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UNIVERSITÀ DI PISA
Dipartimento di Biologia
Corso di Laurea Magistrale in Biologia Applicata alla Biomedicina
Curriculum Fisiopatologico
Tesi di Laurea Magistrale
Analisi del polimorfismo 1444 G>A nel gene PGC-1α e suo coinvolgimento nella risposta allo
stress ossidativo durante l’esercizio fisico in pazienti con Sclerosi Laterale Amiotrofica
Candidato Relatore
Angelique Pasquinelli Prof. Gabriele Siciliano
Anno Accademico 2014-2015
Ai miei genitori.
“Bisogna sempre puntare alla luna.
Mal che vada, si è comunque
arrivati in mezzo alle stelle.”
(Cit.)
Indice Riassunto ...................................................................................................................................................... 1
1. Introduzione ............................................................................................................................................. 4
1.1. La Sclerosi Laterale Amiotrofica ........................................................................................................ 4
1.1.1. Aspetti Generali e Quadro Clinico .............................................................................................. 4
1.1.2. Epidemiologia della SLA ............................................................................................................. 6
1.1.3. Eziopatogenesi della SLA ............................................................................................................ 6
1.2. Il Coattivatore PGC-1 alpha ............................................................................................................. 17
1.2.1. Ruolo di PGC-1α nelle malattie neurodegenerative ................................................................ 19
1.2.2. PGC-1α e la regolazione del metabolismo ossidativo .............................................................. 20
1.2.3. PGC-1α e l’attività fisica ........................................................................................................... 21
1.3. Esercizio fisico e biomarcatori di stress ossidativo ......................................................................... 26
2. Scopo ...................................................................................................................................................... 32
3. Pazienti e metodi .................................................................................................................................... 34
3.1. Pazienti ............................................................................................................................................ 34
3.2. Protocollo del test da sforzo ai muscoli dell’avambraccio .............................................................. 35
3.3. Metodiche di laboratorio ................................................................................................................ 36
3.3.1. Estrazione di DNA genomico da sangue intero ........................................................................ 36
3.3.2. Genotipizzazione dello SNP 1444 G>A nel gene PGC-1α ......................................................... 36
3.3.3. Purificazione del prodotto di PCR e analisi di sequenza .......................................................... 39
3.3.4. Dosaggi biochimici per l’analisi di marcatori periferici di danno ossidativo ............................ 42
4. Analisi statistica ...................................................................................................................................... 49
5. Risultati ................................................................................................................................................... 50
5.1. Analisi del polimorfismo 1444 G>A nel gene PGC-1α ..................................................................... 50
5.2. Valutazione dei biomarcatori di stress ossidativo ........................................................................... 51
5.3. Relazione tra i biomarcatori di stress ossidativo e lo SNP 1444 G>A in PGC-1α ............................. 52
5.4. Effetti del test da sforzo sui biomarcatori di stress ossidativo ....................................................... 53
5.5. Relazione tra la variazione nei livelli dei biomarcatori di stress ossidativo durante il test da sforzo
e lo SNP 1444 G>A in PGC-1α ................................................................................................................. 54
6. Discussione ............................................................................................................................................. 57
7. Conclusioni ............................................................................................................................................. 72
8. Bibliografia .............................................................................................................................................. 73
9. Ringraziamenti ........................................................................................................................................ 89
1
Riassunto
La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una malattia neurodegenerativa caratterizzata da
paralisi muscolare progressiva che riflette la degenerazione dei motoneuroni della corteccia
motoria primaria, del tronco cerebrale e del midollo spinale.
Sebbene l’eziopatogenesi della malattia rimanga ancora sconosciuta, nel corso degli anni sono
stati proposti numerosi meccanismi di morte neuronale tra i quali i più accreditati sono
l’eccitotossicità glutammatergica, lo stress ossidativo, le disfunzioni mitocondriali, la presenza
di inclusioni citoplasmatiche costituite da aggregati di proteine e difetti nella maturazione
dell’RNA. Nonostante il coinvolgimento dello stress ossidativo nella SLA sia stato ampiamente
studiato, non è ancora noto il preciso meccanismo molecolare alla base della risposta cellulare
all’insulto ossidativo.
Le Specie Reattive dell’Ossigeno (ROS), prodotte principalmente a livello mitocondriale, in
condizioni fisiologiche, sono neutralizzate dai meccanismi di difesa antiossidante; quando tale
equilibrio viene alterato, si ha un incremento della produzione delle ROS e si instaura una
condizione di stress ossidativo. L’incremento delle ROS media molte funzioni biologiche, tra cui
l’attivazione di un co-attivatore trascrizionale tessuto-specifico, il Peroxisome Proliferator-
Activated Receptor Gamma Coactivator 1 alpha (Pgc-1α) che gioca un ruolo importante nella
regolazione della biogenesi mitocondriale e dei meccanismi di difesa antiossidante. PGC-1α è
maggiormente espresso nei tessuti con alto metabolismo, come il muscolo scheletrico e
l’encefalo. È stato osservato che il polimorfismo (SNP) 1444 G>A (Gly482Ser) nell’esone 8 del
gene PGC-1α induce un cambiamento nella struttura della proteina che provoca, a sua volta,
una riduzione dei livelli nonché dell’attività trascrizionale della proteina stessa. Studi condotti
su atleti hanno messo in evidenza che l’allele wild-type G è associato ad una maggiore
resistenza fisica, rispetto agli individui con genotipo omozigote AA (Ser482Ser).
Lo scopo del presente lavoro di tesi è stato quello di valutare se lo SNP 1444 G>A costituisse un
fattore di rischio per l’insorgenza della forma sporadica di SLA (sSLA) e le sue possibili
implicazioni nella risposta cellulare all’insulto ossidativo in condizioni di riposo e durante un
esercizio fisico. Sono stati pertanto valutati:
a) la distribuzione delle frequenze alleliche e genotipiche (SNP 1444 G>A nel gene PGC-1α)
in 197 pazienti con sSLA e 197 controlli sani. La genotipizzazione è stata condotta
2
mediante analisi Restriction fragment length polymorphism (RFLP) e, per conferma,
tramite sequenziamento diretto della regione del DNA di interesse;
b) i livelli plasmatici di alcuni biomarcatori di stress ossidativo in un sottogruppo di 74
pazienti con sSLA e in 65 controlli sani; in particolare sono stati dosati, come marker di
danno ossidativo i Prodotti di Ossidazione Avanzata alle Proteine (AOPP) e, come
markers antiossidanti non enzimatici, la Capacità Antiossidante Ferro Riducente (FRAP)
e i gruppi tiolici totali plasmatici. Inoltre, in 35 pazienti sono state valutate l’attività della
Superossido Dismutasi Totale (Sod) e della Catalasi (Cat), quali markers antiossidanti
enzimatici, mediante metodo colorimetrico e analisi spettrofotometrica;
c) eventuali variazioni nei livelli plasmatici dei biomarcatori analizzati tra pazienti con sSLA
omozigoti wild-type GG e portatori della variante allelica rara 1444A (A Carriers);
d) possibili variazioni dei livelli plasmatici di biomarcatori di stress ossidativo (AOPP, FRAP,
tioli e acido lattico) in un sottogruppo di 28 pazienti sSLA sottoposti ad un test da sforzo
incrementale ai muscoli dell’avambraccio: le valutazioni sono state condotte a diversi
steps: prima (basale), durante (30%, 50% e 70% della Contrazione Volontaria Massimale,
CVM) e dopo 15 minuti dalla fine dello sforzo (recupero);
e) l’eventuale influenza della variante allelica rara A sui livelli dei biomarcatori di stress
ossidativo, valutati durante il protocollo di esercizio fisico.
L’analisi dei dati relativi allo SNP 1444 G>A nel gene PGC-1α non mostra differenze
statisticamente significative nella distribuzione genotipica e nelle frequenze alleliche dei
pazienti con sSLA rispetto ai relativi controlli.
Analizzando i risultati relativi allo stress ossidativo, si osserva che i livelli plasmatici basali degli
AOPP (p<0.001) risultano essere più elevati nei pazienti sSLA rispetto ai controlli, mentre i livelli
della FRAP (p<0.001) e dei tioli (p<0.001) sono ridotti nei primi rispetto ai secondi. Inoltre,
prendendo in esame rispettivamente la popolazione totale studiata, il gruppo dei pazienti e il
gruppo dei controlli, i livelli dei suddetti biomarcatori di stress ossidativo non differiscono tra
soggetti wild-type e A Carriers. Anche dalla valutazione dei livelli degli antiossidanti enzimatici
(Sod e Cat) nel sottogruppo di pazienti, esaminati solo per questi due biomarcatori, non si
osservano differenze tra portatori e non portatori della variante allelica rara A (482Ser).
Durante il test da sforzo muscolare incrementale, a fronte delle variazioni della curva
lattacidemica (aumento significativo dei livelli di acido lattico al 30% (p<0.01), al 50% (p<0.01) e
al 70% (p<0.001) della CVM rispetto ai livelli basali e al 70% (p<0.05) rispetto al 30% della CVM,
3
riduzione significativa dei livelli di acido lattico nella fase di recupero rispetto al 50% (p<0.05) e
al 70% (p<0.001) della CVM), non si osservano variazioni significative dei livelli plasmatici medi
degli AOPP, della FRAP e dei tioli misurati prima, durante e dopo lo sforzo fisico.
Suddividendo i pazienti in omozigoti wild-type (GG), eterozigoti (GA) e omozigoti mutati (AA),
non si osservano, nei tre gruppi, durante il test da sforzo, differenze statisticamente
significative nei livelli plasmatici della FRAP e dei tioli; tuttavia, gli omozigoti mutati mostrano,
per tutta la durata dell’esercizio, livelli medi di AOPP più elevati, rispetto sia ai soggetti wild-
type, che agli eterozigoti. Tale differenza risulta significativa al 50% della CVM (p<0.05, GG vs
AA; p=0.05, GA vs AA) e in corrispondenza della fase di recupero (p=0.01, GG vs AA; p<0.05, GA
vs AA). Individui eterozigoti GA presentano invece livelli medi di AOPP sovrapponibili agli
omozigoti wild-type. Differenze statisticamente significative, inoltre, si osservano, durante le
varie fasi contrattili del test da sforzo, nei livelli plasmatici dell’acido lattico. Più precisamente,
gli individui omozigoti AA mostrano incrementi significativi dei livelli di acido lattico al 30%
(p<0.01) e al 50% (p<0.001) della CVM, rispetto ai soggetti con genotipo GG. Anche gli individui
eterozigoti, a questi due steps, mostrano un lieve aumento dei livelli di acido lattico rispetto agli
omozigoti wild-type, ma queste differenze non risultano significative.
In conclusione, i dati relativi al polimorfismo in esame, 1444 G>A (Gly482Ser), fanno supporre
che lo SNP non rappresenti un fattore di suscettibilità genetica per la SLA. I risultati ottenuti dal
confronto dei diversi marcatori di stress ossidativo tra pazienti sSLA e relativi controlli,
confermano il coinvolgimento dello stress ossidativo nella malattia; lo SNP Gly482Ser non
sembra essere implicato nelle variazioni dei livelli plasmatici a riposo dei biomarcatori di stress
ossidativo analizzati. Nonostante sia noto da tempo che l’esercizio fisico incrementa,
nell’immediato, la produzione dei radicali liberi, il test da sforzo incrementale eseguito dai
pazienti in esame non ha avuto alcun effetto sui livelli plasmatici dei biomarcatori AOPP, FRAP e
tioli, mentre induce variazioni dei livelli di acido lattico. Infine, i risultati ottenuti, suddividendo i
pazienti in omozigoti per la variante allelica rara A (genotipo AA), eterozigoti (genotipo GA) e
omozigoti per l’allele comune (genotipo GG), fanno ipotizzare che la presenza della variante
allelica rara A, possa concorrere ad incrementare il danno ossidativo alle proteine e l’accumulo
di acido lattico durante l’attività fisica.
4
1. Introduzione
1.1. La Sclerosi Laterale Amiotrofica
1.1.1. Aspetti Generali e Quadro Clinico
La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), conosciuta anche come Morbo di Lou Gehrig, o malattia
di Charcot, è una patologia neurodegenerativa caratterizzata da una progressiva paralisi
muscolare che riflette la degenerazione del primo e del secondo motoneurone. L’etimologia
stessa della definizione sclerosi laterale amiotrofica è di fatto una descrizione della patologia: il
termine “amiotrofico” indica l’indebolimento e l’atrofia delle fibre muscolari, l’aggettivo
“laterale” si riferisce alla zona del midollo spinale occupata dai neuroni sofferenti; infine, il
termine sclerosi è riferito al fatto che questa “zona laterale” del midollo spinale tende ad
indurirsi nel momento in cui i motoneuroni ivi contenuti iniziano a morire (Wijesekera et al.,
2009) (figura 1).
Figura 1: il motoneurone centrale o primario trasmette il segnale nervoso dalla corteccia cerebrale motoria al
midollo spinale; il motoneurone periferico o secondario trasporta il segnale ricevuto dall’encefalo ai muscoli (da
Fotolia.com).
La prima descrizione di SLA, che precede quella ufficiale di Charcot, si deve a Charles Bell, che
illustrò un caso caratterizzato da deterioramento motorio progressivo associato alla
degenerazione della metà anteriore della spina dorsale. Charcot, invece, fu il primo a
5
considerare la progressiva debolezza muscolare come conseguenza di una condizione
patologica dei neuroni motori spinali e non come una malattia muscolare (Dickson, 2006).
Il termine SLA è usato, nella pratica clinica moderna, per indicare la forma più comune delle
Malattie dei Motoneuroni (MND), distinguibili in relazione al coinvolgimento del primo o del
secondo motoneurone o sulla base del distretto anatomico colpito all’esordio della patologia.
Clinicamente la malattia è associata alla perdita progressiva e irreversibile della capacità
motoria, mentre restano intatte le funzioni cognitive, sensoriali, sessuali e sfinterali (Wijesekera
et al., 2009). I soggetti affetti dalla malattia sviluppano una paralisi progressiva, che coinvolge
tutto il muscolo scheletrico, i muscoli bulbari e respiratori, e che porta al decesso dell’individuo
entro pochi anni dalla comparsa dei primi segni, quali brevi contrazioni muscolari
(fascicolazioni), e crampi agli arti, che anticipano di qualche mese o addirittura di alcuni anni i
sintomi clinici veri e propri: debolezza muscolare, alterazione dei riflessi tendinei e segno
positivo di Babinski (D’Amico et al., 2013).
La SLA è una patologia a carattere prettamente sporadico anche se il 10% dei casi mostra
un’origine familiare (Ingre et al., 2015). La forma sporadica (sSLA) è contraddistinta da tipiche
inclusioni all’interno delle cellule neuronali, quali i Corpi di Bunina, costituiti da granulociti
eosinofili; queste inclusioni, di 2–4 µm di diametro, possono essere singole, riunirsi in cluster o
assemblarsi in catene. I Corpi di Bunina sono stati osservati all’interno del corpo cellulare e dei
dendriti dei neuroni interessati dalla malattia (Dickson, 2006). La forma familiare (fSLA), invece,
è istologicamente divisibile in due tipi: il primo in cui si riscontra la presenza dei Corpi di Bunina,
il secondo associato al coinvolgimento delle colonne posteriori del midollo spinale.
Quest’ultima forma di fSLA, come la prima, è caratterizzata dalla presenza di inclusioni
citoplasmatiche costituite da aggregati di proteine; in particolare, sono stati identificati
accumuli di due proteine, TAR DNA Binding Protein (TARDBP/TDP-43) e Fused in
Sarcoma/Translocated in liposarcoma (FUS/TLS), responsabili del processo di maturazione
dell’RNA messaggero (mRNA) a livello del citoplasma dei neuroni (Neumann et al., 2009).
Attualmente non è disponibile una cura per questa malattia e il decesso solitamente è causato
dall’insorgenza di crisi respiratorie, che generalmente si presentano dopo 3-5 anni dalla
comparsa dei sintomi. Ad oggi, l'unico farmaco approvato dalla Food and Drug Administration e
raccomandato dal National Institute for Clinical Excellence, è il Riluzolo, un benzotiazolo che
riduce il rilascio di glutammato attraverso tre meccanismi: inibisce la liberazione del
glutammato dal terminale pre–sinaptico, lega in modo non competitivo i recettori N-Metil-D-
6
Aspartato (NMDA) e agisce direttamente sui canali del sodio voltaggio-dipendenti, bloccando il
re–uptake del glutammato stesso. Queste tre attività farmacologiche coordinate causano un
rallentamento della progressione della patologia con un aumento della sopravvivenza dai tre ai
dodici mesi (Harikrishnareddy et al., 2015).
1.1.2. Epidemiologia della SLA
La SLA è una patologia rara, con un'incidenza di 2-3 casi ogni 100.000 individui l'anno.
L’incidenza con cui si manifesta la malattia è simile in tutto il mondo con l’eccezione di alcune
aree ad alto rischio nel Pacifico Occidentale, in cui si presenta sotto una forma atipica associata
a demenza, parkinsonismo e alla presenza di aggregati neurofibrillari in molte regioni cerebrali
(Dickson, 2006).
Sebbene la SLA insorga generalmente in soggetti di età superiore ai 40 anni, sono stati descritti
casi con età di esordio inferiore, che annoverano il 10% dei soggetti e costituiscono le forme
giovanili (Shoesmith et al., 2006). L’età media di insorgenza è tra i 58 e i 63 anni per la forma
sporadica e tra i 40 e i 60 per la forma familiare. Si presenta più frequentemente negli uomini
rispetto alle donne, con un rapporto maschio:femmina di 1.5:1.2 (Ingre et al., 2015).
Recenti evidenze epidemiologiche indicano un aumento dei casi di SLA in molti Paesi, dovuto
probabilmente a fattori ambientali, come l’esposizione alle radiazioni, ma anche ad attività
fisica intensa o a traumi cranici e midollari. Nonostante queste evidenze, tali fattori non sono di
per sé la causa della patologia, che sembra invece riflettere una complessa interazione tra
componenti ambientali e suscettibilità genetica (Majoor–Krakauer et al., 2003).
1.1.3. Eziopatogenesi della SLA
Negli ultimi anni, grazie alle nuove tecnologie di biologia molecolare e alla creazione di un
consorzio mondiale per la ricerca sulla SLA è stato possibile identificare diversi geni o loci
genetici responsabili dell’insorgenza delle fSLA. Nonostante siano stati condotti molteplici studi,
sia su modelli murini, che nell’uomo, l’esatto processo molecolare di neurodegenerazione dei
motoneuroni nella sSLA rimane ancora sconosciuto. Probabilmente, nella comparsa e nella
progressione della malattia sono coinvolti più meccanismi cellulari patogenetici, non
necessariamente correlati tra loro (Cozzolino et al., 2015).
7
- Fattori di rischio genetici
Le forme di ereditarietà della SLA variano in base al tipo di mutazione; nella maggior parte dei
casi spesso la fSLA si trasmette con modalità autosomica dominante e raramente recessiva ad
alta penetranza (Ticozzi et al., 2011).
Finora sono stati identificati cinque geni diversi le cui mutazioni causano la malattia. Mutazioni
nei geni Cu-Zn Superossido Dismutasi (SOD1), TARDBP/TDP-43, FUS/TLS, e Vescicle-associated
protein B (VAPB) sono responsabili di circa un quarto dei casi familiari, mentre quelle
identificate nel gene Chromosome 9 open reading frame 72 (C9ORF72) sembrano essere
responsabili di una parte più sostanziale dei casi familiari; infatti, mutazioni nel gene C9ORF72
sono state identificate in circa la metà dei casi familiari finlandesi e in un terzo di quelli europei
(Ingre et al., 2015).
Nel 1993, Rosen e collaboratori identificarono il primo gene causativo della fSLA: SOD1. La
presenza di mutazioni in tale gene è responsabile di circa il 20% delle forme fSLA e del 2% delle
forme sSLA (Furukawa et al., 2006). Il gene SOD1 mappa sul cromosoma 21q22.1 (Cluskey et al.,
2001) e, finora, nei pazienti SLA con forma familiare, sono state identificate più di 170
mutazioni (Ingre et al., 2015), quasi tutte ereditate con modalità autosomico dominante
(Ticozzi et al., 2011). Nell’uomo sono presenti tre isoenzimi della Sod: Sod1 localizzato nel
citoplasma, Sod2 nei mitocondri e Sod3 a livello extracellulare. La Sod1, omodimero con uno
ione rame e uno ione zinco in ogni subunità (Cluskey et al., 2001) è biochimicamente definita
come l’enzima responsabile della conversione dei radicali superossidi (∙O2-), in ossigeno (O2) e
perossido di idrogeno (H2O2), (Ingre et al., 2015), secondo la seguente reazione:
2∙O2- + 2 H+ ⇌ O2 + H2O2
Il H2O2 formatosi verrà poi convertito in ossigeno ed acqua (H2O) nella seguente reazione
catalizzata dalla catalasi (Cat), enzima appartenente alla classe delle ossido reduttasi:
2 H2O2 ⇌ O2 + 2 H2O
Quando i livelli di H2O2 sono troppo bassi per attivare le catalasi, la decomposizione dei
perossidi avviene per attivazione della glutatione perossidasi (GPx).
Inizialmente si riteneva che mutazioni nel gene SOD1 potessero causare una minore attività
dell’enzima. Tuttavia, come emerso da altri studi, condotti su soggetti affetti da fSLA e su topi
transgenici G93A, il quadro risulta essere più complesso. Infatti, molte mutazioni identificate in
pazienti con SLA, non intaccano l’attività di dismutazione di Sod1; altre, invece, accrescono
8
l’attività catalitica dell’enzima. Sorprendentemente, topi transgenici G93A sviluppano un
fenotipo simile alla SLA, mentre topi knock-out per SOD1 non sviluppano la malattia (Cluskey et
al., 2001), suggerendo che Sod1 non è necessaria per il normale sviluppo e funzionamento dei
motoneuroni (Sau et al., 2007). Ciò suggerisce che la perdita dell’attività non è ritenuta
sufficiente a provocare la malattia e probabilmente la tossicità della mutazione a carico del
gene che codifica per Sod1 si esplica attraverso uno sconosciuto guadagno di funzione
dell’enzima (Barber et al., 2010).
