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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
FACOLTA’ DI AGRARIADipartimento di Biotecnologie Agrarie
TESI DI LAUREA IN SCIENZE E TECNOLOGIE ALIMENTARI
LA CASTAGNA: DAL BOSCO ALLA TAVOLATRADIZIONE ED INNOVAZIONE
THE CHESTNUT: FROM WOOD TO TABELTRADITION AND INNOVATION
Relatore: Professoressa Anna Lante
Laureando: Carolina GiovannelliMatricola n. 537436
ANNO ACCADEMICO 2007 – 2008
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ABSTRACT
Althought, since 1930, chestnut growing has experienced a heavy fall, in the last
years we are attending a renewed interest in chestnuts from custumers and agricultural
and food industry. This phenomenon is due to a revalutation of culinary tradition,
nutritive properties attributes to this fruit, and to the increasing search of genuine and
naturale products. The valorisation of this culture is difficul because of many factors:
seasonal production, innefficient post-harvesting and pack technology, indifference
from promotion and marketing activity and chestnut’s technological limits. But, if
suitably treat, the chestnut and their derivatives are versatile raw material with
interesting chemical – structural properties, infact they are able to be used to realize
innovation produtcts, this no conventional products, supporting tradictional preparation,
allow to open up new markets. Therefore for relaunch the chestnuts growing is
necessary to realized a cooperative union between tradition and innovation, so that the
fruits of the imposing “tree’s bred” maintain deeply bond with past tradition and at the
same time join in Third Millennium with renewed interest.
RIASSUNTO
Sebbene, a partire dal 1930, la castanicoltura abbia subito una forte flessione,
negli ultimi anni si è assistito ad un rinnovato interesse da parte dei consumatori e
dell’industria agro-alimentare verso castagne e marroni. Tale fenomeno è attribuibile ad
un atteggiamento di rivalutazione delle tradizioni culinarie, delle proprietà nutritive
attribuite a questi frutti e alla crescente ricerca di prodotti associati a giudizi di genuinità
e naturalezza. La valorizzazione della coltura è resa però difficile da diversi fattori quali
la stagionalità del prodotto, inefficienti tecniche di post raccolta e condizionamento,
disinteresse da parte delle attività di promozione e marketing e limiti tecnologici del
frutto stesso.
Castagne ed i loro derivati, se idoneamente trattati, rappresentano una materia
prima versatile con interessanti proprietà chimico–strutturali che le rendono atte per la
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realizzazione di prodotti di nuova concezione, i quali, affiancandosi ai prodotti
tradizionali, consentirebbero di individuare nuovi sbocchi di mercato. Per rilanciare il
settore è quindi fondamentale realizzare un cooperativo connubio fra tradizione ed
innovazione, affinché i frutti del maestoso “albero del pane” mantengano saldamente il
legame con le tradizioni del passato e contemporaneamente si apprestino ad entrare con
rinnovato interesse nel Terzo Millennio.
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CAPITOLO 1
CASTANICOLTURA IN ITALIA
La vita dell’uomo, specialmente quella del montanaro, in particolar modo
sull’arco alpino e appenninico, è da sempre strettamente legata alla presenza del
castagno nel paesaggio agrario. Durante il Medioevo e nell’Epoca Moderna, i montanari
fondavano un nuovo villaggio solo laddove il castagno poteva crescere e dare legname e
frutti, indispensabili per le esigenze quotidiane (alimentazione, riscaldamento,
costruzioni). Nei secoli passati la coltura ha sviluppato una vera e propria “Civiltà del
castagno”, ricca di usi, tradizioni, norme giuridiche, statuti comunali, tecniche
agronomiche, controllo dei boschi e del territorio, con lo scopo di proteggere e
valorizzare questa preziosa pianta, che si presentava come la principale, se non unica
fonte di sostentamento.
Durante la prima metà del XX secolo, la castanicoltura ha attraversato una lunga
fase di stasi in seguito all’aumento demografico, che determinò una riduzione delle aree
boschive per far posto ad aree coltivabili. Nel trentennio successivo, dal 1951 al 1980,
la castanicoltura ha subito una prolungata decadenza ed un grave regresso della specie,
che ha fatto persino temere per la sopravvivenza stessa della Castanea sativa. Ciò è
stato determinato sia dallo sviluppo economico, dall’evoluzione del modello di vita e
dei consumi alimentari, sia per i danni provocati da due parassiti: Phytophtora
cambivora, agente del mal dell’inchiostro, e Cryphonectria parasitica, agente del
cancro corticale. Tale situazione si è riscontrata in particolar modo in Europa, la quale
negli anni Sessanta forniva il 60% del raccolto mondiale, invece dopo la drastica
riduzione intervenuta nell'ultimo trentennio, la produzione si è stabilizzata sulle 120-125
mila tonnellate. La produzione è sostanzialmente ristretta alla zona mediterranea dei
Paesi della UE, nella quale, oltre all'Italia, spiccano la Spagna, il Portogallo, la Francia e
la Grecia.
La Spagna produce circa 30 mila tonnellate con un export che si aggira sulle 10
mila tonnellate annue, dirette verso il regno Unito e Brasile. Il Portogallo è il terzo
produttore Europeo con 18 mila tonnellate, le esportazioni, dell’ordine di 14 mila
tonnellate, sono rivolte verso Regno Unito, Francia, Spagna e Italia. La Francia produce
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14 mila tonnellate e ne esporta solo 2 mila, si tratta di prodotto pregiato diretto verso la
Germania. La Francia importa molto prodotto, circa 12 mila tonnellate, per soddisfare
l'industria dolciaria che produce canditi, puree e creme. La Grecia produce 13 mila
tonnellate annue, destinate al mercato interno del fresco.
In opposizione al complessivo decadimento della castanicoltura europea, quella
asiatica ha mostrato una relativa tendenza verso l’incremento quantitativo della
produzione e la specializzazione degli impianti. L'area asiatica rappresenta infatti il 70%
dell'offerta mondiale e comprende i tre principali paesi produttori nell'ambito
internazionale, nell'ordine: Cina, Turchia, Corea, seguiti a distanza dal Giappone. Gran
parte dei raccolti è utilizzata all'interno degli stessi paesi produttori, tuttavia Cina e
Corea alimentano una modesta esportazione verso gli Stati Uniti. E' da notare l'offerta
Turca, che nel giro di un ventennio si è sviluppata fino a raggiungere le 90 mila
tonnellate, collocandosi al secondo posto nell'ambito mondiale.
Per i prossimi anni, si prevede un discreto incremento produttivo nelle nuove zone
castanicole da frutto localizzate nell’America del Nord (Stati Uniti), nell’America
Latina (Cile), in Oceania (Australia e Nuova Zelanda) e nell’Europa centro-orientale
(Slovacchia e Ungheria). La Corea del Sud, la Cina ed il Giappone, nell’Asia orientale,
la Turchia e l’Italia, nel bacino mediterraneo, costituiranno ancora nei prossimi anni, i
maggiori Paesi produttori, consumatori, trasformatori ed esportatori delle castagne e dei
loro derivati.
Principali paesi produttori di castagne (000 t) a livello mondiale, anno 2000.
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In Italia, secondo i dati FAO del 1997, la superficie castanicola si estende per
235.000 ettari (209,3 mila ettari secondo ISTAT), con una resa di 29 tonnellate per
ettaro. Il 76,9% della superficie è situata in zona montana, il 21,8% in collina e
solamente l’1,3% in pianura. Le aziende castanicole in Italia sono 66,2 mila con appena
76 mila ettari (ISTAT 2002). I dati del trentennio 1970-2000 evidenziano una forte
contrazione a 51,3% delle aziende e a 47,5% della superficie coltivata a castagneto.
Pertanto, dei 209 mila ettari di castagneto da frutto stimate dalle statistiche forestali,
solo 76 mila (pari al 36,6% del totale) risultano coltivati.
Dopo il 2000 si registra un calo di produzione che scende a 56,9 mila tonnellate
nel 2001, a 55 mila nel 2002 e a soli 48,6 mila nel 2003. Tale calo è da imputare sia al
diminuito vigore vegetativo degli impianti, sia allo sfavorevole andamento climatico e
al forte sviluppo di patogeni.
Le principali regioni castanicole sono Campania (26.895 t), Calabria (13.361 t) e
Lazio(12.670 t) seguite da Piemonte (7.553 t) e Toscana (6.943 t).
Produzione di castagne e marroni (000 t) a livello nazionale, anno 1997.
Nel 2002 il raccolto è stato pari a 78.000 t, delle quali 88% rappresentate da
castagne, il 12% da marroni. Attualmente il consumo fresco riguarda circa i tre quarti
dei frutti raccolti. Per il 2003, includendo anche le 12,47 mila tonnellate di castagne
importate, risultano disponibili all'impiego 61 mila tonnellate. Di tale produzione il 73%
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è destinato al consumo fresco e il restante 27% inoltrato all'industria agroalimentare di
trasformazione, all'essiccazione e ad altri impieghi. Nel dettaglio il prodotto italiano
raccolto è così destinato:
castagne: scarti, alimentazione animale e altro 5%, autoconsumo 5%, consumo
fresco 40%, industria di trasformazione 10%, essiccazione 10%, esportazione 30%.
marroni: scarti, alimentazione animale e altro 5% o meno, autoconsumo dal 10 al
15%, consumo fresco 20-30%, industria di trasformazione 35-40%, essiccazione 2%,
esportazione 15-20%.
I prodotti trasformati sono distinguibili in prodotti finiti e semilavorati: i primi,
pronti per la commercializzazione e il consumo (castagne secche, farina, marrons
glacés, marroni sotto alcool, al naturale, sotto vuoto) i secondi sono destinati ad ulteriori
lavorazioni (essenzialmente marroni e castagne, pelati o ridotti in purea).
Destinazione prevalente di castagne e marroni.
Verso la fine dell’Ottocento, al seguito della crescente emigrazione italiana verso
gli Stati Uniti d’America, le castagne hanno seguito gli emigranti, dando vita ad un
flusso costante di esportazione di frutti curati, cioè tenuti a bagno per alcuni giorni, in
modo da prevenire l'insorgere di muffe e funghi, e poi asciugati ed imballati in botti o
cassoni di legno che attraversavano l’oceano su piroscafi di linea e mercantili. Ancora
oggi, il commercio di castagne verso gli Stati Uniti è molto consistente, si aggira intorno
a 2.300 tonnellate annue.
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Durante l’ultimo decennio, in linea con la ripresa produttiva ed il maggior
interesse per il castagno, anche il commercio internazionale si è incrementato: nel 1990
si sono esportate 13.500 tonnellate, mentre nel 1998 la quantità esportata è salita a
23.600, pari a circa il 30,1% della produzione raccolta nell’anno. Sempre nel 1998 il
48,3% dell’export italiano è stato inviato nei Paesi dell’Unione Europea, mentre il
restante 51,7% è stato distribuito principalmente in America ed in Asia. In Europa, i
principali Paesi acquirenti del prodotto italiano sono Francia, Svizzera e Germania che,
nel 1998, hanno assorbito rispettivamente circa 4.800, 3.000 e 2.800 tonnellate. Sempre
nel 1998, in America, gli Stati Uniti ed il Canada hanno importato complessivamente
4.500 tonnellate. Nel 2003 e 2004, per quanto l'esportazione si mantenga sopra le 20
mila tonnellate, si registra un calo dovuto alla forte contrazione della produzione
raccolta.
L’importazione verso l’Italia è assai limitata, ha raggiunto l’apice nel 1980, con
oltre 8.600 tonnellate, per poi scendere costantemente, a partire dai primi anni ‘90, fino
alle 1.600 tonnellate registrate nel 1991; nel corso del 1998 sono state importate
complessivamente 3.900 tonnellate. L’esame della ripartizione regionale del commercio
estero nel 1998 rileva come la Campania rappresenti il 57,0% della quantità ed il 54,3%
del valore dell’esportazione e come il Piemonte esporti il 17,9% del prodotto
corrispondente al 16,0% del valore nazionale. Per quanto concerne l’importazione la
regione più attiva è l’Emilia-Romagna che ha ricevuto nel 1998 oltre 16.000 quintali
(42,2% del totale nazionale) pari a 3,7 miliardi di vecchie lire (42,8% del valore
dell’import italiano), segue il Piemonte che ha importato il 15,7% della quantità pari
all’11,6% del valore complessivo. Oltre all’esportazione di castagne, è possibile
enucleare anche il commercio internazionale di puree e paste di marroni ottenute
mediante cottura, si tratta di prodotti di nicchia che, sia pur limitatamente,
contribuiscono all’esportazione e tengono aperti potenziali nuovi sbocchi di mercato.
L’esportazione già in crescita, può migliorare ulteriormente le proprie posizioni e
conquistare nuove quote di mercato, avendo a disposizione partite di miglior qualità e
accompagnate da un maggior valore aggiunto. A tale proposito è importante ricordare
che oggi in Italia hanno conseguito il riconoscimento europeo di IGP e DOP diverse
varietà di castagne fra cui la castagna di Montella (Campania) e la castagna del Monte
Amiata (Toscana), alcune varietà di marroni: Marrone di Castel del Rio, il Marrone del
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Mugello e il Marrone di San Zeno, una farina di castagne: farina di Neccio della
Garfagnana; e un miele di castagno: il miele della Lunigiana. La rivalutazione della
storia, antropologia, cultura, tradizioni, gastronomia ed usi legati al castagno, nonché il
suo ruolo nella conservazione del paesaggio agroforestale e nella difesa idrogeologica
del suolo, consentono di guardare con più serenità al maestoso “albero del pane”, che si
appresta ad entrare, con ritrovata agilità e nuovo vigore, nel Terzo Millennio.
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CAPITOLO 2
CASTANEA SATIVA: CARATTERISTICHE BOTANICHE
Il Castagno appartiene alla famiglia delle Fagaceae, che include anche i generi
Fagus e Quercus. L’attuale classificazione tassonomica del genere Castanea si basa
sullo studio effettuato da Jaynes (1975) in cui si ipotizza che la pianta si sia originata in
Cina; dall’antenato si sarebbero poi sviluppate due vie di migrazione: una verso
l’Europa che ha dato origine all’attuale specie C. sativa, ed una verso l’America, essa
avrebbe dato origine alle specie asiatiche in particolare alla specie C. crenata e C.
mollissima coltivate in Cina, Giappone e Corea, e C. dentata coltivata in America.
Particolare importanza è attribuita alla C. sativa e alle specie asiatiche per la loro
resistenza al mal dell’inchiostro ed al cancro corticale.
La pianta, introdotta in Europa con l’Impero Romano, ha avuto un grande impulso
sia come specie complementare alla viticoltura, sia nella tipica coltivazione a ceduo
denominata silva palarsi. La Castanea sativa di Miller è la specie europea dalla quale
derivano le cultivar da frutto diffuse in Europa e nei paesi che si affacciano sul
Mediterraneo, si trova infatti in Portogallo, Spagna, Francia, Italia, Slovenia, Croazia,
Grecia, Bulgaria, Turchia, alcune regioni dell’ex URSS fino al Mar Caspio ed una fascia
ristretta del Nord Africa, dal Marocco alla Tunisia.
2.1. Habitat
Il castagno cresce nelle regioni montuose temperate ed è coltivata fra i 300 e i
1000 m s.l.m. a seconda della latitudine della zone di impianto. Sebbene sia una pianta
amante del sole, vegeta bene in posizione collocate a nord nord-est poiché meno esposte
ai periodi siccitosi estivi e con minor escursioni termiche. Vive in zone con una media
annua di precipitazioni compresa fra i 600 ed i 1600 mm con almeno 30 mm nei mesi
estivi, con precipitazioni minori la produzione può essere sensibilmente ridotta.
Si adatta a temperature medie annue comprese fra gli 8°C ed i 15°C ed esige una
temperatura superiore ai 10°C per almeno sei mesi, è infatti una pianta con
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temperamento mesofilo, resiste comunque bene alle basse temperature invernali fino a
20°C o 25°C. In condizioni ambientali particolarmente favorevoli i limiti superiori ed
inferiori possono andare oltre le cifre indicate, è così ad esempio ai piedi delle Apuane e
dell’isola d’Elba, dove il castagno scende fino al livello del mare.
E’ esigente nei riguardi della natura fisico-chimica del terreno, poiché prospera
solo in terreni a reazione acida, il pH non dovrebbe essere superiore a 6,5, rifugge
terreni calcarei, dolomitici e poco drenati. Se il castagno è presente in zone calcaree,
bisogna dedurre che i terreni esplorati dal sistema radicale siano completamente
decalcificati, come si verifica sulle alpi Apuane. Gli si addicano terreni ricchi di fosforo,
come sono quelli di origine vulcanica, ne sono una dimostrazione i castagneti che
crescono sui trachiti del monte Amiata.
La densità di piantagione dovrebbe essere di 80-150 piante per ettaro in modo da
consentire alla chioma delle singole piante di avere uno sviluppo ampio e regolare e di
essere ben illuminate in ogni loro parte.
2.2. Fusto
Il castagno è un albero longevo, alto in media dai 15 ai 20 metri, capace di
raggiungere notevoli dimensioni anche di 30–35 metri di altezza e 6–8 metri di
circonferenza. Il fusto ed i rami presentano, nei primi anni, una corteccia liscia,
brillante, munita di lenticelle trasversali allungate. Il colore all’inizio è bruno-rossastro,
poi col tempo diventa grigio ulivaceo. Dopo 10-15 anni la corteccia si presenta di colore
grigio-bruno con profonde screpolature in senso longitudinale.
