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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL’AQUILA Dipartimento di Medicina clinica, sanità pubblica, scienze della vita e dell'ambiente Corso di Laurea in Psicobiologia del comportamento Tesi in didattica e pedagogia per i bisogni educativi speciali Tesi finale Viaggio verso l’Inclusione Laureanda Relatore Chiara Tomassetti ( matricola 182990 ) prof.ssa MariaVittoria Isidori …………………… …………………….. Anno accademico 2015-2016

Viaggio verso l’Inclusione - Centro Antiviolenza Angelita · all’istruzione per adulti e alla formazione continua lungo tutto l’arco della vita ... integrazione e raggiungendo

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL’AQUILA

Dipartimento di Medicina clinica, sanità pubblica, scienze

della vita e dell'ambiente

Corso di Laurea in Psicobiologia del comportamento

Tesi in didattica e pedagogia per i bisogni educativi speciali

Tesi finale

Viaggio verso l’Inclusione

Laureanda Relatore

Chiara Tomassetti ( matricola 182990 ) prof.ssa MariaVittoria Isidori

…………………… ……………………..

Anno accademico 2015-2016

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Agli angeli del terremoto del 24 Agosto 2016

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I

INDICE

Introduzione pag.1

CAPITOLO I

EXCURSUS NORMATIVO

1.1 Prospettiva normativa internazionale pag.4

1.2 Verso l’inclusione scolastica nella legislazione italiana pag.9

1.3 I BES nella scuola italiana pag.17

CAPITOLO II

FIGURE E STRUMENTI PER PROMUOVERE L’INCLUSIONE

2.1 Ruoli e organismi d’Istituto pag.40

2.2 L’organizzazione territoriale pag.45

2.3 Il profilo del docente inclusivo pag.47

2.4 La formazione degli insegnanti pag.51

2.5 La valutazione dell’inclusività pag.53

CAPITOLO III

BES E DIDATTICA

3.1 La Scuola dell’educazione inclusiva pag.57

3.2 Individuazione degli alunni con BES pag.64

3.3 PEI E PDP pag.70

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II

3.4 Le misure dispensative e compensative pag.80

3.5 Strategie didattiche inclusive pag.83

3.5.1 Didattica metacognitiva pag.88

3.5.2Peer Education pag.92

3.6 3.5.3 La LIM pag.94

3.7 3.5.4 La flipped clasroom pag.99

CAPITOLO IV

BES E PLUSDOTAZIONE

4.1 La plusdotazione pag.103

4.2 Strumenti di individuazione pag.105

4.3 I superdotati a scuola pag.111

Conclusioni pag.113

Bibliografia pag.III

Normativa pag.IV

Sitografia pag.V

Ringraziamenti

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1

Introduzione

Nel presente lavoro si ripercorrono le tappe che la Scuola ha vissuto nel

percorso verso l’inclusione. Se oggi , nella Scuola italiana, si pone molta

attenzione agli alunni che presentano “speciali” bisogni è perché, nel tempo, il

legislatore ha guardato con occhio sempre più attento ai problemi del diverso il

cui inserimento nella società è stato, nei secoli, fortemente condizionato dal

livello di emancipazione sociale e culturale della società stessa.

Basti pensare a quanto accadeva nell’antichità dove la menomazione fisica

era considerata fattore discriminante nell’integrazione sociale e quindi motivo

di emarginazione; i bambini con malformazioni fisiche venivano eliminati con

riti crudeli.

Ripercorrendo le principali tappe del percorso verso l’inclusione si è

iniziata, nel primo capitolo, a fare una disamina delle varie norme che , sia a

livello internazionale, sia a livello italiano, hanno permesso di vedere con

occhio diverso il disabile, l’alunno con handicap, bisognoso di attenzioni

speciali. Si è analizzato come nel tempo anche la denominazione usata per

questi alunni sia cambiata, come via via sia stato abbandonato il termine

handicap e sia stato introdotto il termine BES ( Bisogno Educativo Speciale)

riferito a tutti gli alunni che, per vari motivi, hanno bisogno di interventi

educativi particolari.

Nel secondo capitolo sono state analizzate le principali figure che all’interno

della Scuola si interessano degli alunni BES e quali caratteristiche deve avere il

docente inclusivo.

Nel capitolo terzo si è focalizzata l’attenzione sulla didattica e sono stati

analizzati non solo i principali criteri che permettono di individuare gli alunni

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con BES ma sono state analizzate anche le principali metodologie che, in una

Scuola in cambiamento, possono essere utilizzate affinchè ogni alunno si senta

parte integrante di un gruppo classe stimolante, gruppo classe in cui se pur con

strumenti compensativi e misure dispensative, venga promossa la crescita di

tutti.

Infine nel quarto capitolo si è parlato di plusdotazione e di come sia

possibile e quando sia possibile inserire gli alunni plusdotati nei BES. Può

capitare , infatti, che tali alunni, pur essendo particolarmente dotati da un

punto di vista intellettivo, presentino difficoltà nello studio e possano andare

incontro ad un abbandono scolastico prematuro.

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CAPITOLO I

EXCURSUS NORMATIVO

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1.1 Prospettiva normativa internazionale

In ambito internazionale esistono molte convenzioni, dichiarazioni,

asserzioni e decisioni sulla disabilità, l’integrazione e l’istruzione speciale che

orientano le politiche e le strategie socioculturali ed economiche dei vari Paesi

interessati a rendere reale l’inclusione scolastica.

Il processo da lungo tempo avviato in Italia, finalizzato al miglioramento

dell’integrazione ed oggi ancor meglio all’inclusione scolastica degli alunni

con disabilità, trova le sue basi fondanti su principi internazionali.

Tornando indietro nel tempo possiamo citare la Dichiarazione universale

dei diritti umani approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10

dicembre 1948, in cui all’art.26 si legge: “ ogni individuo ha diritto

all’istruzione (…)” “l’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della

personalità umana e al rafforzamento del rispetto dei diritti dell’uomo e delle

libertà fondamentali1

Certamente nel 1948, anche se già si considera il diritto di ogni individuo ad

essere fruitore di un processo educativo, si è ancora ben lontani da quella che

deve essere una vera e propria integrazione scolastica, o ancor meglio da

un’inclusione scolastica dell’alunno con disabilità.

Per lunghi anni in Italia e in altri paesi esteri alle persone con handicap è

stata riservata una marginalità totale , concretizzata in forme di esclusione ed

isolamento.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha comunque mostrato nel tempo

sempre molta attenzione ai diritti delle persone con disabilità

Nella Dichiarazione dei Diritti del Bambino approvata dall’ ONU nel 1959,

al principio 5 troviamo : ” Il bambino che è fisicamente o mentalmente disabile

1Dichiarazione Universale dei diritti umani . Assemblea generale delle Nazioni Unite 10

dicembre 1948

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o che soffre qualche compromissione sociale dovrebbe ricevere il trattamento,

l’educazione e le cure richieste dal suo caso particolare”2

Ed ancora, facendo un notevole passo avanti, possiamo citare l’Anno

internazionale delle persone disabili (1981) con il word Programme of Action

in cui viene sottolineato il diritto delle persone con disabilità a godere delle

stesse opportunità degli altri cittadini.

Più recente è la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del

13 dicembre 2006 ( full inclusion) che l’Italia , con legge n.18 del 3 marzo

2009 ( pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.61 del 14 marzo 2009) ha ratificato

e resa esecutiva.

Tale convenzione, all’art. 24 dedicato propriamente all’istruzione recita :“

Gli Stati Parti riconoscono il diritto delle persone con disabilità all’istruzione .

Allo scopo di realizzare questo diritto senza discriminazione e su una base di

uguaglianza di opportunità, gli Stati Parti faranno in modo che il sistema

educativo preveda la loro integrazione scolastica a tutti i livelli e offra , nel

corso dell’intera vita, possibilità di istruzioni finalizzate al pieno sviluppo del

potenziale umano , del senso di dignità e dell’autostima ed al rafforzamento

del rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali e della diversità

umana.(…)”.

“Nel realizzare tale diritto , gli Stati dovranno assicurare che le persone

con disabilità non siano escluse dal sistema di istruzione generale sulla base

della disabilità e che i bambini con disabilità

non siano esclusi dall’istruzione primaria obbligatoria gratuita o

dall’istruzione secondaria in base alla disabilità.(…)”.

“Gli Stati Parti devono mettere le persone con disabilità in condizioni di

acquisire le competenze pratiche e sociali necessarie in modo da facilitare la

2Dichiarazione dei diritti del bambino. Assemblea generale delle Nazioni Unite 20 novembre

1959

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loro piena ed eguale partecipazione all’istruzione e alla vita della

comunità.(…)”.

“Gli Stati Parti assicureranno che le persone con disabilità possano avere

accesso all’istruzione post-secondaria generale, alla formazione professionale,

all’istruzione per adulti e alla formazione continua lungo tutto l’arco della vita

senza discriminazioni e sulla base dell’uguaglianza con gli altri.”.3

In tale documento compare ancora il termine integrazione anche se , già in

precedenza, si era cominciato a parlare di inclusione.

Pietra portante e significativa nel processo verso una scuola inclusiva è la

dichiarazione di Salamanca sui principi, le politiche e le pratiche in materia di

educazione e di esigenze educative speciali (U.N.E.S.C.O. 1994) dove viene

affrontato il tema dei bisogni educativi speciali e dell’educazione inclusiva. In

essa si può leggere :

“ 1. Noi , rappresentanti di 92 governi e di 25 organizzazioni internazionali

alla Conferenza mondiale sull’educazione e le esigenze speciali riunita a

Salamanca ( Spagna) dal 7 al 10 giugno 1994, riaffermiamo con la presente il

nostro impegno a favore dell’educazione per tutti, consapevoli che è

necessario ed urgente garantire l’educazione nel sistema educativo normale

dei bambini, dei giovani e degli adulti che hanno bisogni educativi speciali ed

approviamo il Piano

d’Azione per l’educazione e i bisogni educativi speciali, con la speranza che

lo spirito delle sue

disposizioni ed esortazioni guidi i governi e le organizzazioni.

2. Siamo convinti e proclamiamo che :

l’educazione è un diritto fondamentale di ogni bambino che deve avere

la possibilità di acquisire e di mantenere un livello di conoscenze accettabili;

3Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006

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ogni bambino ha caratteristiche, interessi, predisposizioni e necessità

di apprendimento che sono propri;

i sistemi educativi devono essere concepiti e i programmi devono essere

messi in pratica in modo da tenere conto di questa grande diversità di

caratteristiche e di bisogni;

le persone che hanno bisogni educativi speciali devono poter accedere

alle normali scuole che devono integrarli in un sistema pedagogico centrato

sul bambino, capace di soddisfare questa necessità;

le scuole normali che assumono questo orientamento di integrazione

costituiscono il modo più efficace per combattere i comportamenti

discriminatori, creando delle comunità accoglienti, costruendo una società di

integrazione e raggiungendo l’obiettivo di un’educazione per tutti, inoltre

garantiscono efficacemente l’educazione della maggioranza dei bambini,

accrescono il profitto e, in fin dei conti, il rendimento complessivo del sistema

educativo.

3. Invitiamo ed esortiamo tutti i governi a:

dare la priorità nelle politiche e nei bilanci al miglioramento dei

sistemi educativi al fine di poter accogliere tutti i bambini, indipendentemente

dalle differenze o difficoltà individuali;

adottare , come legge o politica, il principio dell’ educazione inclusiva,

accogliendo tutti i bambini nelle scuole normali, a meno che non si oppongano

motivazioni di forza maggiori;

mettere a punto progetti pilota e favorire scambi con i Paesi in cui

esistono già scuole di integrazione;

stabilire meccanismi decentralizzati e di partecipazione per la

pianificazione, il controllo e la valutazione dei servizi creati a favore dei

bambini e adulti con esigenze educative speciali;

incoraggiare e facilitare la partecipazione dei genitori, delle comunità

e delle organizzazioni di disabili alla pianificazione di misure prese per

soddisfare le esigenze educative speciali e le decisioni prese in materia;

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dedicare un impegno crescente sia alla messa a punto di strategie che

permettano di identificare rapidamente la necessità e di intervenire senza

ritardi, sia all’orientamento professionale dell’educazione integrata;

fare attenzione affinchè, nel contesto di un cambiamento di sistema, la

formazione degli insegnanti, iniziale o durante l’incarico, tratti delle esigenze

educative speciali nelle scuole di integrazione”4

Se da una parte in Italia si sono fatti notevoli passi avanti per quanto

riguarda l’integrazione , possiamo dire che non in tutti i paesi europei il

processo di integrazione è stato portato avanti e raggiunto allo stesso modo.

In base alla politica di integrazione adottata sul proprio territorio nazionale i

paesi possono essere suddivisi in tre categorie.

La prima ( approccio unidirezionale) riguarda i paesi in cui le pratiche

educative e le prassi di attuazione tendono ad inserire quasi tutti gli alunni nel

sistema scolastico ordinario. Questa scelta si poggia su una grande varietà di

servizi incentrati sulla scuola.

Esempi sono la Spagna, l’Italia, il Portogallo, la Svezia, l’Islanda, la

Norvegia , la Grecia, Cipro.

La seconda (approccio multi-direzionale) riguarda i paesi che presentano

una molteplicità di approcci in materia di integrazione. Offrono una pluralità di

servizi tra i due sistemi scolastici ( ordinario e differenziato). Esempi sono la

Danimarca, la Francia, l’Irlanda, il Lussemburgo, l’Austria, la Finlandia,

l’Inghilterra, la Lituania, il Liechtenstein, la Repubblica Ceca, l’Estonia, la

Polonia, la Slovenia.

La terza ( approccio bidirezionale) riguarda i paesi che prevedono due

distinti sistemi educativi. Gli alunni disabili vengono inseriti in scuole o classi

speciali. Esempi sono la Svizzera e il Belgio5

4 www.superando.it/files/docs/dichiarazionediSalamanca5 www.isismaratea.gov.it/images/allegati

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1.2 Verso l’inclusione scolastica nella legislazione italiana

Le tappe che hanno visto un percorso verso l’inclusione possono essere così

racchiuse:

Pre anni ’60 : dall’esclusione alla medicalizzazione

Anni ’60 - metà anni 70: dalla medicalizzazione all’inserimento

Metà anni ’70 - anni 90: dall’inserimento all’integrazione

Post anni ‘90: dall’integrazione all’inclusione

Nel tempo la storia dell’handicap , del diverso si è spesso concretizzata in

una triste vicenda fatta di esclusione, di diritti negati, di segregazione.

Si possono citare celebri esempi come l’assassinio sistematico dei bambini

deformi nella Sparta del IX secolo a.C. ; o la privazione dei diritti più

elementari, nella Roma imperiale, ai disabili perché inidonei ad implementare

la forza bellica .

È poi con il concetto di “medicalizzazione” del soggetto con handicap, che

si farà diventare la disabilità una vera e propria malattia.

Solo con il superamento del concetto di medicalizzazione si arriverà pian

piano all’inserimento, all’integrazione fin poi all’inclusione sia dei disabili sia

di tutti gli alunni con bisogni educativi speciali.

Vari fattori , nel tempo, hanno contribuito a ciò.

Tra essi possiamo ricordare:

Istituzione dell’obbligo scolastico ( in Italia la legge sull’istruzione

elementare obbligatoria è del 1877 - legge Coppino)

Affermazione di discipline quali la psicologia sperimentale, la

psicanalisi, la sociologia, la pedagogia scientifica

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Progresso medico scientifico che conduce allo sviluppo delle

conoscenze relative alle patologie

Consolidamento di una nuova concezione dell’infanzia a cui

contribuiscono il movimento delle Scuole Nuove e la Pedagogia

dell’Attivismo.6

Risale ai primi anni del 1900 la nascita delle prime classi differenziali che

accolgono alunni tardivi o con lievi anomalie psichiche e sensoriali mentre agli

alunni con gravi deficit sono riservate le scuole speciali. Fino agli anni ’20 tali

istituzioni nascono grazie all’iniziativa dei Comuni e dei privati, è poi con la

riforma Gentile del 1923 che vengono istituite scuole speciali per alunni

portatori di handicap.

Un passo avanti nel passaggio dalla prospettiva medica a quella educativa è

senz’altro compiuto grazie all’opera di Maria Montessori che dette ampio

spazio all’educazione dei bambini portatori di handicap all’interno della scuola

ortofrenica di Roma da lei diretta.

Comunque anche se è già la Costituzione Italiana del 1948 a rappresentare il

primo vero documento in cui si affermano i diritti del ”diverso”, infatti

nel’art.34 troviamo scritto “ La scuola è aperta a tutti “, è solo nel periodo

compreso tra il 1971 e il 1992 che compaiono le più significative tappe

legislative verso l’inserimento e l’integrazione.

Fino agli anni ‘60, per denominare una certa categoria di alunni (gli attuali

disabili) esisteva una variegata terminologia: “anormali, subnormali, irregolari,

minorati”. Questi alunni in forza della

loro anormalità, potevano sì essere educati ed istruiti, ma in strutture

speciali e classi differenziali, in ambienti loro dedicati. Dunque la persona con

deficit, in quanto fuori dal normale (“anormale”, “subnormale” o “minorato”),

6www.autonomia82.gov.it/scuola_secondaria

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non poteva fruire degli stessi trattamenti degli alunni “normali”, ma era

ammesso a frequentare strutture segreganti.

Nella legge n.1859 del 1962 istituzione e ordinamento della scuola media

statale, all’art. 12 si parla di classi differenziali “possono essere costituite

classi differenziali per alunni disadattati scolastici. Con apposite norme

regolamentari, saranno disciplinate anche la scelta degli alunni da assegnare

a tali classi, le forme adeguate di assistenza , l’istituzione di corsi di

aggiornamento per gli insegnanti relativi, ed ogni altra iniziativa utile al

funzionamento delle classi stesse.

Della Commissione , che dovrà procedere al giudizio per il passaggio degli

alunni a tali classi, faranno parte due medici, di cui uno almeno competente in

neuropsichiatria, in psicologia o materie affini, e uno esperto in pedagogia.

Le classi differenziali non possono avere più di 15 alunni.

Con decreto del Ministro per la pubblica istruzione, sentito il Consiglio

superiore, sono stabiliti per le classi differenziali, che possono avere un

calendario speciale, appositi programmi e orari di insegnamento.”7

Così come nella legge n. 444 del 1968 ordinamento della scuola materna

all’art. 3 si parla di sezioni speciali o, per i casi più gravi, di scuole materne

speciali.

”(…)Per i bambini dai tre ai sei anni affetti da disturbi dell’intelligenza o

del comportamento o da menomazioni fisiche o sensoriali, lo Stato istituisce

sezioni speciali presso scuole materne statali e, per i casi più gravi, scuole

materne speciali. Ad ogni sezione non possono essere iscritti più di dodici

bambini.

7 Legge n.1859 del 31 dicembre 1962

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Per il reperimento dei casi da ammettere alle sezioni speciali e alle scuole

materne speciali, e per l’assistenza sanitaria specifica, il servizio medico

scolastico si avvale di gruppi di esperti”.8

Solo negli anni ‘70 compaiono ingenti trasformazioni nel costume, nella

società, nella famiglia, nella cultura, nella politica che portano alla fine della

segregazione e all’avvio dell’integrazione.

Con la legge 118/1971 Nuove norme in favore dei mutilati e invalidi civili

si dispone l’inserimento degli alunni con disabilità nelle classi normali,

assicurando il trasporto, l’accesso agli edifici scolastici attraverso il

superamento delle barriere architettoniche e l’assistenza per i più gravi.

Tale legge segna la fine della separazione scolastica tra alunni normali e

alunni portatori di handicap, dando il via al loro processo di integrazione .

L’art. 28 ( provvedimenti per la frequenza scolastica) così recita: “Ai

mutilati e invalidi civili che non siano autosufficienti e che frequentino la

scuola dell’obbligo o i corsi di addestramento professionali finanziati dallo

Stato vengono assicurati:

a) il trasporto gratuito dalla propria abitazione alla sede della scuola o

del corso e viceversa, a carico dei patronati scolastici o dei consorzi dei

patronati scolastici o degli enti gestori dei corsi;

b) l’accesso alla scuola mediante adatti accorgimenti per il superamento e

l’ eliminazione delle barriere architettoniche che ne impediscono la frequenza;

c) l’assistenza durante gli orari scolastici degli invalidi più gravi.

(L’istruzione dell’obbligo deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica ,

salvi i casi in cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive o da

8Legge n.444 del 18 marzo 1968

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menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere molto difficoltoso

l’apprendimento o l’inserimento nelle predette classi normali9

Tale parte è stata poi abrogata dall’art. 43 della legge 5 febbraio 1992,

n.104.

(Sarà facilitata, inoltre, la frequenza degli invalidi e mutilati civili alle

scuole medie superiori ed universitarie).

La Corte Costituzionale, con sentenza 3 giugno 1987, n. 215 ha dichiarato

l’illegittimità costituzionale nella parte in cui, in riferimento ai soggetti

portatori di handicap, si prevede che sarà facilitata, anziché disporre che è

assicurata la frequenza alle scuole medie superiori. La parte è stata poi

abrogata sempre dall’art. 43 L. 5 febbraio 1992, n.104.

La tappa fondamentale che segna il vero inizio dell’integrazione totale

degli alunni handicappati nella scuola ordinaria è legato, si può dire

storicamente, alla legge 517 del 1977.

Se la legge 118/71 si limitava esclusivamente al principio dell’inserimento,

è con la legge 517/77 che si diede avvio all’attuazione del principio

dell’integrazione. In essa si stabiliscono condizioni, strumenti e finalità per

l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità che deve avvenire

mediante l’istituzione di interventi individualizzati, la presenza di insegnanti

specializzati per le attività di sostegno, l’intervento del servizio socio

psicopedagogico e forme particolari di sostegno.10

All’art.2 per la scuola elementare si legge: “la scuola attua forme di

integrazione a favore degli alunni portatori di handicaps con la prestazione di

insegnanti specializzati(…)”

9Legge 118 del 30 marzo 1971

10De Anna L., Pedagogia speciale . I bisogni educativi speciali. Guerini studio 2003

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“(…) Devono inoltre essere assicurati la necessaria integrazione

specialistica , il servizio socio-psicopedagogico e forme particolari di

sostegno(…).”11

All’art.7 per la scuola media si legge, ad esempio, “al fine di agevolare

l’attuazione del diritto allo studio e la piena formazione della personalità degli

alunni, la programmazione educativa può comprendere attività scolastiche di

integrazione anche a carattere interdisciplinare, organizzate per gruppi di

alunni della stessa classe o di classi diverse, ed iniziative di sostegno, anche

allo scopo di realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei

singoli alunni. Nell’ambito della programmazione di cui al precedente comma

sono previste forme di integrazione e di sostegno a favore dei portatori di

handicaps da realizzare mediante l’utilizzazione dei docenti, di ruolo o

incaricati a tempo indeterminato, in servizio nella scuola media e in possesso

di particolari titoli di specializzazione, che ne facciano richiesta entro il limite

di una unità per

ciascuna classe che accolga alunni portatori di handicaps e nel numero

massimo di sei ore settimanali”.12

Sarà poi con la C.M.199/1979 che si farà riferimento al pieno

coinvolgimento dell’insegnante di sostegno nella programmazione didattica

della classe e alla collaborazione tra insegnanti di sostegno e insegnanti della

classe. 12

È comunque la legge quadro 104/92 che costituisce l’attuale indiscusso

punto di riferimento per tutti. Essa è il punto di riferimento normativo

dell’integrazione scolastica e sociale della persona con disabilità.