Diversi studi hanno identificato altri due geni coinvolti nell’insorgenza delle forme familiari di
SLA: TDP-43 (Sreedharan et al., 2008) e FUS/TLS (Kwiatkowsky et al., 2009). Le proteine
codificate, rispettivamente Tdp43 e Fus/Tls, sono entrambe connesse al processamento
dell’mRNA, in quanto sono deputate al suo trasporto dal distretto nucleare a quello
citoplasmatico (Lagier-Tourenne et al., 2010). TDP-43 e FUS/TLS hanno una struttura molto
simile (figura 2), con un dominio ricco di glutammina, asparagina e glicina, che sembra essere
fondamentale per la polimerizzazione, in sede extracellulare, di fibre costituite da materiale
proteico insolubile, simili ad aggregati di amiloide (Lee et al., 2015).
Figura 2: rappresentazione schematica della struttura dei domini di TDP-43 e FUS/TLS. Entrambe le proteine
contengono domini RRM NLS=Nuclear Localization Signal, RRM=RNA Recognition Motif, NES=Nuclear Export
signal, Gly-rich=Glycine rich region, SYGQ-rich=Glutamine/Glycine/Serine/Tyrosine rich region,
RGG=Arginine/Glycine rich region, ZnF=Zinc finger motif (da Lee et al., 2015).
Mentre nei soggetti sani, Tdp-43 e Fus/Tls sono localizzate nel nucleo (Finelli et al., 2015), nei
pazienti affetti da SLA, si accumulano in inclusioni citoplasmatiche contenenti ubiquitina: il
9
legame tra ubiquitina e le proteine Tdp-43 e Fus/Tls porta alla degradazione delle proteine
stesse tramite ubiquitinazione (Ingre et al., 2015).
Le conseguenze delle mutazioni nei geni TDP-43 e FUS/TLS non sono ancora del tutto note, ma
recenti studi in vitro, suggeriscono che potrebbero essere associate alla morte delle cellule
neuronali (Finelli et al., 2015). L’accumulo di aggregati insolubili di Tdp-43 potrebbe
compromettere il normale funzionamento di questa proteina e indurre la progressione della
malattia. L’ossidazione di cisteine nel motivo di riconoscimento dell’RNA di Tdp-43 induce
cambiamenti conformazionali che, successivamente, provocano aggregazione proteica che, a
sua volta, facilita la progressione della malattia (Li et al., 2013). Recenti studi suggeriscono che
le inclusioni citoplasmatiche contenenti Tdp-43 sono costituite prevalentemente dal dominio C-
terminale di Tdp43, dove sono state ritrovate quasi tutte le mutazioni di questo gene; inoltre,
studi condotti in vitro, mostrano che il dominio C-terminale frammentato ha una maggiore
capacità di aggregazione (Polymenidou, 2011). Vari studi hanno identificato la proteina Fus/Tls
come una componente delle inclusioni citoplasmatiche, sia nei pazienti con sSLA che in individui
affetti da demenza frontotemporale (FTD). La maggior parte delle mutazioni nel gene FUS/TLS,
riscontrate nelle forme fSLA, ereditate come carattere autosomico dominante (Ticozzi et al.,
2011), interrompono un segnale di localizzazione nucleare (NLS) nel dominio C-terminale,
portando alla formazione, nel citoplasma, di granuli da stress, nonché riduzione delle funzioni
nucleari. Inoltre, si suppone che, anche la regione N-terminale della proteina Fus/Tls sia
implicata nella formazione di aggregati proteici reversibili simili ad amiloide; ciò potrebbe
essere l’inizio della generazione dei granuli contenenti RNA, tra cui i granuli nucleari (Kino et al.,
2011). TDP-43 e FUS, dunque, giocano un ruolo importante nella patogenesi della SLA; tuttavia,
sono necessari ulteriori studi per chiarire il loro esatto meccanismo d’azione (Lee et al., 2015).
Altri studi hanno identificato in pazienti affetti da fSLA mutazioni a carico del gene che codifica
per la proteina Vescicle-associated membrane protein-associated protein B (Vapb). Vapb
appartiene alla famiglia di Vap, è una proteina adattatrice a livello del reticolo endoplasmatico
coinvolta nel trasporto dei lipidi (Fasana et al., 2010). L’azione patogenetica di VAPB mutato si
esplica nella promozione della formazioni di inclusioni intracellulari e nell’attivazione delle vie
di morte cellulare (Chen et al., 2010). Mutazioni a carico di questo gene sono responsabili
dell’insorgenza della forma rara di SLA a lenta progressione (SLA8), della tipica forma di SLA
severa a rapida progressione e di una forma tardiva di atrofia muscolare spinale (SMA).
10
Probabilmente la co-localizzazione delle inclusioni della proteina mutata, nel citosol e nel
reticolo endoplasmatico, può interferire con i processi vitali della cellula (Fasana et al., 2010).
Il gene che codifica per la proteina c9orf72, la cui funzione non è ancora del tutto nota, è stato
identificato in modo indipendente e simultaneo nel 2011 da due gruppi di ricerca, guidati
rispettivamente da DeJesus-Hernandez e Renton. Il gene, localizzato sul cromosoma 9p21, è
costituito da 12 esoni, di cui i primi due non codificanti (1a e 1b). L’alterazione identificata
consiste in un’espansione esanucleotidica, GGGGCC, localizzata nella regione intronica tra gli
esoni 1a e 1b ed è stata riscontrata nel 40% dei casi fSLA e nel 20% degli sSLA (DeJesus-
Hernandez et al., 2011; Renton et al., 2011).
Nei pazienti affetti da SLA, sono state ritrovate più di un migliaio di ripetizioni, mentre nella
popolazione sana il numero varia da 2 a 30 ripetizioni. L’espansione GGGGCC nel gene C9ORF72
provoca la formazione di grovigli ibridi DNA/RNA che interferiscono con le normali attività della
cellula; inoltre tali aggregati sono in grado di legare e bloccare quasi 288 proteine nucleari, tra
cui la nucleolina, preposta alla produzione dei ribosomi, strutture necessarie per la traduzione
dei messaggeri in proteine (Haeusler et al., 2014). Farg e collaboratori (2014) hanno dimostrato
che l’espansione GGGGCC può interferire anche nel traffico vescicolare e nel meccanismo di
autofagia.
Circa il 5% delle fSLA è dovuto a mutazioni, soprattutto delezioni frameshift o nonsense e
sostituzioni missense, riscontrate in altri geni, tra cui Amyotrophic Lateral Sclerosis 2 (ALS2),
Senataxin (SETX), Spastic Paraplegia 11 (SPG11) e Angiogenin (ANG), che provocano forme
atipiche ad esordio giovanile, ereditate con modalità a carattere autosomico recessivo. Più
precisamente, nel 1994 è stato scoperto il gene ALS2, sito sul cromosoma 2q33-35, codificante
per la proteina Alsin, associato alla SLA2, caratterizzata da atrofia dei muscoli distali, debolezza
e spasticità progressiva ascendente, dagli arti inferiori alla cervicale e ai segmenti bulbari. Altre
mutazioni riscontrate alla fine degli anni ’90, nei gene SETX, sito sul cromosoma 9q34, e SPG11,
localizzato sul cromosoma 15q15-21, che codificano rispettivamente per due proteine
Senataxin e Spatacsin, causano la SLA4 e la SLA5: i giovani pazienti, solitamente, sviluppano
debolezza simmetrica e atrofia dei muscoli distali degli arti, con coinvolgimenti dei tratti
corticospinali e dei muscoli bulbari (Ticozzi et al., 2011).
11
- Degenerazione dei motoneuroni nella SLA
Il processo di degenerazione dei motoneuroni è il risultato della combinazione di diversi
pathways molecolari: eccitotossicità, stress ossidativo, disfunzione mitocondriale, aggregazione
proteica, disfunzione citoscheletrica e difetti nella maturazione dell’RNA. Non è ancora chiaro
quali tra queste condizioni siano le cause primarie della malattia e quali siano, invece, le
conseguenze (Matsumoto et al., 2007).
Attualmente è ancora valida l’ipotesi che l’eccitotossicità possa contribuire alla selettiva perdita
dei motoneuroni, principalmente attraverso l’alterazione dei meccanismi del turnover del
glutammato a livello sinaptico (Wijesekera et al., 2009). Per eccitotossicità si intende un
fenomeno di tossicità neuronale dovuto ad elevate concentrazioni di glutammato, il principale
neurotrasmettitore ad attività eccitatoria del Sistema Nervoso Centrale (SNC). L’eccessivo
rilascio di glutammato, liberato nel vallo sinaptico, va ad iperattivare, sul neurone
postsinaptico, i recettori NMDA e α-amino-3-idrossi-5-metil-a-isoxazoloproprionato (AMPA).
Questa sovra-stimolazione dei recettori glutammatergici facilita, attraverso il canale Na+/Ca2+, il
flusso intracellulare di ioni Ca2+, che si accumulano nelle cellule, portando ad un aumento della
formazione di Ossido Nitrico (NO) e all’attivazione delle caspasi, implicate nel processo di morte
cellulare programmata (Wijesekera et al., 2009). I livelli di glutammato, nella fessura sinaptica,
sono regolati sia dall’inattivazione dei recettori NMDA e AMPA, sia dall’azione delle proteine
trasportatrici, note come Trasportatori degli Amminoacidi Eccitatori (EAATs) che inducono, a
livello dei neuroni e degli astrociti, la ricaptazione intracellulare del glutammato stesso
mediante un meccanismo di co-trasporto (Mulligan et al., 2013). La presenza di elevate
concentrazioni di glutammato nel fluido cerebrospinale dei pazienti con sSLA, suggerisce che
l’eccitotossicità glutammatergica possa contribuire ai meccanismi di neurodegenerazione
riscontrati in questa patologia (Cluskey et al., 2001). Studi condotti su topi knock-out per EAAT
mostrano un aumento dei livelli di glutammato nella fessura sinaptica, con conseguente
incremento della degenerazione dei motoneuroni. Studi post-mortem condotti su pazienti con
sSLA, hanno messo in evidenza una riduzione del 30-90% dei livelli di EAAT2, rispetto ai controlli
(Cluskey et al., 2001). La perdita del trasportatore EAAT2 non è comunque generalizzata, ma
riguarda soltanto le popolazioni astrocitarie del midollo spinale e della corteccia motoria che
sono coinvolte nella malattia (Cluskey et al., 2001). Poiché la perdita della proteina non è
accompagnata ad un equivalente decremento del suo mRNA, e poiché non sono state
identificate mutazioni nelle regioni codificanti per il trasportatore, si è ipotizzato che l’assenza
12
di EAATs sia dovuta ad un erroneo meccanismo di processazione del suo trascritto, che lo rende
instabile e, quindi, facilmente degradabile (Cluskey et al., 2001).
Tra le ipotesi formulate riguardo le modalità di insorgenza della SLA, le più accreditate, oltre a
quella eccitotossica, chiamano in causa lo stress ossidativo e le alterazioni a carico del
mitocondrio. Lo stress ossidativo può essere definito come una condizione in cui l’equilibrio
fisiologico esistente tra la produzione delle Specie Reattive dell’Ossigeno (ROS) e la loro
detossificazione, attraverso il sistema di difesa antiossidante, viene ad inclinarsi favorendo
l’accumulo di specie chimiche reattive (Fisher-Wellman et al., 2009). Il SNC, per le sue
caratteristiche anatomiche e per la sua fisiologia, risulta essere ipersensibile allo stress
ossidativo (Emerit et al., 2004). L’encefalo, per adempiere alle sue funzioni, produce elevate
concentrazioni di ATP, con un massimo consumo di ossigeno e glucosio. Ciò rende i neuroni
molto suscettibili nei confronti dell’O2 e in grado di generare elevate quantità di radicali liberi.
Infatti, in condizioni fisiologiche, circa l’1-2% dell’O2 consumato viene convertito in ROS ma, con
l’avanzare dell’età, nell’encefalo, tale percentuale aumenta, a causa dei minori livelli di
antiossidanti e della bassa capacità di rigenerazione dei neuroni “più anziani” (Uttara et al.,
2009).
Lo stress ossidativo appare legato a una serie di eventi cellulari che si verificano nei
motoneuroni e che contribuiscono alla degenerazione e morte dei neuroni. L’analisi post-
mortem di tessuti neuronali di pazienti con sSLA mostra un consistente danno ossidativo alle
proteine, ai lipidi e al DNA, suggerendo che questo sia, probabilmente, uno dei principali
epifenomeni di degenerazione dei motoneuroni (D’Amico et al., 2013). Studi condotti su
modelli murini di SLA, supportano l’ipotesi che lo stress ossidativo non sia la causa della
malattia ma che il danno effettivo derivi dall’interazione dello stress ossidativo stesso con
l’eccitotossicità e l’apoptosi, che sarebbero le principali cause della morte neuronale (Emerit et
al., 2004).
Altri studi, che evidenziano alterazioni nei livelli dei biomarcatori di stress ossidativo in pazienti
con sSLA e fSLA, ipotizzano invece che questo fenomeno potrebbe essere coinvolto nella
patogenesi della malattia. Il glutatione ridotto (GSH), per esempio, è stato trovato, in vivo, a
bassi livelli nei motoneuroni della corteccia di pazienti SLA rispetto ai controlli sani. In modelli
murini con mutazioni nel gene SOD1, la riduzione del GSH accelera la comparsa dei deficit
neurologici e mitocondriali. Inoltre, in colture neuronali, la deplezione del glutatione induce la
formazione di inclusioni citoplasmatiche TDP-43, simili a quelle riscontrate nelle forme sSLA
13
(Carrì et al., 2015). È noto infatti che lo stress ossidativo può anche provocare cambiamenti
conformazionali e strutturali delle proteine, con conseguente formazioni di aggregati proteici,
ampiamente descritti in topi SLA e in tessuti di pazienti con SLA. Tali inclusioni possono indurre
un’ulteriore produzione delle ROS, provocando neurotossicità, come accade con TDP-43.
Inoltre, mutazioni in TDP-43 sembrano indurre disfunzioni mitocondriali e danno ossidativo,
indicato da un aumento dei livelli di perossidazione lipidica (Li et al., 2013).
Resta comunque ancora da chiarire se lo stress ossidativo sia una causa della degenerazione
neuronale o ne sia una conseguenza diretta. L’insulto ossidativo sembra, in ogni caso, avere un
ruolo centrale legato alla perdita dei motoneuroni nei pazienti SLA e per questo potrebbe
rappresentare un buon target terapeutico, anche se finora la terapia antiossidante non ha dato
i risultati sperati, probabilmente per la difficoltà di raggiungere una posologia sufficiente per
ottenere un effetto terapeutico a livello del SNC (Graf et al., 2005). Lo stress ossidativo, inoltre,
può anche contribuire ad esacerbare altri meccanismi, come l’eccitotossicità, che portano a
neurodegenerazione (Rao et al., 2004).
Recenti osservazioni indicano il coinvolgimento dei mitocondri nella genesi della
neurodegenerazione nella SLA (Cozzolino et al., 2015). I mitocondri sono organelli cellulari,
delimitati da una doppia membrana e sono la fonte principale di energia chimica all'interno
delle cellule in quanto producono, tramite il processo della fosforilazione ossidativa (OXPHOS),
la maggior parte di adenosina trifosfato (ATP) (Cluskey et al., 2001). I mitocondri, inoltre,
svolgono diverse funzioni importanti tra cui la regolazione dell’apoptosi, della biosintesi dei
lipidi e dell’omeostasi del calcio (Ca2+) citosolico (Lin et al., 2006). Le funzioni mitocondriali si
alterano con l’avanzare dell’età, che a sua volta costituisce il principale fattore di rischio per le
malattie neurodegenerative (Cluskey et al., 2001). Disfunzioni mitocondriali, a livello
dell’apparato muscolo scheletrico, sono associate ad un incremento delle ROS e ad
un’attivazione della cascata apoptotica, nonché ad una riduzione della trascrizione genica, con
conseguenze quali la perdita di massa muscolare e l’affaticamento muscolare. Tuttavia, i precisi
meccanismi alla base di questi processi non sono ancora del tutto noti (Oliveira et al., 2014). La
disfunzione mitocondriale è riconosciuta come uno dei fattori di rischio per lo sviluppo della
sSLA (Cozzolino et al., 2015). Diversi studi hanno evidenziato in motoneuroni di modelli animali
e pazienti la presenza di vacuolizzazione (Cluskey et al., 2001), anomalie strutturali dei
mitocondri (Bowling et al., 1993), alterazioni della catena di trasporto degli elettroni a livello dei
complessi I (Wiedemann et al., 1998) e IV (Vielhaber et al., 2000) e difetti nel meccanismo di
14
trasporto delle proteine all’interno dei mitocondri (Cozzolino et al., 2012; Tan et al., 2014).
Infine, sono state descritte, in rari casi, anomalie del DNA mitocondriale (mtDNA), come
delezioni multiple o mutazioni nonsense nel gene che codifica per la subunità I della citocromo
c ossidasi (Comi et al., 1998).
Conseguenze dirette delle alterazioni mitocondriali includono: deficit nella produzione di
energia a livello cellulare, aumento dello stress ossidativo, induzione dei processi apoptotici e
aumento dei livelli del Ca2+ intracellulare. Considerando che il mitocondrio è simultaneamente
bersaglio e produttore di ROS, è ovvio che lo stress ossidativo e le alterazioni mitocondriali sono
fenomeni strettamente correlati (figura 3) (Carrì et al., 2015). L’aumentata produzione di
ROS/RNS, lo stress del Reticolo Endoplasmatico (RE) e, almeno in parte, la disregolazione
trascrizionale e l’anormale processamento dell’RNA sono tutte conseguenze della disfunzione
mitocondriale e dello stress ossidativo, che contribuiscono alla morte dei motoneuroni. A loro
volta, questi eventi patologici causano altri effetti dannosi come la formazione di proteine
misfolded, che portano alla formazione di aggregati insolubili citoplasmatici e mitocondriali, ad
una compromissione del trasporto assonale e all’alterazione dell’attività enzimatica delle
Proteine Disolfuro Isomerasi (PDI) nel RE, enzimi che catalizzano la formazione o la rottura
di ponti solfuro. Tuttavia è difficile spiegare la correlazione tra causa ed effetto dei singoli
eventi in quanto sono tutti strettamente correlati (Carrì et al., 2015).
Figura 3: disfunzioni mitocondriali e stress ossidativo sono strettamente correlati, dipendono l’uno dall’altro e
sono alla base della disregolazione dell’equilibrio redox nella SLA. Le frecce rosse potrebbero rappresentare le
cause primarie, mentre le frecce grigie potrebbero rappresentare gli effetti secondari (da Carrì et al., 2015).
15
Negli ultimi anni, è stato proposto un nuovo meccanismo molecolare per spiegare la patogenesi
della SLA, che coinvolge i trasportatori del lattato, ATP-dipendenti, muscle neuronal lactate
shuttle (MNLS). Vadakkadath e collaboratori (2012) suggeriscono che gli MNLS, a livello della
giunzione neuromuscolare (NMJ), siano in grado di mantenere l’omeostasi del lattato tra i
muscoli e i motoneuroni. Un loro malfunzionamento sembra indurre accumulo di lattato a
livello della NMJ, causando nella cellula condizioni di stress e tossicità, che potrebbero condurre
a denegerazione; la mancata neurotrasmissione che ne consegue, porterebbe all’atrofia. Allo
stesso modo, anche l’accumulo di lattato nei miociti potrebbe promuovere la degenerazione
muscolare; infatti, la perdita dell'omeostasi del lattato e la successiva morte dei motoneuroni
possono creare un circolo vizioso, in cui le fibre muscolari superstiti devono lavorare
maggiormente per compensare la normale funzione muscolare. Ne consegue, una maggiore
produzione di lattato e/o di altri radicali tossici, che possono indurre ulteriore neurotossicità nei
motoneuroni, portando a degenerazione e morte neuronale. Questo meccanismo potrebbe
spiegare la rapida progressione della malattia (Vadakkadath et al., 2012).
- Fattori di rischio ambientali ed esercizio fisico
Come detto precedentemente, la SLA, così come altre forme morbose, è il risultato
dell’interazione di componenti endogene ed esogene. Numerosi studi sono stati condotti al fine
di identificare i fattori ambientali che contribuiscono alla perdita delle cellule neuronali nella
SLA. Da questi lavori è emerso, ad esempio, che in alcuni tessuti di pazienti i livelli di alcuni
metalli, come ferro, manganese e alluminio sono più elevati rispetto a quelli riscontrati nel
resto della popolazione, anche se la veridicità di questi risultati è limitata dalla grandezza del
campione analizzato (Callaghan et al., 2011).
È stata anche considerata una possibile relazione tra attività sportiva e SLA. Chiò e
collaboratori, in uno studio del 2005, hanno esaminato circa settemila giocatori professionisti di
calcio, che avevano espletato la loro attività nel periodo 1970–2001; i risultati di quest’analisi
suggeriscono che una prolungata attività calcistica costituisca un fattore di rischio per lo
sviluppo della malattia.
Molti studi condotti su umani e roditori mostrano che l’esercizio fisico di moderata intensità
esercita effetti benefici sul SNC, in quanto incrementa l’apprendimento e la capacità
mnemonica, attenua il declino cognitivo legato all’età, espleta effetti neuroprotettivi contro la
depressione e ritarda l’insorgenza delle malattie neurodegenerative (Kaspar et al., 2005; Bello-
16
Haas et al., 2007). Tuttavia, mentre alcuni studi suggeriscono che la malattia si presenta più
frequentemente in individui che conducono uno stile di vita sedentario, altri dimostrano che
l’attività intensa potrebbe aumentare il rischio di insorgenza della SLA (Carreras et al., 2010).
