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1 UNITÀ Processi tecnologici per semiconduttori OBIETTIVI CONTENUTI 1 Produzione e raffinazione del silicio 2 Poduzione e lavorazione del monocristallo 3 Realizzazione della giunzione PN 4 La tecnica planare 5 Metallizzazione e collegamento dei ter- minali OBIETTIVI Conoscenze Abilità Quali sono i processi necessari a ottene- re il silicio che serve per produrre i com- ponenti elettronici Le principali tecniche usate per realizza- re la giunzione PN Descrivere i processi che consentono la produzione di una giunzione PN Confrontare le diverse tecniche usate nella realizzazione della giunzione PN Produzione e raffinazione del silicio Il silicio è uno degli elementi chimici più diffusi sulla crosta terrestre. Esso si presen- ta comunemente sotto forma di biossido di silicio (SiO 2 ) impuro, denominato silice. Il silicio viene separato dall’ossigeno riscaldando la silice fino alla fusione (1420 °C) in un forno elettrico e facendola reagire col carbonio secondo la seguente reazione: SiO 2 + 2C –––––– Si + 2CO Il silicio così ottenuto, denominato silicio metallurgico, ha un grado di purezza del 98%, che è decisamente insufficiente per la produzione di dispositivi elettronici. La eliminazione delle impurezze residue richiede un successivo processo di purificazione per via fisica che verrà descritto in seguito. Per ridurre le difficoltà che si incontrano nella eliminazione delle impurezze contenute nel silicio si può partire dal tricloro silano SiHCl 3 ottenuto, come prodotto secondario nella industria dei siliconi. Il silicio ottenuto per via metallurgica ha un grado di purezza inadeguato per realizzare i componenti elettronici. Per eliminare le impurezze contenute nel lingotto si ricorre alla raffinazione per via fisica. Questo processo sfrutta il fatto che le impurezze si sciolgono meglio nel materiale fuso piuttosto che in quello solido (soluzione solida) 1

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116

1 U N I T À

Processi tecnologici per semiconduttori

Conoscenze

OB

IETT

IVI Competenze

CO

NTE

NU

TI 1 Produzione e raffinazione del silicio2 Poduzione e lavorazione del monocristallo 3 Realizzazione della giunzione PN

4 La tecnica planare 5 Metallizzazione e collegamento dei ter-

minali

Conoscenze Competenze

OB

IETT

IVI Conoscenze Abilità

Quali sono i processi necessari a ottene-re il silicio che serve per produrre i com-ponenti elettronici Le principali tecniche usate per realizza-re la giunzione PN

Descrivere i processi che consentono la produzione di una giunzione PN Confrontare le diverse tecniche usate nella realizzazione della giunzione PN

Produzione e raffinazione del silicio

Il silicio è uno degli elementi chimici più diffusi sulla crosta terrestre. Esso si presen­ta comunemente sotto forma di biossido di silicio (SiO2) impuro, denominato silice.

Il silicio viene separato dall’ossigeno riscaldando la silice fino alla fusione (1420 °C) in un forno elettrico e facendola reagire col carbonio secondo la seguente reazione:

SiO2 + 2C ––––––→ Si + 2CO

Il silicio così ottenuto, denominato silicio metallurgico, ha un grado di purezza del 98%, che è decisamente insufficiente per la produzione di dispositivi elettronici. La eliminazione delle impurezze residue richiede un successivo processo di purificazione per via fisica che verrà descritto in seguito. Per ridurre le difficoltà che si incontrano nella eliminazione delle impurezze contenute nel silicio si può partire dal tricloro silano SiHCl3 ottenuto, come prodotto secondario nella industria dei siliconi.Il silicio ottenuto per via metallurgica ha un grado di purezza inadeguato per realizzare i componenti elettronici.Per eliminare le impurezze contenute nel lingotto si ricorre alla raffinazione per via fisica. Questo processo sfrutta il fatto che le impurezze si sciolgono meglio nel materiale fuso piuttosto che in quello solido (soluzione solida)

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Unità 1. Processi tecnologici per semiconduttori

Per capire meglio il concetto di solubilità analizziamo il comportamento di una so­luzione di acqua (solvente) e sale da cucina (soluto). Se in un recipiente contenente acqua calda versiamo del sale notiamo che esso sparisce lasciando come unico segno della sua presenza il sapore salino dell’acqua.Il fenomeno viene spiegato dicendo che il sale si è sciolto nell’acqua. Se continuiamo a versare sale notiamo che a un certo punto l’acqua non riesce più a sciogliere il sale aggiunto ed esso precipita sul fondo del recipiente rimanendo separato dall’acqua.La soluzione si dice satura quando la concentrazione di sale (soluto) ha raggiunto il massimo valore di solubilità. Aumentando la concentrazione di soluto, la soluzione si dice sovrasatura: in questo caso una parte di soluto non viene sciolto e rimane separato.Si definisce grado di solubilità la percentuale di soluto presente in una soluzione satura; esso diminuisce col diminuire della temperatura, come si può verificare raffreddando una soluzione satura di acqua e sale. Infatti, se prendiamo una soluzione satura di acqua e sale alla temperatura di 90 °C e la raffreddiamo, possiamo osservare che col diminuire della temperatura aumenta la quantità di sale che, separandosi dalla soluzione, precipita sul fondo del recipiente. Ciò porta a concludere che il grado di solubilità diminuisce col diminuire della temperatura.Se la soluzione viene raffreddata al di sotto di 0 °C, si ottiene ghiaccio al cui interno rimane disciolta una piccola quantità di sale. Il ghiaccio col sale rappresenta una solu-zione solida. Con considerazioni analoghe si può giustificare il fatto che in un pezzo di silicio o di germanio le impurezze si sciolgono meglio nel materiale fuso che nel materiale solido (soluzione solida).