In essa, come si legge nell’art.12 comma 4 viene definitivamente affermato

che “l’esercizio del diritto all’educazione e all’istruzione non può essere

11Legge 517 del 4 agosto 1977

12Legge 517 del 4 agosto 1977

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impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle

disabilità connesse all’handicap.”13

Ed ancora , dopo qualche anno, con la legge 53/03 , verrà ribadito il

concetto del diritto di tutti i ragazzi all’apprendimento.

All’art.1 si legge :” al fine di favorire la crescita e la valorizzazione della

persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e

dell’identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia (…).”14

Sarà poi la legge n.170 del 2010 ad esplicitare gli interventi didattici e

personalizzati , che dovranno essere realizzati anche attraverso la redazione di

un Piano Didattico Personalizzato e l’indicazione degli strumenti compensativi

e delle misure dispensative, per l’inclusione degli alunni con disturbi specifici

d’apprendimento al fine di , come si legge nell’art.2 : ” garantire il diritto

all’istruzione, favorire il successo scolastico(…) , ridurre i disagi relazionali

ed emozionali(…)”15

È poi con la Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 “ Strumenti

d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione

territoriale per l’inclusione scolastica” che viene delineata e precisata la

strategia inclusiva della scuola italiana al fine di realizzare appieno il diritto

all’apprendimento per tutti gli alunni e gli studenti in situazione di difficoltà.

La Direttiva 12/12 ridefinisce e completa il tradizionale approccio

all’integrazione scolastica, basato sulla certificazione della disabilità,

estendendo il campo di intervento e di responsabilità di tutta la comunità

educante all’intera area dei bisogni educativi speciali (BES) comprendente non

solo la disabilità ma anche i disturbi specifici di apprendimento e/o i disturbi

evolutivi specifici, lo svantaggio economico e culturale, le difficoltà derivanti

13Legge n.104 del 5 febbraio 1992

14Legge n. 53 del 28 marzo 2003

15Legge n. 170 dell’8 ottobre 2010

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dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a

culture diverse.

La Direttiva estende pertanto a tutti gli studenti in difficoltà il diritto alla

personalizzazione dell’apprendimento, richiamandosi espressamente ai principi

enunciati dalla Legge 53/0316

Questo passaggio da una strategia dell’integrazione ad una strategia

dell’inclusione rappresenta una vera e propria rivoluzione in ambito scolastico.

Nell’ottica inclusiva, infatti, non si interviene più sul singolo secondo un

approccio compensatorio ma su tutti gli alunni con le loro diverse potenzialità ,

facendo in modo che la diversità diventi una ricchezza piuttosto che un limite.

16De Anna L., pedagogia Speciale . I Bisogni Educativi Speciali Guerini Studio 2003

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17

1.3 I BES nella scuola italiana

Storicamente la nozione di bisogni educativi speciali compare per la prima

volta in Inghilterra nel rapporto Warnock del 1978 per abolire il termine

“handicap” e per sottolineare la necessità di un rinnovamento in ambito

pedagogico ( the warnock Report Special Education Needs, Report of the

Committee of Enquiry into the Education of Handicapped Children and Young

People, 1978) .17

In questo documento viene suggerita la necessità di integrare, nelle scuole

della Gran Bretagna, gli alunni considerati “diversi” attraverso l’adozione di un

approccio inclusivo basato sull’individuazione di obiettivi educativi comuni a

tutti gli alunni, indipendentemente dalla loro abilità o disabilità.18

Sarà poi in un secondo momento , con lo Special Educational Needs and

Disability Act del 2001, che verrà affermata la necessità di prevenire ogni

forma di discriminazione riguardo all’ammissione a scuola degli alunni con

Bisogni educativi Speciali, di promuovere la loro piena partecipazione alla vita

scolastica e di coinvolgere le famiglie19

In ambito scolastico, in Italia, è la Direttiva Ministeriale del 27 dicembre

2012 relativa ai Bisogni Educativi Speciali ( BES) già precedentemente citata a

chiarire il concetto di BES .

17www.educationengland.org.uk/documents/warnock1978.html

18Tabarelli s., Pisanu f., Elementi generali di approfondimento sui BES nel contesto italiano. I

quaderni della Ricerca. Loescher Editore, 2013

19AA.VV. Bisogni Educativi Speciali. Guida alla nuova normativa RCS Libri S.p.A. , Milano

2014

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18

In essa gli alunni BES vengono così definiti:

“ ogni alunno, in continuità o per determinati periodi può manifestare

bisogni educativi speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per

motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano

adeguata e personalizzata risposta”.20

Calzante è anche la definizione di BES data da Ianes che così si esprime: ”Il

BES è qualsiasi difficoltà evolutiva, in ambito educativo e/o istruzionale,

causata da un funzionamento problematico per il soggetto in termini di danno,

ostacolo al suo benessere, limitazione alla sua libertà e stigma sociale,

indipendentemente dall’eziologia ( biostrutturale, familiare, ambientale-

culturale) e che necessita di educazione speciale individualizzata”.21

I BES riguardano gli alunni che , in una certa fase della loro crescita,

accanto a bisogni educativi normali, e cioè quelli dello sviluppo di competenze,

di appartenenza sociale, di identità e autonomia, di valorizzazione e di

autostima, di accettazione, hanno anche bisogni speciali, più complessi e

difficoltosi, talvolta patologici, generati da condizioni fisiche o da fattori

personali o ambientali che creano difficoltà di funzionamento educativo ed

apprenditivo.

In questa concezione di BES è centrale il concetto di funzionamento

educativo ed apprenditivo, che è il risultato globale delle reciproche influenze

esercitate, durante il percorso evolutivo e di crescita, dalle condizioni fisiche,

dai contesti in cui lo studente cresce e dalle sue caratteristiche personali.

È però importante dare il giusto peso al termine “speciale” per far sì che

esso non diventi stigmatizzante.

20Direttiva Ministeriale 27 dicembre 2012 “ Strumenti d’intervento per alunni con Bisogni

Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”21

Ianes D., Bisogni Educativi Speciali e inclusione Erickson 2005

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19

Secondo un’analisi etimologica del termine “speciale” a cui si può fare un

breve cenno per le conseguenze di natura pedagogica-didattica e di politica

scolastica che ne possono derivare possiamo dire che “ speciale “ è tutto ciò

che si fa osservare per il suo aspetto, che si contraddistingue .

La parola deriva dal latino species che vuol dire aspetto, figura, forma

visibile e la cui radice è presente anche nel verbo spectare (osservare,

guardare).

In Biologia, dove il termine speciale è molto usato, esso sta ad indicare

una categoria che rappresenta l’unità fondamentale di un sistema di

classificazione, all’interno della quale si colloca qualcosa di straordinario, di

eccezionale che appunto si rende particolarmente visibile all’occhio

dell’osservatore.

Questo fa pensare che speciale è ciò che si fa osservare per il suo particolare

aspetto.

Nel considerare “ speciale” ciò che si fa osservare per il suo particolare

aspetto , che merita una “speciale” attenzione, bisogna stare attenti a non

riproporre, in altre forme, classificazioni piuttosto discriminanti che da tempo

sono state bandite del lessico e dalla pratica didattica.

Il rischio è rintrodurre il concetto di alunni “ speciali” che si distinguono

dagli altri perchè portatori di particolari svantaggi. L’aggettivo speciale deve

essere visto nell’ottica, così come previsto da una scuola inclusiva , che tutti gli

alunni possono essere considerati speciali nel senso che devono essere visti

nella loro unicità ed originalità e pertanto tutti ugualmente meritevoli di

speciale attenzione per il loro particolare aspetto.

Particolare considerazione, oltre che sull’aggettivo speciale, può essere fatta

sul termine bisogno. Anche questo, come l’aggettivo speciale, deve essere letto

nella sua connotazione positiva.

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20

Il concetto di bisogno può avere, infatti, connotazioni negative nella nostra

lingua, e, per qualche aspetto, anche in alcune teorie psicologiche.

Questa “negatività” può condizionare alcune posizioni critiche nei confronti

dei BES.

Esaminando alcune teorie psicologiche che si sono occupate di bisogni (

Maslow, Murray, Lewin) e posizioni filosofiche come quelle di Heidegger, si

può pensare al concetto di bisogno non tanto come ad una mancanza,

privazione o deficienza, in se negativa, ma come ad una situazione di

dipendenza (interdipendenza) della persona dai suoi ecosistemi, relazione che

,(se tutto va bene) porta alla persona che cresce alimenti positivi per il suo

sviluppo. 22

È importante notare come molto diversi siano i soggetti a cui ci si riferisce

con tale Direttiva , rispetto a quanto era stato legiferato in precedenza.

Se, infatti, con la Legge 104/92 venivano considerati come bisognosi di

particolari attenzioni solo gli alunni disabili o, con la legge 170/10 solo gli

alunni con Disturbi specifici di apprendimento, con la Direttiva Ministeriale

del 2012 si allarga l’insieme degli alunni che vengono presi in considerazione.

Si prendono in considerazione non più solo i disabili o gli alunni che

presentano disturbi, disabilità e disturbi che sono innati e resistenti

all’intervento , ma anche tutti gli alunni con difficoltà le quali, a differenza dei

disturbi, non sono innate e sono modificabili con interventi mirati.23

Nell’ambito dei BES possiamo distinguere così tre grandi categorie:

DISABILITÀ certificata ai sensi dell’art. 3, comma 1 o 3 della Legge

104/1992 che dà titolo all’attribuzione dell’insegnante di sostegno.

22Ianes D., Bisogni Educativi Speciali e inclusione Erickson Trento 2005

23AA.VV., Dislessia e altri DSA a scuola Erickson 2013

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21

Tale categoria riguarda gli studenti con disabilità fisica, psichica o

sensoriale ( per esempio non udenti, non vedenti, affetti da disturbi dello

spettro autistico o da ritardo cognitivo).

La disabilità deve essere certificata dalle ASL secondo le classificazioni

internazionali proposte dall’organizzazione mondiale della Sanità ( IC10 o

ICF) . Previo consenso informato della famiglia il gruppo Asl stila il Profilo

Descrittivo di Funzionamento dell’alunno, al fine di avviare il processo di

inclusione scolastica con l’assegnazione delle ore di sostegno da parte

dell’Ufficio Scolastico Regionale.

Lo strumento per la definizione del percorso scolastico è, per questa

categoria, il PEI che viene steso dal Consiglio di Classe in collaborazione con

la famiglia e con il referente ASL. Esso è uno strumento orientato a costruire

un progetto di vita riguardante la crescita personale e sociale dell’alunno

disabile, prevedendo attività educativo-didattiche scolastiche ed

extrascolastiche.24

DISTURBI EVOLUTIVI SPECIFICI ( da distinguere in DSA, deficit del

linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria, disturbo

dell’attenzione e dell’ iperattività . Il funzionamento intellettivo limite viene

considerato un caso a confine tra la disabilità e il disturbo specifico.

Tali disturbi nell’ICD-10 (decima versione dell’International Classification

of Disorders) sono così definiti :

“I disturbi evolutivi specifici delle abilità scolastiche comprendono gruppi

di condizioni morbose che si manifestano con specifiche e rilevanti

compromissioni dell’apprendimento delle abilità scolastiche. Queste

compromissioni nell’apprendimento non sono il risultato diretto di altre

24Ceschel A., orientarsi tra i Bes ,bisogni educativi speciali in Scienze Magazine n.01

novembre 2014 Pearson Italia

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22

patologie, sebbene essi possano manifestarsi contemporaneamente a tali

ultime condizioni. Frequentemente i disturbi in questione si presentano insieme

con altre sindromi cinetiche o altri disturbi evolutivi. L’eziologia dei disturbi

evolutivi specifici delle abilità scolastiche non è nota , ma si suppone che vi

sia un intervento significativo di fattori biologici, i quali interagiscono con

fattori non biologici producendo le manifestazioni.”

SVANTAGGIO SOCIO-ECONOMICO, LINGUISTICO E CULTURALE

Tale categoria potrà essere individuata sulla base di elementi oggettivi (

come ad esempio una segnalazione degli operatori dei servizi sociali), ovvero

di ben fondate considerazioni psicopedagogiche e didattiche. Per coloro che

sperimentano difficoltà derivanti dalla non conoscenza della lingua italiana, per

esempio alunni di origine straniera di recente immigrazione e, in specie, coloro

che sono entrati nel nostro sistema scolastico nell’ultimo anno, è parimenti

possibile attivare percorsi individualizzati e personalizzati e adottare strumenti

compensativi e misure dispensative.

Riassumendo si indicano nelle tabelle successive le tre principali categorie e

per quali di esse sono eventualmente necessarie certificazioni o

documentazioni.

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23

Disabilità

DSA

Disturbi evolutivi

specifici

Area dello

svantaggio socio-

economico-linguistico e

culturale

Tutte DSA

Disturbi specifici del

linguaggio o bassa

intelligenza verbale,

disturbi della

comprensione

Disturbo della

coordinazione motoria,

disturbo non verbale,

disprassia, o bassa

intelligenza non-verbale

Disturbo dello spettro

autistico lieve ( non

rientrante nella legge

104)

A.D.H.D

Disturbo oppositivo

provocatorio

Disturbo nella

condotta

Disturbo d’ansia e

dell’umore

Funzionalità cognitivo

limite

comorbilità

Svantaggi derivanti

da:

motivi fisici

motivi biologici

motivi fisiologici

motivi psicologici

motivi sociali

motivi economici

difficoltà derivanti

dalla non conoscenza

della cultura e della

lingua italiana

interazione tra i

motivi

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24

Riscontri documentali

Disabilità

DSA

Disturbi evolutivi

specifici

Area dello

svantaggio socio-

economico-linguistico e

culturale

certificazioni DSA : certificazioni

Anche in attesa del

rilascio della

certificazione , si devono

comunque accertare le

difficoltà e adottare un

piano didattico

individualizzato e

personalizzato

Altri disturbi:

relazioni di specialisti,

considerazioni

pedagogiche e didattiche,

riscontri oggettivi di

difficoltà

Segnalazione ai o dai

servizi sociali

Relazioni di eventuali

esperti

Considerazioni

pedagogiche e didattiche

dei docenti

Riscontri oggettivi

Tutte queste situazioni sono diversissime l’una dall’altra, ma malgrado la

loro clamorosa diversità un dato le avvicina e le rende sostanzialmente uguali

nel loro diritto a ricevere un’attenzione educativa sufficientemente

individualizzata ed efficace: ognuna di queste persone ha un funzionamento per

qualche aspetto problematico, che rende più difficile trovare una risposta

adeguata ai suoi bisogni.25

25Ianes D., Cramerotti S., Alunni con Bes Bisogni Educativi Speciali indicazioni operative

per promuovere l’inclusione sulla base della D.M. 27/12712 e della C.m. n.8 del 06/03/13Erickson 2013

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25

Il concetto di bisogno educativo speciale è quindi una macrocategoria che

comprende dentro di sé tutte le possibili difficoltà educativo-apprenditive degli

alunni.

I bisogni educativi speciali possono derivare da svariate condizioni, quali ad

esempio:

svantaggio e deprivazione sociale, riferito ad alunni cresciuti in

situazioni familiari/sociali povere, marginali, in contesti degradati con poche

occasioni formali e informali di apprendimento

diversità etniche e culturali ( figli di immigrati, profughi, rifugiati con

lingua, cultura e religione diversa)

difficoltà familiari (bambini che vivono in famiglie difficili, in cui sono

presenti fenomeni d’abuso, maltrattamento, violenza)

difficoltà psicologiche, come basso livello di autostima , stati d’ansia,

scarso autocontrollo e scarsa tolleranza alle frustrazioni, bassa motivazione

intrinseca, assenza di interessi.

difficoltà d’apprendimento, ambiente socioculturale, caratteristiche del

soggetto , date da fattori di tipo emotivo e emozionale che possono creare

difficoltà e disagio.

difficoltà relazionali, aggressività o chiusura, difficoltà del linguaggio,

disagio, ritardi psicomotori, scarsa autostima, disturbi dell’attenzione e

ipercinesia.

Tutti, comunque, indipendentemente dal tipo di Bisogno Educativo

Speciale , avranno diritto a risposte adeguate alla loro situazione, perché non è

giusto “far parti uguali tra disuguali”, come ebbe a dire Don Milani in lettera a

una professoressa.

Tutte queste problematiche, ricomprese nei disturbi evolutivi specifici non

vengono o possono non venire certificate ai sensi della Legge 104/92 , non

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26

dando conseguentemente diritto alle provvidenze ed alla misure previste dalla

stesse legge quadro, e tra queste, all’insegnante di sostegno.

Un discorso particolare si deve fare a proposito di alunni e studenti con

controllo attentivo e/o dell’attività, spesso definiti con l’acronimo ( A.D.H.D. (

Attention Deficit Hyperactivity Disorder) . L’ ADHD si può speso riscontrare

associato a un DSA , ha una causa neurobiologica e genera difficoltà di

pianificazione., di apprendimento e di socializzazione con i coetanei. Si è

stimato che il disturbo, in forma grave tale da compromettere il percorso

scolastico, è presente in circa l’1% della popolazione scolastica . Con notevole

frequenza l’ADHD è in comorbilità con uno o più disturbi dell’età evolutiva:

disturbo oppositivo provocatorio, disturbo della condotta in adolescenza,

disturbi specifici del’apprendimento, disturbi d’ansia, disturbi d’umore. Il

percorso migliore per la presa in carico del bambino/ragazzo ADHD si attua

senz’altro quando è presente una sinergia tra famiglia, scuola e clinica. Le

informazioni fornite dagli insegnanti hanno una parte importante per il

completamento della diagnosi e la collaborazione della scuola è un anello

fondamentale nel processo riabilitativo. La particolarità risiede nel fatto che, a

volte, il quadro clinico è particolarmente grave, anche per la comorbilità con

altre patologie, da richiede l’assegnazione dell’insegnante di sostegno, come

previsto dalla Legge 104/92 per la prima categoria dei BES, cioè quella della

disabilità.

Anche gli alunni con potenziali intellettivi non ottimali, descritti

generalmente con le espressioni di funzionamento cognitivo ( intellettivo)

limite ( o borderline) qualora non rientrino nelle previsioni della Legge 104 o

170, richiedono particolare considerazione.

Si tratta di bambini o ragazzi il cui QI globale risponde ad una misura che

va dai 70 agli 85 punti e non presenta elementi di specificità. Per alcuni di loro

il ritardo è legato a fattori neurobiologici ed è frequentemente in comorbilità

con altri disturbi. Per altri, si tratta soltanto di una forma lieve di difficoltà tale

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27

per cui, se adeguatamente sostenuti e indirizzati verso i percorsi scolastici più

consoni alle loro caratteristiche, potranno avere una vita normale.

Per quanto riguarda i DSA, ricompresi all’interno dei BES, il riferimento

normativo, come già accennato nel precedente paragrafo è la Legge 170 dell’8

ottobre 2010.

Nell’art.1 si afferma “ La presente legge riconosce la dislessia, la disgrafia

, la disortografia e la discalculia quali disturbi specifici di apprendimento, di

seguito denominati DSA, che si manifestano in presenza di capacità cognitive

adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali, ma

possono costituire una limitazione importante per alcune attività della vita

quotidiana”.26

Sempre nell’art. 1 , ai fini della Legge, i disturbi sono così intesi:27

dislessia: disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà

nell’imparare a leggere, in particolare nella decifrazione dei segni linguistici,

ovvero nella correttezza e nella rapidità della lettura;

disgrafia: disturbo specifico di scrittura che si manifesta in difficoltà

nella realizzazione grafica

disortografia: disturbo specifico di scrittura che si manifesta in

difficoltà nei processi linguistici di transcodifica

discalculia: disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà negli

automatismi del calcolo e dell’elaborazione dei numeri

Successivamente e in riferimento alla direttiva del 27/12/2012 viene poi

emanata la circolare MIUR n.8 del 6 marzo 2013 che insiste molto sulla

necessità di un progetto educativo didattico che dev’essere predisposto per tutti

gli alunni con Bisogni Educativi Speciali, anche per quelli che abbiano uno

svantaggio culturale, personale o sociale.

26Legge n.170 dell’8 ottobre 2010

27ibidem

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28

Vi si legge infatti che “in questa nuova e più ampia ottica, il Piano

Didattico Personalizzato non può più essere inteso come mera esplicitazione di

strumenti compensativi e dispensativi per gli alunni con DSA; esso è bensì lo

strumento in cui si potranno, ad esempio, includere progettazioni didattico

educative calibrate sui livelli minimi attesi per le competenze in uscita,

strumenti programmatici utili in maggior misura rispetto a compensazioni o

dispense, a carattere squisitamente didattico-strumentale”.28

La Circolare passa poi a fornire chiarimenti per gli alunni con svantaggio

culturale e socioeconomico o personale, parte questa altamente innovativa: “Si

vuole inoltre richiamare ulteriormente l’attenzione su quell’area dei BES che

interessa lo svantaggio socioeconomico, linguistico, culturale”.29

Con riferimento alla Direttiva, passa poi a ricordare che “ogni alunno, con

continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi

Speciali, o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi

psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano

adeguata e personalizzata risposta”.30

Gli alunni con Bisogni Educativi Speciali hanno necessità di interventi

tagliati accuratamente su misura della loro situazione di difficoltà e dei fattori

che la originano e/o la mantengono. Questi interventi possono essere i più vari

nelle modalità , nelle professionalità coinvolte, nella durata, nel grado di

“mimetizzazione” all’interno delle normali attività scolastiche.