I fusti possono manifestare difetti come nodi e cipollature cioè fessurazioni lungo
un piano longitudinale tangenziale fra due diversi anelli di accrescimento adiacenti che
possono causare il distacco completo fra le due parti del tronco. Si può distinguere una
cipollatura traumatica legata a traumi, lesioni e stress subiti dalla pianta, ed una sana
più grave dal punto di vista tecnologico perché risultato di più fattori concatenati di
difficile determinazione, legati a caratteristiche genetiche, stazionali e di gestione
selvicolturale. E’ un difetto legato alla presenza di tensioni interne di accrescimento e
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che talvolta si manifesta solo in seguito all’abbattimento o durante le successive
lavorazioni del tronco compromettendone la lavorazione.
2.3. Foglie
Le foglie sono caduche e disposte alternativamente, la forma è ellittico-lanceolata,
sono dentate ai bordi, con apice acuminato e base leggermente
cuneata, misurano da 8 a 10 cm in lunghezza e da 3 a 6 cm in
larghezza. La loro consistenza è piuttosto tenace, quasi coriacea. La
pagina superiore è lucida di colore verde scuro, quella inferiore è
opaca di colore verde più chiaro.
2.4. Infiorescenze
Le infiorescenze sono formate da fiori unisessuali, monoici e poligami, portati
sulla vegetazione dell’anno che quindi si evolvono solo a foliazione completa; i fiori
maschili o staminiferi sono portati in infiorescenze lunghe da 10 a 20 cm; i fiori
femminili o pistilliferi, meno numerosi, solitari o aggregati in numero
di 2 o 3 fino a 7, sono localizzati alla base delle infiorescenze
staminifere e sono protetti da un involucro verde, squamoso, destinato
a costruire la cupola, comunemente detta riccio, di colore verde
dapprima, giallo-marrone a maturità. Il riccio, contrariamente a quanto
si pensa è il frutto mentre la castagna è il seme.
Nella cultivar da frutto, i singoli fiori inseriti sugli amenti sono sterili,
non producono cioè polline. Le piante di queste cultivar sono femminili per aborto
dell’androceo, per allegare il frutto esse hanno quindi bisogno dell’apporto di polline da
parte di altre piante con fiori maschili, altrimenti si avrà cattiva impollinazione ed i ricci
risulteranno vuoti. Non tutti i fiori allegano per cui ogni infiorescenza può contenere
una o due castagne, raramente tre.
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2.5. Frutto
Il frutto è un achenio incluso in una cupola spinescente, il riccio. La forma delle
castagne è determinata, oltre che geneticamente, dalla posizione all’interno del riccio: è
emisferica per i frutti laterali, appiattita per quello centrale. Le castagne hanno un
pericarpo liscio e resistente di un colore che va dal marrone chiaro al bruno con
presenza di striature longitudinali. Sulla parte distale della castagna è posta la torcia
costituita dai resti pelosi degli stili del fiore, mentre sulla parte
basale si trova l’ilo o cicatrice ilare, un’area di colore più
chiaro dal resto del frutto. All’interno del frutto si trova la
parte edule, cioè il seme, caratterizzato da una polpa chiara e
consistente, sovente divisa in porzioni irregolari da setti membranacei costituenti
l’episperma, una pellicola rosso–bruna detta pula, che riveste l’intero seme. La causa
della maggior o minor aderenza dell’episperma al seme è correlata alla presenza di
polifenoli accumulati nell’episperma medesimo (Tanaka et al. 1981, Tanaka, Kotobuki
1992-1993).
Le castagne possono essere selvatiche o domestiche. Quelle domestiche hanno
piccole dimensioni, peso intorno ai 20g, sono dolci e a pellicola facilmente staccabile, le
selvatiche sono ancor più piccole, hanno un peso minore a 10g, sono meno dolci e a
pellicola difficilmente staccabile.
La pianta di marrone, proveniente da alberi coltivati e migliorati con successivi
innesti, è l’ultima ad entrare in vegetazione ed è pure l’ultima a perdere le foglie e a
portare a termine la maturazione dei frutti. E’ molto vulnerabile alle anomalie
climatiche stagionali, mentre presenta buona resistenza alle malattie crittogamiche che
colpiscono le foglie. Il frutto è caratterizzato da sapore dolce e profumato, dimensioni di
media grandezza, con peso attorno ai 60g, forma arrotondata, buccia rossastra con strie
longitudinali più scure. Ogni riccio contiene normalmente un solo seme. La cicatrice
dell’ilo è piccola e presenta margini sinuosi provvisti di peli. Ciò distingue il frutto del
marrone da quello delle altre castagne che, invece presentano un ilo largo a margini
lisci. Fra le diverse varietà si ricorda il Marrone Fiorentino, il Michelangelo e il
Marrone di Marradi.
I termini castagna e marrone ingenerano spesso confusione, una definizione molto
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semplice può essere quella data da Bergougnoux et al. (1978): “nella castagne la
percentuale di frutti settati è maggiore del 12%, nei marroni è invece minore”. Questa
definizione non è tuttavia gradita ai castanicoltori e commercianti italiani, che
distinguono fra castagne e marroni in base a differenze varietali.
Una pianta di castagno adulta in ottime condizioni vegetative, di terreno e di clima
può dare un prodotto medio annuo di 40-50 Kg pesato allo stato fresco. La produzione
inizia verso il quindicesimo anno ed è pari a 20-30 Kg per anno; per ettaro in media può
produrre da uno a due tonnellate. La massima produzione si ottiene a 80-100 anni di età,
si tratta infatti di piante longeve, e non pochi sono gli esemplari ultracentenari che sono
stati individuati, fra i più famosi si ricorda il castagno di Cento Cavalli ubicato nel parco
dell’Etna.
2.6 Fasi fenologiche
Il germogliamento avviene a primavera inoltrata fra fine marzo e fine Aprile
poiché il castagno europeo ha un elevato fabbisogno di calore. Il periodo che intercorre
fra la comparsa delle prime foglie e la maturazione dei frutti varia da 140 a 185 giorni.
La fioritura ha inizio fra giugno e luglio, a seconda delle cultivar e dell’ambiente.
I ricci fecondati iniziano immediatamente ad accrescersi in ricci spinosi che
raggiungono le dimensioni finali in settembre ottobre. Nel periodo che va da Agosto ad
Ottobre si verifica la maturazione e la caduta dei frutti, gli ibridi eurogiapponesi sono i
più precoci. Fra fine Ottobre e metà Novembre inizia l’ingiallimento e la caduta delle
foglie.
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CAPITOLO 3
PRINCIPALI AVVERSITA’
3.1. Mal dell’inchiostro
Il castagno, generalmente considerato pianta assai rustica, si mostra
particolarmente suscettibile ad attacchi dell’apparato radicale dovuti ad agenti fungini. I
danni più gravi sono causati da Oomiceti del genere Phytophthora (Phytophthora
cambivora), che provocano il cosiddetto “mal dell’inchiostro”. Questa malattia diffusasi
in Europa alla fine dell’Ottocento, riguarda il capillizio radicale delle piante ed è
presente nei luoghi in cui il terreno, per la giacitura, il contenuto di argilla o la presenza
di acqua di ruscellamento, trattiene una certa quantità di umidità durante il periodo
primaverile - estivo permettendo la diffusione di propaguli del microrganismo (zoospore
flagellate).
Fino agli anni trenta, periodo in cui ha avuto inizio la diffusione del cancro
corticale, questo patogeno è stato considerato la principale causa di danno dei
castagneti. Attualmente danni da mal dell’inchiostro destano ancora una certa
preoccupazione, specialmente se si tratta del recupero di castagneti trascurati per un
certo numero di anni e nel caso del recupero dei cedui e dei castagneti da frutto.
La presenza del mal dell’inchiostro, non è sempre facile da diagnosticare, si
manifesta con necrosi sulla corteccia e fuoriuscita di liquido nerastro da alcune fessure
che si formano alla base del fusto. Le piante attaccate mostrano imbrunimenti della
corteccia quasi sempre a forma di fiamma. Nei casi più gravi, dalle piante ammalate, se
sottoposte a scortecciamento, emana un forte odore tannico. Sintomi secondari della
malattia sono deperimento, riduzione di crescita e ingiallimento progressivo della
chioma con disseccamento degli apici dei rami. Le foglie che appaiono di dimensioni
ridotte, cadono precocemente, anche un mese prima, ed i rami trattengono a lungo i ricci
che non arrivano a maturità. La progressione della malattia è in stretta dipendenza con
la vigoria e l’età delle piante, ma può variare anche in relazione alla virulenza del
patogeno. Nei casi peggiori le ceppaie muoiono in una o due stagioni vegetative.
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Attualmente le segnalazioni sulla presenza della malattia sono in aumento.
Lotta contro il mal dell’inchiostro
La lotta in pieno campo contro gli organismi del genere Phytophthora risulta
molto difficile da realizzare, per poter avere qualche risultato bisognerà agire in modo
integrato considerando interventi di tipo colturale e biologico.
In generale questi funghi appaiono particolarmente sensibili alle basse
temperature, a questo proposito è stato rilevato che la mitezza degli inverni non ostacola
il patogeno, ma anzi se accompagnata da scarse cure o da parziale abbandono del
castagneto, favorisce la diffusione del mal dell’inchiostro. Le metodiche di lotta in
questo caso si basano su interventi colturali di tipo fisico che possono prevedere,
insieme alla rimozione delle cause del ristagno di umidità, l’esposizione delle ceppaie al
freddo invernale, scalzandone parzialmente i fusti alla base e sostituendo il terreno con
pietre per favorire il passaggio dell’aria.
Altra caratteristica delle Phytophthorae è che mal sopportano la concorrenza di
altri miceti del suolo. In questo caso gli interventi di lotta, di tipo colturale - biologico,
consistono per lo più nella ripresa di tradizioni colturali del passato, dimostratesi ancora
oggi estremamente attuali ed efficaci. Si è notato infatti che, laddove i castagneti erano
sottoposti a pascolo, l’apporto di sostanza organica favoriva la microflora non patogena
del suolo, stimolava la concorrenza fra organismi e il contenimento della malattia. Da
prove eseguite in varie località del Mugello, anche con il contributo tecnico dell’ARSIA
(Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore agricolo forestale), si è
potuto rilevare che somministrando alle piante letame ben maturo, pollina o concimi
biologici (NP + K pellettato), durante la ripresa vegetativa, si è ottenuta una buona
risposta degli alberi trattati, anche di quelli con sintomi della malattia, che hanno
cominciato a ricostituire le loro chiome, dimostrando così la ritrovata vitalità dovuta
all’apporto di sostanze nutritive, all’effetto stimolante del concime sulla microflora e al
miglioramento della struttura del terreno.
L’impiego di concimi organici, in dosi variabili (da 100-150 kg/pianta di letame;
10-30 kg/pianta di pollina; 5-10 kg/pianta di concime biologico), sono compatibili con i
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protocolli di coltivazione per le aziende in regime biologico o integrato ed ammessi dal
Disciplinare di produzione integrata di castagno da frutto della Toscana. Interventi di
tipo chimico sono realizzabili invece soltanto in vivaio con prodotti a base di rame o
antiperonosporici.
3.2. Cancro della corteccia
La malattia più pericolosa per il castagno è costituita dal cancro della corteccia
provocato dal fungo ascomicete Cryphonectria parasitica conosciuto un tempo come
Endothia parasitica. Questo patogeno è di origine asiatica, ma è giunto in Europa dal
nord America in seguito al trasporto di materiale infetto negli anni trenta. E’
responsabile di una grave patologia che per molti anni ha fatto temere per le sorti del
castagno nel nostro ambiente.
L’azione del fungo sulla corteccia dei giovani fusti e dei rami provoca delle
necrosi (cancri) che si estendono fino a circondare i rami. La corteccia degli organi
colpiti assume una colorazione scura, si disidrata, si deprime e si fessura fino a mettere
a nudo il legno causando la morte della parte epigea. Attorno alla parte necrotizzata si
sviluppano le fruttificazioni del fungo, riconoscibili come piccoli cuscinetti micelici
giallo-rossastri di circa 1mm, emergenti dalla corteccia morta. Tali strutture si
sviluppano specialmente durante i periodi umidi con temperatura mite.
Alla dispersione delle ascospore concorrono vari agenti, soprattutto insetti, ma
anche acari, lumache e uccelli che si imbrattano e trascinano con il loro corpo la
mucillaggine. Anche l’acqua piovana contribuisce alla diffusione dell’inoculo
disperdendolo, in minutissime goccioline o trascinandolo verso il basso, sulle piante
infette. Persino l’uomo, trasportando da un luogo ad un altro porzioni di piante infette o
utilizzando utensili contaminati, può diventare vettore della malattia.
Fortunatamente dagli anni cinquanta la malattia, dopo un periodo altamente
epidemico, ha cominciato un lento regresso e in alcune zone non è più considerata un
pericolo così devastante. In base alle modalità con cui la patologia si manifesta si parla
di cancro normale, intermedio o anormale.
19
Lotta contro il cancro della corteccia
Le osservazioni, compiute ormai da decenni in differenti comprensori forestali
italiani ed europei, hanno messo in evidenza che la lotta contro il cancro del castagno
può essere effettuata soltanto assecondando il processo naturale della diffusione dei
ceppi ipo-virulenti a scapito di quelli aggressivi. La diffusione di questi isolati
costituisce un meccanismo di lotta biologica “spontanea” apparentemente irreversibile,
che può essere soltanto incoraggiato, per assicurare la sopravvivenza del castagno. Le
vie di intervento possono essere varie, dalla diffusione artificiale degli isolati ipo-
virulenti, operazione che richiede una certa dose di competenze tecniche e di
conoscenza della situazione ambientale, alla semplice eliminazione dei cancri normali,
riducendone la possibilità di diffusione accompagnata dal rilascio di polloni e fusti
colonizzati da ceppi ipo-virulenti con cancri anormali, in modo da velocizzare la loro
affermazione in natura.
3.3. Curculio elephas
Curiolo elephas detto anche balanino o punteruolo delle castagne, è
comunemente diffuso nell’Europa meridionale. In Italia la specie è presente in tutti gli
areali dove vegeta il castagno.
Gli esemplari adulti si nutrono delle giovani gemme mentre le larve si sviluppano
all’interno dei semi delle piante ospiti. Gli adulti si osservano sulle piante da giugno ad
agosto. Le femmine mature, mediante il rostro perforano il riccio e la castagna e subito
dopo depongono nel foro l’uovo che con l’aiuto del rostro spingono in profondità.
Curculio elephas causa una cascola precoce e l’entità del danno
varia in funzione della varietà e della spinosità del riccio.
Per minimizzare i danni apportati dall’insetto si deve
intervenire con una tempestiva raccolta e distruzione delle castagne
cadute precocemente e non ancora forate, operando in questo modo
20
per più anni è possibile ridurre sensibilmente la popolazione dei fitofagi. Si possono
anche porre delle reti al di sotto della chioma, evitando così che le larve mature,
fuoriuscite dai frutti si interrino riuscendo a superre l’inverno.
3.4. Tortice
Esistono tre specie differenti di tortice: la tardiva, l’intermedia e la precoce. Il
picco dei voli avviene fra giugno e settembre quando i ricci sono già ben sviluppati.
Lunga la pagina superiore o inferiore delle foglie si rinvengono le uova, dalle quali
nascono le larve che rapidamente penetrano nei ricci. Da prima la larva scava gallerie
periferiche nei tessuti dell’ilo per poi penetrare all’interno. Si distingue quindi fra danno
estetico quando l’insetto si limita a rodere l’esterno del frutto, e danno reale quando gli
insetti penetrano all’interno e si nutrono del contenuto. Nelle aziende il cui prodotto è
destinato al mercato fresco, i frutti con danno estetico spesso non sono eliminati ma
venduti insieme con quelli sani, questo può essere un inconveniente, dato che influenza
negativamente il consumatore al momento dell'acquisto. Le castagne colpite da danno
estetico possono essere tranquillamente destinate all’industria delle trasformazioni, dato
che il difetto non altera le qualità organoletiche del frutto. Nel castagno l’infestazione,
coincidente con la cascola fisiologica, può causare la perdita del 50% del prodotto alla
raccolta.
3.5. Cinipide
A partire dal 2002 in Italia è stata segnalata la presenza di un nuovo insetto:
Drycosmus kuriphilus, detto cinipide galligeno o vespa cinese. L’insetto attacca il
castagno e causa danni sia in termini di perdita di frutti sia di accrescimento delle
piante. E’ stato introdotto accidentalmente in Europa dalla Cina nel 2002, in Italia è
stato individuato per la prima volta nella provincia di Cuneo. Poiché non esistono
antagonisti naturali in grado di contenere il cinipide del castagno, il 30 ottobre 2007 è
stato emanato un Decreto di lotta obbligatoria da parte del Ministero delle politiche
21
agricole e forestali in attuazione del quale Arpat ha definito le aree di insediamento ed i
focolai indicando, in uno specifico decreto, le azioni da intraprendere per il
contenimento dell’insetto.
Per ottenere un prodotto sano e di qualità occorre integrare tutte le possibili
tecniche di controllo attualmente conosciute, realizzando una lotta integrata. Infatti il
buon andamento commerciale della castagna registrato negli ultimi anni è da attribuire
in buona parte anche alla definizione di “qualità e naturalità” assegnata dai consumatori
alle castagne fresche e ai loro derivati. Pertanto, al fine di poter ulteriormente
valorizzare questo antico prodotto è indispensabile individuare metodi di lotta efficaci,
ma al tempo stesso a basso impatto ambientale, garanti di un prodotto finale privo di
residui chimici.