Storicamente, il primo paziente a cui è stata diagnosticata la SLA è Lou Gehrig, un celebre
giocatore statunitense di baseball. Diversi studi mostrano un aumento del rischio di sviluppare
SLA tra i giocatori di calcio e football americano, tra gli atleti agonisti e tra gli individui che
svolgono un’intensa attività fisica, ma i dati a riguardo sono ancora incerti e contraddittori (Chiò
et al., 2005). Oltre all’attività fisica di resistenza, altri potenziali fattori di rischio, che
potrebbero spiegare la correlazione tra SLA ed esercizio, sono i ripetuti traumi cranici, l’uso
illegale di sostanze dopanti nonché sostanze chimiche utilizzate per il trattamento dell’erba nei
campi sportivi (Ingre et al., 2015).
L’attività fisica è stata correlata ad un aumento della produzione delle ROS; in particolare, il
tessuto muscolare scheletrico rappresenta la principale fonte della produzione delle ROS
durante l’esercizio fisico, anche se, altri tessuti sono implicati nella loro formazione, tra cui il
cuore, i polmoni e il sangue (Mrakic-Sposta et al., 2015). Le ROS sono potenzialmente dannose
per le funzioni muscolari, in quanto causano affaticamento ed atrofia. Per questo motivo, molti
studi sono focalizzati sulla prevenzione della formazione delle ROS, e quindi del danno
ossidativo, durante e dopo l’attività fisica (Steinbacher et al., 2015 a). La produzione delle ROS
durante uno sforzo fisico è accompagnata anche ad una marcata riduzione delle capacità
antiossidanti, proporzionalmente all’intensità dell’allenamento (Finsterer, 2012). Sembra
dunque che l’esercizio fisico prolungato, se associato ai traumi cranici e ad altri fattori esterni,
come l’esposizione ai pesticidi o l’assunzione di farmaci, sia deleterio per alcuni individui.
Tuttavia, un’attività fisica moderata, dopo l’insorgenza della malattia, potrebbe migliorarne i
sintomi (Beghi et al., 2010).
Anche se questi dati sono interessanti, non rispondono alla domanda se le alterazioni
mitocondriali, lo stress ossidativo e una prolungata attività fisica sono casualmente coinvolte
nella patogenesi della SLA o sono un epifenomeno della degenerazione neuronale.
Recenti studi hanno identificato alcune proteine che potrebbero essere coinvolte nel controllo
della risposta cellulare a segnali di stress; in particolare numerosi studi indicano un ruolo
importante di alcune proteine cardine, tra cui spicca il Peroxisome Proliferator-Activated
Receptor Gamma Coactivator 1 alpha (Pgc-1α), che interagisce con un’ampia gamma di fattori
coinvolti in diverse risposte biologiche (Arany, 2008).
17
1.2. Il Coattivatore PGC-1 alpha
Il Peroxisome Proliferator-Activated Receptor Gamma Coactivator 1 alpha (PGC-1α), uno tra i
più studiati coattivatori trascrizionali tessuto-specifico, è una proteina codificata dal gene
PPARGC1A/ PGC-1α, localizzato sul cromosoma 4p15.1 e costituito da 13 esoni (Arany, 2008).
PGC-1α fa parte della famiglia PPAR, co-fattori di trascrizione in grado di regolare il
metabolismo dei lipidi e delle lipoproteine, la mitocondriogenesi, l’omeostasi del glucosio, la
proliferazione e la differenziazione cellulare e l’apoptosi; in particolare, PGC-1α è un
modulatore della risposta cellulare all’insulto ossidativo e infiammmatorio (Chinetti et al.,
2000).
Strutturalmente la proteina Pgc-1α è costituita da un dominio N-terminale, in cui è localizzato il
sito di legame per molecole attivatrici della proteina stessa. La regione centrale, invece,
contiene il sito di legame per i fattori di trascrizione, mentre nel dominio C-terminale è
presente una regione di riconoscimento per l’RNA. La capacità di Pgc-1α di regolare la
trascrizione dei geni coinvolti nella biogenesi mitocondriale e nella termogenesi, è dovuta al
coinvolgimento di questa proteina sia nella trascrizione, che nella capacità di processare
l’mRNA (Monsalve et al., 2000).
In condizioni fisiologiche, Pgc-1α, all’interno delle cellule, si trova in uno stato conformazionale
inattivo; tuttavia, durante una contrazione muscolare o un esercizio fisico, viene attivata dalla
deacetilazione da parte delle Sirtuine (SIRTs), o dalla fosforilazione dovuta a diverse chinasi, tra
cui P38 mitogen-activated protein kinases (p38 MAPK), Calcium/calmodulin-dependent protein
kinase (CaMK) e 5' AMP-activated protein kinase (AMPK) (figura 4); altre proteine coinvolte
nell’attivazione di PGC-1α sono steroid receptor coactivator 1 (SRC-1), CREB-binding protein
(CBP) e E1A binding protein p300 (p300) (Arany, 2008; Park et al., 2014). Studi recenti hanno
mostrato che la sovraespressione delle SIRTs e la conseguente attivazione di Pgc-1α producono
effetti positivi per la salute dell’organismo, inclusi la protezione dal declino metabolico, dalle
malattie cardiovascolari, dalla neurodegenerazione e dal danno epatico (Guo et al., 2014).
18
Figura 4: cascata di attivazione di PGC-1α e sue funzioni: Ormone tiroideo (TH), ossido nitrico sintasi (NOS/cGMP),
p38 mitogen-activated protein kinase (p38MAPK), sirtuine (SIRTs), calcineurine (CaN), calcium-calmodulin-
activated kinases (CaMKs), adenosine-monophosphate-activated kinase (AMPK), cyclin-dependent kinases (CDKs) e
b-adrenergic stimulation (b/cAMP) regolano l’espressione e/o l’attivazione di PGC-1α, che co-attiva fattori di
trascrizione come nuclear respiratory factors (NRFs), estrogen-related receptors (ERRs) e peroxisome proliferator-
activated receptors (PPARs), noti per regolare diversi aspetti del metabolismo energetico, tra cui biogenesi
mitocondriale, ossidazione degli acidi grassi e difesa antiossidante (da Ventura-Clapier et al., 2008).
Una volta attivata Pgc-1α trasloca nel nucleo dove, tramite l’interazione con una vasta gamma
di fattori di trascrizione, inclusi il Nuclear Respiratory Factor 1 e 2 (NRF-1 e NRF-2), l’Estrogen-
Related Receptor Alpha (ERRα) e il Peroxisome Proliferator-Activated Receptor (PPAR), attiva la
trascrizione di geni coinvolti in diverse risposte biologiche, tra cui la gluconeogenesi, la
termogenesi, il metabolismo del glucosio e degli acidi grassi, la biogenesi mitocondriale, la
fosforilazione ossidativa, l’induzione dello switch del tipo di fibra muscolare e il sistema di
difesa antiossidante (Puigserver et al., 2003; Valle et al., 2005; Liang et al., 2006).
Una funzione centrale di PGC-1α, strettamente correlata con la biogenesi mitocondriale, è la
detossificazione dalle ROS (Valle et al., 2005; St-Pierre et al., 2006). PGC-1α, infatti, oltre a
promuovere l’incremento del numero e dell’attività dei mitocondri, co-regola l’induzione di un
gruppo di proteine coinvolte nella risposta cellulare allo stress ossidativo mitocondriale. Tale
19
regolazione positiva aumenta la capacità cellulare di eliminare le ROS, prevenendo disfunzioni
endoteliali e morte per apoptosi, in risposta a condizioni di stress, come per esempio elevati
livelli di glucosio (Valle et al., 2005). È stato infatti mostrato che PGC-1α, sia in condizioni
normali, che in condizioni di stress ossidativo, induce l’espressione di geni implicati nel sistema
di difesa antiossidante, come Sod1, Sod2, Gpx, Cat, Peroxirredoxins 3 and 5 (Prx3, Prx5),
mitochondrial Thioredoxin (TRX2), mitochondrial Thioredoxin Reductase (TRXR2) e
Mitochondrial uncoupling protein 2 (UCP-2), tramite, probabilmente, una diretta interazione
con il promotore di questi geni (Valle et al., 2005; St-Pierre et al., 2006).
1.2.1. Ruolo di PGC-1α nelle malattie neurodegenerative
Le malattie neurodegenerative sono state associate alle disfunzioni mitocondriali, come una
ridotta capacità respiratoria, un aumento nella produzione delle ROS e dunque al danno
ossidativo. Elevati livelli di PGC-1α migliorano i fenotipi di modelli murini di queste condizioni
patologiche, probabilmente tramite l’aumento del metabolismo mitocondriale e della
detossificazione dalle ROS (figura 5) (Austin et al., 2012).
Figura 5: impatto di PGC-1α sulle malattie neurodegenerative (da Austin et al., 2012).
20
Le prime prove del coinvolgimento di PGC-1α nelle malattie neurodegenerative sono state
osservate in topi knock-out PGC-1α-/-, i quali mostrano neurodegenerazione associata ad un
fenotipo clinico simile a quello della malattia di Huntington (HD) (Lin et al., 2004). Inoltre, studi
condotti su pazienti HD mostrano una concomitante riduzione delle funzioni mitocondriali e
dell’espressione di PGC-1α, suggerendo che difetti nel gene PGC-1α potrebbero contribuire allo
sviluppo di HD (Weydt et al., 2006).
Studi condotti da Shin e collaboratori (2011) hanno mostrato che PGC-1α potrebbe avere un
ruolo protettivo nei confronti della Malattia di Parkinson (PD). È stato osservato che PARIS, un
substrato che interagisce con la proteina Parkin e i cui livelli sono regolati dall’ubiquitinazione
da parte della E3 ubiquitina ligasi, è uno dei maggiori repressori della trascrizione di PGC-1α.
Infatti, topi knock-out per Parkin mostrano una progressiva perdita dei neuroni dopaminergici,
una sovraespressione di PARIS e una diminuzione nella trascrizione di PGC-1α (Shin et al.,
2011).
PGC-1α sembra essere implicato anche nella Malattia di Alzheimer (AD), dove, sia nei pazienti
che in modelli murini AD, l’espressione di PGC-1α è ridotta, nella distrofia muscolare di
Duchenne e nella SLA (Sheng et al., 2012). In particolare, studi condotti su modelli murini G93A
hanno dimostrato che PGC-1α migliora il fenotipo complessivo della malattia (Liang et al.,
2011). Infatti, un aumento dell’attività di Pgc-1α, a livello del tessuto muscolare, si traduce in
un incremento significativo della resistenza muscolare, riduce l’atrofia e migliora l’attività
locomotoria anche in fasi avanzate della malattia (Da Cruz et al., 2012).
1.2.2. PGC-1α e la regolazione del metabolismo ossidativo
In diversi tessuti connessi con il metabolismo ossidativo, incluso il tessuto muscolare, i
coattivatori della famiglia delle proteine Pgc-1 svolgono molteplici attività biologiche. Infatti, sia
Pgc-1α che Pgc-1β sono altamente espresse nei tessuti dove è attivo il metabolismo ossidativo
come il cuore, l’encefalo, il rene e il muscolo, promuovendo la biogenesi mitocondriale e
aumentando la respirazione cellulare (Arany, 2008). È stato dimostrato che Pgc-1α aumenta
l’espressione e l’attività dei fattori di trascrizione NRFs, che a loro volta regolano l’espressione
di numerosi geni mitocondriali (Wu et al., 1999). Studi successivi hanno dimostrato che Pgc-1α
ha come principale funzione fisiologica l’incremento dell’espressione dei geni mitocondriali e
un’induzione sostanziale della respirazione cellulare (St-Pierre et al., 2003). Questi due studi
21
identificano Pgc-1α come il maggior induttore della biogenesi e della respirazione mitocondriale
(Austin et al., 2012).
Modelli animali PGC-1α -/- e PGC-1β -/- presentano anomalie nel tessuto scheletrico e
alterazioni del metabolismo energetico del muscolo cardiaco. Viceversa, se nel muscolo
scheletrico viene indotta l’espressione di PGC-1α e PGC-1β si ha un incremento della biogenesi
mitocondriale (Arany, 2008). Studi condotti sui tessuti di modelli murini PGC-1α -/- e PGC-1β -/-
mostrano un volume mitocondriale ridotto nelle fibre lente o rosse del muscolo scheletrico
reclutate in azioni muscolari di scarsa entità ma di lunga durata (Leone et al., 2005), nonostante
gli animali abbiano comunque un pool di mitocondri funzionali. La delezione dei co-attivatori
PGC-1, effettuata solo nell’ambito di cellule del grasso bruno, porta alla quasi completa perdita
dei mitocondri (Arany, 2008). Inoltre, a conferma di ciò, l’espressione forzata di PGC-1α, in
cellule di mammifero in cultura o in tessuti specifici di topi transgenici, aumenta il numero e il
volume dei mitocondri, con conseguente miglioramento della capacità respiratoria cellulare (Da
Cruz et al., 2012).
1.2.3. PGC-1α e l’attività fisica
È stato osservato che le fibre muscolari in risposta a stimoli esterni, tra cui l’attività fisica, a
causa della loro elevata plasticità, possono modificare la loro composizione. Questa
considerevole proprietà delle fibre muscolari induce uno shift tra i diversi tipi di fibre, dovuto
ad uno switch delle isoforme proteiche che caratterizzano ogni miofibra (Röckl et al., 2007). I
muscoli scheletrici dei vertebrati contengono miofibre che differiscono per la capacità
contrattile, il contenuto mitocondriale e le proprietà metaboliche. Le miofibre a contrazione
lenta, dette anche Slow-twitch myofibers (SM) o fibre di tipo I sono fibre ossidative, di piccole
dimensioni, caratterizzate da un alto contenuto di lipidi e di mitocondri e sono tipiche della
resistenza alla fatica; vengono quindi preferenzialmente attivate durante azioni muscolari di
scarsa entità, ma di lunga durata. I muscoli contengono anche fibre a contrazione rapida, note
come White fast-twitch fibers (FWM) o fibre di tipo IIb. Queste ultime sono fibre glicolitiche più
grandi delle SM, con un alto contenuto di glicogeno e pochi mitocondri; sono attivate quando vi
è necessità di generare una forza rapida e intensa. Oltre alle fibre SM e FWM, vi sono anche
miofibre a contrazione rapida, chiamate Red fast-twitch myofibers (FRM) o di tipo IIa, queste
sono fibre intermedie ossidative-glicolitiche, simili alle SM per il colore e alle FWM per le
22
proprietà contrattili, in quanto possiedono funzionalità metaboliche sia aerobiche che
anaerobiche (Berchtold et al., 2000; Lin et al., 2002).
Le ripetute contrazioni muscolari che si verificano durante l’attività fisica, inducono diverse
risposte fenotipiche e fisiologiche, tra cui l’attivazione della biogenesi mitocondriale, con un
aumento della dimensione e del numero dei mitocondri, la transizione fast-to-slow delle fibre
muscolari e l’aumento delle capacità ossidative del muscolo, quindi aumento della resistenza
del muscolo alla fatica (Rasbach et al., 2011). L’esercizio fisico è accompagnato da un aumento
dell’attività motoria nervosa, con conseguente incremento, nel muscolo, dei livelli intracellulari
del Ca2+ (Olson et al., 2000; Hood et al., 2001). Il Ca2+ e la calmodulina (proteina legante Ca2+)
attivano sia la CaMKIV, sia la protein phosphatase calcineurin A (CnA), così come molti altri
fattori (Berchtold et al., 2000). Una volta attivata, la CaMKIV fosforila un complesso proteico
inibitorio con conseguente rilascio di un fattore di trascrizione, il myocyte enhancer factor 2
(MEF2). A questo punto i fattori MEF2s vengono esportati dal nucleo, e diventano
trascrizionalmente attivi, andando a legare co-attivatori tra cui CBP, p300 e Pgc-1α (Michael et
al., 2001; Wu et al., 2001). La formazione del complesso PGC-1α/MEF2 attiva l’espressione dei
geni per le fibre muscolari lente (Handschin et al., 2003), dando inizio allo shift delle miofibre da
rapide a lente. È stato osservato che l’over-espressione di PGC-1α aumenta la proporzione di
fibre ossidative di tipo I (Lin et al., 2002), mentre topi knock-out per PGC-1α mostrano un
cambiamento da fibre ossidative verso fibre glicolitiche (Handschin et al., 2007). La proteina
Pgc-1α sembra dunque essere implicata sia nella regolazione del cambiamento, indotto da
esercizio fisico, delle fibre muscolari verso un fenotipo lento, sia nella protezione dall’atrofia
muscolare (Holloszy, 2008; Olesen et al., 2010; Kang et al., 2013).
Stimoli quali l’attività fisica, che aumenta la produzione delle ROS, il freddo e/o la presenza di
glucagone inducono un incremento dell’espressione di PGC-1α (figura 6) (St-Pierre et al., 2006).
L’attività fisica è una delle vie più efficaci per prevenire la perdita della massa muscolare in
condizioni patologiche, come il cancro, la sepsi, i difetti renali e le malattie neurodegenerative,
patologie nelle quali si assiste a una forte riduzione dell’espressione di PGC-1α nel muscolo
scheletrico; questa osservazione suggerisce che PGC-1α potrebbe proteggere dall’atrofia
muscolare. La denervazione effettuata su arti posteriori di topo per mimare l’atrofia osservata
nelle malattie neuromuscolari umane come la SLA, induce l’espressione di PGC-1α, che a sua
volta blocca la risposta atrofizzante, invertendo quindi l’effetto dannoso della denervazione
(Arany, 2008).
23
Figura 6: presentazione schematica del ciclo di regolazione delle ROS, mediato attraverso l’induzione di PGC-1α.
L’esercizio fisico nel muscolo può aumentare l’espressione di PGC-1α, portando a un incremento della biogenesi e
della respirazione mitocondriale. Contemporaneamente, PGC-1α avvia un programma anti-ROS, che mantiene
bassi i livelli intracellulari delle specie reattive. Le ROS stesse possono indurre l’espressione di PGC-1α (da St-Pierre
et al., 2006).
Nel muscolo scheletrico di umani e roditori, l’attività fisica induce l’espressione di PGC-1α e di
conseguenza, un incremento della biogenesi mitocondriale, mentre non sembra influire
sull’espressione di PGC-1β. Queste osservazioni fanno supporre che PGC-1α sia in grado di
mediare molti degli effetti genomici dell’esercizio (Arany, 2008).
Studi condotti nel tessuto muscolare scheletrico di topi PGC-1α -/- riportano una ridotta
capacità nella prestazione fisica basale (Arany, 2008), in seguito ad un’attività motoria di lieve
entità. Negli uomini, un singolo scatto di esercizio di 2 minuti, effettuato alla massima potenza,
corrisponde ad un aumento dell’espressione di mRNA di PGC-1α, con un picco massimo intorno
alle 2 ore, dopo l’esercizio. Inoltre, è stato osservato che, provocando una condizione di ipossia
mediante una restrizione di flusso sanguigno all’arto inferiore durante l’esercizio, si ha una
prolungata sovraespressione di PGC-1α, suggerendo che le perturbazioni metaboliche possono
influenzare la sua espressione (Lucia et al., 2005).
Evidenze che esercizi su cyclette, caratterizzati da brevi “bursts”, portano ad un rapido aumento
dell’attività degli enzimi mitocondriali (Gibala et al., 2006), fanno ipotizzare che un intenso e
rapido esercizio sia in grado di attivare pathways coinvolti nel rimodellamento del muscolo
scheletrico. Un altro studio è stato condotto da Gibala e collaboratori (2009), su tessuto
muscolare di alcuni soggetti volontari, sottoposti a biopsia prima e dopo esercizio fisico su
24
cyclette. I risultati dello studio mostrano che quattro ripetizioni massimali di “pedalata”, di 30
secondi ciascuna, stimolano l’attivazione di PGC-1α, AMPK e p38 MAPK mediata e la
regolazione della biogenesi mitocondriale nel muscolo scheletrico; è stato osservato che circa
due minuti di esercizio molto intenso sono sufficienti per aumentare i livelli di mRNA di PGC-1α,
misurati durante la fase di recupero, anche se la quantità di proteina Pgc-1α, nel muscolo,
rimane invariata. Ciò fa supporre agli autori che, per ottenere un maggior contenuto proteico di
Pgc-1α nel muscolo scheletrico, sia necessario un esercizio di lunga durata (Gibala et al., 2009).
Altri studi sulla regolazione di PGC-1α si basano su esercizi molto prolungati nel tempo
(Pilegaard et al., 2003; Watt et al., 2004) e suggeriscono che occorre un’attività contrattile
sostenuta per più di un’ora per osservare aumenti dei livelli dell’mRNA di PGC-1α (Russell et al.,
2005).
La performance fisica è strettamente legata alla sintesi di acido lattico (Cairns, 2006); ad
esempio, mentre un esercizio fisico intenso induce produzione di lattato nel muscolo
scheletrico e un costante aumento dei livelli di lattato nel sangue, un allenamento regolare
contrasta questi effetti (Hagberg, 1988). Studi condotti sul muscolo scheletrico di topi,
mostrano che, durante fasi di post-esercizio, elevati livelli di Pgc-1α sono associati a una
riduzione dei livelli di lattato nel sangue (Wende, 2007). Tuttavia, non è stato ancora chiarito il
meccanismo molecolare alla base della presunta riduzione di lattato PGC-1α-mediata. Studi
condotti da Summermatter e collaboratori (2013) mostrano che PGC-1α è necessario per
aumentare la trascrizione di alcune subunità dell’isoenzima lattato deidrogenasi (LDH) e
mantenere quindi l’omeostasi del lattato durante l’esecuzione degli esercizi.
Nelle popolazioni umane, il gene PGC-1α esiste in diverse varianti che differiscono dall’allele
principale per un singolo nucleotide (Steinbacher et al., 2015 b). Poiché, nel muscolo
scheletrico, la capacità fisica dipende fortemente dall’attività mitocondriale, polimorfismi
funzionali nel gene PGC-1α potrebbero avere effetti negativi sulla capacità fisica (Nishida et al.,
2015). È il caso della sostituzione nucleotidica G>A che, se presente in posizione 1444
nell’esone 8 del gene PGC-1α (rs8192678), determina un cambiamento da Glicina (Gly) a Serina
(Ser) in posizione 482 della sequenza aminoacidica (Gly482Ser) e un conseguente cambiamento
strutturale della proteina. Ciò sembra indurre livelli di proteina più bassi e quindi una ridotta
attività di PGC-1α, nonché una minore ossidazione degli acidi grassi (Prior et al., 2012). È stato
osservato che la variante allelica A è presente nel 27% della popolazione mondiale e nel 36%
della popolazione europea.
