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SOMMARIO PARTE PRIMA: TIROCINIO ......................................................................................... 3 PRESENTAZIONE DELLA SCUOLA ................................................................................................ 4 L’ISTITUTO COMPRENSIVO E IL POF .................................................................................... 4 LA SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO ............................................................................ 7 IL TIROCINO OSSERVATIVO ....................................................................................................... 8 LA TERZA * ...................................................................................................................... 8 LA TERZA ** .................................................................................................................... 9 IN CLASSE ....................................................................................................................... 10 NEL LABORATORIO ........................................................................................................... 13 LA RELAZIONE DI INSEGNAMENTO/APPRENDIMENTO: RIFLESSIONI .............................................. 15 LE PRATICHE PROFESSIONALI DELLINSEGNANTE ACCOGLIENTE: RIFLESSIONI .............................. 17 LA PARTECIPAZIONE AGLI ESAMI DI TERZA MEDIA .................................................................. 18 IL TIROCINIO ATTIVO ............................................................................................................. 19 IN TERZA *: LEZIONI SINGOLE ............................................................................................ 19 IN TERZA **: UN PERCORSO DIDATTICO DAL PENSIERO ALLA REALTÀ ........................................ 21 PARTE SECONDA: DECLINAZIONE DIDATTICA CON APPROFONDIMENTO DISCIPLINARE .......................................................................................................................... 24 ULISSE E IL VIAGGIO DELL’EROE ......................................................................... 25 DESTINATARIO E MOTIVAZIONE DEL PERCORSO ......................................................................... 25 CONTENUTI ........................................................................................................................... 26 IL CANTO XXVI DELL’INFERNO: LA MORTE DAL MARE ......................................................... 26 IL CANTO XXVI: IL MOTIVO FOLKLORICO E LE FUNZIONI NARRATIVE ....................................... 28 LA PARTENZA (VV. 90-102) ............................................................................................. 32 IL VIAGGIO (VV. 103-111) ............................................................................................... 33 L’ORAZION PICCIOLA (VV. 112-120) ................................................................................. 35 IL FOLLE VOLO E IL NAUFRAGIO (VV. 121-142) ................................................................... 36 1

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SOMMARIO

PARTE PRIMA: TIROCINIO ......................................................................................... 3

PRESENTAZIONE DELLA SCUOLA ................................................................................................ 4

L’ISTITUTO COMPRENSIVO E IL POF .................................................................................... 4

LA SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO ............................................................................ 7

IL TIROCINO OSSERVATIVO ....................................................................................................... 8

LA TERZA * ...................................................................................................................... 8

LA TERZA ** .................................................................................................................... 9

IN CLASSE ....................................................................................................................... 10

NEL LABORATORIO ........................................................................................................... 13

LA RELAZIONE DI INSEGNAMENTO/APPRENDIMENTO: RIFLESSIONI .............................................. 15

LE PRATICHE PROFESSIONALI DELL’INSEGNANTE ACCOGLIENTE: RIFLESSIONI .............................. 17

LA PARTECIPAZIONE AGLI ESAMI DI TERZA MEDIA .................................................................. 18

IL TIROCINIO ATTIVO ............................................................................................................. 19

IN TERZA *: LEZIONI SINGOLE ............................................................................................ 19

IN TERZA **: UN PERCORSO DIDATTICO DAL PENSIERO ALLA REALTÀ ........................................ 21

PARTE SECONDA: DECLINAZIONE DIDATTICA CON APPROFONDIMENTO

DISCIPLINARE .......................................................................................................................... 24

ULISSE E IL VIAGGIO DELL’EROE ......................................................................... 25

DESTINATARIO E MOTIVAZIONE DEL PERCORSO ......................................................................... 25

CONTENUTI ........................................................................................................................... 26

IL CANTO XXVI DELL’INFERNO: LA MORTE DAL MARE ......................................................... 26

IL CANTO XXVI: IL MOTIVO FOLKLORICO E LE FUNZIONI NARRATIVE ....................................... 28

LA PARTENZA (VV. 90-102) ............................................................................................. 32

IL VIAGGIO (VV. 103-111) ............................................................................................... 33

L’ORAZION PICCIOLA (VV. 112-120) ................................................................................. 35

IL FOLLE VOLO E IL NAUFRAGIO (VV. 121-142) ................................................................... 36

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PREREQUISITI ........................................................................................................................ 40

OBIETTIVI ............................................................................................................................ 40

STRUMENTI ........................................................................................................................... 41

PERCORSO DI RICERCA ........................................................................................................... 41

VERIFICA E VALUTAZIONE ...................................................................................................... 47

BIBLIOGRAFIA ....................................................................................................................... 49

ALLEGATI ....................................................................................................................... 50

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PARTE PRIMA: TIROCINIO

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Presentazione della scuola

L’Istituto Comprensivo e il POF

Nell’anno scolastico 2004/05, ho svolto il mio tirocinio per la classe A043

presso l’Istituto Comprensivo di Costa Volpino, unità organizzativa delle Scuole sta-

tali dell’Infanzia, Primaria e Secondaria di primo grado situate nei Comuni di Costa

Volpino e Rogno, in provincia di Bergamo, adagiati tra il Lago d’Iseo e la Valcamo-

nica, perciò a notevole distanza dal capoluogo. L’Istituto è articolato in una Scuola

dell’Infanzia, quattro Scuole Primarie (con una quinta sezione staccata) e una Scuola

Secondaria di primo grado, situata a Costa Volpino, in posizione centrale rispetto

alle sedi delle altre scuole.

Il Pof dell’Istituto, redatto da un’apposita commissione, si distingue per

accuratezza e completezza. Una prima parte è dedicata ai princìpi generali ispiratori

della scuola e ai suoi organi di gestione, nonché alla presentazione delle diverse

realtà scolastiche, mentre nella seconda parte si espongono i progetti che

coinvolgono l’intero Istituto o le singole scuole che vi appartengono. Riguardo i

principi generali, centrale è il richiamo ai quattro pilastri dell’educazione

raccomandati dall’UNESCO: imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a

essere, imparare a vivere con gli altri.

Tra gli organi di gestione della scuola, figura il Comitato Genitori, formato

interamente da questi ultimi e unificato per i tre ordini di scuola; esso, oltre ad

esercitare un ruolo attivo di ponte tra l’Istituto e le famiglie, è impegnato in iniziative

volte ad ampliare e migliorare l’offerta formativa in collaborazione con i docenti,

aprendo la scuola al territorio e coinvolgendo gli enti locali: in particolare, organizza

eventi e iniziative (festa dello sport, marcia della pace, mercatino di Natale, vendita

delle mele prodotte dal frutteto “adottato” dal Comitato stesso) cui collaborano

alunni, genitori, insegnanti, Comuni; queste attività sono finalizzate alla raccolta di

fondi per progetti sportivi, musicali e di educazione alla salute, uscite sul territorio,

adozioni a distanza, proposti dai docenti dell’Istituto nel corso degli anni scolastici.

Accanto ai progetti della scuola per l’arricchimento dell’offerta formativa

(educazione all’affettività ed educazione sessuale, educazione alla salute, progetto

UNICEF di educazione alla legalità e alla coscienza civica, orientamento

scolastico…), molta attenzione è assegnata nel POF alla problematica degli alunni

stranieri che sono presenti quasi in ogni classe, in percentuali basse ma non

insignificanti e soprattutto sempre crescenti. Nell’Istituto è attiva una commissione

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apposita, formata da docenti di ogni plesso e ordine di scuola, che si occupa di

pianificare le strategie per accompagnare l’alunno straniero (e la sua famiglia)

dall’inserimento (burocratico) nella scuola all’inserimento in classe. In base a queste

indicazioni di massima devono poi agire gli insegnanti dal punto di vista educativo e

didattico, in quanto responsabili del processo di insegnamento/ apprendimento sia

dell’Italiano come L2 sia delle altre discipline.

L’ultima parte del POF è dedicata alla tematica della valutazione, intesa sia

come giudizio di verifica del processo di apprendimento da parte degli alunni sia

come autoanalisi dell’Istituto rispetto alle proprie metodologie e ai propri risultati.

Vengono anzitutto esposte le finalità della valutazione delle prove, scritte e orali,

fornite dagli studenti: valutarne i progressi; confrontare i risultati ottenuti con quelli

previsti; promuovere le potenzialità; incoraggiare tendenze ed interessi. Il giudizio,

che viene sempre comunicato al ragazzo/a e alla famiglia tramite il “libretto”, è

espresso, nella Scuola Secondaria di I grado, con percentuali nelle “prove oggettive”,

mentre, dove tale formulazione non sia possibile (ad esempio, per l’insegnante di

Lettere, nella produzione scritta e nelle interrogazioni orali) si provvede a valutarle

per mezzo di giudizi espressi in forma discorsiva, con la citazione di tutti gli obiettivi

presi in esame, e/o si utilizzano le seguenti sigle:

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Nelle schede di fine quadrimestre e di fine anno non sono però riportati tali

giudizi, ma quelli tradizionali, dal Non Sufficiente all’Ottimo.

Mirando ad un miglioramento della propria offerta formativa, l’Istituto

Comprensivo di Costa Volpino da alcuni anni ha aderito a due progetti di

autovalutazione d’Istituto: il primo, organizzato dall’Associazione STRESA

(STRumenti per l’Efficacia della Scuola e l’Autovalutazione), lega in rete diverse

scuole della Bergamasca e rappresenta un percorso di ricerca sul campo che

coinvolge tutti i soggetti che entrano a far parte della scuola (alunni, insegnanti,

dirigenti, genitori), attraverso l’uso di questionari di percezione (sullo “stare bene a

scuola”) e test di profitto per alcune discipline (Italiano, Matematica, Storia). L’altro

progetto è quello, di livello nazionale e obbligatorio solo dal 2005/06, dell’INValSI

(Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema d’Istruzione), che prevede il

coinvolgimento delle classi seconde e quarte della Primaria e delle classi prime della

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Secondaria nei test riguardanti le discipline di Italiano, Matematica e Scienze. La

restituzione dei dati di entrambi i progetti consente sia un’analisi dei risultati

raggiunti dall’Istituto in termini assoluti sia il confronto con le medie della

Lombardia e dell’intera rete.

La Scuola Secondaria di primo grado

La Scuola Secondaria accoglie circa 300 alunni che provengono dal Comune

di Costa Volpino, in cui ha sede, e dal vicino Comune di Rogno, i quali contano,

nell’insieme, circa 11.000 abitanti. Le classi, dalla prima alla terza, sono divise in

quattro sezioni e sono ospitate in una struttura dotata, oltre che delle aule per le

lezioni di classe, di una palestra, diversi laboratori (di lingua, informatica, musica,

ceramica…) e una sala mensa, di cui i ragazzi possono usufruire quando sono

previste lezioni pomeridiane, assistiti dal personale docente.

La situazione attuale dell’ex Scuola Media in Italia è caratterizzata dal

processo di transizione alla cosiddetta “Riforma Moratti”. Perciò, sussistono alcune

differenze tra le classi in cui è già in vigore tale riforma (nell’anno 2004/05, in cui ho

svolto il tirocinio, le classi prime) e quelle in cui vige ancora il “vecchio

ordinamento”, spesso trasformato a livello locale da varie sperimentazioni. La scuola

di Costa Volpino presenta diverse opzioni che possono essere scelte dalle famiglie

degli alunni. Il tempo scuola è tradizionalmente, da anni, diviso in tempo normale e

tempo prolungato, rispettivamente di 30 e 36 ore settimanali di lezione; dal momento

che la Riforma prevede un tempo scuola obbligatorio di 27 ore e fino a un massimo

di 6 ore di ampliamento dell’offerta formativa e atività opzionali, si è pensato, per le

classi prime, a due alternative ricalcate su quelle precedenti: 31 e 33 ore (27+4 e

27+6).

Il mio tirocinio si è svolto in due classi terze, che perciò non erano toccate

dalle novità e che prevedevano il cosiddetto tempo prolungato, ovvero il rientro

pomeridiano per tre volte la settimana (lunedì, mercoledì, venerdì). Il tempo scuola

era organizzato su 36 ore settimanali, distribuite in 42 unità orarie (u.) di 50 minuti

ciascuna e così suddivise:

36 u. riservate alle attività curricolari (di cui 7 per Italiano, 5 per Storia,

Educazione civica e Geografia);

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4 u. dedicate ad attività in “semiclassi” (lavori in gruppi più ristretti per

l’acquisizione, il recupero, l’approfondimento di argomenti e abilità disciplinari e

interdisciplinari);

2 u. di laboratorio, ovvero lavori a piccoli gruppi (un terzo della classe)

finalizzati alla progettazione e alla realizzazione di un percorso trimestrale.

A questo quadro, si aggiungono attività sportive facoltative, con orario

pomeridiano flessibile, e il tempo mensa.

Osservando questa struttura oraria, che certo è solo un “contenitore da

riempire” dagli insegnanti e dagli alunni stessi, mi pare che l’obiettivo perseguito sia

quello di dare una formazione il più completa possibile, sia facendo sperimentare ai

ragazzi un’ampia varietà di discipline, sia ricercando metodologie diverse da quelle

della lezione in classe che possano risultare, da un lato, più coinvolgenti e, dall’altro,

più attente ai bisogni formativi degli allievi che presentano maggiori difficoltà.

Il tirocino osservativo

Nel corso del secondo quadrimestre dell’anno scolastico 2004/05, ho

osservato l’attività di un’insegnante di Lettere (da ora indicata con IA, ovvero

“insegnante accogliente”) in ruolo nella scuola sopra descritta da circa vent’anni; la

docente insegnava in due classi terze, Italiano (articolato in Antologia, Grammatica e

Narrativa) nella sezione *, Storia, Geografia ed Educazione civica nella sezione **.

Inoltre, secondo il piano delle attività sopra sintetizzato, si occupava del lavoro

all’interno di semiclassi: in esse svolgeva, per due unità orarie settimanali, regolare

lezione di storia o geografia in III ** (alternativamente con i due gruppi) e attività di

recupero grammaticale in III * e, per un’ora, un corso di avviamento al Latino (in

una semiclasse interna alla III * pensata come gruppo di livello alto). Ancora in III *

teneva un laboratorio di Cineforum, su cui avrò modo di soffermarmi più oltre.

La terza *

La classe, seguita dall’IA da tre anni, era formata da 27 alunni, senza una

netta prevalenza maschile o femminile; in aula, i banchi erano disposti su tre file,

divisi a gruppi di tre. Come ho avuto modo di scoprire durante il corso del tirocinio, i

posti di ognuno erano scelti dal coordinatore, in questo caso l’IA, e cambiati dopo

circa un mese, benché i ragazzi richiedessero queste rotazioni molto più

frequentemente.

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I ragazzi mi hanno accolto manifestando curiosità ed entusiasmo per la novità

e, rispondendo a precise domande dell’IA, alcuni di loro mi hanno informato sugli

argomenti che erano stati trattati in classe durante il primo quadrimestre o che

stavano affrontando in quel periodo (febbraio).

