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N. 1 MARZO 2004 LA RIVISTA DELLA DSC PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE Un seul monde Eine Welt Un solo mondo www.dsc.admin.ch Sapere è potere: una lotta per lo sviluppo Benin, una democrazia africana esemplare nel vortice di povertà e corruzione La fine dei saperi tradizionali? Intervista con un esperto boliviano

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N. 1MARZO 2004LA RIVISTA DELLA DSCPER LO SVILUPPO E LACOOPERAZIONE

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Sapere è potere: una lotta per lo sviluppoBenin, una democrazia africana esemplare nel vortice di povertà e corruzione

La fine dei saperi tradizionali? Intervista con un esperto boliviano

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Sommario

DOSSIER

DSC

ORIZZONTI

FORUM

CULTURA

Un solo mondo n. 1 / Marzo 20042

SAPERESo, dunque sono Il sapere è fondamentale nella lotta alla povertà. Da anni, la cooperazione internazionale lavora per metterlo al serviziodello sviluppo

6Senza profitto nulla si muove La pompa a pedali è un utensile d’irrigazione efficace, ma i contadini ne traggono profitto solo se esistono catene di distribuzione durature

12Quando il sapere sfama Le contadine del Ladakh si assicurano il sostentamentosolo grazie alle loro approfondite conoscenze in materiaagricola. Ora scambiano il loro sapere con colleghe svizzere

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BENIN Tra vudù, democrazia e mondializzazione Il Benin è uno dei paesi più poveri al mondo, ma è ancheuna democrazia esemplare del continente africano

16In sposa a un bruto Zaratou Aboubakar sugli orrori di un matrimonio forzato

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Promuovere e condividere il sapereWalter Fust, direttore DSC, su sapere e sviluppo

21Scuole per la pace Da mezzo secolo, la Colombia è soffocata da una sorta di guerra civile. Un progetto, sostenuto dalla DSC, prende il via in ambito scolastico

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Un dialogo permanente dei saperiL’esperto boliviano Freddy Delgado ci illustra la necessitàdi stabilire un dialogo tra i saperi, al fine di evitare ildominio di una sola cultura

26Perché non esistono battaglie inevitabili, ma solo generali impazienti Lo scrittore e giornalista onduregno Julio Escotosull’atrocità della guerra

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Immagini del mondo a Nyon Il Festival del film Visions du Réel a Nyon sta vieppiù evolvendo a crocevia mondiale di immaginicontrocorrente

30Gulag a Ginevra Un’esposizione allestita a Ginevra ci illustra gli orroridelle famigerate prigioni lager russe

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Editoriale 3Periscopio 4Dietro le quinte della DSC 25Che cos’è... advocacy? 25Servizio 33Impressum 35

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), l’agenzia dellosviluppo in seno al Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), èl’editrice di «Un solo mondo». La rivista non è una pubblicazione ufficialein senso stretto; presenta infatti anche opinioni diverse. Gli articolipertanto non esprimono sempre il punto di vista della DSC e delleautorità federali.

Prima le leggi, poi l’Europa Nel loro cammino verso l’Europa, Serbia e Montenegrodovranno procedere ad armonizzare le leggi nazionali con quelle dell’Unione

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«Il sapere è come l’orto: senza costanti cure non producenessun raccolto». Con poche semplici parole, frutto del-l’esperienza quotidiana e indicative delle strategie di so-pravvivenza, questo proverbio della Guinea ci illustra inmodo esemplare il vero significato del termine sapere. Sitratta infatti di aver cura di ciò che ci garantisce la so-pravvivenza, di assicurare lo sviluppo, di coltivare ciò checi è stato tramandato, e di aprirci alle novità.

Ma le cose non sono sempre così semplici e chiare comeappaiono agli occhi della saggezza africana. Il mondo glo-balizzato parla una lingua diversa, molto più radicale: ilgiardino si trasforma in un centro di profitto o in un liberomercato mondiale; la cura diventa spirito di competitività,gestione delle conoscenze o ricerca dei vantaggi di mer-cato; e il raccolto si presenta sotto forma di brevetti, mas-simizzazione degli utili o investimento in nuove cono-scenze.

Da tempo è chiaro che sapere è potere. Lo sanno tutti, perlo meno dall’avvento delle nuove tecnologie dell’informa-zione e della comunicazione, in particolare di Internet. Ma– una volta in più – la lotta per questo bene prezioso vienecombattuta dalle parti con premesse totalmente diverse.In termini estremi si presenta così: se con la privatizza-zione del sapere il ricco Nord si batte soprattutto per lequote di mercato e i profitti, il Sud cerca di assicurarsi in-nanzitutto un accesso minimo all’informazione, e con essoal sapere, per trovare al più presto una via che gli consentadi sottrarsi alla povertà. Ma invece di potersi concentraresu questa via, il Sud deve nel contempo proteggere il suo

sapere dalle grinfie e dallo sfruttamento del Nord: peresempio dai brevetti e dal controllo sull’albero del neem inIndia, sul riso basmati, sulla quinoa, sul fagiolo giallo inMessico, sulla curcurma o sulla kava in Melanesia. E tuttociò per non trovarsi nella situazione, assurda quanto reale,di veder proibire ai contadini, tramite i brevetti, l’impiegodi una parte del raccolto per la semina della stagione suc-cessiva.

Che le cose possano andare altrimenti, che il transfernord-sud di una volta si stia timidamente trasformando in uno scambio di conoscenze nelle due direzioni, è quantovi proponiamo di leggere nel nostro dossier sul sapere apartire da pagina 10 e nell’intervista al boliviano FreddyDelgado dell’Università di Cochabamba (v. pag. 26).Delgado è membro della comunità autoctona aymara e ciespone la sua diversa visione del fossato del sapere edella possibilità di superarlo, o meglio di colmarlo, ricor-dandoci un fatto spesso trascurato, sia qui che là, quandosi parla del sapere, un fatto che guida in particolare la vitadi molti popoli aborigeni ed è valido nel mondo oltre i con-fini dei paesi e le divisioni fra i ceti sociali: la necessità dicurare il dialogo – in particolare anche il dialogo sul sa-pere.

(Tradotto dal tedesco)

Harry Sivec Capo Media e comunicazione DSC

Coltivare ciò che ci garantiscela sopravvivenza

Un solo mondo n.1 / Marzo 2004 3

Editoriale

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Giramondo(bf ) I movimenti migratori sonoun tema che concerne quasi ogninazione del mondo – comepaese di origine, di transito o didestinazione. Nel suo rapporto«World Migration 2003»l’Organizzazione internazionaleper le migrazioni (OIM) stimache il 2,9 per cento circa dellapopolazione mondiale sia com-posto da immigrati internazio-nali. Il loro numero sarebbe pas-sato da 75 milioni nel 1965 a 175 milioni nel 2000; nel 2050saranno 230 milioni. Gran partedel movimento migratorio av-viene fra paesi del Sud. Il 40 percento circa di tutti gli immigrativive nei paesi occidentali indu-strializzati. La meta più ambitasono gli Stati Uniti, con 16,7 mi-lioni di immigrati tra il 1970 e il1995, seguiti dalla Federazionerussa (4,1 milioni, molti dei qualidal Kazakstan), dall’Arabia saudita(3,4 milioni, principalmente dalBangladesh, dalle Filippine edallo Sri Lanka) e dall’India (3,3milioni). I paesi con il maggiornumero di emigrati sono stati ilMessico (6 milioni), il Bangladeshe l’Afghanistan (4,1 milioni ca-dauno).

Acqua per la città (bf ) Che si tratti di Mumbai,Karachi, Sao Paolo, Johannesburgo New York, molte delle cittàcon milioni di abitanti dipen-dono fortemente dalle forestecircostanti per l’approvvigiona-mento di acqua potabile.Secondo una ricerca della Banca

mondiale e del Fondo mondialeper la natura (WWF), un terzodelle 105 città più popolose delpianeta si procura una percen-tuale considerevole dell’acquapotabile da foreste parzialmenteo totalmente protette. Semprepiù spesso si constata che fra ivantaggi della protezione dei bo-schi non vi è unicamente la sal-vaguardia della biodiversità, maanche della loro funzione di fontid’acqua. Secondo la ricerca, laprotezione delle foreste attornoalle zone di captazione non èoramai più un lusso ma una verae propria necessità. La presenzadi foreste significa anche che ilterritorio non può essere utiliz-zato a scopi agricoli o industriali,un ulteriore punto a favore dellafalda freatica. Una selvicolturaben amministrata regola inoltrel’erosione del suolo. Le foresteprocurano dunque alle vicinecittà acqua meno carica e inqui-nata e dunque di qualità sensibil-mente migliore.

Lotta all’evaporazione (gn) In futuro l’evaporazione del-

l’acqua verrà contrastata ingrande stile: una finissima pelli-cola di alcoli grassi sulla superfi-cie dell’acqua impedirà infattil’evaporazione dell’acqua dai ba-cini. I ricercatori studiano questotipo di molecola biodegradabileda oramai 50 anni, ma finoral’applicazione pratica era risultataimpossibile per la difficoltà didiffondere le molecole protettivesulla superficie dell’acqua.L’azienda canadese FlexibleSolutions ha aggiunto idrossidodi calcio a molecole di alcoligrassi, consentendone lo spargi-mento sull’acqua sotto forma dipolvere. Esperimenti condotti inIndia e nel Marocco hanno avutorisultati molto promettenti: l’eva-porazione è calata del 30-45 percento; su un bacino di 650 ettari,in una settimana è stato possibiletrattenere 199’000 metri cubi diacqua. Gli effetti a lungo terminedi questo metodo non sono tut-tavia noti: oggi si sa ancoratroppo poco sui possibili pro-blemi ecologici che potrebberoinsorgere impedendo l’evapora-zione dell’acqua di laghi e bacini.

Le armi che impediscono losviluppo (bf ) Armi da fuoco di piccolo ca-libro e sviluppo sono decisa-mente poco compatibili. Nelmondo le piccole armi in circo-lazione sono 639 milioni – di cuiil 59 per cento detenuto da civilicon regolare porto d’armi – e al-meno 1’134 aziende in 98 paesisi occupano della produzione di

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armi di piccolo calibro e/o mu-nizioni. «Le armi di piccolo cali-bro hanno effetti subdoli sullosviluppo: minano la sicurezza e laprotezione delle comunità, mi-nacciano la vita quotidiana e di-struggono le reti sociali. Nellamigliore delle ipotesi rallentano,nella peggiore annullano i pro-gressi effettuati con tanta faticadallo sviluppo», afferma MarkMalloch Brown del Programmadelle Nazioni Unite per lo svi-luppo (PNUD). Secondo unostudio, la maggior parte delle pic-cole armi è esportata dagli Statidell’UE (per 869 milioni di dol-

lari nel 2000), la percentuale mi-nore proviene invece dalla re-gione del Pacifico (4 milioni didollari). Fra questi due estremitroviamo il Nordamerica (692milioni di dollari), l’Europa nonUE (243 milioni di dollari), ilSudamerica (104 milioni di dol-lari), il Nordest dell’Asia (65 mi-lioni di dollari), l’Asia centrale emeridionale (51 milioni di dol-lari), il Medio oriente (35 mi-lioni di dollari), l’Africa subsa-hariana (16 milioni di dollari) e l’Asia del Sudest (8 milioni didollari).

Catastrofico (bf ) Non solo il consumo, maanche la coltivazione del tabaccosta spostandosi verso i paesi conmanodopera a basso costo: se intali regioni è cresciuta del 128per cento tra il 1975 e il 1998,nello stesso periodo è diminuitadel 31 per cento nelle nazioniricche. Oggi oltre l’80 per centodel tabacco è prodotto in paesi in via di sviluppo. «L’Africa», af-ferma Yussuf Saloojee, rappresen-tante dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS)nell’Africa meridionale, «sta di-ventando il posacenere del pia-neta». In Africa il 90 per cento

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del tabacco è coltivato nei boschidi Miombo. Lo sfruttamentodelle superfici è ancora il minoredei mali. Infatti, il vero problemaè che i contadini tagliano gli al-beri per farne legna da arderenecessaria ad essiccare il tabacco.I coltivatori di tabacco tanzanesi,ad esempio, disboscano ognianno 15’000 ettari di superficieboschiva. Nel Malawi, sulle mon-tagne di Namwere è già stato distrutto l’80 per cento delle foreste, lasciando paesaggi deso-lati, suoli salini erosi che nonospitano più alcuna vegetazionee contadini ammalati.

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La valle di Chitral è isolata dal resto del Pakistanper cinque a sei mesi l’anno a causa della neve checopre il passo del Lohari. Durante i lunghi invernile donne filano e tessono la lana delle loro pecore,una varietà di piccola taglia molto resistente alfreddo. Esse producono un tessuto colorato dallemaglie molto fitte: lo shu. Ciononostante alcunianni fa questa pratica ancestrale era minacciata d’e-stinzione.Lo shu non si vendeva più, dato che la sua qualitàera progressivamente scaduta. Grazie a un progettodi sviluppo sostenuto dalla DSC si è potuto capo-volgere questa tendenza. Le donne hanno ricevutouna formazione tesa a migliorare la qualità del lorolavoro e a rendere la commercializzazione più ef-ficace. Oggi il prezzo di vendita dello shu è rad-doppiato. La rivalorizzazione di questo sapere tra-dizionale ha consentito di aumentare il redditodelle donne, le quali hanno nel contempo visto raf-forzarsi il loro status sociale.Nei paesi del Sud le popolazioni locali dispongonodi un importante sapere «informale» trasmesso dagenerazione in generazione. Lungo l’arco deltempo hanno accumulato delle conoscenze in tuttii campi della vita quotidiana, quali l’agricoltura, lagestione dei boschi o l’artigianato. Senza dimenti-care un prezioso sapere sulle piante e le loro pro-prietà curative, che si trasmette generalmente dimadre in figlia. Per contro, non hanno ancora unaccesso sufficiente al sapere «formale», diffuso dallescuole e dalle università, né riescono a fruire delleinformazioni tecnologiche e scientifiche. Questeultime sono prodotte quasi esclusivamente neipaesi industrializzati, anche se talvolta hanno ori-gine al Sud.

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Bambini non scolarizzati Nei paesi in via di sviluppo113 milioni di bambini oltrei 6 anni d’età continuano anon frequentare la scuola.Si tratta di un bambino sucinque. Stando ai datipubblicati dalla Bancamondiale nel 2002, circa il40 per cento di questibambini non scolarizzati vi-vono nell’Africa subsahari-ana, il 40 per cento in Asiae oltre il 15 per cento nelMedio Oriente o nell’Africadel Nord. Il 60 per centosono bambine. Nella po-polazione adulta il numerodi analfabeti è stimato a600 milioni di donne e 300milioni di uomini.

Le conoscenze scientifiche e tecniche, generate essenzial-mente nei paesi industrializzati, tendono a diventare una mer-canzia commerciale. Il suo prezzo la rende difficilmente ac-cessibile ai paesi del Sud. Questa risorsa è però cruciale nellalotta contro la povertà. Da anni, la cooperazione internazionalelavora per mettere il sapere al servizio dello sviluppo. Di Jane-Lise Schneeberger.