25
Soggetti portatori della variante allelica rara A mostrano una maggiore probabilità di incorrere
in elevati livelli di colesterolo a bassa densità (Zhang et al., 2007), alta insulino-resistenza e un
maggior rischio per la sindrome metabolica e diabete di tipo 2 (T2D) (Hara et al., 2002). Inoltre,
in risposta all’esercizio fisico, questi individui, rispetto ai soggetti non portatori dello SNP,
mostrano un minore incremento della soglia anaerobica individuale e una ridotta fitness
cardiorespiratoria (Lucia et al., 2005; Stefan et al., 2007). A conferma di ciò, uno studio
condotto da Steinbacher e collaboratori (2015 b) dimostra che maschi di mezza età, portatori
dello SNP Gly482Ser, hanno una ridotta capacità fisica. Studi condotti su atleti, che mostrano
un’elevata resistenza, e individui che non praticano attività fisica rilevano che lo SNP Gly482Ser
è meno frequente (0.29%) nei primi, rispetto ai secondi (0.40%) (Lucia et al., 2005).
Considerando le funzioni metaboliche del gene e il modo in cui l’esercizio modula la sua
espressione è plausibile che la variazione Gly482Ser modifichi l’effetto protettivo di PGC-1α
durante esecuzione di attività fisica. È stato osservato che individui portatori dell’allele Ser482
mostrano livelli più bassi di PGC-1α rispetto ai non portatori (Lucia et al., 2005) e che gli
individui con genotipo Ser482Ser hanno una maggiore riduzione della performance fisica. La
presenza della variante allelica rara A comporta un metabolismo glucidico più lento, con
compromissione della capacità fisica (Ginevičienė et al., 2010). Studi in letteratura condotti da
Nishida e collaboratori (2015) hanno mostrato che l’allele Gly482 è associato a una maggiore
resistenza fisica; inoltre è stato osservato che lo SNP Gly482Ser sembra avere un impatto anche
sui livelli del lattato (LT). Tuttavia, il meccanismo d’azione alla base di questi fenomeni rimane
ancora sconosciuto, anche se Choi e colleghi (2006) ipotizzano che la variante allelica rara A del
gene PGC-1α alteri la trascrizione del Mitochondrial transcription factor A (Tfam), implicato
nella replicazione di mtDNA.
Un lavoro condotto da Zhang e collaboratori (2007) mostra inoltre che lo SNP Gly482Ser cambia
la sequenza aminoacidica nel dominio per MEF2 sulla proteina Pgc-1α, causando l’inibizione
dello switch fast to slow.
26
1.3. Esercizio fisico e biomarcatori di stress ossidativo
L’esercizio fisico, sia aerobico che anaerobico, può incrementare la produzione dei radicali
liberi, provocando sempre, in misura variabile, un certo grado di stress ossidativo (Fisher-
Wellman et al., 2009).
L’attività anaerobica, cioè un’attività di potenza, durante la quale, in un breve lasso di tempo,
un soggetto è sottoposto ad uno sforzo intenso, o “massimale”, viene alimentata dal
metabolismo anaerobico e dunque dall’assenza di O2, con conseguente accumulo di LT che
causa un peggioramento della performance, senso di fatica, dolore muscolare e interruzione
dello sforzo (Gomes et al., 2012).
Con attività aerobica si intende, invece, un’attività a bassa intensità e di lunga durata; se ben
condotta, sia a livello amatoriale sia agonistico, essa può avere molti effetti benefici
sull’organismo, come migliore funzionalità cardiocircolatoria, respiratoria e metabolica. Infatti,
diminuisce gradualmente la frequenza cardiaca e aumenta la capacità respiratoria (maggiore
ossigenazione dei tessuti); ciò significa anche maggiore resistenza e minor senso di fatica
(Gomes et al., 2012). Nell’esercizio aerobico, l’aumento delle ROS e il danno che ne consegue
sono dovuti ad un incremento del flusso nel trasporto degli elettroni e alla dispersione dei
radicali superossidi, a livello mitocondriale, mentre nell’esercizio anaerobico sono mediati da
diversi pathways, come la produzione di xantina e NADPH ossidasi, il meccanismo di ischemia-
riperfusione, il metabolismo dei prostanoidi, la respirazione fagocitaria, la distruzione delle
proteine contenenti ferro e l’accumulo di calcio (Jackson, 2000). Per esempio, è stato visto che,
l’esercizio fisico, soprattutto se intenso, come uno sforzo massimale condotto su
cicloergometro, induce un aumento indiscriminato dei livelli di idroperossidi sierici,
indipendentemente dall’allenamento, con superamento del livello soglia di 350 U CARR.
Tuttavia, un’ora dopo tale sforzo, mentre i soggetti regolarmente allenati tornano rapidamente
a valori normali o al di sotto di 300 U CARR, soggetti non allenati mantengono, più
persistentemente nel tempo, elevati livelli sierici di idroperossidi (>350 U CARR) (Iorio, 2003).
Il monitoraggio di alcuni biomarcatori di stress ossidativo durante un test da sforzo, può essere
utile per una migliore comprensione dei meccanismi alla base della risposta cellulare all’insulto
ossidativo ipossia mediato e allo sviluppo di nuove strategie terapeutiche finalizzate al
mantenimento del benessere dell’apparato muscolo scheletrico.
I biomarcatori sono prodotti o sostanze usate come indicatori di uno stato biologico, per
misurare oggettivamente nell’organismo processi fisiologici o patogeni, che si verificano in
27
condizione di salute, durante il decorso di una patologia oppure in risposta a trattamenti, per
esempio farmacologici o in seguito ad uno sforzo fisico (Finsterer, 2012). La maggior parte degli
studi che, nell’uomo, misurano i biomarcatori dello stress ossidativo, sono effettuati sul plasma
o sul siero, in quanto può essere raccolto facilmente e riflette lo stato ossido-riduttivo meglio di
altri fluidi biologici (Mrakic-Sposta et al., 2015).
Le ROS possono, proprio per la loro capacità ossidante, attaccare e, quindi, danneggiare
molecole endogene, quali lipidi, glicidi, acidi nucleici e proteine, con conseguenti lesioni
dapprima circoscritte e poi sempre più diffuse (Valko et al., 2007). Una valutazione indiretta
dello stress ossidativo può essere eseguita tramite la misurazione dei prodotti molecolari,
formatisi dalla reazione delle ROS con le biomolecole; per esempio possono essere dosati i
prodotti bersaglio dell’ossidazione, inclusi prodotti finali della perossidazione lipidica, come il 4-
idrossi-2-nonenale (HNE), la malondialdeide (MDA), le Specie Reattive all’Acido Tiobarbiturico
(TBARS), gli isoprostani che includono gli F2-isoprostani (F2-isoPs) e gli F4-neuroprostani (Wang
et al., 2014). Anche la forte produzione di acido lattico, tipica delle attività anaerobiche, è nota
da tempo essere fonte di stress ossidativo; la concentrazione di lattato è, infatti, positivamente
correlata alla presenza di markers di perossidazione lipidica come TBARS (Lovlin et al., 1987;
Kayatekin et al., 2002). Oltre a questa evidenza è ora dimostrato che alte concentrazioni di
lattato sono direttamente responsabili della formazione di radicali idrossili attraverso la
reazione di Fenton (Ali et al., 2000).
L’azione dannosa delle ROS può esplicarsi anche a livello del DNA, sia nucleare che
mitocondriale, tale da indurre la rottura del doppio filamento dell’elica e modificazioni delle
basi azotate. La base azotata maggiormente modificata è la Guanina, soggetta ad ossidazione
da parte dei radicali liberi ossidrili; per tale motivo, uno dei biomarcatori più studiato per
valutare, in vivo, un incremento del danno al DNA è rappresentato da 8-Oxo-deoxyguanosine
(8-oxo-dG) (Lee et al., 2007).
Entrambi i tipi di esercizio hanno simili conseguenze sul danno ossidativo, ma sembra che
l’esercizio anaerobico induca un aumento lievemente più critico dei biomarcatori 8-oxo-dG e
HNE (Shi et al., 2007). Studi condotti da Radak e collaboratori mostrano che l’attività fisica
condotta in modo regolare, porta ad una riduzione dei livelli delle carbonil proteine, principali
marcatori di danno ossidativo alle proteine, e ad un aumento dell’attività dell’enzima 8-oxo-
dGuanine glycosylase (OGG1), implicato nel meccanismo di riparazione del DNA che si attiva in
seguito alla formazione di 8-oxo-dG (Radak et al., 2008). Le carbonil proteine sono dovute a
28
modificazioni ossidative di alcuni aminoacidi e la 3-nitrotirosina, un prodotto di nitrazione della
tirosina mediata attraverso le specie reattive azotate (Wang et al., 2014). Un marker di danno
ossidativo che permette di valutare la quantità di proteine modificate da processi di
ossidazione, a livello di specifici residui amminoacidici, è rappresentato dai prodotti di
ossidazione avanzata alle proteine (AOPP) (Witko-Sarsat et al., 1996). Gli AOPP possono
formarsi in seguito ad esposizione con l’acido ipocloroso (HOCl) (Witko-Sarsat et al., 1996), un
potente ossidante che, in condizioni fisiologiche, viene prodotto mediante una reazione tra lo
ione cloruro (Cl-) e il H2O2; tale reazione è catalizzata dall’enzima mieloperossidasi (MPO),
secreto dai neutrofili (Fu et al., 2000). La MPO è responsabile della produzione degli AOPP sia
tramite l’attività del 2HOCl, sia tramite l’attività diretta dell’enzima stresso (Fialovà et al., 2006;
Noyan et al., 2006). L’azione dell’HOCl sulle proteine plasmatiche è responsabile della
produzione di proteine clorinate e cloramine (Witko-Sarsat et al., 1998). Alcuni di questi
intermedi hanno un’emivita molto breve e vengono facilmente idrolizzati a formare aldeidi,
ammoniaca ed anidride carbonica (CO2) con conseguente rapido incremento dei carbonili totali
(Hawkins and Davies, 1998). La MPO, invece, agendo direttamente sui residui di tirosina,
contribuisce alla formazione dei dimeri di tirosina, tipici delle proteine ossidate, con
conseguente aumento dell’aggregazione proteica (Fu et al., 2000). È stato dimostrato che, in
vivo, i livelli plasmatici degli AOPP sono strettamente correlati con i livelli dei dimeri di tirosina e
con i livelli di pentossidina, un marker dei prodotti finali di glicazione delle proteine (AGEs)
(Capeillère-Blandin et al., 2004). Inoltre, la MPO è in grado di convertire la L-serina in
glicolaldeide, che media la formazione dei prodotti degli AGE. In pazienti affetti da patologie
croniche si è osservato un innalzamento degli AGEs che correla con un aumento degli AOPP
(Witko-Sarsat et al., 1998). La struttura degli AOPP sembrerebbe essere affine a quella degli
AGEs ed entrambi questi prodotti eserciterebbero delle attività biologiche simili, come per
esempio l’induzione delle citochine proinfiammatorie (Kalousová et al., 2002). I valori degli
AOPP sono anche associati con i livelli della Gamma Glutamil Transferasi (GGT), un enzima noto
per catalizzare la formazione dei radicali liberi e, quindi, per indurre un incremento del danno
ossidativo, determinando il rilascio di un catabolita, il dipeptide cistenilglicina, estremamente
efficiente nel ridurre i cationi metallici, tra cui il Ferro (Franzini et al., 2010).
La glicolisi è una via metabolica cruciale, che contribuisce alla regolazione dei livelli di ATP nel
muscolo. Il prodotto finale della glicolisi è il piruvato, un metabolita che, a seconda della
richiesta energetica e delle condizioni cellulari, può essere ridotto a lattato o ossidato a CO2 e
29
H2O (Cabrera et al., 1999). Il muscolo scheletrico, durante la contrazione, risulta essere il
principale produttore di LT, i cui livelli risultano essere associati alla fatica e ad una mancata
ossigenazione (Van Hall, 2009). Alterazioni della catena respiratoria mitocondriale sembrano
indurre una “rottura” nel metabolismo del glucosio, che a sua volta induce un aumento dei
livelli di lattato. Infatti, pazienti con disfunzioni mitocondriali mostrano una concentrazione
maggiore di acido lattico, che sembrano essere dovuti a una sua maggiore produzione nel
muscolo scheletrico (Jeppesen et al., 2013). La valutazione cinetica del lattato, uno dei
principali markers delle funzioni mitocondriali in vivo, durante la contrazione muscolare,
potrebbe essere dunque utile per investigare indirettamente eventuali danni del metabolismo
ossidativo nel muscolo scheletrico durante l’esecuzione di un esercizio fisico (Siciliano et al.,
2001).
A livello tissutale e, in particolare, ematico, la difesa nei confronti dell’attacco lesivo delle
specie ossidanti e dei radicali liberi, è garantita dalla cosiddetta barriera antiossidante. Gli
antiossidanti sono distinti in antiossidanti non enzimatici e antiossidanti enzimatici. Gli
antiossidanti non enzimatici includono sostanze a basso peso molecolare ed agiscono come
“scavengers” (spazzini), e possono essere di derivazione endogena o esogena (assunti con la
dieta). Includono diversi fattori tra cui l’acido urico, il glutatione, l'acido lipoico, la bilirubina,
l’acido ascorbico, il beta-carotene, il tocoferolo. Di questi, il glutatione sembra essere il più
importante, in quanto riduce i processi di perossidazione lipidica bloccando direttamente
l'attività delle ROS. Inoltre, il glutatione è importante per mantenere la vitamine E e la vitamina
C in forma ridotta, conferendo loro proprietà antiossidanti (Padurariu et al., 2013). Il glutatione
ridotto (GSH) è il più importante antiossidante tiolico presente a livello intracellulare (Valko et
al., 2006).
Un test per la valutazione dello stato ossidante nel siero/plasma misura la capacità o potenziale
antiossidante plasmatico in funzione della capacità del campione ematico di ridurre un metallo
di transizione, generalmente il ferro o il rame. Tra questi, il saggio FRAP (Ferric Reducing
Antioxidant Power), sviluppato da Benzie e Strain (1996), si basa sulla capacità del plasma di
ridurre il complesso Fe(III)-2,4,6-tripiridil-s-triazina (TPTZ) a complesso Fe(II)-TPTZ, colorato in
blu (assorbanza massima a 595 nm). La reazione consente di misurare la capacità antiossidante
di agenti riducenti con potenziali redox inferiori a 0.7 Volt e, quindi, in ordine decrescente:
l’acido urico (60%), l’acido ascorbico (15%), le proteine (10%), l’α−tocoferolo (5%), la bilirubina
(5%) ed altre sostanze/attività non identificate (5%) (Benzie et al., 1996). Tra questi, l’acido
30
urico svolge un ruolo chiave nel meccanismo di difesa antiossidante in quanto reagisce con i
radicali liberi formando il radicale urato, un composto relativamente stabile, interrompendo
così la propagazione delle reazioni radicaliche. Infatti, a concentrazioni fisiologiche, l’urato
riduce la metaemoglobina formata dalla reazione del perossido con l’emoglobina, protegge gli
eritrociti dalla perossidazione lipidica e dalla lisi cellulare (Rodonev, 2003).
Esistono, poi, altri test che consentono la quantificazione di intere classi di sostanze
accomunate dal possedere un comune gruppo funzionale come nel caso dei tioli. I tioli
rappresentano una componente qualitativamente significativa della barriera antiossidante.
Infatti, i gruppi sulfidrilici (-SH) delle molecole plasmatiche, possono opporsi alla propagazione
dei processi perossidativi inattivando i radicali alcossilici (RO·) ed idrossilici (HO·). In pratica, una
coppia di gruppi tiolici può ossidare una coppia di RO· o HO·, cedendo ad essa due elettroni
(sotto forma di due atomi di idrogeno). In questo modo ambedue i tipi di radicali vengono
inattivati: i primi sono rilasciati come molecole di alcool mentre i secondi diventano innocue
molecole di acqua; i gruppi tiolici ormai ossidati, invece, reagiscono tra loro generando ponti
disolfuro (Hu, 1994). La determinazione dei tioli plasmatici è basata sulla capacità dei gruppi -SH
di sviluppare un complesso colorato rilevabile fotometricamente quando reagiscono con l’acido
5,5-ditiobis-2-nitrobenzoico (DTNB).
L’esercizio fisico sembra inoltre essere coinvolto nell’attivazione di enzimi antiossidanti, come
la Sod, la Cat, la GPx e le aldeidi deidrogenasi che, oltre a tamponare gli elevati livelli delle ROS,
riparano anche eventuali danni ossidativi (Radak et al., 2008). Questi enzimi catalizzano le
reazioni di riduzione dei radicali liberi diminuendo il loro potere ossidativo e quindi lo loro
tossicità (Padurariu et al., 2013). L’enzima Sod catalizza la conversione del ·O2- in H2O2, che è un
composto relativamente più stabile ed ha quindi un potere ossidante inferiore. L’attività della
SOD viene misurata cimentando la fonte enzimatica, con un sistema generatore di ·O2- ,
secondo la reazione catalizzata dalla xantina ossidasi:
xantina → acido urico + ∙O2-
·O2- così generato, dopo reazione con un sale di piodonitrotetrazolio, genera un complesso
formazanico colorato. Gli enzimi GPx e cat, invece, assieme a vari cofattori, trasformano il H2O2
in H2O. La Cat è una metalloproteina localizzata principalmente nei perossisomi delle cellule
eucariotiche ed ha la funzione di proteggere i tessuti dai perossidi. Le Cat hanno un’elevata
velocità di tourn-over, infatti, sono in grado di convertire ogni minuto approssimativamente 6
31
milioni di molecole di H2O2 in H2O e O2 (Valko et al., 2006). Anche l’attività della Cat ematica,
così come quella della SOD e della GPx può essere valutata mediante tecnica fotometrica.
32
2. Scopo
Lo scopo del presente lavoro di tesi è stato quello di valutare se lo SNP 1444 G>A, nell’esone 8
del gene PGC-1α (rs8192678), costituisse un fattore di rischio per l’insorgenza della forma
sporadica di SLA e le sue possibili implicazioni nella risposta all’insulto ossidativo in condizioni di
riposo e durante un esercizio fisico.
Per indagare l’eventuale associazione del polimorfismo 1444 G>A (Gly482Ser) con lo sviluppo
della patologia sono stati genotipizzati, tramite Restriction fragment length polymorphism
(RFLP) e sequenziamento diretto del DNA, 197 pazienti con sSLA e 197 controlli sani. Per
valutare la condizione di stress ossidativo, in un sottogruppo di 74 pazienti e 65 controlli sono
stati analizzati i livelli plasmatici di alcuni biomarcatori di stress ossidativo; in particolare, come
marker di danno ossidativo, sono stati valutati i Prodotti di Ossidazione Avanzata alle Proteine
(AOPP), e come markers antiossidanti non enzimatici, sono stati dosati la Capacità
Antiossidante Ferro Riducente (FRAP) e i gruppi tiolici totali plasmatici. Nella popolazione totale
studiata, nel gruppo dei pazienti e nel gruppo dei controlli, sono state anche indagate eventuali
variazioni dei livelli dei biomarcatori analizzati in base al genotipo. Inoltre, come markers
antiossidanti enzimatici, sono stati valutati, in 35 pazienti con sSLA, suddivisi in portatori e non
portatori della variante allelica rara A (482Ser), l’attività totale dell’enzima Superossido
Dismutasi (Sod) e della Catalasi (Cat).
Dato che l’esercizio fisico sembra essere correlato ad un aumento della produzione dei radicali
liberi, e dunque allo stress ossidativo, in un sottogruppo di 28 pazienti con sSLA, sottoposti ad
un test da sforzo incrementale all’avambraccio, sono state valutate eventuali variazioni dei
livelli plasmatici di alcuni biomarcatori di stress ossidativo (AOPP, FRAP, tioli e acido lattico),
misurati prima (basale), durante (30%, 50% e 70% della Contrazione Volontaria Massimale,
CVM) e dopo 15 minuti dalla fine dello sforzo (recupero).
Infine, considerando che l’attività fisica induce l’espressione di PGC-1α e che la presenza della
variante allelica rara 482Ser comporta un metabolismo glucidico più lento e una ridotta
capacità fisica, a differenza dell’allele Gly482 che sembra associato ad una maggiore resistenza
fisica, è stato verificato un possibile effetto dello SNP Gly482Ser nella risposta cellulare allo
stress ossidativo. L’eventuale influenza della variante allelica rara A sui livelli dei biomarcatori di
stress ossidativo, valutati sia in condizioni di riposo che durante e dopo esercizio fisico, è stata
33
effettuata mediante suddivisione dei pazienti, in base al genotipo: omozigoti wild-type GG,
eterozigoti GA e omozigoti AA.
34
3. Pazienti e metodi
3.1. Pazienti
I pazienti ed i soggetti di controllo analizzati nella presente tesi sono stati reclutati presso il
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, sezione Neurologia, dell’Università di Pisa.
La diagnosi di SLA è stata condotta seguendo i criteri elettrofisiologici di El Escorial dettati dalla
World Federation of Neurology (WFN) (Brooks, 1994). Sono stati esclusi dallo studio pazienti
con familiarità positiva per SLA, con tracheostomia o ventilazione assistita non invasiva, pazienti
con gravi disturbi psichiatrici (asse 1 o 2 del DSM IV), in stato di gravidanza o allattamento e con
età inferiore ai 18 anni.
Il campione dei controlli è composto da soggetti sani volontari che non hanno alcun legame di
parentela con i soggetti colpiti dalla malattia, di età maggiore ai 18 anni. Inoltre, è stata
analizzata la storia familiare di ogni individuo sano in modo da escludere la presenza di malattie
neurodegenerative non conclamate.
Ciascun soggetto analizzato, appartenente sia al gruppo dei pazienti sia dei controlli, ha
sottoscritto il consenso informato per la partecipazione allo studio prima dell’inizio del lavoro.