Tra gli alunni, l’insegnante mi aveva già segnalato la presenza di Goran1, un

ragazzo arrivato soltanto all’inizio della III Media dall’ex Jugoslavia: egli seguiva un

proprio programma di alfabetizzazione in lingua italiana, uscendo dalla classe in

alcune ore, accompagnato da un’altra insegnante, e svolgendo di solito, durante le

ore di Italiano in aula, esercizi specifici su un libro fornitogli dall’IA; dal momento

che il libro era in dotazione alla scuola, doveva copiare sul quaderno tutte le attività.

Durante le ore in classe appariva molto autonomo e impegnato: non rivolgeva mai

all’IA domande su come eseguire gli esercizi, ma li svolgeva sulla base delle

consegne e degli esempi. L’IA lo seguiva da vicino solo nelle ore di semiclasse

dedicate al recupero grammaticale, cercando di portarlo a riflettere sugli esercizi

svolti in modo da ricavare le regole applicate sulla base degli esempi. Per il resto, a

quanto ho potuto vedere, nei laboratori Goran svolgeva esattamente le stesse attività

dei compagni e nei momenti liberi (intervallo), benché arrivato da pochi mesi,

mostrava di aver instaurato buoni rapporti con gli altri.

La terza **

Anche questa classe era formata da 27 alunni, disposti in aula esattamente

come in III * e conosciuti dalla docente fin dalla I Media. Era presente un ragazzo

con handicap mentale, che nelle ore di Storia e Geografia non partecipava

direttamente alle attività di classe, ma lavorava sempre con un insegnante di

sostegno, a volte rimanendo in aula, altre volte uscendo.

Secondo le parole dell’IA, la classe era stata in parte destabilizzata, all’inizio

della terza Media, dall’inserimento di un nuovo alunno, italiano, trasferitosi da

un’altra scuola, particolarmente insofferente alla disciplina, anche a causa di

particolari e travagliate vicende famigliari. In effetti, Daniel in classe spesso

chiacchierava con i compagni, svolgeva attività non legate alla materia spiegata, a

volte rispondeva in modo brusco e aggressivo ai richiami che gli venivano rivolti dai

professori, importunava le compagne, tanto che diverse volte mi è capitato di

arrivare in classe e vedere che il suo banco era staccato da tutti gli altri, isolato

1 I nomi sono di fantasia.

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davanti alla prima fila: in certi casi a questa disposizione era ricorso un insegnante

per le frequenti distrazioni sue o dei compagni di banco oppure diestro richiesta di

qualche alunno che veniva disturbato, in altri casi però era Daniel stesso a spostarsi

di sua volontà. Circa ad aprile, è poi avvenuto un fatto giudicato concordemente

piuttosto grave dagli insegnanti e dal Dirigente scolastico: scomparso il registro di

classe, tramite un alunno si è venuti a sapere che Daniel l’aveva portato a casa,

mostrandolo poi sull’autobus; nonostante le preghiere del compagno di riportarlo a

scuola al più presto, il registro non era stato restituito, bensì gettato tra i rifiuti.

L’episodio ha causato a Daniel una sospensione di alcuni giorni, decisa dal Consiglio

di Classe (sebbene i professori abbiano a lungo discusso, nei giorni seguenti, sulla

reale utilità e sul valore educativo di tale decisione, pur ritenuta doverosa).

In classe

Le metodologie messe in atto dall’IA erano abbastanza simili nelle due classi,

fatte salve le differenze dovute alle diverse discipline.

Ho assistito a spiegazioni di tipo frontale soprattutto in III **, in Storia e

Geografia. L’IA spiegava queste materie rimanendo seduta alla cattedra, solo

raramente alzandosi in piedi davanti ad essa: di solito, dopo aver introdotto

l’argomento richiamando le conoscenze già in possesso dei ragazzi o comunque

rifacendosi a quanto detto nella lezione precedente, leggeva lei stessa il libro di testo,

passando poi, senza soluzione di continuità, alla spiegazione a braccio, per poi

tornare alla lettura, e così via. Gli interventi della docente erano di vario genere: da

un lato, invitava a sottolineare un passaggio importante, commentava una carta

geografica, ripeteva definizioni lessicali o date storiche da memorizzare, dall’altro

ampliava il contenuto del libro, spesso cercando qualche riferimento con l’attualità o

con altre materie. Ad esempio, in una lezione sul secondo dopoguerra, spiegando la

situazione di enorme debito economico in cui versava l’Europa nei confronti degli

Stati Uniti, ha richiamato la situazione attuale dei Paesi in via di sviluppo,

profondamente indebitati nei confronti di quelli economicamente avanzati; poco

dopo, affrontando il Piano Marshall, ha sottolineato come esso prendesse il nome dal

Segretario di Stato americano, aggiungendo: “quello che oggi è Condoleeza Rice”.

A volte l’IA chiedeva ai ragazzi se avessero seguito una certa trasmissione in

televisione nelle sere precedenti, ad esempio fiction o film di argomento storico o

dibattiti su temi relativi alla lezione del giorno, poi ne riassumeva brevemente i

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contenuti ed, eventualmente, commentava o dava un giudizio personale. Raramente,

faceva anche dei riferimenti personali, richiamando suoi ricordi o la storia della sua

famiglia: ha raccontato, ad esempio, di come il padre, che si trovava in Puglia al

momento dell’armistizio del 1943, abbia vissuto lo sbarco alleato in Italia; tali

riferimenti personali, pur brevi, portavano di solito gli alunni ad alzare lo sguardo

sull’insegnante, a sorridere, a fare qualche commento.

Simili a queste spiegazioni, pur senza riferimenti all’attualità o personali,

erano quelle di Grammatica in III *. Anche in questo caso l’IA seguiva il libro,

ampliando e precisando dove necessario, ma di solito faceva leggere uno degli

alunni. La spiegazione – gli argomenti erano quelli di analisi del periodo – era

seguita da uno o più esercizi, svolti ad alta voce, a turno, da ciascuno degli alunni,

seduti al proprio posto. Lo stesso metodo veniva usato per la correzione degli

esercizi di compito svolti a casa, che venivano sempre corretti all’inizio della lezione

(se erano molti, venivano corretti quelli ritenuti più difficili dall’IA o dai ragazzi).

Sia nella correzione dei compiti sia negli esercizi svolti in classe, l’IA cercava di far

giungere tutti alla soluzione, dando a coloro che si trovavano più in difficoltà il

tempo necessario per riflettere, aiutandoli nel ragionamento, invitandoli alla lavagna

per realizzare uno schema.

Le lezioni di Antologia erano di solito strutturate secondo la stessa modalità

di lettura dal libro e spiegazione da parte dell’insegnante, a volte con domande ai

ragazzi sul significato del lessico. Nel corso dell’anno, però, molte lezioni di Italiano

sono state dedicate a questioni diverse rispetto alla stretta attuazione della

programmazione: una parte rilevante del tempo, in particolare, è stata occupata da

visione e commento di film di un certo spessore artistico e soprattutto dalle

impegnative tematiche sociali, quali Alla luce del sole sulla vicenda di don Puglisi,

sacerdote ucciso a Palermo dall mafia, o Viaggio a Kandahar, sulla situazione

afghana. I film, visti al cinema per iniziativa dell’Istituto o proiettati dall’IA in

videocassetta all’interno della classe, erano poi da lei commentati, dopodiché ai

ragazzi veniva chiesta una restituzione in varie forme: tramite questionario da

svolgersi in classe, inserito poi nella valutazione della comprensione orale, oppure

tramite testo scritto da realizzare a casa, che prevedesse un riassunto dell’opera e un

commento personale sulle tematiche trattate, anche in base a quanto discusso in

classe e alle conoscenze possedute.

Veniamo ora ad affrontare le modalità di verifica dell’apprendimento nelle

diverse discipline. Le interrogazioni orali prevedevano innanzi tutto la richiesta di

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volontari (gli alunni erano sempre caldamente esortati dall’IA a farsi interrogare

spontaneamente), poi l’estrazione a sorte tramite dei bigliettini, realizzati dagli

alunni e conservati in classe. La pratica dell’estrazione a sorte veniva meno, però,

quando l’IA doveva, come si usa dire, “finire il giro”, quando cioè restavano pochi

studenti ancora senza voto: in tal caso era lei a sceglierli. Spesso, inoltre, chiedeva a

chi avesse avuto un brutto voto nell’interrogazione precedente se avesse studiato e

volesse subito rimediare.

In Storia e Geografia l’interrogazione si articolava, di regola, su due

argomenti (mai quelli trattati il giorno immediatamente precedente), di cui spesso

uno a piacere, specialmente in apertura di interrogazione. Ogni domanda, se non

trovava risposta direttamente dall’interrogato, veniva rivolta al compagno alla

cattedra, poi a chi avesse alzato la mano dal banco; tendenzialmente, però, l’IA

cercava di aiutare gli alunni interrogati a trovare la risposta, formulando la domanda

in modo diverso. Spesso, inoltre, ripeteva la risposta dell’interrogato in maniera più

corretta e completa, eventualmente ampliandola con un discorso che l’alunno doveva

poi continuare o terminare con una parola del lessico specifico.

In Italiano, ho assistito ad interrogazioni su poesie recitate a memoria; anche

qui l’IA ha dato la precedenza ai volontari, ma ha interrogato tutti gli alunni,

lasciandoli seduti al loro posto; l’interesse era rivolto a verificare la memorizzazione

e la chiarezza espositiva più che l’espressività. Ho assistito anche ad altre

interrogazioni di Italiano, ma tale pratica era poco usata dalla docente e comunque in

modo non sistematico: preferiva correggere gli esercizi svolti a casa facendo parlare

a turno tutti gli studenti e rivolgendo qualche domanda ora a questo ora a quello,

soprattutto per valutare la produzione orale. La comprensione dei brani e l’analisi

delle strutture (conoscenza degli elementi formali, ad esempio, di una poesia o di un

testo argomentativo) veniva verificata tramite prove scritte, che spesso erano quelle

presentate in fondo al libro di testo degli studenti, con opportune aggiunte da parte

dell’insegnante. A maggio, ad esempio, gli studenti hanno svolto una verifica sulla

poesia, dopo una unità didattica che verteva sulle poesie di guerra. Il libro di testo

presentava una lirica di Quasimodo e chiedeva di riconoscere le figure retoriche,

fornire una parafrasi e un commento con riferimenti al contesto storico e all’autore;

l’IA, modificando l’ultima domanda, ha chiesto un commento che richiamasse non

solo il contesto storico e biografico del poeta, ma che presentasse anche un confronto

con altri componimenti sul tema della guerra, letti in classe, di Quasimodo e di altri

autori; inoltre, ha richiesto la definizione di elementi formali caratterizzanti la poesia

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(strofa, rima, sonetto, ossimoro, metafora, sinestesia, iterazione, enjambement). A

un’alunna che le chiedeva il permesso di visionare alcune delle poesie viste in classe,

l’IA ha risposto negando tale permesso, poiché sarebbe stato facile, per i ragazzi,

copiare anche le definizioni lessicali, ma ha poi concesso, a lei come agli altri, di

poter utilizzare il suo stesso libro, venendo alla cattedra, per poter rivedere i

componimenti e riportare citazioni precise. La valutazione di tale prova, molto

articolata ed impegnativa, a mio parere, era strutturata su tre obiettivi, ovvero la

comprensione scritta, la produzione scritta, la conoscenza dei contenuti.

Anche in Storia e Geografia l’IA si avvaleva di verifiche scritte, di tipo

sommativo, alla fine di ogni unità didattica, spesso di tipo strutturato (a domanda

chiusa, con esercizi di Vero/Falso, tabelle o testi da completare, collegamenti causa-

conseguenza…). Per quel che ho potuto vedere, un’attenzione particolare era data al

lessico, con esercizi di definizione di termini storici o geografici specifici (es.

Definisci: patto d’acciaio, guerra lampo, olocausto, ghetti…). Una verifica di

Geografia di diverso genere, cioè interamente a domande aperte (perché l’IA per

errore aveva dimenticato a casa le verifiche già preparate), ha registrato risultati

inferiori rispetto alla media fin lì registrata dalla classe e ha portato l’insegnante ad

interrogarsi sull’opportunità di continuare o meno ad utilizzare verifiche strutturate.

Nell’occasione, ha scelto di svolgere una prova di recupero, mantenendo però la

modalità delle domande aperte.

La valutazione delle prove formative e sommative, orali e scritte,

rispecchiava, naturalmente, le scelte dell’Istituto riportate nel POF: prevedeva cioè

l’uso delle sigle della tabella sopra riportata e, nello scritto, delle percentuali. Nelle

interrogazioni orali, i ragazzi che, estratti o chiamati dall’insegnante, non

accettavano di rispondere, dicendo di non aver studiato, venivano giudicati con un

Impreparato, trascritto sul registro e sul diario, al pari degli altri voti. Questi alunni,

come già accennato, spesso venivano invitati dall’insegnante a recuperare offrendosi

come volontari nella lezione successiva (naturalmente, però, non sempre questa

richiesta dell’insegnante veniva accolta).

Nel laboratorio

Tra le attività non svolte con l’intera classe, mi sembra interessante

soffermarmi sui laboratori: per due unità orarie alla settimana la classe veniva divisa

in tre gruppi, considerati dagli insegnanti di livello omogeneo tra loro, i quali durante

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l’anno si alternavano, per un trimestre circa ciascuno, con tre professori di diverse

materie. In III * le attività proposte erano Musica, Informatica (con il professore di

Tecnica) e Cineforum, con la mia accogliente, appunto. Ho seguito questo

laboratorio per l’intero II quadrimestre, coprendo parte del turno del secondo gruppo

e interamente quello del terzo; entrambi i gruppi erano di nove persone.

L’attività si svolgeva in classe, lasciata libera dagli altri alunni che si

recavano nelle aule adibite a laboratori; soltanto una volta ci siamo invece spostati in

aula magna, dove era presente un altro televisore, poiché quello usato di solito era

guasto. Il laboratorio era infatti basato sulla visione di film in videocassetta, scelti

dall’insegnante e ripetuti per ogni gruppo. I film erano piuttosto impegnati dal punto

di vista dei contenuti, legati a temi storici o di attualità e in parte connessi con gli

argomenti affrontati in Storia e in Italiano nel corso dell’anno: dapprima tre film

sull’epoca nazista e sull’olocausto (L’isola in via degli Uccelli, Schindler’s list, La

tregua), considerati dall’IA, nelle sue riflessioni con i ragazzi, come una sorta di

trilogia, che inoltre riprendeva la programmazione di Narrativa svolta nel I

quadrimestre, cioè la lettura e la visione di Train de vie; poi un film di S. Spielberg

che narra la vita di una donna nera negli Stati Uniti del ’900 (Il colore viola), e infine

I cento passi di M.T. Giordana, una tragica storia di mafia.