In alcuni casi questa individualizzazione prenderà la forma di un formale

Piano educativo individualizzato, in altri sarà, ad esempio, una semplice e

informale serie di delicatezze e attenzioni psicologiche rispetto a situazioni

28Circolare Ministeriale n.8 del 6 marzo 2013

29ibidem

30ibidem

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29

familiari difficili, in altri casi ancora potrà essere uno specifico intervento

psicoeducativo nel caso di comportamenti problema.

Utile strumento per meglio comprendere la categoria dei BES è l’ICF ,

strumento di classificazione elaborato dall’Organizzazione Mondiale della

Sanità nel 2001, che analizza e descrive la disabilità come esperienza umana

che tutti possono sperimentare, proponendo un approccio all’individuo

normodotato e diversamente abile dalla portata innovativa e

multidisciplinare.31

Il modello ICF riformula i concetti di funzionamento umano, salute e

disabilità a partire dall’idea di salute intesa non come assenza di malattia ma

come benessere bio-psico-sociale, piena realizzazione del proprio potenziale,

della propria capability e chiama fortemente in causa dimensioni sociali,

culturali, economiche, religiose che non sono biostrutturali.32

Il modello ICF, adottato nel nostro Paese nel 2002, riguarda quindi tutte le

persone e non soltanto quelle con disabilità ed esplora le diverse condizioni di

salute.

È utilizzabile in diversi campi, da quello clinico a quello del lavoro a quello

dell’istruzione.

In questo ultimo campo è considerato un valido strumento educativo che

permette una consapevole ed accurata programmazione.33

Il funzionamento umano, come indicato dall’ICF è la risultante di

un’interconnessione complessa, globale e multidisciplinare tra fattori personali

e contestuali, dove i fattori contestuali, sia interni che esterni alla persona,

giocano un ruolo di facilitazione facilitante e/o barrierante.

31www.mhadie.it

32Sen A., L’idea di giustizia Mondadori Milano 2011

33Cottin L., Didattica speciale e integrazione scolastica Carocci Editore Roma , 2009

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30

Secondo il modello bio-psico-sociale, una persona che presenta

un’alterazione dei livelli funzionali o strutturali del proprio corpo, non viene

più definita “svantaggiata” in un senso statico e rigido, ma, interagendo con

l’ambiente, potrà vivere due condizioni

una perdita o una limitazione dei propri livelli di attività e di

partecipazione ai contesti di vita, qualora l’ambiente sia ostile o indifferente

una buona performance nelle attività e nella partecipazione ai contesti

di vita, qualora l’ambiente abbia elementi facilitatori.

Nel 2007 è nato l’ICF-CY ovvero la versione per bambini e adolescenti

dell’ICF.

Anche in esso la lettura della situazione viene fatta considerando e

integrando le aree del funzionamento e della disabilità rispetto all’ambiente e al

contesto educativo in cui è inserita.

Tra i criteri per una concettualizzazione valida e utile operativamente del

concetto di BES ci sono le caratteristiche di reversibilità e di temporaneità .

Molte situazioni che si configurano come BES non sono stabili e

cristallizzate, anzi sono soggette a forti mutamenti nel tempo, a miglioramenti

e di conseguenza alla reversibilità.

La definizione di BES deve portare con sé proprio questo senso di

provvisiorietà e di reversibilità rispetto alle etichette diagnostiche tradizionali,

più rigide e più stabili.

Questa reversibilità facilita la famiglia e l’alunno stesso ad accettare un

percorso di conoscenza e di approfondimento della difficoltà e di successivo

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31

intervento di individualizzazione. Difficile è infatti per una famiglia

intraprendere un percorso diagnostico che ha come unico sbocco una diagnosi

clinica e magari misure di supporto segreganti e stigmatizzanti. Se il concetto

di BES deriva da un modello globale di funzionamento educativo e

apprenditivo ed è considerato come possibilmente transitorio e reversibile,

allora l’impatto psicologico e sociale di questa valutazione e riconoscimento

sarà più lieve e meno doloroso per l’alunno e la sua famiglia.

Un’altra caratteristica importante e positiva del concetto di BES è quella

del minor impatto stigmatizzante che questa definizione ha rispetto ad altre

quali disabilità, dislessia, discalculia, disturbo da deficit attentivo con

iperattività, disturbo specifico di apprendimento.

La concettualizzazione di BES non dovrà fare riferimento alle origini

eziologiche dei disturbi né alle classificazioni patologiche, ma dovrà partire

dalla situazione complessiva di funzionamento educativo e apprenditivo del

soggetto, qualunque siano le cause che originano una difficoltà di

funzionamento.

Tale concettualizazzione di BES dovrà anche fondarsi sulla necessità di

individualizzazione, personalizzazione, di educazione/didattica speciale e di

inclusione. Un tentativo di definizione originale di BES potrebbe essere il

seguente:

Il bisogno educativo speciale è qualsiasi difficoltà evolutiva, in ambito

educativo e/o apprenditivo, che consiste in un funzionamento problematico

come risultante dall’interrelazione reciproca tra i sette ambiti della salute

secondo il modello ICF dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il

funzionamento è problematico per l’alunno, in termini di danno, ostacolo o

stigma sociale, indipendentemente dall’eziologia, e necessita di

educazione/didattica speciale individualizzata. Esaminando nel dettaglio le

singole componenti di questa definizione.

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32

Un bisogno educativo speciale è una difficoltà che si deve manifestare in

età evolutiva e cioè entro i primi 18 anni di vita del soggetto. Questa difficoltà

si manifesta negli ambiti di vita dell’educazione e/o istruzione.

Può coinvolgere, a vario livello, le relazioni educative, formali e/o

informali, lo sviluppo di competenze e di comportamenti adattativi, gli

apprendimenti scolastici e di vita quotidiana, lo sviluppo di attività personali e

di partecipazione ai vari ruoli sociali. Anche un lieve difetto fisico, che non

incide affatto sulla funzionalità cognitiva e apprenditiva, può causare difficoltà

psicologiche e timore di visibilità sociale, limitando così la partecipazione del

bambino a varie occasioni educative e sociali.

Secondo il modello ICF/OMS la situazione di salute di una persona, nella

fattispecie il funzionamento educativo-apprenditivo, è la risultante globale

delle reciproche influenze tra sette fattori .

Condizioni fisiche e fattori contestuali stanno agli estremi superiori e

inferiori del modello. La dotazione biologica da un lato e dall’altro l’ambiente

in cui il bambino cresce, dove accanto a fattori esterni, come le relazioni, le

culture, gli ambienti fisici egli incontra anche fattori contestuali personali e

cioè le dimensioni psicologiche che fanno da sfondo interno alle sue azioni, per

esempio autostima, identità, motivazioni.

Questi contesti potranno essere dei mediatori facilitanti o delle barriere.

Nella grande dialettica fra queste due enormi classi di forze, biologiche e

contestuali, si trova il corpo del bambino, come concretamente si sta

sviluppando dal punto di vista strutturale e come si stanno sviluppando le varie

funzioni, da quelle mentali a quelle motorie e di altro genere .

Quando i vari fattori interagiscono in modo positivo, il bambino crescerà

sano e funzionerà bene dal punto di vista educativo-apprenditivo, altrimenti il

suo funzionamento sarà difficoltoso, ostacolato, disabilitato, ammalato, con

BES.

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33

L’alunno che viene conosciuto e compreso, nella complessità dei suoi

bisogni, attraverso il modello ICF, può evidenziare difficoltà specifiche in sette

ambiti principali:

Condizioni fisiche: malattie varie, acute o croniche, fragilità, situazioni

cromosomiche particolari, lesioni

Strutture corporee: deficit visivi, motori, attentivi, di memoria

Attività personali: scarse capacità di apprendimento, di applicazione

delle conoscenze, di pianificazione delle azioni, di comunicazione e di

linguaggio, di autoregolazione metacognitiva, di interazione sociale, di

autonomia personale e sociale, di cura del proprio luogo di vita

Partecipazione sociale: difficoltà a rivestire in modo integrato i ruoli

sociali di alunno, a partecipare alle situazioni sociali più tipiche nei vari

ambienti e contesti

Fattori contestuali ambientali: famiglia problematica, cultura diversa,

situazione sociale difficile, culture e atteggiamenti ostili, scarsità di servizi e

risorse

Fattori contestuali personali: scarsa autostima, reazioni emozionali

eccessive, scarsa motivazione

In uno o più di questi ambiti si può generare un bisogno educativo speciale

specifico che poi interagirà con gli altri ambiti, producendo la situazione

globale e complessa dell’alunno.34

L’alunno potrà avere una difficoltà di funzionamento e cioè un BES ,

originata dalle infinite combinazioni possibili tra i 7 ambiti di funzionamento.

Una difficoltà di funzionamento potrà originarsi da combinazioni fisiche

problematiche: malattie varie, acute o croniche, fragilità, allergie o intolleranze

alimentari, patrimoni cromosomici particolari, lesioni , traumi, malformazioni,

disturbi del ciclo sonno-veglia, disturbi del metabolismo, della crescita. In

34Linea didattica.altervista.org

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34

questi casi il funzionamento globale è minacciato da un imput biologicamente

significativo, che irrompe sulla scena e può condizionate in maniera

drammatica l’apprendimento e l’educazione. Spesso problemi in questo ambito

portano a problemi anche nell’ambito successivo, quello delle strutture

corporee.

L’ambito delle strutture corporee può a sua volta originare difficoltà di

funzionamento educativo e apprenditivo, si pensi ad esempio al ruolo delle

malformazioni e mancanza di arti, organi o parte di essi, come ad esempio

strutture cerebrali o strutture necessarie per la fonazione o la locomozione.

Un’altra possibile fonte di difficile funzionamento educativo, e di

conseguente BES è una ridotta dotazione di attività personali . Un bambino con

scarse attività personali sa fare meno cose, o le fa in forme deficitarie, anche se

può essere perfettamente integro dal punto di vista strutturale e funzionale del

corpo.

Un’ulteriore fonte di funzionamento educativo-apprenditivo difficoltoso è la

partecipazione sociale. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità una

persona “funziona bene” se partecipa socialmente, se riveste ruoli di vita

sociale in modo integrato e attivo, non è sufficiente avere un corpo integro e

funzionante, ma bisogna anche partecipare socialmente. In questo ambito

possono generarsi difficoltà specifiche che diventano BES , difficoltà nello

svolgere i ruoli previsti dall’essere alunno, essere compagno di classe, essere

utente di servizi rivolti all’infanzia, culturali, sportivi, sociali .Il bambino che

venisse ostacolato nella partecipazione, emarginato o allontanato, isolato,

rifiutato, vivrebbe un elemento significativamente determinante per lo sviluppo

di un BES.

Dalle due classi di fattori contestuali, ambientali e personali, si possono

originare varie combinazioni di BES. Un bambino può infatti vivere fattori

contestuali ambientali molto difficili come ad esempio una famiglia

problematica, un contesto culturale e linguistico diverso, una situazione socio-

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35

economica difficile, subire atteggiamenti ostili, indifferenza o rifiuto, può

subire scarsità di servizi, poche risorse educative sanitarie, incontrare barriere

architettoniche.

Anche nei fattori contestuali personali si possono originare cause o

concause di BES , ad esempio scarsa autostima, reazioni emozionali eccessive,

scarsa motivazione, stili attributivi distorti.

Nella proposta basata su ICF tutti i fattori ambientali vanno considerati,

tanto più quelli socioeconomici. Se viene messo il concetto di funzionamento

globale di un alunno alla base di quello di BES, nasce evidente il problema del

dove porre la soglia tra funzionamento “normale” e funzionamento

”problematico”.

Si può ipotizzare un continuum di funzionamento sul quale si deve

formulare un giudizio, a un certo punto di disfunzionalità e di problematicità

per il soggetto.

Evidentemente l’insegnante, l’educatore e il genitore “ sentono” attraverso

il loro disagio una problematicità di apprendimento e di sviluppo nel bambino,

ma questo loro disagio non è affatto sufficiente per giudicare realmente

problematici il funzionamento educativo-apprenditivo del bambino.

Questo loro disagio educativo è il primo motore, la prima energia che li

mette in moto per prendersi cura dello sviluppo del bambino, esso però può

essere eccessivo e di conseguenza essi possono giudicare problematica una

situazione di sviluppo, ritardata o differente, che in realtà non è problematica

per l’alunno. Potrebbe anzi essere una preoccupazione più per se stessi, per la

propria tranquillità che non per il benessere e lo sviluppo del bambino e di

conseguenza potrebbe creare falsi positivi in nome dell’ansia dell’insegnante o

del genitore.

In realtà la valutazione del BES deve difendere il bambino da un eccesso di

preoccupazione che diventa iperprotezione e limitazione in nome del proprio

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36

benessere di insegnante e genitore, ma anche da una scarsa preoccupazione, da

un non cogliere in anticipo possibili fonti di difficoltà. La valutazione deve

quindi essere quanto più oggettiva possibile.

Il primo criterio per una valutazione oggettiva può essere quello del danno

effettivamente vissuto dall’alunno e prodotto su altri rispetto alla sua integrità

attuale fisica, psicologica o relazionale. Una situazione di funzionamento è

realmente problematica per un bambino se lo danneggia direttamente o

danneggia altri, basti pensare a disturbi del comportamento gravi,

all’autolesionismo, a disturbi emozionali gravi, a gravi deficit di attività

personali, a situazione di gravi rifiuti o allontanamento dal gruppo. In questi

casi si può osservare un danno diretto al bambino o ad altri che lo circondano.

Se questo accade è evidente che la situazione è realmente problematica e

non è affatto un falso positivo.

Se il danno non è osservabile in maniera chiara si può ricorrere al criterio

dell’ostacolo. Un funzionamento problematico è tale se lo ostacola nel suo

sviluppo futuro, se cioè lo condizionerà nei futuri apprendimenti cognitivi,

sociali, relazionali ed emotivi.

Se non è dimostrabile né un danno né un ostacolo allora si può ricorrere ad

un terzo criterio che è quello dello stigma sociale.

Con questo criterio ci si chiede se oggettivamente il bambino, attraverso il

suo scarso funzionamento educativo-apprenditivo, stia peggiorando la sua

immagine sociale, stia costruendosi ulteriori processi di stigmatizzazione

sociale.

Questa idea di BES, fondata sul funzionamento globale della persona porta

ad un superamento delle categorie diagnostiche tradizionali nella fase del

riconoscimento di una situazione problematica a motivo della quale l’alunno ha

diritto ad un intervento individualizzato e inclusivo.

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37

Ciò non significa ignorare o rifiutare le diagnosi cliniche nosografiche ed

eziologiche che hanno un profondo significato per gli aspetti conoscitivi legati

alla terapia, alla prevenzione, ma significa

cercare un modo globale, più a valle della diagnosi, più largo, più

comprensivo e più rispondente a quella che è una reale situazione di BES e di

difficoltà.

In questo modello di BES entrano anche alcuni alunni che non potrebbero

essere diagnosticati con alcuna delle condizioni patologiche tradizionali, ma

che hanno talvolta enormi bisogni educativi speciali che vanno riconosciuti in

tempo anche se sfuggono ai sistemi di classificazione tradizionale e a cui va

data una risposta inclusiva efficace.35

Il concetto di BES , sovente radicato nell’immaginario comune e in quello

degli insegnanti, come correlato ad una dimensione patologica e di svantaggio

di alcuni alunni, deve essere letto in ottica di “ funzionamento umano” secondo

quanto proposto dalla classificazione ICF.

Il modello antropologico utilizzato dalla recente classificazione OMS,

sostiene che il benessere, il funzionamento, la salute o le difficoltà sono il

prodotto complesso di un sistema di influenze reciproche tra aspetti biologici,

strutturali, di partecipazione ai ruoli sociali, di facilitazioni o ostacoli

ambientali. Se la disabilità e/o i BES sono da intendersi come la conseguenza

di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo, i fattori

personali e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui egli

vive, e se è vero che l’ambiente può fungere da barriera ovvero da facilitatore,

ne consegue che anche l’ambiente scolastico non è esente e non può permanere

in una situazione di fissità, in un modello formativo univoco e rigido.

35Ianes Bisogni educativi speciali e inclusione Erickson Trento 2005

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La scuola, e i processi in essa attivati, devono assumere la dimensione della

dinamicità e plasticità in ordine a consentire la partecipazione e l’accesso ai

saperi attraverso percorsi e modalità didattiche plurali, divergenti,

individualizzate e, in taluni casi, anche personalizzate36

36Ianes Bisogni educativi speciali e inclusione Erickson Trento 2005

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CAPITOLO II

FIGURE E STRUMENTI PER PROMUOVERE

L’INCLUSIONE

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40

2.1 Ruoli e organismi d’Istituto

La C.M. n.8 del 6 marzo 2013 individua anche gli organismi che, all’interno

dell’Istituto, devono occuparsi degli alunni con BES.

In essa non si fa espressamente riferimento alla presenza di una specifica

figura d’Istituto riferita ai BES in quanto lo spirito della direttiva è quello di

tendere ad allargare e a rendere partecipe tutta la comunità scolastica, e quindi

anche i docenti curricolari, di questa prerogativa proprio in virtù del fatto che la

scuola inclusiva deve essere una scuola che sia attenta ai bisogni di ognuno.

Proprio per questo, nel caso in cui venga individuata una figura BES

all’interno della scuola, questa non necessariamente deve coincidere con il

docente di sostegno eventualmente presente nella scuola per gli alunni

diversamente abili; pur essendo tale docente portatore di una formazione

specialistica e quindi risorsa per l’intero Istituto in materia di metodologie,

suggerimenti pratici e concreti per una didattica inclusiva è preferibile ,infatti,

allargare quanto più il raggio di coinvolgimento dei docenti della Scuola.

Nel rispetto delle autonome scelte ciascuna scuola potrà dotarsi quindi delle

figure di sistema che ritiene più funzionali alla propria organizzazione

scolastica e che garantiscano, nell’ambito di un progetto che deve attuare una

costruttiva sinergia tra tutte le componenti sociali responsabili dello sviluppo

dell’individuo, di:

effettuare consulenza/informazione ai docenti, al personale ATA, alle

famiglie in materia di normativa e metodologia didattica;

curare il rapporto con gli Enti del territorio;

supportare i CdC/Team per l’individuazione degli alunni BES;

raccogliere, analizzare la documentazione aggiornando il fascicolo

personale e pianificare attività/progetti/strategie ad hoc;

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41

partecipare ai CdC/Team , se necessario, e fornire

collaborazione/consulenza alla stesura di PDP e PEI;

organizzare momenti di approfondimento/formazione/aggiornamento

sulla base delle necessità rilevate all’interno dell’Istituto;

monitorare/valutare i risultati ottenuti e condividere proposte con il

Collegio Docenti e Consiglio d’Istituto;

gestire e curare una sezione della biblioteca d’Istituto dedicata alle

problematiche sui BES;

gestire il sito web della scuola in merito ai BES e collaborare con il

referente POF di Istituto;

aggiornarsi continuamente sulle tematiche relative alle diverse tipologie

che afferiscono ai BES;

Per quanto riguarda gli organismi deputati a definire le strategie

d’intervento la sopra citata circolare 08/13 prefigura l’attivazione del Gruppo

di lavoro per l’Inclusione (GLI) , con il preciso compito di elaborare una

proposta di Piano Annuale per l’Inclusione ( PAI) riferito a tutti gli alunni con

BES.

Il GLI è un gruppo allargato composto dal Dirigente Scolastico o da un suo

delegato, dall’eventuale referente BES, dalle funzioni strumentali specifiche,

da insegnanti specializzati, da assistenti alla comunicazione, da docenti con

esperienza e/o formazione specifica o con compiti di coordinamento delle

classi, da genitori, da esperti istituzionali o esterni in convenzione con la

scuola.

Il GLI dovrà :

provvedere alla rilevazione di BES presenti nella scuola;

coordinarsi con i vari Consigli di Classe per stendere un piano di

intervento per gli alunni con BES non certificati o certificabili;

provvedere alla raccolta e documentazione degli interventi didattico-

educativi posti in essere anche in rete tra scuole;

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operare un focus/controllo sui casi, consulenze, supporto ai colleghi su

strategie/metodologie di gestione delle classi;

porsi come interfaccia dei CTS e dei servizi sociali e sanitari territoriali.

Per quanto riguarda l’ elaborazione di una proposta di PAI che verrà

presentato a fine anno scolastico, il GLI procederà ad un’analisi delle criticità e

dei punti di forza degli interventi di inclusione scolastica operati nell’anno

scolastico in corso e formulerà un’ipotesi globale di utilizzo funzionale delle

risorse specifiche, istituzionali e non per incrementare il livello di inclusività

generale della scuola nell’anno successivo.

Il Piano sarà quindi discusso e deliberato in Collegio Docenti e inviato ai

competenti Uffici degli UUSSRR, nonché ai GLIP e al GLIR, per la richiesta

di organico di sostegno, e alle altre istituzioni territoriali come proposta di

assegnazione delle risorse di competenza, considerando anche gli Accordi di

Programma in vigore o altre specifiche intese sull’integrazione scolastica

sottoscritte con gli Enti Locali. A seguito di ciò , gli Uffici Scolastici regionali

assegneranno alle singole scuole globalmente le risorse di sostegno secondo

quanto stabilito dall’art.19 comma 11 della Legge n.111/11.Nel mese di

settembre , in relazione alle risorse effettivamente assegnate alla scuola-

ovvero, secondo la previsione dell’art.50 della L.n.35/12, alle reti di scuole, il

Gruppo provvederà ad un adattamento del Piano, sulla base del quale il

Dirigente Scolastico procederà all’assegnazione definitiva delle risorse, sempre

in termini ”funzionali”.

La Circolare suggerisce, inoltre, il compito dei Consigli di Classe che hanno

come doveroso compito quello di indicare in quali casi sia opportuna e

necessaria l’adozione di una personalizzazione della didattica ed eventualmente

l’adozione di misure compensative o dispensative, nella prospettiva di una

presa in carico globale ed inclusiva di tutti gli alunni.

Al termine di ogni anno scolastico, secondo la C.M. n.8 del 6 marzo 2013,

ogni scuola, come già detto, deve redigere il PAI. Scopo del PAI è quello di

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fornire un elemento di riflessione per il ( Piano dell’Offerta Formativa) POF,

di cui esso è parte integrante. Esso viene discusso e deliberato dal Collegio

Docenti e non va inteso come un mero adempimento burocratico, bensì come

uno strumento che possa contribuire ad accrescere la consapevolezza

dell’intera comunità educante sulla centralità e la trasversalità dei processi

inclusivi in relazione alla qualità dei risultati educativi, per creare un contesto

educante dove realizzare concretamente la scuola per tutti e per ciascuno.