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Corsa all’oro verde Mentre idealmente il sapere dovrebbe appartenerea tutta l’umanità, esso diventa sempre più una mer-canzia commerciale, privatizzata, sottoposta a bre-vetti o altri diritti di proprietà intellettuale. I pro-grammi informatici, per esempio, sono tutelati dalicenze che li rendono inaccessibili ai paesi poveri.Fortunatamente lo sviluppo di programmi liberifornisce un’alternativa. Per contro, per quantoconcerne la rapina delle risorse genetiche del Sudda parte delle multinazionali farmaceutiche delNord, si è lungi da una soluzione. L’inasprimentodella legislazione internazionale sulla proprietà in-tellettuale e i progressi della biotecnologia hannoprovocato una corsa di queste ditte verso tutte leforme di vita che si prestino a essere trasformate inun prodotto commercializzabile. Le ditte hannofatto brevettare sementi, piante, cereali ecc., appro-priandosi nel contempo il sapere ancestrale che viera abbinato.Questo fenomeno minaccia direttamente i mezzidi sussistenza delle comunità locali. Infatti, i bre-vetti sulle sementi possono vietare agli agricoltoridi riutilizzare una parte del loro raccolto per la se-mina dell’anno successivo. Ciò li costringe a riac-quistare ogni anno nuova semente dal detentoredel brevetto. Le piante medicinali sembrano averattratto particolarmente la bramosia dei laboratorifarmaceutici. Oltre 70 richieste di brevetti sonostate depositate per il neem, un albero utilizzato inIndia da millenni per le sue virtù insetticide, me-dicinali e cosmetiche. I ricercatori hanno pure ten-

tato di impossessarsi della quinoa, del riso basmati,del fagiolo giallo del Messico, della kava diMelanesia,della curcuma e d’altro ancora. In alcunicasi sono state intraprese azioni giudiziarie chehanno portato all’annullamento del brevetto, poi-ché il laboratorio non era stato in grado di provareche si trattasse di un’innovazione.

Una lunga tradizione A lungo bistrattato, il sapere locale è ormai inte-grato nelle strategie di sviluppo.Nei loro sforzi mi-ranti a ridurre il «divario delle conoscenze» fra idue emisferi, le agenzie di cooperazione aiutano ilSud a preservare e a tutelare le sue pratiche tradi-zionali. A prescindere dal lato finanziario, la co-operazione internazionale si è sempre fatta caricodel sapere. Infatti, negli anni ’60 era proprio statacreata con il mandato di portare assistenza tecnicaal paese in via di sviluppo. Con il passar del tempoquesto transfer a senso unico dal Nord al Sud è di-minuito, dando spazio ad altre formule meno «et-nocentriste». Le agenzie incoraggiano oggi la co-stituzione del sapere nei paesi beneficiari, inparticolare tramite lo scambio d’esperienze fraquesti paesi (v. pag. 12 e 14). Esse rafforzano l’ac-cesso al sapere con vari mezzi e sostengono la crea-zione di reti di scambio in Internet. In materia diricerca scientifica si prefiggono di sviluppare le ca-pacità e le istituzioni del Sud.A titolo d’esempio, la DSC ha finanziato dal 1991al 2002 una rete di ricerca sul miglio in Africa oc-cidentale e centrale. Basata su sistemi nazionali di

Imparare dagli altri Questa primavera la DSCorganizzerà a Berna dueincontri sulla gestione delsapere e delle competenzenel campo dello sviluppo.Per il 30 e 31 marzo invitale organizzazioni partnerdel Sud, dell’Est e delNord a «condividere» leloro esperienze per impa-rare meglio: la «Dare toShare Fair» accoglierà dai200 ai 300 partecipanti, i quali rifletteranno sui di-versi modi di capitalizzaree di condividere il sapere in seno a un’istituzione.Questo mercato del saperesarà seguito, il 2 aprile, dauna conferenza sul temadell’apprendistato trans-frontaliero. Le «organizza-zioni apprendiste» do-vranno definire in modopartecipativo quali sono iloro interessi comuni e ciòche significa per loro l’ap-prendistato. La conferenzaincentiverà lo scambio traeconomia privata e gli am-bienti politici. «Dare to Share Fair», 30-31 marzo 2004, sede dellaDSC, Ausserhollingen.«Learning across Borders»,2 aprile 2004, HotelAllegro, Berna.

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ricerca di 14 paesi saheliani, la rete si è impegnataa rivalorizzare questo cereale coltivato con mezzimolto rudimentali per l’autosussistenza. I conta-dini sono stati continuamente coinvolti nei lavoridei ricercatori e dei tecnici. Questo partenariatoha consentito di mettere a punto migliori varietàdi sementi, metodi di lotta contro i parassiti, non-ché tecnologie di trasformazione. Il sapere creatoin questo modo è stato diffuso nei vari paesi,aprendo così la via a un utilizzo semiindustriale delmiglio e alla sua commercializzazione in ambienteurbano.

Emissioni tossiche A dire il vero, il termine «sapere», molto in vogaoggi, viene impiegato in modo vagamente abusivoper parlare delle attività di sviluppo, ci fa notareManuel Flury, responsabile della gestione del sa-pere presso la DSC: «Dovremmo piuttosto parlared’informazione, visto che la nostra azione si svolgein quel campo. Badiamo insomma che l’informa-zione giunga al destinatario. Questi la metaboliz-

zerà e l’interpreterà per trasformarla in sapere».Informazioni, ecco in effetti cosa manca per esem-pio nelle regioni remote del Perù dove si trovanole miniere d’oro artigianali. Inconsapevoli deglielevati rischi per la loro salute e l’ambiente, i mi-natori trattano il minerale utilizzando del mercu-rio per amalgamare le particelle di oro.Questa tec-nica emette grandi quantità di mercurio sottoforma liquida e gassosa.Con l’appoggio della DSCi minatori sono stati sensibilizzati al pericolo rap-presentato da queste emissioni.Degli esperti li aiu-tano a realizzare delle installazioni più sicure.«L’accesso alle informazioni può permettere ai po-veri di curarsi meglio, di aumentare il loro reddito,nonché di far valere i loro diritti», rileva MarkusDüst, della Sezione Governabilità della DSC.È an-che una condizione indispensabile per partecipareai processi democratici. «Un governo che vuolesinceramente promuovere la democrazia,deve dareai cittadini i mezzi di adempiere al loro ruolo for-nendo delle informazioni trasparenti».Dovendo accompagnare un processo di decentra-

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lizzazione, la DSC attribuisce di conseguenza unparticolare interesse alla questione dell’informa-zione. In questo senso sostiene in Georgia la crea-zione di sportelli d’informazione in vari comuni. Icittadini, nonché i membri delle autorità locali,possono ottenervi dati statistici socioeconomici relativi al budget.

Diritto all’informazione Molti politici, anche se impegnati sulla via dellademocratizzazione, sono tentati di trattenere l’in-formazione e di controllare la stampa.Tuttavia, lasocietà civile reclama con crescente insistenza il di-ritto di conoscere l’azione dei governi. Nello statoindiano del Rajasthan, la lotta di una piccola orga-nizzazione rurale è stata coronata da successo.Basandosi su un decreto ufficiale, aveva chiesto alleautorità di numerosi villaggi il registro delle lorouscite, allo scopo di verificare l’utilizzo degli im-porti destinati ai progetti di sviluppo. In seguitoaveva organizzato delle audizioni pubbliche, du-rante le quali la gente dei villaggi poteva verificareil contenuto di questi conti. Ciò ha consentito difare emergere numerosi casi di frode e di sottra-zione di fondi.Simili riunioni non sono che uno dei mezzi pertrasmettere informazioni. A dipendenza delle re-gioni, queste possono passare anche tramite i vol-garizzatori agricoli, il teatro di strada, i canti po-polari, gli incontri quotidiani attorno al pozzo, enaturalmente i vari media, qualora siano disponi-bili.

«Il ruolo delle nuove tecnologie dell’informazionee della comunicazioni (TIC) rimarrà relativamentemodesto per le popolazioni rurali svantaggiate cherappresentano la nostra clientela classica», diceMarkus Dürst. Queste popolazioni non hanno in-fatti né l’infrastruttura, né le conoscenze linguisti-che richieste per utilizzare Internet, nel quale l’80per cento delle informazioni sono redatte in in-glese. Questa predominanza dell’inglese tradisced’altronde un’indicazione sull’origine del «saperemondiale». Infatti, i flussi d’informazione sonopressoché interamente alimentati dai paesi delNord, ragione per cui si rinfaccia a Internet di fa-vorire un’omogeneizzazione del sapere.Tuttavia non bisogna sottovalutare le nuove tecno-logie, aggiunge Markus Dürst.Rappresentano unostrumento essenziale per la condivisione del sa-pere. E, a condizione di combinarle con tecnolo-gie tradizionali come la radio, è possibile convo-gliare i loro contenuti fino ai contadini poveri.

Società del sapere La rivoluzione delle tecnologie dell’informazionee della comunicazione ha segnato l’avvento di unasocietà fondata sul sapere. Questo bene immate-riale è ormai considerato un fattore di crescita dalleimprese che imparano a gestirlo secondo un’arteche oggi si insegna nelle facoltà d’economia. Leagenzie di sviluppo si preoccupano anch’esse dicondividere e scambiare il sapere. Lo fanno a duelivelli. Nella loro missione di aiuto ai paesi del Sud e dell’Est fanno in modo che le popolazioni

Un cactus in aiuto degliobesi I San dell’Africa australesono riusciti a evitare chesi depredasse il loro sa-pere tradizionale. Questopopolo poverissimo ha im-posto il riconoscimento deisuoi diritti sull’hoodia, uncactus gigante che ha laproprietà di sedare la famee la sete. Da secoli, i Sanlo consumano durante leloro lunghe spedizioni dicaccia nel deserto delKalahari. Nel 1995 un or-ganismo di ricerca sudafri-cano, il CSIR, ha fatto bre-vettare il principio attivodell’hoodia e ha quindivenduto la licenza a un la-boratorio britannico, ilquale sta sviluppando unmedicinale contro l’obe-sità. Avendo per caso sen-tito nel 2001 dell’esistenzadi questo procedimento, iSan hanno affidato a unavvocato la difesa dei lorointeressi. Nel marzo 2003questi ha ottenuto la firmadi un accordo sulla condi-visione degli utili: il CSIRverserà ai San l’8 percento dei proventi sulla li-cenza e il 6 per cento delleentrate che frutterà la ven-dita non appena il prodottosarà in commercio.

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dispongano delle informazioni di cui necessitanoper uscire dalla povertà. In seno alle loro stessestrutture cercano di preservare il sapere acquisitodai collaboratori e di trarre insegnamenti dalleesperienze maturate sul terreno. Manuel Flury èincaricato di concretizzare la gestione del saperealla DSC. Gli rincresce che la moltitudine di co-noscenze generate nei progetti rimanga general-mente confinata nei rapporti interni: «Dobbiamofare la sintesi di queste esperienze, trarne dellebuone pratiche e metterle a disposizione di altri at-tori dello sviluppo tramite le reti internazionali inInternet. In questo modo ne approfitteranno nonsolo i futuri progetti della DSC, ma anche i nostripaesi partner e altri organismi di sviluppo».

Diplomi in franchising Per Michel Carton, professore all’Istituto universi-tario di studi sullo sviluppo a Ginevra, per pro-muovere lo sviluppo non è tuttavia sufficiente ac-cumulare le esperienze acquisite nei progetti.Occorre pure investire nella produzione di unnuovo sapere da parte delle università e dei centridi ricerca. «Quello utilizzato finora, originario so-prattutto del Nord, non si è dimostrato molto ef-ficace.Dobbiamo creare un sapere più adattato allerealtà locali», afferma.Le agenzie di sviluppo hanno di recente ripreso asostenere le università che negli anni ’90 avevanotrascurato per privilegiare l’insegnamento prima-rio. Questa svolta sopraggiunge mentre l’educa-zione superiore si trasforma rapidamente sotto

l’effetto della mondializzazione. L’insegnamento adistanza si sta sviluppando celermente. Le offertedi formazione in franchising si moltiplicano: uni-versità del Nord, in prevalenza anglosassoni, ven-dono a istituzioni private del Sud il diritto di dif-fondere i loro programmi e di conferire diplomimuniti del loro marchio. Michel Carton vede inquesto sistema una nuova forma di colonialismo:«Per l’istituto africano sotto franchising ciò rap-presenta una fonte di notevoli entrate poichévende a caro prezzo agli studenti pacchetti di corsiricevuti tramite Internet. Ma non sono affatto si-curo che questo sapere pronto all’uso, venuto dalNord,consenta di lottare contro la povertà. Inoltre,simili offerte costituiscono una concorrenza direttaalle università pubbliche locali». ■

(Tradotto dal francese)

Frigoriferi ecologici Aderendo nel 1992 alProtocollo di Montréal,l’India si era impegnata abandire i clorofluorocarburi(CFC) da tutti i sistemi direfrigerazione e di climatiz-zazione. Questi gas chedistruggono lo strato diozono dovevano esseresostituiti a tappe sull’arcodi 18 anni. Alcune multina-zionali americane hannoallora tentato di vendereall’India dei gas sintetici, iquali presentavano tuttaviadue inconvenienti: contri-buivano al surriscalda-mento del pianeta ederano tutelati da brevettiche avrebbero reso unaproduzione sotto licenzafuori portata a causa delprezzo. La DSC e l’agenziadi cooperazione tedescaGTZ hanno a questo puntosostenuto il transfer versol’India di un sistema ecolo-gico basato su gas natu-rali. Gli industriali indianihanno così avuto modo ditestare e di adottare que-sta tecnologia già utilizzatain Germania e di pubblicodominio. Il progetto «Ecofrig»è stato coronato da ungrande successo. Quest’an-no in India si dovrebberofabbricare ben 8 milioni difrigoriferi ecologici.

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(jls) Avvertiti dello spettacolo da un risciò munitodi altoparlanti, circa 3’000 contadini si riunisconoper assistere a una proiezione cinematografica all’a-ria aperta. La vicenda si svolge in una regione ru-rale del Bangladesh: una giovane non può sposarel’uomo del cuore perché il padre non ha i mezzi perassicurarle una dote. Finisce così nelle grinfie diuno strozzino. Ma in quel preciso istante il padresente parlare della pompa a pedali. Decide di ac-quistarne una a credito, l’installa nel suo campo, eriesce a far soldi. Ciò gli consente di offrire alla fi-glia una bella dote. Gli amanti si sposano e vivonoa lungo felici e contenti.La proiezione di film come questo ha notevol-mente contribuito alla diffusione della pompa a pe-dali in Bangladesh. Si tratta di uno dei metodi pro-mozionali impiegati da International DevelopmentEntreprises (IDE), l’organizzazione non governa-tiva che ha diffuso questa tecnologia nel paese.L’IDE ha creato una catena di distribuzione esem-plare che ha consentito di vendere 1,5 milioni dipompe dal 1984 a oggi. Nei primi anni l’IDE in-terveniva direttamente nella catena in quanto gros-

sista. In seguito ha progressivamente affidato questoruolo al settore privato, ritirandosi dalla catenasenza perturbarne il funzionamento.

Assicurare continuità alla fine del progettoNello sviluppo rurale le cose non filano tuttaviasempre così lisce. Con l’appoggio di donatori bila-terali o multilaterali le ONG creano delle catened’approvvigionamento che collegano fabbricanti,grossisti, rivenditori, installatori e consumatori. Inquesto ambito sussidiato le catene funzionanobene. Ma quando il progetto di sviluppo volge altermine, il settore privato non è spesso in grado diassicurarne la continuità. «Nel settore dell’acqua,per esempio, circa il 30 per cento dei sistemi accu-sano gravi difficoltà sotto il profilo della durevo-lezza», rileva François Münger, senior water advisorpresso la DSC. «Persino un’eccellente tecnologia èinutile se non è possibile assicurarne la distribu-zione e la manutenzione».Per capire meglio i meccanismi delle catene di di-stribuzione 52 esperti si sono riuniti dal 18 al 24 ot-tobre 2002, a Niamey, su iniziativa della DSC e

La pompa a pedali è un utensile d’irrigazione poco costoso edefficace. Ma i contadini poveri ne traggono profitto solo se esi-stono catene di distribuzione affidabili e durature. Esperti afri-cani e del Bangladesh hanno scambiato le loro esperienze sultema, mettendo a fuoco i meccanismi che determinano il suc-cesso o il fallimento di tali catene.