Di solito, dopo che due alunni incaricati avevano portato in classe televisore e

videoregistratore e li avevano posizionati in fondo all’aula, il gruppo si disponeva

con le sedie più o meno in semicerchio, dando le spalle alla cattedra e spostando

qualche banco. L’insegnante si poneva invece vicino al televisore per introdurre il

film, poi dietro i ragazzi, seduta su una sedia o su un banco; ogni pellicola era

preceduta da una presentazione da parte della docente, che illustrava brevemente

l’argomento e qualche caratteristica tecnico-cinematografica: prima della visione di

Schindler’s list, ad esempio, l’IA si è soffermata sul contesto storico, richiamando

quanto era già stato affrontato in classe; sulle connessioni con il film precedente,

ambientato nello stesso luogo e periodo (Polonia, 1942); sulla tecnica di montaggio,

che all’inizio contrappone nettamente le scene dedicate agli Ebrei a quelle dei

nazisti; infine sul protagonista: a questo proposito, ha fatto notare ai ragazzi come

egli, all’inizio, sia presentato attraverso gli occhi di un altro personaggio, l’ebreo

Isaac Stern, e come la sua personalità subisca un’evoluzione nel corso della storia. In

breve, L’IA dava alcune coordinate (particolarmente numerose nel caso riportato)

per “leggere” e interpretare il film.

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Durante la visione, avvenivano interruzioni da parte dell’insegnante, che si

soffermava su frasi, scene, tecniche cinematografiche, particolari inquadrature,

sollecitando gli alunni a prendere qualche appunto; l’intervento, di volta in volta,

anticipava episodi particolarmente significativi e perciò da osservare con attenzione,

oppure ripeteva ciò che era successo in una scena allusiva. Spesso l’IA chiedeva ai

ragazzi di spiegare con le loro parole cosa fosse accaduto, ma di solito la maggior

parte di loro, pur avendo seguito con attenzione, non andava oltre il riassunto, così

che era l’insegnante a ricavare il senso delle scene o di particolari elementi

all’interno del contesto del film. Inoltre, all’inizio degli incontri faceva riassumere a

qualcuno dei ragazzi la trama della parte di film vista la settimana precedente, poiché

la visione si prolungava per più di una lezione: solitamente era lei a iniziare un

discorso di sintesi, che poi faceva continuare agli alunni, facendo domande ad alcuni.

L’attività del laboratorio doveva essere completata a casa dai ragazzi, che

erano incaricati di compilare una scheda per ogni film visto, strutturata in forma di

questionario diviso in tre parti: la prima parte chiedeva di riportare i dati tecnici,

forniti dall’insegnante a lezione (regista, anno e casa di produzione, attori

principali…), la seconda di riassumere la trama e riflettere su come il regista aveva

scelto di raccontare la storia (montaggio, musiche, ambientazione…), la terza

chiedeva qualche commento personale (se il film fosse piaciuto, quale personaggio e

quale scena avessero colpito i ragazzi). Alcune schede venivano lette prima di

iniziare la visione del film seguente e tutte erano poi ritirate e corrette a casa

dall’insegnante; devo però aggiungere che spesso esse erano completate in modo

molto approssimativo dai ragazzi, che riportavano osservazioni e commenti molto

stringati o addirittura non le consegnavano in tempo opportuno e ricevevano perciò

un richiamo sul diario (secondo la pratica usata anche per chi non portava i compiti

delle lezioni in classe).

La relazione di insegnamento/apprendimento: riflessioni

Durante il mio tirocinio è apparso subito evidente che tra le due classi e

l’insegnante si era instaurato un rapporto ben consolidato da tre anni di convivenza:

gli alunni sapevano quali richieste avanzare, riuscivano a interpretare il minimo

cambiamento nello sguardo dell’insegnante, sorridevano di fronte agli epiteti con cui

talora la docente li apostrofava (per es. “ciuchi”). Da parte sua, la docente cercava di

aver “cura” dei ragazzi, assumendo un punto di vista largamente educativo (e non

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solo didattico) e ponendo attenzione alla relazione: cercava di far leva sul loro senso

di responsabilità (ha rimproverati molti, ad esempio, per non aver superato l’esame

del patentino per il motorino, sottolineando come tale impegno dovesse soddisfare

un loro personale interesse), ravvivava la lezione con qualche battuta di spirito, si

mostrava incline a dare fiducia ai ragazzi (ad esempio, al momento di cambiare la

disposizione dei banchi in classe, a volte chiedeva ad alcuni alunni dove preferissero

sedersi o con chi e li accontentava, vincolandoli però alla promessa di non distrarsi e

non disturbare durante le lezioni). La relazione risultava particolarmente distesa in

III *, forse perché la docente insegnava Italiano, vedeva gli alunni per molte ore alla

settimana ed era anche coordinatrice di classe. La III ** aveva invece con lei un

rapporto corretto, ma un po’ più “ufficiale”, più freddo, forse dovuto anche a

modalità di lezione (quasi sempre spiegazioni frontali o interrogazioni) meno

coinvolgenti, meno diversificate e legate a doppio filo con il giudizio.

La conduzione delle classi si basava su regole chiare e applicate con rigore:

ad esempio, chi non portava i compiti o il materiale scolastico riceveva un richiamo,

che l’IA faceva scrivere all’alunno di suo pugno sul diario perché fosse firmato dai

genitori. Per il resto, la docente si mostrava molto disponibile, corretta e gentile con

gli alunni, anche nel richiamare all’attenzione e alla disciplina: quando doveva

rimproverare la classe o un alunno in particolare, usava, salvo rari casi, un tono

pacato e non alzava la voce, sottolineando le motivazioni per cui stava muovendo il

rimprovero. A volte, se le era stata segnalata qualche scorrettezza o mancanza da

parte di un alunno, sia dal punto di vista comportamentale sia di rendimento

scolastico, prendeva in disparte l’interessato e, scegliendo momenti opportuni (in

genere il cambio dell’ora) e parlandogli a voce bassa, chiedeva spiegazioni ed lo

esortava a migliorare il proprio atteggiamento.

Per descrivere l’atteggiamento della docente, mi sembrano significativi due

brevi episodi: il primo è la “sparizione” di alcuni bigliettini di III ** usati per le

interrogazioni, sparizione rivelata da una ragazza al momento di un’estrazione: l’IA,

in quell’occasione, senza perdere per nulla la calma, ha chiesto ad un’alunna di

scendere al piano terra e chiedere in prestito quelli di III *, sottolineando però come

le sarebbe sembrato giusto interrogare, invece, coloro i cui bigliettini risultavano

“spariti”. L’altro episodio è legato a Daniel, il “ragazzo difficile” della III **: un

giorno una alunna della classe, da lui importunata, all’entrata dell’insegnante ha

chiesto di uscire quasi in lacrime; l’IA, dopo aver dato il permesso alla ragazza, ha

chiamato Daniel alla cattedra e, parlandogli in tono tranquillo ma fermo, l’ha

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rimproverato, ricordandogli una “promessa” fatta a lei personalmente qualche tempo

prima.

Le pratiche professionali dell’insegnante accogliente:

riflessioni

Per quanto ho potuto vedere durante il tirocinio, le metodologie didattiche

dell’IA per Storia e Geografia, come detto sopra, erano abbastanza tradizionali e

perciò risultavano forse monotone ai ragazzi, benché lei spiegasse in modo chiaro e

approfondito (per quanto possibile con una III Media). In effetti, i ragazzi, nella

maggioranza sembravano attenti, poiché restavano zitti durante le spiegazioni, alcuni

sottolineando sul libro, altri guardando la docente. Certo però i risultati non erano

sempre incoraggianti, poiché a questo interesse mostrato in classe non sempre

corrispondeva lo studio a casa, tanto che in moltissimi casi uno o più alunni si

dichiaravano impreparati e non venivano nemmeno alla cattedra per farsi interrogare.

L’IA cercava però sempre di spronare tutti a prepararsi, per cui accettava e anzi

caldeggiava che ci fossero dei volontari, per i quali aveva di solito un occhio di

riguardo durante l’interrogazione e anche nel voto finale, per il “coraggio”

dimostrato.

Aveva anche una certa attenzione a fornire ai ragazzi un metodo di lavoro e

di studio: a volte completava la spiegazione facendo eseguire schemi riassuntivi o

dettando domande a cui rispondere sul quaderno, utilizzando per queste attività le ore

in classe o semiclasse oppure facendole eseguire a casa; mentre spiegava, cercava di

far utilizzare anche il libro di testo, affinché fosse davvero uno strumento utile e

personale: ad esempio, diceva ai ragazzi di sottolineare una frase importante, oppure

di numerare con la matita le cause o le conseguenze di un evento (ad esempio le

cause della seconda guerra mondiale, che il manuale riportava in un paragrafo, l’una

di seguito all’altra)… Sono piccoli accorgimenti che possono, a mio parere, aiutare

gli alunni a famigliarizzare con il libro e a leggerlo con metodo e attenzione.

Le lezioni di Italiano erano certo più varie e vivaci, sia perché la

programmazione prevedeva temi abbastanza coinvolgenti e toccanti (es. poesie sulla

guerra) sia perché le metodologie erano più diversificate (si è già parlato, ad esempio

dell’ampio spazio dato ai film). Inoltre, la classe stessa si mostrava più viva: c’era, in

III *, un gruppo piuttosto numeroso di alunni molto interessati e preparati, che non

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mancavano di far sentire la loro voce e il loro parere sui più diversi argomenti e che

costituivano, per l’insegnante, una pronta risposta agli stimoli più vari; a fronte di

questi, c’erano però anche alunni più in difficoltà, cui naturalmente veniva dato

spazio poiché spesso erano coinvolti dall’insegnante nelle attività: il risultato di

questi accostamenti era una classe molto viva e vivace, spesso abbastanza rumorosa

e chiacchierona ma molto corretta e con un rapporto sereno e ben consolidato con

l’IA.

Credo che a questa positiva relazione abbia contribuito, negli anni, anche lo

stare a contatto diretto nei laboratori. Quello di Cineforum, organizzato per la terza

Media, era certo ben condotto: l’IA si mostrava piuttosto preparata, oltre che sul

contenuto dei film, sulle tecniche cinematografiche utilizzate, così che faceva notare,

ad esempio, particolari inquadrature ricche di significato e “decifrava” le allusioni

presenti nelle pellicole: aveva dunque una funzione di “esplicitare l’implicito”,

dando ai ragazzi un esempio di come leggere un film.

La partecipazione agli esami di terza media

Per terminare questa panoramica sul tirocinio osservativo nella Scuola Media,

vorrei accennare all’esame di terza: ho assitito ad alcuni orali di III * e di III **. Gli

alunni avevano svolto, nel corso del secondo quadrimestre, tesine che collegassero

tra loro diverse discipline, possibilmente tutte quelle affrontate. Mi sono stupita dei

lavori che ne erano riusciti: quasi tutti scritti a computer, di molte pagine (anche

61!), corredati di carte geografiche e altri elementi iconici, ben rifiniti anche nella

grafica (es. una ragazza, che aveva svolto una tesina sulla condizione femminile,

aveva scritto tutti i titoli in colore rosa). Al di là dell’apparenza, emergeva l’impegno

che i ragazzi avevano profuso sia nell’organizzare il materiale sia nell’elaborare poi

una sintesi da esporre all’esame. Il colloquio non era costituito, comunque, da una

semplice ripetizione dei contenuti della tesina: di solito l’alunno ne spiegava la

struttura e ne esponeva una parte, poi interveniva qualche insegnante (senza una

decisione collegiale preventiva) a fare domande diverse: a volte chiedeva di passare

a un’altra materia, saltando i passaggi intermedi; altre volte gli insegnanti di Italiano

o di Lingua straniera rivolgevano domande grammaticali; ancora, qualcuno poteva

chiedere di trattare un argomento non compreso nella tesina. In generale, posso dire

che si trattava davvero di un “colloquio” e quasi di un “rito” per concludere un ciclo

scolastico e quasi una fase di vita: gli insegnanti cercavano dapprima di mettere a

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proprio agio l’alunno, visionando ad esempio i lavori di Artistica e facendo i

complimenti agli alunni per come erano realizzati. Ho apprezzato particolarmente il

trattamento riservato a un alunno dislessico, di III **, che, per questo problema, non

aveva risultati troppo brillanti ma che aveva dimostrato un impegno davvero

lodevole durante l’anno: l’insegnante di Educazione fisica, d’accordo con gli altri

professori, per sottolinearne le doti e metterlo nel contempo a proprio agio, ha aperto

l’esame complimentandosi con lui per aver ricevuto la convocazione nella squadra

regionale di rugby, sport praticato anche a scuola come corso facoltativo. Gli ha poi

chiesto il suo ruolo nella squadra, mentre la mia IA gli ha fatto spiegare le regole di

questo sport, dopodiché è passata ad interrogarlo sull’argomento di Italiano da lui

affrontato nella tesina, sul quale si è mostrato ben preparato.

Per quanto ho potuto vedere, credo che oggi dovrebbe essere proprio questo

lo “spirito” degli esami di III Media: mettere al centro il ragazzo e i risultati che ha

saputo ottenere nel suo percorso scolastico, in termini di conoscenze ma anche di

interessi, autonomia e rielaborazione personale.

Il tirocinio attivo

In terza *: lezioni singole

In III * ho svolto solo lezioni singole, sia in classe sia in gruppi più ristretti. Il

primo approccio attivo con gli studenti è avvenuto pochi giorni dopo il mio arrivo a

scuola, all’interno del laboratorio di Cineforum: su richiesta dell’insegnante, ho

riassunto un breve saggio che avevo letto poco tempo prima, preparando un esame

SILSIS, a proposito del film La tregua, proiettato durante la lezione precedente. Non

è stata certo una lezione da parte mia, ma solo un intervento di una quindicina di

minuti circa, a metà tra la spiegazione di un’insegnante e l’esposizione di una ricerca

da parte di un’alunna. Questo approccio “soft” mi ha però permesso di iniziare a

soddisfare la curiosità dei ragazzi su di me e sul ruolo che avrei rivestito nella loro

vita scolastica, oltre che di testare le loro reazioni di fronte a una nuova figura

insegnante.

Le vere e proprie lezioni da me svolte in III * sono state di tipo grammaticale:

in classe, ho affrontato un argomento di analisi del periodo, la proposizione finale,

cercando di applicare lo stesso metodo usato dall’IA, per non disorientare i ragazzi.

Qualche tempo prima, ho chiesto all’IA di prestarmi il libro di testo, in modo da

farmi un’idea di come l’argomento era spiegato sul manuale dei ragazzi; poi ho

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scelto alcuni degli esercizi presenti sul testo da eseguire in classe ed ho preparato

dieci frasi da dettare e far analizzare come compito a casa. In classe, dopo aver

spiegato seguendo il testo e facendo analizzare le frasi riportate come esempi, ho

eseguito insieme a loro gli esercizi che avevo scelto; ho sperimentato, in alcuni casi,

la difficoltà di dover rispiegare a chi non era in grado di risolverli e di riuscire, nel

contempo, a far sì che gli altri non si annoiassero. Ho sperimentato anche la

difficoltà di gestire la timidezza di una ragazza, che non sapeva risolvere un

esercizio, probabilmente bloccata dall’emotività più che da problemi di

comprensione, tanto che l’IA stessa è prontamente intervenuta per aiutarla,

chiedendole di fare uno schema alla lavagna della frase che stava analizzando. Circa

cinque minuti prima del termine della lezione, ho dettato le frasi da eseguire a casa,

come spesso l’IA faceva, e, come altrettanto spesso succedeva, si sono levate alcune

proteste, ma tutti hanno scritto il compito. Credo che anche queste proteste, peraltro

in gran parte blande e quasi scherzose, “di rito” si potrebbe dire, possano indicare

come gli alunni, durante la lezione, mi abbiano considerato l’effettiva insegnante

della classe, tanto che, all’inizio, una ragazza aveva addirittura chiesto a me il

permesso di spostarsi in un banco vuoto, vicino a una compagna. L’attività si è

conclusa la lezione seguente, con la correzione orale dei compiti.

