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Università La Sapienza di Roma La fiscalità comunitaria. Il mercato unico. Diritto Tributario Prof.ssa Rossella Miceli A cura di: Prof.ssa Rossella Miceli

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Università La Sapienza di Roma

La fiscalità comunitaria. Il mercato unico.

Diritto Tributario Prof.ssa Rossella Miceli

A cura di: Prof.ssa Rossella Miceli

La fiscalità comunitaria

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I PARTE 1

§ L’integrazione europea § Le fasi del processo di integrazione europea

II PARTE 2

§ Le disposizioni europee rilevanti nella materia fiscale § Divieto di istituzione di dazi doganali e di tasse ad effetto equivalente § Divieto di istituzione di tributi discriminatori e protezionistici

III PARTE 3

§ L’armonizzazione delle imposte indirette § L’armonizzazione dell’IVA § L’iva quale imposta europea § L’armonizzazione delle accise § L’armonizzazione delle imposte sulla raccolta di capitali

La fiscalità comunitaria

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IV PARTE 4 § Il ravvicinamento nelle imposte dirette § La Direttiva fusioni § La Direttiva madre – figlia § La Direttiva su interessi e canoni § La Direttiva sul risparmio

V PARTE 5

§ Principio di non discriminazione e divieto di restrizione delle libertà fondamentali § Le libertà fondamentali § Deroghe alle libertà fondamentali previste dal Trattato

VI PARTE 6

§ Il divieto di aiuti di stato § Aiuti de iure compatibili con il mercato comune § Le agevolazioni fiscali come possibili aiuti di stato § Il recupero degli aiuti di stato § La concorrenza fiscale dannosa

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L’integrazione europea

• Nell’ambito dell’Unione Europea si è soliti parlare di “fiscalità negativa”: à in materia fiscale le regole comunitarie si pongono sostanzialmente come limite all’esercizio dei poteri tributari esercitati dai singoli Stati nazionali à motivo per cui l’UE è stata definita come l’ “Anti-sovrano” à obiettivo principale è quello di garantire, tutelare e promuovere la libera concorrenza e le libertà fondamentali di circolazione. “fiscalità negativa” come strumento volto ad evitare che gli Stati membri tramite politiche fiscali possano alterare il naturale funzionamento del mercato e dei relativi equilibri.

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L’integrazione europea

• L’abbattimento delle barriere doganali rappresenta un naturale corollario delle fiscalità negativa comunitaria à in quanto vale determinare l’eliminazione di un fattore idoneo a disincentivare o comunque ad alterare la neutralità delle scelte di allocazione delle risorse produttive nei vari Stati nazionali

• abolizione dei dazi doganali tra gli Stati membri;

• realizzazione di una politica doganale comune verso gli Stati terzi;

• creazione di uno spazio di libera concorrenza caratterizzato da una libera circolazione di beni, persone, servizi e capitali (neutralità concorrenziale) àcreazione di un’unica tabella doganale da applicare a tutte le merci provenienti dai Paesi esterni alla comunità econoica la creazione di un’unione doganale rappresenta evidentemente un passaggio ulteriore rispetto all’abbattimento delle frontiere doganali à in quanto sta ad indicare un livello più elevato di integrazione degli Stati membri nei rapporti commerciali con i Paesi esteri.

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Le fasi del processo di integrazione europea

• 1951 – Trattato di Parigi: viene istituita la Ceca (comunità europea del carbone e dell’acciaio);

• 1957 – Trattato di Roma: sono istituite l’Euratom (Comunità europea per l’energia atomica) e la Cee (Comunità economica europea);

• 1987 – Atto unico europeo: è istituito il mercato unico interno;

• 1993 – Trattato di Maastricht: viene istituita l’Unione europea, sono fissate le scadenze dell’Unione monetaria;

• 1999 – Trattato di Amsterdam: modifica il Trattato di Roma;

• 2007 – Trattato di Lisbona: è sottoscritto il Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea che, dal 2009 ha sostituito il Trattato istitutivo dell’Unione europea.

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Le disposizioni europee rilevanti nella materia fiscale

• Disposizioni generali che rilevano nella materia fiscale:

• Divieti di aiuti di stato • Principio di non discriminazione • Principio del ravvicinamento

• Disposizioni fiscali:

• Divieto di istituzione di dazi doganali e di tasse ad effetto equivalente

• Divieto di istituzione di tributi discriminatori e protezionistici • Armonizzazione delle imposte indirette

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Divieto di istituzione di dazi doganali e di tasse ad effetto equivalente (I)

• Secondo l’art. 28 del TFUE: “L'Unione comprende un'unione doganale che si estende al complesso degli scambi di merci e comporta il divieto, fra gli Stati membri, dei dazi doganali all'importazione e all'esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente, come pure l'adozione di una tariffa doganale comune nei loro rapporti con i paesi terzi”.