22
CAPITOLO 4
LA RACCOLTA
4.1. Raccolta manuale
Le castagne sono tipici prodotti autunnali, a maturazione ultimata cadono
spontaneamente dall’albero. Il periodo di raccolta va da settembre fino a dicembre, gli
ibridi eurogiapponesi e giapponesi si trovano già a settembre inoltrato. Generalmente i
castagneti vengono preparati alla raccolta pulendo il sottobosco da foglie e rami in
modo che i cardi e le castagne risultino ben visibili, dopodichè ha inizio la raccolta, essa
avviene a mano con l’ausilio di rastrelli e la caduta può essere accelerata bacchiando i
rami con pertiche. La battitura va fatta con mano abile e leggera, in modo da evitare
lacerazioni corticali e lo stroncamento dei rami. I frutti vengono messi da prima in ceste
di vimini, poi sono trasferiti in balle di juta. La raccolta manuale è l’operazione
colturale più onerosa incidendo per il 50% sul costo totale di produzione. La resa oraria
varia in funzione delle caratteristiche del castagneto: in piantagioni tradizionali può
aggirarsi intorno a 10-15 Kg/h/persona, fino a scendere a 5-10 Kg/h/persona se il suolo
è in pendio, non ripulito ed i frutti sono di piccola pezzatura. In frutteti moderni e
razionali con frutti di media pezzature, le reso possono raggiungere 20-25 Kg/h/persona.
Nelle selve castanili gestite vi sono spesso dei cartelli con divieto di raccolta con
la seguente indicazione: “questa selva castanile è gestita dal suo proprietario, la raccolta
delle castagne spetta pertanto unicamente a lui fino all’11 novembre”. Chiunque, se è
proprietario di alberi di castagno o se ha il permesso del proprietario, può raccogliere
castagne e se lo desidera le può consegnare ai centri di raccolta specializzati. Castagne
non cernite, che non ottemperano i requisiti minimi (assenza di sporcizia, vermi, muffe)
non verranno accettate.
Stanno iniziando a diffondersi, anche per il castagno, tecniche di raccolta
agevolata e meccanica per rendere meno onerosa la raccolta, far fronte alla penuria di
manodopera e rilanciare la coltura nel suo complesso.
23
4.2. Raccolta agevolata
La raccolta agevolata ricorre all’utilizzo di reti larghe 4-8m disposte sul terreno
lungo la linea di massima pendenza a ricoprire totalmente o parzialmente il terreno.
L’uso di reti sveltisce e facilita le operazioni di ammassamento del prodotto ed inoltre
riduce il deterioramento della qualità evitando il contatto dei frutti con il suolo. Una
volta avvenuta la caduta, le reti vengono sollevate facendo così rotolare ricci e castagne
verso valle, dove avviene la separazione di questi e la successiva calibrature dei frutti.
I teli possono essere usati due volte, prima per le varietà precoci e in seguito per le
tardive. L’investimento per l’acquisto di reti è elevato, si aggira sui 5000 - 7000 euro/ha
a seconda che ricoprano parzialmente o totalmente il terreno.
4.3. Raccolta meccanizzata
La meccanizzazione della raccolta è un’esperienza giovane all’interno di questa
filiera, infatti pone alcuni problemi che vanno dalla maneggevolezza dei macchinari ai
dispositivi per evitare abrasioni e microlesioni dell’epicarpo. Nelle aree collinari e
montane occorrono macchine stabili e di piccole dimensioni, negli impianti di fondo
valle i problemi invece riguardano gli alti costi di investimento in rapporto alle
superfici.
Motoraccoglitrice per raccolta olive, noccioline, castagne.
24
4.3.1. Separatici
Le separatrici sono macchine il cui compito è di separare le castagne dai ricci. Tra
le separatrici meccaniche risulta interessante, per l’adattabilità a terreni in forte
pendenza, il modello GMH della ditta francese Canepa già sperimentato in diverse
realtà montane italiane ed operante da anni in Francia nel Languedoc – Roussillon ed in
Corsica. Il macchinario pesa circa 80Kg, è di ridotte dimensioni, è trainabile
manualmente o con mezzi di modesta potenza ed è azionato da un motore a scoppio. In
media può separare dal riccio e dalle foglie 300-400 kg/h di castagne, mentre
l’esecuzione manuale richiederebbe almeno 25 ore.
4.3.2. Raccoglitrici pneumatiche
Esistono sul mercato numerosi modelli di raccoglitrici pneumatiche, con vari
dimensioni, costi e rese. Aspiratori portati a spalla sono idonei per la raccolta di piccoli
quantitativi, mentre turboraccoglitrici sono adatti per ampie superfici. Si tratta di una
meccanizzazione parziale poiché il tubo aspirante è manovrato dall’operatore, ma
determinano un notevole incremento di resa che può andare da 150 a 450 Kg/h.
Il tubo aspirante raccoglie dal suolo castagne, ricci e foglie e li convoglia
all’organo separatore, dove le castagne vengono liberate dalle impurità che vengono
espulse. I frutti, così separati dai ricci e senza danni, tramite un nastro trasportatore
vengono condotti al contenitore di raccolta.
4.3.4. Raccatatrici andanatrici
Le raccattatrici andanatrici sono macchine di notevole potenze che lavorano su
terreni pianeggianti. Esistono modelli che radunano i frutti ed i ricci e poi li raccolgono
ed altri che aspirano direttamente i frutti sparsi sul suolo. Le castagne vengono
automaticamente pulite da foglie, ricci e detriti, mantenendo inalterati qualità ed aspetto.
25
CAPITOLO 5
CONSERVAZIONE DEL FRUTTO
5.1. Qualità post raccolta
Le castagne pur essendo annoverate, dal punto di vista merceologico, fra la frutta
secca, si differenziano da essa per il basso contenuto lipidico e per la difficoltà di
conservazione.
L’attività metabolica successiva alla cascola od alla fuoriuscita del riccio è molto
intensa: i carboidrati contenuti nella polpa, sono utilizzati per la respirazione, con
produzione di anidride carbonica, acqua e calore.
Partite caratterizzate da un eccesso di umidità, se mantenute a temperatura
ambiente possono subire l’attacco da parte di muffe con sviluppo di marciumi,
viceversa un’eccessiva essiccazione può causare il distacco dell’episperma permettendo
alle crittogame di attaccare il seme. Per lo stoccaggio di notevoli quantità di prodotto è
opportuno disporre di celle frigorifere con sistemi di ventilazione al fine ridurre
l’eccesso di calore. Si devono evitare fenomeni di condensazione, favoriti dalla
differenza di temperatura fra il frutto e la cella frigorifera, questi infatti determinano
rischi di contagio da parte di muffe, le quali possono anche essere già presenti nei
cassoni o su altre castagne. Frequente è anche l’attacco da parte di insetti e patogeni
dovuto all’elevato contenuto idrico del frutto, nonché alla presenza di un epicarpo
poroso e non lignificato.
Oggi il mercato esige frutti per periodi più lunghi rispetto al passato e quindi per
espandere e valorizzare la castanicoltura è indispensabile immettere in commercio, un
prodotto che, durante l’intero anno, mantenga inalterata una qualità ineccepibile se
conservato in modo ottimale. Tale qualità deriva non solo dalla cultivar, ma è il risultato
dell’intero processo produttivo, che darà i migliori risultati partendo da una materia
prima ottimale. Si deve prestare attenzione allo stato sanitario alla raccolta, a scartare i
frutti alterati, ad arrestare le infezioni fungine, solo con questi accorgimenti si potranno
commercializzare castagne di qualità, in linea con le esigenze e gli obbiettivi di tutto il
comparto ortofrutticolo.
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5.2. Mercato del fresco, norme di commercializzazione
Il mercato del fresco è alimentato da castagne e marroni, generalmente migliori
per caratteristiche organoletiche, che vengono poste prima della commercializzazioni a
trattamenti di condizionamento al fine di prolungare la sanità del prodotto ed di
conseguenza il tempo di vendita. Il mercato impone con forza sempre maggiore che
anche i frutti commercializzati freschi siano sottoposti a trattamenti di sterilizzazione e
curatura, al fine di evitarne la contaminazione da parte di patogeni ed aumentarne la
shelf life.
Le norme per la commercializzazione fanno ancora riferimento al D.M. 10 luglio
1939 e cioè fino a 50 frutti per un Kg la calibrazione si effettua di due in due, es. 38/40
– 42/44 – 48/50, da 50 frutti e fino a 100 per un Kg, di cinque in cinque, es. 60/65 –
80/85 – 95/100. Il medesimo Decreto prevede per l’esportazione quattro categorie di
castagne:
AAA con meno di 48 frutti/Kg;
AA da 48 a 65 frutti/Kg;
A da 65 a 85 frutti/Kg;
B con oltre 85 frutti/Kg.
5.3. Lavorazioni per il mercato del fresco
La prima operazione della filiera è la precalibratura: i frutti con calibro minore a
25 mm vengono inviati all’industria, quelli con calibro di 26-27 mm alla curatura,
mentre i calibri superiori sono sottoposti subito a sterilizzazione. La fase successiva è la
calibratura, essa avviene in macchine dotate di cilindri rotanti, con fori di diametro
prestabilito, qui avviene la separazione in base alla pezzatura del prodotto con scarti di
0.5 mm. All’inizio della catena di selezione si trovano i crivelli in grado di trattenere le
castagne più grosse e rilasciare le altre, i frutti di dimensioni maggiori risultano così
subito pronti per le operazioni di cernita, spazzolatura e confezionamento. Quelli con
pezzatura minore sono trasportati tramite un nastro al settore successivo dove avviene
un’ulteriore calibratura con fori di diametro inferiore. Moderne calibratici
27
completamente meccanizzate sono in grado di convertire la misura del calibro in
numero di frutti/Kg come previsto a livello legislativo. Ad esempio un diametro di 30-
31 mm corrisponde in media a 70-75 frutti/Kg.
Destinazione del prodotto in relazione al calibro.
5.4. Metodi di conservazione
5.4.1. Ricciaia
La ricciaia è il metodo di conservazione più antico e ormai caduto in disuso,
consiste nell’ammucchiare le castagne non ancora fuoriuscite dai ricci in spazi di selve
liberi e puliti. I frutti vengono ricoperti con foglie e pietre fino a quando i ricci non si
aprono consentendo la raccolta del frutto. Con questa tecnica le castagne possono essere
conservate per alcune mesi, durante i quali i frutti subiscono un parziale processo di
fermentazione e si conservano interi, lucidi e turgidi come appena raccolti. Altri metodi
tradizionali prevedono di mantenere i frutti integri in sabbia o in torba umidi.
Nella lavorazione industriale, le castagne, prima di essere immesse sul mercato,
subiscono una serie di trattamenti per migliorarne la sanità e prolungarne la
conservabilità; questo non avviene per le primizie, che sono commercializzate
immediatamente poiché il loro pregio è proprio la precocità.
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5.4.2. Curatura o idroterapia
La curatura è un metodo classico, detto novena, ancora ampiamente utilizzato
poiché consente di conservare i frutti per alcuni mesi e favorisce alcuni processi
successivi quali la canditura, il frutto subisce infatti delle modifiche strutturali che lo
rendono più ricettivo agli sciroppi zuccherini.
Le castagne vengono immerse in acqua a temperatura ambiente per un periodo
che va dai quattro ai dieci giorni. Nel mezzo liquido, la permeabilità dell’epicarpo,
consente la solubilizzazione delle sostanze polifenoliche del seme e si verifica una
fermentazione lattica a carico degli zuccheri determinando un ambiente acido che
svolge un’azione preventiva antifungina. Per accelerare la fase fermentativa è possibile
aggiungere alla massa fermenti lattici in dosi di 10g/m3, oppure innalzare la temperatura
dell’acqua a 25 °C, in tal modo il processo può ridursi a 2-3 giorni. Il trattamento
determina un rigonfiamento dei tessuti e lo sviluppo, all’interno del frutto, di calore e
gas derivanti dalla fermentazione.
All’avvio di processo si immergono le castagne in vasche di acciaio inox o di
cemento vetrificato (capacità 10-20 t) dove, per affioramento dei frutti alterati (bacati,
vuoti e abortiti), si opera una prima cernita. Al momento dello svuotamento delle vasche
i frutti ripuliti da un getto di acqua vengono ammassati per alcuni giorni, i frutti che
hanno subito infezioni fungine si ricoprono di ife assumendo una colorazione biancastra
che li rende facilmente individuabili e vengono eliminati nella successiva cernita. Segue
la fase di asciugamento in locali ben areati con pavimenti porosi, sui quali le castagne
vengono disposte in strati di 30-40 cm e sottoposte per alcuni giorni a continue
trapalature manuali fino al completo asciugamento. Oggi è sempre più diffuso l’utilizzo
di sistemi di ventilazione meccanizzati, si tratta di gabbie a torre a maglia metallica,
disposte in serie, dove il contenuto viene movimentato automaticamente.
La curatura è una tecnica antica, ma è stata introdotta ufficialmente a partire dal
1929, quando le Autorità Fitosanitarie degli Stati Uniti d’America emanarono
disposizioni categoriche che vietavano l’importazione negli USA di castagne con
presenza di larve vive di Balaninus e Cydia sp. (Rocco Malanga, 1986).
29
5.4.3. Sterilizzazione o termoidroterapia
Si effettua convogliando i frutti in vasche contenenti acqua calda alla temperatura
di 50 °C per 45 minuti. La temperatura scelta è quella massima che le proteine possono
tollerare senza denaturarsi, mentre la durata del trattamento è scelta in base alla
termoresistenza di larve e uova di insetti, eventualmente presenti nel frutto. Mediante
nastri trasportatori le castagne vengono convogliate in vasche di raffreddamento a getto
d’acqua e subiscono una cernita, questo trattamento, dopo asciugatura, è sufficiente per
le partite destinate al consumo a breve termine. Per la commercializzazione di prodotti a
medio lungo termine, la sterilizzazione deve essere seguita dalla curatura per avere
maggiori garanzie di conservabilità. Si considerano idonee ad essere sterilizzate
castagne che a fine inverno risultano ancora saporite e con meno del 20% di frutti
disfatti.
5.4.4. Refrigerazione in atmosfera normale (AN)
I frutti vengono posti in celle a temperatura compresa fra 0 e 2 °C con umidità
relativa del 90-95%, in questo modo, se la ventilazione dei locali di stoccaggio è
adeguata, possono essere conservati 3-4 settimane. La frigoconservazione può essere
abbinata ad altri metodi quali curatura e impiego di atmosfere controllate.
5.4.5. Refrigerazione in atmosfera controllata (AC)
L’obbiettivo dell’industria alimentare è prolungare la shelf-life del prodotto, ciò è
realizzabile rallentando le attività metaboliche del frutto, in particolar modo la
respirazione. Alti tassi di CO2 e bassi tenori di O2 riducono il decadimento dei frutti ed
inibiscono lo sviluppo microbico. Bisogna però tener presente che per l’ossigeno vi è un
valore soglia minimo, al disotto del quale si interrompe la respirazione aerobica ed ha
inizio l’asfissia, mentre per l’anidride carbonica vi è un valore massimo oltre il quale i
30
prodotti vengono alterati, ne consegue che per ogni prodotto vanno individuate le
percentuali di CO2, di O2 e le temperature ottimali.
Gli studi effettuati hanno dimostrato che la conservabilità in atmosfera controllata
dà i migliori risultati se i frutti vengono preventivamente curati. Si può ottenere una
shelf-life di 4-6 mesi adottando i seguenti parametri: t° 0 °C, U.R. 95%, CO2 20% e O2
2%, in tal modo a fine conservazione il 98% del prodotto risulta commerciabile con un
calo di peso del 4%. Lasciando inalterati i parametri precedenti, ma non effettuando la
curatura, a fine stoccaggio la quota commercializzabile si riduce al 52% con un calo di
peso del 7%. Le celle ad atmosfera controllata sono in genere di grande capacità (150-
200 t) ed il prodotto immagazzinato va utilizzato nella totalità al momento di aperture
delle stesse.
5.4.6. Trattamenti con CO2
In alternativa alla curatura, le castagne possono essere trattate con massicce dosi
di CO2 per 5 giorni a temperatura di 5 °C, seguita da semplice refrigerazione (U.R 95%,
t° 0 °C) o dalla conservazione in AC (U.R. 95%, t° 0 °C, CO2 20%, O2%). Utilizzando
AC lo stoccaggio può prolungarsi per 4-6 mesi. Per la conservazione di breve durata
(circa un mese a 18 °C) le castagne confezionate in sacchi e disposte in pallets, vengono
avvolte e sigillate in film di politene a bassa permeabilità e condizionate con dosi di
CO2 pari al 45-50%, il calo di peso risulta molto contenuto.
5.4.7. Surgelazione
Le castagne, nella maggior parte dei casi sbucciate e pelate, sono surgelate
rapidamente in tunnel a 40 °C per 15’-20’, affinché la surgelazione avvenga in modo
rapido ed omogeneo sono disposte in uno strato sottile, 20 cm al massimo, dopodichè,
per evitare eccessiva disidratazione, sono confezionate in sacchetti o vaschette da 2,5
Kg e mantenute a 20 °C fino al momento della commercializzazione. Tali temperature
abbinate ad un’umidità relativa dell’80-90% e ad una buona ventilazione garantiscono
31
una conservazione del prodotto per 6-12 mesi. Il prodotto, così trattato, conserva
inalterate le qualità organoletiche e mantiene una buona consistenza durante la cottura.
