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EDUCAZIONE ALL’ESPRESSIVITA’, ARTI SCENICHE E TEATRALI VERIFICA attività performative a.s. 2016-17 In principio era il Mito

liceougofoscolo.edu.it · Web viewLa sposa Rea, delusa e crucciata, sentendosi prossima a divenir madre ancora una volta, per consiglio dei suoi genitori si ritirò a Creta, in una

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EDUCAZIONE ALL’ESPRESSIVITA’, ARTI SCENICHE E TEATRALI

VERIFICA attività performative a.s. 2016-17

In principio era il Mito

(Lucia RAFFAELE): In principio era il Caos. Prima che il mondo fosse ordinato in un universo armonico, l’Acqua, la Terra, l’Aria e il Fuoco giacevano nascosti all’interno

di una voragine ampia e tenebrosa, il Caos che Ovidio nelle Metamorfosi definiva rudis indigestaque moles, «una massa amorfa e indistinta» una voragine abissale primordiale, il vuoto cosmico, la notte tenebrosa dell’universo. Ma Chàos non è soltanto un vuoto cosmico: è anche un vuoto logico, un ‘cosmico irrazionale’. È il vuoto del pensiero all’inizio, quando ci sforziamo di immaginare con la nostra mente da dove è partito il mondo.

CAOS DANZA (IC + ID)

Ἦ τοι μὲν πρώτιστα Χάος γένετ᾽, αὐτὰρ ἔπειταΓαῖ᾽ εὐρύστερνος, πάντων ἕδος ἀσφαλὲς αἰεὶἀθανάτων, οἳ ἔχουσι κάρη νιφόεντος Ὀλύμπου,Τάρταρά τ᾽ ἠερόεντα μυχῷ χθονὸς εὐρυοδείης

Hes. Theog. vv. 116-119

MONTAGNINI: Il Caos non aveva avuto principio: mai. Durava da sempre, dall’eternità.Ad un certo punto di quel tempo senza tempo, nel Caos apparve una divinità, una Dea dai larghi fianchi, Gea, la Terra; e dopo Gea apparve l’Amore (Eros), il Dio che addolcisce le anime; e dopo ancora apparvero l’Erebo, misteriosa divinità di quelle tenebre eterne, e la Notte, buia dea anch’essa misteriosa, ma tuttavia non più così cupa come l’Erebo.Gea intanto procreava di sé stessa Urano, il cielo stellato, Ponto, il mare dalle onde sonanti, e le alte montagne.

Così ebbe origine l’universo.

COSTA: Il giovane universo vide nascere i figli di Urano e di Gea, Dei primigeni: i Titani, i Ciclopi, i Centimani. L’opera della creazione intanto continuava; dalle divinità primigenie altre divinità nascevano e da queste ancora altre divinità: alcune erano paurose come il Destino, la Morte, la Discordia, coi suoi tristi figli; la Pena, l’Oblio, la Fame, la Menzogna, l’Ingiustizia, le Battaglie, i Massacri;

PANARIELLO alcune invece erano severe come Nemesi, la giustizia punitrice, la Saggezza, la Persuasione;

COSTA altre ancora enigmatiche come il Sonno col suo corteggio di Sogni, e le tre Parche, eterne filatrici che nell’atto della nascita assegnavano a ciascun uomo il suo bene e il suo male e la lunghezza della sua vita, PANARIELLO o le terribili Gorgoni, che impietrivano chiunque le guardasse

PONZINI E nascevano anche le divinità liete e luminose come i Fiumi e le Oceanine, e le cinquanta Nereidi, ed Elios, il Dio-Sole, e Selene, la Dea-Luna, ed Eos l’aurora, e Iride, la Dea dell’Arcobaleno, lieve messaggera dalla tunica fluttuante e dalle ali d’oro.Su tutte queste e molte altre divinità, che reggevano e muovevano le sorti e le passioni e davano vita e legge alla natura, Saturno, dopo aver spodestato il padre, regnava possente ma non senza inquietudine.

GAGLIANO Egli aveva sposato Rea, figlia di Gea e di Urano, e da un oracolo gli era stato predetto che uno dei suoi figli lo avrebbe cacciato dal trono come egli dal trono aveva cacciato Urano, suo padre. Così Saturno viveva in sospetto e in timore, e di mano in mano che i suoi figli nascevano, non potendo, poiché erano immortali, distruggerli, li ingoiava. 

DI BALSAMO La sposa Rea, delusa e crucciata, sentendosi prossima a divenir madre ancora una volta, per consiglio dei suoi genitori si ritirò a Creta, in una profonda caverna del monte Ida e, come il nuovo bimbo le nacque, lasciandolo ben nascosto nell’antro, salì al cielo portando con sé una grossa pietra tutta ravvolta di fasce e la presentò al vorace marito: il quale immediatamente la trangugiò.

