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Narrativa e testi non letterari 1 volume A sezione 1 unità 2 VERIFICA SOMMATIVA NARRATIVA 1.2 CONOSCENZE .................................................... .................................................... ....................... ............................... cognome nome classe data A Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false e sottolinea le parole che rendono falsa l’affer- mazione. 1. Lanarrazionedistoriehaorigineconlascrittura. V F 2. Nellatradizioneoraleiconfinifrastorieinventate,memorie,leggende, cronacheerielaborazionipersonalidivicendestoricheeranospessoincerti. V F 3. Alcuniscrittoriprendonospuntodallarealtàpercostruirestoriediinvenzione: unapersonaounavicendalicolpisceinmodoparticolareeattornoaloro l’immaginazionecominciaaindagare,asviluppare,acostruireunatrama. V F 4. Conlaparolainglesefictionsiindicanosialestorieinventate, siaquellerealmenteaccadute. V F 5. Lestorienasconosempredallabiografiadelloscrittore,daisuoiincontri, dallesueesperienzedivita. V F 6. Gliscrittorisonopersonechesirifugianonellascritturapersfuggireallarealtà. V F 7. Perdiventarescrittorièimportantesaperascoltaresialevoci chevengonodallarealtàesterna,daglialtri,sialavocedelpropriomondointeriore. V F 8. Lascritturaèun’esperienzaattiva,mentrelaletturaèun’esperienzapassiva. V F 9. Chileggeromanzivuolesempreevaderedallarealtà. V F 10. Ilpattonarrativofrascrittorielettoririguardal’aspettodellafinzionenellanarrativa. V F B Rispondi alle seguenti domande, facendo riferimento ai testi che hai letto in questa Unità. 11. Checosaspingeunoscrittoreounascrittriceascriverestorie,romanzi,racconti? 12. Uno scrittore può descrivere con precisione in che cosa consista il processo creativo che portaall’ideazionediunromanzo? 13. Checosapuòsignificareleggereromanzi,leggerefiction ? 14. Checosasiimpegnanoimplicitamenteafarescrittoreelettorenelpatto narrativo ? 15. Checosasiintendeperlettore competente ? Totale punti ...... / 10 ...... / 5 ...... / 15

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Narrativa e testi non letterari 1 volume A sezione 1 unità 2

verifica SOMMaTiva NarraTiva 1.2 cONOSceNze

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cognome nome classe data

a �Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false e sottolinea le parole che rendono falsa l’affer-mazione.

� � 1.� La�narrazione�di�storie�ha�origine�con�la�scrittura.� V  F

� � 2.� �Nella�tradizione�orale�i�confini�fra�storie�inventate,�memorie,�leggende,cronache�e�rielaborazioni�personali�di�vicende�storiche�erano�spesso�incerti.� V  F

    3.� �Alcuni�scrittori�prendono�spunto�dalla�realtà�per�costruire�storie�di�invenzione:una�persona�o�una�vicenda�li�colpisce�in�modo�particolare�e�attorno�a�lorol’immaginazione�comincia�a�indagare,�a�sviluppare,�a�costruire�una�trama.� V  F

    4.� �Con�la�parola�inglese�fiction�si�indicano�sia�le�storie�inventate,sia�quelle�realmente�accadute.� V  F

    5.� �Le�storie�nascono�sempre�dalla�biografia�dello�scrittore,�dai�suoi�incontri,dalle�sue�esperienze�di�vita.� V  F

    6.� Gli�scrittori�sono�persone�che�si�rifugiano�nella�scrittura�per�sfuggire�alla�realtà.� V  F

    7.� �Per�diventare�scrittori�è�importante�saper�ascoltare�sia�le�vociche�vengono�dalla�realtà�esterna,�dagli�altri,�sia�la�voce�del�proprio�mondo�interiore.� V  F

    8.� La�scrittura�è�un’esperienza�attiva,�mentre�la�lettura�è�un’esperienza�passiva.� V  F

    9.� Chi�legge�romanzi�vuole�sempre�evadere�dalla�realtà.� V  F

  10.� Il�patto�narrativo�fra�scrittori�e�lettori�riguarda�l’aspetto�della�finzione�nella�narrativa.� V  F

B Rispondi alle seguenti domande, facendo riferimento ai testi che hai letto in questa Unità.

11.� Che�cosa�spinge�uno�scrittore�o�una�scrittrice�a�scrivere�storie,�romanzi,�racconti?

12.� �Uno� scrittore�può�descrivere� con�precisione� in�che�cosa�consista� il� processo�creativo�che�porta�all’ideazione�di�un�romanzo?

13.� Che�cosa�può�significare�leggere�romanzi,�leggere�fiction?

14.� Che�cosa�si�impegnano�implicitamente�a�fare�scrittore�e�lettore�nel�patto narrativo?

15.� Che�cosa�si�intende�per�lettore competente?

Totale punti

. . . . . . / 10

. . . . . . / 5

. . . . . . / 15

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Narrativa e testi non letterari 2 volume A sezione 1 unità 2

verifica SOMMaTiva NarraTiva 1.2 cOMpeTeNze di leTTura

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cognome nome classe data

1.   indigenza: povertà.2.   Gerusalemme: città antichissima, capitale

dello Stato di Israele al centro delle complesse controversie fra Israeliani e Palestinesi: la so-vranità territoriale di Gerusalemme è attual-mente rivendicata sia da Israele che dal popolo palestinese in modalità finora inconciliabili. È la città natale dell’autore.

3.   sporadiche: molto rare.4.   tomi: volumi; propriamente, volumi come

parti in cui è divisa un’opera.5.   più raro… di oggi: paragone al tempo stesso

scherzoso e serio. Vuole dire che il gelato era

molto raro, come purtroppo è la pace in Me-dio Oriente, cioè la zona dell’Asia occidentale compresa fra il Mediterraneo e il mar Rosso.

6.   sette giorni e sette notti: espressione fiabesca qui usata in senso scherzoso, per significare «per un tempo lunghissimo».

7.   come uno Sherlock Holmes in erba: come un piccolo investigatore. Sherlock Holmes è un celeberrimo personaggio di Conan Doyle.

8.   rimiravo: guardavo e riguardavo.

Amos Oz

UN PASSATEMPO UTILEContro il fanatismo, 2002 Lingua originale inglese

Lo scrittore israeliano Amos Oz, in un volumetto che raccoglie alcune sue conferenze sui temi della pace e dell’importanza del dialogo fra le persone e fra i popoli, espone anche le sue idee sul valore della lette-ratura. In questa pagina racconta in quali circostanze imparò a sviluppare un «passatempo» importante per un romanziere.

Io sono diventato scrittore per colpa dell’indigenza1, della solitudine e del gelato. Ero figlio unico di una assai modesta famiglia della classe media, – di fatto, una famiglia povera di Gerusalemme2. Mio padre faceva il bibliotecario e mia madre dava sporadiche3 lezioni private di storia e letteratura. Abitava-mo in un minuscolo appartamento che pareva l’abitacolo di un sommergibi-le, zeppo di libri in diverse lingue. Ma a parte i tomi4, c’era ben poco. I miei genitori si ritrovavano con i loro amici nei caffè. E mi portavano con loro, dal momento che ero figlio unico e non c’era nessuno con cui lasciarmi, a casa. Mi dicevano che dovevano conversare con i loro amici e che io dovevo comportarmi bene e che se mi fossi comportato bene, alla fine avrei avuto il gelato. Insomma, il gelato nella Gerusalemme di quell’epoca era più raro che la pace nel Medio Oriente di oggi5. Era un sentito dire, una leggenda: solo chi era molto fortunato lo conquistava. Io andavo matto per il gelato, se non che i miei avevano l’abitudine di trascinare quelle loro conversazioni con gli amici ininterrottamente per sette giorni e sette notti6. O almeno così sembrava a me. Allora dovevo pur far qualcosa di me stesso, per non urlare o dar fuori di matto: così me stavo lì seduto, come un piccolo detective, a osservare il viavai nel locale – gente che entrava, gente che usciva… e come uno Sherlock Holmes in erba7, ne studiavo gli abiti, le facce, i gesti, le scarpe, rimiravo8 le borsette e ingannavo l’attesa inventando delle piccole storie su questa gente, fantasticando sulla loro provenienza o sui rapporti fra quelle due donne e quell’uomo seduti al tavolino d’angolo, le due che fumavano e lui no, una con l’aria davvero triste, lui che a stento apriva bocca, e l’altra donna che parlava quasi sempre lei. Dovevo inventare una trama. O quell’altro – un giovanotto

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Narrativa e testi non letterari 3 volume A sezione 1 unità 2

  9.   captando: cogliendo quasi di nascosto, come si captano dei segnali.

10.   come un ufficiale della Stasi: come un agen-te di spionaggio, o di una polizia segreta. Un altro paragone che utilizza in modo autoiro-nico un riferimento alla storia politica con-temporanea: la Stasi era la temibile polizia

segreta della Repubblica Democratica Tede-sca, prima della caduta del muro di Berlino che pose fine nel 1989 alla divisione della Germania.

11.   intrigante: interessante e coinvolgente.12.   congetturando: facendo congetture, ipotesi.

alto, strano, dall’aria timida, seduto accanto alla porta con un giornale davan-ti, che peraltro non stava leggendo. Teneva lo sguardo fisso sulla porta, stava aspettando. Un’ora, due, insomma, non era possibile che stesse aspettando il mio gelato, evidentemente si trattava di una persona. Allora mi figuravo chi e perché stava aspettando. Dunque, imparai ad alleviare la mia solitudine osservando la gente, immaginando, inventando, a tratti captando9 brandelli di conversazione per poi ricomporli e, come un ufficiale della Stasi10, rica-vare da trascurabili frammenti di informazioni una storia intrigante11. Ora, debbo ammettere che continuo a comportarmi così quando mi capitano i cosiddetti “tempi morti”, in aeroporto, o quando mi trovo in sala d’attesa dal dentista, o in coda da qualche parte – invece di sfogliare qualcosa o grattarmi la testa, mi do al fantasticare. Certo, le mie fantasie di oggi non sono sempre così innocenti come quelle di allora, quando, bambino, sognavo il mio gelato. Ma ancora fantastico. E credetemi, è un passatempo utile, non solo per un romanziere, non solo per uno scrittore: per chiunque di noi. Accadono dav-vero tante cose, a ogni angolo di strada, in ogni coda in attesa dell’autobus, in qualunque sala d’aspetto di un ambulatorio, o in un caffè… Tanta di quella umanità attraversa ogni giorno il nostro campo visivo, mentre per gran parte del tempo noi restiamo indifferenti, non ce ne accorgiamo neppure, vediamo ombre invece di persone in carne e ossa. Perciò, con l’abitudine di osservare gli estranei, e con un pizzico di fortuna, finirete presumibilmente per scrivere dei racconti congetturando12 intorno a quello che la gente si fa a vicenda, a come ci si appartiene a vicenda. Altrimenti, sarà comunque un buon passa-tempo con tanto di gelato alla fine, un gioco dove non ci sono perdenti.

A. Oz, Contro il fanatismo, Feltrinelli, Milano 2004

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Narrativa e testi non letterari 4 volume A sezione 1 unità 2

verificare le competenze

analizzare e comprendere

1. Che�cosa�racconta�l’autore�della�propria�famiglia?

2. �In�quali�circostanze�l’autore�cominciò�a�sviluppare�la�sua�abilità�nell’inventare�delle�storie?

3. �Spiega�la�frase�iniziale�del�testo:�Io sono diventato scrittore per colpa dell’indigenza, della solitudine e del gelato.

4. Qual�è�il�passatempo utile�di�cui�parla�l’autore?

riflettere

5. �Oz�ricorda�che�nella�sua�infanzia�non�aveva�molte�occasioni�o�oggetti�per�intrattenersi,�per�divertirsi,�per�passare�il�tempo.�Ti�sembra�che�questo�si�sia�rivelato�uno�svantaggio�per�lui?

6. �Quali�abitudini�e�atteggiamenti�sviluppa�Oz�da�bambino?�(Più�risposte�sono�corrette)� l’obbedienza� la�curiosità� il�saper�stare�da�solo� l’interesse�per�le�persone� l’abitudine�a�frequentare�i�caffè� l’incapacità�di�stare�con�altri�bambini� l’incapacità�di�stare�con�gli�altri� la�capacità�di�osservare� la�fantasia

•� Quali�delle�abitudini�o�degli�atteggiamenti�che�hai�individuato�pensi�che�siano�più�importanti�per�un�romanziere,�per�un�autore�di�storie?�Motiva�la�tua�risposta.

7. �Pensi�che�oggi,�nella�nostra�società,�sia�frequente�per�un�bambino�trovarsi�nella�situazione�nella�quale�si�trovava�Amos�Oz�nei�caffè�dove�i�grandi�parlavano�fra�loro?

8. Ti�è�mai�capitato�di�dedicarti�al�passatempo utile�di�cui�parla�il�testo?•� Pensi�che�saresti�in�grado�di�occupare�dei�tempi morti�nel�modo�descritto�da�Oz?•� Oz�scrive:�E credetemi, è un passatempo utile, non solo per un romanziere, non solo per uno scrittore:

per chiunque di noi.�Che�cosa�pensi�di�questa�affermazione?

Scrivere

9. �Scrivi�un�testo�espositivo-argomentativo�di�circa�150�parole�dal�titolo:�«Le storie nascono anche dall’os-servazione della vita di ogni giorno».

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Narrativa e testi non letterari 5 volume A sezione 1 unità 3

a �Facendo riferimento a quanto hai imparato in questa Unità, indica se le seguenti affermazioni sono vere o false e sottolinea le parole che rendono falsa l’affermazione.

� � 1.� Un�testo�divulgativo�si�rivolge�a�lettori�interessati�all’argomento.� V  F

� � 2.� Gli�elementi�costitutivi�e�qualitativi�indicano�come�è�l’oggetto�della�descrizione.� V  F

� � 3.� Senza�lo�scorrere�del�tempo�non�ci�potrebbe�essere�alcuna�narrazione.� V  F

� � 4.� In�una�narrazione�i�fatti�si�succedono�nell’ordine�in�cui�sono�avvenuti.� V  F

� � 5.� �La�conoscenza�del�destinatario�è�poco�importantenell’elaborazione�di�un�testo�argomentativo.� V  F

� � 6.� In�un�testo�argomentativo�una�tesi�è�una�verità�certa.� V  F

� � 7.� Chi�scrive�un�testo�espositivo�prima�di�tutto�si�documenta�sull’argomento.� V  F

� � 8.� �I�sottocodici�sono�insiemi�di�parole�che�fanno�parte�del�codice-lingua,usate�prevalentemente�in�settori�specifici.� V  F

� � 9.� Esempi�e�citazioni�sono�tipi�di�informazione.� V  F

� 10.� Una�confutazione�è�un�testo�argomentativo�che�esprime�una�tesi�contraria�a�un’altra.� V  F

B Scegli il completamento corretto.

� 11.� Una�storia�è�sempre� � � una�sequenza�di�eventi�o�azioni� � � un�racconto�immaginario� � � una�narrazione� � � riferita�alla�realtà

� 12.� Una�parola�è�denotativa�quando� � � il�suo�significato�è�univoco�e�condiviso�da�tutti� � � esprime�un�giudizio� � � si�trova�in�una�cronaca� � � è�precisa

� 13.� Una�cronaca�giornalistica� � � non�è�un�vero�testo�narrativo� � � racconta�i�fatti�in�maniera�oggettiva� � � deve�colpire�l’attenzione�del�lettore

� 14.� Un’esposizione� � � in�genere�contiene�informazioni�oggettive� � � ha�lo�scopo�di�informare� � � si�rivolge�a�un�pubblico�di�specialisti� � � spesso�è�caratterizzata�da�un�linguaggio�denotativo

� 15.� In�un�testo�argomentativo�il�lessico� � � è�sempre�denotativo� � � è�sempre�connotativo� � � può�essere�sia�denotativo�sia�connotativo� � � è�sempre�di�registro�alto

Totale punti

. . . . . . / 10

. . . . . . / 5

. . . . . . / 15

verifica SOMMaTiva NarraTiva 1.3 cONOSceNze

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cognome nome classe data

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Narrativa e testi non letterari 6 volume A sezione 1 unità 3

Maurizio Maggiani

CON LA TOPOLINO, SULLA STRADA DEI MIRACOLI«Specchio - La Stampa», 11 novembre 1999

Attraverso gli occhi di un bambino il mondo spesso si trasforma. Il breve viaggio su una Topolino1 dalla Toscana a Genova, dove si trova l’ospedale dei bambini, è vissuto dal protagonista come un percorso verso un luogo ignoto e misterioso, ma ricco di fascino. E tutto rimane intatto nella memoria.Il testo dello scrittore Maurizio Maggiani è stato pubblicato sul magazine di un quotidiano e poi è con-fluito nel libro Mi sono perso a Genova. Una guida, pubblicato nel 2007.

Avevo cinque anni quando una sera a cena, tenendo il suo pezzo di pane in mano come se gli dovesse infondere chissà quale forza, mio padre ha bi-sbigliato con la testa protesa verso il piatto di mia madre: «Portiamolo a Ge-nova». Ho sentito distintamente quelle due parole, anche se non avrei dovu-to ascoltarle, e naturalmente ricordo ancora il loro suono preciso: i bambini hanno una speciale attitudine2 a captare i bisbigli che non li riguardano. Quella sera comunque ho capito che ero molto malato, visto che sarei stato portato a Genova, città lontana, ignota, miracolosa.

Dell’ospedale dei bambini ricordo solo che a mezzogiorno aveva un buon odore di minestrone con le farfalline3, ma del viaggio invece… Del viaggio ricordo la giardinetta Topolino, che non era nostra, e il Bracco4: il Passo, il Valico, il Confine.

Siamo partiti dal paese che era notte: io che ancora dormivo tutto infagot-tato in un cappottone con la martingala5 che strusciava per terra, le borse con la merenda da mangiare lungo la strada, il fascio delle lastre dei raggi6, quei fogli di celluloide dove si vedeva bene che c’era qualcosa che non andava. E i bottiglioni: tre bottiglioni d’acqua per il Bracco. Non l’abbiamo bevuta noi quell’acqua, ma la Topolino. Il primo bottiglione a Roverano7, il Bracchetto. E mia madre, mentre il radiatore8 sbolliva, ha raccolto fiori selvatici dalle ripe9 e li ha offerti alla Madonna del Viaggiatore. Gli altri due alla sommità del Passo, dopo gli Otto Tornanti. E i camion fermi ai bordi della strada, e le tre-mende bestemmie dei camionisti che esalavano10 dall’oscurità delle cabine.

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1.   Topolino: piccola automobile della Fiat costruita nel 1936 e prodotta sino agli anni Cinquanta; la versione giardinetta è paragonabile a quella che è oggi la versione familiare di un certo modello.

2.   attitudine: capacità naturale, propensione; captare significa intuire.

3.   farfalline: tipo di pasta per minestre.4.   Bracco : passo a 615 m che separa la provincia di Genova da

quella di La Spezia; è stato a lungo la via più breve che colle-gava Sestri Levante con La Spezia, sino alla costruzione della galleria tra le due località.

5.   martingala: piccola striscia di stoffa, a volte fermata da due bottoni, posta sul retro del cappotto all’altezza della vita.

  6.   lastre  dei  raggi: le lastre delle radiografie; celluloide: una materia plastica incolore e trasparente che veniva usata una volta per le pellicole e le lastre fotografiche; oggi non viene più adoperata perché altamente infiammabile.

  7.   Roverano: località lungo la via Aurelia, tra Sestri levante e La Spezia, dove sorge un antico santuario; Bracchetto è un passo intermedio tra il passo del Bracco e il passo Termine.

  8.   radiatore: dispositivo che serve a raffreddare il motore delle automobili.

  9.   ripe: i bordi della strada.10.   esalavano: uscivano.

verifica SOMMaTiva NarraTiva 1.3 cOMpeTeNze di leTTura

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cognome nome classe data

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Narrativa e testi non letterari 7 volume A sezione 1 unità 3

11.   zaini da soldato: molti utilizzavano gli zaini usati da soldati durante la guerra; arroto: affilo: è il cartello di un arrotino, un lavoratore ambulante che faceva il suo lavoro di affila-coltelli girando di casa in casa; il cartello stagno e  riparo è invece di uno stagnino, che riparava le pentole rotte; per grazia ricevuta è la formula con cui sono accompagnate le offerte di coloro i quali hanno visto esaudita da un santo o dalla Madonna una loro richiesta.

12.   romee: tipiche dei pellegrini; i romei erano i pellegrini che durante il Medioevo andavano a Roma.

13.   lattìgine: aria nebbiosa, biancastra come il latte, in cui il pa-esaggio perde i suoi contorni.

14.   serpe… Aurelia: la via Aurelia, che percorre la Liguria, è tor-tuosa come una serpe.

15.   Maggiani: la famiglia dello scrittore.16.   sgomento: turbamento, senso di inquietudine.17.   i golfi… Paradiso: golfi della riviera di Levante.

E i pellegrini, bicicletta alla mano, carichi di zaini da soldato11 e cartelli «ar-roto coltelli», «stagno e riparo» «per grazia ricevuta»; già a cantare di prima mattina le loro canzoni romee12. E la nausea e i vomitini: «Fermati Dino che il bimbo sta male», «Non posso che se no non ripartiamo più».

Al Passo sono stato messo a sedere sono il cartello del confine e mio pa-dre mi ha fatto la foto ricordo. Alle mie spalle, nella lattìgine13 del mattino invernale la serpe dell’Aurelia14 scivolava giù verso le pianure e i golfi della Grande Genova, la terra dove si guarivano i bambini, mai prima di allora toccata da uno sguardo dei Maggiani15. Col tempo quella foto si è persa. Così sono tornato a rivedere me stesso, il Passo e il Confine. Mi sembra che tutto sia rimasto come allora, anche lo sgomento16 che sento a rivedere laggiù i golfi17 di Tigullio e Paradiso… Tranne il fatto che non ho visto camion, non ho visto pellegrini.

M. Maggiani, in «Specchio», 11 settembre 1999

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verificare le competenze

comprendere

1.� Chi�racconta�i�fatti?

2.�Quali�elementi�propri�di�un�testo�narrativo�sono�presenti�nel�testo?

3.� �La�città�di�Genova�assume�nella�narrazione�l’aspetto�di�una�città�lontana�e�misteriosa.�Individua�tutte�le�parole�e�le�espressioni�che�costruiscono�questa�immagine.

4.��Quali�sono�le�sensazioni�che�prova�il�protagonista�rivedendo�da�adulto�i�medesimi�luoghi?

riflettere

5.� �Il�viaggio�compiuto�dal�protagonista�è�piuttosto�breve.�Quali�elementi�lo�rendono�affascinante�e�quindi�indimenticabile�ai�suoi�occhi?

6.�Sono�presenti�nel�testo�informazioni�non�reali,�che�appartengono�all’immaginazione�dell’autore?

7.� Attraverso�quali�elementi�l’autore�è�riuscito�a�rendere�interessante�questa�piccola�storia?

8.�A�quale�genere�di�testo�rimanda�la�narrazione?� � un�racconto� � � � una�cronaca� � � � un�testo�autobiografico� � � � una�guida�turistica

� Spiega�la�tua�risposta.

Scrivere

9.� �Individua�e�utilizza�le�informazioni�contenute�nel�testo�di�Maggiani�per�scrivere�un�breve�articolo�esposi-tivo�(100�parole�circa),�da�pubblicare�in�una�rubrica�di�viaggi,�sul�seguente�argomento:�«Anni Cinquanta: in viaggio da Viareggio a Genova».

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Narrativa e testi non letterari 8 volume A sezione 2 unità 1

a Facendo riferimento a quanto hai imparato in questa Unità, indica se le seguenti affermazioni sono vere o false e sottolinea le parole che rendono falsa l’affermazione.

� � 1.� Il�lavoro�dello�scrittore�è�fatto�sia�di�libertà�sia�di�disciplina.� V  F

� � 2.� �Ideazione�di�una�storia�e�scrittura�sono�naturalmente�collegate:la�scrittura�sorge�spontanea�dall’ideazione.� V  F

� � 3.� �Nel�momento�della�scrittura�lo�scrittore�tende�ad�astrarsidalla�realtà�che�lo�circonda�per�immergersi�nel�mondo�che�sta�creando.� V  F

� � 4.� �Un�vero�scrittore�trova�subito�la�soluzione�migliore�per�la�storiache�sta�scrivendo�e�quasi�mai�riscrive�una�pagina�di�un�romanzo�o�di�un�racconto.� V  F

� � 5.� Scrivere�è�un’attività�creativa�che�assorbe�molta�energia.� V  F

� � 6.� �Leggere�consapevolmente�significa�essere�uno�specialistadella�lettura�e�della�letteratura.� V  F

� � 7.� Scrivere�è�un’esperienza�attiva,�leggere�è�un’esperienza�passiva.� V  F

� � 8.� Ci�sono�posizioni�che�migliorano�l’esperienza�e�il�lavoro�della�lettura.� V  F

� � 9.� Essere�lettori�è�un�dovere,�perché�leggere�aiuta�a�scrivere�bene.� V  F

� 10.� �Partecipare,�attraverso�la�lettura,�al�lavoro�creativo�dello�scrittorepuò�essere�faticoso�anche�quando�risulta�interessante�e�piacevole.� V  F

B �Rispondi alle seguenti domande, facendo riferimento ai testi che hai letto in questa Unità.

� 11.� �Quali�scelte�deve�compiere�lo�scrittore�mentre�scrive�un�racconto�o�un�romanzo?

� 12.� �In�che�senso�si�può�parlare�di�«lavoro�del�lettore»?

� 13.� �Le�letture�obbligate�e�gli�esercizi�scolastici�allontanano�necessariamente�dalla�lettura?

� 14.� �Che�cosa�è�necessario�per�essere�lettori�consapevoli?

� 15.� �Gli� scrittori� hanno� familiarità� con� l’esperienza� della� lettura?� Gli� scrittori,� cioè,� sono� anche�lettori?

Totale punti

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verifica SOMMaTiva NarraTiva 2.1 cONOSceNze

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Narrativa e testi non letterari 9 volume A sezione 2 unità 1

1.   parecchio ingrato: sgradevole.2.   Jacques e Pierre: Jacques è il nome del protagonista, Pierre è

un suo amico; più avanti sono nominati solo con le iniziali.3.   canone: quota di iscri zione; la ricevuta dell’affitto serviva a

garantire che la persona abitava in città e a conoscerne l’in-dirizzo.

4.   ingordi: che vogliono mangiare troppo e troppo in fretta.5.   nitidi: chiari.

Albert Camus

LA BIBLIOTECAIl primo uomo, 1974 Lingua originale francese

Nel romanzo postumo Il primo uomo lo scrittore francese Albert Camus rievoca nel personaggio di Jacques la propria infanzia trascorsa ad Algeri nei primi decenni del Novecento. Uno dei ricordi più intensi è quello della biblioteca cittadina, dove andava o prendere i libri delle sue prime letture.La biblioteca riemerge nella sua memoria come un luogo carico di magia e di sogni.

La biblioteca apriva tre sere la settimana, compreso il giovedì, dopo l’orario di lavoro e tutto il giovedì mattina. Una giovane maestra, dal fisico parecchio ingrato1, che dedicava gratuitamente alla biblioteca alcune ore del proprio tempo, sedeva a un tavolo di legno bianco piuttosto grande e si occupava dei libri destinati al prestito. Era una stanza quadrata, con le pareti interamente coperte di scaffali di legno bianco e di volumi rilegati in tela nera. C’erano anche un tavolino con qualche sedia per chi voleva consultare rapidamente un dizionario, dato che la biblioteca svolgeva soltanto il servizio prestiti, e uno schedario alfabetico che Jacques e Pierre2 non consultavano mai, poiché il loro metodo consisteva nel gironzolare fra gli scaffali, scegliendo un libro in base al titolo o, più raramente, al nome dell’autore, annotandone il numero e riportandolo sulla scheda blu per la richiesta. Per aver diritto al prestito, bastava portare una ricevuta dell’affitto e pagare un piccolo canone3. Si ot-teneva allora una tessera pieghevole sulla quale, oltre che sul registro della giovane maestra, venivano trascritti i titoli dei libri prestati.

La biblioteca conteneva in maggioranza romanzi, molti dei quali erano però vietati ai minori di quindici anni e collocati a parte. E il metodo pu-ramente intuitivo dei due ragazzi non bastava per fare una vera scelta fra i rimanenti. Ma, nelle faccende di cultura, il caso non è il sistema peggiore e, divorando tutto alla rinfusa, i due ingordi4 mandavano giù il meglio insieme al peggio, senza preoccuparsi d’altronde di tenere a mente qualcosa, e in ef-fetti non tenendo a mente quasi nulla, a parte una strana emozione che, col trascorrere delle settimane, dei mesi e degli anni, faceva nascere e crescere in loro tutto un mondo d’immagini e di ricordi che non avevano alcun rappor-to con la realtà quotidiana in cui vivevano, ma non per questo erano meno nitidi5 per questi ardenti ragazzi che vivevano altrettanto intensamente i loro sogni e la propria vita. Il contenuto dei libri era, in fondo, poco importante. Importante era ciò che sentivano entrando nella biblioteca, dove non vedeva-no pareti di libri neri, ma uno spazio e una molteplicità di orizzonti che, sin

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verifica SOMMaTiva NarraTiva 2.1 cOMpeTeNze di leTTura

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Narrativa e testi non letterari 10 volume A sezione 2 unità 1

  6.   boulevard: viale; il termine è francese, in quanto l’Algeria è stata colonia francese sino al 1962.

  7.   platani: alti alberi dall’ampia chioma, tipici dei viali citta-dini.

  8.   spigolandone  qualche  frase: leggendo qualche frase a caso qua e là; spigolare significa raccogliere le spighe che sono ri-maste qua e là sul campo dopo lo mietitura.

  9.   tela cerata: tela plastificata che ricopriva il tavolo.10.   in modo grossolano: con uno stile poco raffinato, non ele-

gante.11.   pâté di sogni: insieme confuso di molti sogni; il pâté in Fran-

cia è in genere un pasticcio di carni diverse.

12.   andanti: di poco valore e di poco prezzo; Nelson e Fasquelle sono due case editrici.

13.   [mantenute]: la parentesi quadrata indica un intervento del curatore dell’opera, che ha inserito questa parola non presen-te o forse indecifrabile nel testo; il romanzo infatti è tratto da un manoscritto incompiuto dell’autore, che è morto in un incidente d’auto, ed è stato pubblicato postumo.