Lo studio è stato condotto in accordo con i principi della Dichiarazione di Helsinki e con
l’approvazione del Comitato Etico Locale, con sede presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia
dell’Università di Pisa.
Lo studio di associazione del polimorfismo Gly482Ser (1444 G>A), nell’esone 8 del gene PGC-1α,
è stato condotto mediante Restriction fragment length polymorphism (RFLP) e sequenziamento
diretto del DNA su un totale di 197 pazienti (82 F/115 M, età media ± deviazione standard (ds):
62.7 ± 11.7 anni) e 197 controlli sani (99 F/102 M, età media ± ds: 63.4 ± 9.7 anni).
La valutazione dello stato redox cellulare è stata effettuata in un sottogruppo di 74 pazienti con
sSLA (37 F/37 M, età media ± ds: 62.4 ± 10.8 anni) e 65 controlli sani (30 F/35 M, età media ±
ds: 74 ± 5.5 anni), tramite l’analisi dei livelli plasmatici di alcuni biomarcatori di stress
ossidativo; in particolare sono stati valutati i Prodotti di Ossidazione Avanzata alle Proteine
(AOPP), come marker di danno ossidativo e, come markers antiossidanti non enzimatici, la
Capacità Antiossidante Ferro Riducente (FRAP) e i gruppi tiolici totali plasmatici. Inoltre, in 35
pazienti (19 F/16 M, età media ± ds: 61.4 ± 11 anni) sono state valutate l’attività totale
35
dell’enzima Superossido Dismutasi (Sod) e della Catalasi (Cat), quali markers antiossidanti
enzimatici.
L’analisi della variazione nei livelli plasmatici dei marcatori di stress ossidativo (AOPP, FRAP, tioli
e acido lattico), durante esercizio fisico, è stata eseguita in 28 pazienti con sSLA (15 F/13 M, età
media ± ds: 62.9 ± 9.8 anni), sottoposti ad un test da sforzo incrementale ai muscoli
dell’avambraccio.
La valutazione dei livelli di acido lattico è stata condotta presso l’U.O. Laboratorio di Analisi
Chimico Cliniche dell’Ospedale Santa Chiara di Pisa.
3.2. Protocollo del test da sforzo ai muscoli dell’avambraccio
Il test da sforzo sui muscoli dell’avambraccio è stato condotto con l’ausilio di un miometro
connesso ad un “hand-grip” (Digital Multi-Myometer, MIE Medical Research Ltd., Leeds, UK). Il
protocollo di esercizio incrementale consiste nell’impugnare l’hand-grip del miometro e
contrarre massimamente la mano contro la resistenza offerta dallo stesso, determinando, in
Newton, il livello di Contrazione Volontaria Massimale (CVM). Sono state eseguite, da 28
pazienti con sSLA (15 F/13 M, età media ± ds: 62.9 ± 9.8 anni), una serie di fasi contrattili o
“steps”, condotte in maniera intermittente per un periodo di un minuto, con intervalli di riposo
di 2 minuti tra uno “step” e l’altro. In ciascuno “step” le contrazioni intermittenti sono eseguite
con frequenza di una al secondo contro la resistenza richiesta offerta dal miometro. L’esercizio
inizia con un primo “step” al 30% della CVM, prosegue con un secondo “step” al 50% della CVM
ed un ultimo “step” al 70% della CVM. Questo tipo di esercizio è principalmente aerobico
all’inizio del test e diviene progressivamente anaerobico man mano che aumenta la forza
esercitata per progressivo reclutamento delle unità motorie rapide (Wasserman et al., 1973). I
prelievi ematici venosi per la determinazione dei marcatori biochimici di stress ossidativo sono
stati eseguiti a livello basale, dopo le diverse fasi contrattili (30%, 50%, 70%) e dopo 15 minuti
dalla fine dell’esercizio.
36
3.3. Metodiche di laboratorio
3.3.1. Estrazione di DNA genomico da sangue intero
L’estrazione del DNA genomico, da linfociti di sangue periferico, raccolto in provette
contenente l’anticoagulante Potassio- Acido Etilendiamminotetraacetico (K+-EDTA), è stata
eseguita mediante l’uso di un kit commerciale (QIAamp DNA blood MINI kit, Qiagen). In una
provetta da 1.5 ml, a 200 μl di sangue intero vengono aggiunti 20 μl di proteinasi-K, per
degradare la componente proteica e 200 μl di Lysis Buffer (AL) per degradare. Il campione è
stato incubato a 56°C per 10 minuti, al termine dei quali sono stati aggiunti 200 μl di etanolo
assoluto (96-100%), per permettere la precipitazione del DNA. Dopo aver trasferito il tutto in
una Dneasy Mini spin column, inserita in una eppendorf, si procede ad una centrifugazione di 1
minuto a 8000 rpm a temperatura ambiente. Questo passaggio permette alle scorie di
precipitare nella eppendorf e al DNA di rimanere intrappolato nella membrana di silice della
colonna stessa. Dopo aver scartato il contenuto della eppendorf, sono stati effettuati una serie
di lavaggi con due diversi tamponi: Buffer AW1, usato per denaturare le proteine nel campione
e Buffer AW2, contenente etanolo, necessario per rimuovere i sali dalla colonna e purificare il
DNA. Dopo aver scartato il Buffer AW2, il DNA genomico intrappolato nella colonna è stato
eluito, in una nuova eppendorf, aggiungendo 200 µl di Elution Buffer (AE) e centrifugando la
colonnina ad 8000 rpm per un minuto in modo da ottenere il DNA.
3.3.2. Genotipizzazione dello SNP 1444 G>A nel gene PGC-1α
La genotipizzazione è stata condotta usando la tecnica della Reazione a Catena della Polimerasi
(PCR), seguita da digestione con enzima di restrizione, tramite metodica Restriction fragment
length polymorphism (RFLP).
Reazione a Catena della Polimerasi. La PCR permette di amplificare, tramite l’uso di DNA
polimerasi termostabili, per esempio la Taq polimerasi, una sequenza di DNA, compresa fra
due brevi sequenze, per cui si costruiscono opportuni oligonucleotidi sintetici, detti
primers, complementari ai filamenti opposti del DNA stampo che deve essere amplificato.
La Taq polimerasi, in questa fase, determinerà a partire dai primers, la sintesi dei filamenti
di DNA complementari. Completato il primo ciclo di PCR si ottengono due molecole di DNA
37
a doppio filamento e ciascun ciclo successivo determinerà una miscela completamente
dominata da frammenti neosintetizzati.
Figura 7: fasi della Reazione a Catena della Polimerasi (PCR) (da http://www.slideshare.net/MetheeSri/principle-of-
pcr).
La miscela di reazione di PCR utilizzata per amplificare il frammento di nostro interesse è
costituita da: 6 µl di acqua deionizzata; 3 µl di Buffer PCR [10x] con Mg2+; 3 µl di dNTPs [2mM];
0.8 µl di Fast Start Taq [2.5 U]; 5µl di DNA genomico e 5 µl di ciascun primer [1 µM]:
Primer Forward: 5’- TGCTACCTGAGAGAGACTTTG - 3’
Primer Reverse: 5’- CTTTCATCTTCGCTGTCATC - 3’
La regione del genoma nucleare di interesse (frammento di 260 paia di basi) è stata amplificata
tramite un termociclatore (Applyed Biosystem) mediante l’utilizzo del seguente programma di
amplificazione:
un ciclo di denaturazione a 94°C per 6 minuti;
30 cicli di amplificazione, ciascuno dei quali costituito da:
38
fase di denaturazione a 94°C per 30 secondi;
fase di annealing dei primers a 57°C per 30 secondi;
fase di estensione a 72°C per 30 secondi;
un ciclo di estensione finale a 72°C per 7 minuti;
4°C ∞
Per verificare che l’amplificazione della regione di interesse fosse avvenuta correttamente, il
prodotto di PCR è stato sottoposto ad elettroforesi su gel di agarosio al 2% in buffer TAE (Tris-
Acetato e EDTA [0.5 M], pH 8.0). La soluzione di agarosio è stata riscaldata fino all’ebollizione e
posta, sotto cappa chimica, dove è stato aggiunto l’Etidio Bromuro (pari ad 1/20 del volume
finale della nostra soluzione), molecola che, quando è sottoposta ai raggi UV, emette
fluorescenza permettendo di visualizzare lo stato di migrazione del DNA. La soluzione è stata
quindi versata nel gel-caster, precedentemente preparato con appositi pettinini e lasciata
solidificare sotto cappa. Una volta che il gel è solidificato, tolti i pettinini, sono stati caricati, nei
rispettivi pozzetti, 5 µl di ciascun campione diluito con 3 µl di PCR loading buffer (contiene
glicerolo che aumenta la densità del campione evitando la sua fuoriuscita dal pozzetto) e 5 µl di
un marcatore contenente frammenti di DNA di dimensioni note. Il gel viene quindi sottoposto a
corsa elettroforetica, ad un voltaggio costante di 150 Volt. Al termine della corsa, il risultato
viene visualizzato mediante l’utilizzo di un fotodocumentatore a raggi UV.
Digestione Enzimatica. Per rivelare piccole mutazioni all’interno di una sequenza genica,
amplificata tramite la PCR, si procede all’incubazione dell’amplificato con enzimi di restrizione,
che hanno la proprietà di tagliare il filamento di DNA, a livello di specifiche basi azotate.
Per analizzare il genotipo 1444 G>A dei pazienti SLA e dei controlli reclutati, è stato utilizzato
l’enzima di restrizione MspI (HpaII). Per ciascun campione è stata allestita una miscela di
reazione costituita da 10 µl di amplificato, 2 µl di Buffer Tango, 2 µl di acqua Dnasi/RNasi free e
1 µl di enzima (10 U/ml). I campioni sono stati incubati a 37°C per tre ore e quindi sottoposti a
corsa elettroforetica su gel in agarosio al 3.2% in TAE 1X (figura 8).
L’enzima di restrizione MspI riconosce il sito 5’- C^CGG-3’ e, alla temperatura di 37°C, taglia la
sequenza wild-type che presenta una G in posizione 1444; se in posizione 1444 è presente una
A l’enzima non effettuerà alcun taglio:
39
wild-type 1444 G>A
5’-C↓CGG-3’ 5’-CCAG-3’
3’-GGC↑C-5’ 3’GGTC-5’.
L’incubazione del frammento di 260 bp con l’enzima MspI consente quindi di identificare il
genotipo dei soggetti analizzati in base alla diversa lunghezza dei frammenti che si sono
formati:
o genotipo wild-type GG: 149 bp + 111bp;
o genotipo eterozigote GA: 260 bp + 149 bp + 111 bp;
o genotipo mutato AA: 260 bp.
Figura 8: elettroforesi su gel di agarosio al 3.2%.
3.3.3. Purificazione del prodotto di PCR e analisi di sequenza
Per confermare i risultati ottenuti con la tecnica RFLP, 14 pazienti e 5 controlli sono stati
sottoposti a sequenziamento diretto del DNA mediante l’utilizzo di un sequenziatore
automatico ABI PRISM 310 Genetic Analyzer (Life Technologies). Dopo aver verificato l’avvenuta
amplificazione (elettroforesi su gel di agarosio al 2%), 5 µl del prodotto di PCR sono stati
purificati mediante l’aggiunta di 2 µl ExoSAP (Ge Healthcare) per degradare tutti i componenti
della mix in eccesso. Tale reazione è costituita da due fasi: un primo step di degradazione (30
50 AA GG GG GA AA
bp
40
minuti a 37°C), seguito da un secondo step in cui si ha il blocco della reazione (15 minuti a
80°C).
Segue una reazione di marcatura dell’amplicone. La reazione avviene aggiungendo a 1.5 µl di
campione precedentemente purificato, 1.9 µl di acqua RNAsi-DNAsi Free, 4 µl di Buffer 10X con
EDTA, 1.6 µl di primer (forward o reverse) [1 µM] e 1 µl di BigDye Terminator (Life Technologies)
che contiene i quattro di-deossinucleotidi terminatori (ddNTPs) coniugati con un fluorocromo
diverso per ciascuna base azotata.
L’amplificazione è stata eseguita sul termociclatore secondo il seguente protocollo:
un ciclo di denaturazione a 96 °C per 1 minuto;
25 cicli di amplificazione, ciascuno dei quali costituito da:
o fase di denaturazione a 96 °C per 10 secondi;
o fase di annealing del primer a 50 °C per 5 secondi;
o fase di estensione a 60 °C per 4 minuti;
4 °C ∞.
Il prodotto della reazione di sequenza, è stato purificato mediante filtrazione con l’utilizzo di
colonnine preidratate (Qiagen); in uno step iniziale, le colonnine vengono centrifugate a 3000
rpm per 3 minuti al fine di disidratare la resina contenuta all’interno; è stato quindi aggiunto il
prodotto di PCR di sequenza, sulla superficie della resina (facendo attenzione a non toccare la
resina con il puntale) ed è stata effettuata una seconda centrifugazione a 3000 rpm per 3
minuti; all’eluato ottenuto è stato aggiunto un uguale volume di Formamide (Life
Technologies). I campioni sono stati quindi incubati a 94 °C per 2 minuti, per ottenere la
separazione dei due filamenti di DNA e quindi sono stati caricati nel sequenziatore automatico
per la corsa. La sequenza ottenuta per ciascun campione è stata confrontata con la sequenza di
riferimento, presente in banche dati, mediante software open source BLAST. Di seguito sono
riportati alcuni esempi degli elettroferogrammi ottenuti: in figura 9 è mostrata una sequenza
omozigote wild-type (GG), in figura 10 è rappresentata una sequenza con mutazione in
eterozigosi (GA), nella figura 11 è riportato l’elettroferogramma di una sequenza con mutazione
in omozigosi (AA).
41
Figura 9: elettroferogramma della regione di interesse nell’esone 8 del gene PGC-1α. Assenza di SNPs.
Figura 10: elettroferogramma della regione di interesse nell’esone 8 del gene PGC-1α. SNPs in eterozigosi.
Figura 11: elettroferogramma della regione di interesse nell’esone 8 del gene PGC-1α. Presenza della mutazione in
omozigosi G>A in posizione 1444.
42
3.3.4. Dosaggi biochimici per l’analisi di marcatori periferici di danno ossidativo
Il sangue prelevato è stato raccolto rispettivamente in una provetta K+- EDTA per il dosaggio
degli AOPP e dei tioli, e in una provetta con l’anticoagulante litio-eparina per il dosaggio della
FRAP, dell’attività della SOD totale e della Cat. I campioni sono stati prontamente centrifugati
per 10 minuti a 1000 x g ad una temperatura di 4°C; il plasma così ottenuto è stato congelato e
conservato a - 80°C fino al momento del dosaggio, effettuato al massimo entro un mese dalla
raccolta del campione.
a) Determinazione dei prodotti di ossidazione avanzata delle proteine (AOPP)
La determinazione degli AOPP è stata eseguita secondo il protocollo descritto da Witko-
Sarsat e collaboratori (1996).
1. Preparazione delle soluzioni
o Tampone fosfato di Dulbecco (PBS): sono stati sciolti 4.77g di PBS in 500 ml di acqua
deionizzata, grazie all’uso di un agitatore magnetico.
o Ioduro di potassio (KI) [1.16 M]: è stato preparato sciogliendo 1.925g di polvere in
10 ml di acqua deionizzata.
o Standard Cloramina T (100X) - [10 mM]: sono stati sciolti 2.27g di cloramina T per
litro di PBS al fine di ottenere una soluzione “stock”.
Per la valutazione delle concentrazioni di AOPP è stata allestita una curva di calibrazione
utilizzando diluizioni scalari a partire dalla soluzione Standard Cloramina T (100X), dalla
quale si è ottenuta una soluzione Cloramina T [1 mM] (10X: 100 µl di stock in 900 µl di PBS)
e Cloramina T [0.1 mM] (1X: 140 µl di soluzione 10X in 1200 µl di PBS). Dalla soluzione 0.1
mM, tramite diluizioni scalari, sono stati ottenuti gli standards a diverse concentrazioni:
0.05, 0.025, 0.0125, 0.00625, 0.003125, 0.0015625 mM. Lo standard 0mM (“bianco”) era,
costituito da 700 µl di PBS.
2. Semina su piastra
Su una piastra da 96 pozzetti (Costar), sono stati dispensati, in doppio, nell’ordine 200 µl di
bianco, 200 µl di ciascuno standard, 30 µl di ciascun campione di plasma da analizzare diluiti
con 170 µl di PBS. Ad ogni pozzetto sono stati aggiunti 20 µl di acido acetico glaciale
43
(CH3COOH) e 10 µl di KI. Dopo 1 minuto di incubazione a temperatura ambiente è stato
letto il valore di assorbanza dei campioni ad una lunghezza d’onda di 340 nm mediante
l’ausilio di un lettore di piastra (Tecan Spectra Classic).
La concentrazione di AOPP di ciascun campione di plasma analizzato è stata calcolata
utilizzando l’equazione della retta di regressione lineare ottenuta dalla curva standard; il
valore degli AOPP è stato espresso in nmol/ml di equivalenti di cloramina T.
Il valore di assorbanza del campione deve essere compreso tra il valore di assorbanza del
bianco e il valore di assorbanza dello standard 1:2; se cade al di fuori di tale intervallo, non
si considera accettabile.
b) Determinazione della capacità antiossidante ferro-riducente (FRAP) del plasma
Il dosaggio della FRAP è stato eseguito seguendo il protocollo descritto da Benzie e Strain
(1996).
1. Preparazione delle soluzioni
o Soluzione di CH3COOH [0.3 M]: sono stati diluiti 1.76 ml di CH3COOH glaciale in 100
ml di acqua deionizzata.
o Soluzione di acetato di sodio (CH3COONa) [0.3 M]: sono stati sciolti 0.817g di
CH3COONa in 20 ml di acqua deionizzata, mediante l’ausilio di un agitatore.
o Tampone sodio acetato ([0.3 M], pH 3.6): è stato preparato aggiungendo la
soluzione di CH3COONa [0.3 M] alla soluzione di CH3COOH [0.3 M] fino a raggiungere
un pH di 3.6.
o Acido cloridrico (HCl): sono state effettuate delle diluizioni scalari partendo da una
soluzione stock [12 M]:
HCl [1 M]: ad 1 ml di stock 12 M sono stati aggiunti 11 ml di acqua
deionizzata;
HCl [0.04 M]: ad 1 ml di HCl 1 M sono stati aggiunti 24 ml di acqua
deionizzata;
HCl [0.01 M]: a 5 ml di HCl 0.04 M sono stati aggiunti 15 ml di acqua
deionizzata.
o Standard di Solfato di ferro eptaidrato (FeSO4∙7H2O) [4 mM]: sono stati sciolti 11.1
mg di FeSO4∙7H2O in 10 ml di HCl 0.01 M per ottenete la soluzione “stock” [4 mM].
44
Per la valutazione della concentrazione della FRAP è stata disegnata una curva di
calibrazione allestita utilizzando diluizioni scalari ottenute a partire da FeSO4∙7H2O [4
mM]: 2, 1, 0.5, 0.25, 0.125, 0.0625 mM. Lo standard 0mM (“bianco”) era, costituito
da 100 µl di HCl.
o Tripiridiltriazina (TPTZ) [10 mM]: è stata preparata sciogliendo 15.62 mg di polvere
di TPTZ in 5 ml di HCl [0.04 M].
o Cloruro ferrico (FeCl3) [20 mM]: 27 mg di FeCl3 sono stati sciolti in 5 ml di acqua
deionizzata.
o Reattivo FRAP: è stato preparato miscelando
10 volumi di tampone sodio acetato (pH 3.6);
1 volume di TPTZ;
1 volume di FeCl3.
Il reattivo così preparato è stato incubato a 37°C per 10 minuti.
2. Semina su piastra
La semina, in doppio, è stata effettuata utilizzando 8 μl di bianco, 8 μl di standard e 8 μl di
plasma dei campioni da analizzare, su una piastra da 96 pozzetti (Costar). A questi sono stati
aggiunti 250 μl di reattivo FRAP e dopo un’incubazione di 4 minuti sono stati letti i valori di
assorbanza ad una lunghezza d'onda di 620 nm, con un lettore di piastra (Tecan Spectra
Classic).
È stata allestita la curva di calibrazione utilizzando i valori di assorbanza delle diluizioni
scalari di FeSO4∙7H20. Dalla media dei valori di assorbanza di ciascun campione è stato
sottratto il valore medio di assorbanza del bianco; i valori della FRAP dei campioni analizzati
sono stati calcolati utilizzando l’equazione della retta di regressione lineare ottenuta dalla
curva standard. I dati sono stati espressi in mmol/l.
c) Determinazione dei gruppi tiolici plasmatici
Il dosaggio dei gruppi tiolici è stato effettuato seguendo il protocollo descritto da Hu (1994)
e successivamente modificato nel nostro laboratorio.
45
1.Preparazione delle soluzioni
o EDTA [50 M]: sono stati sciolti 37.22 g in 200 ml di acqua deionizzata.
o EDTA [20 mM]: sono stati diluiti 200 µl di EDTA 50 M con acqua deionizzata fino a
raggiungere un volume finale di 500 ml.
o TRIS [25 mM]: sono stati sciolti 1.5 g di Trizma Base in 500 ml di acqua.
o Tris Base [25 mM] – EDTA [20 mM] pH 8.2: la soluzione di EDTA 20 mM è stata
portata ad un pH di 8.2 mediante aggiunta di Tris 25 mM.
o 5-5-5'di-tio-bis(2nitrobenzoico) (DTNB) [10mM]: sono stati sciolti 0.008 g di DTNB in
2 ml di metanolo.
2. Preparazione dei campioni e semina su piastra
A 50 μl di plasma di ciascun campione sono stati aggiunti nell’ordine:
150 μl di TRIS [25 mM] – EDTA [20 mM];
800 μl di metanolo;
10 μl di DTNB.
