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Università della Calabria Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali ____________________________________ Corso di Laurea Specialistica in Matematica TESI DI LAUREA Modelli idrodinamici quantistici per semiconduttori CANDIDATA RELATORI Luciana Calabretta Dott. Giovanni Mascali Matr. 96067 Dott. Giuseppe Alì ____________________________________ Anno Accademico 2005-2006

Università della Calabria - Istituto Nazionale di Fisica ... 1.1 Cenni di storia della meccanica quantistica 3 1.2 Principi della meccanica quantistica ... Basti pensare che il primo

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Università della Calabria

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

____________________________________

Corso di Laurea Specialistica in Matematica

TESI DI LAUREA

Modelli idrodinamici quantistici per semiconduttori

CANDIDATA RELATORI Luciana Calabretta Dott. Giovanni Mascali Matr. 96067 Dott. Giuseppe Alì

____________________________________

Anno Accademico 2005-2006

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Ai miei genitori,

a mio fratello Angelo,

ai miei cari nonni

Luciana

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Indice

Prefazione pag. 1

Capitolo 1 Richiami di meccanica quantistica 3

1.1 Cenni di storia della meccanica quantistica 3

1.2 Principi della meccanica quantistica 4

1.2.1 Descrizione quantistica di una particella elementare 4

1.2.2 Funzione d’onda e sue proprietà 5

1.3 Equazione di Schrödinger 6

1.4 Equazione stazionaria di Schrödinger 9

1.5 Stati puri, stati misti e operatore densità 11

1.5.1 Misure e stati puri 11

1.5.2 Operatore densità e medie d’insieme 13

Capitolo 2 Cenni di fisica dei semiconduttori 19

2.1 Reticoli e reticoli reciproci 19

2.2 Teorema di Bloch e bande energetiche 22

2.3 Banda di valenza, banda di conduzione e semiconduttori 26

2.4 Equazioni di Schrödinger per una banda 29

Capitolo 3 Modelli idrodinamici quantistici per semiconduttori 36

3.1 Equazioni idrodinamiche quantistiche a temperatura nulla 36

3.2 Idrodinamica quantistica 41

Capitolo 4 Risultati analitici 48

4.1 Esistenza di soluzioni stazionarie 48

4.2 Proprietà di positività e non positività 59

4.3 Unicità delle soluzioni stazionarie 60

Appendice A Meccanica quantistica nel formalismo dei ket 65

A.1 Formalismo dei bra e dei ket 65

A.1.1 Spazio dei ket 65

A.1.2 Spazio dei bra 65

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A.1.3 Operatori 67

A.2 Osservabili e operatori 68

A.2.1 Decomposizione spettrale di una osservabile 68

A.2.2 Osservabili compatibili 72

A.3 Misure, osservabili e principio di indeterminazione 74

A.3.1 Misure e stati puri 74

A.3.2 Relazione di indeterminazione 76

A.4 Operatore densità e medie d’insieme 79

A.5 Generalizzazioni al continuo e rappresentazione nello spazio delle

Coordinate 82

A.5.1 Generalizzazione al continuo 82

A.5.2 Funzione d’onda nello spazio delle coordinate 84

A.5.3 Operatore densità nella rappresentazione delle coordinate 87

Appendice B 88

Bibliografia 90

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Introduzione

Lo studio dei modelli matematici per semiconduttori ha particolare rilievo, in quanto

l’industria moderna di computer e telecomunicazioni si basa sull’utilizzo e lo sviluppo

dei dispositivi a semiconduttore. Dispositivi di questo tipo sono presenti, infatti, in tutti i

moderni apparecchi elettronici quali computer, cellulari, lettori mp3, videocamere e altri

ancora.

Il primo dispositivo a semiconduttore, un transistor di germanio, fu costruito nel 1947 da

Bardeen, Brattain e Shockley, ai quali venne assegnato il premio Nobel nel 1956. Nel

decennio successivo, furono realizzati molti dispositivi diversi per applicazioni specifiche

come ad esempio, per citarne solo alcuni, i laser a semiconduttore, le celle solari, i diodi

ad emissione luminosa (LED), i transistor MOS (Metal Oxide Semiconductors).

La tecnologia dei semiconduttori ha avuto successo soprattutto grazie alla dimensione dei

dispositivi a semiconduttore, che è molto più piccola rispetto a quella dei primi

dispositivi elettronici, come le valvole termoioniche. Basti pensare che il primo transistor

di Bardeen, Brattain e Shockley aveva una lunghezza caratteristica (la lunghezza

trasmettitore-collettore) di 20 mµ , mentre la dimensione di una valvola era dell’ordine di

alcuni centimetri. Il primo processore Intel 4004, realizzato nel 1971, inoltre, era

costituito da 2250 transistor, ognuno dei quali con una lunghezza caratteristica di 10 mµ ;

questa lunghezza è stata ridotta a 90 nm per i transistor del processore Pentium 4,

immesso sul mercato nel Giugno 2004. I dispositivi moderni hanno addirittura strutture

con lunghezza dell’ordine di alcuni nanometri. Questo implica che i modelli matematici

che devono essere utilizzati per descriverne il comportamento devono essere quantistici.

In genere, un dispositivo a semiconduttore può essere considerato come un dispositivo

che ad un segnale elettrico o luminoso in ingresso risponde con un segnale luminoso o

elettrico in uscita. Il dispositivo è collegato ad un circuito elettrico mediante dei contatti,

ai quali è applicato un voltaggio (una differenza di potenziale).

L’obiettivo di questo lavoro è quello di presentare alcuni risultati analitici relativi a dei

semplici modelli matematici quantistici che descrivono il moto degli elettroni attraverso

un dispositivo a semiconduttore, conseguente all’applicazione di un voltaggio.

Il lavoro si sviluppa in quattro capitoli; per completezza comprende, inoltre, due

appendici.

Nel primo capitolo sono riportati alcuni concetti fondamentali della meccanica

quantistica. Viene trattata l’equazione di Schrödinger per un elettrone libero e quella per

un elettrone in presenza di potenziali; vengono, inoltre, introdotti i concetti di stato puro,

stato misto e operatore densità, necessari per la comprensione dei modelli matematici,

che vengono ricavati nel capitolo 3. Maggiori approfondimenti su questa parte si trovano

nell’appendice A, in cui viene esposta la formulazione astratta della meccanica

quantistica, utilizzando la notazione dei ket e dei bra sviluppata dal fisico Dirac.

Nel secondo capitolo sono riportati i principali concetti della fisica dei semiconduttori e

le proprietà fondamentali di questi ultimi. In particolare, sono mostrate alcune definizioni

relative alla struttura cristallina dei solidi, quali quelle di reticolo, reticolo reciproco, zona

di Brillouin; viene enunciato e dimostrato il teorema di Bloch; si parla, inoltre, della

struttura a bande energetiche e della distinzione tra metalli, semiconduttori e isolanti.

Nell’ultima sezione di tale capitolo viene descritto come si ricavi l’equazione di

Schrödinger per elettroni che si trovano in una banda energetica, mostrando come, sotto

certe condizioni, l’accoppiamento tra le varie bande possa essere considerato come una

piccola perturbazione.

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Il terzo capitolo è rivolto alla derivazione dei modelli macroscopici. Viene, qui, illustrato

come a partire dall’equazione di Schrödinger, possano essere trovati modelli idrodinamici

quantistici, senza o con temperatura a seconda che si considerino stati puri o misti. I

modelli sono però modelli semplificati, in quanto gli effetti delle vibrazioni reticolari e

delle altre cause di deviazione dalla perfetta periodicità del potenziale reticolare, quale,

ad esempio, la presenza delle impurezze droganti, sono approssimati mediante un termine

di tipo rilassamento.

Nel quarto capitolo, che rappresenta la parte principale della tesi, sono riportati alcuni

risultati analitici di esistenza e unicità di soluzioni stazionarie delle equazioni del modello

idrodinamico quantistico con temperatura presentato nel capitolo 3. Alcuni risultati

generali di analisi funzionale utilizzati in questo capitolo sono enunciati nell’appendice

B.

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Capitolo 1

Richiami di Meccanica Quantistica 1.1 Cenni di storia della meccanica quantistica Alla fine del diciannovesimo secolo si pensava che la meccanica newtoniana e la teoria di

Maxwell dell’elettromagnetismo potessero interpretare tutta la realtà fisica. Gli enti fisici

vennero ricondotti a due rappresentazioni: particelle e onde.

Alcuni risultati sperimentali tra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del

ventesimo, tuttavia, misero in dubbio la completezza della meccanica newtoniana,

facendo emergere fenomeni difficili da inquadrare nei modelli conosciuti. Ci si riferisce,

ad esempio, allo spettro del corpo nero, all’effetto fotoelettrico, all’effetto Compton, allo

spettro dell’atomo di idrogeno.

Il primo passo verso lo sviluppo della nuova teoria fu l’introduzione da parte di Planck

del concetto di quanto nell’ambito degli studi sulla radiazione di corpo nero condotti alla

fine del diciannovesimo secolo. Fu proprio Planck a porre le basi della meccanica

quantistica ipotizzando, nel 1900, che l’interazione tra radiazione e materia avvenisse per

trasferimento di quantità discrete di energia , che chiamò quanti, ciascuno di energia pari

ad νh , dove ν rappresenta la frequenza della radiazione ed h il quanto d’azione, il cui

valore è ora noto come costante di Planck.

Il passo successivo nello sviluppo della meccanica quantistica si ebbe ad opera di Albert

Einstein, che ricorse al concetto di quanto introdotto da Planck, per spiegare alcune

proprietà dell’effetto fotoelettrico, il fenomeno per cui una superficie metallica colpita da

radiazione elettromagnetica emette elettroni solo se la sua frequenza è non inferiore ad

una certa frequenza di soglia, che è caratteristica del metallo considerato.

Una formalizzazione rigorosa della meccanica quantistica si ebbe, tuttavia, tra il 1923 e il

1927 ad opera di Paul Dirac e di John Von Neumann. Da questa formulazione segue che i

possibili stati quantistici sono rappresentati da vettori, chiamati vettori di stato, che fanno

parte di uno spazio di Hilbert complesso e separabile, che viene detto spazio degli stati.

Originariamente la meccanica quantistica apparve in due formulazioni diverse: la

meccanica delle matrici e la meccanica ondulatoria.

La meccanica delle matrici, proposta da Heisenberg con la collaborazione di Born e

Jordan, si basa sul principio secondo cui in ogni teoria fisica occorre distinguere le

nozioni e le quantità fisicamente osservabili da quelle che non lo sono. Le prime devono

figurare nella teoria, le seconde devono essere abbandonate.

Secondo la meccanica delle matrici, ad ogni osservabile fisica associata ad un sistema

fisico, corrisponde una matrice hermitiana. Ciò fa entrare immediatamente in gioco

un’algebra non commutativa.

Lo stato e l’evoluzione di un sistema, inoltre, sono determinati dalle soluzioni di

equazioni matriciali. Tali equazioni, seguendo il ‘Principio di corrispondenza’ formulato

da Bohr nel 1923, sono considerate formalmente identiche a quelle del sistema classico

corrispondente. Secondo tale principio, infatti, riportando le parole di Bohr, “La teoria

quantistica deve tendere asintoticamente alla teoria classica nel limite dei grandi numeri

quantici”.

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La meccanica ondulatoria, dovuta al fisico austriaco Schrödinger , si basa sui lavori di

De Broglie sulle onde di materia.

Il fisico francese De Broglie estese alla materia il concetto di dualismo onda-corpuscolo,

messo in evidenza per la radiazione elettromagnetica, sostenendo che anche le particelle

materiali presentano due aspetti, quello corpuscolare e quello ondulatorio. La concezione

ondulatoria della materia portò Schrödinger a formulare l’equazione d’onda per

descrivere le proprietà ondulatorie di una particella e la sua evoluzione a partire da uno

stato iniziale.

Lo stesso Schrödinger dimostrò, nel 1926, che la meccanica ondulatoria e la meccanica

matriciale sono formulazioni diverse, ma equivalenti, della meccanica quantistica.

1.2 Principi della meccanica quantistica

1.2.1 Descrizione quantistica di una particella elementare Come è stato accennato nel paragrafo precedente, il fisico francese De Broglie ipotizzò il

dualismo onda-corpuscolo anche nella materia.

Egli nel 1924 affermò che un elettrone, avente un’energia ε e una quantità di moto p ,

possa essere descritto da un’onda di materia di lunghezza d’onda e frequenza date da:

p

h=λ ,

(1.2.1)

h

εν = .

La prova sperimentale di questa affermazione si ebbe dopo pochi anni, quando Davisson

e Germer mostrarono che un fascio di elettroni diffuso da un cristallo produce una figura

di diffrazione simile a quella ottenuta dalla diffrazione di un'onda.

In meccanica quantistica, dunque, ad ogni particella elementare è associata un’onda di

materia a cui sono legati i concetti di vettore d’onda k e pulsazione ω . Il vettore d’onda

indica la direzione di propagazione del fronte d’onda ed è dato da λ

π2=k , la pulsazione

è data da π

νω

2= .

Esprimendo le relazioni (1.2.1) in termini di k ed ω , si ha

kp = , (Legge di De Broglie)

dove π2

h= è la costante di Planck ridotta e

ωε = . (Relazione di Planck-Einstein)

Fondamentale per lo sviluppo della teoria quantistica fu, inoltre, il ‘Principio di

indeterminazione’, formulato nel 1927 dal fisico tedesco Heisenberg. Da tale principio

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segue l’impossibilità di determinare contemporaneamente, con precisione arbitraria, la

posizione e la quantità di moto di una particella .

Il significato profondo del principio di indeterminazione consiste nel porre un limite al

trasferimento del concetto di ‘particella’ dal mondo newtoniano a quello quantistico.

Nel mondo quantistico non è lecito pensare alla particella come ad una minuscola massa

puntiforme che si muove seguendo un percorso, con posizione e velocità definite in ogni

istante. In meccanica quantistica, il concetto di traiettoria continua, che è alla base della

meccanica classica, decade.

Sul movimento dei corpi non si può fare alcuna affermazione deterministica; al più si può

conoscere la probabilità di trovare una particella in un certo punto dello spazio ad un

certo istante di tempo.

In generale la dinamica di una particella elementare è descritta da una funzione d’onda

),( txψ che, come si vedrà nella prossima sezione, è una funzione a valori nei numeri

complessi, legata alla densità di probabilità che la particella occupi la posizione x

all’istante t .

1.2.2 Funzione d’onda e sue proprietà La funzione d’onda di una particella è una funzione della posizione e del tempo e

contiene informazioni sulla particella, quali la sua posizione, la quantità di moto,

l’energia. Lo stato dinamico di un sistema quantistico è pertanto definito completamente

dalla funzione d'onda ψ del sistema.

Verranno di seguito descritte le proprietà fondamentali che essa deve soddisfare affinché

sia idonea ad interpretare fatti sperimentali.

Per poter tener conto dell'interazione tra particelle, la funzione d'onda deve essere a valori

complessi.

Si vuole, inoltre, che laddove il modulo dell'ampiezza è grande, sia più facile trovare la

particella. Il modo più semplice è quello di imporre la proporzionalità fra il modulo

quadro dell'ampiezza dell'onda e la densità di probabilità P di trovare la particella in quel

punto e in quell'istante:

2

( , ) ( , ) ( , ) ( , )P r t dV r t dV r t r t dVψ ψ ψ∝ = (1.2.1)

La quantità a sinistra esprime la probabilità di trovare la particella nel volumetto dV

centrato in r al tempo t.

La relazione di proporzionalità nell'equazione precedente diventa una relazione di

uguaglianza se si impone la condizione di normalizzazione:

d ( , ) 1rP r t =∫ ⇒ 2

d ( , ) 1V r tψ =∫ ,

che segue dal fatto che la probabilità di trovare la particella su tutto il volume osservabile

è pari ad uno.

Per spiegare i risultati dell'interazione delle onde materiali e per motivi di semplicità, è

opportuno che per le funzioni d'onda valga il principio di sovrapposizione. Questa

proprietà, riscontrata generalmente in elettromagnetismo, può essere descritta affermando

che se due funzioni d'onda ),(1 trψ e ),(2 trψ sono valide descrizioni di una particella, lo

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è anche la loro combinazione lineare ),(),( 2211 txctxc ψψ + , con 1c e 2c numeri

complessi.

Se ad una data funzione d'onda ),( trψ corrisponde un definito stato di moto della

particella, anche la funzione ),( trei ψγ , dove γ è una costante reale arbitraria, descriverà

lo stesso stato. Per la (1.2.1) si ha, infatti, che il significato fisico per entrambe è identico.

Mentre ad una funzione d'onda, dunque, corrisponde uno stato di moto univoco della

particella, il viceversa è vero a meno di un fattore complesso di modulo uno.

Infine la funzione d'onda nulla non è associata ad alcuno stato fisico.

Dal punto di vista matematico, lo spazio delle funzioni d'onda è uno spazio di Hilbert,

ovvero uno spazio vettoriale su cui è definito il seguente prodotto interno:

1 2 1 2, : dr ( ) ( )r rψ ψ ψ ψ= ∫ ,

completo rispetto alla norma indotta da tale prodotto.

Questo spazio di Hilbert è, inoltre, separabile.

1.3 Equazione di Schrödinger

Si consideri un elettrone libero di massa m , in moto lungo l’asse x , con una quantità di

moto p . Esso, in meccanica classica, è descritto dalla funzione hamiltoniana

H ),( pxm

p

2

2

= (1.3.1)

che rappresenta l’energia E della particella.

Per la relazione di Planck-Einstein ( 2 )2

hE hν πν ω

π= = = e per la legge di De

Broglie )( kp = , la (1.1.3) diventa:

m

k

2

22

=ω . (1.3.2)

Se si ipotizza che la funzione d’onda ),,( txψ che descrive lo stato dell’elettrone, sia

un’onda piana con vettore d’onda k e pulsazione ω , ovvero:

)(),( tkxietx ωψ −= , (1.3.3)

derivando rispetto al tempo si ottiene:

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)(),( tkxieitx

t

ωωψ −⋅−=∂

∂ ⇒

)(

),(

tkxi

t

e

txi

ω

ψ

ω−

= , (1.3.4)

mentre se si deriva due volte rispetto ad x si ha:

)(2

2

2

),( tkxiektx

x

ωψ −−=∂

∂ ⇒

)(

2

2

2

),(

tkxie

txxk

ω

ψ

∂−

= . (1.3.5)

Sostituendo nella (1.3.2) i valori di ω e 2k ricavati nelle (1.3.4) e (1.3.5), si ottiene

l’equazione di Schrödinger per una particella libera:

),(2

),(2

22

txxm

txt

i ψψ∂

∂−=

∂ . (1.3.6)

Si introduca, a questo punto, l’operatore hamiltoniano H che, in meccanica quantistica, va

ad occupare il ruolo assunto da H in meccanica classica.

Si osservi, infatti, che la funzione hamiltoniana classica H perde di significato in

meccanica quantistica, in quanto funzione della posizione e della quantità di moto;

variabili, queste ultime, che secondo il Principio di indeterminazione di Heisenberg non

possono essere determinate contemporaneamente con precisione arbitraria.

L’operatore H, che nel caso di una particella libera è dato da

xm

∆−=Η2

:2

risulta, invece, essere ben definito.

Esso è ricavabile formalmente dalla funzione H mediante le sostituzioni:

xx → ,

xip ∇−→ .

L’equazione di Schrödinger per un elettrone libero (1.3.6), può essere riscritta

equivalentemente in termini dell’operatore hamiltoniano H come segue:

ψψ

Η=∂

ti . (1.3.7)

Essa corrisponde a quella che in meccanica classica sarebbe detta equazione del moto a

potenziale costante.

Nel caso in cui la particella sia non libera, ma soggetta all’azione di un potenziale esterno

non costante, la funzione d’onda della particella non è più data dalla (1.3.3) ma, come si

vedrà, assume un’altra forma. Continua, tuttavia, ad obbedire ad un’equazione del tipo

(1.3.6).

Bisogna aggiungere nella (1.3.2) il potenziale ),( txU al termine cinetico, ottenendo la

seguente equazione:

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),(),(),(2

),(2

22

txtxUtxxm

txt

i ψψψ +∂

∂−=

∂ . (1.3.8)

Nel caso tridimensionale la (1.3.8) diventa:

),(),(),(2

),(2

trtrUtrm

trt

i ψψψ +∆−=∂

∂ . (1.3.9)

Si osservi che le argomentazioni precedenti non sono servite a dedurre l’equazione di

Schrödinger, ma solo a giustificarla euristicamente. Effettivamente, proprio come avviene

per la legge di Newton, la validità di questa equazione si basa soprattutto sull’evidenza

sperimentale.