Il POF, documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e

progettuale delle istituzioni scolastiche che esplicita la progettazione

curriculare, extracurriculare, educativa e organizzativa che le singole scuole

adottano nell’ambito della loro autonomia, deve possedere una capacità

comunicativa plurilinguistica perché collega tra loro diversi soggetti, ha infatti

la funzione di informare la comunità circa le aree specifiche di settore sulle

quali verterà l’organizzazione degli interventi scolastici e i progetti che

verranno portati avanti.37

In esso occorre che trovino esplicitazione:

un concreto impegno programmatico per l’inclusione , basato su una

attenta lettura del piano di inclusività della scuola e su obiettivi di

miglioramento, da perseguire nel senso della trasversalità delle prassi di

inclusione negli ambiti dell’insegnamento curricolare, della gestione

delle classi, dell’organizzazione dei tempi e degli spazi scolastici, delle

relazioni tra docenti , alunni e famiglie;

criteri e procedure di utilizzo funzionale delle risorse professionali

presenti privilegiando, rispetto a una logica meramente quantitativa di

distribuzione degli organici, una logica qualitativa, sulla base di un progetto di

inclusione condiviso con famiglie e servizi sociosanitari che recuperi l’aspetto

37D.M. 275/99

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pedagogico del percorso di apprendimento e l’ambito specifico di competenza

della scuola;

l’impegno a partecipare ad azioni di formazione e/o di prevenzione

concordate a livello territoriale.

Tornando agli obiettivi del PAI si può dire che , in generale, il suo obiettivo

è quello di favorire i processi di apprendimento e di acquisizione di

competenze in tutti gli alunni, di rendere ogni soggetto, qualsiasi siano le sue

caratteristiche, il più autonomo possibile, di favorire in ogni soggetto una

crescita autonoma, mettendolo in condizioni di sperimentare attività in prima

persona. A garantire la realizzazione di tali piani sarà il Dirigente Scolastico

che , come ricordano le Linee Guida, nella logica dell’autonomia scolastica , è

il garante del diritto allo studio, dei servizi erogati e delle opportunità

formative offerte dalla scuola. Il Dirigente ha il compito di attivare e garantire

gli interventi di personalizzazione e individualizzazione previsti dalla

normativa e promuovere rapporti tra docenti e famiglia, sostenere gli

insegnanti promuovendo attività di formazione per il conseguimento di

specifiche competenze.

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2.2 L’organizzazione territoriale

In una logica di sistema formativo integrato che investe sulla centralità della

persona e sui rapporti scuola, famiglia e territorio, il compito di coordinamento

e di indirizzo delle politiche scolastiche è demandato agli Uffici Scolastici

Regionali.

Tali Uffici hanno istituito, in accordo con il MIUR , I CTS collocati presso

scuole polo e la cui sede coincide con quella dell’istituzione scolastica che li

accoglie. Essi rappresentano l’interfaccia fra l’Amministrazione e le scuole e

tra le scuole stesse e svolgono le seguenti funzioni:

informano i docenti, gli alunni, gli studenti e i loro genitori delle risorse

tecnologiche disponibili, sia gratuite sia commerciali;

organizzano iniziative di formazione sui temi dell’inclusione scolastica

e sui BES, nonché nell’ambito delle tecnologie per l’integrazione, rivolte al

personale scolastico, agli alunni o alle loro famiglie;

offrono, attraverso il contributo di un esperto, consulenza nell’ambito

della tecnologia, coadiuvando le scuole nella scelta dell’ausilio e

accompagnando gli insegnanti nell’acquisizione di competenze o pratiche

didattiche che ne rendano efficace l’uso anche in relazione alle attività di studio

a casa in collaborazione con la famiglia;

acquistano ausili adeguati alle esigenze territoriali e possono definire

accordi con le Ausilioteche e/o Centri Ausili presenti sul territorio;

raccolgono le buone pratiche di inclusione realizzate dalle istituzioni

scolastiche e, opportunamente documentate, le condividono con le scuole del

territorio di riferimento;

individuano le modalità di personalizzazione che nel territorio sono

risultate più efficaci, così da assicurarne la diffusione tra i docenti della singola

scuola e tra scuole di diverso grado e indirizzo;

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raccolgono i piani educativi individualizzati e i piani didattici

personalizzati in un unico contenitore digitale che ne conservi sia la memoria

nel tempo che la socializzazione telematica ;

inquadrano ciascun percorso educativo e didattico in un quadro

metodologico condiviso e strutturato con le parti sociali e istituzionali della

comunità di riferimento non solo per calibrare le attese rispetto alle barriere da

superare in quel determinato contesto ma soprattutto per evitare

improvvisazioni, frammentazioni e contraddittorietà degli interventi dei singoli

docenti, educatori , orientatori.

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47

2.3 Il Profilo del docente inclusivo

Tra le questioni più rilevanti che gli insegnanti di ogni ordine e grado di

scuola si trovano ad affrontare emerge quella connessa all’eterogeneità degli

alunni, caratterizzata da diversità e originalità dal punto di vista degli stili e

delle strategie di apprendimento, dei bisogni emotivo-affettivi, degli

atteggiamenti relazionali, nonché delle specifiche situazioni familiari e

ambientali. Tale questione appare strettamente connessa a quella

dell’integrazione di tutti e di ciascuno in un contesto scolastico sempre più

aperto allo scambio e alla partecipazione democratica, ai percorsi

dell’inclusione , all’interno di un tessuto sociale caratterizzato da pluralità e

diversità culturale, atteggiamenti e stili di vita, abitudini e costumi, nonché

orientamenti religiosi e valoriali assai diversi tra loro. La scuola inclusiva

richiede formazione e aggiornamento permanente per l’insegnante e il corpo

dirigenziale. Un percorso che lascia alle spalle lo scenario duale tradizionale di

separazione tra insegnate curricolare e insegnante specializzato, perché

obsoleto e inadeguato a rappresentare una realtà multiforme, pluriproblematica,

in transizione che richiede una rivoluzione copernicana del modo di

organizzare la didattica.

Il cuore dell’attività dell’insegnamento sta nella dimensione educativa del

suo compito che è quello di “ prendersi cura” della persona nella sua globalità

facendosi carico dei suoi “ bisogni” , delle più profonde esigenze connesse alla

dignità della persona come tale.

Il benessere di un alunno in classe, specie se in difficoltà, è un obiettivo

imprescindibile per i docenti, ma di grande complessità. 38

Nell’età evolutiva, infatti, la scuola costituisce un fondamentale contesto di

crescita per l’allievo e tra le sue finalità primarie, accanto all’istruzione, vi è

38Rossi A. Verso una cultura sociale dei BES -il sistema per l’inclusione- edizioni la

Meridiana Bari, 2014

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principalmente l’educare e il favorire il processo armonico di sviluppo

dell’allievo come persona.

Stare bene a scuola per un alunno implica, infatti, non solo fattori quali un

apprendimento efficace ma anche buone relazioni con gli altri e una positiva

percezione di se stesso. Si tratta di fattori spesso interdipendenti che non

sempre risultano però in buon equilibrio e che, in ogni alunno, si combinano in

maniera diversa.

In tal senso il lavoro del docente si è fatto più difficile poiché sono davvero

tante le variabili e le differenze con cui è chiamato a confrontarsi in una classe:

intelligenze multiple, stili cognitivi, difficoltà di apprendimento, disabilità,

disturbi del comportamento, problemi relazionali.

All’esigenza di assecondare e coltivare i talenti di ognuno si unisce quella di

venire incontro alle difficoltà attraverso interventi individualizzati che

possibilmente non determinino stigma.

In tale contesto il ruolo del docente acquista una valenza nuova e rilevante.

È importante che il docente:

sappia valutare la diversità degli alunni e consideri la differenza come

una risorsa e una ricchezza

sappia sostenere gli alunni , coltivando alte aspettative sul loro successo

scolastico

abbia un approccio collaborativo con gli altri colleghi

sia pronto ad un costante aggiornamento professionale

In tal senso diviene sempre più necessario fare appello alle competenze

psicopedagogiche dei docenti “curricolari” per affrontare il problema , che non

può più essere delegato solo a specialisti esterni. Nel profilo professionale del

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49

docente sono ricomprese, infatti, oltre alle competenze disciplinari, anche

competenze psicopedagogiche.39

Gli insegnanti devono assumere comportamenti non discriminatori, essere

attenti ai bisogni di ciascuno, accettare le diversità e valorizzarle come

arricchimento per l’intera classe, favorire la strutturazione del senso di

appartenenza, costruire relazioni socio-affettive positive.40

Saper leggere i bisogni degli alunni con bisogni educativi speciali significa

anche saperli interpretare e sapervi far fronte: in questo senso l’insegnante

rappresenta il primo strumento compensativo, il primo facilitatore, il

catalizzatore dell’apprendimento, l’amplificatore dei risultati, un modello di

identificazione. Quando un alunno manifesta uno svantaggio scolastico e

chiede una speciale attenzione, l’approccio educativo e didattico da seguire

dovrebbe rispettare una gerarchia d’interventi.

Se gli insegnanti hanno rilevato delle difficoltà transitorie e reversibili o

sospettano di essere di fronte a una situazione di rischio di disturbo, si

adopereranno per una abilitazione pedagogica, per un potenziamento delle

funzioni e/o delle abilità carenti o non ancora emerse, per favorirne e

promuoverne l’acquisizione e il normale sviluppo.

Nel caso in cui il processo di abilitazione non porti a breve a dei

miglioramenti, potrebbe essere necessario allora promuovere una didattica di

tipo compensativo in cui si propongono delle alternative e/o facilitazioni,

ovvero delle tecniche di supporto che rendono sì più facile la prestazione, ma

che non facendo più esercitare una funzione o un’abilità, potrebbero anche

provocarne una regressione.

39CCNL comparto scuola art.27 profilo professionale docente

40www.icsneviano.gov.it/fileallegati/158509strumentidiinte

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Solo dopo aver appurato l’eventuale fallimento dell’intervento abilitativo e

dei sistemi compensativi, si può optare per la possibilità di dispensare l’alunno.

Questa dovrebbe essere una scelta da seguire in casi estremi.

Dispensare un alunno significa , infatti, scegliere di tutelarlo da eventuali

altri insuccessi, ma nella consapevolezza che ciò, diversamente dall’impiego di

strumenti compensativi, non lo porterà all’autonomia.

Nel caso di alunni con BES è importante che strumenti compensativi e

misure dispensative siano utilizzati per un tempo definito. Strumenti

compensativi e misure dispensative sono in sostanza delle impalcature, per loro

natura né fisse né stabili che verranno tolte con gradualità. 41

Nella distanza tra lo sviluppo attuale in un dominio specifico e lo sviluppo

potenziale (quanto l’alunno riuscirebbe a fare con l’aiuto di un adulto o di un

pari competente) sta il concetto di “potenza” da cui le idee di “zona di sviluppo

prossimale” di Vygotskij e di “modificabilità cognitiva strutturale” di

Feurstein. Sulla base di ciò i compiti proposti non dovranno situarsi né al di

sopra né al di sotto della zona di sviluppo prossimale. Nel primo caso infatti

non vi sarebbe apprendimento (l’alunno è già capace di eseguire quei compiti),

nel secondo caso si rischierebbe di non produrre apprendimento, ma addirittura

di provocare senso di frustrazione e di fallimento per l’inaccessibilità dei

compiti stessi. L’insegnante inclusivo è colui che vede le difficoltà di

apprendimento come sfide professionali che favoriscono lo sviluppo di nuove

modalità di lavoro; è l’insegnante che ricerca e sperimenta nuove modalità di

lavoro per sostenere l’apprendimento di tutti gli allievi e lavora con e attraverso

altri adulti che rispettano pienamente la dignità dei discenti come membri della

comunità della classe.

41Ianes D., Cramerotti S., Alunni con Bes bisogni Educativi Speciali indicazioni operative

per promuovere l’inclusione sulla base della D.M. 27/12712 e della C.m. n.8 del 06/03/13Erickson 2013

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2.4 La formazione degli insegnanti

Una delle esigenze primarie degli insegnanti è quella di poter usufruire di

una formazione continua, costante e approfondita che permetta loro di avere

soprattutto un bagaglio mentale intellettivo ed educativo sufficientemente forte

e collaudato, in modo da essere in grado di affrontare e padroneggiare la realtà

scolastica, realtà spesso difficile.

La formazione superiore e specialistica del corpus docente sulle situazioni

speciali viene realizzata nell’ambito del corso di laurea di scienze della

formazione primaria per gli insegnanti della scuola dell’infanzia e primaria o

attraverso il percorso di formazione per il conseguimento della

specializzazione per le attività di sostegno didattico per gli alunni con

disabilità. Inoltre per la formazione in itinere dei docenti delle scuole

secondarie superiori vengono attivati Master di primo e secondo Livello,

nonché corsi di perfezionamento, diretti sia ad insegnanti di sostegno che ad

insegnanti disciplinari.42

Un valido progetto riguardante l’analisi della formazione del docente

inclusivo è il progetto triennale “ formazione dei docenti per l’inclusione”

portato avanti dall’Agenzia Europea Sviluppo Alunni Disabili. In esso viene

dedicato molto spazio alla formazione iniziale dei “nuovi insegnanti inclusivi”

in quanto ciò viene ritenuto un punto di partenza cruciale nella costruzione di

una Scuola Inclusiva e di Qualità. Tale progetto, anche se non ha visto la

partecipazione dell’Italia può rappresentare un ottimo spunto di riflessione

anche per le scuola del nostro Paese.

In esso viene indicato chiaramente che i percorsi di formazione/abilitazione

all’insegnamento dovrebbero :

42Isidori M.V., I disturbi specifici dell’apprendimento a scuola -la formazione degli

insegnanti- , Anicia 2014

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sviluppare la capacità dei nuovi insegnanti ad essere più inclusivi nella

pratica scolastica quotidiana

abilitare nuovi docenti capaci nelle strategie didattiche nonché esperti

dei contenuti disciplinari.

Un obiettivo della formazione iniziale dovrebbe essere quello di aiutare i

futuri docenti a sviluppare una propria personale teoria pedagogica basata sul

pensiero critico e sulla capacità di analisi, coerente con le conoscenze, le abilità

e i valori che si riflettono nelle competenze didattiche e professionali.

I percorsi di formazione e avviamento alla professione docente dovrebbero

sviluppare un apprezzamento del ruolo che si andrà a svolgere in relazione ad

una scuola concepita come comunità di apprendimento. Le norme e i valori

culturali di cui i futuri docenti sono portatori vanno viste, nel corso della

formazione iniziale, come il necessario punto di partenza per l’acquisizione di

conoscenza ed abilità. È importate che le attività formative iniziali sviluppino

la sensibilità personale stimolando una profonda comprensione delle questioni

riguardanti la diversità e la possibilità di mettere in azione questa capacità di

comprensione.

Il passaggio da una visione politica del programma scolastico come soggetto

base dell’istruzione a corsi e didattiche interdisciplinari di insegnamento ed

apprendimento si riflette anche nei programmi dei corsi di formazione iniziale

e abilitazione all’insegnamento proposti che dovrebbero quindi basarsi su un

modello che inserisce le prassi inclusive in tutte le aree disciplinari e in tutte le

materie di studio.43

43Agenzia Europea per lo Sviluppo dell’Istruzione degli Alunni Disabili (2012) Profilo dei

docenti inclusivi, Odense, Danimarca. European Agency for Development in Special NeedsEducation

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53

2.5 La valutazione dell’inclusività

L’Inclusione è un processo che coinvolge tutta la comunità scolastica, che

ne condivide i principi e si attrezza per concretizzarli nella pratica didattica ed

educativa. La rilevazione, il monitoraggio e la valutazione del grado di

inclusività della scuola sono finalizzate ad accrescere la consapevolezza

dell’intera comunità educante sulla centralità e la trasversalità dei processi

inclusivi in relazione alla qualità dei risultati educativi. Da tali azioni si

potranno inoltre desumere indicatori realistici sui quali fondare piani di

miglioramento organizzativo e culturale. Il compito è demandato alla singola

istituzione scolastica, con modalità di lavoro che possono essere ricondotte alla

autoanalisi d’ istituto, cosi definibile: “un’attività valutativa volta ad acquisire

informazioni sulla natura dell’oggetto considerato e ad accertarne il valore e il

merito attraverso modalità rigorose e formalizzate da parte della scuola stessa,

dell’attuale funzionamento della scuola stessa, con lo scopo di promuovere un

cambiamento delle condizioni di apprendimento utile ad un più efficace

perseguimento degli obiettivi educativi della scuola stessa”. 44

L’ autoanalisi d’Istituto in questa accezione si differenzia da altre pratiche

simili, quali l’analisi organizzativa, l’autovalutazione e la riflessione interna

alla scuola in quanto:

il suo scopo è produrre un processo di cambiamento;

il suo oggetto è l’istituto scolastico come sottosistema organizzato

dotato di una autonomia sostanziale e inserito in un determinato contesto

ambientale;

la sua modalità di lavoro è una valutazione interna fondata su un

accertamento sistematico della qualità dei processi e dei prodotti educativi

della scuola da parte degli stessi soggetti che operano in essa.

44www.ctsntd-milano.net

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54

I modelli a disposizione per valutare la Scuola sono molti, fra gli altri

troviamo l’Index per l’inclusione che la Circolare Ministeriale n.8/2013 indica

come uno degli strumenti utili ai fini della rilevazione, del monitoraggio e della

valutazione del grado di inclusività della scuola.

Esso è un valido strumento per l’ autovalutazione e l’automiglioramento,

rivolto alle istituzioni scolastiche che hanno come obiettivo la trasformazione

della loro cultura e delle loro pratiche per arrivare a essere delle Scuole

Inclusive.

L’attenzione viene posta:

su tutti gli alunni della scuola, non si limita agli alunni disabili o agli

alunni con bisogni educativi speciali, ma prende in carico l’insieme delle

differenze;

ai valori e alle condizioni dell’insegnamento e dell’apprendimento.

Secondo questo modello la vita della scuola viene analizzata secondo 3

dimensioni: culturale, politica, pratica.

La culturale si riferisce all’orizzonte dei valori, delle convinzioni, delle

abitudini: mutare le culture in senso inclusivo è il presupposto per il

cambiamento virtuoso l’obiettivo è costruire comunità e affermare valori

inclusivi; la politica riguarda la gestione della scuola e del suo cambiamento

l’obiettivo è sviluppare la scuola per tutti e organizzare il sostegno alla

diversità; la pratica concerne le attività di insegnamento e apprendimento, lo

sviluppo e la valorizzazione delle risorse l’obiettivo è coordinare

l’apprendimento e mobilitare le risorse.

Ogni dimensione contiene due sezioni; a sua volta ogni sezione è declinata

in diversi indicatori (44 in totale) che rappresentano il livello direttamente

osservabile e misurabile di un determinato aspetto sulla base di dati e situazioni

precise.

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55

Ad ogni indicatore corrispondono una serie di domande che esplorano nel

dettaglio la realtà della scuola. L’analisi della scuola viene effettuata tramite

questionari con domande chiuse e aperte. I questionari, che possono essere

modificati per adattarsi al contesto e sono basati sugli indicatori, sono rivolti al

personale scolastico, alle famiglie, agli alunni.

L’autoanalisi dà alla scuola oggetti di miglioramento chiaramente definiti,

su cui basare il PAI per l’anno successivo.

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CAPITOLO III

BES E DIDATTICA

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57

3.1 La Scuola dell’educazione inclusiva

La diversità in tutte le sue forme deve essere considerata una risorsa e una

ricchezza, piuttosto che un limite, e nell’ottica dell’inclusione si deve lavorare

per rispettare le diversità individuali.

Finalità della scuola è lo sviluppo armonico e integrale della persona,

all’interno dei principi della Costituzione italiana e della tradizione culturale

europea, nella promozione della conoscenza e nel rispetto e nella

valorizzazione delle diversità individuali, con il coinvolgimento attivo degli

studenti e delle famiglie.

Tale compito diventa sempre più difficile a causa di una sempre maggiore

complessità della società odierna che inevitabilmente si riflette anche sul

mondo scolastico. Proprio per questa complessità , in ogni classe è possibile

trovare alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per una

varietà di situazioni.

Il docente si troverà davanti ad una multiforme e sfaccettata galassia di

difficoltà, le più varie, le più diverse, legate ognuna a una singola storia di un

singolo alunno e della sua ecologia di vita. Sfaccettature che riuscirà a leggere

grazie anche a una sempre maggiore capacità osservativa e interpretativa .

Gli insegnanti si rendono conto sempre più che le classi sono abitate, di

norma, da alunni che percepiscono essere sempre più diversi. Ne vedono la

diversità nei processi di apprendimento, negli stili di pensiero, nelle dinamiche

di relazione e di attaccamento, nei vissuti familiari, sociali, culturali.

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In tale contesto l’educare dovrà basarsi sull’adozione di un modello di

curricolo che faciliti l’apprendimento di tutti gli alunni nelle loro diversità e

l’inclusione dovrà rappresentare un processo in cui gli alunni, a prescindere da

abilità, genere , linguaggio, origine etnica o culturale, possano essere

ugualmente valorizzati e forniti di uguali opportunità.

Una scuola inclusiva deve tendere a rimuovere gli ostacoli che

impediscono la piena partecipazione alla vita sociale, didattica, educativa

promuovendo il diritto ad ognuno di essere considerato uguale agli altri e

diverso insieme agli altri.

L’inclusione non deve basarsi sulla misurazione della distanza da un preteso

standard di adeguatezza ma sul riconoscimento del valore della piena

partecipazione alla vita scolastica da parte di tutti i soggetti che possono essere

valorizzati con rispetto e forniti di uguali opportunità .

