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Haiti: la spartizione delle macerie Il Gandhi del Medioriente Editoria verde DIRITTO D’ASILO L’imbarazzo dell’Europa V p S Volontari per lo sviluppo La rivista di chi abita il mondo Poste Italiane S.p.A. - Sped. in abb. post. DL. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1 CNS/CBPA/TORINO - gennaio-febbraio 2011- anno XXVII - foto: Simone Perolari

Volontari per lo Sviluppo

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La rivista di chi abita il mondo

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Page 1: Volontari per lo Sviluppo

H a i t i : l a s p a r t i z i o n e d e l l e m a c e r i e I l G a n d h i d e l M e d i o r i e n t e E d i t o r i a v e r d e

DIRITTO D’ASILOL’imbarazzo dell’Europa VpS

Volontari per lo sviluppoLa rivista di chi abita il mondo

Poste Italiane S.p.A. - Sped. in abb. p

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Zerozerocinque Non è il nome in codice di un agente segreto, ma lo slogan di una nuova campagna che potrebbe

risolvere in un sol colpo 2 dei maggiori problemi attuali: controllare la finanza internazionale e reperi-

re le risorse necessarie per la spesa sociale.

Ogni giorno 1.900 miliardi di $ si spostano virtualmente tra le borse del pianeta. Senza controlli né

verifiche, senza che nessuno si preoccupi dei loro impatti sulle economie dei paesi oggetto delle

transazioni. E senza che alcun sistema fiscale ne faccia oggetto di prelievo. Le transazioni finanziarie

sono l’unico comparto dell’economia mondiale non soggetto a tassazione né a monitoraggio. Le

organizzazioni della società civile chiedono da anni che si applichi una tassa sui profitti derivanti dalle

speculazioni finanziarie. Passata alla storia come Tobin Tax - dal nome del consulente economico di

J.F. Kennedy, James Tobin, che poi ha ripudiato la filiazione - oggi la tassazione delle operazioni finan-

ziarie a breve termine a scopo speculativo si sta trasformando da richiesta utopistica di qualche mili-

tante ong in un’ipotesi considerata anche da statisti di livello. Convinti da autorevoli economisti, alcu-

ni capi di Stato e ministri dell’Economia la invocano come rimedio ai danni provocati dalla finanza

fuori controllo, causa del crollo delle borse mondiali, e quale unica possibilità di reperire le risorse per

finanziare il welfare e la cooperazione allo sviluppo.

Il ministro Tremonti l’ha citata già un anno fa in un intervento in Parlamento; lo Stability financial

board, presieduto dal governatore di Banca Italia Mario Draghi, l’ha messa all’ordine del giorno;

Sarkozy e Zapatero l’hanno esplicitamente richiesta all’ultimo vertice Onu sugli Obiettivi del Millennio.

Ciò che per anni non è accaduto potrebbe rapidamente avverarsi. Gli esperti mondiali ingaggiati dal

governo federale tedesco nel 2005 avevano dimostrato come l’Eurozona potesse applicare una tas-

sazione sulle transazioni speculative (Ttv) senza per questo subire una concorrenza insostenibile da

parte di altri sistemi monetari che agiscono in assenza della tassa. Non erano però riusciti a convin-

cere i decisori economici, che hanno continuato ad accettare e a subire gli attacchi speculativi con

cui, probabilmente, qualche volta hanno pure fatto affari.

“Zerozerocinque” è l’irrisoria aliquota che si propone di applicare alle transazioni speculative e che

produrrebbe, secondo l’economista Stephan Schulmeister dell’Australian Institute of Economic

Research, un ammontare di 655 miliardi di $ l’anno: cifra sufficiente per il raggiungimento degli

Obiettivi del Millennio e, contemporaneamente, per supportare lo stato sociale nei paesi ricchi, oggi

smantellato dalle “finanziarie della crisi”.

“Zerozerocinque” è lo slogan della campagna promossa da un cartello di associazioni, ong, sindacati

e organizzazioni della società civile italiane tra cui anche Focsiv. La Federazione infatti ha ritenuto

questa campagna l’ideale prosecuzione di quella da essa promossa nel 2001 (“Tobin Hood: una tassa

per lo sviluppo”) con l’adesione di oltre 27 associazioni della società civile. Come l’Italia, sono molti i

paesi che si stanno mobilitando sulla Ttv, tanto che l’ultima Assemblea mondiale della Coalizione glo-

bale per la lotta alla povertà l’ha inserita tra gli obiettivi strategici del 2011.

La campagna “Zerozerocinque” potrebbe essere quella giusta per infrangere il santuario finora invio-

labile della grande finanza internazionale.

editoriale di Sergio Marelli - Segretario Generale Focsiv

Page 4: Volontari per lo Sviluppo

IN PRIMO PIANO8 EUROPA BLINDATAL’Ue in guerra contro il diritto d’asilo

VOCI DAL SUD16 CARA ACQUALa Cina a bocca asciutta

18 DIRITTI OLTRE LE SBARREI “club giudiziari” dei detenuti in Togo

COOPERAZIONE37 RIVOLUZIONE DAL BASSOLa Bolivia dei “bagni ecologici secchi”

IL PERSONAGGIO41 IL GHANDI DEL MEDIORIENTEMustafa Barghouti, medico e leader della nonviolenza

PERCORSI PIONIERI45 LIBRI EVERGREENLa top ten degli editori sostenibili

PERCORSI CREATIVI51 CIAK SI VIVE!I registi De Serio, cineasti per il sociale

PERCORSI DI RICERCA54 L’ERA DELLA MIGRAZIONEProtagoniste le nuove famiglie transnazionali

VpSn.01/2011

Reportage e notizie daicinque continenti,

progetti di solidarietà,proposte di turismoalternativo, consumocritico e molto altro

volontariperlosviluppo.it

Page 5: Volontari per lo Sviluppo

Rubriche6 @ Volontari13 Da non perdere14 Mondo news28 Volontari cercasi40 Osservatorio cooperazione48 Altroturismo50 Attivati57 Il mondo in pellicola58 Multimedia60 Cose buone dal mondo62 L’esperto risponde

Pianeta blu

VpSLarivistadichiabitailmondo

L’acqua è il filo conduttore di questo numero. Nel 2050 si stima che 4 miliardi dipersone non avranno acqua potabile. Fatto gravissimo perché favorisce le emer-genze sanitarie (come il colera, vedi “Dossier” Haiti). La risorsa scarseggia per motiviclimatici, di espansione urbana, di inquinamento. Ma anche a causa di politiche diprivatizzazione e di speculazione sui prezzi dei servizi idrici, a scapito delle fascepovere della popolazione (vedi “Voci dal Sud”, il caso Cina). Ovunque la società civi-le tenta di tutelare questa risorsa attraverso pratiche di uso sostenibile e campagnedi sensibilizzazione (vedi “Cooperazione”, il caso Bolivia), anche perché gli interventidall’alto non paiono risolutivi, come ha mostrato l’ultima Conferenza Onu sul climatenutasi a fine 2010 a Cancun (vedi “Osservatorio Cooperazione”). Intanto in Italia, dove il diritto all’acqua è sancito dalla Costituzione, il Forum deimovimenti per l’acqua chiede che nel 2011 sia indetto un referendum per difende-re questo diritto dalle privatizzazioni.