A partire dall’equazione di Schrödinger è possibile trovare l’equazione di continuità per

la densità di probabilità spaziale 2

),(),( trtrn ψ= ; si ha infatti

2

( , )r tt t t

ψ ψψ ψ ψ

∂ ∂ ∂= +

∂ ∂ ∂

1 1

2 2U U

im i im iψ ψ ψ ψ ψ ψ

= − ∆ + + ∆ −

[ ]2im

ψ ψ ψ ψ= − ∆ − ∆

,

per cui, essendo

[ ]divψ ψ ψ ψ ψ ψ ψ ψ∆ − ∆ = ∇ − ∇

ne segue che:

div 0n

Jt

∂− =

dove

[ ]2

Jim

ψ ψ ψ ψ= − ∇ − ∇

rappresenta la densità di corrente.

1.4 Equazione stazionaria di Schrödinger

Si vuole determinare l’espressione della funzione d’onda nel caso di un elettrone non

libero.

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Si consideri, per semplicità, il caso unidimensionale e si assuma che il potenziale sia

indipendente dal tempo, ovvero:

)(),( xUtxU = .

La (1.3.8) diventa, dunque:

),()(),(2

),(2

22

txxUtxxm

txt

i ψψψ +∂

∂−=

∂ . (1.4.1)

Tale equazione differenziale a derivate parziali può essere risolta utilizzando la tecnica di

separazione delle variabili.

Si cercano cioè soluzioni ),( txψ che si possano scrivere come prodotto di una funzione

dipendente solo dal tempo ed una dipendente solo dalla variabile posizione x :

)()(),( txtx φξψ = , (1.4.2)

con 0),( ≠txψ , x∀ , t∀ .

Sostituendo tale funzione ψ nella (1.4.1), si ottiene:

)()()())()((2

))()((2

22

txxUtxxm

txt

i φξφξφξ +∂

∂−=

∂ , (1.4.3)

da cui:

))()()(2

)(()()(2

22

xxUxxm

ttt

xi ξξφφξ +∂

∂−=

∂ . (1.4.4)

Si separino, infine, le variabili dividendo ambo i membri per (1.4.2):

)()()(2

)()( 2

22

xUxxxm

ttt

i+

∂−=

∂ξ

ξφ

φ

. (1.4.5)

I due membri dell’uguaglianza dipendono rispettivamente solo dalle variabili temporali e

spaziali, per cui devono essere uguali ad una costante. Si indichi con E tale costante,

poiché fisicamente rappresenta un’energia.

Si ottengono, dunque, due equazioni differenziali ordinarie:

)()()()(2 2

22

xExxUxdx

d

mξξξ =+−

, (1.4.6)

)()( tEtdt

di φφ = . (1.4.7)

La (1.4.6) è detta equazione stazionaria di Schrödinger, in quanto non c’è dipendenza dal

tempo.

La (1.4.7) è di risoluzione immediata. La sua soluzione è data da:

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t

h

Ei

et−

=)(φ . (1.4.8)

Di conseguenza, l’equazione di Schrödinger per un potenziale indipendente dal tempo ha

tra le soluzioni funzioni del tipo

t

Ei

extx −

= )(),( ξψ , (1.4.9)

con )(xξ soluzione della (1.4.6).

Per ottenere l’espressione completa di ),( txψ è necessario determinare la soluzione

dell’equazione stazionaria (1.4.6). Tale equazione dovrà essere risolta di volta in volta al

variare del termine del potenziale U(x).

Si osservi che, introducendo l’operatore hamiltoniano

2

: ( )2

x U xm

Η = − ∆ +

(1.4.10)

che agisce sullo spazio delle funzioni d’onda , l’equazione (1.4.6) si può riscrivere come

( ) ( )x E xξ ξΗ = , (1.4.11)

che è un problema agli autovalori.

Le funzioni che la risolvono vengono chiamate autofunzioni con autovalori E .

L’operatore Η gode dell’importante proprietà di essere un operatore autoaggiunto

rispetto al prodotto interno sullo spazio di Hilbert delle funzioni d’onda. Per chiarire

questo concetto occorre prima definire il duale di un operatore. Sia dunque T un

operatore su uno spazio di Hilbert H con prodotto scalare ,⋅ ⋅ , e si supponga che esista

un operatore *T tale che

*, ,T Tφ ψ φ ψ= per ogni ,φ ψ ∈ H . (1.4.12)

Allora *T si dice operatore duale di T . Se un operatore T coincide con il suo duale, esso

si dice autoaggiunto.

L’operatore Η è autoaggiunto in quanto, integrando due volte per parti, si ha

, d ( ) ( )H x x H xφ ψ φ ψ= ∫

2

d ( ) ( ) ( )2

xx x U x xm

φ ψ

= − ∆ + ∫

2

d ( ) ( ) ( )2

xx U x x xm

φ ψ

= − ∆ + ∫

* ,H φ ψ= .

In appendice A, usando un formalismo più astratto, verrà discusso il seguente teorema:

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Teorema Gli autovalori di un operatore autoaggiunto sono reali; gli autovettori corrispondenti ad

autovalori distinti sono ortogonali.

Questo teorema permette di dire che gli autovalori E del problema (1.4.11) sono reali.

La teoria spettrale degli operatori autoaggiunti, inoltre, consente di affermare che esiste

un sistema ortonormale completo dello spazio di Hilbert H formato da autovettori

dell’operatore [9].

1.5 Stati puri, stati misti e operatore densità

1.5.1 Misure e stati puri L’energia E è un esempio di osservabile, vale a dire di una quantità fisica per cui sia

possibile effettuare una misurazione. Ciascuna osservabile è rappresentata da un

operatore autoaggiunto nello spazio considerato. Ad esempio, come visto sopra,

l’operatore autoaggiunto che rappresenta l’energia è l’operatore hamiltoniano Η .

Si consideri un’osservabile A , dotata di un insieme ortonormale completo di

autofunzioni aψ , associate agli autovalori a :

a aA aψ ψ= , ' 'd ( ) ( )a a aax x xψ ψ δ=∫ .

Si sta considerando, per semplicità, il caso di un operatore con spettro discreto, ulteriori

dettagli si possono trovare in appendice A.

Prima di effettuare una misura dell’osservabile A , la funzione d’onda del sistema è, in

genere, rappresentata da una combinazione lineare:

' ' ' '

' '

( ) ( ) d ' ( ') ( ') ( )a a a a

a a

x c x x x x xψ ψ ψ ψ ψ = =

∑ ∑ ∫ .

Quando viene fatta la misura, il sistema precipita in uno degli autostati, ad esempio aψ ,

dell’osservabile A . Una misura, dunque, in genere cambia lo stato del sistema fisico,

fatta eccezione, come già detto, per il caso in cui lo stato sia già un autostato

dell’osservabile che viene misurata.

Quando la misura determina il cambiamento di ψ in aψ , a viene detta il risultato della

misura di A ; in tal senso si dice che il risultato di una misura dia gli autovalori

dell’osservabile che viene misurata.

Al fine di chiarire ulteriormente il significato delle misure in meccanica quantistica, si

vuole introdurre il concetto di misura selettiva o filtrazione. Per misura selettiva si

intende un processo di misura con un dispositivo che seleziona soltanto uno degli

autostati di ,A ad esempio aψ , ed elimina tutti gli altri. Una misura selettiva viene anche

detta filtrazione, poiché solo uno degli autostati di A “filtra attraverso il setaccio”.

Matematicamente una tale misura equivale ad applicare l’operatore di proiezione aΛ a

ψ :

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( ) d ' ( ') ( ') ( )a a a

x x x x xψ ψ ψ ψ Λ = ∫ .

Data la funzione d’onda di un sistema fisico prima della misura, non si è a conoscenza, in

anticipo, dello stato nel quale il sistema precipiterà come risultato della misura.

Si postula, tuttavia, che la probabilità di finire in un particolare stato aψ sia data da:

2

d ' ( ') ( ')ax x xψ ψ∫ , (1.5.1)

purché ψ sia normalizzato.

L’interpretazione probabilistica (1.5.1) del quadrato del prodotto interno è uno dei

postulati fondamentali della meccanica quantistica, dunque non può essere provato.

Tale postulato rispetta le due condizioni valide in generale, secondo cui la probabilità di

un qualsiasi evento deve essere non negativa e la somma delle probabilità di tutte le

possibili alternative deve essere pari ad uno.

Dal punto di vista della teoria della misura, autostati ortogonali corrispondono ad

alternative che si escludono a vicenda.

Si osservi che, per determinare la probabilità (1.5.1) empiricamente, bisogna considerare

un gran numero di misure fatte su un insieme di sistemi fisici preparati in modo identico,

tutti caratterizzati dalla stessa funzione d’onda ψ .

Tale insieme è detto insieme puro o stato puro.

Si definisce valore di aspettazione di A rispetto ad uno stato descritto da ψ , la seguente

quantità:

d ' ( ') ( ')A x x A xψ ψ= ∫ .

Tale definizione risulta essere in accordo con il concetto di valor medio, poiché si ha:

' '

'

d ' ( ') a a

a

A x x A cψ ψ

= ∑∫

' '

'

' d ' ( ') ( ')a a

a

a c x x xψ ψ=∑ ∫

2

'

'

d ' ( ') ( ') 'a

a

x x x aψ ψ=∑∫ ,

dove

2

'd ' ( ') ( ')ax x xψ ψ∫ rappresenta la probabilità di ottenere '.a

Si noti, infine, che si può scrivere anche:

' '

'

d ' ( ') a a

a

A x x A cψ ψ

= = ∑∫

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= '' ' '' '

' ''

d ' a a a a

a a

x c c Aψ ψ∑∫

=' '' '' '

' ''

a a a a

a a

c c A∑ (1.5.2)

dove

'' ' '' ': d ' ( ') ( ')a a a aA x x A xψ ψ= ∫

sono gli elementi di “matrice” dell’osservabile A rispetto alla base aψ scelta.

1.5.2 Operatore densità e medie d’insieme

Descrivere lo stato di un corpo macroscopico per mezzo di una funzione d’onda è

praticamente impossibile, poiché i dati disponibili riguardanti lo stato di un corpo sono

insufficienti rispetto all’insieme completo di dati, necessario per poter determinare il suo

stato.

La situazione è simile a quella che ricorre in statistica classica, dove l’impossibilità di

tener conto delle condizioni iniziali per ogni particella in un corpo, rende impossibile

un’esatta descrizione meccanica del suo comportamento. L’analogia è tuttavia imperfetta,

in quanto l’impossibilità di una descrizione quanto-meccanica completa e l’assenza di

una funzione di stato che descriva un corpo macroscopico, può avere un significato molto

più profondo.

La descrizione quanto-meccanica basata su un insieme incompleto di dati relativi al

sistema, è effettuata mediante il cosiddetto operatore densità. La conoscenza di tale

operatore consente di calcolare il valor medio di ogni quantità fisica che descriva il

sistema e le probabilità dei diversi valori di tali quantità.

L’incompletezza della descrizione sta nel fatto che i risultati delle varie misurazioni, che

possono essere predetti con una certa probabilità nel caso di conoscenza dell’operatore

densità, potrebbero essere predetti con maggiore certezza, o persino con certezza

completa, nel caso di un insieme completo di dati per il sistema, da cui potrebbe essere

ricavata la sua funzione d’onda.

Per introdurre il concetto di operatore densità, si consideri idealmente una collezione di

sistemi fisici identici, che questa volta sono preparati in stati che possono essere diversi.

In tal caso si dice che si tratta di una miscela che rappresenta, quindi, una situazione in

cui una certa frazione di sistemi fisici con una popolazione percentuale 1ω è

caratterizzata da (1)ψ , un’altra frazione con popolazione percentuale 2ω , da (2)ψ e così

via.

La miscela può essere vista come una miscela di insiemi puri. Le popolazioni percentuali

soddisfano la condizione di normalizzazione:

1i

i

ω =∑ .

Si osservi che il numero di termini di tale sommatoria non deve necessariamente

coincidere con la dimensione dello spazio su cui è definita la funzione d’onda.

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Si supponga di effettuare una misura di una certa osservabile A su una miscela. Per

conoscere la media delle misure di A dopo un gran numero di misure, bisogna ricorrere

alla cosiddetta media d’insieme di ,A definita da:

[ ] ( ) ( )d ' ( ') ( ')i i

i

i

A x x A xω ψ ψ=∑ ∫

2

( )

'

'

d ' ( ') ( ') 'i

i a

i a

x x x aω ψ ψ=∑∑ ∫ , (1.5.3)

dove 'aψ è un autostato di A .

Si ricordi che ( ) ( )d ' ( ') ( ')i ix x A xψ ψ∫ è il valore di aspettazione quanto-meccanico

relativo allo stato ( )iψ . L’equazione (1.5.3) suggerisce che i valori di aspettazione devono

ulteriormente essere pesati dalle corrispondenti popolazioni percentuali iω .

Si osservi come considerazioni probabilistiche di natura diversa entrino nella (1.5.3): in 2

( )

'd ' ( ') ( ')i

ax x xψ ψ∫ come probabilità che lo stato ( )iψ “si trovi” in un autostato 'aψ di

A e nel fattore ,iω come probabilità di trovare nell’insieme un sistema fisico

caratterizzato da ( )iψ .

Considerando una base ortonormale generica 'bψ , essendo, per ogni funzione φ ,

' '

'

d ' ( ') ( ') ( ) ( )b b

b

x x x x xψ φ ψ φ=∑∫ ,

la media d’insieme (1.5.3) può essere riscritta come:

[ ] ( ) ( )

' ' '' ''

' ''

d '' ( '') ( '') d ' ( ') ( ') d ''' ( ''') ( ''')i i

i b b b b

i b b

A x x x x x A x x x xω ψ ψ ψ ψ ψ ψ=∑ ∑∑∫ ∫ ∫

( ) ( )

'' ' ' ''

' ''

d ''' ( ''') ( ''') d '' ( '') ( '') d ' ( ') ( ')i i

i b b b b

b b i

x x x x x x x x A xω ψ ψ ψ ψ ψ ψ

=

∑∑ ∑ ∫ ∫ ∫ (1.5.4)

dove il numero di termini nelle sommatorie su 'b e su ''b è dato dalla dimensione della

base, mentre il numero di termini nella sommatoria su i dipende dal modo in cui la miscela è descritta in termini di insiemi puri.

Si introduca, a questo punto, l’operatore densità ρ , definito come segue:

( ) ( )( ) : d ' ( ') ( ') ( )i i

i

i

x x x x xρφ ω ψ φ ψ=∑ ∫ , (1.5.5)

La “matrice” associata all’operatore ρ è detta matrice densità, i cui elementi hanno la

forma:

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( ) ( )

'' ' '' ' '' ': d ( ) ( ) d ''' ( ''') ( ''') d '' ( '') ( '')i i

b b b b i b b

i

x x x x x x x x xρ ψ ρψ ω ψ ψ ψ ψ= =∑∫ ∫ ∫ .(1.5.6)

Questa matrice è diversa a seconda della base che si usi e si può mostrare che quando si

utilizza la rappresentazione delle coordinate, essa assume la forma

,

( , ') ( ') ( )mn n m

m n

x x x xρ ρ ψ ψ=∑ .

L’operatore densità contiene tutta l’informazione fisica che è possibile ottenere riguardo

l’insieme preso in esame.

Usando la (1.5.6), la media d’insieme (1.5.4) può essere riscritta:

[ ] '' ' ' ''

' ''

d ( ) ( ) d ' ( ') ( ')b b b b

b b

A x x x x x A xψ ρψ ψ ψ = ∑∑ ∫ ∫

'' ' ' ''

' ''

b b b b

b b

Aρ=∑ (1.5.7)

tr( )Aρ= (1.5.8)

Si noti che ( )tr Aρ può essere considerata in una qualsiasi base, ad esempio in quella più

conveniente, in quanto l’operatore di traccia è indipendente dalla rappresentazione.

Si ricordi, a tal proposito, che in uno spazio di dimensione finita, la traccia di una matrice

è la somma dei suoi elementi diagonali e che la traccia di un operatore è la traccia di una

matrice che lo rappresenta rispetto ad una qualunque scelta di base. Questi concetti si

estendono, con qualche precauzione, ad una classe di operatori con spettro continuo.

La relazione (1.5.8) si dimostra, dunque, molto efficace.

Si riportino le proprietà fondamentali dell’operatore densità.

Innanzitutto, come risulta immediato dalla definizione (1.5.5), l’operatore ρ è

autoaggiunto; inoltre soddisfa la seguente condizione di normalizzazione:

( ) ( )

' '

'

tr( ) d ( ) ( ) d ' ( ') ( ')i i

i b b

i b

x x x x x xρ ω ψ ψ ψ ψ = ∑∑ ∫ ∫

( ) ( )d ( ) ( )i i

i

i

x x xω ψ ψ = ∑ ∫ (1.5.9)

1= .

Una miscela può essere scomposta in insiemi puri, in molti modi alternativi.

Un insieme puro è caratterizzato da 1=iω per una ( )iψ e 0=iω per tutti gli altri stati. In

tal caso l’operatore densità nella rappresentazione delle coordinate è dato da:

( ) ( )( ', ) ( ') ( )i ix x x xρ ψ ψ= .

Tale operatore è idempotente, ossia:

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ρρ =2 ,

che si può esprimere, equivalentemente, con:

0)1( =−ρρ .

Per un insieme puro, oltre alla (1.5.9) si ha, dunque:

1)( 2 =ρtr .

Gli autovalori dell’operatore densità sono, in tal caso, zero ed uno, come si può verificare

considerando l’operatore rispetto ad una base che lo diagonalizzi; dunque la matrice

densità per un insieme puro, dopo la diagonalizzazione, avrà la seguente forma:

=

00

0

0

0

1

0

0

00

ρ .

Si vuole sottolineare che per introdurre il concetto di operatore densità sono state

idealmente considerate tante copie di uno stesso sistema fisico ed è stata introdotta una

media sui vari stati ( )iψ . In realtà questa media ha un significato puramente formale e

sarebbe sbagliato pensare che il sistema si possa trovare in vari stati ψ con varie

probabilità e che ci sia una media su queste probabilità. La media intrinseca al carattere

probabilistico della meccanica quantistica e la media statistica dovuta all’incompletezza

dell’informazione non possono essere separate. Nel passaggio da una descrizione

completa ad una incompleta, infatti, confrontando le formule (1.5.2) e (1.5.7) si ha la

sostituzione:

' '' ' ''a a a ac c ρ→ . (1.5.10)

Come i coefficienti c , anche i ρ dipendono, in generale, dal tempo.

L’equazione di evoluzione è più facile da trovare quando come base si usi una base di

autostati di Η , n nψ :

n n nEψ ψΗ = .

In questo caso i nc , come si è visto, sono proporzionali a Eni t

e− , quindi:

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( ) ( )n m n m n m

ic c E E c c

t

∂= −

∂ .

La sostituzione (1.5.10) dà l’equazione cercata:

( )mn n m mn

iE Eρ ρ= −

.

Essendo

mn n m mnmnE Eδ δΗ = = ,

si ha:

mn m p pn mp pn

p

iρ ρ ρ = Η − Η ∑

che, scritta in forma operatoriale, diventa:

( ) [ ],i i

ρ ρ ρ ρ= Η − Η = − Η

. (1.5.11)

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Capitolo 2

Cenni di fisica dei semiconduttori

Storicamente il termine semiconduttore è stato usato per denotare materiali solidi la cui

conducibilità fosse maggiore rispetto agli isolanti, ma minore rispetto ai metalli.

Una definizione moderna e più precisa è quella che risulterà chiara alla fine di questo

capitolo, secondo cui un semiconduttore è un solido con un gap di energia tra banda di

conduzione e banda di valenza strettamente positivo e non superiore a .4eV I metalli non hanno alcun gap di energia, mentre per gli isolanti il gap di energia è, in genere, maggiore

di .4eV

Per comprendere il concetto di gap di energia, bisogna prima specificare alcuni concetti

relativi alla struttura cristallina dei solidi.