Senza profitto nulla si muove

Invenzione genialeLa pompa a pedali è statamessa a punto nel 1979 da Gunnar Barnes, un in-gegnere norvegese che lavorava per un’ONG inBangladesh. Fa capo a unatecnologia basata sullaforza motrice umana, sem-plicissima, che consente lafabbricazione e la ripara-zione in loco. Si presta inparticolare all’irrigazione dipiccole parcelle di meno di0,4 ettari, a condizione chel’acqua si trovi a meno di 7 metri di profondità, comeè generalmente il caso inBangladesh. La pompaviene azionata da una per-sona che si regge in piedisu due lunghi pedali inlegno posti ad alcune de-cine di centimetri dal suolo.Il movimento dei pedali sitrasmette a due pistoni chesalgono e scendono alter-nativamente dentro cilindrimetallici lunghi 30 centime-tri e muniti di valvole all’e-stremità inferiore. Questi ci-lindri costituiscono il corpodella pompa e sono colle-gati alla sorgente d’acquasotterranea mediante untubo.

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della Banca mondiale. Provenivano dall’Africa oc-cidentale, dall’Etiopia, dal Bangladesh, dagli StatiUniti e dalla Svizzera. Questo workshop interna-zionale aveva lo scopo di generare, tramite lo scam-bio di esperienze, un nuovo sapere che potesse mi-gliorare le catene di distribuzione in ambito rurale.Si è svolto in Niger perché proprio in quel paese sipresentava un caso concreto: la Banca mondiale,che aveva finanziato l’introduzione di 1’500 pompea pedali nell’ambito di un progetto pilota, deside-rava estenderne la commercializzazione a livellonazionale.Prima del workshop alcuni esperti africani si eranorecati in Bangladesh e in Kenya, dove ogni annovengono vendute oltre 10’000 pompe a pedali.Questi due viaggi e alcune visite sul terreno inNiger hanno in seguito fornito la base per i lavoridel workshop.

Creazione di sapere Le riflessioni fatte a Niamey hanno consentito diestrapolare delle regole generali su ciò che bisognafare, o non fare, per garantire la continuità neltempo delle catene di distribuzione, mettendo inevidenza un principio fondamentale: ogni anellodella catena deve realizzare un profitto, senza ilquale non sarà interessato a partecipare. Lunghi di-battiti sono stati incentrati sul modo di rendere lacatena redditizia pur mantenendo il prodotto a unprezzo abbordabile. I partecipanti hanno definitodelle strategie basandosi sulle 4 «p» (prodotto,

prezzo, posto e promozione) che costituiscono glielementi chiave del marketing efficace.Vi hannoquindi aggiunto la «p» di politica, relativa all’azionedel governo.I partecipanti al convegno hanno inoltre confron-tato le loro esperienze e le difficoltà incontrate. «Èstato per esempio riscontrato che le cattive condi-zioni delle strade e l’assenza di collegamenti telefo-nici rappresentano degli ostacoli importanti per ilbuon funzionamento delle catene nelle aree rurali»,sottolinea François Münger, anche lui un parteci-pante del workshop. «È fondamentale che i varioperatori possano comunicare fra loro».Gli esperti concordano sul fatto che le catene d’ap-provvigionamento non si creano spontaneamentein virtù delle sole forze del mercato. È perciò giu-stificato che i donatori e le ONG agevolino questosviluppo nella sua fase iniziale, per esempio tramiteattività promozionali o un aiuto alla creazione diimprese.Ma la loro strategia deve chiaramente con-templare un ritiro graduale del sostegno e il trasfe-rimento di tutte le attività al settore privato.Il sapere creato a Niamey trova applicazione a trelivelli, conclude François Münger: «Il workshop hacontribuito allo sviluppo della strategia per il pro-getto in Niger, ha formulato delle regole valide an-che in altre situazioni, e ha permesso a tutti i par-tecipanti di approfondire le loro conoscenze inmateria di catene di distribuzione». ■

(Tradotto dal francese)

La tappa successiva:una motopompaDietro un modico investi-mento, l’acquisto di unapompa a pedali consenteai contadini poveri di mi-gliorare il loro reddito. InBangladesh questa pompacosta dai 15 ai 35 dollari.Secondo delle stime pru-denti, il reddito aggiuntivoammonterebbe come mi-nimo a 100 dollari l’anno.Un recente studio ha dimo-strato che il 20 per centodegli utenti riuscivano per-sino a guadagnare dai 500ai 600 dollari in più. I colti-vatori più competitivi hannodunque rapidamente imezzi per passare a unatecnologia superiore. Perun prezzo di 175 dollaripossono acquistare unapompa a motore diesel eprendere in considerazionel’aumento della produzione,qualora abbiano la possibi-lità di estendere la parcellacoltivata.

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La fattoria del Wellberg è situata nell’hinterland lu-cernese, a pochi minuti d’automobile da Willisau, inun paesaggio di straordinaria ampiezza, dove la vistaspazia dal Rigi e dal Pilatus fino all’Eiger, al Mönche alla Jungfrau. Il podere è gestito da Wendy e AloisPeter.Wendy Peter lavora non solo come contadina,ma anche come insegnante di lingue ed è inoltre vi-cepresidente di Biosuisse e mandataria dell’Organiz-zazione dell’ONU per l’alimentazione e l’agricol-tura (FAO).Le prime conoscenze in materia d’agricoltura lesono state trasmesse dalla suocera, una delle primecontadine «bio» della Svizzera.«Il sapere delle donne,e in particolare delle contadine, è decisivo per unosviluppo sostenibile e a misura dell’ambiente», spiegaWendy Peter. Per condividere questo sapere con altre contadine ha lanciato, insieme all’etnologaCorinne Wacker dell’Università di Zurigo, un pro-getto che coinvolge contadine della Svizzera e delLadakh.«Per lottare contro la fame e la malnutrizione è in-

dispensabile diffondere il sapere delle contadine inmateria di produzione, stoccaggio e commercializ-zazione», afferma Corinne Wacker. Si ricordi soloche nel mondo le donne producono oltre la metàdelle derrate alimentari, ma possiedono solo il dueper cento delle terre fertili. In seguito al Verticemondiale sull’alimentazione, organizzato a Romadalla FAO nel 1996,Corinne Wacker e Wendy Peterhanno perciò fondato l’associazione «Farm Women’sNetwork», il cui scopo è di promuovere lo scambiodi conoscenze ed esperienze fra le contadine inSvizzera e nel Sud.

Il clima estremo richiede sapereIl Ladakh, paese dei passi innevati, è situato nell’Indiasettentrionale, al confine con il Tibet e il Pakistan. I150’000 ladakhi sono principalmente contadini econtadine.Protetta dalle piogge monsoniche indianeda due catene montuose dell’Himalaya alte 5’000metri, l’agricoltura fiorisce, nei sei mesi estivi, nelleoasi irrigate dalle acque provenienti dal disgelo dei

Le famiglie contadine che vivono nel regno himalayano delLadakh, nell’India settentrionale, si assicurano il sostenta-mento solo grazie alle loro approfondite conoscenze in mate-ria agricola. In questo paese, l’agricoltura è essenzialmente unlavoro di donne. Ora le donne ladakhi scambiano il loro saperecon colleghe svizzere. Un progetto dal quale traggono profittoentrambe le parti. Di Maria Roselli.

Quando il sapere sfama

Una rete mondiale dicontadineL’associazione «FarmWomen’s Network» vuolesostenere le contadine nelcampo della sicurezza ali-mentare e della realizza-zione di progetti innovativi.In seno al gruppo regionalelucernese di Willisau lecontadine intendono pro-muovere l’ottimizzazionedella produzione di ortaggiper la vendita diretta e la ricerca di un propria collo-cazione nel contesto deimutamenti strutturali inatto. L’associazione so-stiene le contadine anchenella creazione di una retemondiale che assicuri gliscambi con le colleghe inaltre aree del mondo. Contatti: Verein «FarmWomen’s Network»,Wellberg, 6130 Willisau

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ghiacciai.Ad altitudini fino a 4’000 metri crescononell’alto piano l’orzo e il frumento, mentre in espo-sizioni protette crescono albicocche, noci e pioppi.Se d’estate le temperature salgono fino a 40 gradi,d’inverno il termometro scende fino a 30 gradi sottolo zero termico.Nel Ladakh l’agricoltura è un’attività esclusivamentemanuale,praticata in collaborazione con la comunità

del villaggio. In seguito alla costruzione di strade econ l’apertura della regione al turismo, a partire dal1970, l’agricoltura indigena è stata trascurata. Neimesi estivi gli uomini svolgono altri lavori, cosicchéle attività agricole ricadono di fatto interamente sulledonne.Solo grazie alle loro approfondite conoscenzein materia agricola e grazie a un utilizzo delle risorseadattato in modo corretto alle stagioni, le contadineriescono a produrre nei brevi mesi estivi derrate ali-mentari in quantità sufficienti per tutto l’anno.«Negli ultimi anni le contadine del Ladakh hannodovuto diversificare sempre più le loro fonti di red-dito. La loro produzione non si orienta dunque piual proprio fabbisogno; ora coltivano in maniera mi-rata anche prodotti da vendere ai turisti», raccontaWendy Peter. Fra questi prodotti vi sono le fragoleche le contadine hanno conosciuto tramite gliscambi effettuati con le donne svizzere. Grazie alla

costruzione di serre ricoperte con teloni di plastica,esse riescono ora persino ad allungare di due mesi lastagione e coltivare le fragole. Con questi frutti ledonne ladakhi preparano marmellate molto apprez-zate dai turisti.Tramite lo scambio con le contadinesvizzere hanno inoltre imparato a conservare meglioper l’inverno mediante degli essiccatori solari gli or-taggi eccedenti prodotti d’estate.

Le fotografie rafforzano l’autostima Le donne del Nord e del Sud curano i contatti nonsolo tramite il telefono e Internet. Infatti si cono-scono anche personalmente. Ciò è stato reso possi-bile da un progetto fotografico realizzato nell’ambitodi una ricerca del Fondo nazionale: le contadine dientrambi i paesi hanno documentato fotografica-mente,per un intero anno,il loro lavoro e la loro vita.Alla fine del 2002 una piccola delegazione delLadakh ha poi reso visita alle colleghe in Svizzera.Giunta qui si è recata con la sua documentazione fo-tografica di fattoria in fattoria,dove le contadine ave-vano invitato vicine e colleghe.Con l’aiuto delle fo-tografie sono riuscite reciprocamente a far conosceremeglio le diverse tecniche di lavoro e i loro modi divivere.Le contadine ladakhi hanno inoltre visto con-cretamente come si gestiscono nel nostro paese le ri-sorse naturali. Nella fattoria di Wendy e Alois Peterhanno per esempio assistito alla preparazione delmosto, mentre presso contadini ticinesi sono stateiniziate ai segreti della produzione di formaggio e inVallese hanno conosciuto l’utilizzo di una mungi-trice mobile. Ma anche le contadine svizzere hannoavuto modo di imparare cose nuove. «La documen-tazione fotografica delle proprie attività ha consen-tito loro soprattutto di rafforzare l’autostima», spiegaCorinne Wacker. E il bello per le contadine svizzereverrà quest’estate, quando una piccola delegazionepartirà a destinazione del Ladakh. ■

(Tradotto dal tedesco)

Scoprire le erbe medici-nali oltre le mura delconventoUn altro progetto lanciatoda «Farm Women’sNetwork» in Ladakh e rea-lizzato dalle suore buddistenel convento Ridzong èdedicato allo scambio diconoscenze sulle proprietàdelle erbe medicinali indi-gene. Circa il 15 per centodella popolazione delLadakh è costituito dasuore e frati. Mentre que-sto statuto apriva in pas-sato alle giovani e ai gio-vani non sposati unacarriera religiosa auto-noma, oggi i conventi fem-minili sono costretti ad as-sicurare con i propri mezzila formazione pratica dellesuore, che si rivela urgen-temente necessaria. Con ilsostegno fornito dallaSvizzera, una dottoressadiplomata in medicina tibe-tana organizza ora dei se-minari di perfezionamento,durante i quali si reca conle suore sui pascoli d’alturae alle sorgenti curative perspiegare loro l’effetto cura-tivo delle erbe e delle fonti.

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Il Benin, repubblica costiera dell’Africa occidentale, è appro-dato all’indipendenza nel 1960 con il consenso del potere co-loniale francese. Oggi, questo paese stretto tra Togo e Nigeriaè da annoverare tra i più poveri al mondo, ma è anche da considerarsi una delle più stabili ed esemplari democrazie del continente. Di Hans M. Eichenlaub*.

Tra vudù, democrazia e mondializzazione

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Ahmadou è il mio parrucchiere a Cotonou. Il suoluogo di lavoro nel nostro quartiere consiste in unasedia traballante, collocata sul bordo della strada. Isuoi strumenti di lavoro sono forbici e pettine. Dicorrente elettrica neanche a parlarne.Ahmadou con-divide con un meccanico che ripara motorini l’om-bra di un albero della gomma.In occasione della miaultima visita dal parrucchiere,Théophile – il giardi-niere del vicino – è rimasto stupito: sì, perché uno«Yovo», un bianco, non si era mai seduto sulla sediadi Ahmadou.Benin e Svizzera hanno in comune più cose diquanto si possa pensare: non solo il numero di abi-tanti è praticamente identico.Anche la ricorrenza delgiorno della festa nazionale, considerando che pro-

prio il 1° agosto del 1960 ottenne l’indipendenza.Dasottolineare anche il fatto che nella capitale econo-mica Cotonou, così come a Parakou, importantecentro nel Nord, si trovano due negozi Coop, arre-dati come i nostri negli anni ’60. Si tratta di antichevestigia di una iniziativa della Coop svizzera che apartire dal 1969 ha qui realizzato una rete di negozied una catena di cooperative di produzione.

Cittadella della religione vudù Nella città di Cotonou,centro urbano da un milionedi abitanti, risiede il presidente della repubblica, tuttii ministeri e le rappresentanze diplomatiche, mentreil parlamento ha sede nella capitale ufficiale PortoNovo,città prossima al confine con la Nigeria.Colui

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Giacomo Pirozzi / Panos / Strates

che qui si aspetta di imbattersi in invitanti litorali co-stellati da accoglienti caffè, resterà di certo deluso.Anche solo una breve sosta all’aperto, nel centrocittà, è da sconsigliare a causa del consistente inqui-namento atmosferico. Nel centro, l’unico albergocon diretto accesso alla spiaggia, se lo è addiritturaimpedito con la recente edificazione di un ristoranteFast-Food.Ci si imbatte invece in un’aria più pulita ed in lindespiagge contornate da palme da cocco, dopo averpercorso una decina di chilometri della «Route desPêcheurs», tra Cotonou e Ouidah, la cittadella dellareligione vudù. Quello che è il centro della città diCotonou appare letteralmente sfigurato dalla pre-senza del porto, dove gettano l’ancora petroliere enavi porta-container. Il porto è di enorme impor-tanza economica, e non soltanto per il Benin, bensìanche per l’intera regione dell’entroterra che com-prende Nigeria, Niger, Burkina Faso e Mali.Al piùtardi durante un viaggio di ritorno dal Nord in dire-zione di Cotonou, ci si rende conto dell’importanzastraordinaria di questo porto, quando si incrocianosulla strada lunghe carovane di camion che traspor-tano vetture di occasione importate da Germania,Francia e Svizzera.