La tecnica più utilizzata per la raffinazione è quella denominata a zona fusa. Essa prevede che venga fusa solo una piccola parte (zona) del materiale, facendo scor­rere tale zona fusa lungo tutta la lunghezza del lingotto.

La zona fusa, scorrendo lungo il materiale, esercita un’azione di rastrellamento sulle impurezze, grazie al fatto che esse si sciolgono meglio in essa.La figura 1a mostra schematicamente un lingotto in cui la zona fusa in movimento lascia alle sue spalle un materiale con minore concentrazione di impurezze. Ripetendo più volte l’operazione di rastrellamento si migliora il grado di purezza. Per ottenere questo risultato si producono sul lingotto più zone fuse contemporanee e distanziate fra loro, in modo da avere zone fuse alternate a zone solide.

Soluzioni e grado di solubilità

Raffinazione a zona fusa

Zona fusa

Movimento della zona fusa

a)

Tubo di quarzo

Bobina a radiofrequenzaFilo di molibdeno

Navettadi grafite

b)

Raffinazione a zona fusa:

rastrellamento (a); apparec-

chiatura completa (b)

Figura 1

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Modulo 8. Tecnologia e produzione dei componenti a semiconduttore

Per ottenere le zone fuse si ricorre a un riscaldamento per induzione elettromagnetica ottenuto mediante una serie di bobine percorse da corrente a radiofrequenza. Le bobine sono avvolte su un tubo di quarzo entro il quale viene fatto scorrere il lingotto da raffinare.Ogni bobina induce correnti parassite limitatamente alla zona racchiusa dalla bobina stessa e il valore delle correnti parassite risulta molto alto in conseguenza dell’elevato valore della frequenza, tanto da riuscire a fondere il materiale nelle immediate vicinanze della bobina. Il principio di funzionamento è simile a quello dei forni a induzione e dei forni a microonde.Nella figura 1b si può notare il tubo di quarzo su cui sono avvolte le bobine a radio­frequenza per la produzione delle zone fuse. All’interno del tubo una navetta di grafite contenente il lingotto di silicio viene tirata mediante un filo di molibdeno in modo da passare entro le bobine. Queste ultime, distanziate di circa 9 cm, producono nel lingotto zone fuse di circa 4 cm e separate da circa 5 cm di materiale solido.Per consentire un buon rastrellamento delle impurezze, la velocità della navetta è di circa 2 mm/minuto.Il metodo rappresentato in figura 1b è poco usato per la raffinazione del silicio poiché questo elemento reagisce con i materiali della navetta oppure si salda a essa impedendone la riutilizzazione. Pertanto, la raffinazione del silicio viene effettuata mediante la tecnica della zona fusa sospesa (floating-zone), rappresentata schematicamente in figura 2.Il lingotto di silicio viene posto all’interno di un tubo di quarzo nel quale circola un gas inerte (argon o elio), che impedisce al silicio fuso di venire a contatto di altri materiali con i quali potrebbe reagire chimicamente rimanendo inquinato.Il lingotto è sostenuto verticalmente mediante due mandrini che lo stringono alle estremità. Esternamente al tubo viene fatta scorrere, con un lento movimento verso l’alto, la bobina a radiofrequenza, che trascina con sé la zona fusa.Questa tecnica è possibile perché, grazie all’elevato valore di tensione superficiale della zona fusa del silicio, il materiale fuso non cola lungo il lingotto.Per avere un migliore risultato vengono utilizzate più bobine che producono diverse zone fuse alternate a zone solide.

Raffinazione del silicio

Tubo di quarzo

Bobina aradiofrequenza

Zona fusasospesa

Gas inerte

Gas inerte

Lingotto

Raffinazione a zona fusa

sospesa

Figura 2

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Unità 1. Processi tecnologici per semiconduttori

Produzione e lavorazione del monocristallo

Il lingotto raffinato non è ancora idoneo a essere usato per produrre dispositivi; infatti la sua struttura è costituita da una gran quantità di granelli, cristallizzati in modo disordinato, al momento del raffreddamento. Tutti i granelli hanno una struttura cristallina uguale, ma l’orientamento dei cristalli è diverso: una simile struttura viene denominata policristallo. Perciò è necessario realizzare una struttura cristallina che sia identica su tutto il materiale; tale struttura prende il nome di monocristallo.

La figura 3 rappresenta una tecnica per produrre monocristalli di silicio denominata metodo Czochralski o metodo CZ.All’interno di un tubo di quarzo vi è un crogiolo di grafite purissima che contiene il silicio fuso. Il calore necessario alla fusione del materiale viene ottenuto mediante l’azione di una bobina a radiofrequenza avvolta sul tubo.Per ottenere il monocristallo viene immerso nel materiale fuso, per una profondità di 1 o 2 mm, un monocristallo denominato seme che, successivamente, viene tirato molto lentamente verso l’alto. In questo modo una piccola quantità di materiale fuso, a con­tatto con il seme, si raffredda e solidifica secondo una struttura cristallina esattamente uguale a quella del seme.Man mano che questo viene tirato, altro materiale solidifica nello stesso modo, per cui alla fine si ottiene un lingotto monocristallino. Per facilitare la formazione del mo­nocristallo, il seme viene fatto ruotare lentamente mentre viene tirato. Per ottenere un monocristallo drogato è necessario sciogliere nel materiale fuso il materiale drogante nella concentrazione desiderata.