Reportage

Dossier

22 Nuovo Sudan, vecchi privilegi

29 HAITI, L’ANNO DELL’APOCALISSE

L’indipendenza come mezzo per il controllo del petrolio

Il paese che vive “sotto tutela” degli Stati stranieri

Page 6: Volontari per lo Sviluppo

«L’Europa, nel senso dei decisori, dei governi, dei politici, ha deciso che uno dei diritti fondamentali riportato su tutte lecarte internazionali e su cui basa la propria identità e civiltà giuridica, è diventato imbarazzante in termini di consenso. Sitratta del diritto d’asilo che apre le porte, sempre secondo i decisori, a una difficoltà di controllare i flussi migratori» è latesi del giornalista e scrittore Luca Rastello, che nel suo ultimo libro “La frontiera addosso” (Laterza 2010), raccoglie centi-naia di storie di diritti violati dei richiedenti asilo in Europa. Ma il diritto d’asilo non si può negare esplicitamente. E’ un diritto umano fondamentale definito già all’art. 14 dellaDichiarazione universale dei diritti dell’uomo del ‘48: chiunque ha diritto di cercare e godere in altri paesi asilo dalle perse-cuzioni. E lo status di “rifugiato” è riconosciuto, secondo il diritto internazionale sancito dall’art. 1 della Convenzione diGinevra del ‘51. Come potrebbero dunque i paesi europei negare tale diritto? Questa è proprio l’originalità del libro diRastello, che mettendo insieme le tessere del puzzle disegna i contorni di un vero e proprio sistema internazionale, dotatodi esercito, soldati e accordi ufficiali, per violare sistematicamente il diritto internazionale.

Storie quotidianeRoma, 9 dicembre 2009. Poche righe d’agenzia raccontano dell’ennesima emergenza freddo: il corpo di un “barbone” vienerinvenuto congelato su un marciapiede all’angolo fra via Principe Eugenio e piazza Vittorio. L’uomo, 52 anni, pakistano, sichiamava Mohammed e veniva raccontato come uno dei tanti “invisibili” che la nostra società spesso costringe a vivere aimargini. In realtà Mohammed Muzzafar Alì non era affatto “un invisibile”, era conosciuto da tante persone come ShereKhan, la tigre. Mohammed era un leader nel movimento antirazzista e un punto di riferimento dei rifugiati nel nostropaese. Si batteva perché a chi era dovuto fuggire fossero riconosciuti qui i diritti che nei paesi d’origine gli erano negati.Aveva dato vita all’Uawa, unione dei lavoratori asiatici, che raccoglie afgani, pakistani, bengalesi, indiani, cinesi, cingalesi.Insieme a don Luigi Di Liegro, il padre fondatore della Caritas italiana, aveva guidato la storica occupazione dellaPanzanella negli anni 90, quando 3.000 persone si erano opposte alla segregazione e avevano occupato un luogo dovenon morire di freddo. E’ morto in una notte d’inverno nel nostro paese. In attesa del verdetto sulla domanda d’asilo che daanni aveva presentato alla commissione territoriale romana.Altro luogo, altra storia: siamo a Torino, nel luglio 2009, nello storico quartiere operaio San Paolo. 500 persone provenientida paesi lontani, tra cui molte mamme con bambini, attendono che un gruppo di giovani dei centri sociali cittadini forzinola porta dell’ex clinica abbandonata San Paolo per trovare un riparo. Non c’è acqua corrente, l’elettricità va e viene, alcunefamiglie hanno trovato alloggio in stanze più piccole, ma la maggior parte dorme in stanzoni dove i letti, sfondati e impol-verati, sono troppo pochi. Quando un gruppo di volontari inizia il censimento per distribuire i buoni-doccia concessi dalComune, quasi scoppia la rivolta: 4 buoni a testa per un intero mese, il mese più caldo dell’anno. I 500 non sono clandesti-ni. Non sono neppure richiedenti asilo. Sono rifugiati. Somali, etiopi, eritrei, in fuga da guerre e dittature. Tutti titolari diuna protezione internazionale, molti dello status di rifugiato politico, alcuni di protezione sussidiaria o umanitaria. Sonopersone che, sulla carta, avrebbero diritto ad accedere ai principi della Convenzione di Ginevra. Costrette a vivere nellafatiscente e pericolante Clinica San Paolo perché nessuno offre loro un’alternativa. Scoppia lo scandalo, la metropoli aspirante capitale del terziario avanzato non trova di meglio che offrire ai malcapitati

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Europa blindatadi Maurizio Dematteis. Foto Simone Perolari

Un accordo europeo e un esercito che fa uso di mezzi militari avanzati e sofisticati siste-mi elettronici di sorveglianza da un lato. Diritti negati e 16 mila morti dall’altro. Sono ledue facce di uno stesso fenomeno, visto da Nord e da Sud: una vera e propria guerra nondichiarata al diritto d’asilo.

In primo piano

Page 7: Volontari per lo Sviluppo

Il diritto d’asilo definito all’art. 14 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo non può essere nega-to esplicitamente. Ma secondo i decisori dell’Ue, esso renderebbe difficoltoso il controllo deiflussi migratori, dunque si deve provvedere in qualche modo…

Page 8: Volontari per lo Sviluppo

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come prospettiva futura un fantomatico “Centro di accoglienza straordinaria in via Asti”, una ex caserma dismessa di unquartiere “bene” della città, che il Comune, bontà sua, si impegna a ristrutturare. Ma a questo punto succede l’impensabile:molti degli abitanti del quartiere, dai progressisti ai conservatori, si oppongono all’“operazione umanitaria” per paura che inuovi arrivati possano guastare la loro oasi di pace, il loro tranquillo e “borghese” quartiere, dove “quasi tutti si conosconoe la gente si saluta ancora per strada”.

Guerra al diritto«La scelta dell’Europa è di enunciare il diritto di asilo teoricamente ai massimi livelli possibili» riprende Rastello, «e di fargliguerra nella pratica». Una guerra che si traduce ad esempio nella cintura realizzata dall’agenzia Frontex (vedi box), che èun vero esercito, con navi, aerei, uomini, armi e reparti speciali. Con il compito di tenere fuori la gente ed evitare che “lostraniero” arrivi sul territorio comunitario a esercitare, eventualmente, il proprio diritto a richiedere asilo.«È in corso una vera e propria guerra al diritto d’asilo. E questa guerra fa danni collaterali, come li chiamano i militari. Cioè

Frontex: un esercito con 89 motovedette, 24 navi pesanti, 25 elicotteri, 22 aero-plani militari e voli charter civili per i rimpatri

FrontexL’Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere ester-ne degli Stati membri dell’Ue, in breve Frontex, con centro direzionale a Varsavia, coor-dina il pattugliamento delle frontiere esterne aeree, marittime e terrestri degli Stati Ue el’implementazione di accordi con i paesi confinanti per la riammissione dei migrantirespinti lungo le frontiere.Fondata con decreto del Consiglio d’Europa 2007/2004, l’agenzia ha iniziato a operaredal 2005. Sulle sue attività hanno espresso critiche associazioni della società civileimpegnate sui temi dell’immigrazione, come Amnesty International e l’European Councilfor refugees and exiled. La critica principale riguarda i respingimenti di potenziali rifu-giati politici in paesi terzi non sicuri. Persone cui è impedito mettere piede sul territoriocomunitario ed esercitare il diritto alla domanda di asilo politico.I dati ufficiali della Commissione Libe del Parlamento europeo segnalano che dei circa300 mila cittadini non comunitari intercettati o respinti nel 2008 da Frontex, il 46% èstato fermato lungo le frontiere terrestri, il 32% in mare, il 22% negli aeroporti. Nellostesso anno le forze coordinate da Frontex hanno intercettato 82.600 persone in ingres-so via terra in Grecia (da Albania, Macedonia e Turchia), Bulgaria (dalla Turchia) eCipro (dalla parte turca dell’isola). E ne hanno respinte 56.300, sempre via terra, allafrontiera svizzera, al confine tra Slovenia e Croazia, tra Ucraina e Polonia, Slovacchia eUngheria, e alla frontiera tra Moldova e Romania. Negli aeroporti sono state respinte66.500 persone.