• Il Trattato dunque garantisce la libera circolazione delle merci e vieta i dazi e le tasse ad effetto equivalente ai dazi doganali.

• Nei confronti dei Paesi terzi, si applica la Tariffa doganale comune (artt. 30-36 del TFUE).

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Divieto di istituzione di dazi doganali e di tasse ad effetto equivalente (II)

• Accanto al divieto di istituire dazi doganali è dunque espressamente previsto il divieto di istituire altri tributi che – anche se riscossi in un momento successivo al superamento del confine à producono il medesimo effetto di un dazio doganale sull’importazione o sull’esportazione. Vengono definite “tasse ad effetto equivalente” proprio per indicare l’idoneità ad incidere su merci e prodotti nelle relazioni commerciali tra Stati membri e Paesi terzi.

• L’obiettivo perseguito è quello di evitare che il divieto dei dazi possa essere aggirato attraverso prestazioni fiscali con diverso nomen juris o diversa struttura impositiva idonee però ad incidere egualmente sulla libera circolazione delle merci.

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Divieto di istituzione di dazi doganali e di tasse ad effetto equivalente (II)

• La nozione di tassa ad effetto equivalente è stata oggetto di una giurisprudenza molto ampia, che ne ha progressivamente delineato la portata.

• Possiamo definirla come “qualsiasi onere pecuniario imposto unilateralmente, a prescindere dalla sua denominazione e dalla sua struttura, che colpisca le merci in ragione del fatto che esse varcano la frontiera, anche se non sia riscosso a profitto dello Stato”.

• L’unica deroga ammessa al divieto di tasse ad effetto equivalente è costituita dalla previsione di oneri qualificabili come corrispettivi di servizi resi all’operatore nel momento in cui il prodotto attraversa il confine.

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Divieto di istituzione di tributi discriminatori e protezionistici (I)

• L’art. 110 del TFUE dispone che: «Nessuno Stato membro applica direttamente o indirettamente ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne, di qualsivoglia natura, superiori a quelle applicate direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali similari. Inoltre, nessuno Stato membro applica ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne intese a proteggere indirettamente altre produzioni».

1. è una disposizione dotata di effetto diretto ed idonea ad esplicare effetti immediati;

2. il divieto è incondizionato e non riconosce deroghe.

3. viene espressa l’esigenza di assicurare un trattamento concorrenziale neutro alle transazioni commerciali effettuate all’interno del mercato comune à per evitare che gli Stati possano assumere posizioni protezionistiche o dirigistiche che finiscano per favorire o proteggere la produzione nazionale.

4. valenza essenzialmente negativa à vengono prescritte una serie di preclusioni all’adozione di normative fiscali aventi un carattere discriminatorio tra residenti e non residenti: è vietato il trattamento fiscale meno favorevole dei prodotti stranieri.

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Divieto di istituzione di tributi discriminatori e protezionistici (II)

Si tratta di due divieti dall’ambito di applicazione differenti:

1. Il tributo discriminatorio à è quello che produce l’effetto di privilegiare le merci nazionali rispetto alle merci similari provenienti da altri paesi. Il rapporto di similarità è valutato in relazione all’appartenenza dei beni alla stessa categoria merceologica o alla loro destinazione ad un medesimo utilizzo da parte dei consumatori.

2. I tributi protezionistici à hanno le stesse caratteristiche di quelli discriminatori ma sono valutati in relazione ai beni concorrenti, intesi come quelli che insistono sulla stessa fascia di mercato e mostrano un certo grado di sostituibilità, alternatività o fungibilità.

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L’armonizzazione delle imposte indirette (I)

Art. 113 TFUE: attribuisce al Consiglio un potere di armonizzazione delle imposte indirette;

1. I profili qualificanti dell’Armonizzazione fiscale si individuano: - nella definizione di un modello impositivo unitario à il quale non implica l’unificazione delle legislazioni fiscali nazionali, ma impone l’adozione di un parametro normativo di riferimento rispetto al quale realizzare la convergenza del diritto domestico dei vari Stati membri; - nella riduzione delle diversità di ciascuna legislazione nazionale rispetto al modello unitario.