Lo scongelamento avviene o per semplice trasferimento del prodotto in locali a
temperatura ambiente, o per immissione di vapore acqueo, o per immersione in acqua
tiepida o fredda. Dopo lo scongelamento i frutti devono essere immediatamente
utilizzati. Tale metodo trova importanti sbocchi sia nella grande distribuzione della
catena del freddo, per confezioni monouso e sottovuoto, sia nell’industria per la
canditura o la glassatura, poiché consente una migliore organizzazione del lavoro
nell’intero arco dell’anno. Nella forma congelata si trovano anche castagne
precedentemente arrostite, la cui fruizione è possibile in seguito a semplice
riscaldamento in forno normale o a microonde.
Conoscere la temperature del punto di congelamento (FPT freezing point
temperature) è fondamentale per migliorare la qualità dei prodotti congelati, poiché al
di sotto di questa temperatura si verifica un’inibizione delle degradazioni chimiche e
microbiologiche a carico degli alimenti, inoltre permette di evitare danni da freddo
durante la conservazione a temperature di refrigerazione.
Il processo di surgelazione è legato al contenuto di solidi solubili, alla quantità di
materiale da trattare, alla conducibilità termica e alla differenza di gradiente termico fra
l’alimento e l’ambiente esterno. Esiste anche una correlazione fra la temperatura di
congelamento e le dimensioni delle castagne, ma tale correlazione non risulta così
determinante poiché, più veloce è la perdita di calore, più rapida sarà la
cristallizzazione, a ciò segue però un incremento della concentrazione di solidi solubili
che può determinare un abbassamento del punto crioscopico. Infatti la FPT e la
concentrazione di solidi solubili sono inversamente proporzionali fra loro.
Gli studi effettuati attestano che la FPT delle castagne varia da 1,7 °C a 3,7 °C;
si tratta di temperature molto più basse rispetto a quelle di altri frutti o vegetali (da 0,5
a 3,5 °C, per un contenuto di zuccheri dal 4% al 25%). Questa differenza è dovuta
proprio al più alto contenuto di zuccheri presenti nelle castagne, il quale si attesta
intorno a valori del 35%-40% (Roy P. et al., 2008).
32
5.4.8. Essiccazione
L’essiccazione è un antico metodo adottato in tutte le realtà castanicole italiane e
che ancora continua ad essere ampiamente utilizzato per le produzioni tradizionali.
Attraverso l’essiccazione si verifica una riduzione del tenore idrico dal 50% al 10%, un
incremento della concentrazione dei principi attivi e degli elementi minerali e un
aumento di serbevolezza e digeribilità da parte dei frutti. A questa trasformazione sono
in genere destinati frutti di piccola pezzatura o gli scarti delle varietà destinate al
consumo fresco. Si preferiscono frutti piccoli, zuccherini, poco settati e facilmente
pelabili.
L’operazione di essiccazione avviene ancora frequentemente come un tempo e si
svolge in appositi seccatoi detti canicci o metati. Si tratta di edifici a due piani, in pietra
o mattoni, con tetto ricoperto da lastre di pietra, posti vicino al castagneto. I due piani
sono separati da un graticcio sul quale sono disposte le castagne, questo può contenere
fino a 150 quintali di castagne fresche, le quali, una volta scaricate, vengono distribuite
a formare uno strato uniforme di circa 70 cm, collocato ad un’altezza di due metri dal
fuoco, di legna e bucce di castagno, che arde al centro del pavimento sottostante. Il
fuoco rimane acceso ininterrottamente per 20-40 giorni fino alla completa essiccazione
del frutto. Durante questo periodo le castagne vengono rivoltate più volte e la
temperatura interna viene controllata giornalmente affinché rimanga costante. Quando
l’essiccazione è quasi completata, si coprono le castagne con teli e si alimenta il fuoco
per conseguire l’essiccazione finale. Una volta terminata l’essiccatura, si procede alla
pestatura o battitura, cioè alla separazione del frutto dalla buccia secca. Si può
effettuare anche un vaglio, a maglie più piccole della castagna secca, in modo da
eliminarne i residui.
Mentre in passato l’operazione avveniva solo manualmente oggi si può ricorrere a
macchine sgusciatrici a tamburo che liberano le castagne secche sia dall’epicarpo che
dall’episperma in tempi rapidi. Anche per l’essiccazione sono disponibili forni moderni,
che funzionano con resistenza elettrica o pompe erogatrici di calore, in grado di ridurre i
tempi di essiccazione senza alterare la qualità del prodotto. Le castagne, così essiccate,
sono sottoposte a cernita manuale, per eliminare quelle difettose o alterate, e d infine
confezionate. Le castagne secche possono essere commercializzate tal quali o inviate ai
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CAPITOLO 6
TRASFORMAZIONI DI CASTAGNE E MARRONI
Negli ultimi anni del XX secolo si è assistito ad una progressiva rivalutazione
della montagna e delle sue risorse, da parte di una fascia sempre più ampia della società,
che ha manifestato nuove esigenze, fortemente legate al benessere fisico e psichico, con
domanda crescente di prodotti salutistici, legati al territorio ed alla tradizione. Questo
atteggiamento ha dato inizio ad un lento recupero delle potenzialità biologiche,
produttive, culturali ed ambientali della media montagna, compresa la castanicoltura.
Marroni e castagne, sono state oggetto, negli ultimi anni, di rinnovato interesse,
incentivato da un atteggiamento di rivalutazione delle tradizioni culinarie, dalle
importanti proprietà nutritive attribuite a questi frutti e dalla crescente ricerca di prodotti
associati a giudizi di genuinità e naturalezza. La coltura di castagno può essere infatti
considerata biologica poiché la sua coltivazione non avviene quasi mai attraverso
l’impiego di fertilizzanti chimici o prodotti antiparassitari di sintesi. Un sondaggio
condotto dall’Istituto di Biometeorologia del CNR, ha rilevato che la castagna si
colloca al secondo posto fra i frutti ritenuti più genuini dai consumatori. L’indagine,
condotta su oltre 500 soggetti, ripartiti tra il 45% di uomini e 55% di donne, di una
fascia di età compresa fra i 25 e i 55 anni, aveva l’obbiettivo di capire come il
consumatore associ i cinque sensi alla frutta e sull’impatto che quest’ultima ha nei
confronti di concetti quali genuinità, artificialità, salubrità e sensualità.
Grafico riportante l’indice di genuinità attribuito ai frutti da parte dei consumatori.
35
Il mercato è ancora fortemente legato alla tradizione, infatti solo una limitata
quota di prodotto è destinata alle trasformazioni industriali, il 5-10% dei frutti viene
essiccato, mentre il 10-14% è utilizzato per la preparazione di marrons glacés, frutti
canditi, sciroppati e creme. Il consumo fresco, compreso l’autoconsumo e
l’esportazione, interessa il restante 75% della destinazione finale delle castagne. I
marroni sono destinati per il 35-40% all’industria di trasformazione, per il 15-20%
all’essiccazione e la produzione restante è utilizzata per il consumo fresco.
La quasi totalità dei prodotti trasformati che deriva dalle castagne o marroni è
definibile conserve; le castagne essiccate, anch’esse annoverabili tra le conserve,
potrebbero anche rientrare tra i prodotti di prima trasformazione, mentre la farina,
ottenuta dalla macinazione delle castagne essiccate, può a tutti gli effetti, essere
annoverata tra i prodotti di seconda trasformazione. Gli altri derivati come le castagne e
i marroni cotti e conservati sotto vuoto sono definibili come prodotti della V gamma.
Classificazione dei prodotti derivati da castagne e marroni
Castagne e marroni freschiI GAMMA
Marroni sciroppatiMarron Glacè
Crema di marroniFarina di castagne
III GAMMA Castagne, marroni e pureesurgelate
IV GAMMA Castagne e marroni freschimondati, frigoconservati
V GAMMACastagne e marroniprecotti conservati
sotto vuotoSnacks
II GAMMA
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La valorizzazione della coltura è resa difficile da diversi fattori, quali consumi
ancora molto legati alla stagionalità, indirizzati verso i prodotti più conosciuti
(caldarroste, creme, marrons glacés), inefficienti tecniche di post raccolta e
condizionamento (fondamentali per una buona conservazione), alle quali si affianca un
disinteresse da parte delle attività di promozione e marketing. Per incrementare il
mercato della castanicoltura si devono quindi proporre specialità innovative dal punto di
vista tecnologico, in grado di destagionalizzare l’offerta e migliorarne l’immagine
supportandola con adeguate promozioni commerciali.
Il settore dei trasformati spazia dalle tradizionali castagne secche e farina, ai nuovi
prodotti come le castagne precotte al naturale e conservate sotto vuoto, ai cereali e
snack realizzati per cottura estrusione. Quantitativamente sono rilevanti le
trasformazioni in creme o puree, i marroni canditi ed i marrons galcés. Offerte
innovative si hanno nel settore delle bevande quali bibite analcoliche (Corea), a bassa
gradazione alcolica come le birre (Corea e Corsica), liquori (Italia e Francia) e distillati
(Giappone).
Questa complessiva mancanza di innovazione è imputabile anche ai limiti
tecnologici che caratterizzano la coltura, quali l’alto pH del frutto (pH 6 nei frutti
freschi e pH 4-5 in quelli curati) che vincola i processi di produzione a trattamenti
termici oppure all’utilizzo di conservanti quali zucchero, sciroppi ad alto contenuto
zuccherino, sostanze alcoliche ed eventualmente all’uso di additivi specifici (sale o
acidificanti). L’utilizzo di conservanti alcolici o ad alto contenuto calorico ne limita
considerevolmente il mercato, in quest’ottica sarebbe interessante l’introduzione di
prodotti a basso contenuto calorico o di nuova concezione al fine di diversificare
l’offerta e di offrire nuovi sbocchi di mercato alla materia prima.
Un esempio, in questa direzione, può essere il recentissimo “castagna dessert”
della Dimmidisì, uscito sul mercato a Marzo del 2008. Si tratta di un dessert fresco
pronto, costituito da un mix di castagne con miele in confezione monoporzione con
forchettina.
“Castagna dessert”, Dimmidisì
37
La possibilità di trovare nuovi sbocchi di utilizzazione ad una materia prima di
uso alimentare richiede preliminarmente una valutazione delle sue caratteristiche
chimiche e funzionali. In particolare, è importante conoscere la compatibilità della
sostanza in esame, con altri possibili ingredienti di una ipotetica formulazione, e
prevederne i cambiamenti chimici, fisici e strutturali, indotti da interventi tecnologici
che implicano variazioni di temperatura, pressione ed umidità.
Caratteristiche nutritive di frutti freschi e secchi
Il componente principale di marroni e castagne è l’amido, i granuli del quale
hanno dimensioni dai 2 ai 18 m ed un aspetto tondeggiante od ovale; nei prodotti
freschi la superficie è liscia ed uniforme, mentre nei frutti essiccati si presenta fratturata.
Il comportamento della farina di castagne è assimilabile a quello delle farine di cereali
per quanto riguarda il contenuto in amido (circa il 50% in peso), mentre si diversifica
per l’elevato tenore di saccarosio. Le diverse caratteristiche di questo materiale, rispetto
agli altri prodotti amidacei, si possono valutare prendendo in esame la temperatura di
gelatinizzazione, i valori di viscosità e la capacità di idratazione.
Per quanto riguarda il fenomeno della gelatinizzazione questo si verifica a 60 °C
per la farina di castagne, a 55 °C per quella di frumento. Per potere gelatinizzante si
intende la capacità, di una sospensione amidacea, di formare un gel per riscaldamento e
successivo raffreddamento; tale proprietà può essere valutata attraverso misure di
Fresco Secco
Acqua % 47,1 10,3
Glucidi(g/100g)
36,9 61,4
Zuccheri(g/100g)
8,6 22,4
Saccarosio (g/100g) 6,7 21,0
Glucosio (g/100g) 0,9 0,5
Fruttosio (g/100g) 0,6 0,6
Maltosi (g/100g)
0,4 0,3
Amido (g/100g) 28,3 39,9
Fibra alimentare(g/100g)e
8,2 13,6
Proteine (g/100g) 3,0 5,3
Lipidi (g/100g) 2,1 3,5
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viscosità, trasparenza ottica e ritenzione di acqua del gel.
I valori di viscosità della farina di castagne non cambiano sensibilmente da quelli
riscontrati per i gel originali; tale comportamento può suggerire l’utilizzo diretto del
pregelatinizzato come ingrediente di impasti e formulazioni, in sostituzione della farina
tal quale, e inoltre escludere ulteriori trattamenti termici.
Confronto fra farina di cereali e farina di castagne
Fonte: INRA
Per quanto riguarda la capacità di idratazione, alle alte umidità relative l’isoterme
della farina di castagne presenta un andamento notevolmente diverso dalle altre farine.
Ad attività dell’acqua superiori a 0,8 presenta maggiori tenori di umidità, ciò è
imputabile all’elevato contenuto di zuccheri che la caratterizza. Dal punto di vista
tecnologico tale proprietà risulta molto interessante, infatti per bassi e medi contenuti di
acqua (Aw 0,8), il comportamento di questo materiale risulta molto simile a quello
delle farine di cereali, mentre alle alte umidità relative l’elevato adsorbimento di acqua
sta ad indicare una igroscopicità elevata, quindi una miglior solubilità, ma
contemporaneamente una minor stabilità nei confronti di eventuali agenti microbici
(Pinnavaia G., 1986).
60 °C
2-18m
73 °C
5m
67 °C
20-30m
55 °C
2-40 m
TEMPERATURAGELATINIZZAZIONE
DIMENSIONEGRANULI DI AMIDO
6,1%7,3%8,7%11%PROTEINE
23,6%01,5%1,7%ZUCCHERI SOLUBILI
50,0%79,1%72,1%68,7%AMIDO
3,7%0,5%2,7%0,7%LIPIDI
11,4%12,3%12,5%14,2%ACQUA
CASTAGNERISOMAISFRUMENTO
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Curve di adsorbimento di alcuni campioni amidacei.
M = Umidità Assoluta; Aw = Attività dell’acqua.
6.1. Semilavorati
6.1.1. Marroni e castagne pelati
Le tecniche di pelatura variano in base al calibro dei frutti e alla loro destinazione
successiva. L’obbiettivo è quello di ottenere un frutto il più possibile intero, senza
epicarpo ed episperma. I metodi più utilizzati sono: a fuoco, a vapore per incisione
equatoriale e ad incisioni multiple.
Pelatura a fuoco
Si tratta di un metodo utilizzato per i calibri più piccoli, richiede poca manodopera
ed è rapido. I frutti sono riscaldati per 1’-2’ in forni cilindrici rotanti a temperature di
800-1000 °C che determinano il distacco di epicarpo ed episperma per scottatura,
mentre la polpa, per la rapidità del processo, rimane integra. I frutti vengono poi liberati
dalla buccia facendoli convogliare fra due spatole rigide. Segue un’immersione in acqua
40
calda a 80-90 °C e vapore per 4’-10’ a seconda della varietà, con lo scopo di
ammorbidire la superficie. Un’ulteriore pulitura si ottiene con rulli zigrinati che ruotano
in senso contrario a quello di avanzamento delle castagne. Il processo si conclude con la
cernita manuale ed il lavaggio, in genere seguita da un’ulteriore cernita per eliminare
eventuali residui di pellicola rimasti nei setti del seme.
Pelatura a vapore con incisione manuale
I frutti, incisi meccanicamente in senso equatoriale, vengono fatti passare in
cilindri rotanti, nei quali è insufflato prima vapore acqueo a 60 °C, poi aria fredda.
L’operazione dura 3 ore ed ha lo scopo di separare il pericarpo dal seme. A questa segue
un passaggio in acqua a 90 °C, si tratta di una fase determinante per il distacco
dell’episperma molto aderente in corrispondenza delle settature. I frutti sono poi lavati e
rifiniti manualmente. E’ un trattamento lungo e costoso riservato ai marroni di calibro
maggiore destinati alla canditura.
Pelatura ad incisioni multiple
I frutti sono convogliati in un tamburo orizzontale a parete forata, intorno al quale
sono presenti cilindri di diametro minore, dotati di piccole lame sporgenti lunghe 1,5
mm, ciò consente di incidere ripetutamente l’epicarpo lacerandolo, lasciando però
intatta la polpa.
6.1.2. Purea di castagne
Le castagne vengono fatte lessare per 15’-20’, dopodichè sono inviate ad un
estrattore composto da un rotore che comprime i frutti contro la parete forata di un
cilindro posto esternamente ad esso: la polpa esce mentre le bucce restano all’interno
della macchina. In seguito la polpa, così ottenuta, passa attraverso una griglia dotata di
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fori con diametro di 8 mm, a questo segue la sua omogeneizzazione tramite
impastatrice. Nella fase di omogeneizzazione si aggiunge una concentrazione di
saccarosio 2% e, a seconda della destinazione, possono essere addizionati aromi, fra i
quali il più utilizzato è la vaniglia. La purea è congelata in blocchi da 5-7 Kg a
temperatura di 20 °C. La qualità del prodotto finito è correlata alla qualità della
materia prima utilizzata.
6.2. Prodotti finiti
Le industrie alimentari richiedono frutti omogenei sia di aspetto che di sapore,
poiché eventuali difetti o differenze non sono mascherabili con l’uso di soluzioni
zuccherine, così come avviene per i semi lavorati. Le partite devono essere costituite da
frutti con pezzature regolari (da 80 a 100 frutti/Kg), facilmente pelabili, non settati, in
ottimo stato sanitario e sodi, in grado di resistere alle elevate temperature, agli sbalzi
termici ed idrici che si verificano durante le varie fasi di lavorazione.