In apertura: raccoglitori di pomodori clandestini in Sicilia.. Sotto: un ragazzo subsahariano attende di scavalcare la rete che divide il Marocco da

Melilla, enclave spagnola in terra africana. Ancora sotto: un rifugiato a Melilla lava le auto nei parcheggi. Pagina accanto: sede della Caritas di

Trapani che ospita clandestini, sbarco di africani nel porto di Lampedusa e rifugiato di un centro di permanenza spagnolo. Pagina seguente:

resti di naufraghi nel “cimitero delle carrette dei mari” di Lampedusa e un centro d’identificazione di minori immigrati, sempre nell’isola siciliana.

Page 9: Volontari per lo Sviluppo

11In primo piano

i morti alle frontiere. I respinti che non riescono ad arrivare in Europa né a tornare indietro» spiega Rastello. Persone che,secondo il censimento di Fortress Europe (vedi box nella pagina seguente), la fonte più attendibile a livello comunitario, in10 anni sono almeno 16 mila. Limitandosi a quelle che è stato possibile individuare. «Una strage spaventosa su cui si eser-cita sistematicamente la rimozione, su cui la scelta collettiva è volgere lo sguardo altrove. Non voglio paragonarla allegrandi tragedie del XXI secolo, ma è un fenomeno che può degenerare, una situazione che, nelle modalità con cui si starealizzando, ha qualcosa di goebbelsiano».

Eserciti e respingimentiIl 9 luglio 2010 le agenzie battono la seguente notizia: “Il governo italiano dovrebbe offrire immediatamente accoglienzaad almeno 11 eritrei che aveva respinto, in precedenza, in Libia, dove ora sono detenuti con la minaccia di deportazione inEritrea”. E’ la denuncia di Bill Frelick, direttore del Refugee program di Human Rights Watch, che sottolinea come la Marinaitaliana avesse impedito a questi eritrei di raggiungere il nostro paese via mare, respingendoli sommariamente in Libiasenza dar loro la possibilità di richiedere asilo. In realtà l’operazione si inserisce in un programma sovranazionale, la mis-sione navale congiunta di Frontex fra Italia, Malta, Francia, Germania, Spagna e Grecia denominata Nautilus III. Uno dei

Il libro“La frontiera addosso”, edito nell’ottobre 2010, è un’agile guida per i diretti interessati ma anche una fortedenuncia nei confronti della politica sull’asilo dell’Unione europea. Riferisce i soprusi, analizza i flussi diimmigrazione e racconta la storia di decine di disperati raccolte dall’autore insieme alla sua redazione.Nella seconda parte del volume vengono presentati i dati sul fenomeno a livello italiano ed europeo, insie-me alla sistematizzazione di una serie di informazioni utili ai richiedenti asilo e a chi lavora insieme a loro.Luca Rastello, La frontiera addosso. Così si deportano i diritti umani, Laterza 2010, pp. 280, 12,80 euro

Page 10: Volontari per lo Sviluppo

tanti nomi fantasiosi, mitologici, che evocano scenari da film delle operazioni di Frontex: Poseidon, Minerva, Saturn,Chronos, Juppiter. Nomi a volte minacciosi come Hammer, Viking, a volte ingannevolmente morbidi come Rabit. Operazioniportate avanti da una flotta di 89 motovedette, 24 navi pesanti, 25 elicotteri, 22 aeroplani militari, più voli charter civili adisposizione per i rimpatri con scalo nei vari Stati membri. Un sistema permanente di pattugliamenti congiunti delle fron-tiere esterne all’Ue: marittimi, aeroportuali e terrestri. Un grande meccanismo che fa uso di mezzi militari avanzati e sofi-sticati sistemi elettronici di sorveglianza. “È l’esercito allestito per una guerra mai dichiarata e però intensamente combat-tuta, dove i caduti sono migliaia, ma si contano da una sola parte”, sottolinea Luca Rastello nel suo libro.Si tratta di un apparato efficace, lo dimostrano le cifre sugli sbarchi fornite quest’anno da Gell Arias Fernandez, vicediret-tore di Frontex: in Italia tra gennaio e agosto 2010 c’è stato un “drastico calo” degli ingressi illegali nell’ordine del 72%sullo stesso periodo del 2009. Ma è un’efficacia che si traduce in molti casi di negazione anche solo della possibilità di farerichiesta d’asilo, esponendo le vite dei potenziali richiedenti a rischi mortali. Ben documentati dal lavoro quotidiano diDaniele Del Grande attraverso il suo osservatorio on line sulle vittime dell’immigrazione verso l’Europa, Fortress Europe.Che in quattro anni di lavoro, attraverso la raccolta di migliaia di articoli della stampa internazionale, ha documentato lamorte certa di 15.638 persone. Migliaia di persone che dall’88 hanno tentato di espugnare la “fortezza Europa”, un mirag-gio da raggiungere per tentare di avere una vita migliore per sé e le proprie famiglie. Perdendo la vita.

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15.638: i morti dall’88 nel tentativo di espugnare la “fortezza Europa”, un miraggioda raggiungere nella speranza di una vita migliore

Fortress EuropaFortress Europe è un osservatorio on line sulle vittime dell’immigrazione versol’Europa. Si tratta di una rassegna stampa che dall’88 a oggi fa memoriadelle vittime della frontiera: 15.638 morti documentate sulla stampa interna-zionale, tra cui 4.255 dispersi. Il sito è tradotto in sedici lingue e riceve circa15.000 visite al mese. Secondo i dati dell’osservatorio, nel Mar Mediterraneo enell’Oceano Atlantico verso le Canarie sono annegate 8.354 persone tramigranti e rifugiati negli ultimi vent’anni. Metà delle salme (4.255) non sonomai state recuperate. Nel Canale di Sicilia tra la Libia, l’Egitto, la Tunisia,Malta e l’Italia le vittime sono state 2.514, tra cui 1.549 dispersi. Altre 70persone sono morte navigando dall’Algeria verso la Sardegna. Lungo le rotteche vanno dal Marocco, dall’Algeria, dal Sahara occidentale, dalla Mauritaniae dal Senegal alla Spagna, puntando verso le isole Canarie o attraversando lostretto di Gibilterra, sono morte almeno 4.127 persone di cui 1.986 risultanodisperse. Nell’Egeo invece, tra la Turchia e la Grecia, hanno perso la vita 895migranti, tra cui 461 dispersi. Infine nel Mare Adriatico, tra l’Albania, ilMontenegro e l’Italia, negli anni passati sono morte 603 persone, di cui 220sono disperse. Inoltre, almeno 597 migranti sono annegati sulle rotte perl’isola francese di Mayotte, nell’oceano Indiano. Il mare non si attraversa sol-tanto su imbarcazioni di fortuna, ma anche su traghetti e mercantili, dovespesso viaggiano molti migranti, nascosti nella stiva o in qualche container.Ma anche qui le condizioni di sicurezza restano bassissime: 146 le mortiaccertate per soffocamento o annegamento.