Infatti nella Scuola inclusiva si deve lavorare riconoscendo la diversità, cioè

la dissomiglianza e il discostamento da ciò che è socialmente condiviso ed

accettato, da una presunta normalità, prendendosi cura delle differenze che

possono essere considerate come originalità e singolarità.. Una scuola inclusiva

è quindi una scuola che valorizza le differenze rispondendo ai singoli bisogni

formativi, dove anche gli alunni con difficoltà di apprendimento e adattamento

hanno diritto di sviluppare le proprie potenzialità conoscitive secondo personali

ritmi di crescita e attraverso la pianificazione di interventi mirati alla

socializzazione e all’apprendimento.45

45Ianes D., Celi F., Cramerotti A., Il piano educativo individualizzato Erickson 2003

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Tale concetto viene spesso ripreso da Canevaro secondo il quale uno dei

punti forti del modello scolastico italiano è dato dalla possibilità di spostare

l’attenzione dall’insegnamento all’apprendimento, “cogliendo in tal modo la

pluralità dei soggetti più che l’unicità degli insegnanti , perché

l’apprendimento è di ciascuno dei soggetti che apprendono e ciascuno ha il

proprio stile di apprendimento”.46

Alla luce di quanto detto nel primo capitolo in riferimento all’interazione tra

ogni individuo e il suo ambiente , è evidente poi che, in ogni scuola inclusiva,

ogni intervento educativo debba considerare tutti i fattori ambientali e genetici

che interagiscono tra di loro e che sono responsabili di quel processo di

sviluppo che Piaget definisce il “viaggio dallo stato di individuo allo stato di

persona”.47

La scuola inclusiva, inoltre, deve possedere un modello di organizzazione

dei servizi che la faccia diventare luogo di valorizzazione delle differenze ed

avere competenze adeguate a saperle trasformare in risorse. Non è sufficiente

infatti solo saper individuare i bisogni ma bisogna saper immaginare come

trasformare le differenze in risorse.

Importante documento a livello internazionale per comprendere ciò che può

essere la scuola inclusiva è rappresentato dalle Linee Guida per le Politiche di

Integrazione dell’Istruzione dell’Unesco risalente all’anno 2009 dove viene

suggerito che “ la scuola inclusiva è un processo di fortificazione delle

capacità del sistema di istruzione di raggiungere tutti gli studenti. Un sistema

scolastico <incluso> può essere creato solo se le scuole comuni diventano più

inclusive, in altre parole diventano migliori nell’educazione di tutti gli alunni

nella loro comunità”.(…)

46 Canevaro A., Aspetti pedagogici e sociologici del modello italiano, 2007

47 Carlini A., Disabilità e bisogni educativi speciali nella scuola dell’autonomia TecnodidEditrice 2012

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Promuovere l’inclusione significa stimolare il dibattito, incoraggiare

atteggiamenti positivi ed adottare strutture scolastiche e sociali che possano

affrontare le nuove richieste che oggi si presentano”48

L’inclusione si basa non sulla misurazione della distanza da un preteso

standard di adeguatezza ma sul riconoscimento del valore della piena

partecipazione alla vita scolastica da parte di tutti i soggetti.

Se l’integrazione tende infatti ad identificare uno stato, una condizione,

l’inclusione rappresenta così come indicato anche nelle Linee Guida un

processo, una filosofia dell’accettazione.49

Per capire meglio la differenza tra integrazione ed inclusione si può

ricorrere a quanto esposto da Fabio Dovigo nell’introduzione dell’Index per

l’inclusione in cui così si esprime. “ il paradigma a cui fa implicitamente

riferimento l’idea di integrazione è quello <assimilazionista>, fondato

sull’adattamento ad un’organizzazione scolastica che è strutturata in funzione

degli alunni <normali>. All’interno di tale paradigma, l’integrazione diviene

un processo basato principalmente su strategie per portare l’alunno disabile a

essere quanto più possibile simile agli altri. La qualità di vita scolastica del

soggetto disabile viene dunque valutata in base alla sua capacità di colmar il

varco che lo separa dagli alunni normali. Ora non solo è improbabile che

questo varco possa essere effettivamente colmato(con il carico di

frustrazione che da ciò inevitabilmente deriva), ma soprattutto è l’idea stessa

che compito del disabile sia diventare il più possibile simile a una persona

normale a creare il presupposto dell’esclusione. Porre la normalità

(qualunque cosa essa sia) come modello di riferimento significa, infatti, negare

le differenze in nome di in ideale di uniformità e omogeneità.(…).

Viceversa l’idea di inclusione si basa non sulla misurazione della distanza

da un preteso standard di adeguatezza, ma sul riconoscimento della rilevanza

della piena partecipazione alla vita scolastica da parte di tutti i soggetti. Se

48AA.VV. Principi guida per promuovere la qualità nella Scuola inclusiva 2009

49Dovigo F., fare differenze. Indicatori per l’inclusione scolastica degli alunni con bisogni

educativi speciali, Erickson, Trento 2007

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l’integrazione l’integrazione tende a identificare uno stato, una condizione,

l’inclusione rappresenta piuttosto un processo, una filosofia dell’accettazione,

ossia la capacità di fornire una cornice dentro cui gli alunni- a prescindere

da abilità, genere, linguaggio, origine etnica o culturale- possono essere

ugualmente valorizzati, trattati con rispetto e forniti di uguali opportunità a

scuola, (…) .

Inclusione è ciò che avviene quando ognuno sente di essere apprezzato e

che la sua partecipazione è gradita.”50

Il nodo fondante è quello di una didattica davvero inclusiva, centrata sui

bisogni e sulle risorse personali, che riesca a rendere ciascun alunno

protagonista dell’apprendimento qualunque siano le sue capacità, le sue

potenzialità e i suoli limiti. Va favorita pertanto la costruzione attiva della

conoscenza, attivando le personali strategie di approccio al “sapere” ,

rispettando i ritmi e gli stili di apprendimento e assecondando i meccanismi di

autoregolazione.

Ponendo la persona al centro - quale portatrice di diritti – l’educazione

inclusiva comporta dunque dei benefici a tutti gli studenti, con o senza

disabilità o bisogni speciali, li prepara a vivere e a lavorare in una società

pluralistica promuovendo una maggiore coesione sociale.

Investire nell’inclusione significa contribuire a garantire un futuro da

cittadini attivi e responsabili a tutti i ragazzi, soprattutto quelli più vulnerabili

perché la possibilità di fruire di una buona educazione è una condizione

indispensabile per una piena inclusione sociale ed economica, soprattutto dei

più svantaggiati.

L’inclusione può essere compresa non solamente come uno strumento per

porre fine alle discriminazioni, ma piuttosto come un impegno verso la

creazione di scuole che rispettino e valorizzino la diversità e che mirino alla

50Booth T., Ainscow M., L’index per l’inclusione Erickson Trento 2008

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promozione della democrazia e di un set di valori fondati sull’uguaglianza e

sulla giustizia sociale affinché tutti partecipino al proprio apprendimento.

Un approccio inclusivo promuove un equo accesso alle opportunità

d’istruzione e favorisce la qualità dell’insegnamento, a beneficio di tutti i

ragazzi, non solo dei più svantaggiati.

In questo modo il sistema d’istruzione può assicurarsi che nessuno sia

lasciato indietro e che tutti realizzino il loro diritto all’istruzione raggiungendo

il loro massimo potenziale in termini di capacità cognitive, emozionali e

creative. Un approccio inclusivo promuovere l’apprendimento attivo e

cooperativo, la pianificazione didattica individualizzata e l’uso di materiali

appropriati.

Tutto ciò comporta una ristrutturazione della scuola sotto molti aspetti.

La scuola inclusiva deve prevedere un’organizzazione flessibile, una

differenziazione della didattica, un ampliamento dell’offerta formativa nonché

un innalzamento della qualità di quest’ultima, creando reti tra scuole oltre che

una rete di collaborazione e corresponsabilità tra scuola, famiglia e territorio.

Il ruolo della famiglia è fondamentale nel supportare il lavoro degli

insegnanti e nel partecipare alle decisioni che riguardano l’organizzazione delle

attività educative e rappresenta un punto di riferimento essenziale per una

corretta inclusione scolastica dell’alunno sia perché fonte d’informazioni

preziose sia perché luogo in cui avviene la continuità tra educazione genitoriale

e scolastica.

Possiamo , sinteticamente racchiudere l’analisi del processo inclusivo,

utilizzando le parole di De Vecchi che individua cinque principi chiave relativi

all’inclusione. 51

Accettare la diversità: la diversità è una caratteristica essenziale della

condizione umana

51www.istruzione.lombardia.gov.it

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Assicurare la propria partecipazione attiva: l’inclusione non vuol dire

assicurare un posto in classe. Essere inclusivi richiede uno sforzo continuo che

assicuri una partecipazione attiva dell’alunno nell’ambito pedagogico e sociale

Sviluppare pratiche di collaborazione: l’inclusione è un processo

continuo che richiede il supporto di tutti gli interessati

Immaginare una scuola diversa: una scuola inclusiva è una scuola

diversa che impara da se stessa e promuove il cambiamento e lo sviluppo.

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3.2 Individuazione degli alunni con BES

In merito alle aree di disabilità e dei disturbi evolutivi la scuola può trovarsi

in una situazione in cui tali patologie o disturbi siano già stati diagnosticati e

certificati da parte di professionisti dell’ambito clinico-riabilitativo, oppure

nella condizione in cui è l’osservazione sistematica dei comportamenti e delle

prestazioni scolastiche dello studente che fa sospettare l’esistenza di limitazioni

funzionali nello studente a causa di probabili patologie o disturbi.

L’osservazione è lo strumento primario, a disposizione dei docenti, per

condurre un’azione riflessiva continua, fondante e funzionale che porti

all’acquisizione di una conoscenza globale dell’alunno.

Vari sono gli aspetti che possono essere esaminati .

Essi possono spaziare dagli interessi che l’alunno manifesta, agli eventuali

comportamenti problematici che evidenzia, dalle eventuali barriere alle risorse

a sua disposizione.

Nell’ambito dell’apprendimento e delle applicazione delle conoscenze può

essere esaminata la capacità di attenzione, di memorizzazione, di

concentrazione, la capacità espressiva in forma sia scritta che orale, la capacità

di lavorare in modo autonomo, la capacità di controllare il proprio

comportamento.

Nell’ambito della comunicazione può essere esaminata la capacità di

manifestare il proprio vissuto, i propri stati d’animo, le emozioni, le idee, la

capacità di relazionarsi.

Più delicata è la situazione dei BES dell’area dello svantaggio

socioeconomico, linguistico, culturale in cui è l’ osservazione sistemica dei

comportamenti e delle prestazioni scolastiche dello studente che fa sospettare

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con fondatezza il prevalere dei vissuti personali dei ragazzi o dei fattori

dell’ambiente di vita quali elementi ostativi dell’apprendimento.

L’individuazione degli alunni in situazione di BES e la scelta di un

intervento didattico specifico, non può quindi avvenire se non dopo una

rilevazione dell’esistenza di difficoltà nelle attività scolastiche, a cui segue

un’osservazione sistematica per raccogliere dati oggettivi, vagliata attraverso

un confronto tra adulti ed integrata con una valutazione degli elementi

contestuali che possono essere concausa delle difficoltà, ovvero mitigarle o

accentuarle.

Utile per un’osservazione oggettiva può essere la predisposizione di tabelle

per rendere quanto più l’osservazione oggettiva e sistematica. Quella sotto

riportata può essere un esempio.

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Impegno costante

alterno

superficiale

incostante

Partecipazione e interesse vivo

discreto

limitato ad alcune attività

saltuario

passivo

Autonomia efficace in attività adeguate

efficace in attività semplici

richiede mediazioni

va guidato costantemente

Comportamento rispettoso e corretto

vivace ma corretto

irrequieto

oppositivo

non corretto, a volte

aggressivo

Relazione con pari serena/aperta

riservata

conflittuale/oppositiva

limitata/elitaria

isolato

Relazione con adulti rispettosa

timida

conflittuale/oppositiva

Comprensione Ha difficoltà in:

conoscenza lessicale

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comprensione semantica

comprensione d’ascolto

Attenzione prolungata

media

alterna

tempi ridotti/molto brevi

Memoria Ha difficoltà in:

memoria di lavoro

memoria a breve termine

memoria a lungo termine

memoria verbale

memoria uditiva

memoria visuo-spaziale

memoria cinestesica

Modi dell’apprendimento Ha difficoltà in:

formulazione di ipotesi

procedere per anticipazioni e

inferenze

operare con il conflitto

cognitivo

realizzare il monitoraggio e

l’autovalutazione del proprio

operare

portare a termine il lavoro in

tempi adeguati

Principali strumenti di valutazione funzionale nelle aree emotivo/affettiva e

intellettiva per diverse tipologie di BES sono quelle di seguito riportati.52

52Isidori M.V. Bisogni Educativi Speciali FrancoAngeli Editore 2016

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Per la valutazione emotivo-affettiva possono essere usati:

il test ACESS che nasce quale risultato di una ricerca sulle variabili che

possono influenzare o essere influenzate da successo scolastico. È uno

strumento multidimensionale, poiché valuta diverse dimensioni quali il livello

di adattamento al contesto scolastico, di controllo dell’emotività, di identità

corporea, di adattamento sociale e delle relazioni familiari.

il test TMA che propone quale ambito di attenzione valutativo la

dimensione dell’autostima, declinata in 6 aree di interesse: relazioni

interpersonali, competenza di controllo sull’ambiente, emotività, successo

scolastico, vita familiare e vissuto corporeo.

Lo Youth Self Report che è un questionario di autovalutazione

multiassiale, che valuta le competenze sociali e i problemi emotivo-

comportamentali di bambini e adolescenti di età compresa tra gli 11 e i 18 anni.

Per la valutazione delle abilità intellettive possono essere usati:

Le Matrici di Raven che vengono considerate elettive per la

misurazione dell’intelligenza fluida. Vi sono differenti tipi di matrici, da

utilizzare per diversi tipi di soggetti in relazione all’età dei soggetti

Le Matrici Progressive Colorate, utilizzate per bambini da 4 a 11 anni,

adulti di basso livello intellettivo o anziani c costituite da tre serie di tavole (A,

Ab, B)

Le Matrici Progressive Standard, utilizzate per soggetti dai 12 agli 80

anni e costituite da cinque serie di tavole (A,B,C,D,E)

Le Matrici Progressive Avanzate, rivolte ad adolescentie adulti con

abilità di tipo superiore.

Le Scale Wechsler che vanno ad analizzare le componenti cognitive in

maniera più analitica anche al fine di individuare possibili aree carenti; rispetto

a tale necessità e alla necessità di individuare prove affidabili si utilizzano, in

relazione all’età dei soggetti, la

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WPPSI (Wechsler Preschool and Primary Scale of Intelligence) giunta

alla terza revisione

WISC (Wechsler Adult Intelligence Scale), giunta alla quarta revisione

Identificare un alunno come BES significa riconoscere per lui la necessità e

la convenienza non solo di un percorso didattico diverso da quello dei

compagni ma anche di una sua ufficializzazione, come assunzione formale di

impegni e responsabilità da parte della scuola e, se possibile, anche della

famiglia.

Una valutazione di convenienza deve considerare gli aspetti positivi e

negativi dell’intervento e prevedere, con ragionevole certezza, che i vantaggi

saranno prevalenti.

Scelte di questo tipo, infatti, non hanno solo aspetti positivi.

Differenziare formalmente il percorso didattico di un alunno rispetto a

quello dei compagni può comportare , a parte le complicazioni organizzative,

ricadute anche gravi nel campo dell’autostima, dell’accettazione, del rapporto

con i compagni, delle tensioni familiari e altro.

Sono rischi che vanno previsti, valutati, analizzati (prevedendo e attuando

eventuali correzioni) e confrontati con i benefici previsti o attesi.

Questa valutazione è fortemente condizionata dal contesto e quindi uno

stesso alunno può essere considerato BES in una realtà scolastica e non in

un’altra.

È una situazione ovviamente inconcepibile per la disabilità e i DSA : un

alunno dislessico, ad esempio, rimane tale anche se cambia classe, mentre per i

BES potrà accadere che un alunno potrà avere necessità di una

personalizzazione formalizzata in una scuola mentre in un’altra potrà non

essercene bisogno.

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3.3 PEI e PDP

Poichè non è possibile elaborare percorsi specifici per alunni che non si

conoscono bene, il Piano didattico personalizzato non può essere elaborato il

primo giorno di scuola .

Nel caso di disturbo specifico di apprendimento, con diagnosi specialistica,

con documentazione rilasciata da una struttura pubblica, si ha diritto ai benefici

previsti dalla legge 170 in termini di strumenti compensativi e misure

dispensative, e pertanto deve essere predisposto , entro il mese di novembre

dell’anno scolastico di riferimento, un piano didattico personalizzato.

Nel caso di alunni con bisogni educativi speciali tali bisogni vengono

riconosciuti dai docenti e sarà il consiglio di classe o il team docente ad

elaborare il PDP.

È ragionevole pensare che è necessario un tempo di osservazione che è

diverso a seconda della situazione.

Infatti mentre è chiaro che un alunno straniero appena giunto in Italia avrà

subito bisogno di un piano didattico personalizzato, sarà necessario un tempo

più lungo di osservazione nei casi di deprivazione socio culturale o di

generiche e persistenti difficoltà scolastiche.

Successivamente all’acquisizione della documentazione clinica o del

periodo di osservazione sarà necessario coordinare le conoscenze e gli

interventi di dirigente scolastico, famiglia, referente BES, team docente o

consiglio di classe. Solo allora il PDP sarà significativo e potrà essere

consegnato alla famiglia.

In esso si troveranno indicati dati anagrafici, tipologia del disturbo o di

difficoltà, attività di individualizzazione e personalizzazione di carattere

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didattico-educativo, strumenti compensativi, misure dispensative, verifica e

valutazione, patto con la famiglia.

Il PDP deve spiegare i punti di forza e le caratteristiche dell’allievo, è un

patto con le famiglie e pertanto deve essere condiviso, è l’opportunità per usare

nuove metodologie didattiche, che si rilevano benefiche anche per gli altri

studenti, non deve genericamente elencare ciò che l’allievo non sa fare, non è

fisso e immutabile ma evolve con l’evolversi e il mutare delle condizioni dello

studente.

Nel caso di uno studente delle superiori con DSA o con BES , pienamente

consapevole delle proprie caratteristiche di apprendimento, consapevole dei

propri punti di forza e dei propri punti di caduta sarà utilissimo che il referente

DSA o BES oppure il coordinatore di classe o anche un docente con cui il

ragazzo o la ragazza si sentono a proprio agio , possa avviare una riflessione su

cosa sia meglio fare o non fare di fronte allo studio delle varie discipline, ciò

metterà in moto nello studente una vera dimensione metacognitiva del proprio

stile di apprendimento e sarà lo stesso studente a comunicare quali strumenti

compensativi e quali misure dispensative senta consone o ancora quali

modalità organizzative del lavoro scolastico gli consenta, ad esempio, di

contenere l’ansia, o gli permetta una maggiore autonomia di studio.

In altre parole se lo studente DSA o BES sarà coinvolto in prima persona

nella redazione del proprio PDP questa consapevolezza e questa

responsabilizzazione si tradurrà in un trampolino di lancio per un reale

benessere nella vita scolastica.53

Se per gli alunni con disabilità viene redatto un piano educativo

individualizzato, per gli altri alunni con bisogni educativi speciali viene invece

53Gabrielli R. Anno nuovo documentazione nuova tratto da BES e DSA in classe , rivista

pratica per l’inclusione scolastica, n. 3 , settembre 2014

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redatto un piano didattico personalizzato con caratteristiche nettamente

contrapposte.

Alla base del Piano educativo individualizzato troviamo infatti la diagnosi

funzionale che è la descrizione analitica della compromissione funzionale dello

stato psicofisico dell’alunno , essa deve contenere l’anamnesi familiare, gli

aspetti clinici e gli aspetti psicosociali ed è redatta dalle ASL.

La diagnosi funzionale oltre alla compromissione psicofisica deve registrare

anche le effettive potenzialità dell’alunno in ordine agli aspetti : cognitivo (

livello di sviluppo raggiunto), affettivo-relazionale ( autostima e rapporto con

gli altri), linguistico ( capacità di comprensione, produzione e linguaggi

alternativi), sensoriale ( tipo e grado di deficit sensoriale), motorio-prassico (

motricità globale e motricità fine), neuropsicologico (memoria, attenzione,

organizzazione spazio-temporale), autonomia ( personale e sociale).

Successivamente alla diagnosi funzionale viene redatto il Profilo Dinamico

Funzionale. Esso è un documento che raccoglie la sintesi conoscitiva, riferita al

singolo alunno, relativamente alle osservazioni compiute sullo stesso in

contesti diversi, da parte di tutti i differenti operatori che interagiscono con lui:

famiglia, scuola, servizi.

Ha lo scopo di integrare le diverse informazioni già acquisite ed indicare,

dopo il primo inserimento scolastico, "il prevedibile livello di sviluppo che

l’alunno potrà raggiungere nei tempi brevi (sei mesi) e nei tempi medi (due

anni)".54

Questo documento "indica le caratteristiche fisiche, psichiche, sociali ed

affettive dell'alunno e pone in rilievo sia le difficoltà di apprendimento

conseguenti alla situazione di handicap, con relative possibilità di recupero, sia

le capacità possedute che devono essere sostenute, sollecitate

54D.P.R. 24/02/94

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73

progressivamente, rafforzate e sviluppate nel rispetto delle scelte culturali della

persona handicappata". 55

Ha lo scopo di condividere le informazioni che delineano il funzionamento

della persona nei diversi contesti di vita al fine di individuare le possibili aree

di sviluppo e definire i relativi obiettivi su cui basare gli interventi riabilitativi,

educativi e didattici.

Esso viene redatto dalle Asl in collaborazione con il personale insegnante e i

familiari o gli esercenti la patria potestà e costituisce la premessa per la

redazione del Piano Educativo Individualizzato ( PEI) che è il documento

conclusivo e operativo nel quale vengono descritti gli interventi integrati ed

equilibrati tra loro, predisposti per l'alunno con disabilità, per un determinato

periodo di tempo, ai fini della realizzazione del diritto all'educazione e

all'istruzione, di cui ai primi quattro commi dell'art.12 della Legge 104/92.56

La strutturazione del P.E.I. è complessa e si configura come mappa

ragionata di tutti i progetti di intervento: didattico-educativi, riabilitativi, di

socializzazione, di integrazione tra scuola ed extra-scuola.

Esso è redatto da tutti coloro che, in modi, livelli e contesti diversi, operano

per "quel determinato soggetto in situazione di handicap” .

La stesura di tale documento diviene così il risultato di un'azione congiunta,

che acquisisce il carattere di progetto unitario e integrato di una pluralità di

interventi espressi da più persone concordi sia sull'obiettivo da raggiungere che

sulle procedure, sui tempi e sulle modalità sia degli interventi stessi che delle

verifiche.

