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ANNUARIO DEL CENTRO STUDI GIOVANNI VAILATI - 2005/2006 -

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ANNUARIO

DEL CENTRO STUDI GIOVANNI VAILATI

- 2005/2006 -

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NOTIZIE UTILI SUL CENTRO STUDI GIOVANNI VAILATI

Il Centro ha un sito internet - www.giovanni-vailati.net - che viene costantemente

aggiornato e da cui è possibile scaricare diverso materiale su Vailati, suoi scritti o studi a

lui dedicati. Sempre dal sito è possibile scaricare la scheda per aderire al Centro. La quota

sociale annuale è di € 50 (socio sostenitore) e di € 25 (socio ordinario). L’adesione al

Centro permette, oltre alla diretta partecipazione alla vita sociale del Centro e alle iniziative

da esso organizzate, di essere costantemente informati su tutte le iniziative che interessano

Vailati di cui siamo a conoscenza, di avere gratuitamente il bollettino e le pubblicazioni

curate o promosse dal Centro.

La sede legale del Centro Studi è presso il Liceo Classico “A. Racchetti” di Crema, via

Palmieri 4, 26013 Crema (CR). Per una più celere comunicazione inviare un e-mail a

[email protected]

Questo volume è pubblicato col patrocinio

del Comune di Crema e della Provincia di Cremona

e il contributo

del Rotary Club Crema

©2006 “Centro Studi Giovanni Vailati”

www.giovanni-vailati.net

[email protected]

l’Annuario

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______________________________________________ INDICE

Le attività del Centro Studi Giovanni Vailati 5

P. Cantù: Ragionando con t(h)e. Alla ricerca di buoni e cattivi ragionamenti 7

I. Franzosi: La fondazione della psicologia come scienza: temi e problemi nel pensiero filosofico di Roberto Ardigò 47

I. Pozzoni: Archè, kósmos, éris. La teoria del diritto come modello cosmico all’interno della micro-tradizione di ricerca milesia 59

R. Pettoello: Il carteggio Pikler-Vailati (1892-1908) 85

M. De Zan: Il carteggio Vailati-Schiaparelli (1897-1900) 109

Recensioni 121

Libri ricevuti 137

P. Cantù: Ragionando con t(h)e. Alla ricerca di buoni e cattiviragionamenti

I. Franzosi: La fondazione della psicologia come scienza: temi e problemi nel pensiero filosofico di Roberto Ardigò

7

47

I. Pozzoni: Archè, kÓsmos, éris. La teoria del diritto come modellocosmico all’interno della micro-tradizione di ricerca milesia

R. Pettoello: Il Carteggio Pikler-Vailati (1892-1908)

M. De Zan: Il Carteggio Vailati-Schiaparelli (1897-1900)

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Recensioni

Libri ricevuti 135

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Le attività del Centro Studi Vailati 5

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LE ATTIVITÀ DEL CENTRO STUDI GIOVANNI VAILATI

A causa delle crescenti difficoltà incontrate nel reperire fondi per la pubblicazione dell’Annuario siamo stati costretti ad uscire con un ritardo tale, rispetto ai tempi tradizionali, che abbiamo creduto opportuno presentare in un unico volume le attività e gli studi realizzati dal Centro nel corso del 2005 e del 2006. Per questo l’Annuario si presenta come insolitamente biennale. Ci scusiamo con i lettori e ci auguriamo ovviamente di poter tornare alla consueta scansione annuale fin dal prossimo anno. Il Rotary Club di Crema ha generosamente offerto al Centro Studi Giovanni Vailati un contributo finanziario che ha permesso infine di mandare in stampa questo numero dell’Annuario.

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Nella primavera del 2005 il Centro Studi Giovanni Vailati ha organizzato un ciclo di incontri dedicato alle teorie dell’argomentazione e all’analisi delle diverse forme di argomentazione. Poichè il corso si teneva in un noto caffè cittadino con inizio alle 17 e ai partecipanti era offerto un buon tea con biscotti, si è pensato di intitolarlo “ragionando con t(h)e”. Nonostante il carattere conviviale, la relatrice, Paola Cantù, ha sempre mantenuto alto il livello del corso che è stato seguito con interesse da un buon numero di partecipanti. Ringraziamo Paola Cantù per aver permesso la pubblicazione delle sue lezioni che presentiamo volentieri in questo numero dell’Annuario. Ricordiamo, infine, che Paola Cantù ha recentemente pubblicato, insieme aItalo Testa, il volume Teorie dell’argomentazione. Un’introduzione alle logiche del dialogo, nella collana “Testi e pretesti” della Bruno Mondadori, dove questi studi sulle teorie dell’argomentazione sorte nel corso degli ultimi decenni sono presentati in modo ancora più ampio e analitico. Come è ormai una tradizione consolidata, anche nel corso dell’anno scolastico 2005-2006 il Centro Studi ha organizzato delle conferenze, in

che, aggiungendosi ad un finanziamento del Comunedi Crema, ha permesso di mandare in stampa questo numero dell’Annuario.

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collaborazione col Liceo Classico Racchetti di Crema, rivolte agli studenti cremaschi degli ultimi anni delle superiori. Tema scelto è stato “Il dubbio e la scienza” presentato attraverso tre incontri: il primo con il prof. BrunoCordani, docente all’Università degli Studi di Milano, che ha trattato del “valore” dubbio nella storia della matematica e nella ricerca attuale, il secondo con il prof. Carlo Alberto Redi, docente dell’Università degli Studi di Pavia, che ha parlato dei dubbi che continuamente sorgono nell’attività di ricerca degli scienziati che si occupano di biologia molecolare, in particolare nella situazione italiana, e infine il dott. Giuseppe Rivolta, direttore del reparto di rianimazione dell’Ospedale di Lodi, ha cercato di spiegare comela professione del medico, sospesa tra scienza e arte, sia continuamente e necessariamente attraversata dal dubbio e dall’incertezza. Nella primavera del 2006, infine, è stato organizzato un breve ciclo di “letture filosofiche”. Nella prima Mauro De Zan ha parlato di Giacomo Leopardi e il senso della scienza commentando le pagine del Dialogo di Cristoforo Colombo e Pietro Gutierrez; nella seconda Silvano Allasia ha trattato di Verità, realtà, bene: la filosofia e i superconcetti, con la lettura di alcune pagine del recente volume Nel chiuso di una stanza con la testa in vacanza di Franca D’Agostini e infine Paola Cantù ha presentato un relazione su Jaakko Hintikka: Logica interrogativa e teoria dei giochiaccompagnata da letture tratte dal saggio del filosofo finlandese Is Logic theKey to all good Reasoning?

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Prosegue l’impegno del Centro per la pubblicazione dei carteggi di Vailati. In questo numero dell’Annuario vengono presentati due carteggi inediti: quello intercorso tra Vailati e il filosofo ungherese Julius Pikler, curato dal prof. Renato Pettoello a cui si deve anche la traduzione in italiano dellelettere presentate, e quello con l’astronomo Giacomo Virgilio Schiaparelli. Vogliamo infine ricordare che recentemente è stato pubblicato il volume Giovanni Vailati intellettuale europeo, curato da Fabio Minazzi, cheraccoglie gli atti del convegno svoltosi nel 2003 a Spongano, in provincia diLecce, e che viene recensito in questo Annuario da Patrizia de Capua. Il Centro ha contribuito alla pubblicazione di questo volume con un proprio contributo finanziario e ricercando il patrocinio del Comune di Crema e della Provincia di Cremona.

Crema, Novembre 2006.

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RAGIONANDO CON T(H)E. ALLA RICERCA DI BUONI E CATTIVI ARGOMENTI*

di Paola Cantù

Che cosa significa argomentare? Perché certe forme di ragionamento sono più efficaci di altre nel difendere o confutare una certa tesi? Ci sono regole da seguire per costruire un buon argomento? Seguire le regole è razionale? Il corso introduce il concetto teorico di argomento e analizza alcuni tipi di ragionamento accettabile (deduttivo, induttivo, ecc.) e alcuni tipi di ragionamento “fallace”. Obiettivi del corso sono la riflessione sulle modalità di ricostruzione e valutazione degli argomenti, lo smascheramento di alcune strategie persuasive e la riflessione sulla natura “razionale” degli argomenti costruiti “secondo le regole”. Il testo offre una breve introduzione agli obiettivi, al contenuto e al metodo della teoria dell’argomentazione, accennando alle origini nella tradizione filosofica e ad alcuni filoni di ricerca recenti. Ampio spazio è dedicato all’introduzione della terminologia tecnica: argomento, argomentazione, premesse, conclusione, conseguenza, validità, correttezza, efficacia, bontà, fallacia, regole, razionalità.

1. L’ARGOMENTAZIONE

1.1. Che cosa significa argomentare? Varie sono le definizioni di argomentazione che possiamo trovare nella discussione contemporanea e in particolare nelle diverse tradizioni filosofiche: per individuare alcuni caratteri generali dell’argomentare prenderemo le mosse da una definizione condivisa, almeno a grandi linee,

* Il presente testo è una versione rivista e abbreviata delle dispense preparate per il Corso diTeoria dell’argomentazione organizzato dal Centro Vailati e che ho tenuto tra aprile emaggio 2005 al Caffé Vienna di Crema. Ringrazio tutti i partecipanti al corso per le domande di chiarimento, i suggerimenti critici, gli scambi di opinione, di cui ho cercato ditenere conto nell’elaborazione definitiva del testo.

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da filoni di ricerca tra loro diversi. La definizione proviene da un manuale di teoria dell’argomentazione scritto a più mani da studiosi di logica informale, pragma-dialettica, logica dialogica.1

Definizione. L’argomentazione è un’attività razionale verbale e sociale finalizzata ad accrescere (o decrescere) l’accettabilità di un punto dipartenza controverso per l’ascoltatore o per il lettore; in tale attività i parlanti avanzano una costellazione di proposizioni con lo scopo di giustificare (o refutare) tale punto di vista di fronte ad un giudice razionale.

– Argomentare è un’attività verbale: benché sia possibile ricorrere a gesti, a espressioni del viso e ad altri strumenti di comunicazione non verbale, l’argomentazione è essenzialmente un’attività verbale, condotta per lo più nel linguaggio ordinario. Si potrebbe obiettare che alcune formedi argomentazione sono basate su un intervento cospicuo della comunicazione non verbale, oppure non sono espresse linguisticamente (come nel caso di una persona che ragiona tra sé e sé). A tale obiezione si potrebbe rispondere che se si accetta che l’argomentazione sia innanzitutto un’attività sociale, si attribuisce un ruolo fondamentale alla comunicazione degli argomenti; d’altra parte la grande maggioranza degli uomini si affidaal linguaggio (orale o scritto) per l’esposizione e la costruzione delle ragioni argomentative.

– Argomentare è un’attività sociale, che presuppone la presenza reale o immaginata di due o più interlocutori: l’argomentazione è dialogica e dialettica, basata sull’alternanza di asserzioni pro e contro concepite rispettivamente come ragioni addotte da un parlante a favore di una tesi e come possibili contromosse dell’interlocutore. Ci si potrebbe domandare se l’argomentare più autentico non sia piuttosto la deliberazione intima di un singolo individuo che ragiona tra sé e sé, soppesando diverse ragioni per trovare la migliore. Diversi filosofi hanno considerato corretta solo l’argomentazione propriamente logica, basata su un insieme di regole che permettono di dirigere i nostri pensieri e di giungere ad una conoscenzasicura ed evidente della verità. Tra i tanti ricordiamo Arthur Schopenhauer,2

1 F.H. VAN EEMEREN, R. GROOTENDORST, F. SNOECK HENKENMANS (a cura di),Fundamentals of Argumentation Theory. A Handbook of Historical Backgrounds andContemporary Developments, Lawrence Erlbaum Associates, Mahwah (New Jersey), 1996. 2 Nel Mondo come volontà e rappresentazione (I, §9, trad. it. p. 83) SCHOPENHAUERdefinisce la logica come “la scienza generale dei processi razionali, riconosciuti perintrospezione della ragione in se stessa ed espressi nella forma di regole in seguitoall’astrazione da ogni loro contenuto.” Secondo Schopenhauer la ragione, lasciata libera, non si allontana da tali regole; non avrebbe perciò alcun senso studiare la logica con finalità pratiche (per imparare il corretto ragionare): sarebbe come insegnare a qualcuno la meccanica o la fisiologia per fargli imparare a digerire. La logica avrebbe invece uninteresse filosofico come conoscenza speciale dell’organizzazione e dell’attività dellaragione. Nella Introduzione e nelle aggiunte alla Dialektik, un manoscritto inedito del1830-31, tradotto in italiano con il titolo L’arte di ottenere ragione esposta in 38

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che distinse la dialettica intesa come eristica dalla logica intesa come ricerca della verità, e John Stuart Mill,3 che ebbe una concezione non dialogica della logica. Al contrario la rinascita degli studi intorno alla teoria dell’argomentazione è legata proprio alla ripresa della concezione dialogica e sociale dell’argomentazione, da cui trae origine la rinnovata attenzione per la retorica concepita come attività persuasiva rivolta ad un uditorio, per lalogica informale intesa come analisi e valutazione degli argomenti del discorso ordinario, per il dibattimento giuridico considerato come strumento dialettico di deliberazione. In quest’ottica perfino la deliberazione tra sé e sé è considerata un’attività sociale: soppesare gli argomenti a favore o contro una certa tesi equivarrebbe infatti ad anticipare le possibili contromosse di un interlocutore. Si tratta in parte di un ritorno all’antico. La deliberazione intima era considerata come un’attività sociale già da Isocrate, che identificava gli argomenti dell’oratore rivolto alla folla con gli argomenti

stratagemmi, Schopenhauer afferma che la logica naturale ha a che vedere con la veritàoggettiva e si distingue pertanto dalla dialettica (eristica) intesa come l’arte di disputare al fine di ottenere ragione con mezzi leciti o illeciti (trad. it. p. 15 e ss.). A differenza dellalogica, che mira alla verità della conclusione, la dialettica è rivolta all’approvazione dellaconclusione da parte dei contendenti e dell’uditorio: ha la finalità pratica di insegnare comedifendersi dagli attacchi altrui e come attaccare a propria volta senza essere confutati e senza cadere in contraddizione. La dialettica deve quindi attingere all’esperienza e proporre stratagemmi generali ottenuti a partire dall’osservazione del loro uso in casi particolari. La logica ha a che vedere con la forma, mentre la dialettica con il contenuto, con la materia: secondo la logica due individui non possono che concordare; secondo ladialettica invece possono avere opinioni divergenti, che scaturiscono dalla diversità della loro individualità. La dialettica è “la dottrina del modo di procedere della naturaleprepotenza umana”, giacché la natura umana comporta che quando un uomo si accorge che i pensieri di un altro divergono dai propri, non riesamina il proprio pensiero per trovarvi unerrore, ma presuppone che l’errore si trovi nel pensiero dell’altro: “l’uomo è per naturaprepotente, vuole avere ragione” (trad. it. p. 71).3 Nell’Introduzione al Sistema di logica JOHN STUART MILL adotta una definizione di logica alquanto ampia, come scienza e arte del ragionamento: la logica non si limita all’analisi deiprocessi mentali ma si occupa anche di derivare regole per il corretto svolgimento del processo di ragionamento. Con questo termine, però, non si devono intendere soltanto ilsillogismo o le inferenze dall’universale al particolare, ma ogni tipo di inferenza che deriviun’asserzione da altre asserzioni accettate in precedenza. La logica riguarda le operazionidella mente di un singolo individuo nel raggiungimento della verità, mentre lacomunicazione di tali pensieri è compito della retorica o più in generale dell’educazione. La logica riguarda soltanto le inferenze da verità precedentemente note: non è la scienza dellacredenza ma della dimostrazione o evidenza; la logica deve indicare quali relazioni devono sussistere tra i dati e cosa si può concludere da essi. Ma allora la logica è utile? Certo è possibile ragionare in maniera corretta anche senza conoscere la logica, tuttavia vi sono dei limiti a ciò che si può fare senza la logica; come l’anatomia non serve ad imparare ad usarei muscoli ma è utile per curarne i difetti di funzionamento, così la logica non è necessaria per imparare a ragionare ma è utile per curare i difetti di ragionamento. La logica di Mill,infatti, non vuole essere una scienza delle leggi formali del pensiero – una logica dellacoerenza – bensì una logica della verità.

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del saggio che prende buone decisioni nella deliberazione intima.4 Accanto alla retorica antica le teorie dell’argomentazione si richiamano spesso alla dialettica aristotelica.

Aristotele aveva osservato che il fine dell’argomentazione può essere talvolta la conoscenza della verità e talvolta la persuasione, aveva analizzato forme di argomentazione rivolte alla determinazione non solo di conclusioni vere ma anche di conclusioni probabili o addirittura false e aveva isolatoforme di argomentazione che appaiono valide ma non lo sono. Mentre gli Analitici Secondi sono dedicati allo studio del sillogismo dimostrativo, in cui entrambe le premesse sono vere e dunque anche la conclusione è vera, nel secondo libro degli Analitici Primi Aristotele considera anche i sillogismi con una o con entrambe le premesse false: in tali casi la conclusione può essere vera o falsa. Nei Topici inoltre Aristotele consideraaltre forme di argomentazione, quali i sillogismi dialettici (che muovono dapremesse fondate sull’opinione: endoxa), i sillogismi eristici (che muovono da premesse che sembrano fondate sull’opinione ma non lo sono), argomenti eristici che non sono neppure sillogismi (poiché il nesso è solo apparente), i paralogismi (in cui non si conclude né da premesse vere né dapremesse fondate sull’opinione, come ad esempio quando si fa uso di una errata costruzione geometrica, cioè di una premessa propria di una scienza particolare, ma falsa). Un’analisi degli argomenti eristici (siano essi sillogismi oppure argomenti non validi) si trova nelle Confutazioni sofistiche.5 Il richiamo alla dialettica e alla componente sociale dell’argomentazione non si esaurisce però in un recupero della retorica antica e della filosofia aristotelica; nuove significative discipline concorrono allo studio degli argomenti: dalla pragmatica linguistica alla teoria della comunicazione, dalla sociologia al diritto.

– Argomentare è un’attività che ha origine da un punto di partenza controverso, vale a dire dalla presenza di un’asserzione, di un punto di vista, di una tesi intorno alla quale non vi è accordo. L’argomentazione, comeosserva Aristotele nei Topici (I, 104a), non nasce da qualcosa che è già evidente a tutti ma da un contrasto di opinioni, da una divergenza di idee, da un dubbio sull’accettabilità di un punto di vista. Scopi dell’attività argomentativa possono essere l’eliminazione o l’attenuazione del dubbio, il raggiungimento di un accordo6 o di un’intesa tra gli interlocutori, la

4 Scrive ISOCRATE nell’Orazione a Nicocle (§ 8): “Gli argomenti di cui ci serviamo quandovogliamo persuadere gli altri con le nostre parole, sono gli stessi di cui ci serviamo quando dobbiamo prendere una decisione, e chiamiamo oratori quelli che sanno parlare alla folla, e consideriamo assennati quelli che prendono le migliori decisioni nella deliberazione intima.” 5 Cfr. ARISTOTELE, Organon, Einaudi, Torino, 1955. 6 Non tutti i teorici sarebbero d’accordo nell’affermare che lo scopo dell’argomentazione èil raggiungimento di un accordo. Tuttavia la maggior parte accetterebbe l’idea che ogni comunicazione abbia uno sfondo cooperativo regolato dalla massima di Grice, che impone

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giustificazione (o la refutazione) di un punto di vista, una deliberazione. Lo scopo è raggiunto attraverso la presentazione di una costellazione diproposizioni, vale a dire di uno o più argomenti, che servono ad accrescere (o a decrescere) l’accettabilità del punto di vista in questione convincendo o persuadendo l’interlocutore. Vi è chi osserva che l’argomentazione può avere luogo piuttosto solo tra due o più interlocutori che siano già in accordo, ad esempio su alcune premesse condivise oppure sugli standard diaccettabilità di un argomento oppure ancora sull’obiettivo di arrivare alla soluzione discorsiva della divergenza di opinione.7

– L’argomentazione serve ad accrescere l’accettabilità di un punto di vista controverso:8 accrescere l’accettabilità può significare determinare la verità o la falsità del punto di vista (come nella logica tradizionale o nel sillogismo dimostrativo aristotelico o ancora nell’accezione platonica delladialettica come scienza) ma anche persuadere l’uditorio o l’interlocutore (come nella dialettica aristotelica) o ancora prevalere nella discussione (come nell’eristica aristotelica o nella dialettica di Schopenhauer). Qui il termine accettabilità non indica l’accettazione effettiva da parte dell’uditorio reale, ma l’accettazione da parte di un uditorio ideale. Nella maggior parte delle teorie contemporanee dell’argomentazione si ritiene infatti che sia possibile fornire un’adeguata caratterizzazione dell’accettabilità di un argomento o per mezzo di particolari regole cui attenersi o per mezzo di schemi o modelli di ragionamento cui conformarsi o per mezzo di schemi o modelli di ragionamento da cui distaccarsi. L’uditorio ideale è spesso inteso

ad ogni parlante di “conformare il proprio contributo conversazionale a quanto è richiesto”. Per Grice una comunicazione verbale è razionale solo se i parlanti usano il linguaggio per contribuire al raggiungimento del dialogo. Il principio di cooperazione di Grice si precisa poi secondo le massime seguenti: Quantità (dare la giusta quantità di informazione), qualità(dare un contributo veritiero al dialogo), relazione (essere pertinenti), modalità (essere chiari e non ambigui). Cfr. P. GRICE, Logic and Conversation. in Id., Studies in the Way ofWords, Harvard Univ. Press, Cambridge (Mass.) 1989, trad. it. in Logica e conversazione. Su intenzione, significato e comunicazione, il Mulino, Bologna 1993, p. 62 e ss. Accettare che una forma minimale di cooperazione sia necessaria per uno scambio linguistico efficace non implica affatto che lo scopo di ogni comunicazione (e in particolare di ogni argomentazione) sia il raggiungimento di un accordo tra i parlanti. 7 Scrivono ad esempio Perelman e Olbrechts-Tyteca nel Traité de l’argumentation. Lanouvelle rhétorique: “Ogni argomentazione mira infatti all’adesione delle menti epresuppone perciò l’esistenza di un contatto intellettuale. Perché esista argomentazione, occorre che a un dato momento si realizzi un’effettiva comunanza spirituale. Occorre essere d’accordo previamente e in via di principio sulla formazione di questa comunitàintellettuale, e in seguito sul fatto di discutere insieme una questione determinata: ciò non avviene affatto spontaneamente.” Cfr. C. PERELMAN, L. OLBRECHTS-TYTECA, Traité de l’argumentation. La nouvelle rhétorique, PUF, Paris 1958, trad. it. Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Torino, Einaudi, 1966, p. 16. Schopenhauerosserva che i disputanti devono stare allo stesso livello, soprattutto devono avere la stessa erudizione, la stessa intelligenza e la stessa abilità argomentativa. 8 Aristotele osservava nei Topici (I, 104b) che il fine della dialettica è ottenere preferenza o rifiuto, determinazione della verità o della falsità di una tesi.

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come l’insieme di tutti gli eventuali interlocutori che condividano la fiduciain tali regole.

– Argomentare è un’attività razionale.9 L’uso dell’aggettivo razionale è generalmente connesso al concetto di uditorio ideale sopra introdotto, mapuò anche servire ad escludere la componente emozionale delle attività comunicative: 1) chi argomenta svolge un’attività conforme a regole del pensiero (in senso lato logiche) in cui le emozioni, pur presenti, non costituiscono la parte predominante. Più in generale, razionale è chi argomenta presentando ragioni, vale a dire cercando di giustificare o di refutare un punto di e facendo appello ad un procedimento e a dei contenuti valutabili da un uditorio ideale o da interlocutori che dispongano delle conoscenze opportune e che siano in grado di valutare l’accettabilità delle ragioni addotte. Alcuni autori contemporanei che si richiamano alle ricerche di Damasio10 obiettano che le emozioni non devono essere considerate un semplice fattore di disturbo nell’attività argomentativa. Michael Gilbert, adesempio, amplia il concetto di razionalità in modo da escludere un’accezione esclusivamente verbale e logica dell’argomentazione: gli argomenti, oltre alle componenti logiche, possono avere come componenti essenziali sentimenti, situazioni corporee, intuizioni del soggetto. Ne segue che non ha senso identificare dei criteri di valutazione standard universalmente validi: la valutazione di un argomento non può avvenirealtro che contestualmente e ad opera degli interlocutori coinvolti.11

In risposta si osserva che tener conto delle emozioni e delle inclinazioni degli interlocutori è un’attività troppo complessa perfino per gli interlocutori stessi: includere tale attività tra i compiti di chi ricostruisce e valuta un argomento vanificherebbe ogni possibilità di riuscita o almeno ogni verifica intersoggettiva del risultato. Per non perdere capacità normativa una teoria dell’argomentazione dovrebbe allora prescindere almeno dalle componenti emozionali non generalizzabili. La teoria dell’argomentazione è rinata nel Novecento12 a partire da una serie di critiche all’idea che un argomento

9 Si tratta di una connotazione ambigua, il cui significato preciso può essere inteso soloall’interno di ciascun filone di ricerca, ma che esprime chiaramente l’aspirazione normativa della maggioranza delle teorie dell’argomentazione contemporanee: non si tratta soltanto o tanto di descrivere il reale svolgimento dell’attività argomentativa in un dato contesto quanto di determinare un insieme di modelli e di regole sufficientemente generali da poteressere usati per analizzare, ricostruire o valutare ogni possibile argomento. 10 Cfr. A. DAMASIO, Descartes’ Error. Emotion, Reason and the Human Brain, Avon Books, New York; trad. it. L’errore di Cartesio, Adelphi, Milano, 1995. 11 M. A. GILBERT, Coalescent Argumentation, New Jersey, Lawrence Erlbaum Associates, 1997. 12 La teoria dell’argomentazione, dal punto di vista del contenuto e dei problemi che affronta, non è una disciplina nuova: essa ha avuto origine nella pratica sofistica, nelladialettica socratico-platonica, nella logica aristotelica (non solo nella sillogistica, ma anche e soprattutto nella topica e nella retorica) e ha conosciuto uno sviluppo sistematico nella retorica romano-ellenistica. Tuttavia in senso tecnico il termine “teoria

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debba essere razionale in senso cartesiano, caratterizzato cioè da evidenza assoluta, necessità, validità logica. Anziché abbandonare il concetto di razionalità, diversi filoni di ricerca hanno preferito adottarne una versione indebolita, generalmente ottenuta attraverso un ampliamento dell’ambito diapplicazione e un indebolimento dei requisiti. Perelman distinguel’argomentazione persuasiva, che ha l’obiettivo di essere accettabile per un uditorio particolare, dall’argomentazione convincente che ha la pretesa diottenere l’adesione di qualunque essere ragionevole. Nella teoria pragma-dialettica di van Eemeren un argomento è razionale quando ha comeobiettivo il raggiungimento di un accordo tra i partecipanti e a tal fine rispetta alcune regole ispirate alla metodologia falsificazionista popperiana e finalizzate a mettere in evidenza i punti deboli di una tesi per favorirne la confutazione e il miglioramento. Nella logica informale la razionalità è intesa come bontà, vale a dire accettabilità, di un argomento: la razionalità può comprendere elementi logici (validità del nesso e correttezza del contenuto) ma anche solo elementi pragmatici (forza persuasiva, rilevanza delle premesse per la conclusione, conformità a standard normativi validi per un certo contesto o per un certo uditorio).

1.2. Che cos’è un argomento? Un argomento è, come si è detto in prima approssimazione, una

costellazione di proposizioni usata da un interlocutore con un obiettivo preciso: la giustificazione o la refutazione di un punto di vista. Diverso può essere il fine ultimo dell’argomento, ad esempio la persuasionedell’uditorio, la ricerca della verità, la difesa da un attacco dell’interlocutore, la soluzione di un disaccordo; comune è tuttavia il fine immediato: difendere o confutare con “buone ragioni” un punto di vista.

dell’argomentazione” denota un filone di ricerche ben più recente, nato negli anniCinquanta dalla nuova retorica di Chaïm Perelman e dai lavori di Stephen Toulmin. Tra lericerche novecentesche che hanno fornito contributi rilevanti alla teoria dell’argomentazione ricordiamo 1) la logica dialogica della scuola di Erlangen diretta daPaul Lorenzen, 2) la dialettica formale di Else Barth e di Erik Krabbe, 3) i sistemi dialetticidi Charles Hamblin, 4) la logica conversazionale di Grice e la teoria degli atti linguistici di Austin e di Searle, 5) il movimento sviluppatosi negli Stati Uniti con il nome di CriticalThinking e impegnato in una ristrutturazione dell’insegnamento nelle università americane negli Anni Settanta, 6) la tradizione anglosassone dell’Informal Logic, alla quale appartengono tra gli altri Copi e Cohen, Johnson e Blair, Johnstone, Rescher, Fogelin, Pinto, Finocchiaro, Woods, 7) i giochi dialogici di Jaakko Hintikka, 8) la teoria dell’agire comunicativo di Jürgen Habermas e quella dell’argomentazione interculturale di Wohlrapp,9) la Pragma-Dialectics della scuola olandese di Frans van Eemeren e Rob Grootendorst,ispirata al razionalismo critico di Popper e finalizzata allo studio dell’argomentazione per risolvere le divergenze di opinione, 10) la New Dialectic di Walton e la teoria del ragionamento interpersonale di Walton e Krabbe. Per un’introduzione alle teoriedell’argomentazione del secondo Novecento si veda P. CANTÙ - I. TESTA, Teoriedell’argomentazione. Un’introduzione alle logiche del dialogo, Bruno Mondadori, Milano, 2006.

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Perché una costellazione qualunque di proposizioni costituisca un argomento occorre che sussista un particolare tipo di collegamento tra le proposizioni: alcune proposizioni fungono da ragioni a sostegno di una proposizione che esprime il punto di vista che si vuole difendere.

Un tipo di argomento familiare è il sillogismo aristotelico: “se ogni uomo è animale e se ogni animale è mortale, allora ogni uomo è mortale”. L’argomento non è una semplice lista di proposizioni o affermazioni: ogni uomo è animale; ogni animale è mortale; ogni uomo è mortale. Perché questa lista di proposizioni diventi un argomento occorre aggiungere le parole: ‘se’, ‘ne segue necessariamente che’, cioè occorre stabilire un nesso, un collegamento tra le proposizioni. Nel caso citato il nesso esprime il fatto che quando sono vere le proposizioni “ogni uomo è animale” e “ogni animale è mortale”, è sempre vera anche la proposizione “ogni uomo èmortale”. In altre parole, non si dà mai il caso che siano vere le prime due proposizioni e che sia invece falsa la terza. Ciò è dovuto alla presenza del termine medio Animale che compare come predicato nella premessa maggiore e come soggetto nella premessa minore.

Conseguenza logica. Diremo che l’ultima proposizione segue necessariamente dalle prime due. Le prime due proposizioni vengono anche dette premesse e l’ultima proposizione viene detta conclusionedell’argomento. Diremo dunque che nel sillogismo la conclusione segue necessariamente dalle premesse. Le premesse di un argomento hanno la funzione di fornire ragioni, prove, dati, fatti a difesa della conclusione; la conclusione è la tesi o affermazione che vogliamo difendere. Diremo in generale che una costellazione di proposizioni costituisce un argomento quando è possibile individuare in essa una o più premesse ed una conclusione che segue dalle premesse, intendendo con ciò che le premesse sono ragioni a sostegno della conclusione. Non sempre in un argomento il nesso è strettamente necessario come nel caso del sillogismo in questione e non sempre le premesse sono due.

Ad esempio è un argomento il seguente: “Luca è un cittadino italiano; infatti è nato a Milano da genitori italiani.” Poiché generalmente tutti sanno che Milano è in Italia e poiché gli uomini nati da genitori italiani sul suolo italiano generalmente sono cittadini italiani, la premessa fornisce un buon supporto alla conclusione, anche se il nesso tra di esse non è necessario. Infatti Luca potrebbe aver cambiato cittadinanza ed essere divenuto cittadino americano. Per conseguenza intendiamo dunque qui in generale il legame tra la ragione che si avanza a sostegno di qualcosa e il qualcosa che così si intende giustificare.

1.3. Che forma può avere un argomento? La forma sillogistica. Nel caso del sillogismo aristotelico introdotto in

precedenza, abbiamo evidenziato alcune parole che servono a trasformare una lista di proposizioni in un argomento: se, ne segue necessariamente che.

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Se ricordiamo che le premesse servono a fornire ragioni per la conclusione, possiamo riconoscere le premesse di un argomento per mezzo di ogni espressione linguistica che indichi la ragione: poiché, giacché, dato che, infatti, perché, ecc. Chiameremo queste parole marcatori delle premesse. Analogamente, ricordando che nel sillogismo la conclusione è ciò che segue necessariamente dalle premesse, possiamo riconoscere la conclusione di un argomento per mezzo di ogni espressione linguistica che indichi una conseguenza: dunque, quindi, di conseguenza, perciò, allora, ecc. Chiameremo queste parole marcatori della conclusione.13

Gli argomenti possono essere espressi da molte notazioni linguistiche diverse; è utile pertanto introdurre una forma standard in cui presentare gli argomenti, in modo da riconoscere più facilmente gli argomenti che hanno la stessa forma. Per convenzione stabiliamo di adottare la seguente forma:

ogni uomo è animale ogni animale è mortale _________________ ogni uomo è mortale Le premesse o ragioni dell'argomento sono elencate al di sopra della

linea, mentre la conclusione è posta al di sotto della linea, che si legge ‘dunque’ e indica il nesso tra le premesse e la conclusione. La forma standard sopra indicata è mutuata dalle convenzioni grafiche utilizzategeneralmente per indicare la conseguenza logica: proprio per questo taleforma è prevalente nelle tradizioni di teoria dell’argomentazione che prendono il nome di logica informale e che consistono, per dirla in maniera

13 Il sillogismo aristotelico “se ogni uomo è animale e se ogni animale è mortale, segue necessariamente che ogni uomo sia mortale” può essere espresso nei seguenti modi, tuttiequivalenti: a) poiché ogni uomo è animale e ogni animale è mortale, ogni uomo è mortale; b) giacché ogni uomo è animale e ogni animale è mortale, ogni uomo è mortale; c) dato cheogni uomo è animale e ogni animale è mortale, ogni uomo è mortale; d) ogni uomo è mortale, infatti ogni uomo è animale e ogni animale è mortale; e) ogni uomo è mortale, perché ogni uomo è animale e ogni animale è mortale; f) ogni uomo è animale e ogni animale è mortale, dunque ogni uomo è mortale; g) ogni uomo è animale e ogni animale è mortale, quindi ogni uomo è mortale; h) ogni uomo è animale e ogni animale è mortale, diconseguenza ogni uomo è mortale; i) ogni uomo è animale e ogni animale è mortale, perciòogni uomo è mortale; l) ogni uomo è animale e ogni animale è mortale, allora ogni uomo è mortale. Si noti però che non sempre le espressioni linguistiche evidenziate in corsivo sonomarcatori degli elementi di un argomento! Talvolta nella lingua italiana le stesse espressioni sono usate per indicare rapporti di successione temporale o causale piuttostoche per esprimere una conseguenza logico-argomentativa. Ad esempio, “Dato che si fa serae ho fame, preparami la cena” oppure “ Il pesce uscì dall’acqua e nuotò un istante amezz’aria, quindi si tuffò in mare” o ancora “E quindi uscimmo a riveder le stelle” (DANTE, Inf. 34, 139).

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molto approssimativa, in un’estensione della logica all’analisi e alla valutazione degli argomenti presenti nel discorso ordinario.14

La forma procedurale. Altre forme di argomentazione sono proposte da correnti teoriche distinte: non potendo analizzare qui le diverse alternative,ci limitiamo ad introdurre la forma procedurale di Toulmin, desunta dal contesto giuridico piuttosto che da quello scientifico-dimostrativo tipico del sillogismo. Sulla base dell’analogia con i processi giudiziari Toulmin individua in The Uses of Argument alcune fasi di sviluppo comuni a tutti gli argomenti: la presentazione del problema, la considerazione di possibili soluzioni, l’analisi del rapporto tra queste soluzioni e le informazioni in nostro possesso, la determinazione di una soluzione considerata necessaria oppure almeno preferibile rispetto alle altre per mezzo dell’esclusione delle soluzioni ritenute impossibili o improbabili.15 L’individuazione di queste fasi non varia, secondo Toulmin, sia che l’argomento appartenga all’etica, alla fisica o alla filosofia. A differenza dei criteri di valutazione, che possono variare a seconda del campo di applicazione, l’individuazione delle fasi citate è secondo Toulmin invariante rispetto al campo considerato (field-independent).

Per Toulmin analizzare la forma di un argomento significacaratterizzare le proposizioni che lo compongono in base alla funzione che svolgono: una conclusione (claim), dei dati che danno il diritto di trarre quella conclusione (data), una garanzia ossia una regola che autorizza il passaggio da quei dati alla conclusione (warrant), un sostegno per tale garanzia, ovvero dei dati che la supportano (backing), un qualificatore che esprime il grado di forza che i dati conferiscono alla conclusione in virtù della garanzia (qualifier), particolari condizioni nelle quali l’inferenza daidati alla conclusione non è valida (rebuttal).

14 Alla fine degli anni Settanta il termine ‘logica informale’ era usato in netta contrapposizione alla logica formale, per ricordare che la nuova logica si occupava del linguaggio naturale anziché dei linguaggi artificiali e perché l’argomento era inteso noncome catena inferenziale bensì come attività sociale dialettica. Molti teorici recenti hanno però abbandonato questa contrapposizione e ritengono, come ad esempio Trudy Govier, che logica formale e informale siano in un certo senso complementari, perché la prima si occupa di argomenti formali e la seconda di argomenti naturali. Cfr. T. GOVIER, A PracticalStudy of Argument, Wadsworth, Belmont (Calif.), 1985. Per altri autori, quali Jaakko Hintikka, l’espressione stessa ‘logica informale’ è un ossimoro: la ‘dialettificazione’ e la ‘pragmatizzazione’ della logica deduttiva classica possono essere attuate sempre e soltanto mediante una adeguata formalizzazione, seppur diversa da quella usuale. Cfr. J. HINTIKKA, “The Role of Logic in Argumentation”, The Monist, 1989, LXXII, n. 1, p. 4.15 Cfr. S. TOULMIN, The Uses of Argument, Cambridge, England, 1958, trad. it. Gli usidell’argomentazione, Rosenberg & Sellier, Torino, 1975

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D ------------------------------------------- Dunque, Q, C | | Poiché W A meno che R | Sulla base di B

Si consideri il seguente esempio di argomento esposto in formaprocedurale:

Harry è un uomo nato alle Bermuda (D) dunque, presumibilmente (Q)Harry è cittadino britannico (C) poiché un uomo nato nelle Bermuda è generalmente un cittadino britannico (W) sulla base dell’Atto XY del Parlamento e di altri provvedimenti legali che stabiliscono la nazionalità di chi nasce nelle colonie britanniche (B) a meno che sia naturalizzato americano (R)

Questi brevi cenni sulla forma di un argomento mostrano come laricostruzione di un argomento possa essere diversa a seconda della forma argomentativa adottata come modello: ne consegue che anche la bontà degli argomenti è fortemente condizionata dal modello strutturale adottato. Consideriamo il seguente esempio: “Se il cittadino italiano X è condannato ad una pena carceraria di 3 anni, allora il cittadino X resta in carcere almeno un anno.” Se assumiamo come modello strutturale il sillogismo, allora l’argomento può essere considerato valido per la maggioranza dei casi manon per tutti. Supponiamo che il cittadino X abbia invece ottenuto su richiesta del proprio avvocato gli arresti domiciliari: dalla premessa (la condanna al carcere per 3 anni) non segue la conclusione (la permanenza in carcere per almeno un anno). In questo caso – giuridico, appunto – il ricorso al modello strutturale di Toulmin permette di generalizzare la validitàdell’argomento anche ai casi che fanno eccezione per mezzo dell’aggiunta di una o più clausole di rebuttal: ad esempio “a meno che il cittadino abbia ottenuto gli arresti domiciliari”.

Anche ammesso che vi sia accordo sul modello procedurale più idoneo, il procedimento stesso con cui ‘si mette in forma’ un argomento non è innocuo: si tratta della questione dell’interpretazione e della ricostruzione dell’argomento. Spesso nel linguaggio naturale alcune premesse o alcuneproposizioni che sono ragioni per la conclusione sono lasciate implicite: quali regole occorre allora adottare per esplicitare ciò che non viene detto? Si deve ricorrere al contesto, alle intenzioni inespresse dei parlanti, alle

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implicature conversazionali dei loro discorsi?16 Si tratta di un problemacentrale in teoria dell’argomentazione, che qui non possiamo analizzare in dettaglio: tale problema spiega però in maniera significativa il ruolo della componente teorica nell’operazione di analisi, ricostruzione e valutazione degli argomenti naturali. Poiché tale procedura non è unica ma varia da teoria a teoria, diversi possono essere anche gli standard valutativi adottati.

1.4. Come distinguere tra buoni e cattivi argomenti? Si è accennato che in logica formale la distinzione tra argomenti buoni

e argomenti cattivi concerne il nesso tra premesse e conclusione: se talenesso è necessario, l’argomento è valido. In particolare esso è anche corretto se, come nel sillogismo scientifico aristotelico, le premesse sono vere. Numerosi argomenti che non sono validi appaiono tuttavia accettabili a chi argomenta. La validità logica è allora solo uno dei possibili criteri di valutazione dell’accettabilità di un argomento. Un buon prospetto sinteticodei diversi criteri di valutazione è suggerito da Charles Hamblin.17

Un primo gruppo di criteri, detti aletici, concerne la veridicitàdell’argomento. Un argomento è buono se: 1) le premesse sono vere; 2) la conclusione è implicata dalle premesse; 3) la conclusione segueragionevolmente e immediatamente dalle premesse; 4) le premesse non enunciate esplicitamente sono di uno specifico tipo che si può omettere.

Un secondo gruppo di criteri, detti epistemici, concerne l’atteggiamento epistemico degli interlocutori nei confronti dell’argomento; perché un argomento sia considerato buono occorre che 1) le premesse siano note ai parlanti come vere; 2-3) la conclusione segua in maniera chiara dalle premesse; 4) se alcune premesse non sono enunciate esplicitamente, esse siano di uno specifico tipo che può essere dato per scontato dai parlanti; 5) la conclusione sia tale da venir messa in discussione se priva dell’argomento a sostegno.

16 Un’implicatura conversazionale si ha ogniqualvolta un parlante trasmette alcuneinformazioni senza però comunicarle esplicitamente: la trasmissione dell’informazioneavviene perché i parlanti condividono le quattro regole conversazionali (cfr. sopra nota 5). Per esempio, se a qualcuno che mi chiede dove abita una certa persona, rispondo che abitada qualche parte in Toscana, io sto comunicando implicitamente che non so esattamente dove quella persona abiti, perché altrimenti avrei violato nella mia risposta la regola dellaquantità (avrei fornito meno informazione di quella richiesta). Se invece a una personaferma accanto a un’automobile in sosta senza benzina rispondo che dietro l’angolo c’è ungarage, è probabile che io voglia comunicare implicitamente che io suppongo che il garagevenda benzina e sia aperto, altrimenti violerei la norma della pertinenza. Un’implicatura conversazionale dunque si ha quando l’affermazione p del parlante A implica che A sappiao creda o sia disposto ad affermare anche q, quando cioè l’affermazione di p implica latrasmissione dell’informazione aggiuntiva contenuta in q. Cfr. P. GRICE, op. cit. p. 65 e ss. 17 Cfr. Ch. L. HAMBLIN, Fallacies, Meuthen & Co., London, 1970.

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Un terzo gruppo di criteri, detti probabilistici, concerne la probabilità delle premesse e della conclusione che da esse viene tratta. Tali criteri sonoanaloghi ai criteri epistemici, tranne che per i punti 1 e 5, così riformulabili: occorre che 1) le premesse siano ragionevolmente probabili; 5) laconclusione sia tale da essere, a priori, meno probabile delle premesse.

Un ultimo gruppo di criteri, detti dialettici, concerne l’accettabilità dell’argomento da parte dei parlanti. Perché un argomento sia considerato buono occorre che: 1) le premesse siano accettate dai parlanti; 2-3) il passaggio dalle premesse alla conclusione sia di un tipo accettato dai parlanti; 4) se alcune premesse non sono enunciate esplicitamente, esse siano di uno specifico tipo che è accettato dai parlanti; 5) la conclusione sia tale da non venire accettata, se priva dell’argomento a sostegno.

Se si adottano, come avviene nella quasi maggioranza delle teorie più recenti dell’argomentazione, l’ultimo gruppo di criteri, cioè i criteri dialettici, come è possibile valutare effettivamente la bontà di un argomento? È possibile procedere in due modi: fornendo una teoria in positivo degli argomenti buoni, per esempio indicando alcuni schemi di argomento accettabili, oppure fornendo ex negativo una teoria degli argomenti fallaci, per esempio indicando alcuni schemi di argomento non accettabili. Nel seguito vedremo alcuni schemi accettabili e alcuni scheminon accettabili, in modo da comprendere entrambi i procedimenti. Il concetto di accettabilità (non accettabilità) deve essere distinto dal concetto di efficacia (inefficacia): un argomento può avere efficacia persuasiva e tuttavia non essere accettabile. L’accettabilità deve essere valutata alla luce dei criteri di valutazione adottati, mentre l’efficacia può essere valutata pragmaticamente in relazione all’effetto persuasivo sull’uditorio. Si pensi ad esempio ad un argomento basato su una minaccia: esso è persuasivo nella misura in cui induce qualcuno a fare qualcosa ma non è accettabile perché l’interlocutore non è stato convinto da ragioni ma spinto ad una determinata azione dalla paura.18

1.5. Che cos’è una teoria dell’argomentazione? Una teoria dell’argomentazione è una disciplina che si occupa dello

studio dell’argomentazione, intesa come attività sociale dialettica in cui sono prodotti e avanzati nel dialogo argomenti, cioè costellazioni di proposizioni collegate tra loro da particolari nessi di conseguenza, finalizzati a portare ragioni a sostegno di un punto di vista controverso. Il

18 Si noti che per chi include le componenti emozionali tra le parti essenziali di un’attività argomentativa, un argomento basato sulla violenza può essere al limite anche accettabile (si pensi all’argomento di un adulto che minaccia il figlio per dissuaderlo da un comportamento pericoloso), mentre per chi rifiuta che le emozioni possano contribuire al corretto ragionare gli argomenti basati sulla paura non possono nemmeno essere definiti‘argomenti’.