PANARIELLO Zeus, il bimbo divino, crebbe in quella caverna, sotto le dense foreste del monte. Quando ebbe gli anni e la forza, Giove salì al cielo, si presentò al padre lo sbalzò dal trono e iniziò il proprio regno.

(Ilie) Per gli antichi i miti erano in primo luogo racconti, narrazioni meravigliose che mescolavano il divino e l’umano, il quotidiano e lo straordinario, suscitando immagini di eroi, fanciulle, mostri. (Trinca) Una schiera interminabile perché più ci si addentra in questo mondo, attraverso la voce, la scrittura o le immagini, più ci si accorge che ciascuno di questi racconti non è mai concluso in sé, ma rimanda sempre ad altri eventi, altri personaggi, altri luoghi, in un raccontare infinito.

(Di Balsamo) Protagonisti dei miti sono sempre gli dei, attori principali o secondari di storie spesso terribili; a volte vendicativi, irascibili, a volte bonari e protettivi. (Fiaschetti) Si racconta che una volta il tiranno di Siracusa chiese al poeta Simonide chi fossero gli dei. Simonide gli domandò un giorno di tempo per rispondere. Scaduto il tempo chiese altri due giorni poi tre e infine ammise al tiranno che più rifletteva più quella questione gli appariva oscura. Simonide era saggio.

(Di Bona) Nell’immaginazione dei popoli antichi gli dei possedevano forza, intelligenza, bellezza che non si alteravano con il tempo né perivano. Con la loro superiorità nell’aspetto, nella statura, nel carattere erano superiori alla natura umana. Ma simile a quelle dell’uomo erano le loro sembianze. (Pellegrini) E così l‘immaginazione popolare attribuì agli dei consuetudini simili a quelle degli uomini, passioni, gelosie, rancori, odi infedeltà.

Nessun mortale poteva pensare di essere superiore ad un dio.

Narratore (De Renzo): Nel Mahabharata, l'antico poema epico che dagli indù è venerato come una sacra scrittura, si legge l'episodio in cui il protagonista Yudhishtira figlio del dio Dharma, giunto sulle sponde d'un lago, vi trova i suoi quattro fratelli che giacciono al suolo privi di vita. Grande è il suo stupore per l'inspiegabile sorte dei fratelli, vittime della loro insaziabile brama di potere. Mentre guarda i loro corpi distesi a terra, viene improvvisamente assalito da una sete incontenibile. Il luogo è incantevole, pieno dappertutto di fiori di loto. Mentre si china sull'acqua per bere, ode una voce soprannaturale che gli dice:

Voce dal lago (Paolini): Fermati, Il lago appartiene a me e se vuoi bere dèvi prima rispondere alle mie domande.

Yudhishtira (Sorrentino): Chi sei? Io non ti vedo!

Voce: Rispondi!

Yudhishtira: Dove sei? Nell'aria? Nell'acqua?

Voce: Non sono né pesce né uccello. Ho abbattuto i tuoi fratelli perché hanno voluto bere senza rispondere alle mie domande.

Yudhishtira: Allora interrogami.

Voce: Che cosa è più velÓce del vento?

Yudhishtira: Il pensiero.

Voce: Che cosa ricopre la terra?

Yudhishtira: L'oscurità.

Voce: Sono di più i vivi o i morti?

Yudhishtira: I vivi, perché i morti non ci sono più.

Voce: Fammi un esempio di spazio.

Yudhishtira: Le mie mani chiuse come una sola.

Voce: Un esempio di lutto.

Yudhishtira: L'ignoranza.

Voce: Di veleno.

Yudhishtira: Il desiderio.

Voce: Un esempio di sconfitta.

Yudhishtira: La vittoria.

Voce: Qual è la causa del mondo?

Yudhishtira: L'amore

Voce: Qual è il tuo oppÓsto?

Yudhishtira: Me stesso.

Voce: Che cos'è la pazzia?

Yudhishtira: Una via dimenticata.

Voce: E la rivolta? Perché si rivoltano gli uomini?

Yudhishtira: Per trovare la bellezza, nella vita oppure nella morte.

Voce: Che cosa è inevitabile per tutti?

Yudhishtira: La felicità.

Voce: E qual è la cosa più stupefacente?

Yudhishtira: Ogni giorno la morte colpisce, e noi viviamo come se fossimo immortali. Questa è la cosa più stupefacente.