6.2.1. Castagne secche e farina di castagne
Le castagne secche, ottenute per lo più con sistemi tradizionali, alimentano una
buona corrente di esportazioni verso Svizzera, Giappone, USA ed alcuni mercati
orientali. Le castagne secche si trovano sul mercato in due tipologie: quelle morbide
adatte ad un consumo immediato, ma più deperibili, e quelle dure che vanno messe in
ammollo prima di essere consumate.
Il trattamento del prodotto avviene con aria deumidificata a basse temperature così
da lasciare inalterate fragranza, colore, aroma e dare una buona reidratabilità del
prodotto, tale da elevare il suo indice di qualità. Per avere i migliori risultati è
fondamentale: una distribuzione omogenea dell'aria di asciugatura e la possibilità di
gestire il livello di umidità (RH%) presente nelle castagne in funzione del sistema e del
tempo di conservazione del prodotto, dry o semi-dry.
42
Dalla molitura delle castagne secche, pelate e ripulite con cura si ottiene la farina
di castagne. L’operazione di molitura, in molte aree, viene ancora effettuata
tradizionalmente con molazze di pietra con fondo dello stesso materiale, in moderni
molini, al ritmo in media di 150 Kg/ora. Accanto ai molini in pietra vi è una lavorazione
standardizzata, di tipo industriale effettuata con molini elettrici a martelli, con
programmazione di temperatura, ad elevata capacità e resa.
In seguito al processo di molitura ed essiccazione si riscontrano delle modifiche
chimico-morfologiche a carico della materia prima, riguardanti la componente
amidacea, le caratteristiche cromatiche ed i valori di attività dell’acqua, tali variazioni
sono correlate alle temperature e alla varietà di castagne utilizzate (Correia P. et al.,
2008).
Variazioni della composizione chimica delle castagne in seguito a trattamenti di essiccazione e
molitura a temperatura inferiori a 60 °C.
Come mostrato nella tabella, in seguito a trattamenti di essiccazione e molitura
inferiori a 60 °C, la componente amidacea delle castagne incrementa raggiungendo
FRESCA SECCA FARINA
PARTE EDULE % 81,0 100 100
ACQUA % 52,9 10,1 11,4
GLUCIDI 34,0 57,8 63,3
ZUCCHERI(Saccarosio,Glucosio,Maltosio)
9,6 16,1 23,6
AMIDO 24,4 41,7 40
FIBRA 7,3 13,8 14,2
PROTEINE 3,2 6,0 6,1
LIPIDI 1,8 3,4 3,7
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valori del 40%, invece con temperature superiori si verifica un decremento della
frazione amidacea in seguito alla degradazione eccessiva dei granuli stessi. I granuli di
amido, delle castagne non sottoposte ad essiccazione, presentano una superficie liscia ed
uniforme, mentre in seguito a trattamento termico si verifica un incremento della
frazione amorfa, costituita dalle catene ramificate dell’amilopectina, inoltre essi
assumono un aspetto appiattito ed informe, la superficie diventa ruvida e attraversata da
fratture, tanto più evidenti quanto maggiori sono le temperature applicate. La parziale
degradazione dei granuli di amido comporta importanti conseguenze tecnologiche a
carico delle farine, le quali presentano maggior solubilità anche in acqua fredda,
capacità di gelatinizzare a temperature inferiori (Temperatura di gelatinizzazione = 60
°C), maggior tendenza alla caramellizzazione, quest’ultima è dovuta ad un incremento
della frazione di zuccheri riducenti, e contemporaneamente una maggior suscettibilità
all’attacco enzimatico.
Immagini di farina di castagne: A farina di frutti freschi, B e C farina di frutti essiccatirispettivamente a 40 ° e 70 °C. 1- SEM, 2- microscopio a luce.
La suscettibilità dell’amido all’attacco enzimatico è influenzata da diversi fattori
quali il contenuto di amilosio e amilopectina, la dimensione delle particelle e la
presenza di inibitori enzimatici. I polimeri di glucosio sono i principali componenti
dell’amido, costituito da amilosio e amilopectina, ma l’esatta locazione dell’amilosio
all’interno del granulo, la sua estensione, natura ed interazione con l’amilopectina non
sono ancora del tutto chiare, e ciò impedisce di risalire alle sue proprietà funzionali
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all’interno delle farine (Zhang and Oates, 1999). Gli enzimi che presentano proprietà
amilolitiche sono: -amilasi, -amilasi e glucoamilasi, essi esplicano le proprie attività
idrolitiche sia a carico dell’amilosio che dell’ amilopectina con un’attività massima fra
50° e 60 °C. Nelle castagne, l’attività enzimatica principale viene attribuita alle -
amilasi e questo è dimostrato da un’elevata concentrazione di unità di maltosio
riscontrate nel prodotto finito (Nomura et al., 1995).
Catene di Amilopectina: molecole di glucosio unite da legami -1,4 e -1,6
Catene di Amilosio: molecole di glucosio unite da legami -1,4
Per quanto riguarda le caratteristiche cromatiche della farina, quella ottenuta da
frutti freschi presenta una colorazione più scura rispetto a quella ottenuta da frutti
disidratati a temperature di 40 - 60 °C, tale fenomeno può essere attribuito ad una
ossidazione della componente fenolica. In seguito a trattamenti termici superiori, le
farine assumono colorazioni più scure poiché si verifica un processo di
caramellizzazione legato alle reazioni di Maillard (imbrunimento non enzimatico). Tali
reazioni a 70 °C possono determinare la comparsa di una colorazione rosso-porpora
dominante, inoltre all’aumentare delle temperature si riscontra un decremento nella
vivacità del colore che assume tonalità più opache, sembra che ciò dipenda da
un’eccessiva perdita di acqua durante il processo di disidratazione. I trattamenti termici
più idonei si collocano fra 40 - 60 °C, a tali temperature si ottengono infatti farine di
color avorio, che sono quelle più apprezzate per le qualità organoletiche e nutrizionali.
La farina di castagne oltre ad essere un prodotto di seconda trasformazione può
45
anche essere definita una “conserva”, infatti si tratta di una materia che, se idoneamente
conservata, è stabile a lungo presentando una shelf life superiore a 12 mesi. La stabilità
della farina è garantita dai bassi tenori di Aw che la caratterizzano, essi infatti si
aggirano intorno a valori pari a 0,2. Come mostrato nella figura sottostante, il
decremento di Aw è tanto più intenso quanto maggiori sono le temperature applicate.
Evoluzione dell’attività dell’acqua durante il processo di disidratazione
(L = varietà Longal e M = Martainha).
Per ottenere un prodotto finito con elevate qualità organoletiche e nutrizionali,
altamente digeribile e stabile nel tempo, è opportuno effettuare un trattamento termico a
50° - 60 °C in modo da ridurre al minimo eventuali fenomeni di degradazione a carico
della materia prima.
6.2.2. Castagne arrosto
Le qualità commerciali, specialmente per le castagne arrostite, devono avere
dimensioni uniformi, essere facilmente pelabili, di color avorio, la polpa deve essere
consistente e allo stesso tempo sciogliersi in bocca, non devono presentare aree
eccessivamente abbrustolite, infine devono essere dolci ed aromatiche.
L’arrostimento determina una riduzione del contenuto idrico e un trascurabile
decremento della frazione proteica, mentre aumenta il tenore di zuccheri riducenti, che
46
potrebbe favorire successive reazioni di Maillard. Morini e Maga (1995) hanno indagato
sulle modifiche a carico degli acidi grassi in castagne arrostite a 182 °C constatando una
conversione degli acidi grassi da insaturi ad saturi. Gli stessi autori
hanno anche considerato la componente volatile delle castagne
arrostite riuscendo a individuare 119 composti e ad identificarne
33. La frazione volatile sembra derivare in massima parte dalla degradazione termica
dei carboidrati. Una ricerca condotta in Svizzera da Künsch et al. (2001), ha analizzato
gli effetti dell’arrostimento sulla composizione chimica e sulla qualità di differenti
varietà di castagne. Sono state prese in esame tre varietà svizzere (Lüina, Pinca e
Torciòn negro) ed una francese (Marigoule), le proprietà chimiche e sensoriali di queste
sono state confrontate con la varietà italiana Marrone di Cuneo, la quale si è aggiudicata
il primo posto nelle preferenze da parte dei consumatori. Le analisi sensoriali hanno
dimostrato che il successo delle castagne è fortemente condizionato alla loro dolcezza,
che è correlata al contenuto di saccarosio.
Nello studio condotto, le operazioni preliminari, che le castagne hanno subito
prima di essere arrostite, sono state: incubazione in acqua a 46 °C per 45 min,
trasferimento in acqua a 10 °C per 14 h, rimozione dall’acqua e conservazione a
temperatura ambiente per 24h, frigoconservazione a 3 °C e umidità relativa (U.R.) del
90%, mantenimento a temperatura ambiente nelle 48 h precedenti alla lavorazione.
Il trattamento termico, previa castratura, cioè incisione longitudinale della buccia
con lama affilata, è stato condotto a 210 °C in forno elettrico ventilato. Nelle castagne di
piccole dimensioni si è raggiunta una temperatura di 100 °C al cuore del prodotto in 19
min, mentre per i frutti di dimensioni maggiori sono stati necessari 25 min. Durante il
processo di arrostimento la temperatura al cuore rimane a 100 °C e in questa fase si
verifica l’evaporazione dell’acqua. La perdita di peso che si verifica, è correlata
linearmente al tempo di trattamento termico e alla dimensione delle castagne. Per un
trattamento termico di 10 min la perdita di peso è di 3,8% ± 0,5% per le varietà di
dimensioni minori, e di 2,6% ± 0,6 per le varietà medio grandi. Dal punto di vista
commerciale il tempo di arrostimento deve essere il più breve possibile al fine di
minimizzare le perdite di peso, ma per ottenere prodotti con una tessitura accettabile
sono necessari tempi piuttosto lunghi. Per le castagne di piccola taglia occorrono 70
min, per il Marrone di Cuneo sono necessari 80 min, per i frutti di dimensioni superiori
47
possono essere necessari anche 110 min.
Il processo di arrostimento a 210 °C, non determina profonde modifiche al
contenuto in amidi e saccarosio, da questo punto di vista si può considerare un
trattamento blando, contemporaneamente però si può verificare un’ossidazione a carico
degli acidi grassi insaturi. Nell’analisi condotta da Künsch et al (2001), non si riscontra
una degradazione a carico degli acidi grassi, tale risultato è in disaccordo con quanto
rilevato dalle sperimentazioni condotte da Morini e Mega (1995).
Le castagne arrostite a 210 °C sono state sottoposte ad analisi sensoriale, il panel
test era costituito da 36 persone (31 maschi e 5 donne di età fra i 20 ed i 60 anni). Sono
stati valutati la pelabilità, l’aroma, la dolcezza, la tessitura ed il prodotto nel suo
complesso. Agli assaggiatori è stato chiesto di esprimere il loro giudizio con un
punteggio da 1 a 10. La varietà Marrone di Cuneo è stata la più apprezzata, in particolar
modo è risultata la più dolce con un punteggio di 5.5.
Effetti dell’arrostimento sulla qualità delle castagne.
Pelabilità: 1 = buccia aderente alla polpa e suo sbriciolamento durante l’apertura.; 10 = buccia
facilmente rimuovibile senza sbriciolare la polpa. Aroma: 1 = non tipico; 10 = tipico. Dolcezza: 1 =
bassa; 10 = elevata. Tessitura: 1 = farinosa, grossolana; 10 = fine, che si scioglie in bocca. Accettabilità: 1
= pessima; 10 = eccellente.
6.2.3. Marroni e castagne sciroppati
Le castagne pelate a vapore sono disposte in vasi di vetro, ricoperte da sciroppo a
basso contenuto zuccherino (25° Brix) e sottoposte ad appertizzazione (1h a 100 °C). In
questo modo il prodotto può essere conservato per 6 mesi a temperatura ambiente.
Per incrementare il mercato delle castagne è stata proposta la loro conservazione
48
in sciroppi isotonici. La riduzione dell’apporto zuccherino può essere intesa sia come
una scelta mirata alla riduzione dell’apporto calorico, sia all’esaltazione delle
caratteristiche sensoriali della materia prima al naturale mediante l’eliminazione
dell’effetto mascherante dello zucchero.
Considerando che il pH del frutto è circa 6 (pH ottimale per lo sviluppo di molti
sporigeni), semplici processi di cottura non sono in grado di garantire l’assenza di
microrganismi in forma vegetativa, come le spore; la sicurezza igienico sanitaria delle
conserve a base di castagne è perciò esclusivamente garantita da bassi tenori di attività
dell’acqua e dalla presenza di sostanze antimicrobiche quali l’alcol. La riduzione del
contenuto zuccherino del liquido di governo, fino a raggiungere l’isotonicità fra frutto e
soluzione, comporterebbe il raggiungimento di valori di Aw intorno a 0,999-0,992 nel
caso dell’utilizzo di saccarosio o 0,985 nel caso di utilizzo di fruttosio. Si tratta di valori
troppo elevati per tutelare la sicurezza del prodotto. In questo caso la sicurezza igienico-
sanitaria può essere garantita esclusivamente attraverso un trattamento termico di
sterilizzazione, in grado di abbattere la presenza di eventuali spore.
Diverse prove di sterilizzazione in sciroppo isotonico, sono state condotte su
frutti freschi, curati ed essiccati reidratati. Utilizzando valori di F12110 (fattore di
sterilizzazione) a 2,7 i frutti freschi di diverse varietà hanno mostrato un collasso della
struttura ed una bassa consistenza. Invece i frutti essiccati e reidratati hanno mantenuto
una struttura integra ed una buona consistenza. In entrambi i casi comunque l’aumento
dell’effetto cottura si è rivelato inversamente proporzionale alla consistenza. A parità di
effetto cottura possiamo avere prodotti con consistenze molto diverse che possono
mostrare o meno l’evidenza di un collasso strutturale; è stato quindi verificato come, a
parità di effetto cottura, la pressione di vapore raggiunta dal liquido di governo,
dipendente a sua volta dalla concentrazione della soluzione, possa giocare un ruolo
fondamentale nel collasso della struttura del frutto.
I frutti essiccati e reidratati sono risultati i più idonei per la realizzazione di
sciroppati al naturale o comunque a bassa concentrazione zuccherina, il mantenimento
della struttura è probabilmente associato a modificazioni delle proprietà funzionali
dell’amido sottoposto a processi di disidratazione e reidratazione.
49
6.2.4. Marroni canditi e Marrons Glacés
Per la canditura si richiedono marroni o castagne di grossa pezzatura (55-65
frutti/Kg), di forma rotondeggiante, non settati, facilmente pelabili, sani, di buona
consistenza e con attitudine ad assorbire lo zucchero.
Il processo consiste nello scambio osmotico tra la polpa e lo sciroppo zuccherino
altamente concentrato (50° Brix). Le castagne, richiedono un tempo di canditura
superiore rispetto agli altri frutti, questo perché nelle cellule dei marroni, come sostanze
di riserva, si trovano amidi invece che succo cellulare.
La canditura può essere effettuata su castagne fresche, sciroppate o congelate.
Partendo da castagne fresche, queste devono essere pelate e scottate, questa fase detta
blanching ha il fine di disareare i tessuti, inattivare gli enzimi, in particolar modo le
ossidasi, e modificare la struttura dei tessuti favorendo i successivi scambi osmotici.
Sovente la frutta fresca è trattata con SO2 o con soluzioni di solfito di calcio allo scopo
di decolorare i frutti e rendere più consistenti i tessuti. L’anidride solforosa impedisce
l’istaurarsi di fermentazioni nei primi stadi del processo di canditura e inoltre inibisce
l’imbrunimento. I frutti trattati con SO2 devono essere ripetutamente lavati in acqua
calda per allontanare la maggiore quantità possibile di SO2 prima di iniziare il processo.
L’utilizzo di castagne sciroppate, che quindi hanno subito una precedente fase di
impregnazione con gli zuccheri, riduce la possibilità che si verifichino raggrinzimenti
del frutto in seguito a choc osmotici. Il prodotto sciroppato risulta però impoverito della
sua frazione aromatica che deve essere reintegrata con opportuni aromi in fase di
canditura.
La canditura può infine avvenire su castagne congelate, in questo caso si deve
Sciroppozuccherino
Acqua
Zuccheri
50
prestare attenzione perché all’interno del frutto possono esservi fratture non visibili
fintanto che il frutto è congelato, ma che si evidenziano sul frutto candito. L’uso di frutti
sciroppati o congelati offre il grande vantaggio di poter lavorare sul prodotto anche in
tempi successivi alla raccolta.
Gli sciroppi utilizzati per la canditura sono costituiti da una miscela di saccarosio
e sciroppo di glucosio, quest’ultimo previene un eccessivo essiccamento, riducendo il
fenomeno di cristallizzazione a carico del saccarosio, inoltre conferisce al prodotto
finito un aspetto più traslucido di quello che si otterrebbe con solo saccarosio. Il
rapporto zuccheri riducenti/zuccheri non riducenti deve essere uguale ad 1 o al massimo
di 0,68. Con rapporti inferiori i canditi risulteranno poco pastosi, granulosi ed opachi,
mentre con rapporti superiori ad 1 risulteranno appiccicosi. Un altro parametro da tener
sotto controllo è il pH, poiché da esso dipende la velocità di inversione del saccarosio.
Valori di pH prossimi a 4 sono ritenuti ottimali poiché in tali condizioni uno sciroppo di
saccarosio a 50 °Brix, mantenuto a 60 °C, impiega circa 10 giorni per invertirsi del
50%.