2.1 Reticoli e reticoli reciproci

Un solido è costituito da un insieme infinito di atomi disposti secondo un reticolo:

332211 anananL

++= : 1 2 3, ,n n n ∈ 3,⊂

dove 321 ,, aaa

sono i vettori di base di ,L detti vettori primitivi del reticolo.

L’insieme L viene anche detto reticolo di Bravais.

Gli atomi del reticolo generano un potenziale elettrostatico periodico :LV

)()( xVlxV LL =+ per ogni 3,x ∈ ,Ll ∈

che rappresenta una sorta di media dei potenziali tra l’elettrone e i nuclei atomici del

cristallo e tra l’elettrone e tutti gli altri elettroni.

Lo stato di un elettrone in moto in questo potenziale periodico, è descritto in termini delle

autofunzioni )(xψ dell’equazione stazionaria di Schrödinger:

( )2

LV x E

mψ ψ ψ− ∆ + =

in 3

(2.1.1)

Poiché il potenziale LV è periodico, si può sperare che l’equazione di Schrödinger (2.1.1)

sull’intero sull’intero spazio, possa essere ridotta ad un problema agli autovalori su una

cella del reticolo. Il Teorema di Bloch afferma che ciò è realmente possibile.

Prima di enunciare tale risultato, sono necessarie alcune definizioni.

Definizione 2.1.1

(1) Il reticolo reciproco (o reticolo duale) *L di L è definito da:

*

33

*

22

*

11

*anananL

++= : 1 2 3, , ,n n n ∈ (2.1.2)

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dove i vettori primitivi ,*

1a

,*

2a

*

3a

3∈ sono univocamente determinati dalla

relazione:

,2 ,

*

nmnm aa πδ=⋅

3,2,1, =nm (2.1.3)

(2) L’insieme connesso 3D ⊂ è detto cella primitiva di L (o *L ) se il volume di D è

uguale al volume del parallelepipedo generato dai vettori di base di L (o *L ):

1 2 3vol ( )D a a a= ⋅ ×

(o *

1vol D a= ⋅

( *

3

*

2 aa

× )) (2.1.4)

e se l’intero spazio 3 è ricoperto dall’unione di traslati di D mediante i vettori

primitivi.

(3) La (prima) zona di Brillouin 3B ⊂ è la cella primitiva del reticolo reciproco *L

costituita dall’insieme dei punti che sono più vicini all’origine rispetto ad ogni altro

punto di :*L

3 : min ,l

B k k k l= ∈ ≤ + ,*Ll ∈ l .0≠ (2.1.5)

I vettori del reticolo reciproco e quelli del reticolo diretto, possono essere visti come

variabili coniugate, analogamente al tempo e alla frequenza, che sono variabili coniugate nell’analisi dei segnali.

Siano, infatti, Lx ∈ e *Lk ∈ tali che:

∑=

=

3

1m

mmax

α e ∑=

=

3

1

* ,

n

nnak

β

dove , ;m nα β ∈ allora, da (2.1.3), si ha:

12exp2exp

3

1

3

1,

=

=

⋅= ∑∑

==

m

mm

nm

mnnm

xikiie βαππδβα (2.1.6)

Poiché x ha le dimensioni di una lunghezza, k avrà le dimensioni dell’inverso di una

lunghezza, pertanto k è detto vettore d’onda. (Più precisamente, k è detto pseudo-

vettore d’onda).

Matematicamente, i vettori primitivi *

na

della zona di Brillouin sono dati dalla matrice

inversa di ,A dove A è la matrice le cui colonne sono i vettori .ma

Più precisamente,

siano:

,),,( 321

T

nnnn aaaa =

* * * * 3

1 2 3( , , )T

m m m ma a a a= ∈

e

),,,( *

3

*

2

*

1

*aaaA

= ),,( 321 aaaA

= 3 3 ,×∈

allora (2.1.3) implica che:

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( ) mn

j

nmjnjmmn

TaaaaAA πδ2

3

1

** =⋅==∑=

e quindi .2*IAA

T π=

Si ha, pertanto:

( ) ( ) .22 11* TTAAA

−−== ππ (2.1.7)

La zona di Brillouin può essere costruita come segue: si traccino le frecce da un punto del

reticolo ai suoi primi vicini e si bisechino. Si costruisca l’intera zona basandosi sul

criterio secondo cui ogni suo punto deve essere più vicino all’origine rispetto ad ogni

altro punto del reticolo. I piani che delimitano la regione così individuata passano per i

punti medi e sono perpendicolari alle frecce.

In uno spazio di dimensione due, la zona di Brillouin è un esagono o un rettangolo,

mentre in uno spazio tridimensionale è un poliedro.

Figura 1:I vettori primitivi di un reticolo bidimensionale L , il suo reticolo reciproco *

L e la zona di Brilluin B .

Lemma 2.1.2

Il volume di una cella primitiva D e il volume della sua zona di Brillouin B sono legati

dalla seguente relazione:

( )

32

volvol

BD

π= . (2.1.8)

Dimostrazione

Si ha:

1 2 3 1 2 3vol ( ) det( , , ) detD a a a a a a A= ⋅ × = =

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* * * *

1 2 3vol det( , , ) detB a a a A= =

e quindi, dalla (2.1.7), si ottiene:

( ) ( )3 3

1 3 1 (2 ) (2 )vol det 2 (2 ) det .

det vol

T

B A AA D

π ππ π− − = = = =

2.2 Teorema di Bloch e bande energetiche

E’ ora possibile enunciare il Teorema di Bloch.

Teorema 2.2.1 (Bloch)

Sia LV un potenziale periodico, ossia )()( xVyxV LL =+ per ogni 3x ∈ ed Ly ∈

(reticolo di Bravais). Allora le autofunzioni di:

ψψψ ExqVm

L =−∆− )(2

2

in 3 (2.2.1)

possono essere scritte come segue:

)()( xuexxik ⋅=ψ (2.2.2)

per qualche Bk ∈ (zona di Brillouin) e per qualche funzione )(xu che soddisfi

),()( lxuxu += per ogni 3,x ∈ .Ll ∈

Tale teorema afferma che ogni autofunzione dell’equazione di Schrödinger è il prodotto

di un’onda piana xike

⋅ e di una funzione periodica, di periodo uguale a quello del reticolo

.L

Per poter dare una dimostrazione formale, sono necessari alcuni teoremi e definizioni

preliminari.

Definizione 2.2.2

Sia T un operatore definito su uno spazio di Hilbert Η con prodotto interno ., ⋅⋅

L’operatore T è detto normale se:

.**TTTT = (2.2.3)

Esempio 2.2.3

(1)

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Si definisca l’operatore di traslazione ,aT per qualche 3 ,a ∈ come segue:

( ) ),()( axxTa +=ψψ 3,x ∈ (2.2.4)

con 2 3( ; ),Lψ ∈ dove il prodotto interno è dato da:

3

, d ( ) ( ).x x xψ χ ψ χ= ∫

aT è normale.

Da:

3 3, d ( ) ( ) d ( ) ( ) ,a aT x x x a y y a y Tψ χ ψ χ ψ χ χ−= + = − =∫ ∫

segue, infatti, che .*

aa TT −=

Si ha, inoltre:

,ψψψ aaaa TTTT −− ==

da cui ( ) .*1

aaa TTT == −

− Ciò implica che ,**

aaaa TTITT == pertanto aT è normale. (In

realtà si è dimostrato anche che aT è unitario, ossia ( ) 1* −= aa TT ).

Si vuole far vedere, inoltre, che gli autovalori di aT sono dati da ,θλ ie= per .θ ∈

Sia ,λψψ =aT allora:

2 2 2 2 2 2 2

3 3d ( ) d ( ) ,aT x x a x xλ ψ λψ ψ ψ ψ ψ⋅ = = = + = =∫ ∫

da cui ,1=λ oppure θλ ie= con .θ ∈

(2)

L’operatore hamiltoniano Η definito da:

2

( ) ,2

LV xm

ψ ψ ψΗ = − ∆ +

(2.2.5)

per una ψ opportuna, è normale. (In realtà Η è autoaggiunto).

Dimostrazione del teorema 2.2.1

Si è visto, nell’esempio (2.2.3), che l’operatore di traslazione (2.2.4) e l’operatore

hamiltoniano (2.2.5) sono normali. Per ogni La ∈ si ha, inoltre:

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( )2

( ) ( )2

a a LT H x T V xm

ψ ψ ψ

= − ∆ +

2

( ) ( ) ( )2

Lx a V x a x am

ψ ψ= − ∆ + + + +

=2

( ) ( ) ( )2

Lx a V x x am

ψ ψ− ∆ + + +

( ))( axH += ψ

( ) )(xHTaψ= .

Η e i aT , pertanto, commutano per ogni La ∈ . I risultati riportati nella sezione A.2

dell’Appendice A possono essere opportunamente estesi al caso di operatori con spettro

continuo, ma queste estensioni richiedono concetti di analisi funzionale che vanno oltre

gli obiettivi di questo lavoro [9]. E’ possibile, comunque, dimostrare che, viste le

proprietà degli operatori in questione, esiste una base di autofunzioni sia di Η che dei

aT .

Per quanto dimostrato nel punto (1) dell’esempio (2.2.3), per ogni vettore primitivo

fissato ,ja

esiste jθ ∈ tale che:

ψψθ ji

ja eT =− (2.2.6)

dove ψ è anche un’autofunzione di .Η

Ponendo:

∑=

−=

3

1

* ,2

1

j

jj ak

θπ

dove ,**La j ∈

per la (2.1.3) si ha:

jjak θ−=⋅

. (2.2.7)

Si definisca ),()( xexuxik ψ⋅−= 3.x ∈ Bisogna dimostrare che ),()( xulxu =+ per ogni

3x ∈ e .Ll ∈

Si osservi che ogni Ll ∈ è una combinazione lineare degli ,ja

per cui è sufficiente

dimostrare la periodicità di u per .jal

=

Utilizzando (2.2.6) e (2.2.7), si ottiene:

)()( xTTexujaja

xik ψ−

⋅−=

)(xeTeji

ja

xik ψθ

⋅−=

)( j

jixikaxee

+= ⋅− ψθ

)()(

j

jaxikjixikaxueee

+=+⋅⋅− θ

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)()(

j

jakjiaxue

+=⋅+θ

).( jaxu

+=

Rimane da dimostrare che si può prendere k appartenente alla zona di Brillouin.

Sia 3k ∈ e lo si decomponga come segue:

,*lkk B +=

dove BkB ∈ ed **Ll ∈ è il punto del reticolo reciproco più vicino a .k Si ha, pertanto:

( ) ( ) ( )Bik xik xx e u x e xψ φ⋅⋅= = (2.2.8)

dove *

( ) ( )i l xx e u xφ ⋅= soddisfa, per la (2.1.6), la seguente uguaglianza:

* * *

( ) ( ) ( ) ( )i l x il l i l xx l e e u x l e u x xφ φ⋅ ⋅ ⋅+ = + = =

per ogni 3x ∈ ed .Ll ∈

Segue, dunque, la tesi.

Inserendo la decomposizione (2.2.2) nell’equazione di Schrödinger (2.2.1), si ha:

[ ( ) ]uexqVuem

eEeEuxik

L

xikxikxik ⋅⋅⋅−⋅− −∆−== )(2

2

ψ

( ) ,)(22

22

uxqVukuikum

L−−∇⋅+∆−=

da cui segue che )(xu soddisfa il problema agli autovalori:

( )2 2

22 ( )

2 2Lu ik u k qV x u Eu

m m

− ∆ + ⋅∇ + − =

in ,D (2.2.9)

con condizione di periodicità:

),()( xulxu =+ 3,x ∈ .Ll ∈ (2.2.10)

La proprietà di autoaggiuntezza dell’operatore definito mediante il primo membro di

(2.2.9) implica che, per ogni ,Bk ∈ esiste una successione di autovalori )(kEE n= con

relative autofunzioni ,,knuu = di (2.2.9)-(2.2.10) [7].

In particolare, le funzioni ,( )n k nu ∈ costituiscono una base ortonormale dello spazio di

Hilbert considerato.

E’ possibile, dunque, introdurre le cosiddette funzioni di Bloch:

).()( ,, xuex kn

xik

kn

⋅=ψ (2.2.11)

Esse soddisfano l’equazione di Schrödinger nella cella primitiva D di :L

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knnknLkn kExqVm

,,,

2

)()(2

ψψψ =−∆−

in D (2.2.12)

con condizioni al bordo pseudo-periodiche:

, ,( ) ( ),ik y

n k n kx l e xφ φ⋅+ = ,x lx + .D∂∈ (2.2.13)

Le funzioni ,n kφ possono essere interpretate come onde piane, modulate da una funzione

periodica knu , che tiene conto dell’influenza dei nuclei atomici disposti lungo il reticolo.

Tale osservazione chiarisce anche il motivo per cui k è detto pseudo-vettore d’onda.

k compare, infatti, in onde piane modulate, per cui non è propriamente un vettore

d’onda.

La funzione che a k associa )(kEn è detta relazione di dispersione o −n esima banda di

energia. Ciò mostra come l’energia dell’ −n esima banda dipenda dallo pseudo-vettore

d’onda .k

2.3 Banda di valenza, banda di conduzione e semiconduttori

Le bande energetiche si possono intersecare. In questo caso, se le bande vengono

numerate in ordine crescente, le funzioni )(kEk n non sono differenziabili nei punti di

intersezione con altre bande. Esiste sempre, tuttavia, una numerazione diversa, tale che

queste funzioni siano differenziabili (addirittura analitiche) in tutto .B (Si veda Figura 2)

Si supporrà, dunque, che sia stata scelta tale numerazione.

Si osservi che l’unione dei range di nE su ,n ∈ non è necessariamente l’intera retta

reale , ossia possono esistere valori di energia *E in corrispondenza dei quali non ci sia

alcun n ∈ e alcun Bk ∈ per cui .)( *EkEn = Si tratta di energie che non possono

essere raggiunte da alcun elettrone che si muove nel cristallo.

Le componenti connesse dell’insieme dei valori dell’energia con tale proprietà di non

esistenza, sono detti gap di energia.

Nel caso in cui le bande non si intersechino, le energie relative a due bande successive

sono separate da un gap.

Si introdurranno, adesso, i concetti fondamentali di banda di valenza e banda di

conduzione.

Allo zero assoluto, gli elettroni vanno ad occupare gli stati disponibili ad energia più

bassa, nelle bande di energia del cristallo.

Le situazioni che si possono verificare sono due.

Può accadere che un certo numero di bande sia completamente riempito e che tutte le

altre siano completamente vuote. Si definisce banda di valenza la più alta banda riempita,

mentre banda di conduzione la più bassa banda vuota. In tal caso il gap energetico gE è

la differenza tra il minimo valore di energia della banda di conduzione e il massimo

valore di energia della banda di valenza. Più precisamente, indicando con ( )vE k la

relazione di dispersione per la banda di valenza e con ( )cE k la relazione di dispersione

per la banda di conduzione, il gap energetico tra queste due bande è dato da:

min ( ) max ( ) 0.g c vk B k B

E E k E k∈ ∈

= − > (2.3.1)

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Come già accennato all’inizio di questo capitolo, a seconda di quanto sia grande tale gap

energetico, i cristalli vengono detti isolanti o semiconduttori.

Esempi di semiconduttori sono il silicio (Si), il germanio (Ge) e l’arseniuro di gallio

(GaAs).

La seconda situazione che si può presentare è quella in cui, allo zero assoluto, un certo

numero di bande è solo parzialmente riempito. In questo caso il cristallo viene detto

conduttore o metallo.

Per capire il motivo di tale distinzione si osservi che, affinché un elettrone in un cristallo

riesca ad acquistare energia da un campo esterno, è necessario che esistano stati

elettronici liberi nelle vicinanze di quello occupato inizialmente dall’elettrone.

I semiconduttori e gli isolanti a temperatura zero hanno, dunque, conducibilità nulla. Se,

invece, la temperatura è diversa da zero, un certo numero di elettroni, per eccitazione

termica, passerà nella banda di conduzione lasciando un numero uguale di stati non

occupati nella banda di valenza. Tale numero risulta apprezzabile o meno, a seconda

delle dimensioni del gap energetico da cui si ha, appunto, la distinzione tra isolanti e

semiconduttori.

Poiché nei semiconduttori il gap energetico tra banda di valenza e banda di conduzione

non è molto grande, a temperature diverse dallo zero assoluto si ha una certa

conducibilità. Si osservi che partecipano alla conduzione elettrica sia gli elettroni che

sono passati alla banda di conduzione, in quanto hanno a disposizione un gran numero di

stati liberi nei quali si possono spostare sotto l’azione di un campo elettrico esterno, sia

gli elettroni in banda di valenza, poiché hanno a disposizione gli stati vuoti lasciati dagli

elettroni passati in banda di conduzione. Gli elettroni di valenza, a loro volta, dopo

essersi spostati in tali stati vuoti, ne lasciano dietro degli altri e lo stesso fenomeno si

ripete.

Il comportamento dinamico di un insieme di elettroni che non occupa tutti gli stati di una

banda può, dunque, essere descritto studiando soltanto gli stati vuoti e trattando questi

ultimi come se fossero occupati da particelle di carica positiva, che si muovono in verso

opposto a quello degli elettroni. Per tali particelle, dette lacune, vale pertanto una

relazione di dispersione opposta in segno a quella degli elettroni. Esse, in realtà, non

hanno un’esistenza propria, ma descrivono in modo semplice e intuitivo il

comportamento degli elettroni presenti nella banda di valenza.

Si osservi che quanto più è alta la temperatura del materiale semiconduttore, tanto più

sarà grande il numero di elettroni che si trova nella banda di conduzione. La conduttività

elettrica di un materiale semiconduttore è, pertanto, una funzione crescente della

temperatura.

Esiste, tuttavia, un modo più efficace per aumentare la conduttività, che è il cosiddetto

drogaggio, che consiste nell’inserire delle impurezze nel cristallo.

Le impurezze che si utilizzano sono tali da essere facilmente ionizzate, negativamente o

positivamente. Nel primo caso, le impurezze intrappolano un elettrone di valenza

creando, così, uno stato libero nella banda di valenza; tali impurezze vengono dette

accettori. Nel secondo caso, invece, forniscono un elettrone alla banda di conduzione;

impurezze di questa specie vengono dette donori.

Il drogaggio può essere effettuato, ad esempio, mediante impiantazione ionica o mediante

diffusione, nel campione, di droganti allo stato gassoso.

Usando delle maschere, è possibile drogare in modo diverso regioni differenti del

dispositivo ottenendo, così, regioni con l’opportuna conduttività elettrica. Selezionando il

drogante, inoltre, è possibile scegliere il tipo dei portatori di carica presenti in

maggioranza. Se come impurezze sono usate dei donori, la conduttività sarà dovuta,

principalmente, alla presenza di un gran numero di elettroni nella banda di conduzione. Si

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parla, in tal caso, di conduttività di tipo .N Se, invece, sono usati accettori, la conduttività

sarà dovuta, principalmente, alla presenza di un gran numero di lacune nella banda di

valenza. Si tratta di una conduttività di tipo .P

Figura 2

2.4 Equazioni di Schrödinger per una banda

Finora sono state trattate le equazioni di Schrödinger per l’operatore hamiltoniano dato

da:

2

( , ) ,2

L

px p V

mΗ = +

ovvero con potenziale esterno nullo.

Si supponga, ora, che ci sia un potenziale esterno :U

ti ψ ψ∂ = Η (2.4.1)

2

( , )2

L

px p V U

mΗ = + + (2.4.2)

Si vuole trovare l’equazione di Schrödinger per la componente della funzione d’onda

relativa ad elettroni che stanno in una banda energetica; tale componente, come si vedrà

in seguito, è la proiezione della funzione d’onda sullo spazio di Floquet.

Si decomponga Η come segue:

L UΗ = Η +

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con 2

.2

L L

pV

mΗ = +

Si utilizzi LΗ per trovare stati di Bloch:

, ,

, ,

( )

( ) ( )

L n k n n k

ik l

n k n k

E k

x l e x

φ φ

φ φ⋅

Η =

+ = (2.4.3)

Le ,n kφ possono essere normalizzate in modo che sia:

, ', ' '

3d ( ) ( ) ( ')n k n k nnx x x k kφ φ δ δ= −∫

, (2.4.4)

dove δ è la “funzione” δ di Dirac [11].