14.   ebbrezza: esaltazione simile a quella provocata da un’ubria-catura.

15.   intossicato: avvelenato, ma anche dipendente, come se il li-bro fosse una specie di droga.

dalla soglia, li portavano lontano dalla vita limitata del quartiere. Veniva poi il momento in cui, muniti entrambi dei due volumi ai quali avevano diritto, e stringendoseli forte al fianco con il gomito, percorrevano il boulevard6, a quell’ora ormai buio, schiacciando sotto i piedi i frutti dei platani7, pregu-stando le delizie che avrebbero cavato dai nuovi libri e paragonandoli a quelli della settimana precedente, finché, arrivati sulla strada principale, comincia-vano ad aprirli alla luce incerta del primo lampione, spigolandone qualche frase8 (per esempio: «Era di un vigore poco comune») che rafforzava la loro avida e gioiosa aspettativa. Si lasciavano in fretta e correvano nelle rispettive sale da pranzo per aprire il libro sulla tela cerata9, sotto la lampada a petrolio. Un forte odore di colla si levava dalla rozza rilegatura che raspava loro le dita.

Il modo in cui era stampato il libro diceva già al lettore quale piacere ne avrebbe tratto. P. e J. non amavano le composizioni larghe con ampi margini, di cui si compiacciono gli autori e i lettori raffinati, ma le pagine fitte di carat-teri piccoli che si susseguivano in righe compatte, piene sino all’orlo di parole e di frasi, come quegli enormi piatti campagnoli in cui si può mangiare molto e a lungo senza arrivare mai alla fine, i soli in grado di soddisfare certi enor-mi appetiti. Non sapevano che farsene delle raffinatezze, non sapevano nulla e volevano conoscere tutto. Importava poco che il libro fosse scritto male e composto in modo grossolano10, purché fosse chiaro e pieno di vita violenta; erano quelli i soli che fornissero loro dei pâté di sogni11, sui quali avrebbero poi potuto dormire sonni pesanti.

Ogni volume, inoltre, aveva un suo odore che dipendeva dalla carta su cui era stampato, un odore sottile, segreto, ma così particolare che J. sarebbe sta-to in grado di distinguere a occhi chiusi un volume della collezione Nelson dalle edizioni andanti12 che pubblicava allora Fasquelle.

E ognuno di questi odori, ancor prima che cominciasse la lettura, traspor-tava Jacques in un altro universo pieno di promesse già [mantenute]13 che co-minciava a oscurare la stanza in cui lui si trovava, a cancellare l’intero quar-tiere con i suoi rumori e la città e il mondo, destinati a sparire del tutto non appena si fosse messo a leggere con un’avidità folle, raggiungendo un’ebbrez-za14 totale dalla quale neanche ordini ripetuti sarebbero riusciti a scuoterlo. «Jacques, prepara la tavola, te lo dico per la terza volta.» Preparava allora la tavola, con uno sguardo vuoto e spento, un po’ stravolto, come intossicato15 dalla lettura, e tornava poi al libro come se non se ne fosse mai distaccato. «Jacques, mangia», e lui si decideva finalmente a mangiare un cibo che, per quanto robusto, gli sembrava meno reale e meno solido di quello che trovava nei libri, poi sparecchiava e riprendeva a leggere. A volte gli si avvicinava la madre, prima di andare a sedersi nel suo angolo. «È la biblioteca» diceva.

A. Camus, Il primo uomo, trad. E. Capriolo, Bompiani, Milano 1994

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Narrativa e testi non letterari 11 volume A sezione 2 unità 1

verificare le competenze

analizzare e comprendere

1.� In�che�modo�Jacques�e�Pierre�scelgono�i�libri?

2.�Che�cosa�rappresenta�la�biblioteca�per�i�due�ragazzi?

3.� �I�libri�sono�per�Jacques�un�vero�e�proprio�cibo,�un�cibo�per�la�fantasia�quasi�in�grado�di�sostituire�il�cibo�reale.�Individua�nel�testo�le�espressioni�che�sottolineano�questo�concetto.

4.��Jacques�ha�con�i�libri�anche�un�rapporto�di�tipo�fisico;�essi�sono�cioè�degli�oggetti�con�caratteristiche�fisi-che�che�colpiscono�i�sensi�del�ragazzo.�Individua�quali�sensi�sono�coinvolti�nel�rapporto�di�Jacques�con�i�libri.

5.�Quali�sono�gli�effetti�della�lettura�su�Jacques?•� Sottolinea�le�espressioni�del�testo�che�confermano�la�tua�risposta.

6.�Che�cosa�vuol�dire�la�madre�di�Jacques�con�le�parole�«È�la�biblioteca»?

riflettere

7.� �Secondo�te�perché�i�due�ragazzi�amavano�non�le�pagine�stampate�in�modo�chiaro�ed�elegante�ma�«le�pagine�fitte�di�caratteri�piccoli�che�si�susseguivano�in�righe�compatte»?

8.�Perché�secondo�te�i�romanzi�hanno�un�effetto�così�forte�su�Jacques?

9.� �Questa�pagina�ha�un�valore�autobiografico:�nel�personaggio�di�Jacques�lo�scrittore�Albert�Camus�ritrae�se�stesso�da�adolescente.�Quale�significato�può�aver�avuto�l’esperienza�descritta�nel�testo�per�la�successiva�attività�di�scrittore�di�Camus?•� Conosci�un�altro�testo�in�cui�l’esperienza�della�lettura�si�riveli�importante�per�uno�scrittore?

Scrivere

10.� �Scrivi�un�testo�di�almeno�150�parole�sul�seguente�argomento:�«I libri, luogo di incontro fra scrittori. E lettori».�Cita�nel�testo�almeno�un�altro�autore�fra�quelli�di�cui�hai�letto�un�brano.

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Narrativa e testi non letterari 12 volume A sezione 2 unità 3

a Facendo riferimento a quanto hai imparato in questa Unità, indica se le seguenti affermazioni sono vere o false e sottolinea le parole che rendono falsa l’affermazione.

� 1.� �In�narratologia�il�termine�discorso�indica�il�modo�in�cui�una�storia�è�narrata.� V  F

� 2.� �In�narratologia�il�termine�storia�indica�come�una�vicenda�è�narrata.� V  F

� 3.� �La�serie�degli�eventi�e�delle�azioni,�quello�che�succede�nella�storia,�si�chiama�intreccio.� V  F

� 4.� �L’invenzione�dei�fatti�appartiene�al�livello�della�storia.� V  F

� 5.� �Al�livello�del�discorso�appartiene,�per�esempio,�la�scelta�di�come�ordinare�i�fatti.� V  F

� 6.� �Le�scelte�relative�alla�rappresentazione�dei�fatti�nel�tempoappartengono�al�livello�del�discorso.� V  F

� 7.� �La�concatenazione�dei�fatti�in�un�romanzo�o�in�un�raccontosegue�necessariamente�la�fabula.� V  F

� 8.� �L’utilizzo�di�alcune�tecniche�narrative�permette�all’autoredi�creare�effetti�diversi�nella�presentazione�dello�scorrere�del�tempo.� V  F

B �Inserisci in ognuna delle affermazioni seguenti il termine corretto, scegliendolo tra quelli elencati sotto.

�   9.� �La�successione�lineare,�cronologica,�dei�fatti�narrati�in�una�storia�si�chiama��. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

� 10.� Ogni�scrittore�può�raccontare�una�medesima�fabula,�con�un�diverso�. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

� 11.� �La�tecnica�narrativa�per�cui�il�narratore�interrompe�la�narrazione�dei�fatti�per�tornare�indietro�nel�tempo,�a�vicende�avvenute�in�un�passato�più�o�meno�lontano�dal�presente�narrato,�si�chia-ma�.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

� 12.� �Con�la�tecnica�narrativa�chiamata�. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �vengono�presentati�nella�narrazio-ne�fatti�che�riguardano�sviluppi�della�vicenda�che�non�sono�ancora�accaduti.

� 13.� �Quando�il�narratore�«salta»�un�periodo�di�tempo�della�storia,�si�dice�che�nel�testo�c’è�una�. . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

� 14.� �In�una�narrazione,�rispetto�alla�presentazione�del�tempo�una�descrizione�costituisce�una�. . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

� 15.� �In�una�. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �il�tempo�della�storia�e�il�tempo�del�racconto�coincidono.

retrospezione�•�fabula�•�scena�•�ellissi�•�pausa�•�intreccio�•�anticipazione

Totale punti

. . . . . . / 8

. . . . . . / 7

. . . . . . / 15

verifica SOMMaTiva NarraTiva 2.3 cONOSceNze

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Narrativa e testi non letterari 13 volume A sezione 2 unità 3

Niccolò Ammaniti

LA PENTOLA CON LE MELE ROSSEIo non ho paura, 2001

Questo brano è tratto dal romanzo più noto di Niccolò Ammaniti. Il protagonista è Michele Amitrano, un ragazzino di nove anni che vive in un paesino di campagna, in una zona non precisata del Sud dell’Italia. Nell’estate torrida del 1978, mentre gira con gli amici per i campi bruciati dal sole, Michele scopre un segreto terribile: in una casa diroccata, in fondo a un buco, è nascosto un bambino. Michele si trova ad affrontare la paura, il rischio e la scoperta della brutalità del mondo degli adulti. La storia è narrata in prima persona: il narratore interno è Michele, adulto, che ricorda l’esperienza vissuta da bambino.Dal romanzo è stato tratto un film che ha ottenuto un notevole successo di critica e di pubblico.

La mattina mi sono svegliato tranquillo, non avevo fatto sogni brutti. Sono rimasto un po’ a letto, a occhi chiusi, ad ascoltare gli uccelli. Poi ho comincia-to a rivedere il bambino1 che si sollevava e allungava le braccia.

– Aiuto! – ho detto.Che stupido! Per quello si era alzato. Mi chiedeva aiuto e io ero scappa-

to via.Sono uscito in mutande dalla stanza. Papà stava avvitando la macchinetta

del caffè. Il padre di Barbara2 era seduto a tavola.– Buon giorno, – ha detto papà. Non era più arrabbiato.– Ciao, Michele, – ha detto il padre di Barbara. – Come stai?– Bene.Pietro Mura era un uomo basso e tozzo, con un paio di baffoni neri che gli

coprivano la bocca e un testone quadrato. Indossava un completo nero con le righine bianche e sotto la canottiera. Per tanti anni aveva fatto il barbiere a Lucignano3, ma gli affari non erano mai andati bene e quando avevano aper-to un nuovo salone con la manicure e i tagli moderni aveva chiuso bottega e ora faceva il contadino. Ma ad Acqua Traverse lo continuavano a chiamare il barbiere.

Se ti dovevi tagliare i capelli andavi a casa sua.Ti faceva sedere in cucina, al sole, accanto alla gabbia con i cardellini, apri-

va un cassetto e tirava fuori un panno arrotolato, dentro ci teneva i pettini e le forbici ben oliate.

Pietro Mura aveva le dita grosse e corte come sigari toscani che entravano appena nelle forbici, e prima di cominciare a tagliare allargava le lame e te le

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1.   il  bambino: il giorno prima Michele aveva scoperto che in una casa diroccata, in cam-pagna, era nascosto un bambino. In casa non aveva parlato di questa inquietante scoperta.

2.   Barbara: una bambina del gruppo dei com-pagni di giochi di Michele. Pietro Mura è suo padre.

3.   Lucignano: piccolo paese in una zona indefi-nita del Sud dove è ambientata la storia. Acqua Traverse è la frazione dove abita Michele. In Italia esiste un paese di nome Lucignano, ma è in provincia di Arezzo, in Toscana. Esiste an-che una via Acqua Traverse, a Roma. I paesi del Sud indicati nel romanzo sono immaginari.

verifica SOMMaTiva NarraTiva 2.3 cOMpeTeNze di leTTura

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Narrativa e testi non letterari 14 volume A sezione 2 unità 3

4.   rabdomante: chi cerca acqua, metalli o ogget-ti nascosti sotto terra usando una bacchetta biforcuta.

5.   tazzine buone: il servizio da tazzine di caffè che si usava solo quando c’era un ospite.

6.   Con  il  buco  al  centro: rasatura circolare in cima alla testa che avevano i sacerdoti e i frati. Oggi non è più richiesta dalle regole ecclesia-stiche.

7.   Maria: la sorellina di Michele.

  8.   Il Teschio: uno degli amici di Michele, come Salvatore e Remo.

  9.   Zoff: il famoso portiere della Nazionale di calcio fra gli anni Settanta e gli anni Ottanta.

10.   smarcato…  bordata: termini del linguag-gio calcistico: smarcarsi significa sfuggire al «marcamento» di un avversario che cerca di ostacolare un attaccante; una bordata è un tiro molto forte, come un colpo sparato da tutti i cannoni del fianco (bordo) di una nave.

passava sulla testa, avanti e indietro, come un rabdomante4. Diceva che in quel modo poteva sentirti i pensieri, se erano buoni o cattivi.

E io, quando faceva cosi, cercavo di pensare solo a cose belle come i gelati, le stelle cadenti o a quanto volevo bene a mamma.

Mi ha guardato e ha detto: – Che vuoi fare, il capellone?Ho fatto segno di no con la testa.Papà ha versato il caffè nelle tazzine buone5.– Ieri mi ha fatto arrabbiare. Se continua cosi lo mando dai frati.Il barbiere mi ha chiesto: – Lo sai come si tagliano i capelli ai frati?– Con il buco al centro6.– Bravo. Ti conviene ubbidire, quindi.– Forza, vestiti e fai colazione, – mi ha detto papà. Mamma ti ha lasciato il

pane e il latte.– Dov’è andata?– A Lucignano. Al mercato.– Papà, ti devo dire una cosa. Una cosa importante.Si è messo la giacca. – Me la dici stasera. Adesso sto uscendo. Sveglia tua

sorella e scalda il latte. Con un sorso si è finito il caffè.Il barbiere si è bevuto il suo e sono usciti tutti e due di casa.

Dopo aver preparato la colazione a Maria7 sono sceso in strada.Il Teschio8 e gli altri giocavano a calcio sotto il sole.Togo, un bastardino bianco e nero, rincorreva la palla e finiva tra le gambe

di tutti.Togo era apparso ad Acqua Traverse all’inizio dell’estate ed era stato adot-

tato da tutto il paese. Si era fatto la cuccia nel capannone del padre del Te-schio. Tutti gli davano resti ed era diventato un grassone con una pancia gon-fia come un tamburo. Era un cagnolino buono, quando gli facevi le carezze o lo portavi dentro casa si emozionava e si accucciava e faceva pipì.

– Vai in porta, – mi ha urlato Salvatore.Mi ci sono messo. A nessuno piaceva fare il portiere. A me sì. Forse perché

con le mani ero più bravo che con i piedi. Mi piaceva saltare, tuffarmi, roto-larmi nella polvere. Parare i rigori.

Gli altri invece volevano solo fare gol.Quella mattina ne ho presi tanti. La palla mi sfuggiva o arrivavo tardi. Ero

distratto.Salvatore mi si è avvicinato. – Michele, che hai? – Che ho?– Stai giocando malissimo.Mi sono sputato nelle mani, ho allargato le braccia e le gambe e ho stretto

gli occhi come Zoff9. – Adesso paro. Paro tutto.Il Teschio ha smarcato Remo, ha sparato una bordata10 tesa e centrale. Una

palla forte, ma facile, di quelle che si possono respingere con un pugno, op-pure stringere contro la pancia. Ho provato ad afferrarla ma mi è schizzata dalle mani.

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Narrativa e testi non letterari 15 volume A sezione 2 unità 3

11.   La collina: la collina in cima alla quale si tro-va la casa diroccata dove è tenuto prigioniero il bambino che Michele ha visto.

12.   chiostrina: piccolo spazio scoperto.

Gol! – ha urlato il Teschio, e ha sollevato un pugno in aria come se avesse segnato contro la Juventus.

La collina11 mi chiamava. Potevo andare. Papà e mamma non c’erano. Ba-stava tornare prima di pranzo.

– Non ho voglia di giocare, – ho detto e me ne sono andato.Salvatore mi ha rincorso. – Dove vai? – Da nessuna parte.– Andiamo a fare un giro?– Dopo. Adesso ho da fare una cosa.

Ero scappato e avevo lasciato tutto così.La lastra buttata da una parte insieme al materasso, il buco scoperto e la

corda che ci pendeva dentro.Se i guardiani del buco erano venuti, avevano visto che il loro segreto era

stato scoperto e me l’avrebbero fatta pagare.E se non c’era più?Dovevo farmi coraggio e guardare. Mi sono affacciato.Era arrotolato nella coperta.Mi sono schiarito la voce. – Ciao… Ciao… Ciao… Sono quello di ieri. Sono

sceso, ti ricordi?Nessuna risposta.– Mi senti? Sei sordo? – Era una domanda stupida. – Stai male? Sei vivo?Ha piegato il braccio, ha sollevato una mano e ha bisbigliato qualche cosa.– Come? Non ho capito.– Acqua.– Acqua? Hai sete?Ha sollevato il braccio. – Aspetta.Dove la trovavo l’acqua? C’erano un paio di secchi per la vernice, ma erano

vuoti. Nel lavatoio ce n’era un po’, ma era verde e pullulava di larve di zan-zara.

Mi sono ricordato che quando ero entrato dentro per prendere la corda avevo visto un bidone pieno d’acqua.

– Torno subito, – gli ho detto, e mi sono infilato nella chiostrina12 sopra la porta.

Il bidone era mezzo pieno, ma l’acqua era limpida e non aveva odore. Sem-brava buona.

In un angolo buio, sopra un asse di legno, c’erano dei barattoli, dei moz-ziconi di candela, una pentola e delle bottiglie vuote. Ne ho presa una, ho fatto due passi e mi sono fermato. Sono tornato indietro e ho preso in mano la pentola.

Era una pentola bassa, smaltata di bianca, con il bordo e i manici dipinti di blu e intorno c’erano disegnate delle mele rosse ed era uguale a quella che avevamo noi a casa. La nostra l’avevamo comprata con la mamma al mercato di Lucignano, l’aveva scelta Maria da un mucchio di pentole sopra un banco perché le piacevano le mele.

Questa sembrava più vecchia. Era stata lavata male, sul fondo c’era ancora un po’ di roba appiccicata. Ci ho passato l’indice e l’ho avvicinato al naso.

Salsa di pomodoro.L’ho rimessa a posto e ho riempito la bottiglia d’acqua e l’ho chiusa con un

tappo di sughero, ho preso il cestino e sono uscito fuori.

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Narrativa e testi non letterari 16 volume A sezione 2 unità 3

Ho afferrato la corda, ci ho legato il cestino e ci ho poggiato dentro la bot-tiglia.

– Te la calo, – ho detto. – Prendila.Con la coperta addosso, a tentoni, ha cercato la bottiglia nel cestino, l’ha

stappata e l’ha versata nel pentolino senza farne cadere neanche un po’, poi l’ha rimessa nel paniere e ha dato uno strattone alla corda.

Come una cosa che faceva sempre, tutti i giorni. Siccome non me la ripren-devo ha dato un secondo strattone e ha grugnito qualcosa arrabbiato.

Appena l’ho tirata su, ha abbassato la testa e senza sollevare il pentolino ha cominciato a bere, a quattro zampe, come un cane. Quando ha finito si è accoccolato da una parte e non si è più mosso.

Era tardi.– Allora… Ciao –. Ho coperto il buco e me ne sono andato. Mentre pedala-

vo verso Acqua Traverse, pensavo alla pentola che avevo trovato nella cascina.Mi sembrava strano che era uguale alla nostra.Non lo so, forse perché Maria aveva scelto quella tra tante. Come se fosse

speciale, più bella, con quelle mele rosse.Sono arrivato a casa giusto in tempo per il pranzo.

N. Ammaniti, Io non ho paura, Einaudi, Torino 2001

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verificare le competenze

analizzare e comprendere

1.� Individua�nel�testo�i�connettivi�temporali.•� Quale�arco�di�tempo�copre�la�narrazione?

2.� Individua�nel�testo�un’ellissi.

3.� Individua�nel�testo�una�pausa.

4.�Individua�nel�testo�una�scena.

5.� �Nel�testo�sono�presenti�alcune�brevi�retrospezioni;�la�prima�si�riferisce�a�Pietro�Mura:�il�narratore�ricorda�che�«per�tanti�anni�aveva�fatto�il�barbiere�a�Lucignano,�ma�gli�affari�non�erano�mai�andati�bene�e�quando�avevano�aperto�un�nuovo�salone�con�la�manicure�e�i�tagli�moderni�aveva�chiuso».�Individua�nel�testo�le�altre�due�retrospezioni.

6.�Michele�parla�con�gli�amici�di�quanto�gli�è�successo?

riflettere

7.� Che�cosa�spinge�Michele�a�tornare�nel�posto�dove�è�tenuto�nascosto�il�bambino?

8.� �Michele�sta�vivendo�un’esperienza�molto�impegnativa�per�i�suoi�nove�anni.�Ne�parla�con�qualcuno?�Vor-rebbe�parlarne?�Che�riflessioni�suggerisce�sui�suoi�rapporti�con�gli�altri�il�fatto�che�scelga�di�parlarne�o�di�non�parlarne?

9.�Quale�delle�retrospezioni�è�più�importante,�secondo�te,�nella�storia?�Perché?

Scrivere

10.� Riscrivi�questa�storia�in�una�narrazione�di�circa�250�parole,�presentata�da�un�narratore�esterno.

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Narrativa e testi non letterari 17 volume A sezione 2 unità 4

verifica SOMMaTiva NarraTiva 2.4 cONOSceNze

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cognome nome classe data

a Facendo riferimento a quanto hai imparato in questa Unità, indica se le seguenti affermazioni sono vere o false e sottolinea le parole che rendono falsa l’affermazione.

� 1.� Il�narratore�è�colui�che�narra�la�storia.� V  F

� 2.� �Nei�racconti�in�cui�la�storia�è�narrata�in�prima�personail�narratore�coincide�con�l’autore.� V  F

� 3.� �La�scelta�di�un�narratore�interno�serve�anche�a�rendere�più�credibile�la�storia�narrata.� V  F

� 4.� �Una�focalizzazione�zero�consente�al�narratore�di�intervenire�nella�narrazionecon�commenti�e�giudizi�personali.� V  F

� 5.� �La�focalizzazione�esterna�non�può�essere�usata�da�un�narratore�interno.� V  F

� 6.� �La�presenza�di�un�doppio�narratore�serve�sempre�a�rendere�la�storia�più�credibile.� V  F

� 7.� �In�un�testo�con�focalizzazione�esterna�il�narratore�può�avere�conoscenze�minoririspetto�a�quelle�dei�personaggi.� V  F

� 8.� �Un�narratore�interno�adotta�sempre�una�focalizzazione�interna.� V  F

B �Rispondi alle seguenti domande, facendo riferimento ai testi che hai letto in questa Unità (anche ongline).

�   9.� Quale�effetto�ha�ottenuto�Primo�Levi�adottando�nel�suo�racconto�una�focalizzazione�interna?

� 10.� �Quali�conoscenze�in�più�ha�un�narratore�onnisciente�rispetto�ai�personaggi?�Rispondi�facendo�riferimento�al�testo�di�Alessandro�Manzoni.

� 11.� �In�una�narrazione�con�focalizzazione�esterna,�quali�conoscenze�può�avere�il�personaggio�che�il�narratore�non�ha?

� 12.� �In�quale�dei�testi�letti�è�evidente�che�autore�e�narratore�non�possono�coincidere?

Totale punti

. . . . . . / 8

. . . . . . / 12

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Narrativa e testi non letterari 18 volume A sezione 2 unità 4

1.   Abbasso: al piano inferiore.2.   lambire: sfiorare.3.   dirigibili: aeromobili di forma affusolata che,

come i palloni e le mongolfiere, son sollevati grazie a una miscela di idrogeno ed elio.

4.   sguardate furtive: occhiate rapide date quasi di nascosto; il termine sguardata è oggi disusato.

Fu la peggior alzata di tutti i secoli della mia infanzia. Quando la zia salì alla mia camera sottotetto e mi svegliò, io mi sentivo come se avessi chiusi gli occhi solo un attimo prima, e non c’ è risveglio peggiore di questo per un bambino che non abbia davanti a sé una sua festa o un bel viaggio promesso.

La pioggia scrosciava sul nostro tetto e sul fogliame degli alberi vicini, la mia stanza era scura come all’alba del giorno.

Abbasso1, mio cugino stava abbottonandosi la tonaca sul buffo costu me che i preti portano sotto la veste nera e la sua faccia era tale che ancor oggi è la prima cosa che mi viene in mente quando debbo pensare a nausea maligna. Mia zia, lei stava sull’uscio, con le mani sui fianchi, a guardar fuori, ora al cie-lo ora in terra. Andai semisvestito dietro di lei a guardar fuori anch’io e vidi, in terra, acqua bruna lambire2 il primo scalino della no stra porta e in cielo, dietro nubi nere e gonfie come dirigibili3 ormeggiati agli alberi sulla cresta della collina dirimpetto. Mi ritirai con le mani sulle spalle e la zia venne ad aiutarmi a vestirmi con movimenti decisi. Ricordo che non mi fece lavare la faccia.

Adesso mio cugino prete stava girandosi tra le mani il suo cappello e dava fuori sguardate furtive4, si sarebbe detto che non voleva che sua madre lo sor-prendesse a guardar fuori in quella maniera. Ma lei ce lo sorprese e gli disse con la sua voce per me indimenticabile: «Mettiti pure il cappello in te sta, ché andiamo. Credi che per un po’ d’acqua voglio perdere un pranzo di sposa?».

«Madre, questo non è un po’ d’acqua, questo è tutta l’acqua che il cie lo può versare in una volta. Non vorrei che l’acqua c’entrasse in casa con tutti i danni che può fare, mentre noi siamo seduti a un pranzo di sposa».

Lei disse: «Chiuderò bene».«Non vale chiuder bene con l’acqua, o madre!».

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Beppe Fenoglio

PIOGGIA E LA SPOSAI ventitré giorni della città di Alba, 1952

Nel racconto un narratore adulto ricorda un episodio della propria infanzia e traccia un ritratto dai con-torni perfetti del mondo contadino e della sua realtà economica. Agli occhi del bambino quel lungo cammino sotto la pioggia, per andare con la zia a un pranzo di nozze, appare una tortura incomprensibile; una volta adulto però egli è in grado di leggere nell’episodio e nella determinazione della zia tutta la miseria della vita in campagna.Il racconto trova quindi il suo significato proprio nell’incontro tra questi due sguardi: quello del protago-nista bambino e quello del narratore adulto.

verifica SOMMaTiva NarraTiva 2.4 cOMpeTeNze di leTTura

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cognome nome classe data

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Narrativa e testi non letterari 19 volume A sezione 2 unità 4

«Non è l’acqua che mi fa paura e non è per lei che voglio chiudere bene. Chiuderò bene perché ci sono gli zingari fermi coi loro cavalli sotto il portico del Santuario. E anche per qualcun altro5 che zingaro non è, ma cri stiano».

Allora il prete con tutt’e due le mani si mise in testa il suo cappello nero. Nemmeno lui, nemmeno stavolta, l’aveva spuntata con sua madre, mia zia. Era (perché da anni si trova nel camposanto di San Benedetto6 e io posso sempre, senza sforzo di memoria, vedere sottoterra la sua faccia con le labbra premute) era una piccolissima donna, tutta nera, di capelli d’occhi e di vesti, ma io debbo ancora incontrare nel mondo il suo eguale7 in fatto di forza d’imperio e di immutabile coscienza del maggior valore dei propri pensieri a confronto di quelli altrui. Figurarsi che con lei io, un bambino di allora sette anni, avevo presto perduto il senso di quel diritto all’indulgenza di cui fanno tanto e quasi sempre impunito uso tutti i bambini. Devo però ricordare che la zia non mi picchiò mai, nemmeno da principio quando, per non conoscerla ancor bene, non temevo di peccare contro i suoi comandamenti; suo figlio il prete sì, più d’una volta mi picchiò, facendomi un vero male.

Non si aveva ombrelli, ce n’era forse uno di ombrelli in tutto il paese. La zia mi prese per un polso e mi calò giù per i gradini fino a che mi trovai nell’acqua fangosa alta alle caviglie, e lì mi lasciò per risalire a chiudere bene. La pioggia battente mi costringeva a testa in giù e mi prese una vertigine per tutta quell’acqua che mi passava grassa e pur rapida tra le gambe. Guardai su a mio cugino e verso lui tesi una mano perché mi sostenesse. Ma lui stette a fissarmela un po’ come se la mia mano fosse una cosa fenomena le, poi par-ve riscuotersi e cominciò ad armeggiare per tenersi la tonaca alta sull’acqua con una sola mano e reggermi con l’altra, ma prima che ci fosse riuscito la zia era già scesa a riprendermi. Poi anche il prete strinse un mio polso e così mi trainavano avanti. A volte mi sollevavano con uno sforzo concorde e mi facevano trascorrere sull’acqua per un breve tratto, e io que sto non lo capivo, fosse stato per depositarmi finalmente sull’asciutto, ma mi lasciavano rica-dere sempre nell’acqua, spruzzando io così più fanghiglia e più alta sulle loro vesti nere.

Mio cugino parlò a sua madre sopra la mia testa: «Forse era meglio che il bambino lo lasciavamo a casa».

«Perché? Io lo porto per fargli un regalo. Il bambino non deve avercela con me perché l’ho uscito8 con quest’acqua, perché io lo porto a star be ne, lo porto a un pranzo di sposa. E un pranzo di sposa deve piacergli, an che se lui viene dalla città». Poi disse a me: «Non è vero che sei contento di andarci anche con l’acqua?» ed io assentii chinando il capo.

Più avanti, la pioggia rinforzava ma non poteva farci più danno a noi e ai nostri vestiti di quanto non n’avesse già fatto, io domandai cauto alla zia dov’era la casa di questa sposa che ci dava il pranzo. «Cadilù» rispose breve la zia, e io trovai barbaro il nome di quel posto sconosciuto come così barbari più non ho trovati i nomi d’altri posti barbaramente chiamati.

La zia aveva poi detto: «Prendiamo per i boschi».Scoccò il primo fulmine, detonando9 così immediato e secco che noi tre

ristemmo come davanti a un improvviso atto di guerra. «Comincia proprio sulle nostre teste» disse il prete rincamminandosi col mento sul petto.