(Fabiani) Spesso gli dei si vendicavano dei poveri mortali. (Santangeli) E li trasformavano, mutando le sembianze di creature che cambiavano, coscienti, il loro aspetto. Il tutto con un acuto senso della provvisorietà, della mutevolezza di ciò che appare ai sensi e che a un tratto si scompone per diventare altro da sé. (Tozzi) L'essere umano, che si trasforma in essere arboreo o inanimato, con intimo dolore avverte di divenire altro in una trasmutazione che sembra investire le radici stesse dell'universo. La natura appare percorsa dai fremiti arcani delle tante creature d'amore e di dolore che essa cela nel suo grembo. (Costantini)Creature tormentate, trovano nel trasformarsi l'unica via d'uscita ad una situazione impossibile, ad una passione assurda: (Limiti) nel divenire altra cosa rispetto a una realtà divenuta umanamente intollerabile, esse ritrovano finalmente il loro riscatto. (Ciardo C.)Cosi è di Dafne, la ninfa trasformata in albero di alloro che Apollo pur continuerà ad amare e di Eco, innamorata di Narciso: (Ciardo L.)di lei non resterà che una voce, ma anche Narciso, invaghito di se stesso sino a lasciarsi morire, si ridurrà ad un fiore.

Primo Narratore (Arianna Pettinato): Il primo amore di Febo fu Dafne, figlia di Peneo, e non fu dovuto al caso ma all’ira implacabile di Cupido. Ancora insuperbito per aver vinto il serpente Pitone, il dio di Delo, Apòllo, vedendolo piegare l’arco per tendere la corda gli chiese

Apòllo (Fabio): Che vuoi fare, fanciullo arrogante, con armi così impegnative? Questo è un peso per le mie spalle, ai miei infallibili colpi sulle fiere e sui nemici. Tu accontentanti di alimentare i tuoi amori e non arrogarti le mie lodi

Primo Narratore (Arianna Pettinato): E così gli rispose il figlio di Venere

Cupido (Davide): Il tuo arco, Febo, tutto trafiggerà ma il mio trafigge te.

Primo narratore (Arianna Pettinato): cosi disse e come un lampo solcò l’aria ad ali battenti, fermandosi nell’ombra sulla cima del Parnaso e dalla faretra estrasse due frecce di opposto potere:

Secondo narratore (Flavia Lepizzera): l’una scaccia amore, l’altra lo suscita. La seconda è dorata e la sua punta aguzza sfolgora, la prima è spuntata e il suo stelo ha l’anima di piombo. Con questa il dio trafisse la ninfa, con l’altra colpì Apollo trapassandogli le ossa fino al midollo. Subito lui si innamora, mentre lei nemmeno il nome di amore vuol sentire e come la dea Diana si compiace della selvaggina catturata nei boschi. Molti la chiedono ma lei respinge i pretendenti e, decisa a non subire un marito, vaga nel folto dei boschi indifferente a cosa siano nozze ed amori. E Febo vede Dafne e l’ama.

Terzo Narratore (Claudia): come mietute le spighe bruciano in un soffio le stoppie, come si incendiano le siepi se per caso un viandante accosta troppo una torcia o la getta quando si fa luce, così il dio prende fuoco, in tutto il petto divampa e con la speranza nutre un impossibile amore.

Contempla i capelli che le scendono scomposti sul collo, guarda gli occhi che sfavillano come stelle, guarda le labbra e mai si stanca di guardarle, loda le braccia e la pelle e ciò che è nascosto l’immagina migliore. Ma lei fugge più rapida di un alito di vento e non s’arresta al suo richiamo.

Apollo (Giuseppe): Ninfa penea fermati, non ti insegue un nemico. Fermati! Io ti inseguo per amore. Impervi sono i luoghi dove voli: corri più piano ti prego, rallenta la tua fuga e anche io ti inseguirò più piano. Sappi a chi piaci. Non sono un montanaro , non sono un pastore , non faccio la guardia a mandrie di greggi come uno zotico. Non sai impudente chi fuggi .

Apollo (Flavio) Io regno sulla terra di Delfi, di Claro e Tènedo. Giove è mio padre. Io sono colui che rivela futuro, passato e presente, colui che accorda il canto al suono della cetra. Infallibile è la mia freccia, ma più infallibile quella che ha ferito il mio cuore.

Quarto narratore (Sabrina): Di più avrebbe detto, ma lei continuò a fuggire impaurita e a metà lasciò il suo discorso. E sempre bella era: il vento le scopriva il corpo,

spirandole contro gonfiava intorno la sua veste

e con la sua brezza sottile le scompigliava i capelli

rendendola in fuga più leggiadra. Ma il giovane divino

non ha più pazienza di perdersi in lusinghe e, come amore

lo sprona, l'incalza inseguendola di passo in passo.