E’ possibile rappresentare la soluzione ψ del problema originario (2.4.1),

decomponendola rispetto alla base ,( ) :n kψ

, ,( , ) d ( ) ( ).n k n kB

n

x t k t xψ ψ φ=∑∫ (2.4.5)

Sostituendo in (2.4.1), si ha:

( ), , , ,d ( ) ( ) d ( ) ( )t n k n k L n k n kB B

n n

i k t x U k t xψ φ ψ φ

∂ = Η + ∑ ∑∫ ∫

da cui, usando (2.4.3), si ottiene:

, ,d ( ) ( )t n k n kB

n

i k t xψ φ∂∑∫

, , , ,d ( ) ( ) ( ) d ( ) ( ) ( ).n k n n k n k n kB B

n n

k t E k x k t U x xψ φ ψ φ= +∑ ∑∫ ∫ (2.4.6)

Si moltiplichino scalarmente ambo i membri di tale uguaglianza per ' '( ).n k xφ Per il primo

membro, utilizzando la condizione di ortonormalità (2.4.4), si ha:

' ' , ,

3d ( ) d ( ) ( )n k t n k n k

Bn

x x i k t xφ ψ φ

∂ ∑∫ ∫

, ', ' ,

3d ( ) d ( ) ( )t n k n k n k

Bn

i k t x x xψ φ φ

= ∂ ∑∫ ∫

, 'd ( ) ( ')t n k nn

Bn

i k t k kψ δ δ= ∂ −∑∫

', 't n ki ψ= ∂ .

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Il primo termine del secondo membro di (2.4.6) diviene:

', ' , ,3d ( ) d ( ) ( ) ( )n k n k n n k

Bn

x x k t E k xφ ψ φ ∑∫ ∫

, 'd ( ) ( ) ( ')n k n nn

Bn

k t E k k kψ δ δ= −∑∫

', ' '( ) ( '),

n k nt E kψ=

avendo sfruttato ancora la (2.4.4).

Infine per il secondo termine del secondo membro di (2.4.6) si ottiene:

', ' , ,

3d ( ) d ( ) ( ) ( )n k n k n k

Bn

x x k t U x xφ ψ φ ∑∫ ∫

, ', ' ,

3d ( ) d ( ) ( ) ( ) .n k n k n k

Bn

k t x x U x xψ φ φ

= ∑∫ ∫

Segue, pertanto:

, , ', ' , ', '

3'

( ) d ' d ( ) ( )t n k n n k n k n k n kB

n

i E k k x x U xφ φ φ ψ ψ

∂ = + ∑∫ ∫

, , ' , , '

3( ) d ' ( ) d ( ) ( ) ( )n n k n k n k n k

B

E k k t x x U x xφ φ ψ ψ

= + ∫ ∫

', ' , ', '

3'

d ' d ( ) ( ) ( )n k n k n kB

n n

k x x U x xφ ψ ψ≠

+

∑∫ ∫

.

Questa equazione mostra come la proiezione della funzione d’onda sulla banda n-esima

sia accoppiata a tutte le altre proiezioni su bande diverse, con 'n n≠ . E’ ragionevole supporre che, sotto opportune condizioni fisiche i contributi interbanda siano trascurabili

e pertanto si abbia:

, , , ' , , '

3( ) d ' d ( ) ( ) ( )t n k n n k n k n k n k

B

i E k k x x U x xψ ψ ψ φ φ

∂ ≈ + ∫ ∫

. (2.4.7)

Per giustificare quanto detto, si riscriva ( , )x tψ come segue:

( , ) ( , ),n

n

x t x tψ ψ=∑

(2.4.8)

con , ,( , ) d ( ) ( ).n n k n k

B

x t k t xψ ψ φ= ∫

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La componente nψ può essere definita mediante un operatore di proiezione che agisca su

ψ . Si definiscano quindi i proiettori:

2 3: ( ) ,n nL FΠ →

con nF spazi di Floquet:

2 3

,( ) : ( ) d ( )n n kB

F L x k kψ ψ σ φ

= ∈ = ∫ ,

, ,

3d d ' ( ') ( ') ( ).n n k n k

B

k x x x xψ ψ φ ψ φ

Π = ∫ ∫

(2.4.9)

Si vede facilmente che

n nψ ψ= Π ,

in quanto, usando la rappresentazione (2.4.5) e la proprietà di ortogonalità delle , ( ),n k tψ

si trova che

, ,3d ' ( ') ( ', ) ( )n k n kx x x t tφ ψ ψ=∫

.

Si osservi che conoscere ( , )n x tψ è equivalente a conoscere , ( ).n k

Se si conosce, infatti, , ( ),n k tφ allora ( , )n x tψ è dato da (2.4.8). Viceversa, conoscendo

( , ),n x tψ si ha:

, ' , ' , ,

3 3d ( ) ( , ) d ( ) d ( ) ( )n k n n k n k n k

B

x x x t x x k t xφ ψ φ ψ φ

= ∫ ∫ ∫

, , ' ,

3d ( ) d ( ) ( )n k n k n k

B

k t x x xψ φ φ

= ∫ ∫

,d ( ) ( '),n k

B

k t k kψ δ= −∫

avendo utilizzato (2.4.8) e (2.4.4), da cui segue:

, ' , '

3d ( ) ( , ) ( )n k n n kx x x t tφ ψ ψ=∫

(2.4.10)

A questo punto si trovino le equazioni per ( , ).n x tψ

Si consideri, dunque, il problema iniziale (2.4.1)-(2.4.2) e si applichino ad ambo i

membri i proiettori .nΠ Utilizzando (2.4.8), (2.4.3), (2.4.10) e le proprietà di ,nΠ si

ottiene:

( )t n n L ni Uψ ψ ψ∂ Π = Π Η + Π

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'

'

( )n L n n

n

Uψ ψ

= Π Η + Π ∑

', ' ',

3'

d d ' ( ') ( ', ) ( ) ( )n n k n L n k nB

n

k x x x t x Uφ ψ φ ψ

= Π Η + Π ∑∫ ∫

', ' ' ',

3'

d d ' ( ') ( ', ) ( ) ( ) ( )n n k n n n k nB

n

k x x x t E k x Uφ ψ φ ψ

= Π + Π ∑∫ ∫

, ,

3d d ' ( ') ( ', ) ( ) ( ) ( )n k n n n k n

B

k x x x t E k x Uφ ψ φ ψ

= + Π ∫ ∫

, , '

'

d ( ) ( ) ( ) ( )n n k n k n n

Bn

k E k t x Uψ φ ψ= + Π∑∫

da cui:

, , '

'

( , ) d ( ) ( ) ( ) ( ) ( ).t n n n k n k n n n nB

n n

i x t k E k t x U Uψ ψ φ ψ ψ≠

∂ = + Π + Π∑∫

Queste equazioni suggeriscono immediatamente che le bande non sarebbero accoppiate

se risultasse

[ ], 0n n n

U U UΠ = Π − Π ≅ , (2.4.11)

in quanto, in questo caso, si avrebbe

' '

' '

( ) 0n n n n

n n n n

U Uψ ψ≠ ≠

Π ≅ Π =∑ ∑ .

La condizione (2.4.11) è verificata se la scala spaziale Uλ su cui agisce il potenziale

esterno U è molto maggiore della scala ψλ su cui varia la funzione d’onda dell’elettrone

sulla banda. Sotto queste ipotesi, è possibile scrivere

( ) ( )s s

U

U x U x U xψλ

ελ

= =

, (2.4.12)

dove sU è il potenziale esterno riscalato in modo che il suo argomento sia espresso in

unità di misura Uλ anziché ψλ , ed il piccolo parametro ε è il rapporto Uψλ λ tra le due

scale di misura. Allora si ha

[ ], ( ) ( )( ) ( )( )n n n

U f x U f x U f xΠ = Π − Π

3 3

, , , ,d d ' ( ') ( ') ( ') ( ) ( ) d d ' ( ') ( ') ( )n k n k n k n k

B B

k x x U x f x x U x k x x f x xφ φ φ φ= −∫ ∫ ∫ ∫

[ ]3

, ,d d ' ( ') ( ') ( ) ( ') ( )n k s s n k

B

k x x U x U x f x xφ ε ε φ= −∫ ∫

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3

2

, ,d d ' ( ') ( ' ) ( ') ( ) ( ') ( )n k s n k

B

k x x x x U x O f x xφ ε ε ε φ = − ⋅∇ + ∫ ∫

( )O ε= ,

che prova la (2.4.11). Si ha, inoltre:

( ) ( )n n n n nU U Uψ ψ ψΠ ≅ Π = .

In conclusione, l’equazione che descrive l’evoluzione temporale della componente della

funzione d’onda di un elettrone nella banda n -esima, sotto l’azione di un potenziale macroscopico è:

, ,( , ) d ( ) ( ) ( ) ( ) ( , ).t n n n k n k nB

i x t k E k t x U x x tψ ψ φ ψ∂ = +∫ (2.4.13)

In termini delle componenti ,n kψ , essa è equivalente a:

, , ,

3( ) ( ) ( ) d ( ) ( ) ( , ).t n k n n k n k ni t E k t x x U x x tψ ψ φ ψ∂ = + ∫

, , ' , , '3

( ) ( ) d ' ( ) d ( ) ( ) ( )n n k n k n k n kB

E k t k t x x U x xψ ψ φ φ= + ∫ ∫

, (2.4.14)

ottenuta moltiplicando la (2.4.13) scalarmente per , ( )n k xφ .

L’operatore , ,d ( ) ( ) ( )n n k n k

B

k E k t xψ φ∫ che compare nella (2.4.13) è un operatore pseudo-

differenziale che dipende dalla relazione di dispersione ( )nE k e dalla base di Bloch ,n kφ ,

con k B∈ . Sotto opportune ipotesi fisiche, si può ottenere una sua rappresentazione più semplice.

Se la scala spaziale di riferimento ψλ , su cui varia la funzione d’onda dell’elettrone, è

molto maggiore della scala Lλ del reticolo L , allora si ha

1

, , ,( ) ( )s s

n k n k n k

L

u x u x u xψλ

ελ

− = =

, (2.4.15)

dove ,

s

n ku è la parte periodica della base di Bloch riscalata in modo che il suo argomento

sia espresso in unità di misura Lλ anziché ψλ , ed il piccolo parametro ε è il rapporto

L ψλ λ tra le due scale di misura. Con questo scaling, la prima zona di Brillouin avrà una

lunghezza tipica dell’ordine di Lψλ λ , ovvero molto grande. Sotto queste ipotesi è

possibile usare l’approssimazione di Kane, che consiste nell’espandere la relazione di

dispersione ( )nE k in serie di Taylor intorno al suo estremo (massimo in banda di

valenza, minimo in banda di conduzione), e nel sostituire la zona di Brillouin con tutto 3 . In questa approssimazione, l’equazione (2.4.13) può essere sostituita da

2

1 '

3 3( , ) d d ' ( ', ) ( ) ( , )

2

K ik x K ik x K

t n n ni x t k k M k x e x t e U x x tψ ψ ψ− − ⋅ ⋅∂ = − ⋅ +∫ ∫

, (2.4.16)

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dove si è introdotto il tensore di massa 1

2

1(0)nM E

− = − ∇∇

e la soprascritta K si

riferisce all’approssimazione di Kane. Si noti che il segno − nella definizione del tensore

di massa si riferisce al caso in cui l’estremo della banda sia un massimo, dovrebbe essere

sostituito da un segno + in caso di minimo.

Dopo un cambiamento del sistema di riferimento dello spazio delle k , nel caso più

semplice in cui il tensore M sia isotropo con unico autovalore *m , si ottiene

2

*( , ) ( , ) ( ) ( , ).

2

K K K

t n n ni x t x t U x x tm

ψ ψ ψ∂ = − ∆ +

(2.4.17)

Quest’equazione, formalmente identica all’equazione di Schrödinger per una particella di

massa *m , detta massa efficace, soggetta solo al potenziale U , sarà il punto di partenza del prossimo capitolo.

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Capitolo 3

Modelli idrodinamici quantistici per

semiconduttori

3.1 Equazioni idrodinamiche quantistiche a temperatura nulla Si mostrerà come a partire dall’equazione di Schrödinger di singola banda trovata

nell’ultima sezione del capitolo precedente, si possa arrivare a delle equazioni

idrodinamiche quantistiche. Queste ultime rappresentano l’analogo quantistico delle

equazioni classiche di Eulero della meccanica dei continui.

Si consideri un elettrone in una banda energetica di un semiconduttore. Si assuma che

valga l’approssimazione di Kane isotropa e quindi il suo moto sia descritto

dall’equazione di Schrödinger:

2

*( , )

2ti qV x t

mψ ψ ψ∂ = − ∆ −

dx ∈ 0>t

(3.1.1)

)()0,( xx Iψψ = dx ∈ ,

con V potenziale esterno, dove per semplicità sono stati omessi gli indici “ n ” e “ K ”.

Si riscali l’equazione, introducendo i seguenti valori caratteristici del sistema: ,τ L e U

rispettivamente per il tempo, la lunghezza e il potenziale:

st tτ= , sLxx = , sUVV = ;

dove ,st sx e sV sono il tempo, la distanza ed il potenziale misurati rispetto a queste

unità caratteristiche.

Supponendo che l’energia cinetica sia dello stesso ordine dell’energia elettrica:

2

* Lm qU

τ

=

l’equazione di Schrödinger riscalata diviene, dunque:

2

2

ti Vε

ε ψ ψ ψ∂ = − ∆ − , dx ∈ , 0>t , (3.1.2)

con * 2 * 2

/

( / )m L m L

τ τε

τ= =

costante di Planck riscalata.

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L’indice ‘s’ è stato omesso per semplicità di notazioni.

Si supponga che la funzione d’onda, al tempo iniziale, sia data dalla condizione di WKB

(Wentzel, Kramers, Brillouin):

)/exp( εψ III iSn= (3.1.3)

dove 0)( ≥xnI , ( )I

S x ∈ sono delle funzioni.

Verrà dimostrato che le equazioni idrodinamiche quantistiche a temperatura nulla, date

da:

div 0tn J∂ − = (3.1.4)

2

div 02

t

J J nJ n V n

n n

ε ⊗ ∆ ∂ − + ∇ + ∇ =

, dx ∈ , 0>t , (3.1.5)

)()0,( xnxn I= , )()0,( xJxJ I= , dx ∈ , (3.1.6)

dove il simbolo ⊗ denota l’operazione di prodotto tensoriale, sono formalmente

equivalenti all’equazione di Schrödinger (3.1.2), nel senso del seguente teorema:

Teorema 3.1.1

(1) Sia ψ soluzione di (3.1.1)–(3.1.2) con dato iniziale (3.1.3). Allora

2

ψ=n , )Im( ψψε ∇−=J ,

che come si è visto definiscono rispettivamente la densità spaziale e di corrente,

risolvono le equazioni (3.1.4)–(3.1.6) con condizioni iniziali:

2

IIn ψ= , III SnJ ∇−= , (3.1.7)

fintantochè 0>n in d .

(2) Sia (n,S) una soluzione di

div( ) 0tn n S∂ + ∇ = , 2

210

2 2t

nS S V

n

ε ∆∂ + ∇ − − = , dx ∈ , 0>t , (3.1.8)

)()0,( xnxn I= , )()0,( xSxS I= , dx ∈ ,

tale che 0>n in d , 0>t .

Allora )/exp( εψ iSn= risolve le equazioni (3.1.1)–(3.1.2) con dato iniziale (3.1.3).

Osservazione

Si osservi che (3.1.8) implica (3.1.4)–(3.1.5).

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La (3.1.4) si ottiene, infatti, sostituendo nella prima equazione di (3.1.8) SnJ ∇= .

Inoltre prendendo il gradiente rispetto ad x della seconda equazione di (3.1.8) e

moltiplicando per n si ha:

2

21

2 2t

nn V n n S n S

n

ε ∆∇ + ∇ = ∂ ∇ + ∇ ∇

21

( )2

t tn S n S n S= ∂ ∇ − ∂ ∇ + ∇ ∇

21

div2

t J J S n S= −∂ − ∇ + ∇ ∇

divt

J JJ

n

⊗ = −∂ +

,

ovvero la (3.1.5).

L’ultima uguaglianza segue dalle seguenti considerazioni:

in componenti, si ha:

1

2 i j j

n S Sx x x

∂ ∂ ∂ ∂ ∂ ∂

21

22 i j j

S Sn

x x x

∂ ∂=

∂ ∂ ∂,

da cui segue:

=∇∇2

2

1Sn

2( )n D S S∇ .

D’altra parte, poiché

2

i j j

S Sn

x x x

∂ ∂

∂ ∂ ∂ j i j i j j

S S S Sn n

x x x x x x

∂ ∂ ∂ ∂ ∂ ∂= − ∂ ∂ ∂ ∂ ∂ ∂

,

si può concludere che:

2 21( )

2n S n D S S∇ ∇ = ∇ div( ) div( )n S S n S S= ∇ ⊗ ∇ − ∇ ∇

div divJ J

J Sn

⊗ = + ∇

,

con SD 2 matrice hessiana di S.

Dimostrazione del Teorema 3.1.1

(1) La funzione d’onda ψ a valori complessi può essere scritta come:

Page 41: Università della Calabria - Istituto Nazionale di Fisica ... 1.1 Cenni di storia della meccanica quantistica 3 1.2 Principi della meccanica quantistica ... Basti pensare che il primo

)/exp( εψ iSn= ,

dove 2

ψ=n ed S è una funzione di fase. Allora, sia )Im( ψψε ∇−=J , si ottiene:

Imi

J n n n S n Sεε

= − ∇ + ∇ = − ∇

,

poiché

exp( / )n iSψ ε= − ,

ed, inoltre,

)/exp()/exp( εεε

ψ iSniSSi

n ∇+∇=∇ .

S ed n soddisfano, dunque, le condizioni iniziali (3.1.7).

A questo punto rimane da dimostrare che ),( Jn soddisfa la (3.1.8), visto che

quest’ultima implica (3.1.4)–(3.1.5).

Sostituendo )/exp( εψ iSn= nella (3.1.2) e dividendo per )/exp( εiS si ha:

2

tt

nin S

n

ε ∂− ∂ =

22

2

2

2

i i nn n S n S S nV

ε

ε ε ε

− ∆ + ∇ ⋅∇ + ∆ − ∇ −

in quanto:

( )exp( / ) exp( / )i

n iS n S iSψ ψ ε εε

∆ = ∇ ⋅∇ = ∇ ⋅ ∇ + ∇ ⋅ ∇

,

e

exp( / ) exp( / )2

tt t

n iiS n iS S

nψ ε ε

ε

∂∂ = + ∂ .

Per la parte immaginaria di tale equazione si ha:

2 2

tn n S n Sn

ε εε

∂= − ∇ ⋅∇ − ∆

⇒ 2 div( )tn n n S n S n S∂ = − ∇ ⋅∇ − ∇ = − ∇ ,

che è la prima equazione in (3.1.8).

Per la parte reale si ha:

2

2

2 2t

nn S n S nV

ε− ∂ = − ∇ + ∇ −

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⇒ 2

21

2 2t

nS S V

n

ε ∆∂ = − ∇ + ,

che è la seconda equazione in (3.1.8).

(2) Si consideri ψε

ψεϑ ∆+2

2

ti , dove exp( / )n iSψ ε= .

Usando la (3.1.8) si ha:

2 2

2 exp( / )

2 2 2 22

tt t

n i ni iS i n S n i n S n S S

n

ε ε εε ψ ψ ε ε ε

∂∂ + ∆ = − ∂ + ∆ + ∇ ⋅∇ + ∆ − ∇

div( )

exp( / )2 2

i n S iiS i n S n S nV

n

ε εε ε

∇ = − + ∇ ⋅∇ + ∆ −

ψε VViSn −=−= )/exp( ,

poiché

div( )

2 2 2

i n S i n S in S

n n

ε ε ε∇ − ∇ ⋅∇− = − ∆

Sni

Sni ∆−∇⋅∇−=2

εε .

La ψ sopra definita soddisfa, quindi, l’equazione di S con dato iniziale (3.1.3).

Il sistema (3.1.4)-(3.1.5) è l’analogo quantistico delle equazioni classiche di Eulero della

dinamica dei gas a pressione nulla [10]. Si osservi che la derivazione del modello

richiede una velocità iniziale /J n irrotazionale, poiché ( / ) ( ) 0J n S∇× = −∇× ∇ = .