La canditura può avvenire con metodi lenti o rapidi. Nel primo caso i frutti
vengono posti in cestelli, i quali vengono immersi in vasche contenenti sciroppo
zuccherino. La concentrazione dello sciroppo ed il tempo di permanenza dei frutti in
esso viene progressivamente aumentato. Orientativamente lo sciroppo viene portato a
44, 48, 52, 59, e 67 °Brix, mantenendo i frutti immersi rispettivamente per 3, 4, 5, 6, 7
giorni. L’aumento del tempo di immersione all’aumentare della concentrazione
zuccherina dipende dalla maggior difficoltà di penetrazione degli zuccheri a mano a
mano che si incrementa la concentrazione zuccherina all’interno dei frutti stessi.
I processi di canditura rapidi si basano sul mantenimento della massa frutta
sciroppo ad una temperatura superiore a quella ambiente e operano a pressione inferiore
a quella atmosferica, per i marroni, a differenza degli altri frutti, si sconsiglia la
lavorazione sotto vuoto, perché ciò potrebbe determinare la frantumazione degli stessi. I
metodi rapidi, consentono di eliminare, per evaporazione, l’acqua rilasciata dal frutto, e
di aumentare progressivamente la concentrazione zuccherina dello sciroppo, questo
accelera il trasporto di massa fra sciroppo e frutto. A mano a mano che aumenta la
concentrazione zuccherina dello sciroppo, aumenta anche la temperatura di
evaporazione e così si mantiene costante una certa differenza di pressione osmotica fra
51
sciroppo e frutto. Durante la lavorazione è possibile intervenire controllando il tenore di
zuccheri riducenti ed il pH apportando gli aggiustamenti necessari.
La durata del processo di canditura dipende da diversi fattori: dimensioni e
maturità del frutto, rapporto superficie/volume, caratteristiche del frutto (fresco,
sciroppato o congelato), concentrazione e viscosità dello sciroppo, temperatura, ad
esempio a 55 °C il processo dura una settimana, mentre a 65 °C la durata è di 4-5 giorni.
Nelle fasi finali i canditi presentano un tenore di solidi solubili fra 68 e 70 °Brix.
A questo punto sono estratti dall’ultimo sciroppo e posti a scolare, i frutti non devono
essere sistemati in strati troppo alti altrimenti, per la compressione, si deformeranno. I
marroni sono rapidamente lavati con acqua calda (degraissage) per asportare dalla
superficie lo sciroppo evitando così che la superficie si opacizzi. Segue l’essiccamento
per 12 h in ambienti a temperatura di 20-30 °C e ventilazione di aria secca. Terminata la
canditura le castagne sono aromatizzate con vaniglia e confezionate in vasi o sacchetti
con il loro sciroppo. Il confezionamento può essere seguito da pastorizzazione a 85 °C
per stabilizzare gli amidi e permettere una maggior conservabilità.
Un’operazione successiva alla canditura può essere la glassatura che consiste nel
ricoprire i frutti con uno sciroppo di glucosio e fruttosio in rapporto di 2-2,5/1. La
quantità di acqua da aggiungere per realizzare lo sciroppo deve essere la metà o poco
più del peso degli zuccheri. La miscela zuccherina viene portata ad ebollizione fino a
che non raggiunge gli 80 °Brix, dopodichè è versata sui frutti e dopo alcuni minuti
questi sono scolati e posti in una stufa a 40 °C per il tempo necessario affinché la
superficie si presenti brillante ed asciutta. Il raffreddamento finale deve avvenire
lentamente. I frutti che durante la lavorazione si rompono vengono commercializzati
come marrons glacés a pezzi o come pasta di marrons glacés.
Impianto semi automatico per incisione, scottatura, pelatura e canditura.
52
Un impianto di glassatura semi automatico per piccole medie imprese, si
compone in genere di quattro elementi per eseguire ogni fase del processo di
lavorazione della castagna.
1) Incisione: monoblocco inserito su un banco da lavoro che permette, tramite il
posizionamento manuale, un centraggio della castagna, la sua incisione circolare senza
toccare il frutto e la caduta in un raccoglitore il tutto in automatico. La produzione
oraria e dell’ordine di 8-13 kg/h. Sullo stesso banco da lavoro è possibile montare fino a
tre gruppi in serie portando la produzione a 24-39kg/h.
2) Scottatura o Blanching: vasca inox da 20 lt circa con cestello in rete inox
estraibile. Dotata di termostato per gestire una resistenza elettrica che porta
ad ebollizione l'acqua.
3) Sbucciatura: monoblocco composto da tramoggia per il prodotto da lavorare,
sbucciatrice a disco, vasca raccolta bucce e vasca raccolta frutto.
4) Canditura: vasca per contenere cestelli, porta castagne a più ripiani, e miscela
di canditura mantenuta ad opportuna temperatura per tutto il tempo di lavorazione.
Schema del processo di Canditura – Glassatura
Immers. Marroni a 55°Brix
Marroni sgocciolati
64 °Brix
71 °Brix
74 °Brix
76 °Brix
Lavaggio
Essiccazione
Raffreddamento
Essiccazione
Glassatura
Confezionamento
Miscela glassa80 °Brix, 115 °C
Sciroppo candituraSaccarosioScirop. Glucosio
Rigenerazionisciroppi
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A livello artigianale l'acqua utilizzata per cuocere i marroni, contenente saccarosio
e vaniglia, può essere usata come base per la successiva canditura con sciroppo di
zucchero scaldato progressivamente fino a raggiungere i 70 °C. Questa lunga fase dura
da 4 a 6 giorni. Quando il marrone è candito (ovvero saturo di zucchero), esso viene
posto a scolare per almeno 24 ore su una retina. La fase finale, la glassatura, prevede di
stendere la glassa (preparata con zucchero a velo e acqua, e lasciata riposare per 24 ore)
sul marrone candito, e di trasferire il dolce in forno per 1’-2’ a 300 °C al fine di
trasformare la glassa in crosta omogenea, brillante e non viscosa e darle il tipico aspetto
traslucido.
6.2.5. Snack e cereali a base di farina di castagne
Una ricerca condotta da Pinnavaia e Pizzirani (1994), presso il Dipartimento di
Protezione e Valorizzazione Agro-Alimentare (Sezione di Chimica e Tecnologia degli
Alimenti) dell’Università di Bologna, ha dimostrato che la farina di castagne, malgrado
l’alto contenuto in zuccheri, presenta una buona attitudine alla trasformazione per
cottura-estrusione.
Il processo di cottura – estrusione consiste in un cilindro provvisto di camicie
esterne di termostatazione contenenti una vite, la vite girando, fa avanzare l’impasto
verso la testa di estrusione, dove è presente una piccola apertura, la trafila, che forgia
l’impasto della forma desiderata.
Esempio di estrusore monovite.
54
L’estrusione può avvenire a caldo con basse o altre pressioni, o a freddo, in questo
caso non si ha la cottura del prodotto, ma semplicemente la sua miscelazione e
forgiatura. L’estrusione è un processo versatile che consente di lavorare una svariata
gamma di materie prime, realizzando diverse tipologie di prodotto finito. Fra questi i
più interessanti sono i cereali da prima colazione e gli snack, nei quali l’ingrediente base
è la farina di cereali: mais, frumento, riso ed avena. Le caratteristiche dell’estruso
dipendono dal tipo di cereale utilizzato, dalla percentuale di umidità, proteine, grassi, e
glucidi, dall’aggiunta di altri ingredienti quali emulsionanti, oli, acqua ed infine dai
parametri tecnologici adottati: tempo, pressione, temperatura, velocità di rotazione della
vite.
Alla fase di estrusione può seguire la fase di espansione, diretta o indiretta. Nel
primo caso, all’uscita del prodotto dalla trafila, l’umidità in esso contenuta, si converte
in vapore determinandone l’espansione; nel secondo caso l’espansione è raggiunta,
all’interno di un tostatore, investendo l’estruso con una corrente di aria calda sottoforma
di letto fluido; con questa modalità si ottengono snack a lunga conservazione. L’umidità
finale dei prodotti estrusi ed espansi può andare dal 15% al 3%.
Uno dei principali parametri da monitorare è il livello umidità, poiché esso
influisce in maniera determinante sulla fluidità della massa alimentare; ridotti contenuti
di acqua determinano generalmente un’elevata viscosità. Nell’estrusione degli amidi il
fenomeno della gelatinizzazione si manifesta velocemente quando il tenore di umidità è
elevato e questo influisce sulle operazioni di estrusione e sulle caratteristiche del
prodotto finito. Ad esempio se l’umidità è ridotta il prodotto all’uscita dalla trafila avrà
una bassa tendenza all’espansione.
Il processo di estrusione determina, a carico della materia prima, delle modifiche
chimiche che influiscono sulla tessitura, colore e proprietà nutrizionali del prodotto
finito. Il primo e più importante fenomeno che si evidenzia è la degradazione dei granuli
di amido in piccole unità oligosaccaridiche; maggiore è il livello di degradazione
maggiore sarà il fenomeno di gelatinizzazione e di conseguenza la viscosità della massa.
Successivamente, le forze di coesione all’interno del prodotto, determinano la
frammentazione delle catene oligosaccaridiche in piccole unità, a questo segue un
decremento della viscosità. Il raffreddamento, del materiale amidaceo estruso,
determina la ricristallizzazione dell’amido, fenomeno che influisce sulla tessitura finale
55
dello snack.
Nei processi con un tenore in acqua minore del 30%, l’estruso gelatinizzato
espande in seguito alla forgiatura per l’evaporazione dell’acqua alla temperatura di 100
°C. Una volta che l’acqua è evaporata ed il prodotto si è raffreddato, il sistema passa
velocemente al di sotto della temperatura di transizione vetrosa e lo snack mantiene un
livello di espansione stabile e costante. Gli estrusi con un più alto livello di acqua
tendono a ridurre le proprie dimensioni durante il raffreddamento, questo è determinato
dal decremento della temperatura di transizione vetrosa. Durante il raffreddamento essi
rimangano al di sopra di tale temperatura e questo causa la contrazione ed il collasso del
sistema (Blanshare, 1995).
1 2
3 4
Fasi di gelatinizzazione:
1- Assorbimento di acqua, 2- Separazione dei granuli,3- I granuli interferiscono fra loro, 4- Perdita di struttura.
In molti prodotti estrusi la reazione di Maillard può avere importanti ripercussioni
sulle caratteristiche del prodotto, in particolar modo su aroma, colore e proprietà
nutrizionali. Un ridotto contenuto di acqua ed elevate temperatura sono i fattori
maggiormente influenti sui fenomeni di imbrunimento non enzimatico, tale reazione
oltre a determinare colorazioni brune del prodotto, può causare una riduzione della
componente proteica prevalentemente a carico degli amminoacidi essenziali. Nei
prodotti trattati con cottura – estrusione si evidenzia anche un decremento della frazione
vitaminica conseguente alla degradazione termica, inoltre si può assistere ad
un’alterazione aromatica e cromatica, a tale inconveniente si può sopperire
addizionando coloranti e aromi durante la fase di miscelazione o durante il processo di
estrusione.
56
Lo studio condotto dal Dipartimento di Protezione e Valorizzazione Agro-
Alimentare dell’Università di Bologna, ha preso in esame tre differenti ricette a
contenuto percentuale crescente di farina di castagne (20%, 30%, 40%) che sono state
estruse a tre differenti temperature (90, 110, 125 °C). Per ottenere il prodotto desiderato
“snack dolce” è stato necessario miscelare la farina di castagne con farina di riso al fine
di formulare una ricetta idonea, dal punto di vista compositivo, al processo di cottura-
estrusione; l’elevato contenuto in zuccheri totali della farina di castagne avrebbe infatti
reso difficoltoso il processo. Con tali ingredienti sono state realizzate tre differenti
ricette con la seguente composizione:
Ricetta n. 1 Farina di riso 78%
Farina di castagne 20%
Sale (NaCl) 2%
Ricetta n. 2 Farina di riso 68%
Farina di castagne 30%
Sale (NaCl) 2%
Ricetta n. 3 Farina di riso 58%
Farina di castagne 40%
Sale (NaCl) 2%
Ognuna delle tre ricette è stata sottoposta ad estrusione-cottura alle temperature di
90°, 110° e 125°C, ottenendo in tal modo nove prodotti diversi. Le tre ricette sono state
miscelate a secco per 10 minuti e successivamente poste nella tramoggia di carico
dell’estrusore. Dalla tramoggia, tramite un miscelatore ad elica, la miscela è stata
trasportata in una vasca impastatrice dove è stata addizionata acqua per giungere ad
un’umidità del 35%. Dalla fase di umidificazione fino all’estrusione la macchina ha
lavorato sotto vuoto per minimizzare l’inglobamento di aria nel prodotto, impedendo
così le reazioni chimiche ed enzimatiche di tipo ossidativo, ottenendo alla fine un
prodotto che presenta maggiori capacità di espansione.
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Sui campioni sono state eseguite le seguenti determinazioni: densità, colore,
umidità (%), W.S.I. (Water Solubility Index), W.A.I. (Water Absorption Index), panel
test costituito da 20 assaggiatori non addestrati.
Durante il processo, si è potuto notare che per tutte e tre le formulazioni
considerate, alla temperatura di estrusione più bassa (90 °C) e parzialmente a 110 °C, si
sono verificate striature biancastre nella sfoglia dovute alla non completa cottura della
farina di riso. Invece alla temperatura di 125 °C, la sfoglia in uscita dalla trafila si
presentava, per tutte e tre le ricette, molto omogenea, di buon colore e di buone
caratteristiche (non si lacerava e risultava ben lavorabile). Le analisi hanno permesso di
confrontare il diverso comportamento delle materie prime utilizzate; innanzi tutto si è
costatato che la farina di castagne inizia a gelatinizzare a temperatura inferiore rispetto
alla farina di riso e raggiunge valori di viscosità massima minori.
La sfoglia, dello spessore di 0,7-0,8 mm, è stata stampata in pellet di forma
esagonale, questi sono stati essiccati per 6 h in corrente di aria calda a 50 °C e umidità
relativa del 50%, l’umidità finale dei prodotti è risultata pari al 9%. I pellet sono stati
successivamente espansi nel tostatore ottenendo i prodotti finiti che presentavano un
umidità relativa del 3-4%.
Per tutte e tre formulazioni si è notato che aumentando la temperatura di
estrusione la densità diminuisce a causa della maggiore espansione del prodotto dovuta
all’aumentata gelatinizzazione dell’amido. I prodotti ottenuti dalla ricetta contenente il
40% di farina di castagne presentano valori di densità elevati, sono infatti espansi poco
PROCESSO DI COTTURA - ESTRUSIONE
Espansione
Essiccazione6h, 50 °C, U.R.50%
cottura - estrusione
Vasca impastatriceumidità 35%sotto vuoto
Tramoggia
Miscelazione a secco10'
Acqua
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e in modo irregolare a causa dell’elevato contenuto in zuccheri di questo materiale.
I prodotti migliori sono risultati quelli contenenti il 20-30% di farina di castagne
estrusi a temperature di 125 °C, nei quali sia la completa cottura della farina di riso sia il
limitato contenuto di farina di castagne hanno favorito l’espansione.
Si è notato che aumentando la temperatura durante l’estrusione l’umidità del
prodotto espanso finito diminuiva, mentre il valore degli indici di solubilità in acqua
(W.S.I.) e di assorbimento di acqua (W.A.I.) aumentava. In particolare l’incremento dei
valori di W.A.I. è indice dell’avvenuta gelatinizzazione dell’amido e del conseguente
assorbimento di acqua. Inoltre aumentando il contenuto percentuale di farina di castagne
si nota come W.S.I., cioè la percentuale di sfarinato solubilizzato, aumenti in modo
significativo; ciò è dovuto probabilmente all’aumento del contenuto in zuccheri
derivante dalla più elevata percentuale di farina di castagne presente. Si può concludere
che la presenza di farina di castagne modifica in maniera significativa i valori di
solubilità, mentre non incide in maniera determinante sull’assorbimento di acqua, infatti
i valori W.A.I. delle diverse ricette sono molto simili fra loro.
Per quanto riguarda il giudizio espresso dal panel test nel prodotto costituito dal
20% di farina di castagne il sapore del frutto è stato percepito solamente come un
retrogusto, la consistenza è risultata buona o leggermente dura; il prodotto ottenuto dalla
ricetta 2 (30% farina di castagne) è risultato di consistenza maggiore e con gusto di
castagne gradevole; il prodotto ottenuto dalla ricetta 3 (farina di castagne 40%), avendo
un sapore di castagna più accentuato, è stato valutato in maniera differente in base al
gusto proprio di ciascun assaggiatore, inoltre è risultato di consistenza troppo elevata.
L’alto contenuto in zuccheri della farina di castagne, conferendo una limitata
tendenza all’espansione ha altresì permesso di ottenere prodotti tipo cereali da prima
colazione più croccanti e meno idratabili rispetto ad analoghi prodotti estrusi.
6.2.6. Crema di castagne o di marroni
La Direttiva CEE: 79/693 dà la seguente definizione: “Mescolanza portata a
consistenza gelificata adeguata di zuccheri e purea di marroni. Per 1 Kg di prodotto
finito la quantità di purea di marroni utilizzata deve essere superiore a 380 g”. La polpa
59
di frutti precedentemente bolliti viene passata finemente e addizionata con saccarosio e
vaniglia. La crema viene poi riscaldata a 85° - 90 °C e confezionata a caldo.
6.2.7. Marroni e castagne in soluzione acquosa
I frutti interi e pelati sono posti in scatole o vasetti e ricoperti con un liquido di
governo costituito da acqua a 70 °C, 2% di cloruro di sodio e 5% di saccarosio. I
contenitori sono chiusi ermeticamente e sterilizzati a 116 °C per 30’-35’.