2. L’armonizzazione fiscale delle legislazioni nazionali viene tipicamente realizzata attraverso gli atti normative riconducibili al diritto comunitario derivato: - regolamenti; - direttive (che rappresentano senz’altro lo strumento preferenzialmente adottato); - atti della soft law comunitaria.

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L’armonizzazione delle imposte indirette (II)

Armonizzazione delle imposte indirette (art. 113 TFUE):

il Consiglio - deliberando all’unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale - adotta le disposizioni che riguardano l’armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte: • sulla cifra d’affari; • sul consumo ed altre imposte indirette;

Nella misura in cui tale armonizzazione sia necessaria:

• per assicurare l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno; • al fine di evitare distorsioni della concorrenza Il principio di armonizzazione si presenta come un criterio direttivo a contenuto positivo, destinato cioè a fissure una regola di integrazione progressiva dei sistemi tributari nazionali e non anche di mera delimitazione e preclusione à raggiungimento di un assetto normativo tendenzialmente omogeneo dei sistemi fiscali dei vari Stati membri

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L’armonizzazione delle imposte indirette (III)

Le direttive sull’armonizzazione sono dunque emanate in 3 settori:

- IVA;

- accise;

- raccolta di capitali.

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L’armonizzazione dell’IVA

1962 – Rapporto Neumark: nasce l’IVA come imposta europea, ideata al fine di armonizzare le legislazioni nazionali in materia di imposte indirette;

1964: la Commissione fa proprie le risultanze del Rapporto Neumark;

1967 - I Direttiva: è introdotta negli Stati membri un’imposta sul valore aggiunto, congegnata come imposta generale sul consumo, plurifase, non cumulativa;

1967 – II Direttiva: sono fissati i criteri generali in tema di soggetti passivi, determinazione della base imponibile, esenzioni, cessioni di beni e prestazioni di servizi;

1977 – VI Direttiva: sostituisce la II, detta regole uniformi per la determinazione della base imponibile;

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L’armonizzazione dell’IVA (segue)

2006 – VIII Direttiva (c.d. Direttiva di refusione): raccoglie tutte le direttive precedenti in una sorta di Testo Unico. Prevede una base imponibile uniforme e aliquote ravvicinate, non inferiori al 15%, tranne che per i beni e servizi espressamente individuati dalla Direttiva a cui è applicabile un’aliquota ridotta;

2008 (c.d. Vat Package): Direttiva 2008/8/CE: è disciplinata la localizzazione delle prestazioni di servizi; Direttiva 2008/9/CE: disciplina i rimborsi ai non residenti; Direttiva 2008/117/CE: disposizioni in materia di lotta alle frodi connesse alle operazioni intra – UE.

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L’IVA quale imposta europea

• L’istituzione dell’Iva risponde a finalità comunitarie: è necessaria la neutralità fiscale nella circolazione dei beni e servizi per il raggiungimento della neutralità concorrenziale;

• negli anni sono state emanate numerose direttive e alcuni Regolamenti, oggi confluiti nella direttiva n. 2006-112-CE, che raccoglie la disciplina generale dell’imposta;

• l’IVA è un “tributo proprio” della UE, che contribuisce al finanziamento degli obiettivi comunitari;

• diretta applicazione delle norme in materia di Iva (direttamente applicabili o ad effetto diretto);

• divieto di istituzione di norme con la natura e struttura Iva.

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L’armonizzazione delle accise (I)

Le accise sono state armonizzate da una serie di direttive:

1. la direttiva europea n.12 del 1992, c.d. Direttiva Quadro, accolta con la legge n°427/93, ed eseguita con il d.lgs.504/95, ha equilibrato la normativa delle accise a livello europeo;

2. la direttiva europea n.96 del 2003, pone le basi per la ristrutturazione più organica delle accise sui prodotti energetici;

3. la direttiva europea n.118 del 2008 relativa al regime generale delle accise, rivisita e integra la materia in oggetto, abrogando la direttiva 92/12/CE.

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L’armonizzazione delle accise (II)

Tramite le direttive si è provveduto:

1. a disciplinare la circolazione, la detenzione e i controlli sui prodotti soggetti ad accise;

2. ad armonizzare la struttura e le aliquote delle accise su oli minerali, alcol, bevande alcoliche, tabacchi lavorati;

3. ad istituire un sistema di collegamento dei depositi fiscali degli Stati membri;

4. ad abolire i controlli fiscali alle frontiere.