Il giorno seguente alla mia lezione di Grammatica, sono stata invece

sottoposta a una sorta di “terapia d’urto”: dal momento che l’IA voleva terminare

un’attività di recupero, mi ha chiesto fare lezione per circa mezz’ora con il resto

della classe. Lei si è collocata con alcuni ragazzi in un angolo della classe, poi mi ha

dato il suo libro di Antologia e mi ha indicato due poesie, dicendomi di leggerle e

analizzarle con gli alunni, senza preoccuparmi del punto a cui sarei arrivata perché

comunque le avrebbe assegnate per compito. Nonostante avessi qualche timore, tutto

è filato liscio: dal momento che non mi ero preparata e non sapevo come il libro di

testo affrontasse quei componimenti, ho chiesto un volontario che leggesse e

provasse ad analizzare la prima poesia, di Primo Levi, aiutato da me e dai compagni,

usando il metodo che certo avevano già applicato precedentemente. Un ragazzo si è

offerto, benché con qualche esitazione, ha letto e poi si è mostrato un po’ perplesso

su come continuare. Ho chiesto allora la parafrasi per comprendere il contenuto,

dopodiché abbiamo cercato di realizzare insieme un commento, partendo dall’analisi

degli aspetti formali: questo lavoro è così servito a ripassare il lessico specialistico

(versi liberi, rime, assonanze, enjambement…), oltre che a precisare il significato di

quella particolare poesia. La stessa attività è stata ripetuta con la seconda poesia, di

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Corrado Govoni, letta e analizzata da una ragazza, benché non sia stato possibile

portarla a termine per il suono della campanella (la mezz’ora prevista si è infatti

rivelata un’intera unità oraria di cinquanta minuti). Penso che questa lezione, così

improvvisata, sia stata comunque utile, per affrontare le paure di essere di fronte a

una classe e di sentirsi impreparati; visto che non conoscevo bene le loro conoscenze

e capacità né avevo pronta io una spiegazione da fornire, ho cercato di partire dagli

alunni e da quello che loro stessi potevano dare, operazione che credo indispensabile

per qualsiasi iniziativa di insegnamento/apprendimento. Loro si sono mostrati

abbastanza attivi e coinvolti, tranne alcuni che hanno chiacchierato spesso con i

vicini di banco e che ho richiamato un paio di volte, esortandoli a non disturbare. I

ragazzi si sono inoltre, ancora una volta, mostrati incuriositi dalla mia figura di

tirocinante, che non conoscevano, e hanno approfittato dell’occasione per rivolgermi

qualche domanda su di me o sul motivo per cui ero lì.

In terza **: un percorso didattico dal pensiero alla realtà

Nel corso del mese di aprile, ho svolto nella classe III ** una unità didattica

di Storia che aveva per tema la guerra fredda. L’IA mi ha affidato la spiegazione

generale dell’argomento, mentre si è riservata l’approfondimento di alcuni temi

all’interno delle ore in cui io non potevo essere presente in classe, in vista della

verifica scritta che era già stata preparata in collaborazione con l’insegnante di Storia

di III *. Per preparare la spiegazione e calcolare i tempi, ho steso un breve schema di

percorso didattico. Gli obiettivi che mi ponevo erano:

conoscere i contendenti e le principali fasi della guerra fredda

saper individuare le principali differenze dei sistemi USA-URSS

saper distinguere i principali mezzi di controllo sulle rispettive aree di influenza

(politici, militari, economici…)

saper inserire eventi locali nel contesto globale della guerra fredda

saper interpretare e commentare testi riguardanti il periodo della guerra fredda.

Avevo previsto che il percorso da me gestito, senza gli approfondimenti della

docente né la verifica finale, si strutturasse come segue:

1. Lezione frontale: le conseguenze della seconda guerra mondiale; l’inizio dei

contrasti USA-URSS e della divisione in due blocchi (conferenze di Jalta, Potsdam,

Parigi; discorso di Churchill sulla “cortina di ferro”); la divisione dell’Europa (aiuti

economici e dominio politico; divisione della Germania e di Berlino);

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2. Lezione frontale: i due blocchi (dottrina Truman e strategia del contenimento;

Piano Marshall; Patto Atlantico e Patto di Varsavia); società dei consumi e società

comunista;

3. Interrogazioni; lezione frontale: dalla guerra di Corea alla distensione; lettura e

confronto di parti di discorsi di N. Krusciov e J.F. Kennedy;

4. Interrogazioni; una figura di pace: Giovanni XXIII: lettura di parte dell’enciclica

Pacem in terris.

Le quattro tappe dovevano occupare una unità oraria ciascuna, benché mi

rendessi conto che le due lezioni centrali erano particolarmente ricche e articolate.

La docente mi ha dato completa libertà sul tempo da utilizzare, perciò, mentre

effettuavo il percorso, ho ritenuto opportuno spendere qualche parola in più e quindi

occupare cinque ore, dati l’interesse ma anche i dubbi che spesso gli alunni

esprimevano. Per la spiegazione, mi sono avvalsa innanzi tutto del libro di testo,

poiché anche in questo caso, come in III *, il mio obiettivo non era certo disorientare

i ragazzi con strumenti diversi dai soliti. Ho però aggiunto alcuni testi in fotocopia,

che mettessero gli alunni a diretto contatto con le fonti storiche2. In particolare,

l’ultima ora è stata interamente dedicata alla lettura di passi dell’enciclica di

Giovanni XXIII Pacem in terris, argomento cui ho dato rilevanza anche per la

rilevanza e l’attualità del tema della pace, in particolare nel periodo del mio tirocinio

in cui si erano susseguiti appelli papali (e non solo) contro ogni guerra. L’ultima

lezione ha avuto anche un ulteriore prolungamento di un’ora, poiché l’IA ha dovuto

supplire una collega: di comune accordo, abbiamo sfruttato questo tempo per

costruire, assieme agli alunni, uno schema riassuntivo dell’intero argomento; mentre

la docente effettuava un ripasso evento dopo evento, io realizzavo lo schema alla

lavagna e i ragazzi sul quaderno, rispondendo alle domande che, di volta in volta,

l’insegnante rivolgeva loro. Per questa attività abbiamo utilizzato lo schema che io

stessa mi ero preparata per aver una sintesi delle lezioni da svolgere e che è riportato

in allegato 3.

Durante tutto il percorso, ascoltando le spiegazioni i ragazzi si sono

dimostrati abbastanza silenziosi e più attivi del solito: molti mi hanno interpellato

con domande su quanto stavo spiegando per chiarire le loro perplessità. Credo che

questa partecipazione fosse in parte dovuta alla novità dell’insegnante, in parte al

mio approccio nei loro confronti: infatti, ho cercato di ravvivare la lezione frontale,

innanzi tutto non restando seduta alla cattedra ma ponendomi in piedi davanti ad

2 Vedi allegati 1 e 2.

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essa, a breve distanza dagli alunni e a volte spostandomi nell’aula mentre spiegavo,

inoltre rivolgendo qualche domanda ai ragazzi anche nel mezzo della spiegazione,

per riprendere concetti o eventi già affrontati. Ancora una volta, devo però

sottolineare come a un interesse o per lo meno a una certa curiosità dimostrata

durante la lezione non sempre corrispondesse l’impegno nello studio a casa: durante

le interrogazioni alcuni ragazzi si sono rivelati del tutto impreparati, facendomi

addirittura dubitare che avessero ascoltato le spiegazioni in classe.

Le interrogazioni, condotte insieme da me e dall’IA, si sono rivelate la parte

più difficile di questo lavoro: in particolare, mi sono dovuta scontrare con la

difficoltà di porre domande circostanziate ma non troppo vincolanti, in cui l’alunno

avesse la possibilità di esprimersi senza perdere i punti di riferimento che si era

creato sulla base del testo del libro. Devo dire però che ho provato una certa

soddisfazione personale nel poter gestire un percorso didattico e nel vedere la fiducia

che mi è stata accordata dall’IA in questa occasione come in tutte le fasi del

tirocinio: questo mi ha consentito di attuare un’esperienza completa e formativa, che

si è rivelata una palestra per la mia professione.

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PARTE SECONDA: DECLINAZIONE

DIDATTICA CON APPROFONDIMENTO

DISCIPLINARE

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ULISSE E IL VIAGGIO DELL’EROE

Destinatario e motivazione del percorso

Questo percorso didattico affronta la figura di Ulisse com’è rappresentata da

Dante nel XXVI canto dell’Inferno. Il modulo è pensato per una classe I di una

Scuola Media (Secondaria di primo grado), a latere degli insegnamenti curricolari:

credo infatti che la sua collocazione più appropriata sia all’interno di un Laboratorio

opzionale di Italiano, tendenzialmente pensato per una decina di studenti, da

svolgersi nel corso del II quadrimestre in collaborazione con l’insegnante di

Educazione artistica, al quale saranno affidati alcuni spazi-orari. A mio parere,

questo percorso è proponibile in diverse scuole, sia di provincia sia di città, a gruppi

di ragazzi che non abbiano macroscopiche difficoltà a livello di comprensione (non

sarebbe consigliabile, ad esempio, se fossero presenti alunni stranieri alle prese con

la prima alfabetizzazione). Esso è pensato in continuità con l’insegnamento

curricolare di Italiano in I Media, sia perché in Epica si affronta la figura di Ulisse in

Omero (Iliade e soprattutto Odissea), sia perché si riprende qui il tema delle funzioni

narrative, conosciute dai ragazzi tramite la riflessione sulla fiaba.

Il percorso è finalizzato a portare l’alunno a costruirsi il “suo” Ulisse,

confrontando la figura antica mitologica con la reinterpretazione dantesca, e a

confrontare se stesso con i tratti caratteriali del personaggio dantesco. Dal punto di

vista metodologico e linguistico, poi, credo che il rigore e la riflessione

indispensabili per la lettura dell’opera dantesca possano far comprendere agli alunni

cosa significhi “lavorare” su un testo, impegnandosi per capirne il senso o i sensi

nascosti, senza agire solo in superficie.

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Contenuti

Il canto XXVI dell’Inferno: la morte dal mare

Non sappiamo quanto Dante conoscesse Omero: sicuramente ben poco; forse

gli erano giunti i riassunti medievali dell’Iliade e dell’Odissea, ma, se così fu, egli

non se ne servì. Per scelta o per obbligo, Dante segue, per creare il suo personaggio,

le fonti latine che presentavano l’eroe greco3: egli conosce il giudizio positivo che

tramandano Cicerone4, Orazio5 e Seneca6 e non può certo prescindere dal “suo”

Virgilio, che in Aen. II 164 definiva Ulisse scelerum inventor, il che certo incide

sulla sua condanna come consigliere fraudolento. E molto avranno giocato sulla sua

immaginazione i commenti di Servio a Virgilio, Aen. II 44, dove il commentatore

parla della morte dell’eroe che sarebbe avvenuta in modo avventuroso sul mare,

lontano da casa (aculeo marinae beluae extintis)7, e a Aen., VI 107, dove, osservato il

parallelismo fra le cerimonie funebri di Enea per Miseno e di Ulisse per Elpenore,

postilla: quamvis fingatur in extrema Oceani parte Ulixes fuisse (“sebbene si

immagini che Ulisse sia stato nell’estrema parte dell’Oceano”, evidentemente ben al

di là delle colonne d'Ercole)8. Come si vede, Dante utilizza quell’impulso di Ulisse a

conoscere che gli era conferito da un’ormai consolidata tradizione, ma gli dà senso

nuovo, interpretandolo in chiave cristiana.

La questione della morte di Ulisse trae origine dalle oscure e ambigue parole

con cui Tiresia predice il futuro all’eroe nell’XI canto dell’Odissea e, più

precisamente, dall’accenno ad un non meglio specificato thanatos ex alos (morte dal

mare)9. La spiegazione non esclude ovviamente che il moltiplicarsi delle congetture

al riguardo dipenda dal carattere stesso di Ulisse, personaggio controverso quant’altri

mai, su cui è quindi normale si formassero le leggende più diverse ed i giudizi più

opposti. Dante, dunque, ha deciso di rispondere nella seconda parte del XXVI

3 Cfr SERIACOPI 1994, pp. 13-19, che riporta anche riferimenti testuali a Ovidio (Metam.XIV, 154ss)

4 In De fin. V 18 traduce sette versi che riguardano l’episodio delle sirene, mentre in De off.III 26 rileva come Ulisse abbia preferito i pericoli del mare, pur di conoscere, al regnare et Ithacaevivere otiose cum parentibus, cum uxore, cum filio

5 Ep. I 2 17-22: Rursus quid virtus et quid sapientia possit / utile proposuit nobis exemplarUlixen, / qui domitor Troiae multorum providus urbes / et mores hominum inspexit / latumque peraequor, / dum sibi, dum sociis reditum parat, aspera multa / pertulit, adversis rerum immersabilisundis (si noti in particolare il riecheggiamento virtus/sapientia in virtute/canoscenza)

6 Ep. ad Luc. XI 88 e De constantia sapientis II 17 Riportato in SERIACOPI 1994, p. 168 Riportato in CORTI 1993, p. 119 9 Od. XI 134-136: Morte dal mare / ti verrà, molto dolce, a uciderti vinto / da una serena

vecchiezza

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dell’Inferno alla domanda lasciata in sospeso da Servio nel commento, a lui ben

noto, dell’opera maggiore del suo maestro: dove e come è morto Ulisse? Tale infatti

suona la domanda che Virgilio, su richiesta di Dante, rivolge a lo maggior corno de

la fiamma antica:

…ma l’un di voi dica

dove, per lui, perduto a morir gissi.

(If. XXVI 83-84)

Leggende e racconti si nutrono spesso della misteriosa scomparsa del

protagonista10; la scelta di Dante di dare un finale alla storia sospesa di Ulisse

risponde ad un disegno preciso, che ha equivalenti in altri luoghi della Commedia, ad

esempio nell’episodio di Buonconte, dove ritroviamo una domanda analoga:

Qual forza o qual ventura

ti traviò sì fuor di Campaldino,

che non si seppe mai tua sepultura?

(Pg. V 91-3)

Ispirato ad una identica, esplicita passione per quello che si potrebbe definire

il “romanzesco” è anche l’episodio di Manfredi, di cui più nulla si seppe dopo la

battaglia di Benevento11. Come sottolinea Avalle, per Dante forzare i limiti

biografici di un “segreto portato nella tomba”, mettere in chiaro i dettagli di una

vicenda eccezionale (Francesca, Ugolino, Manfredi, ecc.) e soprattutto penetrare il

mistero della morte, il momento più privato ma non per questo, nella fantasia

medioevale, meno solenne ed esemplare della vita di un uomo, esprimono pur

sempre una moralità artistica e costituiscono nello stesso tempo il mezzo migliore

per mettere alla prova la verità dei suoi personaggi12. Senza nulla togliere ai “sensi

secondi”, presenti e potenti, sembra che in questi casi Dante abbia voluto innanzi

tutto occuparsi della “materia” del racconto, certo frutto di mirabile invenzione13 ma

tutta costruita seguendo un “motivo”, in particolare una tradizione che si ritrova nel

folklore e quindi rintracciabile in altre opere medievali.