Partendo dalla sintesi dei dati conosciuti e dalla previsione degli interventi

prospettati, specifica le azioni che i diversi operatori mettono in atto

relativamente alle potenzialità già rilevate nella Diagnosi Funzionale e nel

Profilo Dinamico Funzionale.

55D.L. 297/94

56D.P.R. 24/02/94

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74

A partire dal PEI , documento previsto dalla Legge 104 verrà poi

predisposta una programmazione curricolare differente da quella prevista dalla

classe.

Altre caratteristiche presenta invece il Piano Didattico Personalizzato (

PDP) predisposto per venire incontro alle esigenze “speciali” degli alunni in

difficoltà, sia quelli con disturbi specifici dell’apprendimento e con disturbi

evolutivi specifici, sia quelli in condizioni di svantaggio socio-culturale che per

periodi o temporanei o più o meno stabili vivono condizioni di disagio

all’interno della famiglia e della società( precarie condizioni economiche,

malattie di genitori o familiari stretti, lutti, adozioni) ma anche per quelli

scarsamente dotati e motivati a causa della povertà o della diversità culturale

del contesto familiare, alunni dal comportamento oppositivo con bassa

autostima, che Ianes definisce “ arrabbiati”,57 sia per quegli alunni stranieri il

cui potenziale di apprendimento è limitato alla scarsa conoscenza della lingua

italiana e da una ancora precaria integrazione.

Per tutti questi alunni la normativa prevede l’attivazione di un PDP in cui

siano esplicitate le motivazioni didattiche e pedagogiche che hanno indotto i

docenti a valutare l’alunno come BES , gli obiettivi previsti e soprattutto le

metodologie personalizzate attraverso cui produrre i risultati auspicati.

Per quanto riguarda gli alunni stranieri la circolare n.2563 del 22/11/2013

ha cambiato la precedente normativa precisando che gli alunni stranieri che

possono beneficiare di un PDP devono essere:

neo arrivati in Italia

di lingua non latina

di età superiore ai tredici anni

57Ianes D., Bisogni Educativi Speciali e inclusione Erickson 2005

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Per tutti gli altri alunni di diversa nazionalità e provenienza che non

rispondono al profilo sopra descritto la Circolare di riferimento è la 8/2013

che, relativamente all’integrazione degli alunni stranieri, prevede l’attivazione

di corsi e di interventi didattici finalizzati all’apprendimento della lingua

italiana.

Nella stessa Circolare viene anche indicato quando attivare, in presenza di

difficoltà di apprendimento, il PDP .

Per quelle lievi e transitorie non viene prevista l’attivazione di un PDP ma

forme di personalizzazione del curricolo di tipo informale.

Diverso è invece il caso di disturbi più complessi e stabili nel tempo e dei

DSA, per i quali sono necessari interventi più strutturati.

Il piano didattico personalizzato quindi è previsto per :

alunni con disturbi specifici di apprendimento e disturbi evolutivi

specifici con certificazione.

alunni per i quali lo specialista, chiamato ad accertare il disturbo, rilasci

una diagnosi clinica che, per bassi livelli di gravità, non ha dato luogo a

certificazione.

alunni con difficoltà, privi di certificazione e diagnosi, per cui è il

Consiglio di Classe a decidere di attivare un PDP, in riferimento a motivazione

didattiche e pedagogiche.

Mentre , come detto prima, a partire dal PEI viene predisposta una

programmazione curricolare differente da quella prevista dalla classe, il PDP

consente di diversificare le metodologie, i tempi e gli ausili didattici per

l’attuazione di una programmazione curricolare che rimane uguale a quella

prevista per la classe di appartenenza.

Il piano didattico personalizzato è lo strumento mediante il quale gli

insegnanti possono attivare un percorso personalizzato nella linea dell’equità e

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della piena inclusione. A tal proposito nella Circolare n.8/2013 si legge : “ In

questa nuova e più ampia ottica, il Piano Didattico Personalizzato non può più

essere inteso come mera esplicitazione di strumenti compensativi e dispensativi

per gli alunni con DSA; esso è bensì lo strumento in cui si potranno, ad

esempio, includere progettazione didattico-educative calibrate sui livelli

minimi attesi per le competenze in uscita ( di cui moltissimi alunni con BES,

privi di qualsivoglia certificazione diagnostica, abbisognano), strumenti

programmatici utili in maggior misura rispetto a compensazioni o dispense, a

carattere squisitamente didattico-strumentale.”“ Ove non sia presente

certificazione clinica o diagnosi, il Consiglio di Classe o il team dei docenti

motiveranno opportunamente, verbalizzandole, le decisioni assunte sulla base

di considerazioni pedagogiche e didattiche; ciò al fine di evitare contenzioso.”

Il PDP è la diretta e coerente conseguenza della normativa scolastica degli

ultimi decenni nella quale è stata posta sempre maggiore attenzione alla

realizzazione del successo nell’apprendimento e alle problematiche

dell’abbandono scolastico.

Il tipo di intervento da predisporre è fondamentale .

Quando identifica l’alunno come BES la scuola deve aver già chiaro il tipo

di intervento che intende attuare con quello specifico alunno, a supporto delle

sue difficoltà, perché solo in questo modo è possibile una consapevole

valutazione di convenienza.

Paradossalmente si può dire che gli alunni nei confronti dei quali ci si sente

impotenti perché non si sa cosa fare per loro, per quanto evidenti e gravi siano i

loro bisogni educativi, non possono essere considerati BES finchè non si sarà

in grado di dire come si intende effettivamente personalizzare il loro percorso

per poter valutare se esso sarà opportuno e conveniente.

Solo per il PDP dei DSA la normativa , nelle linee guida del 2011 , definisce

i contenuti del documento di programmazione.

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77

Quanto espresso per il PDP dei DSA può essere un riferimento importante,

da prendere in considerazione come spunto di riflessione anche per gli altri

BES, ma non è assolutamente proponibile una sua automatica estensione

essendo l’approccio per i DSA troppo orientato verso strategie

compensative/dispensative, difficilmente applicabili in altri contesti senza

sostanziali correttivi.

Sia che sia riferito ai DSA che agli alunni con BES , il primo obiettivo del

PDP è proprio quello di individuare un sistema efficace per portare l’alunno a

superare i propri limiti ed arrivare veramente ad imparare attraverso una

didattica che tenga conto delle sue specificità, valorizzando le potenzialità.

Spesso purtroppo questo piano è concepito dalle scuole come una lista di

strumenti compensativi e misure dispensative, eventualmente con la

definizione di qualche criterio di valutazione, mentre del tutto secondaria

appare la sezione in cui viene esplicitato come la scuola intende adattare le sue

modalità di insegnamento per far conseguire all’alunno, nonostante le

difficoltà, un autentico successo formativo.

Per tutti , ma tanto più per i BES, non i DSA, occorre ribaltare le posizioni

e ribadire che esiste una gerarchia funzionale, che va rispettata:

prima di tutto vengono gli interventi di tipo abilitativo, ossia didattico-

educativo, finalizzati a dare abilità e competenze.

quando l’intervento abilitativo non è efficace si può ricorrere, se esiste,

ad un intervento di tipo compensativo, individuando un sistema alternativo per

raggiungere, almeno in modo parziale o in alcune limitate circostanze, risultati

funzionalmente equivalenti.

Uscendo dall’ambito ristretto dei DSA e parlando in generale di BES, le

situazioni in cui non esistono vere strategie compensative rappresentano la

regola , non più l’eccezione. Non ha senso inserire forzatamente in tutti i PDP

degli alunni con BES una sezione dedicata agli strumenti compensativi, come

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per i DSA, ma essa dovrà derivare da un aspecifica scelta da considerare e

valutare in base al tipo di bisogno segnalato.

Per quanto riguarda le misure dispensative per alcuni di loro alcune forme di

dispensa possono essere necessarie per evitare inutili e rischiose situazioni di

forte disagio, tali da compromettere l’intero successo formativo, ma non

possono essere considerate, così come gli strumenti compensativi, elemento

indispensabile di un PDP, così come è previsto per i DSA.

In ogni caso è bene ricordare che per tutti, DSA e altri BES, le misure

dispensative:

rappresentano una semplice presa d’atto della situazione, ma non

modificano le competenze.

riguardano prestazioni, non obiettivi didattici(si può dispensare da

svolgere delle attività, non da imparare qualcosa).

hanno lo scopo di evitare che il disturbo o la difficoltà possa comportare

un generale insuccesso scolastico con ricadute personali anche gravi.

dipendono dagli altri e non danno autonomia.

quando sono riferite ad attività importanti per lo studio, vanno sempre

accompagnate da sistemi alternativi per svolgere in modo diverso e,

possibilmente in autonomia, le medesime prestazioni richieste ai compagni.

Molto più efficace della dispensa risulta per i BES una strategia di

facilitazione.

Facilitare non significa fare uno sconto, esonerare da un’attività considerata

troppo difficile, ridurre gli obiettivi, accontentarsi di meno. Facilitare significa

fornire degli aiuti che portano a raggiungere , pur con strategie diverse e se

necessario in tempi diversi, gli obiettivi propri dell’età.

L’aiuto veramente finalizzato all’autonomia non deve essere mai eccessivo,

non deve essere deresponsabilizzante, deve essere programmato verso

l’estinzione, deve essere inserito quindi in un percorso che, a passi lenti ma

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regolari, porti ad un metodo di studio autonomo eliminando progressivamente

le varie forme di aiuto diretto.

Nel PDP le facilitazioni saranno inserite e descritte tra le strategie didattiche

perché non ha senso proporre un’altra categoria, come gli strumenti

compensativi o le misure dispensative.

C’è il rischio che le nuove attenzioni verso gli alunni in difficoltà siano

considerate dalle scuole come una serie di adempimenti burocratici in più,

onerosi, se non vessatori.

La riscoperta attenzione verso gli alunni con bisogni educativi speciali va

vissuta realmente, non solo a parole, come un’opportunità per le scuole, ossia

come la “possibilità” non l’obbligo, di fare quello che serve e si ritiene davvero

utile, comprese alcune cose che prima sembravano impossibili, o quantomeno

di dubbia legittimità, come formalizzare un percorso diverso anche per chi non

ha portato a scuola documenti o certificati particolari diagnosi mediche, e la

centralità della scuola in questo campo deve essere fuori discussione. 58

58Fogarolo F. , Rivista dell’Istruzione , Maggioli , gennaio/aprile 2014 BES ovvero la rivincita

della pedagogia

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3.4 Le misure dispensative e gli strumenti compensativi

Come accennato nel precedente paragrafo nel PDP possono essere, anche se

non necessariamente, presenti appositi provvedimenti dispensativi e

compensativi di flessibilità didattica di cui gli alunni con BES hanno diritto a

fruire nel corso dei cicli di istruzione e formazione e negli studi universitari.

Ad essi le istituzioni scolastiche devono garantire:

l’uso di una didattica individualizzata e personalizzata, con forme

efficaci e flessibili di lavoro scolastico che tengano conto anche di

caratteristiche peculiari dei soggetti adottando una metodologia e una strategia

educativa adeguate.

l’introduzione di strumenti compensativi, compresi i mezzi di

apprendimento alternativi e le tecnologie informatiche, nonché misure

dispensative da alcune prestazioni non essenziali ai fini della qualità dei

concetti da apprendere.

per l’insegnamento delle lingue straniere, l’uso di strumenti

compensativi che favoriscano la comunicazione verbale e che assicurino ritmi

graduali di apprendimento, prevedendo anche, ove risulti utile, la possibilità

dell’esonero.

Le suddette misure devono essere sottoposte periodicamente a monitoraggio

per valutarne l’efficacia e il raggiungimento degli obiettivi.59

59Terzi L., l’approccio delle capacità applicato alla disabilità: verso la giustizia nel campo

dell’istruzione. In AA.VV., ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità

Erickson 2009

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Le misure dispensative esimono l’alunno dall’effettuazione di alcune

prestazioni, soprattutto a carattere strumentale. Il presupposto da cui si parte

per esonerare l’alunno è che l’effettuazione di tali prove non abbia il carattere

del miglioramento dell’apprendimento, ma anzi abbia come possibile e diretta

conseguenza l’affaticamento, la stancabilità e un impatto negativo anche sul

vissuto emotivo dell’alunno.

Esse possono essere a seconda della disciplina e del caso:

la lettura ad alta voce.

la scrittura sotto dettatura.

prendere appunti.

copiare dalla lavagna.

il rispetto della tempistica per la consegna dei compiti scritti.

la quantità eccessiva dei compiti a casa.

l’effettuazione di più prove valutative in tempi ravvicinati.

lo studio mnemonico di formule, tabelle, definizioni.

la sostituzione della scrittura con linguaggio verbale e/o iconografico.

Per quanto riguarda gli strumenti compensativi l’alunno può usufruire di

strumenti compensativi che gli consentono di compensare le carenze

funzionali.

Tra i principali strumenti vengono riportati i seguenti:

la tabelle delle misure e delle funzioni geometriche.

il computer con programma di videoscrittura, correttore ortografico,

stampante e scanner.

la calcolatrice o computer con foglio di calcolo e stampante.

il registratore e le risorse audio(sintesi vocale, audiolibri, libri digitali).

software didattici specifici.

computer con sintesi vocale.

vocabolario multimediale.

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Al di là dell’obbligatorietà o meno delle misure compensative e dispensative

è importante che , qualora si decida di adottarle, gli insegnanti condividano con

i compagni di classe le ragioni dell’applicazione di questi strumenti.

L’alunno con BES non deve sentirsi discriminato o inferiore agli altri e i

compagni non devono viverlo come un ingiusto favoritismo.

Da tener presente comunque che il primo strumento compensativo è un

efficace metodo di strudio. Un efficace metodo di studio deve prevedere: 60

1) strategie organizzative : gestire il tempo, gestire gli spazi, l’ascolto, gli

appunti;

2) strategie per comprendere : lettura sia globale che analitica,

comprensione ( survey, question, read, recall, review);

3) questionari autoosservativi;

4) strategie per memorizzare : rime e ritmi, elaborazioni semantiche,

immagini, parole chiave, associazioni;

5) organizzatori grafici : mappe concettuali, mappe mentali, schemi e

tabelle, diagrammi e linee del tempo;

60Capuano A., Storace F., Ventriglia L., BES e DSA . La scuola di qualità per tutti.

Librieliberi

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83

3.5 Strategie didattiche inclusive

Le metodologie e le strategie educative devono essere volte a:

ridurre al minimo i modi tradizionali di fare scuola ( lezione frontale,

completamento di schede che richiedano ripetizione di nozioni o applicazioni

di regole memorizzate, successione di spiegazione-studio interrogazioni);

sfruttare i punti di forza di ciascun alunno, adottando i compiti agli stili

di apprendimento degli studenti e dando varietà e opzioni nei materiali e nelle

strategie d’insegnamento;

utilizzare mediatori didattici diversificati ( mappe, schemi, immagini);

collegare l’apprendimento alle esperienze e alle conoscenze pregresse

degli studenti;

sollecitare la rappresentazione di idee sotto forma di mappe da

utilizzare come facilitatori procedurali nella produzione di un compito;

far leva sulla motivazione ad apprendere ;

favorire l’utilizzazione immediata e sistematica delle conoscenze e

abilità, mediante attività di tipo laboratoriale;

favorire attività di gruppo.

Per quanto riguarda la didattica laboratoriale essa si propone come didattica

attiva ed è caratterizzata da tre fasi : comprensione, elaborazione,

metabolizzazione dell’esperienza vissuta . L’obiettivo è quello di coniugare

funzionalmente tra loro la cognizione, intesa come acquisizione di conoscenze,

l’affettività ( riflessione critica su tali conoscenze rispetto a se stessi) e le

abilità ( dimensione operativa e messa in pratica consapevole di quanto

acquisito).

Tale didattica risulta maggiormente efficace se affiancata da tecniche di

tipo simulativo .

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Per quanto riguarda i metodi di gruppo essi possono essere elettivi per la

risoluzione di un problema , per scoprire il funzionamento di un processo, per

interpretare un brano di lettura, per osservare e capire il comportamento dei

sistemi viventi, per drammatizzare i fatti storici, per l’apprendimento diretto di

una competenza.

Importante è la formazione dei gruppi.

Per quanto riguarda i metodi di formazione dei gruppi i più noti sono:

procedura randomizzata

Si tratta del metodo più semplice che comporta il dividere il numero degli

studenti nella classe per l’entità del gruppo desiderata [ es 30 studenti/3 = 3

gruppi da 10 e assegnare loro un numero ( ad esempio da 1 a 10) infine è

necessario raggruppare gli studenti con lo stesso numero ( ad esempio tutti i

numeri cinque);

personaggi letterari o storici

Ad ogni studente viene dato un cartellino con i nomi dei personaggi letterari

o storici. I personaggi vengono raggruppati in base all’epoca in cui sono vissuti

o in base all’opera teatrale;

procedura randomizzata per livelli

Si identificano una o due caratteristiche degli studenti e si assicura che uno

o più studenti di ogni gruppo abbia le stesse caratteristiche;

preferenze

Si fa scrivere a ogni soggetto lo sport preferito, oppure il cibo, la musica, gli

animali e poi si chiede ai ragazzi di cercare compagni che abbiano le stesse

predilezioni.

All’interno del gruppo si dovranno riscontrare vari ruoli: il leader ( guida il

gruppo, controlla l’ordine degli interventi, la rumorosità del gruppo ), il

reporter ( espone agli altri il lavoro del gruppo cui appartiene) ,il verbalizzatore

( prende appunti, raccoglie dati importanti per aiutare il reporter nella

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85

presentazione del lavoro) ,il timer ( controlla i tempi di lavoro, stimola il

gruppo a restare nei tempi stabiliti).

In tutti i casi è comunque necessario assegnare funzioni semplici, operare

una rotazione dei ruoli.61

Tra le strategie didattiche più appropriate per il potenziamento degli

apprendimenti negli alunni con BES e non solo, troviamo metodologia

metacognitiva, Peer Education , tecnologie didattiche e flipped classroom.

Qualunque sia la strategia didattica che si mette in atto , essa dovrà essere

finalizzata a determinare il successo scolastico dell’alunno con BES,

inserendolo nel circolo vizioso del successo e distogliendolo dal circolo vizioso

dell’insuccesso. 62

61Isidori M.V., I disturbi specifici dell’apprendimento a scuola -la formazione degli

insegnanti- , Anicia 201462

www.comprensivodesulo.org.it Berretti S. Psicopatologia dello sviluppo a scuola

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Il circolo vizioso dell’insuccesso

Ripetuti fallimenti

frustrazione

demotivazione

evitamento compito

bassa autostima

il circolo virtuoso del successo

esperienze soddisfazionesuccesso

motivazione impegno buona autostima

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Gli alunni dovranno , per avere successo formativo, acquisire resilienza

vista come la capacità di fronteggiare situazioni di crisi attivando energie e

risorse al fine di proseguire lungo una traiettoria di crescita.

Nell’ambito della didattica inclusiva importante è anche la gestione degli

ambienti. La classe va gestita come un setting inclusivo attraverso il

decentramento della cattedra e dell’insegnante che diventa regista invisibile,

attraverso una diversa distribuzione dei banchi per la partecipazione di tutti.

Una classe inclusiva privilegia il lavoro cooperativo e una disposizione dei

banche a raggiera, in circolo o con i banchi a due a due frontali in modo tale da

facilitare la comunicazione attraverso gli sguardi.

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88

3.5.1 Didattica metacognitiva

L’approccio metacognitivo tende a formare la capacità di essere gestori dei

propri processi cognitivi, dirigendoli attivamente con valutazioni ed indicazioni

operative personali. La didattica metacognitiva mira infatti a rendere

consapevole l’allievo dei suoi processi cognitivi e metterlo in grado di

controllarli, sceglierli, migliorarli. Tale approccio offre all’insegnante maggiori

sicurezze sulle conoscenze da veicolare , sui processi cognitivi da innescare ,

sul tipo e sulla qualità dell’integrazione che dovrebbe instaurare.

Nell’ottica metacognitiva l’attenzione dell’insegnante non è tanto rivolta

all’elaborazione di materiali o metodi nuovi per “ insegnare come fare a…”

quanto al formare quelle abilità mentali superiori che vanno al di là dei

semplici processi cognitivi primari ( leggere, calcolare, ricordare).

Questo andare al di là della cognizione significa sviluppare nell’alunno la

consapevolezza di quello che sta facendo, del perché lo fa, di quanto è

opportuno farlo e in quali condizioni. L’approccio didattico metacognitivo

origina nell’ambito della psicologia cognitiva e viene applicato con risultati

positivi sia a livello della metodologia didattica rivolta alla generalità degli

alunni, sia negli interventi di recupero e sostegno di quelli con difficoltà di

apprendimento, oltre che nell’educazione specializzata per gli alunni con

deficit più gravi. L’approccio metacognitivo consente agli insegnanti di non

separare rigidamente i necessari interventi di recupero o sostegno

individualizzato dalla didattica normale rivolta all’intera classe.63

Con il termine metacognizione si intende l’ insieme delle conoscenze che

ogni individuo possiede sul proprio funzionamento cognitivo e le diverse forme

63Ianes D. Bisogni educativi speciali e inclusione, Erickson 2005

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di controllo che è in grado di attuare prima, durante e dopo l’esecuzione di un

compito. 64

La metodologia metacognitiva interviene su quattro piani strettamente

interconnessi:

conoscenze sul funzionamento cognitivo generale ( teorie della mente)

che possono scaturire da informazioni fornite agli alunni sui processi cognitivi

generali, sui loro limiti e sulla possibilità di influenzarli, a partire

dall’esplicitazione delle convinzioni personali che gli stessi hanno al riguardo,

in modo da renderli consapevoli della varietà e della complessità delle diverse

attività mentali. L’assunto fondamentale è che le conoscenze metacognitive

generali siano in grado di influenzare i processi di controllo e autoregolazione

delle attività cognitive.

acquisizione di autoconsapevolezza in ordine al proprio funzionamento

cognitivo.

In questa fase gli allievi sono spinti verso l’introspezione e l’autoanalisi del

proprio funzionamento mentale e dei suoi limiti, che essi devono poter cogliere

in assoluta serenità, senza che ciò sia percepito come una minaccia alla propria

immagine ed al proprio senso di autostima.

uso generalizzato di strategie di autoregolazione cognitiva, tutte

strutturalmente caratterizzate da una chiara individuazione degli obiettivi e

delle procedure, un costante monitoraggio del processo, una rigorosa

valutazione dei risultati prodotti. Siccome, soprattutto nel caso di alunni

svantaggiati, molti dei processi di autoregolazione sviluppati spontaneamente

dagli allievi potrebbero non risultare del tutto efficaci e soddisfacenti, i neo-

cognitivisti ritengono che sia possibile insegnarli in modo esplicito e diretto,

attraverso la presentazione di strategie utili allo svolgimento di diverse

tipologie di compiti di apprendimento, memoria o problem solving.