La centralità del ruolo della donna Il commercio riveste una grande importanza, e nonsoltanto nel «Marché Dantokpa» di Cotonou, che èil più grande mercato dell’Africa occidentale. Oltreil 70 per cento della popolazione vive con i proventi

dell’agricoltura e della pesca. Le industrie degne dicitazione sono poche, e di scarso significato sono lerisorse minerarie. Il prodotto d’esportazione più im-portante è il cotone, anche se sovente la sua vendita,a causa del calo dei prezzi sui mercati mondiali, nonarriva nemmeno a coprire i costi di produzione.

Nessuna meraviglia dunque se il Benin seguita ad es-sere uno dei paesi più poveri al mondo. E di questapovertà, i più colpiti sono le donne ed i bambini.Mentre gli uomini hanno un ruolo predominantenella coltivazione di prodotti d’esportazione, ledonne ricoprono un importante ruolo nella produ-zione e nella lavorazione di generi alimentari.Il commercio informale – anche questo tradizional-mente di competenza della donna – è un’ulteriorefonte di guadagno.Dopo che,durante l’era marxista-leninista, praticamente tutti i settori economici ave-vano subito una statalizzazione, oggi il paese vive all’insegna della privatizzazione dell’economia e

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L’oggetto della vitaquotidianaLo «Zémidjan»Arnaud fa una pausa: ilmotorino gli serve da di-vano. Arnaud è uno deicirca 80 mila tassisti diCotonou che lavorano conla moto, riconoscibili ancheda lontano per quella lorocamicia gialla che nellaparte posteriore riporta ilnumero di targa. Giallo, è il colore dei tassisti a dueruote di Cotonou; verdisono quelli di Parakou erosa quelli di Porto Novo. Èstata soprattutto la carenzadei mezzi di trasporto acausare nelle grandi cittàquesto fenomeno.«Zémidjan» si chiamanoche nell’idioma dei Fon –molto diffuso nel Sud – si-gnifica più o meno «Porta-mi veloce laggiù». Ed èquanto avviene in effetti:uno «Zém»lo si trova prati-camente dappertutto e adogni ora, ed è in grado diportare il suo passeggero,per una somma che variadai 200 ai 300 CFA (circa50 centesimi) a secondadella distanza, da porta aporta. Il fatto che nel 1993questo folto gruppo di ope-ratori si sia sindacalmenteorganizzato non ha peròcambiato molto una realtàche fa degli «Zémidjan»,soprattutto quelli diCotonou, i maggiori inqui-natori atmosferici. Quandoun bel gruppo di mototas-sisti aspetta che il sema-foro diventi verde, al diso-pra delle camicie gialle sileva l’azzurra nuvola dei ve-leni dei gas di scarico.

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della decentralizzazione del potere politico.Dopo la conversione dell’industria dei carburanti dastatale a privata, un passaggio accompagnato da pe-santi accuse di corruzione, altri settori economici sitrovano ad un passo dalla loro privatizzazione; adesempio, quello della lavorazione del cotone, quellodell’energia elettrica e il settore del trasporto su ro-taia, che ha oggi il suo unico asse operativo traCotonou, nel Sud del paese, e Parakou, a Nord.

Una bomba atomica per il «Camaleonte» Dal punto di vista politico, il Benin con oltre 50 dif-ferenti etnie ed altrettanti idiomi, porta da quasi 30anni, l’impronta di un uomo di grande personalità:capo dello Stato e presidente del governo, MathieuKérékou è il simbolo di una sintesi, rara in Africa,tra cambiamento e continuità. Oggi settantunenne,Mathieu Kérékou era giunto al potere nel 1972,conun colpo di Stato. Nel 1974 ha dichiarato il Benin«repubblica popolare», guidando poi il paese, nelsolco di un’ispirazione marxista-leninista, fino al1990 ed all’aperta crisi economica.L’ora dell’approdo alla democrazia risuonò nel 1990,con l’ormai leggendaria Conferenza Nazionale. Nel1991, Kérékou fu sconfitto, nelle prime elezioni de-mocratiche, da Nicéphore Soglo, già funzionariodella Banca mondiale ed oggi sindaco della città di Cotonou. Fu nel 1996 che il popolo – e il feno-meno si verificò di nuovo nel 2001 – elesse nuova-mente Kérékou. Secondo la costituzione, il presi-dente può essere eletto soltanto due volte,e non puòavere più di 70 anni. Ma non si esclude che i partitiche sostengono Kérékou (nel Benin sono attivi circa120 partiti, 18 dei quali rappresentati in parlamento)aspirino ad un cambiamento della costituzione, perconsentire al «Vecchio», come l’anziano presidenteviene altresì chiamato, un terzo mandato.Che lo si voglia, tra i molti più o meno rispettabilisoprannomi,definire il «Vecchio» o magari il «Cama-leonte»,c’è comunque da dire che Mathieu Kérékou

si caratterizza sovente per una sua propria origina-lità. Come ad esempio alla fine della guerra in Iraq,quando in un discorso ufficiale si lasciò sfuggire iltermine «Cowboy» a proposito del suo omologo sta-tunitense; oppure, nel giorno dell’inaugurazione delFestival Gospels di Cotonou, quando, sfruttando lapresenza del sindaco di Pittsburg (USA), formulò in-diretta richiesta a Bush per la fornitura di una bombaatomica. Non certo per scopi militari, badò bene aprecisare, bensì «...per lo sfruttamento pacifico del-l’energia atomica, in ragione delle promesse fatteanni addietro ai paesi poveri».Per l’elettorato del Benin, le esperienze nell’ambitodella democrazia crescono stabilmente. Dopo trebattaglie elettorali per le presidenziali e tre per le ele-zioni del parlamento, alla fine del 2002 sono andatein scena per la prima volta le votazioni per le ammi-nistrazioni comunali; un grande passo verso una vera decentralizzazione e,contemporaneamente, an-che un vasto campo sperimentale, in quanto lo Statoha sì delegato parte delle responsabilità pubbliche a istanze subordinate, ma non ha accompagnato talimisure con lo stanziamento delle necessarie risorsefinanziarie, esponendo così diversi sindaci da pocoeletti a violente polemiche di carattere locale.Ed an-che questo è un aspetto del quotidiano della politicaapplicata.Per tornare a Théophile, il giardiniere: a sera ha vo-luto assolutamente sapere quanto mi era costato il ta-glio di capelli. Quando gli ho detto degli 800 CFA(un po’ meno di due franchi), ha avuto un sorrisomalizioso, in quanto lui da Ahmadou paga solo 500CFA.Ma bisogna sapere che Théophile non ha quasipiù capelli in testa. ■

(Tradotto dal tedesco)

* Hans M. Eichenlaub è giornalista freelance ed opera tral’altro per la Radio Svizzera DRS.Vive a Niedererlins-bach e Cotonou.

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(bf) La cooperazione tra il Benin e la Svizzera haavuto inizio già negli anni ’60. Nel 1983, questopaese dell’Africa occidentale, grande quasi tre voltela Svizzera, è divenuto per la DSC paese priorita-rio.A partire dal 1994 la cooperazione svizzera – inprecedenza presente perlopiù nel centro del paese– si è concentrata in particolare su produttori ed al-tri operatori economici e sociali. Negli ambitiprioritari della cooperazione, la DSC opera anchein stretto contatto con le istanze preposte del paese.Il bilancio annuale dell’intervento ammonta a circa10 milioni di franchi.

Educazione,alfabetizzazione,comunicazione:nella regione di Borgou viene fornito sostegno acomunità ed organizzazioni locali competenti nelsettore dell’educazione e dell’alfabetizzazione, cosìcome per l’incremento dell’informazione e dellacomunicazione nei territori rurali.

Sanità: sostegno alla ristrutturazione e decentra-lizzazione dell’organizzazione sanitaria pubblica,come pure alla realizzazione di un sistema di cassa

malati. L’offerta privata (non a scopi di lucro) vieneincrementata, così come l’approvvigionamento dimedicine e l’autogestione dei centri sanitari.

Artigianato e formazione professionale: inquesto settore, i progetti forniscono sostegno ad or-ganizzazioni artigianali e piccole imprese nell’am-bito della formazione tecnica e dell’accesso al cre-dito, così come nei loro tentativi di diversificarel’offerta.

Organizzazioni dei produttori: parallelamenteall’incoraggiamento dello sviluppo istituzionale edel sistema di credito e di risparmio, grande atten-zione è puntata anche sul sostegno fornito alla tra-sformazione di aziende a conduzione familiare edalla commercializzazione di nuovi prodotti.

Riforme strutturali ed istituzionali: in parti-colare, si fornisce sostegno alla decentralizzazione,al rafforzamento della giustizia ed all’istituzione diun’autorità indipendente di controllo per il settoredei media e della comunicazione.

Cifre e fatti

NomeRepubblica del Benin

CapitalePorto Novo (capitale politica) Cotonou (maggiore centroeconomico e sede del governo)

Superficie112’620 km2

MonetaFranco CFA (ComunitàFinanziaria Africana)

Popolazione7 milioni (47 per centosono giovani di età inferi-ore ai 15 anni; speranza di vita: 51 anni)

Etnie 42 gruppi etnici; tra questi,i maggiori sono i Fon, Adja,Yoruba, Bariba

LingueFrancese (lingua ufficiale),Fon e Yoruba (principal-mente nel Sud), almeno 6diversi idiomi tribali nelNord del paese

ReligioniVudù 50 per centoCristiani 30 per centoMussulmani 20 per cento

Materie primePiccoli giacimenti petroli-feri, pietre calcaree, marmi,legname

Prodotti d’esportazioneCotone, greggio, prodottidella palma, cacao

Il Benin e la Svizzera Dall’intervento privato a quello statale

Benin

Cenni storici

XIII secolo Gli Yoruba si spostano dall’odierno terri-torio della Nigeria nel Sud del Benin e danno vita adun regno.

XV secolo Possenti legioni di cavalieri Bariba, ori-ginari del Burkina Faso, si portano nella regione diBorgou e fondano la città di Nikki.

XVI secolo Il figlio di una principessa del regno Adjafonda la monarchia Allada. I portoghesi danno inizio ailoro commerci di scambio: armi, alcol e polvere dasparo in cambio di schiavi. Il regno di Allada allacciacontatti con le corti di Spagna, Portogallo e Francia.

1630 Un discendente in linea indiretta della monarchiaAdja dà vita alla dinastia degli Abomey.Abomey giocaun ruolo centrale nella tratta degli schiavi.

1728-1818 Periodo di massima intensità della trattadegli schiavi.

1878 Accordo tra il re Glele e la Francia per la cessionedella regione attorno a Cotonou.

1889-94 Il re Béhanzin oppone resistenza all’ipotesi didivenire «protettorato» francese.

1894 La colonizzazione francese è definitiva; il reBéhanzin è mandato in esilio.

1960 La ex colonia francese Dahomey diventa indipen-dente.

1972 Dopo una serie di colpi di Stato, il giovane mag-giore dell’esercito Mathieu Kérékou arriva al poterecon un colpo di Stato militare. Per la prima volta nella

storia di questo paese, i posti di potere sono distribuiti a rappresentanti di tutte le regioni.

1974 Il Dahomey assume la forma istituzionale di Statocon orientamento marxista leninista.

1975 Il Dahomey viene ribattezzato: si chiamerà Benin, un nome che non ha un collegamento direttocon l’antico regno del Benin, che tra il XIII ed il XIXsecolo occupava prevalentemente un territorio sulquale oggi si estende la Repubblica federale dellaNigeria. Seguono crisi economiche, disordini sociali.

1985 L’Unesco dichiara patrimonio dell’umanità i palazzi reali di Abomey.

1990 Il presidente Kérékou acconsente ad una«Conferenza nazionale delle forze vive della nazione»,un evento che finirà per spodestare in maniera pacificail governo, creando nel contempo le basi di uno Statodotato di una carta costituzionale liberale di una de-mocrazia parlamentare. L’amministrazione provvisoriadel paese viene affidata a Nicéphore Soglo.

1991 Soglo viene eletto presidente con un risultatobrillante.

1996 Mathieu Kérékou viene nuovamente eletto presi-dente della repubblica.

2001 Mathieu Kérékou è rieletto alla massima carica.

2003 Dopo lunga esitazione, si giunge alle prime vota-zioni comunali, un chiaro segno di un’ampia decentra-lizzazione.

Benin

Niger

Cotonou

Nigeria

Ghana

Oceano Atlantico

Togo

Burkina Faso

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Un solo mondo n.1 / Marzo 200420

Zaratou Aboubakar, 33anni, è nata a Lomé (Togo)da genitori che vi eranoemigrati dal Benin.Attualmente vive aParakou, nel Benin, doveopera quale animatrice indue emittenti radiofoniche,la prima di lingua fulfudé,l’altra nell’idioma dendi.Risposata da sette anni emadre di tre bambini,Zaratou Aboubakar segueattualmente dei corsi distudio e spera di presen-tarsi all’esame di maturitànel 2004. La giovane hascelto di raccontare la suastoria personale con l’in-tento di denunciare la pra-tica del matrimonio forzatoe per affermare la sua con-vinzione che ai bambini sideve dar modo di espri-mere il proprio pensieroquando si tratta di deci-dere del loro avvenire.

In sposa a un bruto

Una voce dal… Benin

Dopo la morte dei suoi genitori,mio padre ricevetteda suo zio una mandria di buoi che costituiva la suaparte di eredità. Dalla sua sposa, Aïchatou, avevaavuto quattro figli e quattro figlie.Ma soltanto tre fi-glie sono sopravvissute. Quando mia sorella mag-giore si è sposata,è andata a vivere a Parakou,un cen-tro urbano nel Nord del Benin.A quel punto, nonrestava che mia sorella minore ad aiutarmi a con-durre gli animali al pascolo. Lo facevamo a turno:quella che non portava gli animali al pascolo, andavaa scuola.Un bel mattino, si è presentato da noi un uomo ori-ginario del Mali.Era un Peulh di Macina, come miopadre.Dopo i convenevoli d’uso,ha detto che volevasposarmi.Mio padre, che non aveva nessuno per oc-cuparsi dei suoi buoi, ha creduto di potersi fidare.Dandogli sua figlia in sposa,se ne sarebbe fatto un so-cio, in grado più tardi di badare ai suoi animali.Così,senza alcuna esitazione, accettò la proposta. La sera,mi chiamò per informarmi della sua decisione.Avevo 19 anni, e frequentavo ancora la scuola. Hodetto a mio padre che non volevo sposarmi. Ha re-plicato che non mi aveva chiesto il mio parere.Un mese dopo fu celebrato il matrimonio. La gentemi portò dal mio futuro marito contro la mia vo-lontà, e questo fu l’inizio delle mie disgrazie. Già apartire dalla prima notte, mi ha fatto subire ogni ge-nere di sevizie e di brutalità.Appena tre mesi dopoquesto matrimonio forzato, mi hanno fatto sapereche mio padre si era a tal punto ammalato da non es-sere più in grado di condurre la sua mandria al pa-scolo. Immediatamente pensai che questa era labuona occasione, per mio marito, di mostrare la suabuona volontà.Gli ho dunque suggerito di assumereil ruolo che in fondo mio padre si sarebbe atteso dalui.La sua risposta si rivelò a dir poco brutale:«È pro-prio per evitare di portare le bestie al pascolo che holasciato la casa dei miei genitori. Dunque, non mivedo assolutamente nella parte di chi, per il padre diun’altra persona, fa ciò che non fa per il suo stessopadre».Scoppiai in lacrime. Più tardi, andai ad informarmisullo stato di salute di mio padre.Ero incinta,ma de-cisi lo stesso di occuparmi degli animali. Per dodicigiorni andai a portare le bestie al pascolo. La sera, diritorno a casa, preparavo la cena al signorino.Il tredicesimo giorno, quando le mucche erano an-date all’acquitrino,una di loro è rimasta impantanata.Ho tentato di farla uscire,ma sono caduta nel fango,e ci è servito l’aiuto di altre donne presenti per tirarcifuori.Visto il mio stato, mio padre ha dovuto chie-dere aiuto ad un vicino, che ha due figli, i quali si sa-rebbero occupati di condurre i nostri animali al pa-scolo.