Il termine quantistico può essere interpretato come un termine di self-potential, chiamato

potenziale di Bohm /n n∆ , oppure come un tensore di pressione non diagonale:

2

( ) log4

P n nε

= ∇ ⊗ ∇ ,

in quanto ( )2div ( / 2) /P n n nε= ∇ ∆ .

3.2 Idrodinamica quantistica

Il modello idrodinamico quantistico della sezione 3.1 non contiene un termine di

temperatura, poiché è stato ottenuto per un singolo elettrone. Si consideri, quindi,

l’insieme degli elettroni che stanno su una singola banda energetica. Statisticamente, essi

sono descritti dalla matrice densità di singola particella, che nella rappresentazione delle

coordinate assume la forma: (si veda l’ultima sezione del capitolo 1)

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,

( ', ) ( , )mn n m

m n

x t x tρ ψ ψ∑ ,

dove le funzioni d’onda ( , )n x tψ sono le soluzioni della seguente famiglia di problemi ai

valori iniziali:

2

2ti V

εε ψ ψ ψ∂ = − ∆ − , (3.2.1)

( ,0) ( ) ( )I

n n nx x xψ ψ ϕ= = . (3.2.2)

nn

ϕ è una base di funzioni dello spazio di Floquet associato alla banda in

considerazione.

I :m mmρ ρ= , 1, 2,...m = rappresentano i numeri di occupazione degli stati mψ ,

1, 2,...m = .

Se si definiscono le quantità

2

( , )m mn x t ψ= , ( , ) Im( )m m mJ x t ε ψ ψ= − ∇

che impropriamente verranno chiamate densità e densità di corrente di singola particella,

la densità e la densità di corrente totali sono, in questo caso, date da

1

m m

m

n nρ∞

=

=∑ ,

1

m m

m

J Jρ∞

=

=∑ . (3.2.3)

Teorema 3.2.1

Le densità totali spaziale e di corrente ),( Jn definite da (2.3) risolvono le equazioni

idrodinamiche con tensore di temperatura d dθ ×∈ date da:

div 0tn J∂ − = , (3.2.4)

2

div 02

t

J J nJ n n V n

n n

εθ

⊗ ∆ ∂ − + + ∇ + ∇ =

, dx ∈ , 0>t , (3.2.5)

con condizioni iniziali:

2

1

( ,0) I

mm m

m

n ρ ψ∞

=

⋅ =∑ ,

1

( ,0) Im( )I I

mm m m

m

J ε ρ ψ ψ∞

=

⋅ = − ∇∑ , in d , (3.2.6)

dove

osc θθθ += . (3.2.7)

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La temperatura di corrente cθ e la temperatura osmotica osθ sono date da:

, ,

1

( ) ( )mc mm c m c c m c

m

nu u u u

nθ ρ

=

= − ⊗ −∑ (3.2.8)

, ,

1

( ) ( )mos mm os m os os m os

m

nu u u u

nθ ρ

=

= − ⊗ −∑ (3.2.9)

dove

n

Juc −= , ,

mc m

m

Ju

n= − , nuos ln

2∇=

ε,

, ln2

os m mu nε

= ∇ (3.2.10)

sono rispettivamente le velocità di corrente e osmotiche.

La nozione di ‘osmotico’ viene dal fatto che il termine quantistico può essere riscritto

come:

2

div2

nn P

n

ε ∆∇ =

con nnP ln)(4

2

∇⊗∇=ε

e P può essere interpretato come un tensore di pressione non diagonale.

Dimostrazione

Per il teorema 3.1.1, ( , )m mn J soddisfa il seguente sistema di equazioni:

div 0t m mn J∂ − = ,

2

div 02

mm mt m m m

m m

nJ JJ n V n

n n

ε ∆ ⊗∂ − + ∇ + ∇ =

, dx ∈

2

( ,0) I

m mn ψ⋅ = , ( , 0) Im( )I I

m m mJ ε ψ ψ⋅ = − ∇ .

Moltiplicando tali equazioni per m mρ e sommando su m si ottiene:

div 0tn J∂ − =

2

1 1

div 02

mm mt mm mm m

m mm m

nJ JJ n V n

n n

ερ ρ

∞ ∞

= =

∆ ⊗∂ − + ∇ + ∇ = ∑ ∑ . (3.2.11)

Si riscrivano il secondo e il quarto termine della (3.2.11). Usando (3.2.8) e (3.2.10) si

ottiene:

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1

div m m

mm

mm

J J

=

∑ ( ), ,

1

divmm m c m c m

m

n u uρ∞

=

= ⊗∑

, , , ,

1

( )( )mm m c m c c m c m c c m c m c m c c m

m

n u u u u n u u n u u n u uρ∞

=

= − − − ⊗ + ⊗ + ⊗ ∑

( ) , ,

1 1

div div div divc mm m c m mm m c m

m m

J J J Jn n u n u

n n nθ ρ ρ

∞ ∞

= =

⊗ = − + ⊗ + ⊗

∑ ∑

( )div divc

J Jn

⊗ = +

.

Usando (3.2.9) e (3.2.10) si ha, inoltre:

1

m

mm m

mm

nn

=

∆∇ =

∑1

1div ( )

2

m m

mm m

mm

n nn

=

∇ ⊗ ∇∇ ⊗ ∇ −

2

1

1div ( )

2

m m

mm m m

m

n n n nn nn n

n n nρ

=

∇ ⊗ ∇ ∇ ⊗ ∇∇ ⊗ ∇= ∇ ⊗ ∇ + − −

m mm

m m

n nn nn

n n n n

∇ ∇∇ ∇− − ⊗ −

1

div ( ) div( )2

os

n nn n

∇ ⊗∇ = ∇ ⊗ ∇ − +

div( ).os

nn n

∆= ∇ +

Se si analizzano le (3.2.4)-(3.2.5), si vede che esse costituiscono un sistema di quattro

equazioni in dieci incognite.

Senza ulteriori ipotesi, infatti, il tensore di temperatura non può essere espresso in termini

delle densità n e J . E’ necessaria, come nel caso di derivazione del modello

idrodinamico classico, una condizione di chiusura per poter ottenere un insieme chiuso di

equazioni.

Due possibili approcci, che sono stati usati in letteratura, sono:

• Ottenere un’equazione di evoluzione per il tensore di temperatura e chiudere la corrispondente equazione.

• Assumere che il tensore di temperatura sia dato da:

T Iθ = ⋅ , T temperatura, d dI

×∈ matrice identità.

A sua volta per la temperatura sono stati considerati i seguenti casi:

tT cos= (caso isotermo)

oppure

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T non lineare data da 1

0)(−= α

nTnT , 1>α (caso isentropico)

dove α rappresenta il rapporto tra i calori specifici.

Per 0ε → , infatti, il modello tende a quello idrodinamico classico, con θn

tensore degli sforzi, per cui è lecito supporre che θn abbia la forma

0n T n Iαθ = ,

che è in accordo con quanto scritto sopra.

Di conseguenza θ risulta dipendere solo da n . Si passa, dunque, da un sistema

di quattro equazioni in dieci incognite, ad uno di quattro equazioni in quattro

incognite, che è quindi chiuso.

Per tener conto delle deviazioni dalla perfetta periodicità del reticolo cristallino, in

analogia con le equazioni classiche della fluidodinamica, si introduce, inoltre, un termine

di rilassamento di modo che la (3.1.5) si scriva:

2

div ( )2

J J J nnT n V n J

t n n

εβ

∂ ⊗ ∆ + + ∇ − ∇ − ∇ = − ∂

(3.2.12)

dove 0>β è l’inverso del tempo di rilassamento riscalato.

Saranno considerate le seguenti equazioni stazionarie:

div 0J = (3.2.13)

2div ( ) ( )ext

J J nr n n V V n J

n nδ β

⊗ ∆ + ∇ − ∇ + − ∇ = −

(3.2.14)

CnV −=∆2λ (3.2.15)

(dove 2

22 ε

δ = ), in un dominio limitato Ω .

Il potenziale esterno extV modella le barriere di potenziale interne.

La principale ipotesi consiste nell’assumere che la densità di corrente possa scriversi

come:

SnJ ∇= ,

con S potenziale quantistico di Fermi. Ciò significa che si suppone che la velocità

Sn

J∇= sia irrotazionale.

Dal punto di vista fisico è ragionevole supporre che, nel dispositivo, sia verificata la

condizione 0>n . Poiché, come si è visto prima:

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2 21 1

div div2 2

J Jn S S J n S

n

⊗ = ∇ ∇ + ∇ ⋅ = ∇ ∇

la (3.2.14) può essere riscritta come:

Sn

nVVnhTSn next ∇−=

∆−−−+∇∇ βδ 2

0

2)(

2

1 (3.2.16)

dove:

10

1 '( )( ) d

nr s

h n sT s

= ∫ (3.2.17)

è la funzione entalpia.

Nel caso isotermico si ha

)log()( nnh = ,

mentre in quello isentropico

)1(1

)( 1 −−

= −α

α

αnnh , per 1>α .

Poiché 0>n , l’equazione (3.2.16) implica:

2 2

0

1( ) 0

2ext

nS T h n V V S

nδ β

∆∇ + − − − + =

da cui:

22

0

1( )

2extS n n S T h n V V Sβ

∆ = ∇ + − − +

Scegliendo opportunamente il potenziale di riferimento, si può assumere che la costante

d’integrazione sia uguale a zero.

Per analizzare il modello, conviene considerare nw = come variabile.

Le equazioni (3.2.13)-(3.2.15) possono, dunque, essere riscritte come:

22 2

0

1( )

2extw w S T h w V V Sδ β

∆ = ∇ + − − +

, (3.2.18)

2div( ) 0w S∇ = , (3.2.19)

CwV −=∆ 22λ in Ω . (3.2.20)

Per ricavare le condizioni al bordo, saranno fatte delle ipotesi rilevanti dal punto di vista

fisico.

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Si assume, innanzitutto, che i dati al bordo siano somma delle funzioni all’equilibrio

termico ( , , )eq eq eqn S V e del potenziale applicato )(xU :

,eqnn = ,USS eq += UVV eq += su Ω∂

Lo stato di equilibrio termico è definito da 0=J o, equivalentemente, da =S costante

(poiché 0>n ).

Fissando opportunamente il valore di riferimento per S (ed eqS ), si può supporre che

0=eqS .

Si assuma, inoltre, che la densità totale di carica eqnC − , sia nulla sul bordo (condizione

di neutralità di carica) e che non ci sia alcun effetto quantistico su Ω∂ , cioè 0=∆

eq

eq

n

n.

Infine, 0=extV su Ω∂ , poiché extV è dovuto alle barriere quantistiche interne.

Da (3.2.18) si ottiene:

2

0

10 ( )

2eq eq eq eq

S T h n V Sβ= ∇ + − + su Ω∂

da cui:

)(0 eqeq nhTV = su Ω∂

Si ottengono, dunque, le condizioni al bordo di Dirichlet:

,0ww = ,0SS = 0VV = su Ω∂ (3.2.21)

con

,0 Cw = ,0 US = 0 0 ( )V T h C U= + (3.2.22)

Chiaramente le condizioni al bordo miste di Dirichlet-Neumann sarebbero fisicamente

più realistiche di quelle pure di Dirichlet. Si impongono, tuttavia, le condizioni (3.2.21)

per ragioni tecniche, poiché le condizioni miste precludono la regolarità delle soluzioni.

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Capitolo 4

Risultati analitici

4.1 Esistenza di soluzioni stazionarie In questa sezione verrà dimostrata l’esistenza di soluzioni delle equazioni idrodinamiche

quantistiche:

22 2

0

1( )

2extw w S T h w V V Sδ β

∆ = ∇ + − − +

(4.1.1)

2div( ) 0w S∇ = (4.1.2)

CwV −=∆ 22λ in Ω (4.1.3)

con condizioni al bordo di Dirichlet:

,0ww = ,0SS = 0VV = su Ω∂ (4.1.4)

ricavate nel precedente capitolo.

Nell’analisi di (4.1.1)-(4.1.3), emergono due difficoltà principali.

Innanzitutto l’equazione ellittica (4.1.2) è, a priori, di tipo degenere (in quanto la

variabile w potrebbe annullarsi), con una degenerazione non standard in quanto non

locale. La seconda difficoltà è legata al termine convettivo 2

S∇ al secondo membro di

(4.1.1).

Per quanto riguarda la prima difficoltà, si mostrerà, tuttavia, che la soluzione w è strettamente positiva, dunque (4.1.2) diviene strettamente ellittica. La seconda difficoltà è

squisitamente tecnica e compare nelle stime a priori, che verranno qui soltanto enunciate.

Ogni soluzione ),,( VSw di (4.1.1)-(4.1.3) con w positiva è una soluzione del

problema:

div 0J = (4.1.1)’

2div ( ) ( )ext

J J nr n n V V n

n nδ β

⊗ ∆ + ∇ − ∇ + − ∇ = −

J (4.1.2)’

CnV −=∆2λ (4.1.3)’

con 2wn = , SnJ ∇= .

Si utilizzeranno i seguenti spazi funzionali:

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Spazi di Sobolev:

=Ω)(, pmW :)(Ω∈ pLu ∃ ,1g ,2g . . . , )(Ω∈ p

m Lg t.c. ∫ ∫Ω Ω

−= ,)1( ϕϕ ααα guD

),(Ω∈∀ ∞cCϕ ,1=∀α 2, . . . , m

= ),(:)( Ω∈Ω∈ pp LuDLu α ,1=∀α 2, . . . , m

dove dΩ ⊂ è un aperto, 2≥m è un intero, ∞≤≤ p1 è un numero reale.

Funzioni Hölderiane:

Siano ,0≥k 0 1.α< ≤

( )Ω∈ α,kCf se ( )Ω∈ kCf tale che:

∞<

−α

ββ

yx

yuDxuD )()(sup dove Ω∈yx, yx ≠

β∀ con k=β .

Sono necessarie le seguenti ipotesi:

(H1) dΩ ⊂ ( 1≥d ) è un dominio limitato con 1,1.C∂Ω ∈

(H2) ),0(0 ∞∈Ch è una funzione non decrescente che soddisfa:

+∞=∞→

)(lim xhx

, 2lim ( ) .

x o

xh x+→

< +∞

(H3) )(,2

0 Ω∈ pWw per

2

dp > , ;0inf 0 =Ω∂ w

)(,1

0 Ω∈ γCS con p

d−= 2γ ;

1

0 ( ) ( )V L∞∈ Ω ∩ ΩH ;

,C )(Ω∈ ∞LVext .

Si assume, inoltre, che le costanti ,β ,δ ,λ oT siano positive.

La funzione ),0(0 ∞∈Ch che soddisfi (H2) sarà detta:

isoterma se −∞=+ )(oh e

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isentropica se 0)0( <+h .

La funzione di entalpia

)log()( ssh =

è isoterma, mentre la funzione

)1(1

)( 1 −−

= −α

α

αssh per 1>α

è isentropica.

I risultati principali di questa sezione sono i seguenti teoremi:

Teorema 4.1.1

Si supponga che valgano (H1)-(H3) e che h sia isoterma. Allora esiste 0>ε tale che,

se:

)(0 ,1 ΩγC

S ε≤ oppure ε

10 ≥T

allora esiste una soluzione ),,( VSw di (4.1.1)-(4.1.4) che soddisfa, per qualche 0>w :

),(,2 Ω∈ pWw ),(,1 Ω∈ γ

CS 1( ) ( )V L∞∈ Ω ∩ ΩH (4.1.5)

0)( >≥ wxw inΩ (4.1.6)

Teorema 4.1.2

Si supponga che valgano (H1)-(H3) e che h sia isentropica. Allora esiste 0>ε tale che,

se ε

10 ≥T , allora esiste una soluzione ),,( VSw di (4.1.1)-(4.1.3) che soddisfa (4.1.5)-

(4.1.6).

Si osservi che si sta assumendo che i dati al bordo non dipendano dal parametro 0T ;

tuttavia anche il caso delle funzioni al bordo date da:

,0 Cw = ,0 US = UChTV += )(0

può essere trattato.

Si noti, inoltre, che si è in grado di dimostrare l’esistenza di soluzioni se si verifica che, in

un certo senso, l’energia elettrica, legata al potenziale applicato U (dunque ad 0S ), è più

piccola dell’energia termica.

L’idea della dimostrazione è quella di sostituire la (4.1.2) con la seguente equazione:

2div(max( , ) ) 0m w S∇ = , con 0>m ,

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che è uniformemente ellittica.

Utilizzando il Teorema del punto fisso di Leray-Schauder, (si veda Appendice B) verrà

dimostrata l’esistenza di una soluzione del problema troncato. Per tale soluzione, la

densità w risulta essere strettamente positiva. Scegliendo il parametro di troncamento

0>m più piccolo del limite inferiore di w si ottiene, dunque, una soluzione del

problema originale (4.1.1)-(4.1.4).

Nella dimostrazione della positività di w , occorre l’ipotesi di piccolezza dei dati. Non si

sa se l’esistenza di soluzioni possa essere provata senza questa assunzione.

La proprietà di positività di w è legata alla regolarità di S . Si dimostrerà, infatti, che w

è strettamente positivo se e solo se il gradiente di S è limitato.

Si provi, ora, che esiste una soluzione del sistema troncato. Ai fini della dimostrazione, si

introdurrà un sistema ausiliario troncato sia dal basso che dall’alto. A questo scopo, si

definiscano:

==

0

)),min(,0max( s

k

kssk

se

se

se

0

0

≤≤

s

ks

ks

),max()( smstm = per Rs ∈ e km ≤<0

In questa sezione si assume che (H1)-(H3) siano verificate.

Si consideri il seguente problema ausiliario:

22 2

0

1( )

2k k extw w S T h w V V Sδ β

∆ = ∇ + − − +

, (4.1.7)

( )2div ( ) 0m k

t w S∇ = , (4.1.8)

CwwV k −=∆2λ in Ω , (4.1.9)

0ww = , ,0SS = 0VV = su Ω∂ . (4.1.10)

La dimostrazione di esistenza della soluzione di questo sistema troncato ausiliario si basa

sulle seguenti stime a priori:

Lemma 4.1.3

Sia 1 3( , , ) ( ( ))w S V ∈ ΩH una soluzione debole di (4.1.7)-(4.1.10). Allora esistono delle

costanti positive w ,S S ,V V e )(1 mc tali che:

wxw ≤≤ )(0 , SxSS ≤≤− )( , VxVV ≤≤− )( in Ω (4.1.11)

12, ,( ).

pw c m

Ω≤ (4.1.12)

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La dipendenza delle suddette costanti dai dati iniziali sarà rilevante in seguito, e viene

riportata qui per referenza futura:

Ω∂∞

=,,00SS ,

0 0, ,,S S

∞ ∂Ω= (4.1.13)

0 0, , 0, ,

( , , ) ,V V c d Cλ∞ ∂Ω ∞ Ω

= + Ω (4.1.14)

0 1 00, ,

max( , ( , , , )),w w w V S T h∞ ∂Ω

= (4.1.15)

( )2

0 0, , 0, ,( , , ) ,V V c d C wλ

∞ ∂Ω ∞ Ω= + Ω + (4.1.16)

dove 0),,( >Ω λdc e 0),,,( 011 >= hTSVww è tale che

0,,0

21 /)()( TSVVwh ext β++≥

Ω∞.

Dimostrazione

La dimostrazione di questo lemma è molto tecnica e, per semplicità, non verrà qui

riportata nella sua interezza, esponendone solo i passi fondamentali. Maggiori dettagli

potranno essere trovati nel Lemma 5.2.3 di [1].

Primo passo: Si ottengono stime ∞L per ,w S e V, adoperando il principio del massimo

per la limitatezza della S , ed il metodo di Stampacchia per la limitatezza della V .

Secondo passo: Si ottiene una stima 1H per w , partendo dalla formulazione debole della

(4.1.1), con funzione test 0w w− , e utilizzando le disuguaglianze di Young e Poincaré.

Terzo passo: Si ottiene una stima pW

,2 per w , utilizzando la stima ellittica

( )2

02, , 2, , 0, ,p p pw c w fδ

Ω Ω Ω≤ + ,

dove f è il membro destro della (4.1.1). Poichè f dipende da S∇ , occorre usare anche

la stima ellittica

1, 1,0( ) ( )C CS c Sε εΩ Ω

≤ per ogni 0 ε γ< ≤ (4.1.17)

per l’equazione (4.1.2), dove la costante 0c > dipende da Ω , d , m e dalla norma 0, ( )C

ε Ω di 2( )m kt w . In particolare, si può scrivere

0 ,

2

1 2( )

( , ) ( ) ( )m kC

c c d c m t wε Ω

= Ω .