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punto di partenza è la ricostruzione degli argomenti stessi, che devono essere messi in forma per poter essere valutati: la prima fase di una teoria dell’argomentazione concerne quindi la ricostruzione degli argomenti, eventualmente mediante l’esplicitazione di elementi impliciti o inespressi, el’analisi della loro struttura (per esempio premesse-conclusione nella forma sillogistica o data-claim-warrant-qualifier-backing-rebuttal nella forma procedurale di Toulmin). Quando l’argomento è stato ricostruito (messo in forma) e la sua struttura è stata analizzata, una teoria dell’argomentazione deve procedere alla valutazione dell’argomento stesso secondo determinati criteri di valutazione, ricorrendo o ad un confronto con gli schemiargomentativi accettabili o ad un confronto con gli schemi argomentativi non accettabili, cioè con le fallacie.

Qual è la differenza rispetto alla logica tradizionale? A differenza della logica tradizionale, lo studio dell’argomentazione è uno studio intrinsecamente interdisciplinare. Nella fase di ricostruzione e di analisi della struttura di un argomento sono necessarie competenze di pragmatica (per esempio l’applicazione della teoria delle implicature conversazionali o della teoria degli atti linguistici), di linguistica (la conoscenza delle regole grammaticali e sintattiche di una lingua naturale), di teoria della comunicazione (ad esempio la conoscenza delle regole di alternanza dei turni nel dialogo), di sociologia ed etnometodologia (conoscenze relative alla struttura di determinati contesti linguistici, delle relative regole e dei rispettivi scopi). Nella fase di valutazione di un argomento, oltre alle citate competenze, sono necessarie anche conoscenze di psicologia (per esempio la conoscenza dei biases o errori di ragionamento), di retorica (la conoscenza delle tecniche di persuasione o di alcuni schemi argomentativi fallaci), di logica (la conoscenza di alcuni schemi argomentativi validi), ecc.

Qual è il ruolo della filosofia in una teoria dell’argomentazione? Da quanto si è detto fin qui si evince che la teoria dell’argomentazione comprende due aspetti tra loro intrecciati e fondati l’uno sull’altro: una componente descrittiva e una componente normativa. Ogni teoria dell’argomentazione si propone infatti da un lato di descrivere l’attività argomentativa propria del linguaggio naturale, dall’altro di fornire unavalutazione alla luce di opportuni standard normativi. Neppure è possibile separare una fase esclusivamente descrittiva da una fase esclusivamente normativa della teoria: infatti la fase dell’analisi e della ricostruzione degli argomenti, benché apparentemente descrittiva, è in realtà ancorata all’individuazione preliminare di opportune forme e strutture degli argomenti; viceversa la fase della valutazione degli argomenti è fondata sul confronto con schemi argomentativi ottenuti per astrazione da casi di argomentazione naturale effettivamente osservati e dunque è strettamente intrecciata ad un’attività descrittiva dell’argomentazione. La componente normativa della teoria dell’argomentazione acquista significato soltanto

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all’interno di un quadro teorico di riferimento, che varia da autore ad autore e che si innesta in un preciso orientamento filosofico. Con ciò intendo diredue cose: da un lato il quadro normativo adottato dallo studioso dell’argomentazione è una conseguenza della sua visione filosofica generale del mondo; dall’altro un orientamento filosofico di fondo è condiviso dai parlanti stessi quando argomentano tra loro. Non potendo qui entrare in dettaglio, mi limito a fornire un paio di esempi dai quali spero risultino chiare entrambe le asserzioni.

a) Negli anni Cinquanta Chaim Perelman19 ha ridato vigore agli studi di teoria dell’argomentazione proponendo di analizzare, descrivere e classificare gli argomenti del linguaggio naturale e adottando come criterio di valutazione l’efficacia persuasiva degli argomenti rispetto all’uditorio al quale sono rivolti. Il quadro normativo proposto da Perelman può essere compreso solo all’interno di una prospettiva filosofica più ampia incentratasulla “rottura rispetto a una concezione della ragione e del ragionamento, nata con Descartes, che ha improntato di sé la filosofia occidentale degli ultimi tre secoli” e che Perelman giudica come “una limitazione indebita e del tutto ingiustificata del campo in cui interviene la nostra facoltà di ragionare e di provare”. Una concezione filosofica di che cosa si debba intendere per ragione e per ragionamento umano è dunque essenziale nella teoria di Perelman sia in quanto è all’origine del criterio di valutazione adottato sia in quanto ne è la chiave interpretativa fondamentale.

b) In anni più recenti si è sviluppata la teoria pragmatico-dialettica, che propone una ricostruzione dialogica degli argomenti in accordo con le teorie pragmatico-linguistiche e una valutazione degli argomenti alla luce di un modello normativo di impronta dialettico-popperiana.20 Un argomento è buono secondo la pragma-dialettica se è conforme a un insieme di regole (dette ‘i 10 comandamenti’) che disciplinano diritti e doveri dei parlanti nell’avanzare e nel difendere il proprio punto di vista e nell’attaccare il punto di vista dell’interlocutore. Le regole sono formulate al fine di garantire la realizzazione di un ideale teorico di argomentazione intesa come discussione critica che permetta di prendere decisioni fondate attraverso un’analisi intersoggettiva di punti di vista contrastanti. Il quadro normativo è costruito in modo da garantire la realizzazione di un ideale teorico ispirato alla filosofia popperiana: un argomento è tanto migliore quanto più èformulato in maniera attaccabile (falsificabile), cioè quanto più esibisce anziché nascondere i punti deboli della tesi e quanto più si fa carico di produrre ragioni a sostegno di essa anziché limitarsi a scaricare sull’interlocutore l’onere della prova. L’ideale di stampo popperiano di

19 Cfr. C. PERELMAN, L. OLBRECHTS-TYTECA, op. cit.20 Cfr. F. H. VAN EEMEREN, R. GROOTENDORST, Argumentation, Communication, andfallacies. A Pragma-Dialectical Perspective, Lawrence Erlbaum Associates, Hillsdale(N.J.), 1992.

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un’argomentazione che serva a verificare intersoggettivamente la validità di una certa tesi è all’origine della formulazione dei dieci comandamenti e nello stesso tempo ne fornisce la chiave interpretativa: solo gli interlocutori che riconoscano di comune accordo che il fine della discussione non è la difesa della propria tesi, ma il miglioramento della conoscenza attraverso una verifica comune della validità di una data tesi partecipano a pieno titolo alla discussione critica. Per questa ragione l’orientamento filosofico generale fonda il quadro normativo sia nella prospettiva del teorico che analizza, ricostruisce e valuta gli argomenti, sia nella prospettiva del partecipante al dialogo, che eventualmente può coincidere con il teorico stesso.

Chi deve giudicare della correttezza di un argomento? Un altroproblema spinoso di ogni teoria dell’argomentazione riguarda il ruolo del giudice, di chi cioè è deputato a valutare gli argomenti. Chi incarna tale ruolo? Colui che argomenta? L’interlocutore? L’uditorio reale? Un uditorio ideale? Ad esempio, nella nuova retorica di Perelman il compito del giudizio è affidato all’uditorio reale nel caso di argomentazioni persuasive ead un uditorio ideale nel caso di argomentazioni convincenti, mentre per Toulmin il giudizio è compito del logico esperto nel campo in questione: Toulmin infatti propone delle regole di accettabilità di un argomento che variano da un campo disciplinare all’altro (diverse sono per esempio le regole in un dibattito giuridico e in una discussione filosofica). Secondo molti autori di logica informale sono invece i parlanti stessi a giudicare l’accettabilità di un argomento.

2. SCHEMI DI ARGOMENTO

2.1 Gli argomenti deduttivi Le diverse tipologie di argomento sono state spesso classificate in

logica informale per mezzo del rispettivo grado di accettabilità. Gli argomenti deduttivi o logici sono caratterizzati dalla validità logica edunque dalla necessità del nesso che lega le premesse alla conclusione: in una deduzione o dimostrazione non è mai possibile che la conclusione siavera e che le premesse siano false. Spesso le deduzioni hanno un’ulteriore caratteristica: servono a derivare conclusioni generali da premesse generali. Ad esempio dalle proprietà del triangolo rettangolo (cioè di tutti i triangoli rettangoli) si deriva la proprietà espressa dal teorema di Pitagora e cioè che la somma dei quadrati costruiti sui cateti è uguale al quadrato costruito sull’ipotenusa.

Siano A, B, C lettere che denotano proposizioni. Il ragionamento deduttivo si basa su alcune regole per connettere premesse e conclusioni. Tali regole costituiscono schemi di ragionamento valido. Tra le regole ci limitiamo qui a considerare l’introduzione della congiunzione, la

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transitività, la regola sillogistica, il Modus Ponendo Ponens, il Modus Tollendo Tollens, la riduzione all’assurdo.

� Introduzione della congiunzione A B

____ A e B

� TransitivitàSe A allora B Se B allora C

________________ Se A allora C

� Regola sillogistica. Assumendo che PaS si legga “Tutti gli S sono P”, PeS si legga “Nessun

S è P”, PiS si legga “Qualche S è P”, PoS si legga “Qualche S non è P”, si hanno le seguenti regole:

P a M P e M P e M P a M M a S M i S M a S M i S _____ _____ _____ _____ P a S P o S P e S P i S Secondo il primo schema possiamo argomentare che gli artropodi21

sono organismi pluricellulari. Tutti gli invertebrati (M) sono organismi pluricellulari(P) P a M Tutti gli artropodi (S) sono invertebrati (M) M a S _______________________________________________________ Tutti gli artropodi (S) sono organismi pluricellulari (P) P a S Analogamente, seguendo il secondo schema potremmo argomentare

che qualche cittadino non è onesto perché qualche cittadino fa il politico e nessun politico è onesto. Secondo il terzo schema argomenta chi dice che se i mammiferi non depongono le uova allora nemmeno i cavalli lo fanno, dato che i cavalli sono mammiferi. Secondo il quarto schema, infine, argomentiamo se asseriamo che alcuni pazienti psichiatrici non sono condannabili per certi reati perché alcuni di essi sono incapaci di intendere e di volere e chi è incapace di intendere e di volere non è condannabile.

21 Gli artropodi comprendono tra gli altri il centopiedi, il granchio, l’aragosta.

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� Il Modus Ponendo Ponensse A allora B Se il papa muore, il conclave dei cardinali si riunisce per

nominare il successore A Il papa è morto _________________________________________________________ B Il conclave dei cardinali si riunisce per nominare il

successore

� Il Modus Tollendo Tollens se A allora B Se nessuno dei candidati vince al primo turno, si va

al ballottaggio non B Non si va al ballottaggio _______________________________________________________ non A Uno dei candidati ha vinto al primo turno

� La riduzione all’assurdo A

se non B allora C e non C _____________________

B Nonostante il nome reductio ad absurdum, la riduzione all’assurdo non

è uno strumento per confutare una tesi ma un metodo logico-deduttivo perportare ragioni a favore di una tesi. Supponiamo di voler dimostrare la tesi B e di non disporre di un argomento a sostegno di B. Assumiamo una qualche premessa A (o più di una) che riteniamo vera, quindi neghiamo B cercando di mostrare che da ciò deriva una contraddizione (C e non C): avremo così mostrato che la tesi B non può essere negata e dunque, per il principio del terzo escluso (o è vera X o è vera non X), che poiché B non può essere falsa allora B è vera. Due sono i principi fondamentali in una riduzione all’assurdo: a) una proposizione che implica contraddizione è falsa; b) se la negazione di una proposizione è falsa, la proposizione in questione è vera. Si noti che qualora non fosse garantita la verità di A, la riduzione all’assurdo sarebbe soltanto relativa, cioè si limiterebbe a mostrare che non posso mai assumere insieme A e non B, pena contraddizione, ma non escluderebbe in assoluto la verità di non B e dunque non potrebbe dimostrare in assoluto la verità di B.

Una forma più generale della reductio ad absurdum potrebbe essere: Se A e non B allora C e non C __________________________

se A allora B

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Supponiamo ad esempio di voler dimostrare per assurdo che “l’intervento dei soldati americani in Iraq è un’azione di guerra, dato che i soldati hanno effettuato bombardamenti aerei”: useremo anche le regole Modus Ponendo Ponens e Introduzione della congiunzione.

(A) I soldati americani in Iraq hanno effettuato bombardamenti aerei

(Se A allora C) Se i soldati americani in Iraq hanno effettuato bombardamenti aerei, allora i soldati americani in Iraq hanno un ingaggio che permette l’attacco anche in casi in cui non è dimostrata la necessità diautodifesa

[Modus Ponens tra (A) e (Se A allora C)]_________________________________________________________ (C) I soldati americani in Iraq hanno un ingaggio che

permette l’attacco anche in casi in cui non è dimostrata la necessità di autodifesa

(non B) I soldati in Iraq non sono impegnati in un’azione di guerra

(Se non B allora non C) Se i soldati in Iraq non sono impegnati in un’azione di guerra allora i soldati americani in Iraq non hanno un ingaggio che permette l’attacco anche in casi in cui non è dimostrata la necessità diautodifesa

[Modus Ponens tra (non B) e (Se non B allora non C)]_________________________________________________________ (non C) I soldati americani in Iraq non hanno un ingaggio

che permette l’attacco anche in casi in cui non è dimostrata la necessità di autodifesa

[Introduzione congiunzione tra (C) e (non C)]_________________________________________________________ (C e non C) I soldati americani in Iraq hanno e non hanno un

ingaggio che permette l’attacco anche in casi in cui non è dimostrata la necessità di autodifesa

[Riduzione all’assurdo]_________________________________________________________ (B) I soldati in Iraq sono impegnati in un’azione di

guerra. Si è così dimostrato che la proposizione (B) non può essere negata

qualora si accettino contemporaneamente come vere le premesse (A), (Se A allora C) e (Se non B allora non C). Mentre (A) è una premessa che riguarda

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un fatto, le altre due premesse stabiliscono cosa si debba intendere rispettivamente per bombardamento aereo e per azione militare di guerra.

Gli entimemi. Molti argomenti del linguaggio ordinario non si presentano in una veste deduttiva esplicita: spesso una sola premessa èformulata esplicitamente. Alcuni teorici dell’argomentazione ritengono chesia possibile e opportuno esplicitare le premesse mancanti che in certi casi rimangono implicite nell’argomentazione, ad esempio perché si ritiene che esse siano banalmente condivise da tutti i parlanti. Con l’integrazione di opportune premesse, la maggior parte degli argomenti può essere cosìtrasformata in forma deduttiva. Ecco due esempi tratti dal manuale di Copi e Cohen:22

a) “Una promessa fatta mentre qualcuno vi punta una pistola alla tempia non ha valore legale perché nessuno è vincolato da un impegno assunto in condizioni di violenza”. Aggiungendo la premessa implicita P2: “Unapromessa fatta mentre qualcuno vi punta una pistola alla tempia è un impegno assunto in condizioni di violenza”, l’argomento assume la formasillogistica:

(P1) un impegno assunto in condizioni di violenza non ha valore legale (P2) una promessa fatta sotto la minaccia di una pistola è un impegno

assunto in condizioni di violenza _________________________________________________________ (C) una promessa fatta sotto la minaccia di una pistola non ha valore

legale b) “Se questo è un capolavoro, io sono un mandarino cinese”. In questo

caso è implicita anche la conclusione C “Questo non è un capolavoro”. Per trasformare l’argomento in un Modus Tollendo Tollens è sufficiente aggiungere la premessa P2 “Io non sono un mandarino cinese”.

(P1) se questo è un capolavoro, io sono un mandarino cinese (P2) io non sono un mandarino cinese ____________________________________________________ (C) questo non è un capolavoro

2.2 Gli argomenti induttivi L’induzione, a differenza della deduzione non trasmette integralmente

la verità dalle premesse alle conclusione, ma costituisce una forma di inferenza probabile: nel caso dell’induzione non è sempre necessario che da due premesse vere discenda una conclusione vera, ma ciò è probabile. Distinguiamo due casi dell’induzione: l’induzione osservativo-scientifica,

22 Cfr. I. M. COPI, C. COHEN, Introduction to Logic, New York, McMillan, 1990, tr. it.Introduzione alla logica, Bologna, Il Mulino, 1999.

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che procede dall’osservazione di numerosi casi ad una conclusione più generale, e l’esempio, che procede da un solo caso per asserire una conclusione più generale. In verità, l’induzione può condurre anche a conclusioni particolari.

� Induzione per enumerazione semplice (epagoghé) Se una proprietà vale per un certo numero determinato di casi, allora

probabilmente vale per qualche altro caso dello stesso tipo (in formageneralizzante: per tutti i casi dello stesso tipo). Essere dello stesso tipo significa appartenere ad una stessa classe o categoria, avere alcune proprietà in comune, essere simili.

A1 ha la proprietà p A2 ha la proprietà p A3 ha la proprietà p

________________________________________ probabilmente A4 ha la proprietà p

(generalizzante: probabilmente ogni A ha la proprietà p) [ove A4 e A sono considerati essere dello stesso tipo di A1, A2, A3] Vediamo un esempio tratto dagli Analitici Primi di Aristotele (II, 68b).

“Se l’uomo, il cavallo e il mulo sono longevi e l’uomo, il cavallo e il mulo sono animali senza bile, allora gli animali senza bile sono longevi.” Si osservi che uomo, cavallo e mulo sono dello stesso tipo perché sono tutti animali senza bile. L’argomento procede così:

l’uomo ha la proprietà di essere longevo il cavallo ha la proprietà di essere longevo il mulo ha la proprietà di essere longevo ______________________________________ tutti gli animali senza bile sono longevi Nell’argomento per induzione, un solo controesempio è sufficiente a

invalidare l’argomento, come sanno bene il Tacchino induttivista di Popper e il Pollo di Russell: “Gli animali domestici si aspettano di ricevere il cibo quando vedono la persona che di solito gliene porge. Sappiamo che questa fiducia piuttosto sprovveduta nell’uniformità può indurre in errore. L’uomo da cui il pollo ha ricevuto il cibo per ogni giorno della propria vita gli tireràalla fine il collo, dimostrando che un’idea meno primitiva dell’uniformità della natura sarebbe stata utile all’animale.”23 Ben più accorto è il carabiniere anti-induttivista, la cui storia rielaboro qui traendo liberamente spunto da un esempio che ho sentito citare da Giulio Giorello: “Un giorno

23 B. RUSSELL, The Problems of Philosophy, Oxford University Press, Oxford, 1959, trad. it. I problemi della filosofia, Feltrinelli, Milano, 1988, pp. 74-75.

27RAGIONANDO CON T(H)E

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un carabiniere va a vedere Assassinio sul Nilo al cinema. Il giorno seguente torna ancora nello stesso cinema a vedere lo stesso film. Il giorno successivo la scena si ripete. Il quarto giorno, quando il carabiniere si avvicina alla cassa per comprare il biglietto, la cassiera, incuriosita, gli chiede: «Mi tolgauna curiosità: perché continua a venire a vedere sempre lo stesso film? E un film giallo poi! Che gusto c’è, se sa già come andrà a finire?». Risponde il carabiniere: «Voglio proprio vedere se anche questa volta il commissario Poirot catturerà l’assassino!».

� Induzione da un solo caso: esempio (paràdeigma)Se una proprietà vale per un caso rilevante o emblematico di una certa

classe di casi, allora probabilmente vale per tutti i casi dello stesso tipo. A1 ha la proprietà p

_________________________________________________ probabilmente A2 ha la proprietà p

(generalizzante: probabilmente tutti gli A hanno la proprietà p) [ove A2 e A sono considerati essere dello stesso tipo di A1 e inoltre A1

è considerato emblematico] Consideriamo un altro esempio aristotelico (Analitici Primi, II, 68b-

69a): “Poiché per i Tebani fu un male fare la guerra contro i Focesi, che erano loro confinanti, così per gli Ateniesi sarebbe un male fare la guerra contro i Tebani, che sono ugualmente loro confinanti.” Gli Ateniesi hanno una proprietà comune con i Tebani che li rende in qualche modo dello stesso tipo: intendono fare guerra a un popolo confinante (i Tebani ai Focesi, gli Ateniesi ai Tebani). Una proprietà valida per i Tebani (aver avuto conseguenze negative dalla guerra) può essere considerata probabile anche per gli Ateniesi.

I Tebani hanno subito conseguenze negative dalla guerra a un popolo confinante

________________________________________________________ Probabilmente anche gli Ateniesi subiranno conseguenze negative dalla

guerra a un popolo confinante

2.3 Gli argomenti causali Tra gli argomenti causali mi limito a ricordarne uno che trova numerose

applicazioni nella ricerca scientifica: l’inferenza alla miglior spiegazione, che ha la seguente forma:

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il fatto sorprendente C viene osservato se A fosse vero allora il fatto C avrebbe una spiegazione plausibile

____________________________________________________ c’è una ragione per sostenere A

Vediamo il seguente esempio: “Tornando a casa, scopro che il catenaccio della porta d’ingresso è rotto e che in casa mancano numerosi oggetti di valore; concludo che c’è stata una rapina, perché è l’unica spiegazione plausibile di ciò che vedo.” La conclusione dipende dalla mia convinzione che se ci fosse stata una rapina, ciò che ho osservato avrebbe una spiegazione plausibile. Tuttavia la spiegazione del fenomeno potrebbe essere diversa: potrebbe trattarsi dello scherzo o del dispetto di un vicino, ma potrebbe anche trattarsi di un’irruzione della polizia alla ricerca delle tracce di un pericoloso criminale che si supponeva fosse entrato in casa mia…

la serratura della porta è rotta e in casa mancano numerosi oggetti di valore

se ci fosse stata una rapina tutto ciò avrebbe una spiegazione plausibile ____________________________________________________ c’è una ragione per sostenere che c’è stata una rapina

2.4 Gli argomenti strutturali Gli argomenti strutturali si basano su alcune proprietà delle cose di cui

si parla. Il più noto e abusato argomento è l’analogia, che si basa sulla somiglianza tra certe proprietà degli oggetti per inferire ulteriori proprietà comuni:

l’oggetto A ha le proprietà p, q, ranche gli oggetti B,C e D hanno le proprietà p, q, rgli oggetti B, C e D hanno anche la proprietà x ________________________________________________________ probabilmente anche l’oggetto A ha la proprietà x Vediamo un esempio tratto dal Cratilo di Platone (387d-388a.): “SOCR.

Su, allora: ciò che bisogna tagliare, va tagliato, diciamo, con qualcosa? ERM. Sì. SOCR. E ciò che bisogna tessere, va tessuto con qualcosa? E ciò che bisogna perforare, va perforato con qualcosa? ERM. Certamente. SOCR. E finalmente ciò che bisogna nominare, va nominato con qualcosa? ERM. È così. SOCR. Ma che cos’è ciò con cui si deve perforare? ERM. Il trapano. SOCR. E ciò con cui tessere? ERM. La spola. SOCR. E ciò con cui nominare? ERM. Il nome. SOCR. Dici bene. Quindi anche il nome è uno strumento. ERM. Certamente.”

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Il nome ha la proprietà di essere ciò con cui si deve nominare anche il trapano è ciò con cui si deve perforare e la spola ciò con cui si

deve tessere il trapano e la spola sono degli strumenti ___________________________________ anche il nome è uno strumento

2.5 La ricostruzione degli argomenti. Osservazioni conclusive Questa breve presentazione di alcuni schemi di ragionamento che

ricorrono frequentemente nel discorso quotidiano e in quello scientifico rivela quanto sia delicato e difficile il compito di ricostruzione degli argomenti. È davvero possibile ricondurre tutti gli argomenti ad una forma deduttiva? In che misura possono essere utili o necessarie ulteriori informazioni relative al contesto dell’enunciazione o alla natura dei parlanti? Pur non affrontando in questa sede il problema, mi limito a ricordare che nelle elaborazioni teoriche recenti emergono posizioni divergenti a questo proposito, posizioni che oscillano da un monismo assoluto (esiste un’unica forma argomentativa: la forma deduttiva) ad un pluralismo più o meno ampio (oltre alla deduzione vi sono altre formeargomentative).

Monismo. Secondo la concezione monistica, ogni argomento del linguaggio naturale può essere ridotto ad un argomento deduttivo formalecon l’aggiunta di opportune premesse, la cui scelta può essere per esempio orientata ai criteri di un minimo logico e di un ottimo pragmatico.24

Consideriamo l’argomento: “Poiché Berlusconi è un politico, non ci si può fidare di lui”. Per trasformare questo entimema in un argomento posso aggiungere una premessa sufficiente da un punto di vista logico per argomentare secondo il Modus Ponens (seguendo il criterio del minimologico). Per esempio potrei aggiungere la premessa “Se Berlusconi è unpolitico, allora non ci si può fidare di Berlusconi”. Tenendo invece conto del presunto contesto di enunciazione, potrei ritenere che il parlante abbia lasciato implicita una premessa condivisa dai suoi interlocutori, e cioè il luogo comune “Non ci si può fidare dei politici”. Aggiungendo questa premessa seguo piuttosto il criterio dell’ottimo pragmatico.

Pluralismo. La maggior parte dei logici informali predilige però forme di pluralismo, nella convinzione che diverse forme di argomento siano accettabili: deduttive, induttive, abduttive, conduttive, per analogia, a priori,illative, ecc. Trudy Govier introduce per esempio l’argomento conduttivo e l’analogia a priori come allargamenti o liberalizzazioni del concetto di

24 Cfr. L. GROARKE, “Deductivism within Pragma-dialectics”, Argumentation, 13, n.1, pp.1-16.

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argomento deduttivo. Un argomento conduttivo si distingue da uno deduttivo perché: a) parecchi argomenti distinti possono apparire comepremesse; b) il gruppo delle premesse è aperto, cioè può essere esteso quando appare un nuovo argomento ed essere ridotto quando un argomento viene lasciato cadere; c) nell’argomento possono apparire non solo asserzioni a sostegno della conclusione ma anche obiezioni; d) la conclusione non è una conseguenza logica delle premesse, ma è raggiunta osservando che i pro pesano più dei contro.25

Pragmatizzazione. Pur non intendendo trattare qui questo tema, ricordo che ci sono altre posizioni che indeboliscono ulteriormente la componente logica degli argomenti a favore della componente pragmatica contestuale, emotiva, ecc… Per Michael Gilbert ad esempio gli argomenti possonoessere lineari e caotici, clinici o emozionali a seconda del grado di identificabilità del rapporto tra premesse e conclusioni e del grado di coinvolgimento emotivo dei parlanti.26 Per H. Wohlrapp l’esplicitazione di una premessa mancante deve tener conto delle caratteristiche del contesto (frame) di enunciazione dell’argomento.27 Per esempio un argomento che si conclude con “devi restituire il libro in biblioteca” può essere ricostruito in uno dei tre modi seguenti: 1) se il frame è legale, aggiungo la premessa “hai preso accordi di restituirlo”, 2) se il frame è sociale, aggiungo la premessa“altri utenti potrebbero richiederlo”, 3) se il frame è economico, aggiungo la premessa “eviterai di pagare la multa per la mancata restituzione”. Sia la ricostruzione sia la validità dell’argomento dipendono dal contesto. Considerando la problematicità del compito di ricostruzione degli argomenti altri autori, per esempio D.S. Levi, ritengono che ogni ricostruzione sia in verità la produzione di un nuovo argomento.28

3. LA VALUTAZIONE DEGLI ARGOMENTI

Come valutare se un argomento è buono? In logica la bontà di un argomento deduttivo dipende dalla validità (se la conclusione è conseguenza logica delle premesse) e dalla correttezza (la verità delle premesse). La valutazione dell’argomentazione ordinaria è però orientata a criteri più deboli, che variano molto da autore ad autore: si va dall’accettabilità da parte di un uditorio ideale a criteri di eleganza formale, dalla conformità a standard contestuali alla forza ed efficacia persuasiva, dal rispetto di precisi

25 Cfr. T. GOVIER, Problems in Argument Analysis and Evaluation, Foris Publications, Dordrecht, 1987. 26 Cfr. M. GILBERT, op. cit. 27 Cfr. H. WOHLRAPP, “A New Light on Non-deductive Argumentation Schemes”, Argumentation, 1988, n. 12, pp. 341-350. 28 Cfr. S.D. LEVI, In Defense of Informal Logic, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht-Boston-London, 2000.

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criteri formali ad una generica rilevanza delle ragioni per la conclusione. Più spesso si ricorre a criteri formulati negativamente: anziché fornire un metodo per stabilire quando un argomento è buono, si elencano alcuni casi di schemi argomentativi non buoni: se l’argomento ricalca uno di questi schemi è ritenuto inaccettabile, altrimenti è accettabile. Come in giurisprudenza l’onere della prova è a carico dell’accusa, così qui l’onere della prova è a carico di chi vuole mostrare la fallacia di un argomento; alla presunzione di innocenza corrisponde la presunzione di bontà: ove manchino prove di fallacia, l’argomento è da considerarsi buono.

La determinazione di criteri ex negativo, ovvero l’elencazione e la classificazione degli argomenti fallaci può essere sviluppata in più direzioni: è possibile indicare un insieme di forme scorrette o un insieme di usiscorretti o entrambi. Una fallacia è un ragionamento che sembra buono manon lo è: può essere buono in un contesto e cattivo in un altro, può essere fallace per la forma ma anche per l’uso che l’interlocutore ne fa. Con la metafora di Adelino Cattani, un vizio di forma assomiglia ad una scala con deficit strutturali, ad esempio una scala alla quale manchino dei pioli o che abbia dei pioli deteriorati, mentre un vizio d’uso possiamo raffigurarlo comeuna scala appoggiata alla parete sbagliata o su un fondo cedevole.29

3.1 Una classificazione delle fallacie Tra le tante classificazioni che sono state proposte ne riporto una di A.

Cattani, che ha il pregio di essere intuitiva e semplice e dunque didatticamente efficace.30 In base a tale classificazione è possibile distinguere tra vizi di forma (errori legati alla forma logica), fondamenta cedevoli (errori dovuti all’insufficienza delle premesse come ragioni per la conclusione), omissione di dati rilevanti e intrusione di dati irrilevanti,fallacie linguistiche.

1) Fallacie di forma · Affermazione del conseguente o Modus Ponendo Ponens errato: “se A

allora B, B, dunque A” · Negazione dell’antecedente o Modus Tollendo Tollens errato: “se A

allora B, non A, dunque non B” · Errata conversione: “AaB, dunque BaA”, anziché “AaB, dunque Bia” · Fallacia esistenziale: “AaB, dunque esiste x tale che A(x)” · Termine medio non distribuito: “AaC, BaC, dunque AaB”

29 Cfr. A. CATTANI, Discorsi ingannevoli. Argomenti per difendersi, attaccare, divertirsi, Edizioni GB, Padova, 1995.30 Cfr. A. CATTANI, op. cit.

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2) Fondamenta cedevoli · Accidente: considerare essenziali qualità non essenziali · Ad antiquitatem: considerare valido ciò che è antico e tradizionale · Analogia falsa: applicare incondizionatamente e in forma assoluta

un’analogia senza tenere conto della sua visione prospettica e dei suoi limiti

· Apriorismo: rifiuto a priori dei fatti che non concordano con le proprie idee o con la propria teoria

· Autorità: fare appello all’autorevolezza di una fonte o di un espertofacendola valere come autorità ultima e definitiva

· Domande complesse: la domanda è composta in realtà da più domande e introduce surrettiziamente presupposizioni controverse in modo daottenere una ammissione implicita di una di esse nella risposta dell’interlocutore

· Occhio per occhio: rispondere a una mossa ‘ingiusta’ con una mossa uguale e contraria (dunque generalmente altrettanto ‘ingiusta’)

· Generalizzazione indebita: applicazione di un ragionamento induttivo ad un campione che può essere riconosciuto come non rappresentativo

· Fallacia probabilistica: tendenza ad argomentare sulla base di una illusione probabilistica tipica del senso comune e basata sulla credenzache si verifichi una distribuzione statistica equilibrata

· Petitio principii: a) impiego di espressioni equivalenti; b) argomentare ciò che si deve provare derivandolo da una proposizione che equivale a ciò che si deve dimostrare

· Post hoc ergo propter hoc: ritenere un evento antecedente causa del successivo (non una delle possibili cause ma la causa unica e definitiva)

· Secundum quid (accidente inverso): far valere sempre un principio che vale invece solo a certe condizioni

3) Omissione di dati rilevanti: · Ad ignorantiam: considerare vera una tesi perché non è stata dimostrato

che è falsa o considerarla falsa perché non è stata dimostrato che è vera · Ad lapidem: modo di argomentare pittoresco e plateale, come ad

esempio dare un calcio o battere i pugni (ma è “argomentare”?) · Brutta china (ad consequentiam): modo per confutare una tesi sulla base

della previsione di un evento negativo che la tesi potrebbe innescare · Classificazione erronea: si esclude come non rilevante un dato sulla

base di una classificazione o non esclusiva (una parte ne include un’altra) o non esaustiva (le parti non esauriscono il tutto) o non stabile (il criterio classificatorio varia di continuo)

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· Falso dilemma: formulare un problema in termini dicotomici restringendo la scelta a due sole alternative e trascurando tutte le altre possibilità intermedie

· Eccezione: usare un’eccezione alla tesi come conferma alla tesi stessa(l’eccezione conferma la regola)

· Inversione dell’onere della prova: anziché provare una tesi si chiede all’avversario di confutarla

· Privilegio ecclesiastico o immunità parlamentare: rifiutare il giudizioordinario e chiedere per sé un trattamento a parte.

4) Intrusione di dati irrilevanti · Ad baculum: imporre una tesi minacciando di ricorrere alla forza o

esercitando una qualche forma di pressione · Ad crumenam / Ad Lazarum: attribuire la ragione al proponente anziché

alla tesi quando il proponente è ricco / povero · Ad hominem: attaccare l’avversario anziché confutare la sua tesi. Si può

a sua volta distinguere in: a) diretto: attacco alla personalità; b)indiretto: attacco ai moventi della persona; c) tu quoque: attacco ad unaincoerenza teorica o fattuale della persona

· Ad metum: esporre rischi ed eventuali conseguenze della tesi che incutono timore e spavento per il futuro

· Ad misericordiam: fare appello alla pietà e alla compassione· Ad populum: argomentare a favore o contro una tesi facendo appello al

fatto che la maggioranza è favorevole o contraria · Ad verecundiam: si adduce a favore di una tesi l’argomento per cui chi

non l’accetta rischia il ridicolo, si espone al biasimo o alla riprovazione · Diversione spiritosa: ricorrere a motti di spirito compiendo una mossa

diversiva per distrarre l’interlocutore· Ignoratio elenchi: si trascura di fornire la prova richiesta discutendo o

dimostrando qualcos’altro o demolendo un argomento fantoccio (fabbricato ad hoc e messo in bocca all’avversario)

· Desiderio: accettare una tesi perché la si desidera o rifiutarla perché nonla si desidera

5) Fallacie linguistiche · Accento: rilievo sintattico ad alcune parti della frase, creazione di zone

di luce e di zone d’ombra (modifica del senso), connotazione nonneutrale di singoli termini

· Ambiguità: cambiamento di significato di un termine chiave nel corsodel ragionamento

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· Anfibolia: costruzione sintattica suscettibile di interpretazioni diverse · Composizione e divisione: attribuzione al tutto delle proprietà delle parti

o alle parti delle proprietà del tutto in casi in cui il tutto è diverso dalla somma delle parti

· Etimologia: precisare il senso dei termini impiegati con argomenti di natura etimologica (l’etimologia dimostrerebbe che...)

3.2. L’analisi di alcune fallacie classiche Tra tutte le fallacie che abbiamo ricordato, alcune sono divenute

‘classiche’ perché ricorrenti sia nell’argomentazione ordinaria sia nelle riflessioni dei teorici dell’argomentazione. Mi limito perciò a fornire una breve illustrazione ed un’esemplificazione di alcune di esse.31

3.2.1 Le fallacie di omissione di dati irrilevanti Ad ignorantiam. Tale argomento scarica sull’interlocutore l’onere della

prova ed è volto ad ingannare l’uditorio in rapporto al valore di verità della tesi avanzata. Si suppone che una cosa sia vera (falsa) fintanto che non si sia dimostrato che è falsa (vera). L’argomento è fallace da un punto di vista logico-formale perché il fatto che non si trovi un enunciato B che contraddice ad un enunciato A non prova la verità di A. Vediamo due esempi: a) “In mancanza di dati sulla pericolosità degli Ogm, essi sono innocui per la salute dell’uomo.” b) “In mancanza di dati sull’efficacia della cura Di Bella, essa è da considerarsi inutile se non addirittura nociva alla salute.”

Brutta china (ad consequentiam): modo per confutare una tesi sulla base della previsione di un evento negativo che la tesi potrebbe innescare. L’argomento è fallace ogniqualvolta non sia dimostrato il nesso tra la tesi e l’evento previsto. Alcuni esempi: a) “Se rendiamo legale la ricerca sugli embrioni umani, presto si avrà una selezione eugenetica dei nuovi nati o addirittura la clonazione umana a scopi terapeutici.”32 b) “Se la sinistraandrà al governo nella prossima legislatura, in Italia si instaurerà un regime.”

Falso dilemma: formulare un problema in termini dicotomici restringendo la scelta a due sole alternative e trascurando tutte le altrepossibilità intermedie. Qualche esempio: a) «O lei o io!» dice l’amante all’amato, esortandolo a lasciare la moglie. b) «O lei o io!» dice la moglie al marito, esortandolo a far uscire di casa la suocera... c) Dilemma maritale di

31 Alcuni esempi saranno tratti dal più volte citato volume di A. Cattani. 32 Si noti per inciso che tale argomento è alla base del recente volume di J. HABERMAS, Die Zukunft der menschlichen Natur. Auf dem Weg zu einer liberalen Eugenik?, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 2001, trad. it. Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, Einaudi, Torino 2002.

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Antistene: “Se la donna che sposi è bella, è causa di gelosia. Se è brutta, sarai infelice. Quindi, non sposarti.” Versione attualizzata (da un comico dicabaret) del dilemma maritale di Antistene: “Se l’uomo che vuoi sposare non è bello, né sensibile, né intelligente, sarai infelice. Se l’uomo che vuoi sposare è bello, sensibile e intelligente, se lo sarà già sposato un’altra. Quindi non ti sposare.”

Eccezione: usare un’eccezione alla tesi come conferma alla tesi stessa (l’eccezione conferma la regola). Si vedano i seguenti esempi: a) «Tutti gli scozzesi sono tirchi.». «Ma Mr. Mac Coll, che è scozzese, è moltogeneroso!». «Beh, sarà l’eccezione che conferma la regola». b) «Io sono sempre tranquilla, pacata e gentile». «Ma se ieri hai avuto uno scatto violento d’ira e hai insultato il tuo collega!». «Non c’entra, è lui che mi ha fatto davvero arrabbiare. Tranne in questi casi eccezionali, sono sempre tranquilla!». c) «Nei libri gialli il commissario che indaga sul delitto scopre alla fine chi è il colpevole.» «Non è così nella Promessa di F. Dürrenmatt.» «Ovvio, è l’eccezione che conferma la regola!»

3.2.2. Le fallacie dovute all’intrusione di dati irrilevanti Ad baculum: imporre una tesi minacciando di ricorrere alla forza o

esercitando una qualche forma di pressione. L’argomento fa appello alla forza e consiste spesso in una velata minaccia: mira a persuadere facendo leva non su elementi razionali ma sulle emozioni, in particolare sulla paura, poiché si evocano conseguenze spiacevoli che potrebbero far seguito al rifiuto della tesi proposta. Qualche esempio: a) “Se lei rifiuta il trasferimento nella filiale di provincia, sarò costretto a prendere provvedimenti.” b) “È opportuno che lei sostenga il candidato XY, se vuolerimanere a capo dell’associazione Z.” c) “Questa è la mia decisione. E se qualcuno avesse opinioni o intenzioni diverse, sarà meglio che me ne parli subito.”

Ad hominem: attaccare l’avversario anziché confutare la sua tesi. L’argomento solleva questioni sul carattere o sulla situazione personale dell’interlocutore. Anziché valutare la tesi, si critica la persona che sostiene tale tesi in uno dei tre modi seguenti: 1) con un attacco diretto; 2) insinuando che sussiste uno stretto rapporto tra chi sostiene la tesi e il contenuto della tesi stessa; 3) rilevando una contraddizione tra il comportamento di chi sostiene la tesi e la tesi. Vediamo dapprima qualche esempio di ad hominem diretto (attacco alla personalità): a) “Come possiamo credere al teste? Conosciamo il suo curriculum giudiziario: due denunce per truffa, un arresto, un’iscrizione nel registro degli indagati.” b)“Come è possibile votare un ex-magistrato comunista che si è dato alla politica?” Vediamo ora alcuni esempi di ad hominem indiretto (attacco ai moventi della persona): a) “Non mi stupisce che abbia votato contro ogni legge che restringa la vendita di armi ai privati: ha una compartecipazione in

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una delle più importanti aziende di produzione di armi.” b) “Il politico XY sostiene che il nuovo provvedimento in materia fiscale si tradurrà in un grande vantaggio per tutti i cittadini, ma il vantaggio, se c’è, sarà soprattutto per le sue finanze.” Ecco infine alcuni esempi di tu quoque (attacco ad unaincoerenza teorica o fattuale della persona che fa leva su comportamenti o idee in contraddizione con la tesi): a) “Dici che per il mio bene dovrei smettere di fumare, proprio tu che fumi un pacchetto di sigarette al giorno!” b) “Perché dovremmo andare a elezioni anticipate quando gli stessi che ora le vogliono le rifiutavano fino a qualche mese fa?” c) Il cacciatore all’ecologista: «E allora tu perché mangi carne?» (Si noti l’inversione dell’onere della prova).

Ad populum: argomentare a favore o contro una tesi facendo appello al fatto che la maggioranza è favorevole o contraria. L’argomento fa appello al sentimento dell’uditorio anziché argomentare razionalmente la tesi. Qualche esempio: a) “Sappi che la maggioranza del partito è contro l’accordo.” b) “La cucina più amata dagli italiani.” c) “Il pannolino più usato nei reparti di maternità.”

Ad verecundiam: si adduce a favore di una tesi l’argomento per cui chi non l’accetta rischia il ridicolo, si espone al biasimo o alla riprovazione. Vediamo alcuni esempi: a) “Eminenti scienziati contestano la scelta.” b) “Solo uno sciocco potrebbe credere a una tale tesi!” c) “Rifiutare questa offerta sarebbe semplicemente ridicolo!” Questo argomento è spesso classificato in maniera del tutto simile all’argomento basato sull’autorità (ipse dixit) e definito come un argomento che fa appello all’opinione autorevole di uno più esperti. In molti casi l’appello all’autorità è appropriato per sostenere la propria posizione. Tale appello all’autorità può diventare fallace quando la persona chiamata in causa come testimone autorevole a favore di una certa tesi non è autorevole in relazione al tema in discussione oppure quando, pur essendovi un’evidente divergenza di opinione tra gli esperti, si cita un solo esperto come autorità.

Ignoratio elenchi (fingere di non capire): si trascura di fornire la prova richiesta discutendo o dimostrando qualcos’altro o demolendo un argomento fantoccio (fabbricato ad hoc e messo in bocca all’avversario). Ecco alcuniesempi: a) “Signori della corte, se dimentichiamo per un momento il movente dell’omicidio, le circostanze in cui è stato compiuto e anche la vittima, ebbene, che cosa può essere imputato al mio assistito?” b) «Ma tu hai copiato il compito!» dice il docente allo studente, che risponde: «Io? Ma professore, tutti hanno copiato!» Una variante molto usata consiste nel cosiddetto uomo di paglia, basato sulla costruzione e sull’attribuzione all’interlocutore di un argomento fantoccio da demolire oppure sull’attacco ad un sostenitore particolarmente debole della tesi. Un esempio: “Le teorie evoluzionistiche contemporanee sono errate: basta considerare gli errori diDarwin!”

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3.3. Per una teoria unitaria delle fallacie A questo punto può essere interessante confrontare due fra le teorie più

recenti e più accreditate: la teoria proposta da Franz van Eemeren e la teoria di Douglas Walton. Sarà così possibile comprendere in che modo una diversa definizione di fallacia e una diversa concezione della natura e dello scopo ultimo dell’argomentazione possano influenzare la valutazione degli argomenti e la demarcazione tra argomenti buoni e fallaci.