Qualche mese più tardi,ho messo alla luce una bam-bina. Il battesimo è stato celebrato sette giorni dopola nascita.Nel frattempo,mio padre si era reso contoche l’uomo al quale mi aveva data in sposa non eradi certo una persona affidabile. Anzi, era un vero eproprio bruto.Così,ho preso la decisione di fuggire.Sospettando le mie intenzioni, mio marito ha cer-cato di impedire la mia fuga facendo ricorso a poteriocculti.Il giorno dopo il battesimo ho portato la bimba amia madre e sono partita in direzione di Parakou,dove viveva mia sorella maggiore. Informato dellamia assenza, mio marito si è presentato dai miei ge-nitori. Mentre alcune persone mi cercavano, miomarito non ha esitato a dire che non ne voleva piùsapere, né di sua moglie né della bambina. Mio pa-dre lo ha esortato ad avere pazienza, ma quell’uomonon ha voluto sentir ragione, finendo poi per con-vocare i miei genitori al commissariato di polizia,dove ha formalmente reclamato il risarcimento ditutte le spese sostenute,prima e dopo il matrimonio.Mio padre ha provveduto a rimborsargli tutto. Miasorella mi ha accolto nella sua casa e mi ha consen-tito di portare a termine una formazione quale sarta.In seguito, ho poi deciso di riprendere gli studi.Per molto tempo, negli anni successivi, ho avutopaura degli uomini.Ma poi ho finalmente incontratoqualcuno che ha compreso ciò che mi era successo,e mi ha permesso di capire che gli uomini non sonotutti uguali. ■

(Tradotto dal francese)

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Un solo mondo n.1 / Marzo 2004 21

Nell’ambito del dialogo sullo sviluppo sostenibilesi accenna spesso alle risorse rinnovabili e alle ri-sorse non rinnovabili. Il sapere è una risorsa che hala particolarità di aumentare più la si impiega.Infatti, è parte integrante di ogni processo di svi-luppo.Quest’ultimo,come ben si sa, incomincia va-lorizzando le conoscenze disponibili in loco e in-tegrandole in seguito con conoscenze trasferite,macomunque adattate alle esigenze locali. Ecco per-ché è anche facile concludere che: sapere è svi-luppo. Ma ciò è solamente vero se il sapere si im-piega attivamente e lo si rende accessibile, e se tuttele persone coinvolte sono disposte a condividere leloro conoscenze.

Le tecnologie dell’informazione e della comunica-zione (TIC) rappresentano degli strumenti: pos-sono riunire dei segnali per farne delle informa-zioni e possono trasformare le informazioni insapere quando mantengono un valore per un certolasso di tempo. Queste tecnologie si rivelano utiliper organizzare, rilevare, rendere accessibile, tra-sportare e valorizzare meglio il sapere. Nelle mo-derne scienze di management il sapere è detto an-che capitale strutturale. Oltre al lavoro e al capitalefinanziario, il sapere rappresenta infatti un fattoredeterminante per lo sviluppo, la fabbricazione e lavendita del prodotto.

Se il sapere è importante per la cooperazione allosviluppo, esso è altrettanto importante per gli attoridella cooperazione allo sviluppo: la somma del sa-pere di un’istituzione come la DSC deve esseremaggiore della somma del sapere di tutte le colla-boratrici e i collaboratori. Ma ciò avviene solo se ilsapere viene di proposito rilevato, elaborato, resoaccessibile e condiviso. Per esempio, quando gio-vani collaboratrici e collaboratori possono fruire

delle conoscenze e delle esperienze acquisite dallecolleghe e dai colleghi più anziani, ossia quandoquesta risorsa viene gestita in modo mirato e postaal servizio di tutti su un lungo arco di tempo.

La DSC ha scelto «sapere e sviluppo» come tema sulquale concentrare l’informazione nel 2004.Questoproprio per far capire meglio quale sia l’importanzache il sapere assume nel suo operato, ma anche perpromuovere il sapere a livello istituzionale, nonchéper tematizzarlo e dibatterne con i partner in patriae all’estero, e forse anche per percorrere nuove vie.Si tratta infatti di mobilizzare e sfruttare meglio ilsapere disponibile a livello locale. Le tecnologieagevolano anche a noi qui nei paesi industrializzatil’accesso al sapere. Riscoprire le conoscenze dispo-nibili è utile a tutti coloro che ne vogliono farebuon uso.E a questo proposito va ricordato che nonè affatto vietato imparare dagli altri, al contrario. ■

(Tradotto dal tedesco)

Walter FustDirettore DSC

Promuovere e condividereil sapere

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(mr) «I primi tempi,quando arrivavamo nei villaggi,la gente spariva dalle strade, chiudeva le finestre eserrava le porte.Gli abitanti di questa regione hannopaura.Macchine di estranei, soprattutto se si tratta difuoristrada, ricordano loro le vetture dei paramili-tari, quelli che anni addietro compirono le stragi diChengue ed El Salado», racconta André Huber, in-caricato del programma di aiuto umanitario e giàattivo sul posto, in Colombia, per parecchi anni. Daquasi cinquanta anni la vita della Colombia è scossada una specie di guerra civile. I contrasti derivano,tra l’altro, da un’iniqua ripartizione delle terre edelle risorse. Inoltre, sia le Forze armate rivoluzio-narie colombiane (FARC) sia l’Esercito di libera-zione nazionale (ELN), due organizzazioni di guer-riglia orientate a sinistra, così come i gruppi para-militari, finanziano le loro attività in gran parte gra-zie alla lavorazione ed all’esportazione di cocaina.Gli abitanti delle zone colpite sono sistematica-mente scacciati dai loro villaggi. Secondo l’Altocommissariato dell’ONU per i rifugiati (UNHCR),negli ultimi cinque anni, in Colombia la spirale di

violenza ha avuto un tale incremento che le orga-nizzazioni assistenziali parlano già della più grandecatastrofe umanitaria del mondo occidentale.

Aiutare, prima che siano costretti a fuggireVittima degli scontri è una volta di più la popola-zione civile residente nelle regioni rurali. Dal 1985ad oggi circa 2,5 milioni di persone sono state co-strette a fuggire,cercando rifugio in altre regioni delpaese, ed in particolare nei centri urbani. La guerracivile insanguina principalmente le regioni ruralidella Colombia, ma le imponenti migrazioni in-terne finiscono per portare anche nelle città gli ef-fetti nefasti. Sono soprattutto le donne e i bambinii più colpiti dalla brutalità del conflitto.La sensazione della gente di essere stati abbandonatidallo Stato viene sfruttata sia dai paramilitari chedalla guerriglia. Chi è sospettato di collaborazionis-mo con la parte nemica viene ucciso o costretto afuggire. Durante i conflitti, intere comunità localisono costrette a rifugiarsi nei vicini centri.Non ap-pena la situazione migliora, sono dapprima gli uo-

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Da circa mezzo secolo, la Colombia è soffocata da una sortadi guerra civile. Centinaia di persone fuggono quotidianamentedai villaggi verso le città, dove però non riescono a trovare so-stentamento. Come fare per consentire ai contadini di restarenei loro paesi, o almeno nelle immediate vicinanze? Un pro-getto, sostenuto dalla DSC, prende il via in ambito scolastico.

Pesca miracolosaAccanto agli introiti prove-nienti dal commercio distupefacenti, sono i seque-stri di persona a figurare trale più importanti fonti di fi-nanziamento delle organiz-zazioni di guerriglia e deiparamilitari. Secondo stimeattendibili, solo le FARCmettono annualmente lemani su circa 160 milioni didollari Usa, sotto forma disomme di riscatto. Gli in-troiti dovuti ai sequestri, lacosiddetta «Pescas mila-grosas» (pesca miraco-losa), hanno in Colombiaraggiunto una tale dimen-sione da poter parlare oggiparlare di una vera e pro-pria industria del sequestro.Solo nel periodo tra il 1997ed il 2001, il numero annuodi sequestri è raddoppiato,passando da 1’500 a3’000. L’ostaggio più nototra quelli attualmente dete-nuti dalle FARC è la candi-data alla presidenza nazio-nale Ingrid Betancourt,sequestrata il 23 febbraiodel 2002. Negli ultimitempi, l’appartenenza so-ciale delle vittime è semprepiù eterogenea.

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Un solo mondo n.1 / Marzo 2004 23

Un passo in avanti, pic-colo ma significativo «Gli insegnanti e gli allievi,grazie alla presenza deicollaboratori del progetto,si sentono di nuovo più si-curi, e le prime famigliehanno già fatto ritorno inquelli che erano i loro vil-laggi. La gente sa però chela stabile presenza di unaONG internazionale rappre-senta una protezione solorelativa. Il nostro sostegno– materiale, ma anche esoprattutto morale – puòcontribuire ad accendere,per la gente di questi luoghidiscosti e martoriati, unascintilla di speranza.Parallelamente, le espe-rienze sin qui fatte hannomostrato che l’operato di«Accion contre el hambre»ha anche contribuito aduna lenta stabilizzazionedella regione. Un piccoloma importante passo sultravagliato cammino cheporta alla pace».André Huber, Incaricato delprogramma di aiuto umani-tario.

paceI collaboratori del progetto, esclusivamente gentedel posto, conoscono bene la situazione di conflittoe si occupano prevalentemente della messa in fun-zione delle scuole. Gli edifici scolastici sono spessofatiscenti: le aule non hanno porte, e sono rifugio dianimali selvatici; in caso di pioggia non si possonotenere le lezioni e molti ragazzini sono costretti a se-dersi sul pavimento, o portarsi le sedie da casa.Come se ciò non bastasse, gruppi armati utilizzano

a volte le strutture scolastiche quali nascondigli –una grave violazione dei diritti umanitari. Sebbeneguardata con enorme diffidenza dalle forze coin-volte nel conflitto, l’ONG spagnola tenta di operarenon soltanto con gli scolari,ma anche con gli adulti.Contrariamente all’idea originaria di non realizzarecosiddette «School-farms», gli operatori sul posto sisono ben presto convinti che queste, se adattate allenecessità locali,hanno un loro senso.Lo scopo di talistrutture non è soltanto quello di produrre generialimentari per la cucina della scuola, bensì anchequello di applicare in proprio le nozioni apprese ecomunicarle ai rispettivi genitori.Grazie al progetto«Scuole per la pace», in questa regione di crisi vienefornito un sostegno a ben 27 scuole, 14 nei comunidel Dipartimento di Sucre e 13 in quello diMagdalena. ■

(Tradotto dal tedesco)

mini, quindi le donne ed i bambini, a fare ritornonei loro villaggi.«Se il contatto con il proprio pezzetto di terra per-mane, allora anche l’approvvigionamento di generialimentari si rivela migliore.Ma se la gente resta pertroppo tempo lontano dalla loro proprietà, perdenon solo la base economica di sussistenza, bensì anche i diritti di proprietà della stessa terra», spiegaHuber.Ai contadini costretti alla fuga si prospetta a

causa della loro carente istruzione un futuro alta-mente incerto.A ciò si aggiunge che i grandi centriurbani, caratterizzati da una selvaggia proliferazionedemografica,hanno un effetto esplosivo sui normalirapporti sociali ed interpersonali.

Un lavoro delicato nelle regioni toccatedal conflitto «Nelle campagne, molte cose sono incentrate suibambini. Nel momento in cui ai campesinos non èpiù consentito mandare i figli a scuola, svanisce an-che la loro speranza, e si vedono costretti ad abban-donare il villaggio. È per questo che con il nostrointervento puntiamo soprattutto sulla scuola», diceancora Huber. Ciò significa però lavorare diretta-mente nelle regioni toccate dal conflitto. Sia i guer-riglieri che le formazioni paramilitari accettano lascuola come luogo neutrale.Da due anni, è la ONGspagnola «Accion contra el hambre», con il sostegnodella DSC, a svolgere la sua attività in uno dei terri-tori maggiormente contesi della Colombia, i Montesde Maria, situati nel Nord del paese.

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Un solo mondo n.1 / Marzo 200424

(mr) Le elezioni presidenziali del settembre 2000,con il crollo del regime di Slobodan Milosevic,hanno segnato la svolta per la Repubblica federaledi Iugoslavia, spianando la strada verso una possibilecooperazione con la comunità internazionale. Supressione dell’UE, nel marzo del 2002, è stato fir-mato un accordo che prevedeva una federazione diStati tra Serbia e Montenegro.Nel frattempo, Serbia e Montenegro sono nuova-mente membri delle più importanti organizzazioniinternazionali, ed inseriti nel gruppo di voto sviz-zero della Banca mondiale, dell’FMI e della Bancaeuropea per la ricostruzione e lo sviluppo. Al mo-mento si lavora con grande impegno alla nuovastruttura legislativa di questa giovane nazione.Mentre i parlamentari lottano per una nuova costi-tuzione, urgono nuove leggi eurocompatibili cheserviranno poi a favorire un’eventuale adesioneall’UE. In questa prospettiva, l’intero sistema del di-ritto nazionale dovrà essere confrontato con quellodell’Unione. Sulla base di tale confronto, il legisla-tore potrà poi procedere ai necessari adeguamenti.

«Un lavoro che durerà anni»La responsabilità riguardante questa operazione è affidata all’«Institute of Comparative Law» di Bel-

grado. In collaborazione con l’Europa-Institut diZurigo e diverse altre istituzioni, questo rinomatoistituto di diritto comparato elabora proposte teseall’armonizzazione della legislazione serbo-monte-negrina con quella dell’Unione.«Una legislazione eurocompatibile è molto impor-tante per il futuro di questa nazione», afferma PierreMaurer, dell’Ufficio svizzero di cooperazione diBelgrado, illustrando l’impegno della DSC a favoredell’«Institute of Comparative Law». In un primoprogetto, già completato, questa organizzazione haelaborato un prontuario per l’armonizzazione delleleggi rispetto alla convenzione europea per i dirittiumani. Il manuale è già stato pubblicato in serbo edin inglese.Al momento sono più di cento gli espertiinternazionali che lavorano, sotto la responsabilitàdell’«Institute of Comparative Law», ad un manualeper l’armonizzazione dell’intero corpo legislativonazionale. «Tutte le leggi – da quelle di diritto eco-nomico a quelle di diritto penale – dovranno esserecomparate con gli analoghi codici europei. Si trattadi un lavoro gigantesco che prenderà ancora parec-chi anni», conclude Pierre Maurer. ■

(Tradotto dal tedesco)

L’impegno svizzeroLa Svizzera, rappresentatadall’Aiuto Umanitario dellaDSC, è attiva in Serbia eMontenegro sin dal 1991.Nel periodo 1999/2000, ilgià vasto programma uma-nitario è stato incremen-tato grazie a progetti bila-terali aggiuntivi negli ambitidell’edilizia abitativa, finan-ziamento per alloggi, rico-struzione di scuole ed isti-tuzioni sociali, infrastruttureper l’acqua e per il riscal-damento, ripristino di ter-reni inquinati, sorveglianzadella qualità delle acque difalda ed ausilio alle mino-ranze etniche.Immediatamente dopo lasvolta, la DSC ha dato ilvia alla preparazione edalla pianificazione di pro-grammi di cooperazionetecnica a medio termine.

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Il cammino di Serbia e Montenegro verso l’Europa è ancoralungo e irto di ostacoli. Tuttavia, come per diversi altri Stati diquesta regione, l’obiettivo resta immutato: l’adesione all’Unioneeuropea. Ma prima si dovrà procedere ad un’armonizzazionedelle leggi.