Quinto narratore (Arianna Fiaschetti): Come quando un cane di Gallia scorge in campo aperto una lepre, e scattano l'uno per ghermire, l'altra per salvarsi;

questo, sul punto d'afferrarla e ormai convinto d'averla presa, la stringe col muso proteso,

quella che, nell'incertezza d'essere presa, sfugge ai morsi

evitando la bocca che la sfiora: così il dio e la fanciulla.

Sesto narratore (Aurora): Ma lui che l'insegue, con le ali d'amore in aiuto,

corre di più, non dà tregua e incombe alle spalle

della fuggitiva, ansimandole sul collo fra i capelli al vento.

Senza più forze, vinta dalla fatica di quella corsa

allo spasimo, si rivolge alle correnti del Peneo :

Dafne (Angelica) : «Aiutami, padre. Se voi fiumi avete qualche potere,

dissolvi, mutandole, queste mie fattezze per cui troppo piacqui».

Settimo narratore (Gaia): un torpore profondo pervade le sue membra,

il petto morbido si fascia di fibre sottili,

i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami;

i piedi, così veloci un tempo, s'inchiodano in pigre radici

il volto svanisce in una chioma: solo il suo splendore conserva.

Coro: Miriana – Beatrice – Flavia Loggieri – Ludovica – Giulia Pezzano –

Giulia Salvetti – Ilaria

"Fer, pater," inquit "opem, si flumina numen habetis!

Qua nimium placui, mutando perde figuram!"

Vix prece finita torpor grauis occupat artus:

Mollia cinguntur tenui praecordia libro,

In frondem crines, in ramos bracchia crescunt;

Pes modo tam uelox pigris radicibus haeret

Ora cacumen habet: remanet nitor unus in illa.

Hanc quoque Phoebus amat positaque in stipite dextra

Sentit adhuc trepidare nouo sub cortice pectus

Conplexusque suis ramos, ut membra, lacertis

Oscula dat ligno: refugit tamen oscula lignum.

Cui deus "at quoniam coniunx mea non potes esse,

Arbor eris certe" dixit "mea.

Ottavo narratore (Federica): Anche così Febo l'ama e, poggiata la mano sul tronco,

sente ancora trepidare il petto sotto quella nuova corteccia

e, stringendo fra le braccia i suoi rami come un corpo,

ne bacia il legno, ma quello ai suoi baci ancora si sottrae.

Apollo (Edoardo): «Se non puoi essere la mia sposa,

sarai almeno la mia pianta. E di alloro sempre si orneranno,

i miei capelli, la mia cetra, la faretra;

e il capo dei condottieri latini.

E come si mantiene giovane la mia chioma intonsa,

anche tu porterai il vanto perpetuo delle fronde.

Tutti i narratori: Qui Febo tacque; e l'alloro annuì con i suoi rami.

Veronica – Susanna – Sofia – Noemi – Lucrezia - Samuel: ombre in movimento

ECO e NARCISO

(Maria) Quando nacque Narciso la madre, la ninfa Liriope interrogò Tiresia per sapere se quel bimbo, prodigiosamente bello, avrebbe avuto una lunga vita.

(Lorenzo)L’indovino rispose di sì a condizione che non conoscesse se stesso.

Quella predizione così oscura era destinata ad avverarsi nel modo più sorprendente e più tragico.

(Asia) Alla consunzione di Eco, disperatamente innamorata di Narciso, ridotta a flebile voce senza più corpo, segue lo struggimento di Narciso, perdutamente innamorato di se stesso che si spegne anche lui nel fiore degli anni.

(Lucia) Allora Eco aveva ancora un corpo non era soltanto una voce e per quanto loquace non parlava in modo diverso da ora: poteva solo ripetere di molte parole le ultime. A infliggerle questo castigo era stata Giunone.

(Giordana) La figlia di Saturno, ingannata da Eco, così le aveva detto: di questa lingua che mi ha ingannato potrai fare un uso limitato e brevissima sarà la durata della tua voce .

(Federica) E confermò le minacce con i fatti. Da allora Eco riecheggia le voci e ripete le ultime parole che ha udito. Visto Narciso che vagava per campi solitari, ne fu accesa d’amore.

(Martina)Segue occulta le sue orme e più le segue più sente quel fuoco avvicinarsi simile allo zolfo vivace spalmato sulle punte delle fiaccole, quando brucia all’accostarsi della fiamma.

(Federico) Vorrebbe supplicarlo Eco in dolci parole ma la sua parola la impedisce, non la lascia incominciare, le concede solo di aspettare le voci e di ripeterle.