I campioni sono stati vortexati ed incubati per 30 minuti a temperatura ambiente. Trascorso
questo intervallo di tempo, sono stati centrifugati a temperatura ambiente per 10 minuti a
5315 rpm; 250 μl di supernatante di ciascun campione sono stati seminati in doppio, su
piastra. L’assorbanza di ciascun campione e del bianco, costituito solo da DTNB, è stata
misurata ad una lunghezza d’onda di 412 nm, con un lettore di piastra (Tecan Spectra
Classic).
Ai valori medi di assorbanza dei campioni è stato sottratto il valore medio di assorbanza del
bianco; i dati sono stati espressi in µmol/l.
d) Determinazione dell’attività delle Superossido dismutasi (SOD)
La determinazione della superossido dismutasi (SOD) è stata effettuata mediante kit
commerciale (Cayman, Francia). Il kit prevede l’utilizzo di un sale tetrazolium per la
determinazione dei radicali superossidi generati dalla xantina ossidasi e dalla ipoxantina. Il
kit permette di valutare tutti e tre i tipi di SOD (Cu/Zn-, Mn- e Fe-SOD).
46
1. Preparazione delle soluzioni
o ASSAY BUFFER (10X): sono stati diluiti 3 ml di Assay Buffer concentrato con 27 ml di
acqua deionizzata; la soluzione diluita [50 mM Tris-HCl, pH 8.0] è costituita da acido
dietilenetriaminapentaacetico (DTPA) [0.1 mM] e ipoxantina [0.1 mM].
o SAMPLE BUFFER (10X): sono stati diluiti 2 ml di Sample Buffer concentrato con 18 ml
di acqua deionizzata; la soluzione finale diluita ha una concentrazione di Tris-HCl 50
mM, pH 8.0.
o RADICAL DETECTOR: 50 µl di soluzione sono stati diluiti con 19.95 ml di Assay Buffer
diluito.
o SOD STANDARD: 20 µl di standard (fornito dal Kit) sono stati diluiti con 1.98 ml di
Sample Buffer diluito; da questa soluzione “stock” sono stati ottenuti gli standards a
diverse concentrazioni: 0.05, 0.04, 0.03, 0.02, 0.01, 0.005 U/ml. Lo standard 0 U/ml
(“bianco”) era costituito da Sample Buffer diluito.
o XANTINA OSSIDASI: sono stati diluiti 50 µl di enzima in 1.95 ml di Sample buffer
diluito.
2. Preparazione dei campioni e semina su piastra
Prima di dosare l’attività della SOD, i campioni di plasma sono stati diluiti 1:5 con Sample
Buffer e vortexati. Su una piastra da 96 pozzetti, fornita dal kit, sono stati seminati in doppio
10 µl di ciascuno standard o 10 µl di plasma dei campioni da analizzare. In ciascun pozzetto
sono stati aggiunti nell’ordine 200 µl di radical detector diluito e 20 µl di xantina ossidasi. La
piastra è stata poi incubata, su un agitatore automatico, per 30 minuti, a temperatura
ambiente. L’assorbanza dei campioni è stata letta ad una lunghezza d’onda di 450 nm
usando un lettore di piastra (Tecan Spectra Classic).
Per valutare l’attività della SOD è stata allestita una curva di calibrazione utilizzando i valori
di assorbanza degli standards. È stato calcolato il rapporto tra l’assorbanza del bianco e il
valore di assorbanza di ciascun campione e standards. L’attività della SOD è stata calcolata
utilizzando l’equazione ottenuta dalla retta di regressione lineare; i dati sono stati espressi
in U/ml; un’unità è definita come il totale di enzima necessario per dismutare il 50% del
radicale superossido in O2 e H2O2.
47
e) Determinazione dell’attività della catalasi
La determinazione dell’attività della catalasi è stata effettuata mediante kit commerciale
(Cayman, Francia). Il metodo è basato sulla reazione dell’enzima con il metanolo in presenza
di una concentrazione ottimale di H2O2. Le aldeidi prodotte sono state determinate
colorimetricamente con l’aggiunta di 4-amino-3-idrazino-5-mercapto-1,2,4-triazolo
(Purpald) come cromogeno. Il Purpald forma un eterociclo con le aldeidi che, in seguito ai
processi di ossidazione, porta ad un cambiamento di colore dal giallo al porpora.
1. Preparazione delle soluzioni
o CATALASI ASSAY BUFFER (10X): sono stati diluiti 2 ml di Catalasi Assay Buffer
concentrato con 18 ml di acqua deionizzata; si ottiene così un buffer diluito (fosfato
di potassio [100 mM], pH 7.0).
o CATALASI SAMPLE BUFFER (10X): 5 ml di Catalasi Sample Buffer concentrato sono
stati diluiti con 45 ml di acqua deionizzata. Questo buffer diluito (fosfato di potassio
[25 mM], pH 7.5) contiene EDTA [1 mM] e BSA 0.1%.
o CONTROLLO POSITIVO DELLA CATALASI: il liofilizzato fornito dal kit è stato
ricostituito con 2 ml di Sample Buffer diluito e 100 µl dell’enzima ricostituito sono
stati ulteriormente diluiti con 1.9 ml di Sample Buffer diluito.
o IDROSSIDO DI POTASSIO (KOH): il pellet di KOH, posto in ghiaccio, è stato sciolto
con 4 ml di acqua deionizzata e vortexato per ottenere una soluzione 10 M.
o PEROSSIDO DI IDROGENO (H2O2): 40 µl della soluzione fornita dal kit [8.82 M] sono
stati diluiti con 9.96 ml di acqua deionizzata.
o CATALASI PURPALD (CROMOGENO): il reagente fornito, pronto per l’uso, contiene
acido idrocloridrico [0.5 M].
o PERIODATO DI POTASSIO: il reagente contiene potassio periodato in KOH [0.5 M].
o CATALASI FORMALDEIDE STANDARD: è costituito da formaldeide [4.25 M]; gli
standard a diverse concentrazioni (0.25, 0.2, 0.15, 0.10, 0.05, 0.025, 0 nmol/min/ml)
sono stati ottenuti partendo da una soluzione “stock” [4.25 mM] costituita da 10 µl
di Catalasi formaldeide diluita con 9.99 ml di Sample Buffer diluito.
48
2. Semina su piastra
Su una piastra da 96 pozzetti, fornita dal kit, sono stati seminati in doppio, 20 µl di tutti gli
standard, 20 µl di controllo positivo e 20 µl di plasma di ciascun campione da analizzare. In
ciascun pozzetto sono stati poi aggiunti 30 µl di metanolo e 100 µl di Assay Buffer diluito.
Sono stati poi aggiunti 20 µl di H2O2 diluito che dà il via alla reazione, la piastra è stata
coperta e messa ad incubare per 20 minuti a temperatura ambiente su un agitatore.
Trascorso questo periodo di tempo sono sostati aggiunti, ad ogni pozzetto, 30 µl di KOH
diluito per far terminare la reazione e 30 µl di cromogeno. La piastra è stata nuovamente
coperta ed incubata per 10 minuti, a temperatura ambiente, su un agitatore. 10 µl di
potassio periodato sono stati aggiunti ad ogni pozzetto e la piastra è stata incubata per altri
5 minuti prima di leggere i valori di assorbanza dei campioni ad una lunghezza d’onda di 550
nm. Il valore medio di assorbanza del bianco è stratto sottratto rispettivamente
all’assorbaza di standards e campioni di plasma. L’attività della catalasi dei campioni di
plasma analizzati è stata calcolata utilizzando l’equazione ottenuta dalla regressione lineare
della curva standard. I dati sono stati espressi in nmol/min/ml.
49
4. Analisi statistica
Per verificare che la distribuzione delle frequenze genotipiche e alleliche tra i gruppi oggetto di
studio (pazienti SLA e controlli) fossero in accordo con l’equilibrio di Hardy – Weinberg e per
esaminare la possibile associazione tra la variante allelica rara A per il polimorfismo 1444 G>A
PGC-1α e il rischio di sviluppare SLA è stato utilizzato il test del χ2, con calcolo dell’odds ratio e
dell’intervallo di confidenza al 95%.
Il confronto tra le medie dei livelli plasmatici di ciascun parametro biochimico esaminato, dei
pazienti vs controlli e quelle misurate prima (T0), durante (30%, 50%, 70%) e dopo il test da
sforzo ai muscoli dell’avambraccio è stato effettuato tramite il test “t di Student”. Questo test è
stato adoperato anche per confrontare le medie di ciascun marcatore biochimico di stress
ossidativo tra individui portatori della variante allelica rara A per lo SNP -1444 G>A nel gene
PGC-1 α ed individui omozigoti wild-type. I livelli di significatività p utilizzati in questo lavoro
sono 5%, 1% e 0.1%; il test è stato definito “statisticamente significativo” per p ≤ 5%.
50
5. Risultati
5.1. Analisi del polimorfismo 1444 G>A nel gene PGC-1α
I risultati ottenuti dall’analisi del polimorfismo 1444 G>A nell’esone 8 del gene PGC-1α sono
mostrati in tabella 1, in cui sono riportate le frequenze genotipiche e le frequenze alleliche sia
dei pazienti affetti da sSLA, sia dei soggetti di controllo. Le distribuzioni dei genotipi e delle
frequenze alleliche, relative al polimorfismo in esame, sono in accordo con l’equilibrio di Hardy
- Weinberg. Allo scopo di valutare se la presenza della variante allelica rara A possa influire sulla
probabilità di sviluppare SLA, le due popolazioni sono state suddivise in portatori (A Carriers) e
non portatori (omozigoti wilde-type) dell’allele raro A. Dall’analisi dei risultati, non si osserva
alcuna differenza significativa nella distribuzione degli individui A Carriers nel gruppo dei
pazienti rispetto a quello dei controlli.
Genotipo Pazienti sSLA
n (%) Controlli
n (%) X 2
Test
p value
OR I.C. 95%
GG 64 (32%) 77 (39%)
GA 98 (50%) 85 (43%) 2.12 0.15
AA 35 (18%) 35 (18%) 0.4 0.53
A Carriers 133 (68%) 120 (61%) 1.87 0.17 1.33 0.88; 2.02
Frequenza allele A 43% 39% 0.89 0.35
TOTALE 197 197
Tabella 1: frequenze genotipiche e alleliche del polimorfismo 1444 G>A nel gene PGC-1α in pazienti affetti da sSLA
e controlli sani; OR: Odds Ratio, I.C.: intervallo di confidenza.
51
5.2. Valutazione dei biomarcatori di stress ossidativo
Dall’analisi dei livelli plasmatici degli AOPP, si osserva che il valore medio di tale marcatore è più
elevato nei pazienti sSLA (397.91 ± 206.97 nmol/ml; p<0.001), rispetto ai controlli (207.35 ±
85.65 nmol/ml) (figura 12A). I valori medi dei livelli plasmatici della FRAP sono pari a 0.69 ± 0.26
mmol/l nei pazienti sSLA e a 0.80 ± 0.13 mmol/l nei controlli; tale differenza risulta essere
statisticamente significativa (p<0.001) (figura 12B). L’analisi statistica dei dati relativi ai gruppi
tiolici plasmatici evidenzia una differenza altamente significativa (p<0.001) tra i valori medi di
questo marcatore antiossidante nei pazienti sSLA rispetto ai controlli (0.21 ± 0.09 µmol/l vs 0.47
± 0.17 µmol/l) (figura 12C).
Figura 12: livelli plasmatici degli AOPP (A), della FRAP (B) e dei gruppi tiolici plasmatici (C), nei pazienti sSLA (PZ
SLA) e nei controlli (CTRL); *** p<0.001.
52
5.3. Relazione tra i biomarcatori di stress ossidativo e lo SNP 1444 G>A in PGC-
1α
Al fine di individuare una possibile relazione tra lo SNP 1444 G>A nel gene PGC-1α ed eventuali
variazioni nei livelli plasmatici dei biomarcatori di stress ossidativo analizzati, i pazienti sSLA
sono stati suddivisi in omozigoti wild-type GG e portatori della variante allelica rara A (A
Carriers), includendo in questi ultimi sia i soggetti eterozigoti (GA) che gli omozigoti (AA). Non
emergono differenze statisticamente significative tra i livelli plasmatici osservati nei pazienti
omozigoti wild-type GG e quelli riscontrati nei pazienti A Carriers per nessuno dei marcatori di
stress ossidativo analizzati: AOPP (figura 13A), FRAP (figura 13B), tioli (figura 13C), attività
plasmatica della SOD totale (figura 13D) e della catalasi (figura 13E).
Figura 13: livelli plasmatici basali degli AOPP (A), della FRAP (B), dei gruppi tiolici (C), dell’attività della SOD (D) e
della catalasi (E) in pazienti sSLA omozigoti wild-type GG e A Carriers.
53
Analogamente ai risultati riscontrati nel gruppo dei pazienti, non si osservano variazioni
statisticamente significative dei livelli di AOPP, FRAP e tioli tra individui wild-type e soggetti A
Carriers, prendendo in considerazione i soli controlli o tutta la popolazione in studio (pazienti e
controlli) (dati non mostrati).
5.4. Effetti del test da sforzo sui biomarcatori di stress ossidativo
I livelli plasmatici medi degli AOPP valutati nei pazienti sSLA sottoposti a esercizio fisico, al
basale, al 30%, al 50%, al 70% della CMV e 15 minuti dopo l’esercizio (recupero), non subiscono
variazioni significative durante il test da sforzo (figura 14A). Analogamente agli AOPP, dal
confronto dei livelli plasmatici medi sia della FRAP (figura 14B) che dei gruppi tiolici (figura 14C),
non emergono variazioni statisticamente significative tra i valori riscontrati al basale, durante i
vari steps della CVM e dopo recupero.
Figura 14: andamento dei livelli plasmatici di AOPP (A), della FRAP (B), dei gruppi tiolici (C) dei pazienti sSLA
sottoposti a test da sforzo incrementale ai muscoli dell’avambraccio; CVM: Contrazione Volontaria Massimale.
Variazioni nei livelli plasmatici dell’acido lattico sono state osservate durante i vari steps della
CVM e dopo recupero (figura 15); in particolare, i pazienti sSLA mostrano un aumento dei livelli
al 30% (p<0.01), al 50% (p<0.01) e al 70% (p<0.001) della CVM rispetto ai livelli basali e al 70%
54
(p<0.05) rispetto al 30% della CVM. Inoltre, si osserva una riduzione significativa nei livelli di
acido lattico nella fase di recupero rispetto al 50% (p<0.05) e al 70% (p<0.001) della CVM.
Figura 15: variazione dei livelli plasmatici dell’acido lattico dei pazienti sSLA sottoposti a test da sforzo ai muscoli
dell’avambraccio: ** p<0.01 basale vs 30%, ** p<0.01 basale vs 50%, *** p<0.001 basale vs 70%; $ p<0.05 30% vs
70%; # p<0.05 50% vs recupero, ### p<0.001 70% vs recupero; CVM: Contrazione Volontaria Massimale.
5.5. Relazione tra la variazione nei livelli dei biomarcatori di stress ossidativo
durante il test da sforzo e lo SNP 1444 G>A in PGC-1α
Per valutare se la presenza della variante allelica A (SNP 1444 G>A) influisca sui livelli dei
biomarcatori di stress ossidativo, valutati durante il protocollo di esercizio fisico, il gruppo di
pazienti sSLA sottoposto a test da sforzo è stato suddiviso in individui omozigoti wild-type (GG),
in individui portatori della variante allelica A in condizione di eterozigosi (GA) e individui A
Carriers in condizione di omozigosi (AA). Non si osserva alcuna differenza nell’andamento dei
livelli plasmatici della FRAP (figura 16A) e dei tioli (figura 16B) nei tre gruppi di pazienti con
diverso genotipo.
55
Figura 16: valutazione dei livelli plasmatici della FRAP (A) e dei gruppi tiolici (B) tra pazienti sSLA con genotipo
omozigoti wild-type GG, eterozigote GA e omozigote AA durante il test da sforzo; CVM: Contrazione Volontaria
Massimale.
I livelli medi di AOPP misurati prima, durante e dopo l’esercizio muscolare, mostrano invece
variazioni circa sovrapponibili in eterozigoti GA e omozigoti GG; tuttavia, gli omozigoti per la
variante allelica rara (AA) presentano livelli plasmatici di AOPP più elevati per tutta la durata del
test rispetto sia agli eterozigoti GA, che agli omozigoti GG. Tale differenza risulta significativa al
50% della CVM (p<0.05, GG vs AA; p=0.05, GA vs AA) e in corrispondenza della fase di recupero
(p=0.01, GG vs AA; p<0.01, GA vs AA) (figura 17).
Figura 17: variazione dei livelli plasmatici degli AOPP tra pazienti sSLA omozigoti wild-type GG, eterozigoti GA e
omozigoti AA durante il test da sforzo. * p<0.05 GG vs AA; # p=0.05 GA vs AA; ** p=0.01 GG vs AA; ## p<0.01 GA vs
AA; CVM: Contrazione Volontaria Massimale.
56
Infine, livelli più elevati di acido lattico si osservano durante i vari steps del test da sforzo, nei
pazienti omozigoti AA, rispetto agli altri due gruppi. In particolare, gli individui omozigoti AA
mostrano incrementi significativi dei livelli di acido lattico al 30% (p<0.01) e al 50% (p<0.001)
della CVM, rispetto ai soggetti con genotipo wild-type GG (figura 18).
Figura 18: variazione dei livelli plasmatici dell’acido lattico tra pazienti sSLA omozigoti wild-type GG, eterozigoti GA
e omozigoti AA durante il test da sforzo. ** p<0.01 GG vs AA; *** p<0.001 GG vs AA; CVM: Contrazione Volontaria
Massimale.
57
6. Discussione
La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una patologia complessa multi-sistemica e
multifattoriale (Cozzolino et al., 2015): mutazioni in diversi geni sono state riscontrate nei casi
di fSLA mentre il processo di degenerazione dei motoneuroni nelle sSLA sembra essere il
risultato della combinazione di diversi pathways molecolari, quali l’eccitotossicità, lo stress
ossidativo, la disfunzione mitocondriale, l’aggregazione proteica, la disfunzione citoscheletrica e
i difetti nella maturazione dell’RNA (D’Amico et al., 2013). Tuttavia, non è ancora chiaro quali
tra queste condizioni siano le cause primarie della malattia e quali siano, invece, le
conseguenze (Matsumoto et al., 2007).
In particolare, lo stress ossidativo sembra essere in grado di esacerbare altri processi causativi
della malattia, come l’aggregazione proteica e l’alterato metabolismo del glutammato (Emerit
et al., 2004). Numerose evidenze di letteratura hanno riportato nella SLA un’alterazione
dell’equilibrio redox cellulare; elevati livelli dei biomarcatori di danno ossidativo a DNA, lipidi e
proteine (Bogdanov et al., 2000; Agar et al., 2003; Simpson et al., 2004; Barber et al., 2010) e un
decremento dell’efficacia dei meccanismi di difesa antiossidante, sono stati osservati in pazienti
con sSLA e fSLA rispetto ai soggetti di controllo (Beckman et al., 2004; Weiduschat et al., 2014;
Carrì et al., 2015).
Studi epidemiologici osservano inoltre che la SLA può insorgere in soggetti appartenenti a tutte
le categorie socio-professionali, ma con una maggiore prevalenza negli sportivi e nei soggetti
che esercitano un’intensa attività fisica (Felmus et al., 1976; Gregoire et al., 1991; Scarmeas et
al., 2002; Chiò et al., 2005). Queste osservazioni hanno fatto ipotizzare che l’attività agonistica
intensa sia un fattore eziologico e di rischio per la malattia. Altri dati clinici ed epidemiologici
suggeriscono invece che l’attività fisica aerobica moderata, condotta in modo regolare, possa
esercitare un’azione benefica, attenuando i sintomi della patologia (Strickland et al., 1996;
Veldink et al., 2005).
Il Peroxisome Proliferator-Activated Receptor Gamma Coactivator 1 alpha (Pgc-1α), codificato
dal gene PPARGC1A/PGC-1α, è un co-attivatore trascrizionale tessuto-specifico (Arany, 2008),
che regola positivamente la respirazione e la biogenesi mitocondriale, la termogenesi
adattativa, la gluconeogenesi e altri importanti processi metabolici (Handschin et al., 2007).
58
Una funzione centrale di Pgc-1α, intimamente collegata alla biogenesi mitocondriale, è la
detossificazione dalle ROS. Infatti, le ROS sono prodotte durante la respirazione mitocondriale e
Pgc-1α sembra giocare un ruolo chiave nella loro rimozione, tramite la regolazione
dell’espressione di numerosi geni per enzimi antiossidanti, come Sod1 e Sod2, Cat e GPx (St-
Pierre et al., 2003; Valle et al., 2005; St-Pierre et al., 2006). Sembra dunque che Pgc-1α
contemporaneamente aumenti le funzioni mitocondriali e minimizzi l’accumulo delle ROS,
garantendo un impatto globale positivo sul metabolismo ossidativo (Austin et al., 2012).
L’espressione di PGC-1α è altamente indotta da stimoli fisiologici, inclusi il freddo, il digiuno e
l’esercizio fisico (Handschin et al., 2007). In particolare, i livelli di mRNA di questa proteina
incrementano durante l’attività fisica e PGC-1α è espresso maggiormente in tessuti con un’alta
attività metabolica, in cui abbondano i mitocondri, tra cui il cuore, i reni, il fegato, il tessuto
adiposo, l’encefalo e il tessuto muscolare (Lucia et al., 2005). Inoltre, Pgc-1α sembra essere
implicato nella regolazione dello switch, indotto da esercizio fisico, da fibre muscolari di tipo II
(fast-twitch), a fibre di tipo I (slow-twitch) (Holloszy, 2008; Olesen et al., 2010; Kang et al.,
2013); queste ultime conferiscono resistenza alla fatica dato che utilizzano il metabolismo
ossidativo e presentano un contenuto mitocondriale molto più alto rispetto alle fibre di tipo II,
caratterizzate da metabolismo glicolitico (Lin et al., 2002). È stato osservato che l’over-
espressione di PGC-1α aumenta la proporzione di fibre ossidative lente di tipo I, mentre topi
knock-out per PGC-1α mostrano un cambiamento da fibre ossidative verso fibre glicolitiche (Lin
et al., 2002; Handschin et al., 2007).