3.3.1 Pragma-dialectics La teoria formulata da F. van Eeemeren e R. Grootendorst33 è

pragmatica perché concepisce il discorso essenzialmente come una praticain cui avviene uno scambio di atti discorsivi: in particolare ricorre alla ‘pragmatica linguistica’ ovvero alla teoria del discorso e degli atti linguistici per l’analisi degli argomenti. La teoria è però anche dialettica perché ricerca il proprio ideale normativo nella dialettica socratica e vede nello scambio tra i parlanti un tentativo metodico di risolvere una differenza d’opinione: gli strumenti teorici sono tratti dal razionalismo critico popperiano, gli strumenti normativi dalla logica dialogica.34 Ogni argomentazione è ricostruita sulla base di un unico modello ideale di discussione critica, intesa come una discussione che permette di prendere decisioni fondate sul test critico di punti di vista contrastanti. Lo scopo di ogni argomentazione è la composizione di una differenza d’opinione e il raggiungimento di un accordo; i criteri di valutazione per essere appropriati allo scopo devono poter valutare l’efficacia dell’argomentazione nel risolvere il disaccordo. Per comprendere il significato delle fallacie nella teoria pragma-dialetticaoccorre innanzitutto introdurre il decalogo, vale a dire le dieci regole che codificano lo scopo di una discussione critica e permettono di valutarnel’accettabilità. In versione non tecnica, i dieci comandamenti della discussione critica potrebbero essere formulati nel modo seguente: 1) Le parti non devono impedirsi reciprocamente di avanzare i propri punti

di vista e i propri dubbi sui punti di vista dell’altro 2) La parte che avanza un punto di vista è obbligata a difenderlo se l’altra

parte ne fa richiesta 3) L’attacco di una parte ad un punto di vista deve riferirsi al punto di

vista che è stato avanzato dall’altra parte 4) Una parte deve difendere un punto di vista solo avanzando

un’argomentazione relativa a quel punto di vista

33 Cfr. F. H. VAN EEMEREN, R. GROOTENDORST, op. cit. 34 Cfr. P. CANTÙ- I. TESTA, op. cit., p. 83 e ss.

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5) Una parte non può rinnegare una premessa che ha assunto implicitamente né può presentare come premessa un’assunzione che l’altra parte ha lasciato inespressa

6) Una parte non può presentare ingannevolmente una premessa come un punto di partenza accettato, né può negare una premessa che rappresenta un punto di vista accettato

7) Una parte non può considerare un punto di vista come difeso in maniera conclusiva, se la difesa non ha luogo per mezzo di uno schemaargomentativo appropriato e correttamente applicato

8) Una parte può usare nella sua argomentazione soltanto argomenti logicamente validi o argomenti che possono essere resi validiesplicitando una o più premesse inespresse

9) La difesa di un punto di vista fallisce quando la parte che ha avanzato il punto di vista lo ritrae; la difesa è invece conclusiva quando l’altra parte ritrae i suoi dubbi sul punto di vista

10) Una parte non può usare formulazioni non sufficientemente chiare,confuse o ambigue. Una parte deve sempre interpretare le formulazioni dell’altra parte quanto più attentamente e accuratamente possibile. Ogni volta che i parlanti infrangono uno dei dieci comandamenti

commettono una fallacia perché pregiudicano o frustrano lo scopo dell’argomentazione (che le dieci regole codificano), cioè la risoluzione diuna differenza d’opinione e il raggiungimento di un accordo tra i parlanti. Ad esempio è scorretto esonerarsi dall’onere della prova appellandosi ad un principio di autorità oppure ad una presunta evidenza, è scorretto distorcere le asserzioni dell’altro per avere miglior gioco nell’attaccarle, è scorretto trarre vantaggio da formulazioni ambigue o poco chiare delle proprie tesi, e così via. Per stabilire quali mosse sono fallaci occorrono competenzelogiche (van Eemeren non precisa però nella regola 8 quale nozione di validità logica si debba assumere), conoscenze degli schemi argomentativi buoni (regola 7), competenze relative alla teoria degli atti linguistici, maprima ancora occorre che la discussione argomentativa che si sta valutando sia ricostruibile secondo il modello normativo proposto da van Eemeren, ossia sia ricostruibile come una discussione critica. Se si ammette talemodello, le fallacie possono essere classificate in base alle regole che esse infrangono. Accanto a ciascuna regola indichiamo alcune fallacie che la violano:

1) ad misericordiam, ad baculum, ad hominem2) ad ignorantiam, ad verecundiam3) ignoratio elenchi: fantoccio (uomo di paglia) 4) ignoratio elenchi, ad populum, ad misericordiam, ad verecundiam5) ignoratio elenchi: fantoccio (uomo di paglia)

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6) domande complesse, petitio principii 7) ad consequentiam, ad verecundiam, autorità, ad populum, post hoc

ergo propter hoc, generalizzazione, secundum quid, brutta china, falsa analogia

8) negazione dell’antecedente, affermazione del conseguente, fallacia di divisione, fallacia di composizione

9) assolutizzazione della difesa vincente o perdente 10) ambiguità Questa classificazione, lungi dall’essere più completa o più precisa, ha

però il pregio di rendere più comprensibile perché alcuni argomenti efficaci siano tuttavia considerati inaccettabili.

3.3.2. New Dialectic Fino ad ora abbiamo presentato le fallacie come errori di ragionamento,

o perlomeno come ragionamenti insufficienti, che potrebbero metterci inserio imbarazzo o in seria difficoltà qualora il nostro interlocutore ci mostri l’inadeguatezza delle nostre ragioni. Questa impostazione può essere soddisfacente per i logici informali che ritengono inadeguato tutto ciò che non corrisponde agli schemi corretti deduttivi e induttivi. Essa può essere soddisfacente anche per i teorici della pragmatica dialettica, che sono interessati soprattutto alla descrizione e alla valutazione degli argomenti presenti in una discussione critica. Non è però soddisfacente quando sivoglia fornire una descrizione e una valutazione di tutti i tipi di argomento che compaiono nel discorso ordinario. Questo è l’obiettivo dichiarato della New Dialectic di Douglas Walton, una teoria dell’argomentazione che valuta un argomento come corretto o scorretto a seconda che esso sia stato usato in modo adeguato o non adeguato in uno scambio dialogico determinato in vista del raggiungimento degli obiettivi (goals) appropriati per quel caso. Walton intende fornire un metodo pratico per l’identificazione, l’analisi e la valutazione dell’argomentazione ordinaria, ricostruendo gli argomenti non solo in base agli schemi induttivi e deduttivi ma anche agli schemi di ragionamento presuntivo (presumptive reasoning), che contegono molte premesse implicite. In un libro scritto a quattro mani con Erik Krabbe, Walton distingue sei contesti diversi di dialogo e per ciascuno fissa un insieme di regole più o meno rigide che i parlanti condividono. Egli fornisce così una tassonomia dei sistemi dialettici sulla base di sei tipi principali di contesti dialogici: persuasione, negoziazione, indagine, deliberazione, ricerca d’informazioni, dialogo eristico.35

35 Il dialogo persuasivo di Walton e Krabbe corrisponde a ciò che van Eemeren e Grootendorst classificano come ‘discussione critica’; Walton e Krabbe però affiancano alladiscussione critica altri contesti normativi di dialogo: un risultato non secondario della lorotassonomia consiste proprio nel mostrare che non tutti i contesti argomentativi razionali

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La classificazione tiene conto, come tratti identificanti dei tipi didialoghi, della situazione iniziale, del goal principale e del goal specificodei partecipanti: a ciascun contesto dialogico corrisponde un set di regole che consentono il perseguimento del goal. A differenza della concezione di Toulmin, che individua criteri di valutazione diversi per ciascun campo disciplinare, Walton e Krabbe individuano criteri di valutazione diversi per ciascun contesto dialogico. Mentre per Toulmin solo l’esperto di una particolare disciplina, tenendo conto delle caratteristiche del sapere di quelcampo, può valutare la validità di un argomento (qualora questo abbia unaforma procedurale corretta), per Walton e Krabbe c’è almeno un gruppo minimale di standard valutativi per ciascun contesto rispetto ai quali chiunque è competente.

Tipo di dialogo Situazione iniziale Goal Principale Goal dei partecipanti

Persuasione (discussione critica)

Conflitto d’opinioni Risoluzione del conflitto Persuadere gli altri del proprio punto di vista

Negoziazione Conflitto di interessi e bisogno di cooperazione

Venire ad un accordo pratico Ottenere per sé il massimo

Indagine Ignoranza generale (bisogno di prove)

Crescita della conoscenza econsenso

Provare e smentire ipotesi

Deliberazione Dilemma o scelta pratica (bisogno d’azione)

Prendere una decisione e scegliere la migliore linead’azione disponibile

Influenzare l’esito

Ricerca di

informazioni

Ignoranza personale e bisogno d’informazioni

Scambiare e diffondere informazioni

Acquisire, dare o nascondere informazioni

Eristico Conflitto personale eantagonismo

Raggiungere un (provvisorio) accomodamento e sostituire uno scambio fisico con uno scambio verbale

Battere l’avversario evincere agli occhi degli spettatori

Che cosa sono le fallacie? Sono mosse argomentative compiute in un certo contesto dialogico in maniera scorretta per ostacolare anziché favorireil goal del dialogo. Le fallacie occorrono per lo più quando il discorso scivola da un contesto dialogico ad un altro contesto dialogico: Walton usa il termine ‘shift’ per indicare questo slittamento da un insieme di regole ad un altro insieme di regole. Non tutti gli slittamenti sono illeciti, perché in alcuni casi possono non ostacolare il raggiungimento del goal condiviso.

Ad esempio due persone discutono durante una gita in bicicletta sui pro e sui contro della vita in città; ad un certo punto uno dei due interrompe

partono da una situazione iniziale di conflitto d’opinioni e mirano alla risoluzione di tale conflitto, come presupposto invece dalla Pragma-Dialectics. Cfr. P. CANTÙ E I. TESTA, op. cit., p. 100 e ss.

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bruscamente la conversazione per chiedere all’altro in che direzione occorre svoltare. Poiché l’interruzione è chiaramente finalizzata ad una decisione pratica non prorogabile, lo slittamento ad un altro contesto dialogico (ladeliberazione) non ostacola il goal del primo (la persuasione) e la discussione può essere subito ripresa dopo l’interruzione.

Lo stesso schema argomentativo può essere fallace in un caso e non fallace in un altro, perché uno slittamento può essere illecito in un caso e lecito in un altro. Ad esempio, l’argumentum ad hominem (o attacco personale contro l’interlocutore) è uno shift ad un dialogo eristico, che ha come obiettivo battere l’avversario e vincere agli occhi dello spettatore. Talvolta lo shift è fallace, talvolta non lo è. Supponiamo che lo shift avvenga da un dialogo persuasivo, che ha l’obiettivo di risolvere un conflitto di opinioni: ad esempio quando si critica un argomento scientifico per mezzo di un attacco personale contro la moralità privata dello scienziato che lo ha proposto. In questo caso lo shift è illecito e l’argomento ad hominem fallace, perché impedisce la persuasione dell’avversario e la prova della bontà di una delle due tesi in conflitto. Tuttavia vi possono essere casi in cui l’argomento è accettabile: supponiamo che in una deliberazione politica si ascolti l’opinione di un esperto che dovrebbe fornire informazioni sul problema dello smaltimento dei rifiuti; supponiamo anche che tale esperto si presenti come super partes e taccia il fatto di essere azionista di una ditta per il recupero dei rifiuti; un attacco personale contro tale esperto per rivelare la sua relazione con quella certa ditta potrebbe contribuire agli obiettivi del dialogo, che consistono nel prendere una decisione e scegliere la migliore linea d’azione disponibile.

Questo ultimo esempio permette di comprendere perché perfino il contesto del litigio, le cui mosse dialogiche nulla sembrano avere a che fare con la logica, può essere preso in considerazione nell’individuazione, classificazione e valutazione delle fallacie. Il litigio d’altra parte ha una sua funzione specifica: esso permette l’espressione di sentimenti, sofferenze, rivendicazioni, accuse, asserzioni che in contesti pacifici e cortesi non troverebbero luogo e che possono essere utili non solo per evitare uno scontro fisico ma anche per favorire una reciproca comprensione tra gli interlocutori e per eliminare alcuni malintesi.

4. CONCLUSIONI

Questa breve introduzione ai concetti di argomento e di fallacia e i cenni alle diverse prospettive a partire dalle quali è possibile riconoscere, ricostruire, analizzare e valutare gli argomenti nel linguaggio ordinariosuggeriscono alcune domande conclusive. Si è visto che si possono indicare regole da seguire per costruire un buon argomento e che è possibile valutare come fallaci gli argomenti che infrangono tali regole. Ora resta da riflettere

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sul modo in cui sono state determinate le regole, su chi abbia il compito di valutare le infrazioni e se e in che misura la conformità alle regole possa esprimere il senso della razionalità argomentativa umana. Si tratta di treproblemi fondamentali di ogni teoria dell’argomentazione: qual è il fondamento della normatività, chi svolge il ruolo di giudice, quale forma dirazionalità si esprime nell’argomentare.

Normatività e razionalità. La normatività della teoria, vale a dire ladeterminazione di un insieme di regole da cui ottenere criteri di valutazione della bontà di un argomento, può avere il suo fondamento 1) nel principio di cooperazione di Grice 2) nei giochi linguistici stessi, 3) in entrambi. Nel primo caso avremo una forma unitaria di razionalità, che si esprime in generale nella partecipazione cooperativa ad un’interazione comunicativa: tale idea unitaria di razionalità si può poi declinare in vari modi.

I teorici della teoria pragmatico-dialettica trovano il fondamento della normatività nella razionalità espressa dai dieci comandamenti, che a loro volta esprimono una particolare forma del principio griceano applicata ad un ideale filosofico popperiano: seguire i dieci comandamenti è razionale perché permette un’analisi intersoggettiva della bontà di una certa tesi –difesa e attaccata in modo pubblico e democratico – senza mai scaricare l’onere della prova sulla parte avversaria, ma cercando di rendere quanto più esplicito, chiaro, attaccabile il proprio punto di vista in modo da favorire ilprocesso di analisi critica e la deliberazione razionale.

Habermas individua forme di razionalità meramente comunicativa ed altre in funzione strategica e articola poi la razionalità comunicativa specificandola in relazione ai diversi atti linguistici dei parlanti. Riprendendo la teoria degli atti linguistici di Searle, Habermas facorrispondere ad ogni tipo di atto un tipo di pretesa di validità: la verità per le espressioni descrittive, la giustezza per le espressioni normative, l’adeguatezza per le espressioni valutative; la comprensibilità per le espressioni esplicative.36

Walton da un lato mantiene un’idea di razionalità fondamentale espressa nelle regole del ragionamento persuasivo, d’altro lato fonda la normatività di ciascun contesto argomentativo nel gioco dialogico tra gli interlocutori e dunque cerca di fondare o almeno legittimare la normatività anche attraverso le regole che sorreggono i giochi linguistici che si svolgono effettivamente tra i parlanti. L’ideale normativo è pluralistico ed ha le sueradici in un approccio descrittivo. Anche Toulmin ha un ideale pluralistico di normatività, però mentre in Toulmin tale ideale si declina diversamente a

36 Cfr. J. HABERMAS, Theorie des kommunikativen Handelns, Bd. I. Handlungsrationalität und gesellschaftliche Rationalisierung, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1981, trad. it. Teoria dell’agire comunicativo, Il Mulino, Bologna, 1986.

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seconda dei campi disciplinari in cui trova applicazione, per Walton esso varia al variare dei goals dei partecipanti al dialogo.

Modelli normativi pluralistici ancora più fini e con maggiore forza descrittiva potrebbero essere ottenuti differenziando i contesti dialogici individuati da Walton anche in senso culturale o storico, secondo le linee guida dell’etnografia della comunicazione: ciò comporterebbe tuttavia un frazionamento ulteriore della razionalità, con una conseguente tendenza relativistica che pochi teorici dell’argomentazione sarebbero disposti ad assecondare.

Il giudice razionale. Chi può giudicare e valutare la bontà o la fallacia degli argomenti? Perelman, Habermas37 e anche Toulmin ricorrono al concetto di giudice razionale: l’uditorio universale per i primi, gli esperti del campo disciplinare per il secondo. L’uditorio universale è il modello al quale gli interlocutori si ispirano nella formulazione dei propri argomenti e al quale fare riferimento (ad esempio attraverso le regole che da talemodello derivano) per valutare gli argomenti. L’uditorio universale è sostituito nella teoria pragmatico-dialettica dal modello filosoficopopperiano della discussione critica (che si articola in alcune regole metacontestuali, che individuano nella discussione critica la forma di razionalità par excellence): giudice razionale è chiunque condivide tale modello e accetta di seguirne le regole.

Tutti questi giudici hanno la prerogativa di incarnare criteri di validitàuniversalistici o punti di vista imparziali. All’interno della prospettiva dialogica di Walton, il giudice non può essere ipotizzato se non come unpartecipante diretto al dialogo, in grado di tener conto di tutti gli impegni contratti dai partecipanti quando asseriscono o negano una tesi. In verità però, la complessità della ricostruzione effettiva degli argomenti secondo il modello di Walton sembra escludere che il ruolo di giudici razionali possa essere assunto direttamente dai partecipanti al dialogo e sembra riservato, come avviene nella logica informale (con qualche eccezione), ai soli teorici dell’argomentazione.

37 Per Habermas gli argomentanti razionali sono coloro che, orientandosi ad un consenso motivato razionalmente, avanzano con i loro atti linguistici pretese di validità universali che devono poter essere soddisfatte o rifiutate mediante argomenti e che mirano al consenso diun uditorio universale. Per Perelman l’uditorio universale è un ideale insieme di uominireputati ragionevoli dall’oratore e ai quali egli si rivolge quando vuole avanzare un argomento che non sia soltanto persuasivo ma anche convincente, cioè in grado di essere efficace non solo nei confronti dell’uditorio particolare presente ma di ogni uditorio considerato razionale dall’oratore. Mentre l’uditorio universale di Habermas è determinatoin maniera univoca, come modello universale e unitario, l’uditorio universale di Perelman è un’ideale che sta nella testa dell’oratore e può variare da oratore a oratore.

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46 PAOLA CANTÙ

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LA FONDAZIONE DELLA PSICOLOGIA COME SCIENZA:TEMI E PROBLEMI NEL PENSIERO FILOSOFICO DI ROBERTO ARDIGÒ

di Irene Franzosi

La ricerca scientifica impegnata nello studio della mente è costantemente posta di fronte ad alcuni problemi filosofici fondamentali, primo fra tutti il problema ontologico: i concetti mentali possono, almeno in linea teorica, essere espressi in termini fisico-biologici, oppure esiste un’autonomia di principio dei concetti mentali che impedisce possano essere sottoposti ad una simile riduzione? Sullo sfondo di questo problema, dell’enigmatico scarto tra il cervello e la mente, psichiatri e psicologi impostano i loro programmi che si diversificano anche considerevolmente a seconda che propendano per il cervello o per la mente. Appare incontestabile che gli studi condotti in Italia nella seconda metà dell’ottocento privilegino l’analisi delle funzioni del cervello e si inseriscano a pieno in un paradigma medico-biologico o medico-neurologico che radica la psichiatria alla medicina, i disordini della mente alle malattie del corpo.1 Gli studi di psichiatriapositiva, che trovano nell‘Istituto Psichiatrico di Reggio nell’Emilia, dove era pubblicata la «Rivista sperimentale di Freniatria»,2 uno dei più

1 Cfr. VALERIA P. BABINI, La questione dei frenastenici. Alle origini della psicologiascientifica in Italia (1870-1910), Franco Angeli, 1996 e AA.VV. L’età del positivismo, acura di Paolo Rossi, Il Mulino, Bologna, 1986.2 Il nome per esteso della rivista fondata da Carlo Livi a Reggio Emilia nel 1875 è:«Rivista sperimentale di freniatria e di medicina legale in relazione con l’antropologia e lescienze giuridiche e sociali».

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importanti centri di ricerca e indagine, sono compatti nel sostenere posizioniorganicistiche. Per quanto in taluni casi si assista allo sviluppo di modelli che portano alla diversificazione nelle concezioni attinenti alla malattia mentale e al rapporto della psichiatria con le altre scienze, domina una impostazione essenzialmente medica che si sviluppa ai danni di un approccio di tipo psicologico-sperimentale. Le difficoltà di crescita autonoma da parte della psicologia sono probabilmente da far risalire alla presenza di filosofie di impostazione spiritualistica e alla mancanza di un confronto con una solida psicologia empirica od anche introspettiva. Di fatto il prevalere di un paradigma medico-biologico orienta il problema filosofico del rapporto corpo-mente verso soluzioni monistiche, talvolta protese al panpsichismo, o riduzionistiche di stampo materialistico.

In questo contesto risulta interessante la riflessione condotta da Roberto Ardigò, uno dei maggiori filosofi del positivismo italiano, che lavorando sulle problematiche della gnoseologia tenta di fondare su basi scientifiche la psicologia assicurandole lo statuto di scienza autonoma. Pensare nel 1870, data di pubblicazione della Psicologia come scienza positiva,3 allapsicologia come scienza significa anzitutto sostenere, in opposizione ad ogni psicologia razionale, la fondamentale omogeneità dei fenomenipsichici e fisici e fondare su di essa la possibilità di estendere il metodo positivo dalle scienze naturali alla psicologia. La continuità tra fisico e psichico risulta del resto puntualmente confermata dalle ricerche scientifiche condotte in più campi:

Non solo le induzioni fisico-matematiche, le quali mostrano al di là del concettoordinario dell’oggetto, ossia della materia un quid inesteso, ma anche, e soprattutto, le psico-fisiologiche, le quali nello spirito, ossia nel soggetto rilevano, allato ad una distinzione puramente mentale dei fenomeni psichici dai fisici, la effettiva loro inscindibilità, ci portano ad un’idea superiore alle volgari, del corpo e dell’anima; e che le riassume entrambe in uno schema solo assai più grandioso e vasto; l’idea della realtà psicofisica. Questo schema è una induzione al tutto scientifica, e, come tale, positiva e nuova .4

Rilevata la corrispondenza tra il pensiero e l’organismo Ardigò procede nella elaborazione di una organica teoria in grado di spiegarla. Il dualismo cartesiano risulta in tal senso palesemente inadeguato, così come la teoria delle cause occasionali di Geulinx o l’armonia prestabilita di Leibniz. La questione non si spiega neppure attribuendo la realtà ad un termine e negandola all’altro. Concedendola al termine psichico si cade nell’idealismo berkeleyano o nel fenomenismo kantiano che, prendendo il “me” come un dato intuitivo ed immediato, non ne coglie l’essenziale dinamica interna per la quale esso non è che «una formazione empirica e tardiva della

3 ROBERTO ARDIGÒ, La psicologia come scienza positiva, Guastalla, Mantova, 1870. 4 R. ARDIGÒ, La psicologia ..., op. cit., p. 282.

48 IRENE FRANZOSI

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coscienza».5 Concedendola invece al termine fisico si cade nel materialismoche pretende di spiegare il pensiero negandone la specificità. Ardigò cita, prendendone le distanze, la sentenza di Vogt secondo cui il pensiero è un prodotto del cervello esattamente come la bile è un prodotto del fegato. Anche il parallelismo psicofisico teorizzato da Fechner è insufficiente a spiegare la piena corrispondenza tra pensiero ed organismo, che può essere correttamente intesa solo considerando i processi fisici e psichici organicamente connessi in quanto derivanti da una matrice comune. Tale è la sostanza psicofisica o, per utilizzare un linguaggio più appropriato, il concetto di sintesi psicofisica, inteso come un’astrazione superiore che sintetizza e supera i concetti di materia e di spirito. La sintesi psicofisica si configura come uno schema interpretativo il cui valore scientifico è garantito dall’induzione positiva. In questo senso Ardigò precisa come taleschema non abbia nulla in comune con il concetto spinoziano di sostanza. Spinoza, nella sua Ethica, concepisce la natura-dio composta di un’unica sostanza dotata dei due attributi cartesiani del pensiero e dell’estensione, ma tale concezione si basa su una intuizione metafisica immaginaria che pretende di risolvere preventivamente ogni problema. La sostanza unica di Spinoza è cioè un principio assoluto e necessario dal quale far discendere l’intera realtà. La sostanza psicofisica di Ardigò si configura al contrariocome un principio ricavato per via induttiva che, come ogni altro principio assunto dalla scienza positiva, può essere riconsiderato in qualsiasi momento qualora gli ulteriori sviluppi della ricerca lo richiedessero.

Se diventa possibile pensare ad una fondamentale continuità tra fisico e mentale, diventa contestualmente possibile estendere il proficuo metodo di indagine sperimentale proprio delle scienze naturali allo studio del fenomeno psichico che può così essere indagato attraverso l’induzione positiva. Quando parla di induzione positiva Ardigò ha in mente il metodo galileiano delle sensate esperienze, della sperimentazione capace di mettere alla prova dei fatti le ipotesi che guidano l’esperienza. Ha inoltre assorbito l’insegnamento humeano sulla relatività delle idee che lo induce a definire le teorie scientifiche, anche le più accreditate, semplici «spedienti logici affatto provvisori».6 Il sapere scientifico si presenta quindi come un insiemedi quadri teorici costruiti per via induttiva, internamente coerenti, dotati diun certo potere esplicativo ma non capaci di risalire oltre il fenomeno, di cogliere la realtà nella sua più profonda natura. Si potrebbe tentare, comesuggeriscono alcuni studi7, una interpretazione in chiave fenomenistica del pensiero di Ardigò che perverrebbe alla elaborazione di una teoria semiscettica della conoscenza accostabile all’empiriocriticismo machiano.

5R. ARDIGO, La psicologia..., op. cit., p. 261.6R. ARDIGÒ, La psicologia..., op. cit., p. 139. 7 Mi riferisco in particolare agli studi condotti da WILHELM BÜTTEMEYER, Roberto Ardigò e la psicologia moderna, La Nuova Italia, Firenze, 1969 e IDEM, Ardigò e Mach, «Rivista di storia della filosofia», XLVI, 1991, pp. 109-126.

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Di fatto Ardigò, pur ammettendo la possibilità teorica di organizzare i fenomeni in infiniti modi, mantiene fermo il criterio della verificazione empirica delle teorie, criterio su cui si fonda l’oggettività del sapere scientifico. Sapere che viene comunque costantemente collocato entro i parametri del relativismo: relatività del conoscere, della logica, delle stesse teorie scientifiche positive. Una relatività che è però posta a riparo da ogni forma di scetticismo nella misura in cui le verità della scienza sonorelative non perché prive della possibilità di far presa sulla realtà, ma perché esposte a continue revisioni od integrazioni in sistemi più ampi. Non a caso pur ripetendo l’elogio di Hume che aveva bandito le essenze e le cause dalla ricerca, Ardigò sottolinea l’esigenza di aggiungere alla sentenza negativa dello scozzese quella positiva degli italiani: ossia la regola secondo cui, provando e riprovando, si acquisisce progressiva certezza dei fatti e delle loro leggi. Hume aveva arrecato un colpo mortale alle false dottrine del passato, ma si era poi arrestato all’elaborazione di una teoria semiscettica della conoscenza secondo cui la corrispondenza tra le nostre rappresentazioni e l’oggetto rimane indimostrata ed indimostrabile; è cioè soltanto un atto di fede. Ardigò è invece convinto che applicando il metodo positivo inaugurato dagli italiani con Galileo, si possano raggiungere conoscenze scientifiche ammesse non per fede ma perché fornite della più certa razionalità. Leggi e teorie sono il risultato di un processo di astrazione, riconosciute come pure entità mentali, principi interpretativi, strumenti diorientamento, ma non per questo sono ritenute incapaci di rispecchiare, sepur in forme infinitamente perfettibili, il mondo reale. Si tratta di una concezione che presuppone l’assunzione del criterio forte della verità come corrispondenza ai fatti, anche se in una forma che potremmo definire “regolativa”. Si assume cioè a modello il criterio della verità oggettiva, che implica la convinzione che compito della scienza sia quello di elaborare teorie corrispondenti alla realtà rappresentata, ma si riconosce contestualmente la difficoltà di uguagliare un simile modello, il che fa della scienza un sapere dinamico, rivisitabile ma progressivo. L’essenziale precarietà delle costruzioni scientifiche implica la rivedibilità e storicità della scienza, ma nello stesso tempo anche il suo continuo progresso che consiste nel sostituire, ogniqualvolta l’osservazione ed il confronto con i fatti lo permettano, a teorie rivelatesi inadeguate teorie capaci di render conto dei nuovi fatti emersi. Questi possono smentire una ipotesi, imporne una sostanziale modificazione o suggerirne una nuova, in ogni caso si ha un progresso della scienza da intendersi rispettivamente come eliminazione di una falsità, miglioramento di aspetti teorici, allargamento della conoscenza. L’applicazione del metodo positivo alla ricerca scientifica ne ridimensiona le pretese conoscitive, ma nel contempo consente alla scienza moderna di imboccare la via del progresso. La positivistica fiducia nella “oggettività”del sapere scientifico che progredendo elabora teorie capaci di rispecchiare in modo sempre più adeguato la realtà e finisce per vanificare ogni

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originaria assunzione fenomenistica, trasformandola in una qualche forma di realismo. Non a caso Ardigò precisa il disaccordo con la dottrinaspenceriana dell’Inconoscibile indebitamente accostata dai critici alla propria: l’Inconoscibile implica l’esistenza di una dimensione metafisicache come tale è inaccessibile alla conoscenza umana. Il positivista, al contrario, non istituisce separazioni a priori, si muove lungo la linea dellequestioni empiriche assoggettabili al giudizio della scienza sperimentale e considera teoricamente accessibile ciò che ancora non conosce, definendolo ignoto e non inconoscibile:

Il positivista non divide la sfera delle sostanze e dello spazio, non la linea delle efficienze e del tempo, in due parti, delle quali l’una sia la natura e l’altra il soprannaturale, come fa il teista. Tutta la sfera e tutta la linea sono pel positivista la identica natura. Se non che, nella parte distinta, è la natura già sperimentata; e, nella indistinta, la natura non ancora sperimentata .8

Ardigò in definitiva affronta le questioni epistemologiche da buon positivista: afferma, trascurando l’originario assunto fenomenistico, la realtà e conoscibilità del mondo facendo riferimento, se pur in chiave regolativa, alla concezione forte di verità come corrispondenza ai fatti.

La psicologia, com’è concepita dal filosofo mantovano, è una scienza atutti gli effetti positiva. Essa ha per materia i fenomeni psichici e non parte da principi presupposti quali l’anima e le sue facoltà; adopera il metodo positivo; mira a stabilire le leggi che regolano il pensiero per poter classificare i fenomeni psichici; indaga, dal punto di vista dinamico, gli stadi consecutivi della psicogenesi. Ardigò è stato tra i primi in Italia ad utilizzarei metodi e i risultati delle ricerche condotte dalla psicologia empiristica inglese (J. S. Mill, Bain, Darwin) e dalla psicologia fisiologica tedesca (vonHelmholtz). La ricerca psicologica non può anzitutto prescindere dal riferimento ad una buona teoria della percezione, poiché è attraverso il lavoro percettivo che l’individuo assimila dall’ambiente esterno quegli elementi costitutivi che, opportunamente rielaborati, daranno vita alle formepiù raffinate di pensiero. Ardigò elabora la propria teoria della percezione in riferimento agli studi condotti in area germanica sulla fisiologia dei sensi: analogamente a von Helmholtz distingue tra sensazione pura e percezione descrivendo quest’ultima come il risultato di processi prevalentementeinconsci di integrazione della sensazione pura. Tali processi integrativi di fatto anticipano, come evidenziato da Büttemeyer,9 istanze globaliste che solo successivamente verranno messe a fuoco dai teorici della Gestalt. L’analisi dei processi di sostituzione o di integrazione per inquadramento richiamano la tesi gestaltica secondo cui un campo percettivo è un sistema

8 R. ARDIGÒ, L’inconoscibile di H. Spencer e il positivismo,in Opere Filosofiche, vol. II, Padova, Draghi, 1898, p. 341.9 W. BÜTTEMEYER , Roberto Ardigò e la psicologia moderna, op. cit., p.52-53.

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dinamico in cui le condizioni e disposizioni delle parti sono determinate dalle caratteristiche del campo stesso. Il tutto precede le parti e ne condiziona il modo di apparire.

Del resto Ardigò analizza la dinamica complessiva del pensiero applicandovi il ‘processo di distinzione’ e rovesciando di fatto la tesi dell’associazionismo classico secondo cui un’idea si articola nel passaggio dal particolare al generale. La distinzione implica al contrario l’assunzionedi un punto di partenza che si configura come una totalità indistinta da cui emergono, mediante il processo distinguente, i particolari distinti. Il principio della distinzione è presente nella filosofia di Ardigò fin dalla Psicologia come scienza positiva dove si dice che la distinzione è «una abitudine mentale, che si andò formando a poco a poco»10, abitudine cheviene utilizzata per spiegare l’emergere dei concetti di “Me” e “Non me” a partire dal sottostante indistinto psicofisico. Il medesimo principio viene poi ripreso, ampiamente esemplificato e presentato come legge induttiva nell’opera del 1877 La formazione naturale nel fatto del Sistema Solare.11 Il processo di distinzione, presentato come principio esplicativo della dinamica evolutiva, viene ad avere il proprio fondamento nelle induzioni delle scienze naturali. Queste, abbandonate le teorie del discontinuo, sono per via induttiva pervenute alla concezione della fondamentale unità e continuità tra i fenomeni naturali, i quali evolvono verso forme distinte especializzate attraverso il processo di distinzione. Ardigò salda il proprio principio al concetto di evoluzione naturale e poiché ritiene che quest’ultimo abbia precisi fondamenti induttivi considera anche il proprio principio una «induzione positiva»12. Quindi, facendo leva sulla continuità tra natura e pensiero, sostiene la necessità di indagare il secondo in riferimento alla legge di distinzione, che estende il proprio dominio a tutti i fenomeni naturali divenendo onnicomprensiva. La formazione del pensiero si configura così come un processo che a partire dalla massa indistinta dellesensazioni le organizza, distingue e conosce utilizzando gli strumenti esplicativi acquisiti mediante le pregresse esperienze. Gli stessi concetti di “Me” e “Non me” non sono dati a priori ma emergono per distinzione dall’indistinto sottostante che si compone di un crogiolo di sensazioni che possono indifferentemente entrare a far parte del gruppo associativo del “Me” oppure di quello del “Non me”. Il processo di associazione delle sensazioni da cui si origina la rappresentazione del “Me” prende il nome di “autosintesi”, quello da cui si origina la rappresentazione del “Non me” il nome di “eterosintesi”:

10 R. ARDIGÒ, La psicologia come scienza positiva, op. cit., p. 177. 11 R. ARDIGÒ, La formazione naturale nel fatto del Sistema solare, in Opere Filosofiche,vol. II, cit.12 R. ARDIGÒ La formazione..., op. cit, p. 71.

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Le sensazioni di un individuo sono la nebulosa, onde si forma e si organizza la psiche: sono l’indistinto, che sottostà ai distinti, che vi si costituiscono,collegandosi insieme in un organismo logico unico. Nella psiche umana i distintiprincipali sono le due formazioni del Me, o dell’Autosintesi, e del Non me, odell’Eterosintesi. […] Così nel Cosmo mentale gli elementi delle sensazioni sono di per sé comuni, e diventano, o il Me, o il Non me, per gli aggruppamenti formativi, che li fissano, o nell’Autosintesi, o nell’Eterosintesi.13

I processi di ‘autosintesi’ ed ‘eterosintesi’ interessano tutti gli organismi dotati di funzionalità cerebrale, anche se naturalmente la capacità di distinzione è proporzionale alla fisiologia del cervello; dunque minima nella «animalità infima», massima «nell’uomo adulto, civile, colto, abituato alleriflessioni psicologiche».14 Nell’uomo stesso inoltre tale capacità di distinzione evolve nel corso della vita individuale determinando modificazioni anche importanti nella concettualizzazione del sé e del mondo esterno. L’elaborazione delle esperienze accumulate nel tempo e l’acquisizione di nuovi elementi rendono possibile il costituirsi diformazioni mentali più articolate e complesse, in cui le rispettive rappresentazioni del “Me” e del “Non me” sono sempre meglio specificate. E’ interessante osservare come la diretta conseguenza di questa teoria sia«che il Me non è il sentimento diretto di una sostanza semplice identica in tutti, e che si apprenda tutta quanta sempre la medesima per tutto il tempo della esistenza».15

La cognizione che si ha del “Me” è al contrario plastica ed evolve in stretta connessione con la storia individuale: è diversa nel bambino, nell’adulto e nell’anziano come è diversa in funzione di molteplici fattori ambientali, sociali, culturali. Di qui l’importanza attribuita a quellapsicologia dei popoli che Ardigò definisce, in un implicito richiamo alla filosofia di Carlo Cattaneo, “psicologia delle menti associate”.16 L’Io si configura dunque come il dinamico prodotto, sempre in fieri, dellainterazione di svariati elementi esperienziali; da buon empirista Ardigò prende le distanze da posizioni metafisiche o trascendentali che immaginano l’Io come una entità a sé stante dotata di universali strutture a priori. Nullapreesiste all’esperienza, e anche le nozioni universali, comprese le intuizioni dello spazio e del tempo e le categorie, suppongono necessariamente le sensazioni, ossia quel primordiale indistinto da cui per differenziazione progressiva emerge il pensiero. Non esistono strutture a priori che siconfigurino come condizioni anteriori necessarie per rendere possibile

13 R. ARDIGÒ, Il Vero, in Opere Filosofiche, vol. V, Padova, Draghi, 1891, pp. 483-4. 14 R ARDIGÒ, Il Vero, op. cit., p. 486.15R. ARDIGÒ, Il Vero, op. cit., p. 423. 16R. ARDIGÒ, La formazione naturale e la dinamica della Psiche. Saggio di unaricostruzione scientifica della psicologia, in Opere Filosofiche, vol. IX, Padova, Draghi, 1903 p.235.

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l’esperienza, ma al contrario è l’esperienza stessa che dà forma al nostro pensiero:

Tutte quante le nozioni universali, e quindi anche quelle più fondamentali delle categorie, suppongono necessariamente le sensazioni, come la vita suppone gliorgani, dei quali è solamente la funzione fisiologica: poiché poi la nozione universale non è altro che la funzione logica delle sensazioni; e la specialità della nozione universale non è altro che la specialità di tale funzione logica17.

L’impostazione rigorosamente empiristica ed ostile ad ogni forma diinnatismo pone Ardigò di fronte al problema di conciliare l’esigenza dell’esperienza individuale con la necessità di garantire il progresso per l’uomo in generale e per la scienza in particolare. Risulta in merito interessante seguire l’analisi condotta dal filosofo mantovano sulle fondamentali operazioni mentali rese possibili “dall’idea”, con riferimento particolare al passo in cui si dice che «l’idea è un segno di operazioni già eseguite e di formazioni già ottenute, e quindi è il mezzo del lavoro mentale abbreviato; onde gli abiti mentali in genere e in ispecie la scienza propriamente detta.»18 Prende qui forma l’originale tentativo di spiegare in modo del tutto empirico, attraverso il lavoro mentale abbreviato, come sia possibile garantire il progresso della conoscenza umana senza ricorrere all’innatismo. Si tratta di una dottrina volta a confutare non solo l’a priori degli idealisti e dei neokantiani, ma anche l’opinione di Spencer secondo cui le esperienze fatte dagli individui di una determinata generazione possono essere ereditate biologicamente dalle generazioni successive, in modo tale che ciò che era filogeneticamente a posteriori diventi a priori dal punto di vista ontogenetico19. Rifiutata ogni forma di innatismo Ardigò presenta la propria dottrina del lavoro abbreviato: nel corso della storia l’uomoaccumula esperienze che si imprimono nelle macchine, nelle costruzioni, negli strumenti, nelle opere d’arte ecc., oppure che vengono riassunte e fissate per mezzo del linguaggio. Questo consente all’individuo diappropriarsi rapidamente di tali esperienze, risparmiando il tempo del lungo lavoro richiesto originariamente per la loro acquisizione e compiuto dallegenerazioni precedenti. Ciò che garantisce all’uomo di progredire è la sua appartenenza ad una tradizione di modi, di pratiche, di tecniche, di pensiero che può essere tramandata di generazione in generazione. Il progresso stesso della conoscenza scientifica è possibile solo all’interno di una tradizione:

17R. ARDIGÒ, Il Vero, op. cit., p. 226. Cfr. R. ARDIGÒ, Relatività della logica umana, in Opere Filosofiche, vol. III, Padova, Draghi, 1885, pp. 439-47. 18 R. ARDIGÒ, Il Vero, op. cit., pp.218-19. 19 HERBERT SPENCER, L’evoluzione del pensiero, (trad. da Principles of Psychology), Torino, Bocca, 1909, pp. 161 e sgg.; ma vedi anche H. SPENCER, I primi principi, trad.Torino, Bocca, 1901, p. 133, opera sicuramente letta da Ardigò.

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La storia della scienza dimostra, che il suo progresso non ha potuto avverarsi, se non perché il risultato del lavoro di una età, lasciato in eredità alla successiva, ha dato a questa il mezzo di salire un altro gradino, che fu poi il punto di partenza perun’altra, e così via senza fine anche per l’avvenire. Dimostra inoltre, che alcunescienze non poterono nascere, se non dopo che quelle, che ne sono supposte,arrivarono a una certa maturazione, potendo così prestare a loro i risultati ai quali si appoggiano .20

Alla base della trasmissione del sapere c’è il linguaggio senza il quale,come non si stanca di ripetere Ardigò, la scienza non sarebbe possibile. Illinguaggio si configura quale privilegiato strumento del lavoro abbreviato, grazie ad esso la comunicazione delle esperienze e delle conoscenze risulta ampiamente semplificata. Non solo, la parola non è il semplice segno riassuntivo di un concetto che una volta espresso si garantisce la conoscibilità e trasmissibilità, ma è anche strumento del pensiero nella misura in cui contribuisce a distinguere e fissare più nitidamente le idee:

E la parola, oltre essere uno strumento, che facilita immensamente il richiamodella idea, in qualunque momento ci occorre di farcela sovvenire, serve poi anche a fissarla più distintamente, rivestendola quasi di un contrassegno, che la differenzia vivamente e la isola spiccatamente dalle altre formazioni somiglianti, e serve, espressa con la voce a ridestare l’idea analoga anche negli altri e anche afossilizzarla, per mezzo della scrittura, che la rivela ai lontani per qualunque estensione di spazio e per qualunque lunghezza di tempo .21

Senza il linguaggio la scienza non sarebbe possibile sia perché mancherebbe una tradizione di pensiero in grado di assicurarne la crescita,sia perché la capacità dell’uomo di distinguere e concettualizzare, quindi di fissare i problemi, è strettamente connessa all’acquisizione del linguaggio. Chiarita la centralità di quest’ultimo per il processo conoscitivo, Ardigò illustra le implicazioni della teoria del lavoro abbreviato per la ricercascientifica: anzitutto una scienza viene appresa allo stato di perfezionelasciato in eredità dalla generazione precedente, senza bisogno di ripercorrerne la storia; lo scienziato può avvalersi di metodi, tecniche, apparecchi scientifici che sono il risultato di altre ricerche senza bisogno diripetere le indagini; può inoltre collaborare con studiosi della medesima o di altre discipline per approfondire i dettagli della ricerca. In questo modo lo scienziato, dispensato dal ripetere faticosamente le esperienze precedenti che acquisisce nella loro sintesi mediante il linguaggio, può usare il tempo guadagnato per dedicarsi a nuove ricerche.

20 R. ARDIGÒ, Il Vero, op. cit., p. 339-340. Cfr. R. ARDIGÒ, Il compito della filosofia e lasua perennità, in Opere Filosofiche, vol. IV, Padova, Draghi, 1897, p. 274-296. 21 R. ARDIGÒ, Il Vero, op. cit., p. 333.

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La teoria del lavoro abbreviato è stata da Ardigò stesso accostata allateoria machiana dell’economia del pensiero. Nel testo Il quadrupliceproblema della gnostica22 egli ne fa anzi una questione di priorità sostenendo di avere esposto la propria teoria prima che Mach illustrasse lasua legge sull’economia del pensiero. A prescindere dalla querelle sullapriorità, è possibile affermare che in realtà la dottrina del lavoro abbreviatonon coincide propriamente con quella machiana. Mach parte dal presupposto fenomenistico secondo cui nessuna legge o nozione scientifica è in grado di cogliere una realtà più profonda di quella fenomenica. Ciò implica che le leggi altro non siano che nessi funzionali; diviene pertanto necessario stabilire criteri in base a cui lo scienziato possa attribuire maggior credito ad alcune connessioni piuttosto che ad altre. Tale criterio è appunto l’economia del pensiero. Dopo aver constatato che gli animali tendono a comportarsi in modo economico, Mach ritiene che gli scienziati debbano fare altrettanto: partendo dai fenomeni osservabili e dalle loro relazioni dovrebbero sistematizzarli con uno sforzo minimo, osservando il criterio della semplicità e del risparmio, rinunciando quindi a tutti gli elementi ipotetici o metafisici. Il criterio di scelta tra teorie in competizione non potrà consistere in altro che nella maggiore o minore semplicità con cui sono connessi i fenomeni, nell’ampiezza dell’applicazione, nel tipo diordine più o meno rigoroso che ci fanno scoprire. E’ evidente che il principio elaborato dal fisico austriaco riguardi l’economia della teoria scientifica ed abbia quindi una precisa valenza epistemologica. Indica, con la richiesta di scegliere i mezzi più semplici, economici ed efficaci, quali debbano essere le caratteristiche di scientificità di una teoria, che in base a tali caratteristiche viene valutata dalla comunità scientifica. La dottrina del lavoro abbreviato di Ardigò riguarda invece l’economia della ricerca scientifica. Non entra nel merito della modalità di articolazione esistemazione dei dati in una teoria scientifica, ma studia come la praticadella ricerca possa evolvere grazie al costituirsi, mediante il linguaggio, di tradizioni di pensiero che conservano le conoscenze acquisite e ne garantiscono la rapida assimilazione alle generazioni successive. Lo stesso Büttemeyer, incline su altre questioni a rilevare le affinità di pensiero traArdigò e Mach, in merito al confronto tra l’economia del pensiero ed il lavoro abbreviato scrive:

I tre aspetti ora ricordati [i concetti chiave del lavoro abbreviato] non mancano nel concetto machiano dell’economia del pensiero: anch’egli riconosce l’utilità dell’esperienza umana accumulata e della sua trasformazione in forme concettuali, e sottolinea la meravigliosa economia della comunicazione, dovuta al linguaggio.Ma la sua idea centrale è di carattere epistemologico; si tratta cioè non tanto di una legge empirica, quanto di un principio metateorico che può servire a regolare il

22 R. ARDIGÒ, Il quadruplice problema della gnostica, in Opere Filosofiche, vol. X,Padova, Draghi, 1907.

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lavoro di sistemazione delle teorie scientifiche; o meglio, si tratta di una legge empirica, trasformata in un principio epistemologico .23

L’idea centrale della dottrina ardigoiana del lavoro abbreviato è invece di carattere più propriamente euristico. I progressi della scienza e dell’uomo in generale trovano spiegazione e vengono in qualche modo garantiti dalle opportunità offerte dal linguaggio alla nostra specie. E’ interessante sottolineare come Ardigò insista sul nesso conoscenza-linguaggio sostenendo che i progressi dell’uomo debbano essere cercati non in qualche forma di “trinceramento genetico” delle abilità e conoscenze acquisite nel tempo, ma piuttosto nell’articolarsi del linguaggio che ha reso possibile tramandare il sapere mediante un codice alternativo a quello dei geni, ha reso cioè possibile il più duttile “trinceramento nella tradizione”24.