I metodi descritti precedentemente sono poco utilizzabili per realizzare monocristalli di silicio perché, come abbiamo già detto, esso tende a reagire chimicamente con i materiali del crogiolo. Perciò i monocristalli di silicio vengono ottenuti, in prevalenza, con la tecnica della zona fusa sospesa (floating-zone), rappresentata schematicamente nella figura 4.Il lingotto viene fissato superiormente al mandrino superiore e nella parte inferiore viene posto a diretto contatto con un seme monocristallino tenuto dal mandrino inferiore.L’operazione inizia producendo una zona fusa nella parte di lingotto che si trova a diretto

2

Metodo Czochralski

Gas drogante

Tubo di quarzo

Bobina aradiofrequenza

Seme monocristallo

AlberoportasemeProduzione

del monocristallo

col metodo CZ

Figura 3

Monocristalli di silicio

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Modulo 8. Tecnologia e produzione dei componenti a semiconduttore

contatto col seme, e successivamente la zona fusa viene spostata lentamente verso l’alto.La parte di silicio che solidifica a contatto col seme ne ricopia fedelmente la struttura cristallina, perciò, man mano che la zona fusa si sposta in alto, si lascia dietro una struttura monocristallina uguale a quella del seme.Per ottenere un monocristallo drogato viene immesso nel tubo un gas contenente le sostanze droganti.Come già detto in precedenza, il silicio fuso non cola grazie all’elevato valore della sua tensione superficiale.

Nella figura 5 è mostrato un lingotto di silicio monocristallino durante una fase di trasporto per la lavorazione successiva.

Per la costruzione dei dispositivi a semiconduttore si utilizzano pezzi di materiale monocristallino di piccole dimensioni, pertanto il lingotto va sottoposto a una serie di lavorazioni meccaniche per ridurlo in piccoli pezzi (chip), ognuno dei quali può contenere un componente più o meno complesso.

Tubo di quarzo

Bobina aradiofrequenza

Zona fusasospesa

Gas inerte

Gas inerte

Lingotto

Seme

Produzione del

monocristallo col metodo

floating-zone

Figura 4

Lingotto mo-nocristallino di

silicio

Figura 5

Lavorazione del monocristallo

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Unità 1. Processi tecnologici per semiconduttori

La prima operazione consiste nel tagliare il lingotto in tante fette sottili con spessore di circa 200 μm utilizzando speciali lame diamantate. Le lamine ottenute col taglio hanno la superficie piena di imperfezioni geometriche che vengono eliminate con una serie di operazioni che costituiscono la levigatura e la lappatura, fino a ottenere superfici perfettamente piane.L’ultima operazione consiste nell’attacco chimico con cui vengono eliminate le ultime imperfezioni superficiali. Con questa ultima operazione si ottengono i wafer monocri­stallini pronti per la realizzazione dei componenti.Il wafer può avere un diametro variabile fra 50 mm e 150 mm. Esso presenta sulla parte esterna uno o più intagli che servono a individuale l’orientamento del monocristallo come si puo vedere in figura 6.

Da un wafer si possono ottenere diverse decine di componenti, per la realizzazione dei quali si può procedere in due modi: realizzando tutti i componenti sul wafer e dividendolo successivamente, oppure procedendo prima alla divisione del wafer in tanti pezzi (chip), su ognuno dei quali verrà, poi, realizzato un componente.

La figura 7 mostra un wafer di silicio su cui sono stati realizzati diversi componenti prima di procedere alla suddivisione.

La crescita epitassiale è una tecnica che consente di realizzare uno strato mo­nocristallino sopra una fetta (wafer) di monocristallo, denominato substrato. Lo strato cresciuto epitassialmente deve essere dello stesso semiconduttore di cui è costituito il substrato, avrà la stessa struttura cristallina del substrato e potrà avere un diverso tipo di drogaggio.

Lo strato epitassiale viene ottenuto ponendo i wafer di monocristallo in un tubo di quarzo riscaldato da una bobina a radiofrequenza. Se il monocristallo è di silicio, nel

90°180°

Tipo N (1,0,0)Tipo P (1,0,0)Tipo P (1,1,1)

Orientamento del

monocristallo

Figura 6

Wafer di silicio su cui

sono stati realizzati vari

componenti

Figura 7

Crescita epitassiale

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Modulo 8. Tecnologia e produzione dei componenti a semiconduttore

tubo viene immesso un gas formato da silano (SiH4) – oppure tetracloruro di silicio (SiCl4) o da triclorosilano (SiHCl3) –, idrogeno (H2) e gas droganti. Per ottenere un drogaggio di tipo N si usano la fosfina (PH3) o l’arsina (AsH3); per un drogaggio di tipo P si usa il diborano (B2H6).I gas immessi nel tubo di quarzo contenente i wafer monocristallini si decompongono in atomi grazie all’elevata temperatura presente nel tubo. Gli atomi di silicio e gli atomi droganti, lambendo la superficie dei wafer, vi si attaccano facendo crescere uno strato avente la stessa struttura cristallina del substrato.Nella figura 8a è rappresentata la formazione dello strato epitassiale, mentre nella figura 8b è schematizzata l’apparecchiatura utilizzata per tale processo. La crescita epitassiale va limitata a pochi µm in quanto, oltre certi spessori, la struttura cristallina è poco regolare.

