanche fiori, mani… Per la maggior parte si tratta di strane

Ma rimane una domanda: che cosa sono in realtà lerondini di pietra? Vi ricordate che abbiamo fatto la cono-scenza di un paleontologo in un museo?

Rivolgiamoci nuovamente a lui.

– La storia delle rondini di pietra è poetica e affascinante, madi che cosa si tratta in realtà?

– Di un organismo molto particolare, appartenente algruppo dei brachiopodi.

– Brachiopodi? Mai sentiti nominare.

– Sappi che sono animali ancora viventi anche se ne esi-stono poche specie. Possiedono una conchiglia fatta dadue valve…

Spirifer

– Ma allora sono i molluschi bivalvi come le cozze, le vongole…

– E no! Se vuoi si assomigliano, ma niente di più. Le ron-dini di pietra sono un particolare tipo di brachiopodi vis-suto parecchie centinaia di milioni di anni fa. Noi stu-diosi lo chiamiamo Spirifer e ne esistono diverse specie.

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ferma qui e allora ecco nascere ipotesi fantasiose sulle pira-midi egiziane, sulla civiltà di Atlantide, sul tempio mega-litico di Stonehenge in Inghilterra, sui cerchi e altre figu-re geometriche nel grano, sulle statue dell’isola di Pasqua,sul famigerato triangolo delle Bermuda, sul mostro diLochness ecc.

E non dimentichiamoci dei continui avvistamenti diufo nel cielo o degli incontri ravvicinati del terzo tipo congli extra-terrestri.

L’uomo non è per nulla cambiato e lì dove le spiegazio-ni scientifiche non sono ancora del tutto arrivate, doverimane ancora qualche angolo buio da scoprire e spiegare,immediatamente sorgono racconti fantastici e improbabi-li. È forse questa una delle caratteristiche più straordinariedi noi esseri umani: saper ritornare bambini per provare ilpiacere, anche solo per un momento, di vivere al di là dellarealtà.

L’importante è rimettere in fretta i piedi per terraquando le circostanze lo richiedono.

figure geometriche, tutte dienormi dimensioni.

Veramente straordinario,ma chi le ha realizzate?

Gli autori sono quasi certa-mente gli indios Nazca, unapopolazione più antica degliInca: risalgono a un periodoche va probabilmente dal 500a.C. al 500 - 600 d.C., primaquindi della scoperta dell’A-

merica da parte di Cristoforo Colombo. Era un popolo di semplici agricoltori che non ha però

lasciato discendenti o testimonianze scritte, solo qualchereperto nelle migliaia di tombe scoperte; per cui i verimotivi che li hanno spinti a intraprendere un lavoro cosìimmenso non sono ancora chiari, anche se qualche ipotesiè stata fatta.

Tuttavia qualcuno, rapito sicu-ramente dal fascino di questeimmagini, si è sbilanciato a talpunto da ipotizzare un legame conesseri venuti dallo spazio; in effettii grandi disegni possono essere“gustati” bene, nella loro interez-za, solo dall’alto e alcuni possonoessere interpretati come piste diatterraggio di veicoli spaziali.

Un’immagine, poi, è statadescritta come la rappresentazionedi un extraterrestre con tanto di casco e tuta spaziale.

Ma l’immaginazione di noi uomini del duemila non si

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UN FOSSILE PER OGNI MOSTRO

In questa parte di Fossili e Dinosauri trovi delle sche-de di approfondimento con semplici ed essenziali infor-mazioni scientifiche sui fossili trattati nel libro.

Alcuni sono antichi animali molto conosciuti –mammut e dinosauri –, altri sono organismi meno noticome sirenidi, belemniti o brachiopodi.

Siccome alcuni erano giganteschi, oltre al centimetro(cm) e al grammo (g), vengono utilizzate altre unità dimisura: il metro (1 m = 100 cm) per la lunghezza, il quin-tale (1 q = 100 kg) e la tonnellata (1 t = 1000 kg, cioèpiù del peso di tutti i vostri compagni di classe messiinsieme!) per il peso.