La riflessione sul linguaggio conduce Ardigò ad interrogarsi sui molteplici modi che esso offre di strutturare la realtà. Nell’articolo Relatività della logica umana25 egli sostiene che sia profondamente errato pensare che l’uomo modelli la realtà col «suo stampo logico sempre uguale a se stesso» poiché «lo stampo unico è una chimera».26 La critica serrata ad ogni forma di a priori, siano essi intuizioni, categorie o strutture logicheesperite dalle generazioni precedenti ed ereditate geneticamente, induce Ardigò a considerare il pensiero, nelle sue molteplici manifestazioni, comeemergente dall’esperienza individuale. Esso è quindi il risultato dellainterazione del soggetto, inteso come organismo dotato di una funzionalità cerebrale, con il suo ambiente. L’individuo struttura il mondo in funzione delle esperienze vissute, così che non è l’uomo che domina col proprio pensiero la realtà, ma questa che si insinua in lui dominandolo27. La logicaumana si diversifica in funzione dei contesti di apprendimento in cui vive il soggetto e le modalità con cui si struttura la realtà possono essere revisionate e riarticolate qualora si presentino «formazioni nuoveprogressive»28. Queste ultime vengono garantite all’umano sapere per via ereditaria. Coerentemente con la dottrina del lavoro abbreviato e con il ruolo attribuito al linguaggio nella trasmissione delle conoscenze, si tratta non di una qualche forma di eredità biologica, che fisserebbe geneticamente le strutture logiche rendendole a priori, ma di una eredità culturale che forgia dall’esterno la mente umana orientando il modo stesso di articolare il pensiero:

23 W. BÜTTEMEYER, Ardigò e Mach, art. cit., p. 125. 24 Cfr. KARL. R. POPPER, La conoscenza e il problema corpo-mente, Bologna, Il Mulino,2000, pp. 107-139.25 R. ARDIGÒ, Relatività della logica umana, in Opere Filosofiche, vol. III, Padova, Draghi, 1885. 26 R . ARDIGÒ, Relatività della logica umana, op. cit., p. 442.27 Cfr. R. ARDIGÒ, Relatività della logica umana, op. cit., p. 444. 28 R. ARDIGÒ, Relatività della logica umana, op. cit., p. 445.

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Il lavoro logico solo in piccolissima parte è un prodotto individuale: e, nella parte immensamente maggiore, è un prodotto collettivo; e quindi nell’individuo è, per questa parte maggiore, importazione dal di fuori. La logica comune di un europeo del secolo decimonono è l’accumulamento dei lavori logici di tutti iprecedenti fissati nel patrimonio cogitativo generale e imposto ad essoindeclinabilmente dalla educazione, dalla lingua, dalle istituzioni, dall’arte, dalla convivenza.29

Sicuramente manca in Ardigò la trattazione dei criteri in base ai quali valutare il rigore logico e la correttezza formale dei vari modi in cui l’uomo può strutturare il mondo; manca cioè l’approfondimento di tematiche che saranno al centro dell’empirismo logico del Novecento. Del resto Ardigò appartiene alla tradizione empiristica e positivistica che fonda la conoscenza sull’induzione e la prova dei fatti. Le astrazioni, i principi, le leggi di cui si serve la scienza sono il risultato di un processo induttivo, sono il prodotto dell’esperienza e la loro relatività consiste nel valereprovvisoriamente finché non vengano modificate o smentite da nuove osservazioni. In questa prospettiva la validità delle astrazioni si misura esclusivamente attraverso la ripetizione degli esperimenti poiché «la loro probabilità cresce col crescere dei casi positivi simili ai già acquisiti».30

E’ evidente come il tentativo di pervenire ad una fondazione scientifica della psicologia abbia condotto Ardigò a confrontarsi con le questioni di metodo ed inevitabilmente con le fondamentali problematiche epistemologiche. Per quanto opinabile possa essere l’approccio positivisticoadottato dal filosofo mantovano nell’affrontare tali questioni, va ricordato che Ardigò è stato tra i primi in Italia a rendere noti i più recenti metodi e nozioni della psicologia ottocentesca e a contrapporli alla psicologia razionale della tradizione, sgomberando il terreno psicologico dalla speculazione metafisica e dalle implicazioni spiritualistiche del concetto di fenomeno psichico. Ciò gli ha assicurato la stima dei maggiori rappresentanti della psicologia italiana del suo tempo, Giuseppe Sergi, Enrico Morselli e Giulio Cesare Ferrari. Proprio Sergi ricorda nelle sue osservazioni sul contributo dato dagli italiani alla nuova psicologia, che Ardigò è stato colui «che scrisse primo in Italia, or son più di trentacinque anni, una Psicologia positiva, nella quale, malgrado l’assenza di osservazioni sperimentali, si trova il nuovo indirizzo della scienza psicologica».31

29 R. ARDIGÒ, Relatività della logica umana, op. cit., p. 446.30 R. ARDIGÒ, Il positivismo nelle scienze esatte e nelle sperimentali, in Opere Filosofiche, vol. XI, Padova, Draghi, 1918, p. 123. 31 GIUSEPPE SERGI, Il prossimo Congresso internazionale di psicologia, «NuovaAntologia», vol. CXVI, marzo 1905, pp. 228-230.

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ARCHÈ, KÓSMOS, ÉRIS. LA TEORIA DEL DIRITTO COME

MODELLO COSMICO ALL’INTERNO DELLA MICRO-

TRADIZIONE DI RICERCA MILESIA

di Ivan Pozzoni

1. INTRODUZIONE

Questo articolo ha come intento e desiderio di ricostruire etica e teoria del diritto introdotte all’interno della cultura occidentale da un rilevante settore della tradizione di ricerca Pre-socratica;1 vedrò di considerare infatti

1 Oltre la reale consistenza storica della tradizione di ricerca, lo stesso termine “Pre-socratici” non è universalmente condiviso dalla dottrina moderna. Per una visione dottrinale divenuta tradizionale il termine “Pre-socratici” è ritenuto esaustivo. Si consultino in tale senso classici della storia della filosofia antica come C.A. BRANDIS, Handbuch der Geschichte der griechisch-romischen Philosophie, Berlin, G.Reimer, 1866 o E. ZELLER, Die Philosophie der Griechen in ihrer geschichtlichen Entwicklung, trad. it. La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Firenze, La Nuova Italia, 1932. Per altri studiosi inveceresterebbero meno onerosi in chiave ricostruttiva termini come “Pre-attici” o “Pre-sofisti” (F.UEBERWEG, Grundriss der Geschichte der Philosophie des Altertums, Berlin, E.S.Mittler, 1920). Per rifiutare l’uso tradizionale del termine non mi sembra sussistano motivi considerevoli. La dottrina moderna è invece indirizzata sulla strada della cautela: «… evitiamo di trattare i primi pensatori della Grecia come “precursori” […] i “precursori” non sono in ultima analisi altro che oggetti artificiali ottenuti mediante una lettura all’indietro della storia» (J. BERNHARDT, I Presocratici: da Talete ai Sofisti, in F.Châtelet (a cura di), Storia della filosofia pagana, Milano, Rizzoli, 1976, p. 13).

1. INTRODUZIONE

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morale e teoria del diritto dei Milesii (Talete, Anassimandro, Anassimene). La moderna critica sulla scuola milesia non si è ancora mostrata realmenteinteressata nei confronti di tali tematiche; pochi ricercatori hanno considerato con interesse concetti e nozioni della teoria della società e della teoria del diritto dei Pre-socratici.2In realtà la dimensione etico-sociale – insieme alla teoria dell’essere e della natura – può essere considerata una sorta di teoria del cosmo e non è corretto prescinderne o disconoscerne la rilevanza. Politica, etica, diritto esocietà - secondo la nostra tesi- non devono essere trascurati o dimenticati all’interno della discussione culturale di tale tradizione di ricerca. Pur trovando scarse conferme dirette nella dottrina antica tale tesi è assai amatada diversi autori moderni che ne indicano come antecedenti etici i racconti “omerici”, la trattazione esiodea e i versi dei lirici.3 Dove si collocano etica e teoria del diritto all’interno della teoretica dei Milesii? Per la dottrina del ‘900 teoria del diritto, etica e teoria dellasocietà non rivestivano un ruolo rilevante nei discorsi della Pre-socratica;4 unicamente alla fine del secolo scorso è iniziato un cammino di rivalutazione del ruolo della Praktischen Philosophie nella loromeditazione culturale. E’affascinante la tesi di uno dei massimi storicidella filosofia del secolo scorso,5 Rodolfo Mondolfo, il quale sostiene che nei presocratici la conoscenza sociale sarebbe antecedente alla

2 Il riconoscimento della rilevanza di teoria sociale e teoria del diritto nella riflessioneletteraria dei Pre-socratici è merito del monumentale scritto W.J. JAEGER, Paideia: die Formung der griechischen Menschen, trad.it. Paideia: la formazione dell'uomo greco, Firenze, La Nuova Italia, 1946. Gli studi di Vernant e Mondolfo si inseriscono nella traiettoria dell’autore tedesco. Della medesima idea è l’innovativa – benché non recente-Storia della filosofia del diritto di Fassò (G. FASSÒ, Storia della filosofia del diritto, Roma-Bari, Laterza, 2001, 11). 3 Per una esaustiva ricostruzione della teoria morale dei momenti storico-culturaliantecedenti alla Pre-socratica si veda G. REALE, Storia della filosofia greca e romana, Milano, Bompiani, 2004, vol.II, pp. 13-26. Trabattoni sulla scia di Reale scrive «La riflessione sull’uomo, sul suo comportamento privato e pubblico, sia in relazione agli altri uomini, sia in relazione alle divinità, nella Grecia arcaica è contenuta soprattutto neicomponimenti poetici (a partire da Omero ed Esiodo fino ai poeti lirici, tragici e comici)»(F. TRABATTONI, La filosofia antica, Roma, Carocci, 2003, p. 44).4 Parte della dottrina moderna sottolinea come la letteratura meno recente sottovaluti la centralità di morale e teoria del diritto dei Presocratici. Essa sottolineatura è sostenuta daautori come Fassò (G. FASSÒ, Storia della filosofia del diritto, cit., p. 12) e Trabattoni (F.TRABATTONI, La filosofia antica, cit., p. 44). Parte della dottrina moderna invece – con Abbagnano, Severino, Reale, Barnes e Châtelet – nei testi di massima diffusione sembradisinteressarsi della situazione, evitando di accennare alla teoria del diritto dei nostri autori. 5 Cfr. R. MONDOLFO, Natura e cultura alle origini della filosofia, in W.Leszl (a cura di), I Presocratici, Bologna, Il Mulino, 1982, 223-255. Per un ulteriore esame meno circoscritto si veda l’intero scritto R. MONDOLFO, Alle origini della filosofia della cultura, Bologna, IlMulino, 1956, pp. 3-86; la medesima tesi è sostenuta recentemente in E.Paresce, La Giustizia nei Presocratici, Cosenza, Rubbettino Editore, 1986.

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coscienza6. A parere di Mondolfo sin dalla weltanschauung del mito i contesti umani sono simbolo dell’universo cosmico. Premessa dell’umanizzare è aver coscienza dell’umano; umanizzando il divino ilmito dimostra di avere dominio su tutto ciò che è umano. L’individuo antico matura il desiderio di avvicinarsi ai misteri dell’universo, dinnanzi a cui nascono timore e ansia. Per rimuovere tali stati d’animo ciascuno ricorre ad un’attività di interpretazione e inizia a tradurre l’insondabilesecondo schemi mentali umani, sia utilizzando come modelli attributi e caratteristiche umani individuali sia servendosi dei concetti della società e del diritto. Concretezza sociale e certezza del diritto sono rimedi contro la natura inquietante dei misteri del cosmo. Carenti di uno specifico vocabolario le teorie del cosmo dei Pre-socratici si servono dei modelli concettuali di etica, società e diritto. Oltre a caratterizzarsi come traduzione la teoria del cosmo dei Pre-socratici è ottimamente descrittadalla metafora della maschera7. La teoria del cosmo dei nostri autori èracconto del contesto civile dell’ellenicità arcaica attraverso schemiconcettuali di etica, teoria sociale e teoria del diritto mascherati sotto sembianza di termini eminentemente naturalistici. Perché una maschera? Potrebbe essere stato il timore di subire danni nelle abbondanti discordie civili che caratterizzarono l’esordio dell’età classica ellenica,8 o il timore

6 Cfr. R. MONDOLFO, Natura e cultura…, cit., 226-228. Per l’antecedente immediato di taleintuizione oltre ai meno immediati Feuerbach e Marx si consideri la riflessione scientificadella teoria storico-culturale sovietica. Per Vygotskij «Potremmo formulare come segue lalegge genetica generale dello sviluppo culturale: ogni funzione nel corso dello sviluppoculturale del bambino fa la sua apparizione due volte, su due piani diversi, prima su quellosociale, poi su quello psicologico […] Dietro a tutte le funzioni superiori e ai loro rapportistanno geneticamente delle relazioni sociali, relazioni reali tra gli uomini» (L.S.Vygotskij,Istorija razvitija vyssich psichiceskich funkcij, trad.it. Storia dello sviluppo delle funzionipsichiche superiori e altri scritti, Firenze, Giunti Barbèra, 1974, 201-202). Per Leont’ev invece successivamente: «La coscienza dell’uomo, come la sua stessa attività non sono additive. Non è una superficie, né un contenitore riempito di immagini e di processi. Non è neppure un nesso tra le sue singole “unità”, ma il movimento interno dei suoi costituenti, incluso nel generale movimento dell’attività, che costituisce la vita reale dell’individuonella società. L’attività umana costituisce la sostanza stessa della sua coscienza» (A.N.LEONT’EV, Dejatel’nost’, soznanie, li nost’, trad.it. Attività, coscienza, personalità, Firenze, Giunti Barbèra, 1977, p. 138). L’avvento della modernità ha condotto a ricusaresenza distinzione tutti i dualismi scaturenti dall’alternativa ereditarietà/ cultura; di tale tendenza è sintomatico il volume collettaneo J. KLAMA, L’aggressività, realtà e mito, Torino, Bollati Boringhieri, 1991. 7 La natura eminentemente metaforica della narrazione milesia è sottolineata sin dall’iniziodall’articolo W. KRANZ, Gleichnis und Vergleich in der Frühgriechischen Philosophie, in «Hermes», 73, 1938, pp. 99-122 recentemente utilizzato a mo’ di introduzione nello scritto A.Lami, I Presocratici: testimonianze e frammenti, Milano, Rizzoli, 1991, pp. 7-47. 8 Per Musti il momento storico successivo alla colonizzazione è caratterizzato in tutto il mondo ellenico da trasformazioni di ordinamento estremamente violente che conducono dall’aristocrazia alla tirannide. Già tale situazione è chiara a storici e studiosi classici; scrive infatti Musti «L’idea di un peggioramento progressivo del regime quanto a rapporti

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che una umanizzazione eccessiva del mistero conducesse ad accuse diateismo,9 o addirittura l’interesse a mantenersi senza macchia in ambitoistituzionale.10 La mancanza di documentazione rende estremamente ardua una corretta ricostruzione storica.

2. LA DIMENSIONE ETICO-SOCIALE DELLA NARRAZIONE MILESIA

La dimensione etico-sociale – a detta di molti autori moderni – non avrebbe ruolo assai rilevante all’interno della narrazione della scuola milesia, come accade anche all’interno dell’intera Pre-socratica; dimensione naturale e teoria dell’essere sembrano dominare la teoria del cosmo di tutti i Pre-socratici. Queste tesi – assai diffuse nella manualistica moderna- non sembrano essere tuttavia attendibili. Perchétale diffusione? Essa deriva dall’esame della letteratura dossografica; all’interno delle testimonianze dirette e indirette dei/sui nostri autori sono estremamente ricorrenti termini e concetti connessi a contesto naturale e universo dell’essere. Pochissimi invece sono i riferimenti alla dimensione etico-sociale. Come motivare tale sbilanciamento? Molto rilevante èl’esistenza di contaminazioni successive. Per la dottrina moderna è ormai chiara l’incidenza che Platone e tradizione aristotelica (Aristotele e dottrina teofrastea) esercitarono sui testi dei nostri autori. Queste incidenze indirizzano i contenuti della scuola milesia ora verso un naturalismo induttivistico (Aristotele e tradizione aristotelica), ora verso un razionalismo idealistico (Platone). I testi milesii subiscono enormicontaminazioni; Platone e Aristotele tendono ad attualizzare autori e

con l’aristocrazia, verso una forma più chiaramente tirannica, è così comune a tutta latradizione» (D. MUSTI, Introduzione alla storia greca, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 58). A medesime conclusioni è condotto l’autore dello studio A. Mele, Legislatori e tiranni, in AA.VV., Manuale di Storia Greca, Bologna, Monduzzi, 2003, pp. 78-111. 9 Nel 430 a.c. – a detta di Plutarco – è varato ad Atene un decreto atto ad incriminare chiintroducesse dottrine ateistiche e naturalistiche; si desume che in tutto il mondo ellenico sidiffondessero norme simili, indirizzate a vincolare riflessioni culturali eccessivamente ardite. Presto sulla scena ellenica suonerà contro Socrate l’accusa di Meleto conservata nel Metroon di Atene: «Socrate è reo sia di corruzione nei confronti dei fanciulli sia di non riconoscere le divinità che la città onora, ma altre nuove divinità» [APOL.24.c] (Platone,APOLOGIA SWCRATOUS��KRITWN�� Milano, Rizzoli, 1994). Il testo usato in taleedizione è mutuato da J. Burnet (a cura di), Platonis Opera, Oxford, Clarendon Press, 1900. 10 Politici e filosofi – come vedremo- sono in tale momento storico e in tutto il mondo ellenico i medesimi individui. Gli esordi della cultura ellenica sono caratterizzati da unacommistione indissolubile tra filosofia e amministrazione cittadina. Tra i due settori è traitd’union la scrittura (D.MUSTI, Introduzione alla storia greca, cit., p. 43). Per una visione di insieme si consulti G. CAMASSA, Leggi orali e leggi scritte. I legislatori, in S. SETTIS, I Greci, Torino, Einaudi, 1996, II, 1, pp. 561-576.

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2. LA DIMENSIONE ETICO-SOCIALE DELLA NARRAZIONE MILESIA

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dottrine antecedenti.11 Questo dualismo contaminativo Platone/Aristotele si concretizza in vari settori della narrazione milesia; consideriamone duecasi concreti. C’è il caso della descrizione dell’orientamento taletiano nei confronti della filosofia. Dal Teeteto di Platone deriva l’aneddoto della servetta tracia

Come successe a Talete, oh Teodoro, che mentre osservava in alto le stelle cadde in una buca, e si racconta che una servetta tracia, acuta e ironica, l’abbia schernito dicendo lui che si curava di conoscere cose celesti edimenticava ciò che aveva davanti;12

il nostro autore è descritto come cultore disinteressato di una ricercaastratta e universale, molto vicina al modo di intendere la filosofia esaltato da Platone. Per Platone caratteristica essenziale della meta-filosofia taletiana sarebbe l’interesse verso il «cielo» dei concetti, controuna concretezza tutta terrena. Dalla Poetica aristotelica di contro derival’aneddoto dei frantoi:

[…] Poiché, povero com’era, gli rinfacciavano l’inutilità della filosofia, dicono che, avendo stabilito in base a calcoli astronomici un abbondanteraccolto di olive, ancora nel cuore dell’inverno, avendo una minima sommadi denaro, si accaparrò tutti i frantoi di Mileto e di Chio, dando una cifrairrisoria dato che non ce n’era richiesta alcuna. Quando arrivò il momentodella raccolta, siccome molti cercavano i frantoi, tutti insieme e con urgenza, li diede a nolo al costo che volle e, raccolte molte ricchezze, dimostrò che ai

11 Cfr. H. CHERNISS, Aristotle's criticism of presocratic philosophy, Baltimore, J.HopkinsPress, 1935, pp. 50-51 e pp. 106-107 e in relazione alla tradizione teofrastea J.B.MCDIARMID, Theofrastus on the Presocratic Causes, «Harvard Studies in the Classical Philology», 61, 1953, pp. 85-156. Da sottolineare tuttavia l’asserzione contraria del Leszl«La documentazione che Cherniss mette insieme delle distorsioni e altre inadeguatezzepresentate dalle esposizioni aristoteliche è abbastanza impressionante, ma c’è il motivo perpensare che siano frequenti, da parte sua, le incomprensioni e i casi di partito preso[…]» (W.LESZL, Introduzione, in W.Leszl (a cura di), I Presocratici, cit., p. 35) con il richiamo alGuthrie di Aristotle as Historian. Altrettanto recente ma vicina a riconoscere esistenza e rilevanza delle contaminazioni aristotelico/ teofrastea sulla narrazione milesia è una visionedel Barnes, che scrive: «Moreover, the stream is contaminated. First, many of the later doxographers were not scholars but silly hacks who, by accident or design, regularly mutilated or distorted the Theophrastan material; and in any case they had at their disposalnot Theophrastus’original work but some poor epitome and refashioning of it. Second,Theophrastus himself was not a historical purist: imitating his master, Aristotle […]» (J.BARNES, The Presocratic Philosophers, London, Routledge & Kegan Paul, 1979, p. 14). 12 Cfr. PLATONE, QEAITHTOS, Roma-Bari, Laterza, 1999, 174 a. Il testo usato in taleedizione è mutuato dall’edizione di J. Burnet, Platonis Opera, Oxford, Clarendon Press, 1900. Mondolfo attribuisce tale nozione di “neutralità” all’astrattismo idealistico diPlatone; Paresce alla deriva semiotica della teoria dell’essere trasmessa all’ateniese daParmenide e dai rimanenti eleati.

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filosofi è davvero facile arricchirsi, se lo desiderino; e invece non è di ciòche si curano.13

Qui invece il nostro autore è descritto come cultore interessato a unaricerca finalizzata al risultato concreto, molto vicina al modo aristotelicodi intendere scienza e filosofia. Per Aristotele caratteristica essenzialedella meta-filosofia taletiana è l’interesse verso la strumentalità dellaconoscenza. Nei due aneddoti, che mostrano soluzione di continuità, Platone e Aristotele delineano due situazioni diverse, ciascuna vicina alla loro weltanschauung. La scuola milesia è scacchiera su cui i classici successivi si misureranno con l’arma dell’attualizzazione. Il medesimo dualismo contaminativo si concretizza altrove. È il caso della definizione milesia della natura del cosmo, secondo alcuni14

incentrata animisticamente sulla nozione di «motore» e secondo altri15

materialisticamente sulla nozione di «struttura»; tale dualismo è caratteristico dell’intera letteratura intorno alla tradizione milesia. Prevale tra l’altro in termini numerici l’incidenza della contaminazione aristotelica; da ciò deriva l’assunto moderno della intrinseca naturalisticità della scuola milesia. Questa ad una visione scarsamente attenta e adulterata dalle contaminazioni aristoteliche sembra essere invia esclusiva una filosofia della natura orientata a trascurare la dimensione etico-sociale. Ma Aristotele – come sostiene correttamenteCherniss16– manca di metodo storico nella sua rivisitazione della Pre-socratica, tendendo ad aristotelizzare tutta l’attività culturale antecedente; dona al suo naturalismo validità retroattiva, attribuendo alle dissertazionidella scuola milesia una caratteristica esclusiva che esse in realtà hannoin via accessoria e traducendo in essenziale un attributo che in realtà è unicamente uno tra i vari attributi di tale tradizione di ricerca. Ladissertazione milesia non conduce esclusivamente alla costituzione diuna teoria della natura. Essa introduce – come vedremo- una articolata teoria del cosmo. Qualora si trascuri la dimensione etico-sociale il tentativo ricorrente di ricondurre la scuola milesia all’ottica naturalistica si mostra riduttivo; oltre alla necessità di de-aristotelizzare l’esordiente Pre-socratica, a rifiutare tale riduzionismo naturalistico concorre un ulteriore motivo. Pur non trascurando un contesto assai esteso di carenza

13 Cfr. ARISTOTLE, Politics, London, Harvard University Press, vol. XXI, 1944, 1.1259a. Latraduzione è a cura di H.Rackham.14 Cfr. H.DIELS- W.KRANZ, Die fragmente der Vorsokratiker, trad. it. I Presocratici. Testimonianze e frammenti, Roma-Bari, Laterza, 2004, [11, A, 3]. Per citare ciascun frammento dei Pre-socratici ci serviremo delle indicazioni critiche – divenute oramai classiche – del Diels. Gli Scholia Platonis di Esichio sottolineano come all’interno dellascuola milesia la motricità dell’essere cosmico sia nozione centrale. 15 Cfr. ivi, cit., [11, A, 12] [11, A, 13] e [11, A, 14]. Questa situazione si rinnova con Anassimandro e Anassimene. 16 Cfr. H.CHERNISS, Aristotle's criticism of presocratic philosophy, cit., 13-15.

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documentaria, si riesce a dimostrare con una certa sicurezza come tutti i nostri autori siano uomini di amministrazione e di diritto. Talete è tenutoin enorme conto dall’amministrazione cittadina di Mileto tanto dariuscire ad introdurre una consulenza di diritto internazionale17; Anassimandro è ricordato come deduttore di colonie.18 Tra i Milesii alcuni sono nomoteti, altri condottieri coloniali.19 Come sostenere senza dubbio d’errore che uomini così vicini ad amministrazione civile e diritto abbiano trascurato totalmente di considerarne valore e rilevanza?E’sintomatica l’asserzione su Talete contenuta nelle Vite dei filosofi: «[…] successivamente all’amministrazione cittadina si diede all’analisi dei fenomeni naturali […]».20

Questo «successivamente» che ad un’occhiata disattenta rischia dimostrarsi scarsamente significativo, è in realtà indice di una intensarilevanza, conscia o inconscia, della dimensione etico-sociale nella teoria milesia del cosmo. Per avvalorare tale tesi devono bastare rari riferimenti documentali, non essendo alcuna ricerca sulle fonti filosofiche antecedenti a Platone caratterizzata da una situazione di abbondanza testuale; se si trascura la dimensione etico-sociale ciascun accostamentoermeneutico alla sotto-tradizione milesia, come all’intera tradizione Pre-socratica, risulterà fuorviante. Per una corretta ricostruzione di tale scuola anzitutto occorrerà un abile intervento di de-aristotelizzazione; e inseconda battuta converrà sottolineare termini e concetti occulti o manifesti di etica e teoria del diritto.

3. CAUSA, ORDINAMENTO E SANZIONE NELLANARRAZIONE MILESIA

Giustificata la rilevanza della dimensione etico-sociale all’internodella narrazione milesia, è conveniente circoscrivere tematicamente taledimensione; strumenti idonei ad introdurre una esaustiva analisi etico-sociale sono etica e teoria del diritto. Un attento esame dei testi milesii inrelazione all’etica conferma la tesi – introdotta da autori come Barnes e

17 Cfr. ERODOTO, ISTORIAI, Milano, Mondadori, 1956, I-170. Il testo usato in tale edizione è mutuato da P.E.Legrand, Hérodote. Histoires, Paris, Société d’Edition “LesBelles Lettres”, 1932-1954. 18 Cfr. H.DIELS- W.KRANZ, Die fragmente der Vorsokratiker, trad. it. I Presocratici.Testimonianze e frammenti, cit., [12, A, 3]. 19 Guida costituzionale e conduzione di colonizzazioni sono caratteristiche oramaicostantemente attribuite a tutti i milesii dalla moderna storia dell’antichità; la letteratura storica recente sottolinea senza esitazioni tale dato, estendendolo ai membri di altre sotto-tradizioni di ricerca. Sintomatici sono i casi del Murray (O. MURRAY, Early Greece, trad.it. La Grecia delle origini, Bologna, Il Mulino, 1996, pp. 209-303) e del Davies (J.K. DAVIES, Democracy and Classical Greece, trad.it. La Grecia Classica, Bologna, Il Mulino, 1996, pp. 218-220).20 Cfr. H.DIELS- W.KRANZ, I Presocratici. Testimonianze e frammenti, cit., [11, A, 1].

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3. CAUSA, ORDINAMENTO E SANZIONE NELLA NARRAZIONE MILESIA

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Reale21– secondo cui sia l’assenza del meta-discorsivo ad ostacolare l’introduzione di una coerente scienza etica. Non ci sono indizi di sostenere l’esistenza di un’etica milesia; né documenti che mostrinoesistenza di discorsi morali. Le morali “omerica”, esiodea e liriche non sembrano trovare continuazione nella scuola milesia. La narrazione milesia allo stato delle cose non ci sembra comunicare né discorsi morali né discorsi etici.

Pur in assenza di considerazioni morali o etiche i filosofi di Mileto sembrano accostarsi in via indiretta e con un certo interesse ai discorsi sudiritto e istituzioni. Non ci sono – ad eccezione di determinate citazioni anassimandree- riferimenti diretti a contesto e vocabolario del diritto; tuttavia benché dissimulati ad arte si riconoscono interessanti richiami ai tre nuclei ius-filosofici centrali della Pre-socratica (norma; ordinamento; sanzione). È possibile tratteggiare la teoria del diritto milesia attraverso la realizzazione di un’attenta ricostruzione de-aristotelizzante, idonea a svincolare i discorsi etici e sociali milesii da schemi naturalistici e onto-teorici successivi. Prenderò innanzitutto in considerazione la nozione dicausa normativa, interessante ai fini della definizione del concetto di norma; successivamente delineerò l’evoluzione del termine “cosmo”, strumentale alla descrizione della nozione di “ordinamento”; infine miaccosterò brevemente alle celebri enunciazioni anassimandree relativealla rilevanza di sanzione e contenzioso arbitrale sulla nascita del cosmo. Procedura e diritto sanzionatorio incidono massimamente coi loro vocabolari e coi loro meccanismi sui tentativi milesii di decifrare i misteri cosmici. Norma, ordinamento e sanzione trovano nella scuola milesia i tre antecedenti culturali di causa (¢rc»), cosmo (kÒsmoj) e contesa (œrij).

3.1 La nozione di ¢rc» tra divinità e causa normativa Nella concezione milesia del mondo le nozioni di norma e di causa si

intersecano in maniera costante. L’idea strettamente metafisica di un essere “accomunante” e quella naturalistica di una materia innata unite all’intuizione etico-sociale di una entità normativa universale concorrono 21 Cfr. G. REALE, Storia della filosofia greca e romana, cit., vol. II, p. 36 dove si asserisce che «[…] tutti i filosofi presocratici come moralisti non andarono oltre il piano della “sentenza” intuitivamente colta […] E quei filosofi che, come i Pitagorici, Eraclito ed Empedocle, andarono, in certa misura, oltre questo tipo di saggezza morale, lo poteronofare sulle basi della visione dell’uomo e della vita che essi attinsero dalla fede orfica […]».La tesi sostenuta dal Barnes secondo cui «If Aristotle’s predecessors did not study the art of ratiocination, they were expert in its practice; if they were not logicians, they were thinkersof depth and power» (J. BARNES, The Presocratic Philosophers, cit., p. 3) e accolta in maniera assoluta da certa moderna manualistica non è accettabile in toto. Pur se non riuscirono a costruire esaustive etica e meta-etica i milesii cercarono di arrivare – attraverso armi e strumenti della metafora e in molti casi inonsciamente – ad una coerente meta-cosmica (meta-teoria del diritto mascherata).

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– all’esordio della cultura ellenica- ad introdurre e costruire la nozione di ¢rc».22 È caratteristica di tutta la scuola di Mileto riconoscere l’esistenza di una matrice ancestrale idonea a sostanziare e ad accomunare l’intera moltitudine dei fenomeni reali (realtà). Questa intuizione verte sucondizioni normative che spesso sono state trascurate dalla critica moderna. Con la scuola milesia nasce e si evolve la nozione sottile di causa normativa. Per dimostrare la tesi secondo cui la narrazione dei Pre-socratici verrebbe intensamente contaminata o – in maniera assai meno realistica- deriverebbe in toto da tracce etico-sociali, è ottima mossa ricostruttiva sottolineare la normatività di un concetto tanto centrale nello strumentario filosofico milesio come la nozione di ¢rc». E’chiaro un frammento anassimeneo

Come l’anima, ch’è aria, tutto accomuna, così essa amministra il mondo intero23,

coadiuvato da una testimonianza indiretta aristotelica su Anassimandro:

Perciò – come diciamo – esso [l’infinito anassimandreo] non ha inizio materiale ma sembra essere inizio di tutto, e abbracciare e amministrare tutto ciò che rimane […].24

Oltre a caratterizzarsi come matrice naturale25 o sostanza accomunante26

la causa milesia «domina», «amministra», è norma dell’intero mondo; l’idea di causa non si distacca – come detto- dall’idea di norma. L’¢rc» è causa normativa dell’universo, della realtà e delle istituzioni. Da una nozione anzitutto umana – sociale – si individua l’ordine cosmico;

22 Come il termine kÒsmoj, il termine ¢rc» sottende tre versioni semantiche. Cosa sinasconde sotto tale maschera sintattica? Per il riduzionismo naturalistico esso è materia innata dell’universo; secondo rilettura metafisica e onto-teorica è sostanza accomunante di tutti i fenomeni; in base ad una visione etico-sociale è entità normativa dell’intero cosmo(autorità). Se desiderassimo non cedere dinnanzi ad alcun riduzionismo, dovremmoconsiderare l’¢rc» milesio come materia idonea ad accomunare e ad amministrare tutti i contesti. 23 Cfr. H.DIELS- W.KRANZ, I Presocratici. Testimonianze e frammenti, cit., [13, B, 2]. Primo termine di metafora è il verbo sugkratšw, che senz’ombra di dubbio nell’uso di base richiama all’ambito dell’autorità e della sovranità; secondo termine di metafora è il verbo perišcw, con caratteristiche semantiche molto simili. L’intera struttura sintattico/ semantica del brano richiama all’ambito del diritto costituzionale. 24 Cfr. ivi, cit., [12, A, 15]. Un’asserzione simile è contenuta nella refutatio contra omnes haereses di Hippolytus, dove è scritto «Costui dice che natura delle cose è una certa natura dell’infinito, da cui nascono cieli e ordinamento che v’è in essi. Essa è eterna e insenescente, e amministra tutti i mondi» [12, A, 11]. Quest’ultima testimonianza non deveessere riletta alla luce di coloro che introducano una teoria sincronica dell’infinità deimondi; in Anassimandro c’è traccia scarsamente criticabile di diacronicità. 25 Cfr. ivi, cit., [11, A, 12] e [13, B, 1]. 26 Cfr. ivi, cit., [11, A, 13b], [11, B, 3] e [12, A, 9].

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normalità naturale nasce come normazione. Quale è allora la natura di tale causa normativa? Plutarco – su indicazione aristotelica – riferisce in merito a Talete contaminazioni orientali ed “omeriche”:27

Pensano [i sacerdoti egizi] che anche Omero, come Talete, considerò l’acqua come inizio e matrice di tutto, avendolo sentito dagli Egizi: infatti Oceano è Osiride, Tetide è Iside che tutte le cose alleva e nutre.28

Qualora si desideri includere Talete – sulla scia anassimandrea e anassimenea e sebbene non esistano conferme documentali – nell’ambito della teoria della causa normativa, è necessario sottolineare ladiscontinuità della sua teoria del cosmo rispetto a quelle anellenicheantecedenti e ammetterne una certa continuità con la tradizione“omerica”. Per Talete il fatto che «tutto sia ricco di divinità»29 e che l’universo intero nasca da essa e sia amministrato da essa (condizione di normatività) conducono ad introdurre una sorta di teoria della divinitànormativa, comune in alcuni tratti alle narrazioni “omerica” e esiodea. L’intuizione di una divinità come norma d’una materia caotica è caratteristica delle teorie del cosmo elleniche30; con la rimanente scuola

27 Cfr. U.HÖLSCHER, Anassimandro e l’inizio della filosofia, in W. Leszl (a cura di), I Presocratici, cit., pp. 259-274. Qui – come è accaduto con la dottrina della reincarnazione sostenuta dalla Schola Pythagorica- nasce la tentazione di attribuire alla filosofia ellenicaderivazione orientale. Hölscher in momenti diversi scrive: «L’idea che si presenta a Talete è quella del mare originario, che regge la terra ed è il fondamento di ogni forma di vita;un’idea nuovissima per dei Greci, per i quali il mare era “ciò che non porta frutto”» (p. 265)e « la sua dottrina che la terra galleggi sull’acqua è troppo singolare e troppo simile alla rappresentazione dominante in Oriente per poter prescindere, nella spiegazione, dalconfronto con quei miti» (p. 262). Questo articolo è tradotto dal classico U.HÖLSCHER, Anaximander und die Anfänge der Philosophie, «Hermes», 81, 1953, 255-277. Di contro in maniera convincente Nicola Abbagnano scrive: «L’osservazione decisiva che bisogna farea proposito di questa tesi (derivazione orientale della filosofia ellenica) è che, se anche si presume […] la derivazione orientale di alcune dottrine della Grecia antica, ciò non implica anche l’origine orientale della filosofia greca […] La filosofia greca è ricerca» (N.ABBAGNANO, Storia della filosofia, Torino, UTET, 2003, vol.I, p. 4). 28 Cfr. H.DIELS- W.KRANZ, I Presocratici. Testimonianze e frammenti, cit., [11, A, 11]; lamedesima indicazione è contenuta in ARISTOTLE, Metaphysics, London, Harvard University Press, voll.XVII-XVIII, 1933, 1.983 b (traduzione a cura di H.Tredennick). Piùche i culti di Iside/ Osiride, estesisi all’interno del mondo ellenico anzitutto durante l’etàellenistica – come sostenuto in F.W. WALBANK, The Ellenistic World, trad.it. Il mondo ellenistico, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 230- riferimenti taletiani dovrebbero essere i cultiarcaici oceanici babilonese (Thiamat) o nilotico (Nun/ Naunet). 29 Cfr. ivi, cit., [11, A, 1 (27)]. La medesima tesi è sostenuta in [11, A, 3], dove Esichiodefinisce “cosmo” come œmyucon e daimÒnwn pl»rh. Panteismo orfico o banalecontaminazione successiva?30 Cfr. O. MURRAY, La Grecia delle origini, cit., pp. 113-188. Chiarito antecedentementecome ciascuna teoria del cosmo ellenica arcaica debba essere considerata stilisticamente econtenutisticamente – come il mito babilonese- «mito di successione», tale autore individuain esse teorie soltanto, e non nei miti babilonesi e nilotici, la connotazione di mito di

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milesia si assiste ad un coerente cammino sulla strada della «secolarizzazione31» di tale norma cosmica, cammino che arriverà a risolversi nelle conclusioni eraclitee sulla natura necessitante e oltre-divina (mo‹ra) della norma. All’interno della tradizione milesia è vivo undibattito indiretto (inconsapevole?) tra teoria della divinità normativa e teoria della causa normativa. In Talete – come sostiene Plutarco – v’è un interessante riferimento alla divinità normativa “omerica”. L’Ûdwrtaletiana è simbolo di divinità (marina) normativa: come il mare domina(abbraccia e sostiene) tutto, così la divinità domina (amministra e norma) il cosmo. Per Talete sostenere che l’acqua è causa del cosmo – attraversola mediazione dell’enunciazione «tutto è divinità» –equivale ad asserire che la natura del cosmo è divina. Nel contesto taletiano divinità è causanormativa del cosmo; non c’è distacco dalla teoria del diritto “omerica”, dove norma è comando divino e ordine è derivazione divina. L’innovazione è interamente anassimandrea; la causa normativa con costui ci rimette in divinità, avanzando in indeterminatezza. E’indicativa una testimonianza indiretta:

Tra chi asserisce che vi sia un unico inizio, in movimento e infinito, Anassimandro [...] ha detto che inizio e sostanza di tutto è l’indefinito […] Edice che esso non sia né acqua né altro dei cosiddetti elementi, ma un’altranatura infinita […].32

Sebbene resti immateriale, la matrice/sostanza taletiana in Anassimandrosi discosta dall’ambito del divino. Questo allontanamento tuttavia non avviene in maniera drastica; l’¥peiron anassimandreo sembra mantenere attributi e caratteristiche divini come immortalità e indistruttibilità.33

Esiste una causa normativa non divina del cosmo; con Anassimandro è imboccata la strada verso la teoria della causa normativa, su cui continuerà a camminare Anassimene. C’è sistematica trasformazione di contesti divini in contesto umano, mediante ricorso allo strumento dell’indeterminatezza semantica. La narrazione milesia sulla causa cosmica si chiude con Anassimene. La causa anassimenea – come si è detto- è immediatamente normativa, e

creazione o di costituzione dell’universo. Per Paresce tale continuità normativa tra mitoantecedente e teoria del cosmo milesia non sussisterebbe (E. PARESCE, La Giustizia neiPresocratici, cit., p. 109).31 È sintomatico il sottotitolo dello scritto F. CAVALLA, La verità dimenticata. Attualità dei Presocratici dopo la secolarizzazione, Padova, CEDAM, 1996. La secolarizzazione versocui costoro si sono incamminati oltre duemila anni or sono rimane interessante chiave dilettura nei confronti del cammino verso la secolarizzazione iniziato (e in molti casiconcluso) dalle moderne società occidentali.32 Cfr. H.DIELS- W.KRANZ, I Presocratici. Testimonianze e frammenti, cit., [12, A, 9]. 33 Cfr. ivi, cit., [12, B, 3]. Oltre alla testimonianza aristotelica, molte altre fonti raccolte daDiels si riferiscono all’¥peiron utilizzando vocabolario divino.

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consiste nel meno materiale tra i costituenti materiali: l’aria.Dall’asserzione taletiana «tutto è ricco di divinità» si arriva all’enunciazione anassimenea «tutto è aria»34. Poiché – come in Anassimandro- tale costituente cosmico (aria) mantiene titolatura eattribuzioni divine e siccome una certa indeterminatezza non è abbandonata35, la rottura con la riflessione culturale taletiana non si mostra critica; ma in Anassimene la causa normativa si svincola con decisione dall’ambito del divino. Mentre Cicerone confonde la rinunzia anassimandrea e anassimenea a distaccarsi in toto dalla divinità con una dichiarazione di teo-normativismo36, il volontarismo medioevale e la agostiniana Refutatio contra omnes haereses sembrano assicurare massima efficacia descrittiva. Per Agostino infatti

[…] Anassimene [..] non rifiuta o tace la divinità; tuttavia credeva non chel’aria fosse stata creata dal divino, ma che il divino fosse stato creato dall’aria.37

Nella Refutatio contra omnes haereses è sostenuta la medesimaconcezione:

Anassimene di Euristato, anch’esso di Mileto, disse che matrice è ariainfinita e che da essa derivano tutte le cose che si costituiscono, che si sono costituite e che si costituiranno, divinità e cose divine, mentre tutto ciò cherimane viene da ciò di cui essa è causa.38

Questa sorta di “Eutifrone cosmico” anassimeneo conduce alla tesi – contraria alla tradizione “omerica”- della derivazione del divino dalla matrice/ sostanza ancestrale; la norma non deriva dal divino, ma Dio dalla norma. Anassimene – come citato- scrive con estrema chiarezza:

Come l’anima, ch’è aria, tutto accomuna, così essa amministra il mondo intero.

L’innovativa visione anassimenea della “causa” (¢rc») anzitutto indica in maniera embrionale una valida alternativa al teo-ius-normativismo “omerico”; successivamente si candida ad introdurre un serio tentativo di

34 Cfr. ivi, cit., [13, A, 8] e [13, A, 23].35 Cfr. ivi, cit., [13, A, 1]. 36 Cfr. ivi, cit., [13, A, 10]. Cicerone nel De natura deorum scrive: «Poi Anassimenedecretò che l’aria è divinità, che è causata, immensa, infinita e costantemente in movimento[…]», e continua con una dura critica nei confronti di tale identificazione tra causa e divino ritenuta – a torto- di matrice anassimenea. 37 Cfr. ivi, cit., [13, A, 10]. Più valida sembra essere la tesi dell’autore africano. Non èl’unico contrasto tra costui e Cicerone in merito alla dottrina della divinità nella scuola milesia [12, A, 17]. 38 Cfr. ivi, cit., [13, A, 7].

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costruire una teoria del cosmo materialistica, moderato dal ricorso insistente all’indeterminatezza semantica. E’un materialismo normativistico a condurre i milesii ai confini del territorio dellatradizione culturale antecedente. Per riassumere. La scuola milesia insiste su un cammino di «secolarizzazione» dell’¢rc»; esso è considerato come causa normativa. Pur non dimenticando l’esistenza di una serie di carenze documentali attinenti all’intera Pre-socratica, se Talete non si distacca dalla tradizione “omerica” e esiodea mantenendo la teoria della divinità normativa, Anassimandro e Anassimene si indirizzano verso un ius-normativismomeno teista (teoria della causa normativa). Talete mostra con la tradizione culturale antecedente una certa continuità, caratterizzata da unmutamento di vocabolario e di metodo di ricerca39; Anassimandro mostra una moderata discontinuità, ricorrendo allo strumento dell’indeterminatezza semantica (¥peiron); Anassimene mostra invece una marcata discontinuità, incamminandosi con decisione sulla strada del materialismo cosmico e normativo. Non v’è totale rottura tra sotto-tradizione milesia e tradizione culturale ellenica antecedente; sebbene mostri in embrione determinati contenuti innovativi, il normativismomilesio non si introduce come elemento di rottura nei confronti della tradizione culturale antecedente.