Realizzazione della giunzione PN

La giunzione PN costituisce uno degli elementi fondamentali nella produzione dei componenti a semiconduttore; essa rappresenta la superficie di separazione fra due zone di un unico pezzo monocristallino di semiconduttore in cui una è drogata di tipo P e l’altra di tipo N.

Cl

HH

SiSiSiSiSiSiSiSi

P Si Si Si Si Si P Si

PSi Si Si Si Si Si Si

B

Si

Si

Si

Cl

B

SiB BSi Si Si Si Si

b)

Tubo di quarzo

Wafer

Bobina aradiofrequenza

B2H

SiCl4

H

Gas

Strato epitassiale

Substrato

a)

GasCrescita epitassiale:

deposizione degli atomi

(a); apparec-chiatura (b)

Figura 8

3

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Unità 1. Processi tecnologici per semiconduttori

La giunzione PN può essere realizzata con una delle seguenti tecniche:

• giunzione per lega;

• giunzione per diffusione;

• giunzione per impianto di ioni;

• giunzione per deposizione epitassiale;

• giunzione per punta di contatto.

Per realizzare una giunzione per lega si parte da un pezzo monocristallino (chip) di silicio drogato di tipo N e si pone sopra di esso una pasticca di alluminio. Il tutto viene riscaldato a una temperatura sufficiente a far fondere la pasticca nella zona di contatto tra i due materiali in modo da formare una lega fra metallo e semiconduttore. In questa fase un gran numero di atomi di alluminio penetra nel monocristallo producendo uno strato in cui il drogaggio viene invertito da tipo N a tipo P.

Un monocristallo di silicio (ni = 1,6 · 1010 cm–3) viene drogato con atomi di fosforo in concen-trazione di 1014 cm–3. In una seconda operazione vengono iniettati al suo interno atomi di alluminio in concentrazione di 1014 cm– 3. Dopo la prima operazione il silicio risulta drogato di tipo N e la concentrazione di elettroni liberi risulta pari a n = 1014 cm–3, mentre la concentrazione di lacune è di

Dopo l’iniezione, gli atomi di alluminio producono una compensazione del precedente drogag-gio e il silicio ritorna a essere intrinseco; cioè la concentrazione di lacune e di elettroni liberi ritorna a essere pari a ni.

Il silicio dell’esempio 1 viene drogato con atomi di fosforo in concentrazione di ND = 1014 cm–3 e successivamente con atomi di alluminio in concentrazione di NA = 1016 cm–3. In questo caso il silicio, dopo la prima operazione, risulta drogato di tipo N con n ≅ ND = 1014 cm–3 e p = 2,56 · 106 cm–3. Dopo la seconda operazione risulta drogato di tipo P con

p = NA – ND = 1016 – 1014 ≅ 1016 cm–3 e n npi= = ⋅2

42 56 10, cm–3 .

La seconda operazione di drogaggio ha operato una sovracompensazione del drogaggio precedente producendo una inversione del tipo di drogaggio.

La giunzione per diffusione viene realizzata sfruttando il fatto che, se sulla su­perficie di un semiconduttore è presente una sostanza drogante, gli atomi di tale sostanza si diffondono all’interno del reticolo monocristallino provocandone il drogaggio. La concentrazione di atomi diffusi è maggiore in prossimità della su­perficie di diffusione e diminuisce con l’aumentare della profondità.

Se, per esempio, viene effettuata una diffusione di atomi donatori in un silicio drogato precedentemente con atomi accettori e ipotizziamo che la concentrazione ND di atomi donatori diffusi sia maggiore della concentrazione NA di atomi accettori preesistenti, si ottiene una inversione di drogaggio per sovracompensazione. Poiché la concentrazione degli atomi diffusi diminuisce con l’aumentare della profondità, si otterranno due zone con caratteristiche diverse: quella più vicina alla superficie di diffusione risulta drogata di tipo N a causa della inversione di drogaggio, mentre quella più profonda rimane drogata di tipo P in quanto la concentrazione degli atomi diffusi è più bassa rispetto al drogaggio preesistente.

Giunzione per lega

esempio 1

p nni= = ⋅2

62 56 10, cm–3

esempio 2

Giunzione per diffusione

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Modulo 8. Tecnologia e produzione dei componenti a semiconduttore

La superficie di separazione fra le due zone, cioè la superficie su cui la concentrazione di atomi donatori è esattamente uguale a quella degli accettori, rappresenta la giunzione PN.Il processo di diffusione è tanto più veloce quanto maggiore è la temperatura a cui avviene; pertanto questo processo viene eseguito a una temperatura che va da 1000 °C a 1330 °C. Tale temperatura è decisamente inferiore alla temperatura di fusione del semiconduttore e comunque tale da non modificare apprezzabilmente la struttura del reticolo monocristallino.

La giunzione per impianto di ioni (ion implantation) consiste nel bombardare la superficie del semiconduttore con un fascio di ioni droganti.