Nelle schede il nome del fossile è preceduto dal“mostro” per cui è stato scambiato: come abbiamo visto,infatti, i nostri antenati pensavano che le enormi ossa dimammut o il teschio terribile di un dinosauro apparte-nessero a strane creature: draghi, demoni, sirene… Ma sitrattava solo di interpretazioni fantastiche!

Oggi sappiamo dell’esistenza degli animali preistori-ci grazie al lavoro degli scienziati che cercano di risalireal loro aspetto usando il metodo scientifico: paragonano ifossili agli esseri viventi attuali e infine propongono dellericostruzioni il più attendibili possibile.

Così scopriamo che i draghi erano in realtà dinosau-ri, giraffe o rinoceronti dell’era glaciale; che i gigantierano elefanti nani e i sigari del diavolo degli umili einnocui molluschi.

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3. Abominevoli uomini =Gigantopithecus

Gigantopithecus blackii fu un generedi scimmia antropomorfa (cioè dalle sem-bianze umane) vissuta tra 5 milioni e

100.000 anni fa in un territorio comprendente l’attualeCina, l’India e il Vietnam. Probabilmente nel norddell’India e in parte della Cina viveva anche un’altra spe-cie molto simile: il Gigantophitecus giganteus.

Queste scimmie avevano dimensioni straordinarie:con i loro 3 m di altezza e 500 kg di peso sono le piùgrandi mai esistite. Erano quasi sicuramente erbivore,con una dieta a base di bambù e frutta. Probabilmente siestinsero a causa delle condizioni ambientali divenutemeno adatte alle loro esigenze alimentari.

4. Unktehi = Sauropodi e Teropodi

I Dinosauri sono un gruppo di rettiliche dominarono la Terra per oltre 165milioni di anni; la loro comparsa si fa risali-re al Triassico medio, mentre la loro estin-zione alla fine del Cretaceo, 65 milioni di

anni fa circa. Le cause di questa grande estinzione, checoinvolse anche altri gruppi di esseri viventi, non sonoancora del tutto chiare: forse furono i profondi cambia-menti climatici o forse il risultato catastrofico dell’impat-to di un meteorite o di una cometa.

I dinosauri sono stati divisi in due ordini:• I Saurischia (dal greco, “bacino di lucertola”). Si

tratta di dinosauri che hanno conservato la struttura delleanche dei loro antenati. Ne fanno parte tutti i Teropodi(carnivori bipedi come il Tirannosauro) e i Sauropodi (erbi-

1. Ciclopi = Elefanti nani

Nelle isole del Mediterraneo, durante ilPleistocene, vivevano mammiferi diversi daquelli continentali. L’Elephas falconeri eraun elefante alto al massimo 90 cm, compar-

so circa 500.000 anni fa. L’Elephas mnaidriensis, appar-so 200.000 anni fa, era più grande del precedente (180cm circa), ma pur sempre piccolo rispetto all’Elephasantiquus, loro progenitore alto più di 4 m. Oltre ad ani-mali nani, in queste isole vivevano anche mammiferigiganti, come il ghiro Leithia melitensis, quattro voltepiù grande dei ghiri attuali. Per adattarsi all’ambiente“isolato”, alla carenza di cibo e all’assenza di grandi pre-datori, questi animali hanno dovuto modificare neltempo le loro dimensioni, rimpicciolendole (nanismo) oaumentandole (gigantismo).

2. Teutobodo = Deinotherium

Il deinoterio (Deinotherium), detto anche“dinoterio”, è un gigantesco parente estintodegli elefanti, alto fino a 4,5 m, apparsodurante il Miocene medio (circa 15 milionidi anni fa) e scomparso nel Pleistocene

(circa 1 milione di anni fa). Il suo aspetto non ha maisubito particolari trasformazioni: era abbastanza simile aun elefante, ma aveva le zanne sulla mandibola, incurva-te all’ingiù, in modo simile a due uncini. Il corpo era piùcorto e tozzo di quello degli elefanti odierni. Visse invaste aree di Europa (Deinotherium giganteus, il piùgrande), Asia (Deinotherium indicum, dai denti piùrobusti) e Africa (Deinotherium boxasi, quello vissutopiù a lungo).

