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IL «CORRIERE» FA «SPOON RIVER» ALLA CRITICA on strano sorriso sardonico, Giorgio De Rienzo ieri sul «Corriere» riportava – un poco errando – i termini di una discussione che alcuni critici di area cattolica hanno avviato intorno alla celebre opera di Lee Masters, «Spoon River». I lettori di «Avvenire» ne potranno trovare i termini esatti negli articoli apparsi nei giorni scorsi, a firma di Bianca Garavelli e in un’intervista a padre Antonio Spadaro. Si discuteva un’ipotesi di lettura avanzata da Giovanni Romano su «Studi Cattolici». Ma De Rienzo riduce il tutto, presentando una «divisione» tra i cattolici (e ironizzando su un necessario intervento papale). Naturalmente non tocca le questioni sollevate. Dalla sua tribuna, gioca a fare il reuccio della critica che guarda dei ragazzetti discutere. E infine accusa i cattolici di fare un «processo a Spoon River» che a suo avviso è solo un «gossip culturale estivo privo di spessore». Dichiarandosi «infastidito» per «l’intrufolarsi della morale cattolica in un testo poetico a tutti caro». Ora, a De Rienzo forse sfugge che discutere non solo non significa dividersi, ma è dare vita continua a quel fenomeno che si chiama letteratura. Forse gli sfugge che discutere sul rapporto dei personaggi di «Spoon River» con l’aldilà, e quindi con l’aldiqua, col tempo e con il significato dell’esistenza, non è propriamente un gossip estivo, esercizio in cui altri semmai van forte (mai letto il «Corriere»?). E forse gli sfugge pure che la discussione dei tre critici non si basa mai su questioni di «morale cattolica», a meno che egli non intenda con quel termine ad effetto questioni universali che riguardano tutti: il senso della vita, il valore della morale personale e pubblica, il senso del mistero. Temi riguardo ai quali i tre critici discutono se l’atteggiamento o i suggerimenti che vengono dall’opera sono nel segno di un’inquieta ricerca del significato della realtà e del vivere, o di uno struggente relativismo. Insomma, gli sfugge tutto. Forse perché vede sfuggire quella specie di strano monopolio che certuni pensano di avere nella discussione. Come dire: la discussione vale, la critica vale, la letteratura vale solo se ce ne occupiamo noi. E invece di affrontare un tema discusso pacatamente, prova a irridere gli interlocutori, a presentarli come inopportuni, addirittura fastidiosi. Vorrei dare un consiglio a De Rienzo, che non conosco e rispetto a cui non nutro nessun motivo di antipatia: questo atteggiamento non è mai stato utile, né alla letteratura, né alla critica. Forse certi effetti di poca vivacità e profondità culturale – anche a riguardo della letteratura – nel nostro Paese discendono anche da questi modi. Per il resto dirotti i suoi fastidi su cose più importanti: chi si occupa di poesia su queste pagine non ha nessuna intenzione di moralizzare nessuno. Non siamo reucci, ma poveri cristi. Però ci han dotato di una cosa: il senso critico. La voglia di leggere, di discutere. Davide Rondoni C

UNA MINIATURA ILLUSTRANTE DIO COME ARCHITETTO … · riannodarsi dei nodi della Storia. Q I Lévinas: Bibbia, un miracolo della letteratura di Emmanuel Lévinas «Da Omero a Dostoevskij,

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124Domenica6 luglio 2008

EditorialeNELLE POZZE DI PETROLIOTORNANO A GALLALE FERITE DEL CAUCASOdi Antonia Arslan