Per ottenere tali ioni si mette il drogante sotto forma di composto in una camera di ionizzazione.Il composto viene immesso allo stato gassoso e, grazie alla elevatissima temperatura della camera, le molecole si rompono formando ioni. Alcuni di questi ioni sono costituiti da atomi dell’elemento drogante che si intende utilizzare.Tutti gli ioni ottenuti nella camera e aventi lo stesso segno degli ioni droganti vengo­no accelerati e inviati in uno spettrometro di massa, all’interno del quale, grazie a un campo elettrico trasversale al verso del movimento, essi vengono deviati. La devia­zione è maggiore per gli ioni più leggeri ed è minore per quelli più pesanti. Perciò a ogni tipo di ione corrisponde un diverso angolo di deviazione. In questo modo tutti gli ioni dell’elemento drogante vengono deviati nella stessa direzione, mentre gli altri proseguono in direzioni diverse. Realizzando un’apertura nella direzione in cui si muovono gli ioni droganti, essi ven­gono selezionati e separati dagli altri. Successivamente gli ioni droganti vengono ac­celerati facendoli passare in un tubo di accelerazione prima di inviarli alla superficie da bombardare.In figura 9 è rappresentato schematicamente il sistema di impiantazione di ioni (ion implantation).

Abbiamo visto nella precedente unità come è possibile far crescere su un wafer o su un chip monocristallino uno strato epitassiale facendo depositare sulla superficie atomi di semiconduttore misti ad atomi droganti nella concentrazione desiderata.

La giunzione per deposizione epitassiale viene ottenuta facendo crescere su un substrato drogato di tipo P uno strato epitassiale drogato di tipo N oppure, vice­versa, su un substrato di tipo N uno strato epitassiale di tipo P. La crescita epitassiale consente di ottenere una concentrazione di drogante per­fettamente costante su tutto lo strato accresciuto, pertanto il passaggio dalla zona N alla zona P avviene con variazione di concentrazione molto più netta rispetto a quella ottenuta con la diffusione.

Giunzione per impianto di ioni

Sorgentedi ioni

Fasciodi ioni

Spettrometro

Ioni selezionatidi drogante

Tubo diaccelerazione

Piastrina di Si

Supporto

+ + + + +

- - - - -

Campo elettrostaticoSistema per

l’impiantazione di ioni

Figura 9

Giunzione per deposizione epitassiale

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Unità 1. Processi tecnologici per semiconduttori

Nella figura 10a è riportato il profilo di concentrazione su una giunzione PN ottenuta per crescita epitassiale e in figura 10b quella ottenuta per diffusione.Con la giunzione per crescita epitassiale si ottiene un profilo di concentrazione delle impurezze che ha una variazione, sulla giunzione, molto più netta rispetto a quello ottenuto con altre tecniche; tuttavia è molto difficile determinare con precisione la profondità a cui si forma la giunzione. Ciò rende la crescita epitassiale poco adatta a realizzare giunzioni a differente profondità. Questa tecnica trova larga applicazione nella tecnica planare per realizzare, su uno strato monocristallino, uno strato epitassiale entro cui realizzare diodi e transistor.

La tecnica planare

La tecnica planare fu introdotta intorno al 1959 dall’azienda americana Fairchild per la costruzione di diodi e transistor. L’uso di questa tecnica rappresentò una forte spinta verso la miniaturizzazione dei componenti a semiconduttore, portando, successivamen­te, alla realizzazione dei circuiti integrati. Con le precedenti tecniche, le operazioni di diffusione per ottenere le giunzioni e le metallizzazioni per i contatti venivano effettuate su entrambe le superfici della piastrina di semiconduttore. A titolo di esempio, la figura 11 mostra un diodo diffuso.

In essa si può notare come entrambe le super­fici del chip sono state utilizzate per eseguire delle operazioni di diffusione o di metalliz­zazione. Il dispositivo è stato realizzato par­tendo da una piastrina drogata di tipo N e attraverso una delle superfici è stata effettuata una diffusione di tipo P. Successivamente, su tale superficie è stato depositato uno strato di metallo (metallizzazione) al quale è collegato il terminale di anodo. Dalla superficie opposta

è stata effettuata una diffusione di tipo N+ che aumenta, per una certa profondità, il drogaggio preesistente, poi la superficie è stata metallizzata per effettuare il collegamento del terminale di catodo.

ND

– NA

Giunzioneper deposizione epitassiale

ND – NA

ND0

– NA

Giunzioneper diffusione

ND – NA

ND

ND – NA

NA

a) b)

x

x

Profilo di concentrazione

degli atomi droganti in una giunzione: per

deposizione epitassiale (a); per diffusione

(b)

Figura 10

4

Struttura di un diodo diffuso: metallizzazione di una zona drogata N

Figura 11

Metallizzazioneper il contatto di anodo

Giunzione PN

Zona N+ per evitareil contatto rettificante

Metallizzazioneper il contatto di catodo

A

K

P

N+N

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Modulo 8. Tecnologia e produzione dei componenti a semiconduttore

La metallizzazione della superficie di un semiconduttore provoca inevitabilmente un drogaggio del materiale sottostante. Se il materiale utilizzato per la metallizzazio­ne è alluminio (come nella maggior parte dei casi), si ottiene un drogaggio di tipo P.