10 AVALLE 1975, p. 3611 Nel terzo canto del Purgatorio Manfredi narra di essere morto in grazia di Dio e che le sue

ossa vennero sparse per ordine del vescovo di Cosenza. 12 AVALLE 1975, p. 36-3713 D’altra parte, vedremo poi che non di sola invenzione si tratta.

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Il canto XXVI: il motivo folklorico e le funzioni narrative

L’episodio dantesco di Ulisse è costruito dunque su elementi folklorici ben

chiari, che sono stati messi in luce da AVALLE 1975 (pp. 33-63), che seguirò per

lungo tratto in questa analisi. Il critico rintraccia nella vicenda diversi elementi fissi

(funzioni) i quali, posti in un ordine che resta sempre invariato, segnalano la

ricorrenza di un “motivo”: si possono così confrontare tra loro diversi intrecci, sulla

scia di quanto ha fatto Propp per le fiabe russe di magia14. Del racconto di Ulisse

potremmo dare, in termini di motivo folklorico, la seguente definizione: l’eroe, o

protagonista, alla fine di una carriera avventurosa decide di tentare l’inchiesta

suprema che lo porterà ad infrangere i limiti posti dalla natura alle possibilità umane,

tentativo che sarà causa della sua morte. I personaggi che prendono parte a questo

tipo di intreccio sono, oltre all’eroe-protagonista, uno o più compagni dell’eroe e uno

o più antagonisti. Questi personaggi, come nelle fiabe, sono coinvolti in una vicenda

che, nel caso dell’“inchiesta suprema”, può essere divisa secondo le seguenti quattro

funzioni:

14 Con le parole di Avalle: Come già osservato da Propp, la composizione di una certa“classe” di racconti si definisce per sua essenza come un sistema complesso formato di elementi fissio “funzioni”, posti in un certo ordine. La mancanza o l’addizione di alcuni elementi fissi in un ampiocomplesso strutturale non incide sulla eventuale omogeneità di due o più “intrecci” (AVALLE 1975,p. 41)

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1. L’eroe decide di partire per l’inchiesta pericolosa (allontanamento);

2. L’eroe comunica questa sua decisione ai compagni con un discorso nel quale

elenca i motivi che lo spingono all’alta impresa (allocuzione);

3. L’eroe e i compagni oltrepassano la frontiera del “paese sconosciuto”, che dai

particolari che seguono risulterà essere il paese da cui nessuno torna vivo

(infrazione);

4. L’eroe e i suoi compagni muoiono in seguito alla loro temeraria impresa

(punizione).

Questo tipo di intreccio è comune alla storia di Ulisse e ad altri racconti

medievali quali, in particolare, i romanzi dei cavalieri della Tavola Rotonda e, ancor

di più, le storie del ciclo di Alessandro15. Come si può facilmente notare, nella

vicenda di Ulisse l’eroe è un avventuriero, altrove un conquistatore (romanzi di

Alessandro) o un guerriero (romanzi del ciclo arturiano), che non sempre procede

accompagnato da alcuni compagni; sempre presente è invece l’antagonista, che può

essere però incarnato da diverse entità e forze: la natura, dio stesso (nel caso di

Ulisse è il turbo, ovvero la forza della natura, o, più lontano, quell’altrui che ha dato

il suo placet al naufragio) oppure mostri, apparizioni, tabù vari, come nei romanzi

del ciclo arturiano.

Le ragioni per cui l’eroe compie l’ultima impresa sono esposte

nell’allocuzione ai compagni: da una parte c’è il desiderio di un’affermazione

puramente umana (seguir virtute), dall’altra la sete di sapere (canoscenza). Questi

stessi motivi si trovano in numerosi romanzi, unitamente ad altri dello stesso tenore

quali la ricerca della gloria, la volontà di conquista, il desiderio di perfezionamento

morale, l’aspirazione ad una esperienza iniziatica…16 Rimando a un paragrafo

successivo la riflessione sulle motivazioni che spingono Ulisse, dette con parole che

richiamano Aristotele.

Perché, poi, possa avvenire la terza funzione, ovvero l’infrazione, deve essere

presente una frontiera del “paese sconosciuto”, da non oltrepassare. Secondo Avalle

tale confine è rappresentato nel canto di Ulisse dallo stretto di Gibilterra con le sue

colonne d’Ercole, che si ritrovano, nella loro versione orientale, nel ciclo di

Alessandro. Tale frontiera presenta pericoli di ogni genere, che nessuno supera per

tornare indietro vivo; ciò è esplicitamente detto all’inizio del Purgatorio, quando

15 In particolare Avalle si riferisce all’Alexandreis di Gautier de Châtillon, che riprende,innovando profondamente, le Historia Alexandri Magni del latino Q. Curzio Rufo.

16 AVALLE 1975, p. 43

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Dante, con la guida di Virgilio ma, soprattutto, seguendo il disegno della

Provvidenza divina, è giunto al luogo che Ulisse aveva solo potuto intravvedere:

Venimmo poi in sul lito diserto,

che mai non vide navicar sue acque

omo, che di tornar sia poscia esperto.

(Pg I 130-32)

Tale divieto di passare le colonne d’Ercole, cui Dante accenna espressamente

tramite le parole di Ulisse (acciò che l’uom più oltre non si metta, If. XXVI 109),

non è da interpretarsi come una precisa e conosciuta legge divina, la cui

trasgressione comporti l’entrata in una condizione peccaminosa di superbia: si tratta,

più probabilmente, di impossibilità per l’uomo di accedere da vivo al Paradiso

terrestre, posto agli antipodi17. Ciò è confermato dai commentatori antichi, che non

vedono nell’azione di passare i riguardi posti da Ercole nessun atto di ribellione o di

infrazione a un divieto sacro, bensì un atto temerario e pericoloso18. Il fatto stesso

che Ulisse navighi per ben cinque mesi (Cinque volte racceso e tante casso / lo lume

era di sotto da la luna, / poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo, vv. 130-132) al di là

delle colonne, senza incontrare ostacoli, sembra in effetti indicare che il reale

“blocco” dell’esperienza fosse connesso con la montagna del Purgatorio, dove a

nessun mortale era consentito giungere prima della venuta di Cristo e, comunque, al

di fuori dei disegni provvidenziali.

Prima di riprendere l’analisi della struttura, accenniamo ancora alle

osservazioni fatte al riguardo da Maria Corti, che ha esaminato la tradizione

geografica e letteraria sulle colonne d’Ercole19, la quale, risalendo a scrittori classici

quali Pindaro, Strabone e Pomponio Mela e passando per Isidoro di Siviglia, risulta

molto più antica di quella che riguarda il divieto di oltrepassarle. Gli autori citati,

infatti, non accennano ad alcuna proibizione, mentre è descritto, soprattutto in epoca

greca e romana, un gran via vai nello Stretto; la tradizione del divieto di

attraversamento apparirebbe invece dalle testimonianze fino ad oggi pervenute di

origine arabo-castigliana, di cui Dante forse aveva conoscenza.

17 Questa l’opinione, tra gli altri, di BOSCO-REGGIO 1988, p. 38018 Così SERIACOPI 1994, p. 30, il quale sottolinea che tutti i commentatori antichi che si sono soffermati su questi passi hanno posto in rilievo il pericolo dell’impresa, la temerarietà dell’eroe, l’inivitabile e naturale fine di uno slancio che, per l’esito, si rivela stolto e insensato. Niente cenni ad atti di superbia, a consapevoli sfide o a moti di ribellione

19 Legate, alle origini, a un tempio ivi dedicato a Ercole e ornato di colonne fenicie

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Torniamo alle funzioni narrative: la quarta e definitiva, quella della morte

dell’eroe, presenta, come emerge dallo studio di Avalle, numerose varianti, tra le

quali Dante sceglie la soluzione estrema, implicitamente suggeritagli, forse, da quella

“morte dal mare” profetizzata da Tiresia. Soluzione non diversa, anche se in via del

tutto eccezionale, si trova in alcuni racconti del ciclo arturiano; ancor di più

sembrano significative le affinità con l’Alexandreis di Gautier de Châtillon, che lega

direttamente ed esplicitamente la morte dell’eroe ai suoi piani di conquista

dell’Oceano, trasformando la Natura di cui Alessandro intende infrangere le leggi in

una dea gelosa delle proprie prerogative e pronta a vendicare le offese di chiunque

osi svelarne i segreti. Anche Alessandro, dunque, non vuol lasciare nulla di intentato,

di non “sperimentato”, alla pari di quanto Dante dice di Ulisse, ma la vendetta di

Natura per aver osato solcare le onde dell’oceano non si farà attendere.

Concludendo, si può dire che sia per Gautier de Châtillon sia per Dante vale

lo stesso schema (pattern), che proviene senza dubbio da una più antica tradizione

letteraria, che si può rifare addirittura alla ben nota opposizione hybris-némesis

(dismisura-giusta vendetta), propria di non pochi miti dell’antichità classica.

Tuttavia – e sono parole di Avalle – la genericità del “motivo” non ci deve far

dimenticare quanto vi è di specifico nella struttura o “intreccio” del racconto […]

Si dovrà pensare che anche egli [Dante] si sia servito di quel modulo e schema

compositivo (pattern), innovando liberamente al livello dell’intreccio. Sotto questo

rispetto i rapporti speciali qui stabiliti tra Gautier e Dante valgono solo a meglio

chiarire, proprio in virtù di quelle particolarissime analogie, la dinamica

compositiva del racconto, attraverso quali processi insomma e con quali materiali

Dante sia pervenuto ad ideare o, meglio, a costruire in quel certo modo la

narrazione dell’ultimo viaggio di Ulisse20. L’analisi valga, insomma, anche per

capire in cosa Dante è grande e unico.

20 AVALLE 1975, p. 54-55

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La partenza (vv. 90-102)

Analizziamo più da vicino il racconto di Ulisse. Il primo punto su cui

l’attenzione del lettore si ferma è forse laddove Ulisse narra dell’abbandono degli

affetti famigliari:

né dolcezza di figlio, né la pieta

del vecchio padre, né ’l debito amore

lo qual dovea Penelopè far lieta,

vincer potero dentro a me l’ardore

ch’i’ebbi a divenir del mondo esperto

e de li vizi umani e del valore

(If XXVI 94-99)

Come sottolineato da Fiorenzo Forti21, quasi tutti gli antichi commentatori

considerano giustamente queste parole come l’espressione del dominio di sé, della

stoica sopportazione della necessità di abbandonare gli affetti privati di fronte a un

dovere sentito come più grande per l’uomo. Questo ha grande rilievo anche dal punto

di vista della biografia dello stesso Dante, che accettò l’esilio senza mai cedere a

offerte umilianti dei suoi avversari, nonostante ciò probabilmente causasse spiacevoli

21 FORTI 1977, pp. 170ss; si veda anche FORTI 1965, p. 508: Ulisse, pur nella sobrietà deicenni, tocca insieme l’obbligo morale di quei legami – il debito coniugale, la reverenza filiale – e lagioia di quegli affetti – dolcezza, amore – e rivela che nell’intimo suo vi fu contrasto prima dellafinale vittoria del desiderio di conoscenza

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conseguenze non solo alla sua persona, ma anche alla sua famiglia. Ulisse, colui che

tutto sopporta, assume in qualche modo su di sé anche l’esperienza dell’uomo Dante,

per il quale obbedire alla propria coscienza d’uomo può significare la rinuncia alla

dolcezza della famiglia. Peggio ancora: rendersi responsabile del dolore e della

miseria di questa22.

Il viaggio (vv. 103-111)

Ho già accennato al fatto che Dante tragga probabilmente ispirazione per

l’ultimo viaggio del “suo” Ulisse dalle fonti latine a lui note (Cicerone, Orazio,

Virgilio, Ovidio, Seneca), trascurando, per scelta o per ignoranza, i sunti dei poemi

omerici circolanti nella sua epoca. Ma cosa lo spinse a ideare un viaggio oltre le

colonne d’Ercole?

La scelta non era obbligata: se è vero che Tiresia aveva profetizzato una

“morte dal mare”, è però altrettanto vero che né in Omero né nelle fonti dantesche

succitate si parlava di Oceano. Spetta a Maria Corti il merito di aver individuato

l’esistenza di un’antica tradizione del viaggio di Ulisse oltre le colonne d’Ercole. Il

collegamento fra il mito di Ulisse e quello delle colonne d’Ercole è costituito per noi

principalmente da Strabone (circa 60 a.C. – circa 20 d.C.), che nel libro III dei

Geôgraphika scrive che sopra lo stretto di Gibilterra, nelle montagne, c’era una città

che si chiamava “Odyssea”, ovvero “città di Odisseo (Ulisse)”. Strabone prova –

soprattutto con testimonianze autoptiche di studiosi greci – che di fianco questa città

era situato un tempio dedicato alla dea Atena, la protettrice di Ulisse e, nel tempio,

come souvenir appesi alle pareti, erano conservati pezzi della nave naufragata di

Ulisse. Dunque, a detta di Strabone, veritiera era la tradizione secondo la quale l’eroe

omerico sarebbe giunto, in un viaggio, nell’area atlantica della penisola iberica23. A

questa tradizione si ricollegherebbe anche il già citato commento di Servio a Aen. VI

107 quamvis fingatur in extrema Oceani parte Ulixes fuisse (“sebbene si immagini

che Ulisse sia stato nell’estrema parte dell’Oceano”). Sempre secondo la Corti, tali

testimonianze sarebbero state riprese e continuate in epoca medievale e, perciò,

quando Dante si apprestava a scrivere della sorte dell’eroe, era già iniziato

nell’immaginario collettivo il processo di interpretazione figurale del personaggio

22 BOSCO 1966, pp. 18223 Ulisse sarebbe anche il fondatore della città di Lisbona, si veda CORTI 1993, p. 115-119

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Ulisse, simbolo di quel momento eterno dello spirito umano che è la sublime

curiositas24.

L’immaginazione dantesca si muove dunque tra i materiali della tradizione,

attingendo a temi risalenti all’epoca antica preclassica (la presenza alle colonne

d’Ercole), ma anche alla cultura arabo-ispanica (il tema del divieto di oltrepassare le

dette colonne)25: tali temi non sono dovuti a pura invenzione dantesca, ma a

un’elaborazione artistica, per quanto stupenda, di motivi intertestuali intorno al tema

curiositas/morte. Ma perché Dante ha optato per una vicenda molto meno nota ai

suoi tempi rispetto a quella ufficiale, raccontata da tanti Padri della Chiesa e diffusasi

anche se l’Odissea non era direttamente nota? La motivazione è già segnalata dal

prologo che Dante antepone all’incontro con Ulisse: prima di descrivere ciò che vede

nella bolgia (e, per estensione, ciò che vi ha udito e ciò che ha provato)26, egli ci

segnala il suo particolare stato d’animo nella veste di auctor:

Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio

quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi

e più lo ’ngegno affreno ch’i’ non soglio

perché non corra che virtù nol guidi.