avvero Bakudà levertigini,questa città

misteriosa efantastica, avvoltaper secolinell’immagine dei

suoi fuochi, dell’olio misterioso che sitrovava dovunque, in pozze nerastre sulterreno, e che bruciava da solo. Ipersiani sassanidi, quando siimpadronirono della città, comandaronoche quel fuoco ardesse perennementenei templi zoroastriani; e la grande«corsa all’oro nero» cominciònell’Ottocento proprio da questo suolo,dove la ricchezza sgorgava quasi senzaintervento umano. Per parlare di questomondo appartato che affascinò iviaggiatori per secoli, per intuirequalche cosa della moderna nazionechiamata Azerbaijan, niente sembrameglio che affidarsi all’avventurosaepopea dell’uomo dai mille volti, l’ebreoazero Lev Nussimbaum. Il suo romanzo Ali e Nino, del 1937, che racconta lastoria d’amore di un musulmano e diuna ragazza georgiana cristiana,ambientato nel Caucaso alla vigiliadella prima guerra mondiale, èdiventato un classico della letteraturaazera, e viene letto ancor oggi, econsigliato quasi come una vera guidaper comprendere il Paese. Questo è ilmondo della Transcaucasia, unapignatta mista di turco-azeri, armeni,russi, assiri, ebrei, polacchi, a cui simescolavano, negli anni ruggentidell’esplosione della corsa all’oro nero,industriali, petrolieri, banchieri eavventurieri di ogni genere, da tutte leparti del mondo, perfino svedesi, comei fratelli Nobel... E chi faceva fortunacostruiva palazzi di sogno, ville fastoseaffacciate sul Mar Caspio, tortespumeggianti di pietra bianca e distucchi decorati. Ma è proprio Lev, ilpiccolo ebreo nato su un vagoneferroviario diretto a Baku, cherappresenta benissimo questo mondonelle sue molteplici apparenze,nell’oziosa bellezza della vita di unaBelle Epoque orientale, meno molle diCostantinopoli, più ruggente diimprovvise fortune, ma simile nellostratificarsi di civiltà e di etnie e, tuttosommato, nella reciproca tolleranza:questo prima dei conflitti interetnicidel 1905 e degli anni seguenti, quandola Russia zarista, per tener saldo il suotraballante dominio, fomentò dissidi frai popoli soggetti. Da allora, pogrom emassacri si sono succeduti, lasciandouna scia di odi e rancori reciproci.Georgiani, armeni e azeri si definisconoinfatti nei loro esatti confini di nazionisolo dopo la guerra, ma saranno prestoinghiottiti dall’Unione Sovietica, cheper settant’anni surgelerà in una quietesonnacchiosa i conflitti e l’anarchismoendemico delle genti caucasiche. Oggitutte le ferite si sono riaperte. Ilconflitto del Nagorno-Karabagh,enclave armena in territorio azero, èappeso a una fragile tregua da moltianni; la democrazia fatica adaffermarsi, e il governo azero stadiventando una monarchia ereditaria.Turchi e azeri si sentono fratelli esognano di eliminare l’ingombrantepresenza armena; ogni piccola tribùcaucasica sogna un’improbabileindipendenza. Sembra quasi unauspicio, o forse – possiamo sperarlo? –una profezia, allora, l’intera storia diLev, il piccolo ebreo: sfuggito aibolscevichi e riparato a Berlino, sitrasformò in un nobile musulmanoazero, e con gli pseudonimi di EssadBey e di Kurban Said scrisse libri sulibri in cui dipingeva il mondo perdutodel Caucaso della sua infanzia, di quellaBaku musulmana dominata dal palazzodei Khan, che – scrive – «divenne perme l’epitome di una pacifica, antica,silenziosa grandezza». E il romanzoche narra l’amore del nobilemusulmano e della bella georgianadivenne il testo fondante diun’identità fino ad allora fluttuante,com’era la regola in quel crogiolo dirazze e di clan che è il Caucaso,antichissima culla di civiltà.

DIL GRANDE FILOSOFO FRANCESE RILEGGEIL TESTO SACRO

l profetismo è la forma fondamentale della rivelazione –a condizione di intendere il profetismo in un sensomolto più ampio di quello che comportano il dono, iltalento o la vocazione particolari di coloro che vengono

chiamati i profeti. Io penso il profetismo come un momentodella condizione umana in quanto tale. Per ogni uomoassumere la responsabilità per altri è un modo di testimoniarela gloria dell’Infinito, e di essere ispirato. Nell’uomo cherisponde per altri si dà del profetismo e si dà dell’ispirazione,paradossalmente ancora prima di sapere cosa si esigeconcretamente da lui. Questa responsabilità prima della Leggeè rivelazione di Dio. In un testo del profeta Amos la profeziasembra posta come il fatto fondamentale dell’umanitàdell’uomo: «Dio ha parlato: chi non profetizzerebbe?». Se lecose stanno così, a fianco dell’esigenza etica illimitata laprofezia si interpreta in forme concrete, nelle quali si è fattatesto e libri. In queste forme concrete, diventate religioni, gliuomini trovano delle consolazioni, ma questo non metteaffatto in dubbio la struttura rigorosa che ho cercato didefinire, in cui sono sempre io ad essere responsabile e asopportare: l’universo, qualunque sia la prosecuzione dellastoria. In relazione a queste riflessioni mi è stato chiesto sel’idea messianica ha ancora un senso per me, e se ènecessario conservare l’idea di una tappa ultima della storia