Se il materiale sottostante era drogato di tipo P il successivo drogaggio, causato dalla metallizzazione, non provoca alcun inconveniente. Se, invece, il materiale sottostante era drogato di tipo N si può verificare un grave inconveniente nel caso che tale dro­gaggio fosse di basso livello. In tal caso, infatti, la concentrazione NA di atomi accettori, penetrati durante la metallizzazione, supera la concentrazione ND di atomi donatori presenti, almeno per una certa profondità. Il risultato che si ottiene è una inversione di drogaggio e, quindi, la formazione di una giunzione PN. Pertanto la metallizzazione di una superficie di semiconduttore con un basso drogaggio di tipo N può provocare un contatto rettificante. Questo inconveniente non si verifica se il drogaggio preesistente è molto alto (N+) per­ché non consente la sovracompensazione. In questo secondo caso la metallizzazione produce un contatto ohmico.Con riferimento alla figura 11, la diffusione di tipo N+ si è resa necessaria per evitare che gli atomi dell’alluminio, usato per la metallizzazione, diffondendo nella zona N, potessero provocare una sovracompensazione e quindi una zona di tipo P. La presenza del forte drogaggio N+ non consente tale inversione e impedisce la formazione di un contatto rettificante. Dalla descrizione appena fatta si nota che alcune operazioni sono state eseguite attra­verso una superficie; altre, invece, sono state eseguite utilizzando la superficie opposta. Con la tecnica planare quasi tutte le operazioni di diffusione e metallizzazione vengono eseguite attraverso una unica superficie mediante opportune operazioni di maschera­tura; da ciò il nome di tecnica planare.Poiché tutte le operazioni di diffusione vanno eseguite attraverso un sola superficie del wafer, per poter realizzare diffusioni diverse su porzioni distinte della superficie è necessario delimitare parti di essa in modo da poter effettuare il drogaggio desiderato su ognuna di esse. Ciò può essere ottenuto coprendo (mascherando) tutta la superficie a eccezione della parte su cui si vuole effettuare la diffusione o la metallizzazione.La figura 12 mostra un esempio di mascheratura che consente una diffusione selettiva nel silicio sottostante. Questa tecnica è stata sviluppata principalmente per la realizzazione di componenti al silicio e il materiale usato per realizzare la maschera è l’ossido di silicio SiO2.

Per la formazione dell’ossido di silicio, necessario a realizzare la maschera, si sfrutta la forte affinità che il silicio ha per l’ossigeno; esso, infatti, a contatto con l’aria, si ricopre spontaneamente di uno strato di ossido.

Per favorire la formazione di uno strato di SiO2 abbastanza spesso e in tempi brevi è conveniente esporre il silicio a un’atmosfera ossidante ad alta temperatura. L’operazione di ossidazione viene eseguita ponendo più wafer o chip di silicio all’interno di un tubo

Metallizzazione su un

semiconduttore drogato N

AA

Maschera SiSezione A- A

Mascheratura per la

diffusione selettiva

Figura 12

Formazione dell’ossido

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Unità 1. Processi tecnologici per semiconduttori

di quarzo riscaldato mediante un forno a temperatura controllata. Nel tubo di quarzo viene immesso gas inerte mescolato con ossigeno (O2) oppure con vapor d’acqua (H2O).Utilizzando ossigeno si ottiene una ossidazione secca secondo la reazione:

Si + O2 ––––––→ SiO2

mentre col vapor d’acqua si ha la seguente reazione:

Si + H2O ––––––→ SiO2 + 2H2

Per la realizzazione della maschera viene utilizzata la tecnica della fotoincisione (pho-toengraving) o fotolitografica che si scompone nelle seguenti fasi:

• realizzazione del master;

• ossidazione;

• stesura del photoresist;

• esposizione ai raggi ultravioletti attraverso il master;

•asportazione del photoresist (sviluppo);

•asportazione dell’ossido (incisione) per la realizzazione della maschera;

•diffusione attraverso le finestre della maschera.

Dopo la fase di ossidazione viene spruzzata sull’ossido una resina fotosensibile (pho-toresist) che può essere di tipo positivo o negativo (figura 13a). Generalmente viene adoperato il photoresist di tipo negativo, il quale si polimerizza quando viene colpito dai raggi ultravioletti.

La resina, dopo essere stata asciugata, viene esposta ai raggi ultravioletti attraverso una pellicola trasparente, sulla quale, mediante procedimenti fotografici, è stato realizzato il disegno (master) della maschera da realizzare (figura 13b). In particolare, le parti opache corrispondono alle finestre da aprire nell’ossido.Successivamente si espone il tutto all’azione dei raggi ultravioletti, i quali attraversano la pellicola nelle parti trasparenti e vengono assorbiti nelle parti opache. Il photoresist colpito dai raggi si polimerizza modificando la sua struttura chimica, mentre quello coperto dalle parti opache rimane inalterato.

Formazione della maschera

Preparazione della maschera di SiO2: stesura photoresist (a); esposizione (b); sviluppo (c); incisione di SiO2 e formazione della finestra (d); rimozione del photoresist (e)

Figura 13

1 ÷ 2 µ

15 ÷ 20 µ

1 ÷ 2 µ Raggi ultravioletti

Si

Photoresistnegativo

Pellicolamaster

SiO2

Photoresist

a)

b)

c)

d) e)

Si

Si

Si

Si

Photoresistnegativo

SiO2

Photoresistnegativo

SiO2SiO2

SiO2

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Modulo 8. Tecnologia e produzione dei componenti a semiconduttore

Il photoresist non polimerizzato viene, poi, asportato selettivamente con l’uso di un sol­vente, tipo il tricloroetilene (figura 13c). In questo modo viene aperta, nel photoresist, una finestra (o più finestre a seconda del disegno del master) attraverso la quale si può elimi­nare l’ossido di silicio e quindi mettere in luce la superficie di semiconduttore sulla quale operare (figura 13d). Per eliminare l’ossido di silicio si può utilizzare l’acido fluoridrico.Le fasi operative si concludono con l’asportazione del photoresist polimerizzato pri­ma di procedere all’operazione di diffusione. Tale asportazione può essere effettuata mediante abrasione meccanica oppure mediante l’uso di un solvente inorganico come l’acido solforico (H2SO4) caldo.Se il processo fotografico è stato eseguito con lo scopo di realizzare una giunzione, attraverso la finestra viene effettuata una diffusione di atomi droganti di tipo opposto al drogaggio preesistente.