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Nuova politica sanitaria (bf ) La DSC ha elaborato per laprima volta una politica sanitariadecisamente orientata alla con-cretizzazione. La nuova politicasostituisce le direttive e le analisisull’importanza della salute edello sviluppo, esistenti dal 1995.L’opuscolo «Politique de la DDCen matière de santé 2003-2010»in cui questa politica è formulataè disponibile anche per il pub-blico. «I due pilastri principali diquesta politica», dice DanielMäusezahl, responsabile del set-tore sanità presso la DSC, «pog-giano, da un lato, sull’enormequantità di esperienze accumu-late nel corso di decenni dallacooperazione svizzera nel settoresanitario, e dall’altro, sulla messain rete internazionale, nonchésulla comprensione delle nuove

sfide nel contesto della sanitàglobale». La cognizione, oggi ac-quisita, che la salute è diretta-mente legata all’economia di unpaese ha restituito alla sanità lacentralità nell’ambito della co-operazione allo sviluppo. Perciò,nella politica sanitaria della DSC,si legge che il divario fra la salutedei ricchi e quella dei poveri nelmondo aumenta, rendendo ne-cessario un maggiore sforzo con-giunto da parte della comunitàinternazionale: infatti, occorrecostituire dei partenariati con ipaesi in via di sviluppo e i paesiemergenti, e occorre calibraremeglio le offerte di aiuto in fun-zione dei bisogni dei poveri,prendendo le mosse da una vi-sione aperta e sociale del con-cetto di salute.L’opuscolo «Politique de la DDC en

matière de santé 2003-2010» è di-sponibile in tedesco, inglese e russo.Può essere scaricato unitamente a informazioni generali dal sitowww.SDC-Health.ch o essere ordi-nato presso: DSC, Media e comuni-cazione, tel. 031 322 44 12,e-mail: [email protected]

«Traverse»(sia) Dal gennaio 2004 la DSCorganizzerà regolarmente aBerna un forum di dibattito inti-tolato «Traverse». Esso sarà apertonon solo al personale della DSC,ma anche a tutto il pubblico in-teressato alle questioni inerentiallo sviluppo. Quattro voltel’anno accoglierà eminenti perso-nalità del mondo scientifico, eco-nomico, culturale ecc., le quali il-lustreranno il loro punto di vistasu temi scelti della politica di svi-

luppo.Vi sarà la possibilità dicondividere opinioni e pratichediverse con i relatori. Numeroseproblematiche tendono a diven-tare universali sotto la spinta dellamondializzazione. La politica disviluppo è sempre più sollecitataa discutere simili questioni econdividere le sue esperienze.Con «Traverse» la DSC desiderapromuovere un dibattito inter-culturale e interdisciplinare, alloscopo di delineare soluzioni ori-ginali per queste problematiche.

Dietro le quinte della DSC

(bf ) Il dizionario traduce il termine «advocacy» con «patrocinio»e «avvocatura». Nella cooperazione allo sviluppo si parla di advo-cacy quando un’agenzia per lo sviluppo, come per esempio laDSC, organizzazioni non governative o gruppi d’interesse s’im-pegnano a favore di una causa. In primo piano vi sono le esigenzee i bisogni di paesi, popolazioni e gruppi svantaggiati ed emargi-nati. Può trattarsi dei diritti umani e di principi umanitari, a fa-vore dei rifugiati, contro la tratta dei bambini, per il commercioequo e per la formulazione di politiche. L’advocacy si distinguedal lobbying nel senso che non avviene nel proprio interesse,bensì nell’interesse di terzi svantaggiati.L’advocacy crea contenuti

Che cos’è… advocacy?

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e consapevolezza, promuove la comprensione, cerca soluzioni edà spazio – fra l’altro tramite la creazione di alleanze e reti – perimporsi a livello internazionale. L’advocacy assume sempre piùimportanza anche a livello politico internazionale. Nel nostropaese grazie ad una campagna a favore dello sdebitamento crea-tivo di paesi in via di sviluppo, concertata da organizzazioni nongovernative, nel 1991 il parlamento sbloccò per il progetto uncredito di 500 milioni di franchi.

Un solo mondo n.1 / Marzo 2004

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mento del contributo delle conoscenze che hannoattraversato i secoli nel Sud. Penso ad esempio allamedicina tradizionale o alle tecniche agricole checontribuiscono a ridurre la povertà e la fame.

In Bolivia, qual è l’impatto della privatizza-zione del sapere tramite brevetti o altri dirittidi proprietà intellettuale?La privatizzazione del sapere fa parte di una strate-gia che mira all’espropriazione delle risorse naturalie al dominio di una sola cultura. Gruppi capitalistisi associano a qualche dirigente malintenzionato inpaesi poveri, come la Bolivia, per ottenere i dirittisu risorse collettive. Questi stratagemmi sono per-cepiti in modo estremamente negativo dai popoliandini. Il loro disagio è chiaramente venuto alla

Un solo mondo: Di che tipo di sapere hannobisogno i paesi del Sud per sfuggire alla po-vertà?Freddy Delgado Burgoa: Il Sud ha bisogno disaperi che riflettano le sue realtà, le sue esperienzesociali o il suo modo tutto particolare di vedere ilmondo. La scienza neopositivista e le tecnologiemoderne hanno cercato di omogeneizzare i saperi.Ma questi ultimi nascono in un contesto determi-nato e non possono riprodursi come tali. Per con-tro, possono essere scambiati e completarsi a vi-cenda. Ecco perché occorre stabilire un dialogopermanente dei saperi, fondato sulla solidarietà, lareciprocità e il comunitarismo – principi che gui-dano la vita di numerosi popoli indigeni.Accettarequesto dialogo interculturale implica il riconosci-

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Un dialogo permanente dei saperiLa produzione accademica è un sapere supplementare che siaggiunge a quelli sviluppati nei secoli dai popoli indigeni, con-stata Freddy Delgado. Secondo questo esperto boliviano d’o-rigine aymara bisogna stabilire un dialogo tra i saperi al fine dievitare il dominio di una sola cultura sulle altre. Freddy Delgadoè stato intervistato da Jane-Lise Schneeberger.

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Freddy Delgado Burgoa,dottore in agroecologia esviluppo sostenibile, dirigedal 1990 il centro universi-tario AGRUCO, a Cocha-bamba. Parallelamentepartecipa alle attività di di-versi organi per lo sviluppoe di istituzioni scientifiche, a livello nazionale e interna-zionale. È coordinatore perla regione andina delMovimento agroecologicoper l’America latina e iCaraibi MAELA, e coordi-natore per l’America latinadella rete di sostegno alladiversità culturale COM-PAS. Dopo una formazionedi ingegnere agronomo assolta a Cochabamba,Freddy Delgado ha prose-guito gli studi presso ilCentro Bartolomé de lasCasas, in Perú, dove si èspecializzato nello svilupporurale delle regioni andine.Nel 2001 ha ottenuto il dot-torato presso l’Università diCordoba, in Spagna.

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Connubio di saperiIl programma AGRUCO(Agroecologia Università diCochabamba) è il frutto diun accordo stipulato nel1985 tra la DSC el’Università Mayor de SanSimón di Cochabamba.L’obiettivo iniziale era tra-smettere le esperienze del-l’agricoltura biologica sviz-zera alle universitàpubbliche boliviane e aiservizi dello Stato per la divulgazione agricola. Oggiquesto centro di compe-tenze si consacra alla ri-cerca partecipativa, allaformazione universitaria ealla promozione di progettipilota di sviluppo nelle co-munità rurali andine. Lavorain stretta collaborazionecon i contadini locali, asso-ciando il sapere tradizionaleal sapere scientifico conl’intento di proporre alter-native di sviluppo umanosostenibile in ambito rurale.Nel 1990 AGRUCO hacreato due programmi diformazione post-laurea,uno in agroecologia e svi-luppo rurale sostenibile,l’altro in gestione munici-pale. Dal 1998 propone al-tresì un programma di li-cenza in «agroecologia,cultura e sviluppo sosteni-bile in America latina». www.agruco.org

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luce dapprima nel 2000, allorché una rivolta ha co-stretto il governo a rinunciare al suo progetto diprivatizzare l’acqua potabile a Cochabamba dan-dola in concessione alla multinazionale Bechtel. Ilpopolo si è nuovamente mobilitato nell’ottobrescorso contro la prevista vendita del gas naturaleagli Stati Uniti.Al prezzo di 70 morti, ha ottenutol’annullamento del progetto e le dimissioni del pre-sidente.L’espropriazione delle risorse genetiche tramitebrevetto non ha provocato le stesse reazioni perchénon ha comportato procedure giuridiche. Ma sap-piamo che diversi brevetti sono già in vigore e al-tri lo saranno presto. La quinoa è stata dapprimabrevettata, poi tale misura è stata annullata graziealla forte mobilitazione dei produttori ecologici,sostenuti dalla cooperazione internazionale.

Le università tengono sufficientemente contodei bisogni delle popolazioni svantaggiate?Quale importanza attribuiscono ai saperitradizionali?Nei paesi del Sud, le università non tengono contodei bisogni delle popolazioni svantaggiate, tantomeno dei saperi non accademici. Il loro unicoobiettivo è riprodurre e trasmettere le conoscenzesviluppate nel Nord. In America latina, la maggiorparte dei curricoli universitari è ricalcata su quellidel Nord e non soddisfa le problematiche locali né

regionali. E così, in materia di tecnica ovina talunefacoltà insegnano a costruire ovili originariamenteconcepiti per ricchi allevatori neozelandesi o ame-ricani.Nel corso degli ultimi 35 anni, alcuni progettihanno integrato i saperi locali e incoraggiato unapartecipazione maggiore della popolazione neiprocessi di sviluppo.A tale proposito, il dibattito suldegrado ambientale è stato una ricca fonte innova-trice. Il Vertice della Terra del 1992 a suscitato espe-rienze in agricoltura ecologica che per la primavolta hanno messo in rilievo i saperi tradizionali. Lacooperazione internazionale ha rapidamente cor-retto le sue strategie, mentre gli ambienti accade-mici hanno reagito con ritardo.

Ci fu un tempo in cui la cooperazione si li-mitava a trasmettere tecnologie dal Nordverso il Sud. Che cosa si aspetta oggi?I paesi del Nord sembrano sempre puntare innan-zitutto sulla trasmissione che sullo scambio di co-noscenze, presupponendo che il Sud soffra di unacarenza assoluta in materia. Diverse agenzie euro-pee per lo sviluppo hanno iniziato a integrare nelleloro attività taluni elementi del sapere del Sud.Purtroppo ciò concerne essenzialmente aspetti tec-nologici e non forme d’organizzazione sociale ocredenze religiose. La cooperazione internazionaledovrebbe considerare un sostegno integrale per ipopoli indigeni, partendo dalla loro peculiare vi-sione del mondo. Dovrebbe ricercare un dialogointerculturale franco e aperto, andare al di là degliobiettivi quantificabili che le mettono a posto lacoscienza.Altrimenti, continuerà a trasferire le sueconoscenze e le sue tecnologie perpetuando ununico modo di vedere il mondo e un’unica logicaeconomica: quella del mercato.

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Un solo mondo n.1 / Marzo 200428

Rete per lo sviluppoendogeno Creata nel 1995, la rete internazionale COMPAS(Comparing and Suppor-ting Endogenous Develop-ment) persegue l’obiettivodi rafforzare lo sviluppo en-dogeno rivalutando i saperilocali. Cofinanziata dallaDSC, questa rete com-prende 22 organizzazioninon governative e fonda-zioni con sede in Africa, inAmerica latina, in Asia e inEuropa. Per la regione la-tino-americana è stata co-stituita dal programmaAGRUCO, a Cochabamba,che ne assume il coordina-mento. Seguendo l’esem-pio di AGRUCO, gli altripartner della rete realizzanoprogetti tesi a preservare ladiversità biologica e cultu-rale. Sostengono ed effet-tuano ricerche basate sullavisione del mondo dei po-poli indigeni. L’obiettivo diCOMPAS è stabilire un dia-logo interculturale tra il Sude il Sud e tra il Nord e il Sud.

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Lei dirige un centro universitario di ecologiaagricola basato su un dialogo permanentecon i contadini indigeni.Dopo 18 anni di esi-stenza, qual è il bilancio di questo pro-gramma sostenuto dalla DSC? Attualmente 180 professionisti, per lo più agro-nomi, hanno seguito i due programmi di forma-zione post-laurea, creati dall’Università Mayor deSan Simón di Cochabamba.Una quarantina di loroha ottenuto una licenza in «agroecologia, coltura esviluppo sostenibili». I nostri curricoli sono stati de-finiti e adattati progressivamente sulla base di ricer-che realizzate in relazione diretta con le comunitàrurali nella provincia di Tapacarí. Questo progettopilota mirava a rafforzare le capacità dei contadini ea trasmettere le tecnologie agroecologiche, assicu-rando nel contempo la formazione degli studentiiscritti alla facoltà di agronomia. La maggior partedei lavori è stata svolta sugli appezzamenti di fami-glia. I ricercatori e gli studenti hanno studiato lestrategie di vita dei contadini, tenendo conto deiloro bisogni.Nel corso di tale processo, abbiamo al-tresì elaborato un programma integrale comunita-rio di autogestione e di sviluppo sostenibile, attual-mente realizzato in diversi comuni boliviani.

Le competenze e le pratiche indigene ri-schiano di scomparire dalla regione andina?Fin tanto che la vita spirituale sarà l’essenza della

società e delle culture, si può sperare che le prati-che indigene continueranno a esistere e si rafforze-ranno. Essendo io stesso di origine aymara, sonoconsapevole dei rischi connessi alle aggressioni diun sistema materialista e individualista che ci spingeverso il tracollo morale.Ma la nostra forza spiritualeè molto viva. Il dialogo interculturale consente perl’appunto di rafforzare le culture e di farle uscire dalloro isolamento. I mezzi di comunicazione mo-derni rendono possibile l’apprendimento sociale elo scambio di esperienze tra i popoli indigeni.Approfittiamo di queste tecnologie per rivalutare isaperi locali! Siamo riusciti a rivitalizzarli perchénon siamo soli. Siamo milioni di indigeni nelmondo.Abbiamo il dovere di preservare i saperi deinostri avi – ne va della nostra esistenza. ■

(Tradotto dallo spagnolo)

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29Un solo mondo n.1 / Marzo 2004

È usuale, nei testi di storia, affer-mare che la guerra comportadegli incentivi alla scienza. Pocoanalizzato è, invece, un feno-meno del tutto moderno: laforma in cui le contese bellichevanno a risvegliare la coscienzaumana. Dopo il Vietnam, i con-flitti hanno cessato di essereeroici per venire sottomessi aduna trama politica complessa eabominevole che ha portato soltanto orrore nell’anima delmondo. L’Afghanistan ha illu-strato in modo esemplare la finedel socialismo sprofondato in unpantano bellico. «Desert Storm»ci ha fatto capire che le armidovrebbero rappresentare l’ul-tima possibile soluzione, invecedi convertirsi nella prima. Unasmorfia deve aver contratto ilvolto dell’umanità, riflettendo lasua stanchezza: ne abbiamo ab-bastanza, di guerre, non ne vo-gliamo più!

Il confronto ideologico che hafatto da cornice alla guerra delgolfo è passato quasi inavvertito,a causa della manipolazione ef-fettuata dai mezzi di comunica-zione. Di questa sconfitta, cono-sciamo esaurientemente laprecisione chirurgica dei missiliguidati dai satelliti ma non leloro vittime, perché le teleca-mere hanno finito per soffer-marsi molto di più sui dati ri-guardanti l’esattezza balistica chenon sul dolore della gente.Alcontrario per l’offensiva sferratasull’Iraq, il cui nascere è statotrasmesso in diretta dal palazzodell’ONU, la partecipazione deipopoli è stata più o meno gene-rale. Poiché non si trattava sol-tanto di spodestare un tiranno –di quelli che generano anticorpiin seno alla società –, bensì divalutare la convenienza di sosti-tuire la pressione disarmata, an-che se di durezza estrema, conun attacco frontale. La prudenzaconsigliava di non essere preci-pitosi. I falchi della pace deside-

ravano che si esaurissero tutte lepossibili istanze, prima ancora disparare il primo colpo. Il ricordodei milioni di feriti, mutilati, or-fani, vedove ed invalidi dellegrandi carneficine belliche eu-ropee ci spingevano a non ripe-tere il perverso rito umano didistruzione ed estinzione.Perché non esistono battaglieinevitabili, ma solo generali im-pazienti.