in cui l’umanità non sarà più violenta, incui squarcerà definitivamente la crostadell’essere e in cui tutto si chiarirà. Horisposto che per essere degni dell’eramessianica bisogna ammettere chel’etica ha un senso, anche senza lepromesse del Messia.Sono convinto di questo: che la Bibbiasia il risultato di profezie e che in essala testimonianza – non dicol’«esperienza» – etica sia depositata informa di scritture. Tutto ciò, però, siaccorda perfettamente con l’umanitàdell’uomo in quanto responsabilità peraltri così come è emersa nei nostridialoghi. Il fatto che la critica storicamoderna abbia dimostrato,contrariamente a quello che si credevaalcuni secoli fa, che gli autori dellaBibbia sono più di uno e sono vissuti inepoche molto diverse, non cambia nullaa questa convinzione. Al contrario. Hosempre pensato infatti che il grandemiracolo della Bibbia non consistaaffatto nell’origine letteraria comune ma,all’opposto, nella confluenza diletterature differenti in uno stessocontenuto essenziale. Il miracolo dellaconfluenza è più grande del miracolodell’autore unico. Ora, il polo di questaconfluenza è l’etica, che dominaincontestabilmente tutto questo libro.

uello che si dice scritto nelleanime è scritto innanzitutto neilibri, il cui statuto è semprestato ridotto troppovelocemente, banalizzandolo, a

quello degli utensili o dei prodotti culturali della Natura odella Storia. La letteratura realizza invece una lacerazionenell’essere e non è riconducibile a qualche voce intima oppureall’astrazione normativa dei «valori», così come il mondo incui viviamo non è riducibile all’oggettività dei suoi oggetti.Penso che attraverso ciascuna letteratura parli – o balbetti osi dia un contegno o lotti contro la sua caricatura – il voltoumano. Nonostante la fine dell’eurocentrismo, screditato dacosì tanti orrori, credo all’eminenza del volto umano espressonella letteratura greca e nella nostra, che le deve tutto: graziea esse, la nostra storia ci fa vergognare. Nelle letteraturenazionali si dà partecipazione alla Sacra Scrittura, in Omero ein Platone, in Racine e in Victor Hugo, così pure in Pu!kin, inDostoevskij o in Goethe, ma anche, beninteso, in Tolstoj o inAgnon. Io sono certo tuttavia dell’incomparabile eccellenzaprofetica del Libro dei Libri, che tutte le letterature delmondo aspettavano o che commentano. Le Sacre Scritturenon significano attraverso il racconto dogmatico della loroorigine soprannaturale o sacra, ma attraverso l’espressione delvolto dell’altro uomo prima che si sia dato un contegno o unaposa, e che esse illuminano. Espressione tanto irrecusabilequanto sono imperiose le preoccupazioni del mondoquotidiano per noi esseristorici. Le Sacre Scritturemi parlano attraversotutto quello che nelcorso dei secoli hannorisvegliato nei lettori eche hanno ricevuto dallaloro esegesi e dalla lorotrasmissione. Esse comandano tutta lagravità delle lacerazioni in cui, nel nostro essere,viene messa in questionela buona coscienza delsuo esserci. È questa laloro santità, al di fuoridi ogni significazionesacramentale; statutounico, e irriducibile aquello dei sogni da«anime belle», nel casosi possa chiamarestatuto questo vento dicrisi – ossia questospirito – che soffia elacera malgrado ilriannodarsi dei nodidella Storia.