Durante la diffusione, gli atomi droganti penetrano attraverso la superficie della finestra e si propagano in tutte la direzioni, quindi anche ai lati della finestra (fi-gura 14a); in questo modo si ottiene una giunzione avente la forma indicata in figura 14b che, nella parte superiore, risulta coperta dal biossido di silicio. Questo risultato è estremamente positivo, in quanto la giunzione non ha parti esposte all’ambiente esterno, che potrebbe provocare un corto circuito involontario o che comunque richiederebbe accorgimenti particolari per evitarlo.

Metallizzazione e collegamento dei terminali

La metallizzazione consiste nel realizzare sulle superfici a differente drogaggio e che rappresentano elementi particolari del componente uno strato metallico ne­cessario per eseguire il collegamento con i corrispondenti terminali esterni.

La tecnica fotolitografica, oltre che per realizzare giunzioni per diffusione selet­tiva, viene adoperata anche per eseguire metallizzazioni aventi forme geometriche di qualunque tipo.Per comprendere facilmente il procedi­

mento di metallizzazione fotolitografica consideriamo, a titolo di esempio, un diodo planare la cui struttura è riportata in figura 15.In essa sono evidenziate tre zone a differente drogaggio ottenute con il procedimento di seguito descritto.Partendo da una piastrina (substrato) di tipo N è stata effettuata una prima diffusione di tipo P e successivamente una di tipo N+, ottenendo una zona di tipo N+ immersa

Diffusione planare

Formazione di una giunzione con la tecnica planare: diffusione (a); forma della giunzione (b)Figura 14

Atomi donatori

Si tipo P

a) b)

Parte della giunzionecoperta dall'SiO2

Si tipo P

N

5

Giunzioni in un diodo

planare

Figura 15

SiO2

Si

N+P

N

CatodoAnodo

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Unità 1. Processi tecnologici per semiconduttori

nella zona P. La superficie di separazione fra la zona P e la zona N+ rappresenta la giunzione del diodo.La piastrina di semiconduttore (substrato), all’interno della quale sono state effettuate le due diffusioni con la tecnica planare, ha, in questo caso, esclusivamente la funzione di supporto meccanico e non interviene nel funzionamento del diodo che si sta rea­lizzando.Per completare il diodo in questione occorre procedere al collegamento dei terminali. Questi ultimi non possono essere collegati direttamente alla superficie del silicio, ma è necessario realizzare uno strato metallico (metallizzazione) sulla superficie del silicio e poi saldare a essa dei piccoli pezzi di filo sottilissimo ai quali andranno, poi, saldati i terminali esterni.

Per l’operazione di metallizzazione si procede eseguendo tutte le fasi del processo fotolitografico fino a ottenere, sulla superficie della piastrina, una maschera con delle finestre in corrispondenza delle superfici da metallizzare. Partendo, quindi, dalla situa­zione illustrata in figura 15 si procede alla ossidazione della finestra utilizzata per la diffusione N+ e ripristinando lo strato di ossido su tutta la superficie. Suc ces si vamente vengono aperte due finestre: una nella zona P e l’altra nella zona N+.La figura 16a mostra una possibile forma di tali finestre; in particolare, la finestra sulla zona N+ ha la forma di un rettangolo, mentre quella sulla zona P ha la forma di un anello rettangolare che circonda l’altra. Dopo aver aperto queste due finestre viene realizzato uno strato metallico su tutta la superficie (figura 16b) coprendo sia le fine­stre sia lo strato di ossido.

Per eseguire la metallizzazione possono essere adoperati diversi metalli fra cui i principa­li sono: l’oro, l’alluminio, il nichel, l’argento, il cromo. Con il silicio viene comunemente utilizzato l’alluminio. L’operazione di metallizzazione viene eseguita per evaporazione sotto vuoto. Le piastrine o i wafer da metallizzare vengono poggiati su una piattaforma all’interno di una campana in cui è stato realizzato il vuoto spinto. Nella campana sono contenuti anche dei filamenti di tungsteno intorno ai quali è avvolto un filo di allumi­

Funzione del substrato

Fasi della metalizzazione

Formazione dei contatti in un diodo planare: apertura delle finestre (a); metallizzazione (b); pattern di metallizzazione (c)Figura 16

a)

N+

P

N

N+

P

N

b)

N+

P

N

c)

Strato di metallizzazione

CatodoAnodo

Finestranella zona P

Finestranella zona N+

Giunzione P-N

Giunzione P-N+

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Modulo 8. Tecnologia e produzione dei componenti a semiconduttore

nio. Facendo percorrere il tungsteno da una opportuna corrente, esso si riscalda fino a 1700 °C provocando prima la fusione e poi l’evaporazione dell’alluminio.Il vapore di alluminio, lambendo la superficie delle piastrine che si trovano a tempe­ratura più bassa, si raffredda e vi si attacca formando uno strato uniforme. Succes­sivamente, mediante la tecnica fotolitografica viene asportato lo strato di alluminio nelle zone coperte da ossido e lasciandolo nelle zone desiderate. Si ottiene così, sul wafer o sulla piastrina, un disegno (pattern) di metallizzazione. La figura 16c rappresenta il risultato di tale operazione nel caso del diodo in esame.