L’imposta è dovuta solo al momento dell’immissione in consumo (principio della tassazione nel paese del consumo). Esiste un principio generale di istituzione di imposte sui consumi soltanto con la natura e struttura delle accise.

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L’armonizzazione delle imposte sulla raccolta di capitali (I)

La Direttiva 69/334/CEE (modificata dalla Direttiva 2008/7/CE) ha introdotto disposizioni volte ad armonizzare la tassazione indiretta della raccolta di capitali.

In particolare, è stata prevista:

1. l’istituzione di un’imposta armonizzata sui conferimenti da applicarsi unicamente nello Stato in cui è situata la direzione effettiva della società;

2. l’abolizione delle imposte di bollo sui titoli azionari ed obbligazionari;

3. l’abolizione – salvo limitate eccezioni – delle altre imposte indirette aventi le caratteristiche dell’imposta sui trasferimenti e dell’imposta di bollo.

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L’armonizzazione delle imposte sulla raccolta di capitali (II)

Costituiscono presupposti d’imposta ai sensi della Direttiva:

- la costituzione di società; - l’aumento del capitale/del patrimonio sociale; - la trasformazione; - il trasferimento da uno Stato terzo ad uno Stato membro; - il trasferimento da uno Stato membro ad un altro; - gli altri fenomeni assimilabili ai conferimenti individuati dai singoli Stati.

Eccezione à l’istituzione di diritti a carattere remunerativo.

Il ravvicinamento nelle imposte dirette

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Ø Art. 115 TFUE: “il Consiglio, deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale, stabilisce direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano un'incidenza diretta sull'instaurazione o sul funzionamento del mercato interno”.

Ø in materia di imposte dirette attribuisce al Consiglio una generale potestà di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri;

1. Ravvicinare à eliminare i conflitti 2. Strumento: il ravvicinamento avviene fondamentalmente mediante l’utilizzo di raccomandazioni ed in

generale di meccanismi di soft law (le direttive sono emanate solo all’unanimità).

Il ravvicinamento nelle imposte dirette

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Ø Soprattutto con riferimento all’imposizione diretta, l’esigenza di avviare l’armonizzazione

delle legislazioni fiscali deve essere coordinata con il principio di sussidiarietà Ne deriva che à l’armonizzazione fiscale sia da realizzare nel limite delle disposizioni idonee ad influire effettivamente sul funzionamento del mercato commune

à restando di competenza esclusiva dei songoli Stati membri la regolazione del fenomeno impositivo al livello essenzialmente domestico.

Ø La potestà tributaria resta dunque appannaggio dei singoli Stati membri, sebbene limitato dal diritto comunitario sia originario, che derivato. Per l’imposizione diretta il grado tendenzialmente recessivo del principio di armonizzazione e la primazia del principio di non discriminazione confermano la sussistenza di una fiscalità negativa à carente, cioè, di una connotazione direttiva a carattere positivo.

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Il coordinamento delle imposte dirette

In attuazione di tale disposizione il Consiglio ha emanato, su proposta della Commissione:

1. la Direttiva sulle fusioni e sulle altre operazioni straordinarie poste in essere tra società residenti in diversi Stati membri;

2. la Direttiva sulla distribuzione di utili tra società madre e figli aventi sede in diversi Stati membri;

3. la Convenzione diretta a porre rimedio alle doppie imposizioni nell’ipotesi in cui uno Stato rettifichi di imprese associate residenti in Stati diversi (Convenzione di Bruxelles);

4. le Direttive Royalties e Risparmio.

La Direttiva fusioni

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Direttiva 2009/133/CE sancisce il principio della neutralità fiscale di:

• fusioni; • scissioni; • conferimenti di attivo; • scambi di azioni;

posti in essere tra società residenti in diversi Stati membri.

Tali operazioni non comportano la tassazione delle plusvalenze risultanti dalla differenza tra valori reali/fiscali dei beni in esse coinvolti.

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La Direttiva madre - figlia

Ø Direttiva 90/435/CE: ha risolto il problema della doppia imposizione internazionale dei dividendi infragruppo, che si verifica quando società madre e società figlia risiedono in Stati diversi.

N.B.: a livello internazionale esistevano già da tempo numerose convenzioni bilaterali per l’eliminazione delle doppie imposizioni dei dividendi distribuiti all’interno dei gruppi;

Tuttavia: esse erano volte ad eliminare unicamente la doppia imposizione a carico di uno stesso soggetto (doppia imposizione soggettiva).