La stima finale è ottenuta impiegando la disuguaglianza d’interpolazione

0 ,( ) 2, , 0, ,

( )C p p

w w c wγ ε εΩ Ω Ω

≤ + ,

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che segue dalla compattezza dell’immersione: )()( ,0,2 Ω⊂Ω γCW

p e dalla continuità

dell’immersione: ∞⊂Ω LC )(,0 γ .

Lemma 4.1.5

Esiste una soluzione ),,( VSw di:

+−−+∇=∆ SVVwhTSww ext βδ )(

2

1 20

22 (4.1.18)

2div( ( ) ) 0mt w S∇ = (4.1.19)

CwV −=∆ 22λ in Ω (4.1.20)

,0ww = ,0SS = 0VV = su Ω∂ (4.1.21)

tale che ),(,2 Ω∈ pWw ),(,1 Ω∈ γ

CS 1( ) ( )V L∞∈ Ω ∩ ΩH e 0)( ≥xw in Ω .

Dimostrazione Si utilizza un’argomentazione del punto fisso.

Sia )(,0 Ω∈ γCu .

Sia 1( )V ∈ ΩH l’unica soluzione di:

CuuV k −=∆2λ in Ω , 0VV = su Ω∂

e sia 1( )S ∈ ΩH l’unica soluzione di:

2div( ( ) ) 0m kt u S∇ = in Ω , 0SS = su Ω∂ .

Per il lemma 4.1.3, si ha che )(Ω∈ ∞LV .

Si osservi che 2)( km ut è hölderiana di ordine ,γ in quanto si ha:

=−

−γ

yx

yutxut kmkm )()()()( 22 ( ) ( )2 2

max , ( ) max , ( )k km u x m u y

x yγ

( ) ( )( )( ) ( )max , ( ) max , ( )

max , ( ) max , ( )k k

k k

m u x m u ym u x m u y

x yγ

−= +

( ) ( )

2 max( , ) ,u x u y

m kx y

γ

−≤

dove il secondo fattore del secondo membro della disuguaglianza è limitato, essendo

).(,0 Ω∈ γCu

Segue che 1, ( )S C γ∈ Ω [6, Teorema 8.34].

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Sia, infine, 1( )w∈ ΩH l’unica soluzione di:

+−−+∇=∆ SVVuhTSuw extkk βσδ )(

2

1 20

22 in Ω

0ww σ= su Ω∂

con ]1,0[∈σ .

Il membro destro del problema ellittico appartiene ad )(Ω∞L , per cui si ha )(,2 Ω∈ pWw

e, poiché 2

dp > , segue che )(,0 Ω∈ γCw , per il Teorema di Rellich-Kondrakov L(si veda

Appendice B).

L’operatore T di punto fisso:

)(]1,0[)(: ,0,0 Ω→×Ω γγ CCT ,

wu →),( σ

risulta essere, dunque, ben definito.

Si ha 0)0,( =uT per )(,0 Ω∈ γCu poiché, per ,0=σ 0=w su ,Ω∂ quindi ovunque.

Usando la stessa linea dimostrativa del lemma 4.1.3, è possibile provare la seguente

stima:

Cwp

≤Ω,,2

per ogni )(,0 Ω∈ γCw che soddisfi wwT =),( σ , dove 0>c è indipendente da w e da

σ .

Utilizzando classiche stime di continuità per equazioni ellittiche, si può dimostrare che T

è continuo; inoltre la compattezza dell’immersione: )()( ,0,2 Ω⊂Ω γCW

p implica che T

è compatto.

A questo punto è possibile applicare il Teorema del punto fisso di Leray-Schauder, per

ottenere una soluzione ),,( VSw di (4.1.7)-(4.1.10) , con wxw ≤≤ )(0 .

Scegliendo wk > , tale terna è anche una soluzione di (4.1.18)-(4.1.21).

Dimostrazione dei teoremi 4.1.1 e 4.1.2. Per completare la dimostrazione dei teoremi 4.1.1, 4.1.2 rimane da dimostrare che

0)( >≥ wxw , rispettivamente nel caso di h isoterma e di h isentropica.

Si consideri la stima ellittica (4.1.17), scritta per ε γ= :

( ) 21, 1,3 4 00,( ) ( )( )

, ( ) ( )mC CCS c d c m t w Sγ γγΩ ΩΩ

≤ Ω . (4.1.22)

Vale:

4 ( )c m → ∞ per 0m+→ .

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Utilizzando il teorema d’immersione di Rellich-Kondrachov e la (4.1.12) si ha, inoltre:

20,0, ( )( )

( ) ( )m CCt w c w w γγ ΩΩ

2, ,

( )p

c w wΩ

5c≤

dove, dalla dimostrazione del lemma 4.1.4:

5 6 7( ) ( ),c c w c m=

con:

6 ( )c w → ∞ per w → ∞

e

7 ( )c m → ∞ per 0m+→ .

Per la (4.1.15), w risulta dipendere da 0T in modo che:

w → ∞ per 0 0T+→ ,

da cui:

6 ( )c w → ∞ per 0 0T +→ .

Si ottiene, dunque:

1, 1,1 2 0( ) ( )( ) ( )

C CS c w c m Sγ γΩ Ω

≤ ,

con:

1( )c w → ∞ per 0 0T +→

e

2 ( )c m → ∞ per 0m+→ .

Ciò implica:

2 20

1, 1,0( ) ( )0( ) ( )C C

cS S

f T g mγ γΩ Ω

≤ , (4.1.23)

con ,f g funzioni positive, non decrescenti, continue in [ [0,∞ tali che:

0( ) 0f T → per 0 0T+→ , 0( ) 0f T > per 0T → ∞ ,

( ) 0g m → per 0m+→

e con 0 0c > costante che non dipende da 0 0, ,S T o m .

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Sia 00 infm w∂Ω< < e si scelga ( ) ( ): min 0,w m w m

−− = − come funzione test per

l’equazione (4.1.17). Si ha, pertanto:

( ) ( )2dx w m w mδ−

Ω

− − ∆ − ∫ ( ) ( )2 2

0

1d

2extx w w m S T h w V V Sβ

Ω

= − − ∇ + − − +

con:

( ) ( )2dx w m w mδ−

Ω

− − ∆ − ∫ ( ) ( ) ( )( )2dx w m w m w mδ

− − +

Ω

= ∇ − ⋅ ∇ − + ∇ − ∫

( )2

2 dx w mδ−

Ω

= ∇ −∫ ,

da cui:

( )2

2 dx w mδ−

Ω

∇ −∫ ( ) ( )2 2

0

1d

2extx w w m S T h w V V Sβ

Ω

= − − ∇ + − − +

( )( ) ( )2 201,0 0( )

0

d( ) ( )

extC

cx w w m S T h m V V S

f T g mγ β

ΩΩ

≤ − − + + + +

∫ ,

avendo usato (H2), (4.1.23) e (4.1.11). Si osservi che, per (4.1.15) e (4.1.16), la costante:

8 0( ) : extc T V V Sβ= + +

dipende da 0T mediante V , in modo che

8 0( )c T sia non crescente al crescere di 0T .

Segue, pertanto:

( )2

2 dx w mδ−

Ω

∇ −∫

( ) ( ) ( )( )22 20 01,0 8 0 0 ( )

0 0

1 1( ) ( ) d

2 ( ) ( ) 2C

T cT h m c T S g m h m x w w m

g m T f Tγ

ΩΩ

≤ + + + − − ∫

( )( )01 2 d

( )

TI I x w w m

g m

Ω

≤ + − − ∫ (4.1.24)

con:

( )2

1 0 8 0

1( )

2I T h m c T= + ,

( )2 201,2 0 ( )

0 0

1( )

( ) 2C

cI S g m h m

T f Tγ Ω

= + .

A questo punto, per concludere la dimostrazione dei teoremi 4.1.1 e 4.1.2, è sufficiente

provare che

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1 0I ≤ , 2 0I ≤ (4.1.25)

Se vale la (4.1.25), dalla (4.1.24) segue, infatti:

( )2

2 d 0x w mδ−

Ω

∇ − =∫

⇒ ( ) 0w w−

− = in Ω

⇒ 0w w− ≥ in Ω .

Primo caso: Sia h isoterma.

Sia prima 0 0T > arbitrario, e si provi che la (4.1.25) è soddisfatta quando si scelga

1,0 ( )CS γ Ω

sufficientemente piccolo.

Usando (H2), è possibile scegliere ( )00,infw w∂Ω∈ tale che ( )2

8 0 02 ( )h w c T T≤ − .

Per m w= si ha, dunque, 1 0I ≤ .

Si ponga ( )21( ) 0

2A g w h w= − > ed 2

0 0 0( )AT f T cε = . Per m w= e 1,0 ( )CS γ ε

Ω≤ si

ottiene, quindi:

202

0 0

0( )

cI A

T f Tε≤ − = .

Sia ora 0S arbitrario, e si provi che la (4.1.25) è soddisfatta per 0T sufficientemente

grande.

Si scelga ( )00,infm w w∂Ω= ∈ tale che:

( )2

82 (1)h w c≤ −

e sia A definito come sopra. Si scelga, inoltre, 1 1T ≥ tale che:

2

1,0 0 ( )

1 1( )C

c ST f T

A

γ Ω≥ .

Per ogni 0 1T T≥ , ricordando che ( )20h w < , si ha, allora:

( ) ( ) ( )2 2 2

0 1 8 8 02 (1) 2 ( )T h w T h w h w c c T≤ ≤ ≤ − ≤ − ,

da cui 1 0I ≤ .

Poiché la funzione ( )T T f T è crescente, si ottiene:

2 20 0

1, 1,0 0( ) ( )0 0 1 1

,( ) ( )C C

c cS S A

T f T T f Tγ γΩ Ω

≤ ≤

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Sfruttando la definizione di 1T . Ciò implica 2 0I ≤ e w w≥ in Ω .

Secondo caso: Sia h isentropica.

Sia ( )00, infw w∂Ω∈ tale che:

( )20h w <

e sia 2 1T ≥ tale che:

( )

82 2

2 (1)0

cT

h w

−≥ > e

2

1,0 0 ( )

2 2( ) ,C

c ST f T

A

γ Ω≥

dove A è definita come nel primo caso.

Scegliendo m w= e 0 2 ,T T≥ si ottiene 1 0I ≤ e 2 0I ≤ .

Infine, scegliendo in (4.1.18) il parametro di troncamento m pari a w , si ottiene una

soluzione del problema originale, dunque la dimostrazione è conclusa.

4.2 Proprietà di positività e non positività

In questa sezione si dimostrerà che l’esistenza di un limite inferiore costante per la

densità w è legato alla regolarità del gradiente di S . Verrà, inoltre, costruita una

soluzione generalizzata uno-dimensionale di un problema semplificato. Per tale

soluzione, il potenziale quantistico di Fermi è discontinuo.

Si supponga che valgano le ipotesi (H1)-(H3) della sezione 4.1 e che h sia isoterma o

isentropica.

Proposizione 4.2.1

Sia 1 3( , , ) ( ( ) ( ))w S V L∞∈ Ω ∩ ΩH una soluzione debole di (4.1.1)-(4.1.4) con

)(,1 Ω∈ ∞WS . Allora esiste 0>m tale che:

0)( >≥ mxw in .Ω

Dimostrazione

Primo caso: Sia h isentropica.

Allora la funzione:

2 2

0

1( )

2ext

f S T h w V V Sβ= ∇ + − − +

è limitata in Ω .

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Poiché 0≥w , si può applicare la Disuguaglianza di Harnack (si veda Appendice B) a:

wfw =∆2δ

per concludere che, per ogni sottoinsieme Ω⊂⊂w , si ha:

wwcwww

inf)(sup ≤ . (4.2.1)

A questo punto si supponga, per assurdo, che w si annulli in qualche insieme non vuoto

Ω⊂⊂0w .

Sia Ω⊂⊂nw una successione di insiemi, con nww ⊂0 e Ω→nw per ∞→n .

Allora (4.2.1) dà 0=w in nw e, al limite per ∞→n , 0=w in Ω .

Ciò contraddice la positività di 0w su Ω∂ .

Secondo caso: Sia h isoterma.

Si consideri 0 0w w= = ⊂ Ω .

Poiché ∞∈ Lwf , w è continua, dunque 0w è relativamente chiuso in Ω .

Si supponga che 0w sia non vuoto e si scelga 00 wx ∈ .

Allora 0≤wf in una palla Ω⊂)( 0xB di centro 0x e 0≤∆w in )( 0xB .

Poiché la funzione w assume il suo estremo inferiore non negativo 0 in )( 0xB , segue che

0=w in )( 0xB . Allora 0w è relativamente aperto in Ω .

Ciò implica che Ω=0w oppure ∅=0w .

Dalla positività di 0w , si può concludere che 0>w in Ω .

L’esistenza di un limite inferiore costante 0>m segue dalla continuità di w in Ω .

Corollario

Sia ),,( VSw una soluzione debole di (4.1.1)-(4.1.4). Allora:

0)( >≥ mxw q.o. in Ω se e solo se )(,1 Ω∈ ∞WS .

4.3 Unicità delle soluzioni stazionarie

L’unicità della soluzione si ha sotto le ipotesi che la costante di Planck scalata δ sia

sufficientemente grande. Vale, infatti, il seguente teorema:

Teorema 4.3.1

Si supponga che valgano (H1)-(H3) della sezione 4.1 e che h sia isoterma o isentropica.

Allora esiste 00 >δ tale che, se 0δδ ≥ , esiste al più una soluzione ),,( VSw di (4.1.1)-

(4.1.4) che soddisfa (4.1.5)-(4.1.6).

Dimostrazione

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Siano ),,( 111 VSw e ),,( 222 VSw due soluzioni di (4.1.1)-(4.1.4) che soddisfano (4.1.5)-

(4.1.6).

Si consideri 21 ww − come funzione test della differenza delle equazioni (4.1.1)

soddisfatte, rispettivamente, da 1w e 2w .

Moltiplicando tale differenza per la funzione test e integrando su Ω , si ottiene:

[ ] ( )( )2 22

1 2 1 2 1 1 2 2 1 2

1d ( ) ( ) d

2x w w w w x w S w S w wδ

Ω Ω

− ∆ − = ∇ − ∇ − ∫ ∫

[ ]1 1 2 2 1 2d ( )( )x wV w V w wΩ

− − −∫

2 2

0 1 1 2 2 1 2d ( ( ) ( ))( )x T w h w w h w w wΩ

+ − − ∫

[ ]1 1 2 2 1 2d ( )( )x w S w S w wβΩ

+ − −∫

2

1 2d ( )extx V w wΩ

− − ∫ .

Per quanto riguarda il primo membro, si ha:

[ ] [ ]22 2

1 2 1 2 1 2 1 2 1 2d ( ) ( ) d div( ) ( ) d ( )x w w w w x w w w w x w wδ δΩ Ω Ω

− ∆ − = − ∇ − − ∇ − ∫ ∫ ∫

[ ]22

1 2 1 2 1 2d (( ) ( )) d ( )s w w w w n x w wδ∂Ω Ω

= − ∇ − ⋅ − ∇ − ∫ ∫

22 1 2

1 2 1 2

( )d ( ) d ( )

w ws w w x w w

∂Ω Ω

∂ − = − − ∇ − ∂ ∫ ∫

22

1 2d ( )x w wδΩ

= − ∇ −∫

in quanto, su Ω∂ , 021 =− ww .

Si ottiene, pertanto:

22

1 2d ( )x w wδΩ

∇ − =∫ ( )( )2 2

1 1 2 2 1 2

1d

2x w S w S w w

Ω

− ∇ − ∇ − ∫

[ ]1 1 2 2 1 2d ( )( )x wV w V w wΩ

+ − −∫

2 2

0 1 1 2 2 1 2d ( ( ) ( ))( )x T w h w w h w w wΩ

− − − ∫

[ ]1 1 2 2 1 2d ( )( )x w S w S w wβΩ

− − −∫ (4.3.1)

2

1 2d ( )extx V w wΩ

+ − ∫

1 2 3 4 5.I I I I I= + + + +

La formulazione debole della differenza delle (4.1.2) soddisfatte, rispettivamente, da 1S

ed 2S , è espressa da:

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2 2

1 1 2 2d div( ) 0x w S w SφΩ

∇ − ∇ = ∫

⇔ ( )2 2 2

1 1 2 1 2 2d div( ( ) (( ) ) 0x w S S div w w SφΩ

∇ − + − ∇ = ∫

⇔ 2 2 2

1 1 2 1 2 2d div( ( )) d div(( ) )x w S S x w w Sφ φΩ Ω

∇ − = − − ∇ ∫ ∫

⇔ 2 2 2

1 1 2 1 2 2d ( ) d ( )x w S S x w w Sφ φΩ Ω

∇ − ⋅∇ = − − ∇ ⋅∇ ∫ ∫

per ogni 1

0 ( )φ ∈ ΩH .

Scegliendo 21 SS −=φ , si ottiene:

2 22 2

1 2 1 1 2d ( ) d ( )w x S S x w S SΩ Ω

∇ − ≤ ∇ − ∫ ∫

2 2

1 2 2 1 2d ( ) ( )x w w S S SΩ

= − − ∇ ⋅∇ − ∫

2 1 2 1 20,2 d ( )w S x w w S S

∞Ω

≤ ∇ − ∇ −∫

2,021,022,021 )(2 SSSwww −∇∇−≤

che implica:

∇−≤−∇,022,02122,021

2)( Sww

w

wSS (4.3.2)

Si è, ora, in grado di maggiorare gli integrali ,1I … , 5I .

Dalla seguente uguaglianza:

2

22121211

2

22

2

11 )()()( SwwSSSSwSwSw ∇−++∇⋅−∇=∇−∇

segue che:

2

1 1 1 2 1 2 1 2 2 1 2

1d ( ( ) ( ) ( ) )( )

2I x w S S S S w w S w w

Ω

= − ∇ − ⋅∇ + + − ∇ − ∫

( ) ( )2 2

1 2 1 2 1 2 2 1 20, 0, 0,

1d d

2w S S x S S w w dx S x w w

∞ ∞ ∞Ω Ω

≤ ∇ + ∇ ∇ − − + ∇ − ∫ ∫

( ) ( )2 2

1 2 1 2 1 2 2 1 20, 0, 0,2 0, 0,20,2

1 1

2 2w S S S S w w S w w

∞ ∞ ∞≤ ∇ + ∇ ∇ − − + ∇ −

( ) 2 2 2

1 2 2 1 2 2 1 220, 0, 0, 0,2 0, 0,2

1 2 1

2 2

ww S S S w w S w w

w∞ ∞ ∞ ∞

≤ ∇ + ∇ ∇ − + ∇ −

( )2

2 2

2 1 2 2 1 22 0, 0, 0, 0, 0,2

1

2

wS S S S w w

w ∞ ∞ ∞ ∞

= ∇ ∇ + ∇ + ∇ −

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2 2

2

1 2 2 1 20, 0, 0, 0,2

1

2

w wS S S w w

w w∞ ∞ ∞

= ∇ + + ∇ ∇ −

( )2

2

2 1 2 1 20, 0, 0, 0,2

1,

2

wS S S w w

w ∞ ∞ ∞

≤ + ∇ ∇ + ∇ −

usando la (4.3.2).

Poiché vale l’uguaglianza:

[ ]))(())((2

1212121212211 VVwwVVwwVwVw −+++−=− ,

si ha:

2 2 2

2 1 2 1 2 1 2 1 2

1d ( ) ( ) ( )( )

2I x w w V V w w V V

Ω

= − + + − − ∫

2

22

1 2 1 2 1 2

1d ( ) ( ) d ( )

2 2x w w V V x V V

λ

Ω Ω

= − + − ∇ − ∫ ∫

2

1 2 0,2,V w w≤ −

usando la (4.1.3).

Vale, inoltre:

)()())()(()()( 2221

22

211

222

211 whwwwhwhwwhwwhw −+−=−

da cui:

2 2 2 2

3 0 1 1 2 1 2 1 2 2d ( ( ( ) ( ))( ) ( ) ( )I T x w h w h w w w w w h wΩ

= − − − + − ∫ .