(Valerio ) Narciso, separato dalla schiera dei suoi compagni, aveva detto a caso: “Qualcuno c’è’ ?” E “C’è” fu la risposta di Eco. Quello stupisce, guarda intorno poi grida:

(Alessandra)”Vieni” e lei “vieni” ripete. Quello si volge indietro e non scorgendo nessuno come prima dice : “Oh tu perché mi fuggi?” E ad una ad una in ordine si sentì ritornare le parole.

(Francesca)Si ferma e dalla voce ribattuta, illuso, “Incontriamoci qui” gridò, ed Eco che più volentieri mai risposto avrebbe a nessun altro suono, “Incontriamoci” rispose e dalle selve uscita gli veniva incontro a braccia aperte.

(Sofia) Ma lui fugge e nel fuggire respinge quelle mani che volevano abbracciarlo: “piuttosto morirei “ disse che darmi in tuo potere” e lei rispose solo “darmi in tuo potere”.

(Carlotta)Si nasconde nei boschi disprezzata, copre di foglie il volto verecondo, vive in caverne sugli abissi e vive anche amore con lei, cresce al dolore della ripulsa

(Jasmine) Un vigile tormento le assottiglia le membra; il male affila, scarnisce la sua pelle e si dissolvono gli umori del suo corpo in aria lieve.

(Emanuele)Non restano di lei che voce ed ossa. La voce resta. Come si racconta le ossa presero la figura di una pietra. Sta nascosta nei boschi, né si vede più sopra i monti errare. Tutti possono udirla solo. Un suono è la sua vita.

(Daniele) Così Narciso aveva sfuggito questa ninfa e le altre nate sopra i monti e nell’onde. E così prima i compagni. Finché uno dei tanti respinti, sollevando le mani al cielo, disse “possa anche egli amare e non godere mai del suo amore”

(Lucrezia) E la preghiera giusta accolse la vergine Ramusia. C’era un fonte puro argenteo di onde nitide che né i pastori né le greggi di ritorno dai pascoli montani né altro animale avevano toccato né uccello o fiera né ramo caduto.

(Elisa)Intorno verdeggiava un campo che dall’acqua vicino era nutrito e un’alta selva di ombre silenziose. Qui Narciso sostò dalla caccia.

(Ludovica) Stanco dall’arsura si distese incantato dal luogo e da quel fonte. Mentre beve rapito dall’immagine specchiata di se stesso sogna una speranza senza corpo credendo sia un corpo quella che è solo un’ombra in onde chiare.

(Valerio)Si incanta di se stesso e innanzi al volto che ripete la sua meraviglia come statua di marmo resta immobile. Si stende a terra, guarda da vicino le sue morbide guance, il collo d’avorio, la grazia della bocca e una bianchezza soffusa del colore della rosa, i pregi che lo rendono mirabile.

(Ludovica Ciardo) Ignaro si desidera. Loda è lodato lui stesso. Mentre brama è bramato, chi accende è insieme acceso . Quanti mai baci vani diede al fonte ingannevole…

(Alice) Quante volte immerse le braccia nell’acqua per stringere il collo che vedeva, ma nell’acqua non riuscì ad afferrare se stesso.

(Alessandro) Che cosa vede non sa ma arde di ciò che vede e il medesimo errore inganna e attrae i suoi occhi. “Ormai questo dolore mi toglie le forze e non mi resta molto da vivere: mi spengo nel fiore degli anni. “

(Beatrice) La morte però non mi pesa, perché con la morte mi libererò da ogni affanno; ma vorrei che questo, che io amo, vivesse più lungo. Ora noi due, che siamo un’anima sola moriremo insieme”.

(Francesco) Così disse e tornò sconvolto a contemplare la medesima figura e turbò l’acqua con le sue lacrime. Vedendola svanire: Dove fuggi?” gridò? “Fermati non abbandonare crudele chi ti ama. Mi sia almeno concesso veder quello che non si può toccare

(Michela) Poi abbandonò il capo stanco sull’erba verde: il buio della morte chiuse i suoi occhi che ancora miravano al bellezza che li aveva stregati. E Anche quando fu accolto tra gli inferi, continuava a specchiarsi nell’acqua dello Stige.

(Gaia) Lo piansero le Naiadi sue sorelle e gli offrirono ciocche di capelli e lo piansero le Driadi: al loro pianto rispose Eco col suo pianto.

(Arianna)E già preparavano il rogo e il feretro e le fiaccole quando al posto del corpo trovarono un

fiore con intorno una corolla di petali

(Flavia Lepizzera – Gaia Piatti)

PROLOGO

POSEIDONE – Io, Poseidone, sono giunto qui dopo aver lasciato

i profondi abissi del mare Egeo.