La proteina Pgc-1α sembra inoltre mediare gli effetti anti-atrofici a livello della giunzione
neuromuscolare; studi condotti prevalentemente su modelli animali suggeriscono infatti un
ruolo protettivo di Pgc-1α nei confronti di malattie come la Distrofia Muscolare di Duschenne
(DMD) e la SLA. Nel modello animale di DMD è stato riscontrato che la proteina Pgc-1α attiva
l’espressione di diversi geni che sono inattivati in modo anomalo nella malattia e l’over-
espressione indotta di PGC-1α sembra mitigare i sintomi clinici della patologia (Handschin et al.,
2007). Nel midollo spinale e nel tessuto corticale motorio di topi transgenici SOD1 G93A e
pazienti SLA, sono stati riscontrati bassi livelli di mRNA e di proteina Pgc-1α (Thau et al., 2012).
Studi condotti da Liang e collaboratori (2011), su topi SOD1 G93A dimostrano che la sovra-
espressione di Pgc-1α rallenta la progressione della SLA ed aumenta moderatamente la durata
di vita, senza alcun effetto sull’insorgenza della malattia. I modelli murini SLA che sovra-
esprimono Pgc-1α, sottoposti al test rotarod, mostrano un significativo aumento della loro
59
prestazione fisica; tale miglioramento dell’attività motoria è stato associato ad una diminuzione
significativa della morte neuronale e dei danni a livello delle giunzioni neuromuscolari (Liang et
al., 2011). Successivamente, Da Cruz e colleghi (2012) hanno dimostrato che l’aumento
dell’attività di Pgc-1α, in topi SOD1 G37R, incrementa la resistenza muscolare, riduce l’atrofia e
migliora l’attività locomotoria anche in fasi avanzate di malattia, senza però prolungare la
sopravvivenza dei topi. Sebbene una ridotta espressione di PGC-1α non possa essere
considerata un determinante per lo sviluppo della SLA, questi dati suggeriscono che un
incremento dei livelli di espressione della proteina può essere di fondamentale importanza per
migliorare le funzioni muscolari dei pazienti affetti dalla malattia (Liang et al., 2011).
Diversi polimorfismi (SNPs) del gene PGC-1α sono stati indagati in varie patologie allo scopo di
valutare i loro eventuali effetti sui pathways regolati dalla proteina stessa. In particolare, il
polimorfismo in posizione 1444 nell’esone 8 del gene PGC-1α (rs8192678) che consiste in una
sostituzione di base G>A, induce un cambiamento aminoacidico in posizione 482 da Glicina
(Gly) a Serina (Ser) e un cambiamento nella struttura della proteina stessa (Prior et al., 2012;
Steinbacher et al., 2015 a). È stato ipotizzato che questo SNP possa influenzare l’efficacia di Pgc-
1α come coattivatore trascrizionale e, tramite un meccanismo autoregolatorio, alterare
l’espressione di PGC-1α nel muscolo; infatti, i portatori dell’allele raro A, mostrano, nel muscolo
scheletrico, una riduzione del 60% dei livelli di PGC-1α, rispetto ai non portatori (Ling et al.,
2004). Inoltre, tale SNP è noto per essere meno frequente negli atleti, rispetto ai controlli (Lucia
et al., 2005). I portatori di questa variante allelica sono più soggetti ad aumenti di colesterolo a
bassa densità (Zhang et al., 2007) e all’insulino-resistenza (Hara et al., 2002) e, in risposta ad un
allenamento fisico, i portatori dello SNP Gly482Ser mostrano una riduzione della soglia
anaerobica e maggiore sensibilità all’insulina rispetto ai soggetti non portatori (Stefan et al.,
2007). Lo SNP, infatti, è stato associato con un maggior rischio di sviluppare diabete di tipo 2
(Ek et al., 2001; Hara et al., 2002; Ling et al., 2004) e nefropatie (Jung et al., 2006; Gayathri et
al., 2010). Diversi studi hanno dimostrato che la presenza della variante allelica 482Ser
comporta un metabolismo glucidico più lento (Gineviciene et al., 2010), compromettendo la
performance fisica, mentre l’allele Gly482 sembra conferire una maggiore resistenza (Ahmetov
et al., 2009; Eynon et al., 2010; Nishida et al., 2015). Uno studio condotto da Steinbacher e
collaboratori (2015 a), mostra inoltre che nel muscolo dei portatori dello SNP Gly482Ser,
rispetto ai non portatori, non si verifica l’aumento, indotto normalmente dall’attività fisica, del
contenuto di fibre ossidative lente.
60
Gli studi finora descritti suggeriscono quindi che l’espressione di PGC-1α giochi un ruolo
centrale nel proteggere i mitocondri dallo stress ossidativo attraverso la riduzione
dell’accumulo delle ROS e della morte cellulare per apoptosi (Valle et al., 2005; St-Pierre et al.,
2006). È stato osservato che elevati livelli di ROS, così come l’esercizio fisico inducono, nel
muscolo l’espressione di PGC-1α, che in condizioni fisiologiche si trova in uno stato
conformazionale inattivo. Inoltre alcune varianti genetiche di PGC-1α sembrano influenzare
l’espressione del gene (Prior et al., 2012); infine, alcuni SNP di PGC-1α sono risultati associati a
maggiori concentrazioni di 8-oxo-dG, un marker di danno al DNA (Lai et al., 2008).
In base a queste considerazioni, l’intento di questo lavoro di tesi è stato quello di valutare in
pazienti con sSLA il ruolo del polimorfismo 1444 G>A nella risposta allo stress ossidativo, in
condizioni basali e durante l’attività fisica. È stata valutata, innanzitutto, la possibile
associazione di questo polimorfismo con la SLA. In questo studio non sono state riscontrate
differenze nella distribuzione degli A Carriers nei pazienti rispetto ai controlli, suggerendo che
lo SNP Gly482Ser non è associato alla malattia. Non vi sono in letteratura altri studi che abbiano
indagato tale SNP su pazienti SLA. Del resto gli studi effettuati su modelli murini per valutare gli
effetti dell’espressione della proteina, non hanno mostrato alcun effetto diretto di Pgc-1α
sull’insorgenza della malattia (Liang et al., 2011; Da Cruz et al., 2012).
Per valutare la condizione di stress ossidativo nei nostri pazienti rispetto al gruppo di controllo,
abbiamo misurato i livelli plasmatici degli AOPP, come marker di danno ossidativo alle proteine,
della FRAP e dei gruppi tiolici totali, come markers antiossidanti non enzimatici; è stato quindi
valutato l’eventuale effetto dello SNP Gly482Ser sui livelli dei biomarcatori analizzati.
Questi biomarcatori sono stati scelti in quanto permettono una valutazione complessiva dello
stress ossidativo, che tenga conto sia della componente pro-ossidante, che di quella
antiossidante.
I pazienti analizzati mostrano, rispetto ai controlli, un aumento significativo dei livelli plasmatici
basali degli AOPP, confermando la presenza di danno ossidativo nella SLA. Questi risultati sono
in accordo con precedenti studi che indicano lo stress ossidativo come un evento implicato
nella malattia. Bogdanov e collaboratori (2000), hanno rilevato la presenza di elevati livelli di 8-
oxo-dG nei fluidi biologici dei pazienti SLA rispetto ai controlli sani. Studi condotti da Simpson e
collaboratori (2004), successivamente confermati da Kabuta e colleghi (2015) mettono in
evidenza un incremento dei livelli di HNE, prodotto della perossidazione lipidica, a livello di
midollo spinale, corteccia motoria, fluido cerebrospinale, plasma/siero e urine dei pazienti con
61
SLA rispetto ai pazienti affetti da altre malattie neurodegenerative, a controlli con malattie di
tipo-non degenerativo o controlli sani. Inoltre, a livello del SNC di topi e pazienti SLA, sono stati
riscontrati elevati livelli di nitrotirosina; la nitrazione della tirosina mediata dal perossinitrito
rappresenta un potenziale meccanismo che porta alla morte neuronale, in molte malattie
neurodegenerative, tra cui la SLA (Beckman et al., 2004; Siciliano et al., 2007).
I risultati ottenuti mettono inoltre in evidenza nei pazienti SLA una riduzione dei livelli
plasmatici dei biomarcatori antiossidanti non enzimatici FRAP e tioli, rispetto ai controlli,
confermando precedenti studi che evidenziano una diminuzione delle riserve antiossidanti nella
SLA. Uno studio condotto da Keizman e collaboratori (2009) ha mostrato in pazienti con SLA,
rispetto ai soggetti sani, bassi livelli sierici di acido urico, che rappresenta circa il 60% del valore
della FRAP. L’acido urico è un importante antiossidante endogeno, con proprietà metallo-
chelanti e capacità di eliminare i radicali nitrogenati; può, infatti, eliminare l’anione superossido
(∙O2-), quindi prevenire la sua reazione con l’ossido nitrico e bloccare la formazione dei
perossinitriti (Keizman et al., 2009). In accordo con questo lavoro di tesi, Baillet e colleghi
(2010), in uno studio condotto su eritrociti di sangue periferico di 31 pazienti sSLA e 30 soggetti
di controllo, riscontrano livelli più bassi dei gruppi tiolici totali nei primi rispetto ai secondi.
Inoltre, un altro studio ha mostrato che il GSH, il più abbondante antiossidante tiolico
endogeno intracellulare, è presente a bassi livelli nei motoneuroni corticali di pazienti SLA
rispetto ai controlli (Weiduschat et al., 2014). I dati presenti in letteratura a riguardo risultano
essere comunque contrastanti; per esempio, Babu e collaboratori (2008), confrontando 20
pazienti SLA vs 20 controlli, non riscontrano alcuna differenza nell’attività eritrocitaria della Sod
e della GPx, anche se i livelli dell’attività di altri enzimi (glutatione reduttasi e Cat) e molecole
antiossidanti (GSH) risultano più basse nei primi rispetto ai secondi (Babu et al., 2008). Baillet e
colleghi (2010) nel loro studio, hanno osservato che i livelli del GSH e del GSSG, così come il
rapporto GSH/GSSH, non differiscono tra pazienti SLA e controlli.
L’aumento dei livelli degli AOPP e la contemporanea diminuzione dei livelli di FRAP e tioli,
riscontrati nei pazienti sSLA in questo lavoro di tesi, rispetto ai controlli sani, sembrano
pertanto riflettere una condizione di alterato equilibrio redox, e confermano quindi la maggior
parte dei dati di letteratura, che indicano lo stress ossidativo come un fattore chiave nei
meccanismi patogenetici della SLA.
Successivamente, sono stati dunque confrontati i livelli plasmatici basali di AOPP, FRAP e gruppi
tiolici totali tra soggetti omozigoti wild-type (GG) e A Carriers. I risultati ottenuti non mostrano,
62
tra soggetti portatori e non portatori di A, differenze significative nei livelli plasmatici per
nessuno dei marcatori di stress ossidativo analizzati, prendendo in esame rispettivamente la
popolazione totale studiata, il gruppo dei pazienti e il gruppo dei controlli. Il polimorfismo
Gly482Ser non sembra quindi avere alcun effetto sui livelli dei biomarcatori di stress ossidativo
analizzati. Gli studi che hanno indagato l’eventuale associazione di questo polimorfismo con lo
stress ossidativo sono pochi e mostrano dati contrastanti. A differenza di quanto osservato in
questo lavoro di tesi, uno studio condotto su soggetti con diabete mellito e controlli sani
mostra un’associazione tra l’allele raro A e biomarcatori di stress ossidativo. Infatti, i soggetti
sia diabetici che sani, con genotipo omozigote AA, hanno livelli sierici significativamente più alti
di TBARS, prodotto dalla perossidazione lipidica, rispetto ai soggetti omozigoti wild-type; tali
differenze si riscontrano anche confrontando individui A Carriers e individui omozigoti wild-type
GG. Inoltre, gli stessi autori osservano livelli dei gruppi tiolici plasmatici più bassi nei soggetti
con genotipo omozigote AA rispetto ai soggetti con genotipo eterozigote GA (Weng et al.,
2010). In accordo con i nostri dati, Lai e colleghi (2008) non hanno tuttavia trovato alcuna
associazione tra il polimorfismo Gly482Ser e livelli di 8-oxo-dG nelle urine di pazienti diabetici.
Gli stessi autori hanno identificato altri tre SNPs (m1668, i55301, 3U4898) in PGC-1α che
mostrano, invece, un’associazione significativa con il danno al DNA. Occorre comunque
considerare che i livelli dei biomarcatori analizzati in questo lavoro di tesi non sono regolati
direttamente da Pgc-1α anche se la proteina potrebbe avere un effetto indiretto almeno sui
livelli di marcatori di danno ossidativo: un’efficiente trascrizione dei geni del sistema
antiossidante (genotipo favorevole GG) potrebbe infatti ridurre i livelli di ROS e quindi di danno
ossidativo, mentre una riduzione dell’espressione di PGC-1α o una minore attività della
proteina (genotipo sfavorevole AA) potrebbe risultare in un incremento di ROS e danno
ossidativo. I dati ottenuti non sono a sostegno però dell’ipotesi iniziale e sembra che questo
polimorfismo non conferisca a chi ne è portatore una condizione di stress ossidativo peggiore
rispetto a chi ha un genotipo omozigote wild-type.
Ciò è stato confermato anche dai risultati ottenuti dosando l’attività della Sod totale e della Cat,
i cui geni antiossidanti sono regolati da Pgc-1α, ma anche da altri cofattori e fattori di
trascrizione. La valutazione degli enzimi antiossidanti Sod totale e Cat in questo lavoro di tesi è
stata effettuata solo su un limitato numero di soggetti, cioè solo sui pazienti con SLA che sono
stati più recentemente reclutati per essere sottoposti a test da sforzo; il dosaggio dell’attività di
questi due enzimi, eseguito mediante kit commerciale in un’unica seduta, poteva infatti essere
63
effettuato solo sui campioni raccolti non più di un mese prima. Come per gli altri marcatori di
stress ossidativo, non sono state riscontrate differenze nelle attività di questi due enzimi tra
portatori e non portatori della variante allelica rara. Ipotizzando che l’allele A comportasse una
minore efficienza di Pgc-1α nel regolare la trascrizione dei geni antiossidanti, ci aspettavamo di
trovare una ridotta attività di Sod e Cat nei soggetti portatori dell’allele raro. Al contrario,
l’allele A non sembra compromettere l’espressione di questi geni. Possiamo supporre che
l’aminoacido in posizione 482, che sia Gly o Ser, sia localizzato in un dominio della proteina che
non è coinvolto nel legame di questo cofattore con i promotori dei geni che codificano per Sod
e Cat. È possibile che altri polimorfismi di PGC-1α, con diversa localizzazione, siano in grado di
influenzare o compromettere la stabilità di tale legame, ma non vi sono in letteratura studi al
riguardo. Elevati livelli di ROS possono comunque attivare, oltre all’espressione di PGC-1α,
anche altri pathways molecolari, che sono a loro volta in grado di indurre la trascrizione dei
geni di enzimi antiossidanti, come per esempio la via del fattore di trascrizione Nuclear factor
erythroid 2-related factor 2 (Nfe2l2). In assenza di un adeguato stimolo di stress, non essendo
necessario indurre attivazione genica, Nfe2l2 è legato a Keap1, che funziona da soppressore del
fattore di trascrizione. Keap1 è sensibile allo stress ossidativo e in presenza di danno ai suoi
residui di cisteine, subisce un cambio conformazionale che provoca il rilascio di Nfe2l2 e la
conseguente trascrizione dei geni antiossidanti (Itoh et al., 2003; Motohashi et al., 2004). È
possibile quindi che per la regolazione della trascrizione di questi geni, in condizioni basali di
stress ossidativo, con livelli di ROS pressoché costanti, siano preferenzialmente attivate altre vie
molecolari; l’espressione di PGC-1α potrebbe essere chiamata in causa, solo in seguito a stimoli
intensi come un elevato incremento delle ROS, che si può ad esempio verificare dopo un
esercizio fisico intenso. È infatti noto che Pgc-1α, in condizioni fisiologiche, si trova all’interno
della cellula in uno stato conformazionale inattivo e viene attivato solo in seguito a stimoli,
come un insulto ossidativo, l’esercizio fisico e la contrazione muscolare (St-Pierre et al., 2006;
Park et al., 2014).
L’attività fisica gioca un ruolo decisivo nel rompere o riequilibrare il bilanciamento redox
cellulare (Iorio, 2003). Diversi studi suggeriscono che un esercizio intenso e anaerobico possa
ridurre le difese antiossidanti (Childs et al., 2001; Waring et al., 2003) e, tramite un incremento
delle ROS, aumentare il danno ossidativo (Bloomer et al., 2005).
Alla luce di queste considerazioni e nell’ottica di una possibile associazione tra attività fisica
intensa e la SLA, uno degli obiettivi di questo lavoro di tesi è stato quello di valutare, in un
64
gruppo di pazienti sSLA sottoposto ad un test da sforzo incrementale, eventuali alterazioni nel
bilanciamento redox in seguito ad esercizio fisico. Successivamente, visto il ruolo che è stato
ipotizzato per lo SNP Gly482Ser nell’attività fisica, è stato valutato un suo eventuale effetto,
durante l’esecuzione dell’esercizio, sui livelli dei biomarcatori analizzati.
Non si osservano, nei pazienti SLA analizzati, cambiamenti nei livelli plasmatici di AOPP, FRAP e
tioli valutati prima, durante e dopo il protocollo di esercizio fisico; sia il marker che valuta il
danno ossidativo alle proteine, che i markers che valutano la componente antiossidante non
enzimatica, restano quindi costanti durante lo sforzo e, anche 15 minuti dopo l’esercizio, i valori
dei suddetti biomarcatori non subiscono variazioni, rimanendo pressoché uguali ai valori
riscontrati al basale (prima dello sforzo). Numerosi studi, condotti sia su modelli murini che
sull’uomo, hanno valutato la relazione tra equilibrio ossido-riduttivo ed esercizio fisico, eseguito
in modo regolare e costante o con sforzo intenso e di breve durata, riportando comunque dati
contrastanti. Confrontando tali studi si notano differenze nei protocolli di esercizio e nelle
tempistiche di raccolta/valutazione dei campioni. Pialoux e collaboratori (2006), analogamente
a questo lavoro di tesi, non rilevano, subito dopo il test da sforzo, variazioni significative, dei
livelli plasmatici di AOPP, MDA e FRAP, in 14 corridori sottoposti a test anaerobico incrementale
su tapis roulant. Selman e collaboratori (2002), in uno studio effettuato sui topi sottoposti al
rotarod test, dimostrano che la corsa su una ruota non induce aumento di danno a livello del
DNA, saggiato tramite comet assay, e lipidi. In aggiunta, più recentemente, Siu e colleghi (2011)
hanno osservato che in topi sottoposti a esercizio fisico volontario, la percentuale di danno al
DNA, dopo 8 e 20 settimane, risulta più bassa rispettivamente del 21% e del 45%, rispetto a
quella riscontrata in topi di controllo non sottoposti ad attività fisica. Successivamente, de
Souza e colleghi (2012) osservano che nei ratti sottoposti ad un protocollo di training mediante
tapis roulant, della durata di 8 settimane, per 50 minuti/giorno, si ha una riduzione dei livelli
dell’∙O2- ed un incremento dell’attività della Sod e della GPx, mentre non rilevano variazioni
significative nell’attività della Cat rispetto ai ratti non sottoposti ad esercizio. Un recente studio
condotto su 10 giovani corridori sottoposti ad una corsa di 21 Km e valutati al basale e 4 ore
dopo la corsa, mostra una diminuzione dei livelli plasmatici del TBARS e della Sod, mentre non
riscontra variazioni nei livelli della Cat, del GSH e della capacità antiossidante totale (TAC); dopo
12 mesi di training, gli autori osservano, dopo la corsa, una ulteriore diminuzione, rispetto ai
valori basali, dei livelli dei TBARS associato, però, ad un incremento dell’attività della Cat e della
TAC (Tong et al., 2013).
65
Altri studi, in cui sono stati valutati i livelli di biomarcatori di stress ossidativo in individui
sottoposti ad esercizi anaerobici, hanno dimostrato un incremento di MDA, prodotto della
perossidazione lipidica, 6 ore dopo l’esercizio (Viitala et al., 2004) e un aumento delle proteine
carbonilate a 6 e 24 ore post-esercizio (Bloomer et al., 2005). Inoltre, è stato osservato anche
un aumento dei livelli degli antiossidanti sia enzimatici (Sod1, Sod2, GPx e Cat) (Childs et al.,
2001), che non enzimatici (GSH, acido urico e bilirubina), 40 minuti dopo l’esercizio (Waring et
al., 2003).
Nonostante i progressi delle tecniche analitiche utilizzate e la raffinatezza dei disegni di studio
messi a punto, i dati di letteratura sono in grande disaccordo riguardo l’influenza dell’esercizio
fisico sul danno muscolare e sull’omeostasi cellulare (Nikolaidis et al., 2013). Infatti, se da un
lato l’esercizio fisico effettuato in modo regolare ha effetti benefici ed è associato ad un ridotto
rischio di sviluppare malattie correlate ad un eccessivo stress ossidativo, dall’altro un’attività
fisica intensa può indurre un aumento del danno a livello di diversi tessuti con particolare
riferimento al tessuto muscolare (Radak et al., 2008).
Occorre considerare che le variazioni nei livelli dei biomarcatori di stress ossidativo riscontrate
nella maggior parte di questi studi in seguito ad esercizio fisico anaerobico o aerobico, si
verificano diverse ore dopo la fine dello sforzo. Nel presente lavoro di tesi il periodo di tempo
intercorso tra il primo e l’ultimo prelievo (circa 25-30 minuti) potrebbe infatti rivelarsi un
intervallo temporale non sufficientemente ampio da permettere il verificarsi dei meccanismi
implicati nell’incremento del danno ossidativo e nelle variazioni plasmatiche degli antiossidanti.