(If. XXVI 19-22)

In primo luogo, dunque, una profonda ragione autobiografica, qualcosa che

in Dante scatta a contatto con il personaggio Ulisse27 è alla base dell’invenzione

dantesca, per la quale il personaggio di Ulisse investe anche il poeta come individuo,

come intellettuale e come letterato; in secondo luogo, il racconto di Ulisse diventa

exemplum del fallimento di un’avventura dell’ingegno. Si può dire che Dante abbia

sentito l’esigenza di completare l’epopea di Ulisse e che l’abbia fatto ricorrendo allo

schema della quête (inchiesta), tipica del suo tempo (si vedano i romanzi del ciclo

arturiano cui si è già accennato), raccontando la tragedia di un eroe pagano (ma

soprattutto umano) che si scontra con i propri limiti28. E tali limiti sono naturali e

24 24 CORTI 1993, p. 11825 Cfr sopra; secondo la Corti risalirebbe all’epoca antica anche il percorso di viaggio di Ulisse, cheseguirebbe la “via Herákleia” (CORTI 1993, p. 121)

26 BOSCO-REGGIO 1988, p. 38127 CORTI 1993, p. 114

28 Come giustamente nota SERIACOPI 1994, p. 66, Dante non poteva trovare, nellatradizione classica, elementi sufficienti alla conoscenza della fine dell’eroe; e sente quindi l’esigenzadi completare la l’epopea guerriera e la quête, con una narrazione che appartiene ad un altro mondoletterario: quello della tragedia; la tragedia d’un eroe pagano che si scontra con i limiti, a luisconosciuti, dell’uomo non aiutato dalla Grazia ed a cui è negato proprio ciò a cui tende con tutto se

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invalicabili, perciò devono essere accettati dall’uomo. Con Pazzaglia, possiamo dire

che Dante si mostra erede d’una tradizione classico-cristina esaltatrice delle grandi

virtù intellettuali e morali come fondamento della “beatitudo huius vitae” e dunque

come mezzo di fondazione integrale dell’uomo […] ma di queste avverte tuttavia

l’insufficienza, nel momento in cui la scoperta del trionfo del male nel mondo gli

ripropone drammaticamente il senso della Caduta e della conseguente “infermità”

dell’uomo, e dell’insufficienza della ragione, scintilla divina dell’animo, ma così

sovente disarmata davanti alla fascinazione dei sensi29.

L’orazion picciola (vv. 112-120)

Veniamo al passo centrale e certo più famoso del canto: l’allocuzione di

Ulisse ai compagni, con cui l’eroe li esorta a continuare la navigazione oltre le

colonne d’Ercole. Merita qui sottolineare le parole con cui egli si esprime o, per

meglio dire, le parole che Dante gli mette in bocca, in particolare la terzina :

Considerate la vostra semenza:

fatti non foste a viver come bruti

ma per seguir virtute e canoscenza

(If. XXVI 118-120)

Queste parole sono di Aristotele30, citato da Dante stesso all’esordio del

Convivio (I, 1): tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere. Solo il desiderio di

conoscere (e di progredire), per Dante, distingue gli uomini dai bruti, che vivono per

conservare se stessi e la loro specie, senza porsi il problema della conoscenza. Dante

– è chiaro – lo avvertiva come motore primo del suo essere: la stessa beatitudine

celeste, eterna e dunque perfetta risiede per lui nella conquista della conoscenza

assoluta, la conoscenza di Dio, Verbo e Verità31.

Il poeta porta qui alla massima tensione quel discorso poetico sulla

magnanimità che aveva iniziato già nel canto II, descrivendo una crisi della propria

magnanimità:

stesso: la conoscenza assoluta 29 PAZZAGLIA 1989, p. 97

30 Cfr. l’ Etica Nicomachea: da lì derivano sia il paragone con l’animal brutum, sia il suggerimentodella operatio boni e della cognito veri.

31 Cfr. BOSCO-REGGIO 1988, p. 379

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Ma io, perché venirvi? O chi ’l concede?

Io non Enea, io non Paulo sono;

me degno a ciò né io né altri ’l crede.

(If. II 31-33)

Fin dal canto II erano dunque cominciati i moniti all’umanità, quelle

affermazioni della necessità della Grazia che costituiscono uno degli assi portanti del

poema. E l’introduzione dell’orazion picciola di Ulisse riprende proprio le parole

che l’Enea virgiliano, sopra nominato, rivolge ai compagni32; ma l’eroe troiano può

può assicurare ai compagni l’arrivo prossimo e certo al Lazio, mentre quello

dantesco non può promettere alcun vantaggio, né prossimo né sicuro. Lo stesso si

può notare per Teucro nell’Ode VII del primo libro di Orazio, dove egli può

ricordare che Apollo gli ha promesso con certezza una nuova patria, una nuova

Salamina33. Altro è proseguire il cammino verso una meta nota, altro è avviarsi verso

l’ignoto; cercare di acquistare esperienza di un mondo non solo sconosciuto, ma

sanza gente, disabitato, è ben diverso dal tentare di giungere a una terra non troppo

lontana, dove il lungo lottare avrà termine e i rischi evitati e i danni sofferti avranno

compenso. Enea e Teucro posson dar animo ai compagni dicendo: “Avete sopportato

mali peggiori” (passi graviora, peioraque passi), ma non è così per Ulisse, il quale

non è in grado di prevedere se i futuri perigli non saranno maggiori dei cento milia

già superati.

Il fine proposto dal suo discorso è totalmente innovativo: è l’invito ad

indagare, per pura passione speculativa, ciò che è “al di là” delle comuni conoscenze;

è l’esortazione a coronare la limitata esistenza umana con la conoscenza di ciò che

trascende i nostri limiti. Il tono diviene allora più alto e più solenne possibile, adatto

ad infiammare l’animo al raggiungimento del nostro fine ultimo, del completamento

della nostra esistenza, con uno slancio che sconfinerà in un eccesso.

Il folle volo e il naufragio (vv. 121-142)

L’ardore che ha infiammato Ulisse è diventato motivo di comunanza

profonda con i compagni; l’eroe ha trasmesso quel suo stesso eccezionale

sentimento, proprio in ogni tempo degli animi più nobili: il fine dell’uomo è

32 Aen. I 16833 Odi I VII 24ss

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perseguire la conoscenza che è felicità dello spirito. Ma proprio questa grandezza

d’animo porta in lui alle estreme e inammissibili conseguenze il grande dono della

prudenza, della magnanimità, con un’azione troppo ardimentosa, in cui si tendono a

superare i limiti naturali da cui l’uomo non può liberarsi con le proprie forze. Ora, a

posteriori, Ulisse si rende conto che il suo sublime volo è stato folle.

L’aggettivo è centrale per capire il senso dell’intero passo; come sottolinea

Bosco, quest’ultimo viaggio di Ulisse è dal poeta qualificato folle due volte: qui (v.

125) e in un passo del Paradiso (XXVII 82-83): dunque è un aggettivo che lo

caratterizza. Considerando le altre ricorrenze di questo termine e del corrispondente

sostantivo follia all’interno della Commedia, si nota che nella quasi totalità dei casi

(If II 35, VIII 91, XII 49, XIX 88; Pg I 59, XII 43, XIII 113, XX 109; Pd VII 93,

VIII 2, XIX 122, XXII 81) le due parole contengono in sé l’idea d’un eccesso, d’un

andare oltre il lecito non tenendo conto di limiti o divieti, d’una troppo grande

fiducia in se stessi34. Follia è per Dante un traboccare della magnanimità in eccesso,

un esporsi a grandi insuperabili pericoli: qualcosa che nasce da virtù, ma non è più

virtù perché dalla medietà trapassa in eccesso35. In particolare, si consideri che

“follia” è per Dante (Pd VII 93) il peccato di Adamo, che altrove in Pd XXVI 115-

117 si dice consistere nel trapassar del segno, cioè nel non curare i limiti che Dio ha

posto alla natura umana.

Ma c’è un altro viaggio che il poeta qualifica “folle” in due luoghi diversi (If

II 35, VIII 90-91): il suo stesso viaggio ultraterreno36. Ai vv. 34-35 del secondo canto

dell’Inferno, continuando il discorso poco fa riportato, Dante dice:

Per che, se del venire io m’abbandono,

temo che la venuta non sia folle

a cui Virgilio – la cui ombra è definita, al v. 44, di magnanimo, proprio per

contrasto alla viltate del verso successivo – risponde accusando Dante di

pusillanimità. Nel secondo dei passi citati, collocato nel canto VIII dell’Inferno, il

concetto di “follia” coincide con quello di “ardimento”: sono i diavoli custodi della

città di Dite a rivolgersi a Dante e Virgilio, con queste parole:

34 I passi sono indicati da BOSCO-REGGIO 1988, p. 37935 FORTI 1965, p. 515

36 Con le parole di FORTI 1965, p. 513: Folle e follia, anche se non sempre indicano un peccatosupremo, tuttavia significano costantemente qualcosa di colpevole perché non misurato. Sotto questoaspetto il riscontro più significativo è certo quello che riguarda il dubbio del poeta al momento diintraprendere il suo viaggio nell’oltretomba

37

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…sì ardito intrò per questo regno.

Sol si ritorni per la folle strada.

(If VIII 90-91)

Folle sarebbe stato quel viaggio se Dante lo avesse tentato fidando nelle sue

sole forze; egli si decide definitivamente ad effettuarlo solo quando Virgilio gli

conferma l’esistenza della Grazia. La differenza tra Dante e Ulisse consiste dunque

in questo: il viaggio di Dante, cristiano animato più che ogni altro dalla speranza, è

voluto da Dio perché sia di exemplum al mondo. Dante è un pellegrino, Ulisse è un

esploratore: non a caso nel suo pellegrinaggio Dante ha sempre una guida, mentre a

guidare Ulisse sono solo il carattere intrepido e l’audacia. Occorre precisare che, in

realtà, nei confronti della “follia” di Ulisse non tutta la critica è concorde: c’è chi

considera i riguardi come simbolo di un preciso divieto divino, potendo Ercole

essere cristianamente inteso come messaggero e strumento del volere di Dio, e pensa

che Ulisse abbia conoscenza di infrangere dei “limiti”; egli sarebbe allora un superbo

ribelle paragonabile a Lucifero, e folle un aggettivo usato con profondo significato

religioso: ci troveremmo di fronte ad un nuovo atto sacrilego, ben peggiore di quelli

elencati da Virgilio nella presentazione del personaggio37, e sarebbe questo il vero

peccato di Ulisse.38 Ma, come sottolinea Bosco, il peccato consiste in un eccesso di

magnanimità, col quale l’indubbia ammirazione che Dante ha per il suo

personaggio è compatibile, mentre non lo sarebbe con un altro peccato39. L’eroe

greco è un uomo che da una parte vuol compiere sino in fondo il più alto dovere

umano, conquistando un’integrale conoscenza; dall’altra, esaltandosi in se stesso,

ignora o dimentica che Dio ha posto invalicabili limiti a questa stessa possibilità

umana di conoscenza40. Tutto ciò è confermato dai versi, già citati, coi quali Dante

introduce la descrizione della bolgia in cui sta per incontrare Ulisse:

Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio37 …e dentro da la lor fiamma si geme / l’agguato del caval… / Piangevisi entro l’arte per

che, morta, / Deidamìa ancor si duol d’Achille / e del Palladio pena vi si porta (If XXVI 58-63)38 Per una rassegna dei critici che condividono quest’opinione si veda SERIACOPI 1994, pp.

95-9739 BOSCO-REGGIO 1988, p. 380

40 Cfr SERIACOPI 1994, p. 109: Tutto ciò non tiene conto dell’impossibilità di Ulisse di conoscerechi sia l’altrui e quali siano le sue leggi; anzi, proprio del magnanimo è il suo placido riconoscernela potenza superiore, senza rabbia o ribellione (non come Capaneo, non come Vanni Fucci). È veroche Ulisse è tutto affidato all’umano: ma non può completare il suo iter di purificazione che glidonerebbe la libertà morale che concede l’ingresso al monte Eden non per libera scelta. Egli segue ilnobile impulso e si scontra con l’inadeguatezza dei mezzi e dei tempi: qui sta la tragedia, che ètragedia basata sul tema della predestinazione

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quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi

e più lo ’ngegno affreno ch’i’ non soglio

perché non corra che virtù nol guidi.

(If. XXVI 19-22)

Dice Dante che nel ricordare, ora che scrive, quel che vide allora, quando

visitò la bolgia, raddoppia la sua vigilanza su sé stesso, frena il suo ingegno più di

quel che non sia solito fare, perché non corra troppo, come la nave di Ulisse nel suo

folle volo, ma sia costantemente guidato da virtù: pena, il togliere a se stesso la

salvezza eterna. Certo, qui Dante dice ciò ch’io vidi e ciò che, letteralmente, vide è la

punizione dei consiglieri di frode, cioè di coloro che hanno usato l’ingegno e

l’astuzia per ingannare; ma si può obiettare a questa interpretazione ristretta che il

vidi può intendersi estensivamente e riferirsi a tutta l’esperienza di Dante nella

bolgia, la quale comprende anche quanto ascolta da Ulisse: si tratta, comunque, di un

monito all’umiltà, a non spingere la propria magnanimità e sete di conoscenza oltre

inviolabili limiti; quanto più l’uomo è alto, tanto più è grave per lui il pericolo di

prevaricare, tanto più, perciò, egli deve stare all’erta. Il volo di Ulisse è dunque folle

perché volto a un fine impossibile ma non è, nello stesso tempo, “empio” perché egli

ignorava il lume della Rivelazione: la follia di quell’avventura non le sottrae, perciò,

la partecipazione ammirata di Dante41.

Ulisse, in un certo senso, è prefigurazione di Dante; volendo agire solo per sé,

non metterà, come sarà invece per il cristiano, le sue capacità al servizio del

Creatore. Non solo i due viaggi sono paragonabili in quanto entrambi conducono a

un’area inesplorata e inesplorabile dagli uomini senza un superiore beneplacito, ma il

confronto avviene sempre con segno invertito, il che mette in rilievo il valore

allegorico dei due eventi, il folle volo e naufragio di Ulisse contro la salvezza nei

cieli del pellegrino Dante42. Il naufragio è, dunque, la logica conclusione di un

viaggio a fine egoistico e la frase conclusiva di Ulisse infin che ’l mar fu sovra noi

richiuso sembra, nella sua semplice solennità, riflettere la restaurazione dell’ordine

contro cui era andata a infrangersi la sua temeraria ansia di conoscere.

41 GETTO 1947, p. 181: peccato ci sarebbe per l’uomo solo nel ritenersi onnisciente, non già nelvoler conoscere sempre di più: così come, su un piano diverso, è voluto da Dio che l’uomo siamortale e, nello stesso tempo, è stabilito da Dio l’istinto di conservazione. E il peccato non consistenel voler vivere (peccato sarebbe il contrario) ma nel credersi e nel voler essere eterni. Per questo,Ulisse non pecca e non è punito, anzi segue una legge nobilissima della natura umana.