Page 11: Volontari per lo Sviluppo

Intercultura alcinemaLa Cineteca di Bolognapropone, all’interno deipercorsi dedicati allescuole medie inferiori esuperiori, un ciclo diproiezioni su“Intercultura e scuo-la”: film e documentarirappresentativi dellaricchezza intercultura-le, per sviluppare unatteggiamento di fidu-cia negli altri e miglio-rare la società in cui sivive. Tra le proiezioni:“Sotto un Celio azzur-ro” di EdoardoWinspeare, il 17 feb-braio; “La sospensio-ne” di Matteo Musso, il22 febbraio; “A scuo-la” di Leonardo DiCostanzo il 16 e 22marzo. Info: www.cine-tecadibologna.it

Studi di genereIl 10-12 febbraio siterrà a Torino il conve-gno “Www. World WideWomen. Globaliz-zazione, generi, lin-guaggi” organizzatodal Centro interdisci-plinare di ricerche estudi delle Donnedell’Università diTorino, per favorire unoscambio interculturalee interdisciplinare.Ricercatori e ricerca-trici saranno chiamatia confrontarsi sutematiche di estremaattualità, come la glo-balizzazione, l’incontrodi culture, il transcul-turalismo, il supera-mento dei confininazionali, la migrazio-ne, i linguaggi, lo svi-luppo economico.Info:www.cirsde.unito.it

Clown di corsiaL’associazione Viviamoin Positivo organizzaperiodicamente corsidi clownterapia, rivoltia potenziali volontari,ma anche a chi puòinteressarsi di questamateria per motivi dilavoro o studio. I prossimi appunta-menti sono: a Padovae Sassari dal 4 al 6febbraio; a ReggioEmilia e Udine dal 18al 20 febbraio; a Baridal 25 al 27 febbraio.Info: www.clowntera-pia.it

Corpi migrantiLa Fondazione Nigriziaonlus allestisce fino amaggio, presso ilMuseo Africano diVerona, la mostra foto-grafica “Corpi migran-ti” sul tema dell’immi-grazione in Italia. Lamostra racconta lastoria, i sogni, la real-tà di persone che nelcorso del viaggio in cuisi allontanano dalpaese d’origine perdo-no l’identità di esseriumani e diventanoappunto “corpi”.Attenzione soprattuttoalle giovani generazio-ni, chiamate a con-frontarsi con un feno-meno che sta cam-biando gli assetti dellasocietà italiana edeuropea. Info:www.nigrizia.it

Prosegue fino a finefebbraio “Mondi lonta-ni, mondi vicini”, ras-segna del CentroInterculturale di Torinoche attraverso film diregisti italiani e stra-nieri riconosciuti alivello internazionaleoffre un’importanteopportunità per esplo-rare ambiti intellet-tuali, creativi, artistici,affrontando temi dieducazione intercultu-rale. Tra le prossimeproiezioni: “Africantime, voci africane aTorino” di CorradoIanelli e “I gatti per-siani” di BahmanGhobadi il 24 febbraio.Info:www.comune.torino.it/intercultura

Da non perdere a cura di Elena Poletti

Project cycle managementSi svolge dal 18 febbraio al 18 marzo, a Milano, il corso in Project cycle manage-ment tenuto da Ispi in collaborazione con Celim e Cisv. L’obiettivo è fornire gli stru-menti idonei per fare una pianificazione strategica, individuare un bando, scrivereun progetto, ottenere un finanziamento, gestire la sua messa in opera e valutarnel’impatto. Nell’ultimo dei quattro moduli proposti è prevista un’esercitazione praticache servirà a riepilogare le conoscenze acquisite attraverso la valutazione critica dialcuni documenti di progetto presentati dall’ong Celim. Info: www.ispionline.it

Lontani & vicini

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Page 12: Volontari per lo Sviluppo

NUOVO SUDAN, VECCHI PRIVILEGIdi Emanuele Fantini da Juba

Reportage

Page 13: Volontari per lo Sviluppo

Fondi nazionali che non arrivano a scuole ed enti locali, pochi insegnanti mal pagati. In Sud Sudan la gentechiede istruzione, cliniche e posti di lavoro. Ma gli ex militari al potere danno priorità al controllo del terri-torio e del petrolio. Con l’alibi, almeno fino al referendum di gennaio, dell’ingerenza di Karthoum.

Page 14: Volontari per lo Sviluppo

«Non sempre è facile trovare otto alberi abbastanza grandi e alla distanza giusta per ospitare tutte le

classi di una scuola primaria» provoca Deng Kongor, direttore generale del Ministero dell’Istruzione

dello Stato dei Laghi. In Sud Sudan solo uno studente su dieci segue le lezioni in un’aula. Gli altri ogni

mattina arrivano a scuola trasportando una sedia di plastica in testa e la sistemano all’ombra di un

albero, insieme ad almeno 50 compagni.

INSEGNANTI DI FORTUNANel 2005, all’indomani degli accordi di pace che hanno messo fine alla ventennale guerra civile tra il

governo di Khartoum e i ribelli del Sudan people liberation movement, chi era arrivato al quinto o

sesto anno si è improvvisato maestro e oggi insegna nelle classi dei primi anni. «Quest’anno riceviamo

solo l’80% dello stipendio, 230 sterline sudanesi (circa 70 euro, ndr). Spesso in ritardo» denuncia

Gabriel, insegnante alla scuola primaria di Abinajok. «Con un salario così è impossibile arrivare a fine

mese, soprattutto per le insegnanti donne - pochissime - che devono anche badare ai figli e alla casa.

Ho appena fatto domanda per entrare in polizia. Lì almeno la paga base è 300 sterline. Solo chi non ha

alternative resta qui a insegnare» dice in un inglese sgrammaticato, benché sia la lingua ufficiale d’in-

segnamento.

La volontà di emanciparsi da Khartoum ha spinto il governo semi-autonomo del sud, con capitale a

Juba, ad abbandonare l’arabo, lingua in cui sono stati formati i pochi insegnanti qualificati, ma troppo

connotata con l’Islam e il dominio del nord. Ma costruire dal nulla un sistema d’istruzione nazionale

non è facile, soprattutto in assenza di personale qualificato. L’amministrazione creata all’indomani degli

accordi del 2005 è composta sostanzialmente da militari ed ex combattenti. Quando parla di “dividen-

di della pace”, la gente comune si aspetta scuole, cliniche e posti di lavoro. Mentre le priorità dell’élite

restano sicurezza e controllo del territorio. Soprattutto negli ultimi mesi, quando la tensione politico-

militare con il governo centrale è tornata a crescere in vista del referendum del 9 gennaio con cui il

sud è stato chiamato a scegliere sull’indipendenza da Khartoum.

DISARMO A RILENTOLe costruzioni più nuove, i recinti più solidi, sono quelli delle caserme di esercito e polizia. O delle ville

dei generali dell’Splm. Le reclute nelle loro nuove uniformi presidiano i centri abitati, mentre lungo le

strade si moltiplicano posti di blocco più o meno autorizzati. I programmi di disarmo e reinserimento

degli ex combattenti procedono a rilento. E non potendo trovare lavoro in un’economia ancora asfitti-

ca, i giovani si arrangiano con l’unica formazione che hanno ricevuto, quella delle armi.

Per i pastori e allevatori dinka, il gruppo etnico più numeroso, le mucche non rappresentano solo un

sostentamento, ma anche uno status symbol. E i cattle camp sono un rito di passaggio e un luogo di

socializzazione giovanile che incrocia e ostacola il percorso scolastico ufficiale. Spesso i ragazzi spari-

scono da scuola. Inviati dalla famiglia a badare al bestiame, vivono per vari mesi l’anno con i loro coe-

tanei nei cattle camp. Le poche ragazze che vanno a scuola, invece, attorno ai 12-13 anni vengono

date in sposa: una moglie giovane, forte e bella arriva a costare più di 100 vacche.