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5.   qualcun  altro: qualche ladruncolo, che non ne cessariamente deve essere uno zingaro.

6.   San  Benedetto: San Benedetto Belbo è un pae se del Piemonte a sud di Alba; Cadilù, dove sono diretti i protagonisti, è una sua fra-zione.

7.   il suo eguale: qualcuno che le somigli per au-

torità (imperio), convinzione di essere miglio-re degli altri.

8.   l’ho  uscito: l’ho fatto uscire; l’uso transitivo del verbo è dialettale.

9.   detonando: facendo un rumore molto forte, simile a quello di un’esplosione o detonazione. Per la paura i tre si fermarono (ristemmo).

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Narrativa e testi non letterari 20 volume A sezione 2 unità 4

Dal margine del bosco guardando giù al piano si vedeva il torrente strari-pare, l’acqua scavalcava la proda come serpenti l’orlo del loro cesto.

A quella vista mio cugino mise fuori un gran sospiro, la zia scattò la testa a guardarlo ma poi non gli disse niente, diede invece uno strattone al mio polso.

Lassù i lampi s’erano infittiti, in quel fulminìo, noi arrancavamo per un lucido sentiero scivoloso. Per quanto bambino, io sapevo per sentito dire da mio padre che il fulmine è più pericoloso per chi sta o si muove sotto gli al-beri, così incominciai a tremare ad ogni saetta, finii col tremare di conti nuo, e i miei parenti non potevano non accorgersene attraverso i polsi che sempre mi tenevano.

Dopo un tuono, la zia comandò a suo figlio: «Su, di’ una preghiera per il tempo, una che tenga il fulmine lontano dalle nostre teste».

Io m’atterrii quando il prete le rispose gridando: «E che vuoi che serva la preghiera!» mettendosi poi a correr su per il sentiero, come scappando da noi.

«Figlio!» urlò la zia fermandosi e fermandomi: «Adesso sì che il fulmine cadrà su noi! Io lo aspetto, guardami, e sarai stato tu…!».

«No no, madre, io la dirò!» gridò lui tornando a salti giù da noi «la di rò con tutto il cuore e con la più ferma intenzione. E mentre io la dico tu aiutami con tutto lo sforzo dell’anima tua. Ma…» balbettava, «io non so che preghiera dire… che si confaccia10…».

Lei chiuse gli occhi, alzò il viso alla pioggia e a bassa voce disse come a se stessa: «Il Signore mi castigherà, il Signore mi darà l’inferno per l’ambi zione che ho avuta di metter mio figlio al suo servizio e il figlio che gli ho dato è un indegno senza fede che non crede nella preghiera e così nemmeno sa le preghiere necessarie». Poi gli gridò: «Recita un pezzo delle rogazioni11!» e si mosse trascinandomi.

Dietro ci veniva il prete con le mani giunte e pregando forte in latino, ma nemmeno io non credevo al buon effetto della sua preghiera, perché la sua voce era piena soltanto di paura, paura soltanto di sua madre. E lei alla fine gli disse: «Se il fulmine non ci ha presi è perché di lassù il Signore ha visto tra noi due questo innocente» e suo figlio chinò la testa e le mani disintrecciate12 andarono a sbattergli contro i fianchi.

Eravamo usciti dal bosco e andavamo incontro alle colline, ma il mio cuore non s’era fatto men greve13, perché quelle colline hanno un aspetto cat tivo an-che nei giorni di sole. Da un po’ di tempo la zia mi fissava la testa,ora io me la sentivo come pungere dal suo sguardo frequente. Non reggen doci più alzai il viso al viso di mia zia, e vidi che gli occhi di lei insieme con la sua mano sfio-ravano i miei capelli fradici, e la sua mano era distesa e te nera stavolta come sempre la mano di mia madre, e pure gli occhi mi appa rivano straordinaria-mente buoni per me, e meno neri. Allora mi sentii dentro un po’ di calore ed insieme una voglia di piangere. Un po’ piansi, in si lenzio, da grande, dovevo solo badare a non singhiozzare, per il resto l’ac qua irrorava la mia faccia.

La zia disse a suo figlio: «Togliti il cappello e daglielo a questo povero bam-bino, mettiglielo tu bene in testa».

Era chiaro che lui non voleva, e nemmeno io volevo, ma la zia disse ancora: «Mettigli il tuo cappello, la sua testa è la più debole e ho paura che l’acqua arrivi a toccargli il cervello». Doveva ancor finir di parlare che io vidi tutto nero, perché il cappello m’era sceso fin sulle orecchie, per la lar ghezza e per

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10.   si confaccia: che sia adatta; l’infinito del ver-bo è confarsi.

11.   rogazioni: uno dei canti o delle preghiere che si recitano nelle processioni dell e Rogazioni, fatte per favorire un buon andamento della se-

mina o del raccolto. Il sostantivo rogazione si-gnifica richiesta, dal latino rogare, «chiedere».

12.   disintrecciate: prima erano giunte nell’atto della preghiera.

13.   men greve: meno triste.

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Narrativa e testi non letterari 21 volume A sezione 2 unità 4

14.   maligno: dispettoso.15.   chierica: piccola superficie rasata di forma

rotonda, che i giovani av viati al sacerdozio avevano al sommo della testa.

16.   borborigmo: voce onomatopeica che nel lin guaggio medico indica un gorgoglìo ad-

dominale, provocato da uno sposta mento di gas o liquidi intestinali; qui indica il bron-tolìo lontano del tuono.

17.  sgomenta: incredula e stupita; l’aggettivo è riferito alla persona che dà le notizie sul gio-vane prete.

il gesto maligno14 del prete. Me lo rialzai sulla fronte e mi misi a guardar nascostamente mio cugino: si ostinava a ravviarsi i capelli che la pioggia con-tinuamente gli scomponeva, poi l’acqua dovette dargli un parti colare fastidio sul nudo della chierica15 perché trasportò là una mano e ce la tenne.

Diceva: «A quanto vedo, siamo noi soli per strada. Non vorrei che lassù trovassimo che noi soli ci siamo mossi in quest’acqua per il pranzo, e la fami-glia della sposa andasse poi a dire in giro che il prete e sua madre han no una fame da sfidare il diluvio».

E la zia, calma: «Siamo soli per questa strada perché del paese hanno invi-tato noi soli. Gli altri vanno a Cadilù dalle loro case sulle colline. Ricor dati che dovrai benedire il cibo».

Gli ultimi lampi, io li avvertivo per il riflesso giallo che si accende, prima che altrove sotto l’ala nera del cappello del prete, ma erano lampi ormai lon-tani e li seguiva un tuono come un borborigmo16 del cielo. Invece la pioggia durava forte.

Poi la zia disse che c’eravamo, che là era Cadilù, e io guardai alzando gli occhi e il cappello. Vidi una sola casa su tutta la nuda collina. Bassa storta, era di pietre annerite dall’intemperie, coi tetti di lavagna caricati di sassi perché non li strappi il vento delle colline, con un angolo tutto guasto da un antico incendio, con un’unica finestra e da quella spioveva foraggio. Chi era l’uomo che di là dentro traeva la sua sposa? E quale poteva essere il pranzo nuziale che avremmo consumato fra quelle mura?

Ci avvicinavamo e alla porta si fece una bambina a osservar meglio e ve-niva per dare poi dentro l’avviso: stava all’asciutto e rise forte quando vide il bambino vestito da città arrivare con in testa il cappello del prete. Fu la prima e la più cocente vergogna della mia vita quella che provai per la risata della bambina di Cadilù, e mi strappai di testa il cappello, anche se così facendo scoprivo intero il mio rossore, e malamente lo restituii al prete.

Pioggia e la sposa: non altro che questo mi balzò dalla memoria il giorno ormai lontano in cui da una voce sgomenta17 seppi che mio cugino, il vesco-vo avendolo destinato a una chiesa in pianura e sua madre non potendovelo seguire, una volta solo e lontano dagli occhi di lei, s’era spretato, è lassù in collina mia zia era subito morta per lo sdegno.

B. Fenoglio, I ventitré giorni della città di Alba, Mondadori, Milano 1974

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Narrativa e testi non letterari 22 volume A sezione 2 unità 4

verificare le competenze

analizzare e comprendere

1.� Perché�la�zia�porta�il�bambino�al�pranzo,�nonostante�la�pioggia?

2.� Individua�quali�sensazioni�prova�il�bambino�durante�la�camminata:� –�nei�confronti�della�zia� –�nei�confronti�del�cugino

•� Come�definiresti�l’atteggiamento�del�bambino�nei�loro�confronti?�Spiega�la�tua�risposta.� rassegnazione� � ostilità� � incomprensione� insofferenza� � obbedienza� � ........................................

3.�Cadilù�sembra�un�nome�adatto�a�un�paese�di�fiaba.�Com’è�nella�realtà?

•� Quale�effetto�fa�sul�bambino?

4.��Quali�elementi�del�carattere�della�zia�emergono�dal�testo?�Individuali�e�definisci�quindi�la�zia�con�uno�o�due�aggettivi.

•� Per�quali�motivi�il�cugino�si�è�fatto�prete?

riflettere

5.� Individua,�nelle�prime�sei�righe,�tutti�gli�elementi�che�rimandano�a�un�narratore�interno.

6.� �La�focalizzazione�è�interna:�quali�aspetti�della�gita�vengono�sottolineati�attraverso�lo�sguardo�del�protago-nista�bambino?

7.� Individua�interventi�e�riflessioni�che�appartengono�al�narratore�adulto.•� Il�suo�atteggiamento�nei�confronti�della�zia�e�del�cugino,�secondo�te,�sono�rimasti�uguali�o�sono�cambiati�

con�il�passare�del�tempo?

8.�Perché�il�protagonista�prova�vergogna�alla�risata�della�bambina?

9.� �Quali�aspetti�della�«gita»�sarebbero�emersi�se�fosse�stata�narrata�attraverso�lo�sguardo�del�cugino�prete?�Elencali.�

Scrivere

10.� �Racconta�l’episodio�in�un�testo�(circa�200�parole)�in�cui�la�voce�e�lo�sguardo�siano�quelli�del�cugino�prete.�Puoi�scegliere�se�la�narrazione�avviene�subito�dopo�la�gita�o�anni�dopo,�quando�il�cugino�è�adulto�e�non�più�prete.

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Narrativa e testi non letterari 23 volume A sezione 2 unità 5

a facendo riferimento a quanto hai imparato in questa Unità, indica se le seguenti affermazioni sono vere o false e sottolinea le parole che rendono falsa l’affermazione.

� 1.� �Quando�il�personaggio�viene�introdotto�con�una�presentazione�direttail�narratore�è�esterno�e�la�focalizzazione�è�zero.� V  F

� 2.� �Con�la�presentazione�indiretta�il�narratore�fa�conoscere�il�personaggioattraverso�il�suo�modo�di�comportarsi,�le�parole�che�dice,�le�scelte�che�fa.� V  F

� 3.� �I�personaggi�a�tutto�tondo�sono�sempre�personaggi�dinamici.� V  F

� 4.� �Il�sistema�dei�personaggi�è�l’insieme�dei�rapporti�che�collegano�i�personaggi�fra�loro.� V  F

� 5.� �L’antagonista�è�un�personaggio�che�ostacola�la�realizzazionedei�desideri�e�dei�progetti�del�protagonista.� V  F

� 6.� �In�un�sistema�dei�personaggi�il�ruolo�dei�personaggi�è�fisso.� V  F

� 7.� �Con�il�discorso�raccontato�il�narratore�riassumeil�contenuto�di�un�discorso�tra�i�personaggi.� V  F

� 8.� �Nella�frase�seguente�le�parole�del�personaggio�sono�riportatecon�il�discorso�indiretto�libero:�«Giulia�mi�ha�detto�che�non�si�sarebbe�mai�aspettata�un�simile�atteggiamento�da�parte�tua».� V  F

B �Rispondi alle seguenti domande, facendo riferimento ai testi che hai letto in questa Unità.

� 9.� �Attraverso�quale�tipo�di�presentazione�il�narratore�riesce�secondo�te�a�far�conoscere�meglio�il�personaggio?

10.� �Nella�presentazione�di�Dill� quali� informazioni� ricava� il� lettore�dalle�parole� riportate� con� il�discorso�diretto?

11.� �In�quale�testo�hai�trovato�una�chiara�contrapposizione�fra�protagonista�e�antagonista?

12.� �In�quali�tra�i�testi�letti�sono�presenti�uno�o�più�aiutanti?

Totale punti

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verifica SOMMaTiva NarraTiva 2.5 cONOSceNze

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Narrativa e testi non letterari 24 volume A sezione 2 unità 5

William Somerset Maugham

LA SIGNORA GARSTINIl velo dipinto, 1925 Lingua originale inglese

Il romanzo Il velo dipinto racconta la maturazione e l’evoluzione di Kitty, una giovane donna inglese che dopo essersi sposata va a vivere a Hong Kong, dove il marito, Walter Fane, lavora come batteriologo.In queste pagine il narratore, in una breve retrospezione, racconta come Kitty, bella e desiderata, sia arri-vata al matrimonio. Accanto al personaggio di Kitty emerge quello della madre, la signora (Mrs) Garstin, che sogna per la figlia un matrimonio brillante.

C’era (tuttavia) in Mrs Garstin un tipo di coraggio di per sé ammirevole. A nessuno della sua cerchia immediata, che per lei era il mondo, diede a vedere quanto fosse mortificata dalla delusione1 delle sue speranze. Non modificò il suo stile di vita. Un’oculata2 amministrazione le permise di dare pranzi non meno appariscenti di prima, e con gli amici mostrava la stessa brillante gaiezza da lei tanto a lungo coltivata. Aveva una solida riserva di chiacchiere che nella società in cui si muoveva passavano per conversazione. Era un’ospi-te utile tra persone di scarsa facilità discorsiva, perché non era mai a corto di argomenti e si poteva confidare che rompesse senza indugio un silenzio imbarazzante con qualche opportuna osservazione.

Era improbabile ormai che Bernard Garstin diventasse giudice dell’Alta Corte, ma egli poteva ancora sperare nella giudicatura3 in un tribunale di contea, o alla peggio in una carica nelle colonie. Frattanto la signora ebbe la soddisfazione di vederlo nominato giudice onorario di una cittadina gallese. Ma era nelle figlie che ella riponeva le sue speranze. Contava, combinando per loro buoni matrimoni, di ripagarsi di tutte le delusioni della sua carriera. Erano due, Kitty e Doris. Doris non dava segno di avvenenza, aveva il naso troppo lungo e un personale4 sgraziato, sicché per lei Mrs Garstin poteva spe-rare soltanto in un marito benestante con una professione decorosa.

Kitty, invece, era una bellezza. Prometteva di esserlo fin da bambina, con i suoi grandi occhi scuri, liquidi e vivaci, i bruni capelli ricciuti sfumati di ros-so, i denti perfetti e una carnagione stupenda. I lineamenti avrebbero sempre lasciato un po’ a desiderare, perché il mento era troppo quadrato e il naso, sebbene meno lungo di quello di Doris, era troppo grande. La sua bellezza era molto legata alla gioventù, e Mrs Garstin capiva che avrebbe dovuto sposarsi nel primo fiore dell’età. Quando debuttò5 era una meraviglia: la carnagione era ancora la sua beltà maggiore, ma gli occhi dalle lunghe ciglia erano così

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20

1.   delusione: la signora Garstin aveva sperato che il marito fa-cesse una carriera parlamentare o perlomeno entrasse a far par parte dei consiglieri legali della casa regnante, ma le sue speranze non si erano avverate.

2.   oculata: attenta.3.   giudicatura: luogo in cui si amministra la giustizia; la contea

è una suddivisione amministrativa del territorio in vigore in Gran Bretagna, equivalente in Italia alla Provincia; quella di

giudice onorario è una carica conferita come un onore, ma che non comporta alcun tipo di lavoro o di obbligo per chi la riceve.

4.   personale: corporatura, aspetto fisico.5.   debuttò: venne presentata in società; il debutto delle ragazze

avveniva ai loro diciotto anni, in genere durante una festa da ballo.

verifica SOMMaTiva NarraTiva 2.5 cOMpeTeNze di leTTura

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Narrativa e testi non letterari 25 volume A sezione 2 unità 5

  6.   occhiuto: che non si fa sfuggire nulla.  7.   un matrimonio brillante: alla signora Garstin non bastava

che il futuro marito di Kitty avesse un buon lavoro, ma vo-leva anche che fosse una persona importante, conosciuta in società.

  8.   South Kensington: quartiere elegante di Londra.  9.   arcigno: severo.10.   prima stagione: il primo anno dopo il debutto in società.

11.   Wimbledon… Henley: sono tutte località anche oggi famose per le gare sportive che vi si disputano e per le occasioni mon-dane che offrono; a Wimbledon si svolgono tornei di tennis, a Henley sul Tamigi una famosa regata; Ascot è celebre per le corse dei cavalli, mentre Lord’s è uno dei più antichi club di cricket, fondato da Thomas Lord.

12.   sagacemente: acutamente.

fulgidi e insieme così teneri che a guardarli davano un tuffo al cuore. Aveva una gaiezza incantevole e il desiderio di piacere. Mrs Garstin riversò su di lei tutto il suo affetto, l’affetto asprigno, occhiuto6, calcolatore di cui era capace; sognava sogni ambiziosi; per questa figlia aspirava non a un buon matrimo-nio, ma a un matrimonio brillante7.

Kitty era cresciuta nella consapevolezza che sarebbe stata una bella donna e non ignorava l’ambizione della madre, conforme d’altronde ai suoi desideri. Fu lanciata nel mondo e Mrs Garstin compì prodigi nell’ottenere inviti a balli dove la figlia potesse incontrare un buon partito. Kitty spopolò. Era diverten-te oltre che bella, e ben presto ebbe una dozzina di innamorati. Ma nessuno era adatto, e Kitty, simpatica e amichevole con tutti, badava a non impegnarsi con nessuno. La domenica pomeriggio il salotto di South Kensington8 era pieno di gioventù amorosa, ma Mrs Garstin constatava, con un arcigno9 sor-riso di approvazione, che da parte sua non occorrevano sforzi per tenerli a distanza da Kitty. Kitty era pronta a civettare con loro e la divertiva metterli in gara uno con l’altro, però quando la chiedevano in sposa, come nessuno mancava di fare, rifiutava con tatto ma con fermezza.

La sua prima stagione10 passò senza che comparisse il pretendente ideale, e la seconda anche; ma lei era giovane e poteva permettersi di aspettare. Mrs Garstin diceva alle amiche che per una ragazza era un peccato sposarsi pri-ma dei ventun anni. Ma passò un terzo anno, e poi un quarto. Due o tre suoi antichi ammiratori si fecero di nuovo avanti, ma erano ancora squattrinati; la chiesero un paio di ragazzi più giovani di lei; altrettanto fece un funzionario coloniale a riposo, Commendatore dell’Impero d’India, che aveva cinquan-tatré anni. Kitty continuava a frequentare i balli, andava a Wimbledon e al Lord’s, a Ascot e a Henley11; si divertiva moltissimo; ma nessuno con una posizione e un reddito soddisfacenti chiedeva la sua mano. Mrs Garstin si innervosiva. Notò che Kitty cominciava ad attirare uomini di quarant’anni e più. Le rammentava che tra un anno o due sarebbe stata meno bella, e che ragazze più giovani si affacciavano di continuo in società. Tra le pareti dome-stiche non usava mezze parole, e ammoniva acidamente la figlia che sarebbe finita tra i saldi di magazzino.

Kitty faceva spallucce. Si credeva bella come sempre, forse più bella, per-ché negli ultimi quattro anni aveva imparato a vestirsi; e tempo ne aveva in abbondanza. Se avesse voluto sposarsi tanto per sposarsi c’erano una dozzina di giovanotti pronti ad accorrere. L’uomo giusto prima o poi sarebbe arrivato di sicuro. Ma Mrs Garstin giudicava più sagacemente12 la situazione; con l’ira nel cuore per le occasioni perdute dalla bella figlia ridusse di un poco le sue pretese. Tornò a volgersi alla categoria dei professionisti, prima orgogliosa-mente sdegnata, e cercò un giovane avvocato o uomo d’affari il cui futuro le ispirasse fiducia.

Kitty arrivò all’età di venticinque anni ancora nubile. Mrs Garstin era fu-riosa e spesso non esitava a dire alla figlia cose molto sgradevoli. Le doman-dava fino a quando contava di farsi mantenere dal padre. Questi aveva speso somme che mal poteva permettersi per darle una possibilità e lei non l’aveva colta.

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Narrativa e testi non letterari 26 volume A sezione 2 unità 5

13.   aggressiva affabilità: l’eccessiva cordialità (affabilità) della signora Garstin finiva per spaventare i giovani pretendenti.

Alla signora non veniva mai in mente che forse proprio la sua aggressiva affabilità13 aveva spaventato gli uomini, figli di padri ricchi o eredi di un titolo, le cui visite essa aveva troppo cordialmente incoraggiato. Attribuiva il fallimento di Kitty alla stupidità. Poi vi fu il debutto in società di Doris. Aveva ancora il naso lungo e un personale mediocre e ballava male. Nella sua prima stagione si fidanzò con Geoffrey Dennison, figlio unico di un illustre chirurgo creato baronetto durante la guerra. Geoffrey avrebbe ereditato il titolo – essere un baronetto medico non è il massimo, ma un titolo, vivaddio, è sempre un titolo – e una cospicua fortuna.

Kitty, nel panico, sposò Walter Fane.W. S. Maugham, Il velo dipinto, trad.F. Salvatorelli, Adelphi, Milano 2006

80

verificare le competenze

analizzare e comprendere

1.� Individua�i�tratti�che�costituiscono�il�personaggio�di�Mrs�Garstin.�Osserva:� –� il�suo�comportamento�in�società;� –� il�suo�rapporto�con�il�marito;� –� il�suo�rapporto�con�le�figlie.

2.� �Come�definiresti�la�signora�Garstin?�Scegli�una�definizione�per�ciascuna�di�queste�coppie�di�aggettivi�e�motiva�la�tua�risposta�facendo�riferimento�al�testo.

� ambiziosa� � modesta� � colta� � ignorante� simpatica� � insopportabile� � intelligente� � stupida� egoista� � altruista� � forte� � debole

3.�Quale�atteggiamento�ha�Kitty�nei�confronti�dei�suoi�ammiratori?•� Perché�aspetta�diversi�anni�prima�di�sposarsi?� � Non�trova�un�ragazzo�che�le�piaccia� � Ritiene�che�nessuno�sia�alla�sua�altezza� � Preferisce�divertirsi�e�vivere�spensieratamente� � Non�vuole�sposarsi�troppo�giovane

•� Perché�Kitty�sposa�Walter�Fane?

4.��L’atteggiamento�della�signora�Garstin�nei�confronti�della�figlia�Kitty�si�modifica�gradualmente.�Individua�le�fasi�di�questa�trasformazione�e�spiegane�le�cause.

5.� Individua�nelle�parti�sottolineate�con�quale�tecnica�vengono�riportate�le�parole�di�Mrs�Garstin.

riflettere

6.�Come�mai�Doris,�la�sorella�di�Kitty,�si�sposa�subito?

7.� La�signora�Garstin�può�essere�definita�secondo�te�un�aiutante�rispetto�a�Kitty?�Spiega�la�tua�risposta.

8.�Che�tipo�di�presentazione�ha�scelto�il�narratore�per�il�personaggio�di�Mrs�Garstin?•� Secondo�te�in�questo�modo�dà�già�un’immagine�completa�del�personaggio�o�lascia�al�lettore�il�modo�

di�conoscerla?

9.� Il�narratore�esprime�giudizi�sul�personaggio�di�Mrs�Garstin?

Scrivere

10.� Scrivi�un�testo�descrittivo-espositivo�di�circa�150�parole�presentando�il�personaggio�di�Mrs�Garstin.

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Narrativa e testi non letterari 27 volume A sezione 2 unità 6

a Facendo riferimento a quanto hai imparato in questa Unità, indica se le seguenti affermazioni sono vere o false e sottolinea le parole che rendono falsa l’affermazione.

� 1.� �Un�romanzo�o�un�racconto�di�invenzione�è�sempre�ambientato�in�luoghi�immaginari.� V  F

� 2.� �Un�luogo�immaginario�può�essere�realistico.� V  F

� 3.� �I�luoghi�fantastici�non�potrebbero�esistere�nel�mondo�reale.� V  F

� 4.� �La�descrizione�dei�luoghi�in�cui�si�svolge�la�storia�precede�semprela�narrazione�dei�fatti.� V  F

� 5.� �La�descrizione�degli�ambienti�in�cui�vivono�i�personaggi�dà�informazionisulla�loro�condizione�sociale�e�talvolta�sul�loro�carattere.� V  F

� 6.� �La�descrizione�di�un�luogo�può�basarsi�su�elementi�visivi,ma�anche�uditivi,�olfattivi�o�tattili.� V  F

� 7.� �In�una�narrazione�letteraria�le�sequenze�descrittive�costituiscono�delle�pause.� V  F

� 8.� �In�una�narrazione�i�luoghi�associati�ai�ricordi�a�volte�fanno�scattare�una�retrospezione.� V  F

� 9.� �La�presentazione�di�un�luogo�può�avere�la�funzionedi�coinvolgere�maggiormente�il�lettore.� V  F

10.� �Una�descrizione�di�un�luogo�può�suggerire�un’atmosfera�o�uno�stato�d’animo.� V  F

B �Scegli il completamento corretto.

� 11.� �Nelle�descrizioni�di�luoghi�fantastici�lo�scrittore�crea�mondi� � � in�cui�valgono�le�leggi�della�fisica�e�della�logica� � � in�cui�non�esistono�forme�di�vita�diverse�dalla�flora�e�dalla�fauna�terrestri� � � in�cui�scenari�e�oggetti�possono�trasformarsi�magicamente� � � virtuali.

� 12.� �La�rappresentazione�di�luoghi�costruiti�dall’uomo�dà�al�lettore�informazioni�relative� � � al�mutamento�delle�stagioni� � � all’epoca�in�cui�è�stato�scritto�il�testo� � � alla�biografia�dell’autore�o�dell’autrice� � � alla�collocazione�storica�della�vicenda�narrata

� 13.� �Per�ambiente�si�intende� � � sempre�uno�spazio�aperto� � � sempre�uno�spazio�chiuso� � � un�luogo,�ma�anche�un�insieme�di�condizioni�materiali,�economiche,�sociali� � � un�luogo�indefinito

� 14.� �Tra�le�funzioni�che�possono�avere�i�luoghi�nella�narrazione�c’è�quella�di� � � accelerare�il�ritmo�della�narrazione� � � contribuire�a�caratterizzare�un�personaggio� � � esprimere�le�idee�di�uno�o�più�personaggi� � � sostituire�un�dialogo�fra�personaggi

� 15.� �Un�locus horridus� � � è�un�ambiente�molto�brutto,�orribile� � � è�un�luogo�che�si�trova�nella�letteratura�horror� � � è�un�luogo�che�incute�spavento�e�riserva�rischi� � � esiste�solo�nella�letteratura�fantastica

Totale punti

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. . . . . . / 5

. . . . . . / 15

verifica SOMMaTiva NarraTiva 2.6 cONOSceNze

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Narrativa e testi non letterari 28 volume A sezione 2 unità 6

1.  strada ferrata: la ferrovia.2.   tutto squame: il tremolio dell’acqua e la luce

rendono la superficie iridescente come la pelle di un pesce.

3.   traversina: l’asse di legno che unisce i due bi-nari di ferro.

4.   scambio: raccordo tra due binari che consen-te ai treni di passare da un binario all’altro; il disco ne segnala la presenza al macchinista.

5.   agavi: piante grasse, tipiche dei paesi caldi, dalle foglie lunghe e spesse a forma di lance, in punta alle quali vi sono grosse spine (aculei).

6.   ipomea: pianta spontanea, rampicante, che copre i muri di campagna, in estate; è detta anche «campanella».

Italo Calvino

IL GIARDINO INCANTATORacconti, 1958

Il bel giardino fiorito di questo racconto di Calvino sembra un giardino incantato, pieno di meraviglie. Ma è un incantesimo che ha qualcosa di strano, di inquietante. I protagonisti, due bambini, scoprono in un pomeriggio di gioco gli aspetti contrastanti dell’esistenza.

Giovannino e Serenella camminavano per la strada ferrata1. Giù c’era un mare tutto squame2 azzurro cupo azzurro chiaro, su un cielo appena venato di nuvole bianche. I binari erano lucenti e caldi che scottavano. Sulla strada ferrata si camminava bene e si potevano fare tanti giochi: stare in equilibrio lui su un binario e lei sull’altro e andare avanti tenendosi per mano, oppure saltare da una traversina3 all’altra senza posare mai il piede sulle pietre. Gio-vannino e Serenella erano stati a caccia di granchi e adesso avevano deciso di esplorare la strada ferrata fin dentro la galleria. Giocare con Serenella era bello perché non faceva come tutte le altre bambine che hanno sempre paura e si mettono a piangere a ogni dispetto: quando Giovannino diceva: – Andia-mo là, – Serenella lo seguiva sempre senza discutere.

Deng! Sussultarono e guardarono in alto. Era il disco di uno scambio4 ch’era scattato in cima a un palo. Sembrava una cicogna di ferro che avesse chiuso tutt’a un tratto il becco. Rimasero un po’ a naso in su a guardare: che peccato non aver visto! Ormai non lo faceva più.

– Sta per venire un treno, – disse Giovannino.Serenella non si mosse dal binario. – Da dove? – chiese. Giovannino si

guardò intorno, con aria d’intendersene. Indicò il buco nero della galleria che appariva ora limpido ora sfocato, attraverso il tremito del vapore invisibile che si levava dalle pietre della strada.

– Di lì, – disse. Sembrava già di sentirne lo sbuffo incupito dalla galleria e vederselo tutt’a un tratto addosso, scalpitante fumo e fuoco, con le ruote che mangiavano i binari senza pietà.

– Dove andiamo, Giovannino?C’erano grandi agavi5 grigie, verso mare, con raggiere di aculei impene-

trabili. Verso monte correva una siepe di ipomea6, stracarica di foglie e senza fiori. Il treno non si sentiva ancora: forse correva a locomotiva spenta senza rumore e sarebbe balzato su di loro tutt’a un tratto.