3.2 Cosmo come ordinamento: una concezione nascente La narrazione culturale dei Pre-socratici è innanzitutto teoria del cosmo; tale assunto sottende un interessante accostamento tra nozione antica di cosmo e nozione moderna di ordine/ ordinamento. La nozione di kÒsmoj – come il termine ¢rc»- è semanticamente rilevante all’interno della sotto-tradizione milesia; e sembra essere dotata di attributi simili allecaratteristiche riconosciute ad ordinamenti istituzionali nella storia dellateoria del diritto. Nella narrazione taletiana è contenuta un’idea di cosmo strutturata sulla distinzione tra sostanza e movimento. Così si intuisce dalla testimonianza indiretta delle Vite dei filosofi, dove è scritto che Talete «Considerava l’acqua sostanza di tutto, e che il mondo è animato e ricco di divinità»;40e inScholia Platonis: «Disse che sostanza costitutiva è l’acqua, e che il cosmo è animato e ricco di divinità.»41

39 Cfr. E.Paresce, La Giustizia nei Presocratici, cit., 103-104.40 Cfr. H. DIELS- W. KRANZ, I Presocratici. Testimonianze e frammenti, cit., [11, A, 1 (27)].41 Cfr. ivi, cit., [11, A, 3]. La concezione barnesiana della causa taletiana come «animator» dell’universo nasce dall’attenta considerazione dei vocaboli ˜myuc…a ed œmyucon usati nei due frammenti antecedenti (J. BARNES, The Presocratic Philosophers, cit., pp. 6-7); l’attributo di essere «sostanza» dell’universo comunicato con il termine stoice‹on non riesce a nascondere chiare contaminazioni filosofiche successive. Probabilmente tra

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Le due ricostruzioni storiche tradizionali della scuola milesia – quelle di Aristotele e Platone – sembrano convenire; in Talete cosmo è sostanza “divina” e movimento “divino”. All’enunciazione «tutto è ricco di divinità» si affianca l’enunciazione «tutto è anima», dove il termine “anima” è sinonimo abbastanza recente del termine “moto” (tradizione cristiana). È il caso classico – ricordato da Aristotele – della calamita.42 L’estrazione divina del movimento è ben presente nella seguente testimonianza:

Talete sostenne […] che tutto è animato […] e infatti la volontà divina sitrasmette all’umido elementare mettendolo in movimento.43

Movimento e sostanza cosmici derivano dalla divinità. Non c’è – comesostenuto dalla manualistica moderna – rilevante rottura nei confronti dellatradizione ellenica antecedente. Oltre ad essere sostanziato e mosso dalla divinità/simbolo, il cosmo – a detta di Talete – è caratterizzato da unità; come un ordinamento sembra viveresull’attributo della coerenza, l’ordine verte sulla nozione di unità. L’unità taletiana – attraverso mediazione successiva della nozione di armonia introdotta dalla Schola Pythagorica e dalla narrazione democritea – è radice antichissima del concetto moderno di coerenza44. Benché estremamente sintetica e ridotta ai minimi termini, la testimonianza di Aezio è chiara: «PerTalete e i suoi alunni uno è il cosmo».45

Cosmo è allora struttura coerente di costitutivi mossi dall’incidenzadivina. E se riconoscessimo valida una testimonianza di Galeno riusciremmo a retrodatare l’intuizione non di molto successiva (Ferecide

sostanziazione e animazione, unicamente la seconda è riconducibile con minor difficoltà all’autonoma narrazione milesia. 42 Cfr. H. DIELS- W. KRANZ, I Presocratici. Testimonianze e frammenti, cit., [11, A, 22].Questo frammento del De Anima aristotelico recita «Pare anche che Talete – a che si ricordi- abbia considerato l’anima come cosa atta a muovere, se disse che una calamita è dotata d’anima muovendo il ferro». Dove Platone tende a sottolineare una visione statica del cosmo, la tradizione aristotelica ne introduce una dinamica. Per ulteriori riferimenti si vedano Diels/ Kranz [11, A, 22] e [11, A, 1 (27)] e [11, A, 3]. 43 Cfr. ivi, cit., [11, A, 23]. Per il nostro autore struttura cosmica (sostanza e movimento) è subordinata all’incidenza divina. L’umido ancestrale taletiano (causa normativa) si mostradi derivazione divina. 44 La nozione antica di “armonia” è semanticamente molto vicina alla nozione moderna di “coerenza”. Nella discussione iusfilosofica di Bobbio coerenza è “assenza di antinomie”:«Perché si possa parlare di un ordine, bisogna che gli enti costitutivi non siano soltanto inrapporto col tutto, ma siano anche in rapporto di compatibilità tra loro» (N. BOBBIO, Teoria Generale del diritto, Torino, Giappichelli, 1993, 201). Per una visione innovativa e analitica di coerenza come “chiusura” si consulti l’articolo A.G. CONTE, Completezza e chiusura, in Scritti in memoria di Widar Cesarini Sforza, Milano, Giuffrè, 1968, 157-169 eriedito in A.G.Conte, Filosofia del linguaggio normativo I, Torino, Giappichelli, 1989, 31-53. 45 Cfr. H. DIELS- W. KRANZ, I Presocratici. Testimonianze e frammenti, cit., [11, A, 13b].

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di Siro)46 della relazionalità tra costituenti cosmici, antecedente culturale di una visione sistemica del cosmo. Per Galeno Talete ritiene che

I tanto decantati quattro elementi, di cui diciamo che l’acqua è il primo e lo poniamo quasi unico elemento, si mescolano tra loro ai fini diun’aggregazione e coagulazione e unione delle cose terrestri.47

Pur se l’ Ûdwr ne è costituente dominante, vivrebbe in Talete – sutestimonianza di Galeno- l’intuizione dell’esistenza di una serie direlazioni tra costituenti cosmici; cosmo sarebbe allora serie di relazioni tra costituenti cosmici. L’accettazione della testimonianza di Galenorimane tuttavia azzardo ricostruttivo.

Con Anassimandro è mantenuta la distinzione taletiana tra sostanza e movimento cosmici. Pure in costui – come in Talete- “causa” è sostanza e insieme movimento. È riconosciuta come sostanza in una testimonianza ciceroniana: «[Anassimandro] disse che infinita era la sostanza di cui tutto è costituito»;48 è invece considerata movimento in una ulteriore testimonianza indiretta: «Anassimandro – concittadino di Talete – dice che eterno movimento è matrice […]».49Per Anassimandro l’¥peiron (indefinito) è ciò di cui tutto si sostanzia eciò che tutto muove; è misura idonea a sostanziare e muovere la realtà. Venendo meno la teoria della divinità normativa, cade la derivazione divina di movimento e sostanza sottolineata all’interno della riflessione taletiana. Anassimandro sulla scia del concittadino asserisce in maniera meno riduttiva l’idea della relazionalità cosmica. Oltre a sostenere la tesisecondo cui esisterebbe una stretta relazione tra costituenti cosmici, afferma la tesi secondo cui esisterebbe una relazione (normativa) tra costituenti cosmici e cosmo. Nelle Vite dei filosofi è riferita una breve asserzione anassimandrea:«[…] i costituenti mutano, ma il tutto è immutevole […]».50

Parti cosmiche – se non risulta essere azzardata la traduzione in “costituenti” – e cosmo intero sono subordinati a norme di divenire 46 Cfr. ivi, cit., [7, A, 9]. Dalle testimonianze risulta che «Ferecide è d’accordo, ma vi introduce costituenti diversi. Parla di Zas, Ctonia e Crono […] e sostiene che Zas è ciò che amministra, Ctonia è ciò che è amministrato e Crono ciò in cui tutto è amministrato»; Probotestimonia la teoria del diritto ferecidea nei termini del diritto costituzionale. Preferibile è tale lettura alla testimonianza successiva di Ermia, subordinata ad intense contaminazioniaristoteliche. 47 Cfr. ivi, cit., [11, B, 3]. Sono estremamente rari i riferimenti a tale commento di Galenoall’interno della letteratura critica moderna. Può essere conveniente invitare la dottrina moderna ad accostarvisi. 48 Cfr. ivi, cit., [12, A, 13].49 Cfr. ivi, cit., [12, A, 12]. Si consideri anche la testimonianza «Pose come causa una natura infinita, e considerava come matrice dei cieli l’eterno movimento d’essa» [12, A,10]. 50 Cfr. ivi, cit., [12, A, 1 (1)].

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diverse; sostenere che «i costituenti cosmici mutino» e che «l’interoinvece sia immodificabile» vuole dire riconoscere l’esistenza di due diversi status ontici all’interno dell’universo cosmico. L’intero cosmo differisce dalla somma dei suoi costituenti; medesima idea è sostenuta in una ulteriore testimonianza, dove si asserisce che tra “causa” indefinita e cosmo esista una relazione (normativa)51. L’ordine cosmico – riassumendo – non si limita ad essere relazione normativa tra costituenti, ma è serie di relazioni tra costitutivi cosmici e tra cosmo e costitutivi stessi. C’è in Anassimandro - allo stato embrionale – una concezione molto moderna di sistema52. Da Anassimene non nascono idee innovative in materia; è ribadita – come nei due milesii antecedenti- la tesi della strutturazione duale del cosmo, secondo cui aria sarebbe sostanza e movimento della realtà53. Niente altro.

La teoria del cosmo milesia nasconde due orientamenti; oltre ad essere teoria descrittiva – e in alcuni casi normativa- si mostra meta-cosmica (nello stesso senso in cui è usato il termine “meta-etica”), e trae vocabolario da una teoria dell’ordinamento. Pur desiderando descrivere essenza/ natura e modi di costituzione dell’universo la narrazione milesia è descrizione del cosmo e meta-discorso sul cosmo comunicati attraversovocabolario e schemi mentali del diritto. Il riconoscimento del dualismo tra sostanza e movimento cosmici è una costante all’interno della scuolamilesia. Può non essere scorretto identificare nel dualismo sostanza/ animazione una radice del successivo dualismo cose/ idee, matrice del nocivissimo dualismo moderno esistenza/essenza. C’è una ulteriorecostante teorica, cioè una visione idonea a considerare cosmo o come ordine armonioso (Talete) o come sistema (Anassimandro). Per Talete cosmo è struttura coerente di costituenti mossa dall’incidenza divina; con Anassimandro tale nozione rimane orfana della divinità e siindividua in una serie di relazioni (normative) tra costituenti cosmici e tracosmo e costituenti medesimi.

51 Cfr. ivi, cit., [12, A, 11]. E’all’interno della enunciazione ™x Âj g…nesqai toÝj oÙranoÝjkaˆ tÕn ™n aÙto‹j kÒsmouj che il termine kÒsmoj assume in tutta la sua rilevanza un senso molto vicino alla nozione di “ordinamento” (contro la traduzione eccessivamentenaturalistica di A. LAMI, I Presocratici: testimonianze e frammenti, cit., p. 133). 52 Questa visione di sistema è raccolta nella modernità da autori come Bertalanffy (L.BERTALANFFY, General System theory, trad.it. Teoria Generale dei sistemi, Milano, Mondadori, 2004), Watzlawick (P. WATZLAWICK, Pragmatics of human communication: astudy of interactional patterns pathologies, and paradoxes, trad. it. Pragmatica dellacomunicazione umana, Roma, Astrolabio, 1997) e Bateson (G. BATESON, Steps to anecology of mind, trad.it. Verso un'ecologia della mente, Milano, Adelphi, 2004). 53 Cfr. H. DIELS- W. KRANZ, I Presocratici. Testimonianze e frammenti, cit., [13, A, 5] e [13, A, 6].

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3.3 Diritto Penale e Procedure tra restaurazione e contesa Come abbiamo rilevato altrove, l’interesse verso la nozione di sanzione è assai ridotto all’interno della tradizione di ricerca dei Pre-socratici; vi sono rare eccezioni, e all’interno della scuola milesia Anassimandro è una di esse. Primo tra tutti è Acusilao ad interessarsi diDiritto Penale54. Per i primi filosofi sanzione è reazione ad una antecedente violazione dell’ordine divino, indirizzata ad una retribuzione. Successivamente per Democrito sanzione extra-morale è coazioneesterna, caratterizzata dall’inflizione di una sofferenza e di rinforzi fisici e introdotta dalla reazione sociale alla violazione di una norma scaturente dall’ordinamento. C’è in Democrito – unico tra i filosofi presocratici – una teoria del diritto articolata; egli umanizza diritto e sanzione, aprendocosì la strada della teoria del diritto antica verso l’umanizzazione. Gliinteressi del secondo milesio si indirizzano verso concetti che –all’interno di una coerente moderna teoria del diritto – non devono essere trascurati: sanzione e conflitto. Mentre Talete e Anassimene non si curano del Diritto Penale, Anassimandro in un suo celebre frammento descrive il funzionamento del cosmo mediante un vocabolario incentrato sulla nozione di sanzione. Il nostro autore scrive:

Costituente di ciò che esiste è l’indefinito da dove tutto deriva e ottienedistruzione secondo necessità. Gli esseri costituiti scontano a vicendasanzione al loro crimine secondo ordine del divenire.55

Questo brano è ricco di varianti semantiche e suscettibile di innumerevoli conversioni ermeneutiche; molti autori moderni vi si sono cimentati56, senza riuscire ad ottenere conclusioni concordi. Per Anassimandro causa normativa è matrice di creazione e distruzione. Ciascun «essere» nasce

54 Cfr. ivi, cit., [9, B, 9a]. [9, B, 14] e [9, B, 40]. Tre sono i cardini della narrazione iusfilosofica di Acusilao: sanzione è reazione ad una antecedente violazione; sanzione è interamente immersa in un contesto di sacralità; funzione della sanzione è retribuzione. Non è molta la distanza dalla teoria “omerica” della sanzione. 55 Cfr. ivi, cit., [12, B, 1]. Nella celebre asserzione anassimandrea – la cui autenticità mai èstata seriamente messa in dubbio- assumono estrema rilevanza semantica i termini d…kh e t…sij. L’inserimento del termine ¢ll»loij (Hermann Usener) conduce ad escludere liceità e convenienza di versioni mistiche o onto-teoriche dell’enunciazione. 56 Cfr. E. PARESCE, La Giustizia nei Presocratici, cit., pp. 120-124. Paresce introduce unbreve resoconto delle riletture novecentesche di tale celebre frammento (Heidel; Jaeger; Mondolfo; Maddalena; Paci; Guerin). E’interessante l’idea jaegeriana della tribunalizietàdei contrasti tra costituenti cosmici (W.J. JAEGER, Die Theologie der fruhen griechischenDenker, trad. it., La teologia dei primi pensatori greci, Firenze, La Nuova Italia, 1962, p.182). Più accettabile – sebbene assai datata- è tuttavia la visione moderata del Guerin (P.GUERIN, L' idee de justice dans la conception de l'univers chez les premiers philosophesgrecs, Paris, F.Alcan, 1934, p. 38), indirizzata indirettamente a conciliare rilettura iusfilosofica jaegeriana e visione sociologica mondolfiana sui contrasti anassimandrei comerimozione delle lotte civili milesie.

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ed è distrutto da tale causa universale; la nascita di un «essere» sembra essere motivo della distruzione di un altro. C’è una concezionediacronicamente ciclica della esistenza, dove tra i due estremi della creazione e della distruzione sembra valere una relazione di necessità. E’l’¢n£gkh (nel caso concreto creè) a caratterizzare una certa idea di retributività, intercorrente tra «esseri» cosmici. Se nascita di ciascun «essere» è sanzione della distruzione dell’altro, la nascita dell’unoretribuisce la distruzione dell’altro; ciascuna nascita rimediainesorabilmente ad una distruzione. E la retribuzione avviene «secondo necessità», e «secondo ordine del divenire». Non v’è tuttavia una concezione meramente retributivistica delle relazioni tra «esseri» cosmici, dato che le idee di necessità e ordine razionale sembrano definire tale concetto anassimandreo come restaurativo. Le relazioni tracostituenti cosmici si caratterizzano come restaurative, e la sottostante nozione di sanzione è indicata come restaurazione di un ordine violato. L’idea di una retribuzione volta a restaurare un ordine violato si traduce dal contesto del diritto all’ambito della teoria del cosmo. Ancora una volta i discorsi di morale e diritto contribuiscono a dare voce ad unateoria senza vocabolario. Questo è l’unico riferimento diretto o indiretto della scuola milesia all’ambito del Diritto Penale. Oltre ai riferimenti alla sanzione, ritorna in Anassimandro la metafora della contesa, suscettibile di richiamare l’ambito moderno delle procedure. Processo e cosmo sembrano essere strettamente connessi nella narrazione anassimandrea. Come non vedere nei due metaforici «esseri» anassimandrei – essere in nascita e essere in distruzione, attore e convenuto – il contendere dinnanzi ad una istituzione tribunalizia arcaica (arbitrato; assemblea cittadina; sovrano)? Dove c’è contrasto tra interessi o richieste diversi, l’accettazione dell’interesse/ richiesta di un individuo sanziona l’inesistenza dell’interesse/richiesta di un altro; la nascita del diritto di uno è sanzione(rimedio) necessaria e secondo ordinamento della distruzione del diritto altrui. La richiesta interesse tradotta in diritto cadrà necessariamente vittima di una successiva richiesta/interesse; e così via. La ciclicità dell’ordinamento deriva dall’alternarsi di richieste/interessi individuali (Jaeger) o sociali (Mondolfo) indirizzata alla costituzione del diritto. Ladialettica tra interessi/richieste contrastanti è madre dell’ordinamento. E’assecondata una nozione di vendetta assai lontana dall’idea introdotta e concretizzata dal diritto tribale, dove disconoscere una richiesta/dirittonon conduce alla cancellazione dei diritti del reo e del suo clan, scatenando all’infinito antinomie tra diritti e retribuzioni (vendette). Questa visione è confortata dalla testimonianza della tradizione

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dell’interesse/richiesta

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teofrastea:«La nascita delle cose avviene mediante distacco dei contrari a causa di incessante movimento.»57

Come il conflitto giuridico (nella forma azione/eccezione caratteristica della tradizione ellenica dall’istituto “omerico” dell’‡stwr ai sistemicittadini delle d‹kai58 e della litis contestatio romana59) è condizione diindividuazione dell’interesse o del diritto astratti, così il conflitto cosmicoanassimadreo è condizione di individuazione delle cose. E’ l’¥peiron inmovimento ad amministrare tale conflitto, “svelando” l’individuazione delle cose dalla sostanza cosmica.60 L’ordinamento cosmico – nei termini dell’ordinamento di diritto- considera come suoi motori contesa e conflitto. Aristotele introduce una lettura simile delle tesi anassimandree dove scrive: «Gli altri credono che dall’uno si dividano i contrari in esso contenuti, come Anassimandro.»61

All’interno della narrazione anassimandrea v’è intensa continuità tradimensione etico-sociale e cosmo; sembra che le tesi di Mondolfo trovino massima conferma. Benché la tradizione milesia viva in unasituazione di carenza documentale e di scarso interesse nei confronti delle tematiche del Diritto Penale, l’intervento anassimandreo sullenozioni di sanzione e contesa mostra i limiti di una visione riduttiva dellateoria milesia del cosmo. Anassimandro si distacca dal retributivismomorale (vendetta) delle tradizioni tribali e nel caso concreto da quello“omerico”, e in un breve frammento introduce un retributivismo

57 Cfr. H. DIELS-W. KRANZ, I Presocratici. Testimonianze e frammenti, cit., [12, A, 9]. Numerosissimi nella letteratura ellenica (Omero; Eschilo; Sofocle; Senofonte; Erodoto;Tucidide) sono i casi in cui il termine tÒ ™nant…oj indica contrarietà civile (convenuto;avversario; fazione civile). 58 Per una breve visione d’insieme del diritto ellenico si consultino E. CANTARELLA, Diritto Greco, Milano, CUEM, 1994 e IDEM, Profilo di Diritto Greco antico, Milano, CUEM, 2004; il diritto “omerico” è esaustivamente trattato in IDEM, Norma e sanzione in Omero, Milano, Giuffrè, 1979. Per una visione d’insieme delle istituzioni elleniche si vedano ilclassico V. EHRENBERG, Der Staat der Griechen trad.it Lo stato dei Greci, Firenze, LaNuova Italia, 1980 e il recente G.Poma, Le istituzioni politiche della Grecia in età classica, Bologna, Il Mulino, 2003. 59 Per una esaustiva trattazione della storia del diritto romano si consulti l’oramai classicoG. SCHERILLO- A. DELL’ORO, Manuale di storia del diritto romano, Bologna, Cisalpino,1997. Per una esaustiva trattazione delle istituzioni iusromanistiche si considerino il maidatato F. PASTORI, Gli istituti romanistici come storia e vita del diritto, Bologna, Cisalpino, 1993 e il recente G. SCHERILLO- F. GNOLI, Diritto romano, Milano, Led, 2005. Latrattazione dei fondamenti dell’ordinamento di diritto romano è riservata all’intramontabileF. SCHULZ, Prinzipien des römischen Rechts, trad.it. I principi del diritto romano, Firenze, Le Lettere, 1995. 60 Potremmo sostenere nei termini del diritto moderno come causa normativa (Grundnormkelseniana) dell’ordinamento sia condizione d’individuazione (in senso statico) ecostituzione (in senso dinamico) di interessi e diritti astratti (H. KELSEN, Reine Rechtslehre. Einleitung in die rechtswissenschaftliche Problematik, trad. it. Lineamenti di dottrina puradel diritto, Torino, Einaudi, 1952, 98-99). 61 Cfr. H. DIELS-W. KRANZ, I Presocratici. Testimonianze e frammenti, cit., [12, A, 16].

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moderato incamminato sulla strada della restaurazione. Per costuisanzione è restaurazione dell’ordine violato; e contesa è condizione di individuazione anzitutto di diritti o interessi, e di crimini in secondabattuta.

4. CONCLUSIONI

Per una corretta analisi della scuola milesia è necessario introdurre avvertenze di metodo comuni a quello relative all’intera Pre-socratica. Della carenza documentaria caratteristica della Pre-socratica sono vittime anzitutto i Milesii; nessuna sotto-tradizione di ricerca – ad eccezione della Schola Phytagorica – mostra così tanta mancanza di testi e documenti diretti o indiretti. Per Talete, Anassimandro e Anassimeneesistono rare testimonianze dirette, e assai scarsi sono i riferimenti(indiretti) della dottrina antica. Molte testimonianze indirette restanovittima di contaminazioni introdotte dalle successive tradizioni di ricerca (Platone e Aristotele). Mancanza e contaminazioni rendono oltremodo onerosa l’attività ricostruttiva dello studioso moderno. Come contrastare vittoriosamente tali ostacoli? Dove l’ermeneutica testuale (analisi filologica; esame dossografico) non riesca ad arrivare, rimarrà conveniente accostarsi allo strumento coadiuvante dell’ermeneutica contestuale basato sullo strumentario delle scienze umane e della ricercastorica62. Nel caso concreto della scuola milesia tali due strumenti ermeneutici non dovranno essere indirizzati verso teoria della natura –come asseriscono alcuni – o teoria dell’essere – come dicono altri – o dimensione etico-sociale, ma dovranno essere usati nei confronti di una teoria che includa non riduttivamente le tre anime e i tre sensi del termine kÒsmoj (natura; essere; diritto). I filosofi di Mileto sono iniziatori di una teoria del cosmo. Prima di tutto e di tutti sono filosofi, e filosofi del cosmo. L’analisi delle «adiacenze esistenziali63» dei nostri tre autori verte su esame del contesto individuale (scienze della mente) ed esame del contesto storico-sociale (storia e scienze sociali).

62 Mentre recentemente si assiste ad una dannosissima settorializzazione di studi e ricerchesu autori antichi, tale metodo multi-culturale si è evoluto in maniera estesa nel secolo scorso in autori oramai divenuti classici come Mondolfo (R. MONDOLFO, Alle origini dellafilosofia della cultura, cit.), Farrington (B. FARRINGTON, Science in antiquity, trad.it. La scienza dell’antichità, Milano, Longanesi, 1978), o Klemm (F. KLEMM, Technik: eineGeschichte ihrer Probleme, trad.it. Storia della tecnica, Milano, Feltrinelli, 1966) e inattività meno datate e meno classiche come la ricerca del Paresce e l’attuale attivitàdell’equipe di Trabattoni all’Università degli Studi di Milano. 63 Per “adiacenza esistenziale” di un individuo si intende ciò che Kurt Lewin definisce inmaniera costante come «ambiente» all’interno di tutta la sua attività di scienziato della mente e scienziato sociale. Per Alfred J. Marrow – massimo studioso di Lewin- l’ambientelewiniano «[…]include tutti i fatti che esistono per la persona ed esclude quelli che per essa

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4. CONCLUSIONI

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In diversi momenti della storia e della vita alcuni uomini maturano ildesiderio di accostarsi all’ “insondabile”; tuttavia davanti al misteronascono frustrazione ed ansia64. Questi uomini, al fine di rimuovere tali stati d’animo, si servono di una attività di ridimensionamento (ri-contestualizzazione); essi iniziano a tradurre l’“insondabile” secondo schemi mentali familiari all’umanità, e usano come modelli attributi individuali e concetti sociali. Così è accaduto all’esordio della cultura occidentale. L’uomo antico matura il desiderio di accostarsi alla divinità e all’universo. Per rimuovere ansia e frustrazione nei confronti del mistero riconduce divinità e universo ai casi della vita individuale e sociale; motore della razionalità occidentale è riduzione della naturainquietante del mistero. Prima nel tracciato delle divinità antropomorfiche aediche; e successivamente sulla via della laicizzazione attraverso la socio-morfizzazione della tradizione di ricerca milesia.D’altro canto con il crollo dei macro-stati micenei i territori ellenici siincamminano in maniera decisa verso decentramento urbano e istituzionale. La caduta dei centri sovrani (Micene; Tirinto; Pilo; Gia; etc…) conduce i rari insediamenti suburbani (¥sth) della Grecia centrale e meridionale a situazioni di autonomia; durante il medioevo ellenico nasce in forma embrionale la struttura della pÒlij, e al wanax miceneo si sostituiscono basile‹j “omerici” sostenuti da strutture consultive aristocratiche (gerous…a). Pluralismo urbano, decentramento e stabilità aristocratica caratterizzano l’orizzonte ellenico sino al termine dell’VIII secolo. È la stessa conformazione territoriale ellenica a mettere in crisi tale sistema. Come l’Italia, la Grecia è contraddistinta da un territoriomontuoso intercalato da rare ed eccezionali distese coltivabili; autarchia economica derivata dalla scomodità delle comunicazioni viarie e carenzadi terra sono attributi comuni a tutte le realtà urbane del mondo ellenico antico. Questa carenza di terra, acuita dalla concentrazione delle colturenelle mani delle aristocrazie, è causa storica di due fenomeni straordinari: colonizzazione e tirannidi. La mancanza di terra, connessa all’incremento

non esistono. Esso abbraccia bisogni, scopi, influenze inconsce, convinzioni, fatti di natura politica, economica e sociale e tutto ciò che potrebbe avere un effetto diretto sul comportamento» (A.J. Marrow, The practical theorist: the life and work of Kurt Lewin, trad.it. Kurt Lewin fra teoria e pratica, Firenze, La Nuova Italia, 1977, 46). In L. Mecacci, Storia della psicologia del novecento, Roma-Bari, Laterza, 1998, 75, Mecacci ribadisce: «L’ambiente psicologico non è il mondo fisico, geografico o socio-economico. Quando siparla di spazio di vita si deve intendere non lo spazio fisico entro il quale si muove unindividuo, ma uno spazio di vita psicologico», di cui un individuo ha un’esperienza soggettiva più o meno cosciente». 64 Può essere conveniente accostarsi alla nozione concreta di “dubbio reale e vivente” introdotta dalla narrazione culturale di Peirce, James e Dewey (Pragmatism/Pragmaticism) contro la tendenza cartesiana astratta ad intuire un “dubbio universale”. Per i tre americani unicamente “dubbio reale e vivente” è motore di conoscenza, essendo idoneo a contrastare l’insoddisfazione (stress) dell’incoscienza.

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delle nascite successiva all’VIII secolo, conduce alla necessità storica di contrastare l’eccessivo aumento della cittadinanza attraversol’introduzione di colonie (e di nuovi modelli amministrativi e costituzionali); la mancanza di terra, connessa alla concentrazione fondiaria, conduce a dure richieste di distribuzione delle terre (lottesociali e aumento delle controversie relative ai diritti reali)65. La narrazione milesia sembra riferirsi con una certa ricorrenza a tale contesto sociale: interesse verso nuovi modelli amministrativi; riconoscimento della ineluttabilità della contesa sociale; sostituzione del diritto civile alla vendetta rituale come metodo di risoluzione delle controversie. La razionalità occidentale nasce dal tentativo dell’uomo ellenico di vincere la natura stressante del mistero subordinandola allecertezze della tecnica; e anzitutto alla certezza della massima tecnica di costruzione sociale: la tecnica del diritto. È stato utile narrare tale cammino di mito e razionalità versol’umanizzazione servendosi di alcuni interessanti concetti della moderna teoria del diritto come riferimento ricostruttivo (norma;ordine/ordinamento; sanzione; contesa). L’usare concetti moderni su materiali antichi “carenti” e “contaminati” può condurre ad introdurre nei confronti di essi una reale ri-costruzione, idonea, mediante debita attualizzazione, a non condannarli a restar lettera morta e a riportare l’assonnato uomo moderno sulla strada del dibattito e della discussione razionale. Proverò ora a riassumere i tratti salienti del mio articolo. Le tradizioni antecedenti alla Pre-socratica (“omerica”; esiodea; lirica) hanno in comune tre modi di intendere la dimensione etico-sociale. Norma e bene sono comandi divini volontari, arbitrari e limitati solamente dalla necessità naturale. Diritto è qšmij (decreto divino) idonea a convalidare diritti umani. La sanzione è reazione divina ad una azione umana deviante. Volontarismo, naturalismo e retributivismo sacralizzati sono i cardini della teoria ellenica arcaica del diritto. La scuola milesia insiste su un cammino di «secolarizzazione». L’¢rc» è considerato come causa normativa. Mentre Talete non si distacca dalla tradizione “omerica” e esiodea mantenendo una teoria della divinità normativa, Anassimandro e Anassimene si indirizzano verso un ius-normativismo meno teista (teoria della causa normativa). Taletemostra una marcata continuità con la tradizione culturale antecedente; Anassimandro mostra una moderata discontinuità, ricorrendo allo strumento dell’indeterminatezza semantica (¥peiron); Anassimene

65 Oltre alla letteratura storica moderna citata anteriormente si consulti C. ORRIEUX- P.SCHMITT PANTEL, Histoire grecque, trad. it. Storia Greca, Bologna, Il Mulino, 2003, pp.59-145. Nei confronti del mito della colonizzazione ellenica antica si veda l’ottima ricercaL. BRACCESI, I Greci delle periferie, Bari-Roma, Laterza, 2003.

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mostra invece una marcata discontinuità, incamminandosi con decisione sulla strada del materialismo cosmico e normativo. Non v’è totale rottura tra sotto-tradizione milesia e tradizione culturale ellenica antecedente.66

Dinnanzi ad un cambiamento che avrebbe corso il rischio di risultare dissacrante in relazione ai loro contesti esistenziali, Anassimandro eAnassimene usano come antidoti indeterminatezza semantica e attribuzione alla “causa” di titolature divine. Nei confronti della restantePre-socratica la scuola milesia si situa all’interno della correntetradizionalista secondo cui norma sia o comando divino o necessità naturale (Esiodo; Eraclito; Schola Pythagorica), e non mera convenzioneo artefatto umani (Archelao; Democrito; Anassarco). Per Anassimandro ed Anassimene infatti norma – se si accetta di considerare simbolicamente sostanza e motore taletiani- è struttura materiale enaturale, caratterizzata dall’attributo della necessità. C’è distacco dal teo-normativismo della tradizione “omerica” senza tuttavia arrivare adumanizzare in toto norme e diritto obiettivo. Nei confronti della teoria dell’ordinamento v’è una costante teorica idonea a considerare cosmo o come ordine armonioso (Talete) o come sistema (Anassimandro). Per Talete cosmo è struttura coerente di costituenti mossa dall’incidenza divina; con Anassimandro tale nozione rimane orfana della divinità e si individua in una serie di relazioni (normative) tra costituenti cosmici e tracosmo e costituenti medesimi. L’esordio milesio contiene in nuce tutte le attribuzioni che caratterizzeranno la successiva teoria dei sistemi e dell’ordinamento nella modernità. Pur se tale sotto-tradizione di ricerca sitrova in una situazione di carenza documentaria e di scarso interesse nei confronti del Diritto Penale, v’è un intervento anassimandreo sui concetti di sanzione e contesa atto a mostrare i limiti di una visione riduzionistica (natura; essere) della narrazione milesia. Il retributivismo morale(vendetta) delle tradizioni tribali e quello “omerico” sono abbandonati, ai fini di introdurre un retributivismo moderato indirizzato allarestaurazione. Per Anassimandro sanzione è restaurazione dell’ordine violato; e contesa è condizione di individuazione di diritti, interessi ecrimini. Padre di un modello autonomo e innovativo di “finalità della sanzione”, Anassimandro contenderà ad autori come Archelao(retributivismo morale) e Democrito (intimidazione mediante minaccia normativa) la corona di massimo teorico della sanzione all’interno

66 Nella introduzione (Dal mito al pensiero razionale) alla sua Storia della filosofiaChâtelet ricorda: «È pertanto opportuno non soltanto rifiutare l’immagine di un’evoluzionelineare, ma anche sfumare gli schemi di continuità o di discontinuità. Indubbiamentel’analisi dei testi consente di portare in luce “inizi” o “rotture”. Ma ciò che ha inizioconserva, in parte, ciò contro cui si inizia; e ciò che rompe integra anche elementi di ciò nei cui confronti bada a distinguersi» (F. CHÂTELET (a cura di), Storia della filosofia pagana, cit., 11). È viva l’intuizione del pragmatismo moderno: scienza e conoscenza devonoconsiderarsi come attività collettive.

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dell’ellenicità arcaica. Grazie all’intervento anassimandreo la scuolamilesia riuscirà a riservarsi un ruolo totalmente innovativo all’interno della narrazione ius-filosofica della Pre-socratica tutta. La scuola milesia mostra d’essere una vera micro-tradizione di ricerca.67 Non sono sufficienti modalità diverse di ricorso alla divinità come causa universale, una diversa visione della norma e antiteticicontesti di studio a recidere la robusta serie di relazioni che connette i tre studiosi milesii. Il comune contesto sociale, una vicina forma mentis, un’evidente affinità di obiettivi e desideri conoscitivi, l’uso della tecnica e del diritto come modelli utili a narrare contesti sconosciuti comel’universo, l’esercizio della metafora, teorie del cosmo molto simili caratterizzano continuità e discontinuità tra Talete, Anassimandro eAnassimene determinando una indiscutibile tradizione di ricerca. Per concludere, sosteniamoci di nuovo su una acuta osservazione del Barnesin merito alla difficoltà e convenienza insieme di accostarci comemoderni alla narrazione milesia:

We know remarkably little about the Presocratics. Their texts are frequentlyobscure in content; and they are usually pigmy in extent. A historian of philosophy who has studied the seventeenth century has difficulties enough;but he possesses a vast mass of moderately intellegible material, and weneed not despair of costructing a detailed and well-rounded account of thethought of that period. With the Presocratics nothing like that is true. Thereare bright patches of detail, and a few dim suggestions of a more general pattern of development; more than that we can never expect.68

67 E’ netta una considerazione metaforica del Barnes: «Thales, we may imagine, first indicated that vast field of intellectual endeavour. Anaximander was the first to map it out; and his cart, with a few additions and modifications, determined the range and aspirationsof almost all subsequent thought» (J. BARNES, The Presocratic Philosophers, cit., 20). 68 Cfr. ivi, cit., 16.

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IL CARTEGGIO PIKLER-VAILATI (1892-1908)1

di Renato Pettoello

La prima impressione che si ha, leggendo questo breve carteggio tra Gyula Pikler2 e Giovanni Vailati è la grande vivacità intellettuale, la curiosità e l’attenzione per quanto si stava facendo fuori dai confini nazionali, l’informazione precisa, relativamente al dibattito contemporaneo, nonostante le difficoltà di comunicazione. Purtroppo possediamo soltanto lelettere di Pikler. Di Vailati resta l’abbozzo di una cartolina postale, chesegnò l’inizio della relazione con il filosofo, psicologo e sociologo ungherese, che divenne ben presto un caldo rapporto d’amicizia, alimentato da una sostanziale affinità intellettuale.

1 La trascrizione delle lettere è in tutto fedele agli originali manoscritti, conservati presso la Biblioteca del Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Milano (Cfr. L’Archivio Giovanni Vailati, a cura di L. Ronchetti, Cisalpino, Roma 1998, p. 86). Ogniintervento dell’autore (sottolineature, cancellature, ecc.) è stato segnalato, sia graficamente, sia in nota. Le sottolineature sono state rese in carattere corsivo; le doppie sottolineature incarattere corsivo e grassetto. Le note esplicative sono ridotte all’essenziale. Nel limite del possibile, si è cercato di ricostruire i riferimenti bibliografici cui si fa riferimento nellelettere. 2 Gyula, o Julius, come si firmava quando scriveva in una lingua diversa dall’ungherese, Pikler (Temesvár 1864-Budapest 1937), professore di filosofia del diritto e di filosofia politica all’Università di Budapest, dal 1891 al 1819, quando fu costretto a ritirarsi, a causa delle sue idee politiche. Non è impossibile, come suggerisce Luigi Errera, in una lettera a Vailati del 28.9.1902, che Pikler sia stato osteggiato anche in quanto ebreo, nonostante lasua conversione al cristianesimo.

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Quando Vailati, nel marzo del 1892, scrisse a Pikler, questi aveva già raggiunto una certa notorietà internazionale, con le sue teoriepsicofisiologiche, grazie soprattutto alla pubblicazione di The Psychology of the Belief in Objective Existence, del 1890. Mentre in Ungheria egli era noto soprattutto come pensatore politico, sociologo e teorico del diritto, esponente di spicco del radicalismo progressista, di ispirazione positivista e scientista – e , proprio per questo, non marxista – che gli costò addirittura l’allontanamento dall’università; fuori dalla patria era conosciuto soprattutto come psicologo ed epistemologo.

Nonostante la sua brevità, il carteggio Pikler-Vailati tocca molti temidi grande interesse, almeno per il dibattito filosofico a cavallo tra l’ottocento e il novecento, e non è naturalmente possibile darne conto in modo esauriente qui. Credo però valga la pena di soffermarsi brevemente almeno su due punti che, per motivi diversi, potrebbero risultare poco chiari al lettore odierno: il primo riguarda un accenno critico di Pikler nei confronti di Vailati e il secondo uno scambio epistolare tra Pikler ed Ernst Mach.

Il disaccordo tra Pikler e Vailati, riguarda la natura degli atomi e l’opportunità, per la scienza, di farvi ricorso. Per capire appieno i terminidella questione è però opportuno riferire preliminarmente, sia pure per sommi capi, la posizione di Mach sul problema; non foss’altro che perché Vailati vi si identifica completamente.

Mach si pone in una posizione estremamente critica nei confronti della teoria atomica e questo, com’è noto, porterà ad un’aspra polemica con Boltzmann e con Plank. Ad un primo sguardo la posizione di Mach può sembrare caratterizzata da un atteggiamento di incomprensibile chiusura nei confronti della nuova scienza e, per così dire, di “retroguardia”. E Mach hacertamente “torto”, almeno se lo giudichiamo col “senno di poi”; ma la sua opposizione all’atomismo è tutt’altro che ottusa ed anzi èepistemologicamente molto interessante.

L’analisi delle sensazioni, osserva Mach, ci dimostra come il dato altro non sia che un complesso di relazioni e come sia necessario, in ogni caso,tenere ben distinto il dato dalla misura del dato, l’ente di fatto dall’ente di ragione. La misura infatti è una semplice determinazione quantitativa di relazioni: «il concetto di misura è un concetto di relazione, che non dice nulla di più sulla misura stessa»3. Solo così si può sgomberare il campo da problemi privi di significato.

Questa impostazione del problema non può che portare ad una profonda revisione del concetto di materia, concetto che, come del resto

3 E. MACH, Erkenntnis und Irrtum. Reprografischer Nachdruck der Auflage, Leipzig 19265. Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1991, p. 419; E. MACH, Conoscenza ed errore, tr. it. di S. Barbera, introd. di A. Gargani, Einaudi, Torino 1982, p. 413 (traduzioneleggermente modificata).

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quello di sostanza, è profondamente cambiato di epoca in epoca. Così, davanti all’estrema varietà dei fenomeni, di cui ormai la fisica si occupa, il concetto di materia non può essere irrigidito in un unico significato. Ma è ben questo che fanno i meccanicisti. Ancora una volta, il concetto di materia è un concetto di relazione, di relazione quantitativa. La materia dunque non è affatto un dato immediato dei sensi e della percezione, ma il risultato di un lungo processo di indagine, che vuole definire in termini rigorosi, cioèpuramente quantitativi, le relazioni reali. La materia è un concetto, risultato e non premessa della ricerca. Si tratta insomma di un concetto ben più astratto di quello utilizzato dai meccanicisti, in quanto è libero da ogni rappresentazione intuitiva e proprio per questo più aderente ai fatti. Analogamente le categorie di sostanza e di causa, così come vengono utilizzate dai meccanicist, i non sono sufficienti per la nuova scienza. Cosìintesi questi concetti non riescono in alcun modo a dare conto dei complessi nessi che legano i diversi aspetti della realtà, che è il compito proprio dellascienza. Inoltre soltanto prendendo le distanze dal meccanicismo ed assumendo questa posizione relazionale sarà possibile, agli occhi di Mach, portare lo studio della psiche umana a livello di autentica scientificità: la possibilità di concepire anche lo spirito umano come parte della natura materiale dipende dalle note che si attribuiscono al concetto di materia.

Il principio secondo il quale tutti gli eventi fisici vanno ricondotti amovimenti di atomi è motivato, a parere di Mach, da una parte dall’esigenza di pervenire ad una unità della natura e dall’altra dalla convinzione che la realtà, nel suo fondamento ultimo, non possa essere che una realtà sostanziale, cioè sempre identica a se stessa. Il movimento è infatti concepito dai meccanicisti come l’unico processo nel quale l’oggettoconserva la sua identità. L’atomo ha quindi come sua essenziale proprietà quella di essere una sostanza invariabile. «L’atomismo moderno – egli osserva – è un tentativo di mettere a fondamento della fisica la rappresentazione della sostanza nella sua forma più ingenua e grossolana, come fa colui che pensa che il corpo sia assolutamente costante»4. Se l’atomo fosse assolutamente invariabile, la possibilità stessa del moto sarebbe messa in discussione. Torneremmo cioè alle posizioni eleatiche. Inoltre se gli atomi fossero assolutamente invariabili ed identici a se stessi, non si capisce come potrebbero verificarsi le relazioni con gli altri atomi. Gli atomisti si sono fermati ad uno stadio molto arretrato del processoscientifico e non tengono conto delle molteplici relazioni che legano le cose tra di loro e s’immaginano un corpo che non varia se non di posizione. Ma questo stadio è stato ormai superato, grazie allo studio dei fluidi, del calore, dell’elettricità, fenomeni che, comunque, l’atomista pretende di poter ricondurre all’invarianza sostanziale di questo corpo microscopico. Il

4 E. MACH, Die Prinzipien der Wärmelehre. Historisch-kritisch entwickelt, Barth, Leipzig 19002, p. 269.

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meccanicista insomma non fa altro che applicare una concezione della materia sorta nell’ambito della sensazione immediata, del macroscopico, al mondo della realtà ultima, del microscopico. Senza contare che neppure nell’ambito del macroscopico è osservabile una simile invarianza. Non si tratta però per Mach di negare l’esistenza degli atomi tout court, ma di negare gli atomi degli atomisti. Il concetto di atomo va liberato da ognicaratterizzazione intuitiva, da ogni rappresentazione, da ogni immagine, cui va sostituita la concettualizzazione e la misura. L’atomo è un ente di ragione. Noi, coi nostri strumenti, non controlliamo atomi, ma fatti atomici. Il vero oggetto d’indagine non deve essere la “cosa”, ma le relazioni, i rapporti misurati matematicamente. Insomma «la teoria atomica ha nella scienza fisica una funzione analoga a quella di certe rappresentazioni matematiche ausiliari: è un modello matematico per la riproduzione dei fatti»5.

Gli sviluppi della scienza, di quella stessa scienza che aveva fattivamente contribuito a costruire, si premureranno di dare torto a Mach. Proprio la teoria atomica, com’è noto, sarà al centro di una profonda rivoluzione scientifica. Mach ha dunque il torto di non aver colto i germi dinovità, presenti nelle discussioni sull’atomo; non dobbiamo dimenticarci però che quando egli scriveva si era ancora lontani dalla teoria del moto browniano sviluppata da Einstein, e dalla sua conferma sperimentale ad opera di Perrin, così come dagli sviluppi dell’ipotesi atomica, generati dalle ricerche di Rutherford e Bohr. Inoltre l’atteggiamento di Mach nei confronti delle teorie atomiche va inserito nella sua battaglia contro il meccanicismo. Solo così può essere adeguatamente compresa. Dal punto di vista metodologico, la sua cautela, addirittura la sua ostilità non pare del tutto ingiustificata. Così, come talvolta avviene nella storia della scienza, si potrebbe dire che Mach aveva torto, proprio perché, in un certo senso, avevaragione.