Successe allora qualcosa di im-pensabile. Successe che nazionilontane come Francia eMessico, Egitto e Guatemala, sitrovarono all’approdo con unostesso principio pacificatore. E lecittà si confrontarono con unasubitanea commozione destinataa stimolare la riflessione sull’i-nutilità di uccidere per portarela civiltà, di radere al suolo cittàe culture per poi ricostruirle. DaTegucigalpa ad Amsterdam tuttele generazioni sono scese inpiazza, per fermare le armi edare un’ultima opportunità allapace, ma il tentativo estremo èstato vano. Le frecce delle bale-stre erano già incoccate, gli or-dini già dati, ed il sergente d’ar-tiglieria sorrideva al suocapitano, in attesa dell’ordine disparare.

Sono state esaminate le cause ele conseguenze, ed esse hannoportato a precise deduzioni. Laprima tra queste è che, grazie aimedia, spesso molto criticati,una certa forma d’informazioneha potuto diffondersi, indu-cendo al sospetto che interessimeschini siano parte integrantedello scenario della prossimabattaglia. La seconda è che l’es-sere umano sembra aver trovatoaccesso, per esperienza storica,ad un nuovo livello di consan-guineità spirituale – usiamopure questa accezione rara –,soffrendo in anticipo tutto ciòche altri soffriranno. Ma se lascienza è in grado di prolungare

la vita e la felicità, perché nonimpiegarla anche per stabilireuno stato di concordia? Il di-lemma del secolo XXI andrà amanifestarsi esclusivamente intermini di valore: se accetteremoche la guerra contribuisce allosviluppo delle scienze, allora do-vremo anche sapere che essa ciporterà a sprofondare in un pan-tano di immoralità. La guerra,qualsiasi guerra, manca di ognigiustificazione morale.

Sebbene l’aggressività sia partedell’essere umano, i popoli la canalizzano e sublimano, indi-gnandosi con generali impru-denti, gente solo desiderosa disterminare chiunque si opponga.Gente per la quale sono stateconiate frasi sapienti: «A un ne-mico che fugge, ponti d’oro...»,o l’altra, bellissima: «Non im-porta perdere un battello seserve per conquistare un porto».Il che, esprime in sintesi la piùintelligente delle attitudini po-polari: «Non ci uccidiamo, per-ché tutti siamo il tutto, e conognuno di noi che muore,muore anche una parte di noistessi».Una riflessione, un vissuto col-lettivo e filosofico degno dell’u-manità. ■

(Tradotto dallo spagnolo)

Perché non esistono battaglie inevitabili, ma solo generali impazienti

Carta bianca

Julio Escoto non è soltantouno degli scrittori e dei giornalisti più conosciutidell’Honduras, ma appartieneanche alla piccola cerchia diintellettuali maggiormente pro-filati del suo paese. La carat-teristica per la quale si distin-guono i suoi scritti è nella suaidentificazione con l’Hondurase con i valori di questa terra.Fra le opere più conosciute diquesto autore sessantenne –che ha ricevuto diversi rico-noscimenti a livello internazio-nale – sono da citare «Losguerreros de Hibueras», «El árbol de los Pañuelos»,«Rey del albor e madrugada». Non risultano traduzioni in italiano di sue opere.

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Quest’anno Cile e Sudafrica sono gli ospiti speciali del Festival del film Visionsdu Réel a Nyon. Sotto la direzione di Jean Perret, questo festival – all’originedestinato alla proiezione di film documentari – sta vieppiù evolvendo a croce-via mondiale di immagini controcorrente. Di Gabriela Neuhaus.

gate come le realtà in cui na-scono – e che rispecchiano. «NelCinéma du Réel bisogna crederealle immagini, bisogna perce-pirne l’autenticità. Questo generedi cultura cinematografica e vi-deo aiuta a conoscere il mondocosì com’è», afferma Jean Perret.Ma per Perret il film è molto piùdi qualcosa che serve a docu-mentare ciò che esiste: nei film

Immagini del mondo a Nyon

Un solo mondo n.1 / Marzo 200430

Jean Perret è un viaggiatore infatto di film: nel mese di novem-bre è volato in Cile per incon-trarvi cineasti riuniti in unworkshop e trovare piccoligioielli da mostrare in aprile alFestival di Nyon. Prima era statoin Georgia e aveva lavorato concineasti del Caucaso, e inGiappone, dove ha scovato altritre film destinati a Nyon 2004.

«Per me è molto importante ve-dere cosa fanno gli altri, scam-biare opinioni e lavorare in-sieme», così Jean Perret giustificail suo impegno. E anno dopoanno il programma di Visions duRéel ne è lo specchio: variegato,internazionale e innovativo. IlFestival è oggi considerato unodei maggiori appuntamenti perregisti di documentari di tutto il

mondo. E negli ultimi anni an-che il pubblico si è presentato innumero sempre crescente.

Vivere altri mondi A Nyon il termine «film docu-mentario» è oramai scomparsodal cartellone – poiché non sod-disfa più l’attuale varietà diforme di questo genere. LeVisions du Réel sono così varie-

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Le riprese per «On Hitler’s Highway» di Lech Kowalski, Francia 2002

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vengono poste domande, con ifilm il mondo di domani può es-sere sdrammatizzato, i film pos-sono contribuire a modellare lasocietà e la politica. Sempre che icineasti indipendenti ricevanomezzi e possibilità sufficienti perrealizzare i loro lavori e mostrarlia un pubblico. Non da ultimo, acausa delle condizioni esistenzialispesso difficilissime per i produt-tori indipendenti di documen-tari, il Festival del film di Nyon èconsapevolmente evoluto versoun centro in cui vengono stabiliticontatti e create reti. «Facciamoopposizione con film e per im-magini che esulano dalla cor-rente predominante», affermaJean Perret.

Promozione internazionale Nell’ambito di seminari, work-shop e festival, Jean Perret esportain tutto il mondo l’impegno diNyon a favore del film docu-mentario. L’ambito d’attività è

ampio: dalla discussione sulla sto-ria del film documentario alla suaevoluzione nei diversi paesi, finoall’uso delle nuove tecnologiegrazie alle quali oggi è possibilegirare pellicole anche con budgetmolto limitato. Ciò nonostante,secondo Perret lo sviluppo diuna vera cultura del film è prati-camente impossibile senza il so-stegno dello Stato. Infatti, pro-

durre film di elevata qualità perun pubblico più vasto costa pa-recchi soldi – soldi che mancanosoprattutto nei paesi del Sud edell’Est.In Argentina e a Cuba sussistonoad esempio tradizioni cinemato-grafice di lunga data che tuttaviaminacciano di decadere a causadelle casse vuote dello Stato. Èqui che interviene Visions duRéel – con il sostegno dellaDSC, che da tre anni si presentain qualità di partner anche alFestival. «Abbiamo cercato uncontatto con Nyon», affermaSophie Delessert, responsabileper la promozione della cinema-tografia presso la DSC, «perchéquesto festival proietta anche pel-licole incentrate su tematiche delSud e dell’Est e perché la sua fi-losofia è molto vicina agli obiet-tivi della cooperazione allo svi-luppo». Delessert auspica unbeneficio reciproco: «Le imma-gini sono il medium più incisivo,

suscitano emozioni, consentendodi sensibilizzare per le nostre te-matiche le persone del Nord –nel senso di un’educazione glo-bale. Nei nostri paesi partner ifilm giocano un ruolo impor-tante negli ambiti più disparati.Ad esempio per trovare una pro-pria identità, nell’ambito di pro-cessi di democratizzazione onella scuola.»

Requisiti di elevata qualità Per allestire il programma dellepellicole che verranno proiettatedurante la settimana del Festival,Jean Perret e il suo team hannovisionato 1500 film. Per molti diessi era chiaro già dopo qualcheminuto che non rispettavano leelevate esigenze di qualità, o chenon erano adatti al programma.«Benché ogni anno vengano pro-dotti miliardi di minuti di pelli-cola, è sempre difficile comporreun programma interessante confilm d’eccezione», afferma JeanPerret.Le nuove tecniche consentono aicineasti sia nel Nord che nel Suddi tentare nuove vie con mezzilimitati; quasi ognuno può oggigirare il proprio film. Ma ciòcomporta anche un peggiora-mento della qualità. Un dato difatto che Jean Perret cerca dicontrastare attraverso un’integra-zione e un impegno internazio-nali e ponendo chiare esigenze

nella scelta dei film destinati alFestival. «Le nostre pellicole sonofatte per il cinema. Devono peròanche essere dense di contenuti edai forti modelli, devono raccon-tare storie, essere strutturatecome dei saggi o sorprendere ilpubblico con altre forme sempreinnovative». ■

(Tradotto dal tedesco)

L’edizione 2004 del Festival inter-nazionale del film Visions du Réelavrà luogo dal 19 al 25 aprile 2004a Nyon. Informazioni sul pro-gramma, sulle proiezioni speciali, su-gli atelier, eccetera su: www.visionsdu-reel.ch.

Un solo mondo n.1 / Marzo 2004 311

«Wellspring. The Time we spend together» di Sha Qing, Cina 2002 «Lettre de... Oradour-sur-Glane» di Christian Mottier, Svizzera 1972

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32 Un solo mondo n.1 / Marzo 2004

Tra il 1937 e il 1953, due milioni di persone vennero deportate ogni anno nei gulag, le famigerate prigioni lager russe. Un’esposizione allestita a Ginevra desidera contribuire all’elaborazione di questo cupo capitolo di storia.

(gn) Con l’esposizione «Gulag –Il popolo degli zek» il Museod’etnografia di Ginevra sollevaun problema sconvolgente dellastoria dell’Unione sovietica. Neicampi di lavoro russi, nello scorsosecolo hanno perso la vita tra i30 e 40 milioni di persone. Quasiogni famiglia dell’attuale Russiaha un parente o un conoscentefinito in Siberia per la «rieduca-zione».Alla luce degli attuali pro-blemi, l’attuale Russia preferiscesovente stendere un velo di riser-vatezza su questo capitolo dellastoria sovietica. Le organizzazionirusse per i diritti umaniMemorial e Liberty Road inten-dono ora tematizzarlo elabo-rando il progetto di una mostra.

Un approccio etnografico In occasione di una visita a

Mosca del direttore della DSCWalter Fust, gli iniziatori sono riusciti ad assicurarsi il sostegnodella Direzione dello sviluppo edella cooperazione. La DSC so-sterrà l’esposizione con 300’000franchi. La novità dell’approccioginevrino è l’analisi del «feno-meno gulag» da un’angolaturaetnografica: nei lager i prigio-nieri dovevano essere rieducatiper divenire membri della nuovasocietà libera sovietica. Nel con-tempo la vita nel gulag era carat-terizzata dalla repressione piùbruta. Quest’assurdità e la quoti-dianità del lager saranno presen-tati ai visitatori del museo attra-verso oggetti della vitaquotidiana e fotografie.Gli espositori sottolineano comeil gulag non fosse un fenomenoisolato. Secondo Milena

Mihajlovic, responsabile per laRussia presso la DSC, un ele-mento particolarmente meritoriodel progetto è proprio il fattod’aver inserito questa tematica siain un contesto storico che con-temporaneo. Mihajlovic consi-dera l’esposizione un importantecontributo per l’elaborazione delpassato in Russia e per la ricercadella propria identità. Purtroppoviene mostrata troppo lontanodal vero pubblico target. «AMosca sarebbe troppo difficilerealizzare un simile progetto.Ginevra è invece una città inter-nazionale con una tradizioneumanitaria, dove possiamo rag-giungere un vasto pubblico», cosìi responsabili del progetto giusti-ficano la scelta della città sulLemano. ■

(Tradotto dal tedesco)

L’esposizione«Goulag, le peuple deszeks» sarà allestita dal 12marzo 2004 al 2 gennaio2005 nell’Annexe deConches del Museo d’etno-grafia di Ginevra. Oltre all’e-sposizione sono previsti di-versi eventi e un catalogodell’esposizione – in linguafrancese e inglese. Permaggiori informazioni:www.ville-ge.ch/musinfo/ethg/indxagenda.htm

Gulag aGinevra

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Un solo mondo n.1 / Marzo 2004 33

Contro il razzismo – per i diritti umani (bf) La Fondazione Educazione eSviluppo gestisce su mandatodella Confederazione il Fondoprogetti «contro il razzismo – peri diritti umani». Essa sostiene fi-nanziariamente in Svizzera pro-getti scolastici che si impegninoin favore del rispetto dei dirittiumani e combattano la discrimi-nazione fondata sulla «razza», leorigini, le idee e la religione. Iprogetti possono avere un nessocon l’insegnamento, la scolaresca,la sede scolastica o l’ambientescolastico. Possono parteciparetutti i gradi e ordini di scuola,dalla scuola dell’infanzia al liceoe alle scuole professionali, non-ché le istituzioni di formazionedegli insegnanti. Il prossimo ter-mine di presentazione dei pro-getti è fissato al 15 aprile 2004. Iprogetti delle scuole e delle classigià realizzati sul tema «contro ilrazzismo – per i diritti umani»vengono presentati in tedesco efrancese nel nuovo sito webwww.projektegegenrassismus.ch.Ulteriori informazioni sul Fondoprogetti «contro il razzismo – peri diritti umani» all’indirizzowww.globaleducation.ch

Emozioni sonore uzbeke (er) È una seduzione che ci con-duce alla leggendaria via dellaseta, nei regni timbrici fraOriente e Asia. Il liuto a duecorde e manico lungo doutar(proveniente dall’area centroasia-tica del XV secolo), il flauto dibambù ney, il violino a lanciagidjak o gli strumenti affini allacetra konun e chang pongonoaccenti cauti, quasi rauchi. Iltamburello e il tamburo doiramarcano dolcemente il tempo.E la calda, lievemente insistentevoce della cantante, compositricedi canzoni e musicista SevaraNazarkhan modula meravigliosiarabeschi che fluttuano leggeri suquarti di tono. Il repertorio vieneaggiornato con molta sensibilità

alle esigenze della modernità altavolo di missaggio dal famososperimentatore sonoro franceseHector Zazou. I suoi loop, sam-ple e passaggi tastieristici contri-buiscono a creare le mitiche at-mosfere che suscitano questeemozioni sonore uzbeke offertedal primo CD commercializzatonel mondo dalla Nazarkhan.Sevara Nazarkhan: «Yol Bolsin»(Real World / EMI)

Omaggio caliente (er) Il disegnatore di fumettiRobert Crumb («Fritz The Cat»)presenta su di un sampler 24delle sue trouvailles per omag-giare le «Hot Women Singers».Affondano tutte le loro radici ne-gli anni attorno al 1920 e al1950. Possiamo così ascoltarevoci da tempo dimenticate, an-che voci leggendarie delle«Torrid Regions» fra i due tro-pici.Vi traspare la passione, la no-stalgia, l’amore, il dolore e illutto.Per le orecchie viziate dal soundtecnologico, l’inatteso fascino stanella patina del suono monovo-cale a 78 g.p.m.: voci femminilinavigano da sole, in coro e in al-ternanza in modo diretto e rocosu ritmi calienti, talvolta insisten-temente striduli e acuti, ma non-dimeno sconvolgentemente vitalie non senza il potenziale di in-durci ad accompagnare il canto.In quanto aggiunta al CD,Crumb ha illustrato lui stesso inbellissima maniera le note sullafodera del disco. Insomma: l’affa-scinante trouvaille grafica dallocharme esotico e spiritoso non èper soli beatnik!