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gran parte di Europa e in Asia, dalla Corea alla Spagna.Era molto diffuso in Russia dove viveva insieme ai mam-mut lanosi. Ne sono stati trovati alcuni perfettamenteconservati nel limo ghiacciato e in terreni saturi di petro-lio. I nostri antenati li cacciavano e ne dipinsero moltinelle caverne.

Comparve circa 350 mila anni fa e si estinse circa 10mila anni fa, alla fine delle glaciazioni.

7. Draghi indiani = Sivatherium

Sivatherium, che vuol dire letteralmente“Bestia di Shiva”, in onore di un dio Indù, èun genere estinto di giraffidi, diffusodall’Africa al Sud-est asiatico, ma partico-larmente frequenti in India. La specie afri-

cana si chiama Sivatherium maursium.I Sivatherium erano molto simili agli attuali okapi, ma

più alti (2,2 m alla spalla) e avevano due paia di ossiconi(le “corna” delle giraffe): un paio sopra gli occhi, moltosimile a quelli delle attuali giraffe, e un altro sulla testa.Le spalle erano molto muscolose e forti perché dovevanosorreggere il peso del loro grosso cranio.

8. Draghi pachistani = Giraffokeryx

Giraffokeryx fu un giraffide vissuto nelMiocene, da 26 a 7 milioni di anni fa. Laspecie Giraffokeryx punjabiensis in parti-colare visse nella regione di Siwalik, nelnord dell’India. Altre specie di Giraffokeryx

sono state rinvenute anche in Nepal.Probabilmente era simile alla giraffe moderne e paren-

vori dal collo lungo come il Diplodoco o l’Argentinosauro).• Gli Ornithischia (dal greco, “bacino d’uccello”),

la maggior parte dei quali erano erbivori quadrupedicome l’Iguanodon.

5. Cavallo di tuono = Brontotherium

Nelle sterminate pianure dell’Oligocene,circa 30 milioni di anni fa, viveva – assiemeai primi cavalli e cammelli – il Brontotherium,alto ben 2,5 m.

Era un erbivoro che consumava grandiquantità di foglie e rami teneri; per questo era dotato digrandi denti quadrati ricoperti da uno spesso strato dismalto. Sul muso aveva una protuberanza a forma di V,simile a una fionda, di dimensioni maggiori negli esem-plari maschi, molto utile nei combattimenti per la con-quista delle femmine. Probabilmente la scomparsa degliarbusti a favore di vaste pianure ricche di erbe molto dureportò questo gigantesco animale all’estinzione.

6. Drago di Klagenfurt =Coelodonta antiquitatis

Coelodonta antiquitatis è una specieestinta di rinoceronti, vissuti in Eurasiaall’epoca delle glaciazioni.

Il loro corpo era ricoperto da un fittopelo. Un esemplare pesava presumibilmente 2-3 t, eraalto 2 m e lungo 4. Possedeva due corni: il primo, piùgrande e piatto, poteva raggiungere il metro; quello piùpiccolo non superava i 40 cm.

I fossili di questo rinoceronte sono stati scoperti in

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alto 80-100 cm e lungo pressappoco 2 m con un peso pre-sumibile di circa 400 kg. Nonostante la sua mole, era unadelle prede preferite dei Velociraptor anche se si è scoper-to che sapeva difendersi molto bene e non sempre perde-va il confronto con il suo feroce predatore.

11. Unicorno = Elasmotherium

L’Elasmotherium è un rinoceronte estintovissuto in Asia durante il Pliocene e ilPleistocene. Le sue dimensioni erano enor-mi: 2 m di altezza, 6 m di lunghezza, unpeso di circa 5 t e un corno lungo fino a 2 m!

Le sue zampe erano piuttosto lunghe e adatte algaloppo. È infatti probabile che fosse un veloce corrido-re, nonostante la mole.