42 CORTI 1993, p. 142

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Prerequisiti

Conoscere la figura di Odisseo/Ulisse così come appare dai poemi omerici, per averne

letto e analizzato alcuni brani nell’ambito dell’insegnamento di Epica, sottolineando

i caratteri fondamentali dell’eroe

Saper analizzare un testo, in maniera guidata, secondo le funzioni di Propp relative alla

fiaba

Saper dividere un brano narrativo in sequenze e saperne ricostruire il contenuto in

modo ordinato e schematico

Essere disponibili a confrontarsi con un testo letterario-antologico, cercando di trarne

spunti di riflessione per la propria vita

Obiettivi

FORMATIVI:

40

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Riflettere sulla sete di conoscenza insita nell’uomo, ripensando alla propria

esperienza personale, scolastica e non

Confrontarsi, senza perdersi d’animo, con la “fatica” di leggere un testo

letterario per scoprirne il messaggio

CONOSCENZE:

Ricostruire le tappe del viaggio dell’Ulisse dantesco

Conoscere i caratteri del personaggio creato da Dante

COMPETENZE (tratte dagli O.S.A. riportati nelle Indicazioni Ministeriali):

Comprendere ed interpretare in forma guidata un testo letterario, attivando

le seguenti abilità:

o individuare informazioni

o riconoscere i principali elementi della struttura

o ricavare le caratteristiche dei personaggi

o comprendere le principali intenzioni comunicative dell’autore

Sostenere, attraverso il parlato parzialmente pianificato, interazioni con i

compagni e l’insegnante e semplici dialoghi programmati, parlando di sé e dei propri

interessi

Produrre testi scritti adeguati a uno scopo

Strumenti

Testo di Dante, Inferno, XXVI 90-142 in fotocopia

Carta geografica del bacino del Mediterraneo

Materiale da disegno

Percorso di ricerca

Lo svolgimento del modulo è previsto nel corso del II quadrimestre, un’ora

alla settimana, per un totale di 15 lezioni di un’ora ciascuna, secondo le seguenti

tappe:

1) Racconto da parte dell’insegnante (lezione frontale):

a) Dante e il suo viaggio nell’Oltretomba

b) l’ottava bolgia: il paesaggio e la punizione dei consiglieri di frode

41

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c) perché Ulisse è nell’ottava bolgia (tranello del cavallo di Troia); la fiamma

biforcuta di Ulisse e Diomede

L’insegnante insiste in modo particolare sullo spettacolo suggestivo delle

fiammelle, paragonate da Dante alle lucciole che illuminano la campagna estiva. I ra-

gazzi sono incaricati, per la settimana seguente, di realizzare un disegno che rappre-

senti la bolgia dei consiglieri fraudolenti così come se la immaginano.

2) Lezione-laboratorio: collaborazione con l’insegnante di Educazione artistica:

partendo dall’osservazione dei loro disegni, gli alunni, coordinati dagli insegnanti,

rappresentano su un cartellone il paesaggio della bolgia, facendo attenzione al punto

di vista da adottare, scegliendo la tecnica di cui avvalersi per disegnare e poi

colorare, discutendo su quali particolari mettere maggiormente in evidenza (la

duplice fiamma di Ulisse e Diomede o invece la miriade di fiammelle o, ancora,

Dante e Virgilio affascinati dallo spettacolo?)

3) Conclusione del lavoro svolto nella lezione precedente, con le medesime modalità e

ancora con l’ausilio del professore di Educazione artistica; il cartellone (che dovrà

essere piuttosto grande, dato anche il fatto che devono lavorarci tutti i ragazzi) viene

poi appeso in classe o comunque nell’aula in cui si svolge il laboratorio

4) Lettura di Dante, Inferno, XXVI (lezione frontale): l’insegnante legge i vv. 90-111,

riprendendoli poi uno per uno e facendone la parafrasi. Alla fine di ogni periodo

riassume il contenuto in maniera essenziale: obiettivo di questa e della seguente

lezione è, infatti, chiarire “cosa” Ulisse racconti a Dante riguardo il suo ultimo

viaggio

5) Lettura di Dante, Inferno, XXVI (lezione frontale): l’insegnante legge i vv. 112-142,

parafrasando e riassumendo come sopra. Particolare attenzione deve essere dedicata

alla distinzione tra il “discorso che Ulisse-dannato fa a Dante” e il “discorso che

Ulisse fa ai compagni”, perché i ragazzi comprendano i diversi tempi e destinatari

6) Analisi della struttura (lezione interattiva: l’insegnante cerca di coinvolgere i ragazzi

il più possibile, ponendo domande sul contenuto, facendo leggere direttamente il

testo di Dante…): si procede alla divisione del racconto di Ulisse in quattro

sequenze, che corrispondono ad altrettante “funzioni” simili a quelle già viste dagli

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alunni studiando la fiaba: partenza dell’eroe, allocuzione (che potrà essere

semplificata con l’uso del termine “discorso”), infrazione, punizione. Si rileggono le

rispettive parti, analizzandone il contenuto oralmente e trascrivendolo sul quaderno

in uno schema a punti come il seguente:

vv. 90-111: partenza Ulisse lascia la maga Circe, ma, invece di tornare a Itaca,

dove lo aspettano il figlio, il padre e la moglie, parte con pochi compagni e naviga

verso le colonne d’Ercole

vv. 112-120: discorso Ulisse invita i compagni a visitare il mondo senza gente

che sta al di là delle colonne d’Ercole; egli ricorda loro che sono stati creati non per

essere “bruti”, ma per conoscere

vv. 121-129: infrazione Ulisse, dopo aver convinto i compagni, supera le

colonne d’Ercole e inizia il suo “folle volo”

vv. 130-142: punizione Ulisse scorge da lontano una montagna (quella del

Purgatorio) e si rallegra, ma improvvisamente un vortice risucchia la nave con tutto

il suo equipaggio

7) Analisi della partenza (lezione interattiva): l’insegnante propone a qualche ragazzo

di riassumere a voce il contenuto della prima sequenza; si procede poi,

collettivamente, alla costruzione di schemi che aiutino la comprensione (da riportare

sul quaderno), in questo modo:

MOTIVI CHE DOVREBBERO

SPINGERE ULISSE A TORNARE A

ITACA

MOTIVI CHE SPINGONO

ULISSE A PARTIRE

vv. 94-95

dolcezza di figlio,

pieta del vecchio padre = affetto e

devozione,

debito amore = l’amore dovuto alla

moglie Penelope

vv. 97-99

l’ardore…a divenir del mondo esperto e

de li vizi umani e del valore = il

desiderio di diventare esperto del

mondo e degli uomini (dei loro difetti e

virtù)

ULISSE ABBANDONA… ULISSE E’ SEGUITO DA…vv. 94-96

il figlio, il vecchio padre, Penelopè (=

la moglie)

vv. 101-102

quella compagna picciola = pochi

compagni

8) Si analizza la seconda sequenza, cioè il “discorso nel discorso” (lezione interattiva):

Ulisse incita i compagni all’impresa, a seguir virtute e canoscenza. Questa

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esortazione costituisce anche una ripresa delle motivazioni del viaggio già date nella

prima sequenza, perciò lo schema sopra riportato viene arricchito in questo modo:

MOTIVI CHE DOVREBBERO

SPINGERE ULISSE A TORNARE A

ITACA

MOTIVI CHE SPINGONO

ULISSE A PARTIRE

vv. 94-95

dolcezza di figlio,

pieta del vecchio padre = affetto e

devozione,

debito amore = l’amore dovuto alla

moglie Penelope

vv. 97-99

l’ardore…a divenir del mondo esperto e

de li vizi umani e del valore = il

desiderio di diventare esperto del

mondo e degli uomini (dei loro difetti e

virtù)vv. 118-120

gli uomini non sono fatti per viver come

bruti ma per seguir virtute e

canoscenza

Partendo dalle più celebri parole dell’Ulisse dantesco, l’insegnante conduce

poi un dibattito sul tema del desiderio di conoscere: emergerà di certo, pur se

qualcuno tenterà di negare, come i ragazzi sentano prepotentemente questo bisogno.

Si cercherà allora di portarli a considerare quando seguano la spinta interiore a

conoscere, attraverso domande-stimolo (eventualmente scritte, perché gli alunni

riescano a fissare meglio le idee e a restituirle oralmente in maniera ordinata), ad

esempio: quali discipline o fenomeni mi incuriosiscono di più? Quali mi piace

approfondire, a scuola o autonomamente (leggendo, documentandosi in internet,

seguendo trasmissioni televisive, frequentando corsi…)? Chi o che cosa mi stimola

ad apprendere (il piacere che provo nello scoprire cose nuove, il desiderio di far

piacere alla mamma, un bel voto…)?

9) Nella prima metà dell’ora continua il dibattito iniziato nella lezione precedente, per

dar modo a tutti i ragazzi di esprimersi e confrontarsi con i compagni; nella seconda

parte, si imposta il lavoro per la lezione successiva: si ricostruisce cioè il viaggio di

Ulisse, così come lui stesso lo descrive in questa prima parte del testo che è già stata

analizzata (da Gaeta allo Stretto di Gibilterra; si faranno evidenziare ai ragazzi le

terre che Ulisse vide: Spagna, Marocco, Sardegna), seguendone le tappe su una carta

geografica. L’insegnante darà la possibilità ai ragazzi di rintracciare sul testo e poi

sulla carta i luoghi nominati dall’eroe, dando vita così a una lezione partecipata.

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10) (Lezione-laboratorio) È previsto un nuovo intervento dell’insegnante di Educazione

artistica, che proporrà ai ragazzi di realizzare un plastico che illustri il viaggio di

Ulisse, da appendere poi a una parete; per ora ci si limiterà a giungere fino alle

colonne d’Ercole, rispettando i tempi dell’analisi del testo

11) (Lezione interattiva) Per l’analisi delle due ultime sequenze, infrazione e punizione,

e per poi sintetizzare e trarre le conclusioni dell’intero lavoro, è utile ricorrere alla

schematizzazione del sistema dei personaggi, anche qui richiamando quanto già fatto

per la fiaba, come di seguito:

EROE = Ulisse; le sue caratteristiche sono: astuto orditore di trame (Dante, infatti,

lo incontra nell’VIII bolgia, dove sconta la pena a causa dell’inganno del cavallo ai

danni dei Troiani); buon parlatore (infatti convince i compagni con il suo discorso);

mosso dal desiderio di conoscere (per questo intraprende il viaggio);

ANTAGONISTA = Dio; caratteristiche: è il Dio della religione cristiana che

punisce Ulisse per aver oltrepassato dei limiti imposti dalla legge divina (ovvero le

colonne d’Ercole, che segnano il confine invalicabile del mondo abitato dagli

uomini, al di là delle quali ci sono solo l’oceano e la montagna del Purgatorio);

AIUTANTI dell’eroe = compagna picciola; i compagni di Ulisse, come lui reduci

da Troia, sono a lui fedeli (infatti non lo abbandonano neppure in un’impresa così

temeraria) e totalmente fiduciosi nel loro capitano (si lasciano convincere a seguirlo

al di là delle colonne d’Ercole).

A questo punto, la riflessione vuole concludere l’analisi di questo episodio dantesco

secondo lo schema della fiaba. Letto secondo il linguaggio universale delle funzioni

narrative, Ulisse diventa l’eroe, l’avventuriero che affronta l’ultima impresa, la

ricerca suprema, che lo porta a infrangere limiti invalicabili. Nelle fiabe, spesso si

assiste alla partenza dell’eroe, solo o con qualche compagno, alla ricerca di qualcuno

o qualcosa che alla fine, probabilmente, troverà; in questa “fiaba”, però, è l’eroe a

soccombere, assieme ai suoi aiutanti: si tratta quindi, in questo senso, di una “fiaba al

rovescio”, in cui l’antagonista è più forte e potente, è giusto e castiga chi trasgredisce

le leggi da lui stesso imposte. Ulisse vuole conoscere troppo, senza avvalersi della

guida di Dio, e perciò rovina. Ma resta pur sempre un eroe: non ha commesso una

colpa contro Dio, perché non lo conosceva, è vissuto in un tempo troppo precoce; la

sua volontà di scoprire, la sua idea di uomo come “colui che insegue virtute e

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canoscenza” non sono condannate ma anzi esaltate da Dante: l’essenza di un uomo,

la caratteristica che lo distingue dai bruti e dalle bestie, sono il desiderio e la volontà

di usare le proprie qualità e doti per conoscere il mondo e gli altri.

12) Lezione-laboratorio con l’insegnante di Educazione artistica, che prevede la

conclusione del lavoro di plastico riguardo il viaggio di Ulisse. Si lascerà spazio

all’immaginazione dei ragazzi, perché propongano come illustrare il turbo di cui

parla Dante e la montagna del Purgatorio.

13) Giunti alla fine del percorso, è bene portare i ragazzi a fare un confronto tra l’Ulisse

di Dante e il modello epico omerico, fonte primaria per il personaggio di Ulisse. Il

personaggio dantesco non corrisponde esattamente a quello greco: Dante (che, fra

l’altro, non conosceva direttamente l’Iliade e l’Odissea) tralascia alcune

caratteristiche dell’eroe classico, quali la nostalgia per la patria e la famiglia (che

anzi vengono nominate come elementi che non lo trattengono), nonché le sue doti

militari (principalmente iliadiche), mentre accentua la sua figura di viaggiatore:

Ulisse è colui che continua ininterrottamente a viaggiare, non perché sbattuto di lido

in lido dalla furia e dall’ira di Posidone, ma perché mosso da un’inesauribile sete di

conoscenza, che lo porta ad abbandonare tutto per visitare luoghi lontani e resi

inaccessibili da atavici divieti. Anche in questo caso la modalità di lezione prevede

ampia partecipazione degli alunni, sollecitati da domande dell’insegnante tese ad

indagare i diversi aspetti della personalità di Ulisse; le conclusioni del confronto

saranno riportate come al solito sul quaderno.

14) Verifica sommativa

15) L’ultimo incontro è destinato alla restituzione delle verifiche svolte e alla loro

correzione; da qui l’insegnante può prendere spunto per un dibattito in cui chiedere

ai ragazzi un parere e un giudizio sul laboratorio frequentato, sulle sue modalità di

conduzione, sull’argomento affrontato. Anche l’insegnante esporrà le proprie

osservazioni sul lavoro svolto insieme agli studenti.

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Verifica e valutazione

Può suonare strana la presenza di verifiche all’interno di un’attività opzionale

pensata come laboratorio. Dal momento, però, che la cosiddetta Riforma Moratti

prevede che questo tipo di attività rientri a tutti gli effetti nel piano educativo-

didattico della scuola e in quello formativo dello studente, indicando la necessità di

una valutazione, non si può prescindere dal segnalare in che modo possa appunto

avvenire tale valutazione.

Per la verifica in itinere sono previste le seguenti modalità:

interventi spontanei degli alunni o sollecitati dall’insegnante, in particolare nei

“dibattiti” delle lezioni 8-9-13 (valutazione della produzione orale, della

partecipazione, della capacità di ascolto e confronto con i compagni)

impegno e partecipazione alle attività (grado di attenzione in classe, pertinenza

degli interventi, ordine e completezza dei lavori sul quaderno e dei lavori di

Educazione artistica)

La verifica finale (sommativa) è costituita, invece, dai seguenti esercizi:

1. Leggi questi versi tratti dal canto XXVI dell’Inferno, poi rispondi:103

106

109

L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,

fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,

e l’altre che quel mare intorno bagna.