Laggiù i cori delle ninfe, le figlie di Nereo,

muovono in cerchio i loro agili piedi con grazia di movimenti.

Mai il mio cuore ha dimenticato l’amore per la città di Troia,

la mia città,e tanto l’ho amata.

Ora il fumo la divora,

la lancia argiva la devasta

e va in rovina.

Non c’è più vita nei sacri boschi

e dai templi degli dei grondano sangue e strage.

La gloriosa Troia e’ distrutta.

Atena ed Era insieme, unite, hanno vinto anche me.

Addio mura,

addio città un tempo fortunata,

se Pàllade Atena figlia di Zeus non ti avesse distrutto,

ancora ti ergeresti alta verso il cielo.

ATENA – Mi e consentito rivolgerti la parola, dio possente ed onorato,

vicino per parentela a mio padre? Ho deposto ormai l’inimicizia antica.

POSEIDONE – Puoi certamente, o Atena potente sovrana:

le relazioni tra i parenti portano gioia all’animo.

ATENA – Apprezzo il tono mite delle tue parole.

Poseidone sovrano, i discorsi che porto sono utili ad entrambi.

POSEIDONE – Ti ascolto. Vorrei conoscere quello che hai in mente:

sei venuta per i Greci o per i Troiani?

ATENA – Voglio procurare gioia ai Troiani che una volta mi erano nemici,

e invece rendere amaro ai Greci il ritorno in patria. Con il tuo aiuto voglio far loro molto male.

POSEIDONE – Per quello che mi riguarda, sono a tua disposizione.

Che cosa pensi di fare ?

ATENA – Voglio che il loro ritorno a casa sia infelice.

POSEIDONE – Mentre sono ancora sulla terraferma, oppure sul mare ?

ATENA – Quando si dirigeranno per mare da Troia alle loro case..

E Zeus manderà pioggia, grandine, bufere tenebrose;

promette che mi darà il fuoco del suo fulmine per colpire ed incendiare le

navi degli Achei.

Tu,

fa’ vibrare l’Egeo con il fremito di onde impetuose

e spalanca vortici marini, riempi il golfo d’Eubea di cadaveri..

Per il futuro i Greci imparino a rispettare i miei templi e

a venerare anche gli altri dei.

POSEIDONE – Cosi sarà. Non servono altre parole. Hai il mio favore.

Sconvolgerò il mar Egeo e sulle rive di Micono, sulle rocce di Delo, di Sciro, di

Lemno e sul promontorio Cefareo giaceranno i corpi senza vita

di innumerevoli morti.

Ora però affrettati verso l’Olimpo, prendi dalle mani di tuo padre le folgori

e le saette e aspetta fino a quando l’esercito allenterà i canapi delle navi.

ATENA – Stolto quell’uomo che distrugge le città

e lascia vuoti templi, tombe ed altari.

Perire

sarà il suo destino

L'amara verità di Utanapishtim (303-324)

L'umanità è recisa come canne in un canneto.

Sia il giovane nobile, come la giovane nobile

sono preda della morte.

Eppure nessuno vede la morte,

nessuno vede la faccia della morte,

nessuno sente la sua voce.

La morte malefica recide l'umanità.

Noi possiamo costruire una casa,

possiamo costruire un nido,

i fratelli possono dividersi l'eredità,

vi può essere guerra nel paese,

possono i fiumi ingrossarsi e portare inondazione:

il tutto assomiglia alle libellule che sorvolano il fiume

il loro sguardo si rivolge al sole,

e subito non c'è più nulla.

Il prigioniero e il morto come si assomigliano l'un l'altro!

Nessuno può disegnare la sagoma della morte;

l'uomo primordiale è un uomo prigioniero.

Dopo avermi benedetto,

gli Anunnaki, i grandi dei, sedettero a congresso;

Mammitum, colei che crea i destini, ha decretato

assieme a loro il destino degli uomini:

essi hanno stabilito morte e vita;

i giorni della morte non li hanno contati a differenza

di quelli della vita".

Gilgamesh parlò a lui, al lontano Utanapishtim.

PRIMO STASIMO ANTIGONE

(Terribili) Molte meraviglie vi sono al mondo,

ma nessuna meraviglia è pari all'uomo.

Molte sono le meraviglie ma nulla è più portentoso dell'uomo (ragazzi)

(Terribili) Quando il vento del Sud soffia tempestoso

varca il mare bianco di schiuma

(Zoina) e penetra fra i gorghi ribollenti;

anno dopo anno con l'aratro trainato dai cavalli

(Ilie) rivolge la più grande fra le divinità,

la Terra infaticabile, immortale.