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verifica SOMMaTiva NarraTiva 2.6 cOMpeTeNze di leTTura

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Narrativa e testi non letterari 29 volume A sezione 2 unità 6

  7.  pertugio: stretto buco, passaggio.  8.  carponi: a quattro zampe.  9.   eucalipti: alberi ad alto fusto molto profumati.10.   cespo  di  corbezzolo: cespuglio tipico della

flora mediterranea che produce frutti com-mestibili rossi e gialli, rotondi, simili a grosse fragole.

11.   petunie  e  convolvoli…  bosso: le petunie sono fiori da giardino a forma di campanel-la; i convolvoli sono invece grandi campanel-le bianche; il bosso è una pianta sempreverde usata per le siepi.

12.   staffe: le due stanghe di legno con cui viene spinta la carriola.

Ma già Giovannino aveva trovato un pertugio7 nella siepe. – Di là.La siepe sotto il rampicante era una vecchia rete metallica cadente.In un punto, s’accartocciava su da terra come un angolo di pagina. Giovan-

nino era già sparito per metà e sgusciava dentro.– Dammi una mano, Giovannino!Si ritrovarono in un angolo di giardino, tutt’e due carponi8 in un’aiola, coi

capelli pieni di foglie secche e di terriccio. Tutto era zitto intorno; non muo-veva una foglia.

– Andiamo, – disse Giovannino e Serenella disse: – Sì.C’erano grandi e antichi eucalipti9 color carne, e vialetti di ghiaia. Giovan-

nino e Serenella camminavano in punta di piedi pei vialetti, attenti al fruscio della ghiaia sotto i passi. E se adesso arrivassero i padroni?

Tutto era così bello: volte strette e altissime di foglie ricurve di eucalipto e ritagli di cielo; restava solo quell’ansia dentro, del giardino che non era loro e da cui forse dovevano essere cacciati tra un momento. Ma nessun rumore si sentiva. Da un cespo di corbezzolo10, a una svolta, s’alzò un volo di passeri, con gridi. Poi ritornò silenzio. Era forse un giardino abbandonato?

Ma l’ombra dei grandi alberi a un certo punto finiva e si trovarono sotto il cielo aperto, di fronte ad aiole tutte ben ravviate di petunie e convolvoli, e viali e balaustrate e spalliere di bosso11. E sull’alto del giardino, una grande villa coi vetri lampeggianti e tende gialle e arancio.

E tutto era deserto. I due bambini venivano su guardinghi calpestando ghiaia: forse le vetrate stavano per spalancarsi tutt’a un tratto e signori e signo-re severissimi per apparire sui terrazzi e grossi cani per essere sguinzagliati per i viali. Trovarono vicino a una cunetta una carriola. Giovannino la prese per le staffe12 e la spinse innanzi: aveva un cigolo, a ogni giro di ruota, come un fischio. Serenella ci si sedette sopra e avanzavano zitti, Giovannino spin-gendo la carriola con lei sopra, fiancheggiando le aiole e i giochi d’acqua. – Quello, – diceva Serenella a bassa voce di tanto in tanto, indicando un fiore. Giovannino poggiava e andava a strapparlo e glielo dava. Ne aveva già dei belli in un mazzetto. Ma scavalcando le siepi per scappare, forse li avrebbe dovuti buttar via!

Così arrivarono a uno spiazzo e finiva la ghiaia e c’era un fondo di cemento e mattonelle. E in mezzo a questo spiazzo s’apriva un grande rettangolo vuo-to: una piscina. Ne raggiunsero i margini: era a piastrelle azzurre, ricolma d’acqua chiara fino all’orlo.

– Ci tuffiamo? – chiese Giovannino a Serenella. Certo doveva essere assai pericoloso se lui chiedeva a lei e non diceva soltanto: – Giù! – Ma l’acqua era così limpida e azzurra e Serenella non aveva mai paura. Scese dalla carriola e vi depose il mazzolino. Erano già in costume da bagno: erano stati a cacciar granchi fino allora. Giovannino si tuffò: non dal trampolino perché il tonfo avrebbe fatto troppo rumore, ma dall’orlo. Andò giù giù a occhi aperti e non vedeva che azzurro, e le mani come pesci rosa; non come sotto l’acqua del mare, piena d’ombre informi verdi-nere. Un’ombra rosa sopra di sé: Serenella! Si presero per mano e riaffiorarono all’altro capo, un po’ con apprensione. No, non c’era proprio nessuno ad osservarli. Non era bello come s’immagi-navano: rimaneva sempre quel fondo d’amarezza e d’ansia, che tutto questo

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Narrativa e testi non letterari 30 volume A sezione 2 unità 6

13.   pergola: graticcio ricoperto da piante rampi-canti, per esempio una vite, usato per creare un riparo dal sole.

14.   quatti  quatti: piano piano, senza farsi sen-tire.

15.   furtivi: silenziosi e di nascosto, come quelli di un ladro.

16.  gravasse: pesasse.

non spettava loro e potevano esserne di momento in momento, via, scacciati. Uscirono dall’acqua e proprio lì vicino alla piscina trovarono un tavolino col ping-pong. Giovannino diede subito un colpo di racchetta alla palla: Serenella fu svelta dall’altra parte a rimandargliela. Giocavano così, dando botte legge-re perché da dentro alla villa non sentissero. A un tratto un tiro rimbalzò alto e Giovannino per pararlo fece volare la palla via lontano; batté sopra un gong sospeso tra i sostegni d’una pergola13, che vibrò cupo e a lungo. I due bambini si rannicchiarono dietro un’aiola di ranuncoli. Subito arrivarono due servi-tori in giacca bianca, reggendo grandi vassoi, posarono i vassoi su un tavolo rotondo sotto un ombrellone a righe gialle e arancio e se ne andarono.

Giovannino e Serenella s’avvicinarono al tavolo. C’era tè, latte e pan-di-Spagna. Non restava che sedersi e servirsi. Riempirono due tazze e tagliarono due fette. Ma non riuscivano a stare ben seduti, si tenevano sull’orlo delle sedie, muovendo le ginocchia. E non riuscivano a sentire il sapore dei dolci e del tè e latte. Ogni cosa in quel giardino era così: bella e impossibile a gustarsi, con quel disagio dentro e quella paura, che fosse solo per una distrazione del destino, e che presto sarebbero chiamati a darne conto.

Quatti quatti14, si avvicinarono alla villa. Di tra le stecche d’una persiana a griglia videro, dentro, una bella stanza ombrosa con collezioni di farfalle alle pareti. E in questa stanza c’era un pallido ragazzo. Doveva essere il padrone della villa e del giardino, lui fortunato. Era seduto su una sedia a sdraio e sfo-gliava un grosso libro con figure. Aveva mani sottili e bianche e un pigiama accollato benché fosse estate.

Ora, ai due bambini, spiandolo tra le stecche, si spegneva a poco a poco il batticuore. Infatti quel ragazzo ricco sembrava sedesse e sfogliasse quelle pa-gine e si guardasse intorno con più ansia e disagio di loro. E s’alzasse in punta di piedi come se temesse che qualcuno, di momento in momento, potesse ve-nire a scacciarlo, come se sentisse che quel libro, quella sedia a sdraio, quelle farfalle incorniciate ai muri e il giardino coi giochi e le merende e le piscine e i viali, erano concessi a lui solo per un enorme sbaglio, e lui fosse impossibi-litato a goderne, ma solo provasse su di sé l’amarezza di quello sbaglio, come una sua colpa.

Il ragazzo pallido girava per la sua ombrosa stanza con passi furtivi15, ac-carezzava i margini delle vetrine costellate di farfalle con le bianche dita, e si fermava in ascolto. A Giovannino e Serenella il batticuore spento riprendeva ora più fitto. Era la paura di un incantesimo che gravasse16 su quella villa e quel giardino, su tutte quelle cose belle e comode, come un’antica ingiustizia commessa.

Il sole s’oscurò di nuvole. Zitti zitti Giovannino e Serenella se ne andarono. Rifecero la strada pei vialetti, di passo svelto, ma senza mai correre. E traver-sarono carponi quella siepe. Tra le agavi trovarono un sentiero che portava alla spiaggia, breve e sassosa, con cumuli d’alghe che seguivano la riva del mare. Allora inventarono un gioco bellissimo: battaglia con le alghe. Se ne tirarono manciate in faccia uno con l’altra fino a sera. C’era di buono che Serenella non piangeva mai.

I. Calvino, Racconti, Einaudi, Torino 1958

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Narrativa e testi non letterari 31 volume A sezione 2 unità 6

verificare le competenze

analizzare e comprendere

1.� In�quale�tipo�di�luogo�è�ambientato�il�racconto?

•� Che�cosa�c’è�fuori�del�giardino?

2.�Quali�sono�gli�elementi�costitutivi�della�descrizione�del�giardino?

3.�Da�quali�parole�del�testo�si�capisce�che�i�protagonisti�sono�dei�bambini?

•� Quale�rapporto�c’è�fra�loro?

•� Perché�entrano�nel�giardino?

•� Che�cosa�si�chiedono�dopo�esservi�entrati?

•� Quali�sono�i�loro�stati�d’animo?�Individua�nel�testo�le�parole�che�li�definiscono.

riflettere

4.�Definisci�con�alcuni�aggettivi�il�giardino�del�racconto.

5.� �Ti�sembra�che�il�comportamento�dei�due�bambini�sia�in�armonia�con�il�loro�stato�d’animo�o�che�ci�sia�un�contrasto�tra�quello�che�fanno�e�quello�che�provano?

6.� Il�narratore�del�racconto�è�esterno.�La�focalizzazione�è�interna�o�esterna?

•� Quale�riflesso�ha�questa�focalizzazione�sulla�descrizione?

7.� �Il�ragazzo�pallido�che�i�bambini�vedono�non�è�nel�giardino,�ma�all’interno�della�villa.�Che�significato�ha�questo�aspetto�della�storia?

8.�Che�cosa�rappresenta�il�giardino�agli�occhi�dei�due�bambini?

9.� �Spiega�che�cosa�significa�secondo�te�questa�frase:�«Era�la�paura�di�un�incantesimo�che�gravasse�su�quella�villa�e�quel�giardino,�su�tutte�quelle�cose�belle�e�comode,�come�un’antica�ingiustizia�commessa».

Scrivere

10.� �Scrivi�un�testo�espositivo�di�almeno�200�parole�dal�titolo:�«La scoperta di un luogo è un po’ la scoperta del mondo, nel racconto Il giardino incantato di Italo Calvino».

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Narrativa e testi non letterari 32 volume A sezione 3 unità 1

verifica SOMMaTiva NarraTiva 3.1 cOMpeTeNze di leTTura

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cognome nome classe data

Catherine Dunne

FINE DI UN MATRIMONIOLa metà di niente, 1997 Lingua originale inglese

Una mattina come tante: la sveglia, la colazione per i bambini che vanno a scuola. Ma dopo questa mat-tina nulla sarà come prima per Rose, una tranquilla madre di famiglia.La scrittrice irlandese Catherine Dunne racconta ciò che accade nella vita di una donna, Rose, dal mo-mento in cui viene lasciata dal marito.Questo momento è solo il prologo, l’inizio, della storia, ma esso condensa tempi diversi: anni di vita pas-sata insieme, un più che incerto futuro e un presente terribilmente concreto.

PrologoIn principio c’è una famiglia. Non è niente di eccezionale, è una famiglia

normalissima, proprio come la vostra e la mia.Questa famiglia è composta da cinque persone. Il padre si chiama Ben. Ha

quarantacinque anni, è pelaticcio e ha un accenno di pancetta. Lavora in pro-prio e porta a casa il pane. Vuole bene ai figli e non picchia la moglie.

Rose è la madre. Ha quarantadue anni, ed è un po’ affaticata da vent’anni di guerra con il giro vita. È una madre affettuosa, una massaia efficiente e non tradisce Ben.

I figli sono tre. Hanno un’età compresa tra i sei e i diciassette anni. Si dan-no grande importanza, ma, per quanto ci riguarda, per il momento saranno semplicemente i Figli.

Questa famiglia anonima tira avanti vivendo alla giornata. Spesso Ben e Rose si chiedono: tutto qui? Però non se lo chiedono a vicenda.

Un giorno Ben entra in cucina. Sta cercando Rose, che è occupata a bollire le uova.

«Rose.»Ultimamente non l’ha quasi mai chiamata per nome, perciò lei alza lo

sguardo sorpresa.«Dobbiamo parlare.»Il mondo crolla, anni e anni precipitano turbinando, vite vengono distrut-

te. Adesso Rose sa che tutte le sventure sono state annunciate da quella frase. Dobbiamo parlare.

«Devo andar via per un po’. Penso che abbiamo bisogno di stare ognuno per conto proprio, solo per un periodo. Mi dispiace farlo così, ma è che non sono felice.»

Rose fissa le uova. È affascinata dal modo in cui salgono gorgogliando in superficie, sospinte da un getto d’acqua bollente. Uno si è appena rotto e tra-suda un candore gelatinoso nell’acqua agitata. Ora sa che sarà tutto acquoso dentro.

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Narrativa e testi non letterari 33 volume A sezione 3 unità 1

1.  cliché: modello che si ripete sempre uguale.

Questa è una mattina fatta per i cliché1. Dobbiamo parlare. Mi sono sentita le gambe tremare. Non credevo alle mie orecchie. Abbiamo deciso di separar-ci per un periodo di prova.

Rose scruta la faccia di Ben alla ricerca di risposte, di qualche indizio che spieghi la borsa bell’e pronta ai suoi piedi.

«Adesso?» gli chiede stupidamente.Lui alza le spalle.«Non vedo perché dovremmo aspettare. La cosa era nell’aria da parecchio.

Lo sai.»Lo sa? È questo che Ben voleva dire con i suoi lunghi silenzi, la sua insoddi-

sfazione crescente nei riguardi del lavoro, la sua irrequietezza? Rose è consa-pevole che da un po’ di tempo qualcosa covava sotto la superficie, ma magari, chissà, una vacanza, un week-end fuori insieme senza i figli…? Adesso, a quanto pare, non è così facile da definire, qualunque cosa sia.

Si sente estremamente calma. Spegne il fornello e toglie gli spruzzi con un panno, sforzandosi di non guardare Ben.

È convinta che sia così per tutte le grandi crisi della vita delle persone. Il momento in sé passa senza grandi drammi. I drammi vengono dopo.

È consapevole del momento, di lui, di se stessa, della casseruola che ormai fuma placidamente. Sa che tutti questi dettagli si stanno imprimendo in fon-do ai suoi occhi, per poi, in seguito, essere riproiettati all’infinito. Scosta gli occhi dalle cose rassicuranti, familiari, e li fissa su Ben.

«Non possiamo parlare? Devi andare proprio adesso, senza darci nemme-no la possibilità di discuterne?»

Lui fa un gesto di impazienza.«Sono anni che cerco di parlarti. Devo andare via per chiarirmi le idee. Ti

chiamo quando torno.»Rose sa che Ben è deciso, e anche esasperato.«Non sei nemmeno arrabbiata?» le chiede. «Lanciami qualcosa, picchiami

se vuoi, ma Cristo, reagisci.»«No, non sono arrabbiata» risponde Rose. «Non so che cosa provo, ma non

ho certo voglia di picchiarti.»Di colpo Ben si dirige verso la porta.«E per sempre, non è vero? Non è solo per un periodo.»Ben si volta verso di lei, la faccia pallida.«Credo di sì. Non ti amo più.»Ed ecco che se n’è andato. La porta si chiude alle sue spalle senza far rumo-

re. Rose grida ai figli che è ora di andare.Mette sul tavolo le merende da portare a scuola e un altro giorno ha inizio.

C. Dunne, La metà di niente, trad. E. Kampmann, Ugo Guanda, Parma 1998

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Narrativa e testi non letterari 34 volume A sezione 3 unità 1

verificare le competenze

analizzare e comprendere

1.� Come�è�composta�la�famiglia�di�Rose?

2.� I�l�narratore�traccia�un�rapido�ritratto�di�Rose�e�Ben.�Individua�i�tratti�con�cui�costruisce�i�due�personaggi.

3.�Che�cosa�pensano�Ben�e�Rose�del�loro�matrimonio?•� La�comunicazione�di�Ben�arriva�del�tutto�inaspettata�per�Rose?

4.�Che�cosa�significa�che�i�figli�per il momento saranno semplicemente i Figli?

riflettere

5.� �Il�dialogo�tra�Rose�e�Ben�è�piuttosto�scarno,�fatto�di�poche�parole.�Credi�che�questo�sia�dovuto�alla�loro�difficoltà�di�comunicare�in�questo�momento?

� Sì,�perché�…� No,�perché�…

6.�Quali�sono�i�sentimenti�che�prova�Rose?•� In�che�modo�l’autrice�ha�scelto�di�rappresentarli?

7.� �La�conclusione�del�breve�capitolo�è�molto�rapida�e�sembra�quasi�inadeguata�a�quanto�avvenuto�e�narrato�nelle�righe�precedenti.�Qual�è�il�suo�significato?

8.� �Nel�racconto�Affetto�Goffredo�Parise�(v.�p.�337)�racconta�una�situazione�simile�a�quella�proposta�nel�brano:�un�uomo�decide�di�comunicare�alla�moglie�la�volontà�di�mettere�fine�al�loro�matrimonio.�Il�diverso�rappor-to�esistente�tra�i�coniugi�dà�luogo�a�situazioni�profondamente�diverse.�Individua:

� –� �le�differenze�e�le�somiglianze�nel�modo�di�comportarsi�delle�due�coppie;� –� �le�differenze�e�le�somiglianze�tra�la�conclusione�del�racconto�di�Parise�e�quella�del�capitolo�del�romanzo�

di�Dunne.

Scrivere

9.� �Scrivi�un�testo�di�200�parole�descrivendo�lo�stato�d’animo�di�Rose,�i�sentimenti�che�la�attraversano�in�que-sta�particolare�mattinata�della�sua�vita.

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Narrativa e testi non letterari 35 volume A sezione 3 unità 2

verifica SOMMaTiva NarraTiva 3.2 cOMpeTeNze di leTTura

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cognome nome classe data

1.   far su: ammucchiare, sistemare in covoni.2.   meliga: mais.3.   i beni: i poderi dì proprietà.4.   Belbo: si tratta di un torrente che ricorre più volte nella nar-

rativa di Pavese; il paese dove egli era nato si chiama appunto Santo Stefano Belbo.

5.   miseria: contrapposta all’espressione gran cosa, quale il pe-sciolino appare agli occhi del ragazzo.

6.   massaro: chi conduce e amministra i poderi che non sono però di sua proprietà.

7.   fa capolino: compare, a tratti.

Cesare Pavese

LAVORARE È UN PIACERELavorare è un piacere, 1960

Cesare Pavese ha scritto in racconti, romanzi e poesie storie di vita legate alla sua terra, la collina pie-montese delle Langhe, cui lo scrittore rimase sempre legato. Scritto nel 1946 ma rimasto inedito sino al 1960, quando vennero pubblicati tutti i racconti di Pavese, il racconto presenta alcuni elementi tipici della narrativa di questo autore: il tema della campagna contrapposta alla città e quello dell’infanzia come momento di scoperta del reale. Il narratore ripensa a se stesso quando, da ragazzo, nelle lunghe estati in campagna, vedeva il lavoro nei campi quasi come una lunga festa, prima di arrivare a capire che nemmeno davanti a colline il lavoro è un piacere.

Io vissi sempre in campagna nella bella stagione, da giugno a ottobre, e ci venivo come a una festa. Ero un ragazzo, e i contadini mi portavano con loro ai raccolti – i più leggeri, far su1 il fieno, staccare la meliga2, vendemmiare. Non a mietere il grano, per via del sole troppo forte; e a guardar l’aratura d’ottobre mi annoiavo, perché come tutti i ragazzi preferivo, anche nel gioco e nella festa, le cose che rendono, le raccolte, le ceste piene; e solamente un con-tadino vede nei solchi appena aperti il grano dell’anno dopo. I giorni che non c’era raccolto, me ne stavo a girare per la casa, o per i beni3 tutto solo, e cercavo la frutta o giocavo con altri ragazzi a pescare nel Belbo4. Lì c’era dell’utile e mi pareva una gran cosa tornare a casa con quella miseria5, un pesciolino che poi il gatto si mangiava. In tutto quello che facevo mi davo importanza, e pagavo così la mia parte di lavoro al prossimo, alla casa, e a me stesso. Perché credevo di sapere che cosa fosse lavoro. Vedevo lavorare dappertutto, in quel modo tranquillo e intermittente che mi piaceva – certi giorni, dall’alba alla notte senza nemmeno andare a pranzo, e sudati, scamiciati, contenti altre volte, gli stessi se ne andavano a spasso in paese col cappello, o si sedevano sul trave a discorrere, e mangiavamo, ridevamo e bevevamo. Per le strade incontravo un massaro6 che andava sotto il sole a una fiera, a vedere e parlare, e godevo pen-sando che anche quello era lavoro, che quella vita era ben meglio della prigio-ne cittadina dove, quand’io dormivo ancora, una sirena raccoglieva impiegati e operai, tutti i giorni tutti i giorni, e li mollava solamente di notte.

A quel tempo ero convinto che ci fosse differenza tra uscire la mattina avanti giorno in un campo davanti a colline, pestando l’erba bagnata, e attra-versare di corsa marciapiedi consunti, senza nemmeno il tempo di sbirciare la fetta di cielo che fa capolino7 sulle case. Ero un ragazzo, e può anche darsi che non capissi la città dove raccolti e ceste piene non se ne fanno; e certo, se mi avessero chiesto, avrei risposto ch’era meglio, e più utile, magari andare a

Il narratore adulto ricorda come gli appariva da ragazzo il lavoro; il lavoro per lui era il lavoro contadino, che lo circondava e che gli piaceva.

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Narrativa e testi non letterari 36 volume A sezione 3 unità 2

pescare o raccogliere more che non fondere il ferro nei forni o battere a mac-china lettere e conti.

Ma in casa sentivo i miei parlare e arrabbiarsi, e ingiuriare proprio quegli operai di città come lavoratori, come gente che col pretesto che lavorava non aveva mai finito di pretendere8 e dar noia e far disordini. Quando un giorno si seppe che in città anche gli impiegati avevano chiesto qualcosa e dato noia, fu addirittura una cagnara9. Nessuno in casa nostra capiva che cosa avessero da spartire o guadagnare gli impiegati – gli impiegati! – a mettersi coi lavo-ratori. “Possibile? contro quelli che gli dan da mangiare?” “Abbassarsi così?” “Sono pazzi o venduti.” “Ignoranti.” Il ragazzo ascoltava e taceva. Lavoro per lui voleva dire l’alba estiva e il solleone, la corba10 sul collo, il sudore che cola, la zappa che rompe. Capiva che in città si lamentassero e. non volessero saperne – le aveva viste quelle fab briche tremende e quegli uffici soffocanti – starci dentro dal mattino alla sera. Non capiva che fosse un lavoro. “Lavorare è un piacere”, diceva tra sé.

«Lavorare è un piacere,» dissi un giorno al massaro, che mi riempiva un cesto d’uva da portare alla mamma.

«Fosse vero,» rispose, «ma c’è chi non ne ha voglia.»Quel massaro era un tipo severo, che il più del tempo stava zitto e sapeva

tutti i trucchi della vita di campagna. Comandava anche a me qualche volta, ma per scherzo. Aveva terre sue, una cascina oltre Belbo e ci teneva dei mas-sari. Questi massari la domenica gli venivano a portare la verdura o a dare una mano se il lavoro picchiava11. Lui era sempre dappertutto lavorava a casa nostra, lavorava sul suo12, girava le fiere. Quando i massari ci venivano e non c’era, si fermavano a discorrere con noi. Erano due, il vecchio e il giovane, e ridevano.

«Lavorare è un piacere,» dissi anche a loro, quell’anno che i miei si arrab-biavano perché in città c’eran disordini.

«Chi lo dice?» risposero. «Chi non fa niente, come te.» «Lo dice il massaro.»Allora risero più forte. «Si capisce,» mi dissero, «hai mai sentito dir dal

parroco che andare in chiesa sia mal fatto?»Capii che il discorso diventava di quelli che si facevano in casa quell’anno.«Se non vi piace lavorare,» dissi, «vi piace raccogliere i frutti.»Il giovane smise di ridere. «Ci sono i padroni,» disse adagio, «che dividono

i frutti13 senz’aver lavorato.»Lo guardai, rosso in faccia.«Fate sciopero,» dissi, «se non siete contenti. A Torino si fa.»Allora il giovane guardò suo padre, mi strizzarono l’occhio, e tornarono a

ridere.«Prima dobbiamo vendemmiare,» disse il vecchio, «poi vedremo.» Ma il

giovane scosse la testa e rideva. «Non farete mai niente, papà,» disse adagio.Difatti non fecero niente, e in casa mia si continuò a piantar baccano sui

disordini d’impiegati e operai ch’eran stati guastati dalla facile vita degli anni di guerra. Lo ascoltavo e tacevo, e pensavo agli scioperi come a una festa che permetteva agli operai d’andare a spasso. Ma un’idea – da principio non fu

Il ragazzo sentiva parlare delle proteste dei lavoratori, intense negli anni del dopoguerra a causa delle difficili condizioni economiche e sociali.

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Per il ragazzo(al quale ora il narratore si riferisce usando la terza persona) il lavoro è quello dei contadini; ma in modo confuso egli riesce a capire perché i lavoratori delle fabbriche cittadine si lamentino e protestino.

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Il lavoro del massaroera sia dipendente che autonomo: lavorava al servizio di altri, ma anche in proprio.

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Il ragazzo ripete discorsi che ha sentito fare dai grandi; ma dal dialogo con uno dei contadini impara che esisteun altro aspetto del lavoro: i frutti a volte vanno ad altri, che non lavorano.

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Durante l’ultima guerra mondiale molti uomini erano in guerra: per chi lavorava nelle fabbriche il lavoro non mancava e veniva retribuito bene.á

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  8.   pretendere: avere delle pretese; il verbo rispecchia l’opinione dei genitori che ritengono inopportuni, quasi irrispettosi nei confronti dei datori di lavoro, gli scioperi e le manifestazioni dei lavoratori; il verbo pretendere indica infatti che, secondo i geni-tori del ragazzo, gli operai chiedono più di quanto loro spetti.

  9.   cagnara: gran confusione (come di cani che si scatenino).10.   corba: cesta di vimini di forma allungata.11.   picchiava: era intenso; l’espressione di uso popolare indica

l’intensità e la pesantezza del lavoro da fare; i lavori di cam-

pagna devono essere svolti quando la natura stessa lo richie-de; quindi si concentrano a volte in brevi periodi, durante i quale tutti devono lavorare a ritmo intenso.

12.   sul suo: sulle terre di sua proprietà.13.   dividono i frutti: secondo molti contratti agricoli il contadi-

no dava una parte dei prodotti al proprietario del terreno, che quindi godeva dei frutti del lavoro senza aver faticato.

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Narrativa e testi non letterari 37 volume A sezione 3 unità 2

14.   villani: contadini; il sostantivo non ha qui alcun significato spregiativo; deriva dal nome latino villa, che indicava una proprietà di campagna dove, oltre ai signori, abitavano e lavoravano molti servi e schiavi.

15.   fare qualcosa: protestare, far valere i propri diritti così come fanno i lavoratori di città.

che un sospetto – m’era entrata nel sangue: lavorare non era un piacere nem-meno in campagna. E stavolta sapevo che il bisogno di vedere il raccolto e portarselo a casa, era ciò che impediva ai villani14 di fare qualcosa15.

C. Pavese, Racconti, Einaudi, Torino 1960

verificare le competenze

analizzare e comprendere

1.� Quale�tipo�di�narratore�e�di�focalizzazione�sono�presenti?

2.�La�storia�è�collocata�in�un�tempo�e�in�un�luogo�precisi?

3.�Dove�viveva�il�narratore�da�ragazzo?•� Con�quale�stato�d’animo�andava�in�campagna?

4.�Quali�aspetti�della�vita�e�del�lavoro�dei�contadini�piacevano�al�narratore�da�ragazzo?•� Che�cosa�pensava�del�lavoro�in�città?

5.�Che�cosa�sentiva�dire�il�ragazzo,�in�casa,�degli�operai�e�degli�impiegati�che�«si�lamentavano»�e�protestavano?•� Che�cosa�pensava�il�ragazzo�quando�sentiva�parlare�delle�proteste�e�degli�scioperi�dei�lavoratori?

6.� Individua�nel�testo�le�parole�che�esprimono�il�punto�di�vista�del�narratore�adulto.

riflettere

7.� Quale�di�queste�affermazioni�ti�sembra�che�renda�meglio�il�senso�del�testo?� Il�narratore�fin�da�ragazzo�aveva�capito�che�il�lavoro,�in�fondo,�è�un�piacere� �Il�narratore�aveva�avuto�ben�chiaro�fin�da�ragazzo�che�il�lavoro�non�è�un�piacere,�ma�è�fatica,�sia�in�campagna�che�in�città

� �Il� narratore,� che� fin� da� ragazzo� guardava� con� curiosità� e� interesse� ai� diversi� aspetti� del� lavoro,� ha�modificato�via�via,�con�il�tempo�e�l’esperienza,�le�proprie�idee�sul�lavoro

� Il�narratore�ha�fatto�proprie�le�idee�dei�suoi�genitori�a�proposito�del�lavoro�e�dei�lavoratori

8.� �Perché,�secondo�il�narratore,�per�i�contadini�è�più�difficile�protestare�e�scioperare�che�per�gli�operai�e�gli�impiegati?

� Perché�sono�più�ignoranti� Perché�per�loro�il�lavoro�è�un�piacere� Perché�il�lavoro�della�la�terra�ha�necessità�e�ritmi�diversi�da�quello�industriale� Perché�pensano�che�il�mondo�sia�giusto�così�com’è

9.� Il�che�modo�il�narratore,�da�ragazzo�che�andava�a�scuola,�guardava�al�mondo�del�lavoro?•� In�che�modo�il�narratore�ormai�adulto�ripensa�a�se�stesso�ragazzo�e�al�proprio�modo�ancora�infantile�di�

guardare�la�realtà�del�lavoro?

Scrivere

10.� �Scrivi�un�testo�narrativo�di�circa�250�parole,�in�terza�persona,�dal�titolo:�«Un ragazzo alla scoperta della realtà del lavoro».�Costruisci�una�scaletta�basandoti�sulla�lettura�del�racconto�di�Pavese�e�sulle�risposte�che�hai�dato�alle�domande�precedenti.