La Direttiva madre – figlia (segue)

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La direttiva disciplina: • la tassazione degli utili in entrata (corrisposti alla società madre residente dalla

partecipata estera).

In questo caso, lo Stato di residenza della società madre:

a. si astiene dall’assoggettare ad imposta i relativi utili (metodo dell’esenzione);

b. attribuisce alla società madre un credito d’imposta per l’imposta assolta all’estero dalla partecipata (metodo del credito d’imposta);

• la tassazione degli utili in uscita (distribuiti dalla società madre residente alla partecipata estera);

N.B. l’ambito di applicazione della Direttiva madre – figlia è stato modificato dalla direttiva 2003/123/CE che ha ampliato l’ambito oggettivo/soggettivo di applicazione della disciplina (in particolare: ne ha sancito l’applicabilità alle stabili organizzazioni).

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La Direttiva su interessi e canoni

Direttiva 2003/49/CE: disciplina il regime fiscale di interessi e canoni (royalties) corrisposti da una società residente a società/stabili organizzazioni del medesimo gruppo localizzate in diversi Stati membri.

Ha eliminato l’imposizione alla fonte. I corrispettivi di interessi e canoni sono pertanto tassati:

- una sola volta; - nello stato di residenza del percettore.

La Direttiva sul risparmio

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La Direttiva 2003/48/CE: disciplina la tassazione dei redditi da risparmio corrisposti sotto forma di interessi in uno Stato membro a persone fisiche residenti in un altro Stato membro.

In questo caso: i relativi redditi sono soggetti ad imposta solo nello Stato di residenza del

beneficiario

Lo Stato che in cui sono stati corrisposti gli interessi al non residente dovrà pertanto comunicare l’intervenuta corresponsione allo Stato di residenza del percettore (obbligo di scambio di informazioni).

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Principio di non discriminazione e divieto di restrizione delle libertà fondamentali

Art. 26 TFUE dispone: “il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne” nel quale sono assicurate “la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali”;

Ø Principio di non discriminazione (art. 18 TFUE), da intendersi come divieto, per le legislazioni degli Stati membri, di effettuare discriminazioni delle libertà fondamentali sulla base della nazionalità;

in particolare: è vietata ogni discriminazione fiscale tra soggetti residenti e non residenti;

N.B.: anche la discriminazione in danno dei propri cittadini da parte di uno Stato membro configura disparità di trattamento in conflitto con gli obiettivi propri del mercato comune.

Ø Divieto di restrizione delle libertà fondamentali

Le libertà fondamentali (I)

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Libera circolazione delle persone (art. 20 TFUE): i cittadini degli Stati membri sono cittadini dell’Unione ed hanno diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.

Corollario: libera circolazione dei lavoratori (art. 45 TFUE)

è abolita qualsiasi discriminazione o restrizione fondata sulla nazionalità tra lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. Ai lavoratori non residenti deve essere assicurato il “trattamento nazionale”.

Tuttavia: negli ordinamenti interni lavoratori residenti/non residenti sono soggetti ad un trattamento differenziato: - residenti: è tassata la totalità del reddito, ovunque prodotto; - non residenti: sono tassati solo i redditi prodotti nello Stato; la distinzione non viola, tuttavia, il principio della libera circolazione dei lavoratori.

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Le libertà fondamentali (II)

Libertà di stabilimento: le imprese ed i lavoratori autonomi possono stabilirsi ed operare in qualunque Stato membro alle condizioni definite per i residenti.

In particolare ogni imprenditore è libero:

• di trasferirsi, per esercitare la propria attività economica, da uno Stato membro all’altro (libertà di stabilimento primaria);

• di aprire filiali (società controllate), agenzie o succursali (stabili organizzazioni) in un altro Stato membro (libertà di stabilimento secondaria).

La libertà di stabilimento primaria e secondaria deve essere tutelata:

– dallo stato di origine (c.d. divieto di home State restriction); – dallo stato “ospite”(c.d. divieto di host State restriction).

Le libertà fondamentali (III)

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La libertà di stabilimento implica la libertà di scegliere la forma giuridica attraverso cui esercitare la libertà di stabilimento;

In particolare: principio della parità branch – subsidiary le legislazioni fiscali degli Stati membri devono assoggettare al medesimo trattamento le società controllate (subsidiary) e le stabili organizzazioni (branch) dei soggetti non residenti.

Corollario della libertà di stabilimento e dei divieti prima segnalati è il principio della deducibilità dei costi e delle perdite transfrontaliere.