Poiché, se h è non decrescente:

( )( )2 2 2 2

1 2 1 2( ) ( ) 0h w h w w w− − ≥ e

222 2

1 2 2 1 2 0,2d ( ) ( ) ( ) ,x w w h w h w w w

Ω

− ≥ − ∫

3I può essere maggiorato come segue:

( ) ( )2 2

3 0 1 2 2dI T x w w h wΩ

≤ − − ∫

22

0 1 2 0,2( ) .T h w w w≤ − −

L’uguaglianza:

2212112211 )()( SwwSSwSwSw −+−=−

implica:

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2

4 1 1 2 1 2 1 2 2d ( ( )( ) ( ) )I x w S S w w w w SβΩ

= − − − + − ∫

[ ] 2

1 2 1 2 1 2d ( )( ) d ( )w x S S w w S x w wβΩ Ω

≤ − − + −

∫ ∫

( )2

1 2 1 2 1 20,2 0,2 0,2w S S w w S w wβ≤ − − + −

2

2

2 1 22 0, 0,2

2( ) ,

wc S S w w

≤ Ω ∇ + −

dove l’ultima disuguaglianza si deve alla (4.3.2) e alla disuguaglianza di Poincaré.

Infine si ha:

2

5 1 20, 0,2extI V w w

∞≤ −

2

1 2 0,2.extV w w= −

A questo punto, sia ∞∞

∇+∇=,02,01 SSk e ;extm VVV += allora, utilizzando le

maggiorazioni ottenute, dalla (4.3.1) segue:

( ) ( )2

2 22

1 2 2 00,0,2

1

2m

ww w S k V T h w

∇ − ≤ + ∇ + −

2

2

2 1 20, 0,2( )

wc S S w w

+ Ω ∇ + −

( )2 2

222

0 1 2 0,2

1( )

2m

w wk V T h w c k S w w

w wβ

≤ + + − + Ω + −

con ( )2

2 22

1 2 1 2 0,20,2 ( )w w w w

c

δδ ∇ − ≥ −

Ω

per la disuguaglianza di Poincaré, da cui:

2 2 2

222

0 1 222 0,2

1( ) ( ) 0.

( ) 2m

w wk V T h w c k S w w

c w w

δβ

− + − + − Ω + − ≤

Ω (4.3.3)

Si osservi che soltanto k dipende da S mediante la norma di w in )(,2 ΩpW (si veda il

terzo passo della dimostrazione del lemma 4.1.3 ); in tale dipendenza k rimane limitato

per ∞→δ .

Esiste, pertanto, 00 >δ tale che, se 0δδ ≥ , allora (4.3.3) implica:

02

2,021 ≤− ww

da cui 21 ww = in Ω .

Infine si deduce che 21 SS = da (4.3.2) e che 21 VV = da (4.1.3).

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Appendice A

Meccanica quantistica nel formalismo dei ket

A.1 Formalismo dei bra e dei ket

A.1.1 Spazio dei ket Nella formulazione astratta della meccanica quantistica, si postula che lo stato di un

sistema fisico sia rappresentato da un vettore di stato in uno spazio vettoriale complesso,

H, la cui dimensione è specificata dalla natura del sistema fisico in considerazione. Il

legame tra la formulazione astratta, che sarà di seguito esposta, e la formulazione

ondulatoria della meccanica quantistica risulterà chiaro più avanti.

Seguendo Dirac, il vettore che rappresenta lo stato di un sistema fisico viene detto ket e lo

si indica con α .

Si postula che il ket di stato contenga tutte le informazioni sullo stato fisico.

Per molti sistemi fisici la dimensione dello spazio degli stati è numerabilmente infinita.

Nel seguito, per semplicità, ci si riferirà a spazi di dimensione finita N, sebbene quanto

esposto si possa estendere anche per dimensioni infinite, ma numerabili.

Due ket possono essere sommati e la somma è ancora un ket:

γβα =+ .

Se si moltiplica α per un numero complesso c , inoltre, il prodotto risultante αc è

ancora un ket. Il numero c può stare indifferentemente a destra o a sinistra del ket. Nel

caso particolare in cui c è zero, si dice che il ket risultante sia un ket nullo.

α e αc rappresentano lo stesso stato fisico, ovvero nello spazio degli stati soltanto la

direzione è significativa.

A.1.2 Spazio dei bra Lo spazio dei bra è lo spazio vettoriale *H duale dello spazio dei ket, ovvero lo spazio

dei funzionali lineari di H in .

In corrispondenza di ogni ket α c’è un bra, indicato con α , nello spazio dei bra. C’è

una corrispondenza duale (CD) uno ad uno tra uno spazio di ket ed uno spazio di bra:

ααCD

,...'',',...'',' aaaaCD

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βαβα +↔+CD

Il bra duale a αc è αc . Più in generale si ha:

βαβα βαβα ccccCD

+↔+

Il prodotto interno di un bra ed un ket si definisce come segue:

=αβ ( ) ( )αβ ⋅ ,

dove il punto indica contrazione di β con α , ovvero il risultato dell’applicazione del

funzionale lineare β al ket α .

Le due proprietà fondamentali del prodotto interno sono :

• βααβ = ,

• 0≥αα ,

dove il segno di uguaglianza vale solo se α è il ket nullo.

La seconda proprietà è a volte detta postulato della metrica definita positiva.

I ket α e β si dicono ortogonali se:

0=βα

Dato un ket α è sempre possibile ottenere il ket normalizzato α :

ααα

α

=

con la seguente proprietà:

1ˆˆ =αα

In generale la quantità αα è nota come norma di α , analogamente al modulo di

un vettore in uno spazio euclideo.

Dal momento che α e αc rappresentano lo stesso stato fisico, si potrebbe richiedere

che i ket usati per rappresentare gli stati fisici siano normalizzati.

A.1.3 Operatori

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Un operatore :X H H→ agisce su un ket α da sinistra, ed il risultato, indicato con

( ) αα XX =⋅ ,

è ancora un ket.

Due operatori X ed Y si dicono uguali se:

αα YX =

per ogni ket nello spazio dei ket considerato.

Un operatore X è detto operatore nullo se, per ogni ket arbitrario α , si ha:

0=αX .

Gli operatori possono essere sommati; l’operazione di somma è commutativa e

associativa:

XYYX +=+ ,

ZYXZYX ++=++ )()( .

Un operatore è lineare se vale la seguente proprietà:

βαβα βαβα XcXcccX +=+ )( .

Un operatore X sullo spazio dei ket individua immediatamente un operatore che agisce

sui bra, definito da:

* *H X Hα α∋ ∈ ,

dove Xα è il funzionale lineare che al ket Hβ ∈ associa ( )Xα β⋅ ∈ . Per

comodità di notazione il nuovo operatore continuerà ad essere indicato con X .

Il ket αX e il bra Xα non sono, in generale, l’uno il duale dell’altro.

L’operatore il simbolo *X , definito da:

*XX

CD

αα ↔ ,

è detto hermitiano coniugato o aggiunto di X .

Un operatore è detto hermitiano o autoaggiunto, se:

*XX = .

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Due operatori X e Y possono essere moltiplicati. Le operazioni di moltiplicazione sono,

in generale, non commutative, mentre sono associative:

YXXY ≠ ,

XYZZXYYZX == )()( .

Si ha, inoltre:

ααα XYXYYX == )()( ,

XYXYYX βββ == )()( .

Si osservi che:

**** )()( XYXYYXXY

CD

αααα =↔=

⇒ ***)( XYXY = .

Si definisce prodotto esterno di β e α l’operatore lineare β α che al ket generico

'α associa il ket 'β α α .

A.2 Osservabili e operatori

A.2.1 Decomposizione spettrale di una osservabile

Ciascuna osservabile, vale a dire ciascuna quantità fisica per cui sia possibile effettuare

una misurazione, è rappresentata da un operatore autoaggiunto nello spazio considerato.

Si definiscono autoket dell’operatore A e si indicano con:

'a , ''a , '''a , …

quei ket aventi la seguente proprietà:

''' aaaA = , '''''' aaaA = , …

dove 'a , ''a ,… sono semplicemente numeri. Si osservi che l’operatore A applicato ad un

autoket, riproduce lo stesso ket a parte un fattore moltiplicativo.

Nel caso di operatori corrispondenti ad osservabili, gli autoket corrispondono a stati del

sistema fisico, detti autostati, tali che una misurazione dell’osservabile in considerazione

produca come risultato il corrispondente autovalore.

L’insieme dei numeri ,''','',' aaa …, indicato in modo più compatto con 'a , è detto

insieme degli autovalori dell’operatore A e, nel caso in cui l’operatore corrisponde ad

un’osservabile, rappresenta l’insieme dei possibili risultati delle misurazioni

dell’osservabile in questione.

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Per sistemi fisici finito-dimensionali di dimensione N, se A è autoaggiunto si può

costruire una base ortonormale fatta di autoket di A , quindi ogni ket α può essere

scritto, in maniera unica, come:

∑='

' 'a

a acα

con ,'',' aa … fino ad )( Na e 'ac coefficiente complesso dato da:

α'' aca = .

In generale, sia in dimensione finita che infinita, vale il seguente teorema:

Teorema Gli autovalori di un operatore autoaggiunto sono reali; gli autoket corrispondenti ad

autovalori distinti sono ortogonali.

Dimostrazione Si ricordi che:

''' aaaA = . (1)

Poiché A è autoaggiunto , si ha anche:

'''''' * aaAa = , (2)

dove ,'a ''a sono autovalori di .A

Moltiplicando ambo i membri di (1) per ''a da sinistra, ambo i membri di (2) per 'a

da destra e sottraendo, si ottiene:

( ) 0'''''' * =− aaaa . (3)

Vi sono due casi possibili: ''' aa = e '.'' aa ≠

Si supponga, dapprima, che 'a e ''a siano uguali.

Segue, dunque, la condizione di realtà:

*'' aa = , (4)

pertanto la prima parte del teorema è dimostrata.

Si consideri, ora, il caso in cui 'a e ''a siano diversi.

Per la condizione appena provata, la differenza ( )*''' aa − in (3) è uguale ad ( )''' aa − che,

per ipotesi, non può annullarsi. Si ha, allora:

0''' =aa , ''' aa ≠ , (5)

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che esprime la condizione di ortogonalità, dunque anche la seconda parte del teorema è

provata.

Il teorema appena dimostrato garantisce che gli autovalori sono reali quando l’operatore è

autoaggiunto. Questo è il motivo per cui, in meccanica quantistica, le osservabili sono

rappresentate da operatori autoaggiunti.

Ci si può chiedere se l’insieme degli autoket sia completo, cioè se ogni ket si possa

esprimere univocamente come combinazione lineare di autoket. La teoria spettrale degli

operatori autoaggiunti consente di dare una risposta affermativa a questa domanda tanto

nel caso finito-dimensionale quanto in quello infinito-dimensionale.

Un ket arbitrario nello spazio dei ket può dunque essere sviluppato in termini di autoket

di ,A ossia gli autoket di A possono essere usati come ket di base nello stesso modo in

cui un insieme completo di vettori unitari ortogonali è utilizzato come base di vettori in

uno spazio euclideo.

Analogamente nello spazio dei bra, gli autobra corrispondenti agli autoket

'a costituiscono una base.

Per semplicità ci limiteremo qui a trattare il caso finito-dimensionale. Molti dei risultati

che saranno ottenuti per uno spazio finito dimensionale, con spettro discreto, possono

essere generalizzati a spazi infinito-dimensionali.

Si consideri, dunque, un ket arbitrario α nello spazio dei ket definito dagli autoket di

A e lo si sviluppi come segue:

'

'

'a

a

c aα =∑ (7)

E’ possibile scegliere gli autoket 'a in modo che essi formino un insieme

ortonormale:

'''''' aaaa δ= , (6)

dove '' 'a aδ è il simbolo di Kronecker.

Con questa scelta, moltiplicando la (7) per ''a da sinistra e usando la proprietà di

ortogonalità (6), è immediato trovare i coefficienti dello sviluppo:

α'' aca = ,

da cui si ottiene:

∑=

'

''

a

aa αα , (8)

che è analogo allo sviluppo di un vettore v in uno spazio euclideo reale:

( )∑ ⋅=i

ii veev ˆˆ ,

dove ie formano un insieme ortogonale di vettori unitari.

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Si osservi che, per l’assioma associativo di moltiplicazione , il termine α'' aa può

essere considerato come il numero α'a che moltiplica 'a oppure, in modo del tutto

equivalente, come l’operatore '' aa che agisce su .α

Poiché α in (8) è un ket arbitrario, si deve avere:

Iaa

a

=∑'

'' . (9)

L’equazione (9) è nota come relazione di completezza o di chiusura.

Data una catena di ket, operatori, o bra moltiplicati, è sempre possibile inserire ovunque

l’operatore identità scritto nella forma (9).

Si consideri, ad esempio, .αα Inserendo l’operatore identità tra α e ,α si ottiene:

'

' 'a

a aα α α α

= ⋅ ⋅ ∑

*

'

' 'a

a aα α=∑

2

'

'∑=a

a α ,

da cui segue che, se α è normalizzato, allora i coefficienti dello sviluppo in (7) devono

soddisfare:

1'2

'

2

'

' ==∑∑aa

a ac α .

Si consideri, ora, '' aa che compare in (9). Poiché si tratta di un prodotto esterno, deve

agire come un operatore.

Lo si faccia agire su ;α si ottiene, dunque:

( ) ''''' ' acaaaa a==⋅ αα .

Si noti che '' aa seleziona la parte del ket α parallela ad ,'a pertanto '' aa è noto

come operatore di proiezione lungo il ket di base 'a e si indica con 'aΛ :

''' aaa =Λ .

La relazione di completezza (9) può, dunque, essere riscritta come:

∑ =Λ'

'

a

a I .

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A.2.2 Osservabili compatibili Si introduca, ora, il concetto di osservabili compatibili e incompatibili.

Due osservabili A e B si definiscono compatibili, quando i corrispondenti operatori

commutano:

[ ] 0, =BA , (10)

dove il commutatore [ ], è definito da:

[ ] BAABBA −≡, .

Si dicono, invece, incompatibili se:

[ ] 0, ≠BA . (11)

Si supponga che A e B siano osservabili compatibili.

Si assuma che una base nello spazio dei ket sia costituita dagli autoket di .A E’ possibile

prendere, nello stesso spazio, gli autoket di B come base. Si vuole capire che relazione ci

sia tra gli autoket di A e quelli di .B

Si consideri, prima, il concetto di degenerazione.

Un autovalore di A è detto degenere, se esistono due o più autoket indipendenti di ,A ai

quali corrisponda tale autovalore. In questo caso la notazione ,'a che indica l’autoket

mediante il suo autovalore, non dà una descrizione completa; inoltre il concetto stesso

secondo cui 'a costituisce una base nello spazio dei ket, entra in crisi quando la

dimensione dello spazio dei ket è maggiore del numero di autovalori distinti di .A Nelle

applicazioni pratiche della meccanica quantistica, tuttavia, si verifica in genere che, in

tale situazione, gli autovalori di qualche altra osservabile compatibile con A possono

essere usati per “etichettare” gli autoket degeneri.

Si cominci enunciando il seguente teorema:

Teorema Si supponga che A e B siano osservabili compatibili e che gli autovalori di A siano non

degeneri. Allora gli elementi di matrice ''' aBa sono tutti diagonali.

Dimostrazione Utilizzando la definizione (10) osservabili compatibili, si ha:

[ ] ( ) 0''''''','' =−= aBaaaaBAa ,

da cui segue che ''' aBa deve annullarsi a meno che ,''' aa = ovvero la tesi.

Gli elementi di B possono essere scritti come:

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''''' ''' aBaaBa aaδ= , (12)

così A e B possono essere rappresentati da matrici diagonali con lo stesso insieme di ket

di base.

Usando (12) e (9), si può scrivere B nella seguente forma:

∑=''

''''''''

a

aaBaaB .

Facendo agire tale operatore su un autoket di ,A si ottiene:

( ) '''''''''''''

''

aaBaaaaBaaaB

a

==∑ ,

che è l’equazione agli autovalori per l’operatore ,B con autovalore 'b dato da:

''' aBab ≡ .

Il ket 'a è, dunque, un autoket simultaneo di A e ,B pertanto lo si indicherà con

.',' ba

Si è visto, dunque, che le osservabili compatibili hanno autoket simultanei.

Questo risultato può essere generalizzato al caso in cui gli autoket di A siano degeneri,

ossia:

)()( ''' iiaaaA = per i=1, 2, … , n,

dove )(' ia sono n autoket di A mutuamente ortonormali, tutti con lo stesso autovalore

'.a

Si supponga che B sia un’osservabile compatibile con A e che qualsiasi osservabile

compatibile con A possa esprimersi come funzione di A e B . In questo caso ,A B si

dice costituire un insieme completo di osservabili per il sistema fisico considerato. Allora

si potrà scrivere

( ) ( )' ',i ia a b= ,

dove ( )ib è un autoket di B corrispondente all’autovalore ( )i

b .

In generale un insieme completo di osservabili può essere costituito da più di due

osservabili. L’esempio riportato sopra chiarisce come un insieme completo di osservabili

possa essere usato per “etichettare” autoket relativi ad un autovalore degenere.

Si consideri, ora, il caso in cui A e B siano osservabili incompatibili.

La cosa fondamentale da sottolineare è che le osservabili incompatibili non hanno un

insieme completo di autoket simultanei. Lo si dimostrerà per assurdo.

Si supponga, dunque, che sia vero il contrario. Esiste, allora, un insieme di autoket

simultanei con le seguenti proprietà:

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',''',' baabaA = ,

',''',' babbaB = .

Si ha, pertanto:

','''',''',' bababaAbbaAB == e

','''',''',' bababaBabaBA == ,

da cui segue:

','',' baBAbaAB =

e così [ ] ,0, =BA in contraddizione con l’ipotesi.

A.3 Misure, osservabili e principio di indeterminazione

A.3.1 Misure e stati puri Prima di effettuare una misura dell’osservabile A il sistema è, in genere, rappresentato

da una combinazione lineare:

αα '''''

' aaacaa

a ∑∑ == .

Quando viene fatta la misura, il sistema precipita in uno degli autostati, ad esempio 'a ,

dell’osservabile A . Una misura, dunque, in genere cambia lo stato, fatta eccezione, come

già detto, per il caso in cui lo stato sia già un autostato dell’osservabile che viene

misurata.

Quando la misura determina il cambiamento di α in 'a , 'a viene detta il risultato

della misura di A ; in tal senso si dice che il risultato di una misura dia gli autovalori

dell’osservabile che viene misurata.

Al fine di chiarire ulteriormente il significato delle misure in meccanica quantistica, si

vuole introdurre il concetto di misura selettiva o filtrazione. Per misura selettiva si

intende un processo di misura con un dispositivo che seleziona soltanto uno degli autoket

di ,A ad esempio ,'a ed elimina tutti gli altri. Una misura selettiva viene anche detta

filtrazione, poiché solo uno degli autoket di A “filtra attraverso il setaccio”.

Matematicamente una tale misura equivale ad applicare l’operatore di proiezione 'aΛ ad

αα ''' aaa =Λ .

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Dato il ket di stato di un sistema fisico prima della misura, non si è a conoscenza, in

anticipo, dello stato nel quale il sistema precipiterà come risultato della misura.

Si postula, tuttavia, che la probabilità di finire in un particolare stato 'a sia data da:

2

' αa , (20)

purché α sia normalizzato.

L’interpretazione probabilistica (20) del quadrato del prodotto interno è uno dei postulati

fondamentali della meccanica quantistica, dunque non può essere provato.

Tale postulato rispetta le due condizioni valide in generale, secondo cui la probabilità di

un qualsiasi evento deve essere non negativa e la somma delle probabilità di tutte le

possibili alternative deve essere pari ad uno.

Dal punto di vista della teoria della misura, i ket ortogonali corrispondono ad alternative

che si escludono a vicenda.

Si osservi che, per determinare la probabilità (20) empiricamente, bisogna considerare un

gran numero di misure fatte su un insieme di sistemi fisici preparati in modo identico,

tutti caratterizzati dallo stesso ket α .

Tale insieme è detto insieme puro o stato puro.

Si definisce valore di aspettazione di A rispetto ad uno stato α la seguente quantità:

αα AA = .