Sono esistite varie specie di questo animale: i piùantichi, rinvenuti in Cina orientale in terreni risalenti alPliocene superiore, appartengono alle specie E. inexpec-tatum (“E.” sta per Elasmotherium) ed E. peii. L’E. cauca-sicum e E. sibiricum vissero invece in Russia nelPleistocene. Gli elasmoteri si estinsero probabilmentealla fine del Pleistocene medio.

12. Sirene pesce = sirenidi

I sirenidi sono mammiferi acquaticierbivori, che vivono attualmente in ambien-ti marini costieri o in acque dolci tropicali.

Si dividono in due famiglie e quella deidugongidi comprende rispettivamente la

specie Dugong dugon, il dugongo, e tre diverse specie dilamantini.

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te dell’okapi. Era alto circa 160 cm e pesava circa 150 kg.Ma, a differenza dell’okapi e della nostra giraffa, che hanno2 ossiconi (corna), il Giraffokeryx ne possedeva ben 4!

9. Draghi = Spinosauruseagyptiacus

Lo Spinosaurus - cioè “rettile spinoso” -era un dinosauro carnivoro lungo fino a 17m per 9 t di peso. I suoi denti erano piùadatti a catturare prede acquatiche che ter-

restri. Era piuttosto abile nella corsa e si muoveva sullezampe posteriori lasciando libere le anteriori. Visse esclu-sivamente in Africa centro-settentrionale, durante ilCretaceo, circa 110 milioni di anni fa.

A causa del torrido clima, possedeva un particolaresistema di controllo della temperatura: una sorta di gran-de vela dorsale, alta 2 m circa. Al sorgere del sole, assorbi-va il calore attraverso la vela. Nelle ore calde, invece, pote-va esporla alla brezza per disperdere l’eccesso di caloreaccumulato. Forse la vela gli serviva anche come segnaledi minaccia per gli altri maschi o per attrarre le femmine.

10. Grifoni = Protoceratopo eVelociraptor

Si tratta di due dinosauri vissuti 90milioni di anni fa (Cretaceo). Il Velociraptormongoliensis era alto meno di 1 m, lungo 2m e pesava attorno ai 70-90 kg. Era un fero-

ce carnivoro e cacciava in gruppo: il suo corpo era probabil-mente ricoperto di piume e penne come gli attuali uccelli.

Il Protoceratops andrewsii era invece un erbivoro

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lusco bivalve simile alle ostriche, vissuto nel periodoGiurassico inferiore. Possedeva una conchiglia non moltogrande, ma piuttosto spessa e resistente; la parte dorsale,detta “umbone”, era molto arcuata e gli conferiva unaspetto inconfondibile, come un grosso artiglio ricurvo. Èun tipico fossile guida.

16. Impronte del diavolo =Conchodon e Megalodon

Sono due molluschi bivalvi dalla carat-teristica forma a cuore. Il genere Megalodonrisale all’era Paleozoica; le forme vissute nelTriassico sono conosciute invece comeNeomegalodon.

17. Il volto del diavolo =Myophorella incurva

La Myophorella è un genere di molluschibivalvi vissuta nel Giurassico.

18. Denti di squalo = Glossopetrae(Carcharocles megalodon)

Gli squali sono un gruppo di pesci pri-mitivi comparsi all’inizio dell’eraPaleozoica e tuttora viventi, grazie alle lorocaratteristiche anatomiche che li rendono

animali perfetti per il nuoto e magnifici predatori. A dif-ferenza della maggior parte dei pesci attuali, possiedonouno scheletro cartilagineo che si decompone facilmentealla morte e non lascia quasi mai resti. Viceversa, i loro

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I sirenidi sono mammiferi acquatici come i cetacei,ma forse sono imparentati alla lontana con gli elefanti!Hanno il corpo affusolato e massiccio e la loro pelle è durae spessa. Gli arti anteriori hanno la forma di pinne, quelliposteriori sono invece scomparsi; una sorta di coda piattae orizzontale li aiuta nel nuoto. Possono restare immersianche 20 minuti prima di risalire in superficie a respirare.