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Uno studente su 10 segue le lezioni in aula, gli altri ogni mattina arrivano portandosiuna sedia che sistemano sotto un albero. Gli unici edifici nuovi sono le caserme

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25Reportage

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Page 17: Volontari per lo Sviluppo

FAIDE, BUOI E GANG L’aumento del costo della dote è tra i motivi del moltiplicarsi di razzie e furti di bestiame, che innesca-

no lotte e faide tra clan. Ma la crescente violenza di questi episodi è anche spia del vuoto di prospetti-

ve che la guerra civile ha lasciato alle nuove generazioni: badare alle mucche e averne sempre di più

diventa per molti giovani l’unico orizzonte immaginabile.

«Dopo tutti questi anni di guerra la formazione professionale e l’educazione sono indispensabili per

ricostruire il paese e offrire qualche opportunità per il futuro» spiega Maurizia Sandrini, rappresentate

paese di Cefa, ong che promuove la sicurezza alimentare nello Stato dei Laghi attraverso la formazio-

ne degli agricoltori, l’introduzione di nuove tecniche di coltivazione e il sostegno a orti comunitari e

scolastici. «Nel deserto di risorse umane e materiali del Sud Sudan, anche organizzare un piccolo orto

scolastico si trasforma in un’impresa». Una volta avviato però riesce a fare la differenza, garantendo

alle comunità un minimo di reddito per mandare avanti la scuola e un po’ di cibo per la mensa.

Proprio per garantire sicurezza alimentare alla popolazione, stremata da decenni di guerre, e dipen-

dente in toto dagli aiuti umanitari, il Cefa ha pensato di creare “Solidarietà 2015. From Seed to Food”.

Un ambizioso progetto che vuole creare sinergia tra profit e no profit coinvolgendo imprenditori e isti-

tuzioni. Le best practice che si creeranno saranno presentate all’Expo 2015 di Milano, visto anche l’en-

tusiasmo incontrato quest’anno durante la presentazione del progetto stesso all’Expo di Shangai. (per

info: www.cefaonlus.it)

REFERENDUM E PETROLIOSono soprattutto le mamme a farsi carico della gestione. Per loro si sono organizzati corsi di formazio-

ne e alfabetizzazione: «Che soddisfazione sentirle contare in inglese i prodotti e i ricavi della vendita,

ma soprattutto sensibilizzare le altre donne del villaggio sull’importanza dell’istruzione, in particolare

per le ragazze» dice Maurizia. Una sensibilità che purtroppo fatica a farsi largo nella popolazione,

soprattutto in questo momento in cui tutte le risorse e attenzioni sono concentrate sul referendum. Le

scuole hanno chiuso con un mese di anticipo per permettere agli insegnanti di registrarsi nei villaggi

d’origine. «Una delle scuole che sosteniamo, come molte altre, è stata occupata da militari che la uti-

lizzano come dormitorio e hanno saccheggiato e distrutto l’orto della comunità. Insegnanti e genitori

che hanno protestato sono stati picchiati».

Nessuno nutre dubbi sull’esito del referendum: l’indipendenza del Sud Sudan e la nascita di un nuovo

Stato africano. Le élites di Khartoum e Juba alternano negoziazioni politiche e minacce di escalation

militare per affrontare i nodi ancora da sciogliere: la demarcazione del confine e la spartizione delle

risorse petrolifere che lì si concentrano, e oggi rappresentano il 98% delle entrate del Sud Sudan.

L’incognita principale riguarda proprio la gestione di questa ricchezza nel nuovo Stato: l’autodetermi-

nazione del paese si tradurrà in un’equa distribuzione tra generazioni e gruppi etnici diversi, o nella

replica da parte dell’élite delle pratiche di accumulazione e sfruttamento di cui ha sempre accusato il

governo di Khartoum?

27Reportage

In apertura: parata di un

plotone di militari

dell’Splm, il Sudan

people liberation

mouvement ribelle a

Khartoum. Nelle pagine

che precedono: scuole

all’aperto e orti

scolastici. Risultato dei

lavori dell’ong Cefa (Foto

archivio Cefa).

Page 18: Volontari per lo Sviluppo

28

AAA volontari cercasi

InformarVI il servizio informativo di Volontari nel mondo – FOCSIV, gestisce la ricerca di risorse umane per attività dicooperazione internazionale attraverso un’apposita Banca Dati Volontari Internazionali. Ad essa è collegato il Servizio Selezionedei candidati Volontari Internazionali della Federazione. Info: tel. 06/6876706 - www.focsiv.it

Codice: 600/11CAPO PROGETTO Dove: Mozambico Durata: 1 anno rinno-vabileDisponibilità: imme-diataSettore: sanità dibase e riabilitazioneRequisiti: laurea infisioterapia, medicinao gestione di pro-grammi sanitari,esperienza pluriennalenei pvs e nella gestio-ne di programmi sani-tari di base, con par-ticolare riferimento alcontrollo della lebbra.Capacità di elaborareproposte progettuali(studio di fattibilitàed elaborazione deldocumento di progettoin base alle lineeguida di Mae e Ue).Ottima conoscenza delportoghese e buonecompetenze informati-che. Preferenziale:precedente esperienzain Mozambico.Contratto: privato Info: tel. 06/6876706E-mail:[email protected]

Codice: 601/11CAPO PROGETTO Dove: Guinea BissauDurata: 1 anno rinno-vabileDisponibilità: imme-diataSettore: salute ripro-duttiva Ruolo: gestione delleattività del progetto,monitoraggio e valu-tazione. Gestione delbudget, rafforzamentodelle competenze deipartner locali nellapianificazione egestione attività.Requisiti: laurea inmedicina con specia-lizzazione in salutepubblica, esperienzanella gestione di pro-grammi di saluteriproduttiva e mater-no-infantile. Capacitàdi elaborare proposteprogettuali (studio difattibilità ed elabora-zione del documentodi progetto in basealle linee guida diMae e Ue). Ottimaconoscenza del porto-ghese e competenzeinformatiche.Preferenziale: prece-dente esperienza inGuinea Bissau.Contratto: privato Info: tel. 06/6876706E-mail:[email protected]

Codice: 602/11INFERMIERAOSTETRICADove: Guinea BissauDurata: 1 anno rinno-vabileDisponibilità: imme-diataSettore: salute ripro-duttivaRuolo: gestione delleattività di educazionesanitaria a livellocomunitario e di for-mazione del personalelocale, redazione dirapporti tecnici sulleattività, acquisto egestione di attrezzatu-re mediche e materia-le sanitario.Requisiti: laurea inscienze infermieristi-che con specializza-zione in ostetricia,esperienza nellagestione di attività dieducazione sanitariaa livello comunitario edi formazione del per-sonale locale nell’am-bito di programmi disalute riproduttiva ematerno-infantile.Ottima conoscenza delportoghese e compe-tenze informatiche.Preferenziale: prece-dente esperienza inGuinea Bissau.Contratto: privatoInfo: tel. 06/6876706E-mail:[email protected]

Codice: 603/11COORDINATOREPAESEDove: BurundiDurata: 1 anno rinno-vabileDisponibilità: imme-diataRuolo: coordinamentodelle attività dell’or-ganizzazione nelpaese ed elaborazionedei rapporti trimestra-li, gestione dei rap-porti con i finanziato-ri, le autorità locali ele altre istituzioni,consolidamento dellapresenza dell’ong nelpaese mediantel’identificazione dinuove opportunitàprogettuali, supportoai capi progetto nellagestione dei budgetdei singoli progetti. Requisiti: esperienzanella gestione progettidi cooperazione neipvs finanziati dall’Uee nell’identificazione,istruzione e redazionedi progetti. Almeno treanni di esperienza inAfrica, ottima cono-scenza del francese.Contratto: privatoInfo: tel. 06/6876706E-mail:[email protected]

In Italia:CENTRO INTERNAZIO-NALE CROCEVIA cerca: INTERPRETEDove: RomaDurata: 3 mesi Disponibilità: imme-diataAttività: interpretaria-to in occasionedell’VIII Festival dellaBiodiversitàRequisiti: ottimaconoscenza di inglese,e/o francese, e/o spa-gnolo, e/o portoghese.Info: tel. 06/72902263E-mail: [email protected]

STAFF ORGANIZZATIVODove: RomaDurata: 3 mesiDisponibilità: imme-diataAttività: supporto nel-l’organizzazionedell’VIII Festival dellaBiodiversitàRequisiti: conoscenzadi inglese, e/o france-se, e/o spagnolo, e/oportoghese.Info: tel. 06/72902263E-mail: [email protected]

Nel caso di ricer-che con un codicedi riferimento ènecessario, invian-do la tua candidatu-ra, specificare nel-l’oggetto del mes-saggio il codice!