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Le libertà fondamentali (IV)

Libera circolazione dei servizi: è vietata ogni discriminazione e restrizione alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione nei confronti di cittadini dell’Unione che siano stabiliti in uno Stato membro diverso da quello del destinatario della prestazione.

N.B. Il principio tutela tanto gli operatori (cui deve essere permesso di fornire servizi all’estro) quanto i consumatori (che devono poter richiedere servizi anche a soggetti non residenti). - sotto il profilo fiscale la libertà di circolazione dei servizi viene assicurata innanzitutto mediante una politica di armonizzazione e ravvicinamento delle imposte indirette, ed in specie dell’imposta sul valore aggiunto.

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Le libertà fondamentali (IV)

- per quanto concerne la rilevanza della libertà di circolazione dei servizi in meteria di imposte dirette l’effetto restrittivo è stato rilevato principalmente in due fattispecie: à la norma fiscale nazionale può dissuadere i prestatori del servizio dallo svolgimento della propria attività nello Stato membro; à i destinatari del servizio possono essere dissuasi dal richiedere o fruire della prestazione di servizio da una norma tributaria nazionale.

Libera circolazione dei capitali: è vietata ogni discriminazione e restrizione ai movimenti di capitali ed ai pagamenti tra Stati membri, nonché tra Stati membri e Paesi terzi. La libertà di circolazione dei capitali si sesprime attraverso una pluralità di forme che tipicamente possono ricondursi a due categorie di fattispecie: à la libertà di raccogliere capitali per lo svolgimento di attività economiche e di

impresa (libertà riguardata dal punto di vista del “percettore”); à la libertà di investire capitali per conseguire un ritorno economico (libertà

riguardata dal punto di vista del soggetto “investitore”).

Deroghe alle libertà fondamentali previste dal Trattato (I)

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Inoltre: la Corte di Giustizia ha elaborato delle cause di giustificazione dei trattamenti discriminatori (c.d. rule of reason).

Sulla base di tale criterio sono state ritenute cause legittime di discriminazione: Ø l’esigenza di contrastare le frodi e l’elusione fiscale; In particolare: le norme antielusive sono ammesse solo quando si sia in presenza di “costruzioni di puro artificio destinate ad eludere l’imposta nazionale normalmente dovuta”; Ø l’esigenza di preservare l’efficacia dei controlli fiscali; Ø il principio di coerenza dell’ordinamento nazionale.

Tale principio rileva unicamente quando sussiste un collegamento diretto tra fattispecie discriminata e fattispecie tassata, vale a dire, quando si abbia l’applicazione di una stessa imposta nei confronti di uno stesso contribuente, sostanziandosi, pertanto, in un divieto di doppia imposizione.

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Deroghe alle libertà fondamentali previste dal Trattato (II)

Ø Principio di proporzionalità: le restrizioni che gli Stati possono introdurre rispetto all’esercizio delle libertà fondamentali non devono eccedere quanto strettamente necessario al perseguimento di un dato fine, rilevante per il diritto comunitario.

Ø Proporzionalità dei mezzi normativi adottati dagli Stati membri rispetto alle finalità

perseguite dall’ordinamento europeo. Ø Si tratta di un parametro di valutazione teleologica della norma à la cui applicazione

è affidata a giudizi di tipo probabilistico-quantitativo e ad un’analisi di tipo prognostico sulle finalità dell’atto normativo all’interno dell’ordinamento comunitario.

Ø Tale tipo di giudizio viene utilizzato dalla Corte di Giustizia per verificare: - se la compressione di diritti individuali o comunque di sistuazioni giuridiche soggettive riconosciute dall’ordinamento comunitario sia l’unica soluzione possibile ed è realizzata in modo ragionevole - se esistono altre forme di bilanciamento che risultino meno onerose per gli interessi individuali.

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Deroghe alle libertà fondamentali previste dal Trattato (II)

Il principio di proporzionalità risponde dunque ad una logica di bilanciamento di

interessi contrapposti (comunitario e nazionale) secondo una valutazione di efficienza strumentale e gradualistica della legge.

Ne discende che:

à il Legislatore interno e l’Amministrazione pubblica non possono imporre, mediante atti normativi o anche solo provvedimenti amministrativi, obblighi o restrizioni dei diritti individuali e delle libertà in misura superiore a quanto strettamente necessario per il raggiungimento della finalità pubblica da perseguire à operando un confronto tra i vantaggi pubblici e i pregiudizi individuali.

