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Twitter v. Redazione Venezia Camp 13 aprile 2012

Twitter in redazione

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Venezia Camp 2012 - 13 aprile 2012 - Vega Park Mestre

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Twitter v. RedazioneVenezia Camp13 aprile 2012

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I numeri di Twitter

Twitter fu lanciato il 15 luglio 2006. Secondo Twopcharts il 22 febbraio 2012 ha passato i 500 milioni di utenti (al lordo di doppioni, inattivi e spam)

Secondo una ricerca di Semiocast, lo Stato con più utenti (al 31 dicembre 2011) erano - come prevedibile - gli Stati Uniti con 107.700.000 utenti davanti al Brasile (33 milioni e 300mila). Nei tre mesi da settembre a novembre 2011 i più attivi sono stati gli olandesi (il 33 per cento degli utenti ha scritto almeno un post)

E l'Italia? In quella classifica è ventiduesima con 4,1 milioni di utenti e la percentuale di chi ha scritto un post in quei tre mesi è del 25 per cento

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L'Italia e le redazioni scoprono Twitter

Nell'estate del 2011 i direttori del Corriere Ferruccio De Bortoli (@DeBortoliF) e di Repubblica Ezio Mauro (@eziomauro) si iscrivono a Twitter. Dall'autunno loro e altri giornalisti famosi iscritti da prima (Mario Calabresi lo è da luglio 2009) cominciano a twittare e a trascinare altri colleghi e molti lettori dei giornali che dirigono.

Nello stesso periodo Twitter viene scoperto (o comunque usato in modo più intensivo di prima) anche da personaggi dello spettacolo come Fiorello (che qualche settimana fa ha persino diffuso un comunicato per annunciare che sarebbe uscito da Twitter).

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Come si usa in televisione

Sono sempre di più le trasmissioni televisive che utilizzano Twitter. La maggior parte lo fa in sostituzione dei classici sondaggi o per sentire l'opinione degli spettatori. Gli utenti vengono invitati a inserire un hashtag che contiene il nome della trasmissione (il primo fu Exit con #exitla7, ora sono moltissimi: #piazzapulita #skytg24 ecc.) o generici hashtag come #ditelavostra (che rischiano di mettere insieme tweet indirizzati a giornali o tv diversi)

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Giusto o sbagliato? Efficace o no?

Il bello dei social network è che ciascuno può adattarli alle proprie preferenze e cercare di piegarli alle proprie esigenze. Ma quell'uso degli hashtag non è né giusto né efficace

Usare il nome di una trasmissione come hashtag in un social network è grammaticalmente scorretto perché si sostituisce al nome utente e tradisce il significato di hashtag, che indica un evento, un fatto, un oggetto, non un'azienda o qualcosa di collegato strettamente a un'azienda. E gli utenti, abituati a un uso diverso degli hashtag, difficilmente si adatteranno a un uso così diverso da quello consueto

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La cultura aziendale e le conversazioni

Se quell'uso di Twitter non è né giusto né efficace, perché è così diffuso?

Esistono due problemi, uno di conoscenza del mezzo e uno aziendale. Quello di conoscenza è facilmente colmabile con l'esperienza e l'uso prolungato. Quello aziendale è più difficile da risolvere: le aziende tradizionali (e molti di coloro che le guidano) sono abituati a sentirsi al centro dell'attenzione, a guidare il dibattito, a dettare la linea e non a sentirsi parte di una conversazione. Senza generalizzare, molti si sentirebbero sminuiti. Eppure otterrebbero risultati migliori: pensate a quanti tweet in più (e quindi una maggior ricchezza di opinioni) si otterrebbero se in una trasmissione sugli esodati si usasse l'hashtag #esodati e non quello del programma tv

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Gli altri social network

(non mi farete mai usare "social media", come sa chi sa chi ha avuto la sventura di sentirmi in altre occasioni)

Dal punto di vista grammaticale, Facebook è più malleabile, per questo è un luogo nel quale le aziende si trovano meglio (anche per il numero di utenti e per la maggior facilità di inserire pubblicità).

Le altre piattaforme per ora non hanno un numero di utenti attivi che le abbia rese appetibili (neppure Google+ per ora). Friendfeed, per esempio, è forse il social network più bello e ordinato, ma per motivi misteriosi non ha avuto la fortuna di Facebook (che se l'è comprato nell'agosto 2009) e di Twitter

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Giornalismo e social network

Chi vede nei social network il giornalismo del futuro probabilmente sbaglia: i social network sono più una fonte del giornalismo tradizionale che una sua forma. Ma attenzione ai tentativi di forzatura che stanno avvenendo da parte di grandi brand, soprattutto su Facebook: potrebbero riuscire a trasformare la natura del social network, che a quel punto diventerebbe un luogo di conversazioni più rarefatte. Un network poco social, insomma

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Il futuro del giornalismo

Cercare di fare i Nostradamus (meno oscuri di Nostradamus) in un periodo che è soltanto quello di inizio di trasformazioni profonde in molti campi, è pericolosissimo ed espone a rischi di figuracce.

Solo un'osservazione: da anni ascolto dibattiti fra giornalisti con un massimo comun denominatore: stanno cambiando i mezzi, stanno cambiando gli strumenti, internet sta cambiando radicalmente il nostro modo di lavorare, ma ci sarà sempre bisogno di chi raccoglie le notizie, le approfondisce, le sceglie e le scrive (con parole o immagini) per i cittadini

Ecco, senza voler essere Nostradamus io non sono più così sicuro che il futuro sia questo (qualche accenno nel mio ultimo post sul blog "Se una notte d'inverno un giornalista")

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