Page 19: Volontari per lo Sviluppo

di Marco Bello e Alessandro Demarchi da Port-au-Prince

Haiti, l’anno dell’apocalisse Dossier

Page 20: Volontari per lo Sviluppo

Un milione e 300 mila persone sono ancora senza casa, il 95% delle scuole di Port-au-Prince inagibili, 40 ospedali pubblici gravemente danneggiati

Page 21: Volontari per lo Sviluppo

31

È già trascorso un anno dal terribile sisma del 12 gennaio 2010. Un bilancio, mai chiuso, parla di 300.000 vittime, probabilmente una

stima per difetto. Circa 200.000 case sono state distrutte o danneggiate. Port-au-Prince, la capitale, ha perso il 95% delle scuole, e

8 complessi universitari statali su 11 sono inagibili. Almeno quaranta ospedali pubblici hanno subito gravi danni. Centinaia di vittime

del terremoto sono morte per mancanza di cure, mentre il numero di amputati è incalcolabile.

Un milione e 300.000 persone hanno perso la casa o non vogliono farvi ritorno: vivono in accampamenti di fortuna allestiti nelle piaz-

ze, nei campi sportivi o in qualsiasi spazio libero. La maggior parte degli edifici pubblici, governativi e religiosi sono crollati: tra tutti

il palazzo presidenziale, la cattedrale cattolica e quella episcopale.

Il terremoto non ha colpito solo la capitale. Tutta la parte bassa di Jacmel, città del sud-ovest, è distrutta; anche Grand Gôave e Petit-

Gôave hanno patito un migliaio di vittime. Léogane, la città più vicina all’epicentro, è stata praticamente rasa al suolo, e non si cono-

sce ancora il numero di morti. Quasi 600.000 persone si sono dirette verso le province rurali. Sovraffollando città e campagne che già

prima garantivano difficilmente una disponibilità alimentare ai loro abitanti, hanno propagato “l’onda d’urto” del sisma a tutto il

paese. Una tragedia: spaventosa. Ancor più se si pensa che già prima del sisma si ritrovava il nome di Haiti agli ultimi posti nelle gra-

duatorie degli indici di sviluppo umano. E se si pensa che Haiti sta vivendo la sua prima epidemia di colera a memoria d’uomo. Gli

eventi naturali e quelli provocati sconvolgono la fragile vita economica, politica e sociale del paese, compromessa da sempre.

L’emergenza dell’eccezionale si sovrappone all’emergenza del quotidiano.

Aiuti e ricostruzioneGli aiuti strutturali e quelli umanitari hanno sempre giocato un ruolo fondamentale in Haiti. Già nel 1825 il paese contrasse il primo

debito, per risarcire la Francia dell’indipendenza conquistata nel 1804. Il debito estero e gli aggiustamenti strutturali imposti da Banca

mondiale e Fondo monetario, in cambio di “favori” ai governanti di turno, hanno pesantemente condizionato lo sviluppo del paese e

minato la sua indipendenza. Anche gli aiuti umanitari sono serviti spesso come cavallo di troia per imporre penalizzanti politiche eco-

nomiche. Esemplare è la vicenda del riso americano, prima ricevuto in regalo poi importato, così da distruggere la produzione nazio-

nale. Con migliaia di famiglie contadine sul lastrico. Purtroppo anche l’aiuto per il terremoto si sta rivelando sempre più una scusa,

per alcuni Stati, per mettere Haiti sotto tutela.

Superata la confusa fase iniziale, il compito della ricostruzione non è stato assunto dal governo, ma con l’approvazione di una legge

sullo stato d’emergenza, valida ben 18 mesi, è stato assegnato a una “Commissione ad interim per la ricostruzione di Haiti” (Cirh), cui

partecipano metà rappresentanti dello Stato haitiano e metà di paesi “amici” e istituzioni finanziarie internazionali, ed è di fatto gesti-

ta da Bill Clinton, copresidente insieme al primo ministro Jean-Max Bellerive. L’influenza della Banca mondiale è determinante.

«Questa commissione è dominata dagli stranieri e Bill Clinton ne è il coordinatore. La legge dice chiaramente che la Cirh deve assi-

curare la “messa in esecuzione del programma di sviluppo” di Haiti. Ciò significa che i poteri di questa commissione sono superiori a

quelli dell’esecutivo» sibila Jean William Jeanty, uno dei 19 senatori che non hanno votato la legge. «C’è scritto che nessuna istituzio-

ne del paese può esercitare controllo su di essa. Ma le leggi haitiane non accettano l’ingerenza degli stranieri negli affari interni. C’è

un problema di sovranità nazionale. Il parlamento con la legge sullo stato d’emergenza ha totalmente violato la Costituzione».

Governo “fatalista”Molti haitiani, in particolare i movimenti della società civile, ritengono che il paese abbia perduto la sua sovranità e l’occasione

Dossier

Haiti, l’anno dell’apocalisseA un anno dal sisma che ha mietuto oltre 300.000 vittime, mentre nel paese infuria l’epide-mia di colera e i brogli elettorali inquinano la vita politica, appare sempre più evidente comegli aiuti per il terremoto siano un pretesto, per alcuni Stati “amici”, per mettere Haiti sottotutela. Con il benestare del governo, contestato con forza dalla società civile.

Page 22: Volontari per lo Sviluppo

di essere artefice della rinascita dopo il terremoto. Così Suzy Castor, nota storica, dice: «Si è instau-

rata una situazione anomala. L’emergenza può durare 2-3 mesi, ma se si parla di 18 mesi ha un altro

significato. Le attribuzioni di uno stato d’emergenza si possono tradurre rapidamente in uno stato

d’eccezione. Per questo c’è grande speranza in una nuova rinascita, ma anche la constatazione che

possiamo perdere, ancora una volta, l’opportunità. Non è mai successo, da nessuna parte del mondo,

che il salvataggio di un paese colpito da un cataclisma sia unicamente legato agli aiuti dall’estero.

Non che si debba fare tutto da soli: ma se il popolo non prende in mano il suo destino, non c’è futu-

ro. Il fatto che il governo lasci la gestione della crisi in mani straniere, senza ricorrere alla mobilita-

zione di tutta la nazione, di tutti gli strati sociali, mi lascia molto scettica».