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Narrativa e testi non letterari 38 volume A sezione 3 unità 3

Joseph Conrad

LA LINEA D’OMBRALa linea d’ombra, 1917 Lingua originale inglese

Il romanzo breve La linea d’ombra di Joseph Conrad si fonda su un’esperienza personale dello scrittore: la storia del suo primo comando su una nave come ufficiale. Fu una vicenda che segnò per lui la fine della giovinezza. Lo scrittore definisce come la linea d’ombra un confine indefinito e personale che segna il passaggio da un’età della vita a un’altra. Ognuno lo supera in un momento diverso della propria esistenza e con modalità diverse, ma con la consapevolezza di affacciarsi a un periodo nuovo della propria vita.Nelle prime pagine lo scrittore riesce a descrivere uno stato d’animo quanto mai indefinito, attraverso un’analisi attenta dei sintomi con cui esso si manifesta.

Soltanto i giovani hanno tali momenti. Non parlo dei giovanissimi. No. I giovanissimi, a dire il vero, non hanno momenti. È privilegio della prima giovinezza vivere oltre il presente, nella bella e ininterrotta speranza che non conosce pause o introspezione.

Ci si chiude alle spalle il cancelletto della pura fanciullezza e si entra in un giardino incantato. Persino le sue ombre brillano di speranza, ogni svolta del sentiero ha le sue seduzioni. E non perché si tratti d’un paese inesplorato. Si sa bene che tutta l’umanità ha percorso quella strada. È il fascino dell’esperienza universale, dalla quale ci si aspetta una sensazione personale o straordinaria – un po’ di noi stessi.

Riconoscendo le orme dei predecessori si va avanti, eccitati, divertiti, facen-do tutt’uno della cattiva e della buona sorte – del buono e del cattivo tempo, come si dice – la pittoresca sorte comune che serba tante possibilità per chi ha qualità o, forse, fortuna. Già, si va avanti. E anche il tempo va avanti, finché si scorge innanzi a noi una linea d’ombra che ci avverte che la regione della pri-ma gioventù, anch’essa, la dobbiam lasciare addietro. Questo è il periodo della vita in cui posson venire i momenti di cui ho parlato… Quali momenti? Di noia, ecco; di stanchezza, d’insoddisfazione. Momenti sconsiderati. Momenti, intendo, in cui chi è ancora giovane è disposto a commettere azioni sconside-rate, quali maritarsi d’improvviso oppure gettar via un impiego senza ragione.

Non è una storia di matrimonio, questa. Non mi andò così male. La mia azione, per avventata1 che fosse, ebbe l’aspetto d’un divorzio, quasi d’una di-serzione2. Senza ragioni comprensibili per il senso comune rinunciai al mio lavoro – abbandonai il mio impiego – lasciai la nave della quale, al peggio, si poteva dire ch’era un battello a vapore e perciò, forse, non le era dovuta quella cieca fedeltà3 che… Ma è inutile tentar di spiegare quel che anche allora io sospettai: quasi, che fosse un capriccio.

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1.   avventata: presa senza pensare, senza riflet-tere.

2.   diserzione: abbandono di un lavoro che il protagonista aveva scelto liberamente; pro-priamente la diserzione indica l’abbandono del proprio reparto da parte di un militare

che non vi fa più ritorno e costituisce un reato.3.   cieca fedeltà: la vera navigazione è per il pro-

tagonista quella classica a vela, che, a causa del governo delle vele, comportava un rapporto più stretto, quasi di fedeltà, tra la nave e i ma-rinai.

verifica SOMMaTiva NarraTiva 3.3 cOMpeTeNze di leTTura

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Narrativa e testi non letterari 39 volume A sezione 3 unità 3

  4.   porto d’armamento: porto in cui si attrezza una nave con tutto ciò che è necessario per la navigazione.

  5.   sfregiato: la distesa delle acque è interrotta da scogli che ne rompono e ne turbano la compattezza.

  6.   coronamento di poppa: orlo superiore della poppa, cioè della parte anteriore della nave; l’albero di maestra è l’albero che regge la vela principale, bassa e centrale, della nave; distin-tivo armatoriale: il contrassegno che indica e distingue l’armatore, cioè colui che allestisce navi proprie o altrui per la navigazione.

  7.   Syed: titolo che veniva dato a un dignitario, discendente della famiglia di Maometto, il cui colore distintivo era il verde.

  8.   Casa di Arabi degli Stretti: sede di compa-gnie commerciali arabe che operavano nella

regione degli stretti tra il Mediterraneo, il mar di Marmara e il mar Rosso.

  9.   Canale  di  Suez: canale artificiale, costrui-to nel 1869, che collega Porto Said sul mar Mediterraneo e Suez sul mar Rosso; l’Impero Britannico si estendeva allora in vaste zone dell’Asia.

10.   gravemente: con compostezza, con serietà.11.   l’uomo… Allah: nella religione musulmana

l’elemosina è uno degli obblighi dei fedeli.12.   pittoresco: caratteristico, come dimostra la

descrizione fatta nelle righe precedenti.13.   chiglia: grossa trave che percorre il fondo

dello scafo nel senso della lunghezza.14.   propulsione interna: il motore a vapore.15.   acerba: dolorosa.16.   Calasci: appartenenti a un’antica popolazio-

ne dell’Afghanistan nord-orientale.

Accadde in un porto d’Oriente. La nave era orientale, nel senso che allo-ra aveva quel porto d’armamento4. Trafficava fra le isole oscure d’un mare azzurro sfregiato5 di scogli, la rossa bandiera mercantile inglese sul corona-mento di poppa6 e, in testa, all’albero di maestra, il distintivo armatoriale, pure rosso, ma con un bordo verde e una mezzaluna bianca. Ché il proprieta-rio era un arabo, e un Syed7 per giunta. Di qui il bordo verde sulla bandiera. Era capo d’una grande Casa di Arabi degli Stretti8, ma suddito fedele tra i più fedeli di quel complesso organismo ch’è l’Impero Britannico a levante del Canale di Suez9. La politica mondiale non lo turbava affatto, eppure aveva un misterioso potere fra la sua gente.

Non c’importava dell’armatore. Aveva bisogno di bianchi per l’armamento della nave e molti di quelli che impiegava in tal modo nemmeno l’avevan ve-duto per l’intera durata del servizio. Io stesso non lo scorsi che una volta, per puro caso, su di un molo: era un vecchietto nero, cieco d’un occhio, con la veste candida e le pantofole gialle. Una folla di pellegrini malesi, che aveva be-neficati in cibo e in denaro, gli stava baciando la mano gravemente10. Le sue elemosine, sentivo dire, eran vastissime, e coprivano quasi tutto l’arcipelago. Non sta forse scritto che «l’uomo caritatevole è l’amico di Allah11»?

Un eccellente (e pittoresco12) armatore arabo, per il quale non c’era da rom-persi il capo; una più eccellente nave scozzese – ché tale essa era, dalla chi-glia13 in su, ottima a tenere il mare, facile a mantenersi pulita, maneggevole al massimo in ogni senso e, non fosse stato per la sua propulsione interna14, degna dell’amore di chicchessia: ecco di che serbare, anche ora, un rispetto profondo per la sua memoria.

Quanto al genere di traffici in cui era impiegata e al carattere dei miei compagni, non avrei potuto esser più fortunato se un mago benevolo li avesse fatti a mio ordine.

Eppure, d’improvviso lasciai tutto. Lo lasciai nel modo, illogico per noi uomini, con cui un uccello vola via da un comodo ramo. Fu come se, proprio inconsciamente, avessi udito un bisbiglio o visto qualcosa. Già, forse! Ero perfettamente a posto, quel giorno, e l’indomani tutto se n’era andato: fasci-no, sapore, interesse, soddisfazione, tutto. Fu uno di quei momenti, sapete. L’acerba15 malinconia della tarda giovinezza scese su di me e mi portò via. Mi portò via da quella nave, voglio dire.

Eravamo soltanto quattro bianchi a bordo, con un numeroso equipaggio di Calasci16 e due sottufficiali malesi. Il capitano mi fissò severamente, qua-si domandandosi che cosa mi tormentava. Ma era un marinaio ed era stato giovane anche lui, un tempo. Ed ecco, un sorriso salì, gli fece capolino sot-to i folti baffi grigio ferro, ed egli osservò che, naturalmente, se sentivo di

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Narrativa e testi non letterari 40 volume A sezione 3 unità 3

17.   assorto: serio.18.   punta  di  diamante: strumento per tagliare

il vetro; il diamante è una pietra durissima capace di incidere in profondità.

dovermene andare, lui non poteva trattenermi a viva forza. Si stabilì che l’in-domani mattina sarei stato pagato e avrei preso congedo. Mentre uscivo dalla sala nautica, aggiunse d’improvviso, in un tono singolare, assorto17, che spe-rava io trovassi ciò che cercavo con tanta ansia. Dolce e velata osservazione che sembrò andar più a fondo di una punta di diamante18. Credo veramente ch’egli comprendesse il mio caso.

J. Conrad, La linea d’ombra, trad. F. Arcangeli e G. Festi, Bompiani, Milano 1980

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verificare le competenze

analizzare e comprendere

1.� Dove�e�in�quale�epoca�si�svolge�l’episodio?

2.� Il�protagonista�era�soddisfatto�del�suo�lavoro�e�delle�persone�con�cui�lavorava?•� Perché�lascia�il�suo�lavoro?•� È�una�decisione�improvvisa�o�meditata?

3.� �Il�narratore�parla�in�prima�persona�e�racconta�molti�anni�dopo�che�i�fatti�sono�accaduti.�Distingui�la�narra-zione�dei�fatti�dalle�considerazioni�personali.•� Individua�quali�riflessioni�appartengono�al�protagonista-narratore�giovane�e�quali�al�narratore�adulto.

4.�Quale�differenza�esiste�per�il�narratore�tra�l’infanzia�e�la�prima�giovinezza?

riflettere

5.�Di�che�cosa�andava�in�cerca�secondo�te�il�protagonista?

� un�lavoro�diverso

� un�lavoro�di�maggiore�responsabilità

� emozioni

� niente�in�particolare

� se�stesso

� ........................................

6.� �Lo�stato�d’animo�del�protagonista�quando�decide�di�lasciare�il�suo�lavoro�è�confuso�e�complesso.�Prova�a�individuare�i�suoi�sentimenti�e�le�sue�sensazioni�di�allora.

7.� Il�protagonista�adulto�dimostra�di�avere�compreso�la�sua�situazione�di�allora?•� Ti�sembra�che�sia�critico�verso�quella�sua�scelta?

8.�Come�e�secondo�quale�criterio�divideresti�tu�le�età�della�vita?

9.� �La linea d’ombra�è�per�il�protagonista-narratore�una�linea�immaginaria�che�separa�le�età�della�vita.�Ci�sono�stati�momenti�che�hai�vissuto�o�vivi�come�significativi�di�un�momento�di�crescita,�di�un�passaggio�da�una�fase�all’altra�della�tua�vita?•� Quali�elementi�ti�hanno�fatto�capire�che�tra�il�«prima»�e�il�«dopo»�c’è�stato�un�cambiamento?

Scrivere

10.� �Scrivi�un�testo�argomentativo�di�almeno�200�parole�sul�seguente�argomento:�«L’adolescenza viene con-siderata come un momento difficile della vita perché costituisce una fase di passaggio, una fase inde-finita tra l’infanzia e la giovinezza. Condividi questa opinione o ritieni che sia solo un luogo comune? Sostieni la tua tesi attraverso una serie di argomenti come esempi, fatti, dati, citazioni».

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Narrativa e testi non letterari 41 volume A sezione 3 unità 4

Italo Calvino

LA SPECULAZIONE EDILIZIALa speculazione edilizia, 1958

Tra gli eventi della storia non ci sono solo guerre e momenti tragici; ci sono anche le trasformazioni eco-nomiche, che possono cambiare i modi di vivere, i rapporti sociali e anche il territorio. Dalla fine degli anni Cinquanta l’espansione dell’economia portò a un enorme incremento delle costruzioni; il territorio italiano ne fu profondamente modificato, e gravemente danneggiato nelle sue località più belle. In un breve romanzo, di cui quello che segue è il capitolo iniziale, Italo Calvino ritrae con realismo e ironia il fenomeno della febbre del cemento che ha caratterizzato la società italiana contemporanea. Il protagonista è Quinto Anfossi, un uomo colto e riservato, che è affascinato dal nuovo spirito affaristico che sembra aver invaso l’Italia, e attratto dalle opportunità economiche offerte dalla speculazione edilizia : sacrificando un pezzo di terreno adiacente alla villa di famiglia, decide quindi di far costruire uno dei palazzi che stanno cambiando il paesaggio della Riviera ligure.

Alzare gli occhi dal libro (leggeva sempre, in treno) e ritrovare pezzo per pezzo il paesaggio – il muro, il fico, la noria1, le canne, la scogliera – le cose viste da sempre di cui soltanto ora, per esserne stato lontano, s’accorgeva: questo era il modo in cui tutte le volte che vi tornava, Quinto riprendeva contatto col suo paese, la Riviera2. Ma siccome da anni durava questa storia, della sua lontananza e dei suoi ritorni sporadici3, che gusto c’era? sapeva già tutto a memoria: eppure, continuava a cercare di far nuove scoperte, così di scappata, un occhio sul libro l’altro fuori dal finestrino, ed era ormai soltanto una verifica di osservazioni, sempre le stesse.

Però ogni volta c’era qualcosa che gli interrompeva il piacere di quest’eser-cizio e lo faceva tornare alle righe del libro, un fastidio che non sapeva bene neanche lui. Erano le case: tutti questi nuovi fabbricati che tiravano su, ca-samenti cittadini di sei otto piani, a biancheggiare massicci come barriere di rincalzo al franante digradare4 della costa, affacciando più finestre e balconi che potevano verso mare. La febbre del cemento s’era impadronita della Ri-viera: là vedevi il palazzo già abitato, con le cassette dei gerani tutti uguali ai balconi, qua il caseggiato appena finito, coi vetri segnati da serpenti di gesso5, che attendeva le famigliole lombarde smaniose dei bagni; più in là ancora un castello d’impalcature6 e, sotto, la betoniera7 che gira e il cartello dell’agenzia per l’acquisto dei locali.

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1.   noria: ruota che girando solleva acqua attra-verso appositi recipienti. È un elemento del paesaggio tradizionale.

2.   la Riviera: la Riviera ligure.3.   sporadici: saltuari, che avvengono raramente.4.   barriere… digradare: gli alti edifici di nuova

costruzione appaiono come delle barriere, dei muri che contengano (di rincalzo) la costa, che scende (digradare) dalle alture dell’entroterra verso il mare.

5.   serpenti di gesso: i segni a forma di «S» che venivano tracciati sui vetri delle case in co-struzione.

6.   castello  di  impalcature: le impalcature che servono per lavorare alla costruzione di un edificio.

7.   betoniera: macchina impastatrice che serve a preparare il cemento.

verifica SOMMaTiva NarraTiva 3.4 cOMpeTeNze di leTTura

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Narrativa e testi non letterari 42 volume A sezione 3 unità 4

  8.   facevano… dell’altro: gli edifici nuovi sono sempre più alti, come se si arrampicassero l’uno sull’altro.

  9.   eucalipti  e  magnolie: grandi e begli alberi, diffusi nei giardini della costa.

10.   Tauchnitz: casa editrice tedesca che nel 1841 pubblicò la prima collana di libri tascabili.

11.   Washingtonia: varietà di palme.12.   lichenose: ricoperte di licheni, perché umide

e poco soleggiate.13.   dosso brullo: collina priva di vegetazione.14.   muri… contigue: i muri senza finestre degli

edifici, sul lato contiguo a un altro edificio.

15.   disappetente: propriamente significa «che ha poco appetito»; in senso figurato, qui si-gnifica che la sua nostalgia si esauriva presto.

16.   araucaria: albero dai rami fitti e spinosi.17.   chissadove: chissà dove; Calvino preferisce

scriverlo, anche in altri testi, con una parola unica, più suggestiva.

18.   storicista: che cerca le ragioni storiche dei fatti e delle situazioni.

19.   abnorme: anormale, fuori dalla norma, e poco vitale.

Nelle cittadine in salita, a ripiani, gli edifizi nuovi facevano a chi monta sulle spalle dell’altro8, e in mezzo i padroni delle case vecchie allungavano il collo nei soprelevamenti. A***, la città di Quinto, un tempo circondata da giar-dini ombrosi d’eucalipti e magnolie9 dove tra siepe e siepe vecchi colonnelli inglesi e anziane miss si prestavano edizioni Tauchnitz10 e annaffiatoi, ora le scavatrici ribaltavano il terreno fatto morbido dalle foglie marcite o granuloso dalle ghiaie dei vialetti, e il piccone diroccava le villette a due piani, e la scure abbatteva in uno scroscio cartaceo i ventagli delle palme Washingtonia11, dal cielo dove si sarebbero affacciate le future soleggiate-tricamere-servizi.

Quando Quinto saliva alla sua villa, un tempo dominante la distesa dei tetti della città nuova e i bassi quartieri della marina e il porto, più in qua il mucchio di case muffite e lichenose12 della città vecchia, tra il versante della collina a ponente dove sopra gli orti s’infittiva l’oliveto, e, a levante, un reame di ville e alberghi verdi come un bosco, sotto il dosso brullo13 dei campi di garofani scintillanti di serre fino al Capo: ora più nulla, non vedeva che un sovrapporsi geometrico di parallelepipedi e poliedri, spigoli e lati di case, di qua e di là, tetti, finestre, muri ciechi per servitù contigue14 con solo i finestri-ni smerigliati dei gabinetti uno sopra l’altro.

Sua madre, ogni volta che lui veniva a ***, per prima cosa lo faceva salire sul terrazzo, (lui, con la sua nostalgia pigra, distratta e subito disappetente15 sarebbe ripartito senz’andarci); – Adesso ti faccio vedere le novità, – e gli indicava le nuove fabbriche: – Là i Sampieri soprelevano, quello è un palazzo nuovo di certi di Novara, e le monache, anche le monache, ti ricordi il giar-dino coi bambù che si vedeva là sotto? Ora guarda che scavo, chissà quan-ti piani vogliono fare con quelle fondamenta! E l’araucaria16 della villa Van Moen, la più bella della Riviera, adesso l’impresa Baudino ha comprato tutta l’area, una pianta che avrebbe dovuto preoccuparsene il Comune, andata in legna da bruciare; del resto, trapiantarla era impossibile, le radici chissadove17 arrivavano. Vieni da questa parte, ora; qui a levante, vista da toglierci non ne avevano più, ma guarda quel nuovo tetto che è spuntato: ebbene, adesso il sole alla mattina arriva qui mezz’ora dopo.

E Quinto: – Eh, eh! Accidenti! Ah, cara mia! – non era capace che d’uscir-sene in esclamazioni inespressive e risolini, tra il «Tanto che ci vuoi fare?» e addirittura il compimento ai più irreparabili guasti, forse per un residuo di giovanile volontà di scandalo, forse per l’ostentazione di saggezza di chi sa inutili le lamentele contro il moto della storia. Eppure, la vista d’un paese ch’era il suo, che se andava così sotto il cemento, senz’essere stato da lui vera-mente posseduto, pungeva Quinto. Ma bisogna dire che egli era uomo storici-sta18, rifiutante malinconie, uomo che ha viaggiato, eccetera, insomma, non glie ne importava niente!

[…] Ecco, ora, lì, quel suo paese, quella parte amputata di sé, aveva una nuova vita, sia pure abnorme19, antiestetica, e proprio perciò – per i contrasti

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Narrativa e testi non letterari 43 volume A sezione 3 unità 4

20.   Ampelio: il fratello del protagonista.21.   speculazione  edilizia: operazione finanzia-

ria consistente nell’acquistare per rivendere

terreni edificabili con il fine di conseguire un forte profitto dalla differenza fra il prezzo d’acquisto e quello di vendita.

che dominano le menti educate alla letteratura – più vita che mai. E lui non ne partecipava; legato ai luoghi ormai appena da un filo d’eccitazione no-stalgica, e dalla svalutazione d’un’area semi-urbana non più panoramica, ne aveva solo un danno. Dettata da questo stato d’animo, la frase: – Se tutti co-struiscono perché non costruiamo anche noi? – che egli aveva buttato lì un giorno conversando con Ampelio20 in presenza della madre, e l’esclamazione di lei, a mani alzate verso le tempie: – Per carità! Povero il nostro giardino! – erano state il seme di una ormai lunga serie di discussioni, progetti, calcoli, ricerche, trattative. Ed ora, appunto, Quinto faceva ritorno alla sua città na-tale per intraprendervi una speculazione edilizia21.

I. Calvino, La speculazione edilizia, in Romanzi e racconti, Mondadori, Milano 2005

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verificare le competenze

analizzare e comprendere

1.� Dove�è�ambientata�la�vicenda?•� Quali�sono�le�caratteristiche�dei�luoghi�rappresentati?

2.�Che�cosa�sta�facendo�il�protagonista�nel�presente�della�storia?

3.�Che�cosa�prova�il�protagonista�osservando�i�mutamenti�del�paesaggio�che�gli�è�familiare?

4.�Quali�sono�gli�elementi�naturali�del�paesaggio�ligure�che�la�speculazione�edilizia�sta�distruggendo?

5.�Le�case�sono�indicate�con�diversi�vocaboli:�individuali�nel�testo.

6.�Che�cosa�sceglie�di�fare�alla�fine�il�protagonista�di�fronte�al�dilagare�della�febbre del cemento?

riflettere

7.� Che�cosa�ti�sembra�che�dia�maggiormente�fastidio�al�protagonista?

� La�bruttezza�delle�nuove�costruzioni� La�scomparsa�di�certi�aspetti�del�paesaggio�che�gli�era�caro� Il�fatto�che�altri�traggano�profitto�dalla�speculazione�edilizia�e�lui�no� Il�dispiacere�di�sua�madre�per�lo�scempio�del�paesaggio

9.� Quali�di�questi�aggettivi�ti�sembra�che�descrivano�meglio�il�protagonista?

� indignato� � rassegnato� malinconico� � nostalgico� entusiasta� � conformista� pratico� � indifferente

10.� Quali�aspetti�della�speculazione�edilizia�ti�sembra�che�il�testo�metta�in�evidenza?

Scrivere

11.� �Scrivi�un� testo�espositivo-argomentativo�di�circa�300�parole� su�questo�argomento:�«La costruzione di grandi edifici ha permesso a molte persone di avere abitazioni moderne e anche seconde case per le vacanze, ma spesso ha rovinato il paesaggio».

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Narrativa e testi non letterari 44 volume A sezione 4 unità 1

Iginio Tarchetti

UN OSSO DI MORTORacconti fantastici, 1869

Gli scrittori del movimento della Scapigliatura, sviluppatosi a Milano nella metà dell’Ottocento, si propo-nevano di rappresentare la realtà in tutti i suoi aspetti, sia quelli più brutti sia quelli più misteriosi, com-presi quelli appartenenti alla sfera del paranormale. A loro si devono quindi alcuni interessanti racconti fantastici della narrativa italiana.Nel racconto proposto Tarchetti bilancia con grande attenzione elementi reali e paranormali, senza rinun-ciare a colorare i fatti di un velo di ironia. L’osso di morto oggetto della vicenda costituisce di per sé un oggetto alquanto macabro, ma la sua destinazione a fermacarte lo riduce a un oggetto di uso comune, quasi familiare.La narrazione è affidata a un narratore interno, che racconta ancora incredulo la propria avventura.

Lascio a chi mi legge l’apprezzamento1 del fatto inesplicabile che sto per raccontare.

Nel 1855, domiciliatomi a Pavia, m’era2 dato allo studio del disegno in una scuola privata di quella città; e dopo alcuni mesi di soggiorno aveva stretto relazione con certo Federico M. che era professore di patologia3 e di clinica per l’insegnamento universitario, e che morì di apoplessia fulminante4 pochi mesi dopo che lo aveva conosciuto. Era uomo amantissimo delle scienze, e della sua in particolare – aveva virtù e doti di mente non comuni – senonché come tutti gli anatomisti5 ed i clinici in genere, era scettico6 profondamente e inguaribilmente – lo era per convinzione, né io potei mai indurlo alle mie credenze, per quanto mi vi adoprassi7 nelle discussioni appassionate e calo-rose che avevamo ogni giorno a questo riguardo. Nondimeno – e piacemi rendere questa giustizia alla sua memoria – egli si era mostrato sempre tolle-rante di quelle convinzioni che non erano le sue; ed io e quanti il8 conobbero abbiamo serbato la più cara rimembranza di lui. Pochi giorni prima della sua morte egli mi aveva consigliato ad assistere alle sue lezioni di anatomia, adducendo9 che ne avrei tratte non poche cognizioni giovevoli alla mia arte del disegno: acconsentii benché repugnante10; e spinto dalla vanità di parergli

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1.   apprezzamento: valutazione; inesplicabile si-gnifica inspiegabile, straordinario.

2.   m’era dato: mi ero dato; la forma in -a della prima persona dell’imperfetto indicativo è propria della lingua antica; la forma in -o si formò in Toscana già nel XIII secolo, ma i non toscani continuarono a usare anche nell’Otto-cento la forma originale. Questa desinenza in -a ricorre per tutto il testo qui riportato.

3.   patologia: lo studio delle cause e dell’evolu-zione delle malattie; clinica: lo studio delle manifestazioni morbose delle malattie, attra-verso l’osservazione del loro decorso nei pa-zienti.

  4.   apoplessia  fulminante: emorragia interna che provoca immediatamente la morte.

  5.   anatomisti: studiosi di anatomia, scienza che studia la morfologia degli organi.

  6.   scettico: chi dubita di tutto e, non potendo mai essere certo della verità, si astiene da qualsiasi tipo di giudizio.

  7.   mi vi adoprassi: ci provassi in ogni modo.  8.   il: lo; ha funzione di pronome.  9.   adducendo: sostenendo; cognizioni sono le

conoscenze.10.   repugnante: ripugnante; riluttante, contra-

rio.

verifica SOMMaTiva NarraTiva 4.1 cOMpeTeNze di leTTura

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Narrativa e testi non letterari 45 volume A sezione 4 unità 1

11.   nol: non lo; lo  richiesi: gli richiesi, il verbo viene qui costruito transitivamente.

12.   subite: improvvise; mi risolsi: mi decisi.13.   rotella: rotula, osso rotondo del ginocchio.14.   magnetizzatore: chi fa esperimenti di ma-

gnetismo.15.   aveva  fatto  istanze: avevo fatto richieste

pressanti.16.   invocazioni: chiamate perché gli spiriti fa-

cessero sentire la loro presenza.

17.   gabinetto appartato: stanza riservata.18.   titubante: incerto.19.   era mio disegno: era mio proposito.20.   spiritualità: qualità spirituali.21.   potenza di volizione: forza di concentrazio-

ne della volontà.22.   me inconsapevole: senza che ne fossi consa-

pevole; è una costruzione latineggiante.23.   gabinetto anatomico: locale adibito all’ana-

lisi anatomica dei cadaveri.

meno pauroso che nol11 fossi, lo richiesi di alcune ossa umane che egli mi diede e che io collocai sul caminetto della mia stanza. Colla morte di lui io aveva cessato di frequentare il corso anatomico, e più tardi aveva anche desi-stito dallo studio del disegno. Nondimeno aveva conservato ancora per molti anni quelle ossa, che l’abitudine di vederle me le aveva rese quasi indifferenti, e non sono più di pochi mesi che, colto da subite12 paure, mi risolsi a seppel-lirle, non trattenendo presso di me che una semplice rotella13 di ginocchio. Questo ossicino sferico e liscio che per la sua forma e per la sua piccolezza io aveva destinato, fino dal primo istante che l’ebbi, a compiere l’ufficio d’un premi-carte, come quello che non mi richiamava alcuna idea spaventosa, si trovava già collocato da undici anni sul mio tavolino, allorché ne fui privato nel modo inesplicabile che sto per raccontare.

Aveva conosciuto a Milano nella scorsa primavera un magnetizzatore14 assai noto tra gli amatori di spiritismo, e aveva fatto istanze15 per essere am-messo ad una delle sue sedute spiritiche. Ricevetti poco dopo invito di re-carmivi, e vi andai agitato da prevenzioni sì tristi, che più volte lungo la via era stato quasi in procinto di rinunciarvi. L’insistenza del mio amor proprio mi vi aveva spinto mio malgrado. Non starò a discorrere qui delle invoca-zioni16 sorprendenti a cui assistetti: basterà il dire che io fui sì meravigliato delle risposte che ascoltammo da alcuni spiriti, e la mia mente fu sì colpita da quei prodigi, che superato ogni timore, concepii il desiderio di chiamarne uno di mia conoscenza, e rivolgergli io stesso alcune domande che aveva già meditate e discusse nella mia mente. Manifestata questa volontà, venni intro-dotto in un gabinetto appartato17, ove fui lasciato solo; e poiché l’impazienza e il desiderio d’invocare molti spiriti a un tempo mi rendevano titubante18 sulla scelta, ed era mio disegno19 di interrogare lo spirito invocato sul desti-no umano, e sulla spiritualità20 della nostra natura, mi venne in memoria il dottore Federico M. col quale, vivente, aveva avuto delle vive discussioni su questo argomento, e deliberai di chiamarlo. Fatta questa scelta, mi sedetti ad un tavolino, disposi innanzi a me un foglietto di carta, intinsi la penna nel calamaio, mi posi in atteggiamento di scrivere, e concentratomi per quanto era possibile in quel pensiero, e raccolta tutta la mia potenza di volizione21, e direttala a quello scopo, attesi che lo spirito del dottore venisse.

Non attesi lungamente. Dopo alcuni minuti d’indugio mi accorsi per sen-sazioni nuove e inesplicabili che io non era più solo nella stanza, sentii per così dire la sua presenza; e prima che avessi saputo risolvermi a formulare una domanda, la mia mano agitata e convulsa, mossa come da una forza estranea alla mia volontà, scrisse, me inconsapevole22, queste parole:

«Sono a voi. Mi avete chiamato in un momento in cui delle invocazioni più esigenti mi impedivano di venire, né potrò trattenermi ora qui, né ri-spondere alle interrogazioni che avete deliberato di farmi. Nondimeno vi ho obbedito per compiacervi, e perché aveva bisogno io stesso di voi; ed era gran tempo che cercava il mezzo di mettermi in comunicazione col vostro spirito. Durante la mia vita mortale vi ho date alcune ossa che aveva sot-tratte al gabinetto anatomico23 di Pavia, e tra le quali vi era una rotella di

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Narrativa e testi non letterari 46 volume A sezione 4 unità 1

24.   ha appartenuto: era appartenuto.25.   arbitrariamente: senza averne l’autorizza-

zione.26.   inconcludente: di poco conto.27.   ingranchita: intorpidita, come se fosse presa

da crampi.