6.2.8. Marroni e castagne a secco in vasi di vetro
I frutti, interi e pelati, sono posti in vasi di vetro e sterilizzati a 116 °C per 1h 30’
oppure a 100 °C per 3 ore. Con questo sistema la consistenza rimane perfetta, ma si
verifica un imbrunimento della polpa. E’ possibile aggiungere anche una quantità di
acqua del 10%, che viene assorbita durante la cottura dei frutti, i quali al momento del
consumo si presentano comunque asciutti.
6.2.9. Marroni e castagne sottovuoto
Si confezionano i frutti pelati, asciutti, freschi o surgelati, in sacchetti di plastica
trasparente. Alla chiusura si opera il vuoto spinto e si procede con la pastorizzazione a
116 °C per 35’. I frutti così trattati possono anche essere conservati con atmosfera
modificata con valori di anidride carbonica ed ossigeno rispettivamente del 20% e 2%.
Le castagne conservate per 6-12 mesi mantengono intatte le proprie qualità
organoletiche sia per sapore che per consistenza. Si tratta inoltre di un prodotto molto
vantaggioso, di pronto impiego essendo già stato cotto durante il processo di
pastorizzazione.
60
6.2.10. Marroni e castagne in soluzione alcolica
I marroni precedentemente canditi vengono posti in vasi e ricoperti da liquore.
Durante la conservazione avviene lo scambio osmotico tra lo zucchero contenuto nei
marroni e l’alcol, ciò dà luogo a un gradevole sciroppo liquoroso.
61
CAPITOLO 7
VALORE NUTRIZIONALE
Le castagne sono frutti nutrienti e digeribili che rispondono alle attuali esigenze
dei consumatori orientati verso cibi naturali e genuini che apportano sostanze
biologicamente attive fondamentali per una sana alimentazione. A differenza della
maggior parte dei frutti a polpa, il contenuto idrico è relativamente modesto, infatti nel
prodotto fresco si aggira intorno a valori del 50%, mentre nelle castagne secche scende
al 10%. Si tratta di un frutto molto nutriente, basti pensare che 100 g di castagne fresche
apportano circa 160 Kcal, inoltre presentano un contenuto di fibra pari al 7-8%, un
apporto di glucidi zuccherini ed amidacei del 35%, un eccellente contenuto di proteine
di qualità, una bassa percentuale di grassi, sali minerali e di acido fitico, infine
possiedono un modesto contenuto di vitamine idrosolubili (B1 e B2), la Vit. C presente
nel frutto fresco nell’ordine di 23 mg/100g, scompare completamente in seguito a
trattamento termico.
Il patrimonio nutritivo può variare sensibilmente in seguito al processo produttivo:
nelle castagne bollite si ha un incremento di umidità seguito da una diminuzione di circa
il 25% del valore energetico, il contenuto di amido diminuisce e si hanno perdite di
potassio e magnesio, mentre proteine, lipidi e saccarosio si modificano di poco. Nelle
caldarroste l’umidità si abbassa del 20% e il contenuto di zuccheri disponibili ed il
valore energetico aumentano del 25% (200 Kcal), con l’essiccamento cresce il
contenuto proteico e di carboidrati disponibili che raggiungono valori di 60 g/100g di
parte edule. Nella farina è molto significativo il contenuto di fibra (14,2%), con
prevalenza della quota insolubile, il valore energico raggiunge valori di 343 Kcal/100g.
62
Composizione e valore nutritivo delle castagne (g/100g).
7.1. Glucidi
La componente glucidica, zuccherina ed amidacea, prevale di gran lunga sugli
altri costituenti. In media gli zuccheri ammontano a 34 g nelle castagne e 36,9 nei
marroni su 100 g di parte edule fresca, mentre la componente amidacea corrisponde
rispettivamente a 24,4 g/100 g e 28,3 g/100 g. Lo zucchero principale è il saccarosio che
può rappresentare dall’8% al 15% della frazione glucidica, mentre glucosio, fruttosio e
maltosio sono presenti solo in minima parte e derivano dalla parziale idrolisi del
saccarosio, non sono dunque zuccheri naturalmente presenti nel frutto. In seguito a
trattamento termico la frazione glucidica può subire delle modifiche legate
principalmente all’attività enzimatica ad opera di -amilasi e -amilasi. Si verifica
infatti una degradazione dell’amido seguita da un incremento del contenuto di amilosio
e contemporaneamente si evidenzia un aumento della concentrazione di saccarosio e
maltosio, la sintesi di quest’ultimo deriva prevalentemente dall’azione delle -amilasi.
La presenza di carboidrati solubili rende difficile la conservazione prolungata del
prodotto fresco per la possibilità di sviluppo di microrganismi, in particolar modo di
funghi. La curatura in acqua è una delle pratiche più efficienti per rimediare
all’inconveniente.
Per la ricchezza in glucidi i frutti hanno proprietà energetiche e sono perciò molto
63
efficaci nelle debolezze fisiche ed intellettuali, per chi è soggetto a stress o pratica sport,
mentre sono sconsigliati per i diabetici. Le castagne inoltre sono state rivalutate anche
come possibile materia prima per la realizzazione di prodotti per l’infanzia, in quanto gli
zuccheri rappresentano un alimento alternativo per i bambini allergici al latte di vacca o
al lattosio. Inoltre le castagne sono state recentemente impiegate nel settore pediatrico
per il trattamento di gastroenteriti (Borges P. et al., 2007). La farina sopperisce, nella
preparazioni di dolci e minestre, al fabbisogno di carboidrati anche nei soggetti che
presentano intolleranza ai cereali.
7.2. Fibra
Il contenuto totale di fibra corrisponde a 7,3 g su 100 g di prodotto fresco, di
questa 6,7 g costituiscono la frazione insolubile, il restante 0,6 appartiene alla frazione
solubile. La fibra è costituita prevalentemente da polisaccaridi non assimilabili
dall’organismo ed è responsabile della consistenza e quindi dell’accettabilità del
prodotto. E’ ritenuta molto importante per l’azione favorevole sulla mobilità intestinale,
sulla microflora e sulla riduzione della colesterolemia. Viene raccomandata nelle diete
in quanto previene disturbi gastro-intestinali accelerando il transito delle sostanze
nell’intestino.
7.3. Proteine
La frazione proteica in castagne e marroni è rispettivamente di 3,2 e 3 g/100g, pari
a quella del latte. Nelle castagne secche e nella farine il contenuto di proteine non è
elevato (simile a quello del riso), mentre la qualità proteica è più che soddisfacente,
infatti sono presenti aminoacidi essenziali quali lisina, cisteina e metionina mentre
l’aminoacido limitante è il triptofano. Per il buon profilo proteico le castagne
costituiscono un ottimo complemento ai legumi.
La frazione proteica è priva di gliadine e gluteine, questa carenza rende la farine
di castagne non adatta alla panificazione, infatti gliadine e gluteine, a contatto con
64
l’acqua si uniscono tramite legami intermolecolari formando il glutine, una sostanza
lipoproteica che dà alla pasta del pane viscosità, elasticità e coesione. Se da un lato tale
caratteristica limita fortemente l’uso della farina di castagne nelle preparazioni
alimentari, dall’altro la rende idonea alla realizzazione di prodotti dietetici senza glutine
destinati ai celiaci.
7.4. Lipidi
Il contenuto di lipidi, a differenza della maggior parte della frutta secca, non è
elevato, ma la loro qualità è molto buona. Il frutto, privo di colesterolo, è un’importante
fonte di acidi grassi essenziali, linoleico e linolenico, che rappresentano circa il 65%
degli acidi grassi totali, dei quali gli acidi grassi saturi costituiscono il 17%, la restante
parte (83%) è rappresentata dagli acidi grassi insaturi, di cui 31% monoinsaturi, 52%
polinsaturi. Gli acidi grassi predominanti sono: oleico (C 18:1), linoleico (C 18:2) e
palmitico (C 16:0). Risultati statistici dimostrano che esiste una correlazione positiva fra
linoleico e linolenico (C 18:3), mentre è negativa fra oleico e linoleico e fra oleico e
linolenico; lo stesso risultato è stato riscontrato in pistacchi, mandorle e nocciole.
Il contenuto di acidi grassi varia a secondo della cultivar, Borges P. et al (2007)
sostengono che queste differenze siano legate ai caratteri genotipici e all’ambiente e
condizioni di crescita.
Gli acidi grassi essenziali, insaturi in particolar modo, svolgono un’importante
ruolo nella prevenzione da malattie cardiovascolari, riducono la concentrazione di
colesterolo, agiscono a livello di membrana cellulare, regolano il trasporto dei lipidi nel
sangue, favoriscono lo sviluppo della retina nei bambini.
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Contenuto di acidi grassi di frutti freschi e secchi
7.5. Sali minerali
Nella composizione minerale prevale il potassio i cui valori vanno da 395
mg/100g nelle castagne a 499,6 mg/100g nei marroni. Il contenuto di magnesio, ferro e
calcio è modesto e si aggira intorno a valori di 35 mg/100g. Un altro pregio delle
castagne è il basso contenuto in sodio (9 mg/100g), i medici infatti raccomandano diete
povere di sodio per ridurre la pressione sanguigna.
7.6. Vitamine
Le vitamine del gruppo B, riboflavina (Vit. B2) e niacina (Vit. PP), sono presenti
in quantità non trascurabile, anzi paragonabile alla frazione presente nella frutta fresca.
Le vitamine B essendo termostabili, sono presenti nel frutto anche in seguito a
trattamenti termici. La Vit. B2 favorisce la respirazione cellulare, i processi di
accrescimento e protegge la mucosa intestinale. La Vit. PP protegge l’apparato
digerente, il sistema nervoso e favorisce la crescita. Il contenuto di Vit. C corrisponde a
23 mg/100g, è presente esclusivamente nel frutto fresco poiché si tratta di un composto
tremolabile.
Troviamo buoni quantitativi di acido fitico, pari a 50 mg/100g, si tratta di una
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sostanza che sembra possiede un effetto ipocolesterolemizzante. Si riscontrano inoltre
ridotti quantitativi di acido pantotenico, che entra nella composizione del coenzima A,
molecola chiave nel metabolismo di protidi, lipidi e glucidi. Infine si ricorda l’acido
ellagico, sostanza con importanti proprietà anticancerogene, presente solo in tracce
nella polpa, mentre abbonda in episperma e pericarpo.
67
IL MUSEO DEL CASTAGNO
Il Castagno è una coltura che affonda le proprie radici in un passato remoto,
numerosi sono infatti gli scritti che testimoniano l’esistenza della pianta e la conoscenza
del frutto già in epoca Greca e Romana. Con le grandi vittorie di Roma e la conquista di
nuovi territori, la castanicoltura si estende oltre il suolo italico raggiungendo Portogallo,
Spagna, Francia, Svizzera e Inghilterra meridionale.
Durante il Medioevo si assiste ad una ristrutturazione del paesaggio agrario e
forestale e, a partire dal Duecento il castagno si afferma come protagonista del
paesaggio boschivo. Diventa preoccupazione di ogni Comunità, che vive in un regime
per lo più autarchico, di regolare attraverso leggi e statuti la gestione dei castagneti.
Negli archivi è così possibile ritrovare testi statuari che contengono norme severe per la
tutela dei castagneti punendo i danneggiamenti, regolando i diritti d’uso e disciplinando
gli usi civici, ciò fa sì che si istauri una vera e propria “Civiltà del Castagno”. Ad
esempio, specialmente all’epoca della caduta dei frutti, era vietato l’accesso agli
animali, in particolar modo a capre e suini, ed erano previste pene severe per il pascolo
abusivo ed il danneggiamento. Inoltre veniva proibito agli stranieri di approvvigionarsi
del legname, mentre agli abitanti locali si impedivano prelievi eccessivi, si stabilivano
ceduazioni organizzate e la raccolta era pubblicamente concessa dalle autorità comunali
vietando ogni appropriazione illecita o fraudolenta.
Per le popolazioni montane, la pianta diventò un bene sempre più prezioso poiché,
oltre a fornire legname per l’edilizia, la viticoltura ed il riscaldamento, era in grado di
sopperire alle esigenze di cibo delle famiglie più povere. Le castagne, per la sua
composizione simile a quella del frumento, sono state definite “pane d’albero”, ed
infatti costituivano proprio il pane quotidiano di intere popolazioni. Erano
prevalentemente indirizzate alla macinazione per l’ottenimento di farina, conservabile
per l’intero arco dell’anno, con essa si panificava, si preparavano polente, castagnacci,
necci, nutrienti minestre o pattone. Come succede in tutte le realtà afflitte dalla povertà
e dal bisogno, le fonti di sostentamento a disposizione vengono sfruttate in ogni loro
componente, e così è successo anche per il castagno, del quale “non si butta via niente”.
Le bucce, che rimanevano dalla mondatura delle castagne essiccate, erano conservate
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fino all’anno successivo, nel quale venivano impiegate per alimentare il fuoco, acceso
all’interno dei canicci, per l’essiccazione del nuovo raccolto. Il legno oltre che essere
impiegato come legna da ardere e da costruzioni, era anche destinato all’ottenimento di
carbone e tannino. Si tratta di prodotti di ottima qualità, infatti il carbone di castagno, se
idoneamente ventilato, può raggiungere temperature in grado di fodere il ferro. Il
tannino, la cui estrazione si affermò a metà Ottocento, era inizialmente impiegato per la
tintura in nero della seta, successivamente il suo utilizzo si diffuse anche alla
lavorazione conciaria delle pelli. Del castagno si conservavano anche le foglie, le quali
venivano raccolte e fatte essiccare ed erano poi utilizzate in alcune tipiche preparazioni
culinari o per la realizzazione di infusi, dalle svariate proprietà curative attribuitegli
dalla medicina popolare.
Al fine di conservare e tramandare il complesso di storia, usi e tradizioni che
ruotano attorno alla castanicoltura, nel 1985, nel comune di Colognora di Pescaglia, in
lucchesia, è sorto il Museo del Castagno per iniziativa di Angelo e Roberto Frati,
sostenuti dalla preziosa collaborazione dei cittadini riuniti in un Comitato Paesano.
L’evento determinante la nascita del Museo è stato il ritrovamento di un’antica
pergamena, datata 29 Agosto 828, nella quale si certifica che il paese di Colognora è
sorto in funzione dei castagneti che lo circondavano. Oggi il documento è conservato
presso l’Archivio Vescovile di Lucca.
In un antico edificio, del piccolo paese di origine medievale, sorge il Museo del
Castagno, all’esterno del quale sono ubicati anche un metato ed una carbonaia. Il centro
museale, suddiviso in due sezioni principali, ricostruisce la storia della castanicoltura
attraverso una sorta di cammino nel tempo che partendo dalle origini, conduce fino alle
soglie del secolo scorso. Nelle prime tappe di questo percorso immaginario,
concretizzato da reperti storici, l’attenzione del visitatore si sofferma sui molteplici
impieghi del legname, si ritrovano così tutti gli attrezzi che servivano per abbattere e
sezionare l’albero, quelli destinati alla lavorazione del legno, quali accette, roncole,
seganti e torni. L’occhio si sofferma poi su una serie di oggetti, disposti ad arte su più
ripiani, si tratta di bigonge, botti, e caratelli usati per invecchiare il vino, ceste e grigne
che servivano per porte sulle spalle paglia o fieno ed infine cassette destinate
all’essiccazione del tabacco. Si passa poi accanto ad una vetrinetta ad angolo all’interno
della quale si trovano diverse ampolle, contenenti alcune un liquido scuro e denso, altre
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cristalli ambrati dalla forma irregolare, si tratta del tannino estratto dalla corteccia del
castagno. Infine, nell’ultima sala a piano terra, è testimoniata la produzione di carbone e
l’attività del fabbro, arte per la quale, la lucchesia si è contraddistinta fin dal passato,
commercializzando i propri manufatti in tutta Europa.
Parallelamente al cammino che vede come protagonista il legno ed i manufatti che
da esso si ricavano, si diparte un secondo percorso che propone come soggetto la
castagna, dalla raccolta fino alle sue trasformazioni. Il viaggio inizia con gli attrezzi che
servivano alla manutenzione della selva, alla potatura degli alberi, alla pulitura del
fondo boschivo ed alla raccolta dei frutti. La raccolta avveniva con pertiche, dette
batacchi, che servivano a percuotere la pianta facendo cadere a terra le castagne, le
quali venivano poi recuperate manualmente. Per la raccolta dei ricci invece, ci si
avvaleva di piccoli rastrelli a tre rebbi ricurvi, dotati di un rostro per facilitarne
l’apertura e recuperare il prezioso seme racchiuso fra le valve spinose, questa
operazione poteva anche avvenire utilizzando delle grappelle, si trattava cioè di
semplici molle costruite sagomando un pezzo di castagno. Alla raccolta si dedicavano
principalmente donne e bambini, i quali riponevano le castagne nella grande tasca
frontale dei grembiuli che tenevano legati in vita.
Una volta raccolte, le castagne potevano essere conservate in ricciaie o essere
destinate direttamente all’essiccazione. La ricciaia consisteva in abbondanti cumuli di
ricci ancora chiusi, ricoperti da uno strato di foglie e terra ben pressati, e bagnati, ad
intervalli regolari, per favorire il processo di fermentazione dei frutti, in grado così di
serbarsi sani e freschi fino alla primavera successiva.