Non vi sono in letteratura dati precisi riguardanti i tempi necessari affinché certi meccanismi
siano portati a termine. In presenza di elevati livelli di ROS e considerata la loro elevata
instabilità e tendenza a reagire con altre molecole, ci potremmo aspettare che il primo evento a
verificarsi sia l’attacco da parte delle ROS stesse ai componenti cellulari, primi tra tutti i lipidi, e
quindi la produzione di danno ossidativo. Presumibilmente le difese antiossidanti, enzimatiche
e non, già presenti in condizioni basali nel nostro organismo, saranno le prime ad agire per
tamponare il danno. Tuttavia, affinché si verifichi un incremento dell’attività degli enzimi
antiossidanti, in risposta a questo insulto, saranno necessari tempi molto lunghi. È noto infatti
che l’attivazione della trascrizione dei geni, la maturazione dell’mRNA e la sua traduzione in
proteina, sono meccanismi che richiedono dalle 4 ore in poi, a seconda della lunghezza del gene
(Lewin, 2010). Sarebbe stato quindi, probabilmente, più opportuno effettuare le valutazioni dei
biomarkers anche in tempi successivi, a distanza di diverse ore dalla fine dello sforzo, come
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effettuato in altri lavori di letteratura. È anche vero che tali studi sono stati per lo più condotti
su individui sani, giovani e allenati, in grado di sostenere uno sforzo fisico molto intenso. I
pazienti esaminati in questo lavoro di tesi, considerata la severità della malattia, sono stati
sottoposti ad un esercizio fisico di moderata entità, che risulta comunque molto faticoso per
soggetti con muscolatura atrofica e debole; inoltre, per motivi etici e logistici, non è stato
ritenuto opportuno trattenere i pazienti a lungo dopo lo sforzo, né tantomeno farli tornare il
giorno seguente.
In letteratura gli unici studi che hanno valutato i livelli di biomarcatori di danno ossidativo
durante e in seguito ad esercizio fisico in pazienti SLA sono stati effettuati dal nostro gruppo di
ricerca (Siciliano et al., 2001; Siciliano et al., 2002). È stato osservato in 10 pazienti SLA un
incremento dei livelli plasmatici di lipoperossidi e lattato, dopo l’esecuzione di un test
incrementale su cicloergometro (Siciliano et al., 2002). Questa discrepanza con i risultati
riscontrati nel presente lavoro di tesi potrebbe essere dovuta al fatto che nello studio condotto
da Siciliano e colleghi (2002) come marker di danno ossidativo sono stati determinati i
lipoperossidi: gli acidi grassi polinsaturi, che abbondano nelle membrane cellulari, vengono
danneggiati dalle reazioni a catena dei radicali liberi (Jones et al., 2008) e per questo vengono
considerati un indice indiretto dei livelli delle ROS stesse (Wang et al., 2014). Non v’è dubbio
che i lipidi, specialmente se insaturi, e, quindi, con doppietti di legame “disponibili” a soddisfare
l’avidità di elettroni dei radicali liberi, costituiscano targets importanti dell’attacco ossidativo, in
particolar modo se inseriti nel contesto di biomembrane e, come tali, maggiormente esposti
all’azione radicalica (Iorio, 2003). È probabile che il danno ossidativo alle proteine sia rilevabile
in tempi successivi rispetto a quello che si può riscontrare a carico dei lipidi. Un’altra differenza,
rispetto al presente lavoro di tesi, è l’utilizzo di un metodo diverso per l’esecuzione dello sforzo
fisico e cioè l’impiego del cicloergometro anziché l’handgrip; infatti, il primo risulta essere più
faticoso rispetto al secondo, in quanto attiva un maggior numero di fibre muscolari ed
incrementa l’attività cardiorespiratoria.
Considerando il coinvolgimento mitocondriale nella SLA e che uno dei principali biomarcatori, in
vivo, della compromissione della funzione mitocondriale è l’eccessivo accumulo di lattato
durante un esercizio sub-massimale (Siciliano et al., 2001), per verificare se l’esercizio influisse
sul metabolismo ossidativo dei pazienti, è stata anche valutata la cinetica dell’acido lattico
durante il test da sforzo incrementale. I valori basali medi di lattato riscontrati nella
popolazione in esame sono paragonabili a quelli che si riscontrano in condizioni fisiologiche in
67
soggetti adulti sani; i livelli di acido lattico aumentano con lo sforzo fisico, raggiungendo il picco
massimo al 70% della CVM e quindi diminuiscono di nuovo per tornare ai valori basali post
esercizio. Infatti, dal confronto tra i livelli di lattato riscontrati nei pazienti e i valori di
riferimento, forniti dal laboratorio che ha effettuato il dosaggio di questo marcatore, non
osserviamo variazioni tra i primi rispetto ai secondi. Ciò fa supporre che l’accumulo di lattato
riscontrato nei pazienti sSLA in esame sia dovuto unicamente allo svolgimento dell’attività
fisica, senza mostrare una correlazione con la malattia. Un altro studio osserva, invece, livelli
basali di lattato più elevati nei pazienti SLA rispetto ai controlli; inoltre dopo aver sottoposto i
soggetti a test da sforzo incrementale su cicloergometro, si osserva, nei pazienti SLA, un
aumento significativo dei livelli di acido lattico al 40-50% della potenza massimale teorica,
rispetto ai valori basali. Post-esercizio, nel gruppo dei pazienti, i valori di questo biomarcatore
restano leggermente più elevati rispetto al basale, non raggiungendo la significatività statistica,
mentre si avvicinano al valore del basale (pre esercizio) nel gruppo di controllo (Siciliano et al.,
2001). Infine, in un recente studio condotto su 10 pazienti affetti da malattie mitocondriali e 10
controlli, si osserva che nei pazienti, durante test da sforzo su cyclette, i livelli di lattato
aumentano di 3 volte rispetto ai controlli (Jeppens et al., 2013). Nonostante queste evidenze,
non c’è un accordo generale circa il ruolo che svolge l’acido lattico nelle malattie degenerative;
la comunità scientifica tutt’oggi dibatte se il lattato abbia un ruolo nel promuovere l’insorgenza
della fatica o se sia semplicemente un marker del metabolismo anaerobico (Renaud, 2006).
Infatti, sebbene alcuni studi hanno rilevato che il lattato può di per sé indurre fatica attraverso
l’accumulo di H+ (Dengler et al., 1996), altri studi suggeriscono che l’aumento della fatica non è
correlato all’accumulo di acido lattico, a livello muscolare (Duncan et al., 2004; Vissing et al.,
2001).
È noto che PGC-1α regola l’espressione di alcuni geni che codificano per diversi enzimi coinvolti
nell’ossidazione degli acidi grassi e nella fosforilazione ossidativa e che un allenamento intenso
induce un aumento dei livelli di Pgc-1α che, a sua volta, può incrementare le capacità ossidative
a livello del muscolo scheletrico. Finora, solo pochi studi sono stati condotti per verificare i
possibili effetti di PGC-1α sulla performance atletica (Eynon et al., 2010). Lucia e collaboratori
(2005) hanno riportato un’associazione tra l’esercizio fisico e il polimorfismo Gly482Ser (1444
G>A) dato che, negli atleti, l’allele raro A è significativamente meno frequente che nei controlli
(Lucia et al., 2005). La VO2 max, cioè la massima quantità di ossigeno che può essere utilizzata
nell'unità di tempo da un individuo, nel corso di un'attività fisica di intensità progressivamente
68
crescente e protratta fino all'esaurimento, è uno dei principali metodi per valutare la resistenza
fisica. Lucia e collaboratori (2005), nel loro studio, mostrano che i controlli hanno bassi livelli di
VO2 max, dimostrando che la presenza dell’allele raro A, insieme ad altri fattori ambientali e
genetici, potrebbe predire la capacità fisica. Questa scoperta è interessante dal punto di vista
delle prestazioni fisiche, ma può anche avere una certa rilevanza nell’identificare individui che,
in virtù di una determinata predisposizione genetica, possono essere esposti ad un maggiore
rischio di sviluppare disturbi associati alla sedentarietà e/o ad un’intolleranza all’esercizio (Lucia
et al., 2005). Anche altri studi di letteratura, affermano che l’allele raro A è associato con una
scarsa capacità fisica, mentre l’allele selvatico Gly482 risulta essere un fattore genetico
benefico che aumenta la resistenza muscolare (Nishida et al., 2015).
Considerando le caratteristiche metaboliche della proteina Pgc-1α e il modo in cui
l’allenamento fisico modula la sua espressione, è plausibile che la variazione Gly482Ser
modifichi gli effetti benefici della proteina stessa sull’esercizio fisico.
In questo lavoro di tesi, al fine di valutare se la presenza della variante allelica rara A potesse
influire sui livelli dei biomarcatori di stress ossidativo, valutati prima, durante e dopo il
protocollo di esercizio fisico, i pazienti sSLA sottoposti a test da sforzo, sono stati suddivisi in
omozigoti wild-type (GG), eterozigoti (GA) e omozigoti mutati (AA). I risultati ottenuti mostrano
che l’andamento dei livelli plasmatici della FRAP e dei gruppi tiolici totali non differiscono tra i
gruppi esaminati. Gli omozigoti AA mostrano, però, per tutta la durata dell’esercizio fisico, livelli
medi di AOPP più elevati, sia rispetto ai soggetti wild-type che agli individui eterozigoti, con
differenze statisticamente significative al 50% della CVM e post-esercizio. Tali risultati ci
spingono ad ipotizzare che, durante l’attività fisica, il genotipo wild-type GG potrebbe conferire
una sorta di protezione contro il danno ossidativo, mentre la presenza della variante allelica
rara A in condizione di omozigosi, sembrerebbe concorrere a incrementare i livelli di danno
ossidativo alle proteine. Individui eterozigoti GA, presumibilmente in virtù della presenza
dell’allele wild-type, presentano, invece, livelli medi di AOPP sovrapponibili agli omozigoti GG. I
livelli medi di AOPP, che nel totale dei pazienti sembravano non variare nel corso dell’esercizio,
mostrano invece un andamento genotipo-dipendente. Si osserva, inoltre, che gli individui
omozigoti AA mostrano un incremento significativo dei livelli di acido lattico al 30% e al 50%
della CVM, rispetto ai soggetti con genotipo wild-type. Gli individui eterozigoti, a livello di questi
due steps, mostrano un lieve aumento dei livelli di acido lattico rispetto ai soggetti omozigoti
wild-type, anche se queste differenze non risultano significative. Post-esercizio, nei portatori
69
dell’allele A in condizione di omozigosi, i valori di questo marker restano più elevati rispetto al
basale, non raggiungendo comunque la significatività statistica. Questi dati fanno ipotizzare che
l’allele raro A possa essere implicato in un maggiore accumulo di acido lattico rispetto agli
individui GG e, di conseguenza, possa indurre una minore prestazione fisica. Inoltre, studi di
letteratura hanno riportato che il lattato induce un incremento di H+ (Dengler et al., 1996) e
radicali idrossili (Ali et al., 2000) che, a loro volta, possono danneggiare le macromolecole
cellulari (Lovlin et al., 1987; Kayatekin et al., 2002). In questo lavoro di tesi, i dati ottenuti
mostrano, infatti, nei portatori della variante allelica rara A in condizione di omozigosi, un
aumento dei livelli degli AOPP e quindi, verosimilmente, un aumento del danno ossidativo alle
proteine.
Considerando che la SLA è una patologia progressivamente ingravescente, è ipotizzabile che
l’organismo metta in atto dei meccanismi finalizzati alla conservazione delle sue funzioni. Così,
ad esempio, è possibile ipotizzare che in un muscolo che va incontro ad atrofia e perdita di
forza, si possa mettere in moto un meccanismo atto a preservare la sua funzionalità, come ad
esempio lo switch fast to slow delle miofibrille. Tale fenomeno potrebbe risultare
nell’acquisizione di resistenza muscolare alla fatica e quindi potrebbe consentire, in ultima
analisi, il mantenimento dei movimenti volontari nonostante la severità della malattia. Il
polimorfismo Gly482Ser sembra avere un ruolo chiave proprio in questo fenomeno; infatti, è
noto dalla letteratura che lo SNP inibisca lo switch da fast a slow delle miofibre e che nei
muscoli dei portatori dello SNP Gly482Ser non si abbia l’aumento del numero di fibre ossidative
lente come accade normalmente durante l’attività fisica (Steinbacher et al., 2015 a). Uno studio
condotto da Zhang e colleghi (2007) mostra che il cambio aminoacidico Gly482Ser causa
un’alterazione nel sito di legame per MEF2, regolatore chiave dello switch miofibrillare,
compromettendo così la formazione del complesso Pgc-1α/MEF2, che normalmente andrebbe
ad attivare i geni per le fibre lente. Ciò potrebbe comportare un maggior utilizzo delle fibre
glicolitiche, dipendenti da un metabolismo anaerobico, che, pur sopperendo in parte alla
carenza di ossigeno, induce un aumento della produzione di acido lattico. L’eccessivo
incremento di lattato durante lo sforzo potrebbe eccedere la capacità dell'organismo di
limitarne i livelli, con conseguente accumulo del lattato stesso nel sangue. Diversi studi (Lucia et
al., 2005; Eynon et al., 2010) mostrano che la presenza dell’allele Gly482, contrariamente
all’allele 482Ser, favorisce le performances fisiche, probabilmente in quanto i soggetti GG
mostrano un minor accumulo di acido lattico. Questi dati sono in accordo con i risultati ottenuti
70
in questo lavoro di tesi, che vedono un incremento di lattato nei pazienti A Carriers, rispetto
agli individui wild type GG. È possibile dunque ipotizzare che la presenza dell’allele raro A
impedisca lo switch fast to slow conferendo al muscolo sollecitato, una minore resistenza alla
fatica, che potrebbe essere spiegata dall’accumulo di lattato riscontrato durante il test da
sforzo eseguito dai pazienti in esame. Questo meccanismo potrebbe concorrere, in associazione
ad una maggiore suscettibilità allo stress ossidativo, come dimostrato dai valori di AOPP che
sotto sforzo aumentano negli omozigoti AA, a favorire le conseguenze negative dell’esercizio
nei pazienti SLA. D’altro canto, un recente studio condotto da Nishida e collaboratori (2015),
rileva che soggetti A Carriers, sottoposti a test da sforzo su cicloergometro, mostrano una
maggiore soglia del lattato (LT) rispetto agli individui GG; mentre le differenze tra soggetti wild-
type ed eterozigoti risultano marginali, quelle osservate tra wild-type e omozigoti AA sono
significative. Questa incongruenza con i dati presenti in letteratura, potrebbe dipendere,
secondo l’autore, da differenze nella fitness cardiorespiratoria dei soggetti analizzati (Nishida et
al., 2015).
Risulta comunque difficoltoso comparare i risultati dei diversi studi presenti in letteratura circa
gli effetti dei protocolli di training nel migliorare o mantenere l’equilibrio ossido-riduttivo
cellulare. Basti pensare alle molteplici variabili da considerare tra cui i modelli analizzati (topo,
uomo), le differenze tra i biomarcatori valutati (danno ossidativo al DNA, alle proteine, ai lipidi
o marcatori che valutano la componente antiossidante, enzimatici e non enzimatici); il
materiale biologico (urine, plasma/siero, eritrociti, tessuti) e le metodiche con cui vengono
saggiati. Inoltre, non è da sottovalutare il background genetico degli individui, i fattori
ambientali (dieta, fumo), la molteplicità dei tipi di training adoperati, se si tratta quindi di
attività fisica di lieve, moderata o di intensa entità, se è di tipo aerobico o anaerobico, se si
considera un training a lungo termine o burts di esercizi intensi e di breve durata (secondi o
pochi minuti).
In conclusione, i dati ottenuti nel presente lavoro di tesi non hanno evidenziato alcun effetto
dello SNP sui biomarcatori di stress ossidativo, in condizioni basali. Durante l’esercizio si è
rilevato un aumento del danno ossidativo alle proteine solo nei portatori dell’allele raro in
condizione di omozigosi, anche se il meccanismo alla base di questo fenomeno non è ancora
chiaro. Non sono state invece riscontrate differenze nei livelli plasmatici dei biomarcatori
antiossidanti, enzimatici e non enzimatici, tra soggetti A Carriers versus soggetti G Carriers.
L’eventuale presenza nel gene PGC-1α dello SNP Gly482Ser, che potrebbe influire
71
negativamente sulla trascrizione dei geni antiossidanti, non basta a spiegare l’aumento del
danno ossidativo osservato; infatti, l’espressione dei geni, come visto in precedenza, richiede
tempistiche più lunghe (anche ore) rispetto ai tempi in corrispondenza dei quali abbiamo
valutato i biomarcatori di stress ossidativo. Sarebbe stato interessante investigare le variazioni
dell’attività degli enzimi antiossidanti Sod e Cat a distanza di diverse ore dalla fine dello sforzo
fisico; ciò non è stato possibile per i motivi sovraesposti e questo rappresenta probabilmente
un limite di questo studio. Non è stato possibile quindi dimostrare, ma neppure escludere, un
ruolo dello SNP sull’espressione dei geni che codificano per questi enzimi del sistema di difesa
antiossidante.
Il precoce accumulo di lattato osservato nei portatori dell’allele raro A, in particolare negli
omozigoti AA, sembra confermare precedenti studi in cui si dimostra che lo SNP inibisce la
conversione, indotta da esercizio fisico, da fibra veloce a fibra lenta. Potremmo quindi
ipotizzare che la presenza dello SNP possa compromettere gli effetti benefici che PGC-1α
sembra normalmente esercitare sul muscolo scheletrico, in particolari condizioni. Durante
l’esercizio fisico infatti la combinazione di stimolo neuromuscolare e contrazione promuove
l’espressione di PGC-1α; questa proteina, maggiormente presente nei muscoli di individui che
eseguono regolarmente attività fisica, sembra responsabile degli adattamenti muscolari legati
all’attività di endurance, come l’incremento delle capacità ossidative e una probabile
conversione delle fibre glicolitiche in quelle ossidative. Inoltre, Pgc-1α sembra svolgere
un’attività trofica sul tessuto muscolare, contribuendo al mantenimento della massa muscolare
stessa. Possiamo quindi ipotizzare che molecole che inducono l’espressione sistemica, o
tessuto-specifica, di PGC-1α, potrebbero essere usate come trattamento per migliorare le
funzioni muscolari, le prestazioni fisiche e ridurre l’atrofia, determinando una migliore qualità
di vita per i pazienti affetti da SLA.
72
7. Conclusioni
I risultati da noi ottenuti mostrano che i pazienti sSLA in esame, rispetto ai controlli sani, hanno
un aumento del danno ossidativo e una diminuzione delle riserve antiossidanti, confermando
che lo stress ossidativo sia coinvolto nella patogenesi della malattia.
I dati relativi al polimorfismo Gly482Ser, in posizione 1444 nell’esone 8 del gene che codifica
per PGC-1α (rs8192678), fanno supporre che lo SNP non sia un possibile fattore di suscettibilità
genetica per la SLA.
La presenza dell’allele raro A non sembra essere correlata allo stress ossidativo, in quanto, i
livelli plasmatici dei biomarcatori di danno alle proteine AOPP e antiossidanti non enzimatici
FRAP e tioli, valutati nell’intera popolazione presa in esame e singolarmente, nel gruppo dei
pazienti e nel gruppo dei controlli, non mostrano alcuna differenza tra portatori e non portatori
di questa variante allelica. Lo SNP non sembra inoltre avere alcun effetto sull’attività degli
antiossidanti enzimatici Sod e Cat.
Nonostante sia noto che l’esercizio fisico intenso possa indurre un incremento di stress
ossidativo, i pazienti, sottoposti a test da sforzo incrementale, non mostrano variazioni nei
livelli degli AOPP, della FRAP e dei gruppi tiolici totali, durante e subito dopo l’esecuzione
dell’esercizio, mentre induce variazioni dei livelli di acido lattico. Suddividendo i pazienti in base
al loro genotipo, si osserva, tuttavia, che gli omozigoti AA mostrano, rispetto al resto dei
pazienti, livelli degli AOPP più elevati per tutta la durata dello sforzo, suggerendo che la
variante allelica rara A possa concorrere, durante l’attività fisica, ad incrementare il danno
ossidativo.
Inoltre l’allele raro A sembra essere associato a un maggior accumulo di lattato durante
l’esercizio fisico, indicando un possibile ruolo dello SNP nella compromissione di un corretto
meccanismo di switch delle fibre muscolari.
Conoscere il genotipo di appartenenza di ogni paziente potrebbe, quindi, essere utile per
disegnare appropriati protocolli di training, al fine di mantenere la funzionalità dell’apparato
muscolo scheletrico il più a lungo possibile.
73
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9. Ringraziamenti
Desidero ringraziare il Professor Gabriele Siciliano per l’opportunità offertami, per la cortese e
validissima collaborazione concessami e per la disponibilità dimostrata sempre nei miei
confronti. Ringrazio inoltre la Professoressa Luciana Dente e il Professor Aldo Paolicchi,
correlatori della presente tesi, per la loro disponibilità e per i consigli che mi hanno fornito
durante il colloquio.
Un grazie particolare va a tutti i componenti del Laboratorio di Neurobiologia Clinica e
Neurochimica della Clinica Neurologica, in modo particolare alla Dottoressa Lucia Chico e alla
Dottoressa Lucia Petrozzi, per la disponibilità e la professionalità con cui mi hanno seguito sia
durante l’attività di tirocinio che nella stesura della tesi.
Un doveroso e sentito ringraziamento va ancora una volta ai miei genitori senza il cui costante
supporto, dimostratomi soprattutto nei momenti di difficoltà, non sarei mai riuscita a
completare i miei studi universitari, né tanto meno a raggiungere questo ulteriore traguardo.
Un ringraziamento caloroso al mio fidanzato Nicola, che con amore, fiducia e pazienza mi ha
sostenuta in questi ultimi anni universitari, con la speranza che continui a farlo a lungo.
Ringrazio tutti gli amici e i familiari che in questi anni mi sono stati vicini, ma anche tutti coloro
che hanno provato ad ostacolare il mio cammino: è anche grazie a voi se sono diventata più
forte.
E infine, rendo grazie a Dio, per ogni cosa che fa nella mia vita…Signore, non smetterò mai di
dirTi grazie.
Non è stato facile, ma ce l’abbiamo fatta!