Molte sono le meraviglie ma nulla è più portentoso dell'uomo

(Gasbarrini) E gli uccelli spensierati,

gli animali selvatici,

i pesci che popolano il mare,

tutti li cattura, nelle insidie delle sue reti ritorte, l'uomo pieno d'ingegno;

(Giannini) e con le sue arti doma le fiere

selvagge che vivono sui monti

e piega sotto il giogo

il cavallo dalla folta criniera

e il vigoroso toro montano.

Molte sono le meraviglie ma nulla è più portentoso dell'uomo

(Pettinato)Ha appreso la parola

e il pensiero veloce come il vento

e l'impegno civile; (Trinca) ha imparato

a mettersi al riparo

dai morsi del gelo

e dalle piogge sferzanti.

(Gemma)Pieno di risorse, mai sprovvisto

di fronte a ciò che lo attende,

ha trovato rimedio a mali

irrimediabili. Solo alla morte

non può sfuggire.

Molte sono le meraviglie ma nulla è più portentoso dell'uomo

(Salvetti)Padrone assoluto

dei sottili segreti della tecnica,

può fare il male

quanto il bene.

(Russo)Se rispetta le leggi del suo paese

e la giustizia degli dèi,

come ha giurato, nella città

sarà considerato grande;

ma ne sarà cacciato

se per arroganza

lascerà che il male lo contamini.

(D’Angelo) Spero che un simile individuo

non si accosti al mio focolare,

non condivida i miei pensieri.

Ποˉλλὰ˘ τὰ˘ δειˉνὰ˘ κοὐˉδὲ˘ν 

ἀˉνθρώˉπουˉ δειˉνό˘τε˘ροˉν πέ˘λειˉ·        

τοῦˉτο˘ καὶˉ πο˘λι˘οῦˉ πέ˘ρανˉ

Σο˘φόˉν τι˘ τὸ˘ μηˉχα˘νό˘εˉν        

τέ˘χναˉς ὑ˘πὲ˘ρ ἐˉλπί˘δ' ἔ˘χωˉν,

το˘τὲ˘ μὲˉν κα˘κό˘ν, ἄˉλλο˘τ' ἐ˘π' ἐˉσθλὸ˘ν ἕˉρπειˉ,

νό˘μουˉς πα˘ρείˉρωˉν χθο˘νὸˉς

Gasbarrini – Pontrandolfo

“Che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi,

Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,

tutto hai posto sotto i suoi piedi:

tutte le greggi e gli armenti

e anche le bestie della campagna, gli animali selvaggi,

gli uccelli del cielo e i pesci del mare,

ogni essere che percorre le vie dei mari“.

LE DIVINITA’ : introduzione

NICOLAI: Dimmi, chi sono gli dei?

TAMBURRI: Gli dei dominano su tutto e tutto comandano. Noi siamo in vita

perché loro lo vogliono. La loro vendetta si abbatte sul misero capo d egli

uomini e anche l’eroe più forte sarebbe ben misera cosa senza il volere degli

dei.. Possono condurre l’uomo all’im mortalità o precipitarlo nell’eterna

punizione.

NICOLAI Cosa può l’uomo per scongiurare gli dei ad avere pietà?

TAMBURRI Niente. Può solo pregare e piegarsi al loro supremo volere.

NICOLAI A loro basta poco per punire gli uomini. Un soffio, uno sguardo, un

pensiero.

TAMBURRI Guardati sempre dall’offendere gli dei. Sono impietosi e temibili.

E’ meglio questa misera vita che essere notati da loro e crudelmente

abbattuti.

NICOLAI Come si chiama questo monte?

TAMBURRI Olimpo. Non dimenticarlo mai.

LE DIVINITA’ I C TESTO DI Poseidone, Afrodite, Era, Ap ollo, Atena, Artemide,

Demetra, Ade con accompagnamento musicale di Carducci

LE DIVINITA’ : introduzione

NICOLAI: Dimmi, chi sono gli dei?

TAMBURRI: Gli dei dominano su tutto e tutto comandano. Noi siamo in vita perché loro lo vogliono. La loro vendetta si abbatte sul misero capo degli uomini e anche l’eroe più forte sarebbe ben misera cosa senza il volere degli dei.. Possono condurre l’uomo all’immortalità o precipitarlo nell’eterna punizione.

NICOLAI Cosa può l’uomo per scongiurare gli dei ad avere pietà?

TAMBURRI Niente. Può solo pregare e piegarsi al loro supremo volere.

NICOLAI A loro basta poco per punire gli uomini. Un soffio, uno sguardo, un pensiero.