28.   detenzione: possesso.29.   Annichilito: annientato, spaventato a morte.30.   tuono: tono.31.   prevenzione: preavviso.

ginocchio che ha appartenuto24 al corpo di un ex inserviente dell’Università, che si chiamava Pietro Mariani, e di cui io aveva sezionato arbitrariamente25 il cadavere. Sono ora undici anni che egli mette alla tortura il mio spirito per riavere quell’ossicino inconcludente26, né cessa di rimproverarmi ama-ramente quell’atto, di minacciarmi, e di insistere per la restituzione della sua rotella. Ve ne scongiuro per la memoria forse non ingrata che avrete serbato di me, se voi la conservate tuttora, restituitegliela, scioglietemi da questo debito tormentoso. Io farò venire a voi in questo momento lo spirito del Ma-riani. Rispondete.»

Atterrito da quella rivelazione, io risposi che conservava di fatto quella sciagurata rotella, e che era felice di poterla restituire al suo proprietario le-gittimo, che, non v’essendo altra via, mandasse da me il Mariani. Ciò detto, o dirò meglio, pensato, sentii la mia persona come alleggerita, il mio braccio più libero, la mia mano non più ingranchita27 come dianzi, e compresi, in una parola, che lo spirito del dottore era partito.

Stetti allora un altro istante ad attendere – la mia mente era in uno stato di esaltazione impossibile a definirsi.

In capo ad alcuni minuti, riprovai gli stessi fenomeni di prima, benché meno intensi; e la mia mano trascinata dalla volontà dello spirito, scrisse que-ste altre parole:

«Lo spirito di Pietro Mariani ex inserviente dell’Università di Pavia, è in-nanzi a voi, e reclama la rotella del suo ginocchio sinistro che ritenete indebi-tamente da undici anni. Rispondete.»

Questo linguaggio era più conciso e più energico di quello del dottore. Io replicai allo spirito: Io sono dispostissimo a restituire a Pietro Mariani la ro-tella del suo ginocchio sinistro, e lo prego anzi a perdonarmene la detenzio-ne28 illegale; desidero però di conoscere come potrò effettuare la restituzione che mi è domandata.

Allora la mia mano tornò a scrivere;«Pietro Mariani, ex inserviente dell’Università di Pavia, verrà a riprendere

egli stesso la sua rotella.»– Quando? chiesi io atterrito.E la mano vergò istantaneamente una sola parola «Stanotte.»Annichilito29 da quella notizia, coperto di un sudore cadaverico, io mi af-

frettai ad esclamare, mutando tuono30 di voce ad un tratto: «Per carità… vi scongiuro… non vi disturbate… manderò io stesso… vi saranno altri mezzi meno incomodi…» Ma non aveva finito la frase che mi accorsi per le sensa-zioni già provate dapprima, che lo spirito di Mariani si era allontanato, e che non v’era più mezzo ad impedire la sua venuta.

È impossibile che io possa rendere qui colle parole l’angoscia delle sensa-zioni che provai in quel momento. Io era in preda ad un panico spaventoso. Uscii da quella casa mentre gli orologi della città suonavano la mezzanotte: le vie erano deserte, i lumi delle finestre spenti, le fiamme nei fanali offuscate da un nebbione fitto e pesante – tutto mi pareva più tetro del solito. Cam-minai per un pezzo senza sapere dove dirigermi: un istinto più potente della mia volontà mi allontanava dalla mia abitazione. Ove attingere il coraggio di andarvi? Io avrei dovuto ricevervi in quella notte la visita di uno spettro – era un’idea da morirne, era una prevenzione31 troppo terribile.

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Narrativa e testi non letterari 47 volume A sezione 4 unità 1

32.   impannata: imposta, anta; l’impannata era un telo o un cartone posto a riparo di una finestra contro il freddo.

33.   meco stesso: con me stesso.34.   indarno: invano.35.   assopito: appena addormentato; catalettico

indica uno stato in cui i muscoli sono irri-

giditi, come se fossero stati colpiti da cata-lessia.

36.   stearica: candela di stearina, un acido grasso combustibile, di origine animale e vegetale.

37.   cappa: copertura opprimente.38.   dissipatosi: dissoltosi.39.   la è: essa è.

Volle allora il caso che aggirandomi, non so più per qual via, mi trovassi di fronte a una bettola su cui vidi scritto a caratteri intagliati in un’impannata32, e illuminati da una fiamma interna «Vini nazionali» e io dissi senz’altro a me stesso: Entriamovi, è meglio così, e non è un cattivo rimedio; cercherò nel vino quell’ardimento che non ho più il potere di chiedere alla mia ragione. E cacciatomi in un angolo d’una stanzaccia sotterranea domandai alcune botti-glie di vino che bevetti con avidità, benché repugnante per abitudine all’abu-so di quel liquore. Ottenni l’effetto che aveva desiderato. Ad ogni bicchiere bevuto il mio timore svaniva sensibilmente, i miei pensieri si dilucidavano, le mie idee parevano riordinarsi, quantunque con un disordine nuovo; e a poco a poco riconquistai talmente il mio coraggio che risi meco stesso33 del mio terrore, e mi alzai, e mi avviai risoluto verso casa.

Giunto in stanza, un po’ barcollante pel troppo vino bevuto, accesi il lume, mi spogliai per metà, mi cacciai a precipizio nel letto, chiusi un occhio e poi un altro, e tentai di addormentarmi. Ma era indarno34. Mi sentiva assopito35, irrigidito, catalettico, impotente a muovermi; le coperte mi pesavano addosso e mi avviluppavano e mi investivano come fossero di metallo fuso: e durante quell’assopimento incominciai ad avvedermi che dei fenomeni singolari si compievano intorno a me.

Dal lucignolo della candela che mi pareva avere spento, che era d’altronde una stearica36 pura, si sollevavano in giro delle spire di fumo sì fitte e sì nere, che raccogliendosi sotto il soffitto lo nascondevano, e assumevano apparenza di una cappa37 pesante di piombo: l’atmosfera della stanza divenuta ad un tratto soffocante, era impregnata di un odore simile a quello che esala dalla carne viva abbrustolita, le mie orecchie erano assordate da un brontolio in-cessante di cui non sapeva indovinare le cause, e la rotella che vedeva lì, tra le mie carte, pareva muoversi e girare sulla superficie del tavolo, come in preda a convulsioni strane e violenti.

Durai non so quanto tempo in quello stato: io non poteva distogliere la mia attenzione da quella rotella. I miei sensi, le mie facoltà, le mie idee, tutto era concentrato in quella vista, tutto mi attraeva a lei; io voleva sollevarmi, discendere dal letto, uscire, ma non mi era possibile; e la mia desolazione era giunta a tal grado che quasi non ebbi a provare alcun spavento, allorché dissipatosi38 a un tratto il fumo emanato dal lucignolo della candela, vidi sollevarsi la tenda dell’uscio e comparire il fantasma aspettato.

Io non batteva palpebra. Avanzatosi fino alla metà della stanza, s’inchinò cortesemente e mi disse: «Io sono Pietro Mariani, e vengo a riprendere, come vi ho promesso la mia rotella.»

E poiché il terrore mi rendeva esitante a rispondergli, egli continuò con dolcezza: «Perdonerete se ho dovuto disturbarvi nel colmo della notte… in quest’ora… capisco che la è39 un’ora incomoda… ma…»

– Oh! è nulla, è nulla, io interruppi rassicurato da tanta cortesia, io vi deb-bo anzi ringraziare della vostra visita… io mi terrò sempre onorato di rice-vervi nella mia casa…

– Ve ne son grato, disse lo spettro, ma desidero ad ogni modo giustificarmi dell’insistenza con cui ho reclamato la mia rotella sia presso di voi, sia presso l’egregio dottore dal quale l’avete ricevuta: osservate.

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Narrativa e testi non letterari 48 volume A sezione 4 unità 1

40.   stinco: tibia, osso anteriore della gamba, che va dal ginocchio al collo del piede; femore: l’osso lungo della coscia, articolato con l’an-ca e con la tibia; fibula: peróne, l’altro osso della gamba.

41.   Tolga il cielo: il cielo non voglia.

42.   languiva: stava finendo; il protagonista cer-ca di dissimulare la sua paura, comportan-dosi come se fosse in una normale situazione da salotto, in cui è buona educazione tenere viva la conversazione.

43.   coltri: coperte.

E così dicendo sollevò un lembo del lenzuolo bianco, in cui era avviluppa-to, e mostrandomi lo stinco40 della gamba sinistra legato al femore, per man-canza della rotella, con un nastro nero passato due o tre volte nell’apertura della fibula, fece alcuni passi per la stanza onde farmi conoscere che l’assenza di quell’osso gl’impediva di camminare liberamente.

– Tolga il cielo41, io dissi allora con accento d’uomo mortificato, che il de-gno ex inserviente dell’Università di Pavia abbia a rimanere zoppicante per mia causa: ecco la vostra rotella, là, sul tavolino, prendetela, e accomodatela come potete al vostro ginocchio.

Lo spettro s’inchinò per la seconda volta in atto di ringraziamento, si slegò il nastro che gli congiungeva il femore allo stinco, lo posò sul tavolino, e presa la rotella, incominciò ad adattarla alla gamba.

– Che notizie ne recate dall’altro mondo? io chiesi allora, vedendo che la conversazione languiva42, durante quella sua occupazione.

Ma egli non rispose alla mia domanda, ed esclamò con aspetto attristato: «Questa rotella è alquanto deteriorata, non ne avete fatto un buon uso.»

– Non credo, io dissi, ma forse che le altra vostra ossa sono più solide?Egli tacque ancora, s’inchinò la terza volta per salutarmi; e quando fu sulla

soglia dell’uscio, rispose chiudendone l’imposta dietro di sé: «Sentite se le altre mie ossa non sono più solide.»

E pronunciando queste parole percosse il pavimento col piede con tanta violenza che le pareti ne tremarono tutte; e a quel rumore mi scossi e… mi svegliai.

E appena desto, intesi che era la portinaia che picchiava all’uscio e diceva: «Son io, si alzi mi venga ad aprire.»

– Mio Dio! esclamai allora fregandomi gli occhi col rovescio della mano, era dunque un sogno, nient’altro che un sogno! che spavento! sia lodato il cielo… Ma quale insensatezza! Credere allo spiritismo… ai fantasmi…» E infilzati in fretta i calzoni, corsi ad aprire l’uscio; e poiché il freddo mi con-sigliava a ricacciarmi sotto le coltri43, mi avvicinai al tavolino per posarvi la lettera sotto il premi-carte…

Ma quale fu il mio terrore quando vi vidi sparita la rotella, e al suo posto trovai il nastro nero che vi aveva lasciato Pietro Mariani!

I. Tarchetti, Racconti fantastici, Guanda, Milano 1977

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Narrativa e testi non letterari 49 volume A sezione 4 unità 1

verificare le competenze

analizzare e comprendere

1.� Dividi�il�testo�in�nuclei�narrativi.•� Elenca�i�personaggi�della�storia.•� Come�si�conclude�la�storia?

2.� Individua�nel�testo�scene,�ellissi,�pause.•� A�quali�fatti�il�narratore�dedica�maggiore�spazio?•� Quanto�tempo�dura�la�storia?

3.�Quali�domande�il�protagonista�voleva�porre�al�dottor�Federico�M.?•� Riceve�le�risposte�attese?

4.�In�quale�stato�d’animo�si�trova�quando�si�manifesta�lo�spirito�del�dottore?•� In�quale�stato�d’animo�si�trova�quando�si�manifesta�lo�spirito�di�Pietro�Mariani?

riflettere

5.�Quali�elementi�della�storia�possono�avere�una�spiegazione�realistica?

•� Quali�invece�risultano�inspiegabili?

6.� �Perché�l’autore�ha�scelto�di�affidare�la�narrazione�a�un�narratore�interno?�Quale�effetto�ha�ottenuto�in�que-sto�modo?

7.� Qual�è�il�tema�del�racconto?� Un’avventura�straordinaria� La�presenza�dei�fantasmi�nella�nostra�vita� L’inspiegabilità�di�alcuni�fenomeni� Il�piacere�per�il�macabro

8.� Il�racconto�si�conclude�con�l’ultimo�fatto�della�trama.�Quale�effetto�produce�sul�lettore�questa�conclusione?

9.�Quali�elementi�fanno�di�questo�testo�un�racconto?

Scrivere

10.� �Scrivi�un�testo�di�circa�200�parole�spiegando,�alla�luce�dell’analisi�svolta,�quali�elementi�del�testo�di�Tar-chetti�sono�tipici�della�forma�racconto.

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Narrativa e testi non letterari 50 volume A sezione 4 unità 2

Dino Buzzati

VERSO LA FORTEZZAIl deserto dei Tartari, 1940

Questo è il capitolo iniziale dell’opera più nota di Dino Buzzati, uno scrittore che nei suoi romanzi e racconti costruì intorno alla realtà quotidiana atmosfere cariche di tensione, di inquietudine, a volte di mistero. Protagonista del romanzo è un giovane ufficiale assegnato a una postazione militare di confine, affacciata su uno sterminato deserto da cui potrebbero arrivare i temuti Tartari. L’invasione dei leggen-dari e pericolosi nemici è, d’altronde, improbabile, e Drogo invecchierà nell’inutile attesa della battaglia.

Nominato ufficiale, Giovanni Drogo partì una mattina di settembre dalla città per raggiungere la Fortezza Bastiani, sua prima destinazione.

Si fece svegliare ch’era ancora notte e vestì per la prima volta la divisa di tenente. Come ebbe finito, al lume di una lampada a petrolio si guardò nel-lo specchio, ma senza trovare la letizia che aveva sperato. Nella casa c’era un grande silenzio, si udivano solo piccoli rumori da una stanza vicina; sua mamma stava alzandosi per salutarlo.

Era quello il giorno atteso da anni, il principio della sua vera vita. Pensava alle giornate squallide all’Accademia militare, si ricordò delle amare sere di studio quando sentiva fuori nelle vie passare la gente libera e presumibilmen-te1 felice; delle sveglie invernali nei cameroni gelati, dove ristagnava l’incubo delle punizioni. Ricordò la pena di contare i giorni ad uno ad uno che sem-brava non finissero mai.

Adesso era finalmente ufficiale, non aveva più da consumarsi sui libri né da tremare alla voce del sergente, eppure tutto questo era passato. Tutti quei giorni, che gli erano sembrati odiosi, si erano ormai consumati per sempre, formando mesi ed anni che non si sarebbero ripetuti mai. Sì, adesso egli era ufficiale, avrebbe avuto soldi, le belle donne lo avrebbero forse guardato, ma in fondo – si accorse Giovanni Drogo – il tempo migliore, la prima giovi-nezza, era probabilmente finito. Così Drogo fissava lo specchio, vedeva uno stentato sorriso sul proprio volto, che invano aveva cercato di amare.

Che cosa senza senso: perché non riusciva a sorridere con la doverosa spen-sieratezza mentre salutava la madre? Perché non badava neppure alle sue ul-time raccomandazioni e arrivava soltanto a percepire il suono di quella voce, così familiare ed umano? Perché girava per la camera con inconcludente2 nervosismo, senza riuscire a trovare l’orologio, il frustino, il berretto, che pure si trovavano al loro giusto posto? Non partiva certo per la guerra! Deci-ne di tenenti come lui, i suoi vecchi compagni, lasciavano a quella stessa ora la casa paterna fra allegre risate, come se andassero a una festa. Però non gli uscivano dalla bocca, per la madre, che frasi generiche vuote di senso invece

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1.   presumibilmente: probabilmente; in base a quello che si poteva supporre.

2.   inconcludente: che porta a non concludere nulla.

verifica SOMMaTiva NarraTiva 4.2 cOMpeTeNze di leTTura

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Narrativa e testi non letterari 51 volume A sezione 4 unità 2

3.   presentimento  di  cose  fatali: avvertimento confuso di qualcosa di grave o del compiersi di un destino.

4.   Albeggiava: era l’alba, la prima luce del giorno.

5.   apatici: privi di espressione e di sentimento.6.   ridotta: fortificazione militare di importanza

secondaria, che serve a proteggere una posta-zione più importante.

che affettuose e tranquillanti parole? L’amarezza di lasciare per la prima volta la vecchia casa, dove era nato alle speranze, i timori che porta con sé ogni mutamento, la commozione di salutare la mamma, gli riempivano l’animo, ma su tutto ciò gravava un insistente pensiero, che non gli riusciva di iden-tificare, come un vago presentimento di cose fatali3, quasi egli stesse per co-minciare un viaggio senza ritorno.

L’amico Francesco Vescovi lo accompagnò a cavallo per il primo tratto di strada. Lo scalpitio delle bestie risuonava nelle strade deserte. Albeggiava4, la città era ancora immersa nel sonno, qua e là agli ultimi piani qualche per-siana si apriva, comparivano facce stanche, apatici5 occhi fissavano per un momenti la nascita meravigliosa del sole.

I due amici non parlavano. Drogo pensava a come potesse essere la Fortez-za Bastiani, ma non riusciva a immaginarla. Non sapeva neppure esattamen-te dove si trovasse, né quanta strada ci fosse da fare. Alcuni gli avevano detto una giornata di cavallo, altri meno, nessuno di coloro a cui aveva chiesto c’era in verità mai stato.

Alle porte della città, Vescovi cominciò vivacemente a parlare delle solite cose, come se Drogo andasse a una passeggiata. Poi, a un certo punto:

– Vedi quel monte erboso? Sì, proprio quello. Vedi in cima una costruzio-ne? – diceva. – È già un pezzo della Fortezza, una ridotta6 avanzata. Ci sono passato due anni fa, mi ricordo, con mio zio, per andare a caccia.

Erano oramai usciti dalla città. Cominciavano i campi di granturco, i prati, i rossi boschi autunnali. Per la strada bianca, battuta dal sole, avanzavano i due fianco a fianco. Giovanni e Francesco erano amici, vissuti insieme per lunghi anni, con le stesse passioni, le stesse amicizie; si erano visti sempre ogni giorno, poi Vescovi si era fatto grasso, Drogo invece era diventato uffi-ciale e adesso sentiva come l’altro fosse oramai lontano. Tutta quella vita faci-le ed elegante oramai non gli apparteneva più, cose gravi e sconosciute lo at-tendevano. Il suo cavallo e quello di Francesco – gli pareva – avevano già un passo diverso, uno scalpitare, il suo, meno leggero e vivace, come un fondo di ansia e fatica, come se anche la bestia sentisse che la vita stava per cambiare.

Erano giunti in cima a una salita. Drogo si voltò indietro a guardare la città contro luce; fumi mattutini si alzavano dai tetti. Vide di lontano la propria casa. Identificò la finestra della sua stanza. Probabilmente i vetri erano aper-ti, le donne stavano mettendo in ordine. Avrebbero disfatto il letto, chiuso in un armadio gli oggetti, poi sprangato le persiane. Per mesi e mesi nessuno ci sarebbe entrato, tranne la paziente polvere e nei giorni di sole tenui strisce di luce. Eccolo rinserrato nel buio, il piccolo mondo della sua fanciullezza. La madre l’avrebbe conservato così affinché lui tornando ci si ritrovasse ancora, perché lui potesse là dentro rimanere ragazzo, anche dopo la lunga assenza; oh, certo lei si illudeva di poter conservare intatta una felicità per sempre scomparsa, di trattenere la fuga del tempo, che riaprendo le porte e le finestre al ritorno del figlio le cose sarebbero tornate come prima.

L’amico Vescovi qui lo salutò affettuosamente e Drogo continuò solo per la strada, avvicinandosi alle montagne. Il sole era a picco quando giunse all’im-bocco della valle che conduceva alla Fortezza. A destra, in cima a un monte, si vedeva la ridotta che il Vescovi gli aveva indicato. Non sembrava che ci dovesse essere ancora molta strada.

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Narrativa e testi non letterari 52 volume A sezione 4 unità 2

7.   piccoli: piccoli esseri.8.   greppi: fianchi ripidi e scoscesi della monta-

gna.

  9.   scolte: sentinelle.10.   bonaria: amichevole.

Ansioso di arrivare, Drogo, senza fermarsi a mangiare, spinse il cavallo già stanco su per la strada che si faceva ripida e incassata fra precipitosi costo-ni. Gli incontri erano sempre più rari. A un carrettiere Giovanni domandò quanto tempo ci fosse per arrivare alla Fortezza.

– La fortezza? – rispose l’uomo – quale fortezza?– La Fortezza Bastiani – disse Drogo.– Da queste parti non ci sono fortezze – fece il carrettiere. – Non l’ho mai

sentito dire.Evidentemente era male informato. Drogo riprese il cammino e avvertiva

una sottile inquietudine man mano che il pomeriggio avanzava. Egli scrutava i bordi altissimi della valle per scoprire la Fortezza. Immaginava una specie di antico castello con muraglie vertiginose. Passando le ore, sempre più si convinceva che Francesco gli aveva dato una informazione sbagliata; la ri-dotta da lui indicata doveva essere già molto indietro. E si avvicinava la sera.

Guardateli, Giovanni Drogo e il suo cavallo, come piccoli7 sul fianco delle montagne che si fanno sempre più grandi e selvagge. Egli continua a salire per arrivare alla Fortezza in giornata, ma più svelte di lui, dal fondo, dove romba il torrente, più svelte di lui salgono le ombre. A un certo punto esse si trovano proprio all’altezza di Drogo sul versante opposto della gola, sembrano per un momento rallentare la corsa, come per non scoraggiarlo, poi scivolano su per i greppi8 e i roccioni, il cavaliere è rimasto di sotto.

Tutto il vallone era già zeppo di tenebre violette, solo le nude creste erbose, a incredibile altezza, erano illuminate dal sole quando Drogo si trovò im-provvisamente davanti, nera e gigantesca contro il purissimo cielo della sera, una costruzione militaresca che sembrava antica e deserta. Giovanni si sentì battere il cuore poiché quella doveva essere la Fortezza, ma tutto, dalle mura al paesaggio, traspirava un’aria inospitale e sinistra.

Girò attorno senza trovare l’ingresso. Benché fosse già scuro nessuna fine-stra era accesa, né si scorgevano lumi di scolte9 sul ciglio dei muraglioni. Solo un pipistrello c’era, che oscillava contro una nube bianca. Finalmente Drogo provò a chiamare: – Ohilà! – gridò – c’è nessuno?

Dall’ombra accumulata ai piedi delle mura sorse allora un uomo, un tipo di vagabondo e di povero, con una barba grigia e un piccolo sacco in mano. Nella penombra però non si distingueva bene, solo il bianco dei suoi occhi dava riflessi. Drogo lo guardò con riconoscenza.

– Di chi cerchi, signore? – domandò.– La Fortezza cerco. È questa?– Non c’è più fortezza qui – fece lo sconosciuto con voce bonaria10. – È

tutto chiuso, saranno dieci anni che non c’è nessuno.– E dov’è la Fortezza allora? – chiese Drogo, improvvisamente irritato con-

tro quell’uomo.– Che Fortezza? Forse quella? – e così dicendo lo sconosciuto tendeva un

braccio, ad indicare qualcosa.In uno spiraglio delle vicine rupi, già ricoperte di buio, dietro una caotica

scalinata di creste, a una lontananza incalcolabile, immerso ancora nel rosso sole del tramonto, come uscito da un incantesimo, Giovanni Drogo vide allo-ra un nudo colle e sul ciglio di esso una striscia regolare e geometrica, di uno speciale colore giallastro: il profilo della Fortezza.

Oh, quanto lontana ancora. Chissà quante ore di strada, e il suo cavallo era già sfinito. Drogo la fissava affascinato, si domandava che cosa ci potesse

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Narrativa e testi non letterari 53 volume A sezione 4 unità 2

11.   bicocca: piccola costruzione. 12.   bastioni: mura fortificate.

essere di desiderabile in quella solitaria bicocca11, quasi inaccessibile, così se-parata dal mondo. Quali segreti nascondeva? Ma erano gli ultimi istanti. Già l’ultimo sole si staccava lentamente dal remoto colle e su per i gialli bastioni12 irrompevano le livide folate della notte sopraggiungente.

D. Buzzati, Il deserto dei Tartari, Mondadori, Milano 1958

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verificare le competenze

analizzare e comprendere

1.� La�vicenda�narrata�è�ambientata�in�un�tempo�e�in�un�luogo�precisi?•� Individua�e�trascrivi�le�parole�che�si�riferiscono�al�luogo�e�al�tempo�della�storia.•� Nel�testo�ci�sono�retrospezioni�e/o�anticipazioni?

2.� Individua�nel�testo�i�tratti�che�caratterizzano�il�protagonista.�Distingui�tratti�fisici�e�tratti�psicologici.•� Prevalgono�i�tratti�fisici�o�quelli�psicologici?

3.� Individua�nel�testo�gli�altri�personaggi.•� Sono�descritti�dettagliatamente?

4.�Che�tipo�di�narratore�è�presente�nel�testo?•� Il�narratore�manifesta�la�sua�presenza?

5.�Con�quali�tecniche�narrative�sono�riportati�i�pensieri�del�protagonista?

riflettere

6.� �Quali�di�queste�parole�esprimono�la�condizione�psicologica�del�protagonista�durante�il�viaggio�verso�la�Fortezza?

� fiducia� � ottimismo� malinconia� � spensieratezza� inquietudine� � nervosismo� vivacità

7. Scegli�il�completamento�che�ti�sembra�corretto.

� La�descrizione�del�rapporto�con�l’amico�e�la�rievocazione�dei�compagni�dell’Accademia�militare� �sottolineano�il�fatto�che�protagonista�è�stato�assegnato�a�una�missione�militarein�cui�avrà�molti�compagni

� sottolineano�la�solitudine�interiore�del�protagonista

8.�La�dimensione�del�tempo�nel�testo�è�particolare.�Quale�di�queste�frasi�la�illustra�meglio?� Prevale�la�narrazione�del�presente,�fatto�di�decisione�e�di�azione� Il�passato�emerge�come�un�periodo�pieno�di�bei�ricordi� Lo�scorrere�del�tempo�è�legato�all’attesa�di�un�futuro�che�appare�incerto

9.�Da�quali�caratteristiche�del�testo�si�capisce�che�esso�fa�parte�di�un�romanzo,�di�una�narrazione�più�lunga?•� In�che�modo�l’autore�suscita�l’interesse�del�lettore?

10.� Quali�aspetti�del�romanzo�novecentesco�si�possono�riconoscere�in�queste�pagine?

Scrivere

11.� Scrivi�un�riassunto�di�circa�250�parole�della�vicenda�narrata,�seguendo�l’ordine�cronologico.

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Narrativa e testi non letterari 54 volume A sezione 4 unità 3

a Facendo riferimento a quanto hai imparato in questa Unità, indica se le seguenti affermazioni sono vere o false e sottolinea le parole che rendono falsa l’affermazione.

� 1.� �I�libri�di�Italo�Calvino�sono�stati�tradotti�e�pubblicati�in�quasi�tutti�i�paesi�europei,mentre�sono�ancora�poco�conosciuti�al�di�fuori�dell’Europa.� V  F

� 2.� �Italo�Calvino�nacque�in�Liguria�nel�1923,�visse�a�Torino,�a�Roma,a�Parigi�e�morì�improvvisamente�in�Toscana,�a�soli�62�anni.� V  F

� 3.� �Italo�Calvino�apparteneva�alla�generazione�che�era�nata�nei�primi�anni�del�fascismo;troppo�giovane�per�essere�richiamato�alle�armi�allo�scoppio�della�Seconda�guerra�mondiale,�rischiò�di�essere�arruolato�nell’esercito�della�Repubblica�di�Salò.� V  F

� 4.� �Italo�Calvino�fu�sempre�un�testimone�attento�della�società�italianae�della�sua�trasformazione.� V  F

� 5.� �Nei�suoi�scritti�Calvino�ha�affermato�che�il�processo�della�creazione�narrativaper�lui�era�spesso�innescato�da�un’immagine�che�gli�si�affacciava�alla�mente.� V  F

� 6.� �Calvino�inventò�e�scrisse�diverse�storie�caratterizzate�da�elementi�di�tipo�fiabesco,storie�che�esprimono�un�sostanziale�desiderio�di�fuga,�di�evasione�dalla�realtà.� V  F

� 7.� �Calvino�si�interessò�a�vari�generi�narrativi,�tra�cui�la�fiaba;ebbe�sempre�scarso�interesse,�invece,�per�la�cultura�scientifica.� V  F

B �Rispondi alle seguenti domande, facendo riferimento ai testi che hai letto in questa Unità.

�   8.� �Quali�fatti�della�storia�italiana�segnarono�maggiormente�la�vita�di�Calvino?

�   9.� �Quale�significato�ha�l’immagine�del�labirinto�che�compare�in�uno�dei�primi�scritti�di�Calvino?

� 10.� �Quali�opere�di�Calvino�rispecchiano�in�modo�più�esplicito�eventi�e�processi�storici�che�carat-terizzano�la�vita�degli�italiani�nel�Novecento?

� 11.� �Che�cosa�hanno�di�simile�i�tre�protagonisti�della�Trilogia degli antenati?

Totale punti

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. . . . . . / 8

. . . . . . / 15

verifica SOMMaTiva NarraTiva 4.3 cONOSceNze

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Narrativa e testi non letterari 55 volume A sezione 4 unità 3

Italo Calvino

LA DISTANZA DALLA LUNALe cosmicomiche, 1965

Questo brano è l’inizio del primo racconto della raccolta Le cosmicomiche. Ogni racconto del libro prende l’avvio da un’osservazione scientifica, intorno alla quale Calvino costruisce una storia di fantasia. In que-sto caso, lo spunto è l’ipotesi che la Luna fosse, in un’epoca remota, molto vicina alla Terra: lo scrittore immagina che in quell’epoca gli abitanti del nostro pianeta, nelle notti di plenilunio, potessero facilmente salire sulla Luna e ridiscenderne. A ricordare un’epoca tanto lontana è, come in tutti i racconti del libro, il vecchio Qfwfq, che ha vissuto ogni evento cosmico di cui siamo a conoscenza, dal Big Bang alla forma-zione del sistema solare alla formazione dell’atmosfera terrestre.

Una volta, secondo Sir George H. Darwin, la Luna era molto vicina alla Terra. Furono le maree che a poco a poco la spinsero lontano: le maree1 che lei Luna provoca nelle acque terrestri e in cui la Terra perde lentamente energia.