Vailati, recensendo le Populär-Wissenschaftliche Vorlesungen (1896) di Mach, si dichiara sostanzialmente d’accordo con l’Autore, sia nella critica all’uso inconsapevole di concetti carichi di ambiguità, sia nella critica al meccanicismo. Concetti centrali nel lavoro dello scienziato, come quelli di forza, causa, agente, materia, ecc. cambiano profondamente nel corso del tempo e, nonostante ogni cautela, restano, per così dire, impigliati nel loro significato meramente intuitivo. «Sarebbe assai strano», osserva Vailati, «che un’attitudine della mente che ha lasciato una traccia così profonda nella struttura del nostro linguaggio non ne avesse lasciata alcuna nella struttura delle nostre concezioni e nelle tendenze della nostra

5 E. MACH, Die Mechanik in ihrer Entwicklung historisch-kritisch dargestellt. Reprografischer Nachdruck der Auflage, Leipzig 19339. WissenschaftlicheBuchgesellschaft, Darmstadt 1982, p. 467; E. MACH, La meccanica nel suo sviluppo storico-critico, a cura di A. D’Elia, Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. 478.

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immaginazione»6. Nonostante ogni nostro sforzo di intendere quei concetti soltanto come utili simboli, il rischio di sostanzializzarli, di continuare a farne un uso non scientifico e di dare vita così a problemi illusori resta vivo. Quanto al meccanicismo, alla pretesa cioè che di spiegare ogni cosa in base alle leggi meccaniche, non si tratta altro che di indebite estensioni di analogie, il cui valore non è superiore a quello di mere teorie metafisiche. La concezione meccanicistica, anziché contribuire a spiegare meglio i fenomeni naturali, con la sua pretesa assolutistica, non fa altro che bloccare la ricerca, costringendo la natura ad «entrare nel letto di Procuste dei preconcetti tradizionali». È innegabile che il meccanicismo ha svolto inpassato un ruolo positivo nello sviluppo della scienza; ma ora è inesorabilmente superato e va quindi abbandonato: «le teorie e le ipotesi scientifiche – conclude Vailati – non sono come delle persone a cui siamo in obbligo di serbar gratitudine pei servigi che ci possono aver resi in passato; esse debbono essere abbandonate senza pietà e senza rimorso non appena vengono riconosciute inadeguate all’ufficio per quale sono state foggiate»7.

Le osservazioni di Pikler al testo di Vailati e, indirettamente, a Mach, nella lettera del 15 febbraio 1897, sono molto interessanti. Se da un lato dimostrano forse una certa incomprensione della critica machiana al meccanicismo, dall’altro però sollevano alcuni problemi ontologici di cuiMach e Vailati con lui non sembravano del tutto consapevoli. Pikler si dichiara convinto che, nonostante la natura ideale e relativa di ogni ente, atomi compresi, la scienza non possa fare a meno di ricondurre tutti i fenomeni ai movimenti e agli urti tra particelle elementari. Inoltre la scienza non può rinunciare a trovare i principi unificatori di tutti i fenomeni.L’attuale teoria atomica, osserva Pikler, non è certamente la spiegazione definitiva dei fenomeni naturali; ma fintanto che non si trova una teoria unitaria della natura, migliore di questa, non possiamo che muoverci in questa direzione. Tuttavia, aggiunge Pikler, se è vero che gli atomi non sono più reali della materia percepita, questo non vuole dire affatto che lo siano di meno: «gli atomi debbono essere intesi come altrettanto reali di (manon più reali di) tutti gli altri fenomeni» (cfr. infra, p. 96). Mentre Mach e Vailati sembrano assegnare uno statuto ontologico superiore al dato, rispetto agli atomi, intesi come enti ideali, Pikler, proprio in nome del fenomenismo e della concezione relazionale della scienza, non può accettare che si riconosca maggiore realtà ai dati che agli atomi. Non vi è nessuna differenza ontologica; semmai soltanto una differenza di grado, a livello gnoseologico.

6 G. VAILATI, Recensione a E. MACH, Populär-Wissenschaftliche Vorlesungen, Barth,Leipzig 1896, in G. VAILATI, Scritti, a cura di M. Calderoni, U. Ricci e G. Vacca, Barth-Seeber, Leipzig-Firenze 1911, p. 61. 7 Ivi, p. 63.

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Il secondo punto sul quale vorrei soffermarmi brevemente riguarda una discussione tra Pikler ed il suo amico Oszkar Jaszi, che si faceva promotore delle idee di Durkheim in Ungheria. Durkheim, com’è noto, si proponeva di analizzare con rigore scientifico i fatti sociali, intesi come“cose”, del tutto indipendenti dagli individui. I fatti individuali sono riconducibili a fatti sociali e non viceversa. Questa impostazione spingeva Durkheim a togliere ogni spazio all’individuale ed a polemizzare con chi pretendeva di ricorrere a metodi psicologici in sociologa. Sociologia e psicologia sono del tutto estranee l’una all’altra: «poiché la nota essenziale dei fenomeni sociologici consiste nella possibilità che essi hanno di esercitare dal di fuori una pressione sulle coscienze individuali, e non nedipendono, ne segue che la sociologia non è affatto un corollario della psicologia»8. Fedele a questa impostazione Jaszi, contro Pikler, negava qualsiasi valore scientifico all’introspezione, sostenendo che nessuno scienziato avrebbe mai potuto accettarla. Di qui l’idea di scrivere a Mach, per avere il suo parere.

Per spiegare la sua posizione, Pikler prende ad esempio il grigio, comeelemento intermedio tra il bianco e il nero. La sua convinzione è che l’uomo possegga la «coscienza e la conoscenza»» del fatto che il grigio è un elemento intermedio tra bianco e nero. E questa è una conoscenza generale, che vale anche per il futuro, per tutti i casi di sensazione del grigio. Non si tratta però affatto di una conoscenza empirica, ottenuta per induzione dalla reiterata osservazione di fatti simili. Al contrario, anche un solo caso di sensazione del grigio è sufficiente a corroborare questa evidenza. Quella conoscenza però non ci riferisce il contenuto di una semplice percezione, perché questa darebbe luogo sempre soltanto ad una esperienza isolata e non ad una conoscenza generale. Essa può semmai essere definita intuizione, una intuizione d’essenza. Ma questo tipo di conoscenza si estende anche alle relazioni tra elementi. Si può dire dunque che «nell’inventario intellettuale» dell’uomo, oltre alle percezioni, al ricordo, alle rappresentazioni, che danno conto delle relazioni spaziali e temporali, vi sono anche intuizioni dell’uguaglianza, della somiglianza, ecc., una sorta di intuizioni delle relazioni d’essenza. L’uomo dunque sa già che vi saranno queste relazioni e, davanti ad un evento si attenderà che le cose vadano in un certo modo. Vi sarebbe dunque nell’uomo una disposizione ad aspettarsi certi accadimenti.Pikler ritiene infatti che vi siano molte forze e tendenze nei fenomeni naturali e la mente, altro non è che la funzione di una di esse. Non vi è dunque differenza alcuna tra mente e materia per Pikler. Tutto va spiegato sulla base dei principi della psico-fisiologia. Così l’intelletto, che egli chiama anche “volere” o “volizione”, è lo strumento grazie al quale diveniamo coscienti del mondo esterno. L’intelletto, egli sostiene, si fonda

8 É. DURKHEIM, Les Règles de la méthode sociologique, Germer Baillière, Paris 1895, p.125.

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essenzialmente su due attese: un’attesa infinita della cosa che per prima percepiamo e un’attesa infinita per l’opposto della cosa; aspettative che si restringono soltanto se abbiamo un’esperienza concreta. «Non possediamo soltanto aspettative che si basano sull’esperienza del contenuto secondo il quale da certi fatti ne devono conseguite altri, bensì anche disposizioni all’aspettativa di tale contenuto, derivanti dalla nostra intuizione delle relazioni d’essenza di certi fatti»9. Questa intuizione si completanaturalmente con le percezioni e le rappresentazioni. Ma quello che conta è che l’introspezione si dimostra essere una importante fonte di conoscenza, non soltanto della psicologia, ma anche della fisiologia e della scienza in generale. Va da sé che l’introspezione da sola, senza esperimento fisico, può condurre in errore. Esperimento e introspezione si debbono completare a vicenda.

Mach dichiara di essere «completamente e senza riserve d’accordo»con quanto Pikler dice a proposito della scuola francese, che rigetta senz’altro le ricerche introspettive in psicologia. Senza introspezione, egli osserva, non si può ottenere alcun risultato, non si può interpretare nulla. La pretesa dei francesi di ridurre tutto a fisica è inaccettabile. Non tutti i fattori storici e sociologici possono essere ricondotti a leggi fisiche, se questo significa delegittimare completamente la psicologia. «Fisico e psichico sono diversi in generale, soltanto per il modo dell’osservazione, maessenzialmente sono la stessa cosa»10. Se si rigetta una delle due modalità d’osservazione, si elimina un’importante fonte di conoscenza, che non può essere sostituita da nient’altro. «Non si può constatare tutto fisicalmente»11. Ancora una volta è evidente come lo “scientismo” ed il fenomenismo di Mach non comporti affatto un esito fisicalista. Su questo punto Mach è chiarissimo: la fisica non può essere considerata il passe par tout di ogni indagine che voglia essere scientifica. Solo più tardi, anche in nome di Mach, verrà fatta una scelta nettamente fisicalista.

Mi fermo qui, lasciando al lettore il piacere di cogliere spunti e stimoli dalla lettura diretta dell’epistolario.

9 G. PIKLER, A menopszichológikus szocziológiai irányról, in “Huszadik” VI (1905) 7, p.74. 10 Ivi, p. 76 11 Ivi, p. 77.

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IL CARTEGGIO VAILATI-PIKLER

I.

G. Vailati a J. Pikler 24. 3. 189212

Crema 24 March [18]92

Hon. Professor

Hon. Professor I will be obliged to you if you would inform me of the probable date of publication of the 2th volume of your very interesting work on the Psychology of Objective Existence13, whose 1th volume I have lately perused with greatest pleasure. The analysis there masterly p[…]d14 seems to me to mark a very substantial improvement on that of Mill an improvement whichthis illustrious thinker has, more than once in his utterances on the subject, lean [showed to be very]15 on the verge of introducing (vgl. especially his Essay on the life and writings of Berkeley in Vol. IV of Essays and Dissertations16).

[traduzione: Egr. Professore, Le sarei molto obbligato se potesse informarmisulla probabile data di pubblicazione del secondo volume della sua interessantissima opera Psychology of Objective Existence il cui primo volume hoampiamente ed attentamente studiato col più grande piacere. L’analisi, lì

12 Cartolina postale non spedita, indirizzata a: “Doctr Julius Pickler [sic] Prof. in konig. Universität Buda-Pest”. Il testo mostra segni evidenti di ripensamenti ed incertezze. Vailati deve avere comunque spedito una cartolina postale di analogo contenuto, come si evincedalla seguente lettera di Pikler del 15 febbraio 1897, cfr. infra. 13 G. PIKLER, The Psychology of the Belief in Objective Existence, Williams & Norgate, London 1890. 14 Parola illeggibile. 15 Cancellato. 16 J. S. MILL, Berkeley’s Life and Writings, in Dissertations and Discussions, vol. IV,Longmans-Green-Reader-Dyer, London 1875, pp. 154-187, ora in Collected Works, vol.XI: Essays on Philosophy and the Classics, ed. by M. Robson, intr. by F. E. Sparshott,Routledge & Kegan Paul, Toronto-Buffalo-London 1978, pp. 449-471.

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magistralmente [svolta] mi sembra segnare un progresso veramente sostanziale rispetto a Mill, progresso che questo illustre pensatore ha, più di una volta nelle sue dichiarazioni sull’argomento, è incline a [mostrò di essere assai vicino] al punto di introdurre (cfr. specialmente il suo Essay on the Life and Writings of Berkeley, in Vol. IV degli Essays and Dissertations).

________

II J. Pikler a G. Vailati

15.4.1892 17

Dear Sir,

I am much obliged to you for your sympathetic letter and especially for the interest you kindly take in the continuance of my work. A continuous struggle with my health and other adverse circumstances, however, since long time prevent mefrom any harder work and so I am unable to fix a definite term to the appearanceof my second volume18. You will easily conceive the greatness of my sorrowcaused by this fact. You would very much oblige me by bringing to my knowledge any notice on my book which may be known to you, in Italian books or reviews. Truly yours

J. Pikler.

VIII Sándorutca képviselökár

Budapest, 15. 4. 1892

17 Cartolina postale indirizzata a: “S.gre Giovanni Vailati, Crema (Lombardia) Italia.” 18 Il secondo volume di The Psychology of the Belief in Objective Existence non venne mai pubblicato.

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[Traduzione: Egregio Signore,/Le sono molto obbligato per la sua benevola lettera e soprattutto per l’interesse che lei così gentilmente mostra per il prosieguo del mio lavoro. Una continua lotta con la mia salute e con altre circostanze avverse, tuttavia, da lungo tempo mi distoglie da ogni più intenso lavoro; quindi non sonoin grado di fissare un termine definitivo per la comparsa del secondo volume. Capirà facilmente la profondità del mio dolore in conseguenza di ciò. Le sarei molto obbligato se volesse portare alla mia conoscenza qualsiasi notizia relativa al mio libro che possa esserle nota, in libri o riviste italiane. Devotamente Suo/ J. Pikler]

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III J. Pikler a G. Vailati

15. 2. 1897

VIII. Szentkirályi – utca 22 Budapest 15.II.1897

Sehr geehrter Herr,

Ich danke Ihnen bestens für die mich ehrende Übersendung Ihrer Arbeiten. Da ich leider nur so wenig Italienisch weiß, wie viel ich auf Reisen in Ihrem von mir angebeteten Vaterlande aufgepickt habe, ohne je die Sprache systematisch gelernt oder italienisch gelesen zu haben, kann ich Ihren Aufsatz über die Wichtigkeit des Studiums der Geschichte der Wissenschaften19 jetzt nicht lesen. Von der sehr großen Wichtigkeit diesesStudiums bin auch ich überzeugt und durchdrungen.

Ihre kurze Recension über Mach’s Buch20 war ich aber doch imStande durchzulesen und ziemlich zu verstehen. Ich weiche aber einigermaßen von Ihrer Absicht ab. Ich bin der Meinung, daß trotz derSubjektivität (Idealität, Relativität) alles Seienden und auch der von uns 19 G. VAILATI, Sull’importanza delle ricerche relative alla storia delle scienze, Roux e Fossati, Torino 1897, ora in G. VAILATI, Scritti, a cura di M. Calderoni, U. Ricci e G. Vacca, Barth-Seeber, Leipzig-Firenze 1911, pp. 64-78. 20 G. VAILATI, recensione a E. Mach, Populär-wissenschaftliche Vorlesungen, Barth, Leipzig 1896, in “Rivista di studi psichici” (1896), ora in Scritti, cit., pp. 60-63. Vailati aveva già recensito queste lezioni di Mach sulla “Rivista sperimentale di Freniatria”, XXII (1896), 3, ora in Scritti, cit., pp. 43-45.

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angenommenen Atome, unsere heutige Wissenschaft sich doch bestreben muß alle Erscheinungen auf Bewegungen und Stöße der kleinsten Teile zurückzuführen und daß es ein großer Fehler wäre, sich statt der Vereinheitlichung aller Erscheinungen mit bloß empirischer Gesetzen der Coexistenz und Aufeinander folge zu begnügen; daß daher die Klage Lord Kelvin’s, in diesem Sinne aufgefaßt, ganz gerechtfertigt und wissenschaftlich zulässig ist Die Atome sind gewiß nicht realer als die empfundene Materie (darin haben Sie Recht wie auch in der Beschuldigung vieler Naturforscher einer entgegengesetzten Auffassung), aber sie können ebenso real sein und sind es nach unseren heutigen Zeugnissen für die Sache; ihre Bewegungsgesetze zu finden ist daher von größter Wichtigkeit und die Kenntnis derselben bedeutet einen Fortschritt in unserer Erklärung der Natur. Die heutige Atomtheorie ist gewiß nicht die endgültige Erklärung der Natur; es ließe sich aber beweisen, daß jede mögliche zukünftige Erklärung derselben in einem wesentlichen Punkte der Atomtheorie ähnlich sein muß, doch diesen Punkt zu entwickeln läßt die Enge des Rahmens eines Briefes nicht zu. Solange also keine andere bessere (der Atomtheorie unbedingt sehr ähnliche) Vereinheitlichung der Natur gefunden ist, sollen die Atome, als ebenso real wie (aber nicht realer als) alle anderen Erscheinungen aufgefaßt werden.

Ihr gütiges Interesse für meine Person ermutigt mich einige Zeilenüber mich zu schreiben. Obwohl nie vollkommen frisch und arbeitsfähig, habe ich seit meinem englischen Aufsatze eine kleine ziemlich ablehnende Abhandlung über die sogenannte österreichische Schule der Nationalökonomie und ein einleitendes Buch über Rechtsphilosophie und Jurisprudenz in ungarischer Sprache veröffentlicht21. In den letzten drei Jahren war ich mit sehr eingehenden Gedanken über Rechtsphilosophie, Soziologie beschäftigt Als Frucht derselben sollen im Laufe der nächsten Jahre 3 Bücher von mir erscheinen mir dem Titel: 1) „Über Entsehung und Entwicklung des Rechts“. 2) „Das Gesetz der Staatenbildung“. 3) „Die Principien der Gerechtigkeit im Allgemeinen, in Vermögensrecht, in Strafrecht und in Völkerrecht“22. Von diesen ist das erste in ungarischer Sprachen jetzt im Drucke. Sie sollen alle drei auch deutsch erscheinen. Sie sollen einesteils theoretisch, die Gesetze der Entwickelung des Rechts und der Gesellschaft darstellend, anderesteils (sic) praktisch die Organisation der Zukunft bestimmend sein. In letzterem Hinsicht sind sie kosmopolitisch und kommunistisch (socialistisch). Mit den Fragen meines „Objective existence“habe ich mich seit der Veröffentlichung derselben nicht befaßt. Ich will aber in einem Nachwort zu dem ersten von mir zu erscheinenden deutschen Buche kurz zusammenfassen was ich in dem 2.ten Teile meines Obj.[ective] ex.[istence] sagen wollte.

21 G. Pikler, Bevezetõ a jogbölcseletbe, Budapest 1892. 22 G. Pikler, Gyula Pikler, Bevezetõ a jogbölcseletbe, Budapest 1892.

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Noch eines! Sie fragten mich seinerzeit in einer an mich gerichtetenPostkarte, ob ich eine Abhandlung J. S. Mill’s über die Frage der Obj.[ective] existence23 gekannt habe. Ich vergaß Ihnen damals zu antworten. Ich kannte jene Abhandlung nicht und kenne sie auch bis heute nicht.

Nochmals meinen besten Dank! Ich wünsche Ihnen die beste Arbeitslust und Arbeitskraft. Es wird

mich sehr freuen über Ihre späteren Arbeiten wie auch etwa über socialpolitische Bestrebungen und Arbeiten an der Universität Turin zu hören.

Mit wärmstem Grusse und aufrichtiger Hochachtung Ihr ergebenster

Julius Pikler

[ Traduzione: Egregio Signore,/ La ringrazio moltissimo dell’invio dei Suoi lavori che mi onorano. Giacché però conosco quel poco di italiano che ho afferrato nei miei viaggi nella sua Patria da me adorata, senza aver mai studiato sistematicamente la lingua o letto in italiano, non posso per ora leggere il suosaggio sull’importanza dello studio della storia delle scienze. Anch’io sono convinto e profondamente persuaso della grandissima importanza di questo studio./ La Sua breve recensione del libro di Mach sono però stato in grado di leggerla e dicapirla abbastanza. Io tuttavia dissento in qualche misura dalla sua opinione. Io sono dell’avviso che, a dispetto della soggettività (idealità, relatività) di ogni ente ed anche degli atomi da noi assunti, la nostra scienza attuale deve tuttavia sforzarsi di ricondurre tutti i fenomeni a movimenti ed urti delle parti piccolissime e che sarebbe un grave errore accontentarsi di leggi meramente empiriche della coesistenza e della successione, invece della unificazione di tutti i fenomeni; che perciò il lamento di Lord Kelvin, inteso in questo senso, è del tutto legittimo e scientificamente ammissibile. Gli atomi non sono certamente più reali dellamateria percepita (in questo Lei ha ragione, così come nell’accusare molti scienziati di sostenere una concezione opposta), ma essi possono essere altrettanto reali e lo sono sulla base delle nostre attuali testimonianze della cosa; trovare leloro leggi del moto è perciò della massima importanza e la conoscenza di queste comporta un progresso nella nostra spiegazione della natura. L’attuale teoriaatomica non è certamente la spiegazione definitiva della natura; si potrebbe tuttavia dimostrare che ogni possibile futura spiegazione di essa dovrà essere simile alla teoria atomica in un punto essenziale; tuttavia non è possibile sviluppare questo punto nello spazio ristretto di una lettera. Fintantoché dunque non viene trovata una migliore (inevitabilmente molto simile alla teoria atomica) unificazione della natura, gli atomi debbono essere intesi come altrettanto reali di (ma non più reali

23 Non risulta esserci alcun saggio di J. S. Mill esplicitamente dedicato all’esistenza oggettiva.

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di) tutti gli altri fenomeni./ Il suo cortese interesse per la mia persona mi incoraggia a scrivere alcune righe su di me. Benché non sempre in forma ed in grado dilavorare, dopo il mio saggio in inglese, ho pubblicato un breve saggio, piuttosto critico, sulla cosiddetta scuola austriaca di economia politica ed un libro introduttivo sulla filosofia del diritto e la giurisprudenza, in lingua ungherese.Negli ultimi tre anni mi sono occupato molto approfonditamente di filosofia del diritto e sociologia. Come frutto di queste riflessioni, nel corso del prossimo anno, dovrebbero uscire tre miei libri dal titolo: 1) “Sul sorgere e lo sviluppo del diritto”. 2) ”La legge della formazione dello Stato”. 3) “I principi dell’equità in generale,nel diritto patrimoniale, nel diritto penale e nel diritto internazionale”. Di questi il primo, in lingua ungherese, è in corso di stampa. Tutti e tre dovrebbero uscire anche in tedesco. Essi in parte dovrebbero presentare teoreticamente le leggi disviluppo del diritto e della società, in parte determinare praticamente l’organizzazione del futuro. Da quest’ultimo punto di vista sono cosmopolitici e comunisti (socialisti). Delle questioni trattate nel mio “Objective existence”, dopo la sua pubblicazione, non mi sono più occupato. In una postfazione alla prossima edizione tedesca del mio primo libro voglio riassumere brevemente cosa intendevo dire nella seconda parte del mio Obj.[ective] ex.[istence]./ Ancora una cosa! Mi ha chiesto a suo tempo, in una cartolina postale a me indirizzata, se ero a conoscenza di un saggio di Mill sulla questione della Obj.[ective] existence. Mi sono dimenticato allora di risponderLe. Non conoscevo quel saggio e non lo conosco neppure oggi./ Ancora una volta mille grazie!/Le auguro di tutto cuore voglia e forza di lavorare. Mi farà molto piacere avere notizie dei Suoi prossimi lavori, così come ad esempio delle tendenze politicosociali e dei lavori all’Università diTorino./Con i più calorosi saluti e la più sincera stima/ il Suo devotissimo/ Julius Pikler]

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IV. J. Picker a G. Vailati

28. 7. 1905

Budapest, 1905.VII.28. VII. Vásosligeti fasor 9.

Lieber Freund,

ich liege seit 3 Wochen in einem chirurgischen Sanatorium, wo ich noch eine Woche bleiben werde. Ich war nämlich gezwungen, mich gegen Appendicitis operieren zu lassen.

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Sie haben mir durch die Zusendung des Leonardo eine große Freude bereitet. Das rege philosophische Leben, welche aus demselben hervorscheint, bestimmt mich unwiderruflich in nächster Zeit so weit italienisch zu lernen, daß ich die philosophischen Schriften in Ihrer Sprache vollkommen verstehen kann; ich kann es länger nicht leiden, daß ich dieselben nur halbwegs, nicht genau zu verfolgen im Stande bin.

Ich habe die 3 Artikel Credenze e Volontà24 durchgelesen (wegen meiner mangelnden Sprachkenntnis mit Mühe) u.[nd] im großen u.[nd] ganzen verstanden.

Am wenigsten habe ich Papini’s Artikel verstanden; ich erwarte aberin einigen Tagen den Besuch von Jászi, der gut italienisch kennt u.[nd] der mir ihn übersetzen wird. Über Papini’s Aufsatz habe ich daher noch kein Urteil; nur 2 Punkte will ich erwähnen. 1) Mein Prinzip ist nicht richtigangeführt. Es lautet: la credenza, daß wie eine Praesentation hervorrufen können, [bedeutet]25 ist gleichbedeutend alla nostra credenza della existenza d’un fatto oggettivo. Noch wichtiger: la credenza, daß wir certi generi dipresentazioni hervorrufen können, [è la cosa bedeutet]26 ist gleichbedeutend alla nostra credenza della oggettiva existenza di [tali]27 corrispondenti generi di fatti. – 2) Der Satz “La sociologia del materialismo storico si occupa dei fatti economici, perché” [la via]28 sollte folgendermaßen weitergehen: perché die einzig [sichere]29 mögliche oder doch wenigstens in den meisten Fällen wirksame Weise die Handlungen der Menschen zu ändern besteht in cambiando la [distribuzione della]30 [maniera della produzione e la]31 distribuzione delle ricchezze, denn [che]32 il cambiare degli ideali (welches sonst eine andere Weise wäre, da auch die Ideale für sich die Handlungen bestimmen) ist oder doch in den meisten Fällen nur durch jene ökonomischen Änderungen möglich.

In großem Masse stimme ich mit Calderoni überein, wie auch mit Ihnen; besonders gefallen mir die 2 letzten Absätze Ihres Artikels.

Ich arbeite noch immer an dem Aufsatz: Die zweckbewußte Wahl im Lichte des Energieprinzips. (Sie sehen: ”zweckbewußt“ statt ”willkürlich“;

24 G. VAILATI, Credenze e Volontà. La distinzione tra Conoscere e Volere, in “Leonardo”III (1905) 3, pp. 128-129, ora in Scritti, cit., pp. 626-629; G. PAPINI, Credenze e Volontà. Influenza della Volontà sulla conoscenza, ivi, pp. 127-128; M. Calderoni, Credenze e volontà. Intorno alla distinzione fra atti volontari ed involontari, ivi, pp. 125-127, ora in M.CALDERONI, Scritti, a cura di O. Campa, prefazione di G. Papini, La Voce, Firenze 1924, vol. I, pp. 267-273. 25 Cancellato. 26 Cancellato. 27 Cancellato. 28 Cancellato. 29 Cancellato. 30 Cancellato. 31 Parentesi quadre di Pikler. 32 Cancellato.

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zweckbewußte Handlungen werden im Aufsatz als Handlungen definiert, welche durch Erwartungen bestimmt werden. Calderoni wird damitzufrieden sein u.[nd] diese Definition ist höchstwichtig in bezug auf das physische Korrelat der Wahl unter solchen Handlungen, welches ich suche). Die psychophysiologische Absicht dieser Arbeit wird Ihnen und Ihren Freunden vielleicht zu gewagt erscheinen u.[nd] nicht sympathisch sein; doch es ist auch viel, sehr viel psychologische Analyse darin, die Ihnen u.[nd] Ihren Freunden vielleicht besser gefallen wird. Ich arbeite an dieser Analyse mit der größten Geduld; sie soll an Sauberkeit nicht viel zu wünschen übrig lassen; sie ist viel subtiler als die in meiner Psychology of the Belilef in Obj.[ective] Existence. Als ich die Arbeit anfing, glaubte ich in 2 Monaten damit fertig zu werden, u.[nd] nun sind schon 3½ Jahre seitdem verflossen. Wie oft dachte ich schon mit der Arbeit fertig zu sein, und fing dann vom Neuen an. Bevor ich mir jetzt operieren ließ, machte ich den Aufsatz druckfertig u.[nd] als ich einige Tage nach der Operation im Bette wieder nachzudenken anfing, war mein erster Gedanke die Einsicht, daß ein großer Teil des Aufsatzes umgearbeitet werden muß. Mit einem Wort, ich mühe mich sehr mit der Arbeit ab, u.[und] ich schweige still, während Andere publizieren.

Unter diesen Umständen tut es mir wohl, ich leugne es nicht, daß im Leonardo ein Aufsatz angekündigt wird, da G. Occam, ecc.33, in welchem Sie meine ältere Arbeit würdigen wollen. Freilich tut es mir leid, daß meineneuere Fortschritte in der psychologischen Analyse Ihnen noch unbekanntsind; ich wiederhole, mein englisches Buch ist eine ganz grobe Arbeit im Vergleich zu meinen neueren Analysen.

Umsomehr bedrückt mich die Verzögerung meiner erwähnten Arbeit, als ich nach Beendigung derselben, jene Gedanken, die ich Ihnen mündlichüber das Wesen der Wissenschaft mitteilte, ausarbeiten möchte. Aus Ihrem Artikel über Poincaré’s Werk34 glaube ich ersehen zu können, daß jetzt Andere im selben Fahrwasser sich bewegen, z.[um] B.[eispiel] Le Roy.

Meine Ansichten über diesen Gegenstand sind, glaube ich, guter Pragmatismus. Infolge meiner jetzigen Arbeit, lese ich nichts, auch Zeitschriften nicht, u.[nd] kenne die pragmatistische Richtung nur sehr wenig. Jene Ansicht derselben, als hinge es [von unserer Tätigkeit]35 von unseren Zwecken ab, was wir als wahr, was wir als falsch betrachten, halte ich nur in beschränktem Masse, für richtig, mir scheint es im Gegenteil, daß dies in großem Masse von unseren Zwecken unabhängig ist; hingegen istjene Ansicht des Pragmatismus richtig, daß unsere Zwecke es bestimmen, welche der Sätze, die uns als wahr erscheinen können, wir uns zu

33 Sul «Leonardo», III (1905), p. 142 venne annunciato un saggio di Vailati dal titolo, DaG.Occam a G. Pikler, che però non fu mai pubblicato. 34 G. VAILATI, recensione a H. Poincaré, La valeur de la Science, Flammarion, Paris 1905, in « Leonardo », III (1905), pp. 134-135, ora in Scritti, cit., pp. 630-633. 35 Cancellato.

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Bewußtsein führen. In diesem Sinne halte ich den Satz für richtig: Le fait scientifique est créé par le savant. Vielleicht erinnern Sie sich noch, daß ich in Budapest Ihnen denselben Satz ausführte; eben wie den Satz: La Sciencen’est qu’une règle d’action. Ich kenne das Werk Le Roy’s36 nicht, nur Ihrem Referat über Poincaré entnehme ich diese Sätze; sie mache jedoch auf mich den Eindruck, daß mir infolge meines langen Schweigens, Vieles vor der Nase wegschreibt.

Es würde mich sehr freuen einen ausführlichen Brief von Ihnen zu erhalten, über Ihre Gesundheit, über Ihr Leben, wenn auch über beides das mir zugesandte Heft des Leonardo so ziemlich das Hauptsächlichste sagt. Bitte Sie auch, im Falle daß Sie mir schreiben mitzuteilen, ob Calderoni und Papini in den Naturwissenschaften bewandert sind. Bitte, adressieren SieIhren etwaigen Brief: VIII: Jávorutca 3.

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Nachträglich fällt mir noch ein Punkt ein, über den ich Ihnen zu schreiben habe. Ich hatte vor 5 Wochen einen Briefwechsel mit Mach.Ich sende Ihnen gleichzeitig unter Kreuzband ein Heft einer ungarischenZeitschrift ein37; auf den Seiten 73-77 finden Sie Druckstücke aus meinen u.[nd] Mach’s Briefen (mit seiner Genehmigung veröffentlicht). Der Briefwechsel entstand dadurch, daß Jászi, indem er sich gegen die introspektive Methode in der Soziologie aussprach, behauptete, kein Naturforscher würde solchen introspektiven Problemen, wie ich sie auch in meinem Briefe aufwerfe, irgend eine wissenschaftliche Bedeutung beilegen. Ich frug (sic) nun Mach um seine Ansicht u.[nd] er war gefällig mir dieselbe mitzuteilen. Gleichzeitig sandte ich ihm mein englisches Buch zu. Es würde mich sehr freuen, wenn er es einmal lesen u.[nd] ich seine Ansicht erfahrenwürde. Nun nehmen Sie meinen besten Dank für den Leonardo u.[nd] seien Sie von mir u.[nd] meiner Frau bestens gegrüßt. Wie schön wäre es bald wieder einmal uns mündlich aussprechen zu können.

Ihr Sie hochschätzender Julius Pikler

36 É. LE ROY, Sur la logique de l’invention, in «Revue de métaphysique et de morale» XIII (1905), pp. 193-223. 37 G. PIKLER, A menopszichológikus szocziológiai irányról, in «Huszadik», VI (1905) 7, pp. 62-77.

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P. S. Sie würden mich sehr verbinden, wenn Sie mir die Titel etwaiger Ihnen bekannter Bücher u.[nd] Aufsätze über das Gefühl mitteilen würden.

[Traduzione: Caro amico,/ da 3 settimane giaccio in una clinica chirurgica dove dovrò restare ancora una settimana. Sono stato infatti costretto a farmi operare di appendicite./ Mi ha procurato una grande gioia con l’invio del Leonardo. La vivace vita filosofica che da esso traspare, mi spinge a studiare irrevocabilmente quanto prima quel tanto di italiano che mi permetta di capire pienamente gli scrittifilosofici nella Sua lingua; non posso più a lungo sopportare di essere in grado diseguirli soltanto a metà, e non con precisione./ Ho letto i 3 articoli Credenze eVolontà (con fatica, a causa delle mie modeste conoscenze linguistiche) e nelcomplesso li ho capiti. Quello che ho capito meno è l’articolo di Papini; ma tra pochi giorni aspetto la visita di Jászi che conosce bene l’italiano e che me lotradurrà. Del saggio di Papini non mi sono dunque fatto un giudizio; soltanto 2punti voglio toccare. 1) Il mio principio non è riportato correttamente. Esso suona: la credenza, come che possa scaturirne una presentazione [significa] è equivalentealla nostra credenza della existenza d’un fatto oggettivo. Ancor più importante: la credenza che noi possiamo fare sorgere certi generi di presentazioni,[è la cosasignifica] è equivalente alla nostra credenza della oggettiva existenza di [tali]corrispondenti generi di fatti. – 2) Il principio “La sociologia del materialismostorico si occupa dei fatti economici, perché” [la via] dovrebbe proseguire più o meno così: perché l’unico modo [sicuro] possibile per, o quantomeno il modo nella maggior parte dei casi capace di cambiare le azioni degli uomini, consiste in cambiando la [distribuzione della] [maniera della produzione e la] distribuzionedelle ricchezze, perché [che] il cambiare degli ideali (che altrimenti sarebbe un altro modo, perché anche gli ideali per sé determinano le azioni) è possibile soltanto o quantomeno nella maggior parte dei casi grazie a quei cambiamenti economici./ Concordo sostanzialmente con Calderoni, così come con Lei; in particolare mi sono piaciuti i due paragrafi finali del Suo articolo./ Io sto ancora lavorando al saggio: La scelta consapevole alla luce del principio di energia. (Badi bene: “consapevole dei fini” non “arbitrario”; azioni consapevoli dei fini vengonodefinite nel saggio quelle che sono determinate da aspettative. Calderoni ne sarà contento e questa definizione è della massima importanza in relazione al correlato fisico della scelta tra queste azioni, che io cerco). L’intento psicofisiologico di questo lavoro sembrerà forse troppo audace a Lei e ai Suoi amici e non risulterà simpatico; tuttavia vi sono anche molte, moltissime analisi psicologiche che forse piaceranno di più a Lei e ai Suoi amici. Lavoro a questa analisi con la massima pazienza; essa non deve lasciare a desiderare molto in pulizia; essa è molto più sottile della mia Psychology of the Belilef in Obj.[ective] Existence. Quando cominciai il lavoro, credevo di poterlo terminare in 2 settimane e sono già trascorsi 3 anni da allora. Ogni volta che pensavo di avere concluso il lavoro, ricominciavo di nuovo. Ora, prima che mi facessi operare, avevo preparato il lavoro per la stampa e allorché, qualche giorno dopo l’operazione, nel letto, ricominciai a riflettere, il mio primo pensiero fu la convinzione che gran parte del saggio dovesse

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essere rielaborata. In una parola mi affatico grandemente col lavoro e me ne sto zitto, mentre altri pubblicano./ In queste circostanze mi fa molto piacere, non lo nego, che nel Leonardo sia annunciato un saggio, da G. Occam, ecc, nel quale Lei intende esprimere apprezzamento per il mio primo lavoro. Certo mi dispiace che non Le siano ancora noti i miei recenti progressi nell’analisi psicologica; lo ripeto,il mio libro inglese è un lavoro molto grossolano a paragone delle mie più recentianalisi./ Il continuo rinvio del lavoro cui ho fatto riferimento mi affligge tanto piùin quanto, una volta che l’abbia concluso, intendo sviluppare quei pensieri sul’essenza della scienza di cui Le ho riferito a voce. Dal Suo articolo sull’opera di Poincaré credo di poter desumere che ora anche altri si muovono sullo stesso terreno, come ad es. Le Roy./ Le mie opinioni su questo oggetto sono, io credo,buon pragmatismo. A causa del mio lavoro presente, non leggo nulla, neppure riviste, e conosco molto poco la tendenza pragmaticista. La concezione secondo laquale dipenderebbe dai nostri fini ciò che consideriamo vero e ciò checonsideriamo falso, la ritengo giusta soltanto in misura limitata, mi pare al contrario che questo sia in gran parte indipendente dai nostri fini; invece è giusta la concezione del pragmatismo secondo la quale i nostri fini determinano quali tra iprincipi che ci possono apparire come veri giungeranno a consapevolezza. Inquesto senso ritengo giusto il principio: Le fait scientifique est créé par le savant. Si ricorderà forse che io, a Budapest, le manifestai lo stesso principio; così come il principio: La Science n’est qu’une règle d’action. Non conosco l’opera di Le Roy e traggo questi principi semplicemente dalla Sua relazione su Poincaré; tuttavia mi generano l’impressione che, a causa del mio lungo silenzio molti scritti misfuggano sotto il naso./ Mi farebbe molto piacere ricevere una lettera particolareggiata sulla Sua salute, sulla Sua vita, anche se a proposito di entrambeil fascicolo del Leonardo che mi ha mandato mi dice l’essenziale. La prego anche, nel caso mi scriva, di comunicarmi se Calderoni e Papini hanno confidenza con le scienze naturali. La prego, indirizzi la Sua eventuale lettera: VIII: Jávorutca 3.// Mi viene in mente un punto ulteriore a proposito del quale Le debbo scrivere. 5 settimane fa ho avuto uno scambio epistolare con Mach. Sotto fascetta le mando contemporaneamente un fascicolo di una rivista ungherese; alle pagine 73-77 troverà estratti di lettere mie e di Mach (pubblicate col suo consenso). Lo scambio epistolare si avviò perché Jászi, dichiarandosi contrario al metodo introspettivo, riteneva che nessuno scienziato avrebbe attribuito alcun significato scientifico a tali problemi introspettivi, così come li avevo sollevati anche nella mia lettera./ Io chiesi allora a Mach la sua opinione ed egli fu così gentile da comunicarmela./Nello stesso tempo gli inviai anche il mio libro inglese. Mi farebbe molto piacere,se egli prima o poi lo leggesse ed io venissi a conoscenza della sua opinione./ Laringrazio ancora molto del Leonardo e Le porgo i saluti miei e di mia moglie. Sarebbe davvero bello poter di nuovo presto esprimersi a voce./ Con la massimastima il Suo/ Julius Pikler/ P. S. Le sarei molto obbligato, se volesse comunicarmi ititoli di libri e saggi eventualmente a Lei noti sul sentimento.

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V. J. Pikler a G. Vailati

29. 8. 1907

Celerina (Schweiz, Engadin) 29.VII.1907

Lieber Freund,

ich erhielt das Heft Rivista di psicologia, welche Sie mir zu senden gütig waren, hier, wo ich bis Ende August bleibe (die obige Adresse genügt; in Budapest ist nun meine Wohnung: II. Nyúlutca 4.)

Ich bin tief gerührt davon, daß Sie gegenüber der Vernachlässigung seitens James’, dem ich derzeit meine Psychology of Objective Existencezusandte, eine Lanze für mich einlegten. Ich fühle den größten Dank für Ihren unermüdlichen Eifer meinem Buche Leser zu verschaffen. Die kleineAusgabe (250 oder 300 Exemplare) sind (sic) infolge des vielen Lobes, daß das Buch im Mind erhielt, vergriffen. Ob auch gelesen, das ist natürlich eine andere Frage.

Ich schrieb das Buch im schönen Alter von 21 Jahren. Seither habe ich in ungarischer Sprache, ohne von Peirce, James etc. überhaupt von der pragmatistischen Strömung etwas zu wissen, in ungarischer Sprache38

manches Pragmatistische veröffentlicht, worin ich u.[nter] A.[nderem] [Poincaré zusammengekommen bin]39 vorweggenommen habe, was ich später in Poincaré las.

Auch Ihr Dal Monismo al Pragmatismo40 habe ich mit großem Genuß gelesen. Die Aufsätze von Calderoni verblüffen mich immer dadurch, daß wir über seine Gegenstände ganz dieselben Gedanken haben.

Im nächsten Heft der Vierteljahrschrift für wissenschaftlichePhilosophie (ed. Paul Barth) wird unter dem Titel ”Beschreibung u.[nd] Einschränkung“41 ein Artikel von mir erscheinen. Ich werde Ihnen, Papini und Calderoni je einen Abdruck senden. Ich mache Sie vom pragmatistischen Gesichtspunkt aus besonders auf den letzten Teil des 38 Ripetizione di Pikler. 39 Cancellato. 40 G. VAILATI, Dal monismo al pragmatismo, in «Rivista di psicologia applicata alla pedagogia», III (1907), 4, ora in Scritti, cit., pp. 787-790. 41 G. PIKLER, Beschreibung und Einschränkung, in «Vierteljahrschrift für wissenschaftlichePhilosophie und Sociologie», XXXI. N. F. VI (1907), 3, pp. 313-335.

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Aufsatzes aufmerksam: ”Praktische Wissenschaft“. Ich fühlte den lebhaftenWunsch – nach eingeholter Erlaubnis von Ihnen – über den Artikel eine Zeile zu setzen: ”Giovanni Vailati gewidmet“, doch war ich zuletzt froh, daß die Zeitschrift den Aufsatz bringt, und wollte keine ungewohnte Dinge riskieren. Vielleicht erlauben Sie mir dasselbe ein andermal42.

Ich erlaube mir Sie vom pragmatistischen Gesichtspunkt aus nochmals auf den „Zweiten Zusatz“ in meinem „Das Grundgesetz u.[nd] s.[o] w.[eiter]43 aufmerksam zu machen. Ich glaube, Sie billigen jenen Aufsatz nicht. Und hoffe ich, daß Sie einmal seine Bedeutung zugeben werden. Daß darin manche Leichtsinnigkeiten, Unklarheiten und Widersprüche in der angestrebten Physiologie sind, weiß ich nur zu gut. Ich wünsche sehr, daß Calderoni den Aufsatz liest. (Ich meine den genannten Teil des Buches ”Das Grundgesetz“. Er betitelt sich: ”Die Gleichgültigkeit alles Substantielles u.[nd] s.[o] w.[eiter]“)

Ich erlebe von der in Ungarn herrschenden klerikal-nationaler Mehrheit fortwährend die größten Chikanen (sic). Vielleicht werde ichmeinen Lehrstuhl nicht behalten können. In einer Regierungszeitung wurden meine Schriften „ehrlos und wertlos“ genannt. Die Universität ist im höchsten Masse klerikal. Bei der Dekanwahl, welche stets nach dem Seniumerfolgt, wurde ich präteriert. Mein Gegenstand wurde vom Examen gestrichen. Ich doziere fast vor leeren Bänken. Meine besten Schüler wagen nicht mich zu zitieren, um ihre Carriere nicht zu verderben. Ich fühle das lebhafte Bedürfnis einige Tage mit Ihnen, Calderoni u.[nd] Papini zu verbringen. Ich möchte Sie Drei gerne in Firenze besuchen.

Ich beende ein einigen Wochen eine Arbeit: „Beharrung und Gegenseitigkeit im psychischen Leben“44. Dieselbe ist tief-idealistisch. Ich möchte sie gerne in Ihrer Biblioteca Pragmatistica in Firenze vorlesen. Mehrere philosophische Freunde würden mich begleiten. Würde ich in deutscher Sprache Zuhörer finden? Oder soll ich die Arbeit ins Italienische übersetzen und vorlesen lassen? Der 1. oder 2. November wäre, was mich betrifft, für den Ausflug die beste Zeit. Was sagen Sie dazu? Um mir IhreAntwort zu sichern, schicke ich diesen Brief rekommandiert.

Sie datieren jetzt Ihre Aufsätze von Rom. Leben Sie jetzt in Rom? An was für eine Schule sind Sie angestellt? Ich käme nur unter der Bedingung

42 Pikler dedicherà a Vailati lo scritto Über Theodor Lipp’s Versuch einer Teorie des Willens. Eine kritische Untersuchung, zugleich in Beitrag zu einer dynamischenPsychologie, Barth, Leipzig 1908, p. IV, con le parole “Giovanni Vailati in Freundschaftund Hochachtung zugeeignet [Dedicato a Giovanni Vailati con amicizia e stima]”. 43 J. PIKLER, Das Grundgesetz alles neuro-psychischen Lebens: zugleich einephysiologisch-psychologische Grundlage für den richtigen Teil der sogenanntenmaterialistischen Geschichtsauffassung, Barth, Leipzig 1900. 44 G. PIKLER, Das Beharren und die Gegensätzlichkeit des Erlebens, Frankh, Stuttgart 1908.