TAMBURRI Guardati sempre dall’offendere gli dei. Sono impietosi e temibili. E’ meglio questa misera vita che essere notati da loro e crudelmente abbattuti.

NICOLAI Come si chiama questo monte?

TAMBURRI Olimpo. Non dimenticarlo mai.

LE DIVINITA’ I C TESTO DI Poseidone, Afrodite, Era, Apollo, Atena, Artemide, Demetra, Ade con accompagnamento musicale di Carducci

LA VOCE DAL LAGO (De Renzo – Paolini - Sorrentino)

Narratore (Flavio): Nel Mahabharata, l'antico poema epico che dagli indù è

venerato come una sacra scrittura, si legge l'episodio in cui il protagonista

Yudhishtira figlio del dio Dharma , giunto sulle sponde d'un lago, vi trova i suoi

quattro fratelli che giacciono al suolo privi di vita. Grande è il suo stupore per

l'inspiegabile sorte dei fratelli, vittime della loro insaziabile brama di potere.

Mentre guarda i loro corpi distesi a ter ra, viene improvvisamente assalito da

una sete incontenibile. Il luogo è incantevole, pieno dappertutto di fiori di loto.

Mentre si china sull'acqua per bere, ode una voce soprannaturale che gli dice:

Voce dal lago (Fabio): Fermati, Il lago appartiene a me e se vuoi bere d èvi

prima rispondere alle mie domande.

Yudhishtira (Francesco): Chi sei? Io non ti vedo!

Voce: Rispondi!

Yudhishtira: Dove sei? Nell'aria? Nell'acqua?

Voce: Non sono né pesce né uccello. Ho abbattuto i tuoi fratelli perché hanno

voluto bere senza rispondere alle mie domande.

Yudhishtira: Allora interrogami.

Voce: Che cosa è più velÓce del vento?

Yudhishtira: Il pensiero.

Voce: Che cosa ricopre la terra?

Yudhishtira: L'oscurità.

Voce: Sono di più i vivi o i morti?

Yudhishtira: I vivi, perché i morti non ci sono più.

Voce: Fammi un esempio di spazio.

Yudhishtira: Le mie mani chiuse come una sola.

Voce: Un esempio di lutto.

Yudhishtira: L'ignoranza.

Narratore (Flavio): Nel Mahabharata, l'antico poema epico che dagli indù è venerato come una sacra scrittura, si legge l'episodio in cui il protagonista Yudhishtira figlio del dio Dharma, giunto sulle sponde d'un lago, vi trova i suoi quattro fratelli che giacciono al suolo privi di vita. Grande è il suo stupore per l'inspiegabile sorte dei fratelli, vittime della loro insaziabile brama di potere. Mentre guarda i loro corpi distesi a terra, viene improvvisamente assalito da una sete incontenibile. Il luogo è incantevole, pieno dappertutto di fiori di loto. Mentre si china sull'acqua per bere, ode una voce soprannaturale che gli dice:

Voce dal lago (Fabio): Fermati, Il lago appartiene a me e se vuoi bere dèvi prima rispondere alle mie domande.

Yudhishtira (Francesco): Chi sei? Io non ti vedo!

Voce: Rispondi!

Yudhishtira: Dove sei? Nell'aria? Nell'acqua?

Voce: Non sono né pesce né uccello. Ho abbattuto i tuoi fratelli perché hanno voluto bere senza rispondere alle mie domande.

Yudhishtira: Allora interrogami.

Voce: Che cosa è più velÓce del vento?

Yudhishtira: Il pensiero.

Voce: Che cosa ricopre la terra?

Yudhishtira: L'oscurità.

Voce: Sono di più i vivi o i morti?

Yudhishtira: I vivi, perché i morti non ci sono più.

Voce: Fammi un esempio di spazio.

Yudhishtira: Le mie mani chiuse come una sola.

Voce: Un esempio di lutto.

Yudhishtira: L'ignoranza.

Voce: Di veleno.

Yudhishtira: Il desiderio.

Voce: Un esempio di sconfitta.

Yudhishtira: La vittoria.

Voce: Qual è la causa del mondo?

Yudhishtira: L'amore

Voce: Qual è il tuo oppÓsto?

Yudhishtira: Me stesso.

Voce: Che cos'è la pazzia?

Yudhishtira: Una via dimenticata.

Voce: E la rivolta? Perché si rivoltano gli uomini?

Yudhishtira: Per trovare la bellezza, nella vita oppure nella morte.

Voce: Che cosa è inevitabile per tutti?

Yudhishtira: La felicità.

Voce: E qual è la cosa più stupefacente?

Yudhishtira: Ogni giorno la morte colpisce, e noi viviamo come se fossimo immortali. Questa è la cosa più stupefacente.