Lo so bene! – esclamò il vecchio Qfwfq, – voi non ve ne potete ricordare ma io sì. L’avevamo sempre addosso, la Luna, smisurata: quand’era il plenilu-nio2 – notti chiare come di giorno, ma d’una luce color burro –, pareva che ci schiacciasse; quand’era lunanuova rotolava per il cielo come un nero ombrel-lo portato dal vento; e a lunacrescente veniva avanti a corna così basse3 che pareva lì lì per infilzare la cresta d’un promontorio e restarci ancorata. Ma tutto il meccanismo delle fasi andava diversamente che oggigiorno: per via che le distanze dal Sole erano diverse, e le orbite, e l’inclinazione non ricordo di che cosa; eclissi4 poi, con Terra e Luna così appiccicate, ce n’erano tutti i momenti: figuriamoci se quelle due bestione non trovavano modo di farsi continuamente ombra a vicenda.

L’orbita? Ellittica5, si capisce, ellittica: un po’ ci s’appiattiva addosso e un po’ prendeva il volo. Le maree, quando la Luna si faceva più sotto, salivano che non le teneva più nessuno. C’erano delle notti di plenilunio basso basso e d’al-tamarea alta alta che se la Luna non si bagnava in mare ci mancava un pelo; di-ciamo: pochi metri. Se non abbiamo mai provato a salirci? E come no? Bastava andarci proprio sotto con la barca, appoggiarci una scala a pioli e montar su.

Il punto dove la Luna passava più basso era al largo degli Scogli di Zinco. Andavamo con quelle barchette a remi che si usavano allora, tonde e piatte,

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1.   maree: i movimenti periodici delle acque del mare, che si al-zano e si abbassano durante la giornata a causa dell’attrazione esercitata dalla forza di gravità della Luna.

2.   plenilunio: la fase in cui l’emisfero della Luna visibile dalla Terra appare tutto illuminato, di notte, dalla luce del Sole. Le fasi lunari dipendono dalla posizione che assumono Terra, Luna e Sole.

3.   lunanuova… corna così basse: la Luna nuova o novilunio è la fase in cui l’emisfero visibile della Luna risulta completamen-te in ombra; per questo viene paragonata a un nero ombrello; nella fase di luna crescente, fra il novilunio e il plenilunio, è

illuminata solo una parte della Luna, cui Qfwfq si riferisce come a delle corna che, data la grande vicinanza del satellite, sembrano infilzare un promontorio della costa.

4.   eclissi: l’oscuramento, totale o parziale, di un corpo celeste per l’interposizione di un altro; dalla Terra si possono vedere eclissi di Sole o di Luna.

5.   Ellittica: l’orbita di un pianeta è un’ellisse di cui il Sole occupa uno dei due fuochi. L’ellissi è il luogo dei punti del piano per i quali è costante la somma delle distanze da due punti asse-gnati detti fuochi.

verifica SOMMaTiva NarraTiva 4.3 cOMpeTeNze di leTTura

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Narrativa e testi non letterari 56 volume A sezione 4 unità 3

6.   diafane: quasi trasparenti.7.   calcinoso: del colore e della consistenza della calce; aggettivo

coniato dallo scrittore.8.   accidentata di spunzoni… seghettati: una superficie irrego-

lare, con punte sporgenti e cavità dai bordi odulati e taglienti.

  9.   svellermi: strapparmi.10.   interstizi: stretti spazi.11.   peduncoli: piccolo ramo alla cui estremità si trova il fiore e

successivamente il frutto.

di sughero. Ci si stava in parecchi: io, il capitano Vhd Vhd, sua moglie, mio cugino il sordo, e alle volte anche la piccola Xlthlx che allora avrà avuto dodici anni. L’acqua era in quelle notti calmissima, argentata che pareva mercurio, e i pesci, dentro, violetti, che non potendo resistere all’attrazione della Luna veni-vano tutti a galla, e così polpi e meduse color zafferano. C’era sempre un volo di bestioline minute – piccoli granchi, calamari, e anche alghe leggere e dia-fane6 e piantine di corallo – che si staccavano dal mare e finivano nella Luna, a penzolare giù da quel soffitto calcinoso7, oppure restavano lì a mezz’aria, in uno sciame fosforescente, che scacciavamo agitando delle foglie di banano.

Il nostro lavoro era cosi: sulla barca portavamo una scala a pioli: uno la reg-geva, uno saliva in cima, e uno ai remi intanto spingeva fin lì sotto la Luna; per questo bisognava che si fosse in tanti (vi ho nominato solo i principali). Quello in cima alla scala, come la barca s’avvicinava alla Luna, gridava spaventato: – Alt! Alt! Ci vado a picchiare una testata! – Era l’impressione che dava, a vedersela addosso cosi immensa, così accidentata di spunzoni taglienti e orli slabbrati e seghettati8. Ora forse è diverso, ma allora la Luna, o meglio il fon-do, il ventre della Luna, insomma la parte che passava più accosto alla Terra fin quasi a strisciarle addosso, era coperta da una crosta di scaglie puntute. Al ventre d’un pesce, era venuta somigliando, e anche l’odore, a quel che ricordo, era, se non proprio di pesce, appena più tenue, come il salmone affumicato.

In realtà, d’in cima alla scala s’arrivava giusto a toccarla tendendo le brac-cia, ritti in equilibrio sull’ultimo piolo. Avevamo preso bene le misure (non sospettavamo ancora che si stesse allontanando); l’unica cosa cui bisogna-va stare molto attenti era come si mettevano le mani. Sceglievo una scaglia che paresse salda (ci toccava salire tutti, a turno, in squadre di cinque o sei), m’aggrappavo con una mano, poi con l’altra e immediatamente sentivo scala e barca scapparmi di sotto, e il moto della Luna svellermi9 dall’attrazione terrestre. Sì, la Luna aveva una forza che ti strappava, te ne accorgevi in quel momento di passaggio tra l’una e l’altra: bisognava tirarsi su di scatto, con una specie di capriola, afferrarsi alle scaglie, lanciare in su le gambe, per ritro-varsi in piedi sul fondo lunare. Visto dalla Terra apparivi come appeso a testa in giù, ma per te era la solita posizione di sempre, e l’unica cosa strana era, alzando gli occhi, vederti addosso la cappa del mare luccicante con la barca e i compagni capovolti che dondolavano come un grappolo dal tralcio. […]

Ora voi mi chiederete cosa diavolo andavamo a fare sulla Luna, e io ve lo spiego. Andavamo a raccogliere il latte, con un grosso cucchiaio ed un ma-stello. Il latte lunare era molto denso, come una specie di ricotta. Si formava negli interstizi10 tra scaglia e scaglia per la fermentazione di diversi corpi e sostanze di provenienza terrestre, volati su dalle praterie e foreste e lagune che il satellite sorvolava. Era composto essenzialmente di: succhi vegetali, girini di rana, bitume, lenticchie, miele d’api, cristalli d’amido, uova di storione, muf-fe, pollini, sostanze gelatinose, vermi, resine, pepe, sali minerali, materiale di combustione. Bastava immergere il cucchiaio sotto le scaglie che coprivano il suolo crostoso della Luna e lo si ritirava pieno di quella preziosa fanghiglia. Non allo stato puro, si capisce; le scorie erano molte: nella fermentazione (at-traversando la Luna le distese di aria torrida sopra i deserti) non tutti i corpi si fondevano; alcuni rimanevano conficcati lì: unghie e cartilagini, chiodi, ca-vallucci marini, noccioli e peduncoli11, cocci di stoviglie, ami da pesca, certe

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Narrativa e testi non letterari 57 volume A sezione 4 unità 3

12.   puré: impasto cremoso.

volte anche un pettine. Così questa puré12, dopo raccolta, bisognava scremar-la, passarla in un colino. Ma la difficoltà non era quella: era come mandarla sulla Terra. Si faceva così: ogni cucchiaiata la si lanciava in su, manovrando il cucchiaio come una catapulta, con due mani. La ricotta volava e se il tiro era abbastanza forte s’andava a spiaccicare sul soffitto, cioè sulla superficie ma-rina. Una volta là, restava a galla e tirarla su dalla barca era poi facile. Anche in questi lanci mio cugino il sordo dispiegava una particolare bravura; aveva polso e mira; con un colpo deciso riusciva a centrare il suo tiro in un mastello che gli tendevamo dalla barca. Invece io certe volte facevo cilecca; la cucchia-iata non riusciva a vincere l’attrazione lunare e mi ricadeva in un occhio.

I. Calvino, Le cosmicomiche, in Romanzi e racconti, volume II, Mondadori, Milano 2005

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verificare le competenze

analizzare e comprendere

1.� �La�storia�è�raccontata�da�un�narratore�interno,�Qwfwq.�Individua�le�poche�parole�con�cui�il�narratore�ester-no�introduce�Qwfwq.

2.� Il�narratore�interno�conosce�i�fatti�narrati�per�esperienza�diretta�o�per�conoscenza�indiretta?

3.�Su�quale�spunto�di�carattere�scientifico�è�costruita�la�storia?•� Individua�alcune�parole�del�racconto�di�Qwfwq�che�riprendono�questo�spunto.

4.�Quali�elementi�di�fantasia�sono�presenti�nel�testo?

5.�Quali�parole�del�narratore�fanno�pensare�che�egli�si�stia�rivolgendo�a�qualcuno�che�lo�ascolti�raccontare?•� Individua�nel�testo�alcune�parole�ed�espressioni�di�tipo�colloquiale.•� Individua�alcuni�termini�che�appartengono�al�lessico�delle�scienze.

riflettere

6.�Quali�elementi�del�testo�lo�avvicinano�a�un�racconto�di�fantascienza?•� Quali�elementi�fanno�pensare�a�una�fiaba?

7.� Individua�l’affermazione�corretta.� �Attraverso�le�parole�di�Qwfwq�Calvino�racconta,�con�un�linguaggio�colloquiale,una�storia�di�fantasia�che�prende�l’avvio�da�uno�spunto�scientifico

� �Attraverso�le�parole�di�Qwfwq�Calvino�espone�in�modo�facileun�argomento�di�carattere�scientifico,�con�un�linguaggio�semplice�ma�preciso

� �Attraverso�le�parole�di�Qwfwq�racconta,�con�un�linguaggio�ricco�e�vario,una�storia�di�fantasia�che�prende�l’avvio�da�uno�spunto�scientifico

� �Attraverso�le�parole�di�Qwfwq�Calvino�fa�immedesimare�il�lettorenel�mondo�di�un�personaggio�di�fantascienza

8.� �Qwfwq�è�un�nostro�lontano�antenato,�vissuto�in�un’epoca�che�si�perde�nel�passato�più�remoto�della�storia�del�pianeta�Terra;�ricordi�quali�personaggi�di�Calvino�sono�presentati�come�i nostri antenati?

9.� �Quali�esperienze�della�vita�di�Calvino�si�possono�ricollegare�all’interesse�dello�scrittore�per� la�scienza,�testimoniato�dalle�Cosmicomiche?

Scrivere

10.� �Scrivi�un�testo�espositivo-argomentativo�di�circa�150�parole�dal�titolo:�«Scienza e fantasia in una pagina di Italo Calvino».

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Narrativa e testi non letterari 58 volume A sezione 5 unità 1

a Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false e sottolinea le parole che rendono falsa l’affer-mazione.

� � 1.� �Le�fiabe�rappresentano�esseri�che�non�possono�esistere�nel�mondo�reale,e�situazioni�in�cui�tutto�è�sempre�bello�e�buono.� V  F

� � 2.� ��Al�centro�della�fiaba�e�delle�storie�fantasy�ci�sono�fatti�e�situazioni�inverosimili.� V  F

� � 3.� ��Una�delle�caratteristiche�della�fiaba�è�il�lieto�fine,�in�cui�la�bontàe�il�coraggio�sono�premiati.� V  F

� � 4.� �L’oggetto�desiderato�è�un�oggetto�o�anche�la�persona�amata,�che�l’eroeraggiunge�nel�lieto�fine,�e�costituisce�il�premio�per�il�superamento�delle�prove.� V  F

� � 5.� �Gli�etnografi�hanno�individuato�nelle�fiabe�la�memoriadegli�antichi�riti�di�iniziazione�cui�erano�sottoposti�gli�adolescenti.� V  F

� � 6.� �Gli�psicologi�che�hanno�studiato�l’influenza�delle�fiabe�sulla�formazionedei�bambini�concordano�nell’affermare�che�esse�incidono�negativamente�sulla�psiche�infantile.� V  F

� � 7.� �Nelle�fiabe�di�tutto�il�mondo�si�trovano�molti�elementi�simili.� V  F

� � 8.� �Fiaba,�fantasy�e�fantascienza�hanno�in�comune�la�costruzione�di�mondiin�cui�possono�succedere�cose�impossibili�nella�realtà�che�conosciamo.� V  F

B �Rispondi alle seguenti domande, facendo riferimento ai testi che hai letto in questa Unità.

� � 9.� In�quali�testi�che�hai�letto�è�presente�un�oggetto�magico?

� 10.� �Nei�testi�di�quali�dei�seguenti�autori�sono�presenti�esseri�magici�o�soprannaturali?� � � Grimm� � � Collodi� � � Tolkien� � � Sheckley

� 11.� �In�quali�testi�che�hai�letto�c’è�un�protagonista�giovane�che�deve�superare�delle�prove�difficili?

� 12.� �Che�cosa�ha�in�comune�l’opera�del�maestro�del�fantasy,�Tolkien,�con�le�fiabe?

Totale punti

. . . . . . / 8

. . . . . . / 12

. . . . . . / 20

verifica SOMMaTiva NarraTiva 5.1 cONOSceNze

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Narrativa e testi non letterari 59 volume A sezione 5 unità 1

Charles Perrault

BARBABLÙBarbablù, 1697 Lingua originale francese

Al centro di questa celeberrima fiaba francese non ci sono personaggi soprannaturali, ma una coppia di coniugi. Lui è ricco e generoso, ma fa pensare a un orco, e non solo per il suo aspetto. Lei è una giovane donna un po’ troppo curiosa; in un misterioso stanzino chiuso a chiave scopre un orribile segreto.

C’era una volta un uomo che aveva case bellissime in città e in campagna, vasellame1 d’oro e d’argento, suppellettili2 ricamate e berline3 tutte d’oro; ma, per sua disgrazia, quest’uomo aveva la barba blu e ciò lo rendeva così brutto e spaventoso che non c’e ra ragazza o donna maritata la quale, vedendolo, non fuggisse per la paura.

Una sua vicina, dama molto distinta, aveva due figliole belle come il sole. Egli ne chiese una in matrimonio, lasciando alla ma dre la scelta di quella che avesse voluto dargli. Ma nessuna delle due ne voleva sapere, e se lo rimanda-vano l’una all’altra, non potendo decidersi a sposare un uomo il quale avesse la barba blu. Un’altra cosa poi a loro non andava proprio a genio: era ch’egli aveva già sposato parecchie donne, e nessuno sapeva che fine avessero fatto.

Barbablù, per far meglio conoscenza, le condusse, insieme alla madre, a tre o quattro delle loro migliori amiche, e ad alcuni giovinotti del vicinato, in una delle sue ville in campagna, ove ri masero per otto giorni interi. Non si fecero che passeggiate, partite di caccia e di pesca, balli, festini e meren-de: non si dor miva neppure più, perché si passava tutta la notte a farsi degli scherzi l’uno con l’altro; insomma, tutto andò così bene che la minore delle due sorelle cominciò a trovare che il padron di casa non aveva più la barba tanto blu, ed era in fondo una gran brava persona. Non appena furono tornati in città, il matrimonio fu concluso.

In capo a un mese, Barbablù disse a sua moglie ch’egli era costretto ad intraprendere un viaggio, di almeno sei settimane, per un affare assai im-portante; la pregava di stare allegra durante la sua assenza: invitasse pure le sue amiche più care, le portasse in campagna, se voleva; insomma, pensasse sempre a passarsela bene.

– Ecco qui, – le disse, – le chiavi dei due grandi guardaroba; ecco quelle del vasellame d’oro e d’argento che non si adopera tutti i giorni; ecco quelle delle mie casseforti dove tengo tutto il mio denaro, quelle delle cassette dove sono i gioielli, ed ecco infine la chiave comune che serve ad aprire ogni apparta-mento. Quanto a questa chiavetta qui, è quella che apre lo stanzino in fondo al grande corridoio a pianterreno: aprite pure tutto, andate pure dappertutto, ma quanto allo stanzino, vi proibisco di mettervi piede, e ve lo proibisco in

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1.   vasellame: piatti, tazze, vassoi, tutto ciò che serve per la tavola.

2.   suppellettili: tutti gli oggetti di una casa.3.   berline: carrozze di gala.

verifica SOMMaTiva NarraTiva 5.1 cOMpeTeNze di leTTura

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Narrativa e testi non letterari 60 volume A sezione 5 unità 1

4.   scrupolosamente: attentamente.5.   arazzi: tessuti ricamati, simili a grandi tappe-

ti, che venivano appesi alle pareti.

6.   stipi: mobili chiusi.

modo tale che, non sia mai vi entra ste, dalla mia collera vi potete aspettare ogni cosa!

Lei promette d’ubbidire scrupolosamente4 agli ordini avuti e lui, dopo averla abbracciata, sale in carrozza e parte per il suo viaggio. Le vicine e le amiche del cuore non aspettarono che le si man dasse a chiamare per venire a trovare la sposina, tant’erano impazienti di vedere tutte le ricchezze della casa di lei, e non avendo osato di venirvi quando c’era il marito, sempre per via di quella barba blu che tanto le spaventava, eccole subito a correre per tutte le sale, una più bella e ricca dell’altra. Salirono poi ai guardaroba dove non avevano occhi abbastanza per ammirare la quantità e la bellezza degli araz-zi5, dei letti, dei divani, degli stipi6, dei tavolinetti, delle tavole grandi e degli specchi, dove ci si poteva specchiare dalla punta dei piedi fino ai capelli e le cui cornici, alcune di cristallo, altre d’argento o d’argento dorato, erano le più ricche e splendide che mai si fossero vedute. Non la finivano più di portare alle stelle e invidiare la fortuna della loro amica, ma questa non provava alcun piacere nel vedere tutte quelle ricchezze, perché non vedeva l’ora di andare ad aprire lo stanzino a pianterreno.

La curiosità la spinse a un punto che, senza considerare quanto fosse scon-veniente di lasciare lì, su due piedi, le amiche, ella vi andò, scendendo per una scaletta segreta e con una precipita zione tale che, due o tre volte, fu lì lì per rompersi l’osso del col lo. Giunta dinanzi alla porta dello stanzino, esitò un momento prima d’entrarci, pensando alla proibizione del marito e consi-derando che la propria disubbidienza avrebbe potuto attirarle qual che guaio; ma la tentazione era così forte che non poté vincerla; prese la chiavetta e aper-se con mano tremante la porta dello stanzino.

Dapprincipio ella non vide nulla, perché le finestre erano chiuse; ma a poco a poco cominciò ad accorgersi che il pavimento era tutto coperto di sangue rappreso, nel quale si rispecchiavano i corpi di parecchie donne mor-te e appese lungo le pareti. (Erano tutte le donne che Barbablù aveva sposato e che aveva sgozzato una dopo l’altra). Per poco non morì dalla paura, e la chiave del lo stanzino, che ella aveva ritirato dalla serratura, le cadde di ma-no. Dopo essersi un tantino riavuta, raccolse la chiave, richiuse la porta e salì nella sua camera per riflettere un poco, ma non le riusciva tant’era la sua agitazione.

Essendosi accorta che la chiave dello stanzino era macchiata di sangue, la ripulì due o tre volte, ma il sangue non se ne andava via; allora la lavò e perfino la strofinò con la sabbia e col gesso: il sangue era sempre lì, perché la chiave era fatata, e non c’era mezzo di pulirla perbene: se si levava il sangue da una parte, ri spuntava dall’altra.

La sera stessa Barbablù tornò dal suo viaggio; disse che per stra da aveva ricevuto una lettera, dove gli si diceva che l’affare per il quale era partito, era stato già concluso in modo vantaggioso per lui. La moglie fece tutto il pos-sibile per dimostrargli ch’ella era felice del suo pronto ritorno. Il dì seguente egli le chiese le chiavi, lei le consegnò, ma con una mano così tremante che lui indovinò senza fatica tutto l’accaduto.

– Come mai, –le chiese, – la chiavetta dello stanzino non si tro va qui, in-sieme alle altre?

– Forse, – lei rispose, – l’ho lasciata in camera, sul mio tavolino.– Non tardate a restituirmela, – disse Barbablù.

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Narrativa e testi non letterari 61 volume A sezione 5 unità 1

7.   dardeggia: che splende forte, che manda raggi come fossero dardi, frecce.

8.   brandendo: agitando nell’aria.9.   scarmigliata: spettinata e in disordine.

Dopo qualche inutile indugio, non si poté far a meno di portare la chiave. Barbablù, dopo averla ben guardata, disse alla moglie: – Come mai c’è del sangue su questa chiave?

– Non ne so nulla, – rispose la poverina, più pallida della morte.– Non ne sapete nulla? – replicò Barbablù, – ma io lo so benissimo! Siete

voluta entrare nello stanzino! Ebbene, signora, adesso vi tornerete e prende-rete posto accanto a quelle dame che avete visto lì dentro.

Ella si gettò ai piedi del marito piangendo e chiedendogli perdono, con tut-ti i segni d’un sincero pentimento per la sua disubbi dienza. Bella e addolorata com’era, avrebbe intenerito un macigno; ma Barbablù aveva il cuore più duro d’un macigno. – Bisogna morire, signora, – le disse, – e senza indugi.

– Dato che devo morire, – ella rispose guardandolo con gli occhi pieni di lagrime, – datemi almeno un po’ di tempo per racco mandarmi a Dio.

– Vi accordo un mezzo quarto d’ora, – rispose Barbablù, – ma non un minuto di più.

Rimasta sola, ella chiamò sua sorella e le disse:– Anna, – era questo il suo nome, – Anna, sorella mia, sali, ti prego, sali in

cima alla torre per vedere se i nostri fratelli, per ca so, non stiano arrivando; mi avevano promesso di venire a tro varmi quest’oggi, e se li vedi, fa’ loro se-gno di affrettarsi.

La sorella Anna salì in cima alla torre e la povera infelice le gridava di quando in quando:

– Anna, sorella mia, vedi arrivare nessuno? E la sorella Anna le rispondeva:– Vedo soltanto il sole che dardeggia7 e l’erba che verdeggia.Intanto Barbablù, brandendo8 un coltellaccio, gridava a sua mo glie, con

quanto fiato aveva in corpo:– Scendi giù subito, o salgo su io!– Ancora un momentino, per piacere, – gli rispose la moglie; e, subito

dopo, riprese con voce soffocata:– Anna, sorella mia, vedi arrivare nessuno?E la sorella Anna rispondeva:– Vedo soltanto il sole che dardeggia e l’erba che verdeggia.– Scendi giù subito, – gridava Barbablù, – o salgo su io!– Adesso vengo, – rispondeva la moglie; e poi gridava:– Anna, sorella mia, vedi arrivare nessuno?– Vedo… – rispondeva la sorella Anna, – vedo un gran polverone che viene

da questa parte.– Sono i nostri fratelli?– Ahimè no! sorella mia! È soltanto un branco di pecore!– Insomma, vuoi scendere o no? – sbraitava Barbablù.– Ancora un momento! – rispondeva la moglie; e poi gridava:– Anna, sorella mia, vedi arrivare nessuno?– Vedo… – rispose la sorella, – vedo due cavalieri che vengono da questa

parte, ma sono ancora molto lontani… Dio sia lodato! – esclamò un attimo dopo, – sono proprio i nostri fratelli! Faccio loro tutti i segni che posso, per-ché si sbrighino a venire.

Barbablù si mise a gridare così forte da far tremare la casa. La povera donna scese giù da lui e, tutta piangente e scarmigliata9, andò a gettarsi ai suoi piedi.

– Inutile far tante storie! – disse Barbablù, – dovete morire!Poi, afferrandola con una mano per i capelli, e con l’altra bran dendo in aria

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Narrativa e testi non letterari 62 volume A sezione 5 unità 1

10.   interdetto: incerto, stupito.11.   dragone: soldato di cavalleria.12.   futile: che vale poco.

13.   immantinenti: subito.14.   impassibile: senza mostrare nessuna emo-

zione.

il coltellaccio, si accinse a tagliarle la testa. La po vera donna, volgendosi verso di lui e guardandolo con lo sguar do annebbiato, lo pregò di concederle un ultimo istante per po tersi raccogliere.

– No, – lui disse, – e raccomandati a Dio! – Poi, alzando il brac cio…A questo punto, bussarono così forte alla porta di casa che Bar bablù si fer-

mò interdetto10. Fu aperto, e subito si videro entrare due cavalieri che, sguai-nando la spada, si gettarono su Barbablù. Lui riconobbe ch’erano i fratelli di sua moglie, uno dragone11, l’altro moschettiere, e allora si diede a fuggi-re per mettersi in sal vo; ma i due fratelli gli corsero dietro così lesti che lo acciuffaro no prima ancora che avesse potuto raggiungere la scala. Lo pas-sarono da parte a parte con le loro spade e lo lasciarono morto. La povera donna era anche lei quasi morta come il marito e non aveva la forza di alzarsi per abbracciare i suoi fratelli.

Si scoperse che Barbablù non aveva eredi: così la moglie diventò padrona d’ogni suo avere. Ne adoperò una parte a maritare la sorella Anna con un giovane cavaliere che l’amava da molto tempo; un’altra parte a comperare il grado di capitano ai fratelli; e il rimanente, a maritarsi con un galantuomo che le fece dimen ticare i brutti giorni che aveva passati con Barbablù.

MoraleQuella curiosità che tanto spessoCosta dolori e gravi pentimentiÈ un futile12 piacere (non spiaccia al gentil sesso)Che, una volta raggiunto, finisce immantinenti13.

Altra moraleChiunque sia del mondo un po’ informatoSubito vede che il racconto nostroNon è che storia del tempo passato.Oggi, dove trovarlo un tale mostroDi marito che vuole l’impossibile?Per malcontento e geloso che sia,Oggi il marito si mostra impassibile14

Al fianco della moglie, e tira via.E di qualunque tinta sia tinto il suo barbone,È difficile dire chi dei due sia padrone.

C. Perrault, I racconti di Mamma Oca, trad. E. Giolitti, Einaudi, Torino 1980

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Narrativa e testi non letterari 63 volume A sezione 5 unità 1

verificare le competenze

analizzare e comprendere

1.� Che�effetto�faceva�Barbablù�alle�donne?

2.�Perché�la�sorella�minore�decide�di�accettare�di�sposare�Barbablù?

3.�Perché�la�moglie�di�Barbablù�apre�lo�stanzino?

•� Perché�Barbablù�si�accorge�che�la�moglie�ha�scoperto�il�suo�segreto?

4.�In�che�modo�l’ultima�moglie�di�Barbablù�riesce�a�salvarsi?

5.�Nella�fiaba�ci�sono�elementi�magici?

6.� �Il�testo�spiega�perché�Barbablù�sia�quello�che�oggi�sia�chiamerebbe�un�serial killer?

riflettere

7.� Quali�aspetti�della�narrazione�fanno�di�questa�storia�una�fiaba?

8.� �Quale�o�quali�di�queste�affermazioni�ti�sembra�che�renda�o�rendano�meglio�il�senso�della�fiaba?� L’aspetto�di�un�uomo�rivela�il�suo�carattere� La�curiosità�è�pericolosa� Un�uomo�brutto�ma�ricco�è�un�marito�desiderabile� Le�grandi�ricchezze�non�bastano�a�fare�un�buon�marito� In�ogni�uomo�si�nasconde�un�mostro

9.�Le�due�morali�della�fiaba�hanno�un�carattere�serio�o�scherzoso?

•� Che�differenza�c’è�fra�la�prima�e�la�seconda?

Scrivere

10.� �Riscrivi�con�parole�tue�le�due�morali�con�cui�si�conclude�la�fiaba.

11.� �Scrivi�tu,�in�un�breve�testo�argomentativo,�una�morale�della�fiaba,�dal�tuo�punto�di�vista.

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Narrativa e testi non letterari 64 volume A sezione 5 unità 2

a Facendo riferimento a quanto hai imparato in questa Unità, indica se le seguenti affermazioni sono vere o false e sottolinea le parole che rendono falsa l’affermazione.

� 1.� �I�romanzi�di�genere�gotico�sono�nati�nel�Medioevo.� V  F

� 2.� �Il�concetto�di�fantastico�rimanda�a�tutto�ciò�che�non�appartiene�al�mondo�reale.� V  F

� 3.� �Il�patto�col�diavolo�è�una�sfida�tra�un�uomo�e�il�diavolo.� V  F

� 4.� �L’uso�della�focalizzazione�interna�rende�meno�credibile�il�racconto�dei�testimoni.� V  F

� 5.� �Nel�romanzo�fantastico�del�Novecento�prevale�l’indaginedella�parte�inconscia�dell’animo�umano.� V  F

� 6.� �La�focalizzazione�interna�è�spesso�usata�nel�romanzo�fantastico�settecentesco.� V  F

� 7.� �La�parapsicologia�si�occupa�di�tutti�quei�fenomeni�fisici�e�psichiciche�la�scienza�non�è�in�grado�di�spiegare.� V  F

� 8.� �Il�perturbante�è�un�essere�o�un�evento�soprannaturaleche�riporta�in�superficie�paure�nascoste�nell’animo�dell’uomo.� V  F

B �Rispondi alle seguenti domande, facendo riferimento ai testi che hai letto in questa Unità.

�   9.� �Quale�cambiamento�subiscono�nel�corso�del�tempo�i�personaggi�dei�fantasmi?

� 10.� �In�quale�tipo�di�ambiente�si�svolgono�le�storie�dei�testi�che�hai�letto?

� 11.� �Quali�tra�i�testi�che�hai�letto�sono�più�vicini�al�genere�gotico?

� 12.� �Quali�elementi�dei�testi�che�hai�letto�rimandano�al�genere�fantastico?