13. Mostro di Troia = Samotherium

Il Samotherium è parente delle attualigiraffe e degli okapi, di cui aveva circa lestesse dimensioni. Visse dal Miocene alPliocene. Deve il suo nome all’isola diSamo, dove fu scoperto per la prima volta.

Ne esistono diverse specie ritrovate in varie parti diEuropa, Asia e Africa.

14. Sigari del diavolo = Belemniti

Le Belemniti sono molluschi comparsinel Triassico ed estinti 65 milioni di annifa, nel Cretaceo. Erano cefalopodi marini,cioè lontani parenti delle attuali seppie ecalamari, caratterizzati da una conchiglia

interna dura, che poteva conservarsi facilmente allo statofossile. Erano carnivore e si nutrivano di crostacei e pesci

e forse vivevano in gruppo.

15. Unghie del diavolo = Gryphaeaarcuata

La Gryphaea arcuata è una specie di mol-

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Poiché si ritrovano abbastanza frequentemente nellerocce calcaree del Paleogene, questo periodo è conosciutoanche come “Nummulitico”. La specie Nummulites gize-hensis prende il nome dalla città di Giza, in Egitto, dallaquale sono stati estratti i grandi blocchi di pietra per lacostruzione delle piramidi.

I nummuliti hanno subito una rapida evoluzione esono pertanto utilizzati come fossili guida.

21. Lacrime dorate = ambra

L’ambra è una resina fossile prodottada diverse piante, come le conifere, chesecernono questa sostanza vischiosa, anchein gran quantità, soprattutto da tagli e feri-te del tronco. Quando è ancora fluida, è

molto appiccicosa e imprigiona oggetti e organismi chetrova al suo passaggio. Col tempo la resina perde granparte delle sostanze volatili e indurisce; questo consente amolti frammenti di fossilizzarsi e conservarsi nel tempo.Come un vero e proprio scrigno, l’ambra contiene i pic-coli organismi che – perfettamente preservati dalladecomposizione – rivelano anche i più delicati particola-ri anatomici. Esistono ambre di ogni età, ma le più famo-se sono quelle del Baltico.

22. Lusus naturae e prove dicreazione = fossili in genere

I fossili, studiati da una scienza chia-mata “paleontologia”, sono resti di organi-smi vissuti in un’epoca anteriore a quellaattuale. Il processo di fossilizzazione non è

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denti sono molto duri e resistenti e si ritrovano in grannumero nei sedimenti marini. Il Conchodon megalodonè sicuramente il più grande squalo e carnivoro mai esisti-to, con i suoi 20 m circa di lunghezza e 48 t di peso. Isuoi denti potevano raggiungere i 20 cm di lunghezza.Visse nel Miocene e si estinse nel Pliocene.

19. Serpenti arrotolati = Ammoniticome Hildoceras

Le Ammoniti sono un importante grup-po di molluschi cefalopodi, come polpi, sep-pie e calamari, comparso nel tardo Silurianodell’era Paleozoica. Si estinse completamente

alla fine del Cretaceo, insieme ai dinosauri e a molti altriorganismi. Le Ammoniti erano caratterizzate, per la mag-gior parte, da una conchiglia avvolta a spirale (un po’ comegli attuali Nautilus), che utilizzavano come protezione, masoprattutto per spostarsi su e giù nelle acque, esattamentecome i nostri sommergibili. Erano carnivore e popolavanotutti gli ambienti marini. Sono diventate molto importan-ti e diffuse nell’era Mesozoica, tanto che molte di loro sonospesso usate come fossili guida.

20. Lenticchie delle piramidi =Nummuliti

Sono foraminiferi (esseri fatti da unasola cellula, detti “protozoi”) con gusciocalcareo avvolto a spirale piana (cioè piatta),suddivisa in numerose piccole “camere”. Ne

sono esistite diverse specie e le più grosse superavano i10-12 cm di diametro.