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Lévinas: Bibbia, un miracolo della letteratura

di Emmanuel Lévinas

«Da Omero a Dostoevskij, tutte le letterature del mondo aspettano o commentano il Libro dei Libri,che parla ancheattraverso quello che nel corso dei secoli ha risvegliato nei lettori»

Dal Louvre agli Uffizi, all’Ermitage di San Pietroburgo. I grandi museieuropei – spesso ridotti a tappeobbligate per i turisti – sono in realtà

una fonte insostituibile per l’identitàstorica di un continente. Il direttoredei Musei Vaticani spiega laresponsabilità che questo comporta

AGORÀIDEEANTONIO PAOLUCCI MUSEI: UN CODICE ETICO PER LA TUTELA 4/5

EMMANUEL LÉVINAS

IL LIBROFaccia a facciacon Philippe Nemo

Anticipiamo in questecolonne uno stralcio delcolloquio tra EmmanuelLévinas e Philippe Nemo Ladurezza della filosofia e leconsolazioni della religione.I dialoghi tra i due filosofifrancesi sono stati raccoltidall’editore Città aperta nelvolume Etica e infinito, acura di Franco Riva (pagine118, euro 11,00): unacarrellata di riflessioni delfilosofo franco-lituano,morto nel 1995, che spazia dalla Bibbia ad Heidegger, dall’essere alla responsabilità, dall’etica alla «gloria della testimonianza».

IL «CORRIERE» FA «SPOON RIVER» ALLA CRITICAon strano sorriso sardonico, GiorgioDe Rienzo ieri sul «Corriere»riportava – un poco errando – itermini di una discussione che

alcuni critici di area cattolica hannoavviato intorno alla celebre opera di LeeMasters, «Spoon River». I lettori di«Avvenire» ne potranno trovare i terminiesatti negli articoli apparsi nei giorniscorsi, a firma di Bianca Garavelli e inun’intervista a padre Antonio Spadaro. Sidiscuteva un’ipotesi di lettura avanzata daGiovanni Romano su «Studi Cattolici». MaDe Rienzo riduce il tutto, presentando una«divisione» tra i cattolici (e ironizzando suun necessario intervento papale).Naturalmente non tocca le questionisollevate. Dalla sua tribuna, gioca a fare ilreuccio della critica che guarda deiragazzetti discutere. E infine accusa icattolici di fare un «processo a SpoonRiver» che a suo avviso è solo un «gossipculturale estivo privo di spessore».Dichiarandosi «infastidito» per«l’intrufolarsi della morale cattolica in un

testo poetico a tutti caro». Ora, a DeRienzo forse sfugge che discutere non solonon significa dividersi, ma è dare vitacontinua a quel fenomeno che si chiamaletteratura. Forse gli sfugge che discuteresul rapporto dei personaggi di «SpoonRiver» con l’aldilà, e quindi con l’aldiqua,col tempo e con il significatodell’esistenza, non è propriamente ungossip estivo, esercizio in cui altri semmaivan forte (mai letto il «Corriere»?). E forsegli sfugge pure che la discussione dei trecritici non si basa mai su questioni di«morale cattolica», a meno che egli nonintenda con quel termine ad effettoquestioni universali che riguardano tutti:il senso della vita, il valore della moralepersonale e pubblica, il senso del mistero.Temi riguardo ai quali i tre criticidiscutono se l’atteggiamento o isuggerimenti che vengono dall’opera sononel segno di un’inquieta ricerca delsignificato della realtà e del vivere, o diuno struggente relativismo. Insomma, glisfugge tutto. Forse perché vede sfuggire

quella specie di strano monopolio checertuni pensano di avere nella discussione.Come dire: la discussione vale, la criticavale, la letteratura vale solo se ce neoccupiamo noi. E invece di affrontare untema discusso pacatamente, prova airridere gli interlocutori, a presentarlicome inopportuni, addirittura fastidiosi.Vorrei dare un consiglio a De Rienzo, chenon conosco e rispetto a cui non nutronessun motivo di antipatia: questoatteggiamento non è mai stato utile, néalla letteratura, né alla critica. Forse certieffetti di poca vivacità e profonditàculturale – anche a riguardo dellaletteratura – nel nostro Paese discendonoanche da questi modi. Per il resto dirotti isuoi fastidi su cose più importanti: chi sioccupa di poesia su queste pagine non hanessuna intenzione di moralizzarenessuno. Non siamo reucci, ma povericristi. Però ci han dotato di una cosa: ilsenso critico. La voglia di leggere, didiscutere.

Davide Rondoni

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UNA MINIATURA ILLUSTRANTE DIO COME ARCHITETTO DEL MONDO, TRATTA DA UNA EDIZIONE FRANCESE DELLA BIBBIA DEL XIII SECOLO (FOTOTECA)