La Cirh, insediatasi il 21 aprile 2010, nel corso dell’anno appena concluso si è riunita tre volte, appro-

vando finora 49 progetti per un totale di 2 miliardi e mezzo di $. Dei 9,9 miliardi di $ in 10 anni “pro-

messi” sulla carta dalla comunità internazionale all’incontro di New York del 31 marzo 2010, pochis-

simo si è visto finora. Lo scorso 6 ottobre, nell’ultimo incontro della Cirh, Bill Clinton ha dichiarato

che il 30% dei fondi sarebbero in arrivo. Ma ben poco sembra essere cambiato. La gente è ancora nelle

tende, sotto i teloni o quel che ne resta dopo un anno di utilizzo al clima dei Caraibi, il passaggio di

tempeste tropicali e, fortunatamente, di un solo ciclone. «Il blocco è dovuto a una mancanza di lea-

dership. Non c’è la volontà politica di prendere decisioni. Lo Stato sta adottando sempre più una men-

32

La Commissione per la ricostruzione è formata per metà da rappresentanti dello Statohaitiano e per metà da paesi “amici” e istituzioni finanziarie internazionali

Le donne e la ricostruzione Il movimento delle donne haitiane è stato duramente colpito dal terremoto. Sono morte le fondatrici di organizzazioni che ne hannofatto la storia: Anne-Marie Coriolan, Myriam Merlet e Magalie Marcelin di Kay Fanm (“Casa delle donne”).Chiediamo a Yolette Jeanty, attuale responsabile di Kay Fanm, se dopo il 12 gennaio è cambiato qualcosa: «Il sisma non ha ridotto gliatti di violenza verso donne e ragazze, che sono ancora più esposte ai pericoli, a causa delle condizioni in cui vivono. Nei campi deisinistrati ci sono problemi di illuminazione e di promiscuità e tutto ciò favorisce la violenza contro le donne. Per molti uomini chehanno subito perdite, sono senza lavoro e vivono questi giorni con molte difficoltà, le donne diventano “antidolorifici” su cui riversaretutto il loro rancore e i loro problemi».Importante è stato entrare nei campi: «Dopo il terremoto abbiamo avviato un corso di formazione con i giovani, per un lavoro psicoso-ciale, con attività di sensibilizzazione, prevenzione, educazione, così da permettere alla gente di conoscere il fenomeno del terremoto edi sapere come comportarsi in occasione di una scossa. Questo ci consente anche di avere informazioni, perché riceviamo denunce diviolenze da queste équipe mobili».Sono in aumento le donne che chiedono aiuto? «Le cifre di cui disponiamo non dimostrano che ci sia un aumento dei casi di violenza,anche se la situazione nelle tendopoli può favorire il fenomeno. Invece i casi di violenza coniugale sono costantemente in aumento; eracosì anche prima del terremoto, ne riceviamo più segnalazioni rispetto agli stupri».In questo “momento zero”, i movimenti femminili hanno avviato una riflessione: «Per noi la ricostruzione del paese non dovrà essereunicamente fisica, ma dovrà anche passare per un cambiamento di mentalità e di guida politico-istituzionale, quest’ultima responsa-bile del fatto che da duecento anni viviamo sempre nella stessa situazione. La partecipazione cittadina deve essere tenuta in contodai nostri governanti affinché ogni haitiano abbia la possibilità di portare il suo granellino nel lavoro che si fa per ricostruire il paesenel modo più corretto».

Page 23: Volontari per lo Sviluppo

33Dossier

talità da assistito, si rimette agli attori internazionali» dice il giornalista Gotson Pierre. C’è anche un

grave problema fondiario, mancano i documenti di proprietà dei terreni, il che crea difficoltà per la rico-

struzione. Perfino per le abitazioni provvisorie di legno e teloni, lo Stato cerca di non prendere respon-

sabilità.

Di fatto sono ong internazionali che cercano di migliorare la vita degli sfollati, portano assistenza sani-

taria, costruiscono scuole provvisorie. Ma c’è anche una forte contestazione del governo da parte della

società civile. Sono i movimenti sociali haitiani (contadini, operai, diritti umani, donne), così importan-

ti nella storia degli ultimi 30 anni, che accusano l’esecutivo e il presidente di inattività. Cresce il mal-

contento, verso il governo e gli amici stranieri.

Colera e brogli elettoraliDa quando è iniziata l’epidemia di colera ad Haiti, lo scorso 19 ottobre, il paese dimenticato ha di nuovo

avuto qualche articolo sul giornale o qualche servizio in radio e tv.

Il forte sospetto che il virus sia stato introdotto da membri della Minustah, già invisi a gran parte della popo-

lazione, ha accresciuto la protesta verso la presenza militare internazionale. Il 15 novembre manifestazioni

violente contro la Minustah si accendono a Cap Haitien, seconda città del paese, e a Hinche. I militari spara-

no sulla folla con un bilancio di 3 morti. Un magazzino del Programma mondiale alimentare a Cap Haitien è

saccheggiato e bruciato. Le organizzazioni umanitarie devono interrompere le attività nella zona, evacuando

personale e bloccando i voli con i rifornimenti medici per la lotta al colera.

In questa fase, come se non bastasse, si è innescato il processo elettorale per la scelta del nuovo presidente

della repubblica e del parlamento. René Préval, il presidente uscente, dopo due mandati non poteva più esse-

re rieletto. Per questo la sua strategia prevedeva di sostenere il candidato del suo partito, Inite (Unità in creo-

In apertura: bambini tra

le macerie e l’uragano

Tomas.

In queste pagine:

immagini della

distruzione lasciata dal

sisma che il 12 gennaio

2010 ha mietuto almeno

300 mila vittime. Oggi 1

milione e 300 mila

persone vivono in

accampamenti di fortuna

allestiti nelle piazze o nei

campi sportivi, senza

accesso all’acqua

potabile e malnutriti

(Foto Marco Bello -

Alessandro Demarchi) .

Page 24: Volontari per lo Sviluppo

34

lo), Jude Célestin, che è anche suo cognato, con l’intenzione non troppo nascosta di farsi poi nominare primo

ministro.

Fin dalla costituzione del Consiglio elettorale provvisorio (Cep) sono stati evidenti i tentativi di Préval di impor-

re la sua linea. La lotta per il potere è diventata ancora più intensa grazie ai fondi in arrivo per la ricostruzio-

ne. Il Cep ha escluso la candidatura eccellente di Wyclef Jean, rapper haitiano di fama mondiale. I sondaggi

davano favoriti la signora Mirlande Manigat, centrista e moglie del presidente Leslie Manigat (in carica per 4

mesi nell’88) e il cantante Michel Martelly. Molto noto in patria, è il re del konpa, la musica pop haitiana da

cui ha avuto origine lo zouk; Martelly smuove folle come ai suoi concerti, in cui si contraddistingue per lin-

guaggi e atteggiamenti scurrili. La campagna elettorale è stata caratterizzata da manifestazioni di strada

nelle diverse città di Haiti. Le elezioni si sono svolte il 28 novembre, con un piccolo strascico di violenza, ma

con chiari brogli denunciati da osservatori nazionali e da tutti i candidati, a eccezione di Célestin, che hanno

chiesto l’annullamento delle elezioni a seggi ancora aperti. Clamorosamente, poco dopo la chiusura, i due

candidati Manigat e Martelly hanno annunciato di sentirsi vincitori e negato la loro richiesta di annullamen-

to. Intanto a conteggio da effettuarsi alcuni siti di famosi quotidiani italiani hanno dato la notizia di Martelly

e Manigat vincenti, e al ballottaggio del 16 gennaio 2011, con tanto di percentuali. Evidentemente la comu-

nità internazionale ha voluto coprire i brogli di Célestin, senza invalidare le elezioni, e ha promesso ai due

candidati più forti il passaggio al secondo turno.

Serve comunque un presidente, tassello indispensabile di quel sistema di “democrazia sotto tutela” di cui Haiti

è vittima.