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24. Rondini di pietra =Brachiopodi (Spirifer)

I Brachiopodi sono un gruppo diinvertebrati dotati di una conchiglia similea quella dei bivalvi, ma tra loro non ci sono

rapporti di parentela. Le due valve della conchiglia sonoasimmetriche e quindi diverse una dall’altra. Grazie a unpeduncolo che fuoriesce dall’umbone, cioè la parte spor-gente della conchiglia, questi animali possono fissarsialle rocce o ad altri oggetti solidi del fondo. Sono com-parsi all’inizio dell’era Paleozoica e vivono tuttora, anchese molto ridotti di numero, e in zone di acque profonde.Il genere Spirifer è vissuto esclusivamente nell’eraPaleozoica, dal Devoniano al Permiano (da 417 a 250milioni di anni fa).

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molto comune e pertanto la maggior parte degli organi-smi del passato non ha lasciato alcun resto. Bisogna ancheconsiderare che molti organismi, come vermi e meduse,non possiedono parti dure – ad esempio conchiglie oscheletri – e pertanto molto raramente riescono a fossiliz-zarsi. I fossili sono utilissimi da molti punti di vista: perle datazioni, per ricostruire la storia della vita sulla Terrai processi evolutivi, per studiare la forma, le caratteristi-che e la distribuzione della terra e dei mari nelle ere geo-logiche passate.

23. Lapis stellaris e monetine disan Bonifacio = Crinoidi(Pentacrinus e altri)

I Crinoidi sono animali marini meglioconosciuti come “gigli di mare”; apparten-gono agli Echinodermi come i ricci di mare

(Echinoidi), le stelle marine (Asteroidi), i cetrioli di mare(Oloturoidi) e le ofiure (Ofiuroidi). Se ne conosconoforme molto antiche (Ordoviciano). Vivono ancora oggi,anche se con molti meno rappresentanti.

Sono spesso costituiti da un lungo peduncolo (stelo)col quale si fissano a superfici dure; dalla parte opposta,al centro di un nutrito fascio di tentacoli, si apre la bocca.Il peduncolo è costituito da tanti dischetti, detti “artico-li”, uniti l’uno all’altro. La decomposizione tende a farstaccare i dischetti l’uno dall’altro, infatti spesso è cosìche si trovano allo stato fossile. Alcune specie non si fis-sano sui fondali, ma si muovono liberamente insieme alplancton.

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INDICE DEI CAPITOLI

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Quando i giganti popolavano la terra . . . . . .I giganti con un occhio solo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Sono uomini o animali? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Nei musei a caccia di indizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Giganti nani e nani giganteschi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Su e giù del mare e degli animali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Teutobodo, il gigantesco re teutone . . . . . . . . . . . . . . . . . .Terribili animali selvatici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Cronache dal passato: il Deinotherium .. . . . . . . . . . . . . .Gli abominevoli uomini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Denti di drago? No, meglio un Gigantopithecus . . . .La guerra dei Giganti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .A cavallo del grande Unktehi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Cronache dal passato: il Brontotherium,cavallo di tuono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

I misteriosi draghi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Draghi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Il drago di Klagenfurt . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Una ricostruzione sbagliata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Cronache dal passato: il rinocerontedalla folta pelliccia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Draghi indiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Il santuario delle mille teste . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Alte e basse maree di duecento milioni di anni fa . . .Come il diavolo ci perse la faccia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Un bel piatto di vongole o… Myphorelle? . . . . . . . . . .

Che strano intruglio: lingue di lunae succo di raggi di sole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Le lingue che caddero dalla luna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Una “Colonna” della paleontologia moderna . . . . . . . .Cronache dal passato: il più grande carnivorodella storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .A Whitiby i serpenti persero la testa . . . . . . . . . . . . . . . . .A cospetto del dio Ammon . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Paese che vai, ammonite che trovi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Un piatto di dure lenticchie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Succo di raggi di sole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .E se fossero davvero lacrime? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Cronache dal passato: una prigione dorata . . . . . . . . . . .