64dida.orizzontescuola.it

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rilevazione di variabili psicologiche di natura psico-affettiva, interagenti

coi processi cognitivi.

A questo livello vengono prese in esame altre componenti altrettanto

importanti nel determinare la qualità delle performances scolastiche. Si tratta di

aspetti inerenti l’immagine di sé come persona che apprende, ovvero i

significativi affettivi connessi alle attività di apprendimento. Tra i fattori presi

in esame troviamo: il locus of control, ovvero la tendenza ad attribuire a sé o

all’esterno la responsabilità di successi e insuccessi; lo stile di attribuzione,

ovvero l’utilità attribuita alle strategie ed alle procedure di controllo; la

percezione di autoefficacia, ovvero la fiducia nelle proprie capacità di

raggiungere gli obiettivi attesi. 65

Di particolare interesse appaiono le implicazioni di carattere didattico

offerte dall’approccio meta cognitivo nei BES. Anche nel caso dei BES

l’obiettivo della didattica meta cognitiva è quello largamente condiviso nel

campo dell’apprendimento e dell’educazione in generale: offrire agli alunni

l’opportunità di imparare a interpretare, organizzare e strutturare le

informazioni ricevute dall’ambiente e la capacità di riflettere su questi processi

per divenire sempre più autonomi nell’affrontare situazioni nuove. L’obiettivo

è formare abilità mentali sovraordinate, sviluppare nel soggetto la

consapevolezza di quello che sta facendo, del perchè lo fa, di quando è più

opportuno farlo e in quali condizioni. La didattica metacognitiva ha dimostrato

la sua efficacia sia per l’affinamento di competenze trasversali, come

l’attenzione, la memoria, il metodo di studio, che per l’apprendimento di abilità

più prettamente curricolari, come la lettura e la comprensione del testo, la

matematica, la scrittura.

65Gabrielli R., Gestione dell’errore in Besedsainclasse giugno 2016

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Tali riscontri positivi sono stati osservati anche con allievi che presentavano

BES, in particolare nei deficit d’attenzione con iperattività, nelle difficoltà di

apprendimento, nel ritardo mentale e nell’autismo. 66

66Isidori M.V. Bisogni Educativi Speciali FrancoAngeli Editore 2016

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3.5.2 La Peer Education

Le relazioni tra pari sono determinanti come quelle tra studenti e insegnanti

per lo sviluppo della soddisfazione scolastica degli alunni.

Con il termine “ pari “ indichiamo persone che possono anche essere molto

diverse tra loro, che però possono condividere scopi e progetti comuni, purchè

ciascuno riconosca la dignità del contributo, dell’esperienza e della

responsabilità degli altri senza negare la diversità.67

Secondo l’Unesco, con la denominazione Peer education s’intende

“l’impiego di soggetti appartenenti a un determinato gruppo allo scopo di

facilitare il cambiamento presso gli altri componenti del medesimo gruppo”.

Si potrebbe dire che essa riprende il concetto Freiriano che “ nessuno educa

nessuno, ma tutti si educano di loro” in quanto sposta la centralità del ruolo

pedagogico dall’esperto tradizionale , adulto e professionalizzato, allo studente

opportunatamente addestrato.

La Peer education mette in gioco emozioni e competenze relazionali che

consentono al messaggio informativo/formativo di arrivare al suo scopo.

Essa ha lo scopo di rendere gli alunni soggetti attivi del proprio processo

formativo. Non sono gli insegnanti a trasmettere contenuti, valori, esperienze

ma sono i ragazzi a confrontarsi tra loro, scambiando i punti di vista,

riconoscendo problemi e immaginando autonomamente soluzioni sapendo di

poter contare sulla collaborazione di adulti esperti.

Il metodo prevede che alcuni alunni di una classe assumano nei confronti

dei compagni il ruolo di peer educator nella realizzazione di un progetto di

miglioramento.

I peer educator non vanno confusi con i gruppi di auto e mutuo aiuto.

67Schettini B. Un’educazione per il corso della vita Luciano Editore, 2007

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Si tratta di valorizzare tutti secondo le personali skills creando, quindi, un

turnover fra i peer educator di volta in volta individuati.

La scelta dei peers educators è l’aspetto più delicato in un gruppo classe e

deve essere effettuata in base a criteri che variano a seconda degli obiettivi che

si vogliono raggiungere e le attività che si intendono realizzare, ma anche a

seconda della personalità degli studenti.

Ciascuno è al tempo stesso artefice, responsabile del proprio apprendimento

e supporto per i compagni, aiuta l’altro nelle difficoltà e viene da quest’ultimo

aiutato nelle proprie.

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94

3.5.3 La LIM

LIM è l’acronimo di Lavagna Interattiva Multimediale . Essa è un

dispositivo elettronico che, per forma e dimensione, è del tutto simile ad una

tradizionale lavagna a muro, di ardesia o di alluminio. La LIM sfrutta però una

superficie interattiva che permette a chi la utilizza di interagire direttamente

con i contenuti che vi sono proiettati.

Negli ultimi anni le tecnologie didattiche e, in particolare, le Lavagne

Interattive Multimediali hanno conosciuto una forte diffusione nelle scuole

italiane e, parallelamente ai piani nazionali e locali che ne hanno favorito

l’adozione dall’alto, si è assistito ad un interesse dal basso.

Secondo Ianes, l’uso della Lavagna Interattiva Multimediale, forse più di

quello di altre tecnologie, è un approccio in grado di facilitare processi positivi

di tipo inclusivo. La LIM, infatti, rispetto ad altri strumenti o ausili, ha un

carattere universale, si rivolge cioè già a tutti gli alunni, non soltanto a quelli

con qualche tipo di difficoltà. È già intrinsecamente inclusiva. 68

Infatti essa permette di:

valorizzare le differenze; facilitare la comunicazione, cooperazione e

appartenenza al gruppo; potenziare i processi di insegnamento-apprendimento;

realizzare la “speciale normalità”; facilitare la circolazione di buone prassi.

Uno degli aspetti costitutivi di una scuola inclusiva è senz’altro il

riconoscimento e l’uso valorizzato delle differenze individuali. I docenti che

vogliono costruire una didattica inclusiva si trovano di fronte ai due grandi

compiti complementari del conoscerle e del valorizzarle.

68Ianes D., Didattica inclusiva con la LIM, Erickson, Trento 2009

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La LIM può aiutare in questo compito in quanto con essa, un alunno o un

insegnante rende pubblico e visibile il suo modo di operare e di pensare (visivo

o verbale, globale o analitico, ad esempio), lo rende discutibile con gli altri

compagni e confrontabile apertamente. Si possono vedere in diretta i processi

di analisi, di elaborazione e di sviluppo di output di un alunno che riassume un

testo, che risolve un problema, che progetta qualcosa.

Inoltre grazie alla LIM un’attività può essere infatti presentata e condotta

dagli alunni in mille modi diversi e questo permette dunque l’espressione e la

valorizzazione delle differenze individuali.

Un altro punto di forza della LIM è quello di aiutare a sviluppare le

competenze comunicative, di cooperazione e di appartenenza-partecipazione al

gruppo: se infatti gli alunni lavorano sempre di più in modo cooperativo,

valorizzando a vicenda i diversi modi di operare, molto probabilmente

approfondiranno positivamente la conoscenza reciproca, abituandosi sempre di

più all’idea di essere, alla fine, una grande squadra in cui ognuno ha un posto

importante.

E anche in questo sta l’inclusione: un gruppo inclusivo è un gruppo in cui si

comunica bene, si coopera e in cui ci si sente accolti e ci si sente di far parte.

Scoprire pian piano le capacità e le caratteristiche dell’altro, fare insieme,

vivere insieme gli stati d’animo importanti (l’ansia, la tristezza, la gioia del

successo) creano quella familiarità che contribuisce ad abbattere le barriere e

ad avvicinare le persone. In questo modo il gruppo classe diventa un gruppo

sempre più resiliente, in grado di superare, migliorandosi, i vari stress delle

differenze, delle difficoltà e delle emozioni negative. 69

Una classe inclusiva è un ambiente che non solo non pone barriere

all’apprendimento di alcun alunno, ma che lo facilita attivamente, fornendogli

le condizioni idonee allo sviluppo del suo massimo potenziale. Dunque le

dinamiche di insegnamento e apprendimento e le condizioni adatte a sviluppare

69Ianes D., Didattica inclusiva con la LIM, Erickson, Trento 2009

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al meglio le competenze vanno ancora più potenziate in una classe inclusiva,

perché devono essere efficaci per tutti gli alunni.

Il vantaggio più grande nell’uso della LIM è sicuramente la sua straordinaria

multimedialità che potenzia, in alcuni casi enormemente, i processi di

apprendimento. Filmati, documenti audio, immagini, ecc. arricchiscono

indubbiamente l’input e stimolano i processi attentivi, facilitando anche i

processi di percezione sia visivi (facilitazioni date dalle dimensioni o dai colori

dei materiali scritti alla lavagna) che uditivi (aggiunta di input audio, musiche).

L’ archiviabilità e la facile recuperabilità dei materiali aiutano molto anche

la riflessione metacognitiva, il comprendere come e perché si sia arrivati a quel

risultato, attraverso quali processi, quali operazioni intermedie, quali decisioni,

ecc.

In questo modo si rendono più trasparenti i processi, li si può valutare e

correggere per le attività successive. Nell’elaborare una metodologia didattica

globale con la LIM, è utile dunque tener conto di questa sua grande potenzialità

metacognitiva.

Un altro punto di forza della LIM è quello di permettere la realizzazione di

ciò che sempre Ianes chiama “la speciale normalità”. La speciale normalità è

una condizione di sintesi tra specialità e normalità, che le contiene e le supera

entrambe: la normalità si arricchisce di specificità non comuni, di peculiarità,

di risposte tecniche particolari; la specialità va ad arricchire le normali prassi,

ne penetra le fibre più profonde e le modifica, le rende più inclusive e

rispondenti ai bisogni.

Più in generale, nella speciale normalità troviamo condizioni miste,

intrecciate, che presentano aspetti diversi: alunni normali che possiedono molti

tratti di specialità, alunni speciali con i bisogni essenziali della normalità,

risposte speciali che trasformano la normalità e in questo cessano di essere tali,

e così via.

Troviamo la speciale normalità quando analizziamo cosa sta accadendo sul

versante dei bisogni, vecchi e nuovi: i bisogni educativi speciali e la crescente

eterogeneità delle classi. Incontriamo la speciale normalità anche quando

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guardiamo al versante delle risorse, in particolare ai nuovi ruoli e utilizzi degli

insegnanti, specializzati e curricolari, e ai più recenti sviluppi delle

metodologie educativo-didattiche. Se esaminiamo il concetto di Bisogno

Educativo Speciale (come sarà fatto più in dettaglio nel mio articolo alle pagine

seguenti) troviamo coesistere continuamente normalità e specialità.

Nelle varie situazioni accomunabili sotto questa categoria ( disabilità,

disturbi dell’apprendimento, differenze sociali e culturali, ecc.) da un lato c’è la

normalità del fondamentale bisogno di educazione e formazione, che è uguale a

quello di ogni altro alunno, perché è il bisogno che tutti abbiamo di uno

sviluppo e di una funzionalità il più possibile normale e rispondente alle

normali richieste dei normali luoghi di vita, oltre che di essere accolti, amati,

valorizzati, di sviluppare una nostra autonoma identità, e così via. Dall’altro

lato, però, in questa essenziale normalità troviamo anche la specialità, la

differenza e la peculiarità non ignorabile, anche grave: nella struttura e nelle

funzioni corporee, oppure nell’apprendimento, nelle relazioni, in alcuni aspetti

psicologici, a livello familiare.

Troviamo la speciale normalità anche nella crescente eterogeneità delle

nostre classi, crescente sia in termini di reale aumento di alunni con speciali

caratteristiche – si pensi soltanto al rapidissimo incremento di alunni disabili

intellettivi nella scuola secondaria superiore – sia in termini di una sempre

maggiore capacità e volontà da parte dei docenti di cogliere e comprendere le

differenze e le individualità per tentare di rispondervi in modo più

individualizzato. Troviamo la speciale normalità anche nella sempre maggiore

attenzione posta dai docenti alle normalissime differenze qualitative

individuali, alle specialità e singolarità di tutti gli alunni, che richiedono

differenziazioni nella didattica e varie altre individualizzazioni, ad esempio le

differenze di stile nell’elaborazione delle informazioni e nell’apprendimento e

la pluralità delle intelligenze e degli stili di pensiero.

Sempre di più si riesce a vedere una normalità sfaccettata e ricca di elementi

e caratteristiche di specialità: anche nell’alunno apparentemente più normale ci

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sono infatti notevoli differenze e specialità, che vanno incontrate, conosciute e

a cui va data la possibilità di esprimersi e valorizzarsi.

Il concetto di speciale normalità ci è utile anche se volgiamo la nostra

attenzione al versante della costruzione e utilizzo di risorse per l’integrazione,

in particolare per quel che riguarda gli insegnanti specializzati per il sostegno e

quelli curricolari, coinvolti a pieno titolo nell’integrazione.

In conclusione possiamo quindi dire che la LIM non è uno strumento di

sostegno, né uno strumento innovativo dal punto di vista tecnologico, ma è uno

strumento al servizio dell’innovazione didattica necessaria per rispondere alla

complessità e alla eterogeneità della scuola attuale.70

Ed ancora , in sintesi, possiamo dire che l’uso della LIM permette di

lavorare sulla prospettiva inclusiva attraverso :71

L’individualizzazione didattica che permette di trasformare,

destrutturare e semplificare il materiale didattico presentato a tutta la classe in

modo che venga adattato per gli alunni con disabilità all’interno del processo

didattico della classe.

La creazione di un gruppo classe inclusivo.

Lo sviluppo di strategie didattiche metacognitive.

La creazione di un gruppo classe resiliente.

La LIM può essere quindi un ottimo strumento per incentivare una

didattica inclusiva , in grado di dare vita ad azioni ed attività didattiche

specifiche, che migliorino la qualità della vita .

70Zambotti F. didattica inclusiva con la LIM Erickson 2010

71Bonaiuti G. Didattica attiva con la LIM Erickson 2009

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3.5.4 La flipped classroom

La flipped classroom è un sistema che, attraverso l’uso delle tecnologie

didattiche, inverte il tradizionale schema di insegnamento/apprendimento ed il

conseguente rapporto docente/discente. I materiali didattici vengono caricati

all’interno dell’ambiente virtuale per del “gruppo classe” in forme e linguaggi

digitali anche molto differenziati. Per approfondire un contenuto o un tema non

si utilizzano più solo testi scritti ma anche audio, video, simulazioni e materiali

disponibili su Internet. Questi materiali possono essere approfonditi dagli

studenti da soli o in gruppo “fuori dalla classe” a casa, in biblioteca o in altri

luoghi di aggregazione informale. In classe poi, con l’insegnante, i contenuti

“appresi” attraverso la tecnologia diventano oggetto di attività cooperative

mirate a “mettere in movimento” le conoscenze acquisite.

La classe non è più il luogo di trasmissione delle nozioni ma lo spazio di

lavoro e discussione dove si impara ad utilizzarle nel confronto con i pari e con

l’insegnante.

Il docente, infatti, una volta scelto un tema da approfondire, e caricato il

materiale relativo sulla una piattaforma di elearning, indica allo studente quali

temi e contenuti studiare o approfondire nei giorni precedenti l’attività in classe

dedicata a quel tema.

In questo modo si realizza l’ “inversione” del setting tradizionale e si può

parlare di flipped classroom appunto.

Questa metodologia didattica ha origine nel mondo anglosassone – da

sempre più attento alla didattica laboratoriale e “per esperienza” - e si è diffuso,

in particolare negli Stati Uniti, dove già da anni le classi sono infrastrutturate

digitalmente e si utilizzano sistemi di elarning basati su sistemi di classi

virtuali.

La dinamica del processo didattico si svolge nel modo seguente.

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Gli insegnanti predispongono i materiali di approfondimento all’interno del

Virtual Learning Environmet (Ambiente virtuale di appredimento) adottato

dall’Istituto scolastico e gli studenti approfondiscono prima della lezione, a

casa, il tema proposto.

Questa idea della classe “capovolta” (da to flip, capovolgere), oltre che negli

USA sta acquistando sempre maggiore popolarità e credibilità anche negli

ambienti educativi europei in particolare nel Nord Europa. Concretamente si

può dire che la classe diventa il luogo in cui lavorare secondo il metodo del

problem solving cooperativo a trovare soluzione a problemi, discutere, e

realizzare con l’aiuto dell’ “insegnante coach” attività di tipo laboratoriale ed

“esperimenti didattici” (reali o virtuali) di attivazione delle conoscenze.

In questo modo, inoltre, vengono valorizzati i nuovi stili di apprendimento

degli studenti che sono ormai “nativi digitali” e diviene molto più semplice

personalizzare gli apprendimenti, disegnando all’interno dell’ambiente virtuale

di apprendimento percorsi didattici specifici per singoli o gruppi con bisogni o

esigenze particolari.

L’aspetto più interessante di questa metodologia è il fatto che l’intero setting

didattico viene rivisto nell’ottica di massimizzare una risorsa che sempre di più

scarseggia nella scuola: il tempo dell’insegnante.

Vi sono due livelli di “inversione” del setting didattico:

il primo riguarda il fatto che le tecnologie digitali, attraverso l’utilizzo di

ambienti web di apprendimento cooperativo permettono di spostare “fuori

dall’aula in presenza” una serie di attività di tipo nozionistico liberando il

tempo dell’insegnate per seguire più direttamente i problemi di apprendimento

degli studenti.

il secondo consiste nella possibilità di generare all’interno dell’aula, in

particolare attraverso il lavoro di gruppo cooperativo, una nuova metodologia

attiva di apprendimento che trasforma la classe in un piccola “comunità di

ricerca”.

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L’interazione docente/studente si trasforma radicalmente dal momento che

si riduce molto il tempo della “lezione frontale” e aumenta proporzionalmente

il tempo dedicato al problem solving cooperativo, al monitoraggio e al

supporto del lavoro degli studenti, così come quello dedicato alla “revisione

razionale” collettiva dei risultati dei lavori di gruppo.

Ovviamente questa trasformazione del setting didattico cambia

profondamente il ruolo del docente, ma certamente lo “aumenta” non lo

diminuisce affatto. Il docente, infatti, da esperto disciplinare e “erogatore” di

contenuti e valutazioni si trasformerà in una figura che integra più competenze,

ovviamente quelle disciplinari, ma anche quelle di tutoraggio, coaching e

mentoring (in presenza e on-line) dei suoi studenti. È, insieme, un progettista

didattico che allestisce il setting didattico/tecnologico e programma le attività

degli studenti in presenza e on-line, un esperto di contenuti disciplinari e nello

stesso tempo una guida, un sostegno alla costruzione della conoscenza

collaborativa da parte degli allievi. Funge, quindi, da stimolo per favorire

un’elaborazione personale e collettiva delle attività di gruppo e per favorire un

“apprendimento significativo”.

Aiuta, cioè, gli studenti a sviluppare metodologie e pratiche di studio che

consentano loro di acquisire competenze reali di gestione dei contenuti e non

mere nozioni. In questo processo, come ovvio, cambia anche il ruolo dello

studente, che diviene decisamente più attivo. Lo studente con l’adozione di

questo tipo metodologie didattiche innovative diviene sempre più protagonista

del processo apprendimento e, soprattutto, si responsabilizza maggiormente,

anche grazie alla collaborazione con i pari, rispetto ai progressi o alle difficoltà

che incontra durante lo studio.72

72Ferri P., Nativi digitali, Bruno Mondadori, Milano 2011

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CAPITOLO 4

BES E PLUSDOTAZIONE

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4.1 La plusdotazione

Con il termine plusdotazione si intende un’intelligenza superiore alla norma.

Tali individui presentano non solo un’intelligenza superiore alla norma ma

anche una consapevolezza e una comprensione del mondo, delle regole sociali,

della giustizia e dei principali costrutti, sui quali si basa la società non in linea

con l’età anagrafica. Quindi la plusdotazione, non è solo essere più intelligenti

e rapidi ad apprendere, ma è anche una sorta di maggiore sensibilità e capacità

di analisi delle diverse situazioni alle quali si è esposti e che non possono

essere pienamente comprese, in quanto il soggetto stesso è troppo giovane e

non ha l’esperienza di vita necessaria per capirle.

Tale differenza tra lo sviluppo cognitivo e lo sviluppo emotivo, differenza

indicata con il termine dissincronia, crea forte disagio sociale in quanto non

permette loro di rispecchiarsi nel gruppo di appartenenza.73 Questa

dissincronia, nello sviluppo, porta ad una maggiore vulnerabilità che può essere

compensata bene se l’ambiente familiare, sociale ed il contesto scolastico in cui

vivono ne comprende le necessità e le peculiarità. Per chiarire il concetto di

plusdotazione, si può fare riferimento alle seguenti caratteristiche

normalmente presenti negli alunni plusdotati: 74

1) Intelligenza superiore o molto superiore alla norma;

2) Capacità molto superiori ai pari età in uno degli ambiti accademici;

3) Forte motivazione ad apprendere che però può non essere presente in

tutti i campi;

4) Creatività in uno o più ambiti;

73Terassier J.C., Ragazzi superdotati e la precocità difficile. Giunti e Lisciani Teramo 1985

74AA., VV., La plusdotazione ed i BES : un’analisi per l’inclusione

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5) Capacità di leadership;

6) Dissincronia tra lo sviluppo emotivo e quello cognitivo a favore di

quest’ultimo.

Mentre i punti 1, 2, 3, 6 sono solitamente presenti negli studenti plusdotati,

gli altri due possono anche non esserlo perché dipendono da fattori legati alla

personalità del soggetto.

Questa popolazione di studenti, infatti, differisce per i fattori di personalità

così come la popolazione normale.