Various (Robert Crumb): «HotWomen - Women Singers From TheTorrid Regions Of The World»(Kein&Aber / Musikvertrieb)

Musica da camera africana (er) Ci adula con un toccoagrodolce. Con il suo timbroeccezionale ci conduce sullealture e nei fondali. La vocedi Rokia Traore, cantante delMali, ci tocca dolcemente nelprofondo con la sua limpidatrasparenza. Passaggi melodicidi chitarra si affiancano all’in-treccio armonicoritmico deisuoni chiari delle corde deln’goni e dei timbri scuri epieni delle zucche balfafon. Indue brani del terzo albumdella cantante scopriamo per-sino un girotondo che coin-

volge gli archi del quartettoKronos e il canto di Rokia,che talvolta volteggia lieve esereno, talvolta aleggia con unvibrato.Siamo di fronte a una musicada camera magistrale, presen-tata da una donna africanamoderna, il cui impegnoemerge anche dai testi e lecui radici affondano nella tra-dizione del Sahel. In un branola voce di Rokia brilla anchenel duetto con il lamentosofalsetto di Ousmane Sacko, illeggendario griot degli anni’80. Inoltre, a mo’ di inattesaaggiunta, nell’hidden track sisviluppa il più puro afrosound.Rokia Traoré: «Bowmboï» (LabelBleu - Indigo / RecRec)

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Un solo mondo n.1 / Marzo 200434

Profeta in Israele (dg) Il sacerdote cattolico EliasChacour è palestinese con passa-porto israeliano. In gioventù havissuto l’occupazione e la divi-sione della Palestina con la lorosequela di violenze. Chacour hadeciso di aderire alla resistenza,scegliendo la via della predica-zione.A Ibillin, un piccolo villag-gio della Galilea, ha costruito lascuola multireligiosa Mar Elias,diventata nel frattempo un sim-bolo di parità e rispetto reci-proco fra le religioni. Con incre-dibile idealismo ha operato infavore di un futuro comune pergli ebrei e i palestinesi in Israele.Ora il suo impegno di 35 anni èstato riconosciuto: alla primauniversità cristiano-arabo-israe-liana in Israele è stata concessal’autorizzazione. Elias Chacour sa persuadere grazie alla sua elo-quenza, alle sue precise afferma-zioni, alla sua visione della ricon-ciliazione e al suo infaticabileimpegno per una vita in sicu-rezza e pace.«Elias Chacour – prophète en sonpays», di Claude Roshem Smith,Francia/Israele, 2003.Documentario, 55 minuti, videoVHS,VO arabo/francese, parzial-mente sottotitolato in francese, dai 16 anni. Distribuzione/vendita:Éducation et Développement,tel. 021 612 00 81,[email protected];Cinédia, tel. 026 426 34 30,[email protected]. Informazioni:Service «Films pour un seul monde»,tel. 031 398 20 88,www.filmeeinewelt.ch

Etica (bf ) Come può la cooperazioneallo sviluppo rendere la convi-venza delle persone e dei popolipiù giusta e sostenibile? È questol’interrogativo principale che ilprofessore di etica e filosofiaThomas Kesselring, docenteall’Università di Berna, affrontanel suo libro «Ethik der Entwick-lungspolitik – Gerechtigkeit im

Zeitalter der Globalisierung».«L’etica è legata alla capacità diastrarsi dal proprio punto di vi-sta», afferma Kesselring che nellibro chiarisce quanto quest’artesia necessaria soprattutto intempi di rapido sviluppo dellaglobalizzazione. Ponendosi inuna prospettiva filosofica,Kesselring sviluppa un’etica dellacooperazione allo sviluppo fon-data sulla teoria, senza mai per-dere d’occhio l’analisi pratica.Nel suo approfondito studio discute le varie teorie filosofichein tema di giustizia e di coopera-zione economica, analizza conce-zione e prassi della globalizza-zione, discute i vantaggi e glisvantaggi del libero scambio, eapprofondisce la dimensioneecologica della messa in rete in-ternazionale.«Ethik der Entwicklungspolitik» diThomas Kesselring; edizioni C.H.Beck, Monaco di Baviera, ottenibilesolo in tedesco

Superman e re Zahir (bf) Il premio «Die blaue Brillen-schlange» per la letteratura infan-tile e giovanile viene conferitodal 1985 a un albo illustrato o aun libro per ragazzi che si distin-gua per il modo d’affrontare latematica dei mondi sconosciuti edel razzismo. L’ultimo premio èstato conferito a un libro di bel-lezza veramente eccezionale del-l’artista e illustratore egizianoMohieddin Ellabbad. L’incontrocon il mondo arabo incomincianell’istante in cui si apre il libro.Infatti, si legge da destra a sini-stra. I collages e disegni dalla suagioventù a oggi permettono diaccedere in modo facile e direttoa un mondo fantastico e ignoto.Ogni pagina avvicina inoltre ilettori a profumi sconosciuti, sul-tani turchi, sceicchi che assapo-rano le pere, non tralasciandod’informare sul che unisceSuperman al re arabo Zahir e in-terrogandosi, infine, sul fatto segli arabi sognino da destra a sini-

stra. Insomma, un libro davverofantasioso, originale e profonda-mente filosofico, che getta conincredibile leggerezza un pontetra mondo arabo e quello occi-dentale.«Le carnet du dessinateur», edizioniMango Jeunesse, Parigi, 1999,«Das Notizbuch des Zeichners»,Atlantis /verlag pro juventute,Zürich 2002

Rapporto sullo sviluppo (bf ) Il Rapporto sullo sviluppomondiale 2004 della Banca mon-diale lo dice chiaro e tondo: l’u-manità tutta intera starà meglioin futuro solo se i poveri po-tranno accedere più facilmente aiservizi sanitari, all’educazione, al-l’acqua potabile e all’elettricità,essendo in grado di pagarli. Senzamiglioramenti in questi campi idiritti umani legati alla sanità ealla formazione – due delle prin-cipali modalità che consentono aipoveri di sfuggire alla loro condi-zione – continueranno a essereirraggiungibili per una moltitu-dine. Il rapporto chiede inoltre dicoinvolgere maggiormente il set-tore privato nella lotta contro lapovertà. «Per la lotta contro lapovertà la crescita economicarappresenta indubbiamente unodei fattori più importanti, ma lacrescita in sé non è sufficiente»,afferma Ritva Reinikka, autriceprincipale del rapporto, sottoli-neando l’importanza che assumeil radicamento locale dei servizi.Il Rapporto sullo sviluppo mondiale2004 «World Development Report2004 – Making Services Work for

Poor People» è ottenibile tramitewww.worldbank.org

Impatto reale (bf ) La politica economicadell’Organizzazione Mondialedel Commercio (OMC) e la pro-blematica Nord-Sud sono temimolto discussi, complessi e nelcontempo astratti. Un accessosemplice e poco convenzionale,lo hanno trovato i curatori delfumetto «Das Abkommen», chenon solo piace ai giovani e ai fandel fumetto, ma si rivela un uti-lissimo strumento didattico mo-derno. La vicenda parla diGabriela Gonzales, una sindacali-sta impegnata, proveniente dauna famiglia di risicoltori filip-pini, che viene in Svizzera pernarrare le esperienze che haavuto con l’OMC. La storia illu-stra come dei trattati totalmenteastratti abbiano delle conse-guenze ben reali per le persone:la politica d’importazionedell’OMC, per esempio, fa sì chele Filippine importino più riso eortaggi di quanti non ne espor-tino, privando così le contadinedella loro base esistenziale.Allafine del libro gli autori spieganola reale portata dei trattati inmodo semplice e oggettivo.«Das Abkommen», di MarkusKirchhofer, Hannes Binder,Marianne Hochueli; edizioni Hep,Zurigo, ottenibile solo in tedesco

Povertà e corruzione(bf ) «Abbiamo constatato unnesso univoco fra povertà e cor-ruzione. Ma non è sempre chiarodove si situi il nesso originario:se siano corrotti perché poveri,oppure se siano poveri perchécorrotti». Chi lo dice è PeterEigen, direttore fondatore diTransparency International (TI),una delle organizzazioni non go-vernative di maggior successo.Nel 1999 le è stato conferito ilpremio della Fondazione MaxSchmidheiny. Con sezioni in ol-tre 100 paesi, questa associazione

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Un solo mondo n. 1 / Marzo 2004 35

Servizio

con sede a Berlino conduce dadieci anni sotto la presidenza diPeter Eigen una lotta sistematicacontro tutte le forme di corru-zione nella vita politica ed eco-nomica, pubblicando nel con-tempo il «Corruption PerceptionsIndex (CPI)». Peter Eigen, exmanager per la Banca mondialedi programmi in Africa eAmerica latina e uno dei più ri-nomati conoscitori della corru-zione, illustra nel suo libro «DasNetz der Korruption» le dimen-sioni assunte dal fenomeno.«Das Netz der Korruption», diPeter Eigen, edizioni Campus,Francoforte/New York, il volume non è disponibile in italiano Per il Corruption Perception Index ealtre informazioni su TransparencyInternational: www.transparency.org

Tibet(bf ) La fotoreporter ginevrinaJacqueline Meier sbircia con lasua camera e con i suoi reporta-ges dietro la facciata dei paesicompiendovi lunghi itinerari.Nel suo libro «Requiem pour leTibet» non mostra dunque af-fatto un Tibet folcloristico, mainvita l’osservatore delle sue foto-grafie, a prima vista per nulla

spettacolari, a guardare più da vi-cino, in modo più differenziato.Meier mette a fuoco nel con-tempo la bellezza e la realtà nudae cruda delle tibetane e dei tibe-tani. Le fotografie sono accom-pagnate da un rapporto di viag-gio redatto in uno stile moltopersonale, che evita accurata-mente di perdersi nelle descri-zioni del paesaggio per dedicarel’attenzione alle persone.«Requiem pour le Tibet» diJacqueline Meier; edizioni Glénat,Grenoble, ottenibile solo in francese

Cultura e politica estera«Svizzera oltre», la rivista delDipartimento federale degli affariesteri (DFAE), offre ai suoi let-tori temi d’attualità inerenti allapolitica estera della Svizzera.L’edizione di fine marzo è incen-trata sulla politica estera dellaSvizzera in ambito culturale e dàla parola ai protagonisti di questosettore: DFAE, DSC, PresenzaSvizzera, Pro Helvetia e l’Ufficiofederale della cultura. Gli attoriprincipali della cultura descri-vono le relazioni che intratten-gono con altre culture; gli addetticulturali rendono un’immaginedella loro attività. Il ruolo dell’e-conomia nei processi di pace e laproblematica delle schiavitù mo-derne rappresentano ulterioritematiche affrontate dalla rivista.L’edizione di gennaio si era con-centrata sulle relazioni che laSvizzera intrattiene con gli USA.«Svizzera oltre» appare trimestral-mente in tedesco, francese e italiano.Ottenibile presso: «Schweiz global»,c/o Schaer Thun AG, Industriestr. 12,3661 Uetendorf

Sguardi critici ( jls) Tre nuovi titoli hanno ap-pena arricchito la collana «EnjeuxPlanète», lanciata da dodici edi-tori francofoni africani, canadesied europei per trattare il temadelle sfide legate alla mondializ-zazione. David Sogge, membrodel Transnational Institute diAmsterdam, getta uno sguardocritico all’aiuto internazionale.Gli rimprovera di provocare piùdanni del soccorso che fornisce.Per Oswaldo de Rivero, amba-sciatore del Perù pressol’Organizzazione mondiale delcommercio, lo sviluppo è unmito: numerosi paesi sono oggiridotti allo stato di economie nazionali dissestate. Da ultimo,il ricercatore tunisino MohamedLarbi Bouguerra dedica un’operariccamente documentata allaquestione dell’acqua.Alcuni laconsiderano una banale mercan-zia che deve generare profitti,mentre altri vi vedono un benecomune dell’umanità.D. Sogge: «Les mirages de l’aide internationale»; O. de Rivero:«Le mythe du développement»;M. L. Bouguerra: «Les batailles del’eau». Prezzo unico: 25 franchi.Ordinazioni: Éditions d’En Bas,tel. 021 323 39 18,e-mail: [email protected],ottenibile solo in francese

Genere(bf ) Fintanto che la povertà, laviolenza, lo sfruttamento e ladiscriminazione rappresentanonel mondo una realtà, per moltedonne continueranno a esserenecessarie l’analisi delle cause,l’emancipazione politica e le

concezioni alternative. Il seme-strale «Widerspruch» solleva nelsuo 44° numero i temi femmini-smo, genere e sesso ponendosi inun’ottica mondiale. Esso è re-datto da sole autrici. Come diconsueto i contributi si spingonoin profondità. Il ventaglio spaziadai diritti delle donne e dalleNazioni Unite alla politica di genere nel neoliberismo, senzadimenticare la tratta delle donne.«Widerspruch 44 – Feminismus,Gender, Geschlecht», CHF 25.-.Ordinazioni:Widerspruch, casellapostale, 8026 Zurgio,tel./fax 01 273 03 01;e-mail: [email protected]

Nuova organizzazionedell’ONU(bf ) L’Organizzazione mondialedel turismo OMT ha superatol’ultimo ostacolo di fronte alConsiglio economico e socialedelle Nazioni Unite in vista diessere ufficialmente riconosciutacome un’organizzazione specialedelle stesse Nazioni Unite.L’OMT si occuperà dell’elabora-zione di statistiche mondiali suiviaggi e consiglierà i governi sul-l’impostazione e l’elaborazionedella loro pianificazione turistica.Essa ha però anche elaborato ilCodice etico globale, il cui scopoè di fornire un quadro di riferi-mento etico al turismo mondiale.Fra le preoccupazioni maggioridell’organizzazione vi sono –sempre in relazione al turismo –in particolare anche il supera-mento della povertà, la creazionedi impieghi e l’armonia sociale.www.world-tourism.org

Impressum:«Un solo mondo» esce quattro volte l’anno in italiano, tedesco e francese.

Editrice:Direzione dello sviluppo e della cooperazione(DSC) del Dipartimento federale degli affariesteri (DFAE)

Comitato di redazione:Harry Sivec (responsabile) Catherine Vuffray (vuc) Barbara Affolter (abb)Joachim Ahrens (ahj) Antonella Simonetti (sia)

Jean Philippe Jutzi (juj)Thomas Jenatsch (jtm)Beat Felber (bf)

Collaborazione redazionale:Beat Felber (bf – Produzione)Gabriela Neuhaus (gn) Maria Roselli (mr)Jane-Lise Schneeberger (jls) Ernst Rieben (er)

Progetto grafico: Laurent Cocchi, Losanna

Litografia: Mermod SA, Losanna

Stampa: Vogt-Schild / Habegger AG,Solothurn

Riproduzione di articoli:La riproduzione degli articoli è consentitaprevia consultazione della redazione ecitazione della fonte. Si prega di inviare una copia alla redazione.

Abbonamenti:La rivista è ottenibile gratuitamente presso:DSC, Media e comunicazione, 3003 Berna,Tel. 031322 44 12Fax 031324 13 48E-mail: [email protected]

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Stampato su carta sbiancata senza cloro perla protezione dell’ambiente

Tiratura totale: 55’000

Copertina: Jörg Böthling / agenda

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Nella prossima edizione:

Allargamento ad Est dell’Unione europea: il suo significato, le sue ripercussioni e laparticolare sfida posta alla cooperazione allo sviluppo con i paesi in transizione

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