Io e’ compagni eravam vecchi e tardi

quando venimmo a quella foce stretta

dov’Ercule segnò li suoi riguardi

acciò che l’uom più oltre non si metta

a. Chi sta parlando? Con chi?

b. Qual è il contenuto generale del passo sopra riportato? Riassumilo.

c. Perché viene nominato Ercole?

d. Cosa significano i seguenti termini nel testo di Dante?

v. 103

lito:____________________________________________________________

v.106

tardi:___________________________________________________________

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v. 109: acciò

che:______________________________________________________

2. Riassumi in maniera ordinata i quattro momenti (sequenze) in cui si può dividere il

racconto di Ulisse.

3. Qui sotto sono elencate alcune qualità di Ulisse: attribuiscile al personaggio creato

da Omero o a quello di Dante oppure a entrambi:

OMERO

Abilità nel parlare

Grandi doti in

combattimento

Desiderio di conoscere

Nostalgia della patria

Volontà di andare oltre i

limiti

Abilità di tessere inganni

DANTE

4. Immagina di essere un novello Ulisse: scrivi un breve discorso o una lettera con cui

cerchi di convincere qualche tuo amico/a ad affrontare una nuova conoscenza

(esempi: è arrivato un nuovo compagno; dovete studiare una materia difficile; il tuo

amico deve trasferirsi in un’altra città o in un’altra scuola dove non conosce

nessuno).

Negli esercizi 1-2-3 verrà valutato solo il contenuto (capacità di

comprensione e analisi), nel numero 4 anche la produzione scritta (organizzazione

logica e morfosintattica, punteggiatura, lessico, ortografia).

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Bibliografia

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Modelli semiologici nella Commedia di Dante, Milano 1975, pp. 9-31 e 33-63

BALDI 1993

G. BALDI, S. GIUSSO, M. RAZETTI, G. ZACCARIA, Dal testo alla storia,

dalla storia al testo, I, Torino 1993

BOSCO 1966

U. BOSCO, La follia di Dante e Né dolcezza di figlio, in Dante vicino: contributi e

letture, Caltanissetta-Roma 1966, pp. 55-75 e 173-196

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Firenze 1988

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1993

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F. FORTI, Ulisse, in Cultura e scuola IV, 1965, 13-14, pp. 499-517

FORTI 1977

F. FORTI, “Curiositas” o fol hardement?, in Magnanimitade. Studi su un tema

dantesco, Bologna 1977, pp. 161-206

GETTO 1947

G. GETTO, La poesia dell’intelligenza, in Aspetti della poesia di Dante, Firenze

1947, pp. 181-182

PAZZAGLIA 1989

M. PAZZAGLIA, Il canto di Ulisse e le sue fonti classiche e medievali, in

L’armonia come fine. Conferenze e studi danteschi, Bologna 1989, pp. 97-134

SERIACOPI 1994

M. SERIACOPI, All’estremo della prudentia. L’Ulisse di Dante, Roma 1994

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ALLEGATI

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Allegato 1: fonti storiche per le lezioni di tirocinio attivo

Dal discorso di Winston Churchill tenuto a Fulton (Missouri) il 5marzo 1946:

“Da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico una cortina di ferro èscesa attraverso il continente. Dietro quella linea giacciono tutte le capitali deivecchi stati dell’Europa Centrale ed Orientale. Varsavia, Berlino, Praga,Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest e Sofia; tutte queste famose città e lepopolazioni attorno ad esse, giacciono in quella che devo chiamare sferasovietica, e sono tutte soggette, in un modo o nell'altro, non solo all’influenzasovietica ma anche a una altissima e in alcuni casi crescente forma di controlloda Mosca”.

Dal Rapporto Kruscev del 1956, al XX Congresso del PCUS (PartitoComunista dell’URSS):

“Stalin non agiva con la persuasione, con le spiegazioni e la pazientecollaborazione con gli altri, ma imponendo le sue idee ed esigendo unasottomissione assoluta alla sua opinione. Chiunque si opponeva ai suoi disegnio si sforzava di far valere il proprio punto di vista e la validità della suaposizione, era destinato ad essere estromesso da ogni funzione direttiva e, inseguito, ‘liquidato’ moralmente e fisicamente (...)

Fu Stalin a formulare il concetto di ‘nemico del popolo’. Questotermine (...) rese possibile l’uso della repressione più crudele, violando tutte lenorme della legalità rivoluzionaria, contro chiunque fosse in qualunque modoin disaccordo con Stalin, contro chi fosse anche solo sospetto di intenzioniostili, contro chi avesse una cattiva reputazione”.

Dal discorso di Nikita Kruscev alle Nazioni Unite il 18 settembre 1958:

“Che cos’è la politica di coesistenza pacifica? Nella sua espressione più semplice è la rinuncia alla guerra come

mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Ma ciò non esaurisceil concetto di coesistenza pacifica. Oltre all’impegno di rinunciareall’aggressione, la coesistenza pacifica sottintende per ogni Stato l’obbligo dirispettare l’integrità territoriale e la sovranità di ogni altro Stato e di nonviolarla sotto qualsiasi forma e pretesto. Prevede inoltre la rinuncia ainterferire negli affari interni degli altri paesi per modificarne il regime, ilmodo di vita o per altri motivi. Implica, per di più, il dovere di basare irapporti economici e politici tra gli Stati sul principio dell’assolutaeguaglianza e del mutuo vantaggio. (...)

La coesistenza pacifica può e deve assumere la forma di una pacificacompetizione per il migliore soddisfacimento di tutti i bisogni degli uomini”.

Dalla lettera enciclica Pacem in terris di Sua Santità Giovanni XXIII,sulla pace fra tutte le genti nella verità, nella giustizia, nell’amore, nellalibertà

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III: RAPPORTI FRA LE COMUNITA’ POLITICHE

Disarmo59. Ci è pure doloroso costatare come nelle comunità politiche

economicamente più sviluppate si siano creati e si continuano a crearearmamenti giganteschi; come a tale scopo venga assorbita una percentualealtissima di energie spirituali e di risorse economiche; gli stessi cittadini diquelle comunità politiche siano sottoposti a sacrifici non lievi; mentre altrecomunità politiche vengono, di conseguenza, private di collaborazioniindispensabili al loro sviluppo economico e al loro progresso sociale.

Gli armamenti, come è noto, si sogliono giustificare adducendo ilmotivo che se una pace oggi è possibile, non può essere che la pace fondatasull’equilibrio delle forze. Quindi se una comunità politica si arma, le altrecomunità politiche devono tenere il passo ed armarsi esse pure. E se unacomunità politica produce armi atomiche, le altre devono pure produrre armiatomiche di potenza distruttiva pari.

60. In conseguenza gli esseri umani vivono sotto l’incubo di un uraganoche potrebbe scatenarsi ad ogni istante con una travolgenza inimmaginabile.Giacché le armi ci sono; e se è difficile persuadersi che vi siano persone capacidi assumersi la responsabilità delle distruzioni e dei dolori che una guerracauserebbe, non è escluso che un fatto imprevedibile ed incontrollabile possafar scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico. Inoltre va puretenuto presente che se anche una guerra a fondo, grazie all’efficacia deterrentedelle stesse armi, non avrà luogo, è giustificato il timore che il fatto della solacontinuazione degli esperimenti nucleari a scopi bellici possa avereconseguenze fatali per la vita sulla terra.

Per cui giustizia, saggezza ed umanità domandano che venga arrestatala corsa agli armamenti, si riducano simultaneamente e reciprocamente gliarmamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari; e si pervengafinalmente al disarmo integrato da controlli efficaci. (…)

61. Occorre però riconoscere che l’arresto agli armamenti a scopibellici, la loro effettiva riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazionesono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse ad undisarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosisinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a suavolta, che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, sisostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nellavicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essereconseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, edè della più alta utilità. (…)

63. Perciò come vicario di Gesù Cristo, Salvatore del mondo e arteficedella pace, e come interprete dell’anelito più profondo dell’intera famigliaumana, seguendo l’impulso del nostro animo, preso dall’ansia di bene per

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tutti, ci sentiamo in dovere di scongiurare gli uomini, soprattutto quelli chesono investiti di responsabilità pubbliche, a non risparmiare fatiche perimprimere alle cose un corso ragionevole ed umano.

Nelle assemblee più alte e qualificate considerino a fondo il problemadella ricomposizione pacifica dei rapporti tra le comunità politiche su pianomondiale: ricomposizione fondata sulla mutua fiducia, sulla sincerità nelletrattative, sulla fedeltà agli impegni assunti. Scrùtino il problema fino aindividuare il punto donde è possibile iniziare l’avvio verso intese leali,durature, feconde.

Da parte nostra non cesseremo di implorare le benedizioni di Dio sulleloro fatiche, affinché apportino risultati positivi.

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Allegato 2: schema del percorso delle lezioni di tirocinio

attivo

FINE II GUERRA MONDIALE

- Vittime (guerra globale)- Danni materiali- Tracollo economico- Conflitti civili (profughi)- CONSEGUENZE POLITICHE: perdità centralità europea GUERRA FREDDA

1945 Jalta (Febbraio)Potsdam (Luglio)

1946 Churchill “cortina di ferro”1947 Pace di Parigi (Febbraio);Blocco di Berlino; Piano Marshall; Cominform1949 divisione Germania

USA URSSPotenza industriale e tecnologicaDottrina Truman (del contenimento):

- Interventi in conflitti locali- Patto Atlantico e NATO

(1949)- CIA- Maccartismo

Controllo diretto su Est Europa:

- politico: Paesi satelliti- economico: Nazionalizzazione banche

e industrie Collettivizzazione terre COMECON (1949)- militare: Patto di Varsavia- civile: repressione dissenso

(dittatura)

Intervento in conflitti locali:1950-53: guerra di Corea

DISTENSIONE/DISGELO:KRUSCIOV (1953) – KENNEDY – GIOVANNI XXIII

1955 incontro USA-URSSCompetizione pacifica

Momenti di tensione:1956 Crisi d’Ungheria

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1961 Muro di Berlino1961-62 Crisi dei missili di Cuba

1963: MORTE KENNEDY – KRUSCIOVAllegato 3: testo di Inferno, XXVI

Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande che per mare e per terra batti l’ali, e per lo ’nferno tuo nome si spande! Tra li ladron trovai cinque cotali tuoi cittadini onde mi ven vergogna, e tu in grande orranza non ne sali. Ma se presso al mattin del ver si sogna, tu sentirai, di qua da picciol tempo, di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna. E se già fosse, non saria per tempo. Così foss’ ei, da che pur esser dee! ché più mi graverà, com’ più m’attempo. Noi ci partimmo, e su per le scalee che n’avea fatto iborni a scender pria, rimontò ’l duca mio e trasse mee; e proseguendo la solinga via, tra le schegge e tra ’ rocchi de lo scoglio lo piè sanza la man non si spedia. Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi, e più lo ’ngegno affreno ch’i’ non soglio, perché non corra che virtù nol guidi; sì che, se stella bona o miglior cosa m’ha dato ’l ben, ch’io stessi nol m’invidi. Quante ’l villan ch’al poggio si riposa, nel tempo che colui che ’l mondo schiara la faccia sua a noi tien meno ascosa, come la mosca cede a la zanzara, vede lucciole giù per la vallea, forse colà dov’ e’ vendemmia e ara: di tante fiamme tutta risplendea l’ottava bolgia, sì com’ io m’accorsi tosto che fui là ’ve ’l fondo parea. E qual colui che si vengiò con li orsi vide ’l carro d’Elia al dipartire, quando i cavalli al cielo erti levorsi, che nol potea sì con li occhi seguire, ch’el vedesse altro che la fiamma sola, sì come nuvoletta, in sù salire: tal si move ciascuna per la gola del fosso, ché nessuna mostra ’l furto, e ogne fiamma un peccatore invola. Io stava sovra ’l ponte a veder surto,

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sì che s’io non avessi un ronchion preso, caduto sarei giù sanz’ esser urto. E ’l duca che mi vide tanto atteso, disse: "Dentro dai fuochi son li spirti; catun si fascia di quel ch’elli è inceso". "Maestro mio", rispuos’ io, "per udirti son io più certo; ma già m’era avviso che così fosse, e già voleva dirti: chi è ’n quel foco che vien sì diviso di sopra, che par surger de la pira dov’ Eteòcle col fratel fu miso?". Rispuose a me: "Là dentro si martira Ulisse e Dïomede, e così insieme a la vendetta vanno come a l’ira; e dentro da la lor fiamma si geme l’agguato del caval che fé la porta onde uscì de’ Romani il gentil seme. Piangevisi entro l’arte per che, morta, Deïdamìa ancor si duol d’Achille, e del Palladio pena vi si porta". "S’ei posson dentro da quelle faville parlar", diss’ io, "maestro, assai ten priego e ripriego, che ’l priego vaglia mille, che non mi facci de l’attender niego fin che la fiamma cornuta qua vegna; vedi che del disio ver’ lei mi piego!". Ed elli a me: "La tua preghiera è degna di molta loda, e io però l’accetto; ma fa che la tua lingua si sostegna. Lascia parlare a me, ch’i’ ho concetto ciò che tu vuoi; ch’ei sarebbero schivi, perch’ e’ fuor greci, forse del tuo detto". Poi che la fiamma fu venuta quivi dove parve al mio duca tempo e loco, in questa forma lui parlare audivi: "O voi che siete due dentro ad un foco, s’io meritai di voi mentre ch’io vissi, s’io meritai di voi assai o poco quando nel mondo li alti versi scrissi, non vi movete; ma l’un di voi dica dove, per lui, perduto a morir gissi". Lo maggior corno de la fiamma antica cominciò a crollarsi mormorando, pur come quella cui vento affatica; indi la cima qua e là menando, come fosse la lingua che parlasse, gittò voce di fuori e disse: "Quando

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mi diparti’ da Circe, che sottrasse me più d’un anno là presso a Gaeta, prima che sì Enëa la nomasse, né dolcezza di figlio, né la pieta del vecchio padre, né ’l debito amore lo qual dovea Penelopè far lieta, vincer potero dentro a me l’ardore ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto e de li vizi umani e del valore; ma misi me per l’alto mare aperto sol con un legno e con quella compagna picciola da la qual non fui diserto. L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna, fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi, e l’altre che quel mare intorno bagna. Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi quando venimmo a quella foce stretta dov’ Ercule segnò li suoi riguardi acciò che l’uom più oltre non si metta; da la man destra mi lasciai Sibilia, da l’altra già m’avea lasciata Setta. “O frati”, dissi “che per cento milia perigli siete giunti a l’occidente, a questa tanto picciola vigilia d’i nostri sensi ch’è del rimanente non vogliate negar l’esperïenza, di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Li miei compagni fec’ io sì aguti, con questa orazion picciola, al cammino, che a pena poscia li avrei ritenuti; e volta nostra poppa nel mattino, de’ remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino. Tutte le stelle già de l’altro polo vedea la notte, e ’l nostro tanto basso, che non surgëa fuor del marin suolo. Cinque volte racceso e tante casso lo lume era di sotto da la luna, poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo, quando n’apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto quanto veduta non avëa alcuna. Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto; ché de la nova terra un turbo nacque

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e percosse del legno il primo canto. Tre volte il fé girar con tutte l’acque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù, com’ altrui piacque, infin che ’l mar fu sovra noi richiuso

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