Prove di creazione e scherzi della naturaScherzi della natura o scherzi e basta? . . . . . . . . . . . . . . . .Un imbroglio ben architettato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Anche la natura si diverte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Lapis stellaris ovvero sotto l’influsso delle stelle . . . . .Cronache dal passato: gli affamatissimi gigli di mareUn volo di rondini nell’uragano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .I miti e le strane interpretazioni appartengonosolo al passato? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Appendice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Un fossile per ogni mostro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Brillanti ma poco preziosi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Ossa e denti di drago . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Draghi buoni dagli occhi a mandorla . . . . . . . . . . . . . . . .

Il modo dei grifoni e degli unicorni . . . . . . . .I custodi dell’oro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Un’antica cerimonia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Grifoni o “lucertole terribili”? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Cronache dal passato: una battaglia cruenta . . . . . . . . .Il cavallo-aquila . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .L’unicorno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Kartazon! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Le Sirene e altri mostridella mitologia greca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Si salvi chi può . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Italia, terra di mostri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Cronache dal passato: Italia, terra di giganteschimammiferi e predatori micidiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Da uccello a pesce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Dugongo ovvero la “brutta sirena” . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Il mostro di Troia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Quando il diavolo ci mette lo zampino . . . . .Una “fumatina” diabolica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Sigari, dita o calamari? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Cronache dal passato: il tirannosauro dei maridi cento milioni di anni fa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .I diavoli ballerini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .La pista da ballo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Anna ParisiAAllii ,, mmeellee ee ccaannnnoocccchhiiaalliiLa rivoluzione scientifica

Ali, mele e cannocchiali racconta lo sviluppo dellaprima rivoluzione scientifica. Da Copernico aNewton i giovani lettori potranno scoprire con facili-tà il “nuovo” e affascinante disegno dell’universo, chepasserà alla storia con il nome di “fisica classica”.

Anna ParisiNNuummeerrii mmaaggiiccii ee sstteell llee vvaaggaannttiiI primi passi della scienza

Seguendo i ragionamenti dei primi uomini che hannocercato di capire come funziona la natura, il volumeripercorre i primi passi del lungo cammino dellascienza, tra bellissime risposte, problemi irrisolvibili,misteri insondabili.

Anna Parisi - Alessandro TonelloII ll ffii lloo ccoonndduuttttoorreeL’anticamera dell’atomo

Il volume affronta quel periodo di sensazionali scoper-te che portò a comprendere e utilizzare le grandipotenzialità dell’elettricità e del magnetismo, alla defi-nizione della termodinamica fino all’ipotesi atomica!

Ettore PerozziII ll cciieelloo ssoottttoo llaa tteerrrraaIn viaggio nel sistema solare

Pianeti, decine di nuovi satelliti, stelle, asteroidi.Un “universo” tutto da scoprire. Questo libro rac-conta ai ragazzi con semplicità e assoluto rigorescientifico che cosa succede quando si parla diScienze Planetarie.

Anna Parisi - Lara AlbaneseDDiippeennddeeEinstein e la teoria della relatività

Protagonista di questo volume è il grande fisicoAlbert Einstein, che “aiutato” da altri importantiscienziati, tra aneddoti, vignette e dimostrazionispiega ai ragazzi la teoria della relatività.

Vincenzo GuarnieriMMaagghhii ee rreeaazziioonnii mmiisstteerriioosseeL’alchimia e la chimica a spasso nel tempo

Questo volume è dedicato alla storia della chimica. Un libro per ragazzi che viaggia attraverso i secoli,dai primi “strambi” stregoni fino ai più grandi chi-mici del Novecento. Una divertente avventurapronta a svelare tutti gli enigmi della natura.

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Clara FrontaliGGeenniiDalle prime domande sull’ereditarietàall’ingegneria genetica

Geni è il viaggio tra le scoperte che hanno portatol’uomo a capire come si trasmettono le informazionigenetiche tra i genitori e i figli, fino alle tecniche diingegneria genetica oggi utilizzate dagli scienziati.

Mario CorteGGooaall !!

Le origini del calcio, il calcio cinese e il calcio azteco,il football medievale inglese e il calcio fiorentino, lastoria della Coppa dei Campioni, il Pallone d’oro el’Italia che ci fece sognare nell’82… insomma tutto,ma proprio tutto sul mondo del calcio.

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