Totale punti

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. . . . . . / 8

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verifica SOMMaTiva NarraTiva 5.2 cONOSceNze

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Narrativa e testi non letterari 65 volume A sezione 5 unità 2

Tommaso Landolfi

IL RACCONTO DEL LUPO MANNAROIl mar delle blatte e altre storie, 1939

La dimensione della realtà e quella del fantastico si intrecciano nella narrativa di Tommaso Landolfi. A volte il fantastico si tinge di toni ironici o malinconici, come in questo racconto, tratto da una delle prime raccolte, che è la storia di due amici affetti da licantropia, soggetti quindi a crisi durante le quali han-no reazioni simili a quelle del lupo. L’inizio fa pensare a un classico racconto dell’orrore con l’immagine macabra dei lupi mannari e dei morti viventi in una notte di luna piena; ma, dopo la premessa in cui il protagonista-narratore svela la propria malattia, l’impostazione della storia appare subito diversa.

L’amico ed io non possiamo patire1 la luna: al suo lume escono i morti sfi-gurati dalle tombe, particolarmente donne avvolte in bianchi sudari2, l’aria si colma d’ombre verdognole e talvolta s’affumica d’un giallo sinistro, tutto c’è da temere, ogni erbetta ogni fronda ogni animale, una notte di luna3. E quel che è peggio, essa ci costringe a rotolarci mugolando e latrando4 nei posti umidi, nei braghi dietro ai pagliai; guai allora se un nostro simile ci si parasse davanti! Con cieca furia lo sbraneremmo, ammenoché egli non ci pungesse, più ratto di noi, con uno spillo5. E, anche in questo caso, rimaniamo tutta la notte, e poi tutto il giorno, storditi e torpidi6, come uscissimo da un incubo infamante. Insomma l’amico ed io non possiamo patire la luna.

Ora avvenne che una notte di luna io sedessi in cucina, ch’è la stanza più riparata della casa, presso il focolare; porte e finestre avevo chiuso, battenti e sportelli, perché non penetrasse filo dei raggi che, fuori, empivano e faceva-no sospesa l’aria. E tuttavia sinistri7 movimenti si producevano entro di me, quando l’amico entrò all’improvviso recando in mano un grosso oggetto ro-tondo simile a una vescica di strutto8, ma un po’ più brillante. Osservandola si vedeva che pulsava alquanto, come fanno certe lampade elettriche appariva percorsa da deboli correnti sottopelle, le quali suscitavano riflessi madreper-lacei simili a quelli di cui svariano9 le meduse.

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1.   patire: sopportare.2.   sudari: teli leggeri con i quali nell’antichità

si copriva il volto o si avvolgeva il corpo dei morti.

3.   una notte di luna: in una notte di luna; è un complemento di tempo.

4.   mugolando  e  latrando: lamentandoci e ab-baiando forte; sono versi propri dei cani che i due uomini emettono durante gli attacchi del loro male. I braghi sono luoghi fangosi; è un termine letterario, che deriva dal latino bra-cum, «palude».

5.   pungesse… spillo: secondo la leggenda i lupi mannari sono uomini normali nati a mezza-notte della notte di Natale; nelle notti di luna

piena diventano simili a lupi e possono scon-figgere il sortilegio di cui sono vittime solo se punti con uno spillo: il sangue perduto con-sente loro di tornare uomini. La leggenda trae origine dalla licantropia (dal greco ánthropos e lýkos, cioè uomo-lupo), una forma di malat-tia isterica.

6.   torpidi: intorpiditi, lenti.7.   sinistri: minacciosi.8.   vescica  di  strutto: il grasso di maiale usato

per cucinare viene spesso conservato nella ve-scica del maiale stesso, dopo che è stata ripuli-ta, seccata e gonfiata.

9.   svariano: prendono colori e riflessi diversi.

verifica SOMMaTiva NarraTiva 5.2 cOMpeTeNze di leTTura

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Narrativa e testi non letterari 66 volume A sezione 5 unità 2

10.   magnetico: affascinante, che cattura l’atten-zione.

11.   soverchiava: sopraffaceva.12.   ialino: trasparente come il vetro, che in gre-

co si dice hýalios.13.   essa… lei: la frase è sintatticamente scorret-

ta, in quanto inizia con essa, ma poi prosegue non aggiungendo il verbo, ma cambiando soggetto, una forza irresistibile, cui segue il verbo c’è. Questo tipo di costruzione si chia-ma anacoluto, dal greco an + akóluthos, cioè «che non segue». Lo scrittore ricorre a un er-rore nella costruzione sintattica, sia per ren-dere la frase più vicina al linguaggio parlato, sia per far capire la concitazione dell’uomo.

14.   argento vivo: il mercurio; viene definito così nel linguaggio popolare per il suo colore ar-

genteo e per la proprietà di scomporsi in mi-nuscole palline, che si muovono e si disper-dono rapidamente.

15.   rovellio: agitazione tormentata.16.   flati: emissioni d’aria; sono provocate dalla

luna che per uscire dal camino deve sgon-fiarsi un po’; trulli significa scorregge ed è un termine caduto in disuso.

17.   vescia: fungo a forma di vescica che se schiac-ciato si sgonfia.

18.   sozzo: ripugnante.19.   invasati: sconvolti, dominati da un’osses-

sione.20.   appiattata: nascosta.21.   con grande circospezione: con grande atten-

zione e prudenza.

– Che è questo? – gridai, attratto mio malgrado da alcunché di magneti-co10 nell’aspetto e, dirò, nel comportamento della vescica.

– Non vedi? Son riuscito ad acchiapparla… – rispose l’amico guardandomi con un sorriso incerto.

– La luna! – esclamai allora. L’amico annuì tacendo.Lo schifo ci soverchiava11: la luna fra l’altro sudava un liquido ialino12 che

gocciava di tra le dita dell’amico. Questo però non si decideva a deporla.– Oh, mettila in quell’angolo – urlai –, troveremo il modo di ammazzarla!– No, – disse l’amico con improvvisa risoluzione, e prese a parlare in fret-

ta, – ascoltami, io so che, abbandonata a se stessa, questa cosa schifosa farà di tutto per tornarsene in mezzo al cielo (a tormento nostro e di tanti altri); essa non può farne a meno, è come i palloncini dei fanciulli. E non cercherà davvero le uscite più facili, no, su sempre dritta, ciecamente e stupidamente: essa, la maligna che ci governa, c’è una forza irresistibile che regge anche lei13. Dunque hai capito la mia idea: lasciamola andare qui sotto la cappa, e, se non ci libereremo di lei, ci libereremo del suo funesto odore, giacché la fuliggine la farà nera quanto uno spazzacamino. In qualunque altro modo è inutile, non riusciremmo ad ammazzarla, sarebbe e voler schiacciare una lacrima d’argento vivo14.

Così lasciammo andare la luna sotto la cappa; ed essa subito s’elevò colla rapidità d’un razzo e sparì nella gola del camino.

– Oh, – disse l’amico – che sollievo! quanto faticavo a tenerla giù, così visci-da e grassa com’è! E ora speriamo bene – e si guardava con disgusto le mani impiastricciate.

Udimmo per un momento lassù un rovellio15, dei flati16 sordi al pari di trulli, come quando si punge una vescia17, persino dei sospiri: forse la luna, giunta alla strozzatura della gola, non poteva passare che a fatica, e si sareb-be detto che sbuffasse. Forse comprimeva e sformava, per passare, il corpo molliccio; gocce di liquido sozzo18 cadevano friggendo nel fuoco, la cucina s’empiva di fumo, giacché la luna ostruiva il passaggio. Poi più nulla e la cap-pa prese a risucchiare il fumo.

Ci precipitammo fuori. Un gelido vento spazzava il cielo terso, tutte le stelle brillavano vivamente; e della luna non si scorgeva traccia. Evviva urrah, gri-dammo come invasati19, è fatta! e ci abbracciavamo. Io poi fui preso un dub-bio: non poteva darsi che la luna fosse rimasta appiattata20 nella gola del mio camino? Ma l’amico mi rassicurò, non poteva essere, assolutamente no, e del resto m’accorsi che né lui né, io avremmo avuto ormai il coraggio d’andare a vedere; così ci abbandonammo, fuori, alla nostra gioia. Io, quando rimasi solo, bruciai sul fuoco, con grande circospezione21, sostanze velenose, e quei

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Narrativa e testi non letterari 67 volume A sezione 5 unità 2

22.   suffumigi: fumi o vapori prodotti dallo scio-glimento in acqua bollente di prodotti medi-camentosi; si usano per liberare le prime vie respiratorie.

23.   per sfregio: in segno di derisione, di scherno verso la luna.

24.   triste: plurale di «trista» che significa qui dolorosa, sciagurata; è riferito alle rabbie,

cioè alle manifestazioni della malattia da cui i protagonisti sono affetti.

25.   sole nero: nella mitologia azteca un sole nero notturno è portato sul dorso dal Dio degli Inferi; il Sole Nero veniva celebrato anche dalle più antiche dinastie egizie con il nome di Seth.

26.   mondando: pulendo.

suffumigi22 mi tranquillizzarono del tutto. Quella notte medesima, per gioia, andammo a rotolarci un po’ in un posto umido nel mio giardino, ma così, innocentemente e quasi per sfregio23, non perché vi fossimo costretti.

Per parecchi mesi la luna non ricomparve in cielo e noi eravamo liberi e leggeri. Liberi no, contenti e liberi dalle triste24 rabbie, ma non liberi. Giacché non è che non ci fosse in cielo, lo sentivamo bene invece che c’era e ci guar-dava; solo era buia, nera, troppo fuligginosa per potersi vedere e poterci tor-mentare. Era come il sole nero25 e notturno che nei tempi antichi attraversava il cielo a ritroso, fra il tramonto e l’alba.

Infatti, anche quella nostra misera gioia cessò presto; una notte la luna ricomparve. Era slabbrata e fumosa, cupa da non si dire, e si vedeva appena, forse solo l’amico ed io potevamo vederla, perché sapevamo che c’era; e ci guardava rabbuiata di lassù con aria di vendetta. Vedemmo allora quanto l’avesse danneggiata il suo passaggio forzato per la gola del camino; ma il vento degli spazi e la sua corsa stessa l’andavano gradatamente mondando26 della fuliggine, e il suo continuo volteggiare ne riplasmava il molle corpo. Per molto tempo apparve come quando esce da un’eclisse, pure ogni giorno un po’ più chiara; finché ridivenne così, come ognuno può vederla, e noi abbia-mo ripreso a rotolarci nei braghi.

Ma non s’è vendicata, come sembrava volesse, in fondo è più buona di quanto non si crede, meno maligna più stupida, che so! Io per me propendo a credere che non ci abbia colpa in definitiva, che non sia colpa sua, che lei ci è obbligata tale e quale come noi, davvero propendo a crederlo. L’amico no, secondo lui non ci sono scuse che tengano.

Ed ecco ad ogni modo perché io vi dico: contro la luna non c’è niente da fare.

T. Landolfi, Il mar delle blatte e altre storie, Rizzoli, Milano 1975

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Narrativa e testi non letterari 68 volume A sezione 5 unità 2

verificare le competenze

analizzare e comprendere

1.� �Nelle�prime�righe�attraverso�quali�elementi�il�narratore�costruisce�un�quadro�tipico�del�racconto�o�del�film�dell’orrore?

2.� In�quali�luoghi�si�svolge�la�storia?

3.�Attraverso�quali�tratti�sono�costruiti�i�due�protagonisti?

4.��La�luna,�terza�protagonista�della�storia,�una�volta�portata�sulla�terra,�perde�ogni�sua�caratteristica.�Quali�trasformazioni�subisce?

5.� �I�sentimenti�del�narratore�nei�confronti�della�luna�variano�nel�corso�della�storia.�Individua�quali�sono�e�come�cambiano.

•� Da�che�cosa�è�determinato�nella�conclusione�il�diverso�atteggiamento�nei�confronti�della�luna?� � � Il�protagonista�si�arrende�al�potere�della�luna� � � Il�protagonista�ha�capito�che�la�sua�malattia�non�dipende�dalla�luna� � � �Il�protagonista�ha�capito�che�anche�la�luna�fa�parte�di�una�legge�universale

alla�quale�non�si�può�sfuggire� � � Il�protagonista�ha�capito�che�in�fondo�la�luna�non�è�cattiva

riflettere

6.� �Quale�differenza�c’è�tra�i�luoghi�in�cui�generalmente�sono�ambientate�le�storie�dell’orrore,�come�quelle�dei�vampiri�o�dei�lupi�mannari,�e�quelli�in�cui�si�svolge�la�storia?•� Secondo�te�questa�differenza�incide�sul�significato�della�storia?

� � � Sì,�perché�…� � � No�perché�…

7.� �Il�narratore�utilizza�un�lessico�ricercato,�ricco�di�parole�colte,�che�contrasta�con�l’uso�di�costruzioni�sintat-tiche�vicine�alla�lingua�parlata.�Quale�effetto�produce�secondo�te�questo�contrasto?

8.�Nel�racconto�sono�presenti�diversi�elementi�di�comicità�e�di�ironia.�Individuali�e�spiegali.•� Secondo�te�l’ironia�e�la�comicità

� � � rendono�la�storia�più�divertente� � � cambiano�il�significato�della�storia� � � rendono�la�storia�irreale� � � rendono�i�protagonisti�più�vicini�a�noi� Spiega�la�tua�risposta.

9.�Quali�elementi�del�racconto�rimandano�al�genere�fantastico?

Scrivere

10.� �Scrivi�un�testo�espositivo-argomentativo�di�almeno�100�parole�sul�seguente�argomento:�«La dimensione del fantastico nel racconto di Tommaso Landolfi Il racconto del lupo mannaro».

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Narrativa e testi non letterari 69 volume A sezione 5 unità 3

verifica SOMMaTiva NarraTiva 5.3 cONOSceNze

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cognome nome classe data

a Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false e sottolinea le parole che rendono falsa l’affer-mazione.

� 1.� Nel�giallo�classico�non�sempre�viene�individuato�il�colpevole.� V  F

� 2.� Il�thriller�è�un�tipo�di�poliziesco�in�cui�c’è�sempre�più�di�un�omicidio.� V  F

� 3.� Dashiell�Hammet�fu�l’iniziatore�della�hard boiled school.� V  F

� 4.� Nel�giallo�classico�i�delitti�avvengono�in�ambienti�altoborghesi.� V  F

� 5.� �La�suspense�è�una�tecnica�di�rallentamento�dell’azione�che�crea�uno�statodi�tensione�e�di�attesa.� V  F

� 6.� Il�termine�noir�indica�il�romanzo�poliziesco�di�origine�francese.� V  F

� 7.� �Alcune�figure�di�detective�create�dagli�scrittori�sono�riprese�da�personerealmente�vissute.� V  F

� 8.� Il�genere�poliziesco�è�molto�simile�al�romanzo�gotico.� V  F

B Rispondi alle seguenti domande, facendo riferimento ai testi che hai letto in questa Unità.

�   9.� Quali�sono�le�doti�maggiori�mostrate�dai�detective�protagonisti�dei�brani�che�hai�letto?

� 10.� In�quali�ambienti�maturano�i�delitti�commessi�nei�testi�che�hai�letto?

� 11.� �Quali�aspetti�del�mondo�contemporaneo�emergono�nei� testi�di�Simenon,�Giménez-Bartlette�Lucarelli?

� 12.� Quali�elementi�dei�testi�che�hai�letto�rimandano�al�genere�poliziesco?

Totale punti

. . . . . . / 8

. . . . . . / 4

. . . . . . / 20

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Narrativa e testi non letterari 70 volume A sezione 5 unità 3

verifica SOMMaTiva NarraTiva 5.3 cOMpeTeNze di leTTura

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cognome nome classe data

Dashiell Hammett

LA LOCANDA DI CEDAR HILLPiombo e sangue, 1929 Lingua originale inglese

Il protagonista-narratore del romanzo Piombo e sangue è un detective ano-nimo; egli stesso si presenta semplicemente come Continental Op, cioè un impiegato (operator) che lavora per la Continental, un’agenzia investigativa di San Francisco.Mandato a Personville, detta Poisonville («città del veleno»), per risolvere un caso, assume autonomamente l’incarico di ripulire la città, dilaniata dalle lotte fra bande rivali. Si destreggia abilmente fra Noonan, il corrotto capo della polizia, e Bisbiglio, un astuto proprietario di bische clandestine, che lottano per il controllo sulla città; riesce con grande abilità a manovrarli e, dopo una serie infinita di sparatorie e di morti, raggiunge il suo scopo.Nel brano è raccontato un agguato che Noonan tende a Bisbiglio, che si di-mostra molto più furbo del capo della polizia.

Dopo colazione mi recai alla centrale1.Gli occhi verdastri di Noonan erano arrossati, come se non avesse dor mito,

e il viso aveva perduto un po’ di colore. Mi scosse la mano in su e in giù entu-siasticamente come sempre, e nella sua voce e nel suo comportamento vi era la consueta dose di cordialità.

«Qualche traccia di Bisbiglio2?» chiesi, quando ebbe terminato i conve-nevoli3.

«Credo d’aver scoperto qualcosa». Dette un’occhiata all’orologio a muro e poi al telefono. «Aspetto una chiamata da un minuto all’altro. Accomodati».

«Chi altro è scappato?».«Jerry Hooper e Tony Agosti sono i soli che sono ancora fuori. Gli al tri li

abbiamo riacchiappati. Jerry è l’ombra di Bisbiglio e l’altro è uno della sua banda. È il gentiluomo che infilò Ike Bush col coltello, la sera dell’incontro».

«Ci sono altri membri della banda di Bisbiglio in galera?».«No. Avevamo solo quei tre, oltre a Buck Wallace, quello che hai col pito. È

all’ospedale».Il capo lanciò un’altra occhiata all’orologio a muro, poi al proprio. Erano

esattamente le due. Si volse verso il telefono. L’apparecchio squillò. Il capo afferrò il ricevitore, disse:

«Qui Noonan… Sì… Sì… Sì… Bene».Scostò l’apparecchio, e suonò una specie di sinfonia sulla fila di campanelli

della scrivania. L’ufficio si riempì di poliziotti.

Bisbiglio era stato arrestato dal protagonista,ma poi era riuscito a fuggire dagli uffici della polizia; Jerry Hooper è il suo braccio destro.á

Il tono di Noonanè ironico e crudo al tempo stesso. Ike Bush era un pugile al centro di un giro di scommesse.

á

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1.   centrale: la sede centra le della polizia.2.   Bisbiglio: il gangster ha questo soprannome a cau sa di un difetto alla laringe, che quasi gli impe-

disce di parlare.3.   convenevoli: gesti e frasi di cortesia.

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Narrativa e testi non letterari 71 volume A sezione 5 unità 3

«Alla locanda di Cedar Hill», disse. «Tu vieni con me col tuo distacca-mento4, Bates. Terry, attraversa Broadway e raggiungi l’obiettivo alle spalle. Prendete con voi i ragazzi che regolano il traffico, mentre passate. Probabil-mente avremo bisogno di tutti gli uomini disponibili. Duff percorri con i tuoi Union Street e gira per la vecchia strada delle miniere. McGraw resterà qui al quartier generale. Raccogliete più uomini che potete e portateveli appresso. Scattare!».

Afferrò il cappello e li seguì, chiamandomi al di sopra della spalla massiccia:«Vieni, vecchio, siamo alla fine».Lo seguii nell’autorimessa del dipartimento5, dove i motori d’una mezza

dozzina di auto stavano rombando. Il capo sedette accanto al suo autista. Io sedetti dietro, con quattro agenti.

Gli uomini si affollarono nelle altre macchine. I mitra erano pronti per l’uso. Vennero distribuiti fasci di fucili, manciate di rivoltelle, pacchi di mu-nizioni.

L’auto del capo uscì per prima, con un balzo che ci fece sbattere gli uni contro gli altri. Evitammo il portone dell’autorimessa per mezzo centime-tro, inseguimmo un paio di pedoni in diagonale sul marciapiede giungemmo volando sul piano stradale, evitammo un camion per un pelo sottile quanto quello che ci aveva fatto evitare il portone, e sfrecciammo in King Street con tutte le sirene aperte al massimo.

Le automobili, in preda al panico, si scansarono a destra e a sinistra igno-rando le regole del traffico per lasciarci passare.

Fu una faccenduola divertente.Mi volsi, vidi un’altra auto della polizia che ci seguiva, una terza che svolta-

va in Broadway. Noonan masticava un sigaro spento; disse all’autista:«Dagliene un altro po’, Pat».Pat ci fece roteare attorno all’auto d’una donna atterrita, ci infilò in un

pertugio6 tra un autobus e il carrozzone d’una lavanderia, un pertugio stret-tissimo, attraverso il quale non saremmo mai riusciti a scivolare se la vernice della nostra macchina non fosse stata così sottile, e disse:

«D’accordo, ma i freni non funzionano molto bene».«Questa è carina», disse il poliziotto dai baffi grigi che sedeva alla mia

sinistra. Ma non sembrava sincero.Fuori del centro cittadino non c’era più molto traffico ad imbarazzarci, ma

la pavimentazione era più sconnessa. Fu una gradevole corsa d’una mezz’oret-ta, e a tutti furono concesse opportunità di andare a sedersi sulle ginocchia degli altri. Gli ultimi dieci minuti furono percorsi su una strada ondulata, che aveva tante di quelle discese da impedirci di dimenticare quel che Pat aveva detto a proposito dei freni.

Ci fermammo ad un cancello sormontato da una cadente insegna lumi-nosa, la quale, prima di perdere tutte le lampadine, aveva detto: Locanda di Cedar Hill. La locanda, che distava sei o sette metri dal cancello, era una tozza costruzione in legno, tinta in verde pallido e soprattutto circondata da rifiuti. Il portone e le finestre erano chiusi, serrati.

Seguimmo Noonan che era sceso dalla macchina. L’auto che ci aveva se-guito apparve ad una curva della strada, frenò per disporsi dietro di noi, e rovesciò il suo carico d’uomini e d’armi.

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40

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60

70

4.   distaccamento: all’in terno di una sezione di po lizia costituisce un gruppo destinato a un compito particolare.

5.   dipartimento: ripartizione delle forze di polizia, assegnata al controllo di una parte della città.6.   pertugio: passaggio strettissimo.

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Narrativa e testi non letterari 72 volume A sezione 5 unità 3

7.   girarrosto: la mitragl iatrice, chiamata così in gergo.

8.   È andato: è spacciato, non ha scampo.

  9.   terrapieno: argine di terra o di altro materia-le, costruito come riparo o sostegno.

10.   peggio in arnese: in condizioni peggiori.

Noonan impartì ordini d’ogni genere.Un gruppetto di agenti accerchiò l’edificio da ciascun lato. Altri tre, uno dei

quali imbracciava un mitra, rimasero accanto al cancello. Il resto di noi avan-zò tra barattoletti, bottiglie vuote e vecchi giornali fino alla facciata della casa.

L’agente coi baffi grigi che era stato seduto accanto a me nell’auto portava un’ascia. Ci arrestammo sotto il portico.

Da sotto le persiane d’una finestra uscirono una detonazione e una fiam-mata.

L’agente coi baffi grigi cadde. L’ascia restò nascosta sotto il cadavere.Noialtri scappammo tutti.Io corsi via con Noonan. Ci nascondemmo nel fossato che fiancheg giava la

strada dal lato della locanda. Era abbastanza profondo e il terra pieno a suf-ficienza alto da permetterci di star quasi ritti senza essere fatti se gno a colpi.

Il capo era eccitato.«Che fortuna!» disse allegramente. «È qui, perdio, è qui!».«Il colpo è venuto da sotto la persiana», osservai. «Mica un trucco scemo».«Li fregheremo, comunque», disse tutto arzillo. «Ridurremo questa bicoc-

ca come un colabrodo. Ormai Duffy dovrebbe essere quasi arrivato dall’al-tra strada, e Terry Shane non ci dovrebbe mettere ancora molti minu ti. Ehi, Donner!» Chiamò un uomo che stava occhieggiando dietro un mas so. «Gira attorno alla casa, va’ dietro e appena Duffy e Shane arrivano di’ loro di co-minciare ad avvicinarsi, facendo fuoco con tutte le armi che hanno. Dov’è Kimble?».

L’uomo che occhieggiava fece un gesto col pollice verso un albero dietro di sé. Dal nostro fossato potevamo vederne solo la parte superiore.

«Digli di preparare il suo girarrosto7 e di cominciare a macinare», ordinò Noonan. «Che tiri basso, lungo la facciata, dovrebbe fare come se tagliasse il formaggio».

L’uomo che occhieggiava scomparve.Noonan andava su e giù per il fossato, arrischiandosi ogni tanto a tirar

fuori la zucca per dare un’occhiata intorno, chiamando contemporanea mente i suoi uomini o facendo loro dei larghi gesti.

Poi tornò indietro, si sedette sui calcagni accanto a me, mi dette un si garo e se ne accese uno.

«È fatta», disse compiaciuto. «Bisbiglio non ha alcuna possibilità. È andato8».Il mitra cominciò a sparare da dietro l’albero, otto o dieci colpi intervallati,

tanto per provare. Noonan sogghignò e si fece uscire di bocca un anello di fumo. Il mitra si mise al lavoro, sputando piombo da quella brava piccola fab-brica di morte che era. Noonan emise un altro anello di fumo e disse:

«È esattamente questo che la farà finita».Convenni che avrebbe dovuto essere così. Stavamo appoggiati al terra-

pieno9 d’argilla e fumavamo. Più lontano, un altro mitra si mise a cantare, e poi un terzo. Irregolarmente, fucilate e revolverate si univano al canto. Noo-nan annuì con aria d’approvazione e disse:

«Cinque minuti di questa musica gli faranno capire che si tratta d’un in-ferno».

Quando i cinque minuti furono trascorsi, suggerii di dare un’occhiata a ciò che rimaneva. Gli detti una mano per fargli superare il terrapieno, e mi arrampicai dietro di lui.

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Narrativa e testi non letterari 73 volume A sezione 5 unità 3

11.   topo vivo: il detective vuole dire che potreb-be benissimo esserci qualche altro uomo.

12.   finirlo: dargli il colpo di grazia, ucciderlo; be’ sta per «bene».

13.   liquidi  alcoolici: negli Stati Uniti la proi-bizione, negli anni tra il 1919 e il 1933, di

produrre e di vendere bevande alcoliche ne favorì la produzione e il commercio da par-te della malavita, che si assicurò così grandi guadagni.

14.   First National: la banca della città.

La locanda appariva chiusa e vuota come prima, ma peggio in arnese10. Non ne usciva alcuno sparo. Ce n’erano entrati a sufficienza.

«Che ne pensi?» chiese Noonan.«Se c’è una cantina potrebb’esserci un topo vivo11».«Be’, potremo finirlo12 dopo».Si tirò fuori di tasca un fischietto e fece un mucchio di chiasso. Agitò le

grosse braccia, e la sparatoria cominciò a diradare. Dovemmo attendere che si fossero passati parola fino all’uomo più lontano.

Poi sfondammo la porta.Il primo piano era allagato fino all’altezza delle caviglie da liquidi al-

coolici13 che uscivano ancora gorgogliando dai fori prodotti dalle pallottole nelle cassette ammonticchiate e nei bariletti che riempivano quasi tutta la casa.

Intontiti dai vapori dell’alcool versato, ci aggirammo per l’edificio fi no a che trovammo quattro corpi morti e nessun corpo vivo. I quattro era no uo-mini abbronzati dall’aspetto straniero, in abiti da lavoro. Due di loro erano stati praticamente fatti a pezzi.

Noonan disse:«Lasciamoli qui e usciamo».Aveva la voce disinvolta come sempre, ma alla luce d’una torcia elet trica i

suoi occhi si rivelarono cerchiati di bianco per la paura.Fummo lieti di uscire, ma esitai quel tanto che mi permise di ficcarmi in

tasca una bottiglia intatta con l’etichetta Dewar.Un poliziotto con la divisa kaki arrivò a precipizio al cancello, in mo-

tocicletta. Ci gridò:«La First National14 è stata svaligiata!».Noonan imprecò selvaggiamente, urlò:«Ci ha presi in giro, maledetto! Subito in città, tutti».Tutti, eccettuati noi che eravamo venuti nella macchina del capo, si preci-

pitarono verso le auto. Due poliziotti presero con sé l’agente che era ri masto ucciso.

Noonan mi guardò con la coda degli occhi e disse:«Questa è una bella fregatura, senza scherzi».Dissi: «Già», mi strinsi nelle spalle, e salii sulla sua auto. L’autista era seduto

al volante. Volgendo le spalle alla casa, mi misi a chiacchierare con Pat. Non ricordo di che cosa parlammo. Presto Noonan e gli altri agenti ci raggiunsero.

Soltanto una piccola fiamma era visibile attraverso la porta della lo canda, quando la perdemmo di vista dietro la svolta della strada.

D. Hammett, Piombo e sangue, trad. M. Hannau, Rizzoli, Milano 1981

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Narrativa e testi non letterari 74 volume A sezione 5 unità 3

verificare le competenze

analizzare e comprendere

1. Quali�tipi�di�sequenza�sono�usati�nella�narrazione?

•� Quali�prevalgono?

2. In�che�modo�il�narratore�indica�la�scansione�temporale�della�storia?

� Attraverso�connettivi�temporali

� Attraverso�la�successione�delle�azioni

3. �Il�ritmo�della�narrazione�è�molto�veloce;�attraverso�quali�elementi�linguistici�il�narratore�riesce�a�far�coin-cidere�il�ritmo�delle�azioni�con�quello�della�narrazione?

4. Individua�nel�testo�espressioni�gergali�e�modi�di�dire.

5. Individua�qual�è�l’atteggiamento�di�Noonan�e�come�cambia�nel�corso�dell’operazione.

6. �Dai�comportamenti�e�dal�modo�di�raccontare�del�protagonista�emergono�alcuni�tratti�che�consentono�di�ricostruirne�la�personalità.�Individuali�e�spiega�quali�aspetti�del�personaggio�rivelano.

riflettere

7. L’attacco�alla�locanda�è�un�vero�e�proprio�assedio.

•� ��Da�che�cosa�è�determinato,�secondo�te,�un�tale�spiegamento�di�forze�da�parte�di�Noonan?

8. �Come�si�può�definire�l’atteggiamento�del�narratore�nei�confronti�di�quanto�accade�nel�corso�dell’episodio?

� divertito� indifferente� distaccato� di�ammirazione� partecipativo� scettico� critico

� ........................................

9. �Il�protagonista�si�mette�in�tasca�una�bottiglia�di�whisky.�Che�cosa�pensi�di�questo�comportamento?

10. Quali�elementi�del�testo�sono�tipici�della�hard-boiled school?

Scrivere

11. Scrivi�un�testo�descrittivo�di�150�parole�presentando�il�personaggio�di�Continental�Op.