Marco Bello, Alessandro Demarchi Haiti, l’innocenza violata, chi sta rubando il futuro delpaese?Infinito Edizioni 2011, pp.171, 13 euro

Ad Haiti la situazione sembra peggiorare semprepiù. Ma le responsabilità sono spesso imputatesolo agli haitiani che “non si sanno governare”.Marco Bello e Alessandro Demarchi, nel loro libro“Haiti, l’innocenza violata” raccontano invece diuna società civile che lotta per la democrazia e idiritti. Mentre i paesi vicini vogliono imporre laloro tutela a tutti i costi, e il terremoto è diventa-to l’ennesimo pretesto.Come scrive nella prefazione Maurizio Chierici:“Questo libro ci porta in mezzo agli haitiani, adascoltare la loro voce…. Le ‘forze vive’ dellanazione chiedono di partecipare alla definizionedel futuro, ma questo diritto viene loro sottrattodai grandi della terra grazie alla complicità delgoverno haitiano. Ascoltare queste voci ci porteràa creare un legame di solidarietà con questopopolo, per andare oltre la carità”. I diritti d’autore del libro saranno interamentedevoluti a progetti realizzati con la società civilehaitiana.

Page 25: Volontari per lo Sviluppo

Gli untori con i caschi bluTesto e foto di Ermina Martini da Port-au-Prince

Mentre l’epidemia di colera si diffonde a macchia d’olio, il sospetto che sia stata introdottada membri della Minustah, già invisi alla popolazione, accresce la protesta contro la presen-za militare straniera.A un mese e mezzo dal primo caso di colera ad Haiti i decessi sono 1.817, su circa 90.000 persone contaminate. Gli esperti

in epidemiologia concordano su un punto: la diffusione dell’epidemia continuerà a crescere nei prossimi sei mesi e si preve-

de toccherà 200.000 persone. Sono 36 i centri di trattamento del colera funzionanti ad Haiti, con 2.830 letti disponibili, ma

non basteranno, come dichiara Medici senza frontiere (Msf), in prima linea nel fornire assistenza ai malati insieme alla Brigata

medica cubana (circa 500 tra medici e infermieri). Msf si è dichiarata incapace di gestire l’emergenza da sola, mentre il coor-

dinamento delle Nazioni Unite ha ribattuto che tutto funziona, ci sono oltre 50 tra ong e agenzie Onu che lavorano insieme

al ministero per bloccare l’epidemia. Ma sul terreno il coordinamento è assai complesso. La logistica nel paese rallenta l’ar-

rivo degli aiuti: l’aeroporto è intasato di cargo che portano tavolette purificatrici per l’acqua, cloro, sali per la reidratazione,

sapone. Malgrado una procedura d’urgenza annunciata dal governo per tutte le forniture per l’emergenza colera, i funziona-

ri delle dogane continuano a richiedere timbri, fogli e firme che fanno perdere dai 3 ai 7 giorni per far uscire la merce dal-

l’aeroporto. A livello mondiale sono poche le aziende che producono le tavolette di cloro (aquatab) e sembra che ormai abbia-

35Dossier

Ong italiane per lo sviluppoPresente ad Haiti da oltre 10 anni, ProgettoMondo Mlal di Verona continua il suo impegno inprogetti di sviluppo, nonostante “l’invasione” del paese da parte di ong e agenzie d’emergenza.Ad Haiti l’emergenza di oggi - arginare l’epidemia di colera - e quella dei senza tetto (oltre 1,3milioni in 1.300 tendopoli) hanno radici lontane e soluzioni da ricercare nel lungo periodo.Quindi nell’appoggio alla società civile locale, ma senza sostituirsi a essa.ProgettoMondo Mlal lavora con organizzazioni di base e associazioni storiche come il Cresfed,Centro di ricerca e formazione economica e sociale per lo sviluppo, e l’Mpp, Movimento contadi-no di Papaye, è una delle maggiori organizzazioni contadine di Haiti, con oltre 30 anni di attivi-tà e 100 mila aderenti.ProgettoMondo (Pm), storicamente presente nella zona rurale intorno a Léogane, ha ora pro-getti anche nel Plateau Central, nel nord-est e a Fond Verretes, a sud, nei pressi della frontie-ra con la Repubblica Dominicana. A Léogane il partner di Pm è un’organizzazione contadinacomposta da 13 associazioni di produttori, che si sono riunite con un centro servizi per la for-mazione, un centro per la trasformazione di prodotti agricoli (burro d’arachidi, marmellata) eun magazzino per lo stoccaggio. Pm si è anche impegnata a ricostruire alcune scuole comuni-tarie di Léogane. Da segnalare anche la presenza nel sud-est del paese dell’Mlfm, che da 2 anni e mezzo inter-viene nel settore dell’acqua potabile. L’ong lodigiana sta portando avanti un intervento a 100chilometri a sud della capitale Port-au-Prince, precisamente a Les Cayes, per garantire a circa15 mila abitanti l’accesso all’acqua potabile, e consentire a 270 famiglie di agricoltori e a 3associazioni agricole di migliorare le proprie condizioni nutrizionali. il volontario Mlfm ad Haiti,Alberto Acquistapace ha vinto nel 2010 il Premio del volontariato Focsiv.

Page 26: Volontari per lo Sviluppo

no già allocato tutte le produzioni per l’emergenza Haiti. Un giro d’affari non indifferente, se si pensa

ad es. che 3 milioni di aquatab costano all’ong 33.000 euro e sono appena sufficienti per fornire

acqua purificata a 12.000 famiglie per 3 mesi. Ad Haiti ci sono quasi 10 milioni di abitanti di cui il

56% vive con meno di 1 dollaro al giorno e la maggior parte non ha accesso a fonti di acqua pulita.

La cura per il colera, che produce diarrea e vomito, prevede una reidratazione per vena con acqua e

sali minerali nelle 48 ore dopo il manifestarsi dei primi sintomi. In condizioni normali, nell’80% dei

casi la malattia è facilmente curabile. Ma ad Haiti la gente non ha accesso a fonti d’acqua pulita né

a misure di igiene minime; le strade sono invase da immondizia e scarichi di latrine. I malati tarda-

no a presentarsi ai centri di trattamento, ma per il colera la tempestività è l’unico fattore vincente. I

pazienti si presentano a uno stadio di disidratazione troppo avanzato, malnutriti, al 60% le vittime

dell’epidemia sono bambini. Un altro problema è la gestione dei cadaveri. I familiari non li vogliono

toccare, nelle comunità non vengono resi disponibili terreni per le fosse, gli obitori non li accettano

più. Il batterio del colera non era presente ad Haiti da oltre 100 anni. Il 19 ottobre scorso, il primo

caso viene confermato nel Plateau central, zona di Mirebalais. L’acqua del fiume Artibonite è porta-

trice del vibrione. Proprio a Mirebalais ha sede una base della Minustah (Missione delle Nazioni Unite

di stabilizzazione di Haiti), dove è dislocato un contingente nepalese. La Rete nazionale per la difesa

dei diritti umani ha chiesto alle autorità di condurre un’inchiesta indipendente per chiarire la respon-

sabilità dei caschi blu nella diffusione della malattia. Nei pressi della base nepalese a Mirebalais le

forze di pace hanno scaricato le acque nere provenienti dalle latrine nei fiumi Boukan Kanni e Jenba,

affluenti dell’Artibonite. A tali fatti si aggiunge il dato inquietante che il batterio del colera registra-

to ad Haiti è di origine asiatica. La Minustah dichiara di aver condotto test batteriologici tra i mili-

tari nepalesi, tutti risultati negativi.

36