Tale definizione risulta essere in accordo con il concetto di valor medio, poiché si ha:

( )*

'

'

' a

a

A a c Aα α α=∑

*

'

'

' 'a

a

c a a α=∑

''2

'

aa

a

∑= α ,

dove 2

' αa rappresenta la probabilità di ottenere '.a

A.3.2 Relazione di indeterminazione Data un’osservabile A si definisca, ora, il seguente operatore:

AAA −≡∆ , (13)

dove il valore di aspettazione deve essere preso su un certo stato fisico che si sta

considerando.

Il valore di aspettazione di ( )2A∆ è noto come dispersione di .A

Poiché si ha:

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( ) ( ) 222222 AAAAAAA −=+−=∆ , (14)

l’ultima espressione di (14) può essere presa come definizione alternativa di dispersione.

Si osservi che la dispersione si annulla quando lo stato in questione è un autostato di .A

Teorema (relazione di indeterminazione)

Siano A e B due osservabili, allora per ogni stato vale la seguente disuguaglianza:

( ) ( ) [ ]222

,4

1BABA ≥∆∆ . (15)

Per poter dimostrare (15), occorre enunciare i seguenti lemmi:

Lemma 1

Vale:

2

βαββαα ≥ ,

detta disuguaglianza di Schwartz, che è analoga a:

222

baba ⋅≥

nello spazio euclideo reale.

Lemma 2 Il valore di aspettazione di un operatore autoaggiunto è puramente reale.

Lemma 3

Il valore di aspettazione di un operatore anti-hermitiano definito da *CC −= è

immaginario puro.

Dimostrazione di (15) Usando il lemma 1 con:

A∆=α ,

B∆=β ,

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dove il ket vuoto sta ad indicare che le considerazioni in questione si applicano ad un

qualsiasi ket, si ottiene:

( ) ( )222

BABA ∆∆≥∆∆ , (16)

avendo usato l’autoaggiuntezza di A∆ e .B∆

Si noti che vale:

[ ] BABABA ∆∆+∆∆=∆∆ ,2

1,

2

1, (17)

dove l’ anticommutatore , è definito da:

BAABBA +=, .

Si osservi che il commutatore è anti-hermitiano, in quanto

[ ]( ) ( ) [ ]BAABBABAABBA ,,**

−=−=−= ,

mentre l’anticommutatore è autoaggiunto, in quanto si ha

( ) ( ) BAABBABAABBA ,,**

=+=+= .

Utilizzando i lemmi 2, 3 e la (17), si ottiene:

[ ] 1 1

,2 2

A B A B A B∆ ∆ = ∆ ∆ + ∆ ∆ .

IMMAGINARIO REALE

PURO PURO

Si vede facilmente che

[ ] [ ], ,A B A B∆ ∆ = .

In conclusione, si ricava:

[ ] [ ]2222

,4

1,

4

1,

4

1BABABABA ≥∆∆+=∆∆ .

Da (16) si ha, pertanto:

( ) ( ) [ ]222

,4

1BABA ≥∆∆ ,

ovvero la tesi.

Si considerino, a questo punto, l’operatore impulso p e l’operatore posizione .x Essi

sono legati dalle seguenti relazioni di commutazione:

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[ ]ijji ipx δ=, (18)

che implicano, ad esempio, che x e xp sono osservabili incompatibili (mentre x e yp

non lo sono).

E’, dunque, impossibile trovare autoket simultanei di x e .xp

Applicando (15) ad x e xp ed utilizzando (18), si ottiene la relazione di

indeterminazione di Heisenberg:

( ) ( )4

222

≥∆∆ xpx (19)

in quanto:

[ ] [ ] 222

,, == xpxBA

A.4 Operatore densità e medie d’insieme

Descrivere lo stato di un corpo macroscopico per mezzo di un ket è praticamente impossibile,

poiché i dati disponibili riguardanti lo stato di un corpo sono insufficienti rispetto all’insieme

completo di dati, necessario per poter stabilire il suo ket di stato.

La situazione è simile a quella che ricorre in statistica classica, dove l’impossibilità di tener

conto delle condizioni iniziali per ogni particella in un corpo, rende impossibile un’esatta

descrizione meccanica del suo comportamento. L’analogia è tuttavia imperfetta, in quanto

l’impossibilità di una descrizione quanto-meccanica completa e l’assenza di un ket che

descriva un corpo macroscopico, può avere un significato molto più profondo.

La descrizione quanto-meccanica basata su un insieme incompleto di dati relativi al sistema, è

effettuata mediante il cosiddetto operatore densità. La conoscenza di tale operatore consente

di calcolare il valor medio di ogni quantità che descriva il sistema e le probabilità dei diversi

valori di tali quantità.

L’incompletezza della descrizione sta nel fatto che i risultati delle varie misurazioni, che

possono essere predetti con una certa probabilità nel caso di conoscenza dell’operatore

densità, potrebbero essere predetti con maggiore certezza, o persino con certezza completa,

nel caso di un insieme completo di dati per il sistema, da cui potrebbe essere ricavato il suo

ket.

Per introdurre il concetto di operatore densità, si consideri idealmente una collezione di

sistemi fisici identici, che questa volta sono preparati in stati che possono essere diversi.

In tal caso si dice che si tratta di una miscela che rappresenta, quindi, una situazione in cui una

certa frazione di sistemi fisici con una popolazione percentuale 1ω è caratterizzata da )1(α ,

un’altra frazione con popolazione percentuale 2ω , da )2(α e così via.

La miscela può essere vista come una miscela di insiemi puri. Le popolazioni percentuali

soddisfano la condizione di normalizzazione:

1=∑i

iω .

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Si osservi che il numero di termini di tale sommatoria non deve necessariamente

coincidere con la dimensione N dello spazio dei ket.

Si supponga di effettuare una misura di una certa osservabile A su una miscela. Per

conoscere la media delle misure di A dopo un gran numero di misure, bisogna ricorrere

alla cosiddetta media d’insieme di ,A definita da:

[ ] ( ) ( )i i

i

i

A Aω α α=∑

''2

)(

'

aa

i

i

a

i∑∑= αω , (21)

dove 'a è un autoket di A .

Si ricordi che )()( ii A αα è il valore di aspettazione quantomeccanico relativo allo stato

)(iα . L’equazione (21) suggerisce che i valori di aspettazione devono ulteriormente

essere pesati dalle corrispondenti popolazioni percentuali iω .

Si osservi come considerazioni probabilistiche di natura diversa entrino nella (21): in

,'2

)(ia α come probabilità che lo stato )(iα si trovi in un autostato 'a di A e nel

fattore ,iω come probabilità di trovare nell’insieme un sistema fisico caratterizzato da

)(iα .

Considerando una base generica 'b , essendo

,''

'

Ibb

b

=∑

si riscriva la media d’insieme (21):

[ ] ( ) ( )

' ''

' ' '' ''i i

i

i b b

A b b A b bω α α=∑ ∑∑

''''''' ''

)()(bAbbb

b b i

ii

i∑∑ ∑

= ααω , (22)

dove il numero di termini nelle sommatorie su 'b e su ''b è dato dalla dimensione dello

spazio dei ket, mentre il numero di termini nella sommatoria su i dipende dal modo in

cui la miscela è descritta in termini di insiemi puri.

Si introduca, a questo punto, l’operatore densità ρ , definito come segue:

∑≡i

ii

i

)()( ααωρ , (23)

La matrice associata all’operatore ρ è detta matrice densità, i cui elementi hanno la

forma:

'''''' )()(bbbb

i

i

i

i ααωρ ∑= . (24)

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L’operatore densità contiene l’informazione fisica completa riguardo l’insieme preso in

esame.

Usando la (24), la media d’insieme (22) può essere riscritta:

[ ]' ''

'' ' ' ''b b

A b b b A bρ=∑∑

)( Atr ρ= (25)

Si noti che )( Atr ρ può essere considerata in una qualsiasi base, ad esempio in quella più

conveniente, in quanto l’operatore di traccia è indipendente dalla rappresentazione.

Si ricordi, a tal proposito, che in uno spazio di dimensione finita, la traccia di una matrice

è la somma dei suoi elementi diagonali e che la traccia di un operatore è la traccia di una

matrice che lo rappresenta rispetto ad una qualunque scelta di base. Questi concetti si

estendono, con qualche precauzione, ad una classe di operatori nello spazio di Hilbert di

dimensione infinita.

La relazione (25) si dimostra, dunque, molto efficace.

Si riportino le proprietà fondamentali dell’operatore densità.

Innanzitutto, come risulta immediato dalla definizione (23), l’operatore ρ è

autoaggiunto; inoltre soddisfa la seguente condizione di normalizzazione:

( ) ( )

'

( ) ' 'i i

i

i b

tr b bρ ω α α=∑∑

( ) ( )i i

i

i

ω α α=∑ (26)

1= .

Una miscela può essere scomposta in insiemi puri, in molti modi alternativi.

Un insieme puro è caratterizzato da 1=iω per un )(iα (ad esempio per ni = ) e 0=iω

per tutti gli altri ket. In tal caso l’operatore densità è dato da:

)()( nn ααρ = .

Tale operatore è idempotente, ossia:

ρρ =2 ,

che si può esprimere, equivalentemente, con:

0)1( =−ρρ .

Per un insieme puro, oltre alla (26) si ha, dunque:

1)( 2 =ρtr .

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Gli autovalori dell’operatore densità sono, in tal caso, zero ed uno, come si può verificare

considerando un set di ket di base che diagonalizzi l’operatore hermitiano ρ ; dunque la

matrice densità per un insieme puro, dopo la diagonalizzazione, avrà la seguente forma:

=

00

0

0

0

1

0

0

00

ρ .

A questo punto si vuole far vedere in che modo, dato un operatore densità, si costruisca la

corrispondente matrice densità in una determinata base.

Ricordando che :

α ∑∑=' ''

'b b

bα α'b ''bα ''b

si ha che la matrice quadrata corrispondente a )(iα )(iα si ottiene moltiplicando, nel

senso di prodotto esterno, la matrice colonna data da )(' ib α con la matrice riga data da

'')( biα ( che è uguale a )('' ib α ). Infine, seguendo la (23), bisogna sommare tali

matrici quadrate con peso iω .

L’espressione che si ottiene è in accordo con la (24).

A.5 Generalizzazioni al continuo e rappresentazione nello

spazio delle coordinate

A.5.1 Generalizzazione al continuo Si è supposto che gli operatori corrispondenti alle osservabili considerate finora, abbiano

uno spettro discreto di autovalori. In meccanica quantistica, tuttavia, vi sono osservabili i

cui operatori presentano autovalori continui. Si consideri ad esempio ,zp la componente

z dell’impulso, che in meccanica quantistica è rappresentata da un operatore

autoaggiunto. Nel caso di una particella libera, i suoi autovalori possono assumere ogni

valore tra ∞− e .∞+

La dimensione di uno spazio vettoriale, la cui base è costituita da autovettori che

corrispondono ad uno spettro continuo, è naturalmente infinita.

Come già detto in precedenza, tuttavia, molti dei risultati ottenuti per uno spazio

vettoriale finito dimensionale con autovalori discreti, possono essere generalizzati.

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Si consideri l’analogo dell’equazione agli autovalori. Tale equazione, nel caso di spettro

continuo, può essere scritta come:

''' ξξξξ = , (25)

dove ξ è un operatore e 'ξ è semplicemente un numero, ovvero il ket 'ξ è un autoket

dell’operatore ξ con autovalore ,'ξ proprio come 'a è un autoket di A con autovalore

'.a

Proseguendo in questa analogia, si sostituisca il simbolo di Kronecker, una somma

discreta di sugli autovalori ,'a con la funzione δ di Dirac, un integrale sulla variabile

continua '.ξ Si ha:

'''''' aaaa δ= → ( )'''''' ξξδξξ −= (26)

1''

'

=∑a

aa → 1''' =∫ ξξξd (27)

∑='

''

a

aa αα → ∫ αξξξ '''d (28)

1'

'

2=∑

a

a α → 1''2

=∫ αξξd (29)

∑='

''

a

aa αβαβ → ∫= αξξβξαβ '''d (30)

''''''' aaaaAa δ= → ( )''''''' ξξδξξξξ −= (31)

Si osservi come la relazione di completezza (27) si utilizzi per ottenere (28) e (30).

Come detto in precedenza, una misura in meccanica quantistica è essenzialmente un

processo di filtrazione. Per poter estendere questa idea alle misure di osservabili i cui

operatori presentano spettro continuo, è conveniente lavorare su un esempio specifico.

Si consideri l’operatore di posizione in una dimensione. Si postula che gli autoket

dell’operatore posizione che soddisfano:

''' xxxx =

formino un insieme completo. Si noti che 'x è un numero con le dimensioni di una

lunghezza, mentre x è un operatore.

Il ket di stato per un arbitrario stato fisico, può essere sviluppato in termini di 'x come

segue:

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∫+∞

∞−

= αα ''' xxdx . (32)

Si consideri una misura selettiva molto idealizzata dell’osservabile posizione. Si

supponga, ad esempio, di mettere un rivelatore molto sottile che scatta solo quando una

particella si trova esattamente in 'x e da nessun’altra parte. Subito dopo che il rivelatore

scatta si può, pertanto, dire che lo stato in questione è rappresentato da ,'x ovvero

quando il rivelatore scatta, lo stato α precipita in .'x

Ciò che avviene in pratica, invece, è che il rivelatore scatta quando una particella è situata

in una stretta banda ,2

',2

'

∆+

∆− xx ossia un rivelatore realistico può, al più, localizzare

una particella in un piccolo intervallo attorno ad '.x

Quando si registra un conteggio in un simile rivelatore, il ket di stato cambia come segue:

∫+∞

∞−

= αα '''''' xxdx misura ∫

∆+

∆−

2'

2'

''''''

x

x

xxdx α . (33)

Supponendo che α''x non cambi in modo apprezzabile in un piccolo intervallo, la

probabilità che il rivelatore scatti è data da:

''2

dxx α . (34)

La (10bis) è analoga a 2

' αa che rappresenta la probabilità che α precipiti in 'a

quando A viene misurata.

La probabilità di registrare la particella da qualche parte tra ∞− e ,∞+ è data da:

∫+∞

∞−

2

'' αxdx (35)

che risulta normalizzata ad uno, quando α è normalizzato:

1=αα ⇒ 1''' =∫+∞

∞−

αα xxdx . (36)

A.5.2 Funzione d’onda nello spazio delle coordinate In questa sezione verranno trattate le proprietà della funzione d’onda nello spazio delle

coordinate. Per semplicità sarà preso in esame il caso unidimensionale.

I ket di base usati, sono i ket per le coordinate che soddisfano la relazione:

''' xxxx = , (37)

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normalizzati in modo che la condizione di ortogonalità si legga:

( )'''''' xxxx −= δ . (38)

Come è stato visto nella precedente sezione, il ket che rappresenta uno stato fisico può

essere sviluppato rispetto alla base 'x nel modo seguente:

∫+∞

∞−

= αα ''' xxdx ,

e il coefficiente dello sviluppo α'x è interpretato in modo che:

''2

dxx α

sia la probabilità che la particella venga trovata in un piccolo intervallo 'dx attorno a '.x

Secondo il formalismo che si sta utilizzando, il prodotto interno α'x viene detto

funzione d’onda )'(xαψ per lo stato α :

)'(' xx αψα = .

Nella meccanica ondulatoria elementare, le interpretazioni probabilistiche per il

coefficiente di sviluppo α'' aca = e per la funzione d’onda αψ α ')'( xx = sono

spesso presentate come due postulati diversi.

Uno dei maggiori vantaggi del formalismo, dovuto originariamente a Dirac, è che i due

tipi d’interpretazione probabilistica sono unificati, in quanto )'(xαψ è il coefficiente di

uno sviluppo, proprio come lo è .'ac

Si consideri, ora, il prodotto interno .αβ Usando la completezza di 'x si ha:

' ' 'dx x xβ α β α+∞

−∞= ∫

∫+∞

∞−

= )'()'(' *xxdx αβ ψψ ,

per cui αβ rappresenta la sovrapposizione tra due funzioni d’onda.

L’interpretazione più generale di ,αβ indipendente dalle rappresentazioni, è quella

secondo cui αβ esprime l’ampiezza di probabilità che lo stato α sia trovato nello

stato .β

Si consideri lo sviluppo:

∑='

''

a

aa αα .

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Moltiplicando ambo i membri per l’autobra 'x da sinistra, si ottiene:

∑='

''''

a

aaxx αα ,

che, usando il linguaggio delle funzioni d’onda, può essere riscritta come:

∑=

'

'' )'()'(

a

aa xucxαψ ,

dove:

'')'(' axxua =

è un’autofunzione dell’operatore A con autovalore '.a

A questo punto si vuole esaminare come αβ A possa essere scritto usando la

funzione d’onda di α e di .β Si ha:

' '' ' ' '' ''A dx dx x x A x xβ α β α= ∫ ∫

*' '' ( ') ' '' ( '')dx dx x x A x xβ αψ ψ= ∫ ∫ . (39)

Per poter calcolare αβ A bisogna, pertanto, conoscere l’elemento di matrice ''' xAx

che, in generale, è una funzione delle due variabili 'x e '.'x

Nel caso in cui l’osservabile A è una funzione dell’operatore posizione ,x si ha una

notevole semplificazione. Si consideri, in particolare:

2xA = .

Usando (13bis) e (14bis) si ha, allora:

( ) ( ) ( )'''''''''''' 222 xxxxxxxxx −=⋅= δ .

Si osservi che l’integrale doppio (39) si riduce, ora, ad un integrale semplice:

2 2' ' ' 'x dx x x xβ α β α= ∫

* 2' ( ') ' ( ')dx x x xβ αψ ψ= ∫ .

In generale si ha:

)'()'()'(')( * xxfxdxxf αβ ψψαβ ∫= . (40)

Si noti che ),(xf che compare al primo membro di (40), è un operatore, mentre )'(xf del

secondo membro non lo è.

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A.5.3 Operatore densità nella rappresentazione delle coordinate

Gli operatori densità considerati finora agiscono sullo spazio di ket, dove i ket di base si

riferiscono ad autovalori discreti di operatori relativi a qualche osservabile.

Il concetto di matrice densità può essere generalizzato al caso in cui i ket di base si

riferiscono ad uno spettro continuo. In particolare, si consideri lo spazio dei ket generato

dagli autoket della posizione .'x

L’analogo di (25) è dato da:

[ ] ∫ ∫= ''''''''' 33 xAxxxxdxdA ρ .

In questo caso la matrice densità è una funzione di 'x e ,''x ossia:

( ) ( )'' ' '' '

i i

i

i

x x x xρ ω α α

= ∑

∑=i

iii xx )()''( *ψψω ,

dove iψ è la funzione d’onda che corrisponde al ket di stato )(iα .

Si osservi che l’elemento diagonale ( )''' xx = è proprio la media pesata delle densità di

probabilità, per cui il nome di matrice densità risulta appropriato.

E’ importante tener presente che, anche nel caso del continuo, la stessa miscela può

essere scomposta in insiemi puri in modi diversi.

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Appendice B

Teorema (Leray-Schauder)

Sia :L X X→ un operatore compatto su uno spazio di Banach X ed esista M ∈ tale

che, se x è soluzione di:

( ),x sL x= ,x X∈ 0 1s≤ ≤

vale la seguente disuguaglianza:

,X

x M≤

allora L ammette punto fisso.

Teorema (Rellich-Kondrachov)

Sia NΩ ⊂ un aperto limitato di classe 1.C Si ha:

se ,p N< allora 1, ( ) ( )p qW LΩ ⊂ Ω *1,q p ∀ ∈ con *

1 1 1

p p N= −

se ,p N= allora 1, ( ) ( )p qW LΩ ⊂ Ω [ [1,q∀ ∈ ∞

se ,p N> allora 1, ( ) ( ),pW CΩ ⊂ Ω

con immersioni compatte.

In particolare,

1, ( ) ( ),p pW LΩ ⊂ Ω

qualunque sia .p

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Desidero ringraziare il Dott. Giovanni Mascali e il Dott. Giuseppe

Alì per la loro costante presenza e disponibilità, per i chiarimenti, i

preziosi consigli e per avermi guidato con efficacia durante tutte le

fasi di documentazione, elaborazione e stesura di questo lavoro.

A loro va la mia riconoscenza e il mio più sincero ringraziamento.

Con stima e ammirazione,

Luciana Calabretta