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nach Firenze, daß Sie auch hinkommen, wenn Sie nicht mehr wohnen. Odertreffen wir, Sie, Papini u.[nd] Calderoni uns in Rom. Lieber wäre mir in der Biblioteca in Firenze vorzulesen.

Schreiben Sie mir ausführlich, wie es Ihnen geht. Meine Nerven sind sehr schlecht, wie gewöhnlich; auch die Verfolgungen tragen viel dazu bei.

Mit den herzlichsten Grüssen von mir u.[nd] meiner Frau Ihr aufrichtiger Freund

Julius Pikler

[Traduzione: Caro amico,/ ho ricevuto il fascicolo della Rivista di Psicologia che ha avuto la bontà di mandarmi, qui, dove sarò fino alla fine di agosto(l’indirizzo in calce è sufficiente; in Budapest il mio domicilio ora è: II. Nyúlutca 4.)/ Mi ha profondamente commosso che Lei abbia spezzato una lancia in mio favore contro il silenzio da parte di James nei confronti della mia Psychology of Objective Existence al quale a suo tempo l’avevo mandata. Le sono estremamentegrato dei suoi continui sforzi di trovare lettori al mio libro. La piccola edizione (250 o 300 esemplari), grazie alle molte lodi che il libro ha ricevuto su Mind è ormai esaurita. Se viene anche letto, è naturalmente tutt’altra questione./ Io scrissi il libro alla bella età di 21 anni. Da allora, in lingua ungherese, senza sapere alcunché di Peirce, di James ecc. e in generale della corrente pragmatistica, in lingua ungherese ho pubblicato parecchie cose pragmatistiche, ove, tra l’altro, [ho sostenuto le stesse cose di Poincaré] ho anticipato ciò che poi avrei letto in Poincaré./ Anche il Suo Dal Monismo al Pragmatismo l’ho letto con molto piacere.I saggi di Calderoni mi stupiscono sempre, perché sulle questioni che tratta le nostre posizioni coincidono pienamente./ Nel prossimo fascicolo della Vierteljahrschrift für wissenschaftliche Philosophie (ed. Paul Barth) uscirà un mioarticolo dal titolo „Beschreibung und Einschränkung“. Manderò un estratto a Lei, a Calderoni e a Papini. Da un punto di vista pragmatistico, richiamo la Sua attenzione soprattutto sull’ultima parte del saggio: “Praktische Wissenschaft”. Avrei desiderato moltissimo – avendone ricevuto il Suo permesso – porre in testa all’articolo un paio di righe: “dedicato a Giovanni Vailati”, tuttavia fui alla finetanto felice che la rivista avesse accolto il saggio e non volli rischiare con cose inconsuete. Magari mi permetterà di farlo in un’altra occasione./ Mi permetto, da un punto di vista pragmatistico, di attirare la Sua attenzione sul “secondosupplemento” del mio “Das Grundgesetz, ecc.”. Credo che non approverà quel saggio. E tuttavia spero che prima o poi riconoscerà ad esso il suo valore. So fin troppo bene che vi sono parecchie leggerezze, oscurità e contraddizioni. Desidererei molto che Calderoni leggesse il saggio. (Intendo la parte che ho citatodel libro “Das Grundgesetz”. Si intitola: “Die Gleichgültigkeit alles Substantielles,ecc.”)./ Sono costantemente soggetto a grandissime angherie da parte della maggioranza clerical-nazionale. Forse non potrò conservare la mia cattedra. In ungiornale governativo i miei scritti sono stati definiti “indegni e senza alcun valore”.L’università è nella stragrande maggioranza clericale. Nelle elezioni del Decano, che hanno sempre avuto luogo in base al Senium, sono stato messo da parte. La mia materia è stata cancellata dagli esami. Io faccio lezione davanti ai banchi quasi

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vuoti. I miei allievi migliori non osano citarmi, per paura di rovinarsi la carriera. Sento l’esigenza vivissima di trascorrere alcuni giorni con Lei, Calderoni e Papini. Farei volentieri visita a tutti e tre a Firenze./ Tra alcune settimane finirò un lavoro: “Beharrung und Gegenseitigkeit im psychischen Leben”. È un lavoro profondamente idealista. Lo leggerei volentieri a Firenze nella Sua BibliotecaPragmatistica. Parecchi amici filosofi mi accompagnerebbero. Troverei ascoltatoriparlando in tedesco? Oppure debbo far tradurre e leggere il lavoro in italiano? L’1 o il 2 di novembre, per quanto mi riguarda, sarebbe il periodo migliore per ilviaggio. Che ne dice? Per assicurarmi la Sua risposta, le invio questa lettera perraccomandata./ Lei data ora i Suoi saggi sempre da Roma. Vive a Roma ora? In quale scuola è impiegato? Io verrei a Firenze alla sola condizione che anche Lei venga, se non abita più lì. Oppure ci troviamo, Lei, Papini e Calderoni a Roma. Iopreferirei però leggere nella Biblioteca a Firenze./ Mi scriva diffusamente della Suasalute. I miei nervi sono a pezzi, come di consueto; anche le persecuzioni vi mettono del loro./ Con i saluti più affettuosi da parte mia e di mia moglie,/ il suoamico sincero/ Julius Pikler]

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VI. J. Pikler a G. Vailati

21. 6. 190845

Budapest 21.VI.1908

Sehr geehrter Freund,

Ich danke Ihnen sehr für die Zusendung Ihrer Abhandlung über die materiellen Bilder der Deduktion46, welche ich mit Interesse gelesen habe. Ich komme ganz gewiß zum Philosophischen Kongreß in Heidelberg47; 45 Cartolina postale indirizzata “All’illustre Sig. Professore Dott. Giovanni Vailati, via Gregoriana 48, ROMA46 G. VAILATI, On Material Representations of Deductive Process, in «Journal ofPhilosophy, Psychology and Scientific Methods», V (1908), n° 12, pp. 309-316, traduzioneinglese dello scritto I tropi della logica, in «Leonardo» ,III (1905), pp., 3-7, ora in Scritti, cit., pp. 546-571.47 Al congresso di Heidelberg, Pikler presenterà due memorie: Das Gegensätzlichkeitsprinzip, e Die Funktion des Interesses beim Streben und die

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werden Sie da sein? Es wäre schön, sich zu treffen. Meine Adresse ist bishin (sic) Celerina (Schweiz, Engadin). – Mit besten Grüssen von meiner Frau und Ihrem Sie hochschätzenden

Julius Pikler

[Den Artikel Calderonis48 konnte ich noch nicht zu Ende lesen, weil mir das Italienisch schwer geht]49

[Traduzione: Illustrissimo amico,/ La ringrazio molto dell’invio del Suo saggio sulle rappresentazioni materiali della deduzione, che ho letto con interesse.Verrò sicuramente al Congresso Filosofico a Heidelberg; ci sarà anche Lei?Sarebbe bello incontrarsi. Il mio indirizzo fino ad allora è Celerina (Svizzera,Engadina). – Con i migliori saluti da pare di mia moglie e con altissima stima dalsuo /Julius Pikler /[L’Articolo di Calderoni non l’ho ancora potuto leggere fino in fondo, perché l’italiano mi riesce difficile]

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VII. J. Pikler a G. Vailati

[senza data]50

Lieber Freund,

Hier verlebe ich meine Osterferien, die übermorgen enden. Ich danke Ihnen vielmal für Ihre Sendung. Sie freut mich auch als Zeichen Ihrer Besserung.

Beste Grüße von mir u.[nd] meiner Frau Pikler

pragmatische Streitfrage, pubblicate poi col titolo complessivo di Zwei Vorräge über dynamische Psychologie, Barth, Leipzig 1908. 48 Si tratta verosimilmente di M. CALDERONI, La volontarietà degli atti e la sua importanza sociale, in «Rivista di psicologia applicata», III (1907) 4, pp. 253-274, o di IDEM, Forme ecriteri di responsabilità in «Rivista di psicologia applicata», IV (1908) 3, pp. 233-261, orain Scritti, cit., vol. II, pp. 57-97. 49 Aggiunta a margine. 50 Cartolina postale illustrata da Abbazia, cittadina istriana vicino a Fiume, indirizzata a: “M. le Docteur Giovanni Vailati Professeur à l’Istituto Tecnico COMO Italien.”

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[Traduzione: Caro amico,/ io trascorro qui le mie vacanze pasquali, chetermineranno dopodomani. La ringrazio moltissimo del Suo invio. Esso mi fa piacere anche come segno del Suo miglioramento./Con i migliori saluti da parte mia e di mia moglie / Pikler]

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IL CARTEGGIO VAILATI – SCHIAPARELLI (1897-1900)

di Mauro De Zan

Il carteggio intercorso tra Vailati e l’astronomo Giovanni Virgilio Schiaparelli è costituito da sole sette missive – quattro di Vailati e due di Schiaparelli – e copre un intervallo di tempo breve: il primo documento, un biglietto da visita di Vailati fittamente scritto, è del 26 giugno 1897 el’ultimo, una cartolina postale illustrata di Vailati da Siracusa, è datata 15 marzo 1900. Dunque neppure tre anni, anche se in realtà lo scambio epistolare tra i due iniziò sicuramente prima, come è evidente da alcuni accenni presenti nel biblietto del giugno 1897, dove Vailati fa riferimento ad un opuscolo che in precedenza Schiaparelli gli aveva inviato e alla sua prolusione Sull’importanza delle ricerche relative alla storia delle scienzedi cui dice di aver inviato all’astronomo una copia nel febbraio del 1897. Ugualmente è probabile che lo scambio epistolare continuasse anche dopo ilmarzo del 1900, anche se non abbiamo alcun elemento a sostegno di questa ipotesi che comunque risulta meno fondata dal momento che, dopo la dipartita da Torino, Vailati si occupò in modo meno continuo di storia della meccanica, che è il principale argomento di questo epistolario. In effetti il periodo coperto da questo epistolario concide quasi perfettamente con quello durante il quale Vailati tenne all’Università di Torino, grazie all’appoggio di Vito Volterra, un corso di Storia della Meccanica. Insiemeagli storici della scienza e filologi di area tedesca, come Wohlwill, Heiberg e Eneström, dei quali abbiamo pubblicato i carteggi con Vailati nel numero

da sole sei missive

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precedente dell’ “Annuario”, Schiaparelli – per le sue ampie e profondeconoscenze relative alla storia dell’astronomia e della meccanica – è un riferimento importante per il giovane storico della meccanica che, nel panorama italiano, sta cercando di inoltrarsi in un campo, quello delle ricerche sulla meccanica antica e pre-galileiana, assai poco esplorato ed ha la necessità di confrontarsi con studiosi di sicura competenza scientifica.L’anziano astronomo e direttore dell’osservatorio di Brera mostrò diapprezzare il metodo seguito nella ricerca e gli sforzi di Vailati, oltreché condividere le sue idee in merito alla natura e al ruolo della storia della scienza che emergono dalla prolusione Sull’importanza delle ricerche relative alla storia delle scienze. In più occasioni, come mostrano le lettere qui pubblicate, lo aiutò concretamente suggerendogli preziose indicazioni erudite, che di fatto saranno utilizzate da Vailati nelle sue ricerche storiche In particolare in quella dedicata alle Speculazioni di Giovanni Benedetti sul moto dei gravi, dove ricorda esplicitamente le indicazioni avute da Schiaparelli.

Preziosi suggerimenti verranno forniti da Schiaparelli allo studiosocremasco anche in merito ad un altro campo d’indagine seguito in quegli anni da Vailati. Mi riferisco agli studi sui vari modi di classificare le scienzecondotti da Vailati e concretizzatisi in una recensione, apparsa nel numero di luglio del 1899 «Rivista italiana di sociologia», ad un libro di Camillo Trivero dedicato a questo argomento – libro suggerito da Schiaparelli a Vailati –, in una seconda recensione dedicata allo scritto del matematico francese Joseph Pierre Durand Aperçus de taxinomie générale, pubblicata nella «Rivista di scienze biologiche» all’inizio del 1900, e, infine, nella interessante memoria letta da Vailati al congresso internazionale di filosofia svoltosi a Parigi nell’estate del 1900. Questa memoria, che può essere considerata come uno dei primi scritti pragmatisti di Vailati, avrebbe dovuto costituire, come si ricava dalla lettera del 4 agosto 1899 di Vailati a Schiaparelli, la quarta delle sue prolusioni al corso di storia della meccanica. Corso che tuttavia non si terrà nell’anno accademico 1899-1900 perché Vailati deciderà di accettare il ruolo di docente di matematica al liceo diSiracusa, terminando così, abbastanza bruscamente e in modo forse non previsto dallo stesso Vailati, il suo quasi ventennale rapporto – prima comestudente, poi come assitente – con l’università di Torino.

Sempre in riferimento ai comuni interessi dei due corrispondenti per la storia delle scienze merita infine di essere ricordato l’invito di Schiaparelli a Vailati di partecipare alla vita dell’Associazione Italiana di Cultura Classica che aveva iniziato a pubblicare la rivista «Atene e Roma». Vailati accoglierà l’invito augurandosi che, attraverso questa nuova associazione, si possa creare uno scambio profittevole, anche in Italia, tra i filologi e gli storici della scienze: «Mi sembra di buon auspicio – scrive – per lo sviluppo della cultura italiana, il sorgere di questa Società nella quale quelli tra gli studiosi di Scienze fisiche e matematiche che sono compresi

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dell’importanza delle ricerche storiche, danno la mano a quelli tra i filologi e gli eruditi che concepiscono lo studio delle parole, non come uno scopo a se stesso, ma come una preparazione indispensabile per lo studio dello sviluppo delle idee. La cooperazione tra gli uni e gli altri sarà tanto vantaggiosa come quella di cui parla la favola del cieco che prende in spalla uno zoppo».

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Le missive qui pubblicate sono tutte conservate nell’Archivio Storico dell’Osservatorio di Brera di Milano. Di queste, due, la lettera di Vailati a Schiaparelli del 4 agosto 1899 e la minuta della risposta di Schiaparelli, datata 11 agosto 1899, sono già state edite, a cura di MariaPaola Negri, in appendice allo studio della stessa La storia delle scienzenelle ricerche di Giovanni Vailati, in M. DE ZAN (a cura di), I Mondi di carta di Giovanni Vailati Angeli, Milano 2000, pp. 221-222. Il confronto con gli originali ci ha permesso di correggere alcune imprecisioni presenti in quell’edizione. Nella trascrizione si è cercato di rimanere fedeli ai testi originali. Gli unici interventi di un qualche rilievo, segnalati con parentesi quadre, si riferiscono alle due minute di lettere dello Schiaparelli dove spesso vi sono abbreviazioni non segnate, ma che si è reso necessario sciogliere per rendere comprensibile al lettore il testo. A questo proposito devo ringraziare la responsabile dell’Archivio, la dottoressa Agnese Mandrino per il prezioso aiuto prestato nella interpretazione di passaggi di difficile comprensione in queste due minute. Le parole e le espressioni sottolineate nei testi sono rese in carattere corsivo. Si ringrazia l’Archivio Storico dell’Osservatorio di Brera per aver permesso l’edizione di questi documenti.

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il testo al lettore.

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IL CARTEGGIO VAILATI- SCHIAPARELLI

I G. Vailati a V. G. Schiaparelli

26. 6. 18971

Crema 26 Giu. 97 On.le Professore Sono in dovere di ringraziarla per l’invio del Suo opuscolo sul Pianeta Marte2 e colgo volentieri l’occasione così offertami di esternare la mia sincera stima e ammirazione. Come avrà visto dalla breve memoria che le spedii “Sul concetto di centrodi gravità in Archimede”3 e dalla prolusione che le inviai lo scorso Febbraio, io mi occupo di studi sulla storia della meccanica. Fra qualche settimana mipermetterò pure di inviarle un mio secondo lavoro sulla Statica dei Greci (Il principio dei lavori virtuali da Aristotele ad Erone d’Alessandria)4 che è ora in corso di stampa, pu-//re negli atti dell’Accademia di Torino. In essa ho avuto occasione di alludere al di lei splendido lavoro sulle sfere omocentriche di Eudosso.5 Quest’anno nel mio corso non ho potuto occuparmi che dei Greci. L’anno venturo conterei cominciare con Leonardo da Vinci. Rimandandole i miei più sentiti ringraziamenti ho l’onore di dirmi

1 Biglietto da visita intestato: “Ing. Dott. Giovanni Vailati – Docente di Storia della Meccanica presso l’Università – Torino”, autografo conservato in Archivio Storico dell’Osservatorio di Brera, d’ora innanzi ASOB, - Corrispondenza Scientifica, cart. 169.2 Probabilmente si riferisce all’articolo di G. SCHIAPARELLI, Il pianeta Marte, «Natura edArte», febbraio 1893, di cui si conserva copia con dedica dell’autore nell’Archivio Vailati. 3 La memoria Del concetto di centro di gravità nella statica di Archimede fu letta durante l’adunanza del 9 maggio 1897 e pubblicata negli «Atti della Regia Accademia delle Scienze di Torino», vol. XXXII e quindi in G. VAILATI, Scritti, J.A. Barth-B. Seeber, Leipzig-Firenze 1911, pp. 79-90. 4 Si riferisce alla memoria Il principio dei lavori virtuali da Aritotele a Erone d’Alessandria, letta nell’adunanza del 13 giungo 1897 e pubblicata in «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», vol. XXXII, e quindi in G. VAILATI, Scritti, cit., pp.91-106. 5 G. V. SCHIAPARELLI, Le sfere omocentriche di Eudosso, di Callippo e di Aristotele, Milano, Hoepli 1875.

110 MAURO DE ZAN

Hoepli Milano 1875.

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Suo Dev.moG. Vailati

II V. G. Schiaparelli a G. Vailati

14. 2. 18986

Prof. Gio. Vailati Crema Milano 14 Feb. 1898

La ringrazio vivamente dei suoi due opuscoli ch’Ella mi ha favorito e di altri che in passato ebbi in dono. Mi fa grandissimo piacere il vedere ch’Ellaè dei pochi nostri, i quali si curino alquanto della Storia delle matematiche. Quanto alla Storia della meccanica, essa è ancora molto oscura, e certamente dalle sue ricerche potrà guadagnar molta luce. Mi sono imbattuto ultimamente in due passi concernenti Ipparco, che 7 non so se siano mai stati studiati8 come meritano; sui quali pertanto vorrei [ri]chiam[are] la Sua attenzione9. Il primo si riferisce appunto all’algoritmo della Logica: e trovasi ripetuto due volte negli opuscoli di Plutarco, cioè nelle Quaestiones conviviales Libro VIII quest. 9; e De Stoicorum repugnantiis cap. 29. Crisippo aveva detto che con dieci elementi logici si può fare più di un milione di combinazioni: Ipparco ha fatto il calcolo rigoroso e ne trova 103049 positive e 310952 negative (i numeri non sono sicuri e differiscono nei due luoghi).10 Ecco un caso che mi pare degno di essere studiato e forse Ella s[arà] in grado di farlo; io no certamente. L’altro fatto riguardante Ipparco è che quest’uomo straordinario aveva giàfatto un buon principio nell’analisi del moto dei gravi cadenti per la linea verticale: e si trova presso Simplicio11 al libro I de Coelo, Commentario 85

6 Minuta di lettera su un unico foglio conservata in ASOB- Corrispondenza Scientifica, Cart. 171. 7 Seguono cancellature. 8 Tra mai stati e studiati si legge la parola indagati cancellata. 9 La frase sui quali ecc. sostituisce in interlinea alcune parole cancellate. 10 Si veda in CHRYSIPPE, Oeuvre Philosophique, tome I, textes traduits et commentés par Richard Dufour, Les Belles Lettres, Paris 2004, p. 270, il frammento 203, dove è riportatoun passo tratto dalle Contraddizioni degli Stoicidi Plutarco (cap. 29, 1047 C10-E2). Diquesto astruso calcolo logico Plutarco tratta anche nel cap. VIII, 9, 732 delle Quaestiones Conviviales. Non pare che Vailati abbia accolto il suggerimento di Schiaparelli dioccuparsi di questo complicato calcolo di logica proposizionale. 11 Cancellato: de Coelo.

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(cito la vecchia edizione latina del 1544,12 avendo il mio esemplare presso il legatore):13 mi sembra che questo passo e la confutazione che vi fa Alessandro [nome incomprensibile] meriterebbero di essere studiati, e nessuno lo può fare meglio di lei. Il prof. Vitelli di Firenze ha fondato un Società per14 classi[co] e mi ha nomi[nato] suo apostolo. In tale qualità mi fece credito di inviarle il 1° fasci[colo] della rivista Atene e Roma15

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III G. Vailati a V. G. Schiaparelli

19. 2. 189816

Crema 19 Febbr. 98

Chiarissimo Professore,

Ho ricevuta a Torino, proprio alla vigilia di assentarmi di là, la lettera di cui Ella mi ha voluto benevolmente onorare, e la ringrazio dicuore, oltreché dei cortesi incoraggiamenti che essa mi da, anche delle due notizie relative a Ipparco ambedue sommamente interessanti e riferentesi aquestioni che rientrano nel campo dei miei studi più favoriti. Mi sono affrettato a riscontrare i due passi di Plutarco e sebbene non sia ancora riuscito a veder bene e con precisione quali siano le “combinazioni di dieci proposizioni” alle quali in essi si allude non dispero di arrivare, con ulteriori ricerche in proposito, a qualche conclusione storicamente importante.

12 SIMPLICIUS, Commentaria in quatuor libros De Coelo Aristotelis. Nouiter fere de integrointerpretatat, ac cum fidissimis codicibus Graecis recens collata, Venetiis, apudHieronymum Scotium, 1544. Ipparco viene citato da Simplicio nel Commentarius 86 e non85 come indicato da Schiaparelli. Cfr. ed. cit. a p. 57. Vailati darà rilievo alle riflessioni diIpparco sulla caduta dei gravi nella memoria Le speculazioni di Giovanni Benedetti sul moto dei gravi, ricordando in nota che l’importanza di questi passi di Ipparco riportati daSimplicio gli fu segnalata da Schiaparelli: Vedi G. VAILATI, Scritti, cit., pp. 175 e 176.13 Segue intera riga cancellata e non comprensibile. 14 Seguono due parole incomprensibili. 15 La parte conclusiva del periodo non è comprensibile. 16 Lettera autografa su 5 facciate conservata in ASOB- Fondo Corrispondenza Scientifica, Cart. 171.

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Dell’altro passo, di Simplicio, relativo a un opera perduta di Ipparco “Sui gravi cadenti” avevo// già avuto notizia da una citazione del Wohlwill (Die Entdeckung des Beharrungs-Gesetzes nelle Zeitschrift für Völkerpsychologie und Sprachwissenschaft 1884 pg. 384) al quale esso fu segnalato dal Dr. Gustav Heylbut. Esso era noto a Galileo il quale però, a quanto riporta il Wohlwill, dice di aver avuto la stessa idea che si trova ivi enunciata (cioè che l’accrescimento di velocità dei gravi cadenti derivi dalgraduale esaurirsi della spinta in su, corrispondente alla reazionedell’appoggio) due mesi prima di aver cognizione del passo di Simplicio. É da notare che quest’idea non è stata abbandonata da Galileo che assai tardi e con gran pena, e che egli mantenne la plausibilità di questa spiegazione del moto accelerato dei gravi anche dopo la sua scoperta della legge della loro caduta, legge che egli considerava non tanto come atta a spiegare quanto piuttosto come atta a descrivere// il modo di comportarsi dei gravi cadenti. Ciò è tanto più strano in quantoché un tentativo di spiegazione basato invece sul concetto d’inerzia e di successive accumulazioni di velocità dovute al continuo agire del peso, si trova già negli scritti di Giovanni Benedetti (Diversarum speculationum mathem. et physic. Liber [1585 Taurini]17. Ivi dice fra le altre cose: motus dictus naturalis suam semper velocitatem adauget ob continuam18 impressionem quam recipit a causa conjucta cum ipso corpore. pg. 9519) Degli scritti di Benedetti ( e di Tartaglia) che si riferiscono al moto dei gravi cadenti o lanciati, sto ora appunto occupandomi, e spero potere fra un paio di mesi presentare un breve lavoro in proposito all’Accademia di Scienze di Torino.20// Ho ricevuto il Numero della Rivista Atene e Roma che Ella ha avuto la cortesia di inviarmi, e mi terrò onorato se Ella mi vorrà proporre comeSocio aggregato.21 Mi sembra di buon augurio, per lo sviluppo della cultura italiana, il sorgere di questa Società nella quale quelli tra gli studiosi di Scienze fisiche e matematiche che sono compresi dell’importanza delle ricerche storiche, danno la mano a quelli tra i filologi e gli eruditi che

17 G. BENEDETTI, Diversarum speculationum mathematicarum et physicarum liber, ApudHaeredem Nicolai Bevilaquae, Taurini 1585. Le parentesi quadre sono nel testo. 18 La parola continuam è sottolineata due volte. 19 Questa la citazione corretta del passo tratto da p. 195 – non 95 come erroneamente indicato nella lettera – dell'opera di Benedetti: motus rectus dictus naturalis suam semper velocitatem adauget ob continuam impressionem quam recipit a causa perpetuo conjuctacum ipso corpore…20 La memoria su Le speculazioni di Giovanni Benedetti sul moto dei gravi sarà letta durante l'adunanza del 27 marzo 1898 dell'Accademia delle Scienze di Torino e pubblicata nel vol. XXXIII degli atti accademici e quindi in G. VAILATI, Scritti, cit. , pp. 161-178. 21 La rivista «Atene e Roma», diretta dal latinista Girolamo Vitelli, aveva appena iniziatoad essere pubblicata a Firenze per conto dell'Associazione Italiana di Cultura Classica. Il nome di Vailati risulta nell’elenco dei “soci ordinari” pubblicato nel secondo fascicolo del1898, a p. 110

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concepiscono lo studio delle parole, non come uno scopo a se stesso, macome una preparazione indispensabile per lo studio dello sviluppo delle idee. La cooperazione tra gli uni e gli altri sarà tanto vantaggiosa comequella di cui parla la favola del cieco che prende in spalla uno zoppo. Mi permetto di spedirle una copia del mio opuscolo, Sul metodo deduttivo, della quale, se Ella lo crede conveniente, potrà fare dono a mio nomeall’Istituto Lombardo. Colla più profonda stima e ossequio Suo devotissimo

G. Vailati

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IV G. Vailati a V. G. Schiaparelli.

4. 8. 189922

Crema, 4 Agosto 1899

Chiarissimo professore, ho tardato a ringraziarla del cortese invio della sua recensionedel libro del dott. Cerulli,23 poiché speravo di avere occasione di farlo a viva voce passando da Milano nel mio ritorno da Pinerolo24 a Crema. Nonessendomi stato possibile devo rimettere ad altra volta l’ambito piacere di un breve colloquio con Lei. Quest’anno i miei studi sulla storia della meccanica hanno subito qualcheristagno a causa delle molte ore occupate nell’insegnamento onde non ho prodotto altro,// su questo soggetto, che quell’opuscoletto sulle “Questioni

22 Lettera autografa su 4 facciate, conservata in ASOB - Corrispondenza Scientifica, cart. 174. 23 Vincenzo Cerulli (1859-1927), astronomo, fondò l'Osservatorio privato di Collurania, a Teramo, dove condusse osservazioni su Marte ed elaborò la teoria ottica dei cnali di Marte. Della recensione di Schiaparelli – pubblicata nel periodico tedesco «Vierteljahrsschift der Astronomischen Gesellschaft» 34. Jahrgang (1899) – a V. CERULLI, Marte nel 1896-97. Pubblicazioni dell'Osservatorio privato di Collurania. N. I. Collurania 1898, è conservato un estratto con dedica autografa dell'autore a Vailati nell'Archivio Giovanni Vailati.24 Vailati insegnò matematica nel liceo di Pinerolo durante l'anno scolastico 1898-99sostituendo l'amico Alessandro Padoa.

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di parole nella storia delle scienze e della cultura” che le spedii lo scorsofebbraio. In questi mesi di vacanza conterei occuparmi a studiare le teorie idrostatiche e pneumatiche di Erone approfittando del fatto25 che ultimamente, comeElla sa, è uscito il primo volume d’una edizione critica delle sue opere, comprendente appunto gli studi su quell’argomento.26

Attendo anche ad un breve lavoro, che// probabilmente uscirà in Dicembre sotto forma di “prolusione”, sulla classificazione delle scienze e sui vantaggi e gli inconvenienti della divisione del lavoro nel campo degli studi.27 E’ unsoggetto che mi sembra interessante ed opportuno (anche in vista dei recenti studi nella Bibliografia internaz[ionale])28 e che mi darà anche occasione di svolgere alcune considerazioni, d’indole logica, sulle classificazioni in genere e la loro funzione nella ricerca e nella conservazione e trasmissione delle conoscenze. Ho letto recentemente una bellissima monografia del Durand ( de Gros): Aper-// çus de taxinomie générale (Alcon, ‘99).29 Più che farne una storia delle classificazioni ideali delle scienze30, escogitate dai filosofi (da Platone nel Sophista e nel Politicus fino a Comte e Spencer) vorrei occuparmi delle classificazioni reali che trovarono concreta attuazione nella distribuzione effettiva, professionale o didattica, delle conoscenze e delle ricerche dai Greci a noi. Mi premerebbe consultare il noto lavoro dell’Ampère,31 che spero di

rintracciare in qualche biblioteca di Milano. Qualunque sua indicazione, anche solo bibliografica, riguardante i suddetti argomenti mi sarebbe preziosa.

25 Segue cancellatura. 26 Vailati si riferisce al primo volume dell'edizione critica delle opere di Erone uscito quell'anno a cura di Wilhelm Schmidt: HERO ALEXANDRINUS, Pneumatica et automata : accedunt Heronis Fragmentum De horoscopiis aquariis, Philonis De ingeniis spiritualibus, Vitruvii Capita quaedam ad pneumatica pertinentia, Druck und Verlag von B. G. Teubner, Leipzig 1899. 27 Si riferisce allo scritto Des difficultés qui s'opposent à une Classification Rationelle des Sciences che fu la relazione letta da Vailati al congresso internazionale di filosfia svoltosi nell'estate del 1900 a Parigie pubblicata nella Bibliothèque du Congrés international dephilosophie, vol. III, «Logique et histoire des scieces», Colin, Paris 1901 e quindi in G.VAILATI, Scritti, Barth-Seeber, Leipzig-Firenze 1911, pp. 324-335. Il riferimento a questo scritto come ad una prolusione è interessante e conferma l'ipotesi avanzata da MarioQuaranta che Vailati aveva intenzione di proseguire anche nell'anno accademico 1899-1900 l'esperienza del corso di storia della meccanica all'Università di Torino. Cfr. M. QUARANTA, Introduzione a G. VAILATI, Gli strumenti della ragione, a cura di M. Quaranta, Il Poligrafo, Padova 2003, p. 33. 28 La frase tra parentesi è inserita in interlinea tra le parole opportuno e e che. 29 J.P. DURAND, Aperçus de taxinomie générale, Alcan, Paris 1899. Nel testo Vailati scrive: Aperçu de taxinomie generale. Vailati recensì quest’opera nel fascicolo di gennaio-febbraio 1900 della «Rivista di Scienze Biologiche», quindi in G. VAILATI, Scritti,cit., pp. 287-291.30 l’espressione delle scienze è inserita in interlinea tra le parole contigue. 31 A.M. AMPERE, Essai sur la philosophie des sciences, ou Exposition analytique d'une classification naturelle de toutes les connaissances humaines, Bachelier, Paris, 1834.

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Mi creda sempre con la più profonda stima, suo dev.mo

G. Vailati.

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V V. G. Schiaparelli a G. Vailati.

11.8.189932

Milano, 11 Agosto 1899

Chiarissimo Sig. Prof., Mille grazie della Sua cortese lettera e delle notizie che Ella mi dà dei suoi studi sulla storia della scienza e sulla filosofiascientifica. Ella, così giovane, ha già stampate orme non facilmente cancellabili in questo campo, e coll’autorità che mi danno i miei capelli canuti, Le dirò, che aspettiamo ancora molto da Lei. L’argomento della classificazione delle scienze non mi è molto familiare. Su di essa non conosco che33 qualche generalità relativa alla classificazione di Ampère (nelle Prefazioni della Fisica dei corpi ponderabili di Avogadro),34

di egli e delle altre si espone in un testo del Professor Camillo Trivero,intitolato appunto Classificazione delle Scienze e stampato questo stesso anno 1899 per i manuali Hoepli.35 Alle pagine 28-29 vi è una piccolabibliografia sull’argomento. Se non ha questo libro, me ne [scriva] che posso mandarle di [sic] un esemplare. Con la più viva stima, il suo

32 Minuta di lettera su un unico foglio, conservata in ASOB - Corrispondenza Scientifica, cart. 174. 33 Seguono diverse parole cancellate e non comprensibili. 34 Si riferisce a AMEDEO AVOGADRO, Fisica de' corpi ponderabili, ossia Trattato della costituzione generale de' corpi, Stamperia Reale, Torino, 1837-1841, in 4 voll. 35 C. TRIVERO, Classificazione delle scienze, Hoepli, Milano 1899. Vailati terrà conto del suggerimento di Schiaparelli: si procurerà il volume di cui si conserva copia, con dedica autografa dell’autore a Vailati, nella biblioteca dell' Archivio Giovanni Vailati e lo recensirà nella «Rivista Italiana di Sociologia», III, luglio 1899, quindi in G. VAILATI,Scritti, cit., pp. 149-150.

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devotissimo

VI G. Vailati a V. G. Schiaparelli

15.3.190036

Siracusa 15 III ‘00 Illustre Professore, Le sono doppiamente grato dello splendido dono della Sua nuova Memoria su Marte,37 il quale, oltre al pregio che ha per se stesso, ha anche l’altro, per me non minore, di rammentarmi la sua benevolenza della quale ho ben ragione di tenermi sommamente onorato. Fui spiacentissimo lo scorso settembre38 di non averla potuta trovare a Milano dove fui ripetutamente a cercarla prima e dopo del mio viaggio a Berlino. Spero che sarò più fortunato al mio ritorno [parola incomprensibile] tra tre o quattro mesi. Sto leggendo l’”Archimedes in modern notation”dell’Heath.39

Mi creda con profonda stima, suo dev.moG. Vailati

36 Cartolina postale illustrata con fotografia del porto di Siracusa indirizzata a “Chiar.mo

Professor Giovanni V. Schiaparelli dell’Osservatorio Astronomico di Brera, Milano” ; originale conservato in ASOB, Corrispondenza Scientifica, cart. 175. 37 Con ogni probabilità si riferisce alla memoria Osservazioni astronomiche e fisiche sulla topografia e costituzione del pianeta Marte fatte nella Specola Reale di Brera in Milanocoll'equatoriale di Merz-Repsold (18 pollici) durante l'opposizione del 1888, pubblicata in «Memorie della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della Reale Accademia dei Lincei», 1899, vol. III, pp*******38 Scritto in sostituzione di ottobre, cancellato. 39 Works of Archimedes, edited in modern notation, with introductory chapters, by T.L.Heath, Cambridge, University Press, 1897. Una copia di quest’opera è conservata nallabiblioteca dell’Archivio Vailati in Biblioteca del Dipartimento di Filosofia dell’Universitàdegli Studi di Milano.

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pp. 187-298.

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RECENSIONI

AA. VV. GIOVANNI VAILATI INTELLETTUALE EUROPEO, A CURA DI FABIO MINAZZI, THÈLEMA EDIZIONI, MILANO 2006, PP. 191, €20,00

“Giovanni Vailati intellettuale europeo” è il titolo degli Atti del Convegno di Spongano (Lecce, 12 aprile 2003), pubblicati nella Collana I poliedri della ragione per le Edizioni Thélema, 2006. Curato da Fabio Minazzi, ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università degli Studi di Lecce e direttore della Collana stessa, il testo è diviso in quattro sezioni dedicate rispettivamente a “Vailati epistemologo e storico delle scienze”,“Vailati e la cultura italiana”, “Vailati e la psicologia” e “Vailati e il problema della scuola”. In Appendice un Carteggio inedito di Giovanni Vailati con Vito Volterra, frutto dell’indagine appassionata dello studioso Mario Quaranta. Gli autori, oltre ai due già citati, sono Dario Antiseri, Franco Baldini, Luigino Binanti, Mario Castellana, Salvo D’Agostino, Mauro De Zan, Ivan Ottolini, Arcangelo Rossi, Antonio Quarta e Gabriella Sava.

La ricchezza dei contributi raccolti nell’opera rende problematico in questa sede un esame analitico di ciascuno scritto. Mi soffermerò dunque su alcuni aspetti a mio parere emblematici che si possono riassumere nei seguenti punti:

- lo strano caso dell’anomalia della cultura italiana; - cultura scientifica e cultura umanistica; - insegnare Vailati e insegnare secondo Vailati.

Lo strano caso dell’anomalia della cultura italiana. Poche espressioni, con riferimento a Vailati, hanno avuto fortuna più di

quella utilizzata da Eugenio Garin: lo “strano caso” di Giovanni Vailati nella storia della cultura filosofica italiana. Evidentemente l’assonanza con

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espressioni note conferisce a quelle nuove una familiarità che le imprimenella memoria in modo persistente. Ma Vailati non è Jekyll: se mai è la cultura italiana del primo Novecento ad essere anomala, come già notavanel 1960 Giulio Preti, in uno scritto pubblicato per la prima volta da Minazzi nel 1994. Vi si legge che l’Italia è “un paese ignorante, economicamente arretrato, moralmente e culturalmente vecchio, topograficamente (e spiritualmente) marginale, provinciale”. E’ in questo contesto che va letta la singolarità della figura e dell’opera di Vailati, ossia di un intellettuale che, recuperando una forte tradizione settecentesca, sia pure minoritaria, si fa espressione di un’Italia europea moderna e progressista e ricomincia a discorrere con un’intelligenza straniera di scienziati e filosofi delle più disparate correnti di pensiero. Solo un dubbio: Preti ascrive al Sud l’Italia fascista, “legata alle ideologie reazionarie dell’idealismo e del cattolicesimo” e al Nord quella europea di ispirazione illuministico-settecentesca. Verrebbe da chiedersi quanto oggi ci sia ancora di vero in questa semplificazione, del cui carattere approssimativo e ingiusto, peraltro, mostra di essere consapevole lo stesso Preti.

Nell’ottica di questo ribaltamento che colloca l’anomalia nel provincialismo della cultura italiana, anziché nella presunta stranezza di Vailati, viene rimesso a fuoco il punto di vista ermeneutico del testo, secondo cui non è privo di significato il fatto che nel 1929 il nome del filosofo e matematico cremasco compaia nel manifesto del neopositivismo viennese di Hahn, Neurath e Carnap come uno dei “maggiori”, in compagnia, tra gli altri, di autori del calibro di Mach, Poincaré, Einstein,Russell, Peano, Wittgenstein o Whitehead.

Il più grave limite individuato nella cultura italiana è di concepire la formazione filosofica come sostanzialmente o esclusivamente umanistica,facendone per ciò stesso una formazione “assai claudicante e decisamente dimidiata” (Minazzi). Al contrario, filosofia e scienze non possono che collaborare con reciproco vantaggio, sia sul piano metodologico che concettuale. Ma purtroppo l’Italia, al tempo dell’egemonia positivistica, soffre di quella condizione paradossale già evidenziata da Garin, ossia scienziati indifferenti alla riflessione filosofica e filosofi che esaltano scienze di cui ignorano pressoché tutto. Il fatto che l’attenzione di Vailati per Mach, Duhem, Poincaré sia spesso selettivamente orientata a individuare ciò che in ciascuno di quegli autori può renderli interessanti “aquelli che si occupano degli sviluppi delle teorie pragmatiste” non sminuisce la portata di quell’interesse. Certo può comportare qualcheforzatura, come osserva Minazzi: ad esempio la polemica contro la distinzione di Poincaré fra procedimenti intuitivi e procedimenti logici impedisce a Vailati di “intendere pienamente la novità epistemologica diPoincaré”. Oppure la valorizzazione dell’olismo duhemiano (“occorre […] ammettere – argomenta Vailati con riferimento a Duhem – che una teoria, o insieme di ipotesi, possa avere un significato anche quando non se ne possa

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propriamente attribuire alcuno alle singole parti, o affermazioni, checoncorrono alla sua costituzione”) lo induce ad operare una riduzioneacritica del filosofo parigino all’orizzonte del pragmatismo, o ad avvicinarlo indebitamente a Mach, anch’egli “iscritto d’ufficio nelle file dei pragmatisti”(ancora Minazzi), dal momento che la sua concezione economica delle teorie scientifiche viene da Vailati assimilata a una letturastrumentalista. E tuttavia tali limiti, ancor più palesi nella percezione dellafilosofia kantiana e neokantiana di cui egli mette alla berlina l’influenzadeprimente sulla cultura europea del primo Novecento, non impediscono aVailati di svolgere un’indagine della ricerca scientifica paradossalmenteaffine a quella del criticismo, nella direzione di una “trasformazione del kantismo in una sorta di più elastico e duttile funzionalismo” (Dal Pra, 1984). Ma soprattutto non gli impediscono (anzi, staremmo per dire sono ciò che consente) a Vailati di sviluppare un pensiero capace di confrontarsi con il sapere scientifico moderno, laddove l’incipiente egemonia neoidealistica della cultura italiana non fa che rafforzare le già possenti barriere fra discipline umanistiche e discipline scientifiche.

Rispetto ai neoidealisti, Vailati sarebbe secondo Minazzi impacciato dal moderatismo aristocratico che lo induce a non optare, come alcuni suoi contemporanei, ad esempio Vacca, per una polemica frontale, ma piuttostoper una mediazione fra i differenti programmi, in grado di coinvolgere anche i più distanti avversari teorici. Tentativo puntualmente fallito, sia nei confronti di Gentile, che liquidò sprezzantemente il valore euristico delle ricerche vailatiane (“tutte le sue osservazioni […] son vuote d’ogni significato dal punto di vista delle moderne teorie del linguaggio”), sia nei confronti di Croce, che decretò la “nullità filosofica” della logica matematica. Peraltro la stessa strategia di mediazione viene abitualmente elogiata quando Vailati la esercita nei confronti di quei “ragazzacci” diPapini e Prezzolini. Sostanzialmente su questa linea anche il contributo di Luigino Binanti dedicato allo “strano rapporto” fra Vailati e Prezzolini.

Forse la filosofia neoidealista era destinata ad avere più presa di quella vailatiana perché meglio radicata proprio nell’anomalia della cultura italiana con il suo provincialismo e il suo vuoto accademismo. E non importa quanto poi lo stesso Croce avesse nei propri intenti programmatici un’emancipazione da quel provincialismo. Si tratterebbe di indagare a questo proposito quale sia stato lo “strano caso” di Benedetto Croce, che malgrado le intenzioni finì con l’essere rappresentativo di una cultura antiquata e italica nell’accezione peggiore.

Piuttosto, se Vailati avesse avuto la possibilità di continuare a svilupparequel tentativo di mediazione, chissà che non potessero emergere alcuni punti d’incontro con lo storicismo crociano, sul piano metodologico, e con il liberalismo laico e antifascista, sul piano etico-politico, contraddicendo ogni polemica profezia sul presunto carattere fascista dell’appello all’azione del pragmatismo vailatiano. Chissà che lo stesso Croce non potesse assaporare

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il gusto della distinzione fra il compito euristico degli scienziati relativamente ai mezzi per raggiungere fini che gli uomini si propongono, e i fini “in vista dei quali essi debbano agire e al cui conseguimento debbano dirigere i loro sforzi e i loro sacrifici”(Vailati). E magari sul terreno dell’impegno etico gli italici neoidealisti non avrebbero disdegnato ditrovarsi a combattere fianco a fianco con gli ammiratori di Locke e dell’empirismo inglese nella comune lotta per la libertà.

Una cosa è certa: il coro di reciproche accuse sia fra gli ex amici neoidealisti Croce e Gentile, sia fra questi e critici caustici come Vacca nongiovò alla cultura italiana. L’aristocratica moderazione di Vailati era invece destinata a produrre frutti più tardi, quando le discipline scientifiche si presero la rivincita sull’ubriacatura umanistica e sulla vaneggiante pretesa di ogni specie di verità assoluta.

Cultura scientifica e cultura umanistica. Dopo che lo stesso Croce fu scomparso dalla scena, toccò a pensatori

come Abbagnano, Geymonat, Bobbio, Preti riprendere la vailatiana fatica di Sisifo di far uscire la cultura italiana dall’isolamento, ristabilendo il dialogo fra filosofia e scienze momentaneamente compromesso dal neoidealismo.

Abbagnano, in particolare, in un convegno del 1953 auspicava “una connessione articolata” fra filosofia e scienze “capace di sgombrare la filosofia da problemi e concezioni derivanti da fasi arretrate della ricerca scientifica, e capace di dare un contributo positivo alla critica e al rinnovamento delle strutture di fondo delle scienze” (A. Quarta). Quanto poi in quel programma ci fosse di liberatorio nei confronti di una sorta di esilio troppo a lungo subito, è lo stesso Abbagnano a spiegarlo in Ricordi di un filosofo, là dove racconta come, camminando per le strade della sua Salerno o di Napoli, non ci si imbattesse mai “nello Spirito Assoluto che avanza nella Storia attraverso la sua dialettica fatta di tesi, antitesi, sintesi”, mapiuttosto in uomini concreti impegnati in un rapporto con la natura e altri uomini a lavorare, amare, lottare per l’esistenza.

Anche Remo Cantoni consentiva: “il divorzio della filosofia dalla scienza è la morte della filosofia e forse anche della stessa scienza”. Troppo nota la vicenda intellettuale di Ludovico Geymonat per soffermarvisi. Dal Pra, Garin, Rossi-Landi riconoscevano che la via imboccata da Vailati era stata tra le più fruttuose, contribuendo alla formazione di un’attitudine analitica e positiva, sobria ed efficace, contro ogni tendenza ontologizzantedelle teorie e delle scoperte scientifiche.