L’essiccazione avveniva all’interno dei metati, si tratta di edifici a due piani, in
pietra o mattoni, con tetto ricoperto da lastre di pietra, posti vicino al castagneto. I due
piani erano separati da un graticcio sul quale venivano disposte le castagne in uno strato
uniforme, collocato ad un’altezza di due metri dal fuoco di legna e bucce di castagno
che ardeva al centro del pavimento sottostante. Il fuoco rimaneva acceso
ininterrottamente per 20-40 giorni fino alla completa essiccazione del frutto, durante
questo periodo le castagne venivano rivoltate più volte con una pala di legno, quando le
castagne cadendo le une sulle altre “cantavano” significava che il processo di
essiccazione era terminato.
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Una volta finita l’essiccatura si procedeva alla pestatura o battitura, cioè alla
separazione del frutto dalla buccia secca. Questa operazione poteva avvenire con
strumenti diversi a seconda dell’aria geografica in cui ci si trovava, in Lunigiana, ad
esempio, intorno al 1400, si servivano delle mazzeranghe, dischi di pietra dotati di un
manico in legno, con cui si percuotevano le castagne ammassate sull’aia, altrimenti
potevano essere pestate con un pestello in un mortaio di legno, o esser poste in sacchi di
tela, che poi venivano battuti ripetutamente su un ceppo di legno, affinché la tela non si
rompesse, i sacchi venivano immersi in un brodo di semola cotta e sul ceppo si
distendeva una pelle o una tela di canapa. Fra 1700 e 1800 si diffuse l’uso di zoccoli
dotati sulla suola di pioli in legno di corniolo o in ferro, calzati questi zoccoli, gli
uomini entravano in grandi bigonge, riempite meno della metà
da castagne abbrustolite. Le bigonge erano costituite da toghe
leggermente distanziate fra loro cosicché dagli spazi aperti
potesse uscire la pula, distaccatasi dal seme in seguito
all’operazione di pestatura. L’introduzione, nel 1924, del
primo sistema di battitura meccanizzato, rappresentò per
l’epoca, un’innovazione rivoluzionaria per il settore della castanicoltura. Si trattava di
una macchina a motore a scoppio costituita da una parte superiore con battitore, e da
una parte inferiore con ventola e crivelli, dotata di tre uscite, una per le castagne intere,
destinate alla molitura, un’altra per i pesticci, cioè quelle spezzate, usate per
l’alimentazione del bestiame, ed infine la terza per la buccia, conservata per soffocare il
fuoco nel metato l’anno successivo. (Il modello presente nel Museo di Colognora è stato
realizzato dal signor Biagioni di Mologno di Barga, in provincia di Lucca).
Pestelli in pietra ed in legno usati per la battitura.Museo del Castagno, Colognora di Pescaglia, Val di Roggio (LU).
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Una volta liberate dalla buccia, le castagne dovevano essere liberate dalla pula, la
sottile pellicola rossastra che aderisce al seme. Questa operazione, detta ventilazione,
veniva eseguita per lo più dalle donne, le quali per far volar via la pula residua e le
impurità, facevano saltare ripetutamente le castagne in un recipiente di legno largo ed
incavato, la vassoia o bassoia. Così ripuliti, i frutti potevano essere o immediatamente
macinati, o conservati in luoghi asciutti all’interno di cassoni ricoperti da una tela e da
uno strato di pula in modo da impedire il contatto con l’aria, in questo modo si potevano
conservare fino a primavera.
La farina, ottenuta dai frutti essiccati e macinati con molini ad acqua, poteva
essere perfettamente conservata per due anni, ben pressata all’interno di cassoni di
legno di castagno o in contenitori medievali scavati nel macigno. Al loro interno la
farina si compattava e solidificava, le massaie per recuperarla erano perciò costrette ad
adoperare apposite spatole raschiatrici o molto più frequentemente ricorrere ad asce.
La raccolta museale si conclude con gli strumenti che servivano per la cottura
degli alimenti a base di farina dolce. Fra questi i più caratteristici sono i testi, dischi in
ferro o in pietra, che servivano per la cottura dei necci o migliaccetti, specie di
focaccine, ottenute da una pastella di farina ed acqua, fatte cuocere fra due testi
sapientemente riscaldati. Fra il testo ed il neccio si usava frapporre due o tre foglie di
castagno, appositamente seccate ed ammollate in acqua, queste servivano per non fare
attaccare la pastella alla superficie del testo e per conferire uno speciale aroma al
prodotto.
Testi in pietra Testi in metallo
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La preziosa raccolta di oggetti, strumenti, attrezzi e documentazione fotografica e
cartacea conservata nel Museo, deriva dalle generose donazioni degli stessi abitanti di
Colognora, oltre che dalle accurate ricerche effettuate dal direttore del Museo, Angelo
Frati e dei suoi collaboratori, i quali sono riusciti ad estendere l’iniziativa al di fuori dei
confini del paese, realizzando gemellaggi con altri comuni toscani e non solo, il Museo
ha infatti importanti relazioni con il Museé de la Chataigneraie, che sorge nel parco
naturale dei monti d’Ardèche, presso Joyeuse, in Francia.
La validità culturale dell’iniziativa è dimostrata dall’interesse che essa è riuscita a
suscitare in visitatori, giornali, riviste ed emittenti televisive anche straniere, e dal ruolo
che le viene riconosciuto da associazioni quali “Lucca in Villa” ed organismi come il
“Centro per la raccolta, lo studio e la valorizzazione delle tradizioni popolari della
provincia di Lucca”.
Inoltre, il Museo, insieme ad alcuni ricercatori e liberi professionisti, si è fatto
promotore per la realizzazione dell’“Istituto per la Documentazione sul Castagno e la
Ricerca Forestale” nato nel 2002. L’ente si occupa della formazione professionale, della
divulgazione e della didattica rivolta alle scuole, ma il suo obbiettivo principale è la
promozione della ricerca in campo forestale, legata principalmente all’attività di
documentazione relativa al castagno, con particolare, ma non esclusiva attenzione alla
provincia di Lucca.
In questo settore è stata realizzata, con sede a Colognora di Pescaglia, una
biblioteca monotematica che raccoglie documentazione sulla pianta del castagno ed i
suoi prodotti. Sempre nella stessa sede, l’Istituto, in collaborazione con la Comunità
Montana Area Lucchese e il DISTAF dell’Università degli Studi di Firenze, ha
costituito un arboreto, che raccoglie esemplari delle varie cultivar di castagno
individuate, attualmente vi si trovano più di venti cultivar tipiche delle Alpi Apuane e
della Lucchesia. Questi impianti serviranno, oltre che alla conservazione del materiale
genetico, come banca per il prelievo delle marze e per condurre, sulle vecchie cultivar,
sperimentazioni ed osservazioni in campo.
Il fine del Museo del Castagno, non è semplicemente quello di farsi custode degli
usi e tradizioni del passato, ma quello di intervenire in prima persona, facendosi
promotore di iniziative per il recupero e la valorizzazione del territorio, attraverso una
rivalutazione dall’intero settore della castanicoltura. Recuperare l’antica cultura del
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castagno, dalla filiera di produzione di frutti e legname alla trasformazione dei prodotti,
vuol dire, non solo, creare nuove opportunità in termini di occupazione e di reddito, ma
anche ottenere una rete efficiente di controllo e vigilanza sul territorio a tutela del
paesaggio collinare, fatto di ambienti naturali coltivati e boschivi, modellati nei secoli
dall’azione dell’uomo. I terrazzamenti, i muri a secco, le reti per lo scorrimento delle
acque, gli essiccatoi e i molini sono testimonianze del saper fare che è alla base della
nostra cultura. Recuperare queste presenze, ridare vita alle colline e ai boschi, creare
filiere virtuose legate alla produzione, trasformazione, all’artigianato e al turismo
sostenibile, costituisce una valida alternativa al consumo di territorio, di acqua e di
risorse naturali che sempre più si dimostrano modelli insostenibili e non adeguati per
una crescita di qualità della vita nei nostri territori.
Facciata del Museo del Castagno,Colognora di Pescaglia, Val di Roggio (LU).
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RICETTE DELLA TRADIZIONE TOSCANA
Nello scenario toscano, castagne e marroni svolgevano un ruolo emblematico,
esse infatti, soprattutto nelle aree montane, erano il simbolo della sopravvivenza. Oggi,
con l'industrializzazione e la conseguente circolazione del denaro, questi antichi legami
si sono ormai dileguati sopravvivendo solo come rarità e folklore. Nel periodo che va da
Ottobre a Settembre numerosissimi sono le sagre e gli eventi che si susseguono di paese
in paese per far rivivere il mito della castagna. Si possono trovare un po' ovunque, ma
soprattutto nel Pistoiese, in Lunigiana e nella Garfagnana, dove si parla ancora del
Maconeccio, un rituale antico che si svolgeva nei boschi per assicurare un buon raccolto
di castagne. Questo rito coinvolgeva la gente dei paesi di montagna, uomini e donne,
che, la sera del 29 settembre, festa di San Michele, verso l'imbrunire si riunivano nelle
piazze, muniti di torce e campanacci per dirigersi verso i castagneti, in processione,
gridando «Maconeccio, Maconeccio». Il suono dei campanacci e le grida della gente,
servivano come sfida degli uomini alle streghe, a scongiurare le malie che avrebbero
distrutto il raccolto delle castagne distruggendo altresì i mezzi di sostentamento per tutto
l'anno.
Nella lotta quotidiana per la sopravivenza, le popolazioni montane avevano
imparato ad utilizzare i preziosi frutti dell’albero del pane nei modi più svariati,
stimolando la fantasia sono stati inventati svariati modi di utilizzare le castagne:
arrostite (frugiate, caldarroste), bollite in acqua o latte (ballotti, tullore), sostituivano,
specialmente in montagne il pane; calde si consumavano con latte o vino; macinate,
costituivano sfarinati da impiegare come succedanei delle più costose farine di cereali
nella preparazione di polenta, zuppe, pane e focacce da accompagnare, quando c'erano e
solo per i più fortunati, con ricotta, formaggi, salumi e verdure.
Nella cucina toscana, castagne e farina di castagne sono state fin dal passato, le
protagoniste di un’ampia gamma di ricette, dalle quali si ottenevano portate elaborate e
succulente, destinate ad allietare le mense dei ricchi signori, o piatti semplici,
esclusivamente a base di farina ed acqua, destinati a sfamare le popolazioni montane. Le
ricette variano di località in località, così come i nomi attribuiti ai diversi piatti, i cui
ingredienti principali comunque sono sempre gli stessi: farina ed acqua. Fra le varie
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ricette possiamo ricordare: la castagnata, la pattona, la vinata, i manifregoli, il
castagnaccio, i necci e la polenta neccia.
La castagna in acqua cotta
prende il nome di ballotta
se la macini è farina
deliziosa e sopraffina
se l'impasto, cosa faccio?
un gustoso castagnaccio!
Il Castagnaccio
Si tratta di un impasto di farina dolce ed acqua, (qualcuno aggiunge due cucchiai
di olio, un po’ di latte e la scorza grattugiata di un arancio e, in base alla qualità della
farina, un po’ di zucchero). Si deve ottenere una pastella fluida e priva di grumi, questa
viene versata in una teglia bassa e larga, precedentemente unta con olio. Lo strato di
pastella deve avere uno spessore di circa 1cm. La superficie è poi ricamata con un filo
d’olio e cosparsa con aghi di rosmarino, il tutto può essere arricchito con pinoli, gherigli
di noce e uva passita. La teglia viene tenuta in forno ben caldo per poco meno di un’ora.
Il castagnaccio è cotto quando fa una bella crosta e la superficie risulta leggermente
screpolata.
Castagnaccio
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I Necci
I nomi dati a questo prodotto sono i più svariati: a Massa era detto bollente, a
Fivizzano cialdone, nella Lunigiana cian. I nomi cambiano ma si può dire, in linea
generale, che il neccio è una piccola schiacciatina azzima e tonda, ottenuta con farina
dolce impastata con acqua leggermente salata e cotta al fuoco; anche in questo caso le
modalità di cottura e preparazione variano di zona in zona. In Garfagnana ed in
Lunigiana la cottura avveniva con i testi, piastre rotonde di pietre che le massaie
mettevano dentro al forno, togliendole soltanto quando, per il calore, erano diventate
quasi bianche. Poi ponevano sulla pietra sapientemente scaldata alcune foglie di
castagno, queste dovevano essere necessariamente secche, altrimenti avrebbero
impartito un sapore amaro. Su questa base venivano versate alcune cucchiaiate di
impasto, su cui si adagiavano altre foglie e una seconda pietra rovente. Seguendo questo
procedimento e disponendo le coppie di piastre l’una sopra l’altra si formava un’alta
pila di dischi. Innalzata questa la cottura era terminata. Si potevano infatti separare le
pietre e togliere via via i necci che si staccavano bene grazie alla presenza delle foglie.
Al posto dei testi in pietra si potevano usare anche quelli in ferro, dotati di un
lungo manico che permetteva di tenerli direttamente sul fuoco. Per impedire che
l’impasto si attaccasse alla piastra era necessario ungerne la superficie con dell’oli. Il
neccio può accompagnare qualsiasi piatto, ma tipico era il suo abbinamento con i salumi
specialmente salsiccia e pancetta, accompagnato con questi prodotti prendeva il nome di
neccio cieco. Il neccio attortellato, è quello oggi più consumato, farcito di ricotta e
arrotolato alla maniera dei cannoli.
Neccio attortellato
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La Polenta Neccia
In una pentola capace si fa bollire acqua leggermente salata, raggiunto il bollore si
versa la farina dolce e si mescola energicamente per evitare che si formino grumi. La
polenta è pronta quando comincia a “soffiare” e sulla superficie si formano come delle
bolle. A questo punto si rovescia la polenta su una spianatoia dandole la classica forma
a tombolo.
Un tempo, i buzzurri, gli ambulanti che vendevano per le strade ballotte, bruciate,
necci e castagnacci, facevano delle pattone (così erano chiamate nel fiorentino), del
peso di diversi chili, che vendevano a fette tagliandole con un filo forte e sottile tenuto
teso fra le dita. In alcune zone della provincia di Firenze, la polenta di castagne era
considerata un dolce, e spesso era accompagnata con la ricotta. Nelle regioni montane
invece la pattona era usata come se fosse pane, e all’occasione era mangiata con
salsiccia, rigatino, verdure, salacchini (acciughe salate), aringhe e baccalà.
Paiolo in legnoMuseo del Castagno, Colognora di Pescaglia, Val di Roggio (LU).
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INRAN 2007 - Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizionehttp://www.inran.it/
81
INDICE
ABSTRACT pag. 3
CAPITOLO 1
CASTANICOLTURA IN ITALIA pag. 5
CAPITOLO 2
CASTANEA SATIVA: CARATTERISTICHE BOTANICHE
2.1. Habitat pag. 11
2.2. Fusto pag. 12
2.3. Foglie pag. 13
2.4. Infiorescenze pag. 13
2.5. Frutto pag. 14
2.6. Fasi fenologiche pag. 15
CAPITOLO 3
PRINCIPALI AVVERSITA’
3.1. Mal dell’inchiostro pag. 16
3.2. Cancro della corteccia pag. 18
3.3. Curculio elephas (Balanino del castagno) pag. 19
3.4. Tortice pag. 20
3.5. Cinipide pag. 20
CAPITOLO 4
RACCOLTA
4.1. Raccolta manuale pag. 22
82
4.2. Raccolta agevolata pag. 23
4.3. Raccolta meccanizzata pag. 23
4.3.1. Separatrici pag. 24
4.3.2. Raccoglitrici pneumatiche pag. 24
4.3.3. Raccoglitrici andanatrici pag. 24
CAPITOLO 5
CONSERVAZIONE DELLE CASTAGNE
5.1. Qualità in post raccolta pag. 25
5.2. Mercato del fresco, norme di commercializzazione pag. 26
5.3. Lavorazioni per il mercato fresco pag. 26
5.4. Metodi di conservazione
5.4.1. Ricciaia pag. 27
5.4.2. Curatura o idroterapia pag. 28
5.4.3. Sterilizzazione o termoidroterapia pag. 29
5.4.4. Refrigerazione in atmosfera normale pag. 29
5.4.5. Refrigerazione in atmosfera controllata pag. 29
5.4.6. Trattamenti con CO2 pag. 30
5.4.7. Surgelazione pag. 30
5.4.8. Essiccazione pag. 32
CAPITOLO 6
TRASFORMAZIONE DI CASTAGNE E MARRONI pag. 34
6.1. Semilavorati
6.1.1. Marroni e castagne pelati pag. 39
6.1.2. Purea di castagne pag. 40
83
6.2. Prodotti finiti
6.2.1. Castagne secche e farina di castagne pag. 41
6.2.2. Castagne e marroni arrosto pag. 45
6.2.3. Marroni e castagne interi sciroppati pag. 47
6.2.4. Marroni canditi e Marrons Glacés pag. 49
6.2.5. Snack e cereali a base di farina di castagne pag. 53
6.2.6. Crema di castagne o di marroni pag. 58
6.2.7. Castagne e marroni in soluzione acquosa pag. 59
6.2.8. Castagne e marroni in vasi di vetro pag. 59
6.2.9. Castagne e marroni sotto vuoto pag. 59
5.2.10. Castagne e marroni in soluzione alcolica pag. 60
CAPITOLO 7
VALORE NUTRIZIONALE pag. 61
7.1. Glucidi pag. 62
7.2. Fibra pag. 63
7.3. Proteine pag. 63
7.4. Lipidi pag. 64
7.5. Sali minerali pag. 65
7.6. Vitamine pag. 66
APPENDICE 1
IL MUSEO DEL CASTAGNO pag. 67
APPENDICE 2
RICETTE DELLA TRADIZIONE TOSCANA pag. 74
Bibliografia pag. 78