Il controllo di proporzionalità implica la verifica di tre diversi standard: à idoneità, necessità e adeguatezza.

Il divieto di aiuti di stato

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• L’istaurazione di un mercato comune presuppone la costituzione ed il funzionamento

di uno spazio economico unificato all’interno del quale gli scambi di prodotti e

servizi avvengono alle medesime condizioni vigenti nel mercato nazionale.

• Art. 107 TFUE: “sono incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui

incidono sugli scambi tra gli Stati membri, gli aiuti concessi agli dagli stati, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”.

• Il divieto colpisce qualsiasi forma di aiuto (sovvenzioni, ma anche interventi volti a sollevare un’impresa dagli oneri finanziari normalmente a suo carico).

• La finalità è dunque quella di promuovere e tutelare uno spazio economico europeo aperto e di realizzare una politica di integrazione positiva da parte dell’Unione Europea.

Il divieto di aiuti di stato: la procedura. .

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• Si tratta di una disciplina di carattere essenzialmente procedimentale che stabilisce una

procedura vincolante per lo Stato ed attribuisce poteri interdettivi alla Commissione.

• Il concetto di aiuto di stato non è normativamente definito, ma è stato progressivamente

individuato dalla Corte di Giustizia, la quale ha a tal fine elaborato il c.d. criterio

VIST (vantaggio, incidenza, selettività, trasferimento).

• I tratti qualificanti degli aiuti di Stato sono:

1. di un’erogazione senza contropartita (vantaggio) di risorse statali (sovvenzioni

o finanziamenti) ovvero rinunzia ad entrate (esoneri ed agevolazioni fiscali);

2. di un pregiudizio o di una distorsione della concorrenza (incidenza);

3. di misure specifiche volte a favorire determinati settori o

produzioni collocando le imprese beneficiate in situazione più favorevole rispetto

ad altre che si trovano in analoga posizione fattuale e giuridica (selettività);

4. del trasferimento di risorse statali (trasferimento).

Il divieto di aiuti di stato: la procedura. .

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• Ai sensi dell’art. 108 del TFUE, la competenza a decidere in materia di aiuti di Stato è

attribuita alla Commissione.

• Prima di istituire misure finanziarie nel proprio territorio, gli Stati membri devono:

1. comunicare tempestivamente alla Commissione il progetto di aiuto;

2. non attuare le misure progettate fino al responso.

• Segue l’esame della misura finanziaria decisa dallo Stato membro da parte della

Commissione. L’esame si concentra soprattutto sui due profili della selettività e della

potenziale distorsione della libera concorrenza.

• L’istruttoria si conclude con una decisione della Commissione in merito

all’ammissibilità comunitaria della misura finanziaria progettata dallo Stato.

• La decisione è vincolante per lo Stato (salvo il ricorso alla Corte di Giustizia per contestare il contenuto della decisione).

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Le deroghe: gli aiuti de iure compatibili con il mercato comune

• Non rientrano tra le fattispecie assimilabili agli aiuti di Stato, poiché ritenute compatibili con il mercato comune:

1. gli aiuti di carattere sociale concessi ai singoli consumatori (art. 107, comma 2, lett. a);

2. gli aiuti concessi in occasione di calamità naturali/altri eventi eccezionali (art. 107, comma 2, lett. b);

3. gli aiuti concessi all’economia di determinate regioni della Repubblica di Germania in conseguenza all’unificazione nazionale (art. 107, comma 2, lett. c);

• Sono altresì considerati ammissibili, in base ad un giudizio discrezionale della

Commissione, i seguenti aiuti: 1. destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni gravemente

sottoccupate/dal tenore di vita anormalmente basso; 2. destinati a promuovere la cultura/la conservazione del patrimonio; 3. destinati a promuovere lo sviluppo di talune attività/regioni

economiche; 4. altre categorie di aiuti (ad es. aiuti de minimis).

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Le agevolazioni come possibili aiuti di stato.

• L’agevolazione tributaria nazionale può essere qualificata come aiuto di stato laddove

il carattere della selettività riguardi: i soggetti destinatari (ossia specifiche categorie

di imprese o settori di produttività) e gli obiettivi (no riconducibili “alla logica di

sviluppo del sistema economico nel suo insieme).