Un esempio in questa direzione viene offerto dall’intervento di Gabriella Sava: l’attenzione di Vailati per la psicologia del primo Novecento assume un valore emblematico dell’atteggiamento di cauta apertura verso discipline che stanno affermandosi come scienze autonome, emancipandosi da una bimillenaria dipendenza dalla matrice filosofica e metafisica. Le due tendenze fondamentali che si fronteggiavano erano quella fisiologica e

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parapositivistica dei “fanatici degli esperimenti, disprezzatori di ogni fatto che non si possa descrivere in termini di peso, numero e misura”, e quella dei “filosofi idealisti”, interessati alle grandi questioni su soggetto e oggetto, immanenza e trascendenza, enigmi dell’universo e via dicendo. A queste scuole contrapposte, che con una terminologia più recente potremmo grosso modo ricondurre rispettivamente alla psicometria e alla psicologia umanistica, Vailati preferisce una ricerca capace di avvalersi di più metodi, secondo un’istanza di pluralismo sempre affermata e sempre ottemperata. Una psicologia naturalmente di ispirazione pragmatistica – questa volta nonalla Peirce, bensì alla James – in cui viene integrata la classificazione brentaniana degli stati di coscienza nelle tre categorie di rappresentazioni,aspettazioni o previsioni e volizioni. In particolare, a Brentano Vailatiattribuisce il merito di “aver insistito sull’assoluta diversità ed eterogeneitàdegli atti con i quali si accetta o si rifiuta una data opinione o credenza e di quelli con i quali si dichiara il modo di valutare determinati fini e la loro diversa importanza o desiderabilità” (Sava): il solito canone metodologico vailatiano costantemente applicato negli studi sul linguaggio e qui utilizzatoper esaltare il concetto di previsione, poiché “l’accertamento della verità delle affermazioni avviene sul piano della previsione, cioè sul piano della possibilità logica e non su quello dell’esperienza diretta, come sostenevanogli empiristi e i positivisti” (Sava).

Grazie a questa impostazione Vailati si colloca su di un terreno ben lontano dal disprezzo dei neoidealisti verso le scienze umane (psicologia esociologia in primis), ma più maturo dell’indecisione comtiana, riduzionista e oscillante fra il ricondurre la psicologia alla fisiologia o alla sociologia, che valse alla psicologia l’esclusione dall’enciclopedia delle scienze. Alcontrario, Vailati attribuisce alla psicologia un ruolo autonomo fra le scienze umane, e precisamente “in vista di una concezione unitaria del conoscere che metta in stretta relazione sapere scientifico e sapere filosofico” (ancoraSava). E’ pur vero che l’indirizzo da lui promosso non diede luogo ad una psicologia pragmatista, che del resto, malgrado James, non si affermò neppure negli Stati Uniti, ma ciò che più conta è in questo caso il discorso metodologico specifico di cui si è detto e anche quello generale. Intendo riferirmi al criterio di prudente epoché nei confronti di esperienze parapsicologiche come la telepatia, verso cui Vailati non chiude aprioristicamente, ma lascia aperta una possibilità di spiegazione futura sulla base di nuove indagini ed eventuali scoperte. Sarebbe grave, invero, precludere per principio la possibilità di estendere verso ambiti impensati la nozione di esperienza, solo a causa della nostra attuale incapacità dispiegazione di determinate categorie di fatti.

Un discorso simile si potrebbe sviluppare rispetto alla sociologia, se consideriamo il previsionismo sociologico di Limentani. Con l’abituale eleganza, Quaranta illustra analogie e differenze fra previsione sociologica e previsione fisica, motivando nel contempo il rilievo particolare attribuito da

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Vailati al pensiero di Limentani. Ovvio che in questo caso non si tratta di mediare fra Comte e Croce, bensì di individuare una posizione in un certo senso in continuità con quella comtiana, che sappia porsi fra due estremi“rappresentati, rispettivamente, da Benedetto Croce, integralmente anti-previsionista, e dai pragmatisti, che identificano la conoscenza con la previsione” (Quaranta). Anche in questo contesto viene confermata una sostanziale unità metodologica fra scienze naturali e scienze umane.

L’aspetto più noto della lotta vailatiana intesa a riportare le due culturead unità resta comunque quello dell’approccio storico alle conoscenze scientifiche. Si vedano le considerazioni che lo stesso Quaranta svolge in un altro testo dedicato a Giovanni Vailati, Gli strumenti della ragione (2003), in particolare “La storia della scienza come scienza” (pagg. 19 – 26). Né mancano gli approfondimenti su questo tema negli Atti del Convegno di Spongano: segnaliamo i contributi di Arcangelo Rossi “Giovanni Vailati storico e filosofo delle scienze”, Mario Castellana “Epistemologia e storia in Giovanni Vailati e Gaston Milhaud”, e Salvo D’Agostino “Giovanni Vailati storico della scienza”. Decisamente nuovo è il taglio del saggio di Franco Baldini e Ivan Ottolini, che si cimentano con successo nell’applicare alla psicanalisi la regola della Consequentia Mirabilis enunciata nell’ambito logico-matematico da Saccheri (“la caratteristica primaria di ogni verità fondamentale [è] che partendo dalla sua negazione assunta come vera, mediante una forma di splendida redarguizione, essa possa essere alla finericondotta a se stessa”) e riscoperta da Vailati, il quale la accostaall’argumentum ad hominem della retorica (“non è un’opinione qualunque dell’avversario quella che si assume per dimostrare la propria, maprecisamente quella che si vuole combattere e che è il contrario della propria”). La fecondità di tale modulo procedurale nella cura analitica consiste nel valore aggiunto della forza argomentativa da esso fornita alla usuale e disarmata scoperta dei pensieri rimossi che procurano al paziente il malessere nevrotico. In altri termini, la suggestione aggiunta alla verità contribuisce al consolidamento del miglioramento delle condizioni sintomatiche. Conclusione forse intuitivamente prevedibile, ma che ricavauna più vigorosa consistenza probatoria dai rigorosi ragionamenti inferenziali svolti dagli autori avvalendosi della consequentia mirabilis.

Il metodo utilizzato nel saggio di Baldini e Ottolini ci pare possa essere proficuamente esteso allo studio dei più svariati contesti disciplinari, ad esempio quello giuridico. E’ ancora tutto da indagare il vantaggio che potrebbe derivare a queste indagini dalle delucidazioni vailatiane. Cipermettiamo di suggerire questo possibile percorso al team di studiosi che da anni pubblicano i risultati delle proprie ricerche nella collana di Epistemologia giudiziaria diretta da Giulio Ubertis. Alcuni titoli valgano come esempio del taglio euristico prediletto da quel team: “Introduzione alla filosofia dell’induzione e della probabilità” (L.J. Cohen, 1998), “L’inferenza

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probabilistica nel diritto delle prove. Usi e limiti del bayesanesimo” (a curadi P. Tillers e E.D. Green, 2003) e “Il concetto di prova alla luce dell’intelligenza artificiale” (a cura di J. Sallantin e J.-J. Szczeciniarz, 2005). Se il percorso si rivelasse praticabile, l’opera di Giovanni Vailati avrebbe offerto l’ennesimo contributo al progressivo ricongiungimento delle dueculture umanistica e scientifica, in un campo, come quello del diritto, tradizionalmente considerato più vicino alla prima che alla seconda.

Insegnare Vailati e insegnare secondo Vailati.Un’altra espressione che incontra spesso il favore degli studiosi di

Vailati è l’attualità del suo pensiero, che si precisa in attualità inattualequando il discorso si concentra su problematiche pedagogico-scolastiche: un’espressione pronunciata con un tono a metà strada fra lo stupore perl’acume rivelato dal filosofo cremasco e la delusione di chi vede la scuola italiana procedere oggi in tutt’altra direzione.

In estrema sintesi, le idee di Vailati sull’argomento si possonoriassumere nei seguenti punti: 1. riorganizzazione dei programmi di insegnamento scientifico, con

adozione di un metodo storico-euristico e genetico che integri lafunzione pedagogica dell’errore, specie in matematica e fisica;

2. solidarietà fra i due rami dell’insegnamento letterario e scientifico; 3. l’istruzione come piccola parte dell’educazione, ossia educazione

dell’intelletto, a cui fa riscontro l’educazione della volontà e dei sentimenti. Dunque, no al nozionismo e sì allo sviluppo armonico delle facoltà intellettuali;

4. valorizzazione dell’interesse degli alunni come prerequisito imprescindibile della buona riuscita dell’insegnamento;

5. no alla scuola dell’indottrinamento verbale (oggi si direbbe la “scuola auditorium”), sì alla scuola dell’allenamento (la “scuola laboratorium”), dove all’allievo è dato il mezzo per addestrarsi sottola guida e il consiglio dell’insegnante e dove egli può sperimentare e risolvere questioni, misurare, misurarsi e “mettersi alla prova di fronte ad ostacoli e difficoltà atte a provocare la sua sagacia e a coltivare lasua iniziativa” (Vailati);

6. studio di più lingue straniere e abbandono dello studio meramentefilologico del latino, a favore dello storia della lingua e del latino comestrumento per la comprensione dei classici;

7. lo studio della filosofia potrebbe limitarsi all’ultimo anno dei licei (rispetto a quest’ultimo punto, Vailati pensa forse di disgiungere la filosofia dalla storia della filosofia e di tradurne l’insegnamento in teoria dell’argomentazione e correttivo dello specialismo scientifico).

Come si può notare, le indicazioni vailatiane, formulate in pieno clima attivistico, non si riducono a un’assunzione acritica dei principi fondamentali delle scuole nuove, come l’accento posto sull’interesse

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dell’alunno e sull’opportunità di introdurre metodi attivi e laboratoriali, ma anzi anticipano per più aspetti alcune tesi postattiviste, ad esempio del cognitivismo e dello strutturalismo bruneriano. Quanto mai pertinente è infatti il richiamo a Bruner di Salvo D’Agostino a proposito del metodo diinsegnamento delle scienze proposto da Vailati, secondo cui è controproducente iniziare le lezioni con formule e formalismi o con la fissità di leggi presentate come immutabili. Anche le considerazioni sulla connessione, nell’insegnamento, fra aritmetica e geometria, o l’antinozionismo a favore di un metodo che insegni a distinguere i fatti e applicare i concetti, o ancora l’insegnare per problemi e lo sviluppo della capacità di raziocinio e invenzione, non possono non far pensare ad alcuni temi della pedagogia bruneriana: ad esempio il rispetto per la fase di sviluppo della mente infantile, che esige di rivolgersi agli alunni con un linguaggio adeguato all’età, oppure il metodo del problem solving, o l’invito rivolto ai docenti a coltivare il pensiero intuitivo, accanto a quello analitico, dei propri studenti. Per non dire della stessa esigenza diammodernamento dei programmi scolastici, specialmente quelli delle discipline scientifiche, così da favorire, grazie allo studio della struttura delle materie, il duplice transfert “dell’addestramento” e “dei principi e delle attitudini”.

Dario Antiseri in “Motivi di attualità delle concezioni pedagogico-didattiche di Giovanni Vailati” analizza ciascuna di tali concezioni, soffermandosi in particolare sulla recensione vailatiana a La Mathématique: philosophie, enseignement di C. Laisant. Ne emerge ilprogetto di una scuola “come centro di ricerca”, che “cattura i problemidegli allievi” e mette a loro disposizione i mezzi per imparare da sé.

Ancor più esplicito è l’invito rivolto da Mauro De Zan a prendere coscienza del vero problema della scuola odierna, che è quello di trasformare lo studente da “spettatore passivo che assiste con noia crescente giorno dopo giorno a letture-conferenze” a “protagonista che si pone domande e a scuola trova l’ambiente, le persone e gli strumenti con cui può con passione proseguire la sua ricerca”. Fra i testi che possono contribuire alla realizzazione di questa benefica metamorfosi vanno annoverati, ovviamente, anche quelli di Giovanni Vailati. E qui De Zan smentisce l’affermazione di Quaranta secondo cui, per lo meno su alcuni scritti di Vailati, “si è già detto quasi tutto”. Sulla scorta delle Lezioni americane di Calvino, De Zan indica infatti “qualche valida ragione per leggere Vailati a scuola”. Si tratta di un’impostazione originale, capace di far emergere nuovi pregi dello stile vailatiano: brevità, chiarezza espositiva, uso frequente di efficaci esempi esplicativi, rispetto della complessità e problematicità. Quali contenuti privilegiare fra gli innumerevoli affrontati dal filosofo cremasco diventa un problema in qualche modo secondario, ma De Zan non si astiene dall’ipotizzare una scelta ragionata: gli scritti dedicati alle riflessioni sul linguaggio e ai modi

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della conoscenza, con le precise indicazioni “su come si deve ben argomentare e su come, anche e forse soprattutto, si può evitare di male argomentare”. Opzione, quest’ultima, che ricorda il metodo seguito daUmberto Eco nel corso di Comunicazione dell’Università di Bologna: “alcuni esercizi consistevano anche nel provarsi a scrivere male, e cioè come non si deve – perché per capire come si deve occorre anche capire come non si deve”.

De Zan ha in mente un profilo alto di insegnante, capace di avviare inclasse una discussione interdisciplinare, di stimolare la curiosità degli alunni, di fornire “qualche idea ‘preziosa’ per chi, tra gli alunni, abbiainteresse ad approfondire temi particolari”. Ha in mente anche un profilo alto di studente, capace di recepire tutti quegli stimoli e rielaborarli autonomamente e criticamente. Ed è giusto che sia così, qualunque sia poi la dura lezione dei fatti di chi vive la scuola italiana del 2006. Per essere bravi insegnanti non bisogna mai rinunciare a credere nella possibilità diun dialogo proficuo, di un incontro culturale con chi non la pensa comenoi: ed è questo precisamente che Vailati ha sempre fatto.

(Patrizia de Capua)

MARIO CALDERONI, SCRITTI SUL PRAGMATISMO, A CURA DI ANTONINO DI GIOVANNI, CENTRO STAMPA COMUNE DI FERRARA,FERRARA 2005, PP. 170

Gli scritti calderoniani hanno scarsa diffusione. Oltre alla datata raccolta fiorentina del 1924, non è stata di recente avviata una minuziosa cernita che riunisca l’intero materiale calderoniano; attualmente vi è la tendenza ad introdurre i testi dell’autore ferrarese suddividendoli in aree tematiche determinate. Questa tendenza – certamente non deleteria!- è attuata in maniera eccellente in un interessante volume di Antonio Di Giovanni. Giovane studioso dell’Università di Catania, Di Giovanni indirizza la sua ricerca a soddisfare una domanda indilazionabile sulla riflessione culturale dell’autore ferrarese: “Quale il Pragmatismo di Mario Calderoni?”. Il curatore considera nove scritti idonei a raccontare l’intera concezione meta-filosofica dell’autore ferrarese; i brani raccolti sono di sicuro interesse. Prenderemo ora in considerazione struttura e contenuti della raccolta, ai fini di mettere in chiaro riferimenti culturali e documentali di tale concezione meta-filosofica. Va detto che all’inizio manca l’inserimento della tesi di laurea I Postulati della Scienza Positiva ed il Diritto Penale (1901). E’ vero che tale scritto non è marcatamente meta-filosofico o ricostruttivo; tuttavia rimane interessante documento d’esordio della narrazione culturale calderoniana tra teoria del diritto e inattese ascendenze bergsoniane.

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L’articolo Le varietà del Pragmatismo (1904) dischiude Calderoni alla riflessione sulle ascendenze americane del Pragmatismo italiano di Vailati; con questo articolo – come sottolinea il curatore- ha inizio un’estesa serie di errori ricostruttivi che condurrà l’autore ferrarese a “sassonizzare” Peirce,identificandolo come continuatore della tradizione sassone-scozzese di Berkeley, Locke e Hume. Con Le varietà del Pragmatismo Calderoni riferisce a Peirce – tra l’altro conosciuto nei limiti dei due articoli How to make Our Ideas Clear del 1878 e (successivamente) What Pragmatism isdel 1905- l’intero metodo di ricerca suo e di Vailati. Secondo articolo leonardiano introdotto è il centrale Variazioni sul Pragmatismo (1905). Con esso Calderoni introduce indirettamente due vitali distinzioni ricostruttive:quella tra redattori/collaboratori del Leonardo (e membri del Florence Pragmatist Club) in analitici e metafisici e quella tra modi d’essere del Pragmatismo in Pragmaticism di Peirce, Pragmatism del will to believejamesiano e strumentalismo della teoria della scienza continentale (Mach e convenzionalismo francese). Queste due distinzioni sono riferimenti irrinunciabili ad una corretta ricostruzione delle influenze culturali relative alla tradizione di ricerca vailatiana e calderoniana; benché resti incontrovertibile l’esistenza di una stretta relazione feedback – chesottoscrivo totalmente- con rimanenti leonardiani (Gian Falco e Giuliano) e Positivismi [pp. 35 e ss.], l’accostamento ad una linea ricostruttiva che – basandosi unicamente sull’oramai obsoleta dicotomia Peirce/James – trascuri ascendenze e incidenze decisive di Mach e del convenzionalismo francese (Poincaré; Boutroux; Duhem) sulla tradizione vailatiana e calderoniana rischia di mostrarsi estremamente riduttivo. Non è il caso delle ricerche del Di Giovanni che, nella Prefazione (scritta da Antonino Crimaldi) e nell’Introduzione, delineano con massima cura l’orizzonte filosofico italiano e mondiale di fine ottocento; sono tuttavia rinviati all’avvenire i necessari accenni alle intense e biunivoche relazioni della tradizione di ricerca vailatiana e calderoniana con neo-idealismo crociano ed attualista. Nel terzo articolo raccolto (Il senso dei non sensi del 1905) è ben visibile la rilevanza nella narrazione culturale calderoniana della nozione di analisi, che rende Calderoni e Vailati – insieme a Bolzano e Brentano – indiscussi antecedenti culturali dell’analitica novecentesca. E’necessariosottolineare come l’intuizione del curatore sulla indiscussa analiticità dei nostri due autori sia viva in rarissimi altri brani della dottrina italiana moderna, ma che oltre «[…]a Wittgenstein, a Moore, all’empirismo logico, all’operazionismo, agli analisti di Oxford, alle scuole di Berlino e diLeopoli-Varsavia […]» [p. 29] devono essere accostati indirettamente alla tradizione di ricerca vailatiana e calderoniana altri eminenti analitici come Russell, Quine, Davidson e Rorty e addirittura alcuni autori dell’ermeneutica (nozioni di Geworfenheit e Vorverstandnis) e della teoria critica (nozione di comunità di comunicanti) moderne come Heidegger, Gadamer, Habermas e Apel. Probabilmente l’introduzione nella raccolta

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dell’articolo Credenza e volontà. Intorno alla distinzione fra atti volontari ed involontari del 1905 sottende un lieve misunderstanding ricostruttivo;anziché nella serie di articoli meta-filosofici tale scritto dovrebbe essere incluso – insieme a La volontarietà degli atti e la sua importanza sociale e Definizione degli atti volontari- in una serie diversa (teoria del diritto?).E’ottima invece la decisione di inserire nella raccolta l’articolo LaPrevisione nella teoria della conoscenza [1907], indirizzato ad analizzare risvolti ed esiti scientifici della “norma” di Peirce. Questo articolo mette in chiaro senza eventualità d’errore l’ascendenza berkeleyana sul metodo analitico calderoniano; Peirce – conosciuto limitatamente – è riletto alla luce della tradizione sassone-scozzese, a cui invece si richiama direttamente James. Di nuovo affiora una realtà in cui Vailati e Calderoni si riferiscono ad un Peirce… jamesiano! Gli articoli Le origini e l’idea fondamentale del Pragmatismo e Il Pragmatismo e i vari modi di non dir niente sono riassunti, scritti in collaborazione col maestro Vailati, dell’intera meta-filosofia vailatiana e calderoniana. Con il breve Una difficoltà del metodo pragmatistico [1909] Calderoni si limita ad introdurre una serie di correttivi alla formulazione della “norma” di Peirce; infine è ancora ottima intuizionedel curatore avere introdotto l’articolo Intorno al Pragmatismo di G. Vailati. La parte finale del volume ospita una minuziosa indicazione di testi calderoniani e la recente e – ahimè!- scarsa letteratura secondaria sull’autore ferrarese.

Le tematiche filosofiche toccate dalla raccolta sono molto varie.Filosofia – in Vailati e Calderoni- è connettivo tra scienze e senso comune sotto sembianza di meta-discorso analitico. L’analisi calderoniana, via di mezzo tra dis-velamento di Strawson/Grice e ricerca semantica austiniana, è indirizzata a smascherare i rècits culturali dai «falsi dilemmi» scaturenti dalla naturale indeterminatezza dei discorsi umani, e a combattere ciò che di meta-fisico è in essi introdotto; ciò che Preti ci conduce a chiamare “normadi Peirce” – rimodellato in termini berkeleyani e moderato dalle conclusioni del convenzionalismo duhemiano- rimane massimo strumento d’azioneanalitica del Pragmatismo logico italiano, come criterio di verificazione (Schlick) e come criterio di senso (Quine). Può dirsi interamente centrato l’obiettivo del volume manifestato nella Prefazione

Vengono qui riproposti all’attenzione dei potenziali lettori un grappolo di scritti metodologici di Mario Calderoni, che figurano nell’edizionecompleta delle sue opere del 1924 o in altre rare edizioni ormai lontane negli anni, e sono, proprio per questo, di difficile reperibilità, nella certezza che chiunque si accingerà a leggerli avrà largamente agevolata la sua fatica dalla limpidezza dello stile e sarà sicuramente coinvolto in una sorta di complicità con l’autore per il fascino delle questioni accostate e discusse [p. 5];

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tale raccolta – illuminando sulle relazioni tra Calderoni e leonardiani, sulle tortuose ascendenze culturali e le caratteristiche essenziali del metodo calderoniano in filosofia- risulta affatto idonea a stimolare lettori e studiosiad un’attenta considerazione della tradizione di ricerca vailatiana e calderoniana. Il volume è distribuito da Romeo Prampolini Editore, tel/fax 095321099; e-mail: [email protected]

(Ivan Pozzoni)

GIUSEPPE PEANO- LOUIS COUTURAT, CARTEGGIO (1896-1914) A CURA DI ERIKA LUCIANO E CLARA SILVIA ROERO, LEO S.OLSCHKI, FIRENZE, 2005, PP. LXIX- 254, € 29,00

Con la pubblicazione di questo volume la prestigiosa collana dell’«Archivio della corrispondenza degli scienziati italiani» dell’Istituto e Museo della Scienza di Firenze, è giunta, a vent’anni dalla pubblicazione del primo carteggio di scienziati italiani, al sedicesimo volume e sembra confermare l’attuale tendenza di dare particolare rilievo ai carteggi tra matematici dell’Ottocento e Novecento. Il quindicesimo volume della collana, infatti,accoglie la corrispondenza tra Angelo Genocchi, che fu maestro di Peano, eLuigi Cremona, mentre il diciasettesimo, la cui uscita è imminente, presenterà carteggi di diversi matematici, tra cui Segre, Castelnuovo, D’Ovidio e ancora Peano, su diversi temi dibattuti nei cruciali decenni a cavallo dei due secoli per gli sviluppi della matematica italiana. Il Carteggio Peano-Couturat, aperto da una Introduzione che ricostruisce inmodo estremamente accurato l’ambiente scientifico e le vicende che fanno da sfondo al carteggio stesso, raccoglie la corrispondenza finora inedita trauno dei principali protagonisti della logica matematica del Novecento, il torinese Giuseppe Peano, e il filosofo francese Louis Couturat, che del simbolismo peaniano fu il maggior divulgatore in Francia; le lettere originali sono conservate nell’Archivio Peano della Biblioteca Comunale di Cuneo; in appendice inoltre sono pubblicate alcune lettere, scambiate tra Peano e il matematico francese Charles Méray, tra Peano e il filosofo francese Pierre Boutroux, e infine tra Couturat e alcuni membri della “scuola di Peano”. La corrispondenza tra Peano e Couturat copre un arco di tempo abbastanza ristretto, dall’ottobre 1896 al febbraio 1910, ed è purtroppo “sbilanciata” nel senso che a fronte di novantasette lettere ritrovate del francese a Peano, si hanno solo quattro minute del torinese aCouturat.

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[email protected]

MASSIMO FERRARI, NON SOLO IDEALISMO. FILOSOFI E FILOSOFIE IN ITALIA TRA

OTTOCENTO E NOVECENTO, LE LETTERE, FIRENZE 2006, pp.365, ? 28.

Leggendo questo denso volume che raccoglie una decina di saggi pubblicatinel corso di una ventina d’anni – tranne uno dedicato ai dibattiti seguiti allapubblicazione dei Problemi della filosofia di Enriques, edito qui per la primavolta – non si può non essere d’accordo con quanto afferma l’Autore nellaPremessa: questa edizione non è affatto “un’operazione di ‘riciclaggio’”, unasemplice ripubblicazione di studi nati in sedi e contesti diversi e “costretti” oraa vivere una seconda vita insieme. Ferrari non si è, infatti, limitato a risiste-mare stilisticamente questi studi e ad aggiornare la bibliografia – che vacomunque segnalata per la ricchezza e puntualità –, ma è intervenuto spessomodificando significativamente il contenuto dei testi e anche alcune ipotesiinterpretative in relazione allo sviluppo avuto dalle indagini storiografichecondotte in questi ultimi anni. Il volume ha una sua forte e chiara identità: si tratta di un’indagine condottacon grande serietà e accortezza sulle filosofie e sui filosofi che, nell’arco ditempo compreso tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento,percorsero sentieri diversi, e spesso antagonisti, a quelli tracciati dall’ideali-smo che dominerà la scena culturale italiana nella prima parte del Novecento.Il comun denominatore negativo di queste esperienze culturali non deve trar-re in inganno: nonostante l’indubbia eterogeneità delle posizioni non-idealiste– siano esse di matrice tardo-positivista, neokantiane o ancora non facilmentericonducibili a tradizioni anteriori di pensiero, come nel caso di Vailati edEnriques – la lettura di questi saggi fornisce un prezioso aiuto a comprende-re quanto solidi e ramificati fossero i legami della cultura filosofica italianacon la complessa e articolata realtà filosofica e scientifica europea. L’avermesso insieme studi dedicati ad illustrare non tanto il pensiero di singoli filo-sofi o di scuole di pensiero, ma momenti specifici, problematiche particolari,che coinvolsero singoli studiosi, o ristretti cenacoli o ancora riviste filosofi-

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Nonostante ciò, questo carteggio è prezioso per diversi motivi. Innanzitutto ci fornisce interessanti elementi per comprendere come furono accolti in Francia, attraverso l’opera di divulgazione condotta da Couturat, la logica algoritmica sviluppata da Peano e dai suoi allievi e il progetto enciclopedico del Formulario di Matematica. Dalle lettere di Couturat dedicate alla logica di Peano emergono alcuni limiti e perplessità iniziali nella comprensione del senso delle ricerche logiche condotte dalla scuola torinese e degli scopi che Peano e i suoi allievi si erano prefissati. Couturat, interessato allo statusfilosofico della logica matematica, torna più volte a chiedere nelle primelettere a Peano se questa nuova logica formale debba intendersi come una specie di tachigrafia o se invece sia un algoritmo di matrice algebrica e solo nel 1899 comprende chiaramente che l’obiettivo del Formulario è l’analisi rigorosa e la verifica delle dimostrazioni matematiche attraverso lo strumento del linguaggio formale. Ma sono soprattutto le lettere scambiate dopo la pubblicazione dell’aspro e radicale attacco di Poincaré alla logica formale che ci permettono di comprendere la particolare situazione di resistenza alla “logistica” diffusa in Francia. Il celebre matematico pubblicò tra il 1905 e il 1906 una serie di articoli col titolo Les Mathématiques et la Logique nei quali criticava con durezza le tesi logiche divulgate da Couturat e di conseguenza il simbolismo di Peano, l’assiomatica di Hilbert e, sia pure in modo meno diretto, diversi aspetti della logica di Russell. In particolare Poincaré sottolinea come l’uso del simbolismo non preserva dall’errore, come è dimostrato dalla scoperta di paradossi come quello segnalato da Burali-Forti, e come non si possa accettare la pretesa che la logica formale permetta di prescindere totalmente da qualsiasi ricorso all’intuizione sia nelle definizioni che nelle dimostrazioni. Couturat, oltre a rispondere direttamente a Poincaré, si sforzò di stimolare anche gli altri logici a reagire e cercò di coordinare tali risposte come dimostrano le molte e interessanti lettere a Peano di quel periodo e le lettere a Cesare Burali-Forte, qui pubblicate; oltre ovviamente al già noto carteggio tra Russell e Couturat. Sia Russell che Peano intervennero nel dibattito con puntualizzazioni importanti in merito alla “teoria dei tipi”, ai rapporti tra intuizione e logistica, alla natura dei paradossi, alla valenza cognitiva dellalogica formale. Come è giustamente sottolineato dalle curatrici nell’Introduzione, il duro e autorevole attacco di Poincaré “ha avuto se non altro il merito aver attirato l’attenzione dei matematici e dei filosofi su problemi di grande rilevanza e interesse che hanno contribuito ad isolare alcuni nodi essenziali del dibattito fondazionale” (p. LVII) In molte delle lettere di questo carteggio si sviluppa un tema oggi scarsamente seguito, ma che negli anni a cavallo dei due secoli suscitò un diffuso interesse tra gli uomini di scienza e in particolare tra i logici,affascinati da un antico “progetto” leibniziano: la possibilità di realizzare una lingua scientifica internazionale che permettesse ai “dotti” dicomunicare superando la frammentazione delle lingue nazionali. Sia

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che, permette al lettore di cogliere appunto nella loro piena vivacità culturalequesti nessi profondi con la realtà europea. Ferrari infine non si limita a que-sto complesso e affascinante lavoro di ricostruzione di dibattiti e ricerche, masi impegna anche in una complessa indagine sul modo in cui questi personag-gi e momenti della cultura italiana sono stati diversamente studiati nel corsodel Novecento. In particolare il secondo capitolo dedicato agli esiti storiogra-fici del positivismo italiano è un saggio di storia della storiografia filosofica diindubbio valore e utilità. Vailati occupa un posto di rilievo in questo volume: alla figura del pensatorecremasco sono dedicati due dei dieci capitoli, il quinto e il sesto. La posizionecentrale riservata a Vailati ha una giustificazione di natura “cronologica”: lasua produzione filosofica si colloca proprio nella parte centrale del periodoindagato, tra il 1896 e il 1909. Ma si spiega anche con la sua posizione “idea-le” all’interno dello svolgimento del pensiero filosofico italiano di quei decen-ni. Nella prima parte del volume infatti Ferrari indaga uomini e idee del tardopositivismo e della corrente neokantiana e quindi, prima di narrare delle vicen-de della «Rivista di Filosofia» e di personaggi estranei all’idealismo imperan-te negli anni tra le due guerre, come De Sarlo e Martinetti, pone al centro dellasua indagine le figure di Vailati ed Enriques, che ben rappresentarono il tenta-tivo di aprire anche in Italia un serio e proficuo dialogo tra le scienze e la filo-sofia.Dei due capitoli dedicati a Vailati, il primo tratta delle sue riflessioni in meri-to alle discussioni epistemologiche che si andarono diffondendo in Europa neiprimissimi anni del XX secolo, il secondo della lettura che il filosofo di Cremafece, nel corso degli anni, dell’opera di Leibniz, anche in relazione al vastomovimento di “riscoperta” che si ebbe in quegli anni del pensiero del filosofotedesco. Pur sottolineando che l’attenzione di Vailati per Leibniz rimase per lopiù limitata alla logica e non coinvolse altri campi fondamentali dell’indagineleibniziana, come la metafisica, Ferrari ritiene, in ciò riprendendo una tesisvolta da Gabriele Lolli, che la pubblicazione della Logique de Leibniz diCouturat ebbe una notevole influenza sullo sviluppo del pensiero di Vailati,che fino ad allora si era espresso con un’“intonazione positivistica, seppure fil-trata e affinata sul piano metodico dalle appassionate letture di Mill e di Mach”(p. 177). Anche se in modo complesso e indiretto le riflessioni sugli scritti logi-ci di Leibniz in relazione agli sviluppi della “nuova logica” – insieme alla let-tura dei Nouveaux Essais – finiranno col favorire l’incontro di Vailati col prag-matismo: il filosofo di Hannover, insieme a Locke, indicherà infatti “la strada[...] di una critica di ogni uso ipostatizzato del linguaggio e in particolare deiconcetti astratti, i quali devono piuttosto essere tradotti nei loro corrisponden-ti termini concreti” (p. 202).Come si diceva, Ferrari talvolta apporta delle modifiche di rilievo negli studiqui presentati rispetto alle precedenti edizioni. Il capitolo sui rapporti tra

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Couturat che Peano si impegnarono molto attivamente in tal senso, ma le strade seguite furono sempre più divergenti al punto che, proprio a causa delle sempre più contrastanti opinioni su quale dovesse essere la lingua internazionale e quale itinerario si dovesse intraprendere per raggiungere un tale obiettivo, giunsero a interrrompere il loro carteggio. Peano scelse di sviluppare una forma semplificata di latino, il Latino sine flexione, che di fatto utilizzò in un’edizione del Formulario e in numerosi articoli scientifici. Couturat si sforzò di imporre alla comunità degli scienziati interessati allo sviluppo della lingua internazionale l’idioma Ido, che nasceva da una fusione tra l’Esperanto e l’Idiom Neutral. Senza addentrarci nelle convulse vicende che si svilupparono in seno alle diverse associazioni pro-lingua internazionale, sono da segnalare come in sé rilevanti alcune delle criticheche Couturat mosse al latino sine flexione: innanzitutto questo idiomaderivando dal latino non può correttamente definirsi lingua internazionale e inoltre la sua grammatica eccessivamente semplificata costringe il lettore a ricavare il significato di un termine dal contesto generale della frase. Ma soprattutto ciò che preoccupa Couturat è che, se il latino sine flexionedovesse avere successo nella comunità dei matematici, ciò di fatto ostacolerebbe la diffusione dell’Esperanto o di analoghe lingue artificiali. Il volume si chiude con il necrologio di Couturat, morto in un incidente stradale nel 1914, scritto da Peano, ovviamente in latino sine flexione.

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Vailati e l’epistemologia europea – che riprende l’intervento presentato al con-vegno I Mondi di carta di Giovanni Vailati, svoltosi a Crema nel 1999 – evi-denzia come l’Autore abbia ritenuto opportuno precisare il suo punto di vista,apportando interessanti integrazioni e aprendosi anche a nuove possibili lettu-re del rapporto di Vailati con i maggiori epistemologi del suo tempo. La tesidi fondo sostenuta da Ferrari è piuttosto articolata: Vailati fu un protagonista,non un semplice spettatore, di quel vasto moto intellettuale europeo che ebbeil fine di sollevare la scienza ad una concezione più elevata e filosofica (p.144), ma nel suo confrontarsi con le opere e il pensiero di Mach, Duhem ePoincaré, pur mostrando una sensibilità e un’acutezza di giudizio davveronotevoli, spesso volutamente sorvola su alcuni aspetti essenziali delle lororiflessioni, per poter fornire così un’interpretazione del loro pensiero maggior-mente consona alle proprie concezioni pragmatiste. In altre parole il limite diVailati è quello di un’interpretazione oggettivamente non corretta e parzialedel pensiero dei principali epistemologi europei. Mach certamente rivestì un ruolo di grande importanza nella formazione diVailati sia come storico della scienza che come indagatore dei complessi rap-porti tra fisico e psichico e dei meccanismi della facoltà mentali. Inoltre Vailaticondivise gli attacchi di Mach agli pseudo problemi della filosofia tradizio-nale e la critica al mito meccanicista. Pur tuttavia non si impegnò in un “ten-tativo di ricostruzione organico dell’epistemologia machiana” ed evitò diaffrontare quegli aspetti “dell’opera di Mach che hanno potentemente contri-buito alla sua incidenza nelle vicende della filosofia scientifica” di quel perio-do come la celebre critica dello spazio e del tempo assoluti o la polemica sul-l’atomismo (p. 148). Su quest’ultimo punto, le lettere di Pikler a Vailati, pub-blicate in questo numero dell’Annuario, portano un nuovo elemento di rifles-sione giacchè, attraverso quanto scrive Pikler, pare che Vailati fosse assai inte-ressato alle dispute sull’atomismo condividendo le critiche machiane all’ato-mismo; tuttavia è vero che questo interesse non si manifesta nelle sue pubbli-cazioni. Ma è nella recensione a Erkenntnis und Irrtum che Vailati tende a leg-gere Mach con le lenti della sua concezione pragmatista della scienza. Egliinfatti afferma che in quest’opera Mach abbandona la tesi evoluzionistica,secondo cui la ricerca scientifica è un processo di adattamento tra le rappre-sentazioni mentali e tra le rappresentazioni mentali e i fatti, per approdare aduna concezione pragmatista della legge naturale come limitazione delle nostreaspettative e delle nostre previsioni. Mach supera la posizione positivistadella scienza come registrazione dei fatti osservati e condivide, con James,una concezione della scienza come prodotto di costruzioni ideali, di ipotesi ededuzioni apparentemente lontane dai dati empirici. In tal modo diverrà pos-sibile a Vailati presentare la concezione economica della scienza di Machcome espressione di una concezione strumentalista della scienza. In realtà,nota Ferrari, Mach è ben lungi dall’abbandonare le sue tesi biologico-evolu-

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zionistiche e il mascheramento di tale dimensione permette a Vailati di presen-tare Mach come un suo alleato nella battaglia pragmatista. Nel confronto col pensiero di Duhem a Vailati va riconosciuto certamente ilmerito, a parere di Ferrari, di essere stato “tra i primi a cogliere la novità – siasul piano epistemologico, sia sul piano semantico – dell’olismo duhemiano”(p. 153). Ma, anche nel caso di Duhem, Vailati tende a ridurne forzatamente ilpensiero all’interno del pragmatismo, misconoscendo lo spessore ontologicodella filosofia della scienza duhemiana. Ferrari ritiene – e in ciò vi è un inte-ressante approfondimento rispetto alla precedente versione del suo studio chemeriterebbe di essere ulteriormente indagato – che nel giudizio di Vailati suDuhem forse trapela il filtro sia di Mach, che in quegli stessi anni cercò didarne una lettura vicina alla sua tesi dell’economia di pensiero, sia di James“nel quale si potrebbe individuare una ‘via all’olismo’ e al fallibilismo che fada ponte tra Duhem e Quine” (155). Nei confronti di Poincaré la posizione di Vailati è particolarmente complessa.Da un lato infatti giudica molto negativamente sia l’attacco mosso dal mate-matico francese alla logica matematica ritenuta euristicamente infeconda, siala rivalutazione dell’intuizione a cui Poincaré riconosceva per converso unafeconda capacità inventiva. In ciò Vailati, oltre a fare fronte comune conCouturat, Peano e Russell nel respingere un attacco diretto al lavoro dei logicimatematici, scorgeva il riemergere di posizioni kantiane che non condividevaaffatto. Al contrario Vailati concorda con il matematico francese sulla necessi-tà di affermare il valore del convenzionalismo, pur nel comune rifiuto delleposizioni più radicali espresse da Le Roy tendenti a negare valore conoscitivoalla scienza. Dichiarare arbitrari o convenzionali i significati delle parole dacui dipende la verità o meno di una frase non implica, come scrive Vailati nel1905, che “una volta fissate tali convenzioni [...] la questione della sua veritào falsità è, nel caso più ordinario, affatto indipendente dal nostro arbitrio edalle nostre preferenze”( p.157). Di conseguenza in quegli anni Vailati nonsembra porre riserva al convenzionalismo geometrico di Poincaré, giudicandopersino banale la celebre affermazione del francese che “una geometria nonpuò essere più vera di un altra; può solamente essere più comoda” (ibidem).Ma nel saggio L’«arbitrario» nella vita psichica, scritto insieme all’allievoCalderoni e pubblicato nel 1910, quindi dopo la morte di Vailati, la posizionein merito al convenzionalismo di Poincaré si chiarisce e definisce meglio. Inuna lunga nota gli autori specificano che la scelta di una geometria al posto diun’altra non è un’operazione indifferente quanto la scelta di un sistema dimisura in sostituzione di un altro, come affermato da Poincaré. Chiedersi seuna geometria sia più vera di un’altra non è una domanda priva di senso, inquanto sono chiamati in causa le proprietà reali dello spazio e il confronto coidati dell’esperienza. Anche se ovviamente questo richiamo all’esperienza vainteso non come conferma diretta dei fatti conosciuti con la teoria, quanto

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come possibilità di confrontare anche le conseguenze più remote e indiretteche derivano dall’ipotesi accettata. Con ciò Vailati e Calderoni toccavanopunti che diverranno assai sensibili nel dibattito novecentesco sul convenzio-nalismo mostrando di avere ben compreso «la distinzione tra una convenzio-ne linguistica e una postulazione teorica, e la natura estremamente complessae non banalmente ‘riduzionista’ del controllo empirico» (159). Queste ultimeinteressanti considerazioni in merito allo scritto del 1910 sono state suggeritea Ferrari, come specifica in nota, dalla lettura di alcune riflessioni presenti nelsaggio di Paolo Parrini Filosofia e scienza nell’Italia del Novecento (Guerini,Milano 2004, alle pp. 39-42) dove si evidenzia la ricchezza epistemologicadello scritto sull’Arbitrario nella vita psichica. Può essere interessante nota-re come questo stesso scritto sarà molto presente a Bruno de Finetti che nelsuo carteggio con Carnap giungerà persino a tradurne alcuni brani per rende-re accessibili al suo corrispondente le riflessioni dei nostri due pragmatistilogici sul criterio da loro adottato per stabilire la validità dei modi attraversocui esprimiamo i nostri ragionamenti.Anche la parte dedicata al confronto tra Vailati ed Enriques appare notevol-mente modificata. Mentre nell’intervento del 2001 Ferrari aveva rilevato ilcontrasto insorto tra i due epistemologi italiani sul valore degli sviluppi delkantismo, liquidati da Vailati come un morbo corrosivo per la filosofia dellascienza e al contrario considerati da Enriques utili per una miglior compren-sione di quegli elementi di struttura dei processi cognitivi che l’empirismoaveva trascurato, in questa riscrizione pone in maggior evidenza le divergen-ze sul pragmatismo, che per Enriques non aggiungeva nulla di nuovo sul pianoteoretico al vecchio positivismo: riprendendo un’espressione di James, madando ad essa una valenza diversa, riteneva che fosse solo “un nome nuovoper vecchie maniere di pensare”. Partendo da questo accenno a James, Ferrarianalizza la posizione di Vailati nei confronti dello pscicologo americano perevidenziare come, a differenza di quanto spesso viene ripetuto, non è affattovero che il pragmatismo di Vailati si venne costruendo solo in riferimento aPeirce e quasi in opposizione a James. Quest’ultimo rimase, anche dopo la rot-tura avvenuta all’interno del gruppo del «Leonardo», un interlocutore privile-giato, al pari di Peirce, di Vailati nelle sue riflessioni epistemologiche.Un’ultima breve annotazione: Ferrari cita in un paio di occasioni le missiveinviate da Vailati a Duhem e Russell pubblicate nello scorso numerodell’Annuario: ciò dimostra che la classe dei lettori dell’Annuario non è vuotae che il lavoro intrapreso dal Centro Studi Giovanni Vailati per giungere adun’edizione la più completa possibile del vasto carteggio vailatiano incomin-cia a dare i suoi primi frutti.

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Libri ricevuti

D. MENICANTI, Canzoniere per Giulio, a cura di Fabio Minazzi, Piero Manni, San Cesario di Lecce 2004.

M. DE PAOLI, Theoria Motus. Studi di epistemologia e storia della scienza, Franco Angeli, Milano 2004.

M. DE PAOLI, La relatività e la falsa cosmologia, Piero Manni, San Cesario di Lecce 2004.

G. PEANO – L. COUTURAT, Carteggio (1896-1914), a cura di Erika Luciano e Clara Silvia Roero, Leo S. Olschki, Firenze 2005.

M. CALDERONI, Scritti sul pragmatismo, a cura di Antonino Di Giovanni, Centro Stampa del Comune di Ferrara, Ferrara 2005.

KalÕj k¢gaqÒj. Sei lezioni di Gastrosofia, a cura di Patrizia de Capua, Caffè filosofico, Crema 2005.

D. RIA, L’unità fisico-matematica nel pensiero epistemologico di Hermann Weyl, Galatina 2005.

Fondo Mario Dal Pra, a cura di Giuseppe Barreca e Piero Giordanetti, Cisalpino, Milano 2005.

G. DEIANA, Bioetica e educazione. Manuale per l’insegnamento della bioetica, Ibis, Como – Pavia 2005.

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AA. VV., Felicità e libertà. Economia e benessere in prospettiva relazionale, a cura di Luigino Bruni e Pier Luigi Porta, Guerini e associati, Milano 2006.

A. VALLISNERI, Epistolario. 1714-1729, a cura di Dario Generali, Leo S. Olschki, Firenze 2006.

P. CANTÙ, I. TESTA, Teorie dell’argomentazione. Un’introduzione alle logiche del dialogo, Milano, Bruno Mondatori, 2006.

M. FERRARI, Non solo idealismo. Filosofi e filosofie in Italia tra Ottocento e Novecento, Firenze, Le Lettere, 2006.

F. CIRACÌ, Verso l’assoluto nulla. La Filosofia della redenzione di Philipp Mainländer, Lecce, Pensa Multimedia, 2006.

AA. VV. Edizioni e traduzioni di testi filosofici. Esperienze di lavoro e riflessioni, a cura di M. Baldi e B. Fais de Mottoni, Franco Angeli, Milano 2006.

F. MINAZZI, Filosofia della Shoa. Pensare Auschwitz: per un’analitica dell’annientamento nazista, La giuntina, Firenze 2006.

BRUNO DE FINETTI, L’invenzione della verità, Cortina, Milano 2006.

A. VALLISNERI, Consulti medici, a cura di Benedino Gemelli, Olschki, Firenze 2006.

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