Omogeneizzare questo gruppo pensando che esso possa essere composto da

persone con caratteristiche simili così come si fa in presenza, ad esempio, di

disturbi di apprendimento, psicopatologie, autismo o altre forme di disagio e

difficoltà è un grosso errore perché la plusdotazione non può essere paragonata

ad una qualsiasi forma di disturbo o patologia. 75

75AA., VV., La plusdotazione ed i BES : un’analisi per l’inclusione

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4.2 Strumenti di individuazione

I sistemi più utilizzati per decidere se uno studente può essere considerato o

meno plusdotato includono:

Nomination da parte dei genitori.

Nomination da parte dei compagni di classe.

Nomination fatta dallo studente stesso.

Nomination fatta persone terze.

Valutazione da parte di psicologi esperti nel campo della plusdotazione.

Nomination da parte degli insegnanti.

Analizzando le diverse tipologie, possiamo vedere come il processo di

valutazione sul fatto se si è davanti o meno ad uno studente superdotato,

comprende diversi aspetti e mette in campo diverse figure, dallo studente

stesso, alla famiglia, agli insegnanti ed infine ai compagni di classe.

Questa valutazione fattoriale consente di superare i limiti dovuti al fatto

che, uno studente può apparire, ad esempio, poco attento in classe, perché si

annoia ed essere percepito come poco capace o addirittura con dei problemi,

mentre, sia i compagni che i genitori, possono coglierne le potenzialità od

anche viceversa.

Questo processo di valutazione, complesso ed articolato, consente anche di

superare i limiti imposti dalla testistica (scoring), legata al punteggio del

quoziente intellettivo totale o all’indice di Abilità generale misurati con le scale

Wechsler, quali il rischio di non considerare superdotati studenti che

presentano anche difficoltà o disturbi specifici dell’apprendimento, o ancora la

mancanza di una misurazione nel campo delle abilità musicali ed artistiche, o

della creatività.

Per superare queste difficoltà, si ritiene che l’inclusione degli studenti come

superdotati, dovrebbe avvenire attraverso sia la nomination da parte degli

insegnanti che valutano le competenze acquisite e la velocità di apprendimento

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degli studenti, sia attraverso la valutazione testistica effettuata da psicologi,

neuropsicologi e neuropsichiatri esperti nell’ambito della plusdotazione, che

verificano le capacità cognitive dello studente. Per quanto riguarda la

valutazione testistica, la scala in assoluto più utilizzata è la Weschsler

Intelligence Scale IV, che consente di avere due tipi principali di punteggi : il

quoziente intellettivo totale e l’indice di abilità generale, oltre ai vari indici nei

quali è suddiviso il test. Per selezionare gli studenti plusdotati attraverso

l’utilizzo della scala Wechsler si utilizzano dei punteggi che vengono

considerati cut-off, sopra i quali lo studente viene inserito nella categoria dei

soggetti plusdotati. Per la Weschsler, il punteggio cut-off maggiormente

utilizzato, corrisponde a due deviazioni standard sopra la media, od a un

punteggio di 125 per il quoziente intellettivo totale (QIT) e di 124 per l’indice

di Abilità generale (IAG) , entrambi corrispondenti al 95° percentile.76

Bisogna però tenere presente che questi punteggi vanno comunque

interpretati adeguatamente, in quanto il soggetto può provenire da una famiglia

con svantaggio socioculturale od economico, avere problemi d’ansia o di

estrema timidezza,o può essere un soggetto che, oltre ad essere plusdotato, ha

anche un disturbo specifico di apprendimento.

Molti bambini, ragazzi, ma anche adulti plusdotati, sono stati spesso

erroneamente diagnosticati. Il non riconoscimento di una plusdotazione, che

può essere confusa con comportamenti patologici, può portare a delle

mis-diagnosi , tra cui le più comuni possono essere il Disturbo di Attenzione e

Iperattività, Disturbo oppositivo provocatorio, Disturbo ossessivo Compulsivo,

Disturbo dell’Umore.

76Winner E., The origins and ends of giftedmen. American Psychologist,55 (2000)

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Accanto al fatto che molti aspetti presenti nei plusdotati possono essere

erroneamente interpretati come segnali di patologia anziché come espressione

di intensità, creatività, curiosità su cui lavorare, bisogna anche dire che possono

esserci situazioni in cui alla plusdotazione si aggiungono caratteristiche

realmente assimilabili ad una precisa patologia ed, in questo caso, si parla di

comorbilità.

Il rischio più frequente, in queste situazioni, è che si osservi e riconosca

esclusivamente la patologia senza la possibilità di far leva sui punti di forza per

intraprendere un trattamento adeguato. Le conseguenze di una mis-diagnosi o

di un’assenza di doppia diagnosi, quando necessaria, possono essere di varia

natura, prima fra tutte di natura psicologica come ad esempio abbassamento del

senso dell’autostima e del senso di autoefficacia, senso di inadeguatezza,

abbassamento degli obiettivi di apprendimento e sociali, auto-

colpevolizzazione, disturbi comportamentali, aggressività auto o eterodiretta,

difficoltà familiari e sociali, rivalità, insuccessi. La discrepanza quindi tra punti

di forza e difficoltà presenti in bambini e ragazzi che mostrano la compresenza

di plusdotazione e di una difficoltà, di un disturbo specifico o di una

psicopatologia, possono causare sentimenti di frustrazione e possono interferire

pesantemente con il pieno sviluppo delle capacità del bambino/ragazzo stesso.

Il rischio di considerare solo uno dei due aspetti porta a conseguenze di

scarsa autostima, autoefficacia, dubbi sulle proprie abilità che non aiutano a

loro volta ad affrontare le discrepanze e a riconoscere le potenzialità seppur

presenti. Porre l’accento sulle difficoltà può a sua volta ostacolare il

riconoscimento della plusdotazione, così come può accadere che elevate

abilità portino il bambino/ragazzo a compiere sforzi tali da nascondere in parte

le difficoltà presenti. Ciò che più crea difficoltà è comunque il senso di

diversità avvertito in una società e in un contesto scolastico , senso di diversità

che può diventare peso, fatica da nascondere o superare.

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Tra le più comuni mis-diagnosi di cui si è accennato in precedenza,

possiamo trovare:

ADHD e plusdotazione

Molti bambini plusdotati vengono erroneamente diagnosticati come ADHD.

Alcune caratteristiche dei bambini plusdotati, tra le quali l’intensità con cui si

dedicano ad un’attività, la grande sensibilità, l’impazienza di vedere il frutto

del loro lavoro o di ricevere risposte e l’elevato bisogno di fare attività motorie

possono portare a diagnosi errata di ADHD. Alcuni bambini, invece possono

effettivamente avere l’ADHD e necessitare di una doppia diagnosi.

Caratteristiche di un bambino plusdotato annoiato sono:

scarsa attenzione e tendenza a sognare ad occhi aperti; bassa tolleranza per

la persistenza su compiti che sembrano inutili; tendenza ad iniziare molti

progetti diversi, non portandone a termine molti; necessità, talvolta, di mettere

in discussione l’autorità/l’adulto; alto livello di attività che può portare ad

avere minor bisogno di dormire; difficoltà nel frenare il desiderio di parlare;

caratteristiche di distrazione.

Se confrontate con le caratteristiche presenti in alunni con ADHD possiamo

trovare molte analogie che spiegano come talvolta non sia semplice fare una

diagnosi corretta. Alunni ADHD presentano, infatti, attenzione scarsamente

sostenuta; minore persistenza in compiti che non hanno conseguenze

immediate; tendenza a passare da un’attività ad un’altra lasciandole

incomplete; impulsività; necessità di avere regole per mantenere

comportamenti socialmente adeguati; maggiore irrequietezza rispetto ad altri

bambini.

Disturbo oppositivo provocatorio e plusdotazione

Ci sono alcune caratteristiche dei bambini plusdotati quali l’intensità, la

sensibilità e anche il forte idealismo che spesso li porta ad essere considerati

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come fortemente volitivi e questo può essere confuso con la presenza di un

disturbo oppositivo provocatorio, ciò però non toglie la possibilità che questo

tipo di disturbo possa essere comunque presente.

Bi-Polari e altri disturbi dell’umore e plusdotazione

Talvolta esperienze emotive forti possono portare i bambini plusdotati a

viveri sbalzi di umore estremi. Questo può accadere, in particolare, durante

l’adolescenza, quando possono evidenziarsi periodi di depressione legati alle

delusioni rispetto ai propri ideali o alla solitudine che spesso questi ragazzi

vivono per mancanza di affinità con i pari.

Disturbo ossessivo-compulsivo e plusdotazione

I bambini plusdotati, anche nell’età prescolare, amano l’organizzazione e le

regole rimanendo tal volta sconvolti che gli altri non sempre le seguano oppure

non capiscano i loro schemi. Questo può rischiare di farli apparire come troppo

perfezionisti, o come troppo prepotenti, perché cercano di strutturare ed

organizzare anche la vita degli altri, talvolta compresi gli adulti. Il loro senso di

coerenza, di perfezionismo, di idealismo e di scarsa tolleranza per gli errori

possono essere fraintesi e interpretati come un Disturbo ossessivo compulsivo,

altre volte è possibile che queste caratteristiche siano presenti al punto da

meritare una diagnosi specifica, compresente all’individuazione della

plusdotazione.

Possono trovarsi, a volte, anche delle doppie diagnosi. Tra esse possiamo

ricordare la plusdotazione unita a difficoltà di apprendimento o a disturbi del

sonno od ancora a molteplici disturbi di personalità e/o problemi relazionali .

È frequente che un bambino plusdotato mostri, nelle scale di intelligenza,

discrepanze enormi rispetto ad alcune aree, senza però manifestare disfunzioni

gravi; questo potrebbe indicare uno stile di apprendimento insolito o un lieve

disturbo dell’apprendimento. Altre volte, invece, sono presenti disturbi

specifici come la disgrafia, la dislessia e la discalculia che fanno arrivare ad

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una doppia diagnosi in quanto i soggetti interessati presentano in alcune aree

notevoli abilità e talenti e difficoltà specifiche in altre.

Possono coesistere anche disturbi del sonno e plusdotazione. È stato

evidenziato che bambini e ragazzi plusdotati hanno talvolta incubi, disturbi di

insonnia e del sonno in generale. Dalla letteratura scientifica non sembra chiaro

se questo possa essere un elemento tale da portare ad una doppia diagnosi in

quanto varie ricerche hanno mostrato che alcuni bambini plusdotati hanno

meno bisogno di dormire rispetto ad altri, mentre altri, al contrario, mostrano

maggior bisogno di dormire rispetto a quanto ci si aspetti dai coetanei .

La plusdotazione può essere legata anche a molteplici disturbi di personalità

e/o problemi relazionali. Per quanto riguarda il primo caso sono stati svolti vari

studi che dichiarano che un bambino può avere un disturbo di personalità ed

elevate abilità intellettive in seguito a traumi infantili legati ad esempio a storie

di abusi che, nella crescita, hanno indotto la creazione e il mantenimento di

personalità separate quali strategie per affrontare il trauma stesso.

Questo concetto riguardante i disturbi di personalità è presente anche nei

bambini con problemi comportamentali e relazionali che si presentano insieme

alla plusdotazione. Questi bambini sono difficili da gestire al punto da rendere

le relazioni familiari estenuanti. Inoltre questi bambini, a scuola, essendo

impertinenti, volitivi e troppo sensibili - a fronte della loro plusdotazione -

rendono difficile anche la relazione con l’insegnante e con il gruppo classe e

questo perchè un bambino plusdotato ha interessi diversi, competenze e

capacità distanti da quelli dei coetanei e ciò non facilita l’instaurarsi e il

mantenersi di relazioni positive tra pari ( relazioni disfunzionali).

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4.3 I superdotati a scuola

Tra i tanti miti che sopravvivono vi è quello che se uno studente è

plusdotato deve essere bravo a scuola in tutte le materie o viceversa. Non è

sempre così , perché vi sono dati che dimostrano come una percentuale

significativa di studenti plusdotati non termina neanche gli studi. Spesso,

infatti, anche se può sembrare paradossale, i bambini superdotati presentano

un fallimento scolastico. È opportuno però non legare in modo eccessivo la

plusdotazione alla performance e ai risultati ottenuti dallo studente ,

dimenticandosi della dimensione morale legata alla plusdotazione che è

intimamente legata alla dissincronia dello sviluppo tra le capacità cognitive e

quelle emotive e che fa sì che un bambino plusdotato, che ha maggiori capacità

di ragionamento in astratto rispetto ai pari età, abbia una lettura della realtà che

non appartiene alla sua età anagrafica. Più sarà alto questo dislivello e

maggiore sarà lo squilibrio tra queste due componenti con conseguente senso

di frustrazione e di diversità. 77

Se quindi la plusdotazione è uno sviluppo asincrono tra le capacità emotive

e quelle cognitive, nel quale il soggetto dimostra di avere capacità cognitive

superiori o molto superiori alla norma è anche vero che queste capacità

possono creare problemi e disagi che andrebbero adeguatamente trattati da

personale esperto e formato in questo ambito specifico. La scuola deve adottare

tutte le misure necessarie per andare incontro a questi studenti affinchè non se

ne disperda il loro potenziale.

La situazione nei Paesi Europei è altamente difforme per quanto riguarda

l’inclusione degli studenti plusdotati nei BES.

77Silverman L., The moral Sensitivity of Gifted Children and evolution of Society. Roeper

Review , 17, 1994

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Nel rapporto Gifted learners presentato dall’European Agency for

development in Special Needs Education nel 2009 si evidenzia innanzitutto

che non tutti i paesi europei hanno una definizione di plusdotazione all’interno

del loro impianto legislativo e che pochi includono gli studenti plusdotati nei

BES. Dall’esame emerge che solo sette paesi europei includono gli studenti

plusdotati nella categoria dei BES e che in molti casi vengono inclusi gli

studenti che presentano una twice-exceptional e quindi la presenza in

comorbilità di una difficoltà o di un disturbo.

In considerazione di ciò si può dire che deve essere fatta un’attenta lettura

dei bisogni degli alunni plusdotati affinchè non sia misconosciuto il loro diritto

alla personalizzazione quando risulti un bisogno educativo speciale, mentre se

non esiste un bisogno educativo speciale non dovranno essere inclusi nei BES.

Gli insegnanti devono, anche in questo caso, sentirsi investiti di precise

responsabilità pedagogiche-didattiche. Per migliorare le loro competenze è

utile istituire reti di scuole che condividano esperienze fatte in tal senso ,

materiali e modalità attuative. Utile è anche avere classi gestite in verticale .

Tutto questo permette una maggiore inclusività ordinaria nella didattica,

maggiore adattabilità e flessibilità per accogliere individuazioni e

personalizzazioni , senza trasformare in speciale un bisogno educativo che in

realtà , se non provoca danno , ostacolo o stigma sociale, è ordinario e normale.

Anche lo spazio che deve essere dato a questi studenti li dovrebbe vedere

protagonisti, e non come parte aggiunta ad una realtà scolastica complessa che

li potrebbe ulteriormente penalizzare con la scelta di percorsi riduttivi e

incompiuti.78

78AA., VV., La plusdotazione ed i BES : un’analisi per l’inclusione

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Conclusioni

Nel lavoro si è analizzato il ruolo che la Scuola svolge nel permettere di

superare i bisogni speciali che alcuni alunni manifestano.

Molto è stato fatto, ma molto dovrà ancora essere fatto in questo settore per

permettere effettivamente a tutti di essere ugualmente partecipi.

C’è da dire, comunque, che molto dovrà essere fatto anche al di fuori della

Scuola in quanto molti degli alunni con bisogni educativi speciali hanno

bisogni educativi speciali proprio perché vivono in un contesto familiare

deprivante e poco o nulla per loro la Scuola potrà fare senza un corretto

appoggio della famiglia , famiglia che, a volte, non è collaborativa.

Il primo insegnamento educativo si ha, infatti, nell’ambito domestico e

viene dato al bambino dalla madre che soddisfa i suoi bisogni primari.

Tale concetto è espresso nell’ambito della psicologia dello sviluppo come “

madre come base sicura”. L’ambiente domestico e l’atteggiamento dei genitori

influenzano, quindi, la personalità del bambino.

E non sempre la famiglia, purtroppo, influenza in modo positivo la crescita.

Molto spesso gli alunni BES su cui la Scuola cerca di intervenire sono

soggetti svantaggiati provenienti da famiglie che vivono in ambienti sociali

assai carenti, sono soggetti con nuclei familiari che presentano problematiche

di vario genere, di natura ad esempio economica , lavorativa, giudiziaria (uno o

entrambi i genitori in carcere) oppure che presentano problematiche legate

all’uso di alcolici o sostanze stupefacenti. Tutto ciò condiziona in modo

dannoso, influenza negativamente il processo di sviluppo della personalità e

rende il soggetto in crescita pauroso, insicuro, aggressivo, autolesionista, o

meglio, egocentrico ed asociale, in conflitto con gli altri.

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Spesso tali tipi di famiglie si presentano chiuse in sé stesse e non

collaborative , assumono atteggiamenti disinteressati , non partecipano ai

momenti di scambio di informazioni , ai momenti d’incontro fondamentali per

la conoscenza del bambino ed il buon esito del percorso educativo.

Sarà allora difficile per la Scuola poter lavorare senza la sinergia di altre

figure referenziali all’esterno di essa.

Se molto quindi è stato fatto, molto ancora dovrà essere fatto per far sì che ,

nell’ottica di una lettura olistica della persona , così come proposto dal modello

ICF dell’OMS, si faccia in modo che il contesto, e non solo quello scolastico,

non rappresenti un fattore “barrierante”.

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III

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VII

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Ringraziamenti

Non è facile citare e ringraziare, in poche righe, tutte le persone che hanno

contribuito alla nascita e allo sviluppo di questa tesi di laurea: chi con una

collaborazione costante, chi con un supporto morale o materiale, chi con

consigli e suggerimenti o solo con parole di incoraggiamento, sono stati in

tanti a dare il proprio apporto alla mia carriera universitaria ed a questo

lavoro, a loro va la mia gratitudine, anche se a me spetta la responsabilità per

ogni singola argomentazione , mai banale , ma sempre frutto di grande studio

e approfondimento , contenuta in questa tesi.

Ringrazio anzitutto la Professoressa Maria Vittoria Isidori: senza il suo

supporto e guida sapiente, questa tesi non esisterebbe. La ringrazio per avermi

incoraggiata a essere la vera ideatrice di questo lavoro e per aver riconosciuto

le mie capacità di persona capace di ragionare, ma soprattutto la ringrazio

per l’argomento della tesi che mi ha permesso di approfondire . Non è stato

facile ultimare tale tesi , dopo i tragici eventi del terremoto, ma lei è stata

sempre disponibile ad aiutarmi quanto piu’ possibile. E’ una grande persona

sul livello umano.

Un ringraziamento particolare va a chi mi ha incoraggiata a non mollare

questo percorso universitario, nonostante le tante difficoltà, o a ha speso parte

del proprio tempo per leggere e discutere con me le bozze del lavoro. Ai miei

genitori, che sono il mio punto di riferimento e che mi hanno sostenuta sia

economicamente che emotivamente e che mi hanno permesso di percorrere e

concludere questo cammino. I ringraziamenti più grandi vanno infatti a mia

mamma e a mio papà che mi hanno permesso, anche con il loro sostegno

economico, di completare questo ciclo di studi e di raggiungere questo

traguardo.

Grazie “al mio papà” che prima di ogni esame mi diceva sempre: “In

bocca al lupo e, mi raccomando, stai tranquilla!” e al sentire quelle parole io

rispondevo sempre “crepi il lupo si, ma tranquilla proprio no!”.

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Mi irritava quel suo incoraggiamento, ma l’ho sempre aspettato prima di

ogni esame, perché anche se non l’ho mai ammesso, mi tranquillizzava

sentirglielo dire. A lui va un grande Grazie per avermi seguita, consigliata

anche in questo ultimo periodo, il piu’ importante , ma per altri versi anche

difficile, di preparazione della tesi.

Grazie alla Grande Donna , la mia mamma , che mi ha sempre sostenuta,

anche quando la vita per lei era davvero difficile, causa un periodo di

malattia, che pero’ mi ha sempre sostenuta e spronata a reagire”. La mia

mamma: la mia più fidata consigliera e il mio punto di riferimento. Mi ha

sempre sostenuta nell’affrontare ogni difficoltà, mi ha consigliato nelle scelte

più difficili, mi ha asciugato le lacrime durante le sconfitte, mi ha sgridata per

spronarmi a dare il massimo, sempre!

Alla mia piccola ma grande sorella, sempre pronta ad ascoltarmi e a darmi

consigli, a cercare in ogni occasione di far salire la mia autostima,

insegnandomi a camminare ogni giorno a testa alta, senza aver paura dei

giudizi degli altri. Grazie perché senza di voi non sarei mai arrivata fino in

fondo a questo difficile, lungo e tortuoso cammino. Questa tesi la dedico a voi

che siete la mia famiglia, il mio più grande sostegno e la mia guida.

Voglio ringraziare una persona unica e speciale, Ivan, il mio ragazzo, il mio

migliore amico, la mia spalla su cui piangere. “Abbiamo affrontato insieme

questo cammino, passo dopo passo, giorno dopo giorno, superando tutte le

difficoltà, festeggiando insieme ogni vittoria e rialzandoci più forti di prima

dopo ogni sconfitta. In questi anni ci siamo sempre sostenuti l’un l’altro, ci

siamo incoraggiati, ci siamo confrontati e abbiamo fatto tanti sacrifici. Grazie

per essere stato sempre al mio fianco in ogni momento e anche oggi, in questo

giorno importante, sei qui con me a festeggiare insieme questo mio traguardo,

questa mia vittoria.. che non è solo la mia, ma la nostra vittoria!

Grazie ai miei nonni per l’affetto che non mi hanno mai fatto mancare, per

essere sempre stati orgogliosi di me e per avermi fatto sentire la loro

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“Dottoressa” anche quando questa avventura era appena iniziata. A nonno

Francesco e zio Fausto, che oggi non possono essere qui con me, ma che spero

mi guardino da Lassù e che siano orgogliosi di me e della donna che sono

diventata. Grazie anche a mia nonna Marilia, che avrei voluta inserire nella

dedica della mia tesi, deceduta l’8 agosto di quest’anno, alla quale devo molto

,la mia complice in mille avventure del mio percorso universitario, colei che

gioiva dei miei successi e che mi consolava negli insuccessi. Una Grande

Nonna. Ho pensato che la dedica migliore, visto un lavoro dedicato

all’insegnamento pedagogico e didattico, argomento di questa tesi, possa

essere “… agli Angeli del Terremoto “ … del 24 agosto 2016, che ha colpito la

mia Terra, il centro d’Italia.