Per assicurare un buon contatto fra l’alluminio della metallizzazione e il silicio sottostante è necessario riscaldare la piastrina poco al di sopra della temperatura eutettica di 576 °C.

Questo riscaldamento produce la fusione dell’alluminio solo nella zona di contatto col silicio, in quanto lì si creano le condizioni per ottenere la lega eutettica (lega con la più bassa temperatura di fusione). L’alluminio, legandosi col silicio, realizza un contatto ohmico se il silicio è drogato di tipo P oppure se è fortemente drogato di tipo N, tanto da evitare che la diffusione dell’alluminio possa provocare una inversione di drogag­gio. Ricordiamo che una parte degli atomi di alluminio, durante la formazione della lega col silicio diffondono nel reticolo cristallino provocandone un drogaggio di tipo P (vedere giunzione per lega). Tenendo conto che la concentrazione di atomi di alluminio è di circa 5 · 1018 cm–3 è ne ces sario che il drogaggio di tipo N sia superiore a tale concentrazione; in caso con­trario l’alluminio che diffonde nel semiconduttore realizza una giunzione PN e quindi un contatto rettificante.

Con il processo di metallizzazione è stato realizzato uno strato metallico, generalmente di alluminio, che crea un contatto ohmico con le zone drogate del silicio e che rappre­sentano parti significative del componente da realizzare. Ognuna di queste parti deve essere collegata elettricamente al corrispondente terminale. Nell’esempio in esame, le due parti metallizzate rappresentano rispettivamente l’anodo e il catodo del diodo, per cui esse dovranno essere collegate ai rispettivi terminali di anodo e di catodo.A causa delle caratteristiche specifiche del terminale, fra cui la robustezza, spesso non è possibile eseguire un collegamento diretto fra terminale e metallizzazione. A tale scopo vengono utilizzati fili sottilissimi di oro o di alluminio del diametro di 10 ÷ 15 µm, i quali vengono vincolati (bonded) alle regioni metallizzate mediante termocompressione o saldatura a ultrasuoni.

La saldatura per termocompressione è descritta nelle sequenze riportate in figura 17.In un tubo capillare scorre un filo sottilissimo di oro (figura 17a), con l’ausilio di una piccola fiamma o di una scintilla elettrica viene portata a fusione l’estremità del filo che, fondendo, forma una pallina (figura 17b). Il filo di oro viene tirato in modo che la pallina aderisca al tubo (figura 17c) e successivamente la pallina viene poggiata sulla superficie metallizzata da collegare, esercitando una pressione che deformi la pallina trasformandola in una testa di chiodo (figura 17d). Questa operazione viene compiuta a una temperatura compresa fra 200 e 250 °C e ha una durata sufficiente a consentire, grazie alla pressione e alla temperatura, la formazione di una lega di oro e alluminio nel punto di contatto. Successivamente il tubo capillare viene tirato (figura 17e) e poi spostato sul terminale da collegare (figura 17f). Qui viene ripetuta l’operazione di termocompressione per rea­lizzare il collegamento col terminale del componente. Il processo viene concluso tirando il capillare dalla zona di contatto (figura 17g) e tagliando il filo mediante la fusione con la fiammella (figura 17h). Con questa ultima operazione si forma la pallina e quindi si può ricominciare il processo per un nuovo collegamento.

Formazione del contatto

metallo-semiconduttore

Collegamenti dei terminali

Saldatura per termocompres-

sione

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Unità 1. Processi tecnologici per semiconduttori

Molte volte, anziché procedere al collegamento del terminale, dopo la fase di figura 17e si preferisce eseguire il taglio del filo e ricominciare con il collegamento di un’altra metal­lizzazione. Tutte le connessioni con i terminali vengono eseguite in una fase successiva.

La saldatura a ultrasuoni viene eseguita utilizzando, per il collegamento fra me­tallizzazione e terminale, un filo di alluminio. Quest’ultimo viene premuto sulla superficie della metallizzazione da collegare mediante un opportuno utensile che vibra a una frequenza superiore ai 20 kHz (ultrasuoni). Il calore generato dalle vibrazioni consente la compenetrazione dei due metalli e la realizzazione della connessione desiderata

1 Come avviene la raffinazione per zona fusa sospesa?

2 Come si ottiene il monocristallo di silicio?

3 Attraverso quali operazioni si ottengono i wafer partendo dal lingotto monocristallino?

4 Cosa si intende per crescita epitassiale?

5 In quali modi si può realizzare un giunzione PN?

6 A cosa serve la tecnologia planare?

7 A cosa serve la metallizzazione?

8 Qual è la differenza principale fra una giunzione per diffusione e una giunzione per depo-sizione epitassiale?

Metallo

Terminale

ContenitoreMetallizzazione

a) b) c) d) e)

f) g) h)

Collegamento dei terminali

mediante saldatura per

termocom-pressione

Figura 17

TEST DI RIEPILOGO▲

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