• A livello locale, le agevolazione fiscali sono ammissibili se il requisito della selettività

può essere escluso. Ciò si verifica allorquando:

1. la regione ha potere di stabilire l’agevolazione quale competenza attribuita

dall’ordinamento nazione (federalismo simmetrico);

2. la regione ha il potere di stabilire la norma di agevolazione fiscale efficace nel

proprio territorio in attuazione di una autonomia normativa (federalismo

asimmetrico).

• Tali elementi servono a verificare che la Regione svolga un ruolo determinante per la

definizione del “contesto politico ed economico” entro cui operano le imprese.

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Il recupero degli aiuti di stato. • E’ attuato mediante un procedimento amministrativo (la competenza è quindi del

TAR).

• Non è prevista una disciplina comunitaria specifica per tale procedura. E’ infatti

rimessa alla legislazione di ciascuno stato membro.

• Trovano applicazione i principi di equivalenza e di effettività: gli atti di recupero

devono assicurare un riequilibrio immediato ed effettivo della situazione finanziaria

lesa dall’agevolazione illegittimamente concessa.

• Il recupero dell’aiuto di stato è attuato mediante la notifica di un atto della riscossione

(di natura tribtuaria) da parte di Equitalia nei confronti dell’impresa beneficiaria.

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La concorrenza fiscale dannosa. • Si definisce “concorrenza fiscale dannosa” (harmful tax competition) l’adozione di

politiche fiscali da parte di uno Stato membro che si rilevano eversive

dell’ordinamento fiscale della maggioranza degli altri Stati.

• Tale eversione di realizza attraverso l’introduzione di elementi di agevolazione

fiscale o benefici che inducono gli operatori economici a collocarsi nel territorio

degli Stati a fiscalità agevolata anziché in quello di residenza.

Espressione tipica del contrasto alla concorrenza sleale è: il codice di condotta.

diretto a bloccare le nuove misure fiscali agevolative ed a smantellare le regole

tributarie agevolative già esistenti.

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La concorrenza fiscale dannosa: la ratio. • L’idea che possa esista una dannosità della concorrenza fiscale degli Stati risiede nel

fatto che si riconosce uno standard tributario, ossia un livello omogeneo di

pressione fiscale, al quale i principali ordinamento fiscali nazionali devono

allinearsi.

• La concorrenza fiscale dannosa si allinea concettualmente alla stessa ratio della

fiscalità negativa.

- da un lato, contiene circoscrive la sovranità fiscale nazionale (limitando l’uso

promozionale della leva fiscale);

- dall’altro, apre verso un mercato unico fondato sulla piena concorrenza delle

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imprese e degli operatori.

Il contrasto alla concorrenza fiscale dannosa. • La concorrenza fiscale dannosa è una delle principali cause dello spostamento del

prelievo tributario nazionale sul fattore lavoro da parte degli Stati membri.

• Infatti, per contrastare lo spostamento dei capitali e delle imprese verso regimi

fiscali agevolati e mantenere inalterate le entrate erariali, lo Stato membro è

costretto a diminuire la pressione tributaria su tali componenti e, per converso, ad

aumentare il prelievo sul fattore lavoro.

• Il contrasto alla concorrenza sleale donnosa ha due finalità:

1. perseguire la libera concorrenza sul mercato comune;

2. riequilibrare il livello di tassazione sul lavoro e quindi promuovere la

crescita dell’occupazione in Europa.

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1.

Il contrasto alla concorrenza fiscale dannosa: il codice di condotta.

• Si tratta di un pacchetto di disposizioni di carattere programmatico, non

vincolante, che fissa alcune regole dirette a contenere fenomeni di concorrenza

fiscale dannosa tra Stati.

• All’intero dello stesso sono individutate 5 categorie di misure potenzialmente

dannose:

1. i servizi infragruppo;

2. i servizi finanziari;

3. le società off shore;

4. i regimi settoriali specifici;

5. gli incentivi fiscali di carattere regionale.

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Il contrasto alla concorrenza fiscale dannosa: il codice di condotta (segue). • Il contenuto del codice di condotta riguarda essenzialmente due aspetti:

1. il blocco di nuove misure dell’imposizione diretta che possa favoire la

locazione di attività produttive in un altro Stato;

2. lo smantellamento delle misure tributarie statali che producano gli effetti

della concorrenza fiscale dannosa (cd. clausola di rollback).

• L’effetto agevolativo può essere realizzato attraverso l’applicazione di una ridotta

aliquota d’imposta, di una diversa base imponibile ovvero attraverso

l’individuazione di specifici soggetti passivi dell’imposta.

• Il controllo delle misure fiscali è affidato alla Commissione